DIpertimento n' 37 Wreulite
,re.sperti e Strade
BIBLIOTEC A
Inventario
uRamicA SECONDA EDIZIONE
D. CITRINI G. NOSEDA Istituto di Idraulica del Politecnico di Milano
ellffilw«lejh
casa editrice ambrosiana milano
Prefazione alla II edizione
Prima edizione 1975 Ristampa 1979 Ristampa riveduta e corretta 1982 Ristampa 1983 Seconda edizione 1987 Ristampa 1990 Ristampa 1991 Ristampa 1992 Ristampa 1994
Dopo molte ristampe rivedute e corrette, rese necessarie per far fronte alla costante richiesta del testo da parte degli studenti di ormai diverse facoltà di ingegneria, mi è parso giunto il momento di provvedere a questa seconda edizione, soprattutto intesa a introdurre una modifica che appare ormai indilazionabile: l'adozione del sistema di misure cosiddetto Internazionale (S.I.) in luogo del vecchio sistema tecnico. Devo dire che la scelta fra i due sistemi ci aveva tenuti dubbiosi fin dal momento della prima edizione; avevamo allora optato, in definitiva, per il sistema tecnico, giudicandolo, forse per un po' di inerzia mentale, tanto più pratico per le discipline, come l'idraulica, in cui si ha a, che fare soprattutto con forze. Ma ormai non si tratta più di operare una scelta, giacché il sistema internazionale è stato reso in Italia obbligatorio per legge. Devo anche segnalare che la C.E.A. pubblica ora, da due anni, un eserciziario di idraulica, redatto da due valenti collaboratori dell'Istituto di Idraulica del Politecnico di Milano, i Professori Enrico Orsi e Giancarlo Alfonsi, che fornisce la risoluzione dettagliata di tutti gli esercizi proposti in questo testo, e di parecchi altri attinenti a qualche capitolo della meccanica dei fluidi che nel presente testo non ha potuto trovare adeguata trattazione. Questo eserciziario può essere di grande utilità per lo studente frettoloso; ma ritengo di dover ribadire il mio parere che chi vuole veramente comprendere dovrebbe almeno tentare preliminarmente di giungere al risultato con la propria testa. Comunque, nell'eserciziario è già stato adottato il S.I. Mi sia consentito, nel chiudere questa breve nota, di rivolgere un devoto pensiero alla memoria del compianto professore Giorgio Noseaa, prezioso coautore di questo libro e prezioso amico, troppo immaturamente scomparso orm,ai da oltre dieci anni. D. Citrini
Copyright Ci 1987. C.E.A. Casa Editrice Ambrosiana - Milano
[v]
Indice
l
I fluidi e il loro movimento
1
1.1 Definizione di fluido 1.2 I fluidi come sistemi continui 1.3 Grandezze della meccanica dei fluidi e unità di misura . . 1.4 Sforzi nei sistemi continui 1.5 Densità e peso specifico 1.6 Comprimibilità 1.7 Tensione superficiale 1.8 Viscosità 1.8.1 Fluidi non newtoniani 1.9 Assorbimento dei gas 1.10 Regimi di movimento Esercizi
1 2 3 8 9 13 16 20 25 25 27
2
29
Statico dei fluidi
2.1 Sforzi interni nei fluidi in quiete > 2.2 Equazione indefinita della statica dei fluidi Equazione globale dell'equilibrio statico Statica dei fluidi pesanti incomprimibili 2.4.1 Misura della pressione Spinta su una superficie piana Spinta su superfici curve 2.5 Spinta sopra corpi immersi 2.6 Fluidi di piccolo peso specifico 2.7 Statica dei fluidi pesanti comprimibili Equilibrio relativo ---> Esercizi
3
Cinematica dei fluidi
29 30 32 34 38 43 47 52 53 55 60 65
75
3.1 Velocità e accelerazione 3.2 Elementi caratteristici del moto [vil]
75 77
,
vin 3.3 -.3.4
I
Tipi di movimento Equazione di continuità Esercizi
79 81 88
Equazioni fondamentali della dinamica dei fluidi
90
4.2
Equazione indefinita del movimento Equazione globale dell'equilibrio dinamico
90 93
5
Il teorema di Bernoulli
4 --> 4.1 "--
INDICE
5.1 ------> 5.2 - ----25.3 5.4 ---_-5.5 -- 5.6 - _2- 5.7 - --.9 5.8
Distribuzione della pressione nel piano normale. Correnti lineari E teorema di Bernoulli Interpretazione geometrica ed energetica Applicazioni Estensione al moto vario Estensione ai fluidi reali Potenza di una corrente in una sezione. Estensione del teorema di Bernoulli a una corrente 5.9 Relazione fra i coefficienti di ragguaglio 5.10 Scambio di energia fra una corrente e una macchina 5.11 Estensione del teorema dì Bernoulli ai fluidi comprimibili . . 5.12 Moti irrotazionali Esercizi
103 103 104 107 108 113 129 134 137 140 142 149 153 156
6
Equazioni del moto dei fluidi reali
165
6.1 6.2 6.3 6.4
Le equazioni di Navier per i fluidi viscosi Equazione globale di equilibrio Azione di trascinamento di una corrente
165 165 173 174
7
Correnti in pressione
177
7.1 7.2 7.3
Generalità sul moto uniforme Moto laminare Caratteristiche generali del moto turbolento; grandezze turbolente e valori medi Sforzi tangenziali viscosi e turbolenti Ricerche sul moto uniforme turbolento 7.5.1 Analisi dimensionale 7.5.2 Moto nei tubi lisci 7.5.3 Moto nei tubi scabri Formule pratiche Perdite di carico localizzate 7.7.1 Brusco allargamento
177 180
7.4 7.5
7.6 7.7
186 191 194 195 201 208 219 224 227
INDICE
7.7.2 Perdite di sbocco, di imbocco, di brusco restringimento . 7.7.3 Convergenti e divergenti 7.7.4 Altri tipi di perdite. Dispositivi di strozzamento 7.8 Calcolo idraulico di una condotta 7.9 Correnti in depressione 7.10 Moto di un gas in un tubo cilindrico 7.10.1 Moto laminare 7.10.2 Moto turbolento Esercizi
-t
ix .
230 235 238 240 242 247 247 249 256
Problemi pratici relativi alle lunghe condotte
261
Generalità Condotta a diametro costante con erogazione uniforme lungo il percorso Verifica del funzionamento dei sistemi di condotte Dimensionamento dei sistemi di condotte 8.4.1 Costo di una condotta 8.4.2 Costi di esercizio 8.4.3 Sistemi di condotte a gravità 8.4.4 Impianti di sollevamento 8.4.5 Condotte forzate degli impianti idroelettrici Possibili tracciati altimetrici Esercizi
261 263 265 272 275 276 277 280 283 283 285
9
Moto vario delle correnti in pressione
289
9.1 9.2 9.3
Generalità Esempi pratici di moto vario Moto vario di un liquido elastico in un condotto deformabile (colpo d'ariete) 9.3.1 Equazioni differenziali del movimento 9.3.2 Manovre istantanee dell'otturatore 9.3.3 Celerità della perturbazione 9.3.4 Esame generale del processo di movimento 9.3.5 Le condizioni al contorno negli impianti idroelettrici e di sollevamento 9.3.6 Sistemi di condotte Oscillazioni di massa 9.4.1 Oscillazioni in un tubo ad U 9.4.2 Pozzi piezometrici 9.4.3 Casse d'aria Esercizi
289 290
322 329 333 333 338 350 357
10
Correnti a pelo libero
359
10.1 10.2
Generalità Moto uniforme
359 364
8.1 8.2 8.3 8.4
8.5
9.4
996 296 299 307 311
INDICE
10.3 Caratteristiche energetiche della corrente in una sezione . . . . —=- '10.4 Alvei a debole pendenza e a forte pendenza 10.5 Carattere einematico dei due tipi di corrente 10.6 Correnti in moto permanente. Profili del pelo libero —: 10.6.1 Alvei a debole pendenza --10.6.2 Alvei a forte pendenza --- ,10.6.3 Tracciamento dei profili di moto permanente 10.7 - Passaggio attraverso lo stato critico. Il risalto 10.8 Esempi applicativi 10.9 Qualche situazione di moto non lineare 10.9.1 Passaggio di una corrente sopra una soglia di fondo . . 10.9.2 Passaggio fra le pile di un ponte Esercizi
374 382 384 390 393 395 398 401 409 418 418 421 424
1. I fluidi e il loro movimento
1.1 Definizione di fluido
11
Foronomia
429
11.1 11.2 11.3 11.4
Luci a battente Luci a stramazzo Processi di moto vario Reazione di &Busso
429 437 446 448
12
Moti di filtrazione
451
12.1 12.2 12.3 12.4 12.5
Generalità Velocità di filtrazione. Permeabilità Attingimenti da falde artesiane Attingimenti da falde freatiche Potenziale di velocità
451 453 455 459 463
Un fluido è un corpo materiale che, a causa della mobilità delle particelle che lo compongono, può subire delle grandi variazioni di forma sotto l'azione di forze di minima entità, che tendono a diventare trascurabili quando la velocità con cui avviene la deformazione tende ad. annullarsi. In particolare un fluido in quiete non oppone alcuna resistenza ai cambiamenti di forma. Le deformazioni di un fluido sono permanenti, esse cioè non scompaiono dopo che sono state annullate le forze che le hanno provocate. In tutto ciò i fluidi si contrappongono ai solidi la cui deformazione, in generale assai piccola, è conseguenza sempre dell'applicazione di forze, la eliminazione delle quali comporta, almeno entro i limiti elastici, il ripristino della forma iniziale. Per quanto riguarda il comportamento di fronte alle forze che tendono a modificarne il volume, i fluidi si possono schematicamente distinguere in due grandi classi: liquidi e gas. Precisamente, si dicono liquidi quei fluidi che oppongono grande resistenza alle variazioni di volume; come conseguenza, posti in un recipiente, essi ne occupano di norma solo la parte bassa e presentano sempre una superficie, cosiddetta libera, a contatto con la sovrastante atmosfera. I gas hanno invece comportamento opposto: sono sufficienti forze di modesta entità per variarne, in circostanze normali, il volume; immediata conseguenza è il fatto che un gas occupa tutto lo spazio del recipiente entro cui esso si trova. Sinteticamente si dice che i liquidi sono poco comprimibili e i gas invece facilmente comprimibili.
1.2 I fluidi come sistemi continui I fluidi sono composti di molecole situate a distanza reciproca grande rispetto alle loro dimensioni, ed inoltre animate da movimenti rapidi. In un tal mezzo, per sua natura discontinuo, non ha ovviamente significato parlare del valore di una grandezza (ad es. densità, velocità, pressione, ecc.) in un punto, poichè essa risulta variabile con discontinuità da [1]
2
I FLUIDI E IL LORO MOVIMENTO
SFORZI NEI SISTEMI CONTINUI
punto a punto e da istante a istante, a seconda della presenza o meno di una molecola nel punto considerato. Si può però prescindere da questo carattere discontinuo se si prende in considerazione il volume che contiene un insieme non troppo piccolo di molecole avente per centro di inerzia il punto P: si può allora considerare come densità nel punto P il rapporto fra la massa delle molecole e il volume che le contiene; come velocità in P quella del centro d'inerzia del pacchetto di molecole, e così via per qualsiasi altra grandezza. Tenuto conto che il volume di questo insieme di molecole può essere comunque tenuto nettamente inferiore all'ordine di grandezza delle dimensioni che possono interessare nello studio della meccanica dei fluidi, noi possiamo procedere ammettendo che il fluido sia un sistema rigorosamente continuo, fatta eccezione per speciali punti, linee o superfici di discontinuità che occorre specificare caso per caso. Sulla base di questa schematizzazione è stata fondata da Eulero la meccanica dei sistemi continui. In tutto ciò che segue si avrà spesso occasione di parlare di particella di fluido e conviene subito intendersi circa il significato da assegnare a questo termine. La particella, fluida è una porzione di fluido, di dimensioni opportunamente scelte, alla quale, durante un intervallo di tempo At intorno ad un certo istante t corrispondono certi valori di densità, di velocità, di pressione e in generale di qualunque altra grandezza, valori che, per convenzione, noi assegnamo al centro d'inerzia della particella per l'istante t considerato. Le dimensioni della particella e l'intervallo di tempo At assumono valori diversi in dipendenza del processo di movimento che è oggetto di studio, ed anche in relazione agli strumenti di misura disponibili per rilevare le diverse grandezze. Si voglia ad esempio studiare le caratteristiche generali del movimento dell'acqua nel filone di un grande fiume ed in particolare la distribuzione delle velocità nella massa fluida; le variazioni di velocità sono molto graduali e di conseguenza la particella di fluido alla quale assegnare un unico valore di velocità potrà avere dimensioni relativamente grandi (dell'ordine della decina di centimetri) e la misura potrà essere effettuata con un apparecchio che interessi una porzione del fluido in moto dello stesso ordine di grandezza. Ma se nell'ambito dello stesso corso d'acqua ci prefiggiamo di studiare le perturbazioni derivanti da un palo inserito nell'acqua avremo bisogno di considerare porzioni di liquido assai più piccole, poiché in tal caso le variazioni delle diverse grandezze (velocità, pressioni, ecc.) intervengono su piccole distanze; di conseguenza si dovranno impiegare anche strumenti di misura di più modeste dimensioni.
geometriche, cinematiche e dinamiche; soltanto in qualche caso particolare si dovrà introdurre anche la temperatura. Le misure, ove non sia fatto espresso cenno contrario, saranno riportate alla terna di grandezze fondamentali: lunghezza L, massa M e tempo T, del S.I. (sistema internazionale), e alle unità pratiche: metro (m), chilogrammo massa (kg) e secondo (s). Nella Tabella I sono riportati i simboli, le dimensioni e le unità di misura di talune grandezze derivate di più frequente uso.
1.3 Grandezze della meccanica dei fluidi e unità di misura Le grandezze che incontreremo nel seguito sono tutte quelle proprie di un qualsiasi fenomeno meccanico, e cioè fondamentalmente grandezze
TABELLA I Grandezze Geometriche: Lunghezza Area Volume Cinematiche: Tempo Velocità Accelerazione Portata Viscosità cinematica Dinamiche: Massa Forza Sforzo Densità Peso specifico Viscosità Pressione Modulo di elasticità Tensione superficiale Potenza Energia
Simbolo
Dimensioni
Unità di misura
L
L
A W
L2
m2
L3
m3
t
ms
A, g
T LT -1 LT-2
Q
L3T - '
m3/s
v
L2T- '
m%
m
M LT -2M L " 'T -2M L -3M L -27-2M L - 'T - 'M L - 'T -2M L - 'T 2M T -2M L 2T - M L 2T -2M
kg N (newton) N/m3 kg/m3
v, V
F a, t P T P.
P E., E
s P E
m
s misz
NIm 3 Ns/m2
NIm 2 =Pa (Pascal) N/m2 N/m W (watt) J (joule)
1.4 Sforzi nei sistemi continui Nello studio dei sistemi continui conviene distinguere due tipi di forze: forze di massa e forze di superficie. Le forze di massa comprendono tutte le forze esterne che si esercitano a distanza su tutte le particelle del sistema, proporzionalmente alla loro massa, e di norma sono espresse come forze per unità di massa. Fra di esse quella che principalmente avremo occasione di considerare è la forza di gravità, alla quale corrisponde il peso della massa fluida.
4
I
FLUIDI E IL LORO MOVIMENTO
Le forze di superficie comprendono invece tutte le forze che vengono esercitate su una parte qualsiasi del sistema continuo attraverso la sua superficie di contorno; tali forze richiedono un esame più dettagliato in considerazione dell'importanza che esse assumono nello studio di qualsiasi processo di movimento di un fluido. Consideriamo un generico volume W di fluido in condizioni di equilibrio sotto l'azione delle forze di massa e delle forze che agiscono sulla sua superficie di contorno. Immaginiamo di dividere in due parti il volume mediante una qualsiasi superficie A; affinché ciascuna delle due porzioni sia ancora in condizioni di equilibrio è necessario esercitare sulla superficie di separazione A un complesso di forze che costituiscono l'azione che le particelle di una delle due porzioni esercitano su quelle dell'altra. Questo complesso di forze è da pensare distribuito con continuità, sull'intera superficie; sia dA un elemento infinitesimo di superficie nell'intorno del generico punto M di A. Il sistema di forze agenti su dA è riducibile ad un'unica forza dII dello stesso ordine di dA; quando dA tende a zero il vettore
SFORZI NEI SISTEMI CONTINUI
5
z
c111 dA tende ad un vettore finito 4, che viene chiamato sforzo unitario (o più semplicemente sforzo) nel punto M e sull'elemento superficiale considerato. Lo sforzo 4*, pur essendo comunque orientato rispetto a dA, dipende in generale sia dalla posizione del punto M, sia dalla giacitura dell'elemento dA al quale è applicato; per mettere in evidenza quest'ultimo fatto si usa far riferimento al versore normale n all'elemento dA (secondo il verso positivo che sarà specificato più avanti) e si adotta perciò il simbolo 4',, per indicare lo sforzo che agisce su dA. Le dimensioni di uno sforzo sono quelle di una forza per unità di area e perciò il suo modulo è espresso, nel sistema pratico, in kg/m 2. La forza elementare agente su dA può, con le posizioni ora fatte, scriversi:
dll =4'.dA, e ad essa viene di norma assegnato il nome di spinta elementare su dA. Il sistema di tutte le spinte elementari sulla superficie finita A:
n
= J' cl>„ dA A
è la spinta su A. (*) (*) Si richiama l'attenzione sul fatto che il simbolo II, adottate per indicare la spinta, non corrisponde, in generale, ad un unico vettore, bensì a due vettori non complanari.
I concetti di sforzo e di spinta ora esposti con riferimento ad una generica superficie interna ad una massa fluida e perciò all'azione che si scambiano fra loro le particelle di uno stesso fluido, sono del tutto validi anche nel caso di una superficie di contatto fra una massa fluida e una parete solida. Lo sforzo 4',, ammette, in generale, una componente normale ed una tangenziale alla superficie su cui agisce. La componente normale dicesi di compressione se tende ad avvicinare due particelle contigue, di trazione in caso contrario. La maggior parte dei fluidi non sopporta, in condizioni usuali, apprezzabili sforzi normali di trazione; di norma perciò in meccanica dei fluidi avremo a che fare quasi esclusivamente con sforzi normali di compressione. Per questa ragione, considerato un elemento di superficie sul quale agisce uno sforzo 4',,, conviene assumere il versore n della normale rivolto verso l'elemento, in modo che la componente normale di CP, risulti praticamente sempre positiva. Facciamo notare che questa convenzione è opposta a quella che di norma viene assunta nella teoria dell'elasticità dei solidi, dove gli sforzi normali di compressione vengono trattati come negativi. Come già detto lo sforzo in un punto dipende dalla giacitura dell'elemento di superficie sul quale esso agisce; intendiamo ora individuare la distribuzione degli sforzi intorno ad un punto, vale a dire come varia lo sforzo in un punto al variare della giacitura. Consideriamo un tetraedro elementare (fig. 1.1) con un vertice in un generico punto M di un sistema continuo; le tre facce concorrenti nel vertice
6
7
I FLUIDI E IL LORO MOVIMENTO
SFORZI NEI SISTEMI CONTINUI
siano orientate parallelamente ai tre piani coordinati; la quarta faccia ABC sia invece generica con versore normale n, definito dagli angoli (ottusi) nx, ny, nz che esso forma con le direzioni dei tre assi coordinati. Siano
, gli sforzi agenti rispettivamente sulle quattro facce del tetraedro; sia A l'area della faccia ABC.
buzione degli sforzi sulla terna di elementi piani che ha centro nel punto considerato. (*) Queste componenti non sono però tutte distinte, sussistendo per contro le relazioni
— <1• 21 A cos ny; — 4' A cos nz;
— tre componenti normali che designeremo con i simboli:
4),, A.
.TX
..
Queste spinte sono proporzionali alle superfici dei corrispondenti triangoli e perciò sono delle quantità infinitesime del secondo ordine. Il volume del tetraedro è invece un infinitesimo del terzo ordine e quindi è infinitesima dello stesso ordine anche la risultante delle forze di massa e di inerzia ad esso relative; perciò questa risultante può essere trascurata nei confronti delle predette forze di superficie. In tali condizioni la prima equazione cardinale dell'equilibrio (statico o dinamico) del tetraedro dà luogo alla relazione vettoriale: 4)1, cos ny
51)z cos nz ,
(1.1)
che esprime il cosiddetto teorema del tetraedro di Cauchy, secondo il quale lo sforzo agente in un punto su un elemento di generica giacitura è una funzione lineare e omogenea degli sforzi agenti, nel punto stesso, su tre qualsiasi giaciture fra di loro ortogonali. Indichiamo ora con doppio indice le proiezioni degli sforzi secondo generiche direzioni; il primo indice designerà la direzione della normale all'elemento su cui agisce lo sforzo, il secondo la direzione secondo cui si proietta. Così con (1).„, sarà designata la proiezione secondo l'asse x dello sforzo cI,„ . Con queste notazioni, la relazione vettoriale (1.1), proiettata secondo i tre assi della già considerata terna cartesiana, dà luogo alle seguenti tre relazioni scalari: = Ozz cos nx Dny =- Oz y cos
(
= (1)xz cos a
(1.3)
che si possono facilmente dedurre scrivendo le tre equazioni di equilibrio alla rotazione rispetto ai tre assi cartesiani del tetraedro sopra considerato. Le sei componenti distinte così rimaste si possono suddividere in due categorie:
- 4,x A cos v;
= 41x cos nx
(13*yz = (Dzy
Ozz -= Ozz;
Oxy= (byz;
Le spinte, agenti sulle quattro facce risultano rispettivamente:
491)yz cos nY
cos nz ;
41)yy cos
(N, cos n—z ;
Ityz cos ny
•513zz
(1.2)
in luogo di (I)zz
5
ay
c5,
(Dyy Ozz
tre componenti tangenziali *Tx
indicando con -r, il valore comune delle due componenti tangenziali O xy = -= 121:byz , agenti normalmente all'asse delle z rispettivamente nei piani normali axeay (e che pertanto tenderebbero singolarmente a provocare una rotazione dell'elemento attorno ad un asse parallelo all'asse z); analoga designazione vale per le due altre componenti -r x e . Questi sei parametri sono, in generale, altrettante funzioni dei punti del campo (ed eventualmente del tempo). Un più accurato esame delle (1.1), che non è il caso di riportare qui per esteso, conduce alle seguenti importanti proprietà della distribuzione degli sforzi intorno ad un punto: — per ogni punta esistono tre elementi piani, tra loro perpendicolari, che si chiamano piani principali, i quali godono della proprietà che gli sforzi ad essi relativi non ammettono componenti tangenziali; — se per qualunque piano passante per un punto lo sforza ammette soltanto una componente normale, e cioè è diretto perpendicolarmente al relativo piano, lo sforzo stesso ha modulo unico, costante per tutte le dire(*) Come è noto, esse possono considerarsi come le componenti di un tensore del secondo ordine, detto appunto tenore degli sforzi, la cui matrice è
cos nz .
In queste tre relazioni compaiono nove componenti di sforzo, 43zz (1). , le quali, nel loro complesso, definiscono completamente la distri-
(D 2lx
4>Y2I
(1) ?lz
Dzx
(Dzy
(1?:2
(
I FLUIDI E IL LORO MOVIMENTO
COMFRIMIBILITÀ
zioni uscenti dal punto; in tal caso il sistema è isotropo nel riguardo degli sforzi. Il modulo dello sforzo è chiamato pressione p ed il suo valore è una funzione soltanto dei punti del campo (ed eventualmente del tempo); lo sforzo (1). agente sull'elemento di versore normale n è rappresentato perciò dal prodotto Pn
In tutti i liquidi la densità (e quindi anche il peso specifico) diminuisce all'aumentare della temperatura; fa eccezione, come ben noto, l'acqua, la cui densità presenta un massimo per O = 4 00. Per l'acqua a pressione atmosferica normale è stata indicata la seguente relazione :
Come vedremo più avanti (p. 29) questa situazione è tipica dei fluidi in quiete; — considerata una qualsiasi terna trirettangola con vertice nel punto M, siano G1, cr2 , cra i valori delle componenti normali degli sforzi agenti sulle facce del triedro; si riconosce che:
la somma delle componenti normali è la stessa per tutte le terne di assi coordinati cartesiani con vertice nel punto; tale somma è cioè una invariante, funzione soltanto dei punti del campo; per le ragioni che saranno precisate più avanti, possiamo estendere la definizione di pressione ponendo in generale p --- S/3. 1.5 Densità e peso specifico La densità p misura la massa contenuta nell'unità di volume; la sua unità di misura nel S.I. è perciò il kg/m 3 . Il peso specifico y fornisce invece il peso dell'unità del volume e perciò nel S.I. è misurato in N/m 3 . Fra le due grandezze sussiste la ben nota relazione: = pg. essendo g il modulo dell'accelerazione di gravità per il quale, nel territorio Italiano, può assumersi il valore costante di 9,806 m/s'. La densità e il peso specifico di un fluido sono funzioni sia della pressione p che della temperatura 0; la relazione : P = P(P, 0)
(1.4)
che esprime questo fatto si designa comunemente come equazione caratteristica o equazione di stato del fluido. Un esame dettagliato di questa equazione per le situazioni che ci interessano verrà condotto nel prossimo paragrafo. Nel caso dei liquidi però, come vedremo, l'influenza della pressione sulla densità è assai piccola e in generale trascurabile nel campo delle pratiche applicazioni; limitiamo qui perciò il nostro esame alle variazioni della densità dei liquidi con la temperatura.
9
P = po (1 -I- 0,000052939 0 — 0,0000065322 02 4- 0,00000001445 0 3), dove O è la temperatura espressa in gradi centigradi, e po = 999,457 kg/m 3 è la densità a O °C. Se consideriamo il campo di temperature O < O < 40 °C, entro il quale risultano in generale comprese le condizioni più frequenti nelle pratiche applicazioni, le variazioni della densità dell'acqua sono contenute entro il limite dello 0,8% e perciò, di norma, esse possono essere trascurate assumendo un unico valore della densità, pari a 1000 kg/m 3 , al quale corrisponde un peso specifico di 9806 N/m 3 . Condizioni analoghe si verificano anche per gli altri liquidi della pratica, per i quali perciò si assume, di consueto, un unico valore della densità e del peso specifico (sempre, s'intende, per il campo di temperature di interesse pratico). Nella Tabella II sono raccolti i valori della densità e del peso specifico di alcuni fluidi di più frequente impiego, per le condizioni di pressione normale.
1.6 Cornprimibilità Qualsiasi fluido modifica il suo volume (e quindi la sua densità) al variare della pressione alla quale esso è assoggettato; questo fenomeno assume aspetti differenti a seconda che il fluido sia un liquido oppure un gas, cosicché conviene considerare separatamente i due casi. a) Liquidi Sia W il volume occupato da una massa liquida e p la pressione nei punti della sua superficie di contorno (variabile da punto a punto secondo una legge che stabiliremo a suo tempo). Se si dà alla p un incremento dp (costante su tutta la superficie), l'esperienza mostra che il volume W subisce una diminuzione d TV proporzionale a dp e al volume stesso; si ha cioè dW = —
dp,
(1.5)
avendo indicato con 1/c una costante di proporzionalità. Ad E, che è una proprietà fisica del liquido, si dà il nome di modulo di elasticità a compressione cubica o modulo di elasticità di volume: il suo valore — che si mi-
10
I FLUIDI E IL LORO MOVIMENTO
COMPRI3rIBILITÀ
sura, al pari della pressione, in N/m' — è tanto maggiore, quanto più il liquido si oppone alle modifiche del suo volume. Invece del volume W conviene far comparire nella (1.5) la densità p; tenuto presente che la massa pW si mantiene costante, differenziando si ricava pdW + Wdp = 0, e quindi: dpdp
(1.6)
P - e
Il modulo di elasticità s assume nei liquidi valori dell'ordine di n • 10 9 N/m2 , essendo n un numero di poche Unità; per l'acqua, alla temperatura di 10 °C, si ha e = 2,03 • 10 9 N/m2 .
Per tutti i liquidi il modulo e può praticamente essere ritenuto indipendente dalla pressione, mentre esso varia apprezzabilmente con la temperatura, il cui aumento comporta, in generale, un innalzamento del valore di z; ad esempio per l'acqua il modulo E aumenta di circa il 10% quando la temperatura passa da 000 a 3000 Gli elevati valori di E rendono lecito prescindere dalla comprimibilità dei liquidi nella maggior parte dei problemi pratici, per i quali perciò possiamo considerare il liquido come incomprimibile e cioè ammettere che la densità e il peso specifico siano indipendenti dalla pressione; nel caso di processi isotermici, quali saranno quelli che fondamentalmente tratteremo in seguito, l'equazione di stato dei liquidi si riduce allora alla semplice condizione: p = COSt .
TABELLA II
Fluido (alla pressione atmosferica di 10330 kg/m2)
e (°
e)
Qualora, in qualche caso del tutto speciale, occorra tener conto della comprimibilità, ammesso sempre il processo isotermico, l'equazione di stato per i liquidi risulta dall'integrazione della (1.6) che fornisce:
p (kg/m2)
(N/m')
Gas Idrogeno Azoto Ossigeno Aria secca Aria secca
20 20 20 0 15
0,0837 1,166 1,331 1,293 1,226
0,821 11,434 13,052 12,679 12,022
p = po e ( P -Po) / e
(1.7)
essendo pe la densità del liquido alla pressione po ; atteso l'elevato valore di E rispetto a quelli delle differenze (p — po) che si riscontrano di consueto nella pratica, sviluppando in serie e trascurando i termini con potenze superiori alla prima, dalla (1.7) si ricava la più semplice relazione: p po (1 + P—Po )
(1.8)
e
Liquidi Acqua Acqua di mare Glicerina Mercurio Alcool etilico Alcool metilico Tetracloruro di carbonio Acqua ossigenata Benzina Avio Benzina Auto Combustibili liquidi pesanti Oli vegetali Toluolo
15 15 15 20 15 15 20 15 15 15 15 15 13
1000 1030 1264 13546 794 798 1594 1465 720 740 880 ÷ 970 900 ÷ 920 870
9806 10100 12395 132871 7786 7825 15631 14366 7060 7256 8629 ÷ 9512 8825 ÷ 9032 8531
Questi valori sono chiaramente indicativi della modesta comprimibilità dei liquidi: un aumento della pressione tlp = n • 10 5 N/m2 = 10 n N/cm 2 provoca infatti una diminuzione di volume dWIW = 10 -4: un litro di liquido si riduce soltanto di 0,1 cm'.
che in generale fornisce risultati sufficientemente attendibili per l'uso pratico. b) Ga8 L'equazione di stato dei gas alla quale di norma si fa riferimento è quella, ben nota, dei gas perfetti: (L9) dove p è la pressione assoluta, T la temperatura assoluta (misurata in gradi Kelvin, 0K) ed R è la costante dei gas perfetti, il cui valore, nel sistema pratico di misura da noi adottato, è: 848
M
mloK ,
essendo M il peso molecolare del gas considerato.
12
13
I FLUIDI E IL LORO MOVIMENTO
TENSIONE SUPERFICIALE
Questa equazione definisce completamente il modo di variare della densità in funzione della temperatura e della pressione, e non è questa la sede per una sua completa discussione. Sembra però utile dedurre l'espressione che assume, per i gas perfetti, il modulo di elasticità a compressione cubica nel caso di trasformazione isotermica o più in generale in quello di una trasformazione politropica:
ammettere il fluido incomprimibile (cioè e infinita) significa dunque ammettere infinita tale celerità; il che può essere consentito ovviamente soltanto quando essa è molto grande rispetto alla velocità con cui si muove il fluido. Così in genere l'aria non potrà essere considerata in.comprimibile quando si studia il moto di un aereo a velocità prossima o maggiore di quella del suono.
P = Po = cost , n essendo n un esponente da precisare caso per caso, ma comunque compreso fra i due valori estremi n = 1 della legge isoterma e n = k 1,67 della legge adiabatica dei gas monoatomici. Se il processo è isotermico, essendo T = cost, differenziando la (1.0), si ricava facilmente:
dp
dy
P
Y
dp
=
P
da cui risulta, confrontando con la (1.6) che in questo caso è:
cioè per un processo isotermo di un gas perfetto il modulo di elasticità di volume del gas è pari alla stessa pressione p, e per un dato valore di questa assume ugual valore per tutti i gas perfetti. Considerando invece la generica politropica si ottiene:
dp = n dy = n d p P Y P da cui risulta: E= np
Malgrado i gas siano, per definizione, fluidi molto comprimibili (alla pressione atmosferica e risulta dell'ordine di 104 kg /m2 qualunque sia la trasformazione, quindi diecimila volte circa più piccolo di quello dell'acqua), il loro movimento può essere studiato come se si trattasse di fluidi incomprimibili tutte le volte che non comporta forti variazioni della pressione, quindi della densità. Ci si può rendere conto del significato di questa limitazione, ricordando la formula (di Newton) che dà la celerità e con cui si propaga il suono in un mezzo fluido indefinito :
e2 =
;
1.7 Tensione superficiale La superficie di separazione fra un liquido e un altro fluido (liquido o gas) non miscibile con esso si comporta, a causa delle forze di attrazione molecolare, come se fosse una membrana elastica in stato uniforme di tensione: definiamo tensione superficiale questa proprietà. Immaginiamo di tagliare la superficie lungo un segmento di linea di lunghezza L; per mantenere a contatto fra loro i due labbri del taglio, occorre esercitare, su ciascuno di essi, una forza F; misuriamo la tensione superficiale a mezzo del rapporto s = .rIL; si tratta dimensionalmente di una forza per unità di lunghezza e nel sistema pratico si misura in N/m. Il valore della tensione superficiale dipende dalla natura dei fluidi a contatto e della temperatura. Per liquidi a contatto con l'aria a temperatura di 20 °C si sono misurati i seguenti valori di tensione superficiale: acqua
0,073 N/m ;
mercurio
0,559 N/m ;
benzene
0,029 N/m ;
olio di oliva
0,319 N/m ;
questi valori variano poco quando, per uno stesso liquido, cambia la natura del gas a contatto. All'aumentare della temperatura la tensione superficiale diminuisce. La tensione superficiale rende conto di diversi fenomeni, fra i quali il più evidente è quello della forma pseudosferica assunta dalle gocce di liquido : essa tende infatti a rendere minima, a parità di volume, l'area della superficie di contorno. Attesa la limitata entità dei suoi valori, essa manifesta palesemente la sua esistenza soltanto quando la superficie di separazione assume delle curvature marcate, poiché in tal caso si verifica per sua causa un apprezzabile salto di pressione attraverso la superficie stessa. Supponiamo infatti di considerare, per semplicità, un tratto di superficie cilindrica di raggio r, sotteso da un angolo al centro p e con generatrici di lunghezza L (fig. 1.2); sui due bordi laterali di questa superficie agisce la tensione superficiale s e quindi la forza sL, contenuta nel piano tangente. Siano pi e pe le pressioni agenti sulle due facce della superficie.
14
I FLUIDI E IL LORO MOVIMENTO
TENSIONE SUPERFICIALE
separazione liquido-gas forma con la superficie solida 1.111 angolo di contatto p (fig. 1.3) che può variare fra O e 1800 in dipendenza della natura del liquido, del gas e della superficie solida.
2sl se —91 n2
\,
15
Si dice che il liquido bagna o non bagna la parete, a seconda che sia
r
p j 900 ; si verifica il primo o il secondo caso a seconda che prevalgano le
forze di adesione fra liquido e solido o le forze di coesione entro il liquido.
FIG. 1.3
Componendo le due forze sL si ha una risultante diretta secondo la bisettrice dell'angolo cp, e di modulo:
Per aria e vetro, l'angolo di contatto è dell'ordine di 00 per l'acqua e di circa 1350 per il mercurio.
9 28L sen —
Questo comportamento, unitamente alla legge di Laplace, spiega i cosiddetti fenomeni di capillarità: immergendo un tubo di piccolo diametro aperto superiormente in un liquido, si osserva che la superficie libera entro il tubo si incurva formando quello che di norma si definisce menisco, e nel contempo il liquido si innalza o si abbassa rispetto a quello circostante (fig. 1.4).
2
La risultante di tutte le spinte elementari dovute al salto di pressione Ap p t —p. , è anch'essa diretta secondo la bisettrice di p e vale in modulo (come mostreremo più avanti):
2rL Ap sen 0? 2 Per l'equilibrio di queste due risultanti si ricava: _
_
In generale si dimostra che se la superficie ha una forma qualunque il salto di pressione è fornito dalla relazione di Laplace: 3■P
= Pi — 23e = 8
1 RI
H 1
R2
(1.10)
essendo Ri e R2 i raggi principali di curvatura della superficie nel generico punto di essa. Risulta evidente dalla figura, che la pressione più elevata si ha dalla parte della concavità. Quando un liquido viene a contatto con una superficie solida in presenza di un gas, per effetto delle forze di attrazione molecolare la superficie di
--
_
a)
_-
_
-
—
b) Fio. 1.4
Attraverso la superficie del menisco, a norma della legge di Laplace (1.10) si determina un brusco salto di pressione Ap; per l'equilibrio del sistema il liquido nel tubo deve innalzarsi oppure abbassarsi a seconda che la pressione nel liquido in corrispondenza del menisco sia inferiore o superiore alla pressione nel gas. Indicata con h la distanza fra il vertice del
16
i
FLUIDI E IL LORO MOVIMENTO
vIscosrrA.
17
menisco e la superficie libera del liquido circostante deve essere: ylt essendo y il peso specifico del liquido. Dalla valutazione del salto di pressione Ap, a norma della (1.10) ed ammesso che il menisco sia assimilabile a una calotta sferica di raggio r = d /2 cos (3, si ricava in definitiva :
=
48
cos
p
yd
relazione questa che comunemente va sotto il nome di legge di Borelli o di Jurin. Essa indica che il sopraelevamento (o la depressione) h dovuto alla capillarità è inversamente proporzionale al diametro d del tubo. Se il liquido bagna la parete G3 <90°) si ha un sopraelevamento (fig. 1.4a), ed è questo il caso dell'acqua, mentre si verifica una depressione se il liquido non bagna la parete ((3 > 900) (fig. 1.4b) come nel caso del mercurio. Dati i valori delle proprietà fisiche medie per temperature ordinarie, si ha, per tubi di vetro:
hd = 30 h,d = — 10
per l'acqua ; per il mercurio,
essendo h e d misurati in mm. Dei fenomeni di capillarità ora illustrati deve essere tenuto conto ogni qualvolta si debba procedere a letture di livello o di pressione a mezzo di tubi di diametro limitato; si tenga presente che, se il liquido è acqua, con un tubo del diametro di 5 mm, l'innalzamento h è dell'ordine di 6 mm. 1.8 Viscosità Qualsiasi fluido in movimento è sempre sede di uno stato di sforzi interni, che ammettono componenti sia normali, sia tangenziali; queste ultime si manifestano esclusivamente durante l'atto di moto, esaurendosi completamente non appena questo cessi. Le componenti tangenziali degli sforzi, le quali tendono nel loro complesso ad opporsi al movimento della massa fluida, hanno intensità che dipendono sia dalla rapidità con cui interviene la deformazione, sia da particolari proprietà fisiche del fluido in moto. Per rendersi conto dell'esistenza delle componenti tangenziali e della loro natura, fissiamo l'attenzione sui risultati della seguente semplice esperienza. Si abbiano due cilindri circolari coassiali in grado di ruotare senza attrito ambedue attorno allo stesso asse, ma indipendentemente l'uno dall'altro (fig. 1.5).
FIG. 1.5
Nello spazio fra i due cilindri sia contenuto del fluido. Si ponga in rotazione con velocità angolare costante co il cilindro esterno: con il passar del tempo, vediamo dapprima mettersi in rotazione gli strati più esterni del fluido e successivamente quelli via via più interni fino a che entra in rotazione anche il cilindro interno. Questo processo può intervenire soltanto se in seno al fluido nascono degli sforzi diretti tangenzialmente al moto e quindi in grado di trascinare i successivi strati di fluido ed anche il cilindro interno, trasmettendo la coppia applicata al cilindro esterno per mantenerlo in rotazione. Se desideriamo mantenere in quiete il cilindro interno, occorre applicarvi una coppia resistente a mezzo, per esempio, di una forza tangenziale T. Si riconosce allora, da un attento esame del campo del moto, che la velocità del fluido alla parete del cilindro esterno risulta pari a cor e , mentre essa è nulla alla parete del cilindro interno; ciò indica che alle pareti il fluido si muove con la stessa velocità di queste e cioè che non esiste alcun slittamento fra fluido e pareti solide a contatto. Consideriamo ora una qualsiasi superficie cilindrica di generico raggio r (r i
VISCOSITÀ
18
19
I FLUIDI E IL LORO MOVIMENTO
dizioni (e cioè variando sia i raggi r i e re, sia la velocità angolare o(*), sia anche permettendo che il cilindro interno ruoti con velocità costante wi) mostrano tutte che la forza T applicata al cilindro interno per tenerlo fermo o in rotazione a velocità costante, è direttamente proporzionale 2rrih, della superficie a contatto col fluido (essendo h l'altezza all'area A del cilindro occupata dal fluido) e alla differenza, zu = cor e — (otri fra le velocità del fluido alle pareti dei due cilindri, e inversamente proporzionale alla distanza Ar fra i due cilindri; si può cioè scrivere:
L'unità di misura della viscosità p., nel S.I., è il Nsim z. (*) Come già accennato la viscosità di un fluido dipende dalla temperatura. Per i gas si è trovato che lt aumenta secondo una legge del tipo p. = A V-7-9(1 + BIT) (T essendo la temperatura assoluta). Nei liquidi, al contrario dei gas, la viscosità diminuisce all'aumentre della temperatura, secondo leggi di variazione assai complesse. Per l'acqua Poiseuille, nella prima metà del secolo scorso, ha fornito l'espressione:
oppure, esplicitando lo sforzo tangenziale:
il coefficiente di proporzionalità definisce la viscosità o attrito interno del fluido; si tratta di una proprietà fisica del fluido che ne caratterizza il comportamento nei confronti delle resistenze che si oppongono al moto. Questa relazione può essere riportata a strati di spessore infinitesimo, assumendo la forma più generale: &n,
con i solidi elastici per i quali, come noto, gli sforzi tangenziali sono invece direttamente proporzionali alla deformazione angolare. Detto y l'angolo diedro fra due piani intersecantesi lungo una retta normale al vettore velocità e alla direzione n sopra definita, la velocità di deformazione angolare risulta dyldt e la legge di Newton può allora anche scriversi nella forma: dy (1.12)
(1.11)
i. = zo(1+0,0337O+0,0OO220') 2 , dove O è la temperatura in centigradi e p..0 la viscosità a O °C pari a 1,773 • 10 -5 Ns/m2 ; questa relazione è in buon accordo con i valori determinati sperimentalmente anche di recente. Per il mercurio è stata invece proposta l'equazione;
dn avendo indicato con n la direzione normale a quella del moto; questa legge, intuita da Newton, ha avuto una prima conferma sperimentale soltanto un secolo più tardi ad opera di Coulomb; ad essa ne seguirono numerose altre nelle condizioni più disparate. Per la maggior parte dei fluidi che interessano le pratiche applicazioni, la viscosità p. presenta un valore praticamente costante per date condizioni di temperatura, cioè, più precisamente, indipendente dagli sforzi sia tangenziali che normali: i fluidi per i quali si verifica questa proprietà vengono chiamati newtoniani e ad essi faremo quasi esclusivo riferimento in ciò che segue. Sono sicuramente newtoniani tutti i gas e quasi tutti i liquidi omogenei non macromolecolari. La legge di Newton, come di norma viene designata la (1.11), mostra che le componenti tangenziali dello sforzo in un punto di una massa fluida in moto, dipendono unicamente dal gradiente di velocità nel punto, al quale, come si vedrà in dettaglio più avanti, è direttamente legata la velocità di deformazione angolare della massa fluida; ciò in netta differenza (*) La velocità angolare ce deve però essere inferiore ad un certo valore critico, por evitare che intervengano particolari fenomeni, detti di turbolenza, sui quali si avrà modo di parlare diffusamente più avanti.
p.T = 0,459 dove p. è espresso in Ns/m 2 e T è la temperatura assoluta. Accurate recenti esperienze hanno mostrato che la viscosità, al contrario di quanto era stato ritenuto inizialmente, varia anche con la pressione a cui è sottoposto il fluido; l'influenza della pressione è però assai limitata e si rende apprezzabile soltanto per variazioni della pressione dell'ordine di migliaia di N/cm'. Di norma perciò essa viene trascurata nel campo tecnico. In ogni caso si tratta di un aumento della viscosità con la pressione. Negli sviluppi della meccanica dei fluidi risulta conveniente introdurre un'altra grandezza direttamente legata alla viscosità: essa viene chiamata viscosità cinematica v ed è pari al rapporto fra viscosità p. e densità p:
essa è misurata in m 2/s. (") Spesso la viscosità viene espressa in Poise, unità di misura del sistema assoluto C.G.S., che corrisponde a I dine • s/cm 2 ; esso equivale a 0,1 Ns/m 2 . Poiché la viscosità di molti fluidi di pratico impiego è molto piccola, sovente si preferisce usare il centipoise, che equivale a 0,001 Ns/m2.
20
I
VISCOSITÀ
FLUIDI E IL LORO MOVIMENTO
Nella Tabella III sono riportati per la temperatura di 20 00 i valori della viscosità e del peso specifico di alcuni fluidi.
21
T
TABELLA III
• 106
v • 104
(Ns/m2)
(m2/s)
Fluido (N/m3)
Gas Idrogeno Azoto Ossigeno Aria secca
0,821 11,434 13,052 11,846
9,12 17,36 20,10 18,24
1,09 0,149 0,151 0,151
FIG. 1.6
Liquidi Acqua Mercurio Glicerina pura Alcool etilico Gasoline Kerosene Nafta Nafta Olio crudo
1.8.1
9.788 132.832 12.366 7.766 6.668 7.845 9.218 9.512 8.433
1.006 1.566 799.189 590 299 1.867 1.053.000 7.894.000 7.845
0,01008 0,00115 6,35 0,00746 0,00440 0,0233 11,2 81,4 0,0913
Fluidi non newtoniani
Nel precedente paragrafo abbiamo definito come fluidi newtoniani quelli la cui viscosità, almeno per una determinata temperatura, è una costante caratteristica del fluido, indipendente dal movimento ed in particolare dalla velocità di deformazione. Per questi fluidi la rappresentazione grafica del legame (1.12) fra lo sforzo tangenziale e la velocità di deformazione angolare fornisce una retta passante per l'origine e avente coefficiente angolare p. (fig. 1.6). Esistono però delle sostanze che, pur essendo praticamente prive di forma propria come i fluidi, mostrano un diverso comportamento, nel senso che il legame fra sforzi tangenziali e velocità di deformazione angolare non è più rappresentato da una retta passante per l'origine: denominiamo queste sostanze fluidi non newtoniani. Una grossa categoria di essi soddisfa genericamente ad una equazione del tipo:
= f(*),
(1.13)
che viene chiamata equazione reologica (*) del fluido, mentre la sua rappresentazione grafica è detta curva reologica. I fluidi non newtoniani, il cui studio ha ricevuto un notevole sviluppo negli ultimi trent'anni a seguito del loro sempre più largo impiego in campo tecnico, vengono classificati in diverse categorie. Fondamentalmente si distinguono tre classi: — fluidi le cui caratteristiche reologiche sono indipendenti dal tempo; — fluidi per cui il legame fra sforzi e deformazioni dipende dalla durata dello sforzo o della deformazione, oppure dalla precedente storia; — fluidi che possiedono alcune caratteristiche dei solidi e che in generale mostrano una parziale reversibilità delle deformazioni; essi sono denominati fluidi elastoviscosi. A) Fluidi a comportamento indipendente dal tempo Per questi fluidi è possibile individuare sperimentalmente una equazione reologica univoca del tipo (1.13); essi vengono di norma suddivisi in tre categorie: — fluidi plastici alla Bingham ; — fluidi pseudoplastici ; — fluidi dilatanti. I fluidi plastici alla Bingham sono caratterizzati da una curva reologica rettilinea (come per quelli newtoniani) che però non passa per l'origine ma (*) Reologia è la scienza che studia la deformazione dei materiali e gli sforzi che ad essa si ricollegano.
22
I
vIscosiTA.
FLUIDI E IL LORO MOVIMENTO
23
taglia l'asse degli sforzi tangenziali in un punto di ordinata -r o (fig. 1.6); la corrispondente equazione reologica può essere scritta
reologica viene ad essere espressa da più equazioni monomie, ciascuna valida per un determinato campo di valori di jr.
(1.14)
Dalla (1.15) si deduce immediatamente l'espressione della viscosità apparente:
dove (.1.7, , coefficiente angolare della retta, è chiamato viscosità plastica o coefficiente di rigidità; esso è naturalmente indipendente da Un. comportamento di questo genere è approssimativamente seguito da alcune vernici, dalla pasta dentifricia, dalla boiacca di cemento usata per le iniezioni impermeabilizzanti, dai fanghi impiegati nella trivellazione dei pozzi a rotazione, dai fanghi di fogna. In tutte queste sostanze la velocità di deformazione è nulla finché la sollecitazione tangenziale è inferiore a TO ; in tali condizioni non si verifica scorrimento alcuno e perciò, a differenza dei fluidi propriamente detti, la sostanza conserva una forma propria. Quando però in qualche punto lo sforzo tangenziale supera il valore limite TO, si attua un repentino cambiamento e la sostanza finisce per comportarsi come un fluido newtoniano. Questo comportamento viene spiegato ammettendo che la sostanza abbia una struttura interna tridimensionale analoga a quella dei solidi, con una rigidità sufficiente a sopportare sforzi inferiori a TO ; per sollecitazioni superiori questa struttura si disintegra completamente ed il sistema assume il comportamento di un fluido newtoniano sottoposto ad uno sforzo T — To . Quando la sollecitazione cade a valori minori di TO, si riforma la struttura tridimensionale. La curva reologica dei fluidi pseudoplastici (fig. 1.6) passa per l'origine ed è concava verso il basso; il rapporto fra sforzo e velocità di deformazione, a cui viene assegnato il nome di viscosità apparente ti. , diminuisce progressivamente con l'aumentare della velocità di deformazione, tendendo ad un valore praticamente costante soltanto per elevati valori di Il fluido pseudoplastico presenta perciò una forte resistenza al moto per piccole velocità, che va però diminuendo man mano che il movimento si fa più veloce. Per caratterizzare i fluidi di questo tipo è largamente usata una equazione reologica monomia del tipo: = 1rén ,
(1.15)
dove k ed n < 1 sono delle costanti per ogni fluido; k è una misura della consistenza del fluido, ed è tanto più elevata quanto esso è più viscoso. L'esponente n è invece l'indice del comportamento non newtoniano del 'fluido; quanto più esso differisce dalla unità (a cui corrispondono i fluidi newtoniani), tanto più sono pronunciate le proprietà non newtonian.e del fluido. Va notato che non sempre un'unica equazione monomia del tipo (1.15) è sufficiente a coprire un intero campo di variazioni di je; in tali casi la curva
=
,
che, essendo n <1, indica la già notata diminuzione di (.La all'aumentare di y. Fluidi pseudoplastici sono le sospensioni di particelle asimmetriche, oppure le soluzioni di alti polimeri come i derivati della cellulosa o le sostanze macromolecolari. La diminuzione della viscosità che caratterizza questi fluidi viene spiegata con il successivo orientamento secondo la direzione del moto delle particelle in sospensione o delle molecole in soluzione, al quale corrisponde un abbassamento delle resistenze al moto. Comportamento opposto presentano i fluidi dilatanti la cui curva reologica, pur passando sempre per l'origine, presenta la concavità, verso l'alto; la viscosità apparente aumenta pertanto con la velocità di deformazione. Per questi fluidi può ancora applicarsi una equazione reologica monomia del tipo (1.15), ma, in questo caso l'esponente n è maggiore dell'unità. A questa categoria appartengono le sospensioni di materiali solidi ad alta concentrazione e del loro comportamento Reynolds ha suggerito la seguente spiegazione. In condizioni di quiete la porosità del materiale solido è minima ed il liquido è appena sufficiente a riempire i vuoti; per piccole velocità di scorrimento il liquido lubrifica le particelle solide e quindi la viscosità apparente risulta modesta. A più elevate velocità di deformazione si verifica una disgregazione dell'ammasso solido che si dilata incrementando la distanza fra le singole particelle. In. questa nuova struttura il liquido è insufficiente a lubrificare lo scorrimento delle particelle e perciò si verifica un aumento della viscosità. B) Fluidi a comportamento dipendente dal tempo Molti fluidi reali non possono essere descritti con una semplice equazione reologica del tipo (1.13), poiché la loro viscosità apparente dipende dalla durata del movimento. Questi fluidi vengono suddivisi in due classi: — fluidi tixotropici; — fluidi reopectici. Ripetiamo con questi fluidi l'esperienza con i due cilindri coassiali già illustrata per lo studio di un fluido newtoniano. Supponiamo di imprimere una velocità di rotazione costante al cilindro esterno e di mantenere fisso quello interno, misurando nel tempo la forza
24
I FLUIDI E IL LORO MOVIMENTO
tangenziale che occorre applicarvi. Agendo in questo modo manteniamo ovviamente costante, in ogni punto della massa fluida, la velocità di deformazione angolare La registrazione nel tempo dello sforzo tangenziale mostra questo comportamento: — se il fluido è tixotropico lo sforzo tangenziale diminuisce gradualmente nel tempo per tendere infine ad un valore limite, in corrispondenza al quale il fluido si comporta come newtoniano; — se il fluido è reopectico si verifica l'opposto: all'aumentare del tempo, gli sforzi tangenziali continuano ad incrementare, fino a diventare in qualche caso grandissimi, talchè il fluido finisce per assumere l'aspetto e il comportamento di un solido. Il comportamento dei fluidi tixotropici si spiega con l'ipotesi che, in condizioni di quiete prolungata, si formino in seno ad essi dei legami strutturali che vengono progressivamente rotti durante il moto (tixotropico significa appunto tendente al disfacimento); un nuovo stato di quiete ricostituisce questi legami. Nei fluidi reopectici (che induriscono scorrendo) lo stato di moto ha effetto opposto: esso cioè favorirebbe la formazione di legami strutturali che si oppongono al movimento. C) Fluidi elastoviscosi Si tratta di sostanze nelle quali riscontriamo accanto alle proprietà viscose proprie dei fluidi, anche alcune proprietà elastiche caratteristiche dei solidi; naturalmente trattandosi di fluidi risultano predominanti gli effetti viscosi. Il comportamento reologico di queste sostanze, quale è stato riscontrato in alcune emulsioni o sospensioni di un fluido newtoniano in un altro e in alcuni bitumi, è di norma assai complesso e genericamente può esprimersi con una equazione reologica del tipo : • • • ;
y,
•••)
fra le derivate, di vario ordine, degli sforzi tangenziali e delle deformazioni. Uno schema fra i più semplici adottati per esprimere il comportamento di un fluido elastoviscoso, è quello proposto da Maxwell, corrispondente all'equazione reologica : . ••,,• =
'
T
T
a '
dove p. è una viscosità e O un modulo di elasticità tangenziale. Al cessare del moto, annullandosi gli sforzi all'interno del fluido non cessano ma si estinguono gradualmente nel tempo con legge esponenziale.
REGIMI DI MOVIMENTO
25
1.9 Assorbimento dei gas È la proprietà caratteristica dei liquidi di poter aisorbire determinate quantità dei gas con cui vengono a contatto attraverso una superficie libera. Così, nelle condizioni normali di pressione e temperatura, l'acqua può assorbire un determinato volume d'aria: più precisamente, determinati volumi di ossigeno e di azoto (1,3% e 0,7 rispettivamente) in rapporto un po' diverso da quello in cui gli stessi gas figurano come costituenti dell'aria. Questa proprietà dei liquidi presenta interesse in campo tecnico soprattutto in dipendenza della relazione esistente fra la pressione e la massa di gas assorbito. Tale relazione, comunemente detta legge di Henry, si precisa nel fatto che il volume di gas che può essere assorbito dall'unità di volume del liquido è indipendente dalla pressione; poiché per contro la pressione è legata alla densità dalla legge di stato dei gas (per i gas perfetti p fy =-- RT), risulta che la massa del gas che può essere assorbito, a parità di temperatura, è direttamente proporzionale alla pressione. Se pertanto, in un processo di moto di un liquido che tiene assorbita una certa massa di gas, il liquido stesso perviene ad una regione dove si hanno minori pressioni (punti elevati di una condotta, strozzature), necessariamente deve liberarsi del gas, il che può dar luogo a formazione di sacche gassose, con turbamento del regolare svolgersi del moto. Va notato del resto che, in simili circostanze, accanto al gas si libera sempre anche una certa quantità del vapore del liquido.
1.10 Regimi di movimento L'osservazione dei caratteri di numerosi processi di movimento di fluidi ha messo in evidenza l'esistenza di due diversi regimi di movimento, riconosciuti per la prima volta da Osborne Reynolds nel 1883 a mezzo di una serie di classiche esperienze, che qui illustriamo brevemente. Da un recipiente contenente liquido in quiete con superficie libera a quota costante, è derivato un tubo di vetro, alla cui estremità di valle è posto un rubinetto per la regolazione della quantità di liquido che defluisce nel tubo stesso ; l'imbocco del tubo è ben arrotondato ed in corrispondenza ad esso è posto lo sbocco di un tubicino a mezzo del quale può essere iniettato lungo l'asse del tubo un liquido colorato, di peso specifico uguale a quello del liquido in moto (fig. 1.7). Quando il rubinetto è leggermente aperto, e di conseguenza è piccola la velocità del liquido in moto, il liquido iniettato dà luogo alla formazione di un filetto colorato che si estende a tutta la tubazione mantenendosi nettamente e stabilmente distinto dalla rimanente massa fluida: questo comportamento indica che tutte le particelle che passano per uno stesso punto percorrono poi una medesima traiettoria senza subire alcun mescolamento con il fluido circostante; il moto nel tubo avviene ordinatamente per filetti
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I FLUIDI E IL LOBO MOVLMENTO
paralleli senza che intervengano scambi di massa fra un filetto e l'altro: non esistono componenti della velocità normali ai filetti. Questo regime di movimento, che è stato osservato sperimentalmente anche in numerose altre situazioni, differenti per la configurazione geometrica delle pareti solide che limitano il campo di moto, è denominato regime laminare. (*)
Un altro carattere assai importante di questo regime è la sua stabilità nei confronti delle perturbazioni; infatti se una qualsiasi perturbazione viene introdotta accidentalmente o volontariamente in un punto del campo di moto, essa si attenua e scompare a valle di questo punto. Come si vedrà più avanti, per diversi tipi di moti in regime laminare risulta possibile integrare le equazioni differenziali del moto, giungendo a soluzioni complete in termini finiti che definiscono i caratteri del movimento in ogni punto della massa fluida. Se ora apriamo progressivamente il rubinetto all'estremo di valle del tubo, determinando successive condizioni di moto permanente caratterizzate da velocità del liquido via via crescenti, si raggiunge una condizione per la quale il filetto colorato assume un andamento fluttuante: il regime di moto è entrato in una fase di transizione dal regime laminare sopra descritto, ad un tipo di moto instabile. Una ulteriore apertura del rubinetto, con conseguente aumento delle velocità del liquido provoca una completa ' diffusione del filetto colorato nella massa fluida circostante. Ciò è dovuto (*) Talvolta esso viene chiamato regime per filetti o regolare oppure anche regime di Poiseuille dal nome del medico francese che ne individuò sperimentalmente i caratteri per il caso di un condotto circolare.
ESERCLZI
27
alla nascita in seno alla massa fluida di irregolari fluttuazioni della velocità delle singole particelle, alle quali corrisponde un continuo scambio di massa da zona a zona del campo di moto, nel quale possiamo immaginare sovrapposti due movimenti: l'uno cosiddetto di trasporto che determina lo spostamento d'insieme della massa fluida; l'altro che viene chiamato di agitazione, e che comporta unicamente una irregolare oscillazione dei caratteri del moto intorno ai valori medi di trasporto. Il regime di moto così caratterizzato è denominato turbolento ed è quello che si verifica nella maggior parte dei casi di interesse tecnico. La complessità e la natura apparentemente casuale dei movimenti di agitazione sovrapposti al moto di trasporto, non hanno finora consentito di formulare una trattazione teorica adeguata ad una analisi completa dei processi di moto in regime turbolento. Si sono proposte alcune ipotesi semiteoriche che in alcuni casi hanno condotto alla risoluzione di qualche particolare problema, ma sempre con l'ausilio di elementi dedotti da ricerche sperimentali. Allo stato attuale, a mezzo dell'analisi dimensionale si è però in grado di costruire un quadro generale del fenomeno, che serve di guida all'elaborazione dei risultati sperimentali e alla determinazione di formule utili per le pratiche applicazioni.
ESERCIZI 1.1 Un volume W = 2,5 m3 di aria pesa G = 84 N. Valutare il peso specifico e la densità dell'aria. (y = 13,6 N/m 3 ; p = 1,39 kg/m 3 . 1.2 Un gas è contenuto in un cilindro chiuso da un pistone, a perfetta tenuta, distante h = 1.40 m dal fondo. Determinare a quale distanza deve portarsi il pistone affinché, mantenendosi costante la temperatura: a) il peso specifico del gas raddoppi il suo valore; b) la densità del gas si dimezzi (h, = 0,7 m; ho = 2,8 m). 1.3 Due gas rispettivamente di peso specifico y a = 13 N/m3 e yz = 5 N1m 3 , occupano l'uno un volume W 1 = 5 m3, l'altro Wz = 8 m 3. Determinare in quale rapporto stanno i volumi dei due gas quando a temperatura costante essi raggiungono lo stesso peso specifico (1,625).
1.4 Un volume di liquido si riduce dello 0,04% quando la sua pressione viene aumentata di Ap = 150 N/cm 2. Determinare il modulo di elasticità a compressione cubica, ammettendo che questo sia costante al variare della pressione (e = 3,75 - 109N/m2).
1.5 Un recipiente chiuso contiene W = 12 m 3 di acqua (e = 2- 109 N/m2) alla pressione po = 100 N/cm2 . Ammesso che le pareti del recipiente siano rigide, determinare il volume A W d'acqua che è necessario immettere nel recipiente per ottenere una pressione p, = 10.000 N/cm 2 (AW = 0,594 m3).
••
28
i
FLUIDI E IL LORO MOVIMENTO
1.6 Un tubo rigido orizzontale chiuso ad una estremità, è pieno di acqua (e= 2 • 10 9
N/m 2 ). Un pistone a perfetta tenuta posto all'altra estremità determina un aumento di pressione Lp = 10 N/cm 2 spostandosi di 0,05 m. Determinare la lunghezza L del tubo (L = 1000 m).
1.7 Determinare la pressione p i all'interno di una goccia d'acqua del diametro D = 0,05 mm alla temperatura di 20 °C, quando la pressione esterna è pari a quella normale atmosferica p.* = 102 kPa (pi = 107,1 kPa).
2. Statica dei fluidi
1.8 Determinare la risalita capillare h dell'acqua a 20 °C in un tubo di vetro del diametro D = 4 mm (h= 0,0074 m). 1.9 Un tubo verticale del diametro interno D = 2 mm contiene mercurio a 20 °C. Determinare l'effetto di capillarità sulle letture del piezometro (h = 0,0057 in).
2.1 Sforzi interni nei fluidi in quiete Nei fluidi in quiete le singole particelle non subiscono nel tempo alcun spostamento relativo; ciò sia che si tratti di una condizione di equilibrio assoluto rispetto ad una terna fissa, sia nel caso che il fluido rimanga immobile rispetto ad una terna di assi mobili (condizione di equilibrio relativo). In conseguenza dell'assenza di deformazioni della massa fluida, in ogni punto di essa e rispetto a qualunque elemento piano passante per il punto stesso gli sforzi interni non ammettono componenti tangenziali e sono perciò diretti normalmente all'elemento. Se gli sforzi ammettono soltanto componenti normali, indicata con an la componente normale dello sforzo ch i agente sull'elemento di normale n, dalle (1.2) si ricava:
Onx = an COS nx = az cos nx,
= a cos ny
cry cos ny, = az COS 72.z ;
(Dm = an COS
e quindi : crx = csy = =
Ciò significa, come già abbiamo anticipato (p. 8), che lo sforzo in un generico punto di un fluido in quiete, oltre ad essere sempre diretto normalmente all'elemento di superficie sul quale si esercita, ha modulo indipendente dall'orientamento passante per il punto stesso. Definiamo appunto come pressione p nel generico punto cli una massa fluida in quiete il modulo dello sforzo nel punto stesso. Lo stato di sforzo di un qualsiasi fluido in quiete risulta completamente individuato quando si conosca la distribuzione delle pressioni nella massa fluida. [2 9]
30
STATICA DEI FLUIDI EQUAZIONE INDEFINITA DELLA STATICA DEI FLUIDI
31
2.2 Equazione indefinita della statica dei fluidi Ricordiamo che nella meccanica dei sistemi continui si dice equazione indefinita una relazione (cinematica o dinamica) fra grandezze caratterizzanti l'equilibrio o il moto, la quale valga per un qualsiasi punto del sistema: più precisamente, per l'elemento infinitesimo all'intorno del punto. Si consideri un parallelepipedo elementare con un vertice in un generico punto O di una massa fluida in quiete, ove la densità sia p e la pressione p; siano dx, dy e dz i lati rispettivamente paralleli a tre assi cartesiani x, y, z (fig. 2.1).
in quiete tali forze sono ovunque dirette normalmente alla superficie. Considerata la faccia AOEF avente per normale l'asse delle x, lo sforzo agente su di essa vale pi e perciò la spinta sull'intera faccia sarà pdydzi; sulla faccia parallela BCDG lo sforzo vale invece :
ap
— (p +
dx
).
;
e la corrispondente spinta:
— (P
ax
dx) dydzi ;
la risultante delle spinte sulle due facce parallele e normali all'asse x è perciò :
ap
dxdydz i .
Per le altre due coppie di elementi piani normali rispettivamente agli assi y e z, le spinte risultanti valgono analogamente:
ap — — dxdydz 3; ay ap — — dxdydz k. In definitiva la risultante di tutte le forze superficiali vale :
(ap (
-
ap .
j
1+
+
k) dxdydz,
FIG. 2.1
che si scrive anche sinteticamente : Su questo elemento infinitesimo di volume agiscono unicamente le seguenti forze : — la forza cosiddetta di massa (perché proporzionale alla massa), risultante delle forze esterne agenti sul sistema; indicata con F la forza di massa per unità di massa (il modulo di F sarà perciò espresso in m /s 2) la 'complessiva forza di massa agente sul volume infinitesimo considerato vale pF dxdydz; — le forze superficiali trasmesse attraverso l'intera superficie di contorno del volume sulla massa fluida in esso contenuta; trattandosi di fluido
grad p dxdydz. Per l'equilibrio del volume infinitesimo considerato deve essere nulla la risultante delle due forze ora specificate e cioè deve essere: pF = grad p.
(2.1)
E questa l'equazione indefinita della statica dei fluidi, che deve essere soddisfatta in ogni punto della massa fluida in quiete; essa indica genericamente che la pressione cresce nel verso delle forze di massa. Se, come ammetteremo sempre in ciò che segue e come del resto è neces-
32
STATICA DEI FLUIDI
EQUAZIONE GLOBALE DELL'EQUILIBRIO STATICO
salici per i fluidi incomprimibili (*), le forze di massa derivano da un potenziale U, e cioè risulta F grad U, la (2.1) diventa:
L'equazione che definisce detta condizione di equilibrio globale verrà detta appunto, secondo l'uso della meccanica dei sistemi continui, equazione globale; ad essa si perviene facilmente integrando ad un qualsiasi volume W del fluido l'equazione indefinita (2.1):
p grad U = grad p,
• (2.2)
dalla quale possono dedursi le seguenti proprietà generali sull'andamento della pressione e della densità. • I) Le superfici equipotenziali (U = cost; grad U = O) sono anche superfici di ugual pressione (superfici isobariche) e viceversa: in ogni loro punto i vettori F e grad p sono ad esse normali. 2) Le superfici equipotenziali sono anche superfici di ugual densità (superfici isocore). Poiché infatti, a norma di quanto ora osservato, la p può variare soltanto se varia la U, risulta p = f(U); potendosi d'altra parte scrivere la (2.2) nella forma:
pdU = dp, perché sia la U che la p sono funzioni soltanto di x, y, z, si ricava:
dp P=
CaT"
i
pF d TV
=f
i grad p dW = f
w(: •
=—S
— —k) dW = rz • j cos ny k cos nz) dA = —
p (i cos nx
A
In numerosi problemi pratici non risulta però necessario svolgere una indagine così dettagliata, bensì è sufficiente determinare la risultante degli sforzi agenti su particolari superfici; ad esempio la spinta che il fluido esercita sopra una determinata parte delle pareti del recipiente che lo contiene. In tutte queste situazioni risulta più conveniente considerare le condizioni di equilibrio globale di un volume finito di fluido, opportunamente definito in modo che una parte della sua superficie di contorno coincida con quella per la quale si vuole valutare la spinta. (*) Per essi infatti la (2.1) si può scrivere:
F = grad (P/P), che è appunto la definizione di una forza derivante da un potenziale.
.1» pn dA ,
A
dove A rappresenta la superficie di contorno del volume W considerato. Si ha allora:
pn dA
pF dW
O.
A
TV
L'equazione indefinita (2.1), come già detto, si presenta come condizione locale di equilibrio, idonea ad individuare, opportunamente completata con l'equazione di stato del fluido e con le condizioni al contorno, la distribuzione della pressione in tutti i punti della massa di un fluido in quiete.
grad p d TV.
Applicando al secondo membro di questa equazione la nota relazione fra integrali di volume e integrali di superficie (e tenendo presente che, a norma della convenzione adottata, il versore n della normale alla superficie risulta diretto verso l'interno del volume) si ha:
= 41(U).
2.3 Equazione globale dell'equilibrio statico
33
Il primo di questi integrali rappresenta il risultante delle forze di massa agenti sulle singole particelle del fluido che occupa il volume W. Sinteticamente questo integrale verrà indicato con il simbolo G; nel caso di un fluido pesante soggetto unicamente al campo gravitazionale, esso è pari al peso del volume TV. Quanto all'integrale di superficie pn dA, A
esso denota il risultante di tutti gli sforzi elementari p n dA agenti sui singoli elementi della superficie di contorno A: si tratta cioè della spinta II che detta superficie A esercita sul volume W. É chiaro che la forza — fl rappresenta la spinta che il volume fluido W esercita sulla sua superficie di contorno. Si può in definitiva scrivere simbolicamente :
G+=O;
(2.3)
è questa l'equazione globale dell'equilibrio statico: essa dice che la risultante delle forze di massa agenti sopra un generico volume di un fluido in quiete è
34
STATICA DEI FLUIDI
STATICA DEI FLUIDI PESANTI INCOMPRIMIBILI
uguale ed opposta alla spinta agente (dall'esterno verso l'interno) sulla superficie di contorno A che lo delimita. Importa notare che nella (2.3) non compaiono gli sforzi relativi ai punti interni del volume W, cosicché l'equilibrio del fluido risulta indipendente dalla distribuzione delle pressioni all'interno di W, ma è funzione esclusivamente dei valori che la pressione assume al contorno; fatto questo che, come vedremo più avanti, consente la facile risoluzione di numerosi problemi pratici. Mettiamo ancora in rilievo che, nella (2.3), la II si presenta con il carattere di una reazione vincolare esercitata sulla porzione di fluido considerata dalla parete che la delimita, che può essere una parete solida o una semplice superficie di separazione fra fluido e fluido.
2.4 Statica dei fluidi pesanti incomprimibili I
La (2.4) sta allora ad indicare che a tutti i punti .di un fluido pesante incomprimibile in quiete compete la stessa quota piezometrica, il cui valore è determinato quando sia assegnata la pressione in un punto di data quota z. Con ciò risulta completamente individuata là distribuzione della pressione in tutta la massa fluida. Dalla (2.4) si riconosce immediatamente che le superfici isobariche (p = cost) sono piani orizzontali, come del resto poteva già dedursi dal fatto che tali sono le superfici equipotenziali del campo gravitazionale. La costante di integrazione che figura nella (2.4) rappresenta ovviamente la quota del piano orizzontale nei cui punti la pressione è nulla. Se A e B sono due punti qualsiasi giacenti rispettivamente su due piani orizzontali di quota zA e zB , il legame fra le pressioni PA e 23B in essi risulta dall'applicazione della (2.4): PB = PA
Si prende qui in considerazione un fluido in quiete soggetto unicamente all'azione del campo -gravitazionale. La forza di massa è ovviamente conservativa e, indicata con z la quota geodetica del generico punto, misurata al disopra di un qualsivoglia piano orizzontale di riferimento (superficie equipotenziale, se si considera una estensione spaziale non troppo grande, come avviene per la massima parte delle questioni di interesse tecnico) essa risulta espressa dalla relazione :
35
y ( zA — zs) ;
(2.5)
la pressione aumenta cioè linearmente al diminuire della quota geodetica, con fattore di proporzionalità pari al peso specifico del fluido. Consideriamo un qualsiasi recipiente chiuso contenente del liquido di peso specifico y (fig. 2.2) e sia pN * la pressione assoluta (*) nel punto N di quota ZN, e ammettiamo che essa sia maggiore di quella atmosferica.
F — g grad z, dove l'accelerazione di gravità g è supposta costante. Ammettiamo inoltre che il fluido sia incomprimibile e isotermo, e quindi che la sua densità sia indipendente dalla pressione e costante in tutta la massa fluida. Questa ipotesi è pienamente accettabile in pratica per tutti i liquidi, la cui comprimibilità, come già visto, è assai piccola, purché la massa liquida non abbia altezze rilevanti; ma può essere ritenuta lecita anche per i gas quando essi occupano serbatoi di altezza limitata (dell'ordine di alcuni metri). Con le limitazioni ora indicate, dalla (2.2) si deduce subito, integrando, la relazione: P z — = cost ,
(2.4)
che viene detta equazione fondamentale della statica dei fluidi pesanti e iiecomprimibili o legge di Stevin. La grandezza p /y è, al pari di z, una lunghezza e viene denominata altezza piezometrica; alla somma z p/y si dà invece il nome di quota piezometrica.
FIG. 2.2
Ai punti con quota generica z > ZN competono ovviamente pressioni inferiori a quella del punto N; esisterà perciò un piano orizzontale di quota ( 5) D'ora innanzi, salvo che sia esplicitamente indicato, le pressioni assolute verranno contraddistinte con un asterisco.
36
STATICA DEI FLUIDI
za sul quale la pressione è esattamente pari alla pressione atmosferica pa *; tale quota z a si ricava applicando la (2.5) e vale:
Za
PN — Pa
ZN
La posizione di questo piano, al quale si dà il nome di piano dei carichi idrostatici, è chiaramente individuabile immaginando collegato al recipiente un tubo superiormente in comunicazione con l'atmosfera; entro di esso il liquido si innalza proprio fino alla quota z a , poichè sulla superficie libera vige la pressione atmosferica p. Se consideriamo punti a quota superiore a z a la pressione in essi è ovviamente inferiore all'atmosferica e può individuarsi un piano a quota z o sul quale la pressione sia nulla; sempre dalla (2.5) si ricava:
Zo
ZN
PN
Questo piano, denominato piano dei carichi idrostatici assoluto, dovrebbe corrispondere alla superficie libera del liquido contenuta nel recipiente, e al disopra di esso si dovrebbe avere il vuoto, poiché come già detto, i fluidi in generale non resistono a sforzi di trazione e perciò non possono essere assoggettati a pressioni assolute negative. Merita però osservare che in realtà la superficie libera anziddetta coincide non esattamente con il piano dei carichi idrostatici assoluti, ma si trova a quota inferiore, poiché lo spazio al disopra di essa risulta sempre occupato dai vapori del liquido, con una certa tensione di vapore. La distanza fra i due piani dei carichi idrostatici dianzi definiti vale : Pa zo — za = — e cioè è pari all'altezza piezometrica corrispondente alla pressione atmosferica: se ad esempio il liquido è acqua e la pressione atmosferica ha il valore normale p.* 102.000 Pa (y = 9.806 N/m 3 ) essa vale 10,33 m; se invece si tratta di mercurio (y = 133.000 N/m 3 ) essa risulta di 0,76 m. Se il recipiente, anzicché chiuso come in fig. 2.2, è superiormente aperto sul pelo libero agisce la pressione atmosferica e pertanto esso viene a coincidere col piano dei carichi idrostatici. , Salvo casi del tutto particolari, nella trattazione dei problemi pratici si fa riferimento alle pressioni relative anzicché a quelle assolute come fatto sopra, intendendosi per pressione relativa p la differenza fra la generica pressione assoluta e quella atmosferica:
P
STATICA DEI FLUIDI PESANTI INCOMPRIMIBILI
37
alla quale ultima viene perciò a competere valore relativo nullo. Ne risulta ovviamente la possibilità di pressioni relative negative (e cioè inferiori all'atmosferica) spesso denominate depressioni. (*) L'impiego delle pressioni relative nello studio dei problemi pratici è collegato al fatto che di norma i fluidi e i recipienti che li contengono sono immersi nell'atmosfera, cosicché interessa conoscere solamente le spinte derivanti dalla differenza fra le pressioni assolute e quella atmosferica. Ad esempio, la spinta su una qualsiasi parte della parete di un recipiente contenente fluido è pari alla differenza fra la spinta assoluta del fluido e quella esterna dovuta alla pressione atmosferica, cioè alla risultante degli sforzi dovuti alle sole pressioni relative (**). Supposto noto il piano dei carichi idrostatici (e quindi anche quello assoluto che si trova ad una quota più alta di pa */y), la pressione nel generico punto di quota z vale: pressione assoluta pressione relativa
p* = y (zs — z) = p = y (z a — z) = ,
e cioè la pressione assoluta o relativa in un punto è pari al prodotto del peso
specifico del fluido per l'affondamento del punto stesso sotto il corrispondente piano dei carichi idrostatici.
Ne deriva immediatamente che, nota la pressione in un punto, il piano dei carichi idrostatici sovrasta il punto stesso dell'altezza piezometrica
h P1Y.
Individuato il piano dei carichi idrostatici, è facile tracciare il diagramma delle pressioni lungo una verticale, a mezzo del quale, essendo i piani orizzontali superfici isobariche, possono essere determinate le pressioni in qualunque punto del fluido; basta infatti tracciare una retta inclinata di arctg y sulla verticale e con origine alla quota del piano dei carichi idrostatici (fig. 2.2); i diagrammi delle pressioni assolute e relative sono evidentemente paralleli fra loro a distanza orizzontale pari a p.* e verticale pari a pa*Iy. Talvolta può accadere che in uno stesso recipiente siano contenuti più fluidi non miscibili fra loro: essi si dispongono a strati orizzontali di peso specifico crescente verso il basso. Supponiamo infatti che la superficie di separazione fra il fluido 1 di peso specifico y i e quello 2 di peso specifico y2 abbia forma qualsiasi (fig. 2.3): in un generico punto M di tale superficie la pressione è uguale per due particelle infinitamente vicine ma appartenenti ai due fluidi 1 e 2. D'altra parte la pressione nel punto M' posto alla stessa quota all'interno del fluido (*) Si tenga ben presente che alle pressioni relative negative non corrisponde affatto uno stato di trazione del fluido, come potrebbe apparire dal segno negativo delle pressioni, segno che dipende esclusivamente dallo zero convenzionale assunto. (**) Per semplicità, quando non siano possibili equivoci, diremo senz'altro pressione la pressione relativa, che sarà sempre indicata con simbolo senza asterisco.
38
E
STATICA DEI FLUIDI
li
STATICA DEI FLUIDI PESANTI INCOMPRIMLBILI
39
mità con il recipiente contenente il liquido (fig. 2.2) il quale, come già detto, si innalza in esso fino alla quota del piano dei carichi idrostatici. Se le pressioni del liquido sono elevate e quindi il piano dei carichi i drostatici è molto alto, il dispositivo risulta di difficile attuazione pratica e conviene invece adottare un manometro semplice, che tra l'altro può essere usato con qualsiasi fluido. I manometri semplici sono essenzialmente costituiti da un tubo ad U di cui una estremità è collegata con il recipiente contenente il fluido e l'altra è in comunicazione con l'atmosfera (fig. 2.4). PIANO DEI CARICHI . . IDROSTATICI . .
1, è uguale a quella in M; lo stesso vale per i due punti N ed N'. Le pressioni in questi due punti valgono, (a norma della (2.5)) : PN = 233e PN' = PM
N'
; '(ih;
N
ma dovendo essere uguali fra loro risulta: pm
= 23211 y2h
Poichè y y2 detta uguaglianza può sussistere soltanto se è h = 0, cioè se la superficie di separazione è un piano orizzontale. La stabilità dell'equilibrio dell'intera massa impone inoltre che il baricentro di essa sia il più basso possibile : ciò comporta che gli strati di liquido si dispongano l'uno sull'altro in ordine di peso specifico decrescente. I risultati ora individuati valgono qualunque sia il numero di fluidi non miscibili contenuti nel recipiente; e quindi anche per la situazione limite di un fluido con peso specifico variabile con continuità (soluzioni con concentrazione variabile; liquido a temperatura progressivamente crescente verso l'alto). In questi casi l'equilibrio impone la sovrapposizione di strati infinitesimi orizzontali, ognuno dei quali a peso specifico costante.
Pia. 2.4
Nella parte inferiore del tubo ad U si dispone un liquido con peso specifico y,„ superiore a quello y del fluido nel recipiente; spesso si usa del mercurio con y„, = 133000 N/m3 . Per effetto dello stato di pressione del fluido nel recipiente, il liquido manometrico si porta a quote diverse nei due rami del manometro, e si può leggere facilmente il dislivello A fra i due menischi M ed N'. Se scriviamo che sul piano orizzontale passante per il menisco M la pressione è uguale nei due rami si ottiene : PM PN = AYm;
2.4.1 Misura della pressione
quando nel recipiente si abbia un liquido si ottiene infine:
Come
visto nel precedente paragrafo, è sufficiente conoscere la pressipne in un punto per individuare con facilità la distribuzione delle pressioni nell'intera massa liquida. Ci proponiamo perciò di descrivere in ciò che segue gli apparecchi atti a misurare la pressione in un punto: meglio, a individuare la quota piezometrica della massa fluida. Il dispositivo più semplice e più pratico è il piezometro, costituito da un tubo, verticale o inclinato, aperto in sommità e collegato all'altra estre-
h, = essendo h l'affondamento del menisco M sotto il piano dei carichi idrostatici del liquido nel recipiente. Va osservato che se la pressione relativa in M è negativa il menisco N' nel ramo aperto si porta ad una quota più bassa di M; il piano dei carichi
40
- STATICA DEI FLUIDI
I
STATICA DEI FLUIDI PESANTI INCOMPRIMIBLLI
41
si frequente eque:aa u tel e semplice, il me tae ituptatoilntias::,r più tioarlinzozoannzl tante, in cui nei due recipienti A e B si abbiano liquidi dello stesso peso specifico y. Il liquido manometrico si porta a livelli diversi nei due rami ve A fra i due menischi. del manometro, sul quale si legge perciò un dislillo sspioonrepreim più basso, si passante Sul piano l'affondamento di M sotto nei punti M ed N dei due rami. Indicato con h il piano dei carichi idrostatici del liquido in A si ha, con i simboli della figura: =T
= Ti& = PN = PP
(h— 8—
Aym ,
da cui si ricava: y m - (
8=
(2.6)
- _ 3)
_i
relazione che fornisce il dislivello piezometrico 8 fra le quote piezometriche dei liquidi contenuti nei recipienti A e B. Il dislivello 3 è dunque deducibile dalla sola lettura manometrica A indipendentemente dalla quota dei piani -dei carichi idrostatici; soltanto se è nota per altra via (per es. a mezzo di un piezometro) la posizione di uno dei due piani il manometro differenziale consente di ricavare quella dell'altro; in fig. 2.5 è stata indicata anche la risoluzione di tale problema a mezzo del tracciamento dei diagrammi delle pressioni. La fig. 2.6 mostra il caso in cui nei due recipienti A e B si abbiano liquidi di diverso peso specifico y i e y2 ; con ragionamento del tutto analogo si ottiene la formula:
FIG. 2.5
8=A idrostatici è ora al disotto del menisco M sempre della quantità h = Ay m /y. Se le pressioni sono molto grandi, anche i manometri semplici trovano difficoltà pratiche di attuazione, e la misura viene allora effettuata con i manometri metallici, fra i quali il modello più comune è quello detto di Bourdon. Esso è essenzialmente costituito da un tubo a sezione ovoidale e curvato a spirale, chiuso ad una estremità e collegato all'altro estremo con l'ambiente di cui si vuol misurare la pressione; per effetto di essa la spirale tende a svolgersi e a muovere un. indice. Questo strumento richiede un'apposita taratura; di norma questa si effettua in modo che la pressione indicata dallo strumento sia quella correlativa alla quota del baricentro dello strumento stesso. Sovente interessa determinare il dislivello fra i piani dei carichi idrostatici (e cioè la differenza fra le quote piezometriche) di due masse liquide contenute in recipienti diversi ; per tale scopo si collegano i due recipienti con un tubo ad U contenente un liquido manometrico di peso specifico y m maggiore di quelli dei fluidi nei recipienti. Tale strumento è chiamato manometro differenziale (fig. 2.5).
Ynt — Y2
Y2
+ h
Y2 — T1 Y2
Poiché in essa compare esplicitamente l'affondamento h di un menisco sotto il corrispondente piano dei carichi idrostatici, il manometro non potrebbe in questo caso, a stretto rigore, dirsi differenziale. A volte può essere impiegato un liquido manometrico con peso specifico inferiore a quello dei fluidi; in tal caso è necessario capovolgere il tubo ad U, nel quale il liquido manometrico occupa la parte più alta. Anche per questa disposizione valgono relazioni del tipo di quelle sopra denominate, come si può facilmente desumere considerando la fig. 2.7. Per il caso più frequente in. cui nei due recipienti si abbia lo stesso liquido, si ottiene precisamente: 8=
•
Come liquido manometrico si impiega spesso il toluolo (y„, = 8530 N/m 3). Questa disposizione è particolarmente impiegata quando si voglia misurare con precisione una differenza 6 piuttosto piccola fra le quote piezometriche:
42
STATICA DEI FLUIDI
STATICA DEI FLUIDI PESANTI INCOMPREMBILI
43
si ha infatti in ogni caso A > 8, e tanto più grande quanto più prossimi Per contro la prima disposizione, sono i valori dei due pesi specifici y quando si impieghi un liquido manometrico molto pesante (di norma il mercurio) serve bene qualora occorra misurare differenze di quote piezometriche 3 piuttosto forti, giacché, se y. > 2y, si ha A < 3, e tanto più piccolo quanto più elevato è La disposizione con tubo ad U rovescio può essere attuata anche adottando l'aria come fluido manometrico: poiché in tal caso il peso specifico ym è sicuramente trascurabile rispetto a quello y del liquido, si ottiene senz'altro 3 A. La disposizione risulta particolarmente utile quando si debba collocare il manometro a quota notevolmente diversa da quella dei piani dei carichi idrostatici dei liquidi; è ovvio che in tal caso l'aria si trova a pressione diversa da quella atmosferica.
h
2.4.2 Spinta su una superficie piana Si consideri una qualsiasi superficie giacente su un piano inclinato di sull'orizzontale; detta superficie sia a contatto con un liquido di peso a al quale competa un determinato piano dei carichi idrostatici y, specifico (fig. 2.8). Le spinte elementari dS esercitate dal liquido su ogni elemento infinitesimo della superficie piana valgono: dS = pn dA = yhn dA ; p.c.i.
. p.c.i..
A
B.
.
.
.- T v: " hi• . -•
r ._._. _ arctg
arctg
I
r
FIG. 2.7
(2.7)
-
44
STATICA DEI FLUIDI
STATICA DEI FLUIDI PESANTI INCOMPRIMIBILI
esse sono tutte parallele fra loro e ammettono perciò una risultante S diretta normalmente alla superficie e il cui modulo vale:
S
fA
p dA = yh dA.
yx sen adA = yx o A sen a = yhoA,
s = yhoA = poA
=
px dA = yhx dA = y sen a f x2 dA ; A
A
py dA = yhy dA = y sen a A
I
— il centro di spinta è sempre più distante del baricentro dalla linea di sponda; infatti detto /0 il momento d'inerzia della superficie rispetto all'asse baricentrale parallelo alla retta di sponda risulta:
IO
(2.8)
;
cioè la spinta su una superficie piana è una forza diretta normalmente alla superficie stessa con modulo pari al prodotto della pressione po nel suo baricentro per l'area della superficie. Resta ancora da individuare il punto d'applicazione della spinta, al quale si dà il nome di centro di spinta. Per questo scopo assumiamo due assi cartesiani dei quali quello x coincidente con una retta di massima pendenza del piano nel quale giace la superficie A, e quello y con la retta di sponda. Le coordinate g ed n del centro di spinta rispetto a tale sistema di riferimento risultano individuate uguagliando i momenti della risultante con gli integrali dei momenti delle spinte elementari, rispetto ai due assi x e y; trattandosi di forze parallele le condizioni di equilibrio risultano :
• n
di simmetria della superficie A; — la n si annulla se l'asse delle x è il centro di spinta si trova cioè sull'eventuale asse di simmetria di A se questo coincide con una linea di massima pendenza;
e quindi:
A
e perciò:
•
— la posizione del centro di spinta è indipendente dalla inclinazione a; essa rimane inalterata al ruotare del piano della superficie intorno alla
I = Io + Axó
yh dA =
A
Le (2.9) mostrano che:
retta di sponda;
A
La retta di intersezione del piano dei carichi idrostatici col piano della superficie premuta viene detta retta di sponda; più in generale si dice linea di sponda l'intersezione del piano dei carichi idrostatici con la superficie premuta (eventualmente non piana). Detta x la distanza del generico elemento di area dA dalla retta di sponda, xo quella del baricentro G dell'area della figura premuta e h o l'affondamento del baricentro stesso, per definizione di baricentro si ha:
• •g=
45
xy dA ; A
gli integrali al secondo membro rappresentano rispettivamente il momento d'inerzia / della superficie A rispetto alla retta di sponda, e il momento centrifugo ./xy di A rispetto ai due assi x e y; dalla (2.8) si ricava inoltre che : S = yhoA= y xo A sen a = y M sen a, essendo xo l'ascissa del baricentro e M il momento statico di A rispetto alla retta di sponda. Si ottiene quindi:
M
/xy M
(2.9)
— +x0 > xo .M Nel complesso le relazioni che intercorrono fra il centro di spinta e la retta di sponda sono le stesse che si hanno in una qualsiasi sezione pressoinfiessa fra il punto di applicazione della forza e l'asse neutro; si tratta come ben noto di una relazione di antipolarità rispetto all'ellisse centrale di inerzia della superficie A. Finché la retta di sponda (e quindi il piano dei carichi idrostatici) è esterna alla superficie il centro di spinta cade all'interno del nocciolo d'inerzia; se la retta di sponda taglia la superficie ma non il nocciolo, il centro di spinta è esterno a questo ma interno alla superficie; se infine la retta di sponda taglia il nocciolo il centro di spinta si trova al di fuori della superficie. In particolare se il piano dei carichi idrostatici passa per il baricentro della superficie, la spinta è nulla e il centro di spinta va all'infinito: la superficie è in tal caso soggetta ad un momento, il cui valore è facilmente determinabile considerando le spinte agenti sulle due aree in cui risulta divisa l'intera superficie dalla retta di sponda. Se la superficie premuta giace su un piano orizzontale, la retta di sponda si trova all'infinito e di conseguenza il centro di spinta coincide con il baricentro della superficie, come del resto può anche dedursi dalla considerazione che in tale caso la pressione è costante per tutti i punti della superficie. Merita un cenno particolare, per la frequenza con cui si presenta nelle pratiche applicazioni, il caso di una superficie rettangolare con due lati una coordinata lungo orizzontali di lunghezza L. In tal caso, indicata con x una linea di massima pendenza della superficie, il modulo della spinta può scriversi:
x2 S=Lf p dx,
STATICA DEI FLUIDI PESANTI INCOhLPRIMIBILI
46
47
STATICA DEI FLUIDI
dove l'integrale sta a rappresentare l'area del diagramma delle pressioni lungo una linea di massima pendenza. Indicati con a l'angolo formato dal piano della superficie con l'orizzontale e con h 1 e h2 gli affondamenti dei lati orizzontali (fig. 2.9) sotto il piano dei carichi idrostatici, il modulo della spinta vale : yL 2 sen. cc
S
2 (h2 —
2
2.4.3 Spinta su superfici curve Le spinte elementari agenti su ogni elemento infinitesimo dA di una qualsiasi superficie curva sono sempre espresse dalla (2.7) ma sono ovviamente orientate diversamente da punto a punto; il loro complesso non è in generale riconducibile ad un'unica forza, ma può però essere sempre individuato a mezzo di due forze, una orizzontale e l'altra verticale. Assunta come riferimento una terna cartesiana con gli assi x e y giacenti in un piano orizzontale e con l'asse z verticale, proiettiamo la spinta elementare dS = pndA nelle tre direzioni x, y, z; si ha:
Il centro di spinta è subito individuato: esso, per simmetria, giace sulla mediana di massima pendenza; e giace inoltre sulla normale alla superficie che passa per il baricentro del diagramma delle pressioni.
dSz = p cos nx dA ;_ dSy = p cos
dA ;
dS, =pcosiìdA. I termini cos nx dA, cos ny dA, cos nz dA rappresentano rispettivamente le proiezioni dA z , dA y , dA z dell'area infinitesima dA su tre piani aventi rispettivamente per normale gli assi x, y, z; si può perciò scrivere: dSz = p dA z ; dSy = p dAy ; dSz ---- p dAz .
FIG. 2.9
In particolare se il lato superiore del rettangolo giace sul piano dei carichi idrostatici (h 1 --- O) si ha:
Le tre componenti della spinta elementare risultano cioè pari alle spinte elementari che si esercitano sulle superfici piane proiezioni dell'elemento dA sui tre piani con normali x, y, z. Facendo ora la sommatoria di tutte le componenti elementari estesa all'intera superficie curva si ha: Sz = i p dAz yh z A z ;
— go =
yLh,22 2 sen a 6
•
2 wo
A
yL b2 sen ;
Sy = SP dA y yh yA y ; Ay
2
Eo — b. 3
e cioè la spinta è applicata all'estremo inferiore del nocciolo centrale d'inerzia. evidente che quanto finora esposto vale anche quando si considerino le pressioni assolute, anzicché quelle relative, purché si faccia riferimento al piano dei carichi idrostatici assoluto; poiché questo non può mai secare la superficie premuta, il centro della spinta assoluta cade sempre entro il nocciolo centrale d'inerzia, a quota inferiore a quella del baricentro.
Sz = fP dAz = YW Az
e cioè: — le due componenti orizzontali Sx e Sy risultano pari alle spinte agenti sulle superfici piane verticali A z e A y proiezioni della superficie curva
48
STATICA DEI FLUIDI
STATICA DEI FLUIDI PESANTI INCOMPRIMIBILI
rispettivamente sui piani yz e xz aventi per normali gli assi x e y; con hz e hy si sono indicati gli affondamenti dei baricentri delle due superfici piane A z e A y sotto il piano dei carichi idrostatici. Queste due spinte Sz e Sy sono applicate ai corrispondenti centri di spinta, i quali in generale non giacciono su un unico piano orizzontale. Le due componenti Sz e Sy sono in definitiva due forze orizzontali in generale non complanari; — la componente verticale Sz è uguale al peso del volume W di fluido costituito dalla colonna cilindrica verticale limitata da una parte dalla superficie curva e dall'altra dal piano dei carichi idrostatici; infatti essa è la risultante delle componenti elementari dSz = yh dA z , equivalenti al peso della colonna di fluido di area trasversale dA z e di altezza h, affondamento dell'elemento dA sotto il piano dei carichi idrostatici. La S z passa per il baricentro del volume W. L'insieme delle tre forze Sz , Sy , Sz può essere ricondotto, con le normali regole di composizione delle forze, a due sole forze: una orizzontale di modulo:
+
49
Se la superficie curva rivolge invece la convessità, verso il fluido (fig. 2.10b) il volume isolato con la superficie piana non contiene in realtà fluido; possiamo però immaginare di sostituire alla parete curva la parete piana e di riempire il volume di fluido. Con questa sostituzione non cambiano ov-
Gtomortirrirrm
b)
a)
n,
f V\I-111
VG FIG.
2.10
viamente le condizioni di equilibrio del fluido e per il volume racchiuso fra la superficie curva e quella piana vale ancora la (2.10). Ora però la spinta S che il fluido esercita sulla parete curva è proprio uguale a 11 0 e si ha perciò:
S=I10 =—G—II.
e l'altra verticale di modulo: SV SV
I punti di applicazione delle due forze So e S, risultano definiti dall'equilibrio dei momenti delle forze; comunque in generale la S„ non passa per il baricentro del volume fluido IV: ciò accade soltanto quando le due forze Sz e Sy giacciono su uno stesso piano orizzontale. Circa il verso di ambedue le componenti SO e Sv esso può essere facilmente individuato basandosi su quello delle spinte elementari. La spinta su ima superficie curva è in definitiva ricondotta al calcolo di due spinte su superfici piane e alla determinazione del peso di un volume fluido.
In ogni caso la valutazione della spinta sulla superficie curva è ricondotta al semplice calcolo del peso di un volume fluido e di una spinta su una superficie piana; in generale queste due forze non sono complanari. A titolo di applicazione dei risultati finora individuati al riguardo delle condizioni di equilibrio di un fluido pesante e incomprimibile, esaminiamo in dettaglio la situazione schematicamente rappresentata in fig. 2.11: un
Se la superficie curva ha la linea di contorno contenuta in un piano, la spinta esercitata su di essa dal fluido può essere facilmente individuata applicando l'equazione globale dell'equilibrio statico al volume fluido racchiuso fra la superficie curva e il piano contenente la linea di contorno. Indicata con 110 la spinta che la superficie curva esercita sul volume sopra definito e con 111 la spinta della superficie piana sul volume, dalla (2.3) si ha: G Ho
= 0.
(2.10)
Se la superficie curva rivolge la concavità verso il fluido (fig. 2.10a) la spinta S sulla superficie stessa è uguale e contraria a Ilo e risulta perciò: FIG.
2.11
50
STATICA DEI FLUIDI
corso d'acqua è sbarrato a mezzo di una paratoria cilindrica ad asse orizzontale di lunghezza L, con sezione retta circolare di raggio R; la paratoia è appoggiata su una soglia di fondo lungo la generatrice di traccia C, che non lascia passare liquido; l'acqua a monte ha il pelo libero alla quota della generatrice superiore di traccia A, mentre a valle l'acqua ha il pelo liquido alla quota dell'asse. Si vuole determinare la spinta complessiva S che la paratoia riceve dal liquido a monte e da quello a valle. La spinta S3.1 sulla porzione ABC viene calcolata a mezzo delle sue componenti orizzontale Smo (ovviamente normale all'asse del cilindro) e verticale Sm v ; risulta evidente che, in questo caso è nulla la componente orizzontale normale alla Smo , cioè diretta secondo le generatrici del cilindro. La proiezione della superficie ABC su un piano verticale parallelo all'asse è un rettangolo di traccia B'B", alto hm e lungo L; la spinta agente su di esso, pari alla componente Sm o , ha modulo: SMo
i =
2
12 T yaMLl ;
è diretta da monte verso valle ed è applicata ad hm /3 sopra il fondo, e cioè alla quota del baricentro del diagramma delle pressioni B' B" Per il calcolo della componente verticale conviene suddividere la superficie ABC in due parti separate dalla generatrice di traccia B, in corrispondenza alla quale il piano tangente è verticale. Sulla parte AB la componente verticale Smi,' è pari al peso del volume cilindrico di sezione retta ABB'A, che vale:
S
51
retta EBB'C'E scompare essendo da contarsi una volta positivamente ed un'altra negativamente. La spinta Sy sulla parte FNC potrebbe pure calcolarsi a mezzo delle componenti orizzontale e verticale; allo scopo di illustrare un diverso metodo viene invece calcolata applicando il teorema globale dell'equilibrio statico al volume cilindrico di sezione retta FNCF ; trattandosi di una superficie che rivolge la convessità, verso il liquido si ha:
Sv = — G — 111 , essendo G il peso del volume considerato, di modulo:
1 G = — yR 2L 2
— — sen ,
e 111 la spinta sulla superficie rettangolare di traccia CF, il cui modulo vale : 111 = — yR2L seri cc A/2 (1 + cos a) ; 2 essa è diretta normalmente alla superficie piana CF, e ammette le due componenti orizzontale e verticale: 1 1110 = — T- 2-'sen2 cc; 2
= yR 2L (1— --) ; 4
questa componente è diretta verso il basso e passa per il baricentro del volume. Sulla parte BO la componente verticale Smt," è pari al peso del volume cilindrico di sezione retta CBB'C'C, che vale: Slfv
woomennann.a
STATICA DEI FLUIDI PESANTI
1 = yR2L (l — cos a) — (cc — seri a cos cc), 2
essa è diretta verso l'alto e la sua retta d'applicazione passa per il baricentro del volume. L'intera componente verticale ha perciò valore: SMv
SMo
S.31v
111, =
yR 2L sen a (1 -I- cos 0c).
La spinta complessiva S sulla paratoia ammette in definitiva le seguenti componenti orizzontale e verticale: Bo = SMO
H10
5
SV = SMv — 111,, — G .
Il modulo della spinta S vale perciò:
S = -020
;
;
si noti che essa è equivalente alla differenza fra i pesi dei due volumi cilindrici di sezione retta AECA e ECBE ; infatti il peso del volume di sezione
poiché tutte le spinte elementari sono normali alla superficie, esse sono tutte normali all'asse della paratoria e incidenti ad esso; ne segue che la spinta risultante è pure normale all'asse e passa per il suo punto di mezzo.
52
STATICA DEI FLUIDI
La spinta è inclinata rispetto all'orizzontale dell'angolo dall'ovvia relazione: tg
FLUIDI DI PICCOLO PESO SPECIFICO
cp definito
SV —8--0- .
2.5 Spinta sopra corpi immersi Un corpo solido di forma qualsiasi sia completamente immerso in un liquido di peso specifico y: questo esercita sulla superficie chiusa di contorno del corpo una spinta che può valutarsi immediatamente applicando l'equazione globale dell'equilibrio al volume W occupato dal corpo, immaginato riempito di liquido. La spinta II che compare nella (2.3) è ora proprio uguale alla spinta S che il liquido circostante esercita sul corpo immerso, e perciò dalla (2.3) si ricava: S=—G; un corpo immerso in un, liquido riceve una spinta verticale, diretta verso l'alto, di modulo pari al peso di un volume di liquido uguale a quello del corpo immerso; essa passa per il baricentro del volume fluido -stesso; si tratta nel noto principio di Archimede. Si possono verificare i seguenti casi : — se il peso P del corpo è superiore a quello del liquido spostato, la risultante delle due forze agenti sul corpo risulta diretta verso il basso ed il corpo tende ad affondare e raggiunge una situazione di equilibrio quando si appoggia sul fondo del recipiente; — se il peso del corpo è uguale a quello del liquido spostato, il corpo è soggetto ad un sistema di forze a risultante nullo e si trova perciò in condizioni di equilibrio indifferente; in qualunque posizione esso venga situato, il corpo ivi rimane; lo spostamento di esso da una posizione all'altra con un moto molto lento avviene praticamente senza lavoro; — se il peso del corpo è inferiore a quello del liquido spostato, la risultante delle forze agenti sul corpo è diretta verso l'alto e di conseguenza il corpo tende ad innalzarsi e a raggiungere una condizione di equilibrio quando tocca la parete superiore del recipiente contenente il liquido, oppure, se si tratta di un recipiente aperto, quando il corpo emerge al disopra della superficie libera di un volume tale che il peso del liquido spostato dalla parte rimasta immersa risulti uguale al peso P del corpo; è questo il caso dei galleggianti.
53
2.6 Fluidi di piccolo peso specifico
P questo il caso dei gas contenuti in recipienti di modesta altezza; il loro modesto peso specifico (dell'ordine di qualche chilogrammo al metro cubo) comporta differenze di pressione assai piccole, e praticamente trascurabili, fra punto e punto. Si consideri ad esempio una sfera del diametro di 5 m piena d'aria a 20 °C; al vertice superiore la pressione relativa sia di 10 5 Pa e di conseguenza il peso specifico valga 23,4 N/m 3 (*). Ammesso, in prima approssimazione, che il peso specifico sia costante in tutta la sfera, la differenza di pressione fra i due vertici superiore e inferiore della sfera vale: Ap = 118 Pa pari all'incirca all'1,2 per mille della pressione relativa all'estremo superiore; per i calcoli pratici questa differenza può essere considerata del tutto trascurabile e perciò si può ammettere che in tutto il fluido la pressione sia costante ed indipendente dalla quota: ciò corrisponde anche a ritenere il fluido sottratto al campo gravitazionale e quindi a trascurare il peso della massa fluida. In queste condizioni il calcolo delle spinte agenti su una superficie a contatto con il fluido diventa particolarmente semplice: — se la superficie è piana la spinta ha modulo pari al prodotto della pressione p del fluido per l'area della superficie; è diretta normalmente alla superficie e la sua retta di applicazione passa per il baricentro della superficie; si tratta infatti della risultante di un sistema di forze elementari parallele e di modulo proporzionale alle aree elementari su cui agiscono; — se la superficie è comunque curva la proiezione della spinta secondo una qualunque direzione x è uguale al prodotto della pressione p del fluido per la proiezione A z della superficie su un piano perpendicolare alla direzione prescelta; infatti essendo la spinta elementare dS = pndA, la sua proiezione nella direzione x che forma l'angolo CC con la normale n, vale : dSz = p dA cos a = p dAz , essendo dA z la proiezione dell'area elementare dA su un piano normale a x; (*) Il peso specifico To dell'aria a O °C e alla pressione atmosferica vale 12,68 N/m3 ; il peso specifico a 20 °C e alla pressione assoluta m* = p.* + 100000 = 202000 Pa vale: To =
Pi
— = 23 4 N/m 3 . T I p: '
54
STATICA DEI FLUIDI STATICA DEI FLUIDI PESANTI COMPRIMIBILI
55
integrando a tutta la superficie curva risulta: , ,/
Sz = p i dA z = pA z . La spinta sulla superficie curva può allora valutarsi attraverso le tre sue componenti (due orizzontali Sz e Sy e una verticale Sz ) secondo le tre direzioni x, y, z; esse valgono:
•
p Ai;
Sy = p A y ; Sz = p , dove A z A y e 4, sono le proiezioni della superficie su un piano che è rispettivamente normale agli assi x, y e z; — se la superficie curva ha la linea di contorno contenuta in un piano, l'applicazione dell'equazione globale della statica — nella quale può trascurarsi il peso G porta facilmente alla conclusione che la spinta sulla superficie curva, è uguale alla spinta che si esercita sulla superficie piana racchiusa dalla linea di contorno. —
Le considerazioni ora fatte, oltre che per i gas valgono anche per i liquidi quando essi siano sottoposti a pressioni elevate e siano contenuti in recipienti di piccole dimensioni : queste condizioni si verificano ad esempio nel caso di una condotta di diametro piccolo rispetto all'altezza piezometrica del liquido in essa contenuto. In queste situazioni, assai frequenti nella pratica, si può allora ritenere che nell'ambito di ogni sezione trasversale del tubo la pressione sia costante. Risulta allora facile individuare lo spessore e da assegnare al tubo di diametro D da materiale cui corrisponde un carico di sicurezza a trazione costituito a. Si consideri uno spezzone di tubo di lunghezza infinitesima dL e immaginiamo di sezionarlo con un qualsiasi piano diametrale : i due semicilindri così ottenuti (fig. 2.12) si trasmettono attraverso le superfici longitudinali di area edL due forze dT complessivamente uguali alla spinta che il liquido con pressione p esercita sul semicilindro; questa spinta vale:
e=
dT pD 2a a dL
è questa la cosiddetta formula di Mariotte, largamente impiegata in pratica come base per il calcolo dello spessore dei tubi. 2.7 Statica dei fluidi pesanti comprimibili Tenuto conto che nei fluidi comprimibili la densità varia da punto a punto, l'equazione indefinita (2.2) di equilibrio di un fluido comprimibile in quiete unicamente soggetto al campo gravitazionale, diventa: grad p
y grad z = O;
poiché, trattandosi di un fluido pesante, le superfici isobariche sono piani orizzontali, proiettando questa equazione vettoriale lungo la verticale si ricava:
p D dL ed è diretta normalmente al piano diametrale; le forze dT risultano perciò anch'esse normali alle superfici su cui agiscono e sono di trazione; esse hanno modulo:
pD dT — dL 2 se lo spessore è abbastanza piccolo rispetto al diametro (all'incirca
si può ammettere che la sollecitazione dT sia uniformemente ripartita sull'intera superficie, e quindi ottenere :
e
dp Cl-z7 +
dp = dz
Pg = °'
(2.11)
equazione differenziale che definisce la distribuzione delle pressioni nel fluido, nota che sia la funzione y = y(p) oppure la p = p(p). L'integrazione della (2.11) verrà condotta separatamente per i liquidi e per i gas, atteso il loro differente comportamento nei riguardi della comprimibilità.
56
57
STATICA DEI FLUIDI
STATICA DEI FLUIDI PESANTI COMPRIMIBILI
Caso dei liquidi. - Come già visto al cap. 1, per un liquido isotermo le variazioni di densità con la pressione sono espresse dall'equazione differenziale:
interesse è perciò quella dell'atmosfera, in cui l'aria raggiunge spessori dell'ordine di qualche decina di chilometri. Ammesso che il gas sia perfetto l'equazione di stato, come è noto, ha
dp
=
P
dp
l'espressione:
E
P* = P
il modulo E di elasticità a compressione cubica può essere considerato praticamente costante, cosicché integrando la soprascritta equazione si ricava:
indicata con p o la densità del gas alla pressione atmosferica peratura To = 273 0K, può anche scriversi:
p = po eP1 ' , dove con po si è indicata la densità alla pressione relativa nulla. Sostituendo nella (2.11) si ricava:
e-PIE dp = — yo dz;
E 111 [l
YO
To
;
(2.12)
po
introducendo nella (2.11) si ricava:
integrando, dopo alcuni semplici passaggi
p=—
p* p = po
233' e alla tem-
(ZO
dp* = p*
z)
pog To p o* T
(2.13)
3
E
essendo zo la quota del piano dei carichi idrostatici. Detto h = zo — z l'affondamento del generico punto sotto il piano dei carichi idrostatici, sviluppando in serie il logaritmo, si ricava:
P
Yoh {l +
Yoh 2c
...] dp*
Il termine tra parentesi rappresenta il fattore di correzione del valore idrostatico -i-oh; poiché il modulo E è di norma assai grande, tale fattore di correzione assume valori abbastanza differenti dall'unità soltanto se l'ammasso liquido presenta grandi profondità. Ad esempio per una profondità marina (Te = 10100 N/m3 ; = 2 109 N1m2) di 5000 m, trascurando i termini non scritti dello sviluppo in serie, si ottiene: p = 10100 • 5000 [1 +
10100 • 5000 4 • 109
equazione differenziale della distribuzione della pressione lungo una verticale, la cui soluzione presuppone però nota la variazione della temperatura con z, oppure un legame fra temperatura e pressione. (*) Consideriamo anzitutto il caso di una atmosfera isoterma a temperatura T---= T o ; in questa situazione la (2.13) diventa:
pog
3
= - - az, P *o
P*
da cui integrando, con la condizione che i valori po e * siano corrispondenti alla quota z = 0, si ottiene :
p* = p: e-QogzIP: ;
(2.14)
ed anche, dalla (2.12), si ricava: - 51136000 Pa; p = po
la pressione aumenta soltanto dell'1,29 % rispetto a quella idrostatica relativa alla stessa profondità e al peso specifico in superficie; a norma della (1.8) di pag. 11, quest'ultimo, al fondo, risulta incrementato del 2,6%.
La pressione e la densità diminuiscono con l'altitudine z, tendendo ad annullarsi soltanto per altezze infinite.
Caso dei gas. - Come per i liquidi, l'influenza della comprimibilità si fa sentire soltanto per rilevanti spessori di gas: l'unica situazione di pratico
(*) Si ricorda che in tutti questi calcoli è necessario far riferimento alle pressioni assolute e non a quelle relative.
58
ovvio che per queste situazioni perde ogni interesse la considerazione di un piano dei carichi idrostatici. L'osservazione sperimentale mostra però che la temperatura dell'atmosfera varia con l'altezza e perciò occorre cosiderare leggi di stato diverse dalla isotermica. Si prenda allora in esame il caso di una generica legge politropica :
Po P* —= — = cost ; Pn
Pr■
si ricava dalla (2.12):
T
=
n -1)/n ( p ) n -1 ( p* y =
110
PO
Po*
L'esponente n, come ben noto, è compreso fra 1 (legge isotermica) e 1,40 (legge adiabiatica per i gas biatomici). Dalla (2.13) si ha:
dp* p*lin
Pog dz
poichè p o * = 102000 Pa e pog =
o
n
n
-1
15
I
-n=1,2
(km)
n = 1,4 l';449,4 ,
,o'
-
da cui integrando, con la condizione p* = po* per z = 0, si ricava: [
12,68 N/1.113 si ha:
e per la trasformazione adiabatica (n = 1,40) risulta z o ,2 28.000 m. La temperatura varia linearmente con l'altezza. Le condizioni corrispondenti alle diverse leggi sono rese evidenti dal grafico di fig. 2.13 nel quale sono rappresentate le funzioni p* Ipo* = f(z) per la legge isotermica e per politropiche di esponente n = 1,2; 1,4; sullo stesso grafico è anche tracciata la retta di equazione p* Ipo* = 1 — — (pog/pol z corrispondente alla variazione idrostatica della pressione che si verificherebbe in un gas incomprimibile di peso specifico To = 1,293 kg /m 3 : 8000 m. con tale legge la pressione si annullerebbe per z
le
4.1*1i n
TO =
zo -2 8000
O
p*
59
STATICA DEI FLUIDI PESANTI COMPRIMIBILI
STATICA DEI FLUIDI
..4.
4
ic.
nn— RD 1 p og p zi n O
—
e quindi : — 1 pog
P = po [1
n
1./(n-1) ;
O
...
1),3
po*
P*AD:
t 'u
FIG. 2.13
og T = T o [1 n — 1 p n, p: La pressione diminuisce con l'altezza z, ma al contrario di quanto accadrebbe con la legge isotermica, esiste un'altezza finita zo alla quale si verifica l'annullamento della pressione; tale altezza vale:
z0=
n
Po n — 1 pog ;
L'atmosfera reale presenta condizioni essenzialmente variabili e fluttuanti a causa dei venti, delle correnti e dei complessi fenomeni che in essa intervengono; corrispondentemente risultano assai variabili le distribuzioni della pressione, della densità e della temperatura con l'altezza. Tuttavia ci si può riferire a una condizione media che, posta a confronto con le leggi sopra definite, permette di individuare qualitativamente il comportamento dell'atmosfera reale. Per altezze all'incirca fino 11.000 m, le osservazioni mostrano che la temperatura diminuisce con legge prossimamente lineare, a cui corrisponde
60
STATICA DEI FLUIDI
61
EQUILIBRIO RELATIVO
una legge politropica con esponente n = 1,2; questa zona, chiamata troposfera, è sede dei più importanti eventi meteorologici ed è quella fondamentalmente interessata dalla navigazione aerea attuale; all'estremità superiore della troposfera la pressione è grosso modo pari al 20% di quella po * al livello del mare. Per altezze superiori fino a circa 30 km, la temperatura si mantiene all'incirca costante, indicando perciò una legge isotermica, alla quale corrisponde una diminuzione della pressione fino a pochi percento di quella po * al suolo; questa zona è chiamata stratosfera. Al disopra si ha la zona chiamata alta atmosfera nella quale le osservazioni finora eseguite non consentono di fornire indicazioni precise sull'andamento delle temperature e delle pressioni.
2.8 Equilibrio relativo
Consideriamo qualche caso particolare tipico. Un qualsiasi recipiente aperto contenente un liquido di peso specifico y si muova senza attrito lungo un piano inclinato dell'angolo a rispetto all'orizzontale, per effetto della gravità; la sua accelerazione, parallela al piano, ha modulo g sen a e pertanto la forza di trascinamento, agente sulla unità di massa nel verso opposto a quello del moto, ha componenti
— A z = — g sen a cos a = — A z = g sen2 a =
8U
az
avendo scelto gli assi coordinati come in fig. 2.14. Si ricava per il suo potenziale l'espressione :
Si ha questa situazione quando il fluido è sottoposto, oltre che al campo gravitazionale, anche ad un campo uniforme di forze di inerzia derivanti dal movimento del recipiente che lo contiene, rispetto al quale però esso appare in quiete. Lo studio di tali condizioni di equilibrio relativo viene trattato ancora a mezzo dell'equazione indefinita (2.1) dove ora la forza di massa F è la somma della gravità e della forza di trascinamento — A derivante dal moto di tutta la massa fluida e del recipiente rispetto ad una terna fissa. L'equazione indefinita di equilibrio risulta:
U = gx sen a cos a — gz sen 2 a. La (2.15) si scrive pertanto:
P + z — z sen2 a + x sen a cos a = cost ; — le superfici isobariche hanno equazione:
Z ± x t era = COS t, p (g — A) =- grad p ; se il fluido è incomprimibile (p = cost), affinché sussista effettivamente l'equilibrio relativo, il campo delle forze di trascinamento deve essere conservativo come quello della gravità; chiamato U il potenziale relativo (e cioè A = grad. U) risulta: graxi (z + p U —+ — e cioè:
r
g
vale a dire sono piani paralleli al piano inclinato di scorrimento; in particolare, secondo uno di tali piani si dispone il pelo libero. Ciò risulta del resto evidente dalla considerazione della fig. 2.14 che mostra la composizione
o,
p U z+ — + — con . Y g
(2.15)
Le superfici isobariche hanno equazione: Z + — = cost , e sono ovviamente le superfici equipotenziali del campo delle forze g — A.
della g e dalla forza di trascinamento — A; la risultante, di modulo g cos a, è diretta normalmente al piano inclinato.
62
STATICA DEI FLUIDI
63
EQUILIBRIO RELATIVO
Poiché alla forza di massa g del campo gravitazionale si è sostituita una forza di modulo costante g cos a, risulta evidente che la pressione varia linearmente lungo le normali alle superfici isobariche, secondo la legge
le superfici isobariche hanno perciò equazioni : 6,2,r2
p = yh cos a. Quando a = 900 si ha il caso di un recipiente cadente liberamente lungo la verticale; in tal caso si ha in ogni punto della massa liquida, e in particolare sul fondo, p = O come sulla superficie libera. Si consideri ora un recipiente cilindrico ad asse verticale contenente liquido di peso specifico y, il quale ruoti attorno al suo asse con velocità angolare co costante (fig. 2.15).
opRz 1 — TcR2 2 2g
,. ,.
.
I
2g I f i
/.,
y
-
,
1 co2R2 • 2 2g
zo
\ \\
—A //
,
_ _
3
,
,
.
,
nel liquido in rotazione esso perciò si innalza alle pareti di quanto si abbassa lungo l'asse di rotazione. In ogni punto della massa liquida in rotazione agisce una forza di massa pari alla risultante della gravità e della accelerazione centrifuga: essa è normale alle superfici isobariche e ha modulo:
R
(1) (0 Fin. 2.15
Vg2 634r2
Il liquido, in quiete rispetto alle pareti del recipiente, è soggetto, oltre alla gravità, all'azione dell'accelerazione centripeta, diretta radialmente e di modulo: A
— (..) 2r
tanto maggiore quanto più elevata è la velocità di rotazione e più grande la distanza dall'asse di rotazione. Se il liquido contenuto nel recipiente è una miscela di due liquidi di densità differenti pi e p 2, le forze agenti sull'unità di volume, anzicché essere, come in un liquido fermo, rispettivamente pig e p2g, risultano invece:
L'accelerazione centrifuga, uguale ma opposta a quella centripeta, ammette il potenziale:
(,) 4r2
pig 1/1
1
U
0347.2
e
--
p2g 1/1
g2
–i-- 2r2 cost ; 2w
introducendo nella (2.15), la distribuzione delle pressioni risulta definita dalla relazione: y
2g
g2
La differenza fra tali forze, alla quale è legata la tendenza alla separazione dei due liquidi, aumenta, rispetto a quella nel liquido fermo, nel rapporto:
0272 Z
"
se il recipiente è fermo e il liquido in quiete, la sua superficie libera orizzontale si dispone evidentemente ad una quota pari a
.,
c,2g2
(2.16)
e corrispondono a dei paraboloidi di rotazione attorno all'asse del recipiente, con vertice sull'asse stesso; tale risulta anche la superficie libera, la quale si innalza alle pareti della quantità w 2R2 /2g rispetto al vertice posto a quota zo . Poiché un paraboloide di rivoluzione ha un volume pari alla metà di quello del cilindro che lo circoscrive, il volume di liquido sopra l'orizzontale passante per il vertice vale :
tz i
= cost = zo
2g
COSt •
' -
1/1
co l r2
g2
64
STATICA DEI FLUIDI
ESERCIZI
rendendo più agevole e rapida la separazione degli elementi di diversa densità; quelli di maggior densità, per ragioni di stabilità dell'equilibrio, tendono a portarsi alla periferia della massa rotante. Lo stesso discorso vale ovviamente se il liquido contiene particelle pesanti in sospensione, la cui decantazione viene agevolata dalla centrifugazione. I risultati sopra individuati per un cilindro in rotazione valgono anche per il caso di un tubo ad U ruotante intorno al suo asse verticale di simmetria (fig. 2.16); merita soffermarsi su questa particolare situazione per alcune caratteristiche interessanti che la contraddistinguono.
65
colonna liquida in corrispondenza all'asse, con la formazione del vuoto. Un ulteriore aumento di co produce nella zona centrale del tronco orizzontale del tubo una cavità vuota delimitata ai due estremi da due superfici liquide che appartengono al paraboloide di rotazione coincidente con l'isobara di pressione assoluta nulla.
ESERCIZI Pressione e sua misura 2.1.1
In un punto di un liquido affondato h = 15 m sotto la superficie libera, la pressione relativa vale p = 120000 N/m'. Determinare il peso specifico del liquido (y =. 8000 N/m 3).
2.1.2
Un recipiente chiuso alto h = 5 m contiene nella metà superiore benzina (y i = 7850 N/m 3) e nella metà inferiore acqua (y 2 = 9806 N/m 3). Se sul fondo del recipiente la pressione relativa è pf = 70 N/cm", quanto vale la pressione m nel punto più alto del recipiente? (p = 65 6 N/cm').
2.1.3 Il recipiente di fig. 2.17 contiene un liquido di peso specifico y = 8825 N1m 3 .
Determinare le indicazioni t del manometro semplice a mercurio (ym = 133 360 N1m 3 e n del manometro metallico (A = 0,86 m; n = 15,88 N/cm2).
g —A
)
r— CJ_D w h7 -18 m
FIG. 2.16
Anche in questo caso le superfici isobariche sono i paraboloidi di rivoluzione definiti dall'equazione (2.16). Lungo l'asse di rotazione (r = O) la pressione varia idrostaticamente, essendo nulla alla quota del vertice V del paraboloide di rotazione che definisce la superficie libera del liquido nei due rami del tubo; detta h la distanza del punto M della generatrice superiore del tubo in corrispondenza dell'asse dal vertice V, la pressione ha ivi il valore pi ki . = yh. Rimanendo fisso il volume di liquido contenuto nel tubo, la sopraddetta distanza h è una funzione della velocità di rotazione; all'aumentare di questa diminuisce h e quindi PM. Esisterà una certa velocità di rotazione per la quale h si annulla; aumentando ulteriormente e), il vertice del paraboloide si abbassa al disotto di M, e la pressione relativa in questo punto diventa negativa. Continuando a crescere la velocità di rotazione la pressione in M assume ad un certo punto valore assoluto nullo : si ha allora la rottura della
L FIG. 2.17
2.1.4
Un piezometro collegato ad un recipiente pieno di acqua (y = 9806 N/m 3 ) contiene kerosene (y = 8040 N/m 3) per un'altezza d= 2 m, sopra il menisco di separazione. Qual'è la differenza 8 di quota delle superfici libere dell'acqua e del kerosene? (8 = 0,36 m).
2.1.5 Un piezometro inclinato è collegato ad un recipiente contenente acqua (y = 9806 N1m 3 ). Determinare l'inclinazione a del piezometro in modo che ad un cambiamento di pressione Ap = 980,6 N/m 2 corrisponda uno spostamento del menisco nel piezometro b =1 m (sen a = 0,1).
66
STATICA DEI FLUIDI
E
2.1.6 Calcolare la differenza PA PB fra le pressioni dei punti A e B dei recipienti indicati nella fig. 2.18 (y1= 9806 N/m 3 , y2= 14720 N/m 3, (pA — pB = 11540 N/m 2). = 8340 N/m 3)
3
1.— — -h3,--43°15n /.,)
I
r2
__
67
2.1.8 In una condotta cilindrica orizzontale (fig. 2.20) contenente gas illuminante in quiete (yg = 39,3 N/m 3) si misura la pressione con un manometro semplice ad acqua (y. = 9806 N/m 3), sul quale si legge un dislivello A = 0,20 m. Valutare l'errore E. che si commette nel calcolo della pressione in corrispondenza alla generatrice superiore della condotta, quando si trascuri il peso specifico del gas (-0,6%).
-
— --f--
L_____h2" 2 m
ESERCIZI
i
_
or h = 0,15m
_
70,2m _i
Yi
FIG. 2.20
FIG. 2.18
2.1.7 D recipiente indicato nella fig. 2.19 contiene tre liquidi di diverso peso specifico. Dimostrare che la posizione dei piani di separazione fra i diversi liquidi, ammessi incomprimibili, è indipendente dalla quota della superficie libera del liquido più alto.
2.1.9 Alla base di una colonna verticale per la distribuzione di gas illuminante in un edificio alto h= 180 m, il gas ha peso specifico yo = 34,35 N/m 3 , alla pressione relativa po = 14,72 N/cm 2 . Ritenuto il fluido in quiete, calcolare la pressione relativa del gas all'estremità superiore della tubazione nei seguenti casi: a) gas incornprimibile, b) legge isoterma, La pressione atmosferica vale 29.* = 96000 N/m 2 (p. = 140900 N1m 2 ; ph= = 141000 N1m2);
Spinte su superfici piane
:0
2.2.1 Un serbatoio per acqua ha il fondo orizzontale di area A = 12 m 2 . Determinare la spinta S sul fondo quando l'acqua nel serbatoio ha una profondità h= 6 m sul fondo stesso (S = 706000 N).
_ —
_____
_____f
43
I
4 :3
I
I
\I Nkte%
nilil
FIG. 2.19
:2
il
2.2.2 Una paratoia rettangolare verticale alta b = 1,50 m e larga L = 2,50 m è incernierata sul lato orizzontale più basso. Determinare il modulo della spinta sulla paratoia e il suo momento M rispetto alla cerniera, nell'ipotesi che l'acqua a monte della paratoia abbia una profondità h =3 m sulla cerniera (S = 82733 N; M = 55160 Nm). 2.2.3 All'estremità A della leva AB (fig. 2.21) è applicata una forza verticale F = = 1000 N mentre l'estremità B è collegata al pistone E che scorre nel cjlindro C I in comunicazione con il cilindro C2 chiuso dal pistone G; ambedue i ci : lindri contengono acqua (y = 1000 kg/m 3). Ammessi trascurabili i pesi propri dei pistoni e della leva e l'aderenza dei pistoni, determinare la forza P che deve essere applicata al pistone G affinché il sistema sia in condizioni di equilibrio (P = 60072 N).
68
STATICA DEI FLUIDI ESERCIZI
I F---.. 100 kg
— a=lm
69
mostrare che il momento necessario per mantenere la paratoia in posizione verticale è indipendente dalla profondità dell'acqua a monte, purché la paratoia sia totalmente sommersa.
_ , 12•••0.25
2.2.7 Determinare il modulo della spinta su un triangolo equilatero di lato a totalmente sommerso posto su una parete verticale e il cui baricentro è affondato di h sotto la superficie libera; dimostrare che la posizione del punto di applicazione è indipendente dall'orientamento del triangolo e calcolarne l'affondamento x sotto il baricentro (x = a 2/24 h ) . 2.2.8 La paratoia piana triangolare ACA (fig 2.24) è incernierata lungo il lato orizzontale AA. Determinare il peso P da applicare in B affinchè la paratoia sia in equilibrio sotto l'azione della spinta dell'acqua a monte (P = 3922 N).
Pia. 2.21 2.2.4 La paratoia piana AB (fig. 2.22) quadrata con lato a 2,50 m, incernierata in A e appoggiata in B, è a contatto con acqua (y = 9806 N/m 3 ). Supposto trascurabile il peso proprio della paratoia determinare la forza F che si scarica sull'appoggio B ed il momento M necessario per iniziare l'apertura della paratoia (F = 132733 N, M = 331972 Nm). 2.2.5 La paratoia piana rettangolare AB (fig. 2.23) larga L = 6 m e incernierata in A, è rigidamente collegata con il peso P. Essendo h = 2,20 m, valutare il peso P occorrente per iniziare l'apertura della paratoia nell'ipotesi di trascurare il peso proprio della stessa (P = 176988 N).
FIG. 2.24 2.2.9 Un tubo circolare ad asse orizzontale del diametro D = 3 m è chiuso alle due estremità da due piatti circolari verticali. Calcolare il modulo S della spinta su uno dei due piatti quando il tubo contiene acqua con profondità h = 2 m e al disopra aria alla pressione atmosferica (S = 43039 N). 2.2.10 Un tubo circolare ad asse orizzontale con diametro D = 2 m è chiuso ad una estremità da un piatto inclinato di 45 0 sull'orizzontale (fig. 2.25). Calcolare il modulo S della spinta sul piatto quando il tubo è pieno d'acqua e l'indicazione del manometro semplice a mercurio (y m = 133361 N1m3) vale A l = 0,30 m oppure 12 = 0,10 M. (Si = 112406 N; S2 = 7000 N).
FIG. 2.22 2.2.6
Pia. 2.23
Una paratoia piana verticale di forma rettangolare con due lati orizzontali, può ruotare intorno ad un asse orizzontale passante per il suo baricentro. DiFIG. 2.25
70
STATICA DEI FLUIDI ESERCIZI
2.2.11 Un recipiente prismatico ad asse orizzontale lungo L = 10 m, ha la sezione retta indicata nella fig. 2.26. Ammesso il recipiente pieno di acqua fino al bordo AC, individuare l'angolo per il quale: — il punto di applicazione della spinta sulla superficie piana BC è il più basso possibile (p = 45°; S = 624044 N); — il modulo della spinta su BC è massimo (p = 35° 16';
S = 679379 N).
In ambedue i casi determinare il modulo della spinta su BC.
71
Spinte su superfici curve 2.3.1 11 fondo di un recipiente cilindrico verticale (fig. 2.29) del diametro D = 3 m, è costituito da una semisfera. Il recipiente contiene acqua per una profondità h = 6 m. Determinare il modulo S della spinta sulla semisfera (S = 381218 N). 2.3.2 Un vaso conico pieno d'acqua ha le dimensioni indicate nella fig. 2.30. Determinare il modulo 8 della spinta sulla superficie conica. (S = 32870 N).
2.2.12 L'apertura circolare praticata nella parete piana della fig. 2.27 è chiusa da una paratoia piana. Ammesso che il liquido a monte e a valle sia acqua, valutare le componenti orizzontale S. e verticale S, della spinta e i relativi punti di applicazione (8,,= S = 435671 N).
01=0,3
- --
h=
h2=
r•e- 02 = 1,6 m
Fio. 2.26
FIG. 2.29
I
2.2.13 11 recipiente prismatico di fig. 2.28 lungo L = 3 m, contiene olio (y = 8335 N/m3), acqua (y = 9806 N/m 3 ) e glicerina (y = 12356 N/m 3 forza orizzontale F ). Determinare la che è necessario applicare al bordo superiore della parete EABCD, incernierata alla base, per mantenerla in equilibrio (F = 105434 N).
FIG. 2.30
2.3.3 Determinare il modulo e la retta d'azione della spinta dell'acqua sulla paratoia a settore circolare lunga L = 6 m, rappresentata nella fig. 2.31 (S = 1251050 N, p = 70° 9').
- - i
I_ hi= 3 m
i
5- 0,5 m_f_ L_—_ —
I
h2"" 4 m
5
7.
_
_113___ _ ---- -
--- -- ---- - cn
I I
9 ,......4
FIG. 2.31 2.3.4
FIG. 2.28
L'angolo di un recipiente contenente acqua è sagomato a cono come indicato nella fig. 2.32. Individuare l'espressione generale del modulo e del punto di applicazione della spinta sul quarto di cono, e determinare l'angolo a per il quale la spinta passa per il punto E (a = 60 0).
72
STATICA DEI FLUIDI
ESERCIZI
73
2.3.7 Il serbatoio della fig. 2.35 è diviso in due camere indipendenti contenenti acqua con sovrastante aria in pressione. Una sfera è inserita nell'apertura circolare praticata nella parete divisoria. Nota la indicazione = 0,70 m del manometro differenziale a mercurio, determinare le componenti orizzontale S. e verticale S,, della spinta esercitata dall'acqua sulla sfera (S0=38518 N; S» = 24446 N).
FIG. 2.32
2.3.5 L'apertura circolare praticata nella parete del recipiente di fig. 2.33 è chiusa da una valvola conica. Determinare il modulo S valvola (S = 7531 N). della spinta dell'acqua sulla FIG. 2.33
Spinte di galleggiamento e su corpi immersi 2.4.1 Una chiatta rettangolare è lunga L = 50 m, larga b = 7 m, profonda a = 2,50 m e pesa a vuoto P = 2,746 x 106 N. Determinare l'immersione h della chiatta vuota e il carico T che essa può contenere con un franco A = 0,3 m (h = 0,8 m; T = 4,805 x 106 N). Fro. 2.34 2.3.6 Determinare modulo e retta d'azione della spinta sul fondello sferico del recipiente cilindrico di fig. 2.34, contenente acqua; si considerino i due casi corrispondenti alle due indicazioni A i = 1,00 m e A2 = 0,20 m del manometro semplice e mercurio (ym = 133362 N/m 3) (S I = 239227 N; p, = 32 ° =-96481 N; 32 = 24° 55'). 5'; S'z = 1±
2.4.2 Due cubi ambedue con volume W = 0,8 m 3 hanno l'uno peso specifico T1 = 7845 N/m 3 e l'altro T2= 10787 N/m 3 ; essi sono uniti da una fune fissata al centro di una faccia di ciascun cubo, e sono messi in acqua. Determinare quale frazione di volume AW del cubo più leggero emerge dall'acqua e la tensione T della fune (A W = 0,08 m 3; T= 961,6 N). 2.4.3 Una vasca rettangolare larga b = 5 m e lunga L = 6 m, contiene acqua profonda h= 3 m. in essa viene posto un galleggiante pesante P = 147090 N. Determinare di quanto si alza il livello liquido nella vasca (0,5 m).
74
STATICA DEI FLUIDI
2.4.4
2.4.5
Un cilindro in legno (yi = 8531 N/m') lungo L = 5 m, è incernierato ad una estremità e parzialmente immerso in acqua (fig. 2.36). Determinare l'angolo cc formato dall'asse del cilindro con la verticale (a = 56° 19'). Un cilindro del diametro D = 0,80 m, lungo L = 2,00 m pesa P = 2648 N. Esso è mantenuto immerso in acqua con l'asse orizzontale mediante il sistema indicato nella fig. 2.37. Determinare il peso Pc del blocco di calcestruzzo (y, = 24515 N/m 3 ) necessario per mantenere nella posizione immersa il cilindro (P, = 6011 N).
3. Cinematica dei fluidi
3.1
Velocità e accelerazione Fissata una terna cartesiana di riferimento di assi x, y, z, siano: dx dy dz — • v = — - w = --dt dt dt
le componenti del vettore velocità v nel generico punto (x, y, z) all'istante t. Il campo di moto di un fluido è completamente definito quando sia nota la funzione :
v = v (x, y, z, t), FIG. 2.36
FIG. 2.37
Equilibrio relativo 2.5.1
2.5.2
2.5.3
oppure il complesso delle tre funzioni scalari equivalenti: u = a (x, y, z, t); v = v (x, y, z, t);
Un recipiente cilindrico ad asse verticale, del diametro D = 1,20 m, alto h= 2,00 m è pieno di liquido; esso viene mosso con accelerazione a costante in direzione orizzontale. Determinare il valore dell'accelerazione a per la quale un decimo del volume di liquido esce dal recipiente (a = 3,27 m/s 2). Un recipiente contenente liquido ruota a velocità costante intorno ad un asse verticale. La pressione in un punto che dista radialmente = 0,60 m dall'asse di rotazione è uguale a quella in un altro punto che dista r 2 = 1,20 m dall'asse ed è ad una quota più alta di h = 0,60 m. Determinare la velocità di rotazione (cc = 31,5 giri/min). Un tubo ad U contenente acqua ruota intorno al suo asse verticale di simmetria. La distanza fra gli assi dei rami verticali è D 0,50 me ìn condizioni di quiete il livello liquido nei due rami èah= 1 m sopra l'asse del tratto orizzontale. Determinare la velocità di rotazione c.) per la quale la pressione nel punto di incontro fra asse di rotazione e asse del tratto orizzontale è pari all'atmosferica (cc = 169 giri /min).
w
w (x, y, z, t) .
Per ogni particolare istante t, esse definiscono il moto in tutti i punti dello spazio occupato dal fluido, mentre per una particolare tema di valori di x, y, z, esse forniscono la storia di quanto accade nel particolare punto del campo di moto. La conoscenza dei valori di 2t, v, w per successivi valori di t consente di formarsi una serie di immagini di stati consecutivi di moto, da cui non è però possibile trarre una immediata visione del moto di ogni singola particella di fluido. Questo modo di descrivere il processo di moto che assume come incognite fondamentali la 2t, v, w e che viene detto euleriano, è però sufficiente per la trattazione dei problemi pratici, per i quali interessa di norma non tanto la sorte delle singole particelle che prendono parte al moto, quanto appunto l'individuazione dei valori della velocità, o della pressione, lungo determinate linee o superficie. Accenniamo appena, per contrapposizione al punto di vista euleriano ['75]
76
CINEMATICA DEI FLUIDI ELEMENTI CARATTERISTICI DEL MOTO
sopraddetto, che si dice lagrangiano il metodo di studio del moto che prende in esame diretto le vicende delle singole particelle, assumendo come incognite principali le coordinate dei punti raggiunti dalle particelle stesse nei successivi istanti t; esso, di cui non faremo uso nel seguito di questa trattazione, può apparire utile, per esempio, nello studio dei processi di diffusione di particelle eterogenee in un fluido in moto. Quando però si tratterà di studiare l'equilibrio dinamico dell'elemento di massa, cioè della particella fluida elementare, dovremo mettere in conto l'inerzia e pertanto l'accelerazione propria della particella stessa. Questa accelerazione
3.2 Elementi caratteristici del moto Il campo di moto di un fluido può essere efficacemente visualizzato mediante il tracciamento di tre famiglie di linee, ciascuna delle quali pone in evidenza particolari aspetti del movimento.
Traiettorie. — Sono queste le linee luogo dei punti successivamente occupati dalle singole particelle fluide in moto. Queste linee, che individuano la storia di ogni particella, costituiscono una triplice infinità, come può facilmente riconoscersi tenendo presente che da ogni punto del campo occupato dal fluido in un determinato istante parte una traiettoria. Le equazioni delle traiettorie si ricavano scrivendo che lo spostamento elementare subito da una particella nel generico istante ha le componenti:
può essere dedotta dalla conoscenza del vettore v (o delle sue componenti) inteso come funzione del tempo, direttamente e per il tramite delle coordinate dei punti raggiunti dalla particella nei successivi istanti:
dx = u (x, y, z; t) dt ;
v = v[x(t), y(t), z(t) ; t] .
dz = w (x, y, z; t) dt .
Esplicitando la derivata totale si ottiene : dv A
av
av
= = av ét
ax u
av +v ax
dx t
av dy ay t
av ay
av w•
av dz cz t
=
)•
Il primo termine a v I at rappresenta il contributo di accelerazione determinato dalla variazione subita dalla velocità nel singolo punto al passare del tempo. Questo termine viene denominato derivata locale ed evidentemente assume valore non nullo soltanto quando il moto è vario. L'altro termine, racchiuso tra parentesi, rappresenta la cosiddetta accelerazione convettiva pari alla variazione di velocità subita dalla particella per il fatto che nell'intervallo infinitesimo dt essa è passata dal punto (x, y, z) a quello (x + u dt, + v dt, z w dt); essa cioè tiene conto della variazione spaziale della velocità. La formula sopra riportata è designata come regola di derivazione euleriana, e vale per calcolare il modo di variare nel tempo di una qualsiasi grandezza c p (x, y, z, t) lungo la direzione del moto di una particella; la derivata totale o anche derivata sostanziale della grandezza p (scalare o vettoriale) rispetto al tempo, risulta cioè espressa dalla relazione :
dp
— =
dt
at
u
cp
ax
a'? ay
cp
w ---az
77
dy = v (x, y, z; t) dl;
Questo sistema di tre equazioni differenziali definisce il complesso delle traiettorie ; quella relativa ad una particella viene ricavata imponendo la sua posizione (xi , y., zi) all'istante t 1 come condizione iniziale del problema differenziale. Linee di corrente (o di flusso). — All'istante generico io sia noto in ogni punto del campo del moto il vettore velocità: si chiama linea di corrente la curva tangente, in ciascuno dei suoi punti, al vettore velocità in quel punto. Salvo l'eccezione di punti singolari, per ogni punto del campo di moto passa una sola linea di corrente; per il fatto che, avendo fissato l'attenzione su un ben determinato istante to, essa risulta comune a tutta una semplice infinità di punti, il campo di velocità risulta definito da una duplice infinità di linee di corrente. Analiticamente le linee di corrente relative all'istante to sono definite dalle relazioni differenziali che esprimono il parallelismo di due segmenti elementari:
dx u(x, y, z ; t o)
dy v(x, y , z ; to)
dz w(x , y , z ; to)
nelle quali to va considerato come parametro. In generale le tre componenti u, v, w della velocità sono variabili da istante a istante; di conseguenza le linee di corrente cambiano esse pure di forma nel corso del tempo. Le linee di corrente sono in generale ben distinte dalle traiettorie; consideriamo infatti una particella fluida che all'istante to si trovi nel punto Mo ; durante infinitesimo di tempo dt essa si sposta lungo la propria traiettoria L di un segmento MoMi v dt che coincide col
78
CINEMATICA DEI FLUIDI
segmento elementare della linea di corrente L o relativa a to ; ma quando la particella raggiunge il punto M1 all'istante to dt, la velocità in M 1 non è più quella esistente all'istante t o e in generale essa non sarà più tangente alla linea di corrente L o : la traiettoria della particella si distaccherà perciò da questa linea di corrente. Se però il vettore velocità in ogni punto del campo di moto è indipendente dal tempo (moto permanente) le linee di corrente coincidono con le traiettorie. Linee di emissione o di fumo. - Fissiamo l'attenzione su un particolare punto P del campo di moto ed osserviamo tutte le particelle che successivamente passano per questo punto: dicesi linea di emissione la curva luogo dei punti occupati al generico istante dalle predette particelle. Queste linee sono chiamate anche linee di fumo poichè esse corrispondono proprio con le curve disegnate istante per istante dal fumo che esce da una ciminiera o dalla brace di una sigaretta. In un moto qualsiasi le linee di emissione (come quelle di corrente) sono variabili da istante a istante e distinte sia dalle traiettorie, sia dalle linee di corrente ; le tre linee coincidono tra loro quando il moto è indipendente dal tempo. A conclusione di quanto ora esposto al riguardo delle tre famiglie di linee, possiamo così sintetizzarne le caratteristiche:
I
TIPI DI MOVIMENTO
Si consideri ora una qualunque linea chiusa, che non sia una linea di corrente, e immaginiamo di tracciare il complesso delle linee di corrente che passano per tutti i punti della linea chiusa; esse formano ima superficie tubolare che gode della proprietà di non essere attraversata da fluido nell'istante considerato. Lo spazio delimitato da tale superficie viene denominato tubo di flusso. Tagliamo un tubo di flusso con una generica superficie; attraverso un suo elemento dA con versore normale n passa, nell'unità di tempo, il volume fluido dQ = v, dA = v x n dA, che si definisce portata elementare. Integrando all'intera porzione di superficie contenuta nel tubo di flusso si ottiene la portata di esso:
Q=f v x n dA. A
Più semplicemente la portata può essere definita se si fa riferimento, anzicché ad una sezione generica, ad una sezione trasversale, normale cioè in ogni punto alla linea di flusso passante per il punto stesso; detto v il modulo della velocità si ha allora:
— le traiettorie forniscono un quadro delle posizioni successivamente assunte nel tempo da singole particelle; — le linee di corrente individuano le velocità nei differenti punti del campo di moto in un determinato istante; — le linee di emissione definiscono la posizione che ín un determinato istante occupano le particelle precedentemente passate per un prefissato punto del campo di moto. Se si immette con continuità in un punto ben determinato del campo del moto una sostanza colorante, una fotografia scattata in un generico istante successivo all'inizio dell'immissione fornisce ovviamente una linea di fumo. Per visualizzare una traiettoria si può introdurre nel fluido in un determinato istante una particella eterogenea che ben si distingua da esso ed effettuare subito dopo una fotografia a lunga posa, sulla quale risulterà tracciato un tratto del percorso compiuto dalla particella stessa, cioè precisamente un tratto di traiettoria. Per ottenere invece un quadro delle linee di corrente relative ad un determinato istante, conviene scattare una fotografia a brevissimo tempo di posa del campo del fluido in cui sia stato immesso uno sciame di particelle eterogenee come sopra; ciascuna di esse fornirà sulla fotografia un elemento di linea di corrente.
79
Q = i v dA. A Diciamo infine velocità media V nella generica sezione trasversale il rapporto fra la portata e l'area della sezione : V=
Q
1 = - f v dA. A A A
3.3 Tipi di movimento Fra la grande varietà di movimenti possibili merita fermare l'attenzione sui caratteri cinematici di alcuni di essi che presentano particolare interesse per la successiva trattazione. Moto permanente. quello caratterizzato da grandezze cinematiche che non dipendono dal tempo; ne segue in particolare che le tre componenti della velocità u, v, w sono funzioni dì x, y, z soltanto. Un moto può essere permanente con riferimento ad una particolare terna di assi, ma non esserlo in generale per un'altra terna qualsiasi. Si consideri, ad esempio, una imbarcazione che si muova, di moto rettilineo
80
CINEMATICA DEI FLUIDI EQUAZIONE DI CONTINUITÀ.
uniforme, in uno specchio liquido in quiete. Il passaggio dell'imbarcazione determina uno stato di moto dell'acqua in una certa zona all'intorno di essa; dopo un adeguato intervallo di tempo il liquido torna allo stato di quiete. Se osserviamo questo processo di moto rispetto ad una terna solidale con la terra, esso appare evidentemente come vario, ma se invece si fa riferimento ad una terna solidale con la imbarcazione il moto risulta permanente : infatti in ogni punto fisso rispetto a, questa terna di assi la velocità rimane costante nel tempo. È ovvio che sopprimere una variabile — in questo caso il tempo — comporta una semplificazione; nell'affrontare un qualsiasi problema converrà perciò anzitutto stabilire se esiste una particolare terna di riferimento per la quale il movimento è perman.ente. Un moto non permanente si dice vario.
per i moti turbolenti si parlerà di moto permanente o uniforme, quando tali siano i movimenti di trasporto. Moti piani. – Così si denominano i movimenti nei quali il vettore velocità sia ovunque parallelo ad un piano P, ed i vettori velocità dei punti situati su una stessa perpendicolare al piano P siano tra loro uguali. Se assumiamo l'asse z normale al piano P, la componente w della velocità è ovunque nulla, mentre le altre due componenti u e v sono evidentemente indipendenti da z; il campo delle velocità è perciò definito dalle relazioni: u = u (x, y, t) ; v = v (x, y, t) ;
Moto uniforme. –
In senso stretto si definisce moto uniforme quello nel quale la velocità è, oltre che indipendente dal tempo, anche invariabile da punto a punto del campo di moto. In meccanica dei fluidi con il termine di moto uniforme si usa designare un campo assai più vasto di processi di movimento e precisamente tutti quelli nei quali le caratteristiche del moto si mantengono identiche nei successivi punti di ogni traiettoria, pur potendo essere differenti da una traiettoria all'altra; perchè ciò avvenga le traiettorie devono essere rettilinee. Un evidente esempio di moto uniforme è quello, indipendente dal tempo, che si attua in una tubazione cilindrica rettilinea: in una generica sezione trasversale la velocità assume valori differenti da punto a punto della sezione stessa, cosicché la velocità in essa risulta definita da una funzione v = v (x, y), dove con x e y si sono indicati, ad esempio, due assi cartesiani con origine nel centro della sezione; se ora scegliamo una qualsiasi altra sezione trasversale, fissato un riferimento x, y identico al precedente, la distribuzione delle velocità è ancora definita dalla stessa funzione precedentemente individuata. Il moto uniforme così inteso è di importanza fondamentale per la trattazione di numerosi problemi pratici, ai quali verrà dedicato largo spazio nei capitoli successivi.
81
w = 0. La semplicità di un simile movimento consente sovente la risoluzione analitica di particolari problemi, altrimenti non analizzabili; talvolta si procede ad una, schematizzazione del reale processo di movimento, allo scopo di renderlo piano e quindi poterlo più facilmente studiare. Naturalmente i risultati che così si ottengono non corrispondono all'effettiva realtà del fenomeno, ma consentono almeno di individuare gli aspetti qualitativi essenziali di esso. Un esempio di moto piano è quello di efflusso di un liquido attraverso una fessura di larghezza costante con bordi orizzontali praticata nella parete piana infinitamente lunga di un recipiente contenente liquido: questo processo di moto, che presenta identici caratteri su tutti i piani verticali perpendicolari ai bordi della fessura, può essere studiato con relativa facilità giungendo a risultati che rappresentano un valido elemento di base per l'esame di situazioni più complesse di processi di efflusso da luci di qualsiasi forma.
3.4 Equazione di continuità Moti permanenti e uniformi in media. – Si è già accennato in precedenza ai moti cosiddetti turbolenti, caratterizzati essenzialmente dal fatto che in essi il movimento effettivo può considerarsi (come sarà meglio precisato nel cap. 5) come la sovrapposizione di un moto di agitazione al moto base di trasporto, al quale unicamente si deve lo spostamento d'insieme della massa fluida; il moto di agitazione determina infatti un semplice movimento irregolare delle particelle fluide che non contribuisce al loro spostamento. A stretto rigore un moto turbolento dovrebbe essere considerato come vario, poiché il campo della velocità, fondamentalmente per effetto del moto di agitazione, è continuamente variabile nel tempo. Ciò nondimeno anche
Il principio di conservazione della massa, valido per qualunque massa fluida in movimento, comporta un legame fra i caratteri cinematici del processo di moto e la densità del fluido; a questo legame viene universalmente dato il nome di equazione di continuità. Questa assume forma analitica diversa, pur traducendo ovviamente lo stesso fatto fisico, in dipendenza delle condizioni per le quali essa viene stabilita. Equazione indefinita. – Si consideri un parallelepipedo infinitesimo di lati dx, dy, dz; siano u, v, w le componenti della velocità e p la densità del fluido nel vertice O (fig. 3.1).
82
EQUAZIONE DI CONTIN17ITA.
CINEMATICA DEI FLUIDI
83
uscente nel tempo dt attraverso l'intera superficie di contorno del volume considerato deve uguagliare la diminuzione
.7
p at
7- i I 12g G .A° 3 (Pu
.0•1>Si )1::)_ I
94
)d x _
dx_
x
dxdydzdt,
subita nello stesso intervallo di tempo, per effetto della variazione della densità, dalla massa in esso contenuta. L'equazione indefinita di continuità, che esprime appunto tale eguaglianza risulta perciò :
ap
8( pu) ax
— at
a(pv) ay
a(pw) az
(3.1')
i
che si può anche sinteticamente scrivere : Pw
01p — + div (pv) = 0. bt
FIG. 3.1
Attraverso la faccia AOEF, di area dy dz, entra, nell'intervallo di tempo infinitesimo dt, la massa pu dydzdt, mentre dalla faccia parallela BCDG esce la massa (pu +
a( Pu) ax
dx) dydzdt ;
dal complesso delle due facce perpendicolari all'asse x, esce perciò la massa:
a(P24) ax
dxdydzdt ;
analogamente dalle altre coppie di facce del parallelepipedo escono le masse: b(pv)
a(Pw)
dxdydzdt ; dxdydzdt .
CZ
Per il principio di conservazione, la massa
r .9(pu)
a(pv)
a(pw)
az
dxdydzdt,
(3.1")
Esplicitando le derivate della (3.1') e ricordando che, per la regola di derivazione euleriana si ha: dp dt
=
ap bp ap ap , +w +v +u az ax at alf
l'equazione indefinita di continuità assume anche la forma: dp -- + p div v = 0. dt
(3.1")
Le tre relazioni (3.1'), (3.1"), (3.1"), del tutto equivalenti fra loro, definiscono la condizione alla quale devono soddisfare il vettore velocità e la densità del fluido in ogni punto del campo di moto: esse vengono perciò anche chiamate equazioni locali di continuità. Se il fluido in moto è incomprimibile e pertanto la sua densità è costante nel tempo e nello spazio la equazione indefinita di continuità assume la semplice forma: (3.2) div v O, che ci dice che nei fluidi incomprimibili il campo del vettore velocità è solenoidale. Equazione globale. – Isoliamo nel campo di moto un volume finito W di fluido racchiuso dalla superficie chiusa di contorno A, fissa rispetto alla
84
85
CINEMATICA DEI FLUIDI
EQUAZIONE DI CONTINUITÀ
tema di riferimento; siano v e p rispettivamente la velocità e la densità del fluido in corrispondenza all'elemento infinitesimo di superficie dA, al quale compete la normale n. Nell'intervallo di tempo dt, attraverso dA passa la massa
L'intera superficie di contorno può, in linea generale, essere considerata composta da tre parti: una Ao sulla quale la velocità non ammette componente normale alla superficie e perciò per essa
i AOdA = 0 ;
pv dAdt, essendo v. = v x n la componente della velocità nella direzione normale, unica componente che dà luogo a un effettivo passaggio di massa. Attraverso l'intera superficie di contorno A, passa perciò nell'intervallo dt la massa:
dt
pv„ dA = dt i pvxn dA, A
una A, sulla quale la v„ è positiva, e cioè corrispondente alla zona dove si verifica entrata di fluido nel volume W; poniamo: Qe
-=dA ; A,
la terza A. sulla quale invece la vn è negativa e attraverso la quale si ha, uscita di fluido dal volume W; poniamo
A
il cui valore risulta positivo oppure negativo a seconda che prevale la massa entrante (vn > O) oppure quella uscente (v n. < O). Questa differenza fra massa entrante ed uscente attraverso la superficie di contorno è ovviamente compensata dalla variazione che la massa
Q. = i v. dA . A
16
La (3.4) diventa allora: i p dW
A dA =dA .4
e
ha subito nello stesso intervallo di tempo dt per effetto dei cambiamenti di densità; deve perciò essere:
5A pv. dA = _ f pdW )i w a
w
at
i dA i v xndA --O;
( 3. 3
(3.4)
questa relazione sta ad indicare che è nullo il flusso della velocità attraverso una qualunque superficie chiusa.. Detta dQ la portata elementare attraverso l'area dA, la (3.4) si può anche scrivere :
i
dQ =- o. Q
che può anche semplicemente scriversi:
Q, =Qu, bp dw
è questa l'equazione globale di continuità, valida per qualunque volume del campo del moto. Essa assume una forma particolarmente semplice se il fluido è incomprimibile (p = cost); si ha allora:
A
vn dA = Q,— Qu = A
relazione questa che indica che, per un fluido incomprimibile, e per una qualsiasi superficie chiusa, fissa nel suo campo di moto, la portata entrante è uguale a quella uscente attraverso la superficie stessa.
Equazione di continuità applicata alle correnti. - Come già accennato, con il termine di corrente intendiamo quella vasta categoria di moti caratterizzati dal fatto che tutte le traiettorie hanno sensibilmente la stessa direzione; tali sono la maggioranza dei moti che si incontrano nelle pratiche applicazioni: quelli nelle tubazioni per l'adduzione e la distribuzione di un fluido, nei canali aperti, nei corsi di acqua naturali, ecc. Nel caso di moto permanente il concetto di corrente coincide con quello di tubo di flusso che abbiamo dato a pag. 79; questo non si verifica invece di norma nel caso di moto vario, giacché allora la superficie di contorno istantanea di una corrente (o una parte di tale superficie) può essere sede di componenti della velocità normali ad essa: si pensi, ad esempio, alla superficie libera di un corso d'acqua che si sta sollevando al passaggio di una piena. Immaginiamo di tagliare una corrente con una superficie che in ogni
86
CINEMATICA DEI FLUIDI EQUAZIONE DI CONTINUITÀ
suo punto, e in un generico istante, risulti normale al vettore velocità nel punto stesso; l'area A di questa superficie, denominata sezione trasversale della corrente, ne costituisce un elemento geometrico caratteristico. Valgono ovviamente anche per una corrente le definizioni di portata e di velocità media in una sezione che sono già state date per un tubo di flusso. Nella maggior parte delle situazioni pratiche una corrente viene trattata nel suo insieme, senza entrare nel dettaglio di quanto accade in ogni suo punto, ma fissando l'attenzione sulle successive sezioni; per questo scopo è sufficiente individuare le sezioni stesse a mezzo di una unica variabile s che ne designi la distanza da una sezione assunta come origine, misurando tale distanza lungo la direzione media del moto. Per questa ragione, la trattazione del movimento fatta con riferimento alla corrente viene anche detta unidimensionale. La corrente è praticamente determinata quando la portata Q (o la velocità media V) e l'area della sezione trasversale A sono funzioni note dell'ascissa s e del tempo t; se il fluido è comprimibile occorre ovviamente conoscere anche l'andamento, sempre in funzione di s e di t, della densità p, che sta ora ad indicare il valor medio della densità nella singola sezione. È chiaro che questa schematizzazione del processo di moto non consente di individuarne tutte le modalità; in particolare la distribuzione della velocità e della densità nell'ambito delle sezioni trasversali e neppure i caratteri di eventuali movimenti secondari trasversali. L'esperienza ha però mostrato che, salvo casi del tutto particolari, questa visione d'insieme del moto sotto forma di corrente conduce a risultati pienamente accettabili per la maggior parte delle pratiche applicazioni. Poste queste premesse circa le caratteristiche di una corrente, consideriamone un tronco compreso fra due sezioni poste alla distanza infinitesima ds. In un intervallo di tempo dt, attraverso la sezione iniziale entra la massa pQdt, mentre dalla sezione finale esce quella [pQ (a(pQ)las) de] dt, che supera la prima della quantità [a(pQ)10s] de dt. A questo eccesso della massa uscente rispetto a quella entrante deve corrispondere, per il principio di conservazione della massa, una diminuzione della massa pA de racchiusa nel tratto considerato che vale— [a( pA) andsdt ; si ottiene allora la relazione : 9(pQ)
"a(pA)
as
bt
,
= o,
°'
che lega fra loro esclusivamente la portata Q e l'area A.
(aA lat = 0), la (3.6) si riduce alla
dQ = O, de che indica la costanza della portata lungo tutta la corrente, oltre che nel tempo; per definizione di velocità media, tale condizione può anche esprimersi con la relazione
AV = cost, che individua il modo di variare della velocità media lungo la corrente in dipendenza della variabilità dell'area. Consideriamo ora un moto vario di un fluido incomprimibile per il quale la sezione A, pur variabile con 8, non dipenda però dal tempo, come avviene per una corrente in pressione definente in una condotta indeformabile; in tal caso la (3.6) diventa ancora:
il che significa che, istante per istante, la portata ha identico valore in tutte le sezioni della corrente e perciò essa risulta esclusivamente una funzione della variabile t. Se poi, come spesso si verifica nella pratica, l'area della sezione trasversale A è anche costante con s (ad esempio condotta circolare a diametro costante), pure la velocità media risulta invariabile con s; infatti, con questa ipotesi, dalla (3.6) si ricava:
aQ bV =A =0 as as da cui risulta:
(3.5)
che costituisce la forma generale dell'equazione di continuità applicata ad una corrente di un qualunque fluido. Quando, come sovente accade nella pratica, il fluido può essere considerato incomprimibile (p = cost) l'equazione di continuità (3.5) assume la , più semplice forma:
dA aQ as + a
Se inoltre il moto è permanente condizione :
87
(3.6)
Osserviamo infine che se la portata e la velocità sono esclusivamente funzioni di t, tali sono anche le loro derivate dQ Idt e dV idt, le quali perciò risultano costanti lungo la corrente.
88
CINEMATICA DEI FLUIDI
ESERCIZI 3.1
Un fluido incomprimibile defluisce in direzione radiale fra due dischi paralleli come mostra la fig. 3.2 Se la velocità per r = r o = 0,5 m è pari a Vo =T 4 m/s individuare l'andamento della velocità V lungo il raggio ( V Voroir)-
ESERCIZI
89
Individuare le equazioni generali delle traiettorie e delle linee di corrente. (Traiettorie: x = x0e6 (t - t.); y = yoe --6 (t - td ; z = zo 7(t0 2 — t2)/2; Linee di corrente: y =yo xoix; z = 20— (to ln (x1x0))/6. 3.4 Nella sezione iniziale di un condotto rettangolare lungo L = 0,30 m defluisce una
portata Qo = 300 1/s. Due delle facce del condotto sono porose : attraversa quella superiore entra del fluido con distribuzione parabolica lungo il percorso, come appare nella fig. 3.4; da quella laterale esce del fluido con distribuzione lineare. Determinare: la portata Q, nella sezione estrema di valle del condotto; — l'ascissa xm della sezione del condotto nella quale la portata è minima (Q, = = 301,5 1/s; x. = 0,13 m).
FIG. 3.2 Q.= 300 3.2
Una tubazione circolare chiusa ad una estremità, ha una fessura larga a---, 0,006 m disposta lungo una generatrice (fig. 3.3); a monte della fessura defluisce una portata Q -----40 lis. La componente, normale al piano della fessura, della velocità di uscita del liquido varia secondo la legge: v = (2 + x) m/s. a) Determinare la lunghezza L che deve avere la fessura per erogare tutta la portata in arrivo (L 2,16 m).
q.= 10
h)
Ritenuto ancora valido l'andamento delle velocità sopra dato, individuare la legge con cui deve variare la larghezza a della fessura affinché la portata erogata per unità di lunghezza sia costante e determinare la nuova lunghezza L i che deve avere la fessura, ammesso che all'estremo di monte questa abbia una larghezza cto = 0,006 m (a = 2 ao/(2 x); L = 3,33 m).
1-----3.-x
i
L a =0,006 m
A
FIG. 3.3 3.3
Il campo di moto di un fluido incomprimibile è definito dalle relazioni : --=
6x
v = — 6y w = — 7t.
FIG. 3.4
EQUAZIONE INDEFINITA DEL MOVIMENTO
91
— la cosiddetta forza di massa pF dxdydz, essendo F la forza di massa riferita all'unità di massa e al punto O. Questa forza dipende dal campo cui si trova sottoposto il fluido; se in particolare, come accade nella stragrande maggioranza delle situazioni che verranno esaminate, il movimento del fluido avviene nel campo gravitazionale, si ha F = g, essendo g l'accelerazione di gravità: in tal caso il campo della F è conservativo e si può perciò scrivere F = — g grad z, quando si assume l'asse delle z diretto verticalmente verso l'alto, come si è già fatto in idrostatica;
4 Equazioni fondamentali della dinamica dei fluidi
4.1 Equazione indefinita del movimento Sia O (x, y, z) un generico punto del fluido in movimento, al quale compete, nel generico istante t, una velocità v, una accelerazione A = dv Idt e una densità p; consideriamo un parallelepipedo elementare con vertice in O e di lati dx, dy, dz rispettivamente paralleli ai tre assi coordinati (fig. 4.1).
— la risultante degli sforzi trasmessi alla massa considerata dal fluido circostante attraverso la superficie di contorno del parallelepipedo. Se ci)z è lo sforzo unitario su mi elemento piano normale all'asse x, e passante per O, la spinta esercitata sulla faccia OEFA vale <1›, dydz, mentre quella relativa alla faccia parallela BCDG vale — (c1c) x (643x 16x) dx) dydz: la loro risultante risulta perciò:
acr,z øx
dxdydz.
Analogamente le risultanti degli sforzi agenti sulle coppie di facce normali agli assi y e z valgono rispettivamente : a
ack
dxdydz.
La risultante delle forze sulla superficie di contorno risulta quindi:
attz k ax
acpy
bc13,
ay
az
dxdydz.
Esplicitando la R nei suoi termini, dalla (4.1) si ottiene: Fio. 4.1
(F — A) =
Per la massa dm = p dxdydz contenuta nel volume considerato deve essere verificata la prima equazione cardinale della dinamica: dR = A dm,
(4.1)
avendo indicato con dR la risultante delle forze agenti sulla massa stessa; questa risultante è costituita dai due seguenti termini: [90]
acbz ax
acl>y
ac.z az
(4.2)
prima equazione indefinita del movimento. A questa va associata una seconda equazione indefinita che traduce la seconda equazione cardinale della dinamica (equazione dei momenti); essa si identifica con le relazioni (1.3) che esprimono la condizione di simmetria del tensore degli sforzi e cioè l'uguaglianza a due a due delle componenti tangenziali degli sforzi.
92
EQUAZIONI FONDAMENTALI DELLA DINAMICA DEI FLUIDI
93
EQUAZIONE GLOBALE DELL'EQUILIBRIO DINAMICO
Tenuto conto di tale condizione, indicando con Fx , Fa, , F, le componenti della forza di massa I', avendo presente che le tre componenti della accelerazione A sono rispettivamente duldt, dvldt, dwIdt, e adottando per le componenti degli sforzi le notazioni già indicate al paragrafo 1.4, la proiezione della (4.2) sui tre assi conduce alla terna di equazioni: P (n p
da )
—
dt
a
X
( Fy — dv \ = a „ a dt i
x
p (I', —
flw dt
ì =_... al-y •0 / x
.
TZ aY
+
aT
Y ''
aZ
aai + a-Y + øz '-T-
ay
+
(4.3)
az '
che traduce in forma scalare
l'equazione indefinita del movimento di un fluido. Le (4.3), nelle quali ogni termine ha le dimensioni di una forza per unità di volume, devono essere soddisfatte in ogni istante e per qualunque punto del campo di moto. Sulla base di quanto finora stabilito, abbiamo dunque a disposizione, per un generico processo di movimento, le seguenti equazioni: — equazione indefinita del moto, che esprime le condizioni di equilibrio dinamico in ogni punto del campo; essa fornisce le tre equazioni scalari (4.3); — equazione di continuità che riflette il principio di conservazione della massa; nella forma indefinita più generale si tratta della equazione scalare (3.1); — equazione di stato
che individua il legame fra la densità, lo stato di sforzo a cui si trova sottoposto il fluido e la sua temperatura; di norma considereremo processi isotermici cosicché la temperatura non comparirà come variabile; se il fluido può essere assunto incomprimibile l'equazione di stato si riduce alla semplice condizione p = cose quando invece occorre tener conto della comprimibilità, essa assume la forma (1.7) per i liquidi e quella (1.9) per i gas. Nel complesso si tratta di cinque equazioni scalari nelle dieci variabili, funzioni dei punti del campo e del tempo t: densità, p; componenti della velocità u, v, w; componenti degli sforzi interni a z , ay , crz (componenti normali), ,Tx , Ty Ty (componenti tangenziali). evidente che per rendere determinato il problema è necessario scrivere altre cinque equazioni nelle stesse variabili: esse vengono stabilite in base alle modalità di deformazione del fluido, le quali dipendono dalle cosiddette proprietà reologiehe del fluido individuabili in generale per via sperimentale. In un prossimo paragrafo verrà esaminato il caso generale di un fluido viscoso (newtoniano) che costituisce la situazione di maggior interesse per
le pratiche applicazioni; assunta a base della trattazione l'equazione di Newton (1.11), verranno definiti i legami esistenti fra sforzi e deformazioni e di conseguenza quelli tra sforzi e componenti della velocità, che in definitiva rendono determinato il problema dinamico. Qui ci occuperemo invece di studiare il caso del fluido perfetto, entità astratta di cui si è già accennato e che per definizione è caratterizzata da, uno stato di sforzo identico a quello dei fluidi in quiete: componenti tangenziali degli sforzi ovunque nulle (T x = = T.z = O); componenti normali uguali fra loro (a x = ay = az ). Per queste ultime si adotta, come per i fluidi in quiete, la denominazione di pressione p. Queste condizioni costituiscono appunto le cinque relazioni necessarie a, rendere definito il problema dinamico; esse infatti portano sostanzialmente ad esprimere lo stato di sforzo del fluido mediante l'unica variabile p anzicchè mediante le sei componenti del tensore degli sforzi. Come si è già dedotto per i fluidi in quiete, detta posizione comporta le eguaglianze: 04)x
ax
ap =
Ox
494,1,
84)z
bp ;
ay
=
bp
a
k,
che, introdotte nella equazione indefinita (4.2), conducono alla relazione : p (F — A) = grad p,
(4.4)
equazione indefinita del fluido perfetto nota sotto il nome di equazione di Eulero perché formulata dal matematico svizzero per la prima volta nel 1775. Pur considerando condizioni di moto non verificabili rigorosamente nella realtà, dove qualunque movimento di un fluido comporta componenti tangenziali degli sforzi, anche se talvolta assai piccole, l'equazione di Eulero si dimostra particolarmente vantaggiosa per un primo inquadramento dei processi di moto di un fluido; proprio ad essa verrà fatto ricorso nel prossimo cap. 5. Poiché il sistema di equazioni che regge il movimento è di tipo differenziale, è poi evidente che, per la completa risoluzione del singolo problema, occorre assegnare anche le condizioni al contorno e, se il moto è vario, quelle iniziali; esse però sono in genere di facile individuazione: ad esempio, velocità nulle a contatto con pareti solide fisse, pressioni costanti sulle superfici libere, ecc.
4.2 Equazione globale dell'equilibrio dinamico Come abbiamo detto, l'equazione indefinita del movimento stabilita nel precedente paragrafo, completata con l'equazione di continuità, con quella di stato, con le relazioni fra gli sforzi e le deformazioni e con le con-
94
EQUAZIONI FONDAMENTALI DELLA DINAMICA DEI FLUIDI
dizioni al contorno e iniziali proprie dello specifico processo di moto in esame, consente di giungere alla determinazione degli elementi caratteristici del moto in ogni punto del campo fornendone un quadro completo e dettagliato. Questo risultato, che evidentemente rappresenta la più completa soluzione del problema dinamico, può essere però raggiunto soltanto in pochi casi particolari, in conseguenza delle difficoltà che si incontrano nella integrazione del complesso sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali. D'altra parte va osservato che la conoscenza dettagliata delle velocità e delle componenti degli sforzi in tutti i punti del campo di moto è in generale superflua nella risoluzione di numerosi problemi pratici che richiedono soltanto una descrizione d'insieme del moto, soprattutto nei riguardi delle azioni globali esercitate dal fluido su particolari superfici di contorno. In tali situazioni risulta più conveniente ricorrere, anzicché ad una trattazione locale del processo di moto, ad un esame globale delle condizioni di movimento di un volume finito di fluido, opportunamente limitato a mezzo di una superficie di contorno che contenga quelle parti per le quali si vuole determinare l'azione del fluido; già in statica dei fluidi si è visto il grande vantaggio di una simile impostazione: si tratta ora di estenderla anche ai processi di moto. Isolato un volume finito W delimitato dalla superficie chiusa di contorno A, fissa nello spazio, per ogni elemento infinitesimo dW di esso vale l'equazione indefinita (4.2); moltiplicandone tutti i termini per dW ed integrando a tutto il volume considerato si ha:
f pF dW
z
—
pA dW = f 24:13 + w ax
acDy
ay
ack az
+
d W. (4.5)
Indicata con n la normale al generico punto della superficie di contorno, positiva verso l'interno, la nota relazione fra integrali di volume e integrali di superficie (teorema di Green), porta a scrivere:
Sw( ac,1:3
7z z) dW _ cos nx
4)y cos n'y
4), cos nz) dA ;
ma per il teorema del tetraedro di Cauchy :
clox cos nx
cos ny
4>, cos i =
a:„
back
a(puv)
av
Pu ax —
a(pu)
v
ax
ax
si trasforma nell'espressione: dv
av
PA P dt
P at
a(pwv) az ay +
a(pvv)
a(puv) ax
v
A
ay
ax
b(Pu)
a(Pv) hY
ax
0(pw)
cz i ;
2( Pw) — div (pv),
essendo, per l'equazione di continuità (3.1"),
div (pv) =
ap at '
e tenuto presente che : 49 (Pv)
at
=P
bv
at
ap at
+V
in definitiva risulta:
a(pv) t
+
a(puv)
a(pvv)
ax
ay
a(pwv) az )
Il relativo integrale di volume, applicando ancora il teorema di Green, porta alla espressione :
dW — f pv (u cos nx v cos ny w cos nz) dA, A
da cui, essendo :
dW — — f cl›,, dA.
a(pv)
[ b(pu)
poiché:
Ot fw pA dW = i w5(Pv)
cosicchè in definitiva risulta:
f iv b<81):
Il termine pA, tenuto conto della regola di derivazione euleriana e che i termini del tipo pu a v lex, possono scriversi nella forma:
pA =
A
95
EQUAZIONE GLOBALE DELL'EQUILIBRIO DINAMICO
cos nx +
v cos ny w cos nz = vii,
96
EQUAZIONI FONDAMENTALI DELLA DINAMICA DEI FLUIDI
EQUAZIONE GLOBALE DELL'EQUILIBRIO DINAMICO
dove v„ è la componente della velocità in direzione normale alla superficie, si ottiene in definitiva: fpA dW = TV
i
A
A
pvnv dA
J w
A
dW — f pv nv dA. A
Tenuto conto delle diverse espressioni ora ricavate, la (4.5) assume la forma: pF dW i clo n dA
L'integrale
M= a(pv)
97
pvnv dA — w
at
dW = 0;
individua in definitiva la quantità di moto di tutta la massa fluida che attraversa nell'unità di tempo la superficie di contorno A del volume W. Nell'intera superficie A possiamo distinguere tre porzioni: una Ai che è attraversata da fluido che entra in TV, una A 2 attraversata invece da fluido che esce e una terza Ao non attraversata da fluido; indichiamo con:
(4.6)
=
pv dQ, A,
è questa l'equazione globale dell'equilibrio dinamico, che deve essere soddisfatta per qualunque volume W del campo del fluido in moto; essa presuppone già verificata l'equazione di continuità. Ognuno dei quattro termini della (4.6) ha un suo preciso significato meccanico, che ora esamineremo in dettaglio. Il termine G =- i pF dW rappresenta la risultante delle forze di massa agenti sulle singole particelle che occupano il volume W considerato. Se il fluido è sottoposto esclusivamente al campo gravitazionale questo integrale fornisce il peso del fluido contenuto nel volume W: il vettore G è verticale, diretto verso il basso, applicato al baricentro del volume (ammesso ovviamente il fluido omogeneo) e ha modulo pari a y W, essendo y il peso specifico del fluido. — L'integrale di superficie
=i
A
denota la risultante degli sforzi che vengono esercitati sul fluido attraverso la superficie di contorno. Si tratta cioè della spinta che la superficie di contorno trasmette al fluido; essa è uguale e contraria alla spinta che il fluido esercita sulla sua superficie di contorno A . — Passando al terzo termine, osserviamo che il prodotto vndA è pari alla portata infinitesima dQ che passa attraverso l'area dA; il prodotto pvndA = pdQ fornisce quindi la massa che transita nell'unità di tempo attraverso dA; pvdQ rappresenta la quantità di moto posseduta da detta massa: vettore diretto in ogni punto come la velocità.
e pv dQ
M2 = A2
le risultanti delle quantità di moto relative alle due porzioni Ai e A2 ; poichè sulla prima vi, è positiva, mentre sulla seconda è negativa, possiamo assai semplicemente scrivere :
M
punv dA =MI—
M2 ,
= fA
dove il secondo membro rappresenta la differenza fra la quantità di moto posseduta dalla massa entrante nell'unità di tempo nel volume W, e quella relativa alla massa contemporaneamente uscente. Si tenga presente che le grandezze M, M1 e M2, che di norma designamo semplicemente come quantità di moto, sono in realtà quantità di moto nell'unità di tempo ed hanno perciò le dimensioni di una forza; più precisamente potremmo indicarle come flussi di quantità di moto. Il calcolo effettivo della quantità di moto può ovviamente essere condotto soltanto quando sia nota la distribuzione del vettore velocità e della densità in tutti i punti della superficie; una notevole semplificazione interviene in molte situazioni della pratica relative ai moti sotto forma di corrente. Una sezione trasversale di questa può assai spesso ritenersi piana, con il vettore velocità ovunque diretto normalmente alla superficie; le velocità sono perciò parallele fra loro e il loro modulo è pari alla componente normale vi, . La quantità di moto posseduta dalla massa che attraversa la sezione vale perciò :
M = n i pv2 dA, A
essendo n il versore normale alla superficie; il suo calcolo richiede ancora la conoscenza della distribuzione della velocità e della densità nell'ambito
99
EQUAZIONI FONDAMENTALI DELLA DINAMICA DEI FLUIDI
EQUAZIONE GLOBALE DELL'EQUILIBRIO DINAMICO
della sezione; in pratica torna comodo fare riferimento agli elementi medi della corrente: velocità media V =Q1A e densità media p.; si scrive allora:
si tratta di una relazione vettoriale fra quantità che hanno le dimensioni di una forza; dei diversi termini, G e I dipendono dai valori che le grandezze in gioco assumono nei punti all'interno del volume W, mentre gli altri II, M1 e M2 dipendono unicamente dalle condizioni che si verificano alla superficie di contorno.
98
M = n3p„,(2 V, avendo indicato con
p
(4.7)
il rapporto: Riassumendo l'equazione globale dell'equilibrio dinamico dice: f pv 2 dA
=
V 2A
fra il modulo dell'effettiva quantità di moto e quello di una corrente di ugual portata, ma con velocità e densità costante in tutti i punti della sezione e pari ai rispettivi valori medi. 2 evidente che se il fluido è incomprimibile tale rapporto vale semplicemente f v 2 dA A
p ..
( 4.8)
172,4
I valori numerici di p dipendono dalla distribuzione delle velocità, e su di essi verrà più ampiamente trattato nel successivo capitolo 5; per ora è sufficiente osservare che, salvo casi particolari, i valori di fl sono sempre superiori all'unità soltanto di qualche centesimo, cosicché, almeno in prima approssimazione, essi possono ritenersi pari all'unità. L'ultimo termine
I =—
i
w a(Pv) aw
rappresenta la risultante delle cosiddette inerzie locali, che dipendono esclusivamente dal modo con cui la velocità e la densità variano col tempo nei singoli punti del volume W. Questo integrale, che ha evidentemente valore nullo in condizioni di moto permanente, può anche scriversi nella forma:
i=
a i a" pv dW,
che mostra come esso stia a rappresentare la diminuzione complessivamente subita, nell'unità di tempo, dalla quantità di moto dell'intera massa fluida contenuta nel volume W. Adottando i simboli ora introdotti la (4.6) può in definitiva sinteticamente scriversi:
G + 11 + Mi —M2
+ I = O ;
(4.9)
per qualunque volume finito W di fluido in movimento, è nulla la risultante delle seguenti forze; forza di massa G, risultante I delle inerzie locali, spinta II esercitata dall'esterno sulla superficie di contorno, quantità di moto Mi posseduta dalla massa entrante in W nell'unità di tempo e quantità di moto M2 (cambiata di segno) posseduta dalla massa uscente. La soluzione di numerosi problemi pratici può essere condotta con semplicità a mezzo dell'applicazione dell'equazione globale dell'equilibrio dinamico in considerazione di queste sue fondamentali caratteristiche: — dato il modo con cui l'equazione è stata dedotta, non esiste alcuna limitazione al suo impiego; in particolare essa vale per fluidi sia comprimibili che incomprimibili, per moti in regime laminare oppure turbolento; — ogni problema dinamico viene ricondotto ad un problema di equilibrio statico, purché alle forze (di massa e di superficie) effettivamente agenti sul volume fluido si aggiunga un sistema di forze fittizie che metta in conto le inerzie (forze di inerzia locali e flussi di quantità di moto); — in condizioni di moto permanente (I---- O) per fluido incomprimibile la (4.9) risulta completamente indipendente dalle caratteristiche del moto all'interno del volume considerato, ma dipende soltanto dalla distribuzione degli sforzi e della velocità sulla superficie di contorno. Allo scopo di meglio chiarire il significato dell'equazione globale dell'equilibrio, viene qui illustrata la sua applicazione ad alcuni semplici esempi; altre applicazioni atte a definire alcuni concetti fondamentali saranno esposte in successivi capitoli. Spinta di un getto su una piastra. – Un getto liquido in moto bidimensionale in un piano orizzontale, avente spessore a e velocità uniforme V, investe una piastra fissa che lo devia di un certo angolo a (fig. 4.2). Ci proponiamo di valutare la spinta che il getto esercita sulla piastra, ammettendo, come del tutto lecito data la modesta lunghezza della piastra, di poter trascurare le resistenze al moto e cioè che non intervengano dissipazioni di energia lungo la piastra; in tali ipotesi il modulo della velocità della corrente all'uscita dalla piastra è pari a quella V all'entrata. Isoliamo il volume liquido compreso fra le due sezioni AA' e BB', rispettivamente all'entrata ed all'uscita della piastra, e due piani paralleli al piano del disegno a distanza unitaria; applichiamo a detto volume l'equa-
100
EQUAZIONI FONDAMENTALI DELLA DINAMICA DEI FLUIDI
EQUAZIONE GLOBALE DELL'EQUELIBRIO DINAMICO
101
corrente all'uscita e cioè inclinata dell'angolo a rispetto alla M 1 , e anch'essa è applicata nel baricentro della sezione BB'. Proiettando la (4.10) sul piano orizzontale si ricava in definitiva: S = — M2;
la spinta sulla piastra è cioè pari alla differenza vettoriale delle quantità, di moto entrante e uscente; il suo modulo vale : S = pq V A/2 (1 — cos a) ; essa è inclinata rispetto alla direzione d'arrivo della corrente dell'angolo : FIG. 4.2
E3 =
zione globale dell'equilibrio dinamico, ammesso il moto permanente (I --- 0) e il liquido incomprimibile (p = cost). La (4.9) in tal caso risulta: G + + — M2 = O ;
La spinta è massima per a = 180 0, e vale allora: Smax
= 2pqV ;
(4.10)
— il termine G, pari al peso del volume fluido considerato, è diretto verticalmente verso il basso; poiché la piastra è cilindrica a generatrici verticali, questo peso non influenza la spinta sulla piastra; — la spinta II può considerarsi la somma di quattro parti: una IIAB che rappresenta la spinta esercitata dalla superficie AB sul volume; poiché su tale superficie vige la pressione atmosferica e intendiamo ragionare in termini di spinte relative, la IIAB è nulla. Pure nulle risultano le spinte IIAA' e IIBB , , rispettivamente agenti sulle sezioni trasversali AA' e BB', poiché come sarà chiarito più avanti, in tutti i punti di esse la pressione è pari all'atmosferica. La spinta II si riduce allora semplicemente a quella che la piastra esercita sul volume; essa è uguale e contraria alla spinta S del getto sulla piastra; si ha cioè II = — S; — le due quantità di moto M 1 entrante e M2 uscente sono evidentemente pari rispettivamente alle quantità di moto della corrente nelle sezioni AA' e BB', nelle quali, come già detto, la velocità ha identico modulo, e la corrente quindi lo stesso spessore a; ne consegue che anche M1 e M2 hanno modulo identico pari a:
M =pct -V2 =p q17 essendo q = a V la portata unitaria del getto. La M1 è diretta come il getto in arrivo e, data l'uniformità della velocità, è applicata nel baricentro della sezione AA'; la M2 ù'invece diretta come la
a questo valore si tende con le pale delle turbine Pelton opportunamente sagomate per ottenere all'incirca una deviazione del getto in direzione opposta alla sua direzione di arrivo. Spinta sopra una curva di una tubazione. – Nella tubazione schematicamente rappresentata nella fig. 4.3, defluisca una corrente in moto permanente di un liquido incomprimibile; si vuole determinare la spinta che il liquido esercita sulla parete della curva AA-BB. Applichiamo l'equazione globale dell'equilibrio dinamico al volume liquido compreso fra le due sezioni AA e BB delimitanti il tronco in curva; tenuto presente che la spinta sulla superficie di contorno può essere scritta --- 1I0 ± Iii + 11 2 , essendo 110 la spinta che la parete della curva esercita sul volume considerato, e 111 e 112 le spinte relative alle sezioni AA di ingresso e BB di uscita della curva, si ha dalla (4.10):
G + Ho + + 112 + M 1 —M2 = o, dalla quale, essendo la spinta cercata uguale ed opposta a quella esercitata dalla parete della curva (S = — 11 0), si ricava in definitiva: S = G + + 112 + —
M2 -
Il calcolo della spinta sulla curva è ricondotto a quello delle cinque grandezze al secondo membro. La determinazione di G presenta soltanto difficoltà di tipo geometrico
102
EQUAZIONI FONDAMENTALI DELLA DINAMICA DEI FLUIDI
inerenti al calcolo del volume W, che moltiplicato per il peso specifico y del liquido fornisce il modulo di G, vettore diretto verticalmente verso il basso con retta di applicazione passante per il baricentro di W.
5. Il teorema di Bernoulli
Fio. 4.3 Le spinte III e 112 sono funzioni degli sforzi 4),,, agenti nei singoli punti delle due sezioni AA e BB ; a questo punto della trattazione mancano gli elementi per la definizione di tali sforzi; sarà compito del prossimo capitolo mostrare che, in numerose situazioni che coprono la maggior parte dei problemi pratici, il calcolo delle spinte Eh e 112 può essere ricondotto agli stessi procedimenti che valgono per la determinazione delle spinte idrostatiche, una volta che siano note le pressioni nei baricentri delle due sezioni. Restano infine da valutare le due quantità di moto M1 e M2; per la situazione in esame possiamo ritenere che le velocità in ciascuna delle due sezioni siano parallele fra loro, cosicché le due quantità di moto possono essere espresse a mezzo della (4.7) e risulta perciò:
P
= Di ipQ
Vi ;
M2 = n2P2pQ V2 ;
dove Q è la portata della corrente, V1 e 1721e velocità medie nelle due sezioni, n1 e n2 i versori normali alle sezioni, pi e 132 i coefficienti di ragguaglio dipendenti dalla distribuzione delle velocità in ciascuna sezione.
5.1 L'equazione globale della dinamica, di cui abbiamo chiarito il significato e illustrato alcune fra le più significative applicazioni, fornisce le condizioni di equilibrio cui devono sottostare le varie forze, reali o fittizie, che agiscono su una generica massa fluida in movimento. Il teorema di Bemoulli, di cui ora ci occuperemo, completa la visione del quadro fornendo la relazione che deve sussistere fra le diverse forme di energia in gioco. Nel loro insieme i due teoremi costituiscono la base di tutta l'idrodinamica, sia teorica che applicata. Nella sua originaria forma, dovuta a Daniele Bemoulli, il teorema considerava esclusivamente il moto non dissipativo di un fluido incomprimibile, che non fosse soggetto a scambi di energia con l'ambiente circostante: così limitato esso riassumeva un caso particolare del principio di conservazione dell'energia, e più precisamente la conservazione dell'energia meccanica, essendo a priori esclusa la possibilità di trasformazione di tale forma di energia in altre forme. Successivamente esso venne esteso in diverse direzioni, togliendo di mezzo l'una o l'altra delle varie ipotesi restrittive. Noi qui conserveremo almeno l'ipotesi che si abbia a che fare con un sistema chiuso, nei riguardi energetici, cioè non suscettibile di scambi di energia con l'esterno. Consideriamo innanzi tutto il caso di un fluido perfetto, per il quale l'assenza di sforzi tangenziali in grado di assorbire lavoro assicura appunto la conservazione dell'energia meccanica. All'espressione formale del teorema di Bemoulli si può pervenire seguendo diversi schemi di ragionamento; qui preferiamo dedurla partendo dall'equazione indefinita dei fluidi perfetti, o equazione di Eulero, che, come abbiamo visto, si scrive: p
(F — A) = grad p.
(4.4)
Ammettiamo senz'altro che il fluido considerato sia pesante e soggetto alla sola forza di massa che deriva dal campo gravitazionale. In tal caso abbiamo già visto (Idrostatica par. 2.4) che, assunta la particolare terna di riferimento che ha l'asse z verticale diretto verso l'alto, si ha:
F = — g grad z. [103]
(5.1)
104
IL TEOREMA DI BERNOULLI
DISTRIB'U'ZIONE DELLA PRESSIONE NEL PIANO NORMALE
Introduciamo ora l'ipotesi della incomprimibilità; si ha in tal caso:
pF = — pg grad z = — y grad z = — grad yz. Dividendo tutto per y (costante), l'equazione di Eulero si può quindi scrivere: A 1 dv P . = grad (z (5.2) g dt Il gradiente della quota piezometrica risulta dunque uguale al rapporto, cambiato di segno, fra l'accelerazione cui è soggetto il generico elemento fluido in movimento e l'accelerazione di gravità: nullo, in particolare, come già abbiamo visto, per un fluido in quiete e nullo anche per un fluido in movimento uniforme. L'accelerazione A che compare nell'espressione della forza d'inerzia cui è soggetto l'elemento materiale in moto lungo la propria traiettoria, ha notoriamente componente pari alla derivata della velocità intensiva v (cioè del modulo della velocità) lungo la tangente alla traiettoria componente pari all'accelerazione centripeta v 2 Jr lungo la normale principale e componente nulla lungo la binormale. Proiettando la (5.2) sui tre assi della terna intrinseca di riferimento otteniamo perciò (fig. 5.1):
a /
—
as
rezione, quella della binormale, lungo la quale è in ogni caso nulla (in prossimità della tra4ettoria) la variazione della quota piezometrica e la pressione risulta quindi distribuita secondo la legge idrostatica. Per contro la quota piezometrica varia in generale lungo la normale principale e precisamente, come si deduce dalla seconda delle (5.3), essa diminuisce nel verso del versore n, cioè nel verso che porta al centro di curvatura della traiettoria: tanto maggiore è la variazione quanto maggiori sono la velocità v e la curvatura 11r. Anche lungo la normale principale la quota piezometrica è costante quando la curvatura è nulla, cioè quando la traiettoria è rettilinea; nell'intorno del punto O (fig. 5.1), la quota piezometrica, costante lungo due direzioni contenute nel piano normale, è conseguentemente costante anche in tutte le altre direzioni del piano stesso. E il caso tipico, illustrato in fig. 5.2, della corrente fluida che si muove entro un condotto cilindrico, carat-
1 dv = — — g dt
z+
= (z
105
;
gr
2—) 1
a
v2
(5.3)
P\ = O.
r
S
t
o
no. 5.2 n Fio. .5.1
5.2 Distribuzione della pressione nel piano normale. Correnti lineari Fermiamo anzitutto la nostra attenzione sulle due ultime equazioni (scalari) del sistema (5.3). In particolare l'ultima ci dice che nel piano normale alla traiettoria in un generico punto O (fig. 5.1) esiste almeno una di-
terizzata da traiettorie tutte rettilinee e parallele; si può anzi osservare che in questo caso la quota piezometrica è costante nell'intera sezione trasversale. Se quindi in due punti A e B qualsiasi del perimetro della sezione trasversale attacchiamo due piezometri, i menischi si portano in essi al medesimo livello. Il piano orizzontale passante per i menischi è il piano dei carichi idrostatici relativo alla sezione considerata (nella quale la pressione è distribuita secondo la legge idrostatica) e contiene la retta di sponda (di traccia O); la retta 0A`B' rappresenta il diagramma delle pressioni. Quando invece la curvatura delle traiettorie è notevole, come nella
106
107
IL TEOREMA DI BERNOULLI
IL TEOREMA DI BERNOULLI
curva di una condotta, nella sezione trasversale la pressione non varia idrostatìcamente. Si possono avere le due situazioni qualitativamente indicate nelle figg. 5.3 e 5.4, a seconda che la concavità, delle traiettorie sia rivolta verso il basso o verso l'alto. In ogni caso, se si considera, in una sezione trasversale, un diametro AB contenuto nel piano della traiettoria passante per il baricentro, il piezometro che ha il punto d'attacco situato sulla parete concava indica una quota piezometrica maggiore di quella indicata dal piezometro che si stacca dalla parete convessa. In fig. 5.3, muovendoci verso il basso lungo il diametro AB incontriamo pressioni crescenti meno di quel che comporterebbe la legge idrostatica (in B la pressione è BB" an.zicchè BB') o addirittura decrescenti, se le velocità e le curvature sono forti; il contrario succede nel caso della fig. 5.4. I piezometri indicati nelle due figure forniscono pertanto solamente le quote piezometriche esistenti in corrispondenza dei loro punti di attacco; si
proposito hanno messo in evidenza che, se si impiegano curve della normale produzione industriale, la precisione raggiungibile è troppo limitata Quando i raggi di curvatura delle singole traiettorie siano molto grandi, la variazione della quota piezometrica lungo la normale principale e quindi in tutto il piano normale risulta molto piccola e praticamente trascurabile: la distribuzione della pressione nelle singole sezioni trasversali della corrente risulta cioè sensibilmente idrostatica. Molte sono le correnti che godono di questa prerogativa e assai importanti per le applicazioni, sicché conviene prenderle in particolare considerazione : esse si dicono correnti gradualmente variate o, con notazione introdotta dall'idraulico italiano Venturoli al principio del secolo scorso, correnti lineari. (*) Veniamo ora alla prima delle equazioni del sistema (5.3), ottenuta proiettando l'equazione di Eulero sulla tangente e cioè sull'arco della traiettoria; da essa precisamente dedurremo l'equazione di Bernoulli, che pertanto dovrà ritenersi valida lungo ogni traiettoria.
5.3 Il teorema di Bernoulli La derivata della velocità intensiva che compare nel secondo membro è una derivata sostanziale : rappresenta, come già si è ricordato, la componente secondo l'arco dell'accelerazione dell'elemento liquido che, scorrendo il tempo, si muove lungo la propria traiettoria. Posto (v. p. 76): v = v(t; s(t)), essendo s la coordinata curvilinea del punto raggiunto dall'elemento liquido al tempo t, e tenuto conto che dsldt---- v, possiamo applicare la regola di derivazione euleriana : FIG. 5.3
FIG. 5.4
comprende quindi come essi siano di scarsa utilità e di sconsigliabile impiego. Notiamo per contro incidentalmente che i dislivelli ,à fra i menischi nei due piezometri di ciascuna figura sono tanto più elevati quanto maggiori sono le velocità e quindi la portata della corrente. Ciò risulta evidente a norma della seconda delle (5.3); si ha infatti:
dv dt
bv
at
+v
2'1-) 1 ( ZA
PA
B V2 =- f —dr,
A gr
e tale espressione, per un condotto assegnato, risulta appunto crescente in modulo al crescere delle v. E nata di qui l'idea di impiegare il dispositivo come misuratore di portata per le correnti in pressione, ricavando eventualmente la funzione Q(A) mediante taratura; ma le esperienze effettuate in
8v
as
a ( v2 \ Os
k
2)
introducendo quindi nella prima delle (5.3) e raccogliendo tutte le derivate rispetto ad s: íz "
à = (Z B
av
,2
1
2g
g
av
(5.4a)
Nel primo membro compare la derivata della somma di tre lunghezze; abbiamo già definito in idrostatica le prime due, cioè la quota geodetica z (*) Questa denominazione richiama il fatto che in esse la quota piezometrica può considerarsi funzione di una sola coordinata, di linea, misurata lungo una generica traiettoria; par contrapposizione a quanto avviene nel moto bidimensionale (piano; v.p. 81) o tridimensionale.
108
e l'altezza piezometrica p ly, la cui somma abbiamo chiamato quota piezometrica; si aggiunge ora un termine v2 12g, che ha pure le dimensioni di una lunghezza e che viene detto altezza cinetica o, da, qualche autore, altezza generatrice della velocità,. Esso infatti rappresenta, per esempio, l'altezza da cui deve cadere nel vuoto un grave originariamente in quiete per acquistare la velocità v. La somma della quota piezometrica e dell'altezza cinetica viene indicata come trinomio di Bernoulli o, con dizione tratta dall'idraulica tradizionale, carico totale; la si designa usualmente con la lettera H: ,
P
2,2
y
2g
109
INTERPRETAZIONE GEOMETRICA ED ENERGETICA
IL TEOREMA DI BERNOULLI
lungo una linea continua, che chiamiamo linea piezometrica della traiettoria. La distanza dei singoli suoi punti dal piano di riferimento equivale dunque alla quota piezometrica dei corrispondenti punti della traiettoria.
t -
B"
C"
LINE-A-DEI CARICHI - TOTALI 2
2g
2g
2 2g
w
I
i
Potremo quindi scrivere la (5.4a) semplicemente:
aH 1 av —=—— tt
g
PC
(5.4b)
—
as
26.
Introduciamo ora l'ultima ipotesi e cioè ammettiamo che il movimento considerato sia permanente; sono allora nulle le derivate parziali rispetto al tempo e quindi è nullo il secondo membro della (5.4b). Si deduce, integrando rispetto ad s: H(8 ) = 2
P
v2
y
2g
- COSt
ZA
-= O
(5.5)
Questa relazione esprime appunto il teorema di Bernoulli, che, tenendo presenti tutte le ipotesi che ci hanno condotto alla sua formulazione, possiamo enunciare così: nel moto permanente di un fluido perfetto pesante incomprimibile il carico totale si mantiene costante lungo ogni traiettoria.
5.4 Interpretazione geometrica ed energetica Il teorema di Bemoulli è suscettibile di una immediata interpretazione geometrica. Consideriamo (fig. 5.5) una serie di punti A, B, C,... successivamente raggiunti da un elemento fluido che si muove lungo la propria traiettoria. Assumiamo un piano orizzontale di riferimento arbitrario, al quale attribuiamo convenzionalmente la quota z = 0; a partire da esso, positivamente verso l'alto, misureremo le quote geodetiche zA , zs zc '— dei punti considerati. Dai punti stessi riportiamo poi verticalmente verso l'alto segmenti di lunghezze pari alle altezze piezometriche PAly, PB/y, pe pr,...; gli estremi superiori A', B', C',... di questi segmenti e degli analoghi corrispondenti a tutti gli altri punti della traiettoria che non abbiamo esplicitamente considerato, per l'ovvia ragione della continuità delle grandezze fisiche in gioco (in particolare della pressione), si trovano disposti
TRAIE1 101
Ze
t FIG. 5.5
C',... verticalmente verso Riportiamo ora, a partire dai punti A', l'alto, segmenti di lunghezze uguali a v2Al2g, v 25I2g, v2c12g,...; gli estremi superiori di questi segmenti, sempre in grazia della continuità sopra ricordata, si trovano disposti lungo una linea, che diremo linea dei carichi totali dalla traiettoria. Orbene, il teorema di Bernoulli ci assicura che, nelle ammesse ipotesi, questa linea appartiene a un piano orizzontale; si ha infatti, a norma della (5.5):
ZA
PA
2 VA PB = ZB 12g
2 VB ZC 2g
PC y
2 VC 2g
cost .
Il tracciamento delle due linee che ora abbiamo definito, piezometrica e dei carichi totali, può costituire un prezioso ausilio per la risoluzione di molti problemi pratici ed è comunque utile alla, corretta interpretazione dei processi idraulici. Al teorema di Bemoulli può però anche esser attribuito un preciso significato energetico, che ne costituisce l'essenza e l'importanza. Si può infatti dimostrare che il carico totale H rappresenta l'energia meccanica
110
IL TEOREMA DI BERNOULLI
INTERPRETAZIONE GEOMETRICA ED ENERGETICA
complessiva posseduta dall'unità di peso del fluido in movimento: la diremo energia specifica. Consideriamo separatamente i tre addendi del trinomio di Bernoulli. La quota geodetica z rappresenta ovviamente quella parte dell'energia potenziale che compete all'unità di peso del liquido per il fatto che essa occupa una determinata posizione nel campo gravitazionale; infatti, spostandosi lungo la verticale, cioè lungo la linea di forza, dalla quota z alla quota zero essa potrebbe compiere un lavoro pari a z • 1 = z. Potremo indicare questa parte dell'energia specifica come energia posizionale. A anche facile mostrare come il termine v 2 / 2g rappresenti l'energia posseduta dall'unità di peso del fluido per il fatto che è animata dalla velocità v: cioè l'energia cinetica, seconda la comune definizione. Basta ricordare che la massa dell'unità di peso vale 11g; l'energia cinetica specifica è dunque precisamente:
volume elementare considerato è intervenuto un solo mutamento, precisamente nella pressione, che è passata dal valore p al valore zero esistente sul pelo libero; sembra lecito concludere che l'acquisto di energia posizionale sia avvenuto alle spese di una forma di energia legata alla pressione, la quale deve essere diminuita precisamente, per l'unità di peso, di h = ply. Designeremo questa energia come energia di pressione; ed è evidente, in base al ragionamento fatto, che alla pressione p corrisponde l'energia specifica p/y. Notiamo incidentalmente che, mentre il volume che abbiamo preso in esame si è spostato verso l'alto, un ugual volume e quindi un ugual peso di liquido si deve essere spostato verso il basso, aumentando la propria energia di pressione a scapito di quella posizionale, cioè subendo proprio la trasformazione inversa. Immutata è rimasta nel complesso l'energia potenziale posseduta dalla massa contenuta nel recipiente: detto P il suo peso, essa vale:
1 1 1 v2 — mv 2 = — — v 2 = 2 2 g 2g Un po' meno semplice è l'interpretazione dell'altezza piezometrica, come termine energetico: si può seguire il ragionamento che segue. In un recipiente contenente liquido in quiete (fig. 5.6) si isoli idealmente un volume infinitesimo dW, avente il proprio baricentro affondato di un'altezza h sotto lo specchio liquido; esso è soggetto ad una pressione p = yh, e la sua
= i
—h —
dS
E= P(z
+
,
111
( 5.6)
TI
rispetto al generico piano orizzontale di riferimento di quota z = O (la quota piezometrica è costante per tutti i punti della massa liquida in quiete). Va però anche tenuto ben presente che l'energia di pressione esiste soltanto in quanto esistono le condizioni (nel nostro caso il recipiente) cui è dovuto il formarsi di una distribuzione di pressione. Se immaginiamo che il liquido, abbandonato il recipiente, cada fino a spandersi sul piano z = 0, il lavoro compiuto non è quello espresso dalla (5.6), ma soltanto quello che corrisponde allo spostamento verso il basso del peso P concentrato nel baricentro G, cioè: PzG . Se però pensiamo, ad esempio, che lo spostamento del peso P avvenga attraverso il condotto segnato con linee a trattini in fig. 5.7, e che
— •
rdw
FIG. 5.6 altezza piezometrica p /y è quindi uguale ad h, come è ben noto. Per il teorema di Archimede le due forze ad esso applicate, cioè il peso ydif e la spinta idrostatica dS, si fanno equilibrio. Se ora pensiamo di trasferire quel peso fino in prossimità del pelo libero, ovviamente non compiamo lavoro, perchè spostiamo un sistema di forze a risultante nullo. Per contro, a spostamento avvenuto ci rendiamo conto che la sua energia posizionale è aumentata di -MW (e quindi l'energia posizionale specifica è aumentata di h • 1 = = h ): deve essere conseguentemente diminuita un'altra forma di energia, anche essa di tipo potenziale, giacché all'inizio come al termine dell'operazione il liquido è in quiete. Ora, nelle condizioni fisiche in cui si trova il
FIG. 5.7
contemporaneamente il recipiente sia alimentato da altro liquido, in guisa che il pelo libero resti a quota costante, allora il lavoro compiuto dal peso P sarà veramente quello dato dalla (5.6). Il concetto di energia di pressione che è stato precisato con riferimento a una situazione idrostatica per semplicità di ragionamento è però senz'altro
112
APPLICAZIONI
estendibile al caso di un liquido in moto; potranno intervenire allora in generale anche trasformazioni dell'energia cinetica, oltrecché della posizionale, in energia di pressione.
tualità che il sistema energetic,amente isolato possa generare calore compiendo lavoro come può avvenire nelle trasformazioni dei gas comprimibili. 2 ovvio il fatto, sul quale tuttavia conviene richiamare l'attenzione, che l'implicita ipotesi dell'isolamento energetico impedisce l'applicazione del teorema di Bernoulli ad un elemento liquido che nel suo movimento passi attraverso una macchina idraulica, ricevendo da esso o cedendo lavoro.
Vogliamo ancora mettere in evidenza che l'energia di pressione, benché collegata con un concetto di sforzo, non deve essere confusa con una forma di energia elastica: per convincersene, basta por mente al fatto che essa può essere posseduta anche da un liquido incomprimibile, e quindi incapace di assorbire energia elastica. Ma se anche togliamo l'ipotesi della incomprimibilità, ci rendiamo conto che l'energia elastica accumulabile è di tutt'altro ordine di grandezza. Consideriamo la solita unità di peso, che ha ovviamente volume 1 /y ; se, partendo dalle condizioni di pressione relativa nulla, la portiamo alla pressione p, essa subisce una diminuzione di volume data in modulo da: l 1 p
I
e I
Ee -= 1_ p A W = 2 ' ;
li i.
e
y
conseguentemente assorbe una energia elastica:
,
113
IL TEOREMA DI BERNOULII
1
p p
2
y e
che di norma è ben più piccola dell'energia di pressione (*). Ad esempio sappiamo che per l'acqua nelle normali condizioni di temperatura e = 2. 10 9 Pa all'incirca; l'affondamento di 1 m porta ad un incremento di pressione di 9806 Pa e quindi ad un accumulo di energia elastica pari soltanto a 0,25 . 10 -i volte l'incremento dell'energia di pressione. Comunque le due forme di energia si dovrebbero sommare. Abbiamo dunque dimostrato che il trinomio di Bern.oulli rappresenta effettivamente, nel caso del fluido incomprimibile, l'intera energia meccanica posseduta dall'unità di peso del fluido, somma della parte potenziale e di quella cinetica; per questa ragione la linea dei carichi totali viene anche detta linea dell'energia. Il teorema di Bernoulli può pertanto anche enunciarsi così: nel moto permanente di un fluido perfetto pesante incomprimibile l'energia meccanica specifica si mantiene costante lungo ogni traiettoria. Esso risulta con ciò una forma particolare del principio di conservazione dell'energia, giustificata dalla circostanza che essendosi escluso ogni fatto dissipativo coll'ipotesi del fluido perfetto resta esclusa anche la possibilità che parte dell'energia meccanica possa trasformarsi in energia termica. L'aver inoltre ammesso l'incomprimibilità porta ad escludere l'even(*) Essa è pari alla metà della ply per i gas perfetti che subiscono una trasformazione isoterma, essendo allora notoriamente e p; mentre per le trasformazioni adiabatiche si ha e = kp, con k coefficiente adiabatico; anche per un gas, dunque, le due forme di energia E e e pur essendo dello stesso ordine di grandezza non hanno egual valore.
5.5 Applicazioni Il teorema di Bernoulli esprime dunque le possibilità e le modalità di trasformazione dell'energia meccanica di un liquido da mia forma all'altra: in particolare l'aumentare della velocità per il diminuire della quota piezometrica e viceversa. Benché, almeno nell'espressione in cui l'abbiamo fin qui preso in esame, esso sia valido rigorosamente soltanto per quell'ente astratto che abbiamo chiamato liquido perfetto, tuttavia esso trova, anche così, numerose e importanti applicazioni ai più disparati problemi dell'idraulica: tutte le volte, precisamente, che le dissipazioni dovute alla viscosità siano trascurabili di fronte alle contemporanee trasformazioni di energia che esso pone in evidenza. Naturalmente il trascurare tali dissipazioni, realmente sempre presenti, porta a risultati che devono considerarsi soltanto approssimati: spesso questi risultati possono essere senz'altro accettati, per gli scopi della tecnica; spesso anche possono essere perfezionati mediante l'impiego di opportuni coefficienti correttivi, valutabili su base sperimentale. Qui ci limiteremo ad esaminare in dettaglio soltanto qualche situazione veramente tipica, che, tra l'altro, ci consentirà di mettere in luce qualche punto concettualmente interessante. a) Processi di efflusso Lo studio dei processi di efflusso di liquidi attraverso fori aperti nelle pareti dei recipienti ha costituito un tempo un vasto capitolo dell'idraulica applicata: la cosiddetta foronoznia. Anche attualmente, del resto, pur occupando essi una posizione relativamente più modesta in un moderno corso di idraulica, sono tutt'altro che privi di importanza, essendo alla base del funzionamento di molti dispositivi impiegati per la misura delle portate liquide. Ne tratteremo qui soltanto alcuni aspetti fondamentali, legati appunto al teorema di Bemoulli, rinviando per una esposizione applicativa più completa ad un successivo apposito capitolo. Un foro aperto nella parete o nel fondo di un recipiente si chiama genericamente luce. Si possono distinguere due grandi categorie di luci: le luci a battente, che hanno tutto il loro contorno a quota inferiore a quella del pelo liquido nel recipiente (col nome di battente si designa precisamente l'affondamento del punto più elevato del contorno della luce), e le luci a stramazzo, o semplicemente stramazzi, che hanno invece soltanto la parte
114
IL TEOREMA DI BERNOULLI
115
APPLICAZIONI
inferiore del loro contorno soggiacente al pelo libero e quindi bagnata dal liquido effluente. La corrente che ha origine da una luce si chiama getto o vena liquida. In questo paragrafo ci limiteremo soltanto all'effiusso da luci a battente a spigolo vivo, cioè col bordo affilato, in modo che la vena se ne stacchi nettamente vincendo l'adesione. Consideriamo innanzitutto il caso che la luce sia aperta sul fondo piano del recipiente (fig. 5.8). Verso la luce convergono traiettorie che provengono da ogni punto del recipiente; in particolare, quelle che lambiscono il fondo piano arrivano alla luce in direzione orizzontale e soltanto dopo aver abbandonato il bordo piegano gradualmente verso il basso per effetto della
gravità e delle pressioni esistenti all'interno del liquido; convergono dunque ancora, prima di disporsi sensibilmente parallele in direzione verticale. La prima sezione trasversale della corrente dove questo avviene per le traiettorie periferiche ora considerate e conseguentemente anche per tutte quelle interne al getto si chiama sezione contratta: essa ha area inferiore a quella della luce e l'esperienza ha mostrato che, per le luci circolari, è situata ad una distanza di circa mezzo diametro dal piano della luce. L'importanza della considerazione della sezione contratta sta appunto nel fatto che, essendo attraversata da traiettorie sensibilmente rettilinee e parallele, la corrente si può ivi considerare gradualmente variata, e quindi idrostatica la distribuzione della pressione : nel caso ora considerato, giacendo la sezione in un piano orizzontale, possiamo senz'altro concludere che la pressione è nulla in ogni suo punto, essendo nulla al contorno che è a contatto con l'atmosfera. Lo stesso non può certo affermarsi per la sezione in corrispondenza della luce: per la forte curvatura delle traiettorie che l'attraversano la quota piezometrica, e quindi la pressione, crescono dal bordo verso l'interno, secondo una legge difficilmente deducibile per via teorica, raggiungendo il valore massimo in corrispondenza del centro; l'esperienza indica che ivi
l'altezza piezometrica p fy è all'incirca pari a 0,6 volte l'affondamento della luce sotto lo specchio liquido. Indicheremo con h tale affondamento, cui si dà tradizionalmente il nome di carico sulla luce; più generalmente, per includere anche il caso di luci aperte in pareti non orizzontali, si designa come carico l'affondamento del baricentro della luce. Applichiamo ora il teorema di Bernoulli ad una generica traiettoria che, partendo da un punto A entro il recipiente, abbastanza lontano dalla luce perché la velocità vi si possa ritenere ancora trascurabile, raggiunga un punto B della sezione contratta. Per poterlo fare dobbiamo naturalmente presupporre la stazionarietà del movimento; questo implica che al recipiente sia continuamente rifusa, con un mezzo che non ci interessa, proprio la portata della vena effluente, in guisa che il pelo libero resti a livello costante; oppure, se ci accontentiamo di una approssimazione, che la luce sia piccola nei confronti del recipiente, in guisa che l'abbassamento del pelo libero conseguente all'efflusso sia molto lento e quindi siano praticamente trascurabili le inerzie locali espresse dal secondo membro della (5.4b). Per quanto riguarda l'ipotesi del liquido perfetto, possiamo ammettere che essa sia abbastanza prossimamente verificata, giacché lungo gran parte della traiettoria (salvo il tratto terminale) la velocità ha valori molto modesti e quindi risultano piccoli anche gli sforzi tangenziali che, come sappiamo, sono proporzionali al gradiente della velocità. Dette zA e zB le quote dei punti A e B sopra un generico piano di riferimento (fig. 5.8) e PA f'( l'altezza piezometrica nel punto A, pari al suo affondamento sotto il pelo libero perché entro il recipiente, salvo nelle immediate vicinanze della luce, la pressione può ritenersi distribuita idrostaticamente, il teorema di Bernoulli ci dà:
zA
, PA
-1-- — + y
2
2 VE PE = zs 4- — + — • 2g "t' 29
VA
Ma pB/y = 0, essendo il punto B sulla sezione contratta, e possiamo anche ritenere nulla l'altezza cinetica in A, per quanto già osservato. Si ricava: 2
PA
VB
- = ZA 2g
• •
- ZB =
n + a,
avendo designato con 8 la piccola distanza verticale fra la luce e la sezione contratta. Facciamo notare che il primo membro dell'equazione scritta rappresenta l'energia cinetica (specifica) che ha tratto origine dalla diminuzione di energia potenziale rappresentata dal secondo membro. Se la luce non è molto prossima al pelo libero possiamo trascurare 8 di fronte a h, e otteniamo: vB
=
-V2gh
.
116
IL TEOREMA DI BERNOULLI APPLICAZIONI
Lo stesso ragionamento può evidentemente ripetersi per qualsiasi traiettoria che raggiunga un punto della sezione contratta. Ne consegue che ivi la velocità ha ovunque lo stesso valore:
vg
V2gh, .
(5.7)
È questa la notissima formula di Torricelli, ottenuta dall'allievo di Galileo per via sperimentale: essa dice in sostanza che la velocità di efilusso di un liquido da una luce è pari a quella che assumerebbe un grave, inizialmente in quiete, cadendo nel vuoto per un'altezza uguale al carico. L'influenza dei fatti dissipativi che abbiamo ammesso di poter trascurare è ovviamente nel senso che la velocità di abisso effettiva risulterà un pochino minore di quella torricelliana : l'energia dissipata andrà infatti a scapito dell'energia cinetica residua nella sezione contratta. Volendo raggiungere una migliore approssimazione, si può tener conto di questo fatto (ed eventualmente, nello stesso tempo, dell'aver trascurato il dislivello 8) a mezzo di un coefficiente correttivo C, , da determinare sperimentalmente: lo si chiama coefficiente di velocità e lo si definisce come rapporto fra la velocità di efflusso effettiva v, e quella torricelliana : Ve Cv — . vt
(5.8)
117
sempre con riferimento alle luci a spigolo vivo. Il coefficiente di contrazione è stato determinato teoricamente da Kirehhoff nella seconda metà del secolo scorso, per il caso del moto piano verso una fessura rettangolare di lunghezza infinita, e trovato pari a: cc =
lv -
0,61.
Nessun altro caso è stato finora risolto per via teorica; le prove compiute sui più disparati tipi di luci (circolare, quadrata, rettangolare, triangolare,....) hanno però in ogni caso fornito valori che sembrano generalizzare il risultato di Kirchhoff. Con questo valore di C`, si ha all'incirca p. = 0,6. Consideriamo ora un altro tipo di luce : quella rettangolare soggiacente ad una paratoia piana parzialmente aperta. Oltre all'interesse concettuale che ora cercheremo di porre in evidenza, essa presenta anche un notevole interesse applicativo, perché un dispositivo del genere può essere impiegato, come vedremo più avanti, per la regolazione della portata immessa in un canale. La situazione può essere quella illustrata in fig. 5.9, che rappresenta schematicamente la presa a pelo libero da un serbatoio (ove ammetteremo trascurabili le velocità). In questo caso abbiamo ancora una sezione contratta
Si può quindi scrivere:
v, = C„ V2gh. .
(5.9)
Le ormai numerosissime prove sperimentali hanno mostrato che, per le luci a spigolo vivo, C, = 0,97 ± 0,99; ponendolo uguale all'unità l'errore che si commette è dunque modesto. È facile ora calcolare la portata della vena effluente: basta moltiplicare per l'area A, della sezione contratta. Questa a sua volta può essere espressa in funzione dell'area A della luce, a mezzo di un altro coefficiente C, detto coefficiente di contrazione e definito come rapporto fra le due aree:
A, A
= - .
(5.10)
Si ottiene :
Q = A,C, V2gh, = C,C,A 2gh = 1.A.A V -2—gh .
(5.11)
Si è indicato con: p.cccv
(5.12)
un terzo coefficiente, prodotto dei primi due, al quale viene dato il nome di coefficiente di efflusso. Vale la pena di dare subito un cenno del suo valore,
poco a valle della luce: essa è però posta in piano verticale e inoltre appoggia su un contorno solido, costituente il fondo del canale. Poiché per definizione nella sezione contratta le traiettorie sono rettilinee e parallele, ivi la corrente è gradualmente variata: la corrispondente distribuzione idrostatica delle pressioni è quella triangolare indicata in figura, annullandosi la pressione ovviamente in corrispondenza del pelo libero della corrente. Assunto il fondo del canale come piano di riferimento delle quote, il
118
IL TEOREMA DI BERNOULLI
APPLICAZIONI
teorema di Bernoulli, applicato alla traiettoria AB che parte da un punto A ancora sensibilmente in quiete e giunge a un punto B della sezione contratta, ci dà:
essendo h il dislivello fra i peli liberi nei due recipienti, che si usa ancora chiamare carico. Apparentemente più semplice, ma in realtà di più difficile interpretazione concettuale è il caso di una vena sboccante da una luce in parete verticale direttamente nell'atmosfera. Anche qui si ha una sezione contratta,
2
PA PB H = z A — ZB — -t- VB y
2g
L'altezza cinetica in B risulta dunque uguale al dislivello fra i peli d'acqua nel serbatoio e nella sezione contratta; poiché questo vale ovviamente per qualsiasi traiettoria, cioè per qualsiasi punto della sezione contratta, dobbiamo concludere che ivi la velocità è uniformemente distribuita, proprio come nel caso precedente. Sia b la larghezza della paratoia (e quindi della luce) e il suo bordo inferiore sia a spigolo vivo; sia inoltre la paratoia compresa fra due pareti piane verticali, cosicché la luce non dia luogo a contrazione nè sui fianchi nè sul fondo, ma soltanto in corrispondenza del bordo della paratoia. Notiamo incidentalmente che le prove hanno dimostrato che anche in questo caso il coefficiente di contrazione vale all'incirca 0,61, se l'altezza della luce è piccola rispetto alla sua larghezza e al carico. Comunque, se diciamo a questa altezza, quella della sezione contratta risulta Oca. Si ha allora:
2g
—
— :t s 22g
_T-_t _l -_ T
I
■■
H ,
ZA
ii■ i■Ii.
al■ oww ■ N.■ ■----■ _ ■■■•■ g ...■
eam....—_ —■ in,... —.....i,
Ì
.5L y I
I
, Z,
Z= O
2
Vt
119
H — (z B +
=H—Cca;
FIG. 5.10
e in definitiva per la portata: Q = p.ab -V2g (H — C ca)
Concettualmente analogo è il caso di una luce a spigolo vivo, di forma qualsiasi, aperta in un setto verticale o inclinato posto fra due serbatoi che contengano liquido sensibilmente in quiete, con differenti livelli del pelo libero (fig. 5.10). Anche in questo caso la vena, che viene detta sommersa, che sbocca dal serbatoio a livello maggiore in seno al liquido contenuto nell'altro, presenta una sezione contratta, poco a valle della luce, con distribuzione idrostatica della pressione; poiché sul suo contorno essa si trova in equilibrio col liquido in quiete circostante (cioè sono uguali le pressioni in due punti infinitamente vicini situati rispettivamente entro e fuori della vena), tale distribuzione idrostatica è quella che compete al liquido circostante, rappresentata in fig. 5.10 dal diagramma triangolare tratteggiato. Adattando il solito ragionamento alla generica traiettoria AB, si riconosce che anche in questo caso la velocità ha lo stesso valore in tutti i punti della sezione contratta, e che il valore teorico (torricelliano) risulta: vt = V2gh, ,
attraversata da traiettorie sensibilmente rettilinee, ma è facile riconoscere che in essa la distribuzione della pressione non segue la legge idrostatica: basta pensare che la pressione è nulla in tutti i punti del contorno, che pure non sono alla stessa quota; ed è stato anzi sperimentalmente accertato che la pressione è nulla anche in tutti i punti interni della sezione. Crediamo che valga la pena di cercare la giustificazione di questa apparente contraddizione. Conviene rifarsi all'equazione fondamentale (2.4) dell'idrostatica, che dà appunto la distribuzione della pressione nei liquidi in quiete: essa è stata dedotta dalla equazione indefinita a mezzo di un elementare integrazione, ma può anche essere ricavate con un ragionamento intuitivo, al quale ora accenniamo perchè è suscettibile di estensione al caso che ci interessa. Consideriamo (fig. 5.11a) una colonnina di liquido a generatrici verticali, poggiante sul fondo del recipiente che contiene il liquido in quiete. Isoliamo uno straterello di altezza dz mediante due piani orizzontali e sia A l'area della sezione orizzontale; l'equilibrio alla traslazione verticale è assicurato dall'annullarsi del risultante del peso e delle spinte che agiscono sulle due facce. Si ha: dp A (p + — dz) + yA dz = Ap, dz
(5.13)
120
121
APPLICAZIONI
IL TEOREMA DI BERNOULLI
e semplificando:
questa forza fittizia nell'equazione (5.13), che ora assume l'aspetto di una equazione di equilibrio dinamico, se ne ricava:
dp
4- Y = 0'
dp dz
da cui appunto, per integrazione, l'equazione fondamentale: Z
P
— = COSt
Va notato che lo straterello liquido considerato non può cadere, benché soggetto alla gravità, perché sorretto dal liquido sottostante, il quale a sua volta è sorretto dal fondo del recipiente: sullo straterello agisce, dal basso verso l'alto, una reazione di appoggio di modulo Ap. Tentiamo ora di estendere il ragionamento ad una colonnina di liquido isolata dalla vena liquida in corrispondenza della sezione contratta: ci
0
dal che appunto segue che la pressione deve mantenersi costante in tutte la sezione contratta. Notiamo incidentalmente che è proprio lo stesso fatto che si verifica per il liquido contenuto in un secchio che cade liberamente (p. 62): la pressione, come abbiamo visto, vi ha valore nullo ovunque. (*) Ritornando ora al problema dell'eftlusso, applichiamo il teorema di Bernoulli alla solita traiettoria AB (fig. 5.12). Abbiamo: 2
VB
PA
H = zA —=
ZB
Y
—
2g
e quindi: (5.14)
v B = V2g (H — zB) = V2ghB ; p+
dp , az dz
lo specchio liquido. avendo indicato con IbB l'affondamento del punto B sotto La velocità varia quindi da punto a punto della sezione contratta secondo la legge di distribuzione parabolica segnata in figura e data dalla (5.14).
—
/ dz
fP
_ì'Adz
z
h PA
no. 5.11a
H
5.11b _
rendiamo subito conto che la situazione è mutata perché lo straterello considerato (fig. 5.11b) non può più essere sorretto dal liquido sottostante, il quale manca d'appoggio. Sullo straterello può dunque agire il campo gravitazionale, ed effettivamente agisce, tant'è vero che la vena subito a valle della, sezione contratta si inflette verso il basso e segue una traiettoria media prossima alla parabola di caduta dei gravi. Lo straterello, benché ancora privo di componente verticale della velocità, è soggetto all'accelerazione g e quindi ad una forza d'inerzia, diretta verticalmente verso l'alto cioè nel verso opposto alla g, che vale precisamente:
zA
--
•
—
•
R
—
Iz I # FIG. 5.12
Se tuttavia la luce è soggetta ad un carico h molto elevato rispetto alla sua dimensione verticale, possiamo in via approssimativa, ma senza sensibile
— dmg — pgA dz = — yA dz ; essa è uguale e contraria al peso, come del resto ovvio. Introdotta anche
(*) Si può osservare, in particolare, che da un qualsiasi foro aperto in tale secchio non uscirebbe liquido.
122
m
TEOREMA DI BERNOITLLI
errore, sostituire all'archetto di parabola corrispondente alla sezione contratta il segmento di tangente; la velocità media risulta allora uguale alla velocità nel baricentro della sezione contratta e quindi la portata risulta:
Q
[LA 1/2gh, .
Si supponga infine che la vena, anzicché sboccare nell'atmosfera, effluisca in un ambiente dove è mantenuto del gas a pressione costante p; la stessa pressione si ha, per quanto si è visto, anche in tutti i punti della sezione contratta. Applicando il teorema di Bernoulli alla traiettoria AB (fig. 5.13) abbiamo ora: 2
H = ZA
PA
-1- - = zB
,
P
vE T 2g
quindi la velocità in B risulta: Vg
=V 2g (I/ — — —Py ) ZB
I
APPLICAZIONI
123
entro il recipiente contenente liquido, grosse bolle d'aria che risalirebbero in superficie. Se per contro la pressione p diminuisce, aumenta la portata; per pressioni relative minori di zero la portata risulta maggiore di quella che si ha nell'efflusso libero a pressione atmosferica. Il massimo valore della portata, a parità di carico h, si verifica ovviamente quando la vena sbocca nel vuoto assoluto, cioè a pressione relativa — p.*; esso vale :
Qmax
= LA 1/2g
+ 132;
cioè, se il liquido è acqua e la pressione atmosferica ha il valore normale Qmax
= [LA V2g (h + 10,33),
si tratta però di un massimo teorico, praticamente non raggiungibile a causa dello sviluppo di vapore e della liberazione dell'aria in origine disciolta nell'acqua. b) Tubi convergenti; venturimetro.
Mediando la velocità, come si è detto sopra, si ottiene per la portata:
Q = [LA V 2 g ( h P Y
FIG. 5.13
una portata dunque tanto più piccola quanto maggiore è la pressione p. Quando questa fosse p = yh, dalla luce non uscirebbe liquido; aumentando ancora la pressione incomincerebbero a formarsi in prossimità della luce,
Vedremo più innanzi come il teorema di Bernoulli, che abbiamo riconosciuto valido, nelle note ipotesi, per una singola traiettoria, possa estendersi ad una intera corrente di sezione finita. Qui ammetteremo senz'altro che tale estensione possa compiersi, per una corrente gradualmente variata, semplicemente sostituendo nel termine cinetico alla velocità v dei singoli punti di una sezione trasversale la velocità media V = QfA; in realtà, come vedremo, sarebbe teoricamente necessaria una piccola correzione, che però non incide gran che sui risultati pratici: l'ordine di grandezza dell'errore che si compie trascurandola non è in genere maggiore di quello che deriva dal trascurare le dissipazioni di energia, come richiede l'applicazione del teorema di Bernoulli. Consideriamo il dispositivo rappresentato in fig. 5.14: un tubo di diametro D è seguito da un breve tronco convergente e quindi da un altro tubo di diametro minore d. Ammettiamo di poter trascurare le dissipazioni di energia nel convergente, data la sua brevità e anche per il fatto che nelle correnti accelerate esse sono sempre modeste; e ammettiamo anche che, in prima approssimazione, la corrente possa considerarsi lineare. In ogni sezione trasversale la quota piezometrica sarà dunque costante; questo fatto ci consente di considerare un'unica linea piezometrica per l'intera corrente; adotteremo per essa, convenzionalmente, quella che corrisponde alla traiettoria assiale, cioè alla traiettoria passante per i baricentri delle successive sezioni trasversali. Alla stessa stregua considereremo un'unica linea dei carichi totali della corrente, sovrastante la piezometrica, in ogni suo punto, di V 2 /2g, essendo V la velocità media nella corrispondente sezione trasversale.
124
IL TEOREMA. DI BERNOULLI
125
APPLICAZIONI
In fig. 5.14 è stata segnata la linea dei carichi totali, orizzontale a norma del teorema di Bernoulli, e la linea piezometrica della corrente che percorre la tubazione; quest'ultima si mantiene orizzontale nei due tronchi cilindrici, in ciascuno dei quali è costante la velocità e quindi l'altezza cinetica; nel convergente invece, dove la corrente accelera, la linea piezometrica si abbassa, allontanandosi progressivamente dalla linea dei carichi totali.
Le due velocità medie VA e VE sono legate fra di loro dall'equazione di continuità: Q = VAAA = V BA B = cost, avendo indicato con AA e AB le aree delle due sezioni estreme del convergente. Esprimendo in funzione della portata abbiamo dunque: Q2 i 1 2g k A2A
1) A2B
=A
e possiamo infine ricavare la portata: AA • AB
Q—
VA 2A — A 2
1
I 2g
m
(5.15)
Il dispositivo consente dunque di determinare la portata di una corrente in pressione a mezzo di una semplice lettura manometrica. Proprio sul principio di funzionamento ora esposto è basato un apparecchio di misura delle portate largamente diffuso, proposto verso la metà del secolo scorso dall'americano Hershell e da lui denominato venturimetro in onore dell'idraulico italiano G. B. Venturi che, verso la fine del Settecento, si occupò
._._._.
.. rvv2g .
z=o
7
._
Vi 2g —
FIG. 5.14
i
\
2g
Applicando il teorema di Bernoulli fra le sezioni estreme A- e B del convergente, otteniamo subito il dislivello a fra le quote piezometriche:
a ( zA
PA
(zB
yr
PB
2
rEt— rA
2g
Ora lo stesso 3 può essere dedotto dall'indicazione di un manometro differenziale inserito fra le due sezioni: detto A il dislivello fra i menischi del manometro, sappiamo infatti che:
a=
A Ym Y
Ricaviamo quindi:
•
diffusamente di questioni riguardanti appunto la trasformazione dell'energia di un fluido dalla forma potenziale alla cinetica. Lo abbiamo schematicamente indicato in fig. 5.15; come si vede, oltre al convergente, esso comprende un breve tronco cilindrico a sezione ristretta e poi un divergente, avente il solo scopo di riportare il diametro al suo originario valore e quindi di
126
n,
TEOREMA DI BERNOULLI APPLICAZIONI
consentire l'inserimento dell'apparecchio in una condotta a sezione costante. Se non occorre una approssimazione molto spinta la portata può senz'altro essere determinata a mezzo della (5.15); conglobando in un'unica costante K tutte le grandezze geometriche e fisiche note essa si può scrivere semplimente : (5.15a) L'errore da cui è affetta questa formula è dovuto alle ipotesi semplificatrici introdotte nella deduzione del teorema di Bernoulli (liquido perfetto) e nella estensione che qui ne abbiamo fatto alle correnti di sezione finita e dipende in qualche misura anche da dettagli costruttivi dell'apparecchio. Volendo maggiore precisione, per esempio per misure di laboratorio, è necessaria la introduzione di un coefficiente correttivo, leggermente variabile con la portata e determinabile soltanto a mezzo di apposita taratura. In fig. 5.15 abbiamo segnato la linea dei carichi totali e la piezometrica, come risultano dalla semplice applicazione del teorema di Bernoulli. Ma dobbiamo mettere in guardia sul fatto che lo schema è accettabile, in via approssimata, per il tronco convergente, dove i fatti dissipativi sono effettivamente modesti; non lo è per nulla per il successivo tronco divergente, dove la perdita di energia meccanica è in ogni caso non trascurabile, come avremo occasione di ricordare a suo tempo più diffusamente. Sarebbe pertanto del tutto inaccettabile l'inserzione del manometro differenziale fra le sezioni estreme del divergente, anche se questo, come di norma avviene, è disegnato con cura allo scopo di ridurre al minimo le inevitabili dissipazioni. Qualora non ci si debba preoccupare di tali dissipazioni, il divergente, che per la sua lunghezza è piuttosto ingombrante e costoso, può essere accorciato o addirittura, soppresso, consentendo una brusca riespansione della corrente. Il venturimetro è un apparecchio pregevole, il cui solo inconveniente, ai fini applicativi, consiste proprio nell'ingombro, spesso proibitivo. Per questa ragione sono stati studiati altri dispositivi meno ingombranti, oggi pure
127
una sezione ristretta, o strozzata (per questo i dispositivi sono anche detti a strozzamento), in guisa di provocare un incremento di altezza cinetica a spese della quota piezometrica. L'abbassamento della piezometrica viene misurato a mezzo di un manometro differenziale opportunamente inserito e da esso si deduce la portata a mezzo di una formula del tipo della (5.15a) dove però compaiono in ogni caso coefficienti empirici da determinare a mezzo di taratura. Di tutti i dispositivi di misura sopra ricordati è stata effettuata una unificazione: si sono cioè scelti alcuni campioni per ogni tipo di apparecchio, con geometria ben precisata in ogni dettaglio, in particolare nei riguardi della collocazione delle prese di pressione, e per ciascuno di essi si è effettuata una taratura molto accurata per tutto il campo utile dei valori della portata, giungendo a individuare i valori dei coefficienti correttivi da introdurre nella (5.15). L'impiego di questi dispositivi unificati consente la misura delle portate con approssimazione de111-2% circa. c) Tubo di Pitot un dispositivo, inventato dal francese Pitot nel Settecento, che trova ancora oggi largo impiego per misure locali di velocità nelle correnti fluide. Per comprenderne il funzionamento, consideriamo una corrente che investe un ostacolo, costituito da un corpo di rivoluzione a testa tondeggiante: la corrente (fig. 5.17), a sufficiente distanza a monte dell'ostacolo, abbia traiettorie rettilinee e parallele, e l'asse di simmetria dell'ostacolo abbia la
8
ff" ,/
FIG. 5.17
largamente impiegati, ma ai quali possiamo qui dedicare soltanto un breve cenno: sono i diaframmi e i boccagli, di cui le figg. 5.16a e 5.16b danno una illustrazione molto schematica. Il principio di funzionamento è lo stesso del venturimetro: si tratta in ogni caso di costringere la corrente a passare per
loro direzione. Avvicinandosi all'ostacolo le traiettorie divergono per poterlo aggirare; in particolare la traiettoria .AB disposta sul prolungamento dell'asse del corpo, per ovvie ragioni di simmetria, dopo averlo investito nel punto B di prua si suddivide in infinite traiettorie che ne lambiscono la parete lungo le linee meridiane. Nel punto B si ha una brusca deviazione ad angolo retto; ora si dimostra — ma qui dobbiamo sorvolare — che in simili circostanze il modulo della velocità va a zero, sicché il punto B viene detto d'arresto, o di ristagno.
128
IL TEOREMA DI BERNOULLI
ESTENSIONE AL MOTO VARIO
Se il punto A è sufficientemente lontano perché la corrente vi si possa ritenere indisturbata (bastano pochi diametri della sezione dell'ostacolo), il teorema di Bernoulli, applicato alla traiettoria AB, ci dà pertanto: i
ZA
PA
2 VA
2g
= ZE
129
tubicini che faranno capo alle canne piezometriche o alle due canne di un manometro differenziale. Il modello di Prandtl, in particolare, dà errori nella velocità ancora trascurabili quando l'asse del dispositivo forma un angolo non piccolissimo
PB
(5.16)
e di qui, quando sia nota la differenza di quota piezometrica fra i due punti,
possiamo ricavare la velocità in A. In fig. 5.18 è rappresentata una corrente uniforme in un tubo. La quota piezometrica nella sezione dove si trova il punto A (e dove la pressione è distribuita ancora idrostatica,mente) può essere individuata a mezzo di un comune piezometro; quella del punto B di prua del corpo di rotazione FIG. 5.19
con la direzione della corrente (fino a oltre 100), il che ne agevola ovviamente l'impiego. Il tubo di Pitot è largamente usato per misure di velocità locali non piccolissime : questa limitazione deriva dalla constatazione che già per la velocità di un 1 m/s l'altezza cinetica, e quindi il dislivello manometrico da leggere, è dell'ordine di soli 5 cm; essa diminuisce inoltre col quadrato della velocità, sicché gli errori percentuali di valutazione del dislivello diventano rapidamente inaccettabili al diminuire di v. Fio. 5.18
aprendo in esso un forellino, collegato pure con un piezometro; si noti che entro di questo il liquido è in quiete, sicché la presenza del foro non impedisce la brusca deviazione delle traiettorie e quindi l'annullamento della velocità. Detto d il dislivello fra i menischi nei piezometri, si ha immediatamente dalla (5.16): VA
= -V2g3.
In pratica i due tubi piezometrici possono essere incorporati in un unico
apparecchio, che nei dettagli può avere diverse forme (la più nota è dovuta a Prandtl), e che viene detto tubo di Pitot o pitometro. La presa di pressione che possiamo chiamare statica è di norma relizzata (fig. 5.19) a mezzo di una fessura A aperta lungo un parallelo del corpo di rotazione, a distanza sufficiente dal punto di prua (dove è la presa dinamica) perché le traiettorie radenti abbiano riacquistato l'originaria direzione. Il diametro del corpo è tenuto assai modesto (dell'ordine di mezzo centimetro) per non disturbare troppo la corrente, in guisa che la quota piezometrica, in corrispondenza della fessura A si possa ritenere praticamente coincidente con quella esistente poco a monte dell'ostacolo; il corpo è cavo e al suo interno corrono i due
5.6 Estensione al moto vario Abbiamo già accennato al fatto che il teorema di Bernoulli è suscettibile di alcune estensioni e generalizzazioni, le quali si possono ottenere rinunciando a qualcuna delle ipotesi restrittive formulate per la sua deduzione. Vediamo innanzitutto quella che si ottiene togliendo di mezzo l'ultima ipotesi introdotta, cioè quella di moto permanente. Siamo allora ricondotti all'equazione (5.4a), o (5.4b), che possiamo considerare come l'equazione del moto vario, lungo una traiettoria, di un fluido pesante perfetto incomprimibile. Integrata fra i punti 1 e 2 di una generica traiettoria essa dà: H2
=
1
r
g
Ii
at
d8 ,
(5.17)
essendo H2 e H1 i valori che, contemporaneamente, in un determinato istante, il carico totale assume rispettivamente nei due punti; la (5.17) consente dunque di stabilire, in un certo istante, l'andamento della linea dei carichi totali, quando siano noti i contemporanei valori delle accelerazioni locali nei singoli punti. Per precisarne meglio il significato, anche ai fini applicativi, illestriamo la situazione che si presenta quando la corrente si muova in un tubo cilin-
r i
130
IL TEOREMA DI BERNOULLI
ESTENSIONE AL MOTO V.ARIO
drico, con pareti rigide. Poiché è costante, anche nel tempo. l'area delle successive sezioni trasversali, l'equazione di continuità
infinita) : il che può essere accettato ovviamente, con buona approssimazione, soltanto se la massa non è molto estesa e cioè, nel caso particolare, se la condotta è abbastanza breve. Facciamo dunque riferimento (fig. 5.20) ad una condotta lunga L, che si stacca, con imbocco ben raccordato, da un grande serbatoio, dove
Q(s) = cost, si può scrivere addirittura:
V(s) = cost , avendo indicato con V la velocità media Q IA; e valendo ciò per ogni istante, si ha pure:
bV(s)dV(s) = dl
= cost
-
dV
r2
g dt i
ds =
H(s) = Ho
i
• • — « ,........ —• - ............ . \,.......
T. .42. ci.1/
i-to
re.
dt
A'. —i. • — i
y .
m
i
I
'\ vy2g ..",........ . . . . . . -...._ . .......... -........ , ■,,,.. •
, ,_ . ,_
■
I _ Z -= O
1.. dy! g dt
.
--- .
I
...— •
---iii-- I
I
l I H5 ---"•‘ ■1• 1/4 Hf 1
L dV g dt
avendo indicato con L la lunghezza del tronco di corrente compreso fra le sezioni I e 2. Più genericamente, detto Ho il carico totale nel punto che possiamo assumere come origine delle coordinate di linea s, il carico totale nella sezione di ascissa s vale:
s dV g dt
r
(5.18)
lungo la corrente, sempre in un medesimo istante. Se pertanto, sempre con la riserva formulata all'inizio del paragrafo (5.5b), ammettiamo di poter applicare la (5.17) all'intera corrente considerata, anzicché alle sue singole traiettorie, semplicemente sostituendo la V media alla v locale, otteniamo: 1
•7::—FY-r_--_,1_-___A •_
131
-----•
\
,
■
1. ' ,.....- -------------_____.-----5
FIG. 5.20
(5.19)
Se ne deduce, per la (5.19), che istante per istante il carico totale varia linearmente con s: nel caso del moto in un tubo cilindrico (ad asse rettilineo), la linea dei carichi totali è una retta. In particolare essa risulta discendente nel senso del moto se questo è accelerato (dV Idt > 0), ascendente se il moto è ritardato. Una classica applicazione di quanto sopra si ha nello studio dell'avviamento del moto in una breve condotta che si stacca da un serbatoio (fig. 5.20). L'ipotesi della brevità è formulata per due ragioni: innanzitutto per poter ritenere trascurabili le resistenze e quindi le perdite di energia lungo la condotta, come richiesto per poter applicare correttamente il teorema di Bernoulli nella forma semplice che vale per i fluidi perfetti; in secondo luogo perché l'ipotesi, che abbiamo conservato in quanto implicita nella (5.4b), dell'incomprimibilità del fluido porta di conseguenza, come abbiamo riconosciuto, che una variazione di pressione intervenuta in un punto della massa fluida si risenta istantaneamente in ogni altro punto (velocità del suono
l'acqua si possa ritenere praticamente in quiete; e ammettiamo che, in un primo tempo, la condotta sia chiusa nella sua sezione terminale N (ad esempio da una saracinesca a rapida manovra o più semplicemente da un tappo). In questo momento il liquido è dovunque in quiete e la distribuzione della pressione idrostatica, caratterizzata da un piano dei carichi idrostatici coincidente con lo specchio liquido nel serbatoio; la traccia AA' di tale piano rappresenta anche, ovviamente, la linea dei carichi totali e la linea piezometrica (coincidenti perché V = 0); nella sezione terminale l'altezza piezometrica è data dal segmento A'N. Leviamo ora bruscamente l'ostacolo che ostruisce la sezione terminale; con ciò si stabilisce in essa la pressione atmosferica (p = 0) sicché la piezometrica viene a passare per il punto N; e vi passerà anche la linea dei carichi totali, ancora con essa coincidente poiché è ancora nulla la velocità. Ma a norma della (5.19) essa è mia retta; e poiché nella sezione iniziale il carico totale conserva il valore costante H0, le due linee nell'istante iniziale dell'avviamento del moto vengono a coincidere nella retta AN. Detto Y o il dislivello A'N e 111(t) il carico totale nella sezione terminale, abbiamo in
132
IL TEOREMA DI BERNOULLI
133
ESTENSIONE AL MOTO VARIO
questo momento (t = 0):
Esse sono fornite dalla derivata sostanziale della stessa H, e poiché si ha:
Ho — (Hf )t _o = yo =
dV dt
g
H = H [s(t); t], otteniamo, derivando secondo la regola euleriana:
da cui possiamo ricavare il valore iniziale dell'accelerazione :
dV
dH aH aH ds dt = at + a8 dt
Yo =g
Y g g —17 = L- k Y°
ax
at
as •
•
Per effetto di questa accelerazione, in un generico istante successivo si avrà, lungo tutta la condotta, una velocità media V e quindi un'altezza cinetica V 2 /2g; la linea dei carichi totali, sempre passando per il punto A, sovrasterà il baricentro della sezione terminale di un segmento BN uguale precisamente a tale altezza cinetica; e la linea piezometrica, sempre ad essa parallela e sempre passante per N, avrà assunto la nuova posizione MN. Detto Y il segmento A'B, l'accelerazione avrà assunto il nuovo valore:
dV
ari
1/2
(5.20)
La (5.20) è l'equazione differenziale che descrive il processo di moto vario. Essa è facilmente integrabile e fornisce la legge V = V(t) con cui la velocità media, inizialmente nulla, va progressivamente crescendo; la soluzione è di tipo esponenziale, indicando pertanto che la situazione di regime permanente verrebbe teoricamente raggiunta soltanto in via asintotica (in un tempo infinito). Alla soluzione asintotica, conformemente all'ipotesi di liquido perfetto, corrisponde la posizione orizzontale AA' della linea dei carichi totali e la posizione PN della piezometrica, soggiacente alla prima di:
vo2 essendo Vo la velocità tonicellian.a di regime. Il processo di moto vario è dunque caratterizzato da una progressiva diminuzione della inclinazione delle linee dei carichi totali e piezometrica e da un progressivo loro allontanamento: sempre mantenendosi parallele, esse ruotano rispettivamente attorno ai punti A ed N. Alla stessa guisa, in base alla (5.19), possono trattarsi altri processi di moto vario in brevi condotte cilindriche, conseguenti ad altri tipi di manovre; rimandiamo per essi al cap. 7. Può anche essere interessante seguire una particella fluida lungo la sua traiettoria, indagandone le progressive variazioni dell'energia specifica H.
Ma, a norma della (5.5), se facciamo ancora riferimento al moto in una condotta trattato precedentemente, per il quale si ha ovviamente:
az --t-- --- o, a
risulta:
0H at
1 ap at
y
V aV g øt
e, tenuto conto della (5.4b), otteniamo infine:
dH dt
1 ap at
y
(5.21)
La variazione dell'energia specifica subita dalla particella dipende dunque esclusivamente dalla variazione locale della pressione. Per chiarire le idee, consideriamo ancora il processo di avviamento del moto in una condotta. In un "Certo istante t, siano (fig. 5.21) AB e MN le posizioni assunte rispettivamente dalla linea dei carichi totali e dalla piezometrica; in questo istante, alla particella che occupa la posizione P (ad esempio sulla traiettoria assiale) competono l'altezza piezometrica. PQ e l'altezza cinetica QR. Nel successivo intervallo di tempo dt la particella in esame percorre lo spazio V dt lungo la propria traiettoria, portandosi in P'; contemporaneamente le due linee, spostandosi come si è detto, vengono ad assumere rispettivamente le nuove posizioni AB' e M'N; la nuova altezza piezometrica sarà data dal segmento P'Q' e la nuova altezza cinetica dal segmento Q'R'. In corrispondenza della posizione iniziale della particella, il differenziale locale dell'altezza piezometrica è dato dal segmento QQ"; di uno stesso segmento (RR' = QQ") deve essere variato il carico totale della particella lungo il percorso. Nel caso specifico dell'avviamento del moto, poiché la quota piezometrica in. ogni punto della condotta va progressivamente diminuendo, anche l'energia specifica della particella diminuisce lungo il percorso, a norma della (5.21): essa è spesa per incrementare l'energia della corrente (localmente accelerata), il cui carico totale, nelle singole sezioni, va in effetti progressivamente aumentando col tempo.
134-
IL TEOREMA DI BERNOULLI
ESTENSIONE AI FLUIDI REALI
135
i
—___. -
cl■
....—.—. - ,
V7 P -----
P
L
•nsurnsusuij t~."....."."." • -
---- • --- • ----
FIG. 5.21
5.7 Estensione ai fluidi reali A una importante generalizzazione del teorema di Bemoulli si può pervenire togliendo di mezzo l'ipotesi che il fluido in esame sia perfetto; con ciò, naturalmente, esso viene però a perdere il suo significato fondamentale, quello cioè di esprimere la conservazione dell'energia meccanica: la viscosità del fluido provoca infatti, durante il moto, l'insorgere di sforzi tangeziali, il cui lavoro (resistente al moto) costituisce dissipazione di energia meccanica, cioè trasformazione di energia meccanica in calore. Qualitativamente la conseguenza di quanto si è detto è ovvia: il carico totale di una generica particella, cioè la sua energia meccanica, non si mantiene costante, mentre essa si muove di moto permanente lungo la propria traiettoria, ma va progressivamente diminuendo. Questo fatto può essere visualizzato a mezzo di una facile ed espressiva esperienza. Si abbia una condotta cilindrica che collega due serbatoi A e B, abbastanza grandi perché il liquido in essi contenuto possa ritenersi in quiete, e fra i corrispondenti specchi liquidi esista un dislivello Y, che supporremo costante (fig. 5.22). Per effetto di questo dislivello si stabilisce nella condotta il moto permanente di una corrente, perché l'eccesso di energia potenziale esistente in A tende a trasformarsi in energia cinetica. Nell'ipotesi di liquido perfetto la linea dei carichi totali della corrente coinciderebbe ovviamente con la traccia MN del piano dei carichi idrostatici in A, giacché ivi, essendo trascurabile la velocità, il carico totale coincide con la quota piezometrica; la linea piezometrica, ad essa parallela per
no. 5.22
l'uniformità del moto ( V = cost), coinciderebbe invece con la traccia PQ del piano dei carichi idrostatici in B, giacché nella sezione terminale della condotta la quota piezometrica della corrente (lineare) deve necessariamente coincidere con quella del liquido in quiete in cui la corrente stessa viene a sboccare. La velocità in condotta assumerebbe quindi per tutte le traiettorie il valore torricelliano :
Vt = 2gY Se lungo la condotta fosse predisposta una batteria di canne piezometriche, le vedremmo dunque, sempre nell'ipotesi di liquido perfetto, riempirsi di liquido fino ad avere i menischi allineati lungo l'orizzontale PQ. In realtà l'esperienza ci indica qualcosa di diverso: i menischi si allineano lungo una retta P'Q, sempre passante per Q, ma inclinata, verso il basso nel senso del moto. E poiché la velocità media della corrente deve restare costante lungo la condotta per il teorema di continuità, dobbiamo concludere che anche la linea dei carichi totali risulta declive nel senso del moto, coincidente dunque con la retta MN' della figura. Si ha in ciò appunto la conferma sperimentale della progressiva diminuzione dell'energia meccanica. E intuitivo ammettere che nel condotto cilindrico, qualora si mantengano costanti non soltanto l'area della sezione trasversale, ma anche le caratteristiche microgeometriche della parete (scabrezza), a uguali percorsi corrispondano uguali diminuzioni di energia; e ciò è confermato dal fatto che la linea piezometrica, visualizzata dai menischi, e quindi anche la linea
136
IL TEOREMA DI BERNOITLLI
POTENZA DI UNA CORRENTE IN UNA SEZIONE
dei carichi totali restano rettilinee. Diciamo precisamente, in generale, cadente J l'abbassamento della linea dei carichi totali per unità di percorso della Corrente:
per l'idraulica e formerà oggetto di ampio esame in un successivo capitolo. Qui vogliamo ancora aggiungere che, oltre alle perdite di carico, che diremo continue, delle quali abbiamo finora parlato e che si verificano lungo tutto lo sviluppo della corrente, possono intervenire altre perdite, localizzate in determinati brevi tronchi e dovute a particolarità del condotto; riservandoci di esaminarle più avanti con qualche dettaglio, ci limitiamo a dire che, detto 74, il generico abbassamento della linea dei carichi totali dovuto ad una di esse, il teorema di Bernoulli assumerà l'espressione ancora più generale:
J -= —
aH (5.22)
as -
Nel moto uniforme la J equivale anche all'abbassamento , per unità di percorso, della linea piezometrica:
Pì
J ----
i
(5.23)
e viene designata perciò tradizionalmente come cadente piezometrica; ma preferiamo, ad evitare confusioni, parlare soltanto di cadente. P evidente, per il significato energetico di H, che la cadente J rappresenta in ogni caso la perdita di energia subita detll'unità di peso del liquido nell'unità di percorso. La (5.22) può essere considerata l'espressione differenziale del teorema di Bemoulli per un liquido reale. Detto Ho il carico totale nella sezione cli ascissa e = O, ricaviamo integrando: r.
H(8) -- Ho
— —
i .1 (s) de o
;
(5.24)
e per il caso di moto uniforme (J = cost) : 11(s) = Ho — Js .
s H(s) =- Ho — f J de — I Xi . t o
(5.24a)
Lungo l'intera condotta della fig. 5.22, di lunghezza L, la linea dei carichi richi totali si abbassa dunque di LJ ; e riconosciamo pertanto che l'intero dislivello Y disponibile viene a risultare pari alla somma di tale abbassamento e dell'altezza cinetica della corrente : V2
2g in termini energetici possiamo dire che l'intera energia potenziale disponibile si trasforma solo in parte ( V 2 /2g) in energia cinetica, mentre la restante parte viene dissipata per le resistenze incontrate dalla corrente. La velocità assume un valore: V =2g -V ( Y — LJ) , inferiore a quello teorico e tanto più piccolo quanto maggiori sono le dissipazioni; queste vengono tradizionalmente dette perdite di carico, Il problema della determinazione di J in funzione delle grandezze geometriche, cinematiche e fisiche da cui deve dipendere è fondamentale
5.8
137
(5.24b)
Potenza di una corrente in una sezione. Estensione del teorema di Bernoulli a una corrente
Il significato energetico che, come si è visto, può essere attribuito al teorema di Bemoulli lo ricollega strettamente al concetto di potenza: anzi, proprio attraverso questo concetto si può giungere a meglio precisare i termini della sua applicazione alle correnti di sezione finita. Definiamo come potenza di una corrente in una generica sezione trasversale l'energia che la corrente fa passare attraverso quella sezione nell'unità di tempo. Per calcolarne il valore, conviene anzitutto fare riferimento ad un tubo di flusso di sezione infinitesima dA, facente parte della corrente. Sia : dQ = v dA la portata del tubo di flusso (fig. 5.23), e sia H il carico totale, cioè, come ppiamo, l'energia meccanica posseduta dall'unità di peso del liquido che attraversa la sezione considerata. Il peso del liquido che attraversa la sezione nell'unità di tempo è ydQ; detta dP la potenza del filetto di corrente nella sezione, si ha allora per definizione : dP = y dQ • H. (5.25) Per passare alla corrente di sezione finita basta integrare all'intera sezione trasversale o, se si vuole, all'intera portata Q. Detta quindi P la. potenza della corrente nella sezione, abbiamo: P P =y5 H dQ = y f Hv dA = y f -(z + ---} A A Q Y
v2 ) 2g
v dA.
(5.26)
Nell'ipotesi di validità del teorema di Bemoulli (perdite nulle e moto permanente) sia H che dQ restano costanti per ognuno dei tubi di flusso elementari che costituiscono l'intera corrente; anche P resta perciò costante e possiamo così concludere: nel moto permanente di una corrente di un, fluido
138
IL TEOREMA DI BERNOULLI
POTENZA DI UNA CORRENTE IN UNA SEZIONE
nella sezione trasversale :
-. . _ r
4'72g ' 2/
I
=
Y
J
v2
j - v dA A
SA
2g
y - - VA 2g H
-
e pertanto:
P P =T(z+—±
FIG. 5.23
ciato che può essere dato al teorema di Bernoulli per una corrente di sezione finita. Ad una espressione analoga a quella che è stata ottenuta per una traiettoria si può pervenire per il caso, particolarmente importante, di quelle correnti che abbiamo definito gradualmente variate: caratterizzate, ricordiamo, dalla distribuzione idrostatica della pressione nelle singole sezioni trasversali. Proprio per questa proprietà, separando, nella (5.26), la parte potenziale dell'energia da quella cinetica, possiamo scrivere:
P (z+—)vdA+yf
v2 —
A 2g
V2 CL
2g
) Q = yHQ,
(5.28)
avendo indicato ancora con H il trinomio:
perfetto incomprimibile la potenza si mantiene costante, cioè assume lo stesso valore in tutte le successive sezioni trasversali. questo precisamente l'enun-
Y
essendo V, come al solito, la velocità media nella sezione. Avremo quindi:
2g
i
A
(5.27)
V2
A, 401111--
P
v3 dA
VA
V2
139
P vdA =y(z+--)Q +P,.
La potenza cinetica P dipende dalla distribuzione della velocità nella sezione trasversale che, per le correnti turbolente di maggior interesse pratico, è nota soltanto per via sperimentale (e quasi soltanto per il moto uniforme). In analogia a quanto si è fatto per la quantità di moto, possiamo tuttavia giungere ad una sua espressione in termini finiti ricorrendo all'artificio di introdurre un coefficiente a di ragguaglio. Lo diremo coefficiente di ragguaglio per la potenza cinetica, o coefficiente di Coriolis (perché usato per la prima volta dal meccanico francese) e lo definiremo come rapporto fra la potenza cinetica effettiva della corrente e la potenza cinetica di una corrente fittizia di pari portata, ma che avesse distribuzione uniforme della velocità
P
V2
2g
(5.29)
che differisce da quello che abbiamo a suo tempo definito soltanto perché l'altezza cinetica, calcolata per la velocità media, vi appare moltiplicata per il coefficiente a; designeremo ancora tale trinomio come carico totale, ed è ovvio che esso rappresenta precisamente l'energia specifica media del fluido che attraversa la sezione. Per la costanza della P e della Q lungo la corrente, il teorema di Bernoulli può dunque scriversi nella forma: V2 P = cost, H = z — + C< 2g
(5.30)
analoga a quella (5.5) che abbiamo trovato per una singola traiettoria. Diciamo subito che i risultati sperimentali hanno ormai indicato con sicurezza che nel moto uniforme turbolento a supera l'unità soltanto di pochi percento (6-7%) : il porlo uguale ad uno significa pertanto commettere un errore di pochi percento nella valutazione dell'altezza cinetica, quindi certo un errore anche più piccolo nella valutazione del carico totale. Ciò giustifica l'ammissione che abbiamo fatto in qualche precedente esempio di applicazione del teorema di Bernoulli, adottando in via approssimata anche per correnti di sezione finita la sua espressione valida per le singole traiettorie (con a = 1); ammissione che è del resto frequente in pratica, quando si giudichi accettabile l'errore che ne può derivare. Ma non è sempre così: si verificano situazioni di moto non uniforme caratterizzate da distribuzioni molto irregolari della velocità nella sezione trasversale, per esempio da
140
IL TEOREMA DI BERNOULLI
forti concentrazioni della velocità in determinate zone della sezione, e magari dalla presenza di zone in cui la velocità è diretta in senso opposto a quello generale della corrente; si hanno allora valori di a molto diversi dall'unità. Notiamo incidentalmente che nel convergente di un venturimetro (v. par. 5.5b) il coefficiente di ragguaglio assume valori diversi nelle due sezioni iniziale e terminale, seppure entrambi poco superiori all'unità; l'averli posti entrambi uguali a 1 nella trattazione elementare del dispositivo è un'altra ragione per ritenere necessaria una taratura, qualora si desiderino misure molto precise.
si ha evidentemente:
= iA v
i (V + e) dA =VA-Ef dA, A A
essendo A l'area della sezione trasversale; quindi
L
-
(5.32)
dA — 0 -
come del resto è implicito nella definizione di s. Calcoliamo ora innanzitutto il valore del coefficiente definizione e facendo uso delle (5.31) e (5.32). Si ha:
5.9 Relazione fra i coefficienti di ragguaglio Vale la pena di segnalare una relazione approssimata che può essere stabilita per molte situazioni di pratico interesse fra i valori dei due coefficienti di ragguaglio: quello a, per le potenze cinetiche, introdotto nel paragrafo precedente e quello p, per le quantità di moto, di cui si è detto al cap. 4; ricordiamo che, in realtà, pur avendo essi un significato del tutto generale, entrambi sono stati introdotti con particolare riferimento alle correnti gradualmente variate. Consideriamo il diagramma delle velocità che caratterizza il moto uniforme turbolento di una corrente in condotto cilindrico circolare; esso è di gran lunga il più importante per le applicazioni pratiche, e pertanto facciamo ad esso riferimento a titolo d'esempio, pur essendo la trattazione che seguirà abbastanza generalizzabile. Come vedremo diffusamente più avanti, (cap. 6) tale diagramma è caratterizzato (fig. 5.24) da una vasta zona centra-
A P=
v2 dA
A
V 2A
E
(5.31)
e cioè indichiamo con E lo scarto del valore locale rispetto al valore medio,
2
A
V
dA =1 + ,
2
-
' — A fA( V dA
.
Essendo v) > O in ogni caso, risulta evidentemente Analogamente per il coefficiente a:
J.
223
A
VA
dA
1 (V + VA f A
i V
le piuttosto appiattita, mentre la velocità va rapidamente a zero in prossimità della parete; in tutta la zona centrale i valori della velocità differiscono relativamente poco dal valor medio V. Se ora, essendo v la velocità in un punto generico, poniamo:
in base alla sua
avendo posto, con notazione tradizionale:
E 2 3 ' -j (A A -)
FIG. 5.24
p,
1
VA
a=
= V + e,
141
RELAZIONE FRA I COEFFICIENTI DI RAGGUAGLIO
E.) 3
p>
1.
dA =
i ' E'3 T7 ) dA. dA --,- (— 11 A V
Ma l'ultimo termine è certamente piccolo almeno per il diagramma considerato: i differenziali sono in parte positivi e in parte negativi, sicché almeno parzialmente si compensano; inoltre quelli positivi, che interessano la più ampia zona centrale, sono piuttosto piccoli, come si è detto, mentre quelli negativi, che possono assumere valori più elevati, interessano solo una piccola zona perimetrale. Ponendolo senz'altro uguale a zero, in prima approssimazione, si ha: a = i + 3n• Anche a è dunque maggiore di 1; per confronto, si ha: a—1=3
((3 -
1),
che è appunto l'annunciata relazione approssimata.
(5.33)
142
IL TEOREMA DI BERNOULLI
SCAMBIO DI ENERGIA FRA UNA CORRENTE E UNA MACCHINA
Abbiamo già accennato che per moto uniforme turbolento si è ricavato dalla determinazioni sperimentali un valore di a prossimo a 1,06-1.08 (le prime meno precise misure avevano portato a un valore a = 1,1 circa); conseguentemente si ha p = 1,02-1,03, cioè un valore che differisce ben poco dall'unità; il che giustifica il fatto che in pratica si pone quasi sempre = 1. Per il caso del moto laminare in un tubo cilindrico circolare, che esamineremo dettagliatamente più avanti, è nota per via teorica la distribuzione della velocità: il solido di portata risulta precisamente un paraboloide di rotazione e conseguentemente si ha una velocità media pari soltanto alla metà della massima. Gli scarti E non potrebbero quindi considerarsi piccoli rispetto a, V; tuttavia i due coefficienti di ragguaglio, che possono calcolarsi analiticamente, valgono rispettivamente OC = 2 e f3 = 4/3, sicché la relazione fra di essi sopra ricordata risulta verificata in modo rigoroso. evidente poi che in questo caso non potremo porre i coefficienti stessi uguali all'unità senza commettere sensibile errore.
143
. • , ,...[L,J, ....... .....---
1 AH
,
,•
Hm ..._ I
Y
i
-r
,
•
Ha -
I
iB
0 FIG. 5.25
5.10 Scambio di energia fra una corrente e una macchina Il concetto di potenza di una corrente è soprattutto importante, ai fini pratici, in rapporto ai possibili scambi di energia fra una corrente liquida e una macchina idraulica. Ricordiamo che queste si suddividono in due grandi categorie: si dicono macchine motrici (turbine) quelle che ricevono energia dalla corrente idrica; macchine operatrici (pompe) quelle che cedono energia alla corrente. Le prenderemo ora in esame singolarmente, limitando però le nostre considerazioni allo stretto problema dello scambio energetico, senza entrare in particolari circa i processi che hanno luogo all'interno delle macchine stesse, che formano oggetto di altri corsi di studio. La fig. 5.25 rappresenta molto schematicamente un impianto idroelettrico con derivazione in pressione. Dal serbatoio A, in generale abbastanza grande perchè l'acqua vi si possa ritenere comunque in quiete (Si tratta spesso di un lago artificiale creato sbarrando un corso d'acqua con una diga) si stacca una condotta, di lunghezza L1 , che fa capo a una turbina; a valle della turbina un'altra condotta, di lunghezza L2 (che però può anche mancare o essere sostituita da un breve tronco divergente, detto diffusore) porta a un serbatoio terminale B, che riterremo pure sufficientemente grande. Assunto un piano di riferimento orizzontale di quota convenzionale z = 0, siano rispettivamente HA e HB
se non esistono impedimenti, a trasformarsi in energia cinetica e ne deriva, nel sistema di condotte, il movimento di una corrente. La portata Q di questa corrente non dipende però in modo univoco dal dislivello Y da cui pure trae origine, bensì anche dalle condizioni di funzionamento della macchina; in particolare ricordiamo che tutte le turbine sono munite di un organo distributore, dalla cui maggiore o minore apertura può dipendere il valore della portata, che al limite si annulla quando esso è chiuso; accenniamo anche incidentalmente che il distributore, pur potendo essere comandato a volontà per particolari esigenze, è di norma governato da un dispositivo, detto regolatore, che automaticamente adatta il valore della portata della corrente a quello di volta in volta necessario per far fronte alla richiesta di energia da parte dell'utenza. Nel serbatoio A la quota piezometrica coincide con il carico totale per l'ammessa assenza di velocità; la linea dei carichi totali per la condotta di alimentazione della macchina parte dunque dalla quota del pelo d'acqua. Lungo la condotta si hanno perdite di carico continue, pari a JI.Li , se con J1 si designa la cadente: ovviamente, in vista dello scopo dell'impianto, si cerca di ridurle ai minimi valori possibili, o almeno compatibili con un costo non eccessivo della condotta, e così pure si cerca di eliminare o di ridurre al minimo le perdite localizzate, per esempio arrotondando l'imbocco (come segnato in figura) e disegnando acconciamente eventuali raccordi. Nella sezione 1 di ingresso alla macchina il carico totale, a causa delle perdite ricordate, assume il valore Hm < HA, tanto minore, per l'assegnato impianto, quanto maggiore è la portata impiegata e quindi la cadente. Per determinare il carico totale Hv nella sezione 2 di uscita della macchina, conviene partire dal serbatoio terminale 13. Ivi la quota piezometrica
144
IL TEOREMA DI BERNOULLI
SCAMBIO DI ENERGIA FRA UNA CORRENTE E UNA MACCFIINA
è 1/B e la stessa quota, come abbiamo ormai più volte messo in evidenza, compete anche alla corrente nella sezione terminale del condotto di scarico. La linea piezometrica della corrente termina dunque alla quota del pelo libero in B, mentre la linea dei carichi totali la sovrasta di un segmento pari all'altezza cinetica a V 22 /2g. Lungo il condotto di scarico si ha una perdita continua J2L2 , sicché in definitiva nella sezione 2 troviamo un carico totale: I
.
Hv = HB + a
2 V2
2g
+
J2L2
145
e meccaniche, nella turbina stessa. Come è noto, si dice rendimento n della macchina il rapporto fra le due potenze. Si ha quindi: Fe
oppure:
= nyQ Alf (W),
(5.37)
P, = n • 9,81 Q All (kW) .
Il rendimento di una buona turbina idraulica raggiunge ormai agevolmente il 90%.
-
Perché la, macchina funzioni effettivamente come una turbina deve risultare il dislivello AH = Hm—H y >0 ;
Riteniamo utile aggiungere qui qualche ulteriore precisazione nei riguardi della potenza di un impianto idroelettrico. Prendiamo a tal fine in considerazione il più generale tipo di impianto, con derivazione a pelo libero, rappresentato molto schematicamente in figura 5.26; tutti gli altri tipi, più semplici, possono, in definitiva, ricondursi ad esso come casi parti-
ed anzi si deve fare in modo che esso, inevitabilmente inferiore a Y, ne differisca il meno possibile. Il dislivello AH fra i carichi totali nelle sezioni di ingresso e di uscita della turbina viene chiamato salto utile; esso rappresenta la differenza fra l'energia meccanica che l'unità di peso del liquido possiede prima d'entrare nella macchina e quella che le rimane quando ne esce, quindi l'energia che la stessa unità di peso cede alla macchina nell'attraversarla. Se ora moltiplichiamo tale energia specifica AH per la portata in peso yQ della corrente troviamo ovviamente l'energia ceduta dalla corrente alla macchina nell'unità di tempo: la diremo potenza ceduta dalla corrente alla macchina e la indicheremo con Pt = -rQ (Bir — Hv).
(5.34)
In altri termini, diremo potenza ceduta alla macchina la differenza fra la potenza della corrente nelle due sezioni di ingresso e d'uscita. Per effetto delle perdite di energia nelle condotte essa risulta un po' più piccola della potenza disponibile dell'impianto, data da: FIG. 5.26
Pd = yQY. Il valore di P, fornito dalla (5.34) risulta ovviamente espresso, nel S.I. in W; otteniamo il valore in kW, comunemente impiegato, dividendo per 1000: Pl
=
1000
Q AH= 9,81 Q AH (kW).
(5.36)
La potenza Pe effettivamente ritraibile dalla turbina è però inferiore a quella che le viene ceduta dalla corrente, a causa delle resistenze, idrauliche
colari. Il principio informatore dell'utilizzazione è il seguente. Sia ABC il profilo altimetrico del corso di acqua che si intende sfruttare: siano zi e z2 le quote di fondo nelle sezioni estreme del tratto da sottendere con l'impianto, h1 e h2 le altezze d'acqua nelle sezioni stesse, V1 e 172 le rispettive velocità. Sia le altezze che le velocità non risultano in genere molto diverse da sezione a sezione, sicché quasi in ogni caso, salvo per qualche impianto a bassa caduta, è lecito trascurare le differenze h 1 — ha e ( V21 — V22) /2g di fronte al dislivello z1 — z2 ; tale dislivello corrisponde pertanto alla differenza fra i carichi totali nelle sezioni estreme, cioè a quello che abbiamo definito carico disponibile:
Hd
= —
Z9 .
146
IL TEOREMA DI BERNOULLI
Tale carico viene dissipato dalla corrente, nel corso d'acqua naturale, a causa delle resistenze opposte dall'alveo, sempre più o meno scabro e accidentato. Scopo dell'utilizzazione è appunto di ridurre al minimo le resistenze, convogliando la corrente in un alveo artificiale con pareti poco scabre, con percorso rettilineo o quasi, per poter quindi utilizzare in una macchina l'energia che si viene così a risparmiare. A tal fine, sbarrato il corso d'acqua mediante una diga o una traversa nella sezione di presa, la corrente viene deviata in una canale se lo sbarramento, di modesta entità, non crea un grande serbatoio, oppure in un condotto in pressione (di norma una galleria, seguita da una o più condotte forzate). Abbiamo già in sostanza esaminato quest'ultimo caso che, salvo dettagli sui quali ora non ci dilunghiamo, può ritenersi schematizzato in fig. 5.25. Il primo caso invece è quello indicato in fig. 5.26: il canale a pelo libero (che può eventualmente, a tratti, entrare in galleria, mantenendosi però sempre la corrente a pelo libero), termina con una espansione di non grande capacità, detta vasca di carico: da essa si stacca la condotta forzata (o un gruppo di condotte forzate) che convoglia la portata, in pressione, alla macchina; a valle di questa, dopo il diffusore o eventualmente un altro tronco di condotto in pressione, si può avere un canale di restituzione, che riporta la portata al corso d'acqua, nella sezione terminale del tronco sotteso. Abbiamo già definito il salto utile H , al quale è proporzionale la potenza effettivamente ceduta dalla corrente alla turbina. Accenniamo ora che viene anche definito, convenzionalmente, un salto nominale H. dislivello fra i « peli morti » subito a monte della condotta forzata (cioè nella vasca di carico) e subito a valle del condotto in pressione che segue la macchina (cioè all'inizio del canale di restituzione, v. fig. 5.26): e si dice potenza nominale quella calcolata mediante il salto nominale: Pn= nel decreto di concessione, con cui lo Stato concede alla Società o all'Ente produttore di energia lo sfruttamento del corso d'acqua per utilizzazione idroelettrica, la potenza che viene presa in considerazione per stabilire il canone di concessione è precisamente la potenza nominale. Vediamo ora lo schema di funzionamento di una macchina operatrice: in questo caso è la macchina che cede energia alla corrente idrica, e pertanto al passaggio attraverso di essa dovremo constatare un innalzamento della linea dei carichi totali. Facciamo riferimento allo schema di impianto di sollevamento indicato nella fig. 5.27, destinato a portare un liquido dal serbatoio A al serbatoio B, che al solito supporremo abbastanza grandi; siano HA e HB i livelli dei peli liquidi nei due serbatoi sopra il piano orizzontale di quota z = O (o i livelli dei piani dei carichi idrostatici, più generalmente, per considerare anche il caso che uno o entrambi i serbatoi contengano il liquido in pressione), e sia HB > HA. Evidentemente il dislivello Y = HB — HA
SCAMBIO DI ENERGIA FRA UNA CORRENTE E UNA MACCHINA
147
rappresenta l'eccesso di energia che l'unità di peso del liquido dovrà possedere in B rispetto a quella che possedeva in A, quindi il minimo valore dell'energia che la pompa deve cedere all'unità di peso del liquido. In realtà però la pompa dovrà fornire più energia di quella ora indicata, per sopperire alle resistenze che la corrente incontra nel suo moto.
Sia Q la portata della corrente in una determinata situazione di regime; anche la portata Q, analogamente a quella di una turbina, può essere fatta variare, entro certi limiti, agendo a mezzo di un dispositivo di regolazione e intercettazione, nel caso più semplice e comune una saracinesca, il cui funzionamento preciseremo in altro capitolo. Lungo la condotta che collega il serbatoio basso A con la pompa, detta condotta di chiamata o di aspirazione (in un certo senso il liquido viene aspirato attraverso di essa dalla pompa che provoca nella sua sezione terminale un abbassamento della quota piezometrica sotto il valore idrostatico e sovente una depressione), la corrente subisce una perdita di carico continua LA e spesso anche delle perdite localizzate (per esempio all'imbocco, se non ben raccordato); nella sezione d'ingresso alla macchina il carico totale assume conseguentemente un valore Hm < HA . Per determinare il carico totale H v nella sezione di uscita conviene partire dal serbatoio d'arrivo B; dovremo aggiungere alla quota piezometrica HB in B l'altezza cinetica della corrente allo sbocco e le perdite di carico nella condotta che collega la pompa al serbatoio, detta comunemente di mandata (o premente): almeno la perdita continua L2J2 , eventualmente qualche perdita localizzata. 11 dislivello AH = Hv — H m ,
148
IL TEOREMA DI BERNOULLI
ESTENSIONE DEL TEOREMA DI BERNOULLI AI FLUIDI COMPRIMIBILI
certamente positivo, viene chiamato prevalenza totale: esso rappresenta ovviamente l'energia che la pompa deve effettivamente cedere all'unità di peso del liquido che la attraversa. Se moltiplichiamo tale energia per la portata in peso troviamo l'energia ceduta al liquido nell'unità di tempo, cioè la potenza ceduta dalla pompa alla corrente: Pt = yQ MI (W),
(5.38)
o, in kW: =
1000
Pe =
5.11 Estensione del teorema di Bernoulli ai fluidi comprimibili Rinunciando all'ipotesi della incomprimibilità del fluido è possibile ottenere una ulteriore importante estensione del teorema di Bernoulli; ci limitiamo qui però soltanto ad un breve cenno, poiché l'argomento è diffusamente trattato in altri corsi: più che altro, cercheremo di porre in evidenza qualche sostanziale differenza concettuale fra le due situazioni. Rifacciamoci da capo all'equazione di Eukro p
Q AH (kW).
In realtà la potenza della pompa, cioè la potenza che la pompa deve a sua volta ricevere dal motore che la muove, deve essere maggiore del valore ora calcolato, per sopperire alle inevitabili perdite, idrauliche e meccaniche, entro di essa. Detto n il rendimento della pompa (rapporto fra la potenza da essa ceduta alla corrente liquida e quella ricevuta dal motore) si ha: yQ AH (5.39)
Il rendimento delle pompe è di norma un po' inferiore a quello delle turbine di pari potenza; può essere compreso, attualmente, fra 0,75 e 0,85 soltanto se si tratta di pompe grosse e quindi disegnate con particolare cura (anche a mezzo di sperimentazione su modello). Vale la pena di ricordare che nell'uso corrente si designa come prevalenza di una pompa non già il dislivello fra i carichi totali nelle sezioni di uscita e di entrata (come abbiamo fatto sopra), bensì il dislivello fra le analoghe quote piezometriche, di più semplice e immediata misura; con maggiore precisione e per evitare equivoci dovremmo allora parlare di prevalenza manometrica. Le due prevalenze, manometrica e totale, differiscono soltanto nel caso che le sezioni di ingresso e d'uscita della macchina abbiano area diversa; ma la differenza è quasi sempre trascurabile. Comunque è ben chiaro che nella formula che dà la potenza deve entrare la prevalenza totale. Al dislivello Y possiamo invece dare il nome di prevalenza geodetica; vogliamo almeno ricordare che in alcuni casi importanti può essere Y = 0, per esempio negli impianti di circolazione, in cui la pompa serve per muovere la corrente liquida in un circuito chiuso e quindi solo per vincere le resistenze da essa incontrate. In qualche caso può anche essere Y < : per esempio, quando il dislivello disponibile fra i due serbatoi non sia sufficiente per muovere la portata che si vuol far passare dal più alto al più basso (sicché la portata che si muoverebbe liberamente sarebbe minore di quella voluta), si può inserire in qualche punto della condotta una pompa che sollevi la linea dei carichi totali all'altezza necessaria.
149
(F — A) = grad p,
che, nell'ipotesi che la forza di massa si riduca al solo peso e quindi valga la (5.1), dividendo tutto per y = pg si può scrivere: 1 dv
1 = — grad p + grad z; y
va notato che, nel caso ora in esame, non è lecito portare il fattore 1 /y sotto il segno di gradiente. Proiettando sulla traiettoria ed applicando, per la v, la regola di derivazione eulerian.a, otteniamo ora:
a a8
(
v2 \ + 2g 1
y
ap
1
98 —
g at •
.
(92)
(5.40)
Il peso specifico -y, variabile, deve ritenersi funzione di p secondo l'equazione di stato che caratterizza il particolare processo di movimento. Nell'ipotesi di moto permanente il secondo membro è nullo; integrando rispetto ad s, cioè lungo la traiettoria, si ottiene: z+
v2
+
29
fa
1
ap
ds = cost.
O y(P)
Se poniamo in generale: E =
1 ap
de,
(5.42)
P(P) il teorema di Bernoulli, applicato ai fluidi perfetti, pesanti, comprimibili, afferma dunque che, lungo ogni traiettoria, il trinomio: v2 E z+ --+--2g g
(5.43)
mantiene valore costante: esso ha le dimensioni di una lunghezza, come è facile riconoscere.
150
IL TEOREMA DI BERNOULLI
ESTENSIONE DEL TEOREMA DI BERNOULLI AI FLUIDI COMPRIMIBILI
Nel caso particolare che il fluido nel suo movimento subisca una, trasformazione adiabatica, è noto dalla termodinamica che la E (che è una funzione di stato) rappresenta, in unità meccaniche, il contenuto termico a pressione costante dell'unità di massa: essa prende il nome di entalpia, mentre daremo il nome di altezza entalpica al rapporto E fg, che rappresenta ovviamente l'analogo contenuto termico riferito all'unità di peso. Se la trasformazione è qualunque la E definita dalla (5.42) non ha un significato fisico così preciso (essa si riduce senz'altro all'altezza piezometrica, moltiplicata per g, quando sia p = cost, cioè per fluido incomprimibile); vale comunque sempre la (5.43) per esprimere il teorema di Bernoulli. Poiché questa equazione si applica particolarmente ai gas, che sono i tipici fluidi comprimibili, si riconosce che essa può essere semplificata trascurando il primo addendo di fronte ai rimanenti: esso sta infatti a rappresentare il contributo di energia posizionale derivante dalla gravità, di norma trascurabile, a causa del piccolo peso specifico dei gas, di fronte alle altre forme di energia. Scriveremo dunque, con buona approssimazione: v2
E
— — 2g g
oost.
nelle due sezioni, E1 ed E2 le entalpie, sarà dunque:
d,n*
1 — (E2 — El) =
le—!
(esponente adiabatico) il rapporto fra i calori specifici a pressione costante e a volume costante, p* la pressione (*) e y il peso specifico in una generica sezione trasversale (dove li riterremo costanti, il che equivale a ritenere gradualmente variata la corrente) e pi* e yi i valori che le stesse grandezze assumono nella sezione iniziale del convergente. Ricaviamo: 1
y
=
)1Ik
1 (
.p*
p l/k
f2
Yi
ii
dp *
Ti
Il teorema di Bernoulli assumerà pertanto l'espressione: 1
2
k
_2
— ( 172 — V i) = 2g
[
k— 1
1 —
-
P
(5.45)
A questa equazione dobbiamo aggiungere quella di continuità, esprimente la costanza della portata in peso Q p che attraversa le successive sezioni della corrente. In particolare, dette A 1 ed A2 le aree delle sezioni estreme del convergente: Qp = COSt = yi V1A
= T2V2A2 ;
il rapporto m -= A 2 Mi viene detto rapporto di strozzamento; ricaviamo: Y2 Ti V1 = m -- r 2 .
yi
Anzicché il rapporto fra i pesi specifici è però preferibile considerare il rapporto fra le pressioni, più facilmente misurabili, il che può farsi a mezzo dell'equazione di stato:
P* Pt —= — «Yk = cost, nrk l essendo le
=
y
(5.44)
Come esempio di applicazione del teorema di Bernoulli per fluidi comprimibili studiamo la possibilità di misurare la portata di una corrente gassosa mediante un venturimetro. Data, la brevità del convergente, possiamo ritenere trascurabili gli eventuali scambi di calore lungo di esso e quindi adiabatico il processo di moto che vi si svolge: anzi addirittura isoentropico, in conseguenza dell'ipotesi che il fluido sia perfetto. L'equazione di stato da adottare è pertanto:
151
Y2
I A \1Ik
(1
k
^
;
Pt )
in definitiva dunque la (5.45) potrà scriversi: 2
pl )2/k
V2 ____[1 _ ?n,2(__ 2g Pi
k k—
i
Pi 1 yl
* (k---1)1k
[i _ (_„ -P2 )
L
P1
i.
Di qui possiamo infine ottenere l'espressione della portata, in funzione delle pressioni pi* e p2* e del peso specifico nella sezione iniziale, oltrecché degli elementi geometrici che caratterizzano l'apparecchio (A2, m): A \1/k
Detta p2* la pressione nella sezione terminale, V1 e V2 le velocità medie (*) Le pressioni devono ovviamente intendersi misurate nel sistema assoluto.
yi ( Qp = y2 V2A2 —
Pi
A2
D% 2/k 1 I 1 — M 2 ("' ' ) Pi
i I 2g
k
pt [ i A Vk -1
Ic — 1 yl
1
kA)
1
.
152
U
TEOREMA DI BERNOULLI
153
MOTI MROTAZIONALI
La misura venturimetrica, è dunque possibile, ma si deve notare una sostanziale differenza rispetto all'analoga misura per un fluido incomprimibile : mentre per quest'ultimo basta leggere una differenza di quote piezometriche ad un manometro differenziale, per il gas occorre misurare separatamente le due pressioni pi* e p2* (oppure pi* e la loro differenza) ed occorre inoltre conoscere il peso specifico T i , o almeno la temperatura Ti che può servire a calcolarlo a mezzo dell'equazione di stato. Esponiamo ancora, come esempio di applicazione del teorema di Bernoulli a moti di fluidi comprimibili, la teoria del tubo di Pitot ; essa presenta anche un notevole interesse pratico, perché alcuni dispositivi tachimetrici per aerei consistono appunto sostanzialmente in tubi di Pitot, con la presa dinamica situata in. corrispondenza della linea di prora di un'ala. Anche qui il processo è praticamente adiabatico. Indicate con l'indice 1 le grandezze relative al fluido a monte, non ancora disturbato dal moto relativo (con V 1 , in particolare, la velocità relativa del fluido rispetto all'aereo) e con l'indice 2 quelle relative al punto di ristagno e tenuto presente che ivi la velocità (relativa) è nulla, la (5.45) dà subito:
2
Vi
pt
r ( p, )
(
e cioè: k 2
)4 + k (2 —k) (Vi ) 6 48
k ( 8
k
Dividendo ora tutto per il primo addendo del secondo membro, che può anche scriversi:
2,72 171 V rrl
2
k Vi 2 c2
2
2gpt
kpt — Pi
si ottiene infine:
* p2
*
2 —k 24
—pi
Cl
\4 + ..i=
n Vi
k-1)Ik
(5.48)
— 2g •
—
k- 1 yi
k
Vi )2 +
L pi
50
Si ricava:
100(c-1) —[
(k — 1) Vi2 2
1013
+
1
–k (k-1)
(5.46)
30
Ricordiamo ora (ved. pag. 12) che
kin Pi
1 2 = — =- Cj, Pi
20
essendo ci la celerità del suono in un mezzo di densità pi alla pressione con ciò la (5.46) si scrive
r+
pi*; 10
2 _ r k_i ( 2 Pi k ci i
–
Per valori non molto grandi di Vi, cioè quando la velocità dell'aria (relativa all'apparecchio) sia ancora abbastanza al disotto della celerità , del suono, possiamo sviluppare in serie la potenza del binomio arrestandoci ai primi termini. Si ottiene: * k ( 171 )4 P2 =.-- I + —___ k ( 171 ____ )2 ____ V1 6 + _ ___ _ + k (2 — k) (.____ ) + . .. 2 ci PI 8
40
ci
48
.. ' ci
oL 200
400
600
1000
800
LWO
1600
Vì lkm/h) 14°U
Fio. 5.28
Rispetto alla formula (5.16) che si era trovata per un fluido incomprimibile compare dunque il fattore correttivo O > 1 che mette appunto in conto la comprimibilità. Posto:
* P2
*
=
A
154
si riconosce immediatamente che la funzione p deve soddisfare alla relazione:
potremo scrivere infine: (5.49)
C pi
Per un volo alla pressione atmosferica normale alla temperatura di 15°C si ha ci. = 341 m/s. Nella fig. 5.28 sono stati riportati in funzione di V1 gli scarti percentuali di C rispetto all'unità. Si riconosce in particolare che per la velocità di 500 km/h (139 m/s; V1 = 0,407 ci) si ha ancora soltanto C = = 1,042, il che significa che, ponendo C = 1, si valuterebbe la velocità in eccesso con un errore del 2,1 %, del tutto accettabile per fini pratici. Per = c1 = 1228 km/h circa, l'errore sarebbe invece all'11,5 % circa.
5.12 Moti irrotazionali Prima di chiudere questo capitolo, crediamo utile dare qualche notizia sui moti irrota,zionali; sebbene essi siano assolutamente eccezionali per i fluidi reali (le poche situazioni individuate sono prive di interesse pratico), si può dire che, per contro, costituiscano la norma per i fluidi perfetti; e, per essi, come vedremo, il teorema di Bernoulli assume una maggiore generalità. Si dice irrotazionale il campo di moto di un fluido, quando in ogni suo punto sia nullo il rotore del vettore v; quando cioè in ogni punto si abbia:
au av av aw au = ; = ; = 0. ay az ay — ax az
v = grad ;
bu
'29
bx
al' '
9 az '
w =— -a •
V
(5.52)
, la funzione p si dice potenziale di velocità o potenziale cinetico. Per il caso dei fluidi incomprimibili poi, per i quali l'equazione indefinita di continuità assume la forma:
ax
by
az
e « 2,
ez 2
ay2
8,2
=
89 by
=
ap az
aY bit
w
ax
= A29 = O,
(5.53)
1 b29 — = 2 ax2
1 (29 )2 — = 2 ax ax a
axay
2
O bx
4929
_ 1 2
a bx
a2 p
—
axaz
1
bx
,
i a9 \2
i
9V2 .
t
2
bx
(acp ) 2
1
bz
2
by !
bx
e quindi, per la derivata sostanziale della IL:
o, in forma scalare, che si possa porre: u = —L P ; v = — -
a2 c,
au — 29 ax bx
u
(5.50)
(5.51)
a2„
cioè deve essere armonica. È stato dimostrato che, se in un qualsiasi istante il moto di un fluido perfetto è irrotazionale, tale proprietà si conserva indefinitamente. Ne segue in particolare' che se un fluido perfetto inizia il proprio moto dalla quiete (cioè da una situazione ovviamente irrotazionale), tale moto deve necessariamente essere irrotazionale: proprio di qui deriva l'importanza dello studio di questi moti nella dinamica dei fluidi perfetti. Cercheremo di illustrare la proprietà ora ricordata con considerazioni fisiche intuitive. Come è ben noto, le (5.50) esprimono il fatto che una particella fluida elementare qualsiasi, nel suo moto, può traslare, deformarsi, ma non ruotare. Se ciò si verifica in un determinato istante, affinché intervenga poi una rotazione è necessario che sulla particella agisca una coppia: che cioè sulla sua superficie di contatto con le particelle fluide adiacenti (o con una parete) agiscano degli sforzi tangenziali; ma questo è precisamente escluso dalla ipotesi che il fluido sia perfetto. Dopo questi pochi cenni, vediamo come si possa ricavare il teorema di Bernoulli per un moto irrotazionale. Dalle (5.52) si ricava:
Perché ciò si verifichi occorre e basta che esista una funzione p dei punti del campo e del tempo della quale il vettore v sia il gradiente:
div v —
155
MOTI IRROTAZIONALI
IL TEOREMA DI BERNOULLI
ap
1
dv,
a
dt
at ax + 2
a
a
az.
ax
ap 1 2 + — v t) , 2 at
avendo indicato con v ‘ (onde evitare confusioni) la velocità intensiva, cioè il modulo di v. La prima delle equazioni di Eulero dà allora per un fluido incomprimibile : 2
()Ex
a
(23 + P
vi b9 ot —+ P
156
TEOREMA DI BERNOULLI
157
ESERCIZI
e analogamente si scrivono le altre due. Nel caso poi che la forza di massa F sia il peso, introdotto il potenziale della gravità U --= gz cost, le tre equazioni si sintetizzano nell'unica vettoriale: —
a = 0,1 m
grad (z
+p+ y
2
+
2g
ap\ = g Ot )
da cui integrando:
b = 0,7 m
z+
2
_i_ vi 2g Y
——
i acp -
g
(t), A
essendo la f funzione della sola t. Nel caso infine del moto permanente:
c = 0,3 m
P z — y
2
vi = cost 2g
(5.54)
e, si noti, costante per tutto il campo del fluido in moto e non solo lungo ogni traiettoria, come avevamo ottenuto per il caso di un moto qualsiasi. La ragione di questo risultato è abbastanza evidente: poiché ogni moto irrotazionale può pensarsi generato dalla quiete, cioè da una situazione in cui il carico totale si riduce alla quota piezometrica, costante in ogni punto per l'equazione fondamentale dell'idrostatica, ad ogni traiettoria viene a corrispondere lo stesso valore della costante che compare nella (5.54).
I
0,1M FIG. 5.30
FIG. 5.29
5.4 Nella condotta di fig. 5.32 defluisce una portata Q = 240 l/s di olio (y = 8139 N/m3); ammesso il liquido perfetto, determinare l'indicazione A del manometro differenziale (y. = 133362 N/m 2) (A = 0,026 m).
ESERCIZI 5.1 Un liquido perfetto (y = 8825 N/m 3 ) defluisce nella condotta ad asse verticale di fig. 5.29. Essendo Q = 60 1/s la portata, calcolare la differenza fra le pressioni nelle sezioni A e B (pA—p B = 15876 N/m 2). 5.2 Nel sistema di fig. 5.30 defluisce un liquido perfetto (y = 9806 N/m 3 ). Determinare: — la portata Q effluente; — la pressione p i relativa lungo l'asse del primo tronco di tubazione. (Q = 27,7 1/s; p i = —79674 N1m 2). 5.3 Nell'ipotesi di liquido perfetto (y = 8825 N1m 3 ), calcolare la portata Q del sifone di fig. 5.31. Individuare inoltre il massimo valore della portata scaricabile dal sifone, al variare della quota della sezione di sbocco (Q = 33,9 1/s; = 60,2 1/s). Q.= 5.31
158 159
ESERCIZI
5.7 Per il boccaglio di fig. 5.34, ammesso il liquido perfetto (y = 9806 N/m') e nulla la resistenza dell'aria determinare: — la portata affluente Q; — per a = 30° la massima quota h raggiunta dal getto; — l'angolo a per il quale è massima la distanza L (Q = 24,8 1/s; h = 2,03 m; a = 45°).
o— 2m
F.to. 5.32 n 1 kg/cm2
5.5 Nell'ipotesi di liquido perfetto (y = 9806 N/m 3 ) e di distribuzione uniforme della velocità determinare l'indicazione n (in N/cm 2 ) del manometro metallico inserito nella condotta come indicato in fig. 5.33 (y,,, = 133362 N/m') (n = 10,140 N/cm 2).
FIG. 5.34
5.8 Alcune vecchie locomotive a vapore erano munite di una tubazione come quella rappresentata nella fig. 5.35 per prelevare l'acqua da una vasca posta fra le rotaie e sollevarla nel tender. Determinare, nell'ipotesi di liquido perfetto, la minima velocità Vinin della locomotiva necessaria a sollevare l'acqua fino alla bocca di scarico e quella V necessaria per sollevare una portata Q = 5 lls. (Considerare la locomotiva ferma e l'acqua in movimento) (1 7,,„in = 8,23 m/s = 29, 6 km1h; V = 8,31 m/s = 29,9 km/h).
,
D
0,10m
o 3,5 m
N
FIG. 5.33 FIG. 5.35 5.6 Trascurando la resisten.za dell'aria, determinare l'altezza H di un getto verticale con velocità iniziale 17 =-20 m/s. Se la sezione iniziale ha un'area A = 0,20 m2, calcolare la portata Q del getto e la sua area A1 all'altezza H1 = 10 m (H = 20,4 m; Q = 4 m 3 /s; A1 0,28 m 2).
5.9 Determinare la potenza P ceduta dalla pompa di fig. 5.36; il liquido è da ritenersi perfetto (y = 12257 N/m 3); il manometro metallico fornisce l'indicazione n = 7,845 N/cm2 x = 133362 N1m 3) (P = 37,5 kW).
160
ESERCIZI
161
IL TEOREMA DI BERNOULLI
FIG. 5.36
5.10 Per il sistema di fig. 5.37, nel quale defluisce un liquido con peso specifico y = = 10787 N/m3 , e per il quale si ritengono trascurabili tutte le perdite di carico, determinare: — la portata effluente Q(Q = 368 l/s); — la potenza P ceduta dalla pompa al liquido (P = 83,8 kW); — la quota massima h raggiunta dal getto (h = 11,05 m).
45 °
5.12 Determinare il modulo S della spinta che si scarica sul boccaglio di fig. 5.39 (G = 0,85); il liquido è da considerarsi come perfetto (y = 9806 N/m) (S = = 3030 N).
•
N\
02
0,15m
—TTA n=- 2,5 kg/cm2
Fio. 5.37 5.11 Ritenendo trascurabili le perdite di carico lungo il diffusore, determinare la portata Q e la potenza P sull'asse della turbina di fig. 5.38; la turbina ha un rendimento 71= 0,80 (y„, = 7354 N/m 3) (Q = 0,56 m 3/s, P = 240 kW).
5.13 Determinare il modulo S della spinta del getto piano sulla piastra di fig. 5.40 sia quando questa è ferma, sia quando si muove con velocità v = 3 m/s, nella direzione del getto. In quest'ultimo caso valutare la potenza P ceduta alla piastra. Il processo di moto avviene su un piano orizzontale. (S1 = 11473 N/m; S2= 8031 N/m; P = 13,8 kW/m).
162
IL TEOREMA DI BERNOULLI
ESERCIZI
163
—
i— C, = 0,85 • — 0,-- 0.2 m —
i
v
— D1
FIG. 5.40 5.14 Nella curva di fig. 5.41 circola olio (y = 8531 N/m 3 ); ritenuto il liquido perfetto determinare la portata Q e le componenti So orizzontale e S verticale della spinta sulla curva; il diametro varia linearmente con l'angolo O (yo, = 133362 N1m3 ) (Q = 84 l/s; So = 7325 N; .5,, = 3236 N).
0,3m — •
Li
FIG. 5.42 5.16 Trascurando tutte le perdite, calcolare le componenti S,, verticale della spinta sul tronco a T compreso fra le sezioni A, B e C, giacente in un piano verticale (fig. 5.43); il liquido in circolazione ha peso specifico y = 8335 N/m 3 (So = 19004 N; Sy = 7541 N).
A C13 =100 8
liS
-----— —8
C = 1,6 m
02 = 0,3 m Af — nel
-
-
0,4111 • - -
03 --- 0,2m a = 2m
C
TI C
b
1,7 kgic 2 n
Fro. 5.41 5.15 Nel di fig. 5.42, posto in un piano verticale, defluisce olio (y = 9316 N/msistema 3 ) che si può ritenere siecomporti come un liquido perfetto. Determinare le componenti So orizzontale S,, gia A-B (So = 13738 N; S = 2589 verticale della spinta che si scarica sulla flanN).
FIG. 5.43 5.17 Dalla sezione terminale del tubo di fig. 5.44, che ha il proprio asse in un piano orizzontale, defluisce una portata idrica Q = 12 llsec; valutare la coppia M necessaria perché il dispositivo non ruoti attorno all'asse verticale di traccia O (M= 15,5 Nm).
164
M TEOREMA DI BERNODLLI
0,3m (/ C D i 0,10m • AA
6. Equazioni del moto dei fluidi reali
i Li» n, ,
FIG. 5.44 5.18
Trascurando gli attriti meccanici, e ammesso che ambedue i boccagli del sistema di fig. 5.45, eroghino la stessa portata Q - = 10 lis, determinare, in condizioni di moto permanente, la velocità di rotazione c» del sistema attorno all'asse verticale della tubazione adduttrice (co = 0,255 rad/s).
D=0,1 m
D = 0.1 m
II
2,0 m
>
Fm. 5.45 5.19
Una pompa solleva acqua da un serbatoio come mostrato in fig. 5.46. Ammesso che il liquido si comporti come perfetto, determinare la componente orizzontale S. della spinta sul supporto della pompa, quando la sua potenza teorica è P= 10 kW (So = 2932 N).
6.1 L'ideale schema del fluido perfetto, introdotto nel precedente paragrafo 4.1, oltre a fornire una insostituibile base per il generale inquadramento del processo di moto di un fluido, consente anche di studiare una numerosa serie di fenomeni, caratterizzata dalla rapida trasformazione di energia potenziale in energia cinetica, come si verifica ad esempio nei processi di effiusso, oppure nelle correnti accelerate dei convergenti; in queste situazioni, che sono state esaminate nel capitolo 5, l'influenza degli sforzi tangenziali può essere trascurata rispetto a quella delle altre forze in gioco. Esiste però tutta una vasta categoria di processi di moto, di notevole importanza pratica, in cui gli sforzi tangenziali hanno influenza determinante e non possono pertanto essere trascurati: si pensi a quanto è stato detto nel paragrafo 5.7, circa la necessità di modificare l'espressione del teorema di Bern.oulli per adattarla a quelle situazioni in cui non si può prescindere dalle proprietà dei fluidi reali. In questo capitolo ci proponiamo appunto di individuare le equazioni del moto di un fluido reale, esplicitando le componenti degli sforzi in funzione delle sue proprietà fisiche; questo esame viene limitato al caso dei fluidi newtoniani, caratterizzati, come già visto, da un valore della viscosità indi-
pendente dagli sforzi e quindi dal moto. 7m
6.2 Le equazioni di Navier per i fluidi viscosi Lo stato di sforzo (v. par. 1.4) è definito dalle tre componenti tangenziali -rx , r,, -rz e dalle tre componenti normali ax , ay , az ; queste ultime in generale assumono valori differenti, ma la loro somma è una invariante e cioè è identica per tutte le terne di assi con vertice nel generico punto considerato. Si può trarre partito da questa proprietà per estendere il concetto di pressione p che abbiamo introdotto nel par. 1.4 per il caso isotropo del fluido perfetto; porremo precisamente:
P = —3 - (az + ay + O'), [165]
(6.1)
166
EQUAZIONI DEL MOTO DEI FLUIDI REALI LE EQUAZIONI DEL MOTO DEI FLUIDI REALI
essendo ancora p
167
una quantità scalare funzione soltanto dei punti del campo e del tempo. Lo stato di sforzo può allora considerarsi dato dalla sovrapposizione di due parti: l'una costituita dai soli sforzi normali dovuti alla pressione p, alla quale soltanto si fa riferimento quando si considera il fluido come perfetto; la seconda individuata dalle sei componenti che nascono durante il movimento a causa della viscosità, e alle quali è da attribuire il differente comportamento del fluido reale rispetto a quello perfetto Si viene così a scomporre il tensore degli sforzi nella somma di una parte che possiamo chiamare idrostatica e di una parte che trae origine dal movimento e che viene indicata come deviatore degli sforzi:
I
ax
TZ
1-z
ay
Ty
Tx
Ty
IO
O
O
P
O I + i -rz
O
O
P
P
Tz l = Crz
az — p
Tz
ay —p
Ty
Tx
Questa scomposizione, tra l'altro, giustifica la definizione (6.1), in quanto rende evidente il fatto che all'annullarsi del movimento, cioè al tendere a zero del deviatore, gli sforzi normali a z , ay , az tendono precisamente al comune valore idrostatico p. Per definire l'equazione del moto occorre stabilire, a mezzo delle constatazioni sperimentali e delle peculiari caratteristiche degli sforzi, i legami fra le sei componenti del deviatore, la viscosità p. e le componenti u, v, u; della velocità, alle quali è connessa la deformazione che subisce il fluido in movimento. Prima di sviluppare questa analisi conviene riesaminare la relazione di Newton (1.11) che ci è servita per introdurre il concetto di viscosità, allo scopo di darne una facile interpretazione cinematica, basilare per tutte le considerazioni successive. Consideriamo la semplice situazione di un moto permanente piano (nel piano x, z) con direzione secondo l'asse x (fig. 6.1); la velocità ha l'unica componente u che risulta funzione della sola z. Sia AB una fila di particelle che in un dato istante sono allineate lungo un segmento dz parallelo all'asse z; dopo un intervallo di tempo dt dette particelle assumono la nuova posizione CD, tale che AD = u dt e BO = = (u + (duldz) de) dt. variazione in finitesima:L'originario angolo retto BA]) ha perciò subito una Be AD
— dir =
AB
(u +
ds
=
dz) dt u dt —
dz
di
alla quale corrisponde la velocità di deformazione angolare: dy — — dt dz
F 1G . 6.1
az — p
(6.2)
La variazione della velocità lungo la normale alla direzione del movimento comporta la comparsa di uno sforzo tangenziale che, per la relazione di Newton vale:
iTvl
du = dn =
du
e che sullo strato AD agisce in direzione contraria al moto; per tener conto di ciò gli assegn.amo segno negativo e perciò in definitiva possiamo scrivere: d2G
Tv
=
dz
Ma, tenuto conto della (6.2), questa espressione assume anche la forma: du
dy
717 z che mostra una proporzionalità diretta fra lo sforzo tangenziale e la velocità di deformazione angolare. Questa constatazione dedotta per il caso semplice di un moto piano per strati paralleli, conduce a formulare l'ipotesi che anche in un movimento qualunque le componenti degli sforzi di origine viscosa siano funzioni lineari delle velocità di deformazione. Supposto che tali velocità siano piccole si può precisamente ammettere che il legame fra sforzi viscosi e velocità di deformazione sia lineare ed omogeneo, e formulare perciò le due seguenti ipotesi: le componenti tangenziali -rz , 'r 1 , -rz sono proporzionali alle velocità di deformazione angolare dy,Idt, dy y ldt, dyz ielt; le componenti normali az — p, ay — p, az — p sono funzioni lineari delle velocità di deformazione
1 168
EQuAzioNr
LE EQUAZIONI DEL MOTO DEI FLUIDI REALI
DEL MOTO DEI FLUIDI REALI
lineare dsz ldt, dz y ldt, dei ldt, essendo Ex , sy Ez gli allungamenti unitari nelle tre direzioni x, y, z. Si faccia riferimento al solito parallelepipedo elementare di lati dy, dz paralleli ai tre assi (fig. 6.2). Siano, in un dato istante, u, v, w dx, le componenti della velocità del vertice O (x, y, z); nello stesso istante le componenti della velocità nel vertice A, di coordinate x + dx, y, z, valgono:
zione, le componenti tangenziali agenti sulle facce del parallelepipedo concorrenti in O risultano:
,
Ozi u + —dx, ax
av v+ dx, ax
ii
i
I
..rx _= p.
aw øx
ai/ — P.
analogamente risulteranno espresse quelle negli altri vertici B e C.
Tz = P,
i Du dz dt
1- Ami ' . i ,
169
dyz dt
d'Yy dt
022 aw = _ p. (..__ + —__) ; by
az
—
P-
dyz _ il
aw au \ . + ( ax az i
Fau_ + ay
dt
(6.3)
av ) .
ax
Consideriamo ora, nel piano xy, il quadrato infinitesimo ABCD (v. fig. 6.3), e proponiamoci di riconoscere quale sia lo sforzo normale ay — p sulla diagonale AC che trae origine dalla presenza degli sforzi tangenziali
V Ar - aw
udt
—
wcit 2>x
O
A b)
FIG. 6.2
Dopo un intervallo di tempo dt, l'angolo y — COA, a meno di infinitesimi di ordine superiore subisce, come appare dalla fig. 6.2b, la variazione:
au
A
aw
— dyy = (— + —) dt az ax e cioè diminuisce con la velocità di deformazione angolare:
cbry dt
au
aw
az
ax
• D
Analogamente per gli angoli AOB e COB la velocità di deformazione .vale:
dy, dl
au
ay
av ; + _____ OD
dyz dt
av az
+
aw ay
Ammessa pertanto la proporzionalità fra sforzi e velocità di deforma-
Fio. 6.3 .r.-z sui lati del quadrato. Sui tre Iati del triangolo ACD agiscono pertanto
le forze AD • Tz ;
CD •
Ty ;
AC •
(
Cfy
—
p);
r., 170
itj oA :N:
peril loro equilibE:
D E:e M : O T O DEI FLUIDI REALI
LE EQUAZIONI DEL MOTO DEI FLUIDI REALI
171
esse +
dx
1/2 2
= V2 (
—
dx)dt•-j edx
u
p),
cioè: •
cry — = Tz -
udt
FIG. 6.4
Se poi consideriamo il triangolo ADB, troviamo analogamente (tenuto conto del segno opposto dello sforzo normale): e analogamente: e sottraendo:
ay — ax = 2Ty •
dey dt
(6.4)
CC' — CD
dez dt
-
aw az
Sostituendo nella (6.5) si ha dunque:
Consideriamo ora la deformazione, conseguente agli sforzi, dell'originario quadrato nel rombo A'B'C'D. Come risulta dalla figura, si ha: C'C" OC
av , ay
au
dyz
av
—— = dt ax
Ayz 2 '
Tenuto conto ora che:
e analogamente
dyz =
dt
dalla (6.4) si ottiene: Le corrispondenti velocità di allungamento sono dunque: crx —
der = 1 dyz • dt 2 dt
dEy —
dt
1 2
dyz
11
dt
e sottraendo: dyz
v
dt
= dt
(,z
zy).
ay = — 2 [1,
Su
av
&Y )
Ripetendo lo stesso procedimento con riferimento al piano x, z, si ha:
(6.5)
Su
0w
aX
aZ
att,
au
aX
aX
e possiamo aggiungere l'identità:
D'altra parte, considerando la fig. 6.4, si riconosce che l'allungamento unitario subito dal cilindretto di lunghezza infinitesima dx nel tempo dt è
Crx — Crx = — 2 p„ (-- — —) .
Su — dxdt ax dez — dx
=
au dt, ax
sicché la velocità di allungamento nella direzione x risulta:
Sommando: ,
au
au
3az — (ax + ay + az) = — 611 — + 2 41, i— ax ax
av
+— ey +
aw \ — az ) ,
cioè, tenuta presente la (6.1):
d Ex au = dt ax
Su
2
ex
3
(6.6)
172
EQUAZIONI DEL MOTO DEI FLUIDI REALI
Analogamente si ottiene: ay — p = — 21.1.
az — p — — 2p.
nota comunemente sotto il nome di equazione di Navier-Stokes; essa è stata . stabilita da Navier nel 1822 e da Poisson nel 1829 sulla base di alcune considerazioni concernenti le forze intermolecolari ; successivamente SaintVenant nel 1843 e Stokes nel 1845 la ristabilirono utilizzando i ragionamenti da noi svolti, e cioè supponendo la linearità fra sforzi e velocità di deformazione conformemente alla relazione di Newton. Questa ipotesi che, come già detto, deriva dalla ammissione che le velocità di deformazione siano piccole, ha ricevuto, come vedremo, completa conferma sperimentale per i processi di movimento in regime regolare. Per quelli in moto turbolento non è ancora possibile una concreta verifica sperimentale, ma neppure le constatazioni sperimentali contraddicono le deduzioni derivanti dalla sopraddetta ipotesi; anzi è accertata una soddisfacente concordanza qualitativa fra i risultati dell'esperienza e quelli teorici. Il confronto fra la (6.9) e la (4.4) relativa al fluido perfetto, mostra che l'influenza della viscosità è espressa dal termine — .1. A2v che rappresenta la risultante, per unità di volume delle forze originate dalla viscosità in ogni punto della massa fluida.
bv
2 -I- — p. div v; 3 aY aw bz
(6.6) +
2
p. div v.
—-
3
Queste espressioni delle componenti normali degli sforzi viscosi assumon.o una forma più semplice nel caso di fluidi incomprimibili (p = cost); in queste condizioni infatti l'equazione di continuità (3.2) fornisce div v -=-- 0 e perciò nelle (6.6) si annulla il termine 2/3 p. div v. Equazione indefinita. - Introduciamo le (6.3) e le (6.6) nelle equazioni scalari (4.3); considerando la prima di queste si ha: du
p (Fx — ____) =.
dt
tu 2 '9P —2—+ 11 __ ax ax2 3
a
[2,
bx
div v —
(92v
( .92u
a2u .92w axay + az2 + axaz )'
6.3 Equazione globale di equilibrio ,
adottando il simbolo A2 con il classico significato: ,92
bx2
a2
b2
ay2
+
az2
173
EQUAZIONE GLOBALE DI EQUILIBRIO
'
Consideriamo qui unicamente il caso del fluido incomprimibile, al quale di massima si farà riferimento nei successivi capitoli. Moltiplicati per l'elemento spaziale ambo i membri della (6.9), integriamo ad un generico volume finito 1V racchiuso da una superficie chiusa di contorno A. Tenuti presenti i passaggi dagli integrali di volume a quelli di superficie già visti al precedente paragrafo (4.2), e l'equazione di continuità (3.2), si ricava:
con semplici passaggi si ottiene: du b p (Fx — —) = °.1) — liAgt — 1 p,— div v. dt ax 3 ax
p j F dW + f pn dA + p f vnv dA —
Analoghe espressioni si ricavano dalle altre due equazioni (4.3); il sistema di tre equazioni scalari così individuato si riassume nell'unica relazione vettoriale: dv p (F — --dT) = grad P — Azv — — 3- p. grad div v,
u
(6.7)
., bv — p f -- d W + g. i
j.
p (F
dv dt
= grad p
—
3,2v,
(6.9)
•
w
A
A 2v dW = O.
Considerato ancora il teorema di Green, l'ultimo termine assume la forma:
(6.8)
che esprime l'equazione indefinita di equilibrio del moto di un fluido viscoso. Quando il fluido è incomprimibile, tenuta presente l'equazione di continuità (3.2), la (6.8) assume la più semplice forma:
A
f wA2v dW — =
f fA an A
(9v
COS 92X
av
- COS
av
ny —
COS 7/Z
aY dA,
essendo, al solito, n la normale alla superficie diretta verso l'interno del volume.
174
EQUAZIONI DEL MOTO DEI FLUIDI REALI
AZIONE DI TRASCINAMENTO DI UNA CORRENTE
Posto inoltre:
=
175
l'angolo formato da tale direzione con l'orizzonte, la componente del peso G vale — G sen a; le quantità di moto M1 e M2 delle portate rispettivamente entrante e uscente sono uguali, sicché la loro differenza è nulla; quanto alle spinte 111. e 112 sulle due sezioni di ingresso e d'uscita, esse valgono rispetti-
pn dA, A
risultante delle spinte elementari agenti sulla superficie di contorno per effetto della sola pressione p, introdotti i simboli già adottati nel precedente paragrafo (4.2), si ottiene in definitiva la relazione:
G
+ — M2 + I —
dA = O, A an
(6.10)
che esprime l'equazione globale di equilibrio di un fluido viscoso incomprimibile. L'intervento della viscosità è rappresentato dall'ultimo termine
av L i — dA, A bn dal quale risulta che l'equilibrio dinamico della massa fluida contenuta in W è indipendente dalle azioni di viscosità che si esercitano all'interno del volume stesso, ma è legato unicamente alla risultante degli sforzi viscosi agenti sulla superficie di contorno. evidente che questo termine si annulla quando il fluido è perfetto.
z=0
FIG. 6.5
6.4 Azione di trascinamento di una corrente L'intervento della viscosità nel moto dei fluidi reali fa sì che gli sforzi che agiscono sulla parete del condotto in cui si muove una corrente presentino componenti tangenziali: si dice azione di trascinamento della corrente sull'involucro il risultante di queste componenti tangenziali; la forza ad essa opposta rappresenta la resistenza dell'involucro. A norma della (6.10) detta A o la superficie dell'involucro, T l'azione di trascinamento, si ha dunque per definizione:
T= i — av
an
dA,
(6.11)
essendo n la direzione della normale interna (cioè diretta verso il fluido) nei singoli punti della parete. L'azione di trascinamento si può calcolare agevolmente, in termini finiti, per il caso del moto uniforme in un condotto cilindrico: in questo caso particolare essa può anche essere definita come la componente, nella direzione del moto, della spinta esercitata dalla corrente sull'involucro. Consideriamo il tronco di corrente indicato in fig. 6.5, con sezione trasversale di area A e lunghezza L, ed applichiamo ad esso l'equazione globale dell'equilibrio dinamico, proiettata nella direzione del moto. Detto a
vamente piA e p2A e sono facilmente calcolabili una volta che sia nota la posizione della linea piezometrica. La spinta sulla parete del condotto ha per componente precisamente la T; si ha perciò:
T = 111
—
112
—
G sen cc = A (231— p2)— yLA sen a ;
poiché (v. fig. 6.5):
L sen a z2 — Z j , ordinando opportunamente otteniamo:
ma l'abbassamento della linea piezometrica, cioè la differenza che figura fra parentesi quadre nella precedente, può esprimersi come prodotto della lunghezza L del tronco di corrente per la cadente J; quindi:
T = yALJ = yVVJ, essendo TV il volume del fluido contenuto nel tronco considerato.
(6.12)
176
EQUAZIONI DEL MOTO DEI FLUIDI REALI
La (6.12) ha validità del tutto generale, per il moto uniforme in un condotto: vogliamo dire che essa vale qualunque siano le modalità del movimento stesso (in presenza o meno di turbolenza); ciò è un'ovvia conseguenza del fatto che essa è stata dedotta a mezzo dell'equazione globale, che prescinde completamente dalla considerazione di quel che avviene all'interno della massa fluida in esame. La (6.12) stessa dice che l'azione di trascinamento esercitata da un tronco di corrente sull'involucro che lo contiene è uguale al prodotto della cadente per il peso del fluido occupante il tronco stesso. Ne emerge anche un ulteriore significato, dinamico, della cadente: essa può essere considerata come l'azione di trascinamen.to mediamente esercitata dall'unità di peso del fluido. Di notevole interesse è anche la considerazione dell'azione di trascinamento unitaria, cioè esercitata sull'unità di superficie dell'involucro; essa ha evidentemente le dimensioni di uno sforzo e la possiamo anche definire
sforzo tangenziale alla parete. In un condotto cilindrico circolare essa è uniformemente distribuita, in conseguenza della simmetria assiale; per un condotto di sezione qualsiasi ciò invece non avviene, ma sarà sempre possibile calcolarne il valor medio. Lo otterremo dividendo l'azione di trascinamen.to complessiva per l'area della superficie laterale del condotto : detto P il perimetro della sezione trasversale, cui viene dato il nome tradizionale di contorno bagnato, e To lo sforzo tangenziale alla parete, otteniamo: TO =
T yALJ LP = LP
A = y —-J = yRJ. P
(6.13)
Anche la (6.13) ha lo stesso carattere di generalità che abbiamo riconosciuto alla (6.12). Compare in essa il rapporto:
R=
P
(6.14)
fra l'area della sezione trasversale della corrente e il suo perimetro, al quale viene dato tradizionalmente il nome di raggio medio o raggio idraulico; per un condotto a sezione circolare esso equivale a un quarto del diametro. La considerazione del raggio medio è assai utile nell'idraulica pratica e in particolare nello studio della legge del moto uniforme. L'esperienza ha infatti mostrato che per le correnti turbolente, di cui parleremo diffusa,mente più avanti e che costituiscono la grandissima maggioranza delle correnti di interesse pratico, il raggio idraulico basta a caratterizzare completamente, almeno in prima approssimazione, la geometria macroscopica della condotta: nel senso che, a parità di raggio idraulico, si ha la stessa legge di resistenza in condotte che abbiano sezioni trasversali di forma qualunque, anche molto diverse.
7. Correnti in pressione
7.1 Generalità sul moto uniforme
Lo studio del moto uniforme di una corrente in pressione costituisce una delle questioni fondamentali dell'idraulica tecnica, ed è inoltre di notevole importanza concettuale; per giungere infatti ad una sua risoluzione non completamente empirica si è costretti ad una analisi di dettaglio del moto fluido ed in particolare del fenomeno turbolento. Il problema, come avremo modo di indicare, è di estrema complessità; nè lo si può certo dire totalmente risolto, allo stato attuale delle nostre conoscenze, benché ormai da tempo l'indagine sia incanalata lungo una strada concettualmente corretta. Nella sua essenza il problema può essere posto come segue: individuare la relazione esistente fra la cadente J della corrente e tutte le altre grandezze da cui essa può dipendere. Una semplice analisi qualititativa porta a riconoscere che queste grandezze possono suddividersi in tre categorie e precisamente: a) grandezze relative al condotto in cui la corrente si muove e in particolare area e forma della sezione trasversale, scabrezza della parete interna; b) grandezze cinematiche, in particolare la portata della corrente o la sua velocità media; c) grandezze fisiche relative al fluido dalle quali il movimento può dipendere, e cioè essenzialmente viscosità e densità, cui si deve aggiungere la comprimibilità quando si tratti di un gas e il moto dia luogo a considerevoli variazioni della pressione. Nella stessa definizione di moto uniforme è implicita la condizione che la condotta entro cui la corrente si muove debba essere cilindrica, essendo del resto a priori del tutto imprecisata la forma della sezione trasversale. L'interesse dei ricercatori si è però essenzialmente rivolto alle condotte a sezione circolare, sia perché di gran lunga più comuni nelle applicazioni tecniche, sia per le evidenti semplificazioni che derivano all'indagine dalla considerazione della simmetria assiale. Anche qui prenderemo [177]
178
179 CORRENTI IN PRESSIONE
in esame soprattutto il movimento nei condotti circolari, accennando soltanto brevemente al caso più generale; del resto, se è vero che la forma della sezione trasversale ha una decisa influenza sui caratteri del moto, come riconosceremo, nel caso di moto in regime laminare, l'esperienza ha invece portato a riconoscere un'influenza della forma assai minore, e praticamente trascurabile, quando il moto sia turbolento: bastando allora, almeno nei I P limiti di approssimazione comunemente accettati dalla tecnica e per una visione globale del fenomeno (valutazione della portata e della velocità media in funzione della cadente, o viceversa), una sola dimensione lineare, il raggio idraulico, a definire geometricamente la forma della sezione trasversale. IiI Inizieremo lo studio dal caso particolarmente semplice del moto laminare, o viscoso, in condotto circolare. Ma conviene premettere una considerazione che ha carattere del tutto generale. Moto uniforme è, per definizione, quello in cui il vettore velocità si mantiene costante lungo ogni traiettoria; e ricordiamo che nel caso del moto turbolento si fa riferimento, per questa definizione, alle traiettorie del moto medio, o di trasporto, e alle velocità medie temporali, prescindendo quindi dalle componenti di agitazione, che definiremo precisamente più avanti. Dalla costanza delle velocità lungo le singole traiettorie derivano la costanza della distribuzione delle velocità stesse nelle successive sezioni trasversali e quindi la costanza della distribuzione degli sforzi tangenziali e della pressione; per quest'ultima in particolare, in conseguenza del fatto che le traiettorie sono rettilinee, potremo ammettere con buona approssimazione che la distribuzione sia idrostatica nelle singole sezioni, benché questa ammissione non sia concettualmente essenziale. Ma il ragionamento sopra esposto ci porta soprattutto a riconoscere che lungo tutte le traiettorie della corrente si ha un identico valore, costante, della cadente J; sicchè tra l'altro risulta ben giustificata l'adozione di un'unica linea piezometrica per l'intera corrente. È allora anche facile riconoscere che, nel condotto cilindrico circolare, gli sforzi tangenziali variano linearmente lungo il raggio, essendo nulli in corrispondenza dell'asse e massimi presso la parete: lo mostreremo ora per il caso del moto laminare, riservandoci di estendere più tardi la dimostrazione al caso più generale in cui sia presente anche la turbolenza. Basta applicare l'equazione globale dell'equilibrio dinamico al volume liquido racchiuso in un cilindretto di raggio r coassiale alla corrente e lungo L (v. fig. 7.1). Sia G = y nr2L il peso del cilindretto liquido: 111 e 112 le spinte idrostatiche che agiscono su di esso attraverso la sezione 1 di ingresso della corrente e la sezione 2 di uscita (per semplificare la figura le abbiamo indicate come applicate ai baricentri anzicché ai centri di spinta); Ilo la spinta agente sulla superficie laterale del cilindretto, della quale è stata indicata in figura solo la componente T nella direzione del moto (agente evidentemente lungo l'asse per ragioni di simmetria); M i e M2 le quantità di moto rispettivamente della portata entrante e di quella uscente, uguali ,
h
I=
fra di loro per l'ammessa uniformità del movimento, sicché la loro differenza Mi — M2 risulta nulla. Detto a l'angolo che l'asse del condotto forma con l'orizzontale, l'equazione globale dell'equilibrio, proiettata nella direzione del moto, si scrive: li i
— m2— T — G
+
sen = 0,
(7.1)
dove i simboli rappresentano i moduli dei corrispondenti vettori. Ma, nella ammessa ipotesi di distribuzione idrostatica della pressione, si ha:
111
=
pi•
n2 =
itr2 ,
p2 •
nr2 ;
inoltre, dette zi e z2 le quote dei baricentri delle sezioni di ingresso e di uscita, sopra il piano di riferimento di quota nulla:
G sen a = y •
7Cr2L
•
Z1
Z2
L
sostituendo e ricavando T:
T = nr2 (Pi — P2) — Y7r 2 (z2 — zi) = ynr2
zi ) —
z2)] = yirr2LJ.
180
CORRENTI IN PRESSIONE
MOTO LAIVCINARE
La T è la resistenza al moto che il cilin.dretto liquido incontra per effetto dell'azione frenante esercitata dal liquido che lo circonda e che è animato da minore velocità; essa si esercita sul cilindretto attraverso la sua superficie laterale sulla quale risulta, per ovvie ragioni di simmetria, uniformemente distribuita. Dividendone il valore per l'area della stessa, superficie laterale otteniamo precisamente lo sforzo tangenziale: y • 7rr2L • J 271-rL
;
2
(7.2)
e riconosciamo appunto che esso è direttamente proporzionale al raggio del cilindretto. Detto To lo sforzo tangenziale alla parete ed r o il raggio del condotto, si può anche scrivere: ro
T = p. i —dA. A. On
Si è indicato con u il modulo della velocità, coincidente con la componente secondo l'asse, assunto come asse x. Si osservi ora che, in conseguenza della simmetria, non solo le u, ma anche le au /8n hanno valore costante su tutta la A o ; tenuto poi presente che la derivata è calcolata secondo la, normale interna e che quindi risulta:
an
T=— p
Esamineremo anzitutto il caso del moto regolare, o viscoso o laminare, cioè di quel tipo di movimento in cui sono nulle le componenti di agitazione della velocità, sicché le traiettorie effettive delle singole particelle fluide coincidono con le traiettorie del moto medio : in particolare, per il moto uniforme sono rette parallele alle generatrici del condotto. L'equazione globale può essere convenientemente scritta nella forma (6.10) che deriva dall'equazione di Navier : — p. .4
Un
dA Mi —M2 + I =- 0,
(7.4)
che mette in evidenza separatamente la risultante fl delle componenti normali delle spinte elementari sulla superficie di contorno e quella
av —.LI — dA A
;
tenuto anche presente che nel caso particolare considerato la u è funzione esclusivamente di r, si può scrivere:
7.2 Moto laminare
G
proiezione nulla nella direzione dell'asse. Indicata con A o la superficie laterale, la T che figura nell'equazione (7.1), diretta in senso opposto al moto e quindi alla velocità v, vale:
(7.3)
dal che appunto risulta come esso vani linearmente lungo il raggio. p
181
a'n,
.delle componenti tangenziali delle spinte stesse. Nell'applicarla al cilindretto liquido di fig. 7.1 si possono far preliminarmente le seguenti considerazioni: sulle due facce d'ingresso e d'uscita le componenti tangenziali delle spinte sono nulle, giacché in ogni punto di esse, per l'uniformità del moto, avlOn = O; per contro la componente normale della spinta che agisce sulla superficie laterale del cilindro è diretta normalmente all'asse ed ha quindi
fA.
dA =
du Ao = dr
p.
du • 2nrL. dr
Introdotto questo valore nella (7.1) si ricava, secondo la strada già tracciata:
T = — 27c.rLIL —c!c u = ynr2LJ,
(7.5)
du r j dr — 2p. r •
(7.5a)
e semplificando:
La situazione geometrica e cinematica particolarmente semplice ha, dunque consentito di ridurre l'equazione di Navier a, una semplicissima equazione differenziale ordinaria del primo ordine della funzione u della variabile r: essa definisce la distribuzione della velocità nella sezione trasversale della corrente. Si presenta spontanea, a questo punto, una considerazione: se avessimo fatta l'ipotesi di fluido perfetto avremmo avuto contemporaneamente p. = O per ipotesi e J = O come evidente conseguenza del teorema di Bernoulli e dell'uniformità del movimento. Con ciò la (7.5) si ridurrebbe a una banale identità e non servirebbe a individuare la distribuzione della velocità. Qualunque distribuzione di velocità risulterebbe compatibile con le ipotesi. L'indeterminatezza del problema .è del tutto analoga a quella che si presenta nello studio dell'equilibrio dei solidi iperstaticamen.te vincolati, quando li si voglia considerare rigidi: qualunque sistema equilibrato di reazioni
182
CORRENTI IN PRESSIONE
vincolari risulta accettabile. L'osservazione fatta prova la astrattezza della ipotesi del fluido perfetto e la sua inaccettabilità per lo studio del moto con riferimento alle cause che lo determinano. L'integrale della (7.5a) è =
4 p.
r2
cost.
Il valore della costante va stabilito in base alle condizioni al contorno. Abbiamo già ricordato (par. 1.8) che le più accurate constatazioni sperimentali hanno indotto a ritenere che la velocità si annulla a contatto con la parete solida del condotto; posto: u=O
per
yJ D2 4p. k 4
r2)
(7.6)
Si ha una distribuzione parabolica di velocità (fig. 7.2) con valore massimo Umax =
41
16u.
i
FIG. 7.2
in corrispondenza dell'asse del condotto e valore nullo alla parete. Integrando poi la (7.6) all'intera sezione trasversale della corrente si ottiene la portata:
Q = io
nyj iD/2 ( D2
u • 2/rr • dr —
2p.
Jo l
1 1 yJ , Q .U2 =— Umax • v — = 2 32 p. A
4
(7.8)
Conviene anche esprimere la V usando come dimensione lineare caratteristica, anzicché il diametro del tubo, il raggio idraulico .R = 1314. Si ottiene: 1 yJ (7.9) — 2 p. —
D2
h«-- V
D/2
prima che fossero state integrate le equazioni di Navier nel caso particolare qui considerato. Essa è di notevole importanza concettuale, giacché la perfetta coincidenza dei risultati sperimentali del Poiseuille con quelli ottenuti per via puramente analitica partendo dalle equazioni di Navier rappresenta una valida conferma a posteriori non solo dell'ipotesi di velocità nulla al contorno, ma soprattutto dell'ipotesi basilare dell'espressione di Newton (1.11) degli sforzi viscosi, sulla quale è stata costruita tutta la dinamica dei fluidi viscosi. Dividendo per l'area della sezione trasversale della corrente si ottiene dalla (7.7) la velocità media
r = ro = D/2,
si ottiene: —
183
MOTO LAMINARE
r2) r dr =
n yJ D4 . 128 p. (7.7)
Vale la pena di esaminare anche un'altra situazione di moto laminare per la quale si giunge facilmente ad una soluzione in termini finiti: essa può presentare qualche interesse di carattere pratico, ma soprattutto ci condurrà ad un confronto significativo col caso precedentemente studiato. Si tratta del moto per filetti paralleli di un fluido fra due facce piane parallele indefinite; questo movimento può considerarsi piano, o bidimensionale, giacché quel che avviene in un piano parallelo al vettore velocità e normale alle due facce di contorno del campo si riproduce identicamente in tutti gli altri piani ad esso paralleli. Il piano del moto è rappresentato in fig. 7.3a mentre la fig. 7.3b rappresenta una sezione trasversale della corrente, limitata ad una striscia di larghezza b. A titolo di esercizio deduciamo la distribuzione delle velocità lungo una normale alle pareti, anzicché dall'equazione globale, direttamente dall'equazione indefinita di Navier (6.9), proiettandola sull'asse delle x, parallelo al vettore velocità; essa si scrive (essendo F = — grad gz):
_ a
, La (7.7) è comunemente chiamata formula di Poiseuille(*), dal nome del medico francese che la stabilì per via sperimentale ancora qualche tempo
(p
yz) —
A2U.
ex
Ora il primo membro:
(*) E detta anche formula di Hagen, specialmente dagli autori tedeschi, giacché il tedesco Hagen vi giunse, pure per via sperimentale, quasi contemporaneamente al Poiseuille (intorno al 1840).
du di = 7
au
ai
u--I- v
9x
ay
184
CORRENTI IN PRESSIONE
185
MOTO LAMINARE
1
2
a)
hI
b)
mi
j_ AfIT#i'
Otteniamo la portata integrando all'intera sezione :
l'
h
Q=2
JI
'
n
L
b
».1
V =
FIG. 7.3
e2u
a2u - , ay2
ax2
si riduce al secondo addendo sempre perché il moto è uniforme. Si ha dunque j =
Q
—
2bh
i
yJ
3
(.1
R=
d2u
z + p \ dx
o
2 — y2 ) dy =
2 3
YJ p.
bh3 ;
(7.11)
3
u ma■ •
(7.12)
2bh — h, 2b
e la (7.12) si può anche scrivere :
y dy 2
y
h2 =
Per il confronto che intendiamo istituire con il caso precedentemente esaminato, conviene introdurre anche qui, come lunghezza caratteristica, a,nzicché il semispessore h, il raggio idraulico. Nel calcolarlo come rapporto fra l'area della sezione trasversale e la lunghezza del suo contorno, dobbiamo tenere presente che questa va messa in conto solo per la parte costituita dalle pareti solide, giacché sugli altri due lati del rettangolo (fig. 7.3b) la resistenza è nulla essendo nullo il gradiente della velocità. Si ha dunque:
è nullo perché il moto è permanente, è nulla la v ed è nulla anche la au/8x (moto uniforme, u funzione solo di y); mentre il termine A2y =
yJb fh (h
e dividendo per l'area della sezione trasversale troviamo la velocità media:
'
n
O
dy =
integrando una prima volta con la condizione (dovuta alla simmetria):
V—
'p.
R2 .
(7.13)
3
du
O
dy
per
y=0
Per confronto con la (7.9) possiamo concludere che in entrambi i casi considerati la velocità media risulta direttamente proporzionale al peso specifico, alla cadente J e al quadrato del raggio idraulico e inversamente proporzionale alla viscosità. Il coefficiente di proporzionalità non è però lo stesso nei due casi: esso vale infatti 1/2 per il condotto cilindrico circolare, 1/3 per il moto fra due facce piane indefinite. Al di fuori dei due casi elementari che abbiamo studiato in dettaglio, l'integrazione delle equazioni del moto viscoso si presenta notevolmente più difficile anche per le correnti uniformi ; ricordiamo però che essa è stata effettuata per qualche altro tipo di sezione trasversale (per esempio per sezioni ellittiche o rettangolari, con un qualsiasi rapporto fra le lunghezze degli assi) e che ha condotto in ogni caso, per la velocità media, a una formula del tipo:
si ottiene: du
(Ty- =
Y.
(7.10)
Nell'integrare ancora porremo la solita condizione che la velocità sia nulla a contatto con le pareti solide: u = O per y = + h, essendo h il semispessore della corrente. Si ottiene così: =
vJ • (h2 — Y2) ;
la distribuzione della velocità è anche qui di tipo parabolico, con massimo
v_ umax —
a
R2
(7.14)
h2 212 essendo però il coefficiente a variabile da caso a caso. Dobbiamo quindi concludere che, per il moto laminare, il raggio idraulico non è sufficiente a individuare completamente la geometria della sezione: accanto ad esso deve
in corrispondenza del piano mediano.
a.,
186
CORRENTI IN PRESSIONE
necessariamente comparire un coefficiente caratteristico di forma della sezione trasversale. Con riferimento all'ultimo problema trattato, possiamo fare ancora una considerazione di carattere pratico. Come è ovvio, la corrente possiede un piano di simmetria, coincidente col piano mediano della striscia di spazio entro cui si svolge il movimento; su questo piano la velocità è massima e pertanto è nulla la sua derivata rispetto alla normale e sono nulli gli sforzi tangenziali. Questo ci fa riconoscere che, se togliamo di mezzo la metà superiore del campo del moto lasciando scarico il piano mediano (cioè esente da sforzi tangenziali), nulla può cambiare nei riguardi della metà inferiore. Ma otteniamo così, per esempio, il moto uniforme laminare di una corrente a pelo libero su un piano inclinato di pendenza i = J: è il caso del moto uniforme di corrivazione, sotto forma di un velo di acqua, della pioggia caduta su un tetto piano inclinato. Per esso valgono, con ovvi adattamenti, tutte le formule trovate.
7.3 Caratteristiche generali del moto turbolento; grandezze turbolente e valori medi Prima di studiare come si possa estendere al caso del moto turbolento il metodo di indagine teorica che è stato sopra seguito per il moto regolare, conviene riChiamare l'attenzione sulle caratteristiche qualitative del fenomeno turbolento, anche per precisare definizioni e concetti. Come è noto, e come è stato posto in evidenza ormai da quasi un secolo dalla classica esperienza di Reynolds, ricordata al par. 1.10, quando la velocità media di una corrente fluida, in un tubo assegnato, oltrepassa un certo valore critico il moto perde quei caratteri di regolarità che lo contraddistinguono nel caso di velocità piccole : facendo esplicito riferimento al moto uniforme in un condotto cilindrico, si riconosce a prima vista che le traiettorie delle singole particelle fluide non sono più rigorosamente parallele all'asse del condotto; al moto di trasporto, corrispondente alle traiettorie rettilinee, viene bensì a sovrapporsi un moto disordinato di agitazione apparentemente di natura casuale. Questo moto di agitazione prende appunto il nome di
turbolenza. Per il problema che qui ci occupa, della ricerca della legge del moto uniforme nel senso precisato nella premessa, non presenta ovviamente nessun interesse il seguire una determinata particella fluida lungo la sua complicata traiettoria. Conviene attenersi al metodo d'indagine euleriano e fissare anzitutto l'attenzione su quel che avviene in un determinato punto del campo del moto. In un certo istante il vettore velocità avrà ivi una certa determinazione v; per effetto dell'agitazione turbolenta troveremo però (fig. 7.4) che in un istante successivo esso avrà assunto la determinazione v1 , poi in altri istanti ancora successivi le determinazioni V2, V3, V4 , Se ora consideriamo un intervallo di tempo finito to , è possibile calcolare
CARATTERISTICHE GENERALI DEL MOTO TURBOLENTO
187
il valor medio temporale di v in t o , definito da
1 l'o — v dt ; to o se si parte da valori relativamente piccoli di t o e si aumenta progressivamente l'estensione dell'intervallo per il quale si effettua l'operazione di media temporale, si trovano valori diversi della velocità media, perché si introducono sempre nuovi valori istantanei. Ma, nel caso del moto medio uniforme, si riconosce che, superato un certo valore T dell'intervallo di integrazione, il valor medio di v resta praticamente costante quando si aumenti ancora l'intervallo stesso; si è indotti a concludere che si sono ormai avverate tutte le possibili vicende cui può essere assoggettato il vettore v, e che in un successivo intervallo di tempo della medesima durata T esse si riprodurranno grosso modo e mediamente identiche (benché non certo nello stesso ordine). Resta allora giustificato definire una velocità media temporale:
(7.15)
1 f T vdt.
T
o
Nel moto uniforme in senso medio che noi stiamo considerando essa è una funzione esclusivamente delle coordinate dei punti del campo; ma il concetto sopra esposto si estende ovviamente anche al caso di un moto qualsiasi, essendo allora in generale la -V funzione anche del tempo.
v v'
FIG. 7.4
L'intervallo di tempo T che abbiamo sopra definito con criterio esclusivamente operativo, in base alla considerazione della ormai raggiunta invariabilità del valor medio, ha tutto il carattere, in senso statistico, del periodo di un fenomeno ciclico. Quanto alla sua effettiva estensione, possiamo accennare, a titolo di semplice notizia, che essa può variare entro limiti assai vasti, a seconda dei caratteri della turbolenza che accompagna il movimento che si considera: da pochi secondi o frazioni di secondo, quando la turbolenza sia molto minuta, cioè risolubile in una congerie di piccolissimi vortici, fino a molti minuti primi, o addirittura a qualche ora per turbo-
pi! 188
CARATTERISTICHE GENERALI DEL MOTO TURBOLENTO
CORRENTI IN PRESSIONE
189
Abbiamo per definizione:
lenza a grande scala, quale è ad esempio quella che caratterizza un importante evento meteorico, come un ciclone. Definita così la velocità media V, viene allora spontaneo considerare (fig. 7.4) la velocità istantanea v come somma della stessa V e di uno scostamento v' da essa:
=
1 T
1 f dt f 4". dA = T T A
+ <1) dA ; f T dt (V). A
-
V
=
V
ma, dovendosi considerare entrambi fissi i campi di integrazione, è lecito invertire la successione delle operazioni, scrivendo quindi:
;
alla v' si dà, il nome di componente di agitazione della velocità. Essa gode dell'evidente proprietà che il suo valor medio nel tempo è nullo:
(7.16)
o
l'
= i dA A
ci> ; ) d t = f
dA
A
T
A
dA — 1 f ci) T T n
-Ma il secondo addendo è nullo per la (7.16) e pertanto :
il che, in termini fisici, si può interpretare dicendo che, nel complesso, le componenti di agitazione non danno alcun contributo al movimento di trasporto di massa. Quel che è stato detto per la velocità, che è la grandezza fisica più significativa nell'analisi del fenomeno turbolento, può essere ripetuto senza varianti di sorta per qualsiasi altra grandezza, vettoriale o scalare, che sia funzione dei punti del campo e del tempo: per esempio per un generico sforzo (1),, o per la pressione p, o per la densità p nel caso del fluido comprimibile. Per ogni grandezza quindi potremo definire un valor medio temporale e una componente di agitazione: queste ultime godono tutte della proprietà espressa dalla (7.16). Cerchiamo ora di estendere le considerazioni che sono state fatte dal caso dei valori di una singola grandezza a quello dei valori di una funzione di una o più grandezze; per attenerci al problema che ci interessa, faremo riferimento, a titolo di esempio, proprio alle funzioni che costituiscono i diversi termini dell'equazione globale dell'equilibrio dinamico. Poiché, per la ricerca della legge del moto uniforme, anche di questi termini ci interessano ovviamente soltanto i valori medi nel tempo, si presenta spontanea la domanda: è possibile ottenere questi valori medi semplicemente introducendo nelle formule di definizione delle grandezze globali i valori medi delle grandezze locali anzicché i loro valori istantanei? A chiarir meglio questa questione, vale la pena di tentar subito un calcolo. Prendiamo in esame, ad esempio, la, spinta
dA A
S'ulla superficie di contorno del volume fluido finito cui si applica l'equazione globale, e calcoliamone il valor medio temporale, tenendo presente che la generica cIon può essere decomposta, come si è detto, nella somma del suo valore medio e di uno scarto:
=i
ci) d A ;
A
formula che risponde senz'altro in senso affermativo alla domanda che ci eravamo posti. Si verifica facilmente che alla stessa conclusione si arriva se sì considerano separatamente le due parti in cui la II risulta decomposta nell'equazione di Navier in forma globale; o se si considera l'inerzia locale I. Più in generale anzi è facile riconoscere che il risultato vale tutte le volte che nelle formule di definizione i valori locali delle grandezze compaiono soltanto in espressioni di tipo lineare. Se però ripetiamo il calcolo per una grandezza globale come la quantità di moto della portata che attraversa una sezione di area finita, cioè per una grandezza che sia funzione non lineare di grandezze locali, ci rendiamo conto che il risultato è diverso. Abbiamo infatti, con ovvio significato dei simboli (e considerando per semplicità il fluido incomprimibile):
=
T
i
dt • p i vv, dA = T
A
T
f
dt • p i (v + vi) (v, + v) dA = T
1 = p i dA i (vv. T T A
A
-I- v' ) dt.
Ma si riconosce subito in base alla (7.16) che:
1
v vv. dt = — i 2,241 dt = O T -
T
1 — i T T
dt = O ;
i
190
SFORZI TANGENZIALI VISCOSI E TURBOLENTI
CORRENTI IN PRESSIONE
le ripercussioni dell'agitazione turbolenta sono dunque circoscritte al termine
sicché resta: =pf A
dA + p f
dA.
A
M' = p
n
avendo indicato con v' v' = n
1 7'
i
v' v' dt T
n
VI v' = n
.1" v' v' dt Tr
O.
(7.17)
Tenuto conto di ciò, l'equazione di Navier in forma globale, con riferimento ai valori medi (e per un fluido incomprimibile per cui il peso resta costante, indipendentemente dal fatto turbolento), si deve scrivere:
bír'
G f pn dA — E-t A d
an dA — O;
A
vvn dA
fd
A,
4
(7.19)
che esprime lo scambio di quantità di moto, attraverso la superficie fissa di contorno del volume fluido considerato, conseguente alla presenza delle componenti di agitazione della velocità.
il valor medio temporale del prodotto delle componenti di agitazione del vettore v e della sua componente normale v n . Ora, questo valor medio del prodotto non è necessariamente nullo quando siano separatamente nulli i valori medi dei fattori; ed è anzi abbastanza facile riconoscere, almeno in via qualitativa, che esso non è nullo proprio nella situazione che ci interessa. Consideriamo infatti il solito cilindretto di fig. 7.1. Attraverso la sua superficie laterale A0, in conseguenza delle componenti trasversali della velocità ha luogo un continuo scambio di masse fluide; tuttavia, per il teorema di continuità, mediamente, la massa complessiva che esce dal cilindretto è uguale a quella che entra (essendo il moto uniforme); nel caso poi dei fluidi ineomprimibili questa eguaglianza vale anche per i volumi, e vale anzi non solo mediamente, ma istante per istante. Se però consideriamo, anzicché le masse, le quantità di moto da esse trasportate, ci rendiamo subito conto che mediamente il bilancio non è più a pareggio: le masse fluide elementari che attraversano la superficie in uscita, provenendo dalla regione centrale del campo del moto dove si hanno le velocità più elevate, possiedono mediamente quantità di moto maggiori di quelle che la attraversano in entrata e che provengono invece dalla regione periferica dove si hanno le velocità più basse; le prime cederanno poi il loro eccesso di quantità di moto al fluido più lento in cui verranno a trovarsi, mentre le seconde ne riceveranno dall'ambiente, sicché ne deriverà un appiattimento del diagramma delle velocità. Per quanto detto, comunque, tenuto presente che con v„ si indica la componente della velocità secondo la normale interna, si deve concludere che:
f av
191
A
v'v' dA
—
n
(7.18)
7.4 Sforzi tangenziali viscosi e turbolenti Ritorniamo ora al problema del moto uniforme (mediamente) in un tubo cilindrico circolare e alla considerazione del eilindretto fluido di fig. 7.1. In aggiunta alle osservazioni già fatte per il caso del moto laminare, dobbiadei valori medi dei flussi di quantità mo rilevare che la differenza M1 — di moto attraverso le sezioni d'entrata e di uscita è anche in questo caso nulla: infatti l'uniformità del moto garantisce che il prodotto vivi. è identicamente distribuito nelle successive sezioni trasversali della corrente. Il contributo della M' definita dalla (7.19) è dunque limitato alla superficie laterale del cilindro; inoltre, in conseguenza della simmetria, il valore di v— 'v'n è costante per tutti i punti della stessa superficie laterale. Indichiamo poi con u` la componente di v' nella direzione dell'asse del tubo (assunto come asse x) e semplicemente con v' = — v' n la componente della stessa, v' nella direzione del raggio (cioè normale alla superficie laterale del cilindretto e diretta verso l'esterno di esso); tenuto conto del fatto che, nel caso qui considerato di moto'permanente, sono nulli nella (7.18) sia il termine delle inerzie locali, sia il termine che esprime il flusso di quantità di moto attraverso la superficie laterale dipendente dai valori medi della velocità (perché v n =- 0), la (7.18) stessa, proiettata nella direzione del moto medio secondo la stessa procedura che ci ha condotti alla (7.5), può scriversi;'
M2
-
ynr2LJ = —
du — dr
2Tri-Lp
= 2.7t-rL
+ p u'vg (7.20) -214— ( dr
La resistenza T = rcr2LJ opposta dal fluido circostante al movimento del cilindretto considerato risulta dunque espressa come prodotto dell'area della superficie laterale del cilindretto per una resistenza unitaria (sforzo tangenziale) che è somma di due termini: un primo termine, dipendente dalla viscosità e presente anche nel caso del moto regolare, sarà chiamato sforzo tangenziale viscoso; il secondo termine, proporzionale alla densità, rappresenta una resistenza aggiuntiva dovuta agli scambi di quantità di moto provocati dal fenomeno turbolento, e verrà chiamato per analogia, sforzo tangenziale turbolento. Vale la pena di notare subito che questi due sforzi hanno la medesima direzione (cioè le loro espressioni hanno lo stesso
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A
i
Ai)
np
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194
CORRENTI IN PRESSIONE
razione qualitativa. L'integrale a secondo membro, sempre positivo, è nullo alla, parete (r = D/2) e cresce monotamente approssimandosi all'asse, cioè per r tendente a zero; quanto al primo addendo del secondo membro, esso è identico al secondo membro della (7.6), che fornisce la distribuzione della velocità, nel caso del moto regolare. Si può concludere (fig. 7.6) che nel moto turbolento si hanno ovunque velocità, minori di quelle che, a parità, delle altre condizioni (cadente J, proprietà, fisiche del fluido), si verificherebbero nello stesso tubo in caso di moto regolare, se vi si potesse svolgere: e tanto minori quanto più si è prossimi all'asse del tubo. Ma poiché i valori
Fio. 7.6
massimi degli sforzi turbolenti si hanno in una zona non distante dalla parete (fig. 7.5) il diagramma delle velocità, risulta più appiattito e conseguentemente risulta minore la differenza fra la velocità, media e la massima; questa constatazione qualitativa trova del resto una intuitiva giustificazione proprio nello scambio turbolento di quantità, di moto che, come abbiamo già fatto notare, tende ad un livellamento delle velocità, medie nei diversi punti della sezione trasversale. Tale diagramma è ormai noto sperimentalmente in guisa molto accurata, per diverse condizioni di scabrezza della parete del tubo e per un campo assai vasto di valori della velocità media della corrente.
7.5 Ricerche sul
moto uniforme turbolento
La formula (7.22) riconduce la soluzione del problema del moto uniforme turbolento in un tubo cilindrico circolare alla determinazione della distribuzione del valor medio del prodotto u'v' delle due componenti della, velocità di agitazione, e cioè dello sforzo tangenziale turbolento p ttiv' ; si può dire che dal principio del secolo matematici e sperimentatori stiano lavorando su questo argomento, senza però che i risultati siano ancora sicuramente conclusivi. Anche per questa ragione accenneremo appena a tali ricerche. Per via sperimentale esse sono effettuate soprattutto da studiosi di aerodinamica, perché nell'aria è più agevole la misura di velocità
RICERCHE SUL MOTO UNIFORME TURBOLENTO
195
rapidamente variabili come le componenti dell'agitazione, o addirittura del prodotto u'v' ; le conoscenze in argomento sono ormai assai vaste, ma non sembra agevole il loro coordinamento. Per quanto riguarda gli studi teorici, essi si proposero inizialmente di esprimere, a mezzo di ragionevoli ipotesi, le componenti di agitazione in funzione dei valori medi temporali delle componenti della velocità, sulla traccia di una celebre impostazione di Prandtl, il quale, al principio del secolo, per analogia con la teoria cinetica dei gas, formulò l'ipotesi del percorso di mescolamento turbolento: essa supponeva precisamente che singole particelle fluide, piccole ma ancora conservanti il carattere della continuità, potessero descrivere brevi percorsi in mezzo al fluido circostante senza perdere la propria individualità e mantenendo immutata la propria quantità di moto, prima di dissolvere se stesse nel fluido ambiente, giungendo con esso ad un pareggiamento di velocità e quindi cedendo o ricevendo quantità di moto; con opportune ulteriori ipotesi in proposito e ragionamenti sui quali daremo più avanti qualche dettaglio, si potè giungere ad una espressione analitica del diagramma delle velocità medie 97c, nella quale due residui coefficienti numerici incogniti poterono essere determinati per via sperimentale: e tale espressione si adattava assai bene ai risultati sperimentali, ormai noti con sufficiente precisione. Ma ovviamente la teoria non poteva essere considerata altrimenti che come una ipotesi di lavoro; tant'è vero che risultati ugualmente soddisfacenti potevano essere raggiunti da altri Autori seguendo schemi di ragionamento completamente diversi; le formule finali, pur essendo di struttura analitica diversa, riuscivano ugualmente idonee ad una corretta interpretazione dei risultati sperimentali. Non entriamo però qui in particolari, poiché la questione è assai più di interesse speculativo che tecnico, riservandoci di dare più avanti qualcuna delle' formule di maggiore interesse applicativo. Vogliamo però ancora accennare che l'orientamento moderno dell'indagine teorica si appoggia principalmente ai metodi della meccanica statistica; cosa ben logica, essendo le componenti dell'agitazione tipiche variabili aleatorie. 7.5.1
Analisi dimensionale
Per le necessità, della tecnica, d'altra parte, durante il secolo scorso erano state proposte diverse formule esprimenti la legge del moto uniforme, tutte a base sostanzialmente empirica; alcune di queste trovano ancora largo uso, sicché ne parleremo più avanti, cercando anche di precisarne il significato alla luce delle moderne conoscenze concettuali. Verso la fine del secolo scorso la, ricerca di tali formule empiriche, e cioè in definitiva l'interpretazione dei risultati sperimentali, venne grandemente facilitata e indirizzata su una via razionale dall'introduzione dei concetti dell'analisi dimensionale, dovuta principalmente all'inglese O. Reynolds. Ritenendo nota la formulazione generale del metodo dell'analisi dimensionale, che si applica a qualsiasi teoria riguardante fenomeni fisici, ci
196
CORRENTI IN PRESSIONE RICERCHE SUL MOTO UNIFORME TURBOLENTO
limitiamo qui a richiamarne 1 .'app1icazione al problema del moto uniforme dei fluidi. In sostanza, individuate tutte le grandezze da cui il fenomeno dipende, si tratta di costruire relazioni fra le grandezze stesse che rispettino il principio dell'omogeneità dimensionale, in cui cioè il primo membro abbia le stesse dimensioni fisiche del secondo membro. Abbiamo già fatto un sommario esame delle grandezze in gioco nel paragrafo introduttivo di questo capitolo; dopo le considerazioni svolte sul moto laminare e sul moto turbolento, siamo ora in grado di precisare meglio i termini del problema. Assumiamo come incognita la resistenza unitaria della parete del condotto o, ciò che è lo stesso, lo sforzo tangenziale -r0 che la corrente esercita sulla parete. Abbiamo già mostrato (formule (7.2) e (7.3)) che esso è proporzionale alla cadente J, che è l'incognita di maggior interesse applicativo; quest'ultima però, essendo un numero puro, si presta meno bene alle considerazioni dimensionali che intendiamo svolgere. La T.0 dipende anzitutto da caratteristiche geometriche del condotto : dal diametro D, se la sezione è circolare, o più in generale, per qualsiasi sezione, dall'area A e dal perimetro C (contorno bagnato), oppure dal raggio idraulico R = A IC e da un coefficiente a di forma. Inoltre fra le caratteristiche geometriche dovremo includere quelle che definiscono la scabrezza della parete: salvo la difficoltà di precisarle, sulla quale ritorneremo, le riassumiamo qui in un unico parametro S, che dovrebbe avere esso pure le dimensioni di una lunghezza. La -r0 dipende poi ovviamente da caratteristiche einematiche della corrente, per esempio dalla portata Q, oppure (e ci atterremo a questa scelta) dalla velocità media V = QIA, ad essa proporzionale. Infine la T 0 deve dipendere da proprietà fisiche del fluido; l'esame della questione che già abbiamo svolto ci consente di affermare che quelle che effettivamente influiscono sul moto, nel caso di un fluido incomprimibile, sono la viscosità e la densità, alle quali sono rispettivamente proporzionali gli sforzi tangenziali viscosi e quelli turbolenti (*). Riassumendo possiamo dunque dire che, in generale, deve essere:
To = f (D, 8, V,
[L, p) ,
(7. 23
oppure: To = f (R, a, S, V, //,, p) , rispettivamente per la sezione circolare o di forma qualunque. Ci limiteremo, in un primo tempo, al caso dei soli condotti cilindrici circolari, per cui vale la (7.23). Osserviamo che, dei tre possibili tipi di mo(*) Si può del resto osservare che queste sole proprietà fisiche del fluido dovrebbero intervenire anche nel caso di un fluido comprimibile, se per esso potesse verificarsi il moto uniforme in senso stretto (velocità costante lungo ogni traiettoria): non potrebbe infatti intervenire la comprimibilità.
197
viri-lento che abbiamo individuato in via qualitativa (laminare, puramente turbolento, di transizione) i due estremi si prestano ad una più semplice analisi, perché per ciascuno di essi interviene una sola proprietà fisica del fluido. Fissiamo innanzi tutto l'attenzione sul moto laminare; benché per esso, come abbiamo mostrato, il problema del moto uniforme sia completamente risolto per via teorica deduttiva, vale la pena di ristudiarlo anche col metodo dell'analisi dimensionale, proprio per avere una conferma della validità del metodo stesso; inoltre, dal confronto col caso opposto del moto puramente turbolento, trarremo elementi utili per estendere l'indagine alle situazioni più complesse. L'indagine teorica, confortata dai risultati sperimentali, porta a riconoscere che sul moto regolare non ha alcuna influenza la scabrezza della parete; si giustifica questa circostanza con l'ipotesi che la pellicola del fluido aderente alla parete ed immobile ne sommerga completamente le asperità. Inoltre, la mancanza di scambio di quantità di moto fra le diverse regioni del campo del movimento porta ad escludere l'intervento della densità. Con ciò la (7.23) si riduce alla forma più semplice: O
fl
(7.24)
(D, V, ti).
Ora l'analisi dimensionale ci dà il modo di costruire compiutamente la relazione esistente fra quattro grandezze meccaniche, di cui tre siano dimensionalrnente indipendenti, come nel caso nostro D, V, e p. (la prima è esclusivamente geometrica, la seconda cinematica, la terza dinamica). Potremmo assumere queste tre grandezze come fondamentali in un particolare sistema di misura e dedurre la quarta da esse come grandezza derivata; oppure, secondo un procedimento più generale e forse anche più semplice, possiamo scrivere: (7.25) = k • DeLVN.Y, essendo k una costante numerica, e determinare gli esponenti a, (3, y, esprimendo il fatto che i due membri devono essere dimensionalmente omogenei. cniecnoti(L,T , ) l e quattro grandezze isteomlea steegu e esel npterobelheemnaelhasnn nuvtoolteprn T eoein dimensi oni:
to = L -1 7' 2M;
V = LT -1 ;
D=L;
si .ottiene il sistema: —y —p= —2;
y = 1,
da cui: a' O,
3'
=
2,
a= l;
= L -1T - IM,
198
CORRENTI IN PRESSIONE
RICERCHE SUL MOTO UNIFORME TURBOLENTO
e quindi in definitiva la (7.25) si può così precisare: To — k
11 T7 D
(7.26)
Di qui possiamo anche ricavare l'espressione della cadente piezometrica a mezzo della (7.2) che, postovi r = D/2, possiamo scrivere:
D To=y-T-
;
(7.27)
si ottiene:
J = 4k fl
17 y D2 "
(7.28)
ora, per via puramente deduttiva, avevamo ottenuto la (7.8): „ p.
J = o2 —-
199
tutti scabrezza dello stesso tipo (della stessa configurazione) e per di più con lunghezze (altezza delle protuberanze, loro reciproca distanza, ecc.) proporzionali ai rispettivi diametri; sicché i soli diametri potessero ancora bastare a definire geometricamente i condotti. Oppure, più semplicemente, dovremmo prendere in esame soltanto il movimento in tubi lisci: tali possono considerarsi, in pratica, i tubi di vetro o di porcellana, o di rame od ottone, purché nuovi e ottenuti per trafilatura, o quelli di materiali plastici (plexiglas, polivinile) introdotti dalla più recente tecnologia. Nell'una o nell'altra delle due ipotesi sopraddette, le (7.23) e (7.25) si scrivono: (7.30) 192. r3' (:) 8 ; o =f2 (D, V, P) = tenuto conto delle dimensioni p = L -3M della densità, si ricava per gli esponenti il sistema: a' +(3'-38= —1; —(3' = —2;
V
y Dz
8 = 1,
il confronto con la (7.28) porta a riconoscere la perfetta identità strutturale delle due formule e consente inoltre di stabilire il valore (k = 8) della costante numerica; sicché possiamo precisare la (7.26) così:
da cui:
= 2,
= 0,
8=1;
in definitiva quindi la (7.30) si può così precisare:
ti. V To == 8---D
(7.29)
Ma se non ci fosse venuta in soccorso l'indagine teorica, per la determinazione di k avremmo dovuto far ricorso all'esperienza. P evidente però che, almeno concettualmente, sarebbe bastata a tal fine una sola prova: su un solo fluido (il più comodo, acqua o aria) in un solo condotto, per un solo valore della velocità media, cioè della portata; la conoscenza di D, V e [..t. e la misura (relativamente facile) di J, quindi di TO, ci avrebbe consentito di ricavare k dalla formula (7.26). In pratica, per tener conto degli errori di misura impliciti in ogni determinazione sperimentale, avremmo compiuto una o più serie di esperienze (facendo variare la portata in uno o più condotti ed eventualmente impiegando diversi fluidi) e avremmo ottenuto una o più serie di valori di k; avremmo poi dedotto il valore più probabile coi soliti procedimenti della statistica. Passiamo ora al caso del moto puramente turbolento, per il quale, ceAsata ormai praticamente ogni influenza della viscosità, resta in gioco la sola densità p a caratterizzare il fluido. Per questa situazione l'esperienza ha messo però in evidenza l'importante intervento della scabrezza della parete nel determinare le caratteristiche del movimento. Per liberarci in un primo tempo da essa dovremmo prendere in considerazione tubi aventi
TO =
(7.31)
•P
In questo caso però, alla luce delle attuali conoscenze sul fenomeno turbolento, la teoria non appare ancora in grado di fornirci il valore della costante numerica X i . Dovremmo far rieorso all'esperienza, ma anche questa volta, almeno concettualmente• una sola prova potrebbe bastare per stabilire il valore di ?q e quindi per definire completamente la legge del moto (*). Dalla (7.31) e dalla (7.27) si ricava per la cadente l'espressione:
J—
4X1p V2
4X1 V2
TD
gD
(7.32)
Vale la pena di rilevare come per il moto puramente turbolento la cadente risulti proporzionale al quadrato della velocità, mentre, a norma della (7.28), nel moto laminare essa è proporzionale alla prima potenza di V; diversa è pure la dipendenza dal diametro nei due casi. (*) Riconosceremo però che tale prova non può, almeno per ora, essere compiuta in un tubo liscio, perché finora per questi tubi non si è ancora verificata la possibilità di raggiungere la condizione di moto puramente turbolento.
200
CORRENTI IN PRESSIONE
RICERCHE SUL MOTO UNIFORME TURBOLENTO
La costante numerica =
TO
P 172
assume particolare importanza nello studio della legge del moto uniforme. Ad essa i primi studiosi che ne hanno fatto impiego, appartenenti alla scuola di Prandtl, hanno dato il nome di numero indice di resistenza o resistenza ridotta. Successivamente è stata però introdotta, specialmente dagli autori di lingua inglese, un'altra costante X ad essa proporzionale, che oggi è di più largo impiego, sicché anche noi la adotteremo di preferenza. Essa deriva dalla considerazione di una vecchia formula pratica, oggi nota come formula di Darey-Weisbach ; a norma di essa la cadente viene espressa come proporzionale al rapporto (numero puro) fra l'altezza cinetica della velocità media e il diametro, essendo appunto X la costante di proporzionalità:
V2 /2g
V2
D
2gD
X = 8À1 . Conviene che ancora portiamo la nostra attenzione alle due espressioni dello sforzo tangenziale alla parete che abbiamo ricavato per il moto puramente turbolento (7.31) e per il moto regolare (7.26). Il loro rapporto: Xip V2
= cost
di Reynolds (proporzionale appunto al loro rapporto) possa considerarsi come un indice del grado di turbolenza cui è assoggettato il fluido: e precisamente si ha il moto viscoso per valori relativamente piccoli del numero di Reynolds, il moto puramente turbolento per valori molto elevati, mentre per valori intermedi ci si trova nella zona di transizione. Questi ragionamenti inducono anche a supporre che un particolare valore del numero di Reynolds, indipendente dalla natura del fluido e dalle dimensioni del condotto, purché cilindrico circolare, contraddistingua il primo insorgere della turbolenza, e cioè quelle condizioni di instabilità messe in evidenza dalla notissima esperienza dello stesso Reynolds e caratterizzate dal primo comparire di qualche ondulazione nelle traiettorie originariamente rettilinee del moto regolare. Tale supposizione è stata sicuramente confermata da numerose serie di determinazioni sperimentali; si è trovato precisamente che il valore del numero di Reynolds per cui si verifica il trapasso è all'incirca: Re = 2000;
Dal confronto con la (7.32) si riconosce che le due formule sono strutturalmente identiche, il che tra l'altro porta a concludere che anche la (7.33) deve interpretarsi come formula del moto puramente turbolento: le condizioni sperimentali che hanno presieduto alla sua costruzione dovevano infatti certamente essere tali da determinare tale tipo di moto. Dal confronto stesso si deduce inoltre che:
IcILV ID
201
pVD 1-1
lo diremo valore critico, e stato critico la situazione di movimento da esso individuata. L'imprecisione con cui tale valore è stato determinato è dovuta alla difficoltà delle misure in una zona di instabilità; ma è fuori di dubbio che le discordanze fra i risultati delle molte determinazioni ormai effettuate non dipendono nè dai fluidi impiegati nè dal tipo dei tubi, in particolare dalla scabrezza delle pareti. Più precisamente dovremmo dire che il numero di Reynolds critico segna all'incirca il confine fra due zone di stabilità. Per valori inferiori è stabile il moto regolare, nel senso che qualsiasi agitazione artificiosamente provocata tende ad estinguersi. Se per contro, aumentando progressivamente la velocità con molta cautela, cioè cercando di evitare ogni causa di perturbazione, si supera il numero critico, è possibile conservare regolare il movimento anche per valori alquanto elevati di Re (per esempio fino a 10.000 e oltre); ma, in tali condizioni, basta una causa anche di minima entità, ad esempio un leggero colpo dato alla parete del condotto, perché immediatamente insorga la turbolenza, che rappresenta la situazione stabile.
che naturalmente è un numero puro, risulta proporzionale a un numero 7.5.2 Re =
pVD
IL
(7.34)
detto nunzero di Reynolds in onore dell'Autore che per primo lo introdusse e al quale del resto va attribuito almeno il primo spunto a tutte queste considerazioni; esso è pure di importanza fondamentale per lo studio della legge del moto uniforme. Se si tengono presenti le osservazioni che abbiamo fatto a suo tempo a proposito degli sforzi tangenziali turbolenti e viscosi in un punto qualsiasi del campo del moto, se ne può dedurre come il numero
Moto nei tubi lisci
Tentiamo ora di costruire, sempre con l'ausilio dell'analisi dimensionale, una formula del moto uniforme valida per la zona di transizione; e in un. primo tempo, per liberarci dall'influenza della scabrezza, consideriamo ancora il movimento in un tubo liscio. Poiché nel caso in esame sia la viscosità che la densità hanno influenza determinante, la (7.23) dovrà scriversi così: TO
= li (D, V, IL p).
(7.35)
Siamo ora di fronte a un legame fra cinque grandezze meccaniche, di cui
202
CORRENTI IN PRESSIONE
203
RICERCHE SUL MOTO UNIFORME TURBOLENTO
soltanto tre, che siano dimension.almente indipendenti, potranno essere assunte come fondamentali, mentre le altre due dovranno ritenersi da esse derivate. La prassi più comune è di considerare fondamentale la terna (D, V, p), che è caratteristica del moto turbolento (*); anche la p. dovrà dunque esprimersi in funzione di esse. Potremmo seguire la via maestra dell'analisi dimensionale, ma, molto più semplicemente, ricaviamo dalla
risultati furono portati in un grafico a scale logaritmiche (ascisse i lg Re, ordinate i lg X); i punti sperimentali riuscirono ben allineati lungo una retta, di equazione:
(7.34):
alla quale corrisponde, nella rappresentazione naturale, la formula monomia:
lg X = lg 0,316 — 0,25 lg Re,
pV D = Re nella quale l'inverso 1 1Re del numero di Reynolds figura come una costante (numerica) di proporzionalità. Con ciò la (7.35) diventa:
= f3(D, V, P,
(7.37)
X = 0,316 Re -0,25 .
p VD Re )
lo sforzo tangenziale alla parete risulta dunque funzione delle tre grandezze D, V, p e di un parametro adimensionale Re. Ma conosciamo già la legge di dipendenza di To dalle tre grandezze ora dette, che si compendia nella (7.31); scriveremo pertanto:
Diversi anni dopo un allievo di Prandtl, Nikuradse, estese l'indagine di Blasius a valori di Re molto più elevati, dell'ordine di 10 7 ; e interpretò i propri risultati mediante una formula più complicata (non monomia) sulla quale però sorvoliamo: anche perché le più recenti ricerche sembrerebbero invece convalidare piuttosto la formula di Blasius anche ben oltre i limiti sperimentali della ricerca da cui ha tratto origine, sicché oggi si tende a preferirla. invece interessante accennare all'espressione che se ne ricava per la cadente. Si ha, per la (7.33): 172
J= = p V2 • Xi(Re),
(7.36)
essendo ancora ?i, per definizione, la resistenza ridotta, la quale però in questo caso non risulta più costante, ma funzione del numero Re. La determinazione della legge del moto è dunque ricondotta alla individuazione del legame funzionale fra due variabili adinaensionali : Xi (o X, secondo l'uso attualmente più diffuso) e Re. P evidente che non basterà più in questo caso, nemmeno teoricamente, una sola esperienza, ma ci vorrà una serie di esperienze : una sola serie però, che potrà effettuarsi col fluido più comodo e in. un'unica tubazione, facendo variare da una prova all'altra la velocità media (cioè la portata) e quindi il numero di Reynolds; per ogni valore di Re, da considerare noto a priori, si determinerà la cadente J, quindi -ro e X; la X (Re), così determinata per via sperimentale, potrà poi eventualmente tradursi in una espressione analitica interpolare, a mezzo delle normali procedure della statistica. Le prime determinazioni sperimentali sui tubi lisci, ormai classiche, sono dovute a Blasius (circa 1911), un allievo di Prandtl; furono effettuate in tubi di ottone tramato di modesto diametro e interessarono il campo dei numeri di Reynolds compreso tra il valore critico e circa 10 5. I
29D
=
0,316
119,25
zg
0,25 vo,25190 ,25
V2 D
T71,75
= cost
(ph.t, = 106) in un tubo di un cm di diametro una velocità critica V, = 0,20 nafs e in un tubo del diametro di 1 m una velocità critica di soli 2 mm/s.
"8)
dipendendo la costante (non numerica) dalla natura del fluido. Il confronto fra gli esponenti di V e D che compaiono in questa formula e gli analoghi che figurano nella (7.28), valida per il moto regolare, e nella (7.33) del moto puramente turbolento indica chiaramente che ci si trova in una situazione intermedia; il che è ben logico, visto che la zona di transizione è appunto interposta fra gli altri due tipi di movimento. Vale forse anche la pena di rilevare che, riassunte le tre formule nell'unica espressione:
J=k
Vni Dn
si ha nei tre casi m -I- n ---- 3. P questa una conclusione di carattere generale, valida ogni volta che la X (Re) possa esprimersi in forma monomia, e quindi utile per controllare la correttezza di formule interpolari ; posto infatti:
X = otRe -b , si ricava dalla (7.33):
(*) questo di gran lunga il più frequente nelle applicazioni tecniche: basti considerare il fatto che al numero di Reynolds critico corrisponde per l'acqua a 20 00
D1,2b '
J = cost • V2-51D1+b e quindi appunto: m±n=2—b+1-1-b= 3.
(7.39)
204
CORRENTI IN PRESSIONE RICERCHE SUL MOTO UNIFORME TURBOLENTO
Anche per il moto regolare, ovviamente, vale una formula del tipo (7.39). Si ricava infatti dalla (7.29):
205
come risulta dalla (7.6), ponendo r = D/2 y; e quindi, essendo y piccolo rispetto a D, risulta in prima approssimazione lineare; ne consegue per la formula di Newton: du- ) 2 T = cost = TO = pk2y2 (— . (7.43) —
TO
64
X = 8X 1 = 8 — ---- 64 P. V = = 64Re -1 ; p V2 pV2D Re il grafico della X(Re) risulta un ramo di iperbole equilatera.
(7.40)
dy
Prima di lasciare l'argomento della legge di resistenza nei tubi lisci, diamo anche un'altra espressione della X(Re), che interpreta abbastanza bene i risultati sperimentali, sia nella zona coperta dalle prove di Blasius sia in quella indagata da Nikuradse: essa si riallaccia ad un'altra ormai celebre formula di cui dovremo parlare più avanti, e si scrive: 1
_
2,51
-- — 2 Ig
1A
.
(7.41)
Re ArX
Questa formula, nota come formula di Prandtl-v. I“.rmki per i tubi lisci e dalla struttura piuttosto complicata, è dovuta sostanzialmente ad un ragionamento del grande fisico matematico v. Kàrmn, recentemente scomparso, e trae la sua origine dalla già citata ipotesi di Prandtl, del percorso di mescolamento turbolento e da una fondamentale ipotesi dello stesso v. Kkmém., sulla similitudine di tutti i diagrammi di distribuzione della velocità nei tubi lisci. Pensiamo che valga la pena di dare un cenno della sua deduzione Detta y la distanza di un generico punto del campo dalla parete del tubo, si postula che le due componenti u' e v' della velocità di agitazione siano proporzionali entrambe al percorso di mescolamento l e alla derivata della Ti rispetto ad y: _ 7 du U ' .-- v' — t --- -
dy'
si ammette inoltre che l sia, a sua volta proporzionale ad y (l = hy); non entriamo nel merito di queste ipotesi, limitandoci ad accettarle come abbastanza plausibili. Si ricava, per lo sforzo tangenziale turbolento in prossimità della parete, in particolare al bordo dello strato limite viscoso: .1.-
du- ) 2 = p U'V' ,, p12 (-_____ = dy
pk2y2
.4
du ) 2 ( ____ , dy
(7 2)
avendo conglobato in k tutte le costanti di proporzionalità. ' Prandtl nota inoltre che, nello strato limite viscoso, la, legge parabolica della velocità media si può scrivere: u- = YJ y (D — y) 4p.
,
Poniamo ora per definizione: It* =
To ;
(7.44) P la grandezza u* così definita, che ha le dimensioni di una velocità, ha notevole importanza nella teoria del moto uniforme e viene abitualmente designata come velocità di attrito (con ovvio riferimento al fatto che è legata allo sforzo tangenziale TO). Essa è anche legata alla velocità media V: infatti, a norma della (7.31) si ha: _ u* = V -09. = V 1/X1 8 • (7.45) Introdotta la (7.44) nella (7.43), si ricava: u* =
_ du hy ___ ; dy
di qui, integrando: Itu*
1 y = — In —•- , k yo
(7.46)
che è una espressione adimensionale del diagramma della velocità9.7t(y). Si deve notare subito che la costante di integrazione yo corrisponde al valore di y per cui, a norma della (7.46), si avrebbe 'Ft = 0; e che d'altra parte, la (7.46) può ritenersi valida fino in prossimità della parete, ma non fino a contatto di essa, perchè per y = O si avrebbe u = — co ; si ammette che valga fino al bordo dello strato limite viscoso di cui già si è fatto cenno. Ora, il moto turbolento in un tubo liscio, e in particolare la distribuzione della velocità, dipendono certamente da p e da p.; se poi si assume come velocità caratteristica la u*, che, come abbiamo visto, è legata alla V, semplici considerazioni di analisi dimensionale portano a riconoscere che, detta K una costante numerica, deve essere: yo = K
v * ---- K u* ,
P-
Pu con che la (7.46) si può scrivere: _ U 1 1 Yu * yu* = In In K = A In — + B. u* k v k v
(7.47)
206
CORRENTI IN PRESSIONE
La (7.47) è stata controllata sperimentalmente e riconosciuta valida da Nikuradse, il quale, dai suoi diagrammi sperimentali della velocità, giunse anche a stabilire il valore delle costanti:
e quindi:
i_ = 5,75 lg Yu* + 5,50; v
(7.48)
nella prima di esse è inclusa anche la costante per il passaggio dai logaritmi naturali ai decimali, più comodi per le applicazioni. La velocità massima Um sull'asse si ottiene ovviamente ponendo = ro = D/2: u. Du* = 5,75 lg -I- 5,50; u* 2v e per differenza: —u i D - 5,75 ig — . u* 2y A norma dell'ipotesi di similitudine di v. KArmítn, questa legge adimensionale deve ritenersi universalmente valida per il moto uniforme nei tubi lisci. Quanto alla velocità media V, possiamo calcolarla così: i i , Q r 2 V =— = — f u- dA = 2— fr° 14— • 27Cr • dr = j'' u- a (-.) . 7e 2 o A A A J0 , ro
o
A' ( Re _ lg
um
— ?Ti ( r )2 u- n, V d — = — — — i---= O (costante) ; u*
l 1 1-inz
ro
u*
u*
s'intende, costante al variare del numero di Reynolds, e quindi di u*, sempre a norma dell'ipotesi di v. KknA.,n. Si ricava, tenuta presente la (7.45):
V
um 8 11 —x- = — — — C = 5,75 lg Du* + 5,5 — C = u* 2v V D u* = A' lg + B' ; • V 2v
17,-=
VX) + b.
1
_ 1/X
- 2 lg
2 (Re .14 ) — 0,8 - — 2 lg
'
51
_
Re -0
cioè appunto la (7.41). Vogliamo anche accennare, per chiudere l'argomento, ai limiti del campo di validità della legge logaritmica di distribuzione della velocità espressa dalla (7.48). Abbiamo già detto che la si ritiene valida fino al bordo del substrato limite viscoso; ma forse converrebbe dire fino al bordo di quello straterello entro cui si può ammettere in prima approssimazione che la velocità u (coincidente con la i perché ivi non c'è agitazione) vari linearmente dal valore nullo alla parete al valore u 8 che assume al bordo; e porre di conseguenza:
du (—)
=
dy o
u8
=
3
avendo indicato con 3 lo spessore del substrato limite. Si ricava: u*
=
8To
p Su*2
Eru,*
[Jaz*
Su* v
Ma al bordo dello strato limite, cioè per y = 8, deve valere per ipotesi anche la (7.48) (fig. 7.7); deve dunque essere:
potremmo anche scrivere:
o
B' = a lg (Re
Introdotti i valori delle costanti numeriche, con qualche arrotondamento suggerito anche dal confronto con i risultati sperimentali, si ottiene:
ua
d
AFX ) - -1V8
2
Vx V8
Poichè ovviamente: r (-ro
207
RICERCHE SUL MOTO UNIFORME TURBOLENTO
3u*
— v
u*
- 5,75 lg
Su* v
+ 5,5.
Questa equazione trascendente, risolta per tentativi, fornisce : 3u* — = v
N t-. 11,5.
(7.49)
La costante N è detta numero di Nikuradse. Si può ricavare anche:
_
11,5v -018
11,5D
Re
,-
v 8/X ,
(7.50)
208
CORRENTI IN PRESSIONE RICERCHE SUL MOTO UNIFORME TURBOLENTO
209
a)
FIG. 7.7
e si può concludere (essendo, come vedremo, la variabilità di À con Re piuttosto modesta) che lo spessore 8 decresce al crescere del numero di Reynolds.
.-
Fio. 7.8
7.5.3
Moto nei tubi scabri
Facciamo ora l'ultimo passo, per completare l'analisi della relazione generale (7.23), tentando di affrontare il problema della messa in conto della scabrezza della parete: problema veramente complicato, non tanto per la necessità di introdurre una nuova grandezza, quanto per l'intrinseca difficoltà di definirla quantitativamente. Nella (7.23) la, scabrezza è stata rappresentata mediante un simbolo 8; e si è accennato al fatto che, trattandosi di una proprietà di tipo geometrico, le sue dimensioni dovrebbero essere quelle di una lunghezza. Ma è facile rendersi conto che a una definizione quantitativa completa non può bastare un'unica lunghezza, per esempio l'altezza media, o la massima, delle protuberanze che nel loro complesso determinano la scabrosità della parete, poiché deve contare molto, nei riguardi del moto del fluido, anche la forma e la distribuzione delle protuberanze stesse. Se si considerano i due tipi di scabrezza schematizzati nelle figg. 7.8a e 7.8b, irregolare il primo, regolare il secondo, è abbastanza intuitivo che il loro effetto sulla corrente non può essere identico, anche se l'altezza media delle protuberanze è la stessa. Per fare un altro esempio classico, la scabrezza a denti di sega rappresentata nelle figg. 7.8c e 7.8d deve esercitare diversa influenza a seconda del verso della corrente che la investe: quando i denti hanno il fronte ripido controcorrente (fig. 7.8c) essi provocano scie vorticose di ampiezza maggiore, e quindi presumibilmente oppongono maggior resistenza al moto, che nel caso opposto. Possiamo dire che i tentativi finora svolti, anche ingegnosi, di misurare e definire la scabrezza per via puramente geometrica, ai fini di poterne valutare l'influenza sul moto del fluido, non hanno avuto molto successo; e pertanto, come vedremo, si preferisce ancora
far ricorso ad una definizione basata piuttosto sulle conseguenze, cioè proprio sulla resistenza opposta al moto; definizione certo più utile, anche se apparentemente artificiosa. Le prime ricerche di laboratorio veramente significative sul problema della scabrezza sono state effettuate intorno al 1930 dal già ricordato Nikuradse. Di fronte alla difficoltà, di cui si è detto, di definire numericamente la scabrezza dei tubi prodotti dalle normali tecnologie (tubi di acciaio, di cemento, ecc.), e avendo di mira finalità scientifiche piuttosto che applicative, il Nikuradse preferì girare l'ostacolo costruendo una scabrezza artificiale, molto regolare e quindi facilmente misurabile. Questo risultato egli ottenne facendo aderire, mediante un collante, alla parete interna di un tubo liscio, uno straterello molto uniforme di sabbia con granuli di diametro rigorosamente costante per ogni tubo, ma variante da tubo a tubo. Tale diametro d venne appunto assunto dal Nikuradse come misura della scabrezza dei suoi tubi. Su tali tubi venne sperimentato secondo la procedura che abbiamo già ricordato: per diversi valori della portata della corrente fluida, quindi della velocità media e del numero di Reynolds, si misuravano le cadenti, da cui era agevole risalire ai valori delle À; e si costruivano quindi, per interpolazione, le curve ?(Re). Nella rappresentazione a scale logaritmiche, che è utile non solo perché facilita la ricerca di espressioni analitiche interpolari, ma anche, e soprattutto, perché dà maggior rilievo al campo dei valori di Re relativamente modesti, per cui si hanno i fenomeni più interessanti, il Nikuradse ottenne così un grafico (fig. 7.9) divenuto ormai classico e riportato su tutti i testi di meccanica dei fluidi: al quale anzi fu attribuito il nome fantasioso di arpa di Nikuradse, suggerito dalla sua forma. Vi è ripor-
210
E
CORRENTI IN PRESSIONE
\'‘
log .1
iog Re FIG. 7.9
RICERCHE SUL MOTO UNIFORME TURBOLENTO
scabrezza uniforme, e ciò spiegherebbe il brusco distacco; ovvio che questo avvenga tanto più presto quanto maggiore è la scabrezza relativa. Dopo un primo tratto ascendente, le singole curve ?(Re), per dì]) = cost, che sono concave verso il basso, tendono a disporsi orizzontali, il che significa che X tende ad assumere valore costante. Ora abbiamo visto che la legge X = éost è caratteristica del moto puramente turbolento, non più influenzato sensibilmente dalla viscosità. Contrariamente a quel che avviene per i tubi lisci, per i quali la condizione di moto puramente turbolento non è ancora stata raggiunta, possiamo dire che per i tubi scabri essa sia praticamente realizzata a partire da un certo valore di Re, tanto più piccolo quanto maggiore è la scabrezza relativa. In fig. 7.9 è segnata a lunghi tratti una curva che può essere adottata come confine tra la zona di transizione e quella del moto puramente turbolento: ad essa lo stesso Nikuradse ha assegnato l'equazione: Re* = 242'd
tata innanzitutto la retta del moto regolare, definita dalla (7.38); in corrispondenza del numero di Reynolds critico si ha un breve tratto di instabilità (con dispersione dei punti sperimentali), caratterizzato da un improvviso brusco aumento di X, ovvia conseguenza dell'intervento degli sforzi turbolenti ; poi la legge del moto coincide con quella dei tubi lisci (definita dalla formula (7.37) di Blasius o dalla (7.41) praticamente equivalente), per un intervallo di valori di Re più o meno lungo: e precisamente tanto più lungo quanto più piccola è la cosiddetta scabrezza relativa, cioè il rapporto fra il diametro d del granello di sabbia e il diametro D del tubo. Questa scabrezza relativa, e non la scabrezza assoluta d, interviene dunque come parametro a contraddistinguere le singole curve, cioè le singole serie di esperienze: il che è abbastanza logico, non soltanto per considerazioni di similitudine, ma anche perché sembra intuitivo che una determinata scabrezza debba opporre maggiore resistenza alla corrente in un tubo di piccolo diametro che non in un tubo di diametro più grande. Le scabrezze relative sperimentate da Nikuradse si estendono da un massimo di circa 1/30 a un minimo di circa 1/1000; le corrispondenti curve si staccano tutte piuttosto bruscamente da quella dei tubi lisci, con aumento iniziale di X. Per la maggior scabrezza relativa il distacco ha luogo quasi subito, cioè il campo di valori di Re per cui il tubo si comporta come liscio, risulta di ampiezza trascurabile; per le minori scabrezze, invece, il distacco avviene per numeri di Reynolds sempre più elevati. Di questa constatazione sperimentale è stata data una interpretazione teorica piuttosto suggestiva, poggiante sull'ipotesi dell'esistenza del substrato limite viscoso: la formula (7.50) mostra che lo spessore di questo strato diminuisce al crescere del numero di Reynolds; così, per piccoli valori di Re esso sommergerebbe completamente le protuberanze costituenti la scabrezza, sicché questa non potrebbe esercitare influenza sul fenomeno turbolento; crescendo Re, ad un certo punto le protuberanze emergono, tutte insieme poiché si tratta di
211
(7.51)
= 70,
essendo Re* un particolare numero di Reynolds, che potremmo dire per analogia di attrito, costruito assumendo come lunghezza il diametro d del granello costituente la scabrezza e come velocità la velocità di attrito. Nel campo del moto puramente turbolento la resistenza ridotta, che non dipende più da Re, viene ad essere funzione esclusivamente della scabrezza relativa (il valore di X varia da curva a curva). A questa relazione funzionale venne data una espressione analitica sulla base di un ragionamento sostanzialmente analogo a quello che ha condotto alla formula (7.41) dei tubi lisci, con la differenza che in questo caso, essendo nulla l'influenza della viscosità e comparendo invece quella della scabrezza, l'analisi dimensionale richiede di considerare la yo della formula (7.46) proporzionale a d; non lo esporremo qui per dettaglio, limitandoci a dare la formula finale, che è detta di Prandtl-v. Kkin,n per tubi scabri: 1
— 2 1g
(
1 3,71
d D)
(7.52)
come si vede, essa è di struttura molto simile alla (7.41); vi compare però un parametro rappresentativo della scabrezza, mentre è scomparso il numero di Reynolds. Diverso è il comportamento dei tubi comunemente impiegati negli impianti tecnici, i quali sono caratterizzati da scabrezze di diverso tipo, tutte però distribuite sulla parete in guisa non uniforme. Anche su questi tubi, naturalmente, sono state compiute numerose e vaste ricerche sperimentali, non solo nei laboratori, ma anche in impianti in esercizio, interessando queste ultime ricerche condotte o gallerie di grosse dimensioni. Vale la pena di ricordare, a questo proposito, l'importante contributo portato
RICERCHE SUL MOTO UNIFORME TURBOLENTO
212
213
CORRENTI IN PRESSIONE
da una commissione di studio italiana presieduta da De Marchi, che ha operato nel decennio antecedente l'ultima guerra mondiale fornendo una preziosa raccolta di risultati, interessanti appunto le grandi condotte e i grandi canali e fin da allora elaborati dallo stesso De Marchi secondo i criteri sopra ricordati. I punti sperimentali, riportati in grafici del tipo già illustrato (fig. 7.9), danno luogo a curve con differenti andamenti, raramente però presentanti il tratto ascendente, con concavità verso il basso, caratteristico delle curve di Nikuradse. In genere poi tutte queste curve si staccano da quella dei tubi lisci molto gradualmente, risultando ad essa tangenti e quindi presentando almeno un primo tratto discendente, con concavità verso l'alto; nella grande maggioranza dei casi questo tratto discendente tende, al crescere di Re, a disporsi orizzontale, cioè ad assumere in definitiva quell'andamento che caratterizza il moto puramente turbolento. Il diverso modo di intervento della turbolenza constatato per questi tubi, nei confronti coi tubi di Nikuradse, trova una facile spiegazione qualitativa nel quadro della teoria dello strato limite. Mentre, come è stato illustrato, per i tubi di Nikuradse a scabrezza uniforme tutte le protuberanze costituenti la scabrezza emergono contemporaneamente dal substrato limite viscoso quando viene raggiunto un determinato valore del numero di Reynolds, per i tubi a scabrezza non uniforme incominciano ad emergere le protuberanze più elevate e poi via via quelle di altezza minore, quando, crescendo progressivamente Re, diminuisce di conseguenza lo spessore del substrato limite; e si giustifica così il graduale intensificarsi della turbolenza prodotta dalle scie vorticose e quindi il graduale distacco delle singole curve X(Re) da quella dei tubi lisci. La fig. 7.10 illustra qualitativamente il comportamento ora descritto
log
A
da quelli indicati. Bisogna però anche dire che, specialmente per le determinazioni fatte sugli impianti industriali, qualche circostanza accidentale non sempre sicuramente individuabile può avere influenzato i risultati delle misure. L'ovvio interesse di questi tipi di tubi per le applicazioni tecniche ha indotto a ricercare formule interpolari che ne interpretassero il comportamento (almeno quello medio, o più comune) anche nella zona di transizione. Una formula ha avuto particolare successo: appoggiata sui risultati delle esperienze e delle rielaborazioni compiute dai ricercatori inglesi Colebrook e White, venne proposta poco prima dell'ultima grande guerra (1939) ed è ormai nota come formula di Colebrook. Essa ha avuto un successo veramente sorprendente (e forse non del tutto giustificato), tanto che in quasi tutti i trattati di meccanica dei fluidi, specialmente di lingua inglese, ha ormai soppiantato le tradizionali formule empiriche di largo impiego. In Italia essa venne conosciuta praticamente soltanto al termine della guerra e inoltre incontrò difficoltà di vario genere nella sua diffusione; ma la necessità sempre più sentita di occuparsi di moti fluidi appartenenti alla zona di transizione ha ormai consigliato anche gli autori italiani a prenderla in seria considerazione e a suggerirne l'impiego. La formula di Colebrook trae origine proprio dalla constatazione che le curve della zona di transizione si raccorciano in maniera continua sia a quella dei tubi lisci che alle rette del moto puramente turbolento e che inoltre i valori di X da esse forniti sono superiori a quelli deducibili da entrambe le linee tangenti. Approfittando dell'evidente analogia formale fra le formule (7.41) e (7.52), il Colebrook ne tentò, in un certo senso, la fusione, semplicemente sommando gli argomenti dei logaritmi (*). Restava però la grossa difficoltà di definire quantitativamente la scabrezza, cioè di assegnare il valore di quel parametro d che ha un significato geometrico ben preciso per i tubi di Nikuradse : rinunciando ad ogni tentativo di definizione geometrica, il Colebrook pensò che esso potesse essere assunto in base agli effetti della scabrezza sul movimento (il che è ben razionale), cioè non a priori, per ciascun tipo di tubo, ma cercandone il valore che, introdotto nella sua formula, la rendesse maggiormente aderente ai risultati sperimentali; e lo chiamò e, per distinguerlo dal d di Nikuradse. La formula di Colébrook si scrive pertanto così: 1
log
Re
Fio. 7.10
dei tubi che potremmo definire commerciali; ma in realtà è una rappresentazione forse un po' troppo schematica e idealizzata, giacché gli effettivi andamenti sperimentali spesso si discostano in guisa più o meno sensibile
_ — — 2 lg
(
2,51
1
Re -V —X
3,71
)
D
(7.53)
Bisogna dire che, in realtà, la sua struttura non ha alcuna giustificazione razionale. La giustificazione del suo impiego sempre più diffuso va (*) Si riconosce subito che, per ciascuna delle due formule, al crescere dell'argomento del logaritmo corrisponde un aumento di X : lo stesso si ha quindi anche sommandoli.
214
CORRENTI IN PRESSIONE
dunque cercata nel fatto che essa può ritenersi una buona formula interpolare, che cioè essa interpreta abbastanza bene, nella zona di transizione, ma anche oltre i suoi limiti, molte serie di risultati sperimentali sui condotti a scabrezza non uniforme, forse la maggior parte di tali risultati. Si noti, qualitativamente, che per valori di Re relativamente modesti il primo addendo dell'argomento del logaritmo prevale decisamente sul secondo, qualunque sia la scabrezza, sicché la formula si scosta poco da quella dei tubi lisci; viceversa, al crescere di Re il primo addendo finisce per diventare trascurabile di fronte al secondo, e ciò tanto più presto, cioè per valori di Re tanto meno elevati, quanto maggiore è la scabrezza. Anche col nuovo parametro s si può ritenere che il limite di destra della zona di transizione oltre il quale la formula di Colebrook può essere sostituita dalla più semplice (7.52), sia definito dalla curva :
Re* =
Eu*
— 70.
215
RICERCHE SUL MOTO UNIFORME TURBOLENTO
(7.54)
Anche nella formula di Colebrook compare non già la scabrezza assoluta, definibile a mezzo del parametro s avente le dimensioni di una lunghezza, bensì la scabrezza relativa (numero puro): ad ogni valore di siD corrisponde, nel grafico che la rappresenta, una particolare curva. Ovvio è però che per definire idraulicamente un determinato tipo di scabrezza occorre assegnare il corrispondente s; ormai le prove sperimentali hanno condotto a individuare tutta una serie di valori di E caratterizzanti diversi tipi di scabrezze, che può considerarsi come il corredo applicativo della formula; e tali valori sono ormai riportati in molti manuali anche di pratico impiego (*). La struttura complicata della formula di Colebrook non è evidentemente molto comoda per le applicazioni. Se ne può però facilitare l'impiego mediante grafici, il più diffuso dei quali, a scale logaritmiche (ascisse i logaritmi decimali di Re, ordinate quelli di X) è detto abaco di Moody (fig. 7.11). Esso è abbastanza pratico per un particolare calcolo di verifica, e precisamente : data la portata Q che si deve muovere in una assegnata condotta, determinare la cadente e quindi il dislivello piezometrico che deve esistere fra la sezione iniziale e quella terminale. Naturalmente, assegnare la condotta significa assegnarne, oltre le dimensioni geometriche macroscopiche (diametro e lunghezza), anche le caratteristiche idrauliche, definibili mediante il parametro e (la condotta apparterrà ad una categoria per la quale è nota la E): è quindi nota a priori anche la scabrezza relativa EID, cioè la curva dell'abaco che rappresenta la (*) Si può notare che, figurando e soltanto nell'argomento di un logaritmo, una sua anche grossolanamente inesatta valutazione porta a errori piuttosto modesti nel calcolo di X. Per contro però, come è evidente, lo stesso fatto rende difficili e delicate le determinazioni sperimentali di E.
o
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216
CORRENTI IN PRESSIONE
RICERCHE SUL MOTO UNIFORME TURBOLENTO
condotta. Poiché è data la portata, e naturalmente si devono ritenere note le caratteristiche fisiche del fluido, si può calcolare il numero di Reynolds :
Re= pVD
4Q nvD
=
e cioè l'ascissa dal punto rappresentativo della corrente: la corrispondente ordinata fornisce il valore di X, dopo di che si calcola la cadente a mezzo della (7.33) :
J=
e quindi:
pD
(1 +
X—
= -1/ 2gDJ V Re VX =
zona di transizione con una formula unica, dedotta con analoga procedura e ovunque sufficientemente approssimata ai fini applicativi: nel senso che i suoi scostamenti dalla formula originaria di Colebrook non sono mai di un ordine di grandezza superiore a quello degli errori che possono derivare da tutti gli elementi di incertezza legati al sostanziale empirismo della stessa formula di partenza, nonché alla scelta dei valori della scabrezza. Diamo questa formula, veramente pratica per le applicazioni, sorvolando sui calcoli, del resto piuttosto banali, con cui è stata ottenuta; si ha precisamente:
XV 2gD
Sempre restando nel campo dei problemi di verifica di una condotta assegnata, sembra più complesso il problema inverso, di calcolare la portata che si muove per effetto di una assegnata cadente. In questo caso, infatti, non si conoscono a priori nè il numero di Reynolds, che dipende dalla portata incognita, nè la resistenza ridotta X = 2gDJ I V2, che pure dipende dalla portata: si conosce la curva rappresentante la condotta, ma non sono note nè l'ascissa nè l'ordinata del punto che rappresenta la corrente. Un'interessante osservazione consente però di risolvere anche il problema ora ricordato. Se si considera il prodotto Re si riconosce che esso non dipende dalla portata. Si ha infatti :
2gDJ ;
espressione che, per il problema assegnato, contiene soltanto fattori noti. Risulta pertanto noto il secondo membro della formula di Colebrook e quindi calcolabile X, dopo di che si ricava V dalla
V = 2gDJ IX .
(7.55)
Allo scopo di rendere agevole l'applicazione della formula di Colebrook, sono state elaborate anche diverse espressioni interpolari semplici della stessa. La prima valida ricerca in tal senso si deve a Supino, il quale, mediante due distinti sviluppi in serie del logaritmo che figura nella for.mula di Colebrook, pervenne a due espressioni approssimate di facile impiego, valide rispettivamente per la parte della zona di transizione prossima alla curva dei tubi lisci e per quella prossima alla zona del moto puramente turbolento; e assegnò il confine fra i campi di applicabilità delle due espressioni. Più tardi venne messo in evidenza come fosse possibile coprire l'intera
217
4
Re sID
) 2 -=
(1 +
8 Re OD
.
(7.56)
Il simbolo X„, rappresenta il valore limite dell'indice di resistenza ) della condotta assegnata, cioè quel valore di X che compete alla condotta nella situazione di moto puramente turbolento; esso dipende unicamente dalle caratteristiche della condotta, ed è ovviamente deducibile dalla (7.52), in cui si ponga d = e: Xco =
1 D -2 (lg 3.71 --) . 4 E
(7.57)
Il termine 8 /(Re [D) rappresenta una correzione da apportare a questo valore dell'indice di resistenza per tener conto del fatto che ci si trova nella zona di transizione: precisamente, l'intervento della viscosità si traduce in un aumento di resistenza, tanto più sensibile quanto più piccola è la scabrezza relativa e quanto più piccolo è il numero di Reynolds (come appare evidente dal grafico di Moody e del resto è giustificato da semplici ragionamenti qualitativi). La (7.56) è di impiego immediato per il calcolo della cadente necessaria per muovere una determinata portata di un qualsiasi fluido in una condotta assegnata: sono infatti noti in tal caso la scabrezza relativa E /D e quindi Xa, ed il numero di Reynolds; si ottiene quindi direttamente X, e poi Ja mezzo della (7.33). La stessa (7.56) può anche essere facilmente trasformata in guisa da rendere possibile il calcolo inverso, della portata cioè che può essere convogliata da una determinata condotta con una assegnata cadente. Si ricava successivamente: I
(1 +
NAco
4
Re sID
1
I
4
,
— v -j;
Re
e moltiplicando per 2g11.1 e ordinando diversamente:
2g.1),1
=
-1/ 2gDJ
070
4 V2gDJ
Re
VX
EID
ID
218
I
CORRENTI IN PRESSIONE
A norma della (7.55) il primo membro dà la velocità media V; il primo addendo del secondo membro può quindi essere interpretato come la velocità, che diremo Vo, , che assumerebbe la corrente se, con la stessa cadente, il moto potesse essere puramente turbolento. Abbiamo pertanto :
V = Vco
4 VD
Re e
v = Vco— 4 -- .
(7.58)
La formula trovata non è priva di un certo interesse concettuale; essa mette in evidenza la diminuzione che subisce la velocità per effetto dell'intervento delle resistenze viscose, rispetto al valore che essa avrebbe se il moto fosse puramente turbolento. Tale diminuzione, che naturalmente è tanto più sensibile quanto minore è la scabrezza, risulta indipendente dal numero di Reynolds, e cioè dalla posizione che la corrente occupa nella zona di transizione: risultato a prima vista sorprendente, ma che appare del tutto ragionevole se si considera che una medesima correzione assoluta è percentualmente tanto più importante, rispetto al valore di V, quando più piccola è la stessa V e quindi il numero di Reynolds, cioè quanto più ci si scosta dalla condizione di moto puramente turbolento e tendono a prevalere gli sforzi tangenziali di tipo viscoso. Quanto ai-valori assoluti della correzione (che ovviamente ha le dimensioni di una velocità), si può rilevare che essi sono praticamente trascurabili per scabrezze rilevanti: se il fluido è acqua a 20 00 (v = 10 -6m2 /s) essa è di soli 0,4 mm /s per e = 0,01 m, che può corrispondere a una parete scavata in roccia e appena regolarizzata, ma senza rivestimento; ed è ancora di soli 4 mm /s per e -= 0,001 m, che può corrispondere a un intonaco rustico di cemento. Ma la correzione può giungere a 40 cm /s, e cioè ad un valore che può essere percentualmente importante, per e = 0,00001 m, cioè per esempio per una parete d'acciaio in servizio da breve tempo. Comunque, la (7.58) consente di risolvere il problema enunciato: infatti, nota la condotta, e quindi e e , e nota la cadente si può calcolare
FORMULE PRATICHE
219
7.6 Formule pratiche Come abbiamo già ricordato, si tratta in ogni caso di formule empiriche, il cui significato concettuale deve ritenersi nullo; ma tenteremo di mostrare come gli studi a sfondo teorico che abbiamo sopra succintamente esposti gettino ora una nuova e diversa luce anche su queste formule empiriche, se non altro precisandone il campo di applicazione e spesso estendendolo con sicurezza ben oltre i limiti coperti delle ricerche sperimentali da cui le formule stesse hanno tratto origine. Citeremo quelle attualmente più in uso fra gli idraulici, limitandoci soltanto a un breve cenno a qualcuna del passato, ormai in disuso, più che altro con l'intendimento di illustrarne il significato alla luce delle considerazioni sopraddette. Si può ritenere che la più antica formula proposta per il moto uniforme in pressione sia dovuta a Couplet, architetto del Re Sole e progettista delle fontane del parco di Versailles. Essa sì può scrivere nella forma :
DJ —= cost ; V2 la quale indica chiaramente (per la proporzionalità di J a V2 e all'inverso di D, vedi formula (7.32)), che il campo sperimentale coperto deve essere stato quello del moto puramente turbolento. La costante a secondo membro, che non è un numero puro, ha comunque il significato di un indice di scabrezza, anche se l'Autore non se n'è potuto rendere conto; il fatto poi che questo indice non dipenda da D e che pertanto sia implicitamente messa in conto una scabrezza assoluta, anzicché una seabrezza relativa, sembrerebbe indicare, a parte la probabile grossolanità della sperimentazione, che questa si sia limitata a una serie di diametri molto ristretta. Una modifica alla formula di Couplet è stata portata da un altro idraulico francese, il Prony, ancora nel diciottesimo secolo. La formula di Prony suona:
DJ
V «, =
2qDJ Xco
dopo di che la (7.58) fornisce direttamente V. Le formule (7.56) e (7.58) rendono dunque ormai agevole la risoluzione dei problemi di moto uniforme anche nella zona di transizione. P poi evidente che la stessa formula di Colebrook può essere impiegata anche nel campo del moto puramente turbolento sopprimendo il primo addendo dell'argomento del logaritmo; ma per queste situazioni le preferenze dei tecnici vanno ancora decisamente alle formule tradizionali, forse più pratiche e certamente corredate da più dettagliati elenchi di valori degli indici di scabrezza.
= + essendo a e b due costanti (non adimensionali); e appare a prima vista sorprendente la comparsa della V al secondo membro, in luogo della D che era logico attendersi in base alla considerazione della scabrezza relativa. Un interessante tentativo di spiegazione può ora essere proposto: poiché, come risulta dalla (7.32) il secondo membro deve essere proporzionale al numero di resistenza, il fatto che esso dipenda da V, e cioè dal numero di Reynolds, sembra indicare che le prove che hanno condotto alla formula di Prony si siano svolte nella zona di transizione, anzicché in quella del moto puramente turbolento; cosa non certo impossibile, per la probabile esiguità delle portate impiegate. Il non intervento di D, e quindi della scabrezza relativa,
220
CORRENTI IN PRESSIONE
deve poi essere spiegato con il ristretto campo di valori di D sottoposti a prova, come già detto per la formula di Couplet. Verso la metà del secolo scorso il francese Darcy propose infine la formula:
DJ V2 a + D ' sempre con a e b costanti; questa è chiaramente una formula del moto puramente turbolento e per la prima volta viene espressa la dipendenza dalla scabrezza relativa, in modo evidente e razionale. Le esperienze di Darcy si erano svolte tutte su tubi di ghisa e pertanto avevano riguardato un unico tipo di scabrezza; logicamente perciò venne assegnato un ben determinato valore a ciascuna delle due costanti a e b. Lo stesso Darcy però riconobbe che, invecchiando la tubazione, le caratteristiche di scabrezza si alteravano per il ben noto fenomeno della tubereolizzazione del ferro, e che in conseguenza entrambi i coefficienti tendevano ad aumentare; e propose di adottare, per tubazioni in esercizio da molti anni, valori di a e b doppi di quelli da lui stesso stabiliti per tubazioni nuove. La formula di Darcy, che può anche essere scritta, introducendo la portata in luogo della velocità
J
—
Q2 D5
(7.59)
con
p=
221
FORMULE PRATICHE
0,00164 + 0,000042/D,
per tubi nuovi, è ancora comunemente impiegata per il calcolo idraulico di tubazioni di ghisa o di acciaio di diametro non molto elevato: tipiche quelle di adduzione e di distribuzione degli acquedotti per uso potabile. Essa si trova pertanto ampiamente tabellata (per tubi usati, poiché ovviamente il calcolo deve prendere in considerazione la situazione che si verrà a stabilire dopo un periodo di esercizio lungo almeno quanto il previsto periodo di ammortamento dell'impianto). Il suo impiego viene però limitato a diametri non superiori a 500 mm, essendosi ormai riconosciuto che per diametri maggiori le cadenti da essa fornite risultano eccessive. L'estendersi dell'impiego di grosse tubazioni e soprattutto di condotte fatte con materiali diversi dai ferrosi ha fatto però ormai prevalere l'uso di altri tipi di formule, che si possono ritenere più generali di quelle sopra descritte perché contengono esplicitamente un coefficiente, detto indice di scabrezza, che può variare da, caso a caso; ed ognuna delle formule che ora 'citeremo è corredata da una scala di valori di tale indice (riportata dai manuali), che prende in considerazione tutti i tipi più usuali di scabrezza. Si può dire che tutte queste formule si riallaccino ad una formula, detta di Chézy, proposta originariamente, ancora nel Settecento, per il calcolo dei canali e in genere delle correnti a pelo libero; l'estensione del suo impiego
alle correnti in pressione è relativamente recente, risalendo soltanto al principio di questo secolo. La formula di Chézy è:
j =
(7.60)
C2R
essendo R il raggio idraulico (R = D/4 per i condotti a sezione circolare) e C un coefficiente di scabrezza, al quale sono state assegnate varie espressioni da diversi autori. Prima di citare le più usate conviene però mettere in evidenza come la C di Chézy sia legata all'indice di resistenza X da una relazione semplice, che si può ricavare dal confronto fra la formula (7.60) ora scritta e la (7.33) di Darcy-Weisbach ; si ottiene:
(7.61)
9 C =r7
Questa relazione è concettualmente piuttosto importante; se ne possono trarre alcune conclusioni, di interesse anche applicativo. Notiamo anzitutto che C non è un numero puro, ma ha le dimensioni della radice di una accelerazione: sicché i coefficienti che compaiono nelle formule che la definiscono hanno valore che dipende dal sistema di misura adottato. Osserviamo inoltre che C risulta costante, per un determinato tubo, cioè indipendente dal numero di Reynolds, quando è costante X, cioè, come sappiamo, quando il moto è puramente turbolento: tutte le formule che scriveremo si riferiscono precisamente a questa situazione. Ma ancora vogliamo porre in rilievo una considerazione che vale a ben precisare il significato delle formule stesse: abbiamo visto (v. ad esempio la formula (5.57)) che nel campo del moto puramente turbolento X dipende dalle caratteristiche geometriche del tubo (diametro, scabrezza), ma non dalle proprietà fisiche del fluido; lo stesso fatto deve valere evidentemente per C. Ora, tutte le formule empiriche di definizione di C sono state ottenute sperimentando con acqua e conseguentemente viene precisato in molti trattati di idraulica che devono ritenersi valide per il moto dell'acqua; alla luce delle considerazioni fatte possiamo però concludere che tale restrizione non è giustificata: se le formule vengono usate correttamente nel loro campo di applicazione, cioè per il moto puramente turbolento, esse valgono indiscriminatamente per ogni fluido, liquido od aeriforme. Limitandoci alle formule più comunemente impiegate anche per le correnti in pressione, citeremo innanzitutto quella di Bazin (detta talvolta seconda formula di Bazin perché posteriore ad altra ormai in disuso): proposta nella seconda metà del secolo scorso, essa è ancora, forse, la più usata dagli idraulici italiani e si scrive:
87
C = 1 -1--
87
= Y
VR
1+
2y
VD
;
(7.62)
222
CORRENTI IN PRESSIONE
FORMULE PRATICHE
223
in essa -t rappresenta un indice di scabrezza; come si vede, esso è posto in relazione col diametro D (o col raggio idraulico R), sicché nella formula è implicita la considerazione della scabrezza relativa. Una sufficientemente estesa classificazione delle scabrezze e dei corrispondenti valori di y correda la formula ed è riportata su tutti i manuali. Di struttura del tutto analoga è la formula di Kutter, derivante da una antica e assai rinomata (per quanto assurda) formula di Ganguillet e Kutter, di cui faremo cenno parlando delle correnti a pelo libero. Essa si scrive : 100 C = (7.63) 2m 1+ 1/7 D
Del tutto identica è una notissima formula di Maiming, la più diffusa fra i tecnici anglo-americani: sola differenza è che in luogo di c vi compare il suo inverso n = 1/c, i cui valori, inoltre, almeno nell'originaria tabellazione, erano riferiti al sistema di misura inglese. La ricordiamo soltanto perché ampiamente citata in trattati e manuali. Ricordiamo ancora due formule di tipo monomio, ottenute da Contessini mediante interpolazione della formula di Kutter, e da ritenere valide rispettivamente per le condotte di acciaio nuove o in esercizio da parecchio tempo. Scritte direttamente come relazioni fra la cadente e la portata (in analogia alla (7.59) di Darcy), esse sono:
essendo m l'indice di scabrezza, che per le correnti in pressione assume valori compresi fra un minimo di circa 0,12 per tubazioni di acciaio nuove a un massimo di circa 0,45 per tubazioni in esercizio da molti anni. Benché meno diffusa, in Italia, della formula di Bazin, si può ritenere ad essa del tutto equivalente, anche per l'ampiezza della specificazione dei valori della scabrezza e perché essa pure è largamente tabellata nei manuali (v. ad esempio Manuale Colombo, 80a ed. p. 267); per qualche situazione (condotte di grande diametro, poco scabre, come alcune gallerie di impianti idroelettrici) essa può anzi presentare un certo pregio formale, che si ricollega al numeratore più grande: quando infatti C fosse compreso fra 87 e 100 (ed ormai il caso non è raro), per la formula di Kutter si ha ancora un indice di scabrezza positivo, mentre per quella di Bazin si avrebbe un indice negativo, concettualmente un po' assurdo. Di tipo monomio è la formula di Strickler (detta anche di Gauckler e Strickler): C = cRII6 , (7.64)
Q2 D; J = 0,0020 5, 44
nella quale il coefficiente e, dipendente dalla scabrezza della parete, potrebbe pure essere chiamato un indice di scabrezza, benché di valore tanto più grande quanto minore è la scabrezza. Anche la formula che da essa deriva introducendola nella (7.60):
J—
V2 c2R4/3
(7.65)
£on e costante, ha struttura monomia; ed è questo un innegabile vantaggio, non solo per la maggior semplicità che possono assumere le trattazioni analitiche, ma anche perché, come diremo più avanti, viene reso possibile il calcolo di progetto per via diretta. Per questa ragione, la formula di Strickler, più recente delle precedenti, sta prendendo ormai larga diffusione anche fra i tecnici italiani.
Q2
J = 0,0012
D5,26
(7.66)
(7.67)
il loro vantaggio principale è che si prestano bene per il calcolo di progetto delle condotte, consistente nel determinare il diametro quando siano assegnate la portata da convogliare e la cadente piezometrica disponibile; è evidente infatti che esse consentono il calcolo diretto dei diametri a mezzo dei logaritmi. Dopo questa elencazione, che pur si limita alle formule attualmente più in uso, e prescindendo dai particolari vantaggi pratici che possono presentare in qualche situazione le formule monomie, si presenta quasi spontanea la domanda se sia da preferire una formula piuttosto di un'altra. Conviene però dire che una tale preferenza non avrebbe una vera giustificazione : concettualmente tutte le formule ricordate sono equivalenti, essendo tutte completamente empiriche e riferendosi tutte ad uno stesso tipo di movimento, quello che abbiamo chiamato puramente turbolento; praticamente un maggior pregio potrebbe derivare dalla maggior cura usata nello stabilire i valori dei coefficienti di scabrezza e dalla maggior documentazione sperimentale a base dei coefficienti stessi, ma anche per questo aspetto possiamo ammettere che almeno le tre formule citate, di Bazin, di Kutter e di Strickler, siano ugualmente buone. Per tutte si hanno scale dei coefficienti sufficientemente dettagliate e ben caratterizzate dalla descrizione delle corrispondenti scabrezze; cosa, che del resto può ormai ritenersi vera anche per la scala degli E della formula di Colebrook e della (7.57) che ad essa si ricollega. Dopo di che bisogna convenire che la scelta della formula resta più che altro legata all'uso e alle tradizioni locali. Ricordiamo a questo punto che, nel campo delle formule empiriche, ne esistono parecchie del tipo monomio
J =a — De
224
CORRENTI IN PRESSIONE
che si riferiscono indubbiamente al moto nella zona di transizione in quanto prevedono per l'esponente b valori diversi compresi fra 1,75 e 2; esse riguardano perloppiù proprio tubazioni il cui comportamento si può considerare prossimo a quello di un tubo liscio (tubi di cemento-amianto, tubi di acciaio biturnati o zincati, ecc.). Pare abbastanza evidente che formule di questo tipo debbono considerarsi valide soltanto per il fluido che è stato oggetto della sperimentazione.
7.7
E
PERDITE DI CARICO LOCALIZZATE
O)\
225
".• grAritt.fro.._
Perdite di carico localizzate
Nella pratica idraulica le correnti fluide in pressione si muovono di norma entro condotte cilindriche; si comprende pertanto come lo studio del moto permanente non uniforme abbia per esse limitata importanza. Fanno eccezione alcune situazioni particolari, riguardanti perloppiù i brevi raccordi fra un tratto di condotta cilindrica e il successivo: si tratta di cambiamenti di sezione o di direzione, bruschi o più o meno graduali; comunque, in generale, di situazioni in cui il moto si scosta così decisamente dall'essere uniforme che la corrente non può neppure essere considerata come gradualmente variata, nel senso che è stato precisato. Ne consegue che non è a rigore lecito, per questi brevi tratti, considerare una linea piezometrica e una linea dei carichi totali della corrente; quando queste linee si trovino segnate in una rappresentazione d'insieme del processo idraulico che interessa l'intera corrente (v. per esempio più avanti, fig. 7.23), esse devono considerarsi soltanto come segni di raccordo fra le corrispondenti linee relative ai tronchi cilindrici situati a monte e a valle. L'importanza dello studio di queste situazioni sta nel fatto che esse sono quasi sempre caratterizzate da una intensa dissipazione di energia e quindi da un brusco abbassamento della linea dei carichi totali. La causa di tale dissipazione è di norma un distacco della vena fluida dalla parete, accompagnato dalla formazione di zone dove ha luogo una intensa agitazione vorticosa di masse fluide sottratte al movimento generale di trasporto; per di più, a valle di queste zone si hanno tratti di corrente fortemente ritardata, ove il fenomeno turbolento acquista particolare importanza; esempi tipici sono quelli schematicamente rappresentati in fig. 7.12 dove sono state segnate a tratteggio le zone occupate dai vortici, subito a, valle dei punti di distacco della vena: in a) è indicato un brusco allargamento della sezione della condotta, in b) un brusco restringimento (si noti come il processo idrodinamico sia, nei due casi, affatto differente), in e) un brusco cambiamento di direzione. Le dissipazioni di energia di cui ora si è detto vengono designate come perdite di carico localizzate, per contraddistinguerle dalle perdite continue, che si hanno lungo i tratti di corrente in moto uniforme e che traggono la loro prima origine dalla resistenza opposta al movimento dalla parete della condotta. Quando la condotta non sia, nel suo complesso, molto lunga, le perdite localizzate possono avere un'entità tutt'altro che trascurabile di
fronte a quelle continue, e ne consegue la necessità di tenerne conto in un calcolo idraulico corretto. Notiamo subito che, trattandosi di dissipazioni di energia dovute ad un fatto turbolento particolarmente intenso, esse devono risultare assimilabili a quelle che caratterizzano il moto puramente turbolento e perciò proporzionali ai quadrati delle velocità in gioco; ciò giustifica l'uso di esprimerle nella forma:
=n
V2
(7.68)
2g
(o in altre forme analoghe), essendo V una velocità assunta come rappresentativa del particolare processo e n un coefficiente numerico, costante, da determinare caso per caso; soltanto quando la corrente sia caratterizzata da numeri di Reynolds molto bassi il coefficiente n può diventare funzione di essi (in genere decrescente al crescere di Re, benché la regola non sia assoluta).
226
PERDITE DI CARICO LOCALIZZATE
CORRENTI IN PRESSIONE
I, ,
Conviene forse a questo punto fare una precisazione circa il significato del AH che rappresenta la perdita localizzata e in particolare circa le modalità secondo cui lo si determina sperimentalmente. Se la causa della perdita i localizzata è compresa nel tratto di corrente AB (v. fig. 7.13) di norma essa viene stabilita misurando, a mezzo di un manometro differenziale, la differenza 3 fra le quote piezometriche in due sezioni N e M rispettivamente a monte e a valle del tratto stesso (che vanno scelte in modo che in esse la corrente possa considerarsi lineare).
Posto AH = 8 +
—
2g
per ottenere la vera perdita localizzata A'H occorrerebbe depurare questo valore delle perdite continue che si verificano nel tratto NM: convenzionalmente esse si potrebbero valutare come se nel tratto stesso il moto fosse uniforme (p. es. nella situazione della figura, come somma di Y' e Y").
227
Vogliamo ancora ricordare, prima di chiudere questa premessa, che talvolta una perdita di carico localizzata viene artificialmente provocata, per esempio nei dispositivi che servono per la regolazione della portata (saracinesche, rubinetti o simili); sul funzionamento di questi dispositivi ritorneremo più avanti. 7.7.1
Brusco allargamento
La situazione illustrata in fig. 7.12a) e corrispondente al brusco allargamento di una condotta può essere considerata come un prototipo nello studio delle perdite di carico localizzate: diverse altre situazioni possono infatti, come vedremo, ricondursi ad essa. La sua trattazione, inoltre, presenta un notevole interesse concettuale. Questo processo di movimento era già stato preso in considerazione, nella prima metà del secolo scorso, dal francese Borda, nell'ambito dei suoi studi sui fenomeni d'urto; assimilando la perdita di energia che vi si verifica a quella cui darebbe luogo l'urto anelastico della corrente proveniente dalla condotta di sezione più piccola contro l'altra, più lenta, che si muove nella condotta di valle di maggior sezione, egli pervenne ad una formula che porta ora il suo nome ed è tutt'ora riconosciuta valida. Vi giungeremo seguendo un diverso ragionamento; preferiamo infatti considerare la perdita di energia come dovuta, più che a un urto, al violento rimescolamento del fluido che trae origine dal rallentamento della corrente e alla formazione di vortici ai bordi della vena in espansione. L'analisi di dettaglio di questi fatti vorticosi appare a prima vista come questione praticamente irrisolvibile, sia per via teorica che sperimentale; ma fortunatamente questa analisi non rientra nel quadro degli interessi del tecnico, al quale importa soltanto la conoscenza della perdita di carico complessiva. Ed alla sua valutazione si può pervenire considerando soltanto quel che avviene ai bordi del campo dove si attua l'espansione della vena, in pratica nelle due sezioni estreme del tratto di corrente interessato, e prescindendo invece dallo studio minuto di quel che avviene all'interno del campo stesso: siamo dunque di fronte ad una tipica situazione in. cui si dimostra particolarmente efficace l'impiego dell'equazione globale dell'equilibrio dinamico. Supponiamo (fig. 7.14) che nel tratto interessato dal brusco allargamento l'asse della condotta sia orizzontale; facciamo questo soltanto per semplificare la trattazione analitica, ma è ovvio che con ciò non toglieremo nulla alla validità generale del risultato: basti pensare che la perdita di carico AH che ci proponiamo di valutare non può evidentemente dipendere dall'inclinazione della condotta. Applichiamo l'equazione globale della dinamica al tronco di corrente, tratteggiato in figura, compreso fra la sezione 1 terminale della condotta d'arrivo, dove la corrente è ancora sicuramente lineare, e una sezione 2 più a valle, che collocheremo alla minima distanza necessaria affinché le traiettorie del moto medio, dopo l'espansione, abbiamo riassunto il loro anda-
228
PERDITE DI CARICO LOCALIZZATE
CORRENTI IN PRESSIONE
----
f-- -----
v,2/29
1
_ 1
T F mi i
_i 2g__
2v;
229
na circolare di cui si è detto, e le quantità di moto delle portate entrante e uscente, forze tutte aventi la direzione dell'asse. Dette Ai e Ag le aree delle due sezioni trasversali, Q la portata, Vi e V2 le velocità medie e posto uguale ad 1 il coefficiente di ragguaglio p, avremo dunque :
+ ( A2 - Ai) + PQVi = 132A2 + pQV2 Ma si ha Q = A2 V2; sostituendo e semplificando: (7.69)
9A2V2 (Vi — V2) = A2 (P2
Osserviamo subito che, essendo sicuramente positivo il primo membro della (7.69), perché Vi > V2 per la continuità, se ne deduce che deve essere P2 > p1: la quota piezometrica dunque aumenta, il che significa che, malgrado le dissipazioni di energia che accompagnano il rallentamento della corrente, parte dell'energia cinetica perduta viene recuperata sotto forma di energia potenziale. Il risultato è ovviamente suscettibile di estensione al caso di una condotta comunque inclinata: non si potrà allora senz'altro affermare che sia p2 > Pi, per contro si avrà sempre:
mento rettilineo, parallelo all'asse della condotta, e pertanto la corrente possa di nuovo considerarsi lineare. Porremo due ipotesi, la cui validità, almeno ai fini che ci proponiamo, dovrà essere controllata sulla base dei risultati sperimentali, che ormai si possiedono sicuri e copiosi. La prima è che lungo il tratto di corrente considerato sia trascurabile la resistenza opposta al moto dalla parete della condotta: questa ipotesi sembra abbastanza lecita, almeno in prima approssimazione, sia per la brevità del tratto stesso, sia per il fatto che, per la presenza del vortice che si stabilisce attorno alla vena, le velocità delle particelle fluide in prossimità della parete risultano in parte dirette nel senso generale della corrente, in parte in senso opposto (fig. 7.14). La secondo ipotesi è che sulla corona circolare (posta nel piano normale all'asse) che realizza il raccordo fra la condotta a diametro minore e quella a diametro maggiore la pressione sia distribuita idrostaticamente : più precisamente, secondo la stessa distribuzione idrostatica (indicata nel figura) che compete alla sezione 1 d'ingresso della corrente. Conviene dire che questa ipotesi appare a priori del tutto arbitraria: sicché appunto ai risultati sperimentali dovrà essere demandato l'accertamento della sua validità o, alla peggio, la determinazione della correzione che per la sua non validità potrebbe essere necessario apportare al risultato dell'indagine analitica. Proiettando l'equazione globale nella direzione del moto, risultano nulle le componenti del peso e della spinta sulla superficie laterale del cilindro che costituisce la condotta (quest'ultima per la prima delle ipotesi fatte); si devono pertanto mettere in conto le spinte sulle superfici 1 e 2 e sulla coro-
(4 -1y + z z)
+ z1) .
>(
Venendo ora al calcolo della perdita di carico, si ha per definizione (posti per semplicità uguali ad 1 i coefficienti di Coriolis): pi
AH = — Y
e
P2
29
l'
29
e sostituendo il valore di P2— pi fornito dalla (7.69): 1
2
3dTI = 2g
VI
(Vi _ V2)2 2 . V2 2 Vi V2 + 2 Vti) = 2g
(7.70)
t precisamente questa la formula di Borda, che i risultati sperimentali hanno confermato con particolare precisione, giustificando quindi a posteriori, almeno globalmente, le ipotesi fatte; la si suole interpretare dicendo che la perdita di carico per brusco allargamento è pari all'altezza cinetica della velocità perduta, indicando con tal nome la diminuzione di velocità. Si ha dunque sicuramente una perdita di carico che per allargamenti di sezione non piccoli, può assumere un valore tutt'altro che trascurabile. A commento di questo risultato, ci sembra interessante richiamare ancora l'attenzione su una delle ipotesi posta a base del calcolo: il ritenere nulla la componente tangenziale della spinta sulla parete equivale concettual-
230
CORRENTI IN PRESSIONE
mente a considerare il fluido come perfetto; e può apparire strano che questa posizione non porti all'annullamento delle dissipazioni di energia meccanica. L'apparente contraddizione si giustifica tenendo presente "esatto significato energetico del carico totale : abbiamo visto che, per una corrente, il carico totale vale:
p
231
PERDITE DI CARICO LOCALIZZATE
a V2
zione di uno strato vorticoso sulla sua superficie laterale, fino all'annullamento completo della sua velocità, quindi alla perdita completa della sua energia cinetica. Si ha lo schema idraulico illustrato in fig. 7.15: nella sezione di sbocco la corrente,ancora uniforme e quindi lineare, ha una distribuzione idrostatica della pressione, che deve necessariamente coincidere con quella che caratterizza il liquido in quiete nel serbatoio, giacché sul
2g essendo V = Q IA la velocità media nella sezione trasversale, cioè quella velocità che effettivamente dà luogo al trasporto della portata fluida. Nell'espressione dell'energia cinetica compare dunque soltanto questa velocità, mentre non viene messa in conto la energia corrispondente alle componenti di agitazione turbolenta; il che va bene, ai fini pratici, per esempio per la valutazione del lavoro che può essere compiuto dalla corrente, poiché l'energia cinetica di agitazione, una volta formatasi, ben difficilmente può venire restituita sotto forma di lavoro utile: se il fluido è reale, essa può venire dissipata, cioè trasformata in calore, per l'intervento della viscosità, mentre si conserva indefinitamente sotto forma di energia di agitazione nel caso ipotetico del fluido perfetto. Ritornando alla situazione in esame, la perdita di carico calcolata deve essere interpretata come una trasformazione di parte dell'energia meccanica utile in arrivo in energia cinetica di agitazione, ben spiegabile in vista dell'intensificarsi della turbolenza; nell'ipotesi di fluido perfetto bisogna concludere che tale energia venga trasportata con sè verso valle dalla corrente, mentre nel fluido reale essa verrà gradatamente dissipata a causa della viscosità. 7.7.2
Perdite di sbocco, di imbocco, di brusco restringimento
Questi tre tipi di perdite di carico localizzate possono tutti ricondursi a quello che abbiamo ora esaminato: in tutti infatti ritroviamo una vena liquida che rallenta e proprio in tale circostanza va ricercata la causa principale della dissipazione di energia. Lo sbocco di una corrente in un serbatoio dà luogo ad una situazione del tutto identica a quella che si presenta in un brusco allargamento di sezione; ma, se il serbatoio è grande, la sua sezione normale alla direzione della corrente che vi sbocca può ritenersi di area infinita (fig. 7.15), e conseguentemente nella formula di Borda dovremo porre V2 = 0. La perdita, di sbocco sarà dunque pari all'intera altezza cinetica della corrente nella sezione terminale della condotta:
AH =
2g
.
(7.71)
2 ovvio d'altra parte che la vena effluente nel serbatoio verrà progressivamente frenata dal liquido in quiete circostante, attraverso la forma-
•
I
n V2 =-I 2g
aVi 4g
I
_
a
_
•
---).-
•
FIG. 7.15
--).- - 1— . — ___________ VI V2 1
,
•
•■
••
. "'..1 FIG. 7.16
contorno della vena effluente deve sussistere l'equilibrio delle pressioni. Pertanto la quota piezometrica della corrente nella sezione di sbocco coincide con la quota dello specchio liquido nel serbatoio : a tale quota termina la linea piezometrica, mentre la linea dei carichi totali risulta sopraelevata dall'altezza cinetica ciV 2 /2g. Può essere talvolta conveniente ridurre per quanto possibile la perdita di sbocco: per esempio allo sbocco del condotto di restituzione di un impianto idroelettrico a bassa caduta, in cui l'energia cinetica residua, a valle della macchina, può costituire una percentuale non trascurabile di quella complessivamente utilizzata. Per raggiungere lo scopo è necessario diminuire la velocità media della corrente prima dello sbocco, il che può ottenersi a mezzo di un tronco di condotta divergente (fig. 7.16): detta V2 la velocità media della sua sezione terminale, la perdita di sbocco vera e propria si riduce ad ocV22 /2g, e può risultare molto minore di quella che si sarebbe verificata in assenza del divergente; va aggiunta, per contro, la perdita localizzata 3 nel divergente stesso, che però può ridursi a poca cosa con un accurato disegno che cerchi di attenuare i distacchi di vena. Comunque, come abbiamo visto trattando del brusco allargamento e come, a maggior ragione, deve verificarsi nel caso di un allargamento graduale, si ha una risalita della linea piezometrica lungo il divergente, cioè un recupero di energia sotto forma, potenziale.
232
CORRENTI
mr
PRESSIONE'
Un po' più complessa è la situazione che si presenta all'imbocco di una condotta da un serbatoio, quando l'imbocco sia realizzato a spigolo vivo. Si ha innanzitutto (fig. 7.17) una contrazione della vena liquida, paragonabile a quella che si verifica nel fenomeno dell'effiusso da una luce a spigolo vivo; l'esperienza anzi ha indicato che l'andamento delle linee di
i i
i
praticamente avuto modo di formarsi e di operare); nei fatti di effiusso si tiene conto di questa perdita a mezzo del coefficiente di velocità, e qui possiamo seguire lo stesso procedimento. Poiché, per effetto delle resistenze, anzicché il valore teorico torricelliano V t , la velocità nella sezione contratta assume il valore più piccolo V, = C,Vt , la corrispondente perdita localizzata risulta:
= • — - -1.- ■
Ii ,
-----... ......i ,SH
' e-
1 l v,2 I 29
, i
4.
------ --....... v
,
233
PERDITE DI CARICO LOCALIZZATE
V
e
V: 1
2g
2g
2g k C2
V
V,2 1— \
i
k
2g
)
02 /
o anche, con buona approssimazione, poichè C, è molto prossimo ad 1:
V:
V:
ALTI = — (1— C) :t 0,04 2g 2g Esprimendo V, in funzione di V:
V,
V
A IE/ —
V2 2g
V2 (1 — C:,) 2g
C2
FIG. 7.17
corrente fino alla sezione contratta è praticamente identico nei due casi e che in particolare, come ovvia conseguenza, possono ritenersi uguali i coefficienti di contrazione (C, = 0,61) e di velocità (Cy = 0,98). Poi, a valle della sezione contratta, la vena si riespande fino ad occupare l'intera sezione trasversale della condotta; attorno alla sezione contratta si ha una zona occupata da, liquido animato da moto vorticoso, che praticamente non partecipa al moto di trasporto, ma che assorbe energia. Nel rallentamento della vena la velocità media passa dal valore V, corrispondente alla sezione contratta al valore V della sezione piena. Si ha pertanto in questo tratto una perdita di carico localizzata del tipo di Borda: vc A2H =
v)2 2g
ossia, poiché V, = V/C, , posto C, = 0,61:
A2H =
V2 i l 29
\C
1 \2 )
0,4 V2 2g
Accanto a questa perdita, dobbiamo però anche considerare quella, più piccola, che la vena fluida, incontra nel suo moto fino alla sezione contratta e che è causata sopratutto dalla viscosità (la turbolenza non ha ancora
E sommando le due perdite troviamo infine, come valore complessivo della perdita di carico all'imbocco:
V2 + AzH = 0, 5
AH =
(7.72)
-
Come si è visto, questa perdita dipende essenzialmente dal valore del coefficiente di contrazione ed è ovvio quindi che il valore calcolato vale per la situazione schematizzata in fig. 7.17, per la quale si ha G = 0,61. In altri casi la perdita di imbocco può avere valore alquanto differente. Segnaliamo in particolare il caso (fig. 7.18) dell'attingimento da una vasca mediante sifone: il fenomeno che si verifica all'imbocco è paragonabile al processo di effiusso da una luce con tubo addizionale interno, o bocca di Borda, per la quale, come vedremo più avanti (cap. 11) per effetto della maggior deviazione che devono subire le traiettorie fluide, si ha una contrazione della vena più accentuata e quindi un coefficiente di contrazione più piccolo che per l'effiusso da luce a spigolo vivo. Tale coefficiente, come l'esperienza conferma, è poco superiore a 0,5; postolo senz'altro uguale a tale valore, si ha: V2 V2 i 1 , - )\2_ 2g A2H =
iSiff -
2 V2 1 - Cv
2g
C2
= 0,16
V2
2g
,
234
CORRENTI IN PRESSIONE
PERDITE DI CARICO LOCALIZZATE
235
Detto h l'affondamento del punto più elevato della sezione contratta sotto lo specchio liquido nel serbatoio, la velocità massima possibile e che effettivamente si verifica, risulta, trascurando il A LH: Pa
Ve r. = 1 /2g (n
Y
e quindi, per l'acqua, si ha la portata (essendo A l'area della sezione trasversale della condotta): FIG. 7.18
Q = CcA. V2g (h + 10,33) . e quindi AH = 1,16
V2 2g
(7.73)
valore più che doppio di quello trovato per il semplice imbocco a spigolo vivo. Vale la pena di richiamare l'attenzione sull'andamento delle linee piezometriche che è stato schematicamente indicato nelle fig. 7.17 e 7.18. In corrispondenza della sezione contratta si ha un notevole incremento della velocità e conseguentemente un marcato abbassamento della piezometrica: ad esempio nel caso della fig. 7.17, posto G = 0,61, l'altezza cinetica nella sezione contratta risulta:
v.c2
1 V2 V2 = 2,7 2g C2e 2g
2g
e quindi il punto più depresso della linea piezometrica risulta al disotto dello specchio liquido nel serbatoio di partenza di un'altezza pari a
v
:
34-11
+
.v.2
V2 = (0,1 + 2,7) -- = 2,8 — . 2g 2g 2g
Le conseguenze di questo abbassamento della piezometrica possono essere notevoli nei casi in cui si giunga ad avere una depressione in corrispondenza della sezione contratta. Se, calcolata la portata della condotta senza tener conto di tale circostanza, si trovasse poi, in sede di verifica, una depressione nella sezione contratta superiore, in valore assoluto, al valore massimo pa* fisicamente ammissibile (pa */-y = 10,33 per l'acqua) bisognerebbe concludere che la portata calcolata non può effettivamente passare. Si stabilisce nella sezione contratta una sezione di controllo, che regola cioè il movimento, nel senso che la portata viene a dipendere proprio dal dislivello piezometrico esistente fra il serbatoio e la sezione stessa.
(7.74)
Per essere precisi però, dobbiamo osservare che la depressione p a*/y è anche teoricamente irraggiungibile: infatti in tali condizioni si ha immancabilmente evaporazione di una parte del liquido, con formazione di vapore alla pressione assoluta p„* uguale alla tensione del vapore; la depressione massima raggiungibile risulta dunque, in modulo:
*
*
Pa — Pv ;
va però notato che, alle normali temperature ambiente, p* è praticamente trascurabile (pi,*/-y = 20 cm per l'acqua). Il caso del brusco restringimento di sezione (fig. 7.12b) si tratta in modo del tutto identico a quello dell'imbocco a spigolo vivo illustrato in fig. 7.17; l'esperienza ha anzi portato a riconoscere che, se il rapporto fra il diametro iniziale e quello finale è maggiore o uguale a 2 (e quindi il rapporto fra le aree maggiore o uguale a 4), la perdita di carico localizzata ha lo stesso valore di quella d'imbocco, equivale cioè alla metà dell'altezza cinetica della corrente a valle. Per rapporti minori anche la perdita risulta più piccola: e ciò è ovvia conseguenza del fatto che le traiettorie subiscono una deviazione meno pronunciata e, nel complesso, la vena fluida si contrae meno (Cc > 0,61). Per un rapporto fra le aree intorno a 2 si può porre AH = 0,3 V2 /2g, sempre con riferimento alla velocità a valle; per rapporti ancora più piccoli la perdita di carico finisce per diventare trascurabile. 7.7.3
Convergenti e divergenti
I tronchi di condotta gradualmente convergenti non danno luogo a perdite di carico localizzate praticamente apprezzabili, grazie al fatto, riconosciuto sperimentalmente, che nelle correnti accelerate si verifica non soltanto un appiattimento del diagramma di distribuzione della velocità, ma anche una, generale attenuazione dei fatti turbolenti. Si può tuttavia, prudenzialmente, esagerare un poco la perdita continua assimilandola a quella che avrebbe luogo in un tratto di ugual lunghezza della condotta di valle, avente il diametro minore.
{,
236
CORRENTI IN PRESSIONE
Malgrado l'esiguità della perdita tolga importanza pratica alla questione, può essere interessante osservare che, fra i tipi di convergenti indicati in fig. 7.19, il secondo è disegnato in guisa idraulicamente più corretta, perché evita ogni possibilità, di distacco di vena con formazione di vortici, mentre il primo può dar luogo a tale distacco subito a valle della sua sezione terminale; anche peggiore è il funzionamento del tipo c), che dà luogo a distacco poco a valle del punto di flesso e che tuttavia si vede adottato anche in opere di qualche importanza. Un breve tronco convergente disegnato come in fig. 7.19b) può servire a ridurre praticamente a zero anche la perdita localizzata d'imbocco da un serbatoio.
r1
237
PERDITE DI CARICO LOCALIZZATE
v,
_
.
•
v2
_
a)
......"'" ---31»-
v
v,
-
,
■,....lh
FIG. 7.20
Gibson e ormai classiche, soltanto per i divergenti tronco conici, cioè del tipo indicato in fig. 7.20a). Il Gibson sottopose a prova diversi divergenti, aventi tutti in comune i diametri iniziale e finale; differenti invece per la lunghezza, quindi per l'angolo di divergenza, cioè per l'angolo compreso fra due generatrici opposte. Trovò che la perdita di carico in essi poteva in ogni caso esprimersi mediante una formula analoga a quella di Borda: AH = m
Fio. 7.19
Più ragguardevoli e in genere non trascurabili sono le perdite localizzate nei divergenti, dove i distacchi di vena non possono praticamente essere evitati. Qualitativamente, possiamo anche per questo caso rilevare come il tipo b) della fig. 7.20 sia preferibile al tipo a), perché in quest'ultimo il distacco ha luogo subito a valle della sezione iniziale, mentre del tipo b) esso si verifica più a valle, dopo che la corrente ha già subito un certo rallentamento. Si hanno esperienze molto accurate, dovute all'inglese
(Vi— V 2)2 2g
essendo m un coefficiente variabile con l'angolo di divergenza e del quale egli fornì una tabella di valori; trovò in particolare un valore minimo di m per un semiangolo cc = 60 circa e un valore massimo per cc = 65 0 circa, raggiungendo in tal caso m il valore 1,2 e cioè avendosi una perdita più elevata di quella stessa di Borda per brusco allargamento. Questi risultati, a prima vista illogici, trovano la loro spiegazione nelle modalità usate dal Gibson per la misura della perdita di carico, a mezzo di rilievi della quota piezometrica nelle sezioni iniziale e terminale del divergente, come del resto abbiamo già genericamente illustrato a pag. 226; si comprende infatti che le perdite così determinate sono quelle complessive, somma delle localizzate e delle continue, dovute queste ultime alla resistenza della parete. Per angoli superiori a 650 le perdite continue diminuiscono più di quello che presumibilmente possono aumentare quelle localizzate, e pertanto diminuisce la perdita complessiva; mentre al diminuire di cc aumenta la perdita continua, in conseguenza del necessario aumento della lunghezza del tronco di condotta divergente, che tende all'infinito quando cc tende a zero: il che ben spiega anche il minimo trovato per m. T -livergenti hanno talvolta funzioni molto importanti: si pensi ai
238
diffusori collocati subito a valle delle turbine a reazione, in particolare di quelle a bassa caduta. Si comprende quindi come in tali casi il loro disegno debba essere studiato con molta cura, per ridurre al minimo possibile le perdite localizzate, e cioè le dissipazioni di energia; viene spesso usata la sperimentazione su modello che però, in casi del genere, può presentare difficoltà concettuali tutt'altro che trascurabili, soprattutto per eventuali interventi di fenomeni di cavitazione. Vogliamo ancora accennare a recenti esperienze (Escande), che hanno messo in evidenza come effettivamente il distacco della vena, con conseguente formazione di vortici, contribuisca in modo essenziale a provocare la perdita di carico localizzata. A mezzo di forellini praticati nella parete del divergente e collegati con un ambiente in depressione, veniva attuato un vero e proprio succhiamento dei vortici, per cui la vena fluida risultava praticamente aderente alla parete e non si aveva distacco: questo espediente consentiva una decisa attenuazione della perdita di carico. Sono state suggerite applicazioni di un simile dispositivo a situazioni concrete di notevole interesse tecnico.
Accenniamo appena alle perdite di carico localizzate che hanno luogo nei cambiamenti di direzione; esse hanno valore non trascurabile soltanto se le deviazioni sono brusche : si trovano sui più comuni manuali vecchie formule empiriche (ad esempio quella di Weisbach) che forniscono valori approssimati di queste perdite in funzione dell'angolo di deviazione, ma non troviamo utile riportarle anche perché non hanno alcuna base concettuale. Le brusche deviazioni, del resto, ormai trovano qualche applicazione soltanto per condotte di gas (ad esempio negli impianti domestici di condizionamento d'aria), mentre per i liquidi sono in genere impiegati raccordi a, curvatura continua; in questi raccordi le perdite localizzate, che dipendono dal rapporto fra il raggio di curvatura del raccordo e il diametro della sezione trasversale, sono quasi sempre trascurabili. Ragguardevoli sono invece, in ogni caso, le perdite che si verificano negli apparecchi di regolazione della portata parzialmente chiusi: saracinesche, rubinetti, valvole di riduzione della pressione, valvole di ogni genere; anzi, proprio a queste perdite, come vedremo, è affidata la funzione della regolazione. Molto genericamente, e riducendo il processo idraulico al suo schema essenziale, si può dire che in tutti questi dispositivi interviene uno strozzamento della corrente liquida: questa è cioè costretta a passare attraverso una apertura di sezione minore di quella della condotta (e in genere variabile a, mezzo di un dispositivo di manovra), a valle della quale si stabilisce una sezione contratta, seguita da un brusco allargamento che dà luogo ad una perdita tipo Borda. Lo schema idraulico è indicato in fig. 7.21; questa illustra la parte essenziale di una saracinesca a corpo piano, consistente in un diaframma
O
FIG. 7.21
fr
che, a mezzo di un volantino di manovra, può essere fatto penetrare più o meno nella condotta, ostruendone parte o la totalità di una sezione trasversale. Il grosso della perdita di carico ha luogo, come abbiamo già visto, fra la sezione contratta, dove si ha la velocità V, , e la sezione piena a valle, con velocità V, e vale: AH = V
7.7.4 Altri tipi di perdite. Dispositivi di strozzamento.
239
PERDITE DI CARICO LOCALIZZATE
CORRENTI IN PRESSIONE
2g
2g
1
V2
c — V)2
k me,
1) 2
essendo m il cosiddetto rapporto di strozzamento: m =
A1 A
della sezione cioè il rapporto fra l'area A 1 della sezione libera e l'area A trasversale della condotta. Vediamo ora come, a mezzo di questa perdita localizzata, che può variarsi a piacere variando l'area A1 della sezione libera, possa realizzarsi la regolazione della portata della condotta. Per fissare le idee su un caso concreto, consideriamo (fig. 7.22) due serbatoi A e B, collegati da una condotta L (che per semplicità supponiamo ben raccordata all'imbocco), la quale sia munita di una saracinesca S in una certa sezione. Sia Y il dislivello fra i peli d'acqua nei due serbatoi. Quando la saracinesca è completamente chiusa, e quindi nella condotta non c'è portata, la linea dei carichi totali e la, piezometrica, a monte della saracinesca coincidono con la, traccia sa' del piano dei carichi idrostatici in A; a valle della saracinesca esse coincidono con la traccia a"a' del piano dei carichi idrostatici in B. Per contro, quando la saracinesca è completamente aperta e quindi non dà luogo a perdita di carico localizzata (A = A1 = Ac), si ha una linea dei carichi totali ab, con cadente J. ; e una linea piezometrica Va", distante dalla precedente, cui è parallela, di V. 2 /2g, essendo: Y = LJ.
2 Vm
2g
.
241
CALCOLO IDRAULICO DI UNA CONDOTTA
240
CORRENTI IN PRESSIONE
• ---_----_-_---
lo---..-. -
--io' i
,
A
...._ ----.. - -------
4H
• ■ - "•••••••1b— —
I I
I
4----t ----_____ ------!c0" 1 I
S
\..
). (
T
t, i
r
1,
V,„2 L
in quiete) e costituita di due tronchi successivi, di diametri Di e D2 (con < D2) e lunghezze L1 e L2 ; il cambiamento di sezione sia brusco: al termine del secondo tronco sia collocato un bocchello, o ugello, con sezione terminale di diametro d. Sia Y il dislivello fra il pelo d'acqua nel serbatoio di partenza e il baricentro della sezione contratta a valle dell'ugello (area A, = C, • rcd2 f 4, con G dipendente dalla forma dell'ugello, in particolare
"9
a'
..----.-:----..
———--
L
I
B
4
i
— ...,-
—
--
—
_
---- 7 - \---- 7 --- v;57:---1 i A 72 9 7 4 ' 1 — — — , I --,. --5._ A ---- X' --- -- ------i--_____ l
i
. 2/29
FIG. 7.22 r
Per una qualsiasi apertura intermedia della saracinesca, provocante una perdita di carico localizzata AH = c'e, si ha a monte una linea dei carichi totali ac', con cadente J(J
.
I \ i
-------,....
\
ti
. -....._.....
I
i
-O2 ---....„........
vc2 \
•
2g
\'! - ----------._.
Y = LJ
+
AH
+ V2 2g
V2
2g
[L
X +( mc D e
2 1) + 1 .
Il fattore Era parentesi quadre a secondo membro è variabile soltanto con m (potendosi ritenere G praticamente costante o variabile esso pure con m): aumentando m, cioè aprendo la saracinesca, esso diminuisce e quindi aumenta V, cioè la portata in condotta; viceversa diminuendo m diminuisce anche la portata. Nei rubinetti delle distribuzioni d'acqua potabile per uso domestico la perdita di carico localizzata è situata allo sbocco della condotta, ma il principio di funzionamento del dispositivo è identico a quello ora illustrato. 7.8 Calcolo idraulico di una condotta Siamo ormai in grado di calcolare la portata che si muoverà in una, qualsiasi condotta, di caratteristiche assegnate, quando siano note le quote piezometriche nelle sezioni estreme: basterà esprimere il fatto che il dislivello fra tali quote, e cioè l'energia potenziale disponibile per unità di peso del fluido, verrà in parte dissipato in forma di perdite di carico, continue o localizzate, in parte trasformato in altezza cinetica nella sezione terminale, cioè in energia cinetica residua per unità di peso. A titolo d'esempio, consideriamo la condotta schizzata in fig. 7.23, imboccante a spigolo vivo dal serbatoio A (ove il liquido può considerarsi
Z2 ...
FIG. 7.23
dall'angolo di convergenza delle generatrici), ove esiste la pressione atmosferica; Y è precisamente la differenza di quote piezometriche di cui si è detto, cioè l'energia potenziale destinata in parte a trasformarsi in energia cinetica, in parte a fare fronte alle perdite. Analizziamo queste perdite di carico. Procedendo da monte a valle abbiamo anzitutto una, perdita localizzata provocata dall'imbocco a spigolo vivo, pari a 0,5 V1 2 /2g; abbiamo quindi lungo il primo tratto di condotta una perdita continua LA. ; il brusco allargamento di sezione provoca una perdita tipo Borda, pari a (Vi— V2) 2 /2g; infine lungo il secondo tronco abbiamo una ulteriore perdita continua L2J2 . Essendo V 2 /2g l'altezza cinetica specifica residua, e potendosi trascurare ogni perdita nell'ugello. possiamo scrivere : vt Y 0,5 — 2g
(V i — V2)2 triLl
2g
17,2 + J21,2 + —2g
242
CORRENTI IN DEPRESSIONE
CORRENTI IN PRESSIONE
243
Esprimendo tutte le velocità in funzione della portata a mezzo dell'equazione di continuità: 2
2
7c192 ,
7r.Di ,
Q = -- v1 = 4
v 2 -=
4
7cd2 (}c
Vc
4
e adottando, se il moto è puramente turbolento, la formula di Chezy per le perdite continue con coefficiente C dipendente dalle scabrezze e dai diametri (a norma della espressione di Bazin, o di Kutter o analoghe), si ottiene:
1
Y = Q2 0,5
4
2gA 2
C2D A 2
1
+
1 (
2g
111
1
1
Ai
A2
4
1
C2D A 2
2gA 2
)2
22
2
i c
Tutto il termine fra parentesi quadre deve ritenersi noto, dipendendo soltanto dalla condotta, e pertanto la precedente fornisce subito Q. E appena il caso di far notare che, qualora fosse invece assegnata (oltrecché la condotta) la portata che essa deve convogliare, la relazione scritta fornirebbe immediatamente il dislivello piezometrico Y necessario, e pertanto la quota che dovrebbe avere il pelo libero nel serbatoio. FIG. 7.24
7.9 Correnti in depressione L'andamento altimetrico di una condotta può talvolta essere tale da determinare delle pressioni relative negative in qualche tronco di essa; in queste situazioni occorre esaminare attentamente le effettive condizioni di funzionamento della condotta, poiché possono verificarsi fenomeni particolari, che modificano radicalmente il movimento quale è sempre stato considerato finora e cioè con corrente di solo liquido occupante l'intera sezione della tubazione. Per illustrare questi processi conviene far riferimento alla situazione rappresentata nella fig. 7.24. Una condotta a diametro costante collega due serbatoi di cui quello di monte a livello costante: ci proponiamo di individuare la condizione di moto nella condotta in corrispondenza a diverse quote del livello nel serbatoio di valle. Ammesso l'imbocco ben raccordato, indicate con zA e zn le quote dei peli liberi nei due serbatoi, si può scrivere in linea del tutto generale: ZA — ZB =
L
x V2
V2
2gD
2g
,
(7.75)
da cui si ricava la velocità e quindi la portata in condotta (con immediato
calcolo diretto se il moto è puramente turbolento, e quindi 7. costante). Questa relazione è però perfettamente valida e quindi i valori di portata da essa deducibili sono effettivamente quelli reali, soltanto quando in qualsiasi punto della condotta si hanno pressioni assolute positive o al minimo teoricamente nulle, ciò che si verifica quando la quota del livello nel serbatoio di valle è superiore ad un certo valore z* che sarà meglio precisato più avanti. Se la quota del livello nel serbatoio di valle è z i > z* (fig. 7.24) la linea dei carichi totali e la piezometrica relative sono rappresentate dalle linee 0N1 e TiP). , mentre le corrispondenti linee assolute (ottenute per semplice traslazione verticale verso l'alto del segmento p.* jy, essendo p.* la pressione atmosferica) sono date dalle linee 0*Ni* e Ti*Pi*; la piezometrica assoluta è tutta superiore alla condotta, entro la quale perciò in ogni punto le pressioni assolute sono positive e quindi le condizioni di moto ora individuate sono realmente possibili anche se nel tronco RISI le pressioni relative sono negative. Supponiamo ora invece che il livello in B si trovi alla quota z 2
244
CORRENTI IN PRESSIONE
CORRENTI IN DEPRESSIONE
se risultasse ancora valida la (7.75) le due piezometriche relativa e assoluta dovrebbero avere l'andamento delle linee T2P2 e T2*P2* che però appare immediatamente impossibile : infatti per tutto il tronco R2*S2* della condotta che si trova al disopra della piezometrica assoluta si dovrebbero verificare pressioni assolute negative, ciò che in realtà non può avvenire. Le effettive condizioni di moto per questa quota del livello in B sono individuabili facilmente tenendo presente che, almeno teoricamente, la pressione assoluta in condotta può al limite essere nulla. A questo riguardo il punto più pericoloso è evidentemente quello M più alto di tutta la condotta; imponendo per esso la condizione di pressione assoluta nulla, indicata con L' la lunghezza del tronco di condotta fra il serbatoio A e la sezione del punto M, si ricava la relazione:
ZA
VMaX 3
Pa
ZM
2g
v.2 V MaX
L'X
29D
(7.76)
che individua l'effettiva portata convogliata dalla condotta; essa risulta la massima possibile per l'assegnato livello in A e, come è evidente, non dipende assolutamente dal livello nel serbatoio di valle, purché questo naturalmente sia inferiore alla quota z*, che ora possiamo definire esattamente come la massima quota nel serbatoio di valle per la quale si verifica una pressione assoluta nulla nel punto più elevato M. Tale quota è definita dalla relazione:
v2 rnax + 2g
ZA = Z*
v.2
2gD
che si ricava dalla (7.75) ponendovi per V il valore V. dedotto dalla (7.76). Torniamo ora alla situazione con z 2 < z*; la piezometrica assoluta fino ad M è rappresentata dalla linea T*M, tangente in M e con cadente pari a
245
dove zx e V z sono rispettivamente la quota geodetica e la velocità media della corrente nella generica sezione distante x dal punto M e l'ultimo addendo rappresenta la perdita di carico nel tronco di lunghezza x; ammettendo, in prima approssimazione, trascurabile tale termine, dalla (7.77) si deduce immediatamente che la corrente nel tratto MS* è accelerata, ciò che può avvenire soltanto se interviene una diminuzione dell'area bagnata. Il moto in questo tratto è, come si usa dire, a canaletta: la corrente, che nella sezione M occupa l'intera sezione della tubazione, si distacca superiormente da questa stringendo via via la sua area trasversale ed occupando perciò soltanto la parte più bassa della sezione del tubo, nella zona superiore del quale dovrebbe teoricamente aversi il vuoto. Le resistenze al moto non modificano essenzialmente il fenomeno, ma producono soltanto una variazione nei valori della velocità. Nel tronco MS* con moto a canaletta la piezometrica assoluta coincide praticamente con l'asse della tubazione (più precisamente col pelo libero della corrente, come sarà illustrato a suo tempo trattando delle correnti a pelo libero), mentre la linea dei carichi totali assoluti è in ogni punto superiore del segmento V1/2g che aumenta nel senso della corrente. Nella sezione 2* la corrente, con area bagnata inferiore a quella trasversale della tubazione, subisce un brusco allargamento rioccupando l'intera sezione della condotta; a questo comportamento risulta associata una perdita localizzata A (v. fig. 7.24) che dissipa l'energia esuberante posseduta dalla corrente. I risultati di tutto questo esame possono essere condensati nel semplice grafico della fig. 7.25, nel quale sono riportati i valori della portata e della altezza piezometrica relativa in M, in funzione delle quote zB nel serbatoio di valle. zA -
r eMA'
V .2.. cimax =
2gD
in tutto questo tratto la corrente occupa l'intera sezione della condotta. Identiche condizioni si verificano nell'ultimo tronco compreso fra il serbatoio di valle e la sezione S* nella quale la piezometrica P2*S*, ancora con cadente Jim. , incontra la condotta; in questa sezione la pressione assoluta è di nuovo nulla e tale si mantiene lungo tutto il tronco MS*; in esso il moto, essendo la pressione costante, è retto dalla equazione:
+
V 3, 2g
= ZX
172
2g
f o
Jxdx,
(7.77)
FIG. 7.25
La portata, nulla per zB = zA , aumenta gradualmente al diminuire di zB , in base alla 7.75, raggiungendo il suo valore massimo Q... (definito dalla (7.76)) per zi3 = z*, valore che poi mantiene costante in corrispondenza ad ulteriori diminuzioni di zB . L'altezza piezometrica relativa in. M, che vale
246
CORRENTI IN PRESSIONE
MOTO DI UN GAS IN UN TUBO CELINDRICO
(zA — zm) per zn = zA , diminuisce con zB , finché questo raggiunge il valore z*, per il quale si ha pM = — p.*; successive diminuzioni di z B non determinano alcuna variazione della pressione in M. La situazione della fig. 7.24 merita un'ultima osservazione: il moto nella condotta non interviene spontaneamente, occorre bensì adescarlo provocando, nel tronco di condotta superiore al livello in A, delle depressioni sufficienti ad innalzare il liquido fino alla sezione M, la cui quota ovviamente non può sovrastare zA di una quantità maggiore di pa*Iy. Una situazione analoga di notevole importanza per le pratiche applicazioni è quella che può presentarsi alla sezione di imbocco di una pompa (fig. 7.26) alimentata da un serbatoio a mezzo di una condotta di aspirazione. In dipendenza della portata sollevata e dell'andamento altimetrico
-_
v
A
va)
_...,..
—____ ...,....
__. _. P i M1/4
.
P
.
•
Sia nello schema di fig. 7.24, sia in questo ultimo dell'impianto di sollevamento si è sempre fatto riferimento al valore limite di pressione assoluta nulla per lo studio delle condizioni estreme di funzionamento; in realtà questo valore non è mai raggiunto. Come già. accennato (par. 7.7.2), nelle condotte a gravità la zofia al disopra della corrente liquida del tronco con moto a canaletta è in realtà occupata da aria e vapore del liquido convogliato con pressione assoluta pari alla somma delle pressioni parziali del vapore (tensione corrispondente alla temperatura ambiente) e dell'aria liberata. Negli impianti di sollevamento si possono realizzare di norma soltanto depressioni alquanto minori, dipendenti dalle caratteristiche di funzionamento delle pompe; ben difficilmente si può avere un funzionamento regolare per ipm/yi > 7 ± 8 m, se il liquido è acqua.
7.10 Moto di un gas in un tubo cilindrico
Li
I
,
FIG. 7.26 dell'impianto, la piezometrica può tagliare l'asse della condotta di aspirazione e portarsi al disotto di questa; in un certo tratto si verificano allora pressioni relative negative il cui valore assoluto più grande, corrispondente al punto M più elevato della sezione di entrata della pompa, vale : V2
Pm =. zA — zm — 2g
Li ,
(7.78)
avendo ammesso che l'imbocco ben raccordato della condotta non provochi alcuna perdita localizzata. Affinché il funzionamento dell'impianto sia regolare e perciò possa effettivamente essere sollevata la portata assegnata, è necessario che, almeno teoricamente, risulti P2k1
247
Benché nel linguaggio tecnico corrente si sia soliti parlare di moto uniforme anche per la situazione che stiamo considerando, è opportuno osservare che in realtà tale dizione non corrisponde alla definizione" di moto uniforme che è stata data (v. par. 3.3); infatti, a causa della variazione di pressione lungo la condotta che determina il movimento, e della conseguente variazione di densità, essendo, per il principio di continuità, costante la portata in massa, deve necessariamente intervenire anche una variazione della velocità lungo le singole traiettorie. Proprio le variazioni di densità e di velocità delle quali ora si è detto determinano la necessità di una trattazione di questo tipo di moto distinta da quella che fin qui è stata svolta per il fluido incomprimibile. 7.10.1
Moto laminare
Poiché questo tipo di movimento si verifica sempre con velocità piuttosto limitate, non si commetterà di norma sensibile errore ammettendo il processo isotermo. Lo studio della legge del moto può essere condotto ammettendo valida la formula (7.7) di Poiseuille per tronchi infinitesimi della condotta, di lunghezza ds. Poiché, trattandosi di un gas, le variazioni di quota sono sempre trascurabili di fronte alle variazioni di pressione, potremo, nella formula di Poiseuille, porre yJ = — dpfds, sicchè la formula si scriverà:
Pa
Y Da questa condizione deriva immediatamente che la. massima portata teoricamente sollevabile da un impianto di date caratteristiche è quella deducibile dalla (7.78) dove si sia imposto pm = — pa*.
Q=
128P.
dp — cu D4 .
Così scritta, la formula fornisce la portata volumetrica del tronco di lunghezza ds, lungo il quale la pressione diminuisce di —dp nel senso del moto. Lungo l'intero sviluppo del tubo si mantiene però costante, come già
MOTO DI UN GAS IN UN TU130 CMINDRICO
248
249
CORRENTI IN PRESSIONE
detto, non la portata volumetrica, che varia in conseguenza delle variazioni di p, ma quella ponderale o, se si vuole, quella massiva, che indicheremo con Q,n = pQ, Avremo per questa l'espressione, valida per il tronco lungo ds:
da cui si ricava la portata ma,ssiva, in funzione dei valori che la pressione assume ai due estremi del tubo lungo L: Qin =
dp ds
TZ
128ti.
pm
/h —P2
g
L
128
D4 .
(7.81)
(7.79)
Questa portata si può dunque ricavare immediatamente dalla formula di Poiseuille, ponendovi :
L'ipotesi del processo isotermo si scrive (supposto il gas perfetto):
— = rT = cost ; P
e adottando per la densità il valor medio pm .
introducendo nella (7.79) l'espressione di p che di qui si ricava, si ha:
7c QM =
p dp ds
128g.
D4
e di qui viene l'equazione differenziale che dà la variazione della pressione lungo la, condotta: 128p.
p dp =
Qm
n D4
rT
7.10.2
Moto turbolento.
Nelle situazioni per cui si ha il moto turbolento le variazioni di velocità conseguenti alla diminuzione della pressione lungo la condotta sono sovente abbastanza rilevanti, perché non sia più lecito trascurare le conseguenti variazioni dell'energia cinetica (come in sostanza abbiamo fatto studiando il movimento laminare). Bisognerà allora far capo al teorema di Bernoulli, generalizzato per tener conto delle resistenze (nonché, ovviamente, della comprimibilità). Esprimeremo le perdite di carico continue a mezzo del numero di resistenza À, e quindi la cadente mediante l'espressione:
Integrando all'intera lunghezza L: 2
2
J=
P1 P2
128p,
2
7C
D4
rT L.
(7.80)
Trascurando inoltre le differenze di quota lungo la condotta, il che sarà praticamente sempre lecito, il teorema di Bernoulli generalizzato si scrive (moto permanente):
Questa formula si trasforma facilmente notando che, per l'equazione dei gas perfetti che abbiamo scritto sopra si ha:
d
V2
+
ds \ 2gi + P2
P1 E P2
=
-
pi —
rT ,
2
V dV p2
avendo indicato con pm la media aritmetica fra i valori che la densità assume ai due estremi della tubazione. La (7.80) si scrive allora: (pi —p2)rTpM=
+J=0
dp
XV 2 ds = O. 2gD
Dividendo tutto per V 2 1g:
2
Q. 7C D4 r T L
dp
Y ds
y
rT
1
o anche :
pi
e quindi p2
(7.82)
2gD
dp X , dV + p V2 + — as = 0. 2D V
(7.83)
L'equazione (7.83) ha, validità generale, qualunque sia cioè il processo di movimento che ha luogo nella condotta. Accanto ad essa dovremo poi
1281£
'
250
CORRENTI IN PRESSIONE
scrivere l'equazione di continuità„ nella forma valida per una corrente di un fluido comprimibile, esprimente cioè la conservazione della massa: Qin
= pA V = cost ;
Cerchiamo di esprimere, in funzione di p e degli elementi iniziali, anche il prodotto p V2 che compare a denominatore nel secondo addendo della (7.83). Si ha per la (7.84) e la (7.86):
e poiché si è supposta la condotta cilindrica (A = cost) scriveremo più semplicemente: p V = cost ; (7.84)
dV V
P
p VD Q.D
rT = cost,
(7.86)
dove si sono contraddistinti con l'indice 1 i valori delle varie grandezze relative alla sezione iniziale. In forma differenziale :
dp = dp P
P
con che la (7.85) si scrive:
dV dp =——. V P
2o "r7."
p]. r l =
Pi
PPI
, 22
pi
2
---
p ]. Q m
Pp i
A2
(7.87)
PIA 2 p dp 2 PiQm
2D
ds = O ;
e integrando fra la sezione iniziale 1 e la sezione terminale 2, cioè all'intera lunghezza L della condotta: , pi
in — + P2
X piA 2 , 2 2, , tP2 — pi) - t- — L = 0 ;
2D
2ple-.7> .
ossia: pi— P2 =
che è appunto costante, perché la viscosità, p. dipende praticamente solo dalla temperatura. Come conseguenza deve ritenersi costante anche il numero di resistenza X che compare nella (7.83) e che, come sappiamo, dipende soltanto dal numero di Reynolds: esso potrà calcolarsi mediante la formula di Colebrook o dedursi dal relativo abaco. Vale inoltre (considerato il gas come perfetto) la legge isoterma:
pi
d23
(7.85)
Supponiamo ora che il processo di movimento sia isotermo. Questa condizione è verificata con buona approssimazione tutte le volte che le differenze di pressione e le velocità, non siano troppo elevate e che la condotta non sia termicamente isolata e può essere assunta a base di calcolo per molte situazioni pratiche : ad esempio, per il calcolo dei metanodotti o delle conduttore per gas illuminante. Si può allora osservare preliminarmente che il numero di Reynolds Re si mantiene costante; introducendo infatti, nella sua espressione, la portata in massa Qm=pQ=pAV, si può scrivere :
P
1
P
dp P
pi P — = — =
p V2 =
Intròducendo nella (7.83) questa espressione di pV 2 e il valore di dV IV fornito dalla (7.87) essa si scrive:
costante, s'intende, lungo la condotta. Di qui anche, differenziando: —=—
251
MOTO DI UN GAS IN UN TUBO CILINDRICO
Pi pi. + P2
02
L
221 + X H . ''m (2 In — D piA 2 P2
(7.88)
La (7.88) fornisce il legame fra la portata Q. e le pressioni esistenti ai due estremi della condotta. Da essa si può ricavare la Q. , esplicitamente, note p1 e p2 , se il moto può ritenersi puramente turbolento (X = cost), altrimenti bisogna procedere per approssimazioni successive (si prefissa a stima un valore di X, in base alla natura delle pareti della condotta e ad una grossolana valutazione di Re, indi si ricava Q. e si calcola il corrispondente Re, che consente di stabilire un valore più approssimto di X; e così via, ma già al secondo tentativo il risultato può considerarsi soddisfacente). Più laborioso è invece il calcolo della pressione p i necessaria per muovere la portata assegnata Q. (anche X è noto, in questo caso), essendo anche assegnata la pressione di sbocco p2. La difficoltà pratica deriva, naturalmente, dalla presenza del termine logaritmico ; ma si può osservare che questo termine diventa trascurabile di fronte all'altro addendo del fattore tra parentesi quando la condotta non sia troppo breve : così, per X = 0,03 e pi = 2292 (che, in pratica, è un rapporto già molto elevato (*)), si trova che il termine 21npifp2 vale appena il 2% del termine ?LID quando la, lunghezza della condotta superi dì poco i 2000 diametri. In tal caso la
(*) Va tenuto presente che le pressioni che compaiono nella (7.88) sono assolute, come è ben evidente dal fatto che essa deriva dalla (7.86).
252
CORRENTI IN PRESSIONE
(7.88) si può ridurre con buona approssimazione, alla forma: 2
QX L 1 + p2 ipi ) piA2 D 1
231
—
p2
—
2
2
pi Vix
( 1 + p2 ipi i 2D
L,
(7.89)
che può essere risolta rispetto a Pi. E interessante osservare che, essendo in generale: XV2
J—
2gD
la (7.89) si può scrivere: Pi — P2
2
f
MOTO DI UN GAS IN 13N TUBO CILINDRICO
l
1 + P/Pi
253
IA) e poi introportata Q. in funzione degli elementi iniziali (Q. = pi V ducendo il rapporto: JT 1 V1 Ci
-Vk pi/pi
fra la velocità della corrente nella sezione iniziale e la celerità del suono nel fluido, sempre per le condizioni iniziali (rapporto che viene chiamato numero di Mach ; notiamo, benché sembri ovvio, che c i dipende dalle caratteristiche del fluido e dalla pressione, ma non dal processo di moto, ed è anzi definita considerando il suono come effetto di un processo adiabatico). Considerando inoltre, anzicché la sezione terminale e la pressione p 2 ivi esistente, la generica sezione di ascissa s e la corrispondente pressione
p(s), si può scrivere :
il che significa che il calcolo si può condurre come se il fluido fosse incomprimibile, introducendo i valori iniziali del peso specifico e della velocità, e correggendo a mezzo del fattore tra parentesi nella (7.89). Ora questo fattore è sempre maggiore di 1, e se ne deduce che le resistenze effettivamente incontrate dalla corrente sono maggiori di quelle che si avrebbero se il fluido fosse incomprimibile e conservasse il proprio peso specifico yi lungo tutta la condotta; questa constatazione, del resto, è anche abbastanza intuitiva: basta pensare che, nel moto turbolento, le resistenze sono all'incirca proporzionali a p V 2 e che pertanto, essendo pV = cost a norma della (7.84), esse crescono al crescere di V, cioè al diminuire della densità, cosa che appunto avviene lungo la condotta. Risolviamo ora la (7.88) rispetto alla portata, ammettendo in prima approssimazione che si possa ritenere X -- cost; si ottiene:
2
2
—P
,
pi v331 (2 in —
D
P
e quindi: 1—
1 (X — 21n ±.
=
D
\pii
(7.90)
p' ) •
Nella fig. 7.27, le linee a tratto continuo rappresentano la (7.90) per diversi valori del numero di Mach Mai, assunto come parametro, e forniscono quindi l'andamento della pressione lungo la condotta. Le rette a tratto e punto invece danno l'andamento della pressione nell'ipotesi che il fluido sia incomprimibile: la loro equazione è 2
_
P
/32 )2
— Qm
=A
-Vpi Pi l
L D
,
P2
Si riconosce di qui che, in una data condotta, qualora sia fissato il rapporto fra le pressioni nelle sezioni estreme, la portata in massa risulta proporzionale alla radice del prodotto ; ed essendo pi proporzionale a Pi Per la (7.86), si può anche dire che la portata in massa è proporzionale alla prima potenza di pi e quindi di pi — p2 . Essendo poi, in una generica sezione, la velocità V --- Q.1pA, ed essendo la Q. proporzionale alla p per quanto ora detto, si riconosce anche che le velocità, per un dato valore del rapporto p2Ipi delle pressioni estreme, non dipendono dai valori assoluti delle pressioni stesse. Della (7.88) si può dare anche una rappresentazione grafica abbastanza interessante; conviene però trasformarla leggermente esprimendo la
XVI = — 2gD -s
cioè, introducendo il numero di Mach:
p
-
,,,2
Xpi v i
2Dpi
8 -
2
S
kMaiX — 2D
La figura mette appunto in evidenza che la pressione diminuisce più rapidamente per il fluido comprimibile, e gli scostamenti sono tanto maggiori quanto maggiore è il numero di Mach iniziale. Fissata la portata Q. e la pressione iniziale pi restano stabiliti anche il numero di Mach iniziale Ma i e quindi la curva dell'abaco che caratterizza la corrente ; dati allora la lunghezza L, il diametro D, e risultando noto anche X, si può leggere sulla curva stessa il valore del rapporto p21p1 e ricavare quindi la differenza di pressione necessaria per muovere la portata assegnata Q..
254
MOTO DI UN GAS IN UN TUBO CILINDRICO
CORRENTI IN PRESSIONE
e pertanto:
, .\k lii \i\k
p = 1/-1 .31alpi •
.
. \31•1.),,,,n 9,, .k., . % 9, . ....„ ." .
.0...„
..,,...
, 0,!
o
•
•
i t
l. I
■
\
".%o • `3,s• I • I -15' \ . o -,.o1
.,,,,,
o
Mal = 0,05
Se questo valore della pressione deve verificarsi proprio nella sezione terminale della condotta, cioè per s = L, per la (7.91) si deve avere : L
.............,
.
i
ziale
•
60
100
89
120
S
140
D FIG. 7.27
Va però notato che tutte le curve di fig. 7.27 presentano un punto con tangente verticale, che rappresenta evidentemente un punto critico: se la lunghezza della condotta è tale che il prodotto XLID supera l'ascissa di questo punto, non è possibile muovere nella condotta l'assegnata portata Qin , qualunque sia il rapporto fra le pressioni nelle sezioni estreme; passa al massimo quella portata cui corrisponde un numero di Mach iniziale tale che la curva rappresentativa abbia tangente verticale proprio nel punto di ascissa Questa portata massima può essere determinata nel modo seguente. Risolviamo la (7.90) rispetto ad 8: X
8
D
*
Queste considerazioni hanno però più valore concettuale che pratico. Dalle (7.83) e (7.87) si ricava infatti per la p(s) l'equazione differen-
--:
40
l
y_=
\
20
2
Risolta la precedente per tentativi, si ricava il valore Mai che dà luogo alla massima portata possibile nella condotta assegnata. E si ha quindi per essa il valore — kPi -431a1 V kPipi • mmax = pA V1 = p1 44.Mai Pi
N.. .
i
o
1 k
..,,....
N.
oL
= 2 In -Vk Mai
-
\
\
255
D )2
1
± 1
kMa 2
pi
[1 — p'
.
(7.91)
X dp dp d.,s = O, —± o V2 2D P e cioè, introducendo il numero di Mach Ma relativo alla generica sezione di ascissa s: 1 \ dp — (1 -- as. 2D kMa 2 P Nel punto critico deve essere dp = cc, il che è possibile, a norma delle precedenti, soltanto quando 1
1 kMa 2
=0.
Si riconosce quindi che i punti critici sono caratterizzati da un numero di Mach 1 = 0,85, Ma — '
Nel punto di tangente verticale si ha ovviamente dpIds = cc e quindi dsldp = 0; ne segue: X ds D dp
2
2p
p
kAla .p .
=0,
il che significa che nella sezione terminale della condotta la corrente assumerebbe una velocità ormai prossima a quella del suono. In queste condizioni però assai difficilmente il processo si manterrebbe isotermo, perché
256
257
ESERCIZI
CORRENTI IN PRESSIONE
attraverso le pareti della condotta non potrebbero attuarsi gli scambi di calore necessari. Comunque si tratta di situazioni che escono dall'abituale campo della tecnica.
— H=30 mi
h
/. D=0,15 m
1
ESERCIZI
.
t =200 m —
7.1
Lungo una tubazione del diametro D = 0,05 m defluisce una portata Q = 1 1/s, di olio (v = 2 • 10 -4 m2 /s). Controllare se il moto è laminare e calcolare la perdita di carico per una lunghezza L = 300 m di condotta. Determinare inoltre il diametro che dovrebbe avere la tubazione perché, con la stessa portata, le perdite di carico si riducano alla metà del valore prima calcolato (Re = 127,3; AH = = 39,87 m; DI = 0,0595 m).
FIG. 7.30
7.5 Determinare la portata d'acqua defluente nella condotta di fig. 7.31; la condotta in acciaio è caratterizzata da un coefficiente di scabrezza di Kutter m = 0,30; l'imbocco è a spigolo vivo (Q = 290 1/s)
7.2 Un albero ad asse verticale del diametro D I = 0,15 m (fig. 7.28), ruota alla velocità di n = 200 giri al minuto ed ha un supporto lungo b = 0,25 m con diametro interno D2 = 0,1502 m; tra supporto e albero vi è olio con viscosità = 10 -2 N/m2 . Calcolare la potenza necessaria per mantenere in rotazione l'albero, ammesso che la velocità dell'olio vani linearmente entro l'intercapedine, il che può ritenersi lecito, dato il suo piccolo spessore (P = 29,07 W).
-T
Y=90 m
7.3 La viscosità dell'olio sotto i blocchi di fig. 7.29 vale [.t = 0,686 Ns/m 2 ; ciascun blocco ha un'area di base A = 0,02 m2 . Si ammetta che sotto ciascun blocco lo spessore del liquido sia costante (G 1 = 24,5 N; s 1 = 1 miri; G2 = 49 N; s2 = 0,6 mm) Determinare: — l'angolo a per il quale la velocità di moto uniforme dei due blocchi è V= 0,30 m/s; — la forza N a cui è soggetta la barra che collega i due blocchi (a = 8° 39'; N= 0,461).
FIG. 7.31
7.6 Le condotte in acciaio dell'impianto indicato in fig. 7.32, hanno scabrezza definita dall'indice m = 0,45 di Kutter. Calcolare la portata Q effluente, trascurando la perdita localizzata nella curva (Q = 86,9 1/s).
8m
I
I D,
I
Fio. 7.28 7.4
Dc =0,20 m
—.-
FIG. 7.32
Fio. 7.29
Nella condotta orizzontale di fig. 7.30 defluisce acqua con velocità media V = = 3 m/s; l'indice di resistenza vale X = 0,02. Determinare la quota h dell'acqua nel piezometro indicato in figura (h = 17,08 m).
7.7
La condotta in acciaio indicata in fig. 7.33 ha una scabrezza assoluta (di Colebrook) e = 10 -5 m; determinare il dislivello necessario perché essa convogli una portata di 20 lis di acqua a 20 0 (v = 10 -5 m2/s) ( Y = 1,55 m).
CORRENTI IN PRESSIONE
258
11
259
ESERCIZI
7.10 Nell'impiant) idroelettrico indicato in fig. 7.36 le condotte sono in acciaio aventi scabrezza caratterizzata dal coefficiente di Strickler c = 70; se l'indicazione del manometro differenziale è à = 0,06 m, determinare la portata e la potenza 3,02 m3 Is ; P = 3456 dell'impianto ; rendimento della turbina n = 0,85 (Q kW).
1
Y =150m
FIG. 7.33 = 0,3 di Kutter) ; 7.8 La tubazione che collega i due serbatoi di fig. 7.34 è in acciaio determinare come varia la portata al variare del livello nel serbatoio di valle (per Y < 17,855 m; Q (lis) = 16,513 A/V; per Y > 17,855 m; Q = cost = = 69,78 lfs)
n.„,=13600 kg/m 3
FIG. 7.36 7.11 La condotta forzata dell'impianto idroelettrico indicato in fig. 7.37 è in acciaio
ed è caratterizzata da un coefficiente di scabrezza di Strickler c = 75; l'imbocco è a spigolo vivo; le perdite di carico lungo il diffusore si valutino con la formula di
7.9
Calcolare la massima portata d'acqua teorica che può defluire nella condotta di fig. 7.35; la condotta in acciaio è caratterizzata da un coefficiente di scabrezza di Bazin y = 0,23; l'imbocco è a spigolo vivo (Qma. = 22,4 Ils).
6m
' 0
40
'''•
•
i ————
02=0.05 h*D3=1.5in•-i -
FIG. 7.35
11
no. 7.37
260
CORRENTI IN PRESSIONE
Gibson, ponendovi m = 0,4. Determinare: — la potenza sull'asse della turbina ( -si = 0,8); — l'indicazione n del manometro metallico; — l'indicazione A del manometro differenziale (y„, = 7845 N/m') (P = 12070 kW; n = 281,7 N/cm 2; A = 7,01 m). 7.12 L'impianto di sollevamento indicato in fig. 7.38 deve sollevare la portata di 80 I/s di nafta (-r = 7845 N1m3 ; v = 8 10 -6 m2 /s); le tubazioni sono da considerarsi liscie e le perdite localizzate dovute alle curve nulle. Determinare la potenza della pompa (rendimento iì = 0,80) (P = 76,4 kW).
8. Problemi pratici relativi alle lunghe condotte
8.1 Generalità
FIG. 7.38
7.13 Nel sistema di fig. 7.39 fluisce acqua (y = 9806 N/m 3 ); le tubazioni sono in acciaio (m = 0,175 per tubi nuovi; m = 0,30 per tubi usati). Determinare per tubi nuovi e tubi usati la potenza della pompa necessaria per muovere la portata di 220 lis (rendimento 1 = 0,75) (P, = 84,7 kW; P . = 139,2 kW).
Nella pratica degli impianti idraulici capita sovente di incontrare delle condotte in pressione di lunghezza _rilevante rispetto al diametro (dell'ordine di qualche migliaio di diametri): è il caso delle adduttrici degli acquedotti per il trasporto dell'acqua dalla fonte di approvvigionamento al centro di utilizzazione, oppure degli oleodotti per il convogliamento dei prodotti petroliferi dal luogo di produzione a quello di consumo. In queste_che_vertgono. usualmAnte. denominate lunghe condotte, ie perdite localizzate (all'imbocco, allo sbocco, per. cambiamento &diametro o di direzione, ecc.) risultano, di regola di entità trascurabile rispetto_ a quelle continue dovute alla resistenza delle pareti, cosicclié _nei calcoli è amente_di-queste-ultiMe,.- iv— suffiag-até-t-éhéi- edriti5-elaus La relativamente modesta velocità,_delliquida_deflu_ente in queste condotte (non superiore a qualche metro al secondo) rende- inoltre lecito frasciaarej'altezia_eingtica rispetto ai _dislivelli piezometrici e_ perciò consid.erare_ _eoinciden.ti_ fra loro linea_deLcarichi_ totali_e piezometrica: l'unica linea così ottenuta, in base alla quale vengono misurate le pressioni _nei singoli punti della condotta, viene chiamata semplicemente piezometrica. Vale forse la pena di rendersi conto, con un calcolo elementare di prima approssimazione, della effettiva lunghezza che deve avere una condotta per poter essere classificata in questa categoria delle lunghe condotte. Il risultato dipende ovviamente anche dalla precisione che si richiede dai calcoli: ammetteremo a questo proposito che ci si possa accontentare di una approssimazione del 4%, il che è giustificato, tra l'altro, anche dalle incertezze insite nelle valutazioni relative alle perdite continue. L'altezza cinetica e le perdite localizzate, che sono in genere del suo ordine di grandezza, risultano perciò trascurabili singolarmente quando si abbia: V2
2g FIG. 7.39
0,04 L
xV2
2gD
V2
= 0,04 nD
2gD
(in cui si è espressa la lunghezza in diametri ponendo L = nD); deve [261]
9 62
PROBLEMI PRATICI RELATIVI ALLE LUNGHE CONDOTTE
dunque essere: n
0,04X -
1000,
avendo posto per X un valore medio 0,025. Qualora le perdite localizzate equivalenti a una altezza cinetica fossero in numero di ni, la condotta dovrebbe perciò avere una lunghezza di almeno 1000 m diametri. aior parte dei casi pratici le condotte con le caratteristiche ora definite vengono posate in una fossa scavata nel terreno, di cui seguono l'andamentoirtimetrico- se come si verifica quasi sempre, il terreno non è acc_id_entato, con .Tencle_nze e contropendenze poco _ rilevanti, è sibile,_agli effetti dei calcoli idraulici, sostituire alle lu_nghezze - effettive quelle delle proiezioni sopra un piano orizzontale, che si desumono direttamente dalle carte topografiche. Agli stessi criteri semplificativi ci si attiene anche nello studio delle più complesse reti di condotte per la distribuzione di acqua o di altri fluidi ai centri abitati oppure nei complessi industriali. In questi sistemi le perdite localizzate hanno in realtà valore complessivo non del tutto trascurabile, a causa delle numerose diramazioni e dei frequenti apparecchi inseriti sulle condotte ; poiché però per la pratica ci si accontenta in questi casi di una minor precisione dei calcoli, è ancora accettabile tener conto soltanto delle perdite di carico continue, eventualmente maggiorate per conglobare, sia pure in modo imperfetto, l'influenza delle frequenti perdite localizzate, le quali vengono così considerate come se fossero uniformemente ripartite lungo le condotte. Agendo in tal modo si semplificano notevolmente i procedimenti di calcolo che altrimenti risulterebbero gravemente laboriosi. Nello studio delle reti di distribuzione occorre invece tener presente che lungo lesingole condotte si hanno frequenti erogazioni, cosicché il moto in esse non è uniforme, bensì a portata variabile lungo il percorso; come vedremo, di ciò è facile tener conto, purché il particolare processo venga trattato con idonee semplificazioni. In o_gni caso la determinazione delle perdite continue può essere cond.otta_con una qualsiasi delle formule del moto uniforme viste nel 9 .pito10 precedente, Plg9hé vengano_opportunamente aeelti i coefficienti di Scabrezza in. relazione al tipo di tubo impiegato e alla frequenza delle perdite localizzate; molto spesso risulta utile adottare le formule del tipo monomio:
(
J = k.Q2D-n ,
che possono essere esplicitate rispetto a una qualsiasi delle variabili J ,Q ,D. pe lunghe condotte hanno, di consueto, una vita della durata di alcune decine di anni, nel corso dei quali le relative caratteristiche idrauliche — principalmente la scabrezza — subiscono continue modifiche, alle quali corrisponde in generale un aumento delle perdite di carico. Per Roter comunquesarantire il servizio che le condotte devono compiere„esse-devono
CONDOTTA A DIAMETRO COSTANTE CON EROGAZIONE UNIFORME 263 perciò essere calcolate per la condizione cosiddetta di tubi usati, per la cano le piu' elevate perdite di carico; ma è evidentemente • necessario verificarne il funzionamento anche per la situazione cosiddetta _di _tubi nuovi, alla quale corrispondono le perdite di carico più piccole _prevedibili. Così facendo si hanno a disposizione le due condizioni di funzionamento estreme entro le quali sono comprese tutte quelle possibili e risulta perciò facile prendere tutti i provvedimenti che rendano la rete di condotte in grado di funzionare come desiderato nei successivi periodi della sua vita. I problemi che fondamentalmente possono interessare le reti di condotte sono di due tipi di verifica: e di progetto; il primo riguarda la verifica del funzionamento di -una rete- esistente e -Consiste essenzialmente nella deterininazione-delle-peFtate-ae percorrono i singoli tronchi della rete ; il secondo inmene_riguardaiLdimension.amento. e cioè l'individuazione dei diametri che occorre assegnare ai . _ diversi tratti della rete in modo che essa possa syolgere un. servizio prefissato. A questo proposito sembra opportuno ricordare che le lunghe condotte sono, salvo casi particolari, costituite con tubi commerciali, cioè normalmente reperibili sul mercato; i loro diametri sono graduati - ad intervalli regolari, unificati per i diversi materiali (ad esempio per tubi di ghisa o di acciaio la graduazione è di 25 mm per diametri compresi fra 100 e 250 mm, e di 50 mm per i diametri maggiori). Ad eccezione di pochissime situazioni particolari, le sole relazioni che definiscono il funzionamento idraulico non sono sufficienti a determinare il problema del dimensionamento di una rete ed occorre introdurre altri criteri di valutazione, fra i quali il più importante è quello economico, a mezzo del quale si individua fra tutte le soluzioni idraulicamente possibili quella che è economicamente più conveniente. I paragrafi successivi saranno essenzialmente dedicati appunto allo studio dei problemi di verifica delle reti e di alcuni fra i più importanti probleMi di dimensionamento; alla esposizione di queste trattazioni occorre però premettere un breve paragrafo per l'esame delle condizioni di moto con erogazione lungo il percorso. 8.2 Condotta a diametro costante con erogazione uniforme lungo il percorso La situazione è quella schematicamente indicata nella fig. 8.1: in una. condotta a diametro costante D, è inserito il tronco AB di lunghezza L lungo il quale si verificano erogazioni; queste, per semplificare i calcoli, vengono assimilate ad una erogazione uniformemente distribuita, di portata q per unità di lunghezza della condotta, e quindi di portata complessiva P = qL, uguale precisamente a quella delle erogazioni effettive. Alla sezione iniziale A di detto tronco arrivi la portata Q > P, e ad essa competa il carico piezometrico HA si tratta di determinare l'andamento della piezometrica lungo AB e in particolare il carico HB all'estremo di valle. Avendo supposto il diametro costante, alla diminuzione della portata. ;
264
PROBLEMI PRATICI RELATIVI ALLE LUNGHE CONDOTTE
VERIFICA DEL FUNZIONAMENTO DEI SISTEMI DI CONDOTTE
265
corrispondenti alle portate defluenti nelle rispettive sezioni. Il carico nella sezione B all'estremo di valle del tronco si ottiene dalla (8.1) ponendo x = L e vale : p2 (8.2) — QP] = HA— k.D -nL [Q2 +
-
A
HA
Se la portata in arrivo è completamente distribuita lungo il percorso (Q = P) si ottiene: 1 (8.3) HB = HA_ _ kQ2D-Si,
.18
H, /-13
A
43..=
1 1 1 1 1 I, 1t
aP
C
B
3
Pa
in questo caso la perdita lungo il tronco AB è pari ad un terzo di quella che si verificherebbe nella stessa condotta percorsa per tutta la sua lunghezza dalla portata iniziale Q. Allo scopo di rendere più semplici e rapidi i calcoli sia di verifica sia di dimensionamento delle reti, è in generale conveniente sostituire al tronco con distribuzione lungo il percorso un tronco equivalente di egual lunghezza e diametro con erogazioni concentrate ai due estremi, di valore tale da comportare una perdita di carico complessiva identica a quella effettiva. Indicata con Q — ccP la portata concentrata all'estremo di monte, deve essere: p2 Q2 4_ QP = (Q — aP)2
08= (1— a)P
x
—L
—
FIG. 8.1
corrisponde anche una diminuzione della velocità. La trattazione analitica rigorosa di una situazione di questo genere dovrebbe mettere in conto questo fatto; e cioè il recupero di pressione corrispondente alla diminuzione di altezza cinetica; ma si tratta in ogni caso di quantità trascurabile e i calcoli abituali ne prescindono. Indichiamo con x la distanza di una generica sezione C da quella iniziale A; in essa la, portata vale Q—qx, e lungo il tronco di lunghezza dx, compreso fra la sezione x e quella immediatamente a valle x dx, la piezometrica subirà l'abbassamento:
3
da cui si ricava (scartando la soluzione per cui risulta 1
dH = Jzdx = k (Q — qx) 2 D-4 dx.
=
Il carico Hz in C si ottiene allora integrando la ovvia relazione :
= HA
avendo posto 3= QIP. Questa relazione è rappresentata, dal grafico dì fig. 8.2, dal quale si desume che già per 3 = 5 il rapporto a si può ritenere costante e pari a 0,5 (*). In ciò che segue ammetteremo che detta sostituzione sia sempre già stata effettuata e perciò tratteremo soltanto le situazioni con erogazioni concentrate ai nodi di ogni rete.
— i o dH,
che fornisce: Hz = HA— IcD -nx {Q 2 +
(qx)2 3
Qqx] .
(8.1)
Poiché, come si è detto nel par. 8.1, si assimilano le distanze x misurate lungo la condotta alle loro proiezioni orizzontali, la piezometrica (v. fig. 8.1) è costituita da un arco di parabola cubica; e in particolare le tangenti agli estremi A e B hanno pendenza pari alle cadenti:
= kQ2D -n
e
JB
= k (Q — P) 2 D -
c > 1) :
n,
>I, .
Verifica del funzionamento dei_ sistemi di condotte
Sia assegnato un qualsiasi sistema di condotte (fig. 8.3) per il quale siano noti i seguenti elementi: i -- (*) Si fa presente che questo valore è quello che assume il valore a per 8—> co.
266
VERIFICA DEL FUNZIONAMENTO DEI SISTEMI DI CONDOTTE
PROBLEMI PRATICI RELATIVI ALLE LUNGHE CONDOTTE
267
Ci si_propone di individuare il funzionamento di tale rete, e cioè di e determinare i valori_déné - m portate Qa 'Che pèrecirrono- i lati della rete, _ degli n carichi H5 ai nodi. occorre ---Pierenlivanente fissare un senso di percorrenza di ciascun lato (che sarà poi da controllare, ed eventualmente da cambiare a seguito del risultato dei calcoli); per la soluzione del problema sono disponibili le seguenti relazioni: a) per ciascun nodo l'equazione di continuità;
0,50
0,45
(8.4) 0,40 FIG. 5.2
— le quote (che si ammettono costanti) dei peli liberi nei serbatoi che alimentano 'il sistema o sono da esso alimentati; — le lunghezze Li , i diametri D i e. l scabrezze (ad esempio i valori k5 e ní della formula monomia) degli m lati che formano il sistema,intendendosi per lato ciascun tronco di condotta a diametro costante percorse, da una portata costante come già detto si esclude la presenza di tronchi con distribuzione lungo il percorso poiché si presuppone di averli sostituiti con i corrispondenti tronchi equivalenti;
essendo la sommatoria estesa a tutti i lati che convergono al nodo ed assegnando segno positivo alle portate Qi entranti _ _e segno negativo a _quelle e-tigoAtoni_se.ne_possono .gcríVere- n e cioè tante quanti sono nicei-iti"; -dí_tali - i nodi; b) per ciascun Jato l'equazione delle perdite lungo di esso:
II.1 — HP-1
= ■PiejP1,-1
=
(8.5)
essendo Lt Hi.a_i_cArichi agli estremi del lato: fra _ questi sono in_e_ogniti quelli corrisondenti ai nodLinentre sono noti a priori quelli corrispondenti ai Serbatoi; di equazioni (8.5) se ne possono scrivere m, cioè tante quanti = 14L5Drni _è)una costante che caratterizza sono i làtiTil -parametro _ ciascun- lato. Il sistema delle n equazioni (8.4) e delle m equazioni (8.5) definisce completamente il problema e la sua soluzione con.duce alla determinazione dei valori incogniti Qi e H5 . Se i prefissati sensi di percorrenza dei lati non sono tutti corrispondenti al funzionamento reale, alcuni dei risultati saranno costituiti da valori immaginari; in tal caso ovviamente risulta necessario ripetere il calcolo dopo aver modificato opportunamente i sensi di percorrenza. Quando la rete di condotte è piuttosto complessa la soluzione del sistema delle (8.4) e delle (8.5) diventa notevolmente laboriosa e risulta allora conveniente ricorrere all'impiego di un elaboratore elettronico.
—
-
Ad illustrazione dei concetti ora esposti, esaminiamo in particolare alcune semplici situazioni relative sia alle reti di adduttrici, sia a quelle di distribuzione. Il più semplice fra i sistemi che si possono concepire è quello costituito da-una sola condotta (a diametro costante), che collega due serbatoi A e B (fig. 8.4). Il sistema delle in+ n equazioni si riduce allora all'unica: HA—
— le portate Qi erogate agli n nodi della rete, intendendosi per nodo qualsiasi punto ove confluiscono più di due condotte, oppure ove sussiste un cambiamento di diametro o di scabrezza, o una erogazione concentrata.
kQ2D -nL = r3Q2
(essendo m=1 e n= O), da cui si ricava immediatamente la portata Q, che è l'unica incognita. Va osservato che la k e la n che compaiono nell'equazione scritta sopra devono avere i valori corrispondenti alla situazione di tubi usati, se vogliamo
268
PROBLEMI PRATICI RELATIVI ALLE LUNGHE CONDOTTE
VERIFICA DEL FUNZIONAMENTO DEI SISTEMI DI CONDOTTE
269
verificare che la portata convogliata sia in ogni caso almeno uguale a quella prescritta (e in particolare lo sia ancora al termine della vita della condotta). Quando però la condotta è appena posta in opera e pertanto nuova, si ha per la stessa portata, che deve considerarsi la massima erogabile dal serbatoio A, una cadente minore; si avrebbe pertanto una piezometrica 11/LN tagliante la condotta in M, e a monte di questo punto un moto a canaletta, alla pressione atmosferica, essendosi precedentemente vuotato il serbatoio A; moto inammissibile soprattutto per ragioni igieniche o comunque dì contaminazione. Si ovvia all'inconveniente inserendo in un punto V della condotta, a valle di M, un apparecchio detto valvola riduttrice, e schematicamente consistente in un dispositivo di strozzamento della corrente, in grado di provocare una perdita di carico localizzata AH e quindi di innalzare la quota piezometrica a monte in guisa da farla coincidere col pelo libero in A nella sezione iniziale della condotta. Questo apparecchio deve essere costruito in modo che la perdita di carico AH possa essere progressivamente modificata al variare della scabrezza della condotta. Consideriamo ora tre serbatoi collegati tra loro secondo lo schema della fig. 8.5; sono note le quote del pelo libero nei srbat djmetri, le lunghezze e le scabrezze -di ogni singolo tronco, _per ciascuno dei quali resta così definito il valore caratteristico In dipendenza dei valori delle diverse grandezze, possono verificarsi le due diverse condizioni di funzionamento indicate nei due schemi a) e b) della fig. 8.5, nei quali è tracciato con linea piena l'andamento della piezometrica a tubi usati; ~rima situazione il serbatoio A alimenta B e ...mentre nella seconda sono i serbatoi A e B ad alimentare C. Il sistema di equazioni che r--Qg-e—if-j----)rocem;--cti--moto è il seguente: .
_
go. .
= ± Qi + Q2 ;
Ho — HN = PoQ: ; HN
— Hl = + 2
, HA' — H2 = 2Q2,
dove il segno 4- vale_per la situazione a) e quello — per la b). - Naturalmente anche er questa situazione il sistema deve riguardare di tubi la condizione _ usati e a ques -a vanno riferite le piezometricite _ male in _figura-a, tratI pieno Nella stessa figura sono state anche indicate qualitativamente, con linee a tratti, le piezometriche a tubi nuovi. Oltre alla valvola riduttrice Vo la cui funzione è gia stata illustrata nell'esempio precedente, 9ccorre in.serirne una seconda Vi , a, valle del nodo, per ricostruire insle_s_ta-caso i la _e_o_Agruenza, delle quote piezometriche al nodo stesà -drsenza di -essa (v. q~_piezomeifielie cor-Fis-p-on-denti -ai punti -figura) si avrebb eroinfaAfile S ed R rispettivamente per le sezioni estreme delle condotte I e 2; o, più precisamente,_ poiché la congruenza si stabilisce spontaneanaente, si avrebbero nelle due condotte portate diverse da quelle desiderate. .. Come terzo esempio, consideriamo una maglia chiusa quale quella rappresentata nella fig. 8.6; una simile situazione è caratteristica delle
270
PROBLEMI PRATICI RELATIVI ALLE LUNGHE CONDOTTE
VERIFICA DEL FUNZIONAMENTO DEI SISTEMI DI CONDOTTE
271
sive, tra i quali illustreremo qui brevemente quello di Cross, che è il più adatto per i calcoli manuali. Si assuma una distribuzione delle portate arbitraria (ma possibilmente, benché non necessariamente, non troppo diversa dalla vera), che comunque sia tale da soddisfare alle equazioni di continuità; indicata con Q i ' la portata prefissata per l'i-esimo lato, essa differisce da quella effettiva di una quantità e cioè risulta: Qt
= +Q'e;
notiamo che la correzione Q,' è costante per tutti i lati, essendo già stata soddisfatta la condizione di continuità ai nodi. Con queste posizioni la (8.6) diventa:
Pi (Q 2
Qe
+ 2Qtr Q ie) = 0,
r 3iQe
dalla quale, ritenuto trascurabile il termine
Qo = >,QJ ; — le lunghezze, i diametri e le caratteristiche di scabrezza di ciascun lato della maglia, ognuno dei quali risulta definito dal parametro p, kiLiD i-ni al quale viene assegnato segno positivo se la portata Q• che percorre il lato ha senso concorde con quello prefissato, e segno negativo in caso contrario; gli stessi segni vengono adottati anche per le portate. Le n equazioni del tipo (8.5) che si possono scrivere per tutti i lati della maglia, sommate tra loro portano all'unica equazione:
=
;
i
Qe-
2
(8.7)
2Ra;
il valore della correzione Q,' dedotto con questa relazione è naturalmente approssimato; sommato algebricamente ai valori Q; permette di individuare una nuova serie di valori W' = Qi' ± Qe`, a mezzo dei quali con la (8.7) si ricava un secondo valore correttivo Qe ". Ripetendo il ciclo alcune volte (di norma bastano 2 o 3 ripetizioni) si determinano dei valori delle portate Qi sufficentemente approssimati per le pratiche applicazioni. Merita osservare che il procedimento, salvo casi eccezionali, è rapidamente convergente anche se la distribuzione di portate assegnata inizialmente è abbastanza diversa da quella effettiva; ciò rappresenta un notevole pregio del metodo. Esaminiamo da ultimo il caso di più condotte in parallelo (fig. 8.7).
(8.6)
che posta in sistema con le equazioni di continuità, ai nodi del tipo (8.4) definisce completamente il problema della determinazione delle portate di ciascun lato e dei carichi in ogni nodo. La non linearità del sistema preclude una agevole soluzione algebrica diretta; si impiegano perciò metodi di calcolo per approssimazioni succes-
si ricava facilmente:
,
n
reti di distribuzione, nelle quali i singoli lati effettuano spesso servizio di erogazione lungo il percorso. Di tale sistema sono noti: — la portata Qo immessa nella maglia e il carico Ho nel punto di immissione; — le portata Q i erogate negli n-1 nodi; naturalmente deve risultare soddisfatta la relazione:
'2,
FIG. 8.7
273
DIMENSIONAMENTO DEI SISTEMI DI CONDOTTE PROBLEMI PRATICI RELATIVI ALLE LUNGHE CONDOTTE
272
I carichi ai nodi estremi A e B sono evidentemente uguali per tutte le condotte, e di conseguenza risultano pure uguali le perdite di carico HA - HB che hanno luogo nelle singole condotte. Se tali carichi sono assegnati, la capacità del sistema è di determinazione immediata; si ha infatti n
n
1
1
1
essere il massimo prevedibile per l'intero periodo di funzionamento. Incogniti sono i diametri, che ovviamente dovranno essere scelti nell'araba delle serie commerciali7 Sí determina dapprima un unico diametro teorico, facendo uso preferenzialmente di ima formuladi resistenza di tipo monomio: _ _ --Y ,It, Q2 N. --- ,
J
= - =
L
/12.7i
,
Dm
)
----/
che consente di esplicitare il diametro: Se invece è assegnata la portata in arrivo Q e si vuoi determinarne la suddivisione fra le n condotte e la perdita di carico fra A e B, occorre risolvere il seguente sistema di equazioni:
Q=
f3iQ
2
n log D = log k + 2 log Q — log J. il diametro così ottenuto, si sceglieranno, nella serie commerDetto D t immediatamente inferiore e superiore a Dt ciale, i due diametri D I e D2 e la condotta verrà costituita con due tronchi aventi tali diametri. Le lunghezze da assegnare ad essi risultano dal sistema (v. fig. 8.8):
2 = (31Q1 i
le n — 1 equazioni del secondo tipo esprimono evidentemente l'uguaglianza delle perdite di carico di ciascuna condotta. Dal sistema si ricava facilmente:
+ L2 = L JiLi Jzin = Y.
Ll
LI -----3.1 kt---!
.......
--7--■0. C,4 reo_ic 'Y A
l
X 4
Dimensionamento dei sistemi di condotte
Dobbiamo ora affrontare il secondo tipo di problema per i sistemi di condotte cioè quello che abbiamo definito di progetto (v. p. 263). Iniziamo dalla situazione particolarmente semplice del dimensionamento di un'unica condotta destinata a collegare due serbatoi (fig. 8.8). Sono assegnati in questo caso: il dislivello Y fra i peli liberi nei . due - essere convogliache dovra serbatoi ;la lunghezza della condotta Tio ta; il tipo di materiale prescelto per la realizzazione della condotta e quindi a, qualora non si tratti di tubo le sue caratteristiche idrauliche (la scabrezz— liscio). A questo proposito, poich, come abbiamo a suo tempo rilevato, la scabrezza di una condotta va in genereaumentando con l'uso, appare idente che -dovrà assumersi per essa_ il valore che presumibilmente sarà. ragunto aF termine della prevista durata della condotta; un discorso analogo vale _per il valore della portata, che, in sede di progetto, dovrà
-
I I I I :....----
IBI POSSLI PIEZOMETRICHE i EFFETTIVE
I
i
e quindi:
_
,
...... ,
I I I L, ---»-k--- L2
r
, .-__ , l l - -I -t
8.8
La successione dei due tronchi, a priori arbitraria, può essere suggerita da particolari situazioni locali. Per il funzionamento a tubi nuovi, che richiederà l'inserimento di una valvola di riduzione, si rinvia a quanto già detto a proposito dei problemi di verifica. A Consideriamo ora un sistema più complesso di condotte del tipo rappresentato in fig. 8.9; non considerando per ora il lato AC, supporremo assegnate: le portate che partono dai serbatoi o ad essi arrivano e quelle eventualmente erogate ai nodi; le lunghezze di ogni lato della rete; le quote
274
DIMENSIONAMENTO DEI SISTEMI DI CONDOTTE
275
PROBLEMI PRATICI RELATIVI ALLE LUNGHE CONDOTTE
Se il sistema di condotte è a semplice gravità, la passività è formata da tre termini: l'interesse e l'ammortamento del capitale impiegato per la costruzione dell'impianto e il costo di manutenzione ; essa viene di norma , che per il caso assunta pari ad una percentuale r del costo d'impianto C i in esame è costituito esclusivamente da quello delle tubazioni che componla passività possiamo perciò in. gono l'impianto stesso. Indicata con Pa genere scrivere : (8.9) Pa = rCi Il tasso annuo r può assumere valori abbastanza differenti in dipendenza soprattutto delle condizioni di finanziamento dell'opera; a puro titolo orientativo esso può ammettersi variabile fra 0,05 e 0,15. Se invece sulla rete sono inserite delle macchine che assorbono o cedono energia al liquido in movimento, la passività comprende, oltre al termine ora indicato delle spese d'impianto, anche un secondo addendo che tiene conto degli oneri annui corrispondenti alla mancata produzione oppure al maggior assorbimento di energia dovuti alle perdite di carico nelle condotte; indicato genericamente con C e tale onore la passività per questi impianti risulta: di tutti i peli liberi nei serbatoi; infine il materiale di cui dovranno essere fatte le condotte. Si pone il problema della determinazione degli m diametri dei lati e degli n carichi ai nodi; come incognite ausiliarie compaiono inoltre le r portate nei singoli lati non facenti capo ai serbatoi. Per la soluzione del problema risultano disponibili le m equazioni (8.5) delle perdite nei lati, che ora scriviamo nella forma: Hj — H1+1 = L1kQD = ÀQDt ,
Pa
(8.10)
Alla esposizione dei criteri economici atti a definire il dimensionamento di un qualunque sistema di condotte, è bene premettere un breve cenno , in relazione alle caratsugli elementi da cui dipendono i due costi C i e Ce teristiche delle tubazioni..
(8.8) 8.4.1
e le n equazioni di continuità, ai nodi. Poiché le incognite sono m + n + r, queste equazioni sono insufficienti a rendere determinato il problema: occorre perciò individuare altre condizioni, di carattere non necésiariamente idraulico, in numero pari a r. In molti casi le condizioni di esercizio della rete richiedono di mantenere i carichi ai nodi e le velocità nelle condotte entro limiti ristretti, cosicché le soluzioni possibili (naturalmente soddisfacenti alle (8.8)) si riducono a poche fra le quali è facile attuare la scelta di quella che comporta la minima spesa di impianto. In altri casi, particolarmente in sistema di adduttrici di una certa importanza con condotte di elevata lunghezza e di grande diametro, le soluzioni possibili risultano assai differenti fra loro e la scelta viene allora impostata sulla base di criteri economici ben definiti, che consentono di individuare fra tutte le soluzioni compatibili con i dati del problema quella che importa il minimo onere annuo, al quale si dà usualmente il nome di passività e che rappresenta la spesa che annualmente occorre sostenere per poter mantenere l'impianto funzionante.
rCi+ Ce.
Costo di una condotta
Per costo della condotta si intende la spesa complessiva necessaria per ottenere la condotta funzionante e comprende perciò sia le spese per la, fornitura dei materiali sia per la loro posa in opera. Esso viene di norma espresso per unità di lunghezza della condotta, ed è costituito da una parte costante (comprendente, ad esempio, il costo di scavo e di riempimento della trincea) e da un'altra che invece è funzione del diametro della tubazione e della pressione interna ad essa. I tubi cosiddetti commerciali vengono costruiti in classi di pressione, ciascuna delle quali è in grado di sopportare una pressione interna massima ben definita; negli acquedotti e negli oleodotti ciascun tronco di condotta è di regola costituito da tubi tutti della stessa classe di pressione e perciò il costo relativo può considerarsi dipendente esclusivamente dal diametro; l'analisi dei costi dei tubi di diverso tipo e classe mostra che in generale il costo unitario può essere sempre espresso da, una relazione del tipo : (ilo
ODS
(8.11)
276
PROBLEMI PRATICI RELATIVI ALLE LUNGHE CONDOTTE
DIMENSIONAMENTO DEI SISTEMI DI CONDOTTE
essendo 00 , 6) ed e dei coefficienti costanti per ogni tipo di tubo e classe di pressione; l'esponente e è di norma compreso fra 1 e 2. Nelle condotte forzate degli impianti idroelettrici, oppure in qualunque altro impianto dove si abbiano forti variazioni della pressione da punto a punto della condotta, questa viene costruita appositamente con spessori variabili e adeguati alla effettiva pressione esistente nel generico punto. Indicata con h la massima altezza piezometrica relativa ad -una generica sezione alla quale compete il diametro D, lo spessore s della condotta può essere, almeno in prima approssimazione, valutato a mezzo della formula di Mariotte e quindi il peso G di un tronco di lunghezza unitario vale :
essendo yf e y i pesi specifici rispettivamente del materiale che forma il tubo e del liquido convogliato; a il carico di sicurezza del materiale. Detto cf il costo dell'unità di peso del materiale, quello del metro di tubo vale: = coo
2a
AD2 =
coihD2 ,
o
Kylc 102
T
D-n Q3 dt — o
Con tale dizione si intendono esclusivamente gli oneri annui correlativi alla mancata produzione di energia negli impianti idroelettrici e al maggior assorbimento di energia negli impianti di sollevamento, determinati dalle perdite di carico nella rete. Nel primo caso si tratta in effetti di un mancato introito che però, dal punto di vista economico, può essere assimilato a un costo. Anche per i costi di esercizio conviene fare riferimento alla lunghezza unitaria di condotta; la potenza non prodotta oppure assorbita dal tronco unitario percorso dalla portata Q, vale (espressa in kW):
102
102
102
D-nQ3 T,
1 fT Q3 dt Q3 = —
si è sinteticamente indicata la media dei cubi delle portate defluenti in condotta, delle quali è da supporre noto l'andamento nel tempo. Detto se il costo di un kilowattora, il costo di esercizio c e per unità di lunghezza di tubo vale in definitiva
8.4.3
D-nQa = 4iQ3D- n
sekyKT 102
(8.13)
Sistemi di condotte a gravità
Consideriamo anzitutto il caso di un nodo unico (fig. 8.10) nel quale concorrono r condotte alimentatrici e dal quale partono s condotte alimentate, supponendo assegnati i carichi piezometrici Hi dei punti di origine delle prime e quelli II dei punti alimentati dalle seconde. Indicato con H il carico incognito del nodo, le equazioni (8.8) diventano: ;
Hi— H =
yQJ Kyk
Kyk
dove T è il numero di ore in un anno e dove con
(8.12)
Costi di esercizio.
P—K
T
E = P dt —
Ce —
dove 6)0 rappresenta ancora la porzione del costo costante, cioè indipendente dal diametro e dalla pressione. La relazione (8.11) verrà d'ora innanzi adottata per tutti i calcoli relativi ai sistemi di condotte a gravità e agli impianti di sollevamento, mentre la (8.12) sarà riservata al solo caso delle condotte forzate degli impianti idroelettrici. 8.4.2
L'energia (in kWh) complessivamente persa o assorbita per le perdite di carico in un anno vale:
T o
hD 2 yfirs D = yypr 2a ,
ofYYPT
277
= Xj Q,Di ni
(i =-- 1, 2, ..., r)
(8.14)
(j = 1, 2, ..., s)
(8.15)
Si ha inoltre a disposizione un'altra equazione che risulta definita imponendo che la passività di tutto il sistema sia minima; e cioè scrivendo:
Paí
=
dalla quale, tenuto conto delle espressioni (8.9) e (8.11) si ottiene:
Q3D-n ,
essendo K un coefficiente pari al rendimento negli impianti di produzione di energia e pari all'inverso del rendimento negli impianti di sollevamento.
e nin
( (-00‘
+
(coi 4- wi-DP) = mia.
(8.16)
Assunta quale variabile indipendente l'incognito carico nel nodo H,
DIMENSIONAMENTO DEI SISTEMI DI CONDOTTE
278
279
PROBLEMI PRATICI RELATIVI ALLE LUNGHE CONDOTTE
derivando le (8.14), (8.15) e la (8.16) rispetto ad H, con facili sostituzioni si giunge alla relazione : r
riLj oi si n ÷e t t-t Dí i i = XQn i XiTni
÷,
(8.17)
che esprime la condizione di minima passività al nodo.
più maglie con lati in comune). Nel caso di fig. 8.9 si aggiungono 5 incognite (i diametri e le portate dei lati AB e BO e il carico in B), ma soltanto quattro equazioni dei tipi finora considerati (le due che danno le perdite nei lati e quelle di continuità e di minima passività al nodo). L'ulteriore equazione necessaria per rendere analiticamente determinato il problema è ancora di tipo economico e deve esprimere il concetto che i diametri della nuova condotta (e quindi le portate da essa convogliate) siano tali da rendere minima la passività complessiva relativa ai due nodi estremi A e C; ma sui dettagli non insistiamo. Applichiamo invece ancora, a titolo di esempio, i criteri sopra esposti ad alcuni casi particolari che frequentemente si incontrano nelle pratiche applicazioni. Una condotta debba convogliare una determinata portata Q da un serbatoio ad un altro, fra i quali si abbia una certa differenza di quota AH; per ragioni dipendenti dalle caratteristiche geologiche dei terreni interessati dalla condotta, questa è costituita da due tronchi formati con tubi di diverso tipo. La sezione di passaggio da un tipo all'altro di tubo rappresenta un nodo e perciò ad esso può applicarsi la (8.17), che in tal caso (esplicitando il parametro X) diventa: r26)2E2
-Fe ricolEi. i D" kin).
D2
k2n 2
nella quale gli indici 1 e 2 contraddistinguono i tronchi con diverso tipo di tubi. Associando a questa l'ovvia equazione delle perdite di carico: Se le condotte del sistema sono tutte formate da tubi dello stesso tipo k, n risultano uguali per tutti i lati e la (8.17) assume le grandezze r, c, la più semplice forma (ricordando che X = kL): D
t Q2
11 +5 =3 D -1
Ti
(8.18)
In un sistema più complesso, che comprenda più di un nodo, per ognuno di questi si può scrivere una relazione del tipo (8.18). Ritornando ora, allo schema di fig. 8.9, possiamo constatare che di queste equazioni di minima passività se ne possono scrivere tante quante sono i nodi (5 in. figura) e cioè esattamente tante quante sono le r portate incognite; con ciò il problema di progetto della rete risulta analiticamente determinato. La sua complessità formale è oggi agevolmente superabile con l'impiego degli elaboratori elettronici. Il problema si complica ulteriormente se pensiamo di aggiungere la condotta ABC tratteggiata in fig. 8.9, con eventuale erogazione nel punto B, o più in generale una condotta che spezzi una maglia in due adiacenti con un lato in comune (più generalmente ancora quando la rete comprenda
= Q. [LikiDr nI L2k2Dr 2
] ,
e risolvendo per tentativi si determinano i diametri dei due tronchi. Si consideri invece una condotta costituita da una successione di tronchi, tutti formati con lo stesso tipo di tubi, ma percorsi da portate decrescenti per erogazioni rispettivamente uguali a (21, Qz •.., Qr , (21 — Q2 che hanno luogo al termine di ogni tronco; i due tronchi estremi siano collegati a due serbatoi con dislivello AH. L'equazione delle perdite risulta ovviamente: r (8.19) Mi = k mentre, per ogni nodo con erogazione, dalla (8.18) si ricava una equazione del tipo:
= Q2
-
(8.20)
280
PROBLEMI PRATICI RELATIVI ALLE LUNGHE CONDOTTE
di tali equazioni se ne possono scrivere n — 1 e cioè tante quanti sono i punti di erogazione. La soluzione del sistema delle (8.20) con la (8.19) conduce alla determinazione dei diametri, che naturalmente risultano decrescenti con la portata e più precisamente con la potenza 2/(n + E) di questa. Tutti questi calcoli portano alla determinazione di valori teorici del diametro che occorre poi modificare in base ai valori commerciali. Questo fatto, unitamente alla constatazione generale che il minimo della passività è sempre molto piatto (e perciò anche uno spostamento dalla condizione di minimo non comporta grandi variazioni della passività) porta a considerare tutti i calcoli economici essenzialmente come calcoli di orientamento dai quali si può desumere soprattutto un indirizzo di massima per il progetto, il quale deve poi essere affinato e reso definitivo sulla base di tutte le altre considerazioni di carattere pratico relative alla costruzione e all'esercizio dell'impianto. Nella soluzione dei sistemi di equazioni più sopra individuati, non occorre perciò giungere a risultati esatti, che comporterebbero tra l'altro calcoli molto spesso assai laboriosi, ma è sufficiente accontentarsi di valori anche non molto approssimati. 8.4.4
DIMENSIONAMENTO DEI SISTEMI DI CONDOTTE
281
Se ora mettiamo in graficO la passività d'impianto (pari a rC i ) e quella di esercizio (Ce) dovuta alle sole perdite di carico, in funzione del diametro della condotta si trovano due curve l'una crescente e l'altra decrescente con il diametro (fig. 8.12); la somma delle ordinate, corrispondente alla passività complessiva dell'impianto, dà luogo a una curva che presenta un minimo la cui ascissa costituisce il diametro D, economicamente più conveniente, detto sovente diametro di massimo tornaconto.
Impianti di sollevamento
Alla condotta di un impianto di pompatura che deve sollevare una determinata portata da im serbatoio ad un altro più elevato (fig. 8.11) può essere assegnato qualunque valore del diametro purché la pompa venga adeguatamente dimensionata. T
i
FIG. 8.12
Il calcolo di questo diametro viene praticamente effettuato valutando per un certo numero di diametri commerciali, le corrispondenti spese d'impianto rCi e di esercizio Ce , e quindi scegliendo il diametro al quale compete il più basso valore della somma dei due termini. Questo procedimento, normalmente impiegato nella pratica della progettazione, offre il grande vantaggio di poter tener conto con esattezza degli effettivi costi relativi al singolo impianto, ma non consente ovviamente alcuna considerazione generale sull'influenza dei diversi fattori da cui dipende il diametro di massimo tornaconto; ciò può invece ottenersi attraverso l'impostazione analitica di cui già si è detto, che impone la condizione di minima passività: Pa = rei + Ce
=
;
tenuto conto delle espressioni (8.11) e (8.13), si ricava: Fio. 8.11
Ad un diametro piccolo corrisponde una modesta. passività d'impianto, ma una elevata passività di esercizio in dipendenza delle forti perdite di carico nella condotta. Per contro un diametro grande comporta una elevata spesa d'impianto ed una piccola spesa di esercizio.
L [r (630 + c.3.D.5 )
4;e23D-Th] =
dalla quale, derivando rispetto a D, dopo ovvie semplificazioni, si ottiene :
De =
[ ntpe 11/(n+s)
ros
J
(8.21)
989
PROBLEMI PRATICI RELATIVI ALLE LUNGHE CONDOTTE
Notiamo anzitutto che il diametro di massimo tornaconto è indipendente dalla lunghezza della condotta; tutti i calcoli possono perciò svolgersi con riferimento ai costi d'impianto e di esercizio relativi al metro di condotta. Il diametro è tanto maggiore quanto più elevate sono le spese di esercizio (rappresentate dal termine 403) rispetto a quelle di impianto (rappresentate invece dal termine rco); merita però osservare che anche grandi variazioni dei fattori 4,, r, ca, che definiscono le caratteristiche economiche dell'impianto, non determinano rilevanti modifiche nel valore del diametro, dato che l'esponente 1/(n + E) è di norma compreso fra 1/6 e 1/7. Particolare interesse presenta la dipendenza di D, dal termine 0 -3 che, ricordiamo, rappresenta la media dei cubi delle portate sollevate nel corso dell'anno dall'impianto. Consideriamo ad esempio due impianti ai quali competono identici valori delle grandezze n, 4,, r, (o, E, e la cui portata costante Q* è pure uguale; l'uno però funziona con continuità per tutto l'anno (impianto tipico di un acquedotto), mentre il secondo funziona soltanto per un periodo inferiore pari a al' (essendo T le ore in un anno ed un coefficiente inferiore all'unità), rimanendo fermo per la restante parte dell'anno (caso tipico degli impianti irrigui in esercizio per periodi variabili fra 4 e 6 mesi all'anno). Per il primo impianto risulta 03 =Q*3, mentre per il secondo si ha: (23 = aQ*3, e perciò dalla (8.21) si ricava: De2
Del
= al!(n÷s) •3
all'impianto con minore periodo di funzionamento conviene assegnare cioè un diametro più piccolo, pur essendo identica la portata sollevata; ciò del resto viene a confermare la considerazione generale fatta più sopra circa l'influenza delle spese di esercizio rispetto a quelle di impianto: alle minori spese di esercizio corrisponde un diametro più piccolo. Sempre per questi due impianti funzionanti a portata costante risulta anche interessante individuare i valori della velocità V e della corrente corrispondente al diametro di massimo tornaconto; con semplici passaggi si trova:
ve = 4 7r
J1 2/(n,E)
ntS
Q*(1 — 61(n + e)) ,x 2Rn +
essendo come già detto, n + e compreso fra 6 e 7, l'esponente della portata è prossimo allo zero e quindi la velocità di massimo tornaconto può ritenersi praticamente indipendente dalla portata dell'impianto; pur in condizioni economiche molto diverse si riscontra inoltre che il rapporto tra i costi dei materiali e quello dell'energia, si mantiene pressoché costante, cosicché per ogni tipo di tubazioni si può ammettere che anche il rapporto rcoE/n4) sia costante nel tempo. Tutto ciò porta alla conclusione che, fissato che sia il periodo di funzionamento, la velocità di massimo tornaconto è praticamente una invariante, alla quale risulta comodo riferirsi per un dimensionamento di massima delle condotte di pompatura. Per impianti funzio-
POSSIBILI TRACCIATI ALTIMETRICI
li
283
nanti con continuità tutto l'anno la velocità di massimo tornaconto è dell'ordine del metro al secondo, mentre si hanno ovviamente valori superiori per impianti con funzionamento ridotto. 8.4.5
Condotte forzate degli impianti idroelettrici.
Le grandi variazioni della pressione interna che di norma si verificano lungo il percorso di una condotta forzata richiedono l'impiego di tubazioni con spessore variabile, calcolato in base agli effettivi valori delle massime altezze piezometriche relative a ciascuna sezione della condotta. Consideriamo un tronco generico di lunghezza unitaria al quale compete la massima altezza piezometrica h; il costo di esso è dato dalla (8.12) . mentre la corrispondente passività di esercizio è ancora fornita dalla (8.13). Il diametro economico di tale tratto risulta dalla solita condizione:
Pa = rei + re = dalla quale, fatte le debiti sostituzioni, si ricava: 11/(24.-n)
[ n t.pQ3 De =
(8.22) 2ro.)1
h
Per un impianto di prefissate caratteristiche, questa relazione fornisce la legge di variazione del diametro in funzione del carico piezometrico; all'aumentare di questo, dall'estremità di monte a quella di valle, il diametro della condotta deve continuamente diminuire, ma con variazioni modeste anche in corrispondenza a grandi differenze del carico h, atteso il piccolo valore dell'esponente 1/(2 + n) che è dell'ordine di 1/7. In pratica, per evidenti ragioni costruttive, le condotte forzate vengono realizzate con una successione di tronchi con diametri costanti, decrescenti da monte verso valle; il cambiamento di diametro viene effettuato ad intervalli regolari del carico piezometrico dell'ordine di 150 +.200 m. 8.5 Possibili tracciati altimetrici Specialmente nelle lunghe condotte, che di norma sono posate nel terreno, è buona pratica fare in modo che ovunque il profilo della tubazione si mantenga al disotto non solo della piezometrica assoluta, ma anche di quella relativa. L'esistenza di tratti in depressione determina infatti la separazione dei gas disciolti nel liquido e può provocare l'entrata di materie fluide dall'esterno se i giunti non sono a perfetta tenuta; i gas liberati dal liquido danno luogo a irregolarità di funzionamento, mentre le materie estranee possono condurre a pericolosi inquinamenti del liquido trasportato, particolarmente temibili se si tratta di condotte per acqua potabile. L'eventualità della formazione di tronchi in depressione deve essere particolarmente tenuta presente nello studio delle lunghe condotte, con forti dislivelli e con possibilità di variazioni, anche importànti, nel tem-
284
PROBLEMI PRATICI RELATIVI ALLE LUNGHE CONDOTTE
po, dei coefficienti di scabrezza. La verifica del funzionamento a tubi nuovi va perciò sempre effettuata con grande cura, poiché proprio per esso possono verificarsi le condizioni più pericolose, come del resto si è già visto trattando in generale dello studio delle lunghe condotte. Sembra invece ora utile considerare le diverse condizioni di funzionamento di una lunga condotta in relazione ai possibili andamenti altimetrici del suo profilo. Prendiamo perciò in esame lo schema assai semplice della fig. 8.13, nel quale i due serbatoi C1 e G2 a livello costante sono collegati da una lunga condotta.
ESERCIZI
285
E'F' le pressioni assolute sono ovunque positive e le condizioni di moto permanente sono ancora identiche a quelle del profilo II, mentre risultano differenti quelle di avviamento, perché, ovviamente, in questo caso è necessario l'adescamento della condotta. IV) La porzione RS della condotta è più elevata della piezometrica assoluta BB' che perciò non è più corrispondente al funzionamento effettivo, al quale invece corrisponde la piezometrica assoluta BM ottenuta tracciando la retta per B tangente in M alla condotta. A questa piezometrica compete una nuova cadente J' inferiore a J: a parità di diametro e di scabrezza, ciò significa una minore portata convogliata dalla condotta. Nei due tronchi OM e 01T la corrente occupa l'intera sezione della tubazione, mentre lungo il tratto MT si verifica il moto a canaletta. Poiché tutta la condotta si trova al disotto dell'orizzontale AD, l'avviamento del moto è automatico. V) Questa situazione differisce dalla precedente soltanto per quanto riguarda l'avviamento che ora necessita di un adescamento. VI) Essendo una parte della condotta superiore all'orizzontale per B, nessuna condizione di moto è possibile, data l'impossibilità di ottenere l'adescamento del movimento.
ESERCIZI
•
Fio. 8.13
01
Le piezometriche di normale funzionamento relativa e assoluta sono rappresentate rispettivamente dalle rette AA' e BB' alle quali corrisponde la cadente J = Y IL essendo Y il dislivello fra i due serbatoi e L la loro distanza. Possono verificarsi i seguenti possibili profili altimetrici della condotta. I) La condotta è interamente al disotto della piezometrica relativa AA'; la pressione relativa è ovunque positiva e il funzionamento è del tutto regolare. L'avviamento del moto avviene automaticamente all'apertura di una saracinesca ovunque disposta, anche se inizialmente la condotta non è piena di liquido. Questo profilo è quello preferibile sotto tutti gli aspetti. II) La condotta presenta il tronco EF superiore alla piezometrica relativa AA' ma sottostante alla spezzata ANB'. In questo tronco la pressione relativa è negativa ma quella assoluta ovunque positiva, cosicché il funzionamento è ancora regolare con portata corrispondente ancora alla cadente J, purché i giunti siano a tenuta; il suo avviamento è automatico. III) La condotta è tutta inferiore alla piezometrica assoluta, ma sovrasta, per un tratto, il piano dei carichi idrostatici in C 1 ; nel tronco
8.1 Il sistema di lunghe condotte di fig. 8.14 è costituito da condotte in acciaio (.1 = = 0,0012 Q 2D -5-26 per tubi nuovi; .1. = 0,0020 Q2D-5 .44 per tubi usati). Determinare: a) a tubi nuovi e usati la quota z2 del livello nel serbatoio B, quando è nulla la portata nel tronco NB; b) se la quota nel serbatoio B è uguale a quella nel serbatoio A, le portate dei singoli tronchi, sia nella condizione di tubi nuovi che usati (z2' = 141,32 m; zz" = 141,48; = 99,0 l/s; Q2' = 75,1 Ils; (23' = 174,1 lis; Q2' = 68,3 lfs; Q2' = 51,0 lfs; Q3" = 119,3 1/s.
FIG. 8.14
286
PROBLEMI PRATICI RELATIVI ALLE LUNGHE CONDOTTE
ESERCIZI
8.2 Il sistema di lunghe condotte rappresentato in fig. 8.15 è tutto formato con tubi in acciaio nuovi (J = 0,0012 Q2D-5,28); determinare:
8.3 Determinare le portate dei singoli rami della maglia di fig. 8.16, costituita da condotte tutte di ugual diametro e scabrezza; il lato AB è ad erogazione uniforme lungo il percorso (Qi = 39,0 1/s; Q2 = 61,0 ljs; (23 = 11,0 11s).
a) con una portata Q = 350 ljs, la perdita di carico complessiva Y fra i punti A e D;
h)
287
8.4 La rete di condotte di fig. 8.17 è tutta formata con tubazioni dello stesso diametro e della stessa scabrezza. Determinare le portate dei diversi lati (Q AB = 47,14 1/s; QBC = 57,2 ljs; Qcz = 7,2 1/S; OFE = 42,78 lIS; QAP = 52,86 11S; QPB = = 10,08 1/s).
con la stessa perdita di carico sopra calcolata, il diametro D dell'unica tubazione lunga L3 che sostituisca le tre condotte fra i punti B e C, senza modificare la portata;
c) con la stessa perdita di carico sopra calcolata, la nuova portata del sistema, quando fra i punti B e C si aggiunge una quarta tubazione del diametro D6 = --- 0,30 m e lunga L6 = 900 m (Y = 14,20 m: D = 0,52 m; Qi' = 362,9 11s).
200 m
›.;
12=800 m D2=0,35 m
O
1.1=1200 m Dì=0.6 m
C)
L3=700 m
(D
15 =1500 m 05 = 0,50 m
03=0.30 m
300 m
L4 =900 r D4 = Q40 m FIG. 8.15 O :—
200 m
100 m
150 m i
i i I i , 100m ,
I i ,
300 m
Fio. 8.17
's --i-
i i
8.5 La portata d'acqua della pompa della rete di lunghe condotte di fig. 8.18, è Q = 90 1/s; le condotte sono in acciaio (y = 0,23). Determinare: f Y2= 10 m
I 80 m
Y,=150 m
i A
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(3•3o
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O
n, ' Q 3 o n,
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FIG. 8.18
a
m u"-'• 92 .A:29
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A-1=7-•
i c
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., 1
H PROBLEMI PRATICI RELATIVI ALLE L1TNGHE CONDOTTE
288
— le portate che giungono ai serbatoi B e C; — la potenza della pompa (n ---- 0.7 ) (Q3 = 43,05 lfs; Q. = 46,95 lis; kW).
P = 213,3
8.6 II sistema di lunghe condotte di fig. 8.19 è costituito da tubazioni in acciaio Qg = usate (J = 0,002 Q 2D -5 •44 ). Volendo convogliare una portata d'acqua, = 30 lfs nel serbatoio B, determinare: — la portata che arriva nel serbatoio C; — la potenza della pompa (n = 0,67) (Qc = 95,0 lls; P = 4,6 kW).
9. Moto vario delle correnti in pressione
- Y -15 m
I ì I
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9.1
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FIG. 8.19
Generalità
Vogliamo qui esaminare nelle loro linee fondamentali alcuni fra i più importanti processi di moto vario delle correnti in pressione; questi sono originati, di norma, da una variazione della portata provocata dalla entrata in funzione di un organo di regolazione posto in una generica sezione della corrente stessa. Aspetto essenziale di questi movimenti è la continua variazione da istante a istante e da sezione a sezione degli elementi che caratterizzano la corrente e cioè fondamentalmente pressioni, velocità e portata. L'intera trattazione verrà condotta seguendo i criteri che ispirano tutta l'idraulica pratica e che sono già stati largamente adottati nello studio dei problemi di moto permanente: la corrente viene considerata nel suo complesso, facendo riferimento soltanto alle sue caratteristiche globali Q1A), senza entrare (portata Q, sezione trasversale A, velocità media V nel dettaglio di quanto si verifica nei singoli punti di ogni sezione trasversale; si ritiene inoltre che la corrente possa ovunque e in ogni istante trattarsi come lineare, con la ben nota conseguenza che a tutti i punti di ogni sezione trasversale compete un unico valore della quota piezometrica. In ogni istante risulta quindi possibile associare ad ogni sezione trasversale della corrente il valore del carico totale: 172 , H = z -r — + a— , 2g
essendo al solito z e p riferiti al baricentro della sezione ed a il coefficiente di Coriolis per il ragguaglio delle potenze cinetiche; anche in condizioni di moto vario il carico totale della corrente ha il ben preciso significato già messo in evidenza in moto permanente e cioè esso rappresenta quel particolare valore medio dell'energia specifica che, moltiplicato per yQ, fornisce la potenza della corrente, nella sezione e nell'istante considerato. Per l'intera corrente in moto vario risulta quindi possibile tracciare per ogni determinato istante una linea piezometrica e una linea dei carichi totali, le quali permettono di individuare lo stato delle pressioni e il con[289]
290
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
tenuto energetico della corrente nell'istante considerato. Naturalmente, al contrario di quanto accade per le correnti permanenti, tali linee mutano il loro andamento da istante a istante. In condizioni di moto permanente non sussistono in media, cioè prescindendo dalla turbolenza, scambi di energia meccanica fra una sezione e l'altra della corrente; la progressiva diminuzione di energia specifica e quindi di potenza meccanica da monte verso valle, corrisponde esclusivamente alla trasformazione di energia meccanica in termica per effetto delle resistenze. Quando invece il moto è vario si verificano scambi di energia meccanica fra le diverse parti del liquido in movimento, con cessione (o assorbimento) di energia da parte di una zona di liquido a quelle circostanti; a sezioni successive possono competere, in uno stesso istante, valori anche assai differenti del carico totale e può darsi che il carico totale di una sezione a valle sia maggiore di quello di una sezione a monte; può succedere anche che l'energia meccanica di una particella di fluido aumenti mentre essa procede lungo la sua traiettoria. Dato questo comportamento, la linea dei carichi totali istantanea può presentare un andamento ascendente da monte verso valle, come del resto abbiamo già visto (par. 5.6). I fatti ora descritti sembrano non soddisfare il principio di conservazione dell'energia, almeno nella forma valida per le situazioni di moto permanente finora studiate, per le quali viene sempre fatto riferimento alle singole particelle come se fossero isolate dalle circostanti. In realtà nei processi di moto vario la conservazione dell'energia risulta completamente soddisfatta quando si consideri globalmente tutta la massa liquida interessata dal movimento e si tenga inoltre conto, oltrecché delle dissipazioni, delle eventuali trasformazioni di energia meccanica in energia elastica del liquido e dell'involucro e viceversa. Tutto ciò fa sì che si possano verificare concentrazioni di quantità rilevanti di energia anche in ristrette zone della corrente, le quali conducono a manifestazioni di particolare rilevanza (importanti aumenti o diminuzioni della pressione, rapide variazioni della velocità o della portata). La variazione della portata in una generica sezione della corrente, che dà origine al processo di moto vario, si propaga lungo la corrente sotto forma di un'onda, con fenomeno del tutto simile a quello della propagazione di un'onda elastica sonora; al passaggio dell'onda intervengono brusche variazioni degli elementi caratteristici del moto: in particolare si verifica un cambiamento della pressione, a cui consegue, data la effettiva natura elastica del liquido, una compressione oppure una dilatazione locale della massa liquida. Tale perturbazione si sposta da una sezione all'altra della corrente con una velocità che, nell'uso tradizionale, viene designata con il nome di celerità per distinguerla chiaramente dalla normale velocità di trasporto della massa fluida, dalla quale differisce sostanzialmente, essendo la celerità una velocità di spostamento di un particolare valore di una qualsiasi grandezza fisica (ad es. un determinato valore di velocità, di portata o
ESEMPI PRATICI DI MOTO VARIO
291
di pressione). Come verrà dedotto più precisamente in un successivo paragrafo, la celerità delle perturbazioni in una corrente in pressione è pari alla velocità del suono nel mezzo liquido delimitato dall'involucro che lo contiene e quindi risulta funzione delle caratteristiche elastiche del mezzo stesso e dell'involucro; in. particolare se il liquido fosse incomprimibile e la condotta indeformabile la celerità risulterebbe infinita e perciò qualsiasi perturbazione prodotta in un generico punto della corrente sarebbe risentita istantaneamente in tutti gli altri punti della corrente stessa. La perturbazione che si propaga lungo la corrente viene alterata e subisce delle riflessioni in corrispondenza ad ogni variazione delle condizioni al contorno. Per ora interessa indicare due particolari alterazioni della perturbazione che si verificano quando la corrente è intercettata da una superficie solida, sulla quale la velocità è evidentemente nulla ma la pressione è libera di variare, oppure quando la corrente è collegata con una capacità a pelo libero anche di modeste dimensioni, ma comunque tali da mantenere costante il valore della pressione nella sezione di collegamento, nella quale invece la velocità può subire qualsiasi variazione. Nel primo caso, come vedremo, si verifica una riflessione positiva dell'onda incidente, alla quale succede perciò un'onda riflessa avente lo stesso segno ma direzione contraria; nel secondo invece l'onda incidente si riflette negativamente dando luogo ad un'onda di segno e direzione contraria.
9.2 Esempi pratici di moto vario Tenendo presenti le considerazioni finora svolte, di validità generale per i processi di moto vario di una corrente in pressione, fissiamo l'attenzione sui tipi di moto vario che possono intervenire durante il funzionamento di due particolari impianti idraulici, l'uno per la produzione di forza motrice, l'altro per il sollevamento di una portata liquida. Da questo esame risulteranno evidenti le caratteristiche fondamentali dei più importanti problemi di moto vario che interessano le pratiche applicazioni e soprattutto le modalità con le quali affrontarne lo studio dettagliato. L'utilizzazione della potenza idraulica dei corsi d'acqua viene sovente condotta a mezzo di un impianto, che viene detto con derivazione in pressione, avente la disposizione schematicamente indicata nella fig. 9.1. Da un serbatoio di rilevante capacità parte una galleria in pressione con modesta pendenza, alla quale segue una condotta forzata (di norma realizzata, con tubazioni metalliche) che, con tracciato il più breve possibile, alimenta le turbine. L'andamento altimetrico proprio della galleria in pressione fa sì che essa risulti sottoposta a pressioni relativamente modeste che permettono di realizzare una struttura di costo non eccessivo, cosicché si cerca di superare con questa opera la maggior parte della distanza fra serbatoio e macchine; la galleria in pressione può così raggiungere uno sviluppo di diversi chilometri. Per contro la condotta forzata, a cui è assegnato il compito di superare
292
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
SERBATOIO
POZZO
H.
PIEZOMETRICO
GALLERIA
l4" (
IN
PRESSIONE
v CONDOTTA FORZATA
..
FIG. 9.1
la maggior parte del salto con la più breve lunghezza compatibile con la situazione topografica, deve sopportare pressioni anche rilevanti. Il raccordo fra le due opere di convogliamento in pressione è in libera comunicazione con l'atmosfera attraverso un pozzo di conveniente altezza denominato pozzo piezometrico o vasca di oscillazione; esso, per quanto arrivi in qualche caso a parecchie decine di metri di lunghezza, ha sempre uno sviluppo limitato rispetto a quello sia della galleria in pressione sia della condotta forzata, mentre ha di norma una sezione orizzontale sempre maggiore (o al minimo uguale) a quella della galleria; in condizioni di regime dell'impianto il pozzo piezometrico assume la funzione di semplice piezometro e perciò il livello liquido in esso segna la quota piezometrica della corrente defluente nella galleria. La regolazione della portata assorbita dalle macchine, necessaria per adattare la potenza da queste prodotta alle esigenze del servizio svolto dall'impianto, è ottenuta a mezzo di adatti apparecchi posti immediatamente a monte delle macchine e in grado di intercettare l'intera portata nello spazio di pochi secondi. La perturbazione che nasce a seguito della manovra di questi organi otturatori determina più o meno intense variazioni della velocità e della pressione che rapidamente si propagano alle sezioni a monte, finché la perturbazione raggiunge il pozzo piezometrico; questo si comporta come un serbatoio di grande capacità mantenendo praticamente costante la pressione nella sezione iniziale della condotta forzata, cosicché la perturbazione in arrivo da valle subisce una riflessione negativa, con la formazione di una onda discendente verso l'otturatore, contro il quale si verifica una nuova riflessione, questa volta positiva. Il processo prosegue con la continua alterna propagazione delle onde di perturbazione e le loro riflessioni alle
E
ESEMPI PRATICI DI MOTO VARIO
293
estremità provocando in ogni sezione della condotta variazioni periodiche della pressione e della velocità. Dato l'elevato valore della celerità, l'intera lunghezza della condotta forzata viene percorsa dalle perturbazioni in qualche secondo o frazione di secondo, tempi che però risultano dello stesso ordine di grandezza della durata delle manovre che hanno provocato le condizioni di moto vario e quindi non possono ritenersi nulli; viene perciò a sussistere una stretta correlazione fra le durate dei due fenomeni, talché risulta indispensabile per il corretto studio del moto vario tener conto della reale celerità delle perturbazioni e quindi delle proprietà elastiche del sistema costituito dal liquido e dalla condotta. Il processo ora individuato è denominato tradizionalmente colpo d'ariete, per il fatto che esso si manifesta con una successione di brusche sovrapressioni che determinano una serie di violenti colpi contro la parete della condotta. I fenomeni di colpo d'ariete sono caratterizzati, come già detto, da una grande rapidità, e subiscono un veloce smorzamento in virtù soprattutto delle dissipazioni che accompagnano le trasformazioni di energia (di pressione e di deformazione dell'acqua e dell'involucro in cinetica e viceversa), trasformazioni che sono frequentissime atteso l'alto valore della celerità delle perturbazioni. Di conseguenza gli effetti più intensi e che evidentemente soprattutto interessano dal punto di vista delle applicazioni, si verificano ovunque a brevissima distanza di tempo dall'inizio delle manovre che li hanno determinati, almeno finché la condotta forzata è di limitata lunghezza (dell'ordine di qualche centinaio di metri); in queste condizioni si può ritenere che il processo di moto vario risulti praticamente indipendente dalle resistenze idrauliche le quali non hanno la possibilità di esercitare un'azione sensibile in tempi così brevi. Di esse invece dovrà tenersi conto quando la condotta abbia una rilevante lunghezza, cosicché i fenomeni si sviluppano in tempi più lunghi (anche se si tratta sempre di durate dell'ordine delle decine di secondi); simili situazioni possono verificarsi negli oleodotti muniti di impianti di sollevamento dove le condotte hanno lunghezze di qualche chilometro e le manovre delle pompe sono relativamente rapide specialmente in fase di arresto. I fenomeni di colpo d'ariete assumono importanza preponderante nella condotta forzata e si possono ritenere esauriti in un breve intervallo di tempo durante il quale, come già accennato, il pozzo piezometrico si comporta come un serbatoio di grande capacità con livello d'acqua pressoché invariato; viene con ciò impedita la propagazione del colpo d'ariete in galleria. Al termine di questo breve periodo, nella condotta forzata si può ritenere stabilita la nuova portata di regime dell'impianto, mentre nel sistema galleria in pressione-pozzo piezometrico sussistono ancora le condizioni di regime preesistenti alla manovra. evidente che il sistema stesso non è equilibrato e tende a portarsi anch'esso verso la nuova situazione di
ESEMPI PRATICI DI MOTO VARIO
294
295
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
regime; ciò avviene però attraverso un processo di moto vario ben differente da quello di colpo d'ariete; il pozzo piezometrico assume la funzione di un polmone in grado di accogliere oppure di cedere la differenza fra la portata della galleria e quella della condotta, variando contemporaneamente il suo livello d'acqua e quindi il dislivello disponibile per il movimento della corrente nella galleria. Le vicende nel sistema galleria-pozzo sono abbastanza lente, essendo connesse soprattutto agli spostameriti del livello liquido nel pozzo; ciò significa che le perturbazioni che traggono origine da questi spostamenti hanno un tempo di propagazione che è molto piccolo rispetto a quello delle variazioni di livello che le determinano e perciò si può ammettere con sufficiente attendibilità che la loro celerità sia infinita, e cioè ritenere che il liquido sia incomprimibile e la galleria indeformabile. La relativa lentezza del processo di moto vario nel sistema galleriapozzo rende però indispensabile tener esatto conto delle resistenze al moto, che qui hanno modo di esercitare una influenza assai importante sull'intero processo di ,movimento. Consideriamo ora l'impianto di sollevamento schematicamente indicato nella fig. 9.2, schema che trova larga applicazione negli acquedotti, in alcuni impianti irrigui e in generale ovunque si debba sollevare una portata non grande.
In normali condizioni di esercizio queste manovre vengono effettuate in tempi molto lunghi, in quanto esse avvengono con la pompa in moto, a mezzo della apertura o chiusura della saracinesca posta a valle della pompa e il cui azionamento è molto spesso manuale oppure a mezzo di un motore elettrico a bassa velocità. La lentezza delle manovre rende del tutto lecito considerare praticamente nulli i tempi di propagazione delle perturbazioni originate dalla saracinesca, e quindi nello studio di moto vario ammettere che il liquido sia incomprimibile e le condotte indeformabili, mentre occorre mettere in conto le resistenze al moto, in modo del tutto analogo a quanto si è già visto per il moto vario nel sistema galleria-pozzo piezometrico. In un impianto di sollevamento può però verificarsi la situazione, sia pure eccezionale, di un brusco arresto della pompa a seguito dell'interruzione estremamente rapida dell'alimentazione elettrica del motore che la aziona. In generale la modestissima inerzia delle masse rotanti conduce ad un rapido annullamento della velocità della macchina a cui corrisponde una pressoché istantanea interruzione della portata dell'impianto. Nella condotta di aspirazione si determinano fenomeni di colpo d'ariete con caratteri del tutto simili a, quelli posti in evidenza per la condotta forzata dell'impianto idroelettrico, e il cui studio, ripetiamo, richiede di considerare le proprietà elastiche del liquido e della condotta. Nella condotta di mandata invece, la presenza della cassa d'aria in grado di fornire almeno temporaneamente il volume d'acqua non più in arrivo dalla pompa, fa sì che il movimento continui senza brusche variazioni dalla pressione e della portata, con caratteristiche analoghe a quelle proprie del sistema galleria-pozzo piezometrico; lo studio del transitorio può quindi essere condotto con riferimento a liquido incomprimibile e tubazione indeformabile, ma tenendo conto delle resistenze al moto. Naturalmente sarà necessario tener presente la trasformazione termodinamica dell'aria contenuta nella cassa d'aria, aria che assume, come si vedrà meglio più avanti, una importante funzione di ammortizzatore delle variazioni di pressione e di portata della corrente. La sommaria analisi ora svolta dei possibili transitori caratteristici di un impianto idroelettrico con derivazione in pressione, oppure di un impianto di sollevamento, ha condotto all'individuazione di tre differenti tipi di processi di moto vario in una condotta, in pressione, ai quali possono ricondursi tutte le situazioni di moto vario che presentano interesse nelle
Da un serbatoio a livello costante si diparte una breve condotta di aspirazione che adduce alla pompa, a valle della quale la condotta di mandata, con uno sviluppo talvolta rilevante (anche dell'ordine delle migliaia di metri), convoglia la portata sollevata al serbatoio di valle, pure esso a livello costante ; immediatamente dopo la pompa, la condotta è collegata ad un recipiente chiuso, denominato cassa d'aria, il quale contiene nella sua parte superiore un volume di aria in pressione. Anche per questo impianto le condizioni di moto vario si verificano in conseguenza delle manovre di avviamento e di arresto della pompa.
pratiche applicazioni. Se la variazione di portata in una sezione di una condotta avviene in un tempo abbastanza lungo, oppure se la condotta ha una lunghezza limitata (dell'ordine massimo di qualche decina di metri), è del tutto lecito trascurare il tempo che le perturbazioni impiegano a percorrere l'intera condotta, di fronte agli altri tempi in gioco; la trattazione analitica di questi processi di moto vario, può essere condotta nell'ipotesi di valore liquido infinito della celerità delle perturbazioni e cioè ammettendo che il
296
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
sia incomp-rimibile e la condotta indeformabile. Nel par. 5.6 questa trattazione è già stata svolta per il caso di un fluido perfetto; il mettere in conto le resistenze, che può essere talvolta necessario, non presenta particolare difficoltà. Quando invece le manovre dell'otturatore che provocano la variazione di portata hanno durata limitata, non è più possibile prescindere dai tempi di propagazione delle perturbazioni; il problema di moto vario (colpo d'ariete) va perciò impostato introducendo le proprietà elastiche del liquido e quelle del condotto entro il quale avviene il movimento. L'azione esercitata dalle resistenze è assai limitata e presenta una influenza di pratico interesse soltanto quando la condotta ha lunghezza rilevante (dell'ordine di qualche chilometro); poiché nelle applicazioni di norma le condotte hanno lunghezze relativamente modeste, la trattazione dei fenomeni di colpo d'ariete a cui sarà dedicato il paragrafo 9.3, prescinderà dalle resistenze al moto. Infine nel paragrafo 9.4. verrà considerato il problema del moto vario che si stabilisce allorché la condotta è in comunicazione con una capacità a pelo libero (pozzo piezometrico oppure cassa d'aria) in grado, almeno momentaneamente, di assorbire o di cedere i volumi d'acqua corrispondenti alle variazioni della portata: le vicende di portata e di pressione del sistema sono abbastanza lente perché lo studio di questo moto vario possa essere affrontato con buona attendibilità prescindendo dalle proprietà elastiche del sistema liquido-condotta, ammettendo cioè il liquido incomprimibile e la condotta indeformabile. La relativa lentezza del movimento e, in genere, la lunghezza delle condotte, rende invece indispensabile tenere in debito conto l'influenza delle resistenze al moto, in assenza delle quali lo studio giungerebbe a risultati praticamente privi di significato.
9.3 Moto vario di un liquido elastico in un condotto deformabile (Colpo
d'ariete)
9.3.1
Equazioni differenziali del movimento
Si consideri una corrente lineare di un liquido comprimibile reale, definente in una condotta elastica, e per la quale si possano ritenere nulle tutte le perdite di carico localizzate; ammettiamo che in prima approssimazione si possano considerare praticamente uguali all'unità i coefficienti cc e p di ragguaglio delle potenze cinetiche e delle quantità di moto. In queste condizioni, l'equazione del moto, estesa all'intera corrente, si ottiene dalla (5.40), introducendovi le resistenze a mezzo della cadente J e tenendo presente che :
ap = a y08
P øs y
risulta:
p
O
-v2
P (
+ 2g
ay
aV
g
8
;
(9 . 1)
t
la J dipende dalla velocità della corrente e ha sempre il segno di questa. Una seconda relazione differenziale si ricava dalla equazione (3.5) di continuità per le correnti:
(eQ)
( PA) =0, ét
, -r
che, posto Q = VA, e tenendo presente che p e A dipendono dal tempo per il tramite della pressione, fornisce:
V
O(pA) Os
dp dA ap = av 0. pA — (P 713 4- A d p ) .9t Os
(9.2)
L'insieme delle due equazioni differenziali (9.1) e (9.2), associato alle leggi A --- A(p) e p = p(p) che individuano il comportamento elastico della condotta e del liquido, alle condizioni al contorno e alle condizioni iniziali, definisce completamente il processo di moto vario. Il problema così impostato nella sua generalità non trova soluzione diretta, mentre è sempre necessario, se si vogliono ottenere risultati numerici, ricorrere, caso per caso, alla risoluzione con procedimenti di integrazione alle differenze finite, che però si presentano così complessi e laboriosi da richiedere inevitabilmente l'impiego di elaboratori elettronici; comunque questo metodo di procedere non permette di individuare facilmente gli aspetti qualitativi fondamentali del fenomeno, che possono servire di guida per la trattazione dei singoli casi particolari. Nel precedente paragrafo si è però visto che le situazioni che principalmente interessano ai fini pratici sono quelle relative agli impianti idroelettrici e a quelli di sollevamento, le cui caratteristiche permettono una notevole semplificazione delle due equazioni generali, cosicché risulta poi abbastanza facile la loro integrazione. Più precisamente per questi impianti si verifica che: a) i liquidi convogliati sono dotati di comprimibilità assai limitate e quindi ad essi compete un elevato valore del modulo s di elasticità di volume
dp 5
P aT y2 Os
297
MOTO VARIO DI UN LIQUIDO ELASTICO IN UN CONDOTTO
=
;
inoltre esso può ritenersi praticamente costante al variare della pressione,
MOTO VARIO DI UN LIQUIDO ELASTICO IN UN CONDOTTO 298
299
MOTO VARIO DELLE CORRENTI LN PRESSIONE
in relazione ai relativamente piccoli cambiamenti che questa subisce durante il processo di moto vario;
positivo delle ascisse s quello contrario alla direzione del moto permanente, la (9.1) e la (9.2) diventano (*): 1 CV g [1 dA _ L 1 CV 21 dp i s es == eh
sen so oni ocl ot rne sezione e b) le condotte possono essere assiinl costituite spessore costanti per tutta la loro lunghezzaat(e*);a esse con materiali (acciaio, ghisa, cemento amianto) di limitata deformabilità, e quindi dotati di valori molto elevati del modulo di elasticità E; c) la velocità media della corrente è al massimo dell'ordine di qualche metro al secondo, cosicché l'altezza cinetica corrispondente assume valori limitati (al massimo dell'ordine del metro) e di norma trascurabili rispetto alle altezze piezometriche, che invece possono avere valori dell'ordine delle decine e centinaia di metri; d) salvo il caso di condotte molto lunghe, che può verificarsi soltanto in qualche impianto di sollevamento degli oleodotti, i processi di colpo d'ariete si esplicano in tempi molto brevi cosicché le resistenze non hanno modo di influenzare sensibilmente il processo di movimento e perciò possono essere trascurate. Per effetto delle caratteristiche elastiche del liquido e della condotta (cui ai punti a e b), aumenti o diminuzioni anche rilevanti della pressione all'interno del tubo determinano modeste variazioni, da sezione a sezione della condotta, sia della densità p del liquido, sia dell'area 'bagnata A della corrente; risultano di conseguenza limitati i valori delle derivate: ap
ØA
Cs'
Cs
(9.4)
eh, et
(9.5)
In ciò che segue verrà fatto riferimento esclusivamente al sistema di queste due equazioni differenziali, opportunamente completate con la legge A = A(p) che definisce la deformabilità della condotta, con le condizioni al contorno e con quelle iniziali relative ai singoli casi considerati; facciamo presente però che, qualora si voglia tener conto delle perdite di carico, la (9.4) si trasforma ovviamente nell'equazione:
ah
=
i
eV øt
(9.6)
J.
Alla discussione e, ove possibile, all'integrazione del sistema di equazioni ora individuato, è però opportuno premettere la trattazione della situazione particolarmente semplice che si determina a seguito della manovra istantanea di un otturatore inserito all'estremità di una condotta indeformabile; i risultati di questo esame, ricavabili con semplici considerazioni, individuano già gli aspetti qualitativi essenziali del fenomeno, agevolando così l'interpretazione della successiva trattazione analitica. 9.3.2
Manovre istantanee dell'otturatore
'
che perciò possono essere trascurati nelle equazioni che reggono il processo di movimento. Ammesso quanto ora specificato, indicata con
Si consideri la situazione schematicamente rappresentata nella fig. 9.3; il serbatoio A, che alimenta la condotta, ha grandi dimensioni cosicché si può ritenere che la quota zA del suo specchio liquido rimanga inalterata qualunque siano le condizioni di moto nella condotta. La condotta, di lunghezza L, di sezione costante, è costituita con materiale rigido; questa ipotesi, che rende più semplice ed espressivo lo svolgimento, non è in effetti particolarmente restrittiva, poiché, come vedremo, anche il caso della condotta elastica può essere ricondotto a quello della condotta rigida con una modifica del modulo di elasticità del liquido.
la quota piezometrica (ovviamente funzione di s e di t) e assunto quale verso (*) Per la deduzione della (9.5) dalla (9.2), si noti che (*) In realtà negli impianti idroelettrici le condotte forzate risultano spesso formate da tronchi con diametri decrescenti da monte verso valle, e spessori variabili lungo il percorso; tuttavia, ai fini pratici e come verrà mostrato più avanti, risulta facile individuare una condotta a diametro e spessore costanti il cui comportamento, agli effetti del colpo d'ariete, sia praticamente equivalente a quello della condotta reale. Concettualmente si può del resto rilevare che; dal punto di vista analitico, una brusca variazione di caratteristiche della condotta può essere messa in conto spezzando l'integrazione in tratti separati.
ah, at
(, y k-
19P P P dY y dp I at =
p \ ap E i Ot ; — y kl 1
(
dato l'elevato valore di E, il rapporto pie può essere trascurato rispetto all'unità e perciò risulta semplicemente:
ap at
Ch at •
MOTO VARIO DI UN LIQUIDO ELASTICO IN UN CONDOTTO
300 W ---
301
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
-— T———— ---— — — — -7—=—= — — ——
i
! ,
I
I i,
,
m
ormai in quiete; essa, risulta possibile una diminuzione del volume A.ds della pressione agente sul solamente perché interviene un aumento àp volume stesso (fig. 9.4) il cui calcolo può condursi assai semplicemente con l'applicazione del teorema degli impulsi.
,m
1° t
FIG.
,
J
■
9.3
All'estremità di valle della condotta è posto un organo otturatore il quale consente di regolare a piacere il deflusso in condotta. Quando l'otturatore è completamente aperto e il moto è permanente, sia Vo la velocità media della corrente in condotta; ammessi, come già detto, trascurabili l'altezza cinetica corrispondente e le perdite di carico, la piezometrica e la linea dei carichi totali coincidono fra loro e con l'orizzontale alla quota del pelo libero nel serbatoio. • Partendo da queste condizioni di moto permanente, si esegua una manovra istantanea dell'otturatore che porti alla sua completa chiusura, interrompendo bruscamente il deflusso nella sezione terminale O; questa viene assunta quale origine delle ascisse s, le quali, secondo la convenzione già stabilita, hanno verso positivo in direzione del serbatoio. • All'arresto istantaneo del deflusso nella sezione dell'otturatore non può corrispondere un immediato arresto di tutta la colonna liquida, poiché ciò comporterebbe l'annullamento istantaneo della quantità di moto di tutta la massa liquida nella condotta e quindi, per il teorema delle quantità di moto, un incremento infinito di pressione all'interno della tubazione, ciò che è del tutto contrario a quanto si constata nella realtà: si ha bensì un aumento della pressione, ma di valore finito. In effetti nell'intervallo di tempo infinitesimo dt immediatamente seguente alla chiusura dell'otturatore, subito a monte di questo si arresta soltanto un volume infinitesimo di lunghezza ds, mentre la restante parte della colonna liquida continua a muoversi con la velocità V0. Ciò comporta x„he la sezione di monte del volume che si arresta debba in definitiva trovarsi spostata verso valle della quantità V odt, avendosi conseguentemente
che si è La variazione della quantità di moto subita dalla massa pAds e deve uguagliare il corrispondente arrestata nell'intervallo dt vale pAVods da questa impulso delle forze agenti sulla massa stessa, pari a A Apdt; eguaglianza si ottiene: 3'13
=
da cui, posto: C
si ha in definitiva
Ap
ds vo, dt
—
ds dt (9.7)
Negli istanti successivi si verifica l'arresto degli strati di liquido immediatamente contigui, per i quali interviene, come può facilmente dimostrarsi con la ripetuta applicazione del teorema degli impulsi, un aumento della pressione il cui valore è sempre fornito dalla (9.7). Dopo un certo intervallo la colonna liquida si troverà allora divisa in due parti; di tempo finito t posta a valle, nella quale la velocità è nulla e la presl'una di lunghezza s, posta a sione è ovunque aumentata di pcVo ; l'altra di lunghezza L — s, monte, nella quale invece vigono ancora le condizioni di moto permanente (fig. 9.6a). La perturbazione nata all'otturatore a seguito della sua chiusura interessa dunque progressivamente strati successivi di liquido, comportando con il suo passaggio l'annullamento della velocità della corrente e la contemporanea formazione della sovrapressione Ap. La velocità con cui si
302
303
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
MOTO VARIO DI UN LIQUIDO ELASTICO IN UN CONDOTTO
sposta questa perturbazione lungo la condotta è quella che più sopra è stata indicata con il simbolo c e che d'ora innanzi verrà denominata celerità: infatti essa rappresenta proprio la velocità di spostamento della sezione BB (fig. 9.4) che separa la zona perturbata da quella ancora in condizioni di moto permanente. Il valore di c, come vedremo più avanti, dipende esclusivamente dalle caratteristiche elastiche del liquido e della condotta, e perciò, con le ipotesi fatte, è da ritenere costante per tutta la condotta; ne consegue che anche la sovrapressione Ap è costante per tutte le sezioni interessate dalla perturbazione, e, fatto questo assai interessante, è assolutamente indipendente dal valore della pressione esistente nella sezione in condizioni di moto permanente. Con queste precisazioni è chiaro che, al generico istante t, il tratto di colonna liquida interessato dalla perturbazione ha lunghezza:
mentre la pressione ritorna ad assumere il valore corrispondente alle primitive condizioni di moto permanente. Negli istanti successivi questo processo si estende agli strati vicini propagandosi ancora con celerità c. Nella sezione d'imbocco la perturbazione di sovrapressione proveniente dall'otturatore si riflette dunque negativamente, dando luogo alla formazione di una nuova perturbazione negativa discendente (*), che sovrapponendosi a quella precedente positiva ascendente riconduce la pressione ai valori di moto permanente, e determina uno stato di moto diretto verso il serbatoio con velocità — Vo ; a seguito della propagazione di questa perturbazione, al generico istante t > t1= Lie, la condotta risulta divisa in due tronchi (fig. 9.6b); l'uno compreso fra l'otturatore e la sezione di ascissa:
8 := Ct
s = 2L — ct , nel quale il liquido è fermo e con sovrapressione Ap e cioè ancora nelle condizioni determinate dal passaggio della prima onda positiva ascen-
Continuando il suo movimento verso monte la perturbazione, all'istante ti
L =—,
a)
b)
t
o< t <
<<
21.
raggiunge la sezione d'imbocco MM; in questo istante l'intera colonna liquida è ferma e assoggettata alla sovrapressione Ap. Ma questa non è una situazione di equilibrio perché, come è stato specificato all'inizio, il livello nel serbatoio è costante; tale è quindi anche la pressione pL nella sezione d'imbocco MM, mentre su quella infinitamente vicina EE sussiste la pressione p L + p (fig. 9.5).
V --- —I
SEF
s' I,o'NE-........
O
NL IIIIII■a-
BM o
t
'%Ierli
,t,, c)
■
,c•
--2- < t < ICL
d)
------"' FIG.
1,--.0 --- 4,
' ....Cf
21
ICL
< t
< 41'
9.6
dente; l'altro compreso fra la sezione di ascissa s ora definita e l'imbocco nel quale la colonna liquida si muove con velocità — Vo verso il serbatoio, mentre la pressione è pari a quella di moto permanente.
L'applicazione del teorema degli impulsi alla massa contenuta nel volume compreso fra le sezioni MI e EE mostra facilmente che all'istante t1 dt, tale volume assume una velocità — Vo volta verso il serbatoio,
(*) D'ora innanzi denomineremo le perturbazioni positive o negative a seconda che il loro passaggio determini un aumento o una diminuzione della pressione; ascendenti o discendenti a seconda che esse si muovano dall'otturatore verso il serbatoio o viceversa.
MOTO VARIO DI UN LIQUIDO ELASTICO IN UN CONDOTTO
304
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
Quando, all'istante : 2L
I t
Ap=pcVc,
,
(2 =
I
305
la perturbazione negativa discendente raggiunge l'otturatore, si verifica una nuova riflessione conseguente all'inevitabile annullamento della velocità all'otturatore. Con ragionamento analogo a quello già svolto per l'istante iniziale, ma tenendo conto che ora la velocità della corrente è — V o , si deduce che detta riflessione comporta un abbassamento della pressione di valore pari a — pc V 0 ; la pressione all'otturatore che, per effetto dell'onda negativa discendente, aveva assunto il valore p o di moto permanente, acquista il nuovo valore po — pc Vo ; nasce così una perturbazione negativa ascendente, sempre con celerità e, che al suo passaggio annulla la velocità e determina una sottopressione pari a Ap = — pc Vo (fig. 9.6c). Circa questa sottopressione e l'eventualità che essa possa dar luogo a fenomeni di cavitazione ritorneremo fra breve. La perturbazione negativa ascendente nata all'otturatore, proseguendo nel suo moto verso l'imbocco lo raggiunge all'istante: 31: (3 = — ,
e ivi si riflette dando luogo alla formazione di una perturbazione positiva discendente sempre con celerità e, il cui passaggio riconduce la pressione ai valori di moto permanente e determina il movimento della colonna liquida con velocità Vo diretta verso l'otturatore (fig. 9.6d). All'istante : 41: = , la perturbazione positiva discendente raggiunge l'otturatore, cosicché la colonna liquida viene a trovarsi esattamente nelle condizioni di moto permanente dell'istante iniziale. Il processo di moto vario da questo istante si riproduce identicamente con le diverse fasi ora esposte, assumendo l'aspetto di un fenomeno periodico di periodo T* = 41:/c, nel corso del quale la pressione assume ad intervalli regolari alternativamente i valori p, ± p0V0 e p, peVo , avendo indicato con p, la pressione nella generica sezione di ascissa s nelle condizioni di moto permanente preesistenti alla manovra. Nel grafico di fig. 9.6 sono schematicamente riassunte le situazioni che caratterizzano il processo di colpo d'ariete conseguente ad una manovra istantanea di chiusura dell'otturatore. Sono di immediata deduzione gli andamenti nel tempo della pressione e della velocità nella generica sezione della condotta; essi sono riportati nei grafici di fig. 9.7.
411,
3p= —pcV,
I 31/c
I
2( t
2s
2L+ s — c
4L—s
i
Pie. 9.7
Le oscillazioni di pressione e di velocità ora descritte subiscono un graduale smorzamento nel tempo per effetto delle perdite di energia che si verificano nelle continue trasformazioni di energia da cinetica in elastica ( e viceversa. Tuttavia numerose determinazioni sperimentali, condotte in situazioni differenti, hanno ormai dimostrato che, almeno durante le prime oscillazioni dopo la manovra, i risultati delle prove sono praticamente coincidenti con quelli teorici. Riprendiamo ora in esame la situazione che si presenta durante la terza fase del processo considerato e illustrata in fig. 9.6c. Come risulta dalla fig. 9.8, che riproduce la 9.6c per un caso particolare, può avvenire che la
Ip=—pcM,
—
FIG. 9.8
sottopressione — t5p, propagandosi verso monte, arrivi a determinare in una sezione AA la pressione relativa — p a * e quindi la, pressione assoluta
306
MOTO VARIO DI UN LIQUIDO ELASTICO IN UN CONDOTTO
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
nulla; è evidente che la perturbazione non può propagarsi oltre con le stesse caratteristiche. Poiché la sottopressione a monte di AA non può raggiungere il valore — Ap necessario per l'arresto del liquido (animato da velocità — Vo), la colonna liquida si spezza: il troncone a valle di AA resta fermo, mentre quello a monte tende a proseguire; in pratica si forma una zona di cavitazione, che dà luogo a intense dissipazioni di energia. 2 ov-vio che la sezione AA potrebbe addirittura coincidere con quella dell'otturatore, avvenendo allora il distacco della colonna liquida proprio in questa sezione. La situazione ora illustrata va in pratica comunque evitata, perché estremamente nociva. Consideriamo ora un impianto di sollevamento nel quale, in condizioni di moto permanente, defluisca una corrente con velocità V o nella condotta di mandata, supposta a sezione costante e costituita di materiale rigido; questa sbocchi in un serbatoio a livello costante. La brusca interruzione dell'alimentazione dei motori elettrici che azionano la pompa ne determina il rapido arresto al quale consegue evidentemente una brusca diminuzione della portata nella condotta di mandata; se la pompa non è di grande potenza, il suo arresto ed anche il conseguente annullamento della portata possono, almeno in prima approssimazione, considerarsi istantanei e il moto vario che ne nasce può essere studiato in modo del tutto simile a quello impiegato per la manovra di chiusura sopra esaminata. Anche in questa situazione si hanno oscillazioni della pressione con ampiezza Ap = + pc Vo , e della velocità con ampiezza + Vo , e con periodo T* = 4L/c; l'unica differenza rispetto agli effetti della manovra di chiusura consiste in uno sfasamento di mezzo periodo nelle oscillazioni. All'istante iniziale della manovra di chiusura di una turbina, si verifica» all'otturatore una sovrapressione, mentre nell'arresto della pompa, immediatamente a valle di questa la pressione scende dal valore Po di moto permanente a quello po — pc Vo Le considerazioni che sono servite per lo studio del moto vario conseguente all'annullamento istantaneo della portata definente inizialmente nella condotta possono ugualmente servire per individuare le caratteristiche del colpo d'ariete provocato da una qualsiasi manovra che determini una variazione istantanea della portata definente attraverso l'organo di manovra, dal valore iniziale Qo ad un altro finale Qf , purché quest'ultimo si mantenga poi, dopo la manovra, costante e inalterato nel tempo qualunque siano le condizioni di moto nella condotta. (*) (*) Gli organi di manovra della pratica non permettono di norma la realizzazione di una simile situazione, poiché in generale la portata defluente attraverso di essi è influenzata dai valori della pressione esistenti nella condotta; le caratteristiche del colpo d'ariete che si deducono con l'ipotesi ora fatta di variazione istantanea della portata sono perciò da ritenersi di prima approssimazione. Nei paragrafi successivi verrà messa in evidenza l'influenza del reale comportamento degli organi di manovra con riferimento a qualche caso particolare.
307
Indicate con Vo e Vf le velocità medie della corrente nella condotta corrispondenti alle portate Qo e Qf , si deduce facilmente mediante l'applicazione del teorema degli impulsi, che la variazione di pressione conseguente a quella di portata vale : (9.8)
429 == Pc(Vo— T7f)
per la situazione di fig. 9.3 essa sarà inizialmente una sovrapressione se Vo > Vf (manovra di chiusura parziale) e una sottopressione se invece è Vo < Vf (manovra di apertura parziale); si hanno invece variazioni di segno contrario se viene considerata la condotta di mandata a valle di una pompa. Comunque lo svolgimento del fenomeno è del tutto analogo a quello visto per le manovre di chiusura completa, con oscillazioni di periodo 4L /c: della pressione con ampiezza Ap + pc(V o — V f ) intorno ai valori di moto permanente e della velocità con ampiezza + (V o — Vf ) intorno al valore finale Vf . 19.3.3
Celerità della perturbazione
I risultati del precedente paragrafo hanno mostrato che tutte le caratteristiche essenziali del processo di colpo d'ariete dipendono dalla celerità c con cui si muovono le perturbazioni elastiche nel liquido contenuto nella condotta. Occorre perciò, prima di proseguire nella trattazione, individuare l'entità di tale celerità e soprattutto la sua dipendenza dalle caratteristiche elastiche del liquido e del tubo. a) Condotta indeformabile. Prendiamo in esame la situazione rappresentata nello schema di fig. 9.4 e relativa all'istante immediatamente successivo alla manovra di chiusura. Nell'intervallo dt la sezione BB si sposta verso valle della quantità Vodt e corrispondentemente il volume W = A ds, compreso fra le sezioni 00 e BB, diminuisce della quantità d IV = — AV odt. Contemporaneamente però sullo stesso volume è intervenuto un aumento di pressione Ap = pcV0 , al quale, date le proprietà elastiche del liquido definite dalla (9.3), corrisponde una diminuzione di volume :
dW =—
IV Ap
=—
A pc Vo
-ds,
che ovviamente deve uguagliare quella dovuta allo spostamento della sovrastante colonna liquida; si ha perciò: AVodt =
A pcVo E
ds ,
308
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
MOTO VARIO DI UN LIQUIDO ELASTICO IN UN CONDOTTO
•i
309
e quindi:
dalla quale, tenuto presente che c ---= ds 1dt, si ricava:
y (9.9)
c =1/— , P
avendo posto c*
=
Posto: 1
rr
e quindi:
i
(9.10)
e dA 1L A dp
(9.12)
e = 1/ E—' ; P
la condotta elastica perciò, agli effetti dello studio del colpo d'ariete, può essere sostituita da una condotta rigida nella quale defluisca un liquido con il modulo di comprimibilità fittizio E ' definito dalla (9.12); questo fatto viene a confermare la piena validità di tutti i risultati del precedente paragrafo dedotti nell'ipotesi di condotta indeformabile. Consideriamo ora il caso, assai frequente nella pratica, di una condotta di sezione circolare di diametro D, spessore e, costituita da un materiale elastico rispondente alla legge di Hooke; sia E il suo modulo di elasticità lineare. Ammettiamo inoltre che lo spessore sia piccolo rispetto al diametro, cosicché lo stato di sollecitazione del tubo sia bene rappresentato dalla formula di Mariotte (v. par. 2.4):
A pe Vo dA ds ± pc170 — ds , e dp
1
1 dA A dp
si ha anche :
da cui, essendo c = do/di, si ricava:
c2
e
ds
la derivata dA Idp è una funzione delle caratteristiche geometriche ed elastiche della condotta, che ne definisce il comportamento in conseguenza delle variazioni della pressione. Dall'uguaglianza dei volumi si ricava:
1 dA L A dp
= 1 e
s'
dA , dA = —p as = pc v o — ds ; dp dp
1
y .
La celerità delle perturbazioni nel liquido contenuto in un tubo elastico è inferiore a quella nel solo liquido illimitato: ciò del resto era facilmente intuibile se si pone mente al fatto che la dilatazione della tubazione ha gli stessi effetti di un aumento della comprimibilità del liquido (e quindi di una diminuzione di E).
e quella determinata dalla dilatazione della condotta per la quale, in forma del tutto generale e sempre nello stesso ordine di approssimazione, può valere l'espressione :
AV o dl =
dA + A dp
P
dW = — A V o dt,
d
il i
--
b) Condotta elastica. Sempre con riferimento alla situazione dello schema di fig. 9.4, la diminuzione di volume
A pc Vo
(9.11)
dA 71-13-
valore questo che corrisponde alla celerità del suono nel liquido a norma della formula di Newton (v. par. 1.6). Per l'acqua a 8 OC si ha c ---- 1425 m/s : tale valore aumenta in ragione di circa 3 m /s per ogni grado di aumento della temperatura. Per gli olii combustibili, ai quali compete di norma una comprimibilità maggiore di quella dell'acqua, la celerità è dell'ordine dei 1200 +1300 m/s.
dovuta allo spostamento della colonna liquida, deve ora essere uguale alla variazione complessiva che il volume iniziale Ads subisce per effetto dell'aumento di pressione Ap: essa è pari alla differenza fra quella dovuta alla comprimibilità del liquido che, come già visto, vale (a meno di infinitesimi di ordine superiore, dipendenti dalla dilatazione della condotta):
P
C=
I
pD 2e
310
MOTO VARIO DI UN LIQUIDO ELASTICO IN UN CONDOTTO
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
L'allungamento unitario corrispondente ad un aumento infinitesimo dp della pressione vale:
da E
D 2eE dp ;
il diametro subisce perciò un aumento:
D2 dD = Dd3 =
D eE
A —.
, ah
1 bV g at ; as = g ah bV es = c2 at •
eD 1 — Ee
0 2h,
e*
(9.13)
E D 11 1 — -E e
012
= c2
02h, ; 0,92
02-v
021'
at2 = e2 as2 •
111-
i
Ah = h—h o = F(s — cl) -4- f(s ct) ,
EA, io
50
100
(9.16)
D/e
(9.17)
Le (9.16) e (9.17) sono due equazioni di d'Alembert, di cui sono ben note le soluzioni; per la prima di esse si ha:
2 0 100 2 5 50
o
(9.15)
analogamente derivando la prima rispetto a t e la seconda rispetto ad 8, ed eliminando la h si ricava:
Il grafico della fig. 9.9 dà il rapporto c/c*in funzione dei due rapporti Els e Dle; esso mostra che la celerità è tanto minore quanto più sottile è
giaus ..___ Lln ■■
(9.14)
Derivando la prima rispetto ad s e la seconda rispetto a t, ed eliminando la V si ottiene l'unica equazione differenziale del secondo ordine:
e quindi la celerità è data dalla relazione: c
Esame generale del processo di movimento
Tenuto conto della espressione generale (9.10) della celerità delle perturbazioni, il sistema delle equazioni differenziali del moto (9.4) e (9.5) diventa:
In tal caso il modulo di comprimibilità e' vale: E'
Se il liquido è acqua, il rapporto E le vale all'incirca 100 per il ferro e l'acciaio, mentre è dell'ordine di 10 per il cemento amianto; le condotte in acciaio hanno però alti valori del rapporto D le e come ordine di grandezza più frequente si può ritenere che la celerità c sia compresa in media fra 900 e 1000 m/s; invece con tubi di cemento amianto a cui competono valori più piccoli di D le le celerità sono più elevate e assai prossime a quelle del condotto indeformabile. 9.3.4
e quindi, essendo A = zD 2 14 si ha:
dA dA dD dp dD dp
311
150
Fm. 9.9
il tubo e quanto minore è il suo modulo di elasficità, vale a dire quanto più deformabile è il tubo.
(9.18)
essendo F ed f due funzioni arbitrarie, rispettivamente degli argomenti (s — ct) e (8 + ct), da definirsi sulla base delle condizioni al contorno, mentre h o è il valore iniziale di h. Consideriamo ancora lo schema di fig. 9.3; le condizioni al contorno vengono ora fissate come segue: — per 8 = L (all'imbocco), h = ho---- cost; — per s = O (all'otturatore), si suppone per ora assegnata la legge con cui varia in funzione del tempo la velocità media della corrente e cioè la legge:
V = V(1) .
MOTO VARIO DI UN LIQUIDO ELASTICO IN UN CONDOTTO
313
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
312
assume lo stesso valore nelle due sezioni di ascissa Si e 82 > si La F agli istanti ti e t2 definiti dalla ovvia relazione: Si — cti = 82— ct2 , dalla
Quanto alle condizioni iniziali, ammesso di contare i tempi dall'istante O il moto nella di inizio della manovra dell'otturatore, si ritiene che per t < condotta sia permanente e quindi in tutte le sezioni di essa risulti:
V= Vo
quale si ricava: ti =--
h ho .
e
Ap =
dove il peso specifico y deve riguardarsi come una costante, in conseguenza dell'ipotesi fatta di trascurabilità del termine ay las. Per determinare l'andamento delle velocità basta derivare la (9.18) e sostituire poi nella (9.14), ottenendo l'equazione differenrispetto ad s ziale (*): 0f(s ct) vaF(s — ct) c =
g dalla quale integrando rispetto al tempo e posto AV = Vo —
C
;
assume all'ascissa ciò sta a significare che il particolare valore che la F alla sezione di ascissa 82, dopo un interinalterato si nell'istante t i , si trova vallo di tempo pari a (82 — Si) /c cioè si sposta con velocità e. Analogo ra-
L'andamento della quota piezometrica nel moto vario è fornito direttamente dalla (9.18); merita subito osservare che questa relazione individua anche la legge di variazione della pressione, in quanto, essendo le z costanti nel tempo, risulta:
82 - Si t2 -
V, si ricava
gionamento vale per la funzione f. rappresentano quindi due onde di perturbaLe due funzioni F ed f zione che si propagano lungo la condotta con celerità c senza deformarsi, la prima con direzione dall'otturatore all'imbocco, la seconda invece con direzione contraria, dall'imbocco all'otturatore ; esse corrispondono alle due onde che sono già state chiamate rispettivamente ascendente e discendente e che hanno permesso di individuare facilmente le caratteristiche del moto nel caso di manovre istantanee. la costanza del livello nel serbatoio comporta la All'imbocco (s--- L) cost e cioè Ah = 0; dalla (9.18) risulta allora: condizione h = ho = F(L — ct) +f(L ct) --- 0; (9.20)
la relazione: c ,
c , —(vo— V) ----
v -,==
.r (8 — Ct) —fis ±
ct) ,
(9.19)
che individua l'andamento delle velocità in condotta a mezzo delle stesse funzioni arbitrarie che compaiono nella (9.18); sul loro significato vale la pena di soffermarsi un poco. (*) Dalla (9.18) si ha:
af aF Oh (98 = a, + a, ;
(a)
poiché risulta:
aF
—
dF d (s — ct)
si ha:
, .,
i
e
aF °t
dF d (8 —
ct)
a(s — at
i aF oF a, = — c at '
ed analogamente
i af af Os = c at ;
introducendo nella (a) si ottiene: i
I
Ohi ( ali _ af ì . at i
assumono cioè, in ogni istante, valore uguale ma segno le due funzioni F e f contrario nella sezione all'imbocco. Ciò significa che all'arrivo di una quaall'imbocco ne nasce contemporaneamente lunque onda di perturbazione F una di egual valore assoluto, ma di segno opposto, che inizia a propagarsi verso l'otturatore, come del resto si è già posto in evidenza nel par. 9.3.2. per la quale all'istante Consideriamo ora la generica sezione di ascissa s proveniente dall'imbocco, dove era t passa l'onda disceu.dente f(s ct) si avrà quindi: passata all'istante -4,, = t — (L — 8)1c;
ct)
=
dF _________ ct)
f(s
ct)
f(L
cti) ;
ma per la condizione (9.20) risulta anche:
f(8 +
.fiL ct i) = — F(L — ch)
i è però ovviaL'onda ascendente F arrivata all'imbocco all'istante t in un istante precedente mente passata dalla sezione di ascissa s
t2 = ti
— s) L — s = t2(L— c
e perciò risulta anche:
f(8 + et) = f(L + ch) = — F(L — ch) = — F(s — c1 2) ,
314
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
MOTO VARIO DI UN LIQUIDO ELASTICO IN UN CONDOTTO
immediatamente deducibili dalle (9.22) e (9.23) e dalle quali si ricava:
da cui in definitiva ricaviamo la relazione :
f(s ct) = — F [s — c (t
2(L — s) )] c
(9.2,1)
che lega fra loro i valori delle due onde di perturbazione; essa indica che l'onda discendente che passa in una generica sezione di ascissa s all'istante t è di valore assoluto uguale ma di segno contrario a quella ascendente che è transitata nella stessa sezione, precedentemente, con un anticipo: 2(L — s)
=
Questo importante risultato semplifica notevolmente tutta la trattazione, poiché riduce il problema alla sola determinazione della perturbazione ascendente; infatti tenuto conto della (9.21) si ha:
Ah, = F(s — ct) — F[s — c(t — -rs)] ; c —
A V = F(s — ct) ± F [s — c(t — 1- 8)] .
(9.22) (9.23)
Fase di colpo diretto Le considerazioni finora svolte consentono di individuare alcuni importanti aspetti del processo di colpo d'ariete. Nella situazione presa in esame la manovra dell'otturatore determina la formazione di una serie continua di onde di perturbazione ascendenti, che sono le uniche ad interessare la corrente in una prima fase, detta di colpo diretto; la sua durata è pari, per la generica sezione di ascissa s di tempo compreso fra l'istante t' = slc in cui la prima perturbazione raggiunge la sezione e l'istante
t" =
2L — s
nel quale arriva nella sezione stessa la prima onda discendente riflessa dall'imbocco e vale pertanto:
=
2 (L— s)
durante questa fase agisce soltanto l'onda F e perciò il processo risulta retto dalle semplici relazioni: Ah = F(s — ct) ;
—AV = F(s — ct),
315
C
Ah = — A V, oppure, se si preferisce far riferimento alle pressioni: Ap = pcAV = pc(Vo — V) .
(9.24)
Questa relazione, formalmente identica alla (9.8) individuata per il caso di manovre istantanee, è valida per qualunque legge di variazione della velocità; essa indica che, in fase di colpo diretto, la variazione di pressione in una generica sezione è direttamente proporzionale alla variazione di velocità intervenuta in quella sezione fino all'istante che si considera, ma non dipende assolutamente dalla legge con la quale è avvenuta la stessa variazione di velocità. La durata della fase di colpo diretto per la sezione dell'otturatore vale: 2L TO =;
a questo tempo viene di norma dato il nome abbreviato di durata della fase; per tutto questo intervallo di tempo successivo all'inizio della manovra, l'andamento delle pressioni all'otturatore è fornito perciò dalla (9.24). Se la durata di fase di colpo diretto è inferiore a quella di chiusura (-ro < Te), all'istante finale To 2L/c, la sovrapressione all'otturatore è pari a pc(Vo — Vf) avendo indicato con Vf la velocità all'istante -ro ; da questo istante in poi alle onde ascendenti cominciano a sovrapporsi quelle discendenti riflesse dall'imbocco, determinando condizioni più complesse che verranno discusse fra poco. Se invece risulta To > T, e cioè se la chiusura completa si verifica prima che le onde discendenti riflesse dall'imbocco abbiano raggiunto l'otturatore, la sovrapressione assume il valore massimo pcVo all'istante Tc come se la chiusura fosse avvenuta istantaneamente. Nelle pratiche applicazioni, dove interessa conoscere per il dimensionamento statico della condotta soltanto il valore massimo della so -vrapressione di colpo d'ariete, tutte queste manovre, caratterizzate da una durata T, minore di quella -ro della fase di colpo diretto, assumono ovviamente uguale importanza e possono perciò essere considerate del tutto equivalenti fra loro: si designano come manovre brusche. Passiamo ora a considerare una generica sezione di ascissa s, per la quale, come già detto, la durata della fase di colpo diretto vale: 2(L — s) Ts = C
MOTO VARIO DI UN LIQUIDO ELASTICO IN 'UN CONDOTTO
316
317
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
In questa sezione le condizioni di moto permanente rimangono inalterate fino all'istante t'---- slc nel quale arriva alla sezione la prima onda ascendente formatasi all'otturatore all'istante t = O; da questo istante in poi la sovrapressione segue la legge espressa dalla (9.24) e cioè lo stesso andamento verificatosi in precedenza all'otturatore. Un simile comportamento dura sino all'istante t' nel quale le prime onde discendenti riflesse dall'imbocco modificano il fenomeno. Se si ha Tc < t8, nella sezione la sovrapressione raggiunge il massimo valore pc Vo (pari a quello della manovra istantanea) all'istante T, + s le e cioè prima della fine della fase di colpo diretto. Nell'esemplificazione ora svolta si è considerata una manovra di chiusura completa, ma è chiaro che tutte le deduzioni di carattere generale a cui si è giunti valgono anche per il caso di manovre di apertura, salvo l'ovvio cambiamento di segno nelle variazioni di pressione; ed anche nel caso di manovre parziali di chiusura o di apertura, per le quali è soltanto da tener presente che la massima variazione di pressione per manovra istantanea oppure con T, < , vale pc(Vo — Vi) se V i è la velocità al termine della manovra, che rimane costante nei tempi successivi.
Fase di contraccolpo Con. questo nome si designa la fase successiva a quella di colpo diretto, nella quale si verifica la sovrapposizione delle diverse onde di pressione che si propagano nei due sensi lungo la condotta. Per questa fase valgono le due equazioni complete (9.22) e (9.23), la cui definizione comporta la esplicitazione della funzione F(s —ct); ad essa si giunge tenendo conto della seconda condizione al contorno e cioè della legge V----- V(t) all'otturatore. Studiamo innanzitutto lo svolgimento del processo di moto vario nella sezione dell'otturatore. Indichiamo genericamente con Fo (t) = = F(0 — ct) il valore che la funzione F assume in essa, valore che ovviamente è soltanto funzione del tempo t. Nella fase di colpo diretto (O < t < -ro 2L/c) si ha evidentemente: C FO(t) = — Vo —
V) .
gli istanti precedenti N di intervalli pari a multipli della durata della fase ; l'istante ti è evidentemente inferiore a To e perciò cade nella fase di colpo diretto. Con queste notazioni e chiamata V n, la velocità all'istante t, la (9.23) risulta: (Vo
essendo n un intero
Fo ( tn
Vn) = Fo( tn)
—
TO) = Fo(N) Fo(tn i) ; -
si ha quindi ( Vo — V n) — Fo(t n -i) •
F0(t) =
Applicando in modo analogo la, (9.23) si ricava in definitiva il sistema:
F0(t ) =
-- ( Vo
— c
—
Vn) — Fo(tn — i) Fo(tn-2) ;
Fo(42-1) = —c--- (Vo— Fo(tn-2) = — (Vo — V_2) —
Fo(t2) =
—
( Vo
—
V2) — Fo(ti) ;
Fo(ti) = — (Va --- Vi)
(fase di colpo diretto).
Sostituendo successivamente l'ultima di queste relazioni nella penultima, indi il risultato nella terzultima, e così via fino alla prima o, rispettivamente, alla seconda, si ricava:
F0(t) =
Sia ora N un generico istante della fase di contraccolpo che sarà genericamente compreso fra i limiti: (n — 1) TO < tn < wro
—
c , i( v n-l— V n)-f- (V n-3—Vn-2)
(V0—V1)] per n dispari (V i—V2)] per n pari; (9.25)
•• • -i-
(Vo—V1)] c Fo(tn-1) =
r
i( V n-2— Vn-1) -E( Vn-4— Vn-3)
••• (
2; indichiamo inoltre con: tn-1 = tn
TO ;
N-2 = tn-i — TO = t — 2"ro ; —
(n — I) To
V2)] per n dispari. (9.26)
Ma dalla (9.22) si ha anche, sempre per l'istante t,, l'espressione:
AoP = P —p0 = y[Fo(tn) — Fo(tn-i)] = tn
per n pari;
318
slc)a mezzo della (9.26) nella quale vanno introdotti i valori Vn " ; SIC; slc; ti, — ..., relativi agli istanti ta
da cui introducendo le relazioni (9.25) e (9.26) si ricava infine: AoP= pc R Vn-1 — Vn) — (Vn-2— V-i) + • • . ± (Vo — Vi)] , (9.7) dove per l'ultimo termine il segno + vale se n è dispari. Questa espressione, quando sia effettivamente nota la legge V = V(t) di variazione della velocità all'otturatore, individua completamente l'andamento della sovrappressione all'otturatore, il cui valore è perciò funzione ti equisoltanto dei valori che la velocità assume agli istanti t. , , distanti fra loro della durata della fase To •
c'ts)] ;
—Ls V = F(s — ct a) + F(8 — cta c).
(9.29)
4L T*= —,
F(s — ctn) = Fo (tn — — 8 ; identicamente risulta: = Fo (tn-1
8
c _
8
8 — FO (tn-1+
identico al valore già individuato per il caso di manovra istantanea; — dalla considerazione precedente segue immediatamente che i valori massimi e minimi della variazione di pressione vengono raggiunti per gli istanti successivi questi massimi e minimi possono per t < T, + T* ; essere raggiunti ma non superati ; — in generale l'andamento delle variazioni di pressione e di velocità presenta delle discontinuità agli istanti
8 —) • C
Le (9.28) e (9.29) diventano allora: AsP = "Y[F0 -( in
Un'analisi dettagliata delle relazioni ora dedotte per la sezione all'otturatore e per una generica sezione della condotta, conduce ad alcune considerazioni assai interessanti che è opportuno formulare subito: — la variazione di pressione è indipendente dalla pressione esistente prima della perturbazione, qualunque sia l'istante e la sezione che si con-
(9.28)
La funzione F(s — ct a) ha però lo stesso valore che la funzione F ha assunto all'otturatore all'istante ta — stc, poichè s/c è il tempo che l'onda impiega a passare dall'otturatore alla sezione; si ha cioè
8 F(s — ct a c-:,) = Fo (tn — — To c
Vn—l n ;
siderano; la velocità assume valore costante (ad esempio — poiché per t > T, O per la chiusura completa), nelle espressioni (9.25) e (9.26), compaiono V ciò significa esclusivamente i valori di velocità relativi a istanti t < T, ; si riproducono identici che, terminata la manovra, i valori delle funzioni Fo(t) con periodicità pari a 2To 4L /C e cioè al tempo impiegato dalla generica, perturbazione a percorrere quattro volte la condotta; di conseguenza sia le variazioni di pressione, sia quelle di velocità presentano, per t > T, , anch'esse andamento periodico con periodo
Anche per la generica sezione di ascissa s è facile individuare una relazione analoga alla (9.27) che fornisca l'andamento delle sovrapressioni ed anche una relazione per le velocità. Considerato ancora l'istante generico ta , dalle (9.22) e (9.23) si ha: Asp = y [F(s — ctn) — F(s — ctn
319
MOTO VARIO DI UN LIQUIDO ELASTICO IN UN CONDOTTO
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
cii 8
V = Fo (ta — —) F o (t a1± —)• C
La determinazione della sovrapressione e della velocità nella generica sezione viene così ricondotta alla valutazione dei valori che la F assume all'otturatore : la Fo(t n — s/c) è calcolabile con la (9.25) introducendovi, in luogo delle velocità Vn ; V,,_ 1 , .... i valori V n'; V1,_11 ... spettanti agli istanti t,,— s/c; t. — — slc; ...; in modo analogo si calcola la Fo(tn-i.
k
o -±
8
e
k (T ,
(k = l, 2, 3, ...)
8 ) ; 1-o ± — c
esse sono la conseguenza delle discontinuità che, di norma, presenta la dV Idt all'inizio e al termine della manovra e mancherebbero soltanto quando in questi istanti la derivata della velocità fosse nulla. Salvo questa eventualità (o leggi di manovra del tutto eccezionali, in pratica escluse) i massimi e i minimi della pressione e della velocità sono da ricercare in corrispondenza alle citate discontinuità. Ad illustrazione di quanto dedotto, viene ora esaminato il caso di una manovra di chiusura completa per la quale la velocità iniziale Vo di moto permanente decresce linearmente, annullandosi al tempo T, , secondo la legge: V = VO(i
t T,
;
320
MOTO VARIO DI UN LIQUIDO ELASTICO IN UN CONDOTTO
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
l'analisi viene condotta per la sola sezione all'otturatore (s = 0), ma considerando i due casi con durata della manovra di chiusura maggiore e minore della durata della fase.
T, <
= 2L/c. L'andamento delle variazioni di pressione per questa situazione è tracciato nel grafico di fig. 9.10.
321
può facilmente dedurre applicando ancora la (9.27) e tenendo presente sono nulle. che, nell'intervallo T, + TO < t < 2T0, sia la Vi che la V2 Successivamente la pressione aumenta nuovamente con legge lineare da qui in avanti raggiungendo all'istante T, + 21-.0 ancora il massimo pcV0 ; il fenomeno si riproduce con lo stesso andamento riconosciuto a partire dall'istante T, . Per la situazione con T, < To la pressione perciò subisce all'otturatore oscillazioni con periodo 2T0 , e ampiezza + pc Vo ; questi valori si mantenTc . gono costanti per intervalli pari a To —
T, > 1:1:1 = 2L/c. L'applicazione della (9.24) nella fase di colpo diretto (t < To) e quella ripetuta della (9.27) porta a risultati del tipo rappresentato nel grafico della fig. 9.11.
Ap
Fio. 0.10 La pressione, dal valore di moto permanente, cresce linearmente e il suo aumento segue la legge:
pc Yc,
Ap = pc(Vo — V) = ()evo che si deduce immediatamente dalla (9.24); essa vale fino all'istante T, < nel quale si realizza la chiusura completa e la sovrapressione raggiunge il valore massimo Apmax = pc Vo ; questo si mantiene poi costante fino all'istante -ro , quando l'onda riflessa all'imbocco arriva all'otturatore e provoca un'onda ascendente negativa; questa determina una diminuzione ancora lineare della pressione la cui legge si ricava dalla (9.27), che nell'intervallo to < t < T, + T° assume la forma:
413 = pc [( — V2)— ( VO — Vi)] = pcVo (1 — 2
—
T,
essendo: Vt
- T0
= Vo (1
t
—
T,
)e
Il massimo della sovrapressione viene raggiunto all'istante t = To ed è dato dalla semplice relazione:
V 2 = 0.
All'istante T, + TO , nel quale giunge all'otturatore l'onda discendente negativa proveniente dall'imbocco e di valore pcVo la variazione di pressione vale — PC Vo e tale si mantiene poi fino all'istante 2T0, come si
APmax = ± PC VO
2pLI70
O
=
Tc
(9.30)
e dalla quale si riconosce che tale detta comunemente formula di Michaud, sovrapressione diminuisce all'aumentare della durata della chiusura; essa comunque è sempre inferiore a quella pc Vo che si verifica in tutte le manovre con T, < TO. Per t > T, la pressione assume andamento periodico con oscillazioni intorno al valore di moto permanente.
MOTO VARIO DI UN LIQUIDO ELASTICO IN UN CONDOTTO
323
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
322
9.3.5 Le condizioni al contorno negli impianti idroelettrici e di sollevamento. La trattazione analitica del precedente paragrafo ha considerato la situazione di una condotta ad una estremità della quale la pressione si mantiene costante per la presenza di un serbatoio, mentre all'altra estremità si è supposto di poter assegnare una ben determinata legge di variazione della velocità media della corrente in funzione del tempo, il che ha consentito una relativamente semplice analisi del processo; mentre la prima condizione trova esatta corrispondenza nelle situazioni reali non altrettanto può dirsi della seconda: negli impianti reali le variazioni di portata (e quindi di velocità nella condotta) sono la conseguenza di manovre di apparecchi più o meno complessi che di norma non vengono progettati con lo scopo (non essenziale ai fini pratici) di ottenere una prefissata legge di variazione della portata. L'esame del funzionamento di tali apparecchi e la relativa influenza sul processo di colpo d'ariete è stato condotto a fondo, per la prima volta, dall'italiano Lorenzo Allievi nel primo ventennio di questo secolo; qui viene fatto separatamente per il caso degli impianti idroelettrici e di quelli di sollevamento, in considerazione delle sostanziali differenze esistenti nelle due situazioni.
Impianti idroelettrici. In questi impianti i cambiamenti della portata sono ottenuti a mezzo del distributore delle turbine il quale, a seguito di cause esterne che qui non interessa indagare, modifica la sua area E di passaggio secondo una legge: (9.31) E = (t) , prestabilita all'atto della sua taratura. Il funzionamento idraulico del distributore, che, almeno in prima approssimazione, può essere assimilato a quello di una luce, è definito per una generica condizione di moto permanente da una funzione del tipo:
— -V2g(h — h,) V = = k A A
(9.32)
essendo:
V la velocità media nella condotta; k un. coefficiente d'efflusso da determinarsi sperimentalmente ed in generale variabile con E; h e h, le quote piezometriche rispettivamente a monte e a valle del distributore. Questa relazione, dedotta per condizioni di moto permanente, può ritenersi valida anche in moto vario in considerazione della modesta massa
liquida (e quindi della scarsa influenza delle inerzie) interessata dal proc esso elli di efflusso. In tal caso però ovviamente i valori di k, h e h, sono qu k, i valori istantanei : per la E e di conseguenza anche per il coefficiente istantanei sono definiti dalla (9.31); per quanto riguarda h, si può riten ere che esso si mantenga costante nel tempo (*); il carico h è invece variabile da istante a istante ed è determinato proprio dalle vicende che il moto V ario nella condotta ha subito fino all'istante considerato: la V(t) non può pertanto considerarsi come una condizione al contorno nota, essendo invece rieta soltanto la E(t). Per il generico istante (n — 1)To < t„, < n-ro , la (9.32) può sinteticamente scriversi:
EKn,h5)
(9.33)
nella quale con K. si è indicato un termine che congloba tutte le gTandezze costanti oppure dipendenti dal tempo attraverso la E ; esso perciò d eve pure considerarsi una funzione nota del tempo. L'equazione (9.33) vi ene allora a rappresentare la condizione al contorno per l'estremità di - vane della condotta; risolta simultaneamente alla (9.27) permette di individuare l'andamento nel tempo delle variazioni di pressione all'otturatore (si t enga Il sistema delle (9.27) e (9 . 33) presente che h n = dh + ho = Aply h o). deve naturalmente essere risolto a partire dall'istante iniziale della mano vra, in modo da poter individuare per passi successivi la legge V = V(t), che è necessario conoscere poiché la Ap è proprio funzione dei valori che la velocità assume negli istanti precedenti quello in cui si vuole calcolare. La soluzione del sistema può essere effettuata per via algebrica, opp ure a mezzo di metodi grafici che in un recente passato sono stati spesso preferiti per la loro relativa semplicità; attualmente, però, le possibilità offerte d ai moderni elaboratori hanno riportato la preferenza sui metodi num erici. Come già accennato, in ogni impianto idroelettrico risulta prestabilit a la legge di manovra del distributore : ciò significa che il passaggio d a un determinato grado di apertura (che può essere totale o parziale) del di stri_ butore ad un altro avviene sempre con identica legge di variazione nel temp o della sua sezione di &Russo ed in particolare con identica durata della m ano_ vra. Considerato il complesso della condotta e del relativo distribut ore, la soluzione del sistema della (9.33) e (9.27) permette di individuare, per ognuna delle possibili manovre del distributore, l'andamento della pressione e, ciò che più importa, il valore della massima sovrapressione nel corso del transitorio, nella sezione immediatamente a monte dell'otturatore. Agli effetti pratici però non interessa indagare in dettaglio sulle earat_ (*) Nel caso delle turbine Pelton dove il distributore sbocca nell'atmosfera la è pari alla quota geometrica della sezione di effiusso e perciò effettivamente quota hv cost aitonel costante nel tempo; per le turbine a reazione invece la h, non è realmente e perciò possono essere h tempo ma le sue variazioni sono piccole rispetto a quelle di considerate trascurabili.
MOTO VARIO DI UN LIQUIDO ELASTICO IN UN CONDOTTO
324
325
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
teristiche del processo di movimento determinato da una particolare manovra, quanto individuare, per un assegnato sistema condotta-distributore, la cosiddetta sovrapressione critica : cioè la massima sovrapressione che può verificarsi in condotta a seguito delle infinite possibili manovre effettuabili a mezzo dell'otturatore del sistema, partendo da un qualsiasi grado di apertura; è sulla base di tale valore che deve predisporsi il dimensionamento statico della condotta. Diversi ricercatori hanno avviato i loro studi in questa direzione, giungendo alla conclusione molto semplice che, per le normali condizioni di funzionamento dei sistemi condotta-otturatore degli impianti idroelettrici, la sovrapression.e critica è data proprio dalla formula di Michaud:
A
2pLV0
(9.34)
T,
essendo Vo e T, rispettivamente la velocità media in condotta e la durata della manovra di chiusura completa corrispondenti alla condizione iniziale di distributore completamente aperto, e cioè i massimi valori delle due grandezze che possono realizzarsi con l'assegnato sistema condotta-otturatore. Il fatto che la sovrapressione critica risulti proporzionale alla lunghezza L, costituisce un'ulteriore giustificazione dell'inserimento nel sistema del pozzo piezometrico: in assenza di questo la L dovrebbe infatti essere la lunghezza complessiva della galleria e della condotta. Merita giustificare, sia pure succintamente questo importante risultato.
mente nella seconda metà della manovra; nell'ultima fase poi si verifica un'ulteriore inversione della rapidità. Lo scostamento dalla legge lineare è generalmente più sentito negli impianti con salti modesti. La ragione di questo comportamento (almeno nella fase iniziale) è facilmente intuibile se si suppone, come avviene approssimativamente in sarebbe allora anch'essa sensibilmente pratica, che la E(t) sia lineare; la V(t) che compare nella (9.32) si mantenesse costante; ma ciò non lineare se la h incomincia a decrescere, si origina la avviene perché, all'atto che la V e che pertanto attenua sovrapressione di colpo d'ariete, che aumenta la h come appunto indicato in fig. 9.12. Il la rapidità di decrescenza della V, è condizionato anche dalle onde riflesse. successivo andamento della V(t) Consideriamo ora un determinato sistema condotta-otturatore per il (*), ed esaminiamo gli effetti di tutte le manovre di To quale risulti Te > che partono da diversi gradi di apertura, caratterizzate chiusura completa, e da durate T della da diversi valori iniziali della velocità inferiori a V o L'indagine viene limitata alle sole manovre di manovra inferiori a T. chiusura poiché si è riconosciuto che ad esse corrispondono le più elevate sovrapressioni. compresa fra -co e T c , la sovrapressione Se la manovra ha durata T aumenta (fig. 9.13) secondo le leggi della fase di colpo diretto mantenendosi ovunque inferiore ai valori correlativi alla legge di variazione lineare delle velocità, fino all'istante ; successivamente essa può ancora aumentare, ma ovviamente con minore rapidità perché da questo istante si sovrappone l'effetto delle onde riflesse negative, oppure inizia a diminuire; comunque si riconosce che il massimo valore Ap..x raggiunto per queste manovre è dato dalla formula Michaud, ed quasi sempre inferiore al valore 2pLV0IT, è tanto più piccolo quanto maggiore è la durata della manovra. il massimo della curva Se la durata della manovra è proprio uguale a To V" viene a cadere proprio all'istante -ro e vale pcV" essendo Ls.p(t) la velocità che esiste in condotta all'inizio di questa speciale ToVolTe 2pLV0IT, fornito dalla manovra: cioè si arriva precisamente al valore formula di Michaud. della manovra è infine minore di To la massima sovraSe la durata T pcVm : essendo pressione si verifica sempre al termine della manovra e vale anche la Ap..x è inferiore al valore della formula evidentemente VA" < V" di Michaud. ifl funzione della durata La fig. 9.14 fornisce l'andamento della Aprma T = To e delle manovre: la Ap.ax aumenta linearmente fino alla durata T T. La sovrapressione poi diminuisce gradualmente per valori più elevati di
FIG. 9.12
Con le leggi di chiusura di norma adottate nella pratica l'andamento delle velocità in condotta assume l'aspetto qualitativo indicato nella fig. 9.12; la velocità varia con legge abbastanza diversa dalla lineare: decresce meno rapidamente in una prima fase per poi diminuire più forte-
perché in tal caso come (*) Non viene presa in esame la situazione con T, < o , si è già avuto occasione di riconoscere più volte, la sovrapressione critica vale ovviamente :
A= peti° .
rr-
326
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
MOTO VARIO DI UN LIQUIDO ELASTICO IN UN CONDOTTO
110
327
Questo comportamento si verifica, come ha dimostrato Mario Marchetti, per tutti i sistemi condotta-otturatore per i quali risulta soddisfatta la condizione: A — < 2,2, Po cioè tutte le volte che la sovrapressione critica è minore di circa 2,2 volte la pressione po di moto permanente all'otturatore. Questa condizione è di regola verificata in tutte le condotte forzate per impianti idroelettrici, poiché gli organi di manovra vengono dimensionati, per ragioni statiche, proprio in modo che la sovrapressione critica non superi una frazione propria di po ; ciò si ottiene evidentemente assegnando un adatto valore alla durata Tc . Le considerazioni ora svolte per la sezione all'otturatore risultano facilmente esten.dibili alla generica sezione di ascissa s, per la quale la sovrapressione critica è data dalla relazione: =
P
, Fio. 9.13
3P.ox
29(L
—
s) Vo
Te
che permette il tracciamento della cosiddetta piezometrica di colpo d'ariete: linea che, punto per punto, sovrasta l'orizzontale dei carichi statici della corrispondente quantità A. iy ; a questa piezometrica deve essere fatto riferimento per il calcolo degli spessori della condotta. Le espressioni dedotte per le manovre di chiusura valgono anche per quelle di apertura con l'unica differenza che in questi casi si tratta di sottopressioni; occorre però tener presente che le relazioni trovate esprimono le condizioni effettive del processo di movimento soltanto se le sottopressioni sono ovunque tali da non determinare in nessuna sezione della condotta i fatti cavitativi che abbiamo segnalato (par. 9.3.2).
Impianti di sollevamento.
Fio. 9.14
critica A risulta perciò pari a 29L -V0iTe e si realizza proprio per quella particolare manovra di chiusura completa che, partendo da distributore parzializzato, lo chiude completamente nel terripo TO = 2L/c.
Vengono qui considerate soltanto le condizioni che si verificano nella condotta di mandata a seguito dell'interruzione della potenza motrice della pompa, poiché, come già detto al paragrafo 9.2, esse risultano le più pericolose agli effetti del colpo d'ariete. Dopo l'interruzione della potenza, che interviene in tempi brevissimi da considerarsi praticamente nulli, la corrente in condotta e la pompa decelerano gradualmente fino al loro completo arresto, al quale però non corrispondono condizioni di equilibrio, cosicché segue una inversione del moto in condotta ed anche di quello della pompa che in questa fase funziona come una turbina dalla quale non venga erogata potenza. Questa condizione di moto continuerebbe indefinitamente provocando evidentemente il vuotamento del serbatoio di valle, fatto questo che viene di norma evitato chiudendo una idonea valvola.
328
In questa fase di funzionamento a turbina, poiché la potenza disponibile serve quasi esclusivamente ad incrementare l'energia cinetica delle masse rotanti, si possono determinare velocità di rotazione eccessivamente elevate e sollecitazioni inammissibili sugli organi delle macchine; in tali condizioni si provvede ad anticipare la chiusura della valvola, il cui intervento è spesso automaticamente determinato dalla stessa interruzione di potenza. La grande varietà di situazioni possibili non permette praticamente di svolgere uno studio generale analogo a quello condotto per gli impianti idroelettrici ; per ogni impianto è necessario perciò analizzare attentamente le condizioni di funzionamento dei diversi organi che lo compongono al fine di individuare le relazioni che definiscono le condizioni al contorno in corrispondenza alla pompa, e che in generale forniranno un legame fra la. portata, i dislivelli piezometrici, la velocità di rotazione della pompa, le caratteristiche meccaniche di questa, le modalità di chiusura dell'eventuale valvola di chiusura e il tempo. A titolo indicativo esaminiamo con qualche dettaglio le condizioni relative alla prima fase immediatamente successiva all'interruzione di potenza, nell'ipotesi che non intervenga la chiusura di alcuna valvola sulla condotta. In questo caso la legge V = V(t) nella sezione immediatamente a valle della pompa, necessaria per l'impiego della (9.27), viene individuata sulla base delle equazioni che reggono il moto vario della pompa e precisamente: — la famiglia delle curve caratteristiche della pompa che possono essere facilmente trasformate in. una famiglia di curve h = h(V), essendo ciascuna curva correlativa ad un determinato numero di giri n di rotazione della pompa; di regola a questa famiglia di curve non risulta possibile assegnare una equazione analitica, ma di esse è sempre disponibile una rappresentazione grafica derivante dalle prove di funzionamento della pompa; — l'equazione che definisce lo scambio della potenza cinetica delle masse rotanti (pompa e motore) in potenza ceduta alla corrente; tale equazione, ovviamente differenziale, è del tipo:
d Jo2\ yQH
n--)
essendo:
J il momento d'inerzia delle masse rotanti, che in pratica viene espresso nella forma:
J=
GD2 49
essendo GD2 il cosiddetto momento dinamico, prodotto del peso G del corpo in rotazione per il quadrato del diametro d'inerzia D; o la velocità angolare pari a 27rn /60, essendo n il numero di giri al minuto;
329
MOTO VARIO DI UN LIQUIDO ELASTICO IN UN CONDOTTO
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
H la prevalenza della pompa, che può evidentemente esprimersi facilmente
a mezzo della quota piezometrica a valle della pompa, ritenendo in generale trascurabili le variazioni delle condizioni all'aspirazione;
-r) il rendimento del gruppo moto-pompa. Sinteticamente questa relazione può scriversi anche nella forma:
dn2 = KQh , dt
(9.35)
dove in K sono conglobati tutti i termini costanti. Questa equazione differenziale, unitamente alle curve caratteristiche della pompa, costituisce la condizione al contorno che consente di 'individuare i valori delle V da introdurre nelle 9.27. Negli impianti di modesta potenza l'inerzia delle masse rotanti è molto piccola, cosicché l'arresto della pompa interviene in brevi intervalli di tempo, sovente inferiori alla durata della fase -r o ; in questi casi, abbastanza frequenti nella pratica, si verifica evidentemente una sottopressione pari a — pcVo • 9.3.6
Sistemi di condotte
Il caso di una condotta di diametro e spessore costante, al quale si è fatto finora riferimento, costituisce una condizione particolare che soltanto raramente si incontra nella pratica, dove invece il più delle volte si ha a che fare con condotte il cui diametro e spessore variano con discontinuità lungo l'asse, oppure ancora ci si trova di fronte a sistemi di condotte, con nodi a cui convergono più condotte. Ogni discontinuità della condotta determina una modifica dell'onda di pressione che si propaga lungo di essa, dando luogo contemporaneamente alla formazione di un'onda riflessa; questi fatti, che si verificano in corrispondenza della discontinuità, quando siano stati debitamente valutati, costituiscono le condizioni al contorno necessarie per poter spezzare il problema dell'integrazione del sistema di equazioni del moto in tanti tratti quante sono le condotte di caratteristiche uniformi. Una relazione generale che esprime quanto si verifica in ogni tipo di discontinuità può essere derivata abbastanza semplicemente facendo riferimento al caso di un nodo al quale confluiscono tre condotte (fig. 9.15a) , c2 , ca diverse le une dalle altre. In condidi aree A1, A2 A3 e celerità c 1 zioni di moto permanente siano V1, V2, V3 le velocità nelle tre condotte, e po la pressione al nodo che, ritenute sempre valide le ipotesi di trascurabilità delle altezze cinetiche e delle perdite di carico, risulta identica nelle tre condotte. Consideriamo ora un'onda di pressione ascendente propagantesi lungo la condotta di valle, il cui passaggio determina una brusca variazione di
330 A2
"2
a) V,
A3\
_____-- 9 ■
MOTO VARIO DI UN LIQUIDO ELASTICO IN UN CONDOTTO
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
—3.- V, v,
P
,
"'",„, P.:'
Mi
b)
V2
A,
P'
A3 •
A,
–
\/
P"
______91.- V3 f?,
Il coefficiente s detto di trasmissione determina le caratteristiche delle onde di pressione trasmesse alle due condotte di monte, mentre quello r di riflessione individua le caratteristiche dell'onda riflessa nella prima condotta. Si noti che ambedue i coefficienti sono indipendenti dalle condizioni di moto iniziali. La (9.39) può essere facilmente estesa al caso di un nodo al quale confluiscono n. condotte, delle quali la j.ma è percorsa dall'onda in arrivo al nodo; in tal caso si ha:
FIG. 9.15
2A1
velocità dal valore Vi a quello Vi, e quindi una variazione di pressione: —
Po = pci(17 1
P" = pci(Vi —
(
9.37)
p" —p° = pc3( V3 — 173) ; (l'inversione di segno nella prima dipende dal fatto che si tratta di un'onda discendente ) inoltre, al nodo, deve essere soddisfatta, sia prima che dopo il passaggio dell'onda, l'equazione di continuità, e cioè devono valere le due equazioni: A3V2 ;
(9.38)
A i V; = A 2 -f4 -I- A 317; . Eliminando le velocità dalle (9.36), (9.37) e (9.38) si ricavano i seguenti coefficienti: 2A 1
PO
Ci
P' —P0
A i A2
A3
c2
c3
(9.39)
= s
1.
Ci n
A-
i •.1
Ci
(9.41)
.
Variazione brusca della sezione. Questa può essere considerata equivalente a un nodo di due sole condotte di diversa sezione; ammesso che la celerità rimanga costante (il che implica, a norma della (9.13), spessori proporzionali ai diametri) si ha: 8
=
2 A1
r=
A1 + A2 "
Ai — A2 + A2
(9.42)
Se A2 < Ai (restringimento della sezione) risulta s>le0 A1 (allargamento della sezione); la situazione limite corrisponde allo sbocco di una condotta in un serbatoio per la quale è A2 = co e quindi ,s = O e r = — 1; l'onda trasmessa risulta, ovviamente nulla mentre quella riflessa è uguale in valore assoluto ma di segno contrario a quella incidente.
Variazione dello spessore. In questo caso si hanno differenti valori della celerità e perciò risulta:
p" r=
=_-
Vale ora la pena di esaminare qualche situazione particolare, che più frequentemente ricorre nella pratica.
;
— P0 = pc2CV 2— n ;
= A2V2
8
(9.36)
-17 1)
Il passaggio di questa onda attraverso il nodo determina (fig. 9.15b) la trasmissione di due onde nelle due condotte di monte e la formazione di un'onda riflessa che si propaga verso valle nella prima condotta. Per la congruenza delle pressioni al nodo, dopo questo fatto, si ha un nuovo valore della pressione p", e contemporaneamente al passaggio dei tre fronti d'onda si verificano delle variazioni di velocità nelle condotte, legate alle variazioni di pressione dalle ovvie relazioni :
8=
331
(9.40)
8=
2c2 +
-
r
c2
—
. c2
(9.43)
332
Poiché dalla (9.13) si riconosce che ad un aumento od a una diminuzione dello spessore corrisponde una variazione nello stesso senso della celerità, il confronto delle (9.43) con le (9.42) mostra che si hanno gli stessi
333
OSCILLAZIONI DI MASSA
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
Diverse accurate esperienze hanno mostrato che questo procedimento fornisce risultati abbastanza soddisfacenti, certo sufficientemente precisi per le pratiche applicazioni.
9.4 Oscillazioni di massa 9.4.1
Oscillazioni in un tubo ad 13
Si abbia un tubo ad II, con sezione trasversale di area A costante con rami verticali superiormente in libera comunicazione con l'atmosfera (fig. 9.17); esso contenga del liquido; in un certo istante, per cause esterne che ora non interessa conoscere, questo sia fermo, con un disli-
o
z,
FIG. 9.16
effetti aumentando lo spessore oppure diminuendo la sezione e viceversa; il fatto è messo in evidenza dal grafico di fig. 9.16 dove sono riportati i valori di s e di r in funzione del rapporto
A1 o=— A2 oppure
Nelle condotte forzate degli impianti idroelettrici si ha, di regola una tubazione con diametro decrescente e spessore crescente da monte verso valle; il calcolo esatto della sovrapressione di colpo d'ariete che tenga conto delle numerose riflessioni dovute ai cambiamenti di diametro e di spessore, risulterebbe spesso particolarmente laborioso. Si è quindi tentato, per il calcolo delle sovrapressioni all'otturatore, di ricondurre il caso di una condotta composta a quello di una condotta a caratteristiche uniformi tali che la perturbazione impieghi lo stesso tempo per il percorso di andata e ritorno; per essa la celerità risulta
L c' -= ELI /ci
vello 3,0 fra i peli liberi. chiaro che il liquido non si trova in condizioni di equilibrio e tende perciò a raggiungere la quiete, con livelli alla stessa quota, attraverso un processo di moto vario; per esso, data la lentezza del moto, il liquido può ritenersi incomprimibile e la condotta indeformabile. Il transitorio è retto dalle due equazioni:
o(AV) as — as
aQ
.9H
p
av
as + g -,9-t-
= 0;
(9.44) (9.45)
3111f
I334 334 I i ' i rr I
di cui la prima è l'equazione di continuità per una corrente di fluido incomprimibile (v. p. 87), mentre la seconda è stata ottenuta dalla (9.1), sopprimendo il termine che mette in conto la comprimibilità. (*) Con i simboli indicati nella figura 9.17 Si ricava per integrazione (v. par. 5.6) la seguente equazione:
L dV g dt
,
p — --
A + LJ = O;
avendo posto:
— 2g
=
(9.46)
dette poi z i(t) e z2(t) le quote dei peli liberi nei due rami, per la continuità si ha (v. figura): A dzi = —Qdt; Adz2=Qdt; da cui, tenuto presente che, in ogni istante:
si ricava Q
Q
0 = cos(cot) = cos (2n — ) , T*
a) Liquido perfetto. In questo caso risulta J = O; posto p = 1, e derivando la (9.47) rispetto al tempo e sostituendo nella (9.46) si ottiene la nota equazione delle oscillazioni armoniche d2 A 7/t2 6)2A =
(*) L'estensione dalla singola traiettoria alla corrente di sezione finita, comporta, come abbiamo visto a proposito del teorema di Bernoulli (par. 5.8), una integrazione all'intera portata:
iac «Tt
i
v +
dQ=0,
da cui, ammessa la corrente lineare, posto dQ = vcIA, e dividendo infine tutto per Q -= VA, viene appunto:
a
I
p
ccV 2 + 2g )
dove T* = 27c16.) è il periodo delle oscillazioni che subisce il liquido, la cui ampiezza è pari a io. Naturalmente, trattandosi di liquido perfetto, le oscillazioni non sono smorzate. Il movimento risulta indipendente dalle dimensioni trasversali del tubo, mentre il periodo è indipendente dall'ampiezza delle oscillazioni.
P
av
g
at
J=
(9.47)
Una volta definito il termine J in dipendenza del regime di movimento esistente nel tubo, si può dedurre dalle (9.46) e (9.47) l'andamento nel tempo dei livelli.
iQ—dQA-g
t
A
b) Moto laminare. Se in qualunque istante del processo di movimento si può ammettere che il regime sia laminare, risulta:
= zi — z2
a
1/-
Integrando e posta la condizione iniziale à = Ao , V = O per t = O, si ricava : I
dA dzi dz2
335
OSCILLAZIONI DI MASSA
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
+J =
32v
gD2
V;
riterremo poi ancora, in prima approssimazione f3 1 (anzicché p = 4/3, come per il moto permanente; un'analisi più approfondita porta infatti a riconoscere, per il moto vario, distribuzioni della velocità più prossime a quella uniforme); con semplici passaggi si ottiene la seguente equazione differenziale lineare del secondo ordine: d2 A
32v dA
2g
dt2 + D2 dt L A= 0,
(9.48)
la cui integrazione porta a due differenti soluzioni in dipendenza dell'entità delle azioni resistenti. Per comodità di discussione, scegliamo le seguenti variabili adimensionali : . gD4 v = := t ; 8 128v2L A0 ' D2 Se e < 1, e cioè se le forze resistenti viscose sono preponderanti rispetto a quelle d'inerzia, l'integrazione della (9.48) porta alla relazione:
8
[ Sh('
— e)
N/1 — E
+ Ch( 1/1 — E)] e -T ,
336
che descrive un moto aperiodico nel quale il dislivello iniziale A o tende ad annullarsi asintoticamente senza alcun cambiamento di segno. Se invece è e > 1, le forze viscose non sono sufficienti a contrastare la tendenza all'oscillazione dovuta alle forze d'inerzia ed infatti dall'integrazione della (9.48) si ricava la relazione:
_ [s
en
-Ve — 1)
cos
—
1)1
337
OSCILLAZIONI DI MASSA
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
Il sistema delle (9.49) e (9.47) non risulta immediatamente integrabile, ma è possibile, eliminando il tempo fra le due equazioni, individuare il legame V = V( t), che permette di riconoscere alcune caratteristiche essenziali del transitorio. Per comodità di discussione conviene rifarsi a variabili adimensionali e perciò posto:
A
—; u = VK -V4gL ;
,
—1
che descrive un moto oscillatorio smorzato, di periodo pari a 27c/VE — 1 e di ampiezza decrescente con il tempo e tendente ad annullarsi asintoticamente. Nel grafico di fig. 9.18 sono tracciate, a titolo illustrativo, gli andamenti = 8(.7) per due situazioni, l'una con E < 1 e l'altra con E > 1.
= 4KgA0 ,
dal sistema delle (9.49) e (9.47) si ricava: Ti 2 8 du —
d6
2 u2
equazione differenziale di Bernoulli il cui integrale generale vale : u2 = 1 + -13 + Ce -÷- z8 .
(9.50)
La costante C d'integrazione è diversa per ogni fase del movimento, con direzione positiva o negativa; essa viene dedotta fase per fase tenendo presente che all'inizio di ciascuna di esse la velocità è nulla e il dislivello, massimo o minimo, è ricavabile dall'equazione che descrive la fase immediatamente precedente; per la prima fase si ha naturalmente 6 -- 1 per U = 0. Tenuto presente ciò, dalla (9.50) si può allora tracciare per tratti successivi la curva u = u( 8), che assume l'andamento qualitativo della fig. 9.19; il moto è sempre oscillatorio smorzato con attenuazione dell'ampiezza tanto più grande quanto più elevate sono le resistenze al moto. Qualora si volesse conoscere l'andamento A--- A(t) è necessario procedere alla integrazione per differenze finite del sistema a mezzo dei metodi numerici o grafici normalmente usati nella pratica.
(S
c) Moto turbolento. Il coefficiente (3 può ancora porsi pari all'unità, mentre per le resistenze ammettiamo valida in ogni istante una formula del tipo: J = KV2 , corrispondente alla situazione di moto puramente turbolento. La (9.46) diventa allora:
L dV — — — + LKV 2 = O , dt
( 9.49)
dove si deve scegliere il segno 4- o quello — a seconda che il moto sia diretto nel verso positivo oppure negativo delle s (con la convenzione fatta (fig. 9.17) moto da sinistra verso destra oppure viceversa).
FIG. 9.19
338 9.4.2
MOTO VARIO DELLE CORRENTI IN PRESSIONE
Pozzi piezometrici
Il processo di moto vario che interviene nel sistema galleria in pressione-pozzo piezometrico (fig. 9.1) a seguito di una qualsiasi manovra dell'otturatore delle turbine può essere trattato (vedi paragrafo 9.2) ammettendo l'incomprimibilità del liquido e l'indeformabilità della condotta ed inoltre, salvo casi eccezionali, come se la condotta forzata non esistesse e l'organo di intercettazione della portata fosse posto immediatamente a valle del pozzo piezometrico; si può perciò fare riferimento allo schema della fig. 9.20, nella quale sono anche indicati i simboli delle diverse grandezze che interessano il transitorio.
FIG. 9.20
Prima di svolgere la trattazione analitica, merita condurre un'analisi qualitativa del processo di moto, che ne illustri gli aspetti fondamentali; per semplicità viene fatto riferimento ad una manovra dell'otturatore che provochi la brusca interruzione della portata defluente nella condotta forzata. Nelle condizioni di moto permanente precedenti la manovra, in galleria e nella condotta forzata definisce la medesima portata; nel pozzo piezometrico l'acqua è in quiete, con livello corrispondente alla quota piezometrica della corrente alla base del pozzo stesso. Allorché interviene la manovra dell'otturatore, che possiamo ritenere istantanea, il movimento nella galleria non subisce alcuna variazione, ma la portata in arrivo, anzicché proseguire nella condotta, entra nel pozzo piezometrico, innalzandone gradualmente il livello e corrispondentemente elevando la quota piezometrica della corrente alla sua base; ciò provoca una continua diminuzione della portata in galleria. Quando il livello nel pozzo raggiunge la quota del pelo libero nel serbatoio, la portata della
OSCILLAZIONI DI MASSA
339
galleria non si è ancora annullata, in virtù delle forze d'inerzia della massa liquida in essa contenuta; perciò il livello nel pozzo continua a salire finché raggiunge un massimo quando si verifica l'annullamento della portata in galleria: in questo istante, l'energia cinetica posseduta dalla massa liquida contenuta nella galleria all'atto della manovra si è trasformata, a meno di quella persa per vincere le resistenze, in energia potenziale della massa liquida accumulatasi nel pozzo. La nuova situazione di quiete così raggiunta non è però evidentemente una situazione di equilibrio, e perciò da questo istante ha inizio una fase di vuotamento del pozzo piezometrico e di inversione del moto in galleria, che risulta diretto ora dal pozzo al serbatoio. In questa fase, al continuo abbassamento del livello nel pozzo corrisponde dapprima un aumento della velocità in galleria e successivamente, superato un massimo, un decremento che prosegue fino all'annullamento della velocità stessa; ciò si verifica quando il livello nel pozzo è al disotto della quota nel serbatoio, in una posizione di minimo. Pur avendo di nuovo raggiunto la quiete, il sistema non è però ancora in equilibrio e si verifica una seconda fase di moto dal serbatoio al pozzo che porta ancora ad un sopraelevamento del livello nel pozzo; questo risulta però inferiore a quello realizzatosi in precedenza, a causa delle perdite di energia avutesi per effetto delle resistenze. Il processo di moto continua con una serie di oscillazioni del livello nel pozzo e della portata in galleria, che via via si smorzano finché viene raggiunta la condizione di equilibrio finale, quando tutta l'energia cinetica della massa liquida della galleria si è dissipata per effetto delle resistenze al moto. Caratteristiche del tutto analoghe presenta il processo di moto conseguente ad una qualsiasi manovra dell'otturatore che faccia passare la portata dell'impianto da un valore iniziale 9 1 ad un altro finale 92 : il livello nel pozzo e la portata in galleria oscillano entrambi intorno ai rispettivi valori corrispondenti alle condizioni di moto permanente del nuovo regime con portata 92. A seconda che la manovra comporti una diminuzione oppure un aumento della portata (91 Q2) il livello nel pozzo subisce inizialmente un innalzamento od un abbassamento; in questa prima fase si raggiungono i massimi valori dell'escursione positiva o negativa di tutto il processo di movimento. Nella pratica interessano esclusivamente proprio questi massimi valori dell'escursione: quello positivo, perché determina l'altezza del pozzo e perché ad esso corrisponde la massima pressione che si stabilisce in galleria e sulla base della quale devono essere condotti i calcoli statici relativi al rivestimento della galleria stessa e di ogni altro manufatto che deve sottostare a detta pressione; quello negativo perché è necessario che nell'impianto non venga mai immessa aria e perciò il livello nel pozzo deve sempre mantenersi ad una quota più elevata di quella del raccordo fra la galleria e la condotta forzata.
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Z
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CARATTERE CINEMATICO DEI DUE TIPI DI CORRENTE
384
preferiamo stabilire la distinzione tra fiumi e torrenti in base ad altri criteri, di natura idrologica, per esempio in base alle perennità, o meno della portata: e ci atterremo quindi alle definizioni degli alvei sopra precisate. 10.5
385
CORRENTI A PELO LIBERO
Carattere cinematico dei due tipi di corrente
Lo stato critico delle correnti a pelo libero è stato individuato, come si è visto, sulla base di considerazioni energetiche; ne è derivata una distinzione fra le correnti lente e le correnti veloci, apparentemente soltanto formale, in base a una semplice definizione analitica. In realtà il comportamento fisico dei due tipi di corrente è così differente da giustificarne in pieno la distinzione. La differenza sta soprattutto nelle modalità, con cui si propagano le perturbazioni di livello: si riconosce precisamente che la celerità, di propagazione delle piccole perturbazioni è superiore alla velocità del movimento nelle correnti lente, inferiore invece nelle correnti veloci. Mostreremo questo fatto, per semplicità di trattazione analitica, con riferimento al caso particolare di un'onda positiva che si propaga verso valle in un alveo rettangolare; ma la dimostrazione, con ovvi adattamenti, è di validità generale. Essa costituisce, tra l'altro, una interessante applicazione dell'equazione globale dell'equilibrio dinamico dei liquidi ad una situazione di moto vario. Si abbia dunque una corrente in un alveo rettangolare, e supponiamo anzi (ma ciò non è essenziale per la trattazione) che il moto sia uniforme, con altezza ho e velocità, media Vo (fig. 10.18). Ad essa si sovrapponga
percorso dall'onda nell'unità, di tempo : tronco, che sarà appunto lungo a, compreso tra la sezione m—m che sta per essere raggiunta dal fronte in un determinato istante e la sezione n—n che il fronte ha superato un secondo prima. Proiettiamo l'equazione stessa nella direzione del moto e trascuriamo, perché entrambe piccole e di segno contrario, la componente del peso e la resistenza dell'alveo; le forze esterne da mettere in conto si riducono pertanto alle spinte idrostatiche sulle due sezioni estreme del tronco, e più precisamente alla differenza dei loro moduli: con riferimento ad un metro di larghezza della sezione trasversale, essa vale : 1
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1
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2
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Dovremo aggiungere la differenza dei moduli delle quantità di moto possedute rispettivamente dalla massa entrante, nell'unità di tempo, attraverso la sezione n—n, e da quella uscente attraverso la sezione m—m (*):
phig. — phoVó • L'effetto delle forze reali e fittizie ora dette consiste in un incremento nell'unità di tempo delle quantità di moto del liquido racchiuso nel tronco: è precisamente quel termine che, nell'illustrare il significato dell'equazione globale (par. 4.2), abbiamo chiamato inerzia locale. Ora questo incremento consta di due parti: innanzi tutto la massa liquida palio varia la propria velocità da Vo a V1 , e si ha perciò un incremento di quantità di moto: p ah o (V1 — Vo ) ;
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I
i
inoltre la massa liquida compresa nel tronco aumenta della parte dovuta all'onda pa (h]. -- ho), la quale si troverà infine soggetta alla velocità V1 ; si avrà pertanto un ulteriore incremento di quantità di moto :
4 I
pa(hi
%
•
n
-m
ho)
;
e complessivamente:
FIG. 10.18
un'onda positiva di altezza 3, sicché dopo il passaggio del suo fronte (che schematizziamo in un fronte ripido) l'altezza risulti hi = ho + 8; anche la velocità subirà una variazione, assumendo il valore V1. Diciamo a la celerità assoluta della perturbazione, cioè la velocità con cui il fronte d'onda avanza rispetto all'alveo fisso; e diciamo c = a — Vo la celerità relativa, cioè la velocità, con cui la perturbazione si propaga rispetto alla corrente base, di velocità Vo Applichiamo l'equazione globale della dinamica al tronco di corrente
—
pa(ho — h0 V0 hi V1 — ho Vi) = pa(hi — ho Vo) . L'equazione globale si scriverà dunque: 1
2
2 p(hi
— ho Vó) = pa(hi. — ho Vo),
(*) Poniamo, per semplicità, uguale a 1 il coefficiente
p di ragguaglio.
386
CARATTERE CINEMATICO DEI DUE TIPI DI CORRENTE
CORRENTI A PELO LIBERO
o anche, dividendo tutto per y e introducendo la celerità relativa in luogo dell'assoluta: 1
I/ 2
o ancora: 1 — (hi h,0) 2
2
1
,2
hi
F " '0) = — [ho vo = — [h' vi( vo
—
9
+ ( e + Vo) h]. (
— ho Vo ) ] =
V1) + c(hi — Vo)]
1 ho
hi
g
Di qui possiamo ricavare la celerità relativa:
(10.19) e =
ghi
L
-_ (mi
2 ho Nell'equazione ora scritta, assegnato il moto base e l'altezza 3 della perturbazione, risultano incognite la velocità V i conseguente al passaggio dell'onda e la celerità c; occorre dunque, per la loro determinazione, un'ulteriore equazione, che però, al solito, ci viene fornita dal teorema di continuità. Sempre con riferimento alla fig. 10.18 esso esprime il fatto che la portata entrante attraverso la sezione a monte del tronco considerato, , diminuita della portata uscente da valle, Voho , deve accumularsi nel tronco stesso, nell'unità di tempo, per costituire il corpo dell'onda, di lunghezza a e di altezza 8. In formula: — Volto = a(hi — ho) •
a=
—
( — Vo)•
(10.20)
Mediante queste ultime relazioni la (10.19) può essere trasformata, eliminando le velocità di trasporto Vi e Vo e facendovi comparire, oltre alle altezze, la sola celerità relativa c; dalla (10.20) si ricava: hi Vi( Vo
—
= Vic(ho —
e sostituendo nella (10.19) C l „ 2 1 2, --— no) = —e--- ho( — Vo) ; 2
sostituendo ancora il valore di ( — Vo) dato dalla (10.20), si ha: 1
2 (h1
1
g
h1-h0 62h0,
g ho +
2
ho
a
(2h0
L
,
(10.21)
n0/ ;
su
a\ — ho ) + -2-4) gho (1 + —
a)=-± 3
e poi della celerità relativa: c = a — V0 —
i/ =V
1
a
= ligh o (1 + —2—
— Voho h1 —h0
,
abbiamo dunque due valori, uguali in modulo e contrari di segno, i quali si riferiscono evidentemente alle due possibilità di propagazione della perturbazione rispetto alla corrente base: verso valle (segno celerità diretta nello stesso senso della velocità della corrente), oppure verso monte (segno —). Introducendo l'altezza 8 dell'onda, e cioè ponendo hi = ho + 8, la (10.21) si può anche scrivere :
e
Si possono ricavare di qui i valori della celerità assoluta:
387
+ 2 h2 ) o
Questa formula ha validità generale (anche per 8 non piccolo), ma limitata alle perturbazioni a fronte ripido (*); lo sono in genere, come mostra l'esperienza e come si può ricavare anche da qualche considerazione teorica, le onde positive provocate da manovre non troppo lente. Se poi ammettiamo che 8 sia piccolo rispetto ad h 0 , in modo da poter trascurare il quadrato del loro rapporto, si giunge alla formula, dovuta a Bazin:
=
3
8
2 ho
Se infine consideriamo 8 infinitesimo la formula si semplifica ancora e si giunge all'espressione di Lagrange:
c = ± Vgho ; essa fornisce appunto la celerità di propagazione delle perturbazioni infinitesime, ed è di validità del tutto generale: vale anzi la pena di far notare (*) La limitazione deriva dall'espressione data al volume dell'onda nell'equazione di continuità e alla sua massa nella equazione globale.
388
CORRENTI A PELO LIBERO CARATTERE CINEMATICO DEI DUE TIPI DI CORRENTE
come l'ipotesi del moto base uniforme non sia per nulla entrata nella trattazione svolta, sicché la formula, che scriveremo più genericamente: c = ± Vgh ,
(10.22)
389
l'immersione avviene in acqua stagnante, si forma attorno al punto di immersione un'onda circolare, che si espande mantenendo immutata la propria forma e il proprio centro (vedi fig. 10.19a, dove sono segnate le posizioni raggiunte dall'onda dopo uno, due, tre secondi). Se l'immersione
vale anche se la perturbazione si sovrappone ad una situazione di moto permanente (rappresentando allora c la celerità relativa nella sezione dove la profondità è h) o addirittura ad una preesistente situazione di moto vario. Confrontiamo ora il valore della celerità c trovata per le perturbazioni infinitesime con quello della velocità iniziale V della corrente. Se la corrente è lenta questa velocità V è, per definizione, inferiore alla velocità critica, mentre l'altezza h è maggiore di k; avremo dunque, ricordando la (10.9), in cui, per coerenza con quanto fatto nella deduzione di c, porremo a = 1: V < Vgk < Vgh = Ici ; viceversa, se la corrente è veloce, la sua velocità è superiore a quella critica mentre l'altezza h è inferiore a k, ed avremo: v> Vgk > Vgh = icl . Possiamo pertanto concludere che la celerità relativa di propagazione delle piccole perturbazioni è maggiore o minore della velocità della corrente, a seconda che questa sia lenta o veloce. Questo risultato, che abbiamo dimostrato per gli alvei rettangolari, si riconosce valido in generale per gli alvei con sezione trasversale di forma qualsiasi, occorrendo soltanto sostituire nella (10.22) alla h la profondità media hm e ricordando che per essi la velocità critica vale Vgk m . La conseguenza è ovvia: le piccole perturbazioni provocate in una corrente lenta possono non solo propagarsi lungo l'alveo verso valle, con celerità assoluta a = V + Vgh > 0, ma anche verso monte, con cele rità assoluta a = V — Vgh, < O; per contro le piccole perturbazioni provocate in una corrente veloce non possono che propagarsi verso valle, giacché anche quelle che rimontano la corrente con celerità relativa c = = — Vgh presentano rispetto all'alveo una celerità assoluta: a = V — Vgh > 0 , e si propagano quindi verso valle. Ne deriva, tra l'altro, tutto un diverso aspetto dei profili di moto permanente possibili nei due tipi di alveo, a debole e a forte pendenza, come riconosceremo più avanti. Si può avere una facile riprova sperimentale dei risultati ottenuti immergendo verticalmente un bastone nella corrente. P ben noto che, se
Fio. 10.19
avviene in una corrente lenta (fig. 10.19b), l'onda si espande sempre circolarmente, ma contemporaneamente il suo centro si sposta verso valle con la corrente, cioè con la velocità V: il fronte d'onda riesce però a propagarsi anche verso monte, seppure con celerità minore che verso valle. Se infine l'immersione avviene in una corrente veloce, la velocità con cui il centro dell'onda circolare segue la corrente è superiore alla celerità c, e quindi anche il fronte dell'onda diretto contro corrente è costretto a spostarsi verso valle; ne derivano, per inviluppo delle successive posizioni assunte dall'onda circolare, due fronti d'onda rettilinei, assai evidenti all'osservazione, che
390
CORRENTI A PELO LIBERO
i
escono dal punto O di immersione e formano, con la direzic un angolo
Ila corrente
= arc sen --c-- .
l
CORRENTI IN MOTO PERMANENTE. PROFILI DEL PELO LIBERO
pelo d'acqua, e cioè la linea piezometrica, potrà essere discendente o ascendente nel senso del moto, anche rispetto all'orizzontale, come riconosceremo. Si ha immediatamente :
V
(v. fig. 10.19c). Le osservazioni che precedono possono essere a base di un facile criterio pratico distintivo dei due tipi di corrente. Il rapporto fra la velocità e la celerità delle piccole perturbazioni:
Fr —
è detto numero di Froude : esso è maggiore di I per le correnti veloci e minore di 1 per quelle lente. Accenniamo al fatto che questo numero è molto importante nella teoria dei modelli delle correnti a pelo libero: per la similitudine dinamica fra modello e originale è necessario che esso abbia per entrambi lo stesso valore.
Correnti in moto permanente. Profili del pelo libero
Consideriamo ora una corrente in moto permanente, in mi alveo la cui forma lasciamo per il momento imprecisata, con le sole condizioni che la pendenza sia piccola e le variazioni di sezione piuttosto graduali, sicché la COrrente stessa possa considerarsi lineare; ammettiamo inoltre Q = cost, _ ,-cioè che la corrente non riceva nè perda fluido lungo il percorso. Isoliamo (fig. 10.20) un tronco infinitesimo di lunghezza da; lungo di esso il fondo,
—_,-_ _ .---r—_.-,-.—_ .....__.____..-_. 4
ai', 2g
Y_ ids -- - -1-
- E - -7 - -- — -- -- — -- - - -I
dE d E+ +d--i- s
+ ds
i
ids
i t
dE ids + E = E + — ds Jds , ds e quindi :
dE
=
.
J.
(10.23)
v 1797i-r m.'
10.6
391
ds Fio. 10.20
se l'alveo è declive, come supporremo, si abbassa di ids; la linea dei carichi totali si abbassa di Jds, se con J indichiamo la cadente, cioè la perdita di carico per unità di percorso dovuta alle resistenze continue; per contro il
si viene con ciò ad esprimere il fatto che l'energia specifica totale rispetto al fondo aumenta per l'abbassamento del fondo stesso (cioè del riferimento) e diminuisce per effetto delle resistenze; si è scritta senz'altro la derivata totale della E, giacché nell'ipotesi del moto permanente la E stessa è funzione della sola variabile indipendente s. Tenuta presente la definizione della E potremo anche scrivere :
ocQ3 dA gA 3 da
dh da
Sempre per un alveo del tutto generico, l'area A della sezione occupata dal liquido può variare non soltanto perché varia la h, ma anche perché, con la s, possono variare la forma e le dimensioni della sezione trasversale, sicché:
dA OA da as
aA + ah
aA
dh da
as
dh da ;
potremo quindi scrivere:
dh, da
ocQ2 B \ gA 3 )
CCQ2
aA
gA 3 as
j.
(10.24)
questa la più generale equazione differenziale del profilo del pelo libero di una corrente gradualmente variata in moto permanente, con portata costante; essa è stata scritta sostanzialmente per la prima volta dall'idraulico italiano Venturoli verso il principio del secolo scorso. Si è già ricordato che in essa la A (e così pure la B, larghezza del pelo libero) deve intendersi come funzione nota di s e di h; nel caso particolare, assai importante per le applicazioni, che l'alveo sia cilindrico, si annulla l'ultimo addendo del primo membro e sia la A che la B restano funzioni (note) della sola h. Resta ancora da precisare qualcosa circa la J, cioè la dissipazione di energia specifica per unità di percorso della corrente. Si è sempre ammesso, ed ormai si è confortati in ciò dai risultati di accurate ricerche sperimentali, che si potesse adottare per la J la stessa espressione valevole per il moto
CORRENTI IN MOTO PERMANENTE. PROFILI DEL PELO LIBERO
392
CORRENTI A PELO LIBERO
uniforme, cioè l'espressione di Chézy; ma è ovvio che il coefficiente di scabrezza C, dipendendo dal raggio idraulico, deve pure considerarsi funzione di 8 (per il tramite della sola h, nel caso di alveo cilindrico). La prima integrazione della (10.24) è stata fatta dal francese Bresse, intorno al 1860, per il caso particolare di un alveo cilindrico a sezione rettangolare molto larga (R h) e la funzione integrale è riportata su molti testi e manuali; ma a base della soluzione di Bresse c'è l'ipotesi molto restrittiva che il coefficiente C di Chézy possa considerarsi indipendente da h, il che non è praticamente mai accettabile, se non per escursioni di h molto limitate; sicché al risultato di Bresse non possiamo attribuire che un significato qualitativo. Altre soluzioni, più o meno rigorose, in genere complicate, sono state date per diverse forme della sezione trasversale: triangolare, parabolica, ecc.; in genere per sezioni cosiddette monomie, in cui cioè l'area sia esprimibile come funzione monomia dell'altezza. Ricordiamo, senza entrare in particolari, la soluzione piuttosto generale dovuta a Balehmeteff, che, largamente tabulata, è riportata in molti manuali ed è ormai di impiego abbastanza diffuso. Può essere del resto più pratico procedere alla integrazione con un metodo per differenze finite, il quale ovviamente risulta adottabile per qualsiasi alveo, per esempio anche per i corsi d'acqua naturali, sempre più o meno irregolari. Conviene, a questo scopo, rifarsi direttamente all'equazione (10.23), che scriveremo, sostituendo incrementi finiti ai differenziali: AE As = (10.25) i—J Daremo più avanti qualche maggior dettaglio circa la materiale esecuzione dei calcoli a mezzo della (10.25). Ora vogliamo trarre dalla stessa (10.23) indicazioni qualitative circa l'andamento dei possibili profili di moto permanente, almeno per il caso degli alvei cilindrici, per cui la E risulta funzione di s per il tramite della sola h; si ha quindi:
dE dE dh ds dh ds •
(dEldh < 0) per le correnti veloci (h < k), crescente (dEldh > 0) per le correnti lente (h > k); come caso limite, dEldh = O in corrispondenza dello strato critico. Per quanto riguarda il numeratore, esso ovviamente si annulla in condizioni di moto uniforme, giacché allora la linea dei carichi totali risulta parallela al fondo (i = J); e si ha conseguentemente dhlds = 0, che è appunto la definizione del moto uniforme. Accettando poi, come si è detto, per la perdita di carico unitaria l'espressione: V2
dh i — J ds dE dh
(10.26)
Il denominatore della frazione a secondo membro rispecchia il modo come varia l'energia specifica in funzione dell'altezza nella generica sezione trasversale. Lo abbiamo già riconosciuto nel grafico di figura 10.10: abbiamo visto in particolare che la E risulta decrescente al crescere di h
(92
C2R C 2RA 2 si riconosce subito che essa è tanto più piccola quanto maggiore è h, giacché con h crescono tutti i fattori del denominatore (con esclusione, come abbiamo visto, della zona più elevata delle sezioni chiuse, per cui dovrebbe farsi un'analisi particolare): e se ne trae in particolare la conclusione che il numeratore della (10.26) risulta positivo (i > J) per altezze d'acqua superiori a quella del moto uniforme (h > ho), negativo invece per altezze inferiori a quella del moto uniforme (h < ho ). Le considerazioni fatte servono di base alla discussione dei possibili profili. Osserviamo intanto in generale che, quando l'altezza d'acqua si accosta a quella del moto uniforme, la dhlds tende a zero, cioè il profilo tende a disporsi parallelo al fondo e quindi al profilo del moto uniforme; il che significa, in definitiva, che il moto uniforme può essere raggiunto soltanto in via asintotica. Osserviamo per contro che, quando l'altezza si accosta al valore critico k, il denominatore della (10.26) tende ad annullarsi, e pertanto il profilo tende a disporsi perpendicolare al fondo, (cioè sensibilmente verticale, nell'ipotesi fatta che i sia molto piccola); quest'ultima circostanza va però intesa soltanto come una astrazione analitica, in quanto è ben evidente che, qualora essa si avverasse, cadrebbe l'ipotesi basilare della linearità della corrente: in realtà l'esperienza mostra che nel passaggio graduale attraverso lo stato critico il profilo del pelo libero, senza disporsi verticale, assume però una forte pendenza rispetto all'orizzontale. Conviene ora studiare separatamente quel che può avvenire negli alvei a debole o a forte pendenza. 10.6.1
Si trae allora dalla (10.23):
393
Alvei a debole pendenza
sse, ata la portata,_possiamo ricavare l'altezza ho del moto uniforme relazione_di Chézy, e l'alfeiia critica dal graff6o - di fig. 10.10 (6-più semplicemente dalla formula (1 -0.8) quando la sezione trasversale sia rettangolare); Crffveremo, a norma della definizione, ho > k. Tracciamo allora (fig. 10.21) le due rette parallele al fondo e distanti daesso rispettivamente k-e_ h 0 : l'ultima, in particolare, corrisponde al profilo del moto uniforme. Queste due rette ed il fondo dell'alveo delimitano tre zone, entro ognuna
394
CORRENTI A PELO LIBERO
CORRENTI IN MOTO PERMANENTE. PROFILI DEL PELO LIBERO
delle_quali può svilupparsi_2_ t ,.p.L-ofilo di moto permanente : vediamoli singolarmente.
c---- P—rofiloPer-D1h >-__ ho > k, -
si ha una corrente lent con altezza superiore a, quella _ del moto uniforme. A norm a osservato in via generale, sia il numeratore che il denominatore, del secondo membro de a_ (30 9 6) sono positiyi,c,si ha_Pertanto 0. il che significa che l -- -ente .-. _ e — ethicis — è ritart,-EtàS _ -
--
--__
,
---- -__
_
395
denominatore_della frazione a secondo membro della (10.26)o negativi, > Ó, sicché il moto risulta ritardato. Verso va k le al: e pertanto liezza che il profilo teorico raggiungerebbe zie_hicresc_o.no e fe- ndono te— con tangente verticale: il profilo è quindi ascendente non solo rispetto al fondo, ma anche rispetto all'orizzontale. Verso monte le h decrescono: il profilo teorico, dopo aver tagliato il fondo dell'alveo, presenterebbe valori' di h negativi, privi ovviamente di significato fisico: con ragionamento analogo a quello svolto per il profilo D1 si riconoscerebbe l'esistenza di un asintoto orizzontale (*). Per riconoscere l'effettivo andamento del profilo in prossimità del fondo, occorre nella (10.26) esplicitare la J; lo faremo, per semplicità, per l'alveo rettangolare molto largo (R h), adottando l'espressione (7.64) di Strickler per il coefficiente C, e cioè ponendo 9,2
9,2
_- --
=_C2h,3
G2h1013
i-i FIG.
10.21
ci si spinge verso monte si trovano valori di h decrescenti e quindi sempre più prossimi ad ho ; anche la pendenza del profilo tende ad i: il . moto uniforme viene dunque raggiunto asintoticamente verso monte. Verso valle invece le h cresco e, teoricamente, possono tendere all'infinito; &l'esistenza, tende con ciò ad annullarsi ed il numeratore - - -- del secondo membro della (10.26) tende ad i; il denominatore invece tende all'unità, come si riconosce dal fatto che la E(h) ha un asini-opto nella bisettrice del primo quadrante: ne consegue che, verso valle, dhlds tende ad i il che significa che il profilo terrae a disporsi orizzontalmente,_ giacché il pelo d'acqua si solleva rispetto _al fondo di altrettanto quanto il fondo si abbassa rispetto all'orizzontale. ssurnendo dunque il profilo D1 presenta due asintoti; verso monte esso tende asintoticamente al moto uniforme, verso valle ad un asintoto orizzontale. aconente Perso >12, > t, abbiamo ancor lenta) ma con profoninferiore a quella del moto uniforme; JA.fraLlgne secondo membro della _(I 0.26) ha il numeratone.gatiwkAaArLdenominatore positivo, e pertanto dhids < 0, sicché i :Wto risulta accelerato ocedendo verso monte troviamo valori di h crescenti e quirdnen enti a ho, valore che viene raggiunto in via a,sintotica; per contro, verso valle le h, decrescendo, tendono a k e il profilo raggiunge lo stato critico con tangente verticale. Profilo D3
Per h0 > k > h la corrente risulta veloce _• o dunque di fronte ad una corrente veloce in 'alvIao-a-,debole pendeifa Sia il numeratore che il
ricordando inoltre che (par. 10.3): dE
c,q2
dh
gh3
dh ds
c2hio13
risulta:
q2
aqz 1— — gh3
Per h tendente a zero il numeratore è infinito di ordine 10/3, mentre il denominatore è infinito di ordine 3; la frazione tende quindi all'infinito, e il profilo si dispone verticale, come indicato in fig. 10.21. P necessario aggiungere che nelle situazioni reali, (come mostreremo con esempi) il profilo non inizia mai dal fondo. 10.6.2
Alvei a forte pendenza
In_questo caso, per unkassegnata portata, l'altezza del moto uniforme risulta inferiore all'altezza critica:A° < k. In fig. 10.22-abbiamo segnato le rette h = ho (profilo del moto uniforme) ed h = k, che delimitano, col fondo dell'alveo, tre zone, entro ciascuna delle quali può svolgersi un profilo di moto permanente.
—
(*) Bisogna a questo scopo considerare l'intero sviluppo della E (h); si riconosce che la curva di fig. 10.10, che è una cubica nel-caso della sezione rettangolare, presenta un altro ramo, che si svolge nel LEI e IV quadrante e ha pure mi asintoto nell'asse positivo delle E e un altro asintoto nella bisettrice del III quadrante.
396
CORRENTI A PELO LIBERO CORRENTI IN MOTO PERMANENTE. PROFILI DEL PELO LIBERO
Fio. 10.22
FI Per h > k > ho abbiamo una corrente lenta; la sola corrente lent possibile in alveo a forteza. Sia il numeratore che il denominatore della solita frazione sono positivi, e si 6, quindi dhlds > 0; se ci si muove verso monte si trovano diiie valori decrescenti delle h, che tendono al valore_ critico k, il quale viene raggiunto con tangente verticale: il profilo risulta dunque ascendente rispetto al fondo. Uno_ valle, per profondità crescenti teoricamente fino all'infinito un ragionamento identico a quello svolto per il profilo DI porta a riconoscere l'esistenza di un asintoto orizzontale. --Per, k > h > ho .bbiamo un: corrente velo - , con altezza maggiore di quella del moto_uniforme. La fra i e a se i do membro della (10.26) ha il numeratore ositivo,ina il denominatore negativo, e pertanto dhlds < < O, e il nQo risulta aeCe era erso monte le h tendono a k che il profilo _raggiunge con tangente_veítkale ; verso valle le h, decrescendo, tendono adJz „mentre la pendenza del profilo tende ad i (dhlds tende a zero); il moto upiforme viene ripristinato asintoticamente verso valle. rofilo Per k > ho > h la corrente è ancora veloce,)ed anzi la sua altezza è -inferiore a quella del moto uniforme. Numeratore e denominatore della frazione sono entrambi negativi, e quindi dhlds > ..,nrit~erso valle, per h crescenti, si tende asintoticamente al moto-uanme ; la pen_ denza del profilo tende pure a quella del moto uniforme, sicché il profilo, pur riguardando una corrente ritardata, risulta discendente rispetto all'orizzontale. Verso monte il profilo teorico, dopo aver attraversato il fondo, presenterebbe valori di h negativi, crescenti in valore assoluto, e col solito ragionamento si riconoscerebbe una tendenza a un asintoto orizzontale. Vale_pert_ò_anche_q-ui lo stesso ragionamento svolto per il profilo D3. Dal_confronto fra i sei profili di moto permanente che abbiamo indi_
397
viduato e descritto, possiamo ora trarre qualche conclusione di carattere generale. Riconosciamo innanzi tutto che negli alvei a debole il moto uniforme, _ che è di corrente lenta, viene sempre raggiunto asintotiamente verso monte; per contro, negli alvei a forte pendenza il moto_ c----uniforme, di corrente veloce, viene raggiunto a,sintoticamente verso valle: Questa constatazione si riconnette con quanto abbiamo trovato a proposito del modo di propagarsi delle perturbazioni nei due tipi di corrente. Originata in una sezione qualsiasi di una corrente lenta, una perturbazione, che determina uno scostamento dal regime uniforme, può risalire lungo l'alveo fino all'infinito a monte; in una corrente veloce, invece, essa non può che propagarsi verso valle. „Allo stato critico si tende sera e re verso valle negli alvei a debole pe denza_ verso monte negli alvei a forte pendenza,Ainahincine_ala il tipo della che la corrente rre-nti co— Osserviamo ancora che, dei sei profili quattro corrispondono a, ritarda, a correnti accelerate: questi ultimi si svolgono nell'interiiiC--a-e7-7-1gne a ire-rmtTe vàlkidi altezze compresea5-c11 _ qualunque sia la pendenza dell'al!.. Un breve cenno infine al caso degli alvei con pendenza proprio uguale alla critica, osservando però a priori che, in caso di moto non uniforme, possiamo a rigore parlare di alveo a pendenza critica soltanto se ammettiamo costante (cioè indipendente da h) il coefficiente C di Chézy (v. par. 10.4). Con questa riserva, notiamo che, per definizione, si ha in questo caso ho = k; nella retta h = ho = k vengono anzi a confondersi anche i due profili D2 e F2 delle due correnti accelerate delle figg. 10.21. Sono poi possibili altri due profili di moto permanente (fig. 10.23). Cl
C3 D2
F2
ho= k
FIG. 10.23
Un primo CI, con h > ho = k, può intendersi come caso limite dei due profili DI e Fl ; poiché il profilo DI è discendente, l'Fl ascendente rispetto all'orizzontale, nel verso del moto, sembra ragionevole ritenere che il profilo limite che si verifica nell'alveo a pendenza critica sia sensibilmente orizzontale (*). L'altro profilo possibile, C3, per h < ho = k, può pure (*) Questa circostanza può essere dimostrata in modo analiticamente rigoroso per il caso semplice di Bresse (alveo rettangolare molto largo).
1J0
398
CORRENTI IN MOTO PERMANENTE. PROFILI DEL PELO LIBERO
399
CORRENTI A PELO LIBERO A
considerarsi come caso limite dei due profili D3 e F3, e può pure ritenersi orizzontale, per la stessa ragione sopra accennata. Riassumendo dunque, in un alveo a pendenza critica si possono presentare tre situazioni: quella di moto uniforme con altezza critica e due di moto permanente, con corrente rispettivamente lenta o veloce, entrambe caratterizzate da un profilo praticamente coincidente con una retta orizzontale. 10.6.3
Tracciamento dei _p_rofili di moto permanente
I- I i
A
FIG. 10.24
Abbiamo visto come i profili di moto permanente siano analiticamente rappresentabili a mezzo di una equazione differenziale ordinaria del 10 ordine, in sostanza la (10.23) o, in forma più esplicita, la (10.24); sono dunque definiti a priori a meno di una costante arbitraria, la quale può essere precisata in modo ovvio: imponendo la condizione che in una determinata sezione e = s*, si abbia una determinata altezza h = h*. (*) Ora è chiaro che questa condizione al contorno va ricercata in corrispondenza della causa perturbatrice, che provoca, in una certa sezione, una altezza h diversa da quella del . moto uniforme: altezza h che andrà stabilita proprio in base al modo di agire della causa perturbatrice, come mostreremo più avanti con qualche esempio. Ma vogliamo qui subito precisare una circostanza, che è di importanza essenziale non solo per la corretta interpretazione del processo di moto, ma anche per il tracciamento pratico dei profili : la causa perturbatrice può esercitare la propria influenza verso monte soltanto se la corrente su cui agisce è lenta (o diventa lenta per causa sua), può esercitarla verso valle soltanto se la corrente è veloce (o diventa veloce per causa sua). La prima parte di questa affermazione è quasi ovvia: abbiamo infatti mostrato che le perturbazioni si propagano con celerità relativa inferiore alla velocità della corrente, se questa è veloce, sicché in questo caso non possono risalire l'alveo: la corrente veloce non può quindi subire influenze da valle. Dimostreremo ora la seconda parte, meno intuitiva, con ragionamento del tutto diverso (**), per assurdo. Supponiamo dunque di avere una corrente lenta uniforme e che su di essa agisca una causa di perturbazione, (fig. 10.24) nella sezione A—A; supponiamo che tale causa abbia provocato a valle di essa, per esempio, un innalzamento del pelo libero rispetto al livello del moto uniforme (h > ho). Questo innalzamento, propagandosi verso valle, dovrebbe attenuarsi (linea a) poiché è evidente che nell'alveo indefinito tende a ricostituirsi il moto uniforme con altezza h. Ma a valori
di h decrescenti corrispondono nella corrente lenta (fig. 10.10) anche valori decrescenti dell'energia specifica E, sicché dovrebbe aversi dEids < 0: il che è in evidente contrasto con quanto richiesto dalla formula (10.23), giacché nella corrente perturbata, con altezza maggiore di quella del moto uniforme, la cadente J non può essere che minore di i,. Se viceversa la causa perturbatrice avesse provocato un abbassamento di livello (linea b), esso dovrebbe pure attenuarsi verso valle, cioè dovrebbe aversi dhlds > O e quindi anche dE/de > 0; anche qui in contrasto col fatto che la corrente, con altezza h < h , deve dissipare più energia che nel moto uniforme (J > i). Notiamo qui incidentalmente che, con questa precisazione circa la possibile localizzazione della causa perturbatrice, tutti i sei profili che sono stati indicati nelle figg. 10.21 e 10.22 tendono a ricostituire il moto uniforme allontanandosi dalla causa stessa. Così in fig. 10.21, i due profili D1 e D2 di corrente lenta, determinati da una circostanza posta a valle, ristabiliscono il moto uniforme asintoticamente verso monte; quello inferiore, di corrente veloce, originato da monte, tende pure, con le sue altezze crescenti, a ricostituire il moto uniforme verso valle, ma, corrispondendo questo a una corrente lenta, il suo ripristino implica un preventivo passaggio attraverso lo stato critico. Analoghi ragionamenti possono svolgersi per i profili di fig. 10.22. Nei riguardi pratici tutte le considerazioni esposte portano a riconoscere che la condizione al contorno per la precisazione dell'integrale particolare dell'equazione del profilo, e quindi il punto di partenza per il materiale tracciamento del profilo stesso, vanno ricercati all'estremo a valle, se la corrente è lenta, all'estremo a monte, se la corrente è veloce. In questa sezione estrema dovrà dunque ritenersi nota l'altezza h* determinata dalla causa perturbatrice e quindi sarà noto anche il dislivello h* —h o rispetto al moto uniforme: dislivello che, come vedremo con qualche esempio, può essere positivo o negativo e che viene genericamente chiamato rigurgito. (*)
(*) È quasi superfluo far rilevare che non può servire come condizione limite l'altezza ho del moto uniforme. Infatti, data h0, e cioè assegnata la portata, resta precisato l'asintoto del profilo, ma a questo asintoto tendono tutti i profili che corrispondono a quella stessa portata. (**) Facciamo però notare che, con qualche evidente adattamento, lo stesso tipo di ragionamento può valere anche per la prima parte dell'affermazione, relativa alle correnti veloci.
( 5 ) Questo termine, che appartiene all'idraulica tradizionale, sarebbe in realtà appropriato soltanto per gli innalzamenti di livello, o rigonfiamenti della corrente o in definitiva rigurgiti; in effetti il primo profilo di moto permanente studiato nella pratica e al quale è stato dato il nome di profilo di rigurgito (più tardi generalizzato) è il DI, che si presenta ogni volta che viene ostacolato il deflusso di una corrente lenta: situazione questa frequente anche nella pratica idraulica meno recente.
]
400
CORRENTI A PELO LIBERO PASSAGGIO ATTRAVERSO LO STATO CRITICO. IL RISALTO
tando come altezza h la media aritmetica delle due altezze competenti agli estremi dell'intervallo e valutando conseguentemente l'area A, il raggio idraulico R, il coefficiente C e la velocità media V da attribuire all'intervallo. Si dedurranno quindi dalla (10.25) le differenze As, cioè le lunghezze , dei tronchi di corrente lungo i quali le altezze variano dei prestabiliti Vale la pena di precisare che, pur essendo stato esposto con implicito riferimento agli alvei cilindrici (i soli per i quali, a rigore, sia lecito parlare di moto uniforme), il procedimento è di validità del tutto generale, come lo è l'equazione (10.25) che ne costituisce la base: gli adattamenti sono ovvii.
ho
h8 8s
J
401
h7
h5
I
10.7
I h3
J
h*
h2
ds3
i
Fra. 10.25
Per il tracciamento per punti del profilo di moto permanente, o profilo di rigurgito, a mezzo della (10.25) procederemo come segue (fig. 10.25). Suddivisa l'altezza del rigurgito h* — ho in un sufficiente numero di parti (non necessariamente uguali, anzi col criterio di adattare la fittezza della suddivisione all'andamento del profilo cercato, che almeno qualitativamente è noto a priori), per ciascuna delle altezze h estreme dei singoli intervalli 3.1i si possono calcolare a mezzo della (10.4), o dedurre da un grafico del tipo di quello di fig. 10.10, opportunamente predisposto, le corrispondenti energie specifiche E; quindi le differenze AE spettanti a ciascun intervallo, a partire dal più vicino alla causa perturbatrice, cioè i numeratori della frazione a secondo membro della (10.25). Per quanto riguarda i denominatori, nota naturalmente la i, la cadente J da attribuire al singolo intervallo sarà calcolata a mezzo della formula di Chézy, adot-
s'
Passaggio attraverso Io stato critico. Il risalto
Prima di dare qualche esempio di situazioni pratiche in cui si verificano profili di moto permanente, conviene ancora esaminare le modalità secondo cui può avvenire il passaggio attraverso lo stato critico: secondo cui cioè una corrente può trasformarsi da lenta a veloce o viceversa._ Ci limiteremo ancoia, Per semplicità, a considerare ilcaso di alvei cilindrici, o almeno cilindrici per lunghi tratti (lungo ciascuno dei quali, in particolare, si-daba—consideare costante la pendenza i). Ci proponiamo di studiare la seguente questione: _è_ possibile il passaggio graduale, cioè con profilo continuo, attraverso lo stato critico? e in ~ circostanze Esaminiamo prima il caso di una corrente lenta che tenda a diventare veloce. Essa dovrà essere accelerata, in guisa da raggiungere verso valle lo stato critico, con altezze via via decrescenti; l'esame delle fitg:10.21 e 10.22 ci dice che il solo profilo di corrente lenta che soddisfaccia a questo requisito è il D2, irqu-ale può svolgersi in un alveo a debole pendenza. Superato lo stato critico, la corrente, ormai veloce„dovrà ancora essere accelerata e tendere verso valle al moto uniform_e : il solo profilo di corrente veloce che soddisfaccia a tale requisito è FF2 e si svolge in alveo a forte pendenza. - —Perché si verifichi il passaggio graduale di una corrente da lenta a velo è dunque necessario un cambiamento di pendenza dell'alveo (fig. 10.26), da debole a forte. Ma possiamo aggiungere che la condizione è anche sufficiente, che cioè, quando l'alveo presenti un simile cambiamento -di pendenza_e non esistan,o_Iungo di esso altre cause perturbatrici il passaggio . graduale descritto avviene sempre, perché avviene spontaneamente. In z cambiamento fatti, la perturbatrice, rappresentata appunto estremo a valle della correne lenta e a _quello di pendenza, è situata --a-1Pdella: Coirente veloce, sicché suentrambe può berle esercitare la a itii5iiré_ sua influenza, che anzi si estende, nei due sensi, fino all'infinito, come indicato in fig. 10.26. Proprio in corrispondenza della sezione dove_avviene _ _ .. _ il cambiamento di pendenza si stabilisce l'altezza critica k.(*) (*) In realtà questa affermazione va accolta soltanto in via approssimata, con le riserve imposte dal fatto che, come già notato, proprio in corrispondenza dello stato critico è male soddisfatta l'ipotesi basilare di linearità della corrente.
402
CORRENTI A PELO LIBERO
10.26
Esaminiamo ora il passaggio inverso, _il caso cioè di una corrente veloce che tenda a diventare lenta. Essa dovrà essere ritardata, in guisa da rag~ere verso valle lo stato critico per altezze crescenti: il solo profilo di corrente v—eloce che- soddisfaccia, a questo requisito è il D3, che si svolge in alveo a debole pendenza. Superato lo stato critico, la corrente, ormai lenta, dovrà ancora essere ritardata, onde allontanarsi dallo stati) critico stesso: il solo profilo soddisfacente a tale requisito è l'FI, e si svolge in alveo a forte_pendenza. Riconosciamo dunque come necessaria per il ricercato passaggio graduale attraverso lo stato critico la stessa circostanza che avevamo individuato per il passaggio inverso: cioè una variazione di pendenza dell'alveo, da debole a forte (fig. 10.27). Queata_volta_però la condizione è tutt'altro che sufficiente: il cambiamento di pendenza, a valle della corrente veloce e a dt monte a /1-.7-eó~félénta, _ non può esercitare alcuna influenza nè _
PASSAGGIO ATTRAVERSO LO STATO CRITICO. IL RISALTO
403
a forte pendenza) e condizionata nel suo svolgimento da una causa situata a valle, che in fig. 10.27 è stata pure eseg ,rnata ir r— m una paratoia, provocante subito a monte un rigurgito. Ma è evidente che le due paratoie devono proprio essere regolate in modo che i due profili di motq permanente da essé provocati raggiungano l'altezza critica nella sezione dove ha luogo il cambiamento di livelletta; se si varia di un poco l'apertura di una o dell'altra delle due paratoie, o di entrambe, e quindi l'altezza della corrente nell'immediata vicinanza, il corrispondente profilo si sposta (subisce una traslazione parallela al fondo) e conseguentemente la corrente dovrebbe raggiungere l'altezza k in una sezione diversa da quella del cambiamento di pendenza; ma, con ciò, non potrà realizzarsi il passaggio graduale attraverso lo stato critico. Potremmo dunque dire, per concludere, che il passaggio graduale di una corrente da veloce a lenta è possibile sì, teoricamente, ma con probabilità nulla, perché subordinata al verificarsi contemporaneo di due circostanze (particolare stato di apertura di due paratoie, nell'esempio considerato) entrambe con probabilità nulla. L'esperienza effettivamente conferma questo risultato cui siaino giunti con ragionamento deduttivo. Il passaggio di una corrente dallo stato veloce allo stato lento non avviene mai gradualmente, bensì attraverso una discontinuità, un brusco sollevamento del pelo libero, detto risalto idraulico o salto di Bidone, in onore dell'idraulico torinese che per primo lo studiò sperimentalmente al principio del secolo scorso. Questo brusco sollevamento, nella sua manifestazione più tipica, è accompagnato dalla formazione di un imponente vortice superficiale ad asse orizzontale, che assorbe aria presentandosi quindi schiumeggiante, e dissipa rilevanti quantità di energia (fig. 10.28).
Tk
Fio. 10.27
sull'una nè sull'altra. ,La corrente veloce deve essere provocata (nell'alveo a debole pendenza) e condrzirOna -Tfi— t nérsub svolgimento da una causa situata a monte: causa che in fig. 10.27 è stata esemplificata in una paratoia, e che obbliga la Corrente. a passare attfaverso una luce a battente ad essa soggiacente. Viceversa la corrente lenta deve essere provocata (nell'alveo
FIG. 10.28
Lo si può osservare in natura in alvei torrentizi, ove qualche ostacolo provochi una trasformazione della corrente da veloce a lenta; effettivamente, già nel XVII secolo, lo aveva osservato e descritto l'idraulico italiano Guglielmini. Ma lo si può anche facilmente produrre in alvei artificiali, ed anzi trova impiego come dissipatore di energia in certi dispositivi, detti bacini di smorzamento, quando occorra sottrarre a una corrente un eccesso di energia, che potrebbe esercitare dannosa azione erosiva sull'alveo. Lo stesso Giorgio Bidone tentò una interpretazione teorica del fenomeno, che però siamo costretti a riconoscere erronea. La teoria elementare corretta venne data, sempre nella prima metà del secolo scorso, dal fran-
PASSAGGIO ATTRAVERSO LO STATO CRITICO. IL RISALTO
404
405
CORRENTI A PELO LIBERO
cese Bélanger, e consiste in una applicazione dell'equazione globale dell'equilibrio dinamico al breve tronco di corrente che comprende il vortice. Consideriamo dunque (fig. 10.29) un tronco di corrente in alveo cilindrico, compreso fra la sezione 1 che precedeimmediatamente il risalto e una sezione 2 che lo segue, alla minima distanza necessaria perché si possa ritenere ristabilita la linearità della corrente e quindi la distribuzione idrostatica della pressione. Applichiamo a questo tronco l'equazione globale, proiettandola nella direzion-e—del moto e trascurando la componente del peso nella direzione stessa e la resistenza dell'alveo, perché en-
f y G
1_
h I
i
_ _ _ _ _ -t
—7..-+ der.(— FIG.
10.30
risulta funzione univoca di h, quando si consideri costante la portata. Ma è facile riconoscere che il primo dei due addendi di 8, cioè la spinta idrostatica, nullo per h = 0, cresce indefinitamente al tendere di h all'infinito; mentre il secondo, cioè il flusso di quantità di moto, inversamente proporzionale all'area, tende a zero per h tendente all'infinito, ma tende all'infinito per h tendente a zero (per Q = cost, diminuendo l'area cresce la velocità, e conseguentemente la quantità di moto). La somma S pertanto (vedi fig. 10.31) tende all'infinito sia per h O, sia per h-- co; nel campo di escursione possibile delle h, cioè in tutto l'intervallo positivo, deve quindi presentare un punto di minimo.
FIG. 10.29
trambe piccole e di verso opposto. Essendo il fenomeno stazionario sarà nulla anche l'inerzia locale, e le sole forze da mettere in conto sono le spinte (idrostatiche) sulle sezioni estreme 1 e 2 e le quantità di moto delle masse che attraversano le sezioni stesse nell'unità di tempo; poiché questi vettori, nelle solite ipotesi, sono paralleli fra di loro e alla direzione del moto, potremo limitarci a considerarne i moduli scrivendo: 111 + M1 = 112 + M2
(10.27)
La somma della spinta idrostatica II e del flusso di quantità di moto M può essere interpretata come una spinta dinamica; adottando una definizione introdotta da De Marchi, la diremo spinta totale S della corrente. (*) L'equazione (10.27) ci dice dunque che la spinta totale assume lo stesso valore nelle due sezioni che delimitano il tronco di corrente occupato dal risalto. Consideriamo ora una generica sezione trasversale dell'alveo (fig. 10.30); siano A l'area della sezione liquida, B la larghezza del pelo libero, hG l'affondamento del baricentro sotto il pelo libero, essendo tutte queste grandezze funzioni crescenti dell'altezza h. Anche la spinta totale, che potrà genericamente scriversi (posto per semplicità uguale all'unità il coefficiente 13 di ragguaglio): = yAh G +
\I
\ LI
/
I
1/ vi 7 ,
—
Fio. 10.31
Q2 p —
A '
(*) La definizione deriva per analogia da quella del carico totale.
(
10.28)
Otterremo il valore di h che dà luogo al minimo di S derivando rispetto ad h la (10.28) ed uguagliando a zero la derivata. Per fare questo, ci conviene esprimere l'affondamento léG del baricentro come rapporto fra il momento
406
CORRENTI A PELO LIBERO PASSAGGIO ATTRAVERSO LO STATO CRITICO. IL RISALTO
statico della sezione rispetto al pelo libero e l'area della sezione stessa (fig. 10.30) ho =
— f y2dB 2
A
essendo l'integrale esteso all'intera larghezza del pelo libero. A meno di infinitesimi di ordine superiore, avremo dunque come condizione di minimo:
dS dh
r ydB — p Q2 dA • A 2 dh
= y
407
Il punto di minimo suddivide dunque anche il grafico rappresentante la S(h) in due rami, di cui uno (per h < k) rappresenta situazioni di corrente veloce e l'altro (h > k) situazioni di corrente lenta. A norma della (10.27). le due altezze h1 e h2 delle sezioni che delimitano il risalto devono trovarsi allineate su una medesima parallela AB all'asse delle h (fig. 10.32): le diremo altezze coniugate del risalto; ovviamente, come richiesto dal loro significato fisico, corrispondono rispettivamente ad una corrente veloce e ad una corrente lenta.
SA
;
ossia, tenuto presente che :
ydB = A e che
dA = B; dh
IC
A3 Q2 (10.29) A parte il coefficiente di ragguaglio cc, che per coerenza dovremmo pure porre uguale all'unità, la condizione di minimo trovata coincide con la (10.5), che definiva lo stato critico (*); dobbiamo dunque concludere che, come l'energia specifica E, anche la spinta totale S ha il proprio minimo in coincidenza con lo stato critico. Nel caso particolarmente semplice della sezione rettangolare la spinta totale vale: Q2 1 S= y Bh2 + p — 2 Bh e il suo minimo sì ha quando:
dS dh
Q2
-y Bh— o Bh,2 = 0
O
k
h,
FIG. 10.32
Il grafico di fig. 10.32, che può essere tracciato in base alla (10.28) per una qualsiasi sezione, consente dunque di risolvere il problema di determinare l'altezza a valle del risalto quando sia nota quella a monte, o viceversa. rNel caso dell'alveo a sezione rettangolare è agevole anche la soluzione analitica. Con riferimento ad una striscia di larghezza unitaria, percorsa dalla portata q = la (10.27) si scrive : 1
cioè per:
_2 1 9.2 1, = + P -7-
q2
2 ?hi +
(l Q2 h = k = — gB2
h2
- ,
da cui:
— h 21 2
cioè appunto per l'altezza critica definita dalla (10.8).
q2 (h2 h1 ) h1h2
= k3
(42
h1)
hih2
e quindi (*) A rigore, mentre nella (10.5) compare il coefficiente a di ragguaglio per le potenze cinetiche, nella (10.29) dovrebbe comparire il coefficiente (3 di ragguaglio per le quantità di moto. Di questa discrepanza, che siamo indotti a ritenere fisicamente insussistente, sono state tentate varie giustificazioni analitiche, sulle quali non possiamo qui dilungarci.
hi h2
2k3 102.
(10.30)
La (10.30) è una relazione simmetrica fra e 112 in cui la portata entra come parametro attraverso l'altezza critica k; essa consente di calcolare
408
una qualsiasi delle altezze coniugate del risalto quando sia nota l'altra. Ad esempio, nota l'altezza h 1 , l'equazione di secondo grado in h 2 fornisce, come radice significativa: h1 ---,T h2 = —--- 1 + 1/1 2
(10.31)
.
Per questa situazione dell'alveo rettangolare è anche abbastanza facile calcolare l'energia specifica dissipata dal risalto. Si ha precisamente :
k3 2
1
g2 ( 1 2g
—
/4 h: '
e infine, eliminando k a mezzo della (10.30) ;
—
E2 =
(h2
—
409
ESEMPI APPLICATIVI
CORRENTI A PELO LIBERO
h1)3
4hih2
Per alvei con sezioni trasversali di forma qualsiasi il calcolo analitico delle altezze coniugate (una in funzione dell'altra) e dell'energia dissipata è meno facile e ben spesso impossibile. Il calcolo numerico, appoggiato all'impiego dei grafici di fig. 10.32 e di fig. 10.10, porta però sempre a riconoscere che il risalto dà luogo a una effettiva dissipazione di energia, come fisicamente intuitivo. Tale dissipazione si riduce a modesta entità quando entrambe le altezze coniugate differiscono di poco dall'altezza critica e conseguentemente la retta AB di fig. 10.32 sovrasta di poco il punto critico C. In queste condizioni cambia anche l'aspetto esteriore del fenomeno: scompare il vortice superficiale e il sollevamento del pelo libero è seguito da una serie di ondulazioni attorno all'altezza di valle h2. Il fenomeno prende allora il nome di risalto ondulato, (fig. 10.33). Accenniamo ancora al fatto che la trattazione
sono però da prevedere distacchi della corrente dalla parete, che complicano notevolmente il fenomeno. Circa la lunghezza del tronco di corrente interessato dal risalto, le trattazioni teoriche non hanno finora portato a risultati attendibili. L'esperienza indica però che la lunghezza stessa può ritenersi pari a circa sei volte l'altezza 12,2 — hi • ,/ 10.8 Esempi applicativi Siamo ora in grado di passare in rassegna qualche situazione pratica in cui si presentano correnti in moto permanente; nel farlo, cercheremo ancora di mettere in evidenza, per confronto di casi analoghi, il diverso comportamento degli alvei a debole o a forte pendenza. Consideriamo innanzi tutto l'effetto della presenza, in una determinata sezione di un alveo cilindrico, di una paratoia piana, che obblighi la corrente a defluire attraverso una luce; può essere impiegata, in particolari circostanze, a scopo di regolazione della portata. Prendiamo dapprima in esame il comportamento di una corrente che percorra un alveo cilindrico a debole pendenza, di lunghezza indefinita; essa abbia una portata assegnata Q, la quale, in moto uniforme, vi assumerebbe l'altezza ho (deducibile appunto dalla legge del moto uniforme); nella sezione AA sia inserita una paratoia piana (fig. 10.34), la quale lasci libera, adiacente al fondo, una luce di area Ai
I v52/29 ho
.................".........2.
-------_i____
i
, ,..i I h.
D3
----
.
IS ,
/
_ T
h.
k i
i I
FIG. 10.34
FIG. 10.33
svolta dovrebbe subire qualche variante nel caso di alvei non cilindrici, per esempio convergenti o divergenti: nell'applicare l'equazione globale non si può prescindere dalla spinta delle pareti, che presenta allora una componente non nulla nella direzione del moto. Nel caso di alvei divergenti
A, generalmente rettangolare. La corrente sarà costretta a passare per questa luce, cui seguirà, subito a, valle, una sezione contratta di area GA, da ritenere nota, dove la velocità media assumerà il valore V e = Q IC,A, e l'altezza il valore h, . Osserviamo subito che nella sezione contratta la corrente dovrà necessariamente essere veloce : basti pensare che l'area della sezione stessa e conseguentemente la velocità vi sono determinate dalla presenza e dalla posizione assunta dalla paratoia, la quale, rispetto alla sezione contratta, è
410
CORRENTI A PELO LIBERO
I
ESEMPI APPLICATIVI
411
situata a monte, e non potrebbe esercitarvi influenza se la corrente fosse lenta. Ma anche un altro ragionamento può condurre alla stessa conclusione: subito a monte della paratoia la corrente in arrivo, addossandosi ad essa, assumerà una certa altezza h.m che stabiliremo fra breve, e quindi un certo carico totale E. ; ora il processo è, come sappiamo, poco dissipativo, sicché possiamo ammettere in prima approssimazione che lo stesso carico totale si ritrovi nella sezione contratta; siamo dunque di fronte ad una corrente, di portata assegnata e ovvia mente costante, che in due successive sezioni assume due diverse altezze h. e h6 , cui compete la stessa energia specifica; ma abbiamo già riconosciuto (fig. 10.10) che in una delle due sezioni la corrente deve essere lenta e nell'altra veloce, ed è pertanto evidente che essa sarà veloce nella sezione a valle, di altezza minore. Nella stessa sezione contratta, dove, per definizione, la corrente è lineare, si può calcolare il carico totale : v e2 E, = h, +
;
osserviamo subito che esso deve risultare maggiore di quello E competente al moto uniforme; infatti, prima che questo sia ricostituito verso valle, la corrente veloce dovrà dissipare più energia che non la corrente uniforme e questo supero dovrà essere stato accumulato in precedenza e trovarsi quindi disponibile nella sezione contratta. Se si ammette nulla la perdita di carico nell'efflusso, come sopra si è detto, l'altezza hm che si stabilisce a monte della paratoia è subito determinata a mezzo del grafico E(h), come quella della corrente lenta cui compete il carico totale E,. Ma se anche si vuol tener conto di una certa perdita di carico AE, calcolabile in base ad una valutazione del coefficiente C, di velocità, sicché il carico totale a monte della paratoia sarà: Em
AE ,
la determinazione di h m è immediata, come indicato in fig. 10.35. Poiché, come già osservato, deve essere E m > Ee > E0 e la corrente a, monte della paratoia è lenta, sarà anche h. > h0 ; si stabilirà quindi, nel tronco di canale a monte, un profilo di moto permanente del tipo D1, che potremo tracciare per punti, partendo dal suo estremo a valle, dove è ormai nota l'altezza hm. A valle della paratoia si stabilirà invece un profilo del tipo D3, l'unico di corrente veloce realizzabile in alveo a debole pendenza; lo potremo tracciare partendo dalla sezione contratta, dove è nota l'altezza h8 . Esso tende, come sappiamo, all'altezza critica k; non la raggiunge però, giacché interviene prima un risalto, che riporta la corrente allo stato lento, ripristinando il moto uniforme di altezza ho, se verso valle l'alveo non presenta altri ostacoli.
Resta da determinare la posizione dove interviene il risalto che (in fig. 10.34) abbiamo schematizzato in un segmento verticale, data la sua limitata lunghezza e il fatto che i profili si disegnano sempre a scale alterate (esaltando le altezze rispetto alle lunghezze); lo facciamo in modo ovvio, valendoci del grafico S(h) di fig. 10.32: nota infatti l'altezza di valle ho, esso ci consente di stabilire l'altezza h 1 coniugata; il risalto avrà luogo proprio in quella sezione in cui il profilo di corrente veloce raggiunge l'altezza , avendosi ivi la stessa spinta totale che compete al moto uniforme. Per concludere l'esame di questa situazione vogliamo ancora accennare a quel che succede se, mantenendo fissa, la portata, aumentiamo progressivamente l'area della luce libera sotto la paratoia; prescinderemo dal transitorio, considerando soltanto successive situazioni di moto permanente. Aumentare l'altezza he significa traslare verso monte, senza deformazione, il profilo D3 della corrente veloce; e di altrettanto traslare verso monte il risalto, dovendo per esso sempre rispettarsi la condizione di equilibrio espressa dalla (10.28). Quando l'altezza nella sezione contratta supera il valore h 1 coniugato di ho il profilo D3 scompare del tutto e il risalto risulta addossato alla paratoia; si chiama allora risalto annegato. L'effiusso non è più libero, bensì rigurgitato, e il livello a monte non dipende più soltanto dall'apertura della paratoia (e naturalmente dalla portata) bensì anche dal livello che si viene a stabilire a valle, a ridosso di essa. Quando l'altezza della vena, ormai sommersa, nella sezione contratta, giunge a superare l'altezza critica k (il che può avvenire prima che il bordo inferiore della paratoia emerga dalla corrente, se h o è alquanto superiore a k), scompare qualsiasi traccia anche del risalto annegato; il livello subito a valle viene a coincidere con quello del moto uniforme e il dislivello fra monte e valle si riduce al minimo indispensabile per vincere le resistenze di effiusso. Studiamo ora l'effetto della paratoia sulla corrente, quando l'alveo sia
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CORRENTI A PELO LIBERO
a forte pendenza, sicché il moto uniforme vi si dovrebbe svolgere in regime di corrente veloce (fig. 10.36). La paratoia origina ancora subito a valle una aezione contratta di altezza he ; e subito a monte, a ridosso di essa, si stabilisce un'altezza hm, che possiamo determinare con procedimento identico a quello descritto per il caso precedente. E vale la pena di mettere in evidenza che anche in questo caso, subito a monte della paratoia, la corrente risulta lenta; è necessario che ciò avvenga, perché la, paratoia deve poter agire su di essa, onde procurare quell'incremento di energia specifica occorrente per vincere le maggiori resistenze della corrente a valle, che si svolge con altezze inferiori a quella del moto uniforme.
f
Il profilo di moto permanente che si stabilisce a valle, con h < ho , è del tipo F3, asintotico al moto uniforme; lo potremo tracciare per punti, partendo dalla sezione contratta, di cui conosciamo l'altezza N. A monte della paratoia si ha invece un profilo del tipo Fl, il solo di corrente lenta in alveo a forte pendenza; e lo tracceremo partendo dal suo estremo di valle, dove conosciamo ormai l'altezza hm . Ma questo profilo, che tende verso monte all'altezza critica k, non può svolgersi per intero, come abbiamo ormai riconosciuto; interviene invece, in una certa sezione, un salto di Bidone, a monte del quale ritroviamo la corrente veloce, con l'altezza ho del moto uniforme, che non può risultare perturbato da tutto ciò che avviene a valle. Determineremo la posizione del risalto al solito modo servendoci dell'abaco di fig. 10.32: è nota ora la altezza di monte h o e l'abaco ci fornirà la coniugata h2 ; il risalto sarà localizzato in quella sezione dove il profilo Fl presenta proprio l'altezza h. Vale la pena di mettere in evidenza un fatto che può sembrare a priori paradossale. Abbiamo riconosciuto che il rigurgito provocato dalla paratoia, che fa diventare lenta la corrente a monte, è dovuto alla necessità di risparmiare energia a monte della paratoia, per poterne disporre a valle; può parere strano, perciò, l'intervento di un risalto che è fenomeno tipicamente dissipativo ; in realtà però la corrente lenta a valle del risalto si svolge con perdita di carico tanto minore di quella competente al moto unifor-
ESEMPI APPLICATIVI
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me della corrente veloce, da risparmiare non solo quanto viene sperperato nel risalto, ma anche quanto basta poi per vincere le accresciute resistenze della corrente veloce di valle. Se ora poniamo a confronto le due figg. 10.34 e 10.36, ci rendiamo conto che le correnti ché si muovono nei due tipi di alveo reagiscono in mocìo nettamente diverso al disturbo provocato dalla paratoia. In entrambe la paratoia provoca un rigurgito positivo a monte, necessario per refi:lusso e per vincere le successive resistenze; ma questo si estende fino all'infinito a monte nell'alveo a debole pendenza, mentre nell'altro si estende soltanto per un tratto finito, terminando con un risalto, a monte del quale la corrente veloce resta indisturbata (*). Viceversa, verso valle abbiamo in entrambi i casi un rigurgito negativo, che però si estende fino all'infinito nell'alveo a forte pendenza, e soltanto per un tratto di lunghezza finita nell'altro, in cui termina con un risalto che ripristina le condizioni di moto uniforme. Tutto ciò si riconnette in modo evidente con quanto abbiamo osservato circa la possibilità di propagazione delle perturbazioni: la corrente uniforme lenta dell'alveo a debole pendenza deve necessariamente diventare veloce a valle della paratoia, mentre la corrente uniforme veloce dell'alveo a forte pendenza deve diventare lenta a monte della paratoia. Abbiamo visto (fig. 10.26) quel che succede in un alveo costituito da due tronchi cilindrici di diversa pendenza, debole a monte, forte a valle: la corrente passa gradualmente dal regime lento a quello veloce e lo stato critico si stabilisce proprio nella sezione dove ha luogo il cambiamento di pendenza. ora interessante, non solo concettualmente, esaminare anche la successione inversa delle pendenze: è quella, del resto, che si verifica, nei corsi d'acqua naturali, benché il cambiamento avvenga ivi di norma in modo graduale. Noi qui considereremo invece il passaggio brusco dalla pendenza > ic alla i2 < j, restando immutata la sezione trasversale dell'alveo. Siano ho ' e ho " le due altezze del moto uniforme nei due tronchi, corrispondenti la prima, ad una corrente veloce, la seconda a una corrente lenta. Queste altezze, e con esse il moto uniforme, si dovranno ritrovare entrambe a una certa distanza dalla sezione MN dove avviene il cambiamento di livelletta (fig. 10.37a e 10.37b) giacché questo, che è la causa perturbatrice, non può esercitare la propria influenza fino all'infinito a monte nel tronco a forte pendenza, nè fino all'infinito a valle in quello a debole pendenza. Il passaggio dalla corrente veloce alla lenta avverrà, come abbiamo riconosciuto, a mezzo di un salto di Bidone. Prescindendo dal caso, del tutto eccezionale, che esso si localizzi proprio nella sezione MN (avrebbe (*) Se tracciamo l'orizzontale che passa per l'estremo di valle del profilo di rigurgito, fino a incontrare il profilo del moto uniforme, dicesi ampiezza idrostatica del rigurgito la lunghezza del segment orizzontale così delimitato. È evidente che negli alvei a forte pendenza il rigurgito si estende per un tratto di lunghezza minore dell'ampiezza idrostatica.
414
CORRENTI A PELO LIBERO
ESEMPI APPLICATIVI
allora altezza ho " — ho' e sarebbe preceduto e seguito da moto uniforme), si riconoscono a priori possibili le due successioni seguenti: corrente veloce uniforme (perché indisturbata da valle) fino alla sezione MN; indi un tratto BG di moto permanente con profilo del tipo D3 terminante con il risalto GH, indi corrente lenta HE in moto uniforme (fig. 10.37a); oppure: corrente veloce uniforme AB fino a una certa sezione, ancora appartenente all'alveo a forte pendenza, in cui avviene il risalto BO, indi un tratto CD -- --- -__
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415
di corrente lenta in moto permanente con profilo del tipo F1 fino alla sezione MN, e a valle di questa moto uniforme DE, indisturbato da monte perché di corrente lenta (fig. 10.37b). Cerchiamo ora di individuare le circostanze in cui si verifica l'una io l'altra delle due successioni. Per far questo, conviene far riferimento al grafico della funzione S(h): possono verificarsi i due casi che illustriamo nella fig. 10.37c. Nel primo caso la corrente veloce uniforme è rappresentata dal punto B di ascissa h o ', quella lenta dal punto H di ascissa ho" e la spinta totale 8' della corrente veloce risulta maggiore di quella S" della corrente lenta; il risalto non può localizzarsi nella sezione MN (per il che si richiederebbe S' = 8"), ma viene spinto verso valle; ora se ci si muove lungo il profilo BG di corrente veloce ritardata (vedi fig. 10.37c dove sono ripresi gli stessi simboli a rappresentare i vari stati di corrente) si trova che ad altezze crescenti corrispondono spinte totali decrescenti, finché nel punto G la spinta totale sarà proprio uguale ad S": ivi avverrà il risalto, con altezza iniziale hi e finale ho". Per contro, nel secondo caso illustrato in fig. 10.37b, la corrente veloce uniforme (punto B) ha spinta totale 8' inferiore a quella kg"' della corrente lenta uniforme (punto D); il risalto viene spinto a monte della sezione MN; ma spostandoci verso monte lungo il profilo DC, di corrente lenta ritardata, troviamo altezze decrescenti e pertanto (fig. 10.37c), spinte totali pure decrescenti, finché nel punto C la spinta totale sarà proprio uguale ad S': ivi si stabilizza il risalto, con altezza iniziale h o' e finale h2 . Consideriamo ancora un alveo a debole pendenza (fig. 10.38), a valle di una paratoia che, come abbiamo visto, vi determina una corrente veloce con profilo D3. Supponiamo che, dopo un tratto più o meno lungo, l'alveo diventi a forte pendenza; siano ho' e ho" le altezze di moto uniforme nei due tronchi d'alveo e k l'altezza critica. Possono verificarsi due diverse situazioni, a seconda della lunghezza del tratto d'alveo a debole pendenza. Se questa è minore di quella (L, in figura) necessaria perché il profilo D3 pervenga allo stato critico, la corrente resta ovunque veloce; a valle della sezione dove ha luogo il cambiamento di livelletta si sviluppa un profilo del tipo F2 o F3 a seconda che ho" è minore o maggiore dell'altezza raggiunta dal profilo D3. Al limite, si può avere in corrispondenza al cambiamento di livelletta proprio l'altezza critica k, nel qual caso si avrà senz'altro verso valle un profilo F2, partente proprio dalla stessa altezza k. Se per contro la lunghezza del tratto a debole pendenza è maggiore di L, la corrente veloce non può svilupparsi fino all'altezza lc e,-?ma interviene prima un risalto, che la trasforma -in coi:mite lenta. L'altezza k viene a cadere allora proprio in corrispondenza al cambiamento di livelletta, come abbiamo già visto (v. fig. 10.26) e a monte si ha un profilo D2 fino alla sezione dove ha luogo il risalto. La localizzazione di tale sezione non è però in questo caso immediata, perché non si conosce a priori nessuna delle delle altezze coniugate.
416
CORRENTI A PELO LIBERO
ESEMPI APPLICATIVI DI
417
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Accenniamo al procedimento da seguire : per alcune sezioni, AM, BH del profilo di monte (o di quello di valle) si determinano a mezzo dellà, curva di fig. 10.32 le altezze coniugate AM', BH'... e si riportano a partire dal fondo; gli estremi superiori M', H'... si trovano su una curva, detta luogo del risalto, che si, traccia riunendoli a sentimento; essa taglia il profilo di valle (o di monte) proprio nella sezione dove avviene il risalto. Illustriamo ora, sempre a titolo di esemplificazione e per abituare a questi tipi di ragionamento, qualche caso in cui non interviene un cambiamento di regime della corrente, da lenta a veloce o viceversa, ma soltanto un cambiamento dell'altezza del moto uniforme. La formula di Chézy ci dice che, in un alveo cilindrico, ciò può avvenire o perché varia la pendenza (pur senza mutarsi da debole a forte o viceversa) o perché varia la scabrezza e quindi il coefficiente C. Poiché il risultato è identico agli effetti dei profili di moto permanente che ne traggono origine, ci atteniamo qui alla seconda ipotesi. Ancora abbiamo modo di riconoscere il diverso comportamento dei due tipi di alveo. Nelle figg. 10.39a e b è indicato quel che succede, rispettivamente in un alveo a debole o a forte pendenza, quando a partire dalla sezione A—A si ha verso valle un aumento di scabrezza (che abbiamo definito con un maggiore valore dell'indice m della formula di Kutter) e quindi un aumento dell'altezza del moto uniforme. Nelle figg. 10.40a e b, sempre per i due tipi di alveo, è invece indicato l'effetto di una diminuzione di scabrezza. Le figure non hanno ormai bisogno di molto commento. Si riconosce che negli alvei a debole pendenza, la corrente, lenta, resta indisturbata a valle e si determinano invece profili di rigurgito a monte, rispettivamente dei tipi D1 o D2. Per contro, negli
v 072
Fra. 10.39
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alvei a forte pendenza la corrente, veloce, resta indisturbata a monte, mentre si determinano profili di rigurgito a valle, rispettivamente dei tipi F3 o F2. Abbiamo in ogni caso profili asintotici a uno dei due moti uniformi, da tracciare a partire dalla sezione AA dove interviene il cambiamento di scabrezza. Vale la pena di notare che il problema trattato ha un suo preciso interesse applicativo, perché non è raro il caso, per esempio, che un canale abbia un primo tronco rivestito e un secondo non rivestito o viceversa.
418
CORRENTI A PELO LIBERO
10.9 Qualche situazione di moto non lineare Abbiamo già studiato un particolare caso di moto non lineare : il risalto idraulico. Trattandosi di fenomeno tipicamente dissipatii o. il suo studio anaritíco è stato condotto in base all'equazione globale dell'equilibrio, la quale, come beigeT-Ppiamo, è di applicazione del- tutto_ generale. Ora esa,mberenlo invece qualche situazione di moto non lineare caratterizzata da minime dissipazioni localizzate di energia, sicché la sua trattànórae può essere svolta abbastanza agev- olinehte Twoprio formulando l'ipiitesi che7Iiieilinen.-te, si mantenga-co —sTh a t -e- ta, cadente J. 10.9.1
Passaggio diuna correnksopra una soglia di lago.
,dupponiamo che una soglia di altezza_a e di modesta lunghezza interrompa la continuità di un alveo, per il resto cilindrico indefinito (fig. 10.41). A t
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che a monte della soglia"npre rispetto al fondo del canale. Ma ciò rispettpap ,1 iano dellasogliat a presenta il fondo orrente che 1-e-rgi•monta, l'energia specifica risulta minore , e preCiiac, mente = no— a. Ti grafico della r(h) ci consente di riconoscere le conseguenze di tale riduzione di enerwedianio precisamente che la corrente veloce passa àll'altezza ho " del moto uniforme ad una altezza h]." > ho"; sicché il pelo libero si .solleva e il sollevamento risulta maggiore dell'altezza». stessa della soalia. Per contro l'altezza della corrente lenta diminuisce: ed essendo_ l'inclinazione della_E4M minore di quella della bisettrice degli assi, risulta -_ > a, il che significa che il pelo libero della corrente sulla soglia ho'effettivamente si deprime. Superata la soglia, e ammesse ancora trascurabili le- perdite localizzate, si ritorna in entrambi i casi alla situazione di — m-dth uniforme. Se però l'altezza della soglia non è troppo piccola, o se la corrente in arrivo non è troppo lontana dallo stato critico, può darsi che la sua energia specifica E0 non sia sufficiente per farle oltrepassare la soglia. Ciò avviene quando (fig. 10.42) la retta di equazione E = E' = Eo— a non taglia il grafico della E(h), essendo appunto E' < E. Vediamo separatamente quel che succede _ in un alveo a debole o a forte pendenza Il primo caso è illustrato in - fig-. 10.42. -La corrente, non
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419
QUALCHE SITUAZIONE DI MOTO NON LINEARE
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,- — > Abbiamo riassunto in un'unica figura quel che si verifica rispettivamente in un alveo a debole o a -fortependenza, quando l'energia specifica della corrente in arrivo, che per semplicità supporremo uniforme, sia abbastanza elevata e. l'altezza della soglia non troppo grande. _Si_a Fé_o_cniesta energia _specifica misurata rispetto al fondo del canale, e ammettiamo che nel breve _percorso della corrente lungo il raccordo iniziale della soglia le dissipai -Ioni siano trascurabili, o della stessa entità, di quelle per resistenze continue: ciò significa che dell'energia alla stessa .__ sopra la soglia ritroveremo _la linea _
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420
QUALCHE SITUAZIONE DI MOTO NON LINEARE
CORRENTI A PELO LIBERO
avendo in sé energia sufficiente per superare la sogliasuando si trova in iiiiFi mo.o uniforme è costretta a rigurgitare; il su–o li– varo si ss-O"rg7a—e con do, essendo la corrente lenta, aumenta 1 energia specifica, fino al minimo valore indispensabile. Questo viene raggiunto quando sulla soglia si stabilisce proprio lo stato critico, con altezza k e carico totale rispetto al piano superiore della soglia stessa. In conseguenza di ciò avremo subito a monte un carico totale E1 = E + a rispetto al fondo dell'alveo, e corrispondentemente un'altezza h 1 > ho ; un profilo di rigurgito, del tipo D1, si estenderà fino all'infinito a monte. Raggiunto lo stato critico sulla soglia, la corrente, sempre accelerando, diventa subito a valle veloce: lo esige, se non altro, il fatto che le sue condizioni sono determinate proprio dalla soglia, cioè da una causa posta a a monte. Nell'ipotesi che anche al termine della soglia non intervenga sensibile dissipazione di energia, l'altezza 1i2 subito al piede della soglia è fornita dal grafico della E(h) in modo ovvio. Deve seguire un profilo del tipo D3, di corrente veloce ritardata in alveo a debole pendenza, interrotto infine da un risalto che ristabilisce il moto uniforme. Il caso dell'alveo a forte pendenza è illustrato dalla fig. 10.43. Anche qui si stabilisce sulla soglia lo stato critico; poiché però ciò richiede un sollevamento della linea dell'energia anche a monte, e quindi un'influenza della soglia sulla corrente in arrivo, questa deve diventare lenta, assumendo
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FIG. 10.43
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subito a monte l'altezza h1 corrispondente al carico totale E 1 = E +a. Si stabilisce un profilo di rigurgito del tipo F 1, di corrente lenta in alveo a forte pendenza, che inizia a monte con un risalto. Varcato lo stato critico sulla soglia, a valle la corrente ridiventa veloce; ma subito al piede, nell'ipotesi che anche allo sbocco non si dissipi energia e quindi il carico totale rispetto al fondo resti E1 , si ha un'altezza h 2 < ho, giacché in una corrente veloce un aumento di energia corrisponde a una diminuzione di altezza (fig. 10.43b). Il moto uniforme viene ristabilito asintoticamente verso valle, a mezzo di un profilo del tipo F3. Ancora una volta il confronto delle figg. 10.42 e 10.43 ci dà modo di riconoscere la sostanziale differenza di comportamento delle correnti che si muovono nei due tipi di alveo.à 10.9.2
Passaggio fra le pile di un ponte
Il processo di movimento si presenta del tutto paragonabile a quello illustrato nelle figg. 10.41, 10.42 e 10.43, con gli stessi casi possibili; ma conviene trattarlo in modo leggermente diverso in conseguenza del fatto che, mentre il passaggio sopra una soglia è caratterizzato dalla costanza della portata per unità di larghezza e dalla variabilità della distanza della linea dei carichi totali dal fondo, nel caso che ora consideriamo avviene l'opposto: si mantiene costante questa distanza e varia invece la portata per unità di larghezza. Consideriamo dunque (fig. 10.44a) una corrente che, per semplicità, supponiamo contenuta in un alveo a sezione rettangolare larga B; sia Q la sua portata, e quindi q = Q IB la sua portata unitaria, cioè per unità di larghezza del canale. Sempre per semplicità, supponiamo il moto uniforme e sia E l'energia specifica; consideriamo anche qui i due casi, di corrente lenta o veloce, e siano ho ' e ho " le due rispettive altezze di moto uniforme; esse sono indicate anche in fig. 10.44b, che è il grafico della relazione q = g(h ; E = cost).
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I
421
h.
Faremo l'ipotesi che il passaggio fra le pile del ponte avvenga senza sensibile dissipazione di energia (E = cost); fra le pile la larghezza complessiva della sezione liquida si riduce da B a b < B, e quindi la portata unitaria aumenta, assumendo il valore Qlb > Se riportiamo questo valore come ascissa nel grafico della q(h) e cerchiamo le corrispondenti ordinate, constatiamo che per la corrente lenta risulta e < ho', per la corrente veloce, al contrario, h1" > ho" : concludiamo dunque che, passando fra le pile, la corrente lenta si deprime, la corrente veloce invece aumenta il proprio livello. Troviamo esattamente lo stesso fenomeno che abbiamo constatato studiando il passaggio sopra una soglia: qui dobbiamo riconoscere che l'aumento della portata unitaria si attua per la corrente lenta mediante un aumento di velocità al che corrisponde una diminuzione dell'energia potenziale (quota piezometrica), per la
422
CORRENTI A PELO LIBERO
QUALCHE SITUAZIONE DI MOTO NON LINEARE
423
Si ha, come ben sappiamo, E1 = 3k 1 /2 e il valore di h 1 è ottenibile dal grafico della q(h) caratterizzato dal valore E1 del parametro. Nel caso dell'alveo a debole pendenza il rigurgito provocato dal ponte si estende fino all'infinito a monte, secondo un profilo del tipo D1 (v. fig. 10.45). La corrente, attraversato lo stato critico fra le pile, diventa veloce subito a valle, con altezza ho deducibile dal grafico come indicato in figura, se si ammette che anche allo sbocco la dissipazione di energia sia trascurabile. Segue un profilo del. tipo D3, di corrente veloce, che termina con un risalto a valle del quale si ristabilisce il moto uniforme.
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corrente veloce mediante una diminuzione dell'energia cinetica, che porta ad un aumento dell'area liquida. Ma può anche qui succedere che, se il restringimento della sezione è piuttosto rilevante, l'energia disponibile nella corrente in arrivo non sia sufficiente per superare l'ostacolo. Il caso è illustrato nelle figg. 10.45 e 10.46, che si riferiscono rispettivamente ad un alveo a debole e a forte pendenza. Si trova che la parallela all'asse delle h avente per ascissa Q lb non taglia la curva della funzione q(h) caratterizzata dal valore E0 dell'energia specifica della corrente in arrivo. Interviene allora un rigurgito; in ogni caso si ritrova, subito a monte del ponte, una corrente lenta con carico totale E1 > E0, e precisamente pari al minimo valore indispensabile per il passaggio fra le pile, cioè quel valore per cui il passaggio si realizza allo stato critico con altezza:
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FIG. 10.45
Nel caso invece di un alveo a forte pendenza illustrato in fig. 10.46, subito a monte del ponte si ha un profilo del tipo F 1, di corrente lenta, che inizia con un risalto, a monte del quale si ha il moto uniforme della corrente veloce. A valle del ponte, subito dopo lo sbocco, la corrente veloce ha altezza k < ho, e il moto uniforme viene ristabilito asin.toticamente, a mezzo di un profilo di tipo F3.
424
CORRENTI A PELO LIBERO
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ESERCIZI
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425
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La cunetta laterale di una strada ha la forma e le dimensioni indicate in fig. 10.48; la pendenza di fondo è i = 0,03. Tracciare la scala delle portate della cunetta.
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10.4
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FIG. 10.46
Tracciare, per un canale a sezione rettangolare di larghezza b = 4 m e per la portata Q = 15 m3/s, le curve aclimensionali: — E = F (— h)•
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10.5
Si verifica dunque in ogni caso quel che già abbiamo ritrovato per il passaggio sopra una soglia di fondo.
h yk2 = f2 (-17) •
Tracciare la curva h = h(Q) per i seguenti canali caratterizzati dal valore E0 = 4 m dell'energia specifica: — canale rettangolare di larghezza b = 5 m; — canale trapezio con scarpa delle sponde I : 1,5 e larghezza alla base b = 3 m; — canale circolare con diametro D = 5 m; — canale triangolare con scarpa delle sponde I : I.
ESERCIZI 10.1
Si deve convogliare una portata Q = 20 m3/s in un canale a pelo libero con pendenza di fondo i = 0,0008. Determinare la profondità e la velocità media di moto uniforme per le seguenti forme di canale: a) canale rettangolare rivestito in calcestruzzo (c = 70) largo b = 5 m; b) canale trapezio scavato in terra (c = 40) scarpa delle sponde 2 : 3, larghezza della base b = 3,50 m;
10.6
Determinare l'altezza critica di una corrente di portata Q = 9 insis defluente in un canale trapezio con larghezza alla base b = 2,50 in e scarpa delle sponde 1 : I (k = 0,96 in).
10.7
Determinare l'altezza critica di una corrente di portata Q = 4,5 m3ls defluente in un canale di sezione circolare di diametro D = 2 in (k = 1,02 in).
10.8
Tracciare la scala delle portate critiche in funzione della profondità per le seguenti sezioni : — sezione rettangolare con larghezza b -= 5 in; — sezione trapezia con scarpa delle sponde 2 : 3 e larghezza alla base b = 3 m; — sezione circolare con diametro D = 5 m;
c) canale trapezio rivestito in calcestruzzo (c = 70), scarpa delle sponde 1 : 1, larghezza della base b = 2,50 m. (a: ho = 1,91 m; Vo = 2,09 m/s; b: ho = 2,19 m; Vo = 1,35 m/s; c: ho = 2.05 VO = 2,14 m/s). 10.2
Calcolare la portata di moto uniforme convogliata nel canale 'di fig. 10.47, essendo la pendenza di fondo i = 0,0009 e la profondità in golena h -= 2,50 m (Q = 904 m2 /5).
— sezione triangolare con scarpa delle sponde I : 1. 10.9
Un canale rettangolare rivestito in calcestruzzo (e = 75), largo b = 5 in, pendenza di fondo i = 0,01, deriva da un ampio bacino con acqua in quiete a mezzo di un imbocco ben raccordato per il quale le perdite sono trascurabili.
426
CORRENTI A PELO LIBERO
ESERCIZI
Determinare la portata del canale e il profilo di moto permanente della corrente, quando il livello nel bacino è alla quota H = 5 m sopra la soglia dell'imbocco e ritenendo il canale molto lungo (Q = 95,3 m3/s).
427
tracciare l'andamento del profilo liquido; le perdite all'imbocco si ritengono trascurabili (Q = 53,84 mais).
10.10 Un canale rettangolare rivestito in calcestruzzo
(e = 70), di larghezza b = 4 m, ha pendenza di fondo i = 0,0008. Esso deriva da un ampio bacino con acqua in quiete, a mezzo di un manufatto d'imbocco ben raccordato nel quale le perdite di carico sono trascurabili. Determinare la portata del canale quando il livello nel bacino sia alla quota H = 3,50 m sopra la soglia di imbocco; il canale può ammettersi di lunghezza infinita (Q = 29,5 msis, ho = 3,235 m).
4m
10.11 Un canale rettangolare rivestito in calcestruzzo (e = 75), con larghezza
b = 5 in, ha fondo con pendenza i = 0,0005 e alla sua estremità di valle presenta un salto di fondo; in esso defluisce una portata di 20 m 3 /s. In una sezione del canale posta 150 m a monte del salto è inserita una paratoia piana verticale con bordo inferiore a spigolo vivo. Tracciare il profilo di moto permanente della corrente a valle della paratoia per le due seguenti aperture della paratoia stessa: ai = = 0,7 m; a2 = 1,2 m.
10.12 Un canale rettangolare rivestito in calcestruzzo ben lisciato (e = 80), largo b = 2,00 m, pendenza di fondo i = 0,0008, convoglia una portata Q = 6 m3/s;
in una sezione intermedia del canale viene costruita una soglia ben raccordata a valle con il fondo del canale ; la cresta della soglia è posta ad una quota rispetto al fondo pari alla profondità di moto uniforme. Tracciare il profilo di moto permanente della corrente a monte e a valle della soglia. 10.13 Un canale rettangolare largo
b = 6 in, rivestito in calcestruzzo non lisciato (o =-- 60) ha il profilo indicato in fig. 10.49. Per le due situazioni:
a) apertura della paratoia a = 1,2 m; bordo della paratoia arrotondato (C c = = 0,90);
h) paratoia completamente aperta, determinare la portata del canale e tracciare il profilo liquido della corrente (Qa = 49,05 mi/a; Qo = 81,86 m3/s).
10.15 a) In un canale a sezione rettangolare definisce una corrente con velocità Vo = = 3 m/s e con profondità ho = 3 In. Determinare la variazione A di pro-
fondità conseguente a: — un innalzamento a = 0,30 m del fondo, con forme ben raccordate; — un abbassamento a = 0,30 in del fondo con forme ben raccordate.
Individuare inoltre il massimo innalzamento del fondo compatibile con le condizioni di monte.
b) Ripetere i calcoli nel caso di una corrente con velocità Vo = 4,5 m/s con profondità ho = 0,6 m, e con innalzamento o abbassamento del fondo a = = 0,10 m (a: Ai = — 0,504 in; A 2 = + 0,402 in; arn a,, = 0,427 in; b: A1 + 0,048 m; A2 = - 0,036 m). 10.16 Un canale a sezione rettangolare largo .8 = 3 m, è percorso da una corrente con
velocità Vo = 3 m/s e profondità ho = 3 m. Determinare le variazioni A di profondità conseguenti a: — una diminuzione della larghezza b = 0,3 m; — un aumento della larghezza b = 0,3 in.
Determinare inoltre la minima larghezza del canale compatibile con le condizioni della corrente a monte.
- T 2,80m rI .--150 m
—i—
500 m FIG. 10.49
10.14 Un canale rettangolare largo
b = 5 m, rivestito in calcestruzzo ben lisciato (e = 75) ha il profilo indicato in fig. 10.50. Determinare la portata del canale e
b) Ripetere i calcoli quando la corrente di monte ha velocità Vo = 4,5 m/s, profondità ho = 0,6 m e le variazioni di larghezza sono b = 0,5 m (a: A1 = = — 0,18 m; A2= + 0,10 in; = 0,538 m; b: A1= + 0,20 in; A2 = - 0,11 I11).
=
10.17 Un canale rettangolare largo Bo = 3 m, è percorso da una corrente con velocità
Vo = 3 m/s e profondità ho = 3 in. Sul fondo del canale si dispone una soglia alta a = 0,60 m. Determinare l'entità del sollevamento 8 del pelo libero da essa provocato subito a monte. Determinare inoltre il restringimento della sezione del canale che, in assenza della soglia, provocherebbe lo stesso rigurgito. (8 = = 0,238 m; AB = 0,712 m).
428
CORRENTI A PELO LIBERO
10.18 In un canale rettangolare è inserito un tronco convergente, lungo 5 m, che porta
la larghezza dal valore B1 = 2 m al valore B2 = 1,5 m; esso ha pareti piane, simmetriche rispetto all'asse; la portata è di 2 m 3fs e, nella sezione iniziale, la profondità è h1 = 1 in. Determinare il profilo della corrente lungo il convergente e la componente nella direzione del moto della spinta sulle pareti (con procedimento per differenze finite, partendo dal profilo stesso) (h2 = 0,951 m; So = 240 kg).
11. Foronomia
10.19 La larghezza di un canale rettangolare viene ridotta da B1= 3 m a B2 = 1,50 m
a mezzo di un tronco di raccordo lungo L = 15 m con pareti rettilinee e fondo orizzontale; nella sezione iniziale del tronco di raccordo la corrente di portata Q = 3 m3 ls ha una profondità ui = 1,50 m. Ammettendo trascurabili le perdite di carico determinare l'andamento del profilo libero nel tronco di raccordo. Mantenendo invariati tutti gli altri elementi determinare inoltre la minima larghezza che può essere assegnata alla sezione di valle del tronco di raccordo senza che venga modificata la profondità nella sezione iniziale (b. = 0,94 m).
CI Z2
35,9
lo
Abbiamo già, visto, illustrando le possibili applicazioni del teorema di Bemoulli (par. 5.5), come questo possa servire a inquadrare concettualmente il problema dell'effiusso da una luce a battente; ed anzi, con particolare riferimento alle luci a spigolo vivo, abbiamo esaminato abbastanza nei dettagli tutte le situazioni tipiche più interessanti. Aggiungeremo qui qualche ulteriore cenno illustrativo su altri tipi di luce a battente e soprattutto sulle luci a stramazzo, avendo specialmente di mira le loro applicazioni pratiche alla misura della portata delle correnti liquide. 11.1 Luci a battente Per quando riguarda le luci a spigolo vivo non sembra il caso di aggiungere altro a quanto già, detto nel par. 5.5. Daremo qui invece qualche cenno sulle cosiddette luci con tubo ad..dizionale, ottenute applicando alla parete del recipiente, in corrispondenza del foro (di norma circolare) un breve tronco di tubo dello stesso diametro. Se il tubo è applicato all'esterno del recipiente la luce viene detta con tubo addizionale esterno, o luce di Venturi. Il tubo dovrà essere lungo a sufficienza perché la vena effluente, dopo aver attraversato la sezione contratta, riesca a riattaccarsi alla parete in guisa che l'efflusso dalla sezione terminale avvenga a bocca piena; ma non tanto lungo che le perdite di carico continue vi possano acquistare qualche importanza: quando la lunghezza sia di un paio di diametri si può ritenere che entrambe le condizioni ora dette risultino soddisfatte. Il processo idraulico che ha luogo nel tubo addizionale è schematizzato in fig. 11.1, per il caso che lo sbocco avvenga nell'atmosfera (che cioè l'efflusso non sia rigurgitato). Nella sezione terminale si può ritenere che la corrente sia ormai gradualmente variata e che pertanto, come a suo tempo abbiamo messo in evidenza, la pressione abbia ovunque valore nullo. Riferendo la linea piezometrica alla traiettoria assiale, essa passa dunque per il baricentro della sezione stessa. Più a monte, in corrispondenza della sezione contratta conseguente all'imbocco a spigolo vivo, la velocità media della vena è però superiore a quella che si presenterà poi nella sezione di [429]
LUCI A BATTENTE
FORONOMIA
430
e la portata:
V
•c
1 V2
'
I
7 4
Q = CA 1/2g • --- h .
.
_I
i
I
Posto ancora
h
G=
0,61 circa e C„ --= 0,98, si ottiene in definitiva:
V2 2g
Ve2
T_
i
i
lal _l
_
FIG. 11.1
sbocco; almeno in via qualitativa il teorema di Bemoulli ci porta quindi a concludere che la quota piezometrica relativa alla sezione contratta deve essere inferiore a quella che compete al baricentro della sezione di sbocco, sicché la sezione contratta sarà in depressione. Per determinare la quota più depressa della piezometrica può servire un semplice piezometro (che ovviamente deve essere foggiato ad U), derivato da un punto della parete in corrispondenza della sezione contratta, come indicato in figura. La determinazione venne effettuata dallo stesso Venturi, il quale trovò una depressione dell'ordine di 3/4 del carico h sulla luce: valore confermato poi, con ottima approssimazione, da numerose successive esperienze. Applicando allora il teorema di Bernoulli, secondo la solita procedura, ad un tratto di traiettoria che, partendo da un punto entro il serbatoio ove la velocità sia ancora trascurabile, raggiunga un punto della sezione contratta (e trascurando quindi la piccola perdita di carico fino al punto stesso), si ottiene:
4 2g =h + • h =-- --
Ve = 1/2g •
7 4
essendo A l'area della luce e quindi della sezione trasversale del tubo addizionale. Si ha dunque un coefficiente di efflusso = 0,8, in luogo di 0,6: la portata di una luce con tubo addizionale esterno risulta maggiore di quella della luce a spigolo vivo avente la stessa area. Allo stesso risultato si può giungere anche per via totalmente diversa, che non richiede la determinazione sperimentale della depressione nella sezione contratta, considerando le perdite che hanno luogo nel tubo addizionale. Abbiamo già detto che quelle continue si possono ritenere trascurabili; bisogna invece mettere in conto la perdita localizzata d'imbocco, che deriva principalmente dal brusco allargamento della corrente a valle della sezione contratta. Abbiamo già visto (par. 7.7.2) che tale perdita vale all'incirca 0,5 V2 /2g, essendo V la velocità media della corrente nella sezione piena; la linea dei carichi totali assume pertanto l'andamento indicato in figura, e si ha: V2 h = 1,5 2g quindi, per la portata: 2
Q = A 1/2g •
h
3-
Pa 4 — < —; e cioè, per l'acqua, finché: 4
h,
0,8 A -V5h
Ritornando al primo ragionamento, è però facile riconoscere che l'espressione (11.1) della velocità Ve nella sezione contratta non può ritenersi valida per qualsiasi valore di h. Sappiamo infatti che la depressione massima teoricamente possibile è uguale in modulo al valore della pressione atmosferica assoluta pa*; in colonna di liquido (altezza piezometrica, negativa, misurata dall'asse del tubo) la depressione nella sezione contratta potrà dunque equivalere ai 3/4 del carico soltanto finché:
h
e quindi la velocità teorica nella sezione contratta:
(11.2)
0,8 A
Q
2g
3 — 4h
431
< — 10 33 rt 13,8 m ,
3
432
circa. Per valori maggiori del carico, in corrispondenza della sezione contratta si verifica precisamente la pressione assoluta zero (o poco superiore, a causa di sviluppo di vapore e dell'aria disciolta), e il teorema di Bernoulli dà: V, = 1/2g(h + 10,33) ;
+ 10,33) .
cordato e pertanto la vena non si stacca dalla parete, bisogna porre C, = 1, e si ha per ogni valore del carico (non presentandosi depressione): Q = GA -V2gh .
(11.3)
coi soliti valori dei coefficienti Cc e CC, si ricava per la portata: Q = 0,6 A V2g(h
433
LUCI A BATTENTE
FORONOMIA
(11.4)
La relazione Q(h) presenta dunque una discontinuità nella tangente (fig. 11.2).
La luce con tubo addizionale interno, cioè applicato alla parete interna del serbatoio e rivolto verso l'interno, viene detta anche bocca di Borda; di minore interesse applicativo, essa è stata tuttavia oggetto di notevole interesse teorico, specialmente nei riguardi del valore del coefficiente di contrazione. P facile riconoscere qualitativamente che tale coefficiente deve avere valore minore di quello corrispondente a una luce in parete sottile : infatti le linee di flusso periferiche della vena effluente sono in questo caso la prosecuzione di quelle che, entro il recipiente, lambiscono la parete esterna del tubo (come la ABC della fig. 11.3); prima di raggiungere la sezione contratta esse devono subire una deviazione complessiva di 1800, anzicché di 90 0 come nel caso della luce in parete sottile; e ne consegue appunto una più accentuata contrazione. Gli studi teorici hanno tuttavia posto in evidenza che il coefficiente di contrazione C c non può scendere al disotto del valore 0,5.
B
C■ ì■
Fic. 11.3
10,33
Accenniamo qui a una semplicissima dimostrazione, che riteniamo concettualmente valida e interessante, anche se basata su ipotesi semplificative. Supponiamo in un primo tempo che la bocca sia collocata al terA), che per semplicità mine di una tubazione di grande diametro (A0 l'affondamento del barih assumeremo ad asse orizzontale (fig. 11.4). Sia centro della luce sotto il tratto terminale della linea piezometrica; se ammettiamo di poter trascurare, di fronte ad h, l'altezza cinetica corrispondente alla velocità nel tubo a sufficiente distanza dalla luce, il teorema di Bei noulli ci dà:
>>
Vale la pena di notare che lo stesso processo di efflusso che abbiamo descritto per il tubo addizionale esterno si verifica in una luce in parete grossa; per esempio, in un foro di scarico che fosse aperto nello spessore di un muro perimetrale di un serbatoio, sempre nell'ipotesi, ovviamente, di imbocco a spigolo vivo. Per contro, se lo spigolo verso monte è ben rac-
= V2gh, . Applichiamo ora l'equazione globale della dinamica dei liquidi al volume tratteggiato in figura, facendo l'ipotesi che nella sua sezione mi-
434
FORONOMIA
435
LUCI A BATTENTE
•
•
Prima di chiudere l'argomento delle luci a battente, accenniamo ancora al caso che si presenta quando la velocità del liquido nel recipiente da cui avviene l'effiusso non sia trascurabile; il che per esempio potrebbe avvenire quando la luce fosse aperta in un setto, o paratoia, intercettante la corrente in un canale (fig. 11.5). Ammessa gradualmente variata tale corl rente, la quota piezometrica spettante all'estremo di monte M del solito — i— 7 « " _ VY2 I g_ _ I i H M h V
-
_
y
FIG. 11.4
ziale MM la corrente possa considerarsi ancora gradualmente variata e che presso la parete di fondo NN esista una zona di liquido sensibilmente in quiete, in guisa che sulla parete stessa si abbia una distribuzione idrostatica della pressione corrispondente all'affondamento h del baricentro. Queste ipotesi sono ovviamente tanto più prossime al vero quanto maggiore è l'area A 0 . Proiettata sull'orizzontale, l'equazione globale si scrive: yhA o pAohi = ykélo— A) + pA,V, 2 Tenuto conto dell'equazione di continuità:
A0V0 = AV e semplificando si ricava:
FIG. 11.5
tratto di traiettoria che si prende in considerazione per l'applicazione del teorema di Bemoulli coincide ancora con la quota del pelo d'acqua; ma dovremo ora aggiungere ad essa l'altezza cinetica V 2 /2g essendo V la velocità media della corrente in arrivo, cioè la cosiddetta velocità d'arrivo. Scriveremo dunque, con riferimento alla traiettoria passante per il baricentro della sezione contratta: 2 V2 pm. Ve + - = Ze + — Zm + 2g Y 2g Introdotto il solito carico h sulla luce ed espresse le velocità in funzione della portata Q e delle aree Ao della corrente e A, della sezione contratta della vena, si ricava :
pA c V: = yhA pA,V,Vo • Di qui si può ottenere il valore del coefficiente di contrazione:
A, A
yh A,V0 p V 2 AV,
Yh ' 2gph
A,Vo AV,
1 2
Q2
2g k A 2 e
A,Vo AV,
1\
A
o
'
e in definitiva:
Si ha dunque C, > 112, come annunciato; al limite poi, quando Ao diventasse molto grande, come nel caso di una bocca aperta nella parete di un serbatoio, il secondo addendo andrebbe a zero e si avrebbe proprio Ce = 0,5. In pratica si può porre invece p. = 0,5, ottenendo quindi per la portata:
Q = 0,5 A V2gh.
1
(11.5)
Q —,
A rA o A2O --- A2C
V2gh •
(11.6)
La (11.6) è del tutto analoga alla (5.15) esprimente la portata che ì attraversa un venturimetro, come del resto era logico attendersi. Per tener conto del fatto che il liquido non è perfetto è conveniente moltiplicare il secondo membro per il solito coefficiente C t, di velocità.
436
FORONOMIA.
LUCI A STRAMAZZO
Accenniamo da ultimo, soprattutto in vista dei rapporti che la questione presenta con la teoria degli stramazzi di cui ci occuperemo tra breve, al caso delle luci a spigolo vivo in parete verticale (o inclinata) la cui estensione nella direzione verticale non si possa ritenere piccola di fronte al battente : più precisamente, essa sia così grande che non sembri più lecito ammettere che la velocità media nella sezione contratta equivalga alla velocità nel baricentro della sezione stessa. Per il calcolo della portata bisognerebbe a rigore effettuare una integrazione del diagramma della velocità, cioè della (5.14):
Q
= fA -1/2gh dA ,
437
11.2 Luci a stramazzo Col nome tradizionale di stramazzi vengono designate, come abbiamo già detto, le luci a battente nullo; cioè quelle luci il cui contorno non sia completamente lambito dalla vena diluente. Gli stramazzi sono normalmente impiegati come misuratori di portata per le correnti a pelo libero e largamente diffusi, per esempio, nelle reti di distribuzione irrigua. Lo stramazzo forse più diffuso e certo più studiato, soprattutto per via sperimentale, è il cosiddetto stramazzo Bazin, rettangolare, con contrazione completa alla base e contrazione soppressa sui fianchi. In fig. 11.7 è rappresentato schematicamente in sezione uno dei tipi più comuni:
ma questo non è agevole, soprattutto perché, in generale, non è ben noto il contorno della sezione contratta. Con procedimento discutibile, che tuttavia porta di norma a risultati in buon accordo con l'esperienza, si effettua l'integrazione per la sezione stessa della luce, considerando costante il valore del coefficiente [1. di effiusso, cioè si pone:
Consideriamo qui soltanto il caso, analiticamente semplice e piuttosto frequente nella pratica, di una luce rettangolare larga L (fig. 11.6). Siano e h2 > 1 1 gli affondamenti dei due lati orizzontali del contorno ed ese-
FIG. 11.7
guiamo l'integrazione per striscioline larghe L e di altezza dh: cioè consideriamo la portata complessiva come somma delle portate che passerebbero attraverso le singole striscioline, se queste funzionassero come luci isolate. Si ottiene: h
Q=
2
i 1/2gh dh =
2 - /.t_L 3
(e2 14/2)
(11.7)
il tratto di canale in cui lo stramazzo va inserito deve essere rettangolare; lo stramazzo stesso è costituito da una traversa, di norma in muratura, sormontata da una lama metallica con bordo superiore a spigolo vivo. Questa lama è la base della luce rettangolare, larga L come la sezione trasversale del canale, mentre i fianchi sono costituiti dalle stesse pareti del canale; proprio da questo fatto deriva la mancanza di contrazione della vena sui fianchi. La contrazione completa alla base è invece assicurata sia dal bordo a spigolo vivo, sia dal fatto che al disotto della vena stramazzante si fa in modo di mantenere la pressione atmosferica. Vale la pena di soffermarsi con qualche dettaglio su questa circostanza, che è indispensabile per un corretto impiego del dispositivo come misuratore di portata e precisamente perché esista una relazione univoca fra il livello del pelo d'acqua a, monte e la portata. La vena stramazzante, occupando l'intera larghezza del canale, chiude lo spazio ad essa sottoposto, cioè ne impedisce la comunicazione con l'atmosfera; l'aria in esso contenuta, che si trova alla pressione atmosferica quando inizia l'efflusso, viene via via asportata dalla corrente per azione di trascinamento e, se effettivamente è interdetta la comunicazione con l'ambiente esterno, ne deriva una pro-
LUCI A STRAMAZZO
438
439
FORONOMIA
nella seconda espressione, in particolare, compare il prodotto di un'area (Lh) e di una specie di velocità torricelliana (V2gh), entrambe però del tutto fittizie. In realtà il ragionamento su accennato è completamente arbitrario: lo era già, come abbiamo notato, quello che ha condotto alla (11.7), ma basta un semplice confronto qualitativo fra le figg. 11.6 e 11.7 per convincere della sostanziale differenza fra i due processi di effiusso che sono stati ora assimilati. E tuttavia i risultati sperimentali, copiosissimi, hanno portato a riconoscere che la legge di proporzionalità della portata alla potenza 3/2 del carico è verificata con soddisfacente precisione per carichi non piccolissimi (il che del resto può derivare anche da semplici considerazioni dimensionali) e che per di più il coefficiente [J,8 dello stramazzo è prossimo in maniera sorprendente ai 2/3 di quello g delle luci a battente a spigolo vivo: cioè vale poco più di 0,4. A una forma del tutto analoga alla (11.8) era già giunto nel Seicento l'idraulico italiano Poleni; sicché, a buon diritto, alla stessa (11.8) può essere attribuito il nome di formula di Poleni. Analizzando però il processo di efflusso con qualche maggior sottigliezza, ci si rende conto che, per lo stramazzo Bazin, il coefficiente d'efflusso p., della (11.8) non può essere ritenuto rigorosamente costante, cioè indipendente dal carico. Lo stramazzo è posto al termine di un tronco di canale di sezione trasversale non grandissima rispetto a quella della vena effiuente, sicché la velocità di arrivo (fig. 11.7):
gressiva diminuzione della pressione. La vena, sulle cui superfici, superiore e inferiore, agiscono pressioni differenti, si va progressivamente deformando, accostandosi alla traversa; in queste condizioni viene detta vena depressa, mentre prende il nome di vena aderente quando, eliminata ormai l'aria sotto di essa col progredire del fenomeno, essa finisce per aderire al dorso della traversa; ciò può avvenire soprattutto per piccoli carichi. Ora è evidente che le due situazioni di vena depressa e di vena aderente non possono essere accettate per l'impiego dello stramazzo come misuratore : una semplice applicazione qualitativa del teorema di Bernoulli porta infatti a riconoscere che una pressione inferiore all'atmosferica sulla superficie inferiore della vena porta come conseguenza un incremento di portata la cui entità dipende dalla pressione stessa ed è comunque difficilmente valutabile. E dunque necessario escludere queste eventualità, al che si provvede assicurando la comunicazione dello spazio soggiacente alla vena con l'ambiente esterno o a mezzo di un'ampia canna aerofora A aperta in una parete o, se possibile, interrompendo una o entrambe le pareti poco a valle della traversa. Si dice carico dello stramazzo il dislivello h (fig. 11.7) fra il bordo in feriore della luce e la quota del pelo d'acqua nel canale d'arrivo (più in generale nel recipiente dove è aperta la luce), a sufficiente distanza perché possa considerarsi nullo l'effetto della cosiddetta chiamata di sbocco: cioè dell'abbassamento della superficie libera da cui deriva il progressivo aumento della velocità, a norma sempre del teorema di Bemoulli. Si dice equazione dello stramazzo la Q = Q(h), cioè la relazione univoca che collega la portata al carico. E facile rendersi conto che la Q(h), non può essere stabilita con un ragionamento semplice, del tipo di quello, basato sul teorema di Bernoulli, che consente di calcolare la velocità torricelliana nell'effiusso da una luce a battente. Nella vena effiuente da uno stramazzo non è infatti possibile individuare una sezione contratta, nel senso che abbiamo precisato, cioè una sezione trasversale sensibilmente piana e attraversata da linee di corrente sensibilmente rettilinee: le linee stesse presentano anzi ovunque notevole curvatura, e conseguentemente in ogni punto interno alla vena la pressione ha valore diverso da zero e incognito (la sua determinazione implica la risoluzione di un difficile problema di idrodinamica, in sostanza la risoluzione completa dell'equazione di Eulero in un campo in cui a priori non si conoscono neppure i contorni; e non è certo il caso di affrontarla per giungere a una semplice formula pratica). E stato proposto per contro un tipo di ragionamento che assimila lo stramazzo a una luce a battente per la quale il battente si sia annullato. In quest'ordine di idee, l'equazione dello stramazzo rettangolare può essere ottenuta dalla (11.7), semplicemente ponendovi hi = O e h2 -- h: si ricava: 2
Q = --3- 1LL A/2g h3/2 = p.8Lh -V2gh ;
(11.8)
Vo =
Q L(h + t)
e la corrispondente altezza cinetica non risultano sicuramente trascurabili, qualora si voglia raggiungere una buona approssimazione nella valutazione della portata. Detta h, = V0 2 /2g l'altezza cinetica, in luogo del carico h bisognerebbe considerare, a norma del teorema di Bemoulli, la somma h -l- ; più precisamente se si vuole seguire lo schema di ragionamento che ha condotto alla (11.8), bisognerebbe sommare h,,, nella (11.7), sia a hi che a h2 e si avrebbe quindi, passando al limite: Q = -j- gL -W2g [(h + h) 312 — 4 312] ; 3 iI • A
I
formula però di impiego assai disagevole, essendo la ht, a priori incognita, in quanto funzione dell'incognita Q. Lo stesso Bazin, che verso la fine del secolo scorso si occupò a lungo di questo stramazzo, sia sperimentalmente che teoricamente, attraverso uno sviluppo in serie della potenza 3/2 del binomio giunse ad una formula in cui il coefficiente g s appare corretto da un termine aggiuntivo, adimensionale, proporzionale al rapporto hl(h + t), essendo t (fig. 11.7) l'altezza,
440
FORONOMLA LUCI A STRAMAZZO
441
del petto dello stramazzo; e apportY una ulteriore piccola correzione, dovuta a una Causa di cui diremo fra breve. La formula di Bazin per il suo stramazzo compare in quasi tutti i manuali, assieme ad altre successivamente proposte. Non la riporteremo qui, ma daremo invece un'altra formula un po' più moderna, dovuta al tedesco Rehbock e ormai riconosciuta pienamente soddisfacente. Il Rehbock introduce innanzitutto un carico h, cosiddetto efficace, da sostituire ad h e legato a questo dalla relazione:
h, = h + 0,0011 (m) ; e adotta per p. s l'espressione :
= 0,402 + 0,054
h, —
no.
,
11.8
t
sicché in definitiva risulta:
stramazzo un'espansione del canale, cioè una vasca di calma; lo stramazzo verrà allora a interessare soltanto una modesta frazione della parete terminale della vasca; come conseguenza, al contrario di quello di Bazin, esso darà luogo necessariamente a contrazione anche sui fianchi, oltrecché sulla base, il che del resto può essere vantaggioso per assicurare la perfetta aerazione della vena. Lo stramazzo rettangolare con contrazione anche sui fianchi viene detto stramazzo di H égly. Esso non ha però mai trovato largo impiego, specialmente in campo tecnico, sicché ci limitiamo a un breve cenno. Diremo soltanto che, a seguito soprattutto di accurate prove dello stesso FIégly (un allievo di Bazin), si è riconosciuto che la diminuzione di portata derivante dalla contrazione laterale può essere assimilata, in prima approssimazione, a quella che in uno stramazzo Bazin deriverebbe da una diminuzione della larghezza della base pari a 0,2 h (0,1 h per ciascun fianco). Diremo invece di altri due stramazzi a contrazione completa, entrambi di notevole interesse applicativo: quello triangolare e quello trapezio di Cipolletti. Lo stramazzo triangolare è di norma isoscele, col vertice in basso e l'asse di simmetria verticale (fig. 11.9). Per il calcolo della portata, si può procedere a una integrazione, con le stesse ipotesi e le stesse riserve che abbiamo fatto per le grandi luci. Con le notazioni di fig. 11.9, si ha:
Q = (0,402 + 0,054 t Lh, V2gh, . —
Il fatto che venga fatto dipendere da he e precisamente cresca al crescere di h, (cioè della portata) si ricollega a quanto si è detto circa l'influenza non trascurabile della velocità d'arrivo; va notato che l'addendo correttivo è adimensionale, il che significa che il processo idrodinamico, per questo riguardo, rispetta la legge di similitudine. Invece la correzione che porta a definire il carico efficace h, non è adimensionale. Essa è molto piccola (1,1 mm) e quindi sensibile, percentualmente, soltanto per carichi h pure piccoli, nell'ambito di quelli che interessano le misure di laboratoio più che misure tecniche di campagna (per le quali, del resto, sarebbe illusorio pensare di misurare i carichi con l'approssimazione del mm); ma proprio il fatto di non essere adimensionale la rende interessante concettualmente. La ragione della necessità di questa correzione, riconosciuta sperimentalmente, è stata individuata nell'influenza della tensione superficiale: per carichi piccoli la curvatura della superficie inferiore della vena &fluente è forte e provoca, a causa della tensione superficiale, una sensibile diminuzione di pressione nei punti interni della vena stessa e quindi un aumento della portata; inoltre, per adesione, sempre per carichi molto piccoli, la superficie inferiore tende a staccarsi dal bordo di valle, anzicché da quello di monte, dell'areola piana orizzontale che, per ragioni costruttive, sostituisce di norma il tagliente dello stramazzo (fig. 11.8); e anche questo fatto porta a un lieve aumento di portata.
Q = [1. 1/2g
iO
z 1 i2b dz ;
e sostituendo a b la sua espressione in funzione di z:
b = 2(h — z) tg a, L'indubbio inconveniente, ai fini applicativi, di dover metter in conto la velocità d'arrivo, ha suggerito ormai da tempo di annullare o almeno rendere trascurabile tale velocità, predisponendo subito a monte dello
si ha infine:
I1
Q=
tg a-V2g fh (h — z) z1/2 dz = o
15
p. tg a i./2g h5/2.
(11.9)
442
LUCI A STRAMAZZO
FORONOMIA
443
quella derivante da una diminuzione 0,2 h della larghezza e cioè: =
2 3
g. •02h •h-W2gh ;
uguagliandola alla portata delle due areole tratteggiate in figura, clie complessivamente corrispondono ad un triangolo isoscele, si ha: 2 8 p. tg 7.1-c2 2gh --à-- p. • 0,2 h • h V2gh = — 15 Naturalmente il P. che compare nella (11.9) è quello delle luci a battente in parete sottile, cioè all'incirca 0,6; la formula stessa risulta in sufficiente accordo con le constatazioni sperimentali e può essere accettata per un corrente impiego tecnico. Lo stramazzo triangolare è però soprattutto usato per misure di laboratorio perché, per la sua particolare forma, che fa corrispondere carichi abbastanza elevati anche a piccole portate, si presta a misure di notevole precisione: è evidente però che per giungere a simile risultato conviene procedere ad apposita taratura del singolo dispositivo. Ricordiamo che il particolare stramazzo avente a = 45 0 viene detto stramazzo Thomson; la sua equazione può scriversi: 8 Q = — g.h2 -Ogh . 15 Larga diffusione nelle reti di distribuzione irrigua ha trovato invece un particolare stramazzo a forma trapezia, noto come stramazzo Cipolletti. Studiato per essere applicato alla rete di canali irrigui facente capo al Canale Villoresi, di cui lo stesso ing. Cipolletti fu progettista, esso ha trovato in seguito notevole fortuna anche all'estero, specialmente in America. L'idea che ha condotto alla definizione della forma di questo stramazzo è stata quella di supplire, con l'aggiunta di due piccole aree triangolari ai fianchi, alla diminuzione di portata imputabile alla contrazione laterale: in guisa che lo stramazzo desse luogo alla stessa portata di uno stramazzo Bazin, avente larghezza L uguale a quella della base minore del trapezio (fig. 11.10).
no. 11.10 Abbiamo già accennato, parlando dello stramazzo di Hégly, che la diminuzione di portata derivante dalla contrazione rfuò essere uguagliata a
Ne segue: tg a =
2 3
•
15 8
•
1
1 5 — 4 ;
e pertanto l'inclinazione dei fianchi dello stramazzo trapezio deve essere di 1 di base su 4 di altezza. L'equazione dello stramazzo può quindi coincidere formalmente con quella di uno stramazzo Bazin di larghezza L; è evidente però che il coefficiente di efflusso potrà essere considerato costante (cioè indipendente dal carico) perché per lo stramazzo trapezio, che di norma è preceduto da una vasca di calma, non occorre mettere in conto l'effetto di una velocità di arrivo. Su base sperimentale è stata riconosciuta accettabile la formula: Q = 0,415 Lh V2gh Alla teoria delle correnti a pelo libero, più che a quella dell'effiusso, si riconduce l'analisi del funzionamento di un altro tipo di stramazzo, detto stramazzo a larga soglia. Come tutti gli stramazzi anch'esso può essere impiegato per la misura della portata di una corrente a pelo libero; ma, in campo pratico, esso può assolvere anche altre funzioni: ad esempio sono ad esso assimilabili le soglie fisse delle traverse fluviali. Consiste in uno sbarramento dell'alveo, che ne occupa l'intera larghezza, con sezione rettangolare; lo spigolo a monte viene però di norma ben arrotondato (fig. 11.11), per impedire un distacco di vena e quindi una perdita di carico localizzata. La larghezza L della soglia deve essere sufficiente perché la vena che su di essa si adagia possa essere assimilata a una corrente a pelo libero: basta perciò che essa sia un po' maggiore del massimo valore che può assumere il carico h a monte, misurato a partire dalla quota del piano della soglia. L'altezza t della soglia sul fondo del canale d'arrivo deve a sua volta essere tale che la corrente risulti sicuramente influenzata dalla presenza dello stramazzo, che si verifichi cioè il caso di fig. 10.42 (eventualmente, ma non comunemente, il caso di fig. 10.43) e non quello di fig. 10.41: ciò è necessario, perché solo in tal caso h dipende univocamente dalla portata e quindi la sua misura può servire a determinarla.
LUCI A STRAMAZZO
444
FORONOMIA
445
questa la formula dello stramazzo a larga soglia. Il coefficiente numerico che vi compare assolve il compito del solito coefficiente di efflusso: ed è questo il solo caso in cui, come si è visto, possa essere determinato per via teorica, salvo l'eventuale ma inessenziale correzione con un coefficiente di velocità. Osserviamo ancora che se il livello del pelo libero della corrente' a valle dello stramazzo aumenta in guisa da sommergere la vena &fluente dallo stramazzo, vedremo formarsi un risalto subito a valle della soglia o addirittura sul suo tratto terminale (fig. 11.12). Questo risalto ci garantisce della presenza di un breve tratto di corrente veloce a valle della sezione dove
Se l'efflusso dallo stramazzo, come indicato in fig. 11.11, non è rigurgitato da valle, la corrente deve allora passare attraverso lo stato critico in una certa sezione, imprecisata, sopra la soglia. Ammetteremo che all'imbocco dello stramazzo le perdite di carico siano trascurabili, e che pertanto su di esso la linea dei carichi totali possa considerarsi orizzontale: salvo tener conto, se si vuole una approssimazione piuttosto forte, delle perdite trascurate a mezzo di un coefficiente C, di velocità, da stabilire sperimentalmente mediante taratura, ma certo molto prossimo all'unità. Abbiamo allora, con riferimento a un tratto di soglia di lunghezza unitaria e quindi alla portata q per unità di larghezza dell'alveo: cc V 2 n2 = h + E=h+ 2g(h + 42 2g
3 2
o anche: k3 2(h +t) 2
3
1.
2
tetto il carico h, per esempio a mezzo di una stadia graduata applicata a una parete del canale d'arrivo, l'equazione ora scritta, che è di 3° grado, ci consente di determinare k, e quindi: q = k Vgk Più semplicemente però si può osservare che il secondo addendo del primo membro della (11.10), che rappresenta l'altezza cinetica della corrente lenta in arrivo da monte, è trascurabile di fronte al primo nella ipotesi fatta che l'altezza t della soglia non sia piccolissima. Si ha allora semplicemente k = 2/3 h, e pertanto _ t--
2 3 .0
h V2gh = 0,385 h V2gh
(11.11)
FIG. 11.12
si stabilisce lo stato critico; e proprio questa corrente veloce fa si che il livello di valle non possa esercitare influenza sulla corrente e che pertanto la portata risulti funzione univoca del carico h, come richiesto per un corretto funzionamento dello stramazzo come dispositivo di misura. Soltanto quando il dislivello A fra i peli liberi a monte e a valle si è ridotto a una frazione molto piccola del carico il risalto scompare, segnalando il fatto che su tutta la soglia la corrente si mantiene lenta; allora, ovviamente, la portata dipende anche da A e non soltanto da h, e lo stramazzo ha perso il carattere della semimodularità. La presenza del risalto in condizioni di corretto funzionamento fa si che lo stramazzo a larga soglia possa ascriversi a quella larga categoria di dispositivi di misura della portata di una corrente a pelo libero che si indicano col nome generico di misuratori a risalto: in tutti avviene uno strozzamento della corrente, che è costretta a passare per lo stato critico. E tutti questi dispositivi hanno il grande pregio di poter funzionare bene anche con valori molto piccoli del dislivello A, cioè, con minima perdita di
(*) Si dice semimodulo un dispositivo di misura della portata nel quale questa dipenda dal livello a monte, ma non da quello a valle: modulo è invece un dispositivo, di scarso impiego, che fissa la portata indipendentemente da entrambi i livelli.
446
PORONOMIA PROCESSI DI MOTO VARIO
quota: il che può essere particolarmente apprezzabile, quando si tratti di inserirli in un canale aperto in terreno pianeggiante, come spesso avviene nelle reti di bonifica o di irrigazione. 11.3
Processi di moto vario
Prendiamo in esame soltanto un problema di moto vario che può presentare un notevole interesse applicativo: quello del progressivo vuotamento di un serbatoio attraverso una luce, a battente o a stramazzo. Riterremo che, in ogni caso, la portata effluente dalla luce sia di piccola entità, rispetto al volume contenuto nel serbatoio, in guisa che in esso siano trascurabili le velocità, e conseguentemente le inerzie; il processo di moto vario potrà pertanto assimilarsi a una successione di processi di moto permanente, per i quali, in particolare, risulteranno valide le espressioni della portata, in funzione del carico h variabile col tempo, che abbiamo in sostanza dedotte come conseguenza del teorema di Bernoulli. Avremo dunque in generale: (11.12) Q = Q(11) , in cui la Q(h) può assumere una delle espressioni che abbiamo visto in precedenti paragrafi, a seconda del tipo della luce. Per effetto di questa portata effluente, il livello del pelo libero nel serbatoio si abbassa progressivamente, quindi il carico h diminuisce. Se diciamo E l'area della generica sezione orizzontale del serbatoio, che sarà in generale una funzione nota di h (v. fig. 11.13), il volume effluito nel tempo dt risulta Edh, e quindi deve essere:
—Edh = Qdt.
447
Esamineremo qui due situazioni semplici, ma di interesse pratico, in cui l'integrazione risulta facile: precisamente il vuotamento di un cilindro verticale (E = cost), rispettivamente a mezzo di una luce a battente o di uno stramazzo (di Bazin, o Cipolletti, o a larga soglia). Nel primo caso abbiamo:
che, introdotta nella (11.13) dà:
dh
11A A/2g dt . E
Con la condizione h = ho per t = O, integrando si ottiene:
A Da questa si può anche ricavare : h = (1 11A 2g t) 2 ho 2E ho Questa legge è rappresentata in fig. 11.14; si riconosce in particolare che il carico si annulla dopo un tempo:
t —
2E
(11.13) Conviene però notare che, prima di giungere a questa condizione, la luce a battente si trasforma in uno stramazzo: da questo momento il processo segue una diversa vicenda. Consideriamo ora l'efflusso attraverso uno stramazzo per cui valga un'equazione del tipo:
Q= introdotta questa espressione nella (11.13) si ottiene:
dh halz
p.LN/ -2ì dt ; E
integrando con la stessa condizione iniziale, si ha: Il sistema delle (11.12) e (11.13) definisce insieme alle condizioni iniziali, il processo di moto vario. Per una generica espressione della funzione E(h), si potrà procedere alla sua integrazione per differenze finite.
1 1/74
1 2E
'
448
449
REAZIONE DI EFFLUSSO
FORONOMA
Per fissare le idee, consideriamo il recipiente indicato in fig. 11.16 contenente liquido in quiete. La spinta idrostatica S che il liquido esercita sul complesso delle pareti e del fondo del recipiente è uguale al peso del liquido stesso, come si deduce immediatamente dall'equazione globale dell'idrostatica, che può scriversi:
h 0.75
S=—=G;
0.50
C
A
0,25
0
0
0,25
0,75
0.50
,3i rg 21
h.
D
FIG. 11.14
o anche: 1
2
(
1 + 11294 t) 2E
Questa legge è rappresentata nella fig. 11.15: si riconosce in particolare che per l'annullamento del carico occorrerebbe un tempo infinito.
pertanto non ammette componente orizzontale ; il che può dedursi anche intuitivamente dalla considerazione dei diagrammi delle pressioni sulle due pareti opposte AB e CD. Se però apriamo una luce, ad esempio, nella parete AB, come indicato in figura 11.17, ci rendiamo subito conto che l'equilibrio idrostatico resta
F /
-
■■■•■ ■■•■■
■•••■Mi "/■■■~M
■•■■,.
Fio. 11.17
2 5FIG. 11.15
11.4
Reazione di efflusso
Chiudiamo questi cenni di foronomia illustrando brevemente un fenomeno caratteristico dell'efflusso da luci, ma che trova analogie ed estensioni anche in differenti altri processi fluidodinamici.
turbato: non solo viene a mancare la spinta sulla parete in corrispondenza della luce, cioè dove la parete vien meno, ma anche tutto intorno alla luce le pressioni diminuiscono, come si può dedurre immediatamente dal teorema di Bernoulli. Detta v m la velocità in corrispondenza di un generico punto M della parete situato nei pressi della luce, la pressione su di esso subisce una diminuzione yvm 2 /2g rispetto al valore idrostatico; ne risulta un diagramma delle pressioni, indicato qualitativamente in figura, che dà luogo
450
FORONOMIA
ad una spinta su AB certamente inferiore in modulo a quella idrostatica. D'altra parte, potendosi ritenere sempre trascurabili le velocità nei pressi della parete CD del recipiente opposta a quella in cui è praticata la luce, il corrispondente diagramma delle pressioni resta praticamente inalterato; ne deriva, come si comprende facilmente, una componente orizzontale della spinta sul recipiente, in senso opposto a quello del moto della vena efiluente. 11 fenomeno illustrato viene genericamente designato come reazione d'efflusso. Più precisamente, diamo la seguente definizione: si dice reazione di efflusso la differenza fra la spinta che si esercita sul recipiente da cui effluisce il fluido e quella (idrostatica) che vi si eserciterebbe qualora mancasse la luce. Per calcolarla si presta bene l'equazione globale dell'equilibrio dinamico. Per semplicità faremo l'ipotesi che la luce sia piccola rispetto alle dimensioni orizzontali del recipiente, cosicché l'abbassamento del pelo libero conseguente all'efflusso sia molto lento e il moto si possa considerare praticamente permanente. Detta II' la spinta sul volume liquido contenuto nel recipiente nella situazione idrodinamica (esteso al tratto di vena sino alla sezione contratta, il che non ne altera sensibilmente il peso) ed M2 il flusso di quantità di moto attraverso la sezione contratta (la quantità di moto entrante è ovviamente nulla), l'equazione globale si scrive: G + —M2 = 0; la spinta S' sul recipiente vale dunque: S' = — II' = G — M2 e quindi, per definizione, la reazione d'efilusso risulta: R = S' — S = — M2 . Calcoliamone il modulo. Detto h il carico sulla luce e Ve la velocità nella sezione contratta, si ha: M2 = pQV, = pA,V: pA, C„2 2gh = 2C: yh A, ;
ora ThA, è la spinta che si eserciterebbe sulla sezione contratta in condizioni idrostatiche: la reazione d'efilusso è pari all'incirca al doppio di tale spinta (un po' minore, per effetto delle resistenze sintetizzate dal coefficiente C v). Abbiamo illustrato il fenomeno con riferimento a una luce aperta in una parete verticale; ma vale la pena di richiamare l'attenzione sul fatto, del resto ovvio, che la reazione d'efflusso si manifesta in ogni caso, quando ha luogo l'efflusso. In particolare, se la luce è aperta sul fondo del recipiente essa si traduce in una diminuzione della spinta sul fondo stesso. A un fatto del tutto analogo a quello ora illustrato, cioè ad una particolare reazione d'efilusso, è dovuto il moto rotatorio di certi dispositivi di aspersione in uso negli impianti di irrigazione a pioggia. E vale la pena di aggiungere che lo stesso principio è alla base del funzionamento di quel tipo di macchine fluidoclinamiche che vengono appunto dette a reazione.
12. Moti di filtrazione
12.1 Generalità Benché i processi di movimento di liquidi entro mezzi porosi rivestano grande importanza in molti campi della tecnica, ci limitiamo qui soltanto a qualche cenno sulle questioni più essenziali, con particolare riferimento ai moti di filtrazione dell'acqua nelle cosiddette falde acquifere: cioè nelle formazioni alluvionali di sabbia o ghiaia, ad elementi più o meno minuti, che costituiscono una rilevante percentuale della superficie terrestre. In questi terreni, che vengono detti permeabili, penetra naturalmente l'acqua che ne raggiunge la superficie sotto forma di pioggia o per scorrimento superficiale sulle formazioni non permeabili; e vi si accumula, costituendo depositi veramente preziosi per le attività umane e per la stessa economia dei processi biologici; ad essi possono attingere direttamente le piante, attraverso gli apparati radicali; da essi l'uomo può ottenere, a mezzo di pozzi o di altri analoghi dispositivi di emungimento, l'acqua che gli serve per l'alimentazione e per le attività industriali; essi infine alimentano le sorgenti di qualsiasi tipo. E si può in generale osservare che l'acqua ricavata dalle falde può considerarsi pura, nei riguardi igienici, quando non intervengano colpevoli cause di inquinamento, ormai purtroppo frequenti in prossimità dei grossi nuclei industriali: il moto attraverso i sistemi filtranti, specialmente se costituiti da elementi piuttosto minuti, rappresenta infatti di norma un efficace processo naturale di depurazione. Le falde acquifere naturali si suddividono in due grandi categorie, che differiscono non soltanto negli aspetti geomorfologici, ma anche e soprattutto nei riguardi del comportamento idraulico: falde freatiche e falde artesiane. Le falde freatiche sono di norma contenute in formazioni permeabili che si spingono fino alla superficie del suolo. L'acqua non le occupa interamente, ma solo in una parte inferiore, di spessore più o meno rilevante, appoggiandosi alla base su una formazione impermeabile, per esempio argillosa, che viene detta il letto della falda; superiormente invece i meati fra le particelle solide che costituiscono la formazione permeabile sono occupati da aria, in comunicazione con l'atmosfera. In ogni falda freatica esiste pertanto una superficie nei cui punti il liquido è alla pressione at[4511
452
MOTI DI FILTRAZIONE VELOCITÀ DI FILTRAZIONE
mosferica; la si definisce superficie piezometrica (o freatica) della falda, giacché ovviamente in una canna piezometrica infissa nella falda la superficie libera del liquido si porterebbe al suo livello; se la falda è in quiete la superficie piezometrica è un piano orizzontale, mentre presenta una pendenza nel senso del moto se la falda è in movimento. La superficie piezometrica non coincide di norma con la superficie di separazione fra acqua e aria: i meati del sistema permeabile si comportano infatti come tubi capillari, entro cui il livello si porta a quota tanto più elevata sopra la superficie piezometrica quanto più piccole sono le loro dimensioni trasversali cioè, in definitiva, quanto più minute solo le particelle solide che costituiscono il sistema stesso. La zona occupata da liquido al disopra della superficie piezometrica viene detta frangia capillare: essa può avere uno spessore di alcuni decimetri, anche di alcuni metri per terreni a scheletro molto minuto. Al disopra della frangia capillare si può trovare ancora liquido aderente alle particelle solide, ma non occupante interamente i meati. Le falde artesiane sono invece caratterizzate dal fatto che l'acqua occupa tutto lo spessore della formazione permeabile, la quale è racchiusa fra due formazioni impermeabili: quella inferiore è detta letto della falda, quella superiore tetto. Nella falda il liquido è in pressione: se, attraverso il tetto, si infigge nella falda una canna piezometrica il livello del pelo d'acqua si porta in essa a quota superiore a quella del tetto; la superficie individuata dai livelli dei peli d'acqua in tutte le possibili canne piezometriche può dirsi anche in questo caso superficie piezometrica della falda, ma ovviamente non appartiene alla falda stessa.
Nella fig. 12.1 è indicata la possibile coesistenza di una falda freatica e di una falda artesiana sotto il medesimo piano di campagna: lo strato impermeabile MN costituisce il letto della falda freatica contenuta nella
453
formazione permeabile A, della quale la linea a—a rappresenta la traccia della superficie piezometrica (per semplicità e chiarezza di disegno non è segnata la frangia capillare). Lo stesso strato MN costituisce invece il tetto della falda artesiana contenuta nella formazione permeabile 73, di cui lo strato impermeabile PQ rappresenta il letto; la linea h—h è la trakcia della sua superficie piezometrica. La falda artesiana può essere alimentata in corrispondenza della superficie PM, ove la formazione permeabile affiora; risulta chiaro dalla figura che ivi la falda ha comportamento freatico anzicché artesiano. In figura sono anche segnati due pozzi C e C', attingenti rispettivamente dalle due falde e che possono fungere da canne piezometriche : essi sono pure detti rispettivamente pozzo freatico e pozzo artesiano. evidente che dal pozzo freatico C si può attingere acqua soltanto spingendo la sezione iniziale del tubo di aspirazione di una pompa al disotto del livello della superficie piezometrica a—a. Nel pozzo artesiano C' invece l'acqua risale spontaneamente -fin sopra il piano di campagna; anzi, se la canna del pozzo si arrestasse a tale livello, l'acqua zampillerebbe, raggiungendo teoricamente la quota della superficie piezometrica b—b.
12.2 Velocità di filtrazione. Permeabilità In una falda in movimento, o più generalmente nel campo del moto di filtrazione di un liquido in un mezzo permeabile, la velocità effettiva del liquido assume direzioni e moduli quanto mai variabili da punto a punto, in dipendenza della grande complessità del sistema di canalicoli lungo i quali il movimento si effettua: sebbene in genere, e salvo situazioni del tutto eccezionali, i moduli si mantengano sempre piuttosto limitati. Sarebbe pertanto praticamente impossibile lo studio del moto nei suoi dettagli; ma tale studio in pratica non presenta neppure interesse. Occorre invece, di norma, conoscere la portata che filtra attraverso una assegnata superficie, normale alla direzione generale del movimento: il rapporto V fra tale portata e l'area della superficie considerata (area complessiva: vuoti più pieni) viene detto velocità di filtrazione. Per chiarire le idee, fissiamo l'attenzione su un filtro artificiale, quale quello indicato in fig. 12.2 costituito da un tubo di lunghezza L ed area A della sezione trasversale, riempito di sabbia. Se il tubo viene inserito fra due serbatoi A e B, fra i cui peli liberi viene mantenuto un dislivello costante Y, attraverso la sabbia filtra una portata Q; diciamo velocità di filtrazione il rapporto
Il rapporto J fra il dislivello Y e la lunghezza L del tubo può definirsi, per questa situazione di moto uniforme, cadente del moto di filtrazione: rappresenta infatti l'abbassamento della quota piezometrica fra due punti
454
MOTI DI FILTRAZIONE
ATTINGIMENTI DA FALDE ARTESIANE
A 1,•
FIG. 12.2
di una linea di flusso del moto di filtrazione posti a distanza unitaria. (*) Ora si è riconosciuto sperimentalmente che fra la velocità di filtrazione e la cadente sussiste una relazione di semplice proporzionalità, detta legge di Darcy : V =f•J; (12.1) alla costante f di proporzionalità, che ovviamente ha le dimensioni di una velocità, viene dato il nome di permeabilità del mezzo filtrante. Più generalmente, in un moto tridimensionale, detto V il vettore velocità. di ffitrazione, si ha:
V = — f grad (z
-L 1.v ,
(12.2)
e il vettore stesso risulta pertanto, in ogni punto, perpendicolare alla superficie isopiezometrica (z p ly = cost) passante per il punto. Una giustificazione concettuale della (12.1) va cercata nel fatto che, date le piccole dimensioni dei canali e i modesti valori delle velocità effettive, il moto di filtrazione appartiene alla categoria dei movimenti in regime viscoso, per i quali si ha appunto una relazione di proporzionalità fra velocità e cadente; per i mezzi filtranti a grana molto grossa, entro i quali il moto può essere turbolento, o comunque per velocità elevate provocate da forti cadenti J cessa infatti la validità della (12.1). La permeabilità f è, in realtà, una caratteristica non solo del mezzo filtrante, ma anche delle proprietà fisiche del liquido; di norma, e specialmente per le falde naturali, si fa riferimento all'acqua. Più generalmente si dovrebbe porre (si ricordi la formula di Poiseuille): V=k
D2J
(12.3)
(*) Si noti incidentalmente che le altezze cinetiche, non solo della velocità di filtrazione, ma anche delle velocità effettive, sOlift, sempre trascurabili.
455
essendo k una costante adimensionale, cui si può dare il nome di coefficiente di permeabilità del mezzo filtrante, e D una sua dimensione lineare caratteristica: per esempio un diametro medio dei granuli, nel caso di una sabbia. Con riferimento particolare alle falde acquifere, il valore di f dipende ovviamente dalla granulometria del materiale che costituisce il mezzo filtrante. Si può cercare di ricollegarlo al valore della porosità, che può esprimersi come percentuale del volume vuoto nel volume complessivo del filtro e che a sua volta dipende dalle dimensioni dei granelli, ma anche, in maniera essenziale, dal loro assetto. Sono state date in proposito varie formule empiriche, che si possono trovare nei manuali, ma che qui non citiamo, anche perché in genere possono ritenersi valide soltanto per le particolari formazioni permeabili che sono state oggetto di prova per la loro formulazione. Per dare un'idea degli ordini di grandezza, diremo che la permeabilità delle falde acquifere esistenti nel suolo di Milano è dell'ordine di 0,25 cm/s. Una determinazione sperimentale della permeabilità di un campione di terreno può effettuarsi facilmente con una disposizione analoga a quella indicata in fig. 12.2; ma bisogna porre particolare cura nell'operazione del prelievo del campione dal terreno che deve effettuarsi senza alterarne l'assetto. Va inoltre osservato che non sempre un terreno permeabile si presenta con sufficienti caratteristiche di omogeneità e che spesso quindi la permeabilità è variabile da punto a punto. Per queste ragioni si preferisce sovente studiare la permeabilità di una formazione acquifera mediante pròve dirette di campagna, sfruttando opportunamente le formule che reggono particolari moti di filtrazione, dei quali ora ci occuperemo.
12.3 Attingimenti da falde artesiane Gli attingimenti possono essere operati mediante pozzi o mediante trincee drenanti. Lo studio del moto di filtrazione verso tali dispositivi si presenta particolarmente facile in alcune situazioni tipiche, non prive di interesse applicativo, che qui brevemente illustreremo. Abbastanza frequente nelle formazioni naturali, almeno in via approssimata, è la situazione di una falda artesiana contenuta in uno strato permeabile orizzontale di spessore costante s, di estensione indefinita,compreso fra due giacimenti impermeabili; ammetteremo per semplicità che il materiale costituente lo strato sia abbastanza omogeneo, in guisa che la sua permeabilità f possa considerarsi costante. Supponiamo che la falda sia attraversata per l'intero suo spessore da un pozzo tubolare di diametro esterno D, con la parete finestrata, cioè filtrante, in corrispondenza della falda stessa (fig. 12.3). Sia a—a la traccia della superficie piezometrica, ovviamente orizzontale, che si stabilisce quando la falda è in quiete: situazione questa che ammetteremo verificata in assenza di attingimento dal pozzo. Rispetto ad un generico piano orizzontale di riferimento, per esempio rispetto al letto della falda come
456
ATTINOIMENTI DA FALDE ARTESIANE
MOTI DI FILTRAZIONE
e integrando fra la parete del pozzo (r = D/2) e la generica superficie:
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Q-
—0-;
FIG. 12.3
indicato in figura, sia H la quota della superficie piezometrica indisturbata; è ovvio che alla stessa quota si stabilisce il livello del pelo d'acqua nella canna del pozzo. Se però, mediante una pompa, si attinge una portata Q, che riterremo costante, il livello nel pozzo rapidamente si deprime e tutta la superficie piezometrica assume la forma di un conoide (di rotazione, per l'ovvia simmetria assiale) asintotico al piano a—a; ne deriva una cadente verso il pozzo, da cui trae origine il moto di filtrazione nella falda. Praticamente, si giunge in breve ad una situazione di regime, in cui la portata che penetra nel pozzo (e che si muove nella falda) è precisamente Q; il livello nel pozzo sia allora h o , depresso di à sotto quello corrispondente alla quiete: lo diremo livello dinamico, mentre diremo livello statico quello della superficie piezometrica della falda indisturbata. La geometria particolare del campo del moto determina la simmetria assiale; per di più, siamo anche di fronte ad un moto piano, nel senso che il vettore velocità di filtrazione è ovunque orizzontale e che il moto assume identiche caratteristiche in tutti i piani orizzontali interessanti lo spessore della falda. Le linee di flusso sono rette orizzontali convergenti all'asse del pozzo e le superficie equipiezometriche sono cilindri circolari coassiali al pozzo; tutte queste superficie cilindriche sono attraversate, a regime, dalla stessa portata Q, e su ciascuna di esse la velocità di filtrazione V è uniformemente distribuita. Detto r il raggio di una di esse ed h la corrispondente quota della superficie piezometrica, si ha:
Q = 2nraV = 2nrsfJ =27crsf
dh
d
2
Q
h;;
27csf(h —ho) ln 2r — ln D •
.
(12.5)
(12.4)
(12.6)
Si riconosce in particolare che la portata emungibile da un pozzo artesiano dipende in misura non grande dal diametro del pozzo stesso che, nella sua espressione, figura soltanto come argomento di un logaritmo. Se la distanza a cui è collocato il pozzo spia è abbastanza grande (qualche centinaio di diametri dal pozzo di attingimento), il livello in esso praticamente non risulta influenzato dall'attingimento stesso; potremo allora sostituire ad h—ho l'abbassamento dinamico del livello nel pozzo, e la (12.6) ci viene a dire che la portata risulta direttamente proporzionale a tale abbassamento. (*) chiaro che, quando si misuri la portata emunta in condizioni stazionarie, la (12.5) può essere risolta rispetto ad f e può quindi servire per determinare la permeabilità dello strato, da intendere come una permeabilità media attorno al pozzo. Abbastanza facilmente si tratta anche il caso di un pozzo artesiano che si spinga fino al tetto, piano e orizzontale, di una falda omogenea di spessore illimitato (fig. 12.4). Salvo che nelle immediate vicinanze della base del pozzo, si può ammettere con buona approssimazione che il moto di filtrazione verso il pozzo sia a simmetria centrale, coincidendo le traiettorie con le rette della stella che ha per centro il centro della sezione di base del pozzo, e quindi le superficie isopiezometriche con semisfere aventi il medesimo centro. Detto r il raggio generico di una di queste semisfere e con le altre notazioni indicate in figura, si ha allora che la portata Q di regime affluente al pozzo in fase di attingimento vale:
Q = 27rr2 V = 27cr2f
Se ne trae l'espressione differenziale della sezione meridiana della superficie piezometrica: dr
Q
Di qui si può ricavare la portata, se si misura la quota h della piezometrica alla distanza r, il che può essere fatto a mezzo di un cosiddetto pozzo spia, cioè in sostanza di una canna piezometrica immersa nel terreno fino a raggiungere almeno il tetto della falda:
---—— --
.€' ' • :- .. - ," .. • -.' : i ' ,.. : . :
457
dh
dr
;
(12.7)
(*) Si può notare che, a rigore, l'integrale particolare (12.5) della (12.4) può ritenersi valido soltanto quando a distanza finita R dal pozzo esista un livello invariabile (con simmetria assiale, il che esce dalle possibilità pratiche). Per una falda indefinita la situazione stazionaria viene raggiunta soltanto in via asintotica, cioè dopo un tempo teoricamente infinito.
458
MOTI DI FILTRAZIONE
o
_ -
-
ATTINGIMENTI DA FALDE FREATICHE
I
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t1
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C4
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--
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•
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"
•
•
'1 7 •
_ L
FIG. 12.5
• •
-
•
-
•
col significato dei simboli chiaramente indicato in figura. Integrando si ha la linea piezometrica, che risulta una retta:
.
FIG. 12.4
di qui, integrando fra la superficie esterna del pozzo (r = D/2) e la generica distanza r, si ottiene l'equazione della superficie piezometrica delle traiettorie che lambiscono il tetto della falda: h ho = Q i 2 27rf
k
D
\
Q = nfD(H — h o) = rfD .
(12.8)
Accenniamo appena agli analoghi casi di moto piano che si presentano quando l'attingimento avvenga mediante una trincea di lunghezza indefinita anzicché mediante un pozzo: casi che si trattano in modo elementare. Quando la trincea attraversi interamente lo spessore s della falda, supposta omogenea e costituita da uno strato orizzontale di materiale filtrante, è facile riconoscere che una situazione di regime non può essere raggiunta se la falda si estende indefinitamente ai lati della trincea. La si raggiunge invece nella situazione abbastanza frequente di una falda alimentata da un serbatoio a livello H costante (fig. 12.5), la cui parete ammetteremo per semplicità piana, verticale e parallela alla parete della trincea. Detta q la portata della falda per unità di lunghezza (normalmente al disegno), si ha
clh dx
—
q = —x sf
(12.9)
e, detta L la distanza della trincea dal serbatoio (h = H per x = L), si ha per la portata: sf A
q = (H — ho) = sf — . L
r)
La linea mediana risulta pertanto una iperbole. L'altezza H della superficie piezometrica della falda indisturbata si raggiunge per r infinito. Quindi si può ricavare (rigorosamente in questo caso) il valore della portata in funzione dell'abbassamento dinamico:
q = sf
• ;
,
•-•
• . • --•-•
-.•
s. • •
'1 • •
459
Il caso della trincea attingente dal tetto di una falda di spessore illimitato può essere studiato con riferimento alla stessa fig. 12.4, interpretata però come sezione di un moto piano e non come sezione meridiana di un un moto a simmetria assiale; nella quale quindi D rappresenti la larghezza della trincea a pareti piane verticali. Le superficie isopiezometriche, salvo che nelle immediate vicinanze del fondo della trincea, sono assimilabili a semicilindri circolari a generatrici orizzontali. Detta sempre q la portata per unità di lunghezza, si ha:
dh q = 7rr f dr da cui, integrando, si ottiene l'equazione della linea piezometrica:
— ho =
q
2r D
ln — .
12.4 Attingimenti da falde freatiche La differenza sostanziale rispetto al caso delle falde artesiane consiste nel fatto che i confini del campo del moto di filtrazione non sono, per le falde freatiche, completamente assegnati a priori : prescindendo, per sem-
460
MOTI DI FILTRAZIONE ATTINGIMENTI DA FALDE FREATICHE
plicità, dalla frangia capillare, il confine superiore coincide infatti con la superficie piezometrica, che è anche superficie di flusso e che a sua volta dipende dal moto; in un punto qualunque di tale superficie la sua pendenza coincide all'incirca con la cadente della traiettoria che passa per il punto, la quale a sua volta dipende dalla velocità di filtrazione (V = f J). Fra le situazioni più largamente trattate è quella di un pozzo che attraversa completamente la formazione permeabile, supposta omogenea e poggiante su un letto permeabile orizzontale (fig. 12.6); sono ad essa assimilabili, con sufficiente o buona approssimazione, molte situazioni pratiche. .
, •
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attingimenti, il livello entro il pozzo può deprimersi fin quasi al fondo. Lo studio rigoroso del campo del moto è assai arduo, giacché a priori non si conoscono nè le traiettorie (in particolare quelle sulla superficie freatica) nè le superficie isopiezometriche ad esse normali. Una prima semplice trattazione è stata presentata verso la metà del secolo scorso dal francese Dupuit, basata su una drastica schematizzazione del fenomeno: il Dupuit ammise precisamente che fossero ovunque trascurabili le componenti verticali della velocità di filtrazione e che pertanto le superfici isopiezometriche fossero cilindri circolari coassiali al pozzo; ammise inoltre che hp coincidesse con ho e che pertanto non esistesse la superficie di trapelazione (la quale del resto fu messa in evidenza sperimentalmente alquanto più tardi, soprattutto dagli austriaci Elvenberger e Kozeny). L'ipotesi ora esposta, ripresa successivamente e generalizzata dall'austriaco Forchheimer, è nota precisamente come ipotesi di Dupuit-Forchheimer. In base ad essa, considerato un generico cilindro di raggio r e detta Q la portata di regime verso il pozzo, si ha:
•
•
Q = 2nrh, V = 2n-rh f
. .
-.
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•• •'‘" ..:-•
461
dh dr
da cui, separando le variabili: •
/1/./
dr h dh =— Q 7 24
i
FIG. 12.6
Sia a—a la superficie piezometrica, orizzontale, della falda indisturbata, e sia H la sua quota sul letto di base. Iniziato l'attingimento dal pozzo, si deprime rapidamente il livello nel pozzo stesso e incomincia a deprimersi anche la superficie piezometrica nelle sue immediate vicinanze e poi via via a distanza sempre più grande, tendendo essa ad assumere la forma di un conoide asintotico al piano a—a: la depressione della superficie piezometrica è ovviamente necessaria perché si stabilisca una cadente e quindi una velocità di filtrazione verso il pozzo; ma va notato che in questo caso il transitorio è assai più lento che per un pozzo artesiano, giacché non si tratta qui soltanto di trasmettere delle variazioni di pressione, ma di vuotare materialmente dal liquido la regione del mezzo filtrante compresa fra il piano a—a e il conoide di depressione che via via si abbassa e si estende. Teoricamente il processo di moto vario è asintotico col tempo; praticamente però possiamo ammettere che, dopo un tempo relativamente breve dall'inizio dell'attingimento (con portata Q costante), si sia raggiunta una situazione di regime. L'esperienza ha messo in chiara evidenza che si ha allora nel pozzo un livello hp alquanto più basso di quello h o che la falda presenta in corrispondenza della superficie esterna del pozzo stesso; esiste cioè un tratto di parete del pozzo, compreso appunto fra i livelli ho e h p , lungo il quale il liquido sbocca dalla falda nell'atmosfera, colando poi lungo la parete: lo si chiama superficie di trapelazione. Al limite, per forti
integrando si ottiene l'equazione della superficie freatica:
1 2r Q 2 _2_ (h2 — ho)— In .
24
—
D
(12.10)
Risolvendo rispetto alla portata:
h2 _h
Q = 4 ln 2r — ln D •
(12.11)
Possiamo anche qui osservare che, se si prende r = R, abbastanza grande perchè la falda vi risulti praticamente indisturbata dall'attingimento (e quindi h H; h — ho H — h o = A, abbassamento dinamico) si può scrivere:
Q=4
h o) (11 + ho) = Trf A(2H— à) . In 2R — In D ln 2R — ln D
(12.12)
La portata risulta dunque funzione quadratica dell'abbassamento dinamico; è questo un risultato caratteristico per i pozzi freatici, che li differenzia dagli artesiani, per i quali abbiamo trovato una relazione lineare (per es. (12.6)) fra portata e abbassamento.
462
MOTI DI FILTRAZIONE
P ovvio che i risultati di questo esame troppo semplicistico del processo non possono, a priori, ritenersi molto approssimati: è evidente in particolare che la (12.10) non può certo rappresentare bene la superficie piezometrica, specialmente in prossimità del pozzo, dove la sua inclinazione è forte, contrariamente alle ipotesi, e dove inoltre esiste la superficie di trapelazione. Tuttavia è stato da tempo sperimentalmente riconosciuto che la formula (12.11) che dà la portata, detta formula di Dupuit-Forchheimer, deve riteneresi praticamente esatta, quando vi si introduca, in luogo di ho (v. fig. 12.6) l'effettivo livello hp nel pozzo; e analoga constatazione è stata fatta per altre situazioni, trattate in base alla stessa ipotesi. Di questo fatto, a priori piuttosto sorprendente, è stata data una spiegazione teorica rigorosa solo molto recentemente (per la prima volta dal russo Charny); ma ci limitiamo ad averne fatto cenno. Diamo anche soltanto un breve cenno relativamente al caso piano, di una trincea drenante da una falda freatica poggiante su letto orizzontale: caso che trattiamo pure sulla base delle ipotesi di Dupuit-Forchheimer. Come per l'analoga situazione in falda artesiana non è qui possibile giungere a una condizione stazionaria se non si ammette che la falda sia alimentata, con carico costante H, a distanza finita L (v. fig. 12.7). Detta q la portata per unità di lunghezza della trincea (cioè normalmente al disegno) si ha:
q
=
dh, dx
e integrando (con h = ho per x = O): A2 _ A2 o
2q
La piezometrica avrebbe dunque andamento parabolico, ma. già sappiamo che questo risultato è scarsamente accettabile in prossimità della trincea. Si ottiene invece anche qui un valore soddisfacente della portata,
POTENZIALE DI VELOCITÀ
463
se ad ho si sostituisce il livello ht nella trincea. Posto h = H per x = L, si ha: —
2L
(H —h) (H + ht)
2L
A(2H — A) .
(12.12)
12.5 Potenziale di velocità La formula (12.2) indica chiaramente che la velocità di filtrazione V deriva da un potenziale: cp = f (z 4- P
—
Y che possiamo chiamare potenziale di velocità e che si comporta in modo identico a quello che abbiamo posto in evidenza per i moti irrotazionali. In particolare, per un fluido filtrante incomprimibile, anche la velocità di filtrazione soddisfa all'equazione di continuità div V = 0; si ha allora per 9 la condizione : 3,29 —_. 0, cioè il potenziale di velocità deve essere una funzione armonica delle coordinate dei punti del campo. mpo.Questa Questaconsiderazione considerazionepuò può grandemente grandemente ageagevolare la trattazione di molti problemi di filtrazione, anche assai più complessi dei pochi che abbiamo esaminato, e ciò soprattutto per i casi di moto piano. Ma ci limiteremo ai pochi cenni dati.
Indice Analitico
Accelerazione convettiva, 76 Allievi, 322 Altezza — cinetica, 108 — critica, 376 — entalpica, 150 — piezometrica, 34, 108 Alveo — a debole pendenza, 382 — a forte pendenza, 382 Analisi dimensionale, 195 Assorbimento dei gas, 25 Bakhmeteff, 392 Bazin (formula di), 221, 387 Bélanger, 404 Bernoulli (teorema di), 108 Bidone, 403 Blasíus (formula di), 203 Boccaglio, 126 Borda (formula di), 229 Borelli (legge di), 16 Bresse, 392 Cadente, 136 Capillarità, 16 Carico totale, 108 Casse d'aria, 350 Cauchy (teorema di), 6 Celerità — delle onde di pressione, 12, 291, 307 — delle onde di traslazione, 384 — delle piccole perturbazioni, 387 Centro di spinta, 44 Charny, 462 Chézy (formula di), 221 Coefficiente di — contrazione, 116
— efflusso, 116 — permeabilità, 455 — ragguaglio delle potenze cinetiche, 138, 140 — ragguaglio delle quantità di moto, 98, 140 — velocità, 116 Colebrook (formula di), 213 Colpo d'ariete, 293, 296 — durata della fase, 315 — fase di colpo diretto, 314 — fase di contraccolpo, 316 — manovre brusche, 315 — manovre istantanee, 299 Comprimibilità — dei liquidi, 9 — dei gas, 11 Condotta — con erogazione uniforme, 263 — di aspirazione, 147 — di mandata, 147 Condotte in parallelo, 271 Continuità — equazione applicata alle correnti, 85 — equazione globale, 83 — equazione indefinita, 81 Contorno bagnato, 176 Corrente, 85 — lineare, 107 Correnti a pelo libero, 359 — lente, 377 — moto permanente, 390 — moto uniforme, 364 — stato critico, 376 — veloci, 377 Correnti in pressione, 177 — in depressione, 242 — moto uniforme, 177 — moto vario, 289 Costo delle condotte
[465]
466
INDICE ANALITICO
— di esercizio, 276 — di impianto, 275 Cross (metodo di), 271 Darcy (formula di), 220 Darcy (legge di), 454 Darcy-Weisbach (formula di), 200 De Marchi, 212, 404 Densità, 8, 10 Depressione (correnti in), 242 Derivazione euleriana, 76 Deviatore degli sforzi, 166 Diaframma, 126 Diametro di massimo tornaconto, 281 Dimensionamento economico di — condotte di pompatura, 280 — condotte forzate, 283 — sistemi di condotte a gravità, 277 Dupuit-Forchheimer (ipotesi di), 461 Energia specifica, 110 — cinetica, 110 — di pressione, 111 — posizionale, 110 — rispetto al fondo, 374 Equazione di stato, 8 — per i liquidi, Il — per i gas, 11 Equazione globale di continuità, 83 Equazione globale di equilibrio — dinamico, 93 — dinamico di un fluido viscoso, 173 — statico, 32 Equazione indefinita — della statica, 30 — del moto di un fluido viscoso, 172 — del movimento, 90 — di continuità, 81 Equilibrio relativo, 29, 60 Eulero (equazione di), 93 Falda acquifera, 451 — artesiana, 452 — freatica, 451 Fluido, 1 — dilatante, 23 — elastoviscoso, 24 — newtoniano, 18 — non newtoniano, 20 — plastico alla Bingham, 21 — pseudoplastico, 22 — reopectico, 24 — tixotropico, 24 Flusso di quantità di moto, 97 Forza di massa, 91 Frangia capillare, 452
INDICE ANALITICO
Gibson, 237 Guglielmini, 403 Henry (legge di), 25 Hershell, 125 Indice di resistenza, 200 Inerzie locali, 98 Jurin (legge di), 16 V. Mrm&i., 204 Kirchhoff (formula di), 117 Kutter (formula di), 222 Lagrange, 387 Laplace (legge di), 14 Linea — dei carichi totali, 109 — di corrente o di flusso, 77 — di emissione o di fumo, 78 — di sponda, 44 — piezometrica, 109 Luci a battente, 113, 429 — a spigolo vivo, 114 — con tubo addizionale esterno, 429 — con tubo addizionale interno, 433 — di grandi dimensioni, 436 Luci e stramazzo, 113, 437 Lunghe condotte, 261 Mach (numero di), 253 Manometro — differenziale, 40 — metallico, 40 — semplice, 39 Marchetti, 327 Mariotte (formula di), 55 Michaud (formula di), 321, 324 Misuratore a risalto, 445 Modulo, 445 Moody (abaco di), 215 Moto a canaletta, 245 Moto di agitazione, 80, 186 Moto di filtrazione, 451 Moto irrotazionale, 153 Moto laminare, 26 — di un fluido comprimibile, 247 — fra piastre parallele, 183 — in condotto circolare, 180, 197 Moto permanente, 79 — correnti a pelo libero, 390 — correnti in pressione, 224 Moto pianó, 81
z
Moto turbolento, 27 Moto uniforme, 80 — delle correnti a pelo libero, 364 — delle correnti in pressione, 177 — di fluido comprimibile, 247 — laminare, 180 Moto uniforme turbolento — di transizione, 193, 213 — in tubi lisci, 201 — in tubi scabri, 208 — puramente turbolento, 192, 198 Moto vario — delle correnti a pelo libero, 384 — delle correnti in pressione, 289 — di effiusso, 446 Navier (equazione di), 165 Newton (legge di), 18 Nikuradse, 203, 209 — numero di, 207 Oscillazioni di massa, 333 — in tubo ad U, 333 — nelle casse d'aria, 350 — nei pozzi piezometrici, 338 Passività, 275 Pendenza critica, 382 Percorso di mescolamento turbolento, 195, 204 Perdita di carico continua, 137 Perdita di carico localizzata, 137, 224 — di brusco allargamento, 227 — di brusco restringimento, 235 — d'imbocco, 232 — di sbocco, 230 — nei convergenti e divergenti, 235 Permeabilità, 454 Peso specifico, 8, 10 Piano dei carichi idrostatici, 36, 105 Piezometrica, 109 Piezometro, 38 Pitot (tubo di), 127, 152 Poiseuille (formula di), 182 Poleni (formula di) 439 Porosità, 455 Portata, 79 Potenza — di una corrente, 137 — di una macchina motrice, 144 — di una macchina operatrice, 148 Potenziale di velocità, 154 Pozzo artesiano, 455
467
— freatico, 460 Pozzo piezometrico, 292, 338 Prandtl, 195, 204 Pressione, 29, 165 Prevalenza — geodetica, 148 — manometrica, 148 — totale, 148 Profili di moto permanente, 390 — in alvei a debole pendenza, 393 — in alvei a forte pendenza, 395 — in alvei a pendenza critica, 397 — tracciamento dei, 398 Quantità di moto, 97 Quota geodetica, 34, 107 Quota piezometrica, 34, 108 Raggio idraulico, 176 Reazione d'efflusso, 448 Rehbock (formula di), 440 Retta di sponda, 44 Reynolds, 25, 195 — numero di, 200 Risalto, 403 — annegato. 411 — ondulato, 408 Ristagno (punto di), 127 Salto — disponibile, 142 — nominale, 146 — utile, 144 Scabrezza, 208, 213 — relativa, 210 Scala delle portate, 366 Semimodulo, 445 Sezione contratta, 114 Sezione di controllo, 234 Sforzo, 4 — tangenziale alla parete, 176 — turbolento, 191 — viscoso, 191 Sovrapressione critica, 324 Spinta, 4 — sopra corpi immersi, 52 — su superfici curve, 47, 53 — su superfici piane, 43, 53 Spinta totale, 404 Stato critico, 376 Stevin (legge di), 34 Stramazzo, 113, 437 — a larga soglia, 443
468
INDICE ANALITICO
— Bazin, 437 — Cipolletti, 442 — Hégly, 441 — triangolare, 441 Strato limite viscoso, 192, 207 Strickler (formula di), 222 Superficie di trapelazione, 460 Superfici — isobariche, 32 — isocore, 32 Tensione superficiale, 13 Torricelli (formula di), 116 Traiettorie, 77
Trinomio di Bernoulli, 108 Tubo di flusso, 79 Valvola riduttrice, 268 Velocità — critica, 376 — di attrito, 205 — di deformazione angolare, 19, 166 — di filtrazione, 453 — media, 79 Vena liquida, 114 Venturi, 125, 430 Venturimetro, 123, 151 Venturoli, 107, 391 Viscosità, 18
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Finito di stampare nel mese di ottobre 1994 presso il Centro Grafico Linate - San Donato Milanese per conto della CEA - Casa Editrice Ambrosiana - Milano
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