LA FISICA DELL’ELETTROCARDIOGRAMMA (Include la famosa storia de “La piletta in salamoia”) Dispensa semiseria di Enrico M. Staderini§ (ver. 1.4 – 1999-2000)
ANTEFATTO. L’elettrocardiogramma è la registrazione grafica dell’attività elettrica cardiaca. Il cuore, organo cavo muscolare che pompa ritmicamente ed incessantemente il sangue nelle arterie, produce un campo elettrico durante il suo funzionamento che può essere facilmente registrato sulla periferia del corpo umano (pelle). I medici, dalla lettura dei tracciati elettrocardiografici, sono in grado di predire delle malattie del cuore, anche gravi. Ma a differenza dei maghi che interpretano i fondi del caffè, i medici confidano, pur nella loro ignoranza della fisica, che l’elettrocardiogramma si basi su precise leggi fisiche e chimiche grazie alle quali i tracciati acquistano una precisa validità scientifica fisiopatologica (per fortuna!). In realtà la registrazione elettrocardiografica si basa su una serie di false assunzioni semplificative che spesso sono responsabili di artefatti apparentemente inspiegabili e che ai medici appaiono misteriosi. In queste pagine si cercherà di dare anche conto di questi misteri. Stàdero (soprannome storico che Staderini preferisce senz’altro a quello di Dr. Stranamore) spererebbe che il lettore abbia una conoscenza della chimica e della fisica di livello pari a quello posseduto da uno studente del secondo anno della facoltà di fisica o di ingegneria ed una conoscenza della fisiologia di base paragonabile a quella posseduta da uno studente di medicina o di biologia del terzo anno. I lettori che potranno trarre giovamento da queste note sono pertanto teoricamente ristretti ad un numero limitatissimo. Sempre lo Stàdero, scusandosi e ricordando che le leggi della fisica erano già così prima che lui nascesse, cercherà di indicare e precisare gli argomenti di una parte e dell’altra di modo che il lettore interessato possa contestualmente consultare dei testi specifici. Purtuttavia la trattazione avrebbe la velleità di essere comprensibile a tutti, anche a coloro che non hanno un background biologico o fisico: purtroppo alcuni prerequisiti si sono dovuti porre per evitare di dover risalire al libro della Genesi1. Spesso la trattazione matematica può essere saltata senza pregiudizio nella comprensione del testo.
Nei limiti del possibile si è cercato, pur a furia di semplificare la trattazione e magari prenderla in burla, di non cedere sul piano della correttezza scientifica. Alcuni argomenti sono stati trattati forse con eccessiva profondità ed altri con troppa sveltezza; altri non sono stati nemmeno sviluppati (e sono quelli maggiormente richiesti). Si spera di migliorare la cosa nelle prossime revisioni di questo documento. Buona fortuna!
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La Genesi è il primo libro dell’Antico Testamento dove si parla della creazione dell’Universo. 1
L’ECCITABILITÀ CELLULARE E LA “OLA” DELLA MEMBRANA. Le cellule di tutti i tipi (vegetali o animali) sono munite di una membrana che le separa dal mondo esterno. Grazie a questa membrana esse riescono a costituirsi un ambiente interno a loro piacimento ed, inoltre, riescono a sopravvivere anche in ambienti esterni oltremodo ostili. La membrana cellulare ha delle caratteristiche elettriche interessanti. Essa è grossolanamente isolante essendo costituita essenzialmente da molecole lipidiche. Ma delle strutture proteiche, frammiste alle molecole lipidiche conferiscono alla membrana attivamente (cioè con consumo di energia) caratteristiche di conducibilità del tutto particolari. Più precisamente certe strutture proteiche (enzimatiche) costantemente espellono dalla cellula verso l’esterno ioni sodio e captano dall’esterno verso l’interno ioni potassio. Poiché ciò avviene contro un gradiente di concentrazione e contro un gradiente elettrico (che subito si stabilisce per la legge di Nerst2) occorre consumo di energia da parte della cellula. Questo meccanismo di trasporto attivo di ioni viene comunemente chiamato meccanismo della pompa sodiopotassio. Fig.1 - Le cellule nervose non sono come la fantasia popolare pensa alle cellule (e cioè grossolanamente globose). Esse hanno spesso un prolungamento a geometria cilindrica anche molto lungo (assone) che consente loro di mettersi in contatto con altre cellule anche molto distanti. Un insieme di assoni costituisce un nervo. Ogni assone viene anche chiamato fibra nervosa. Nella figura si vede schematicamente come si instaura un potenziale di membrana in una fibra nervosa a causa dei meccanismi di trasporto attivo e di diffusione passiva delle specie ioniche. (Gli anioni sono in genere strutture molecolari molto grosse e pertanto non possono diffondere attraverso la membrana). Da Guyton “Trattato di Fisiologia medica” Piccin Editore Padova.
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La legge di Nerst deriva, in soldoni, dal principio della conservazione dell’energia in una reazione chimica. La variazione di energia libera, infatti, è pari al lavoro utile erogato nella reazione: γ δ C ] [ D] [ − ∆G = Lutile = − RT ln K + RT ln [ A]α [ B]β
dove [A], [B], [C], [D] sono le concentrazioni delle specie chimiche che entrano in gioco nella reazione e α , β , γ , δ sono i coefficienti stechiometrici della reazione, K è la costante di equilibrio della reazione, R è la costante dei gas e T è la temperatura assoluta. Per una reazione di ossidoriduzione il lavoro svolto è quello elettrico costituito dal passaggio di una certa quantità di carica elettrica tra due punti tra i quali vi sia una certa differenza di potenziale elettrico, quindi:
− ∆G = Lutile = nFE
dove F è il faraday cioè una carica pari a quella di una mole di elettroni e E è la forza elettromotrice generata, mentre n è il numero di faraday che scorrono sotto E. Allora dalla equazione precedente deriva la equazione di Nerst che esprime la forza elettromotrice in una reazione di ossidoriduzione:
RT [ A] [B ] E = E0 + ln nF [C ]γ [D ]δ α
β
dove E 0 =
RT ln K nF
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Il gradiente elettrico dovuto alla legge di Nerst si manifesta con una differenza di potenziale elettrico tra l’intero e l’esterno della cellula, cioè tra le due facce della membrana cellulare. Questa differenza di potenziale ha mediamente un valore dell’ordine di alcune decine di millivolt ed è negativo all’interno della cellula e positivo all’esterno. Viene chiamato potenziale di membrana. La cellula dunque appare come una pila elettrica solo che l’elettrodo negativo è completamente contenuto in essa e quindi non visibile dall’esterno. Un osservatore esterno non vedrà pertanto alcuna differenza di potenziale netta. Fig. 2 - Per apprezzare il potenziale di membrana bisogna introdurre un elettrodo di un voltmetro all’interno della cellula. Questa cosa è, come si può immaginare, potenzialmente pericolosa per la cellula. L’elettrodo ha normalmente dimensioni dell’ordine di 10-6 m ed impedenza dell’ordine di 107 ohm: questo rende la misura non proprio banale. L’elettrodo esterno è semplicemente posto a contatto del brodo di coltura della cellula. Da Guyton “Trattato di Fisiologia medica” Piccin Editore Padova.
Ma la cosa non è destinata a rimanere così per lungo tempo. Poiché il mantenimento di questo potenziale di membrana è un processo che richiede energia, e che pertanto è essenzialmente instabile, vi potranno essere situazioni o stimoli che possano provocare una sorta di momentaneo “crash” del sistema con l’invasione della cellula da parte di ioni sodio provenienti dall’esterno (dove sono in forte concentrazione rispetto all’interno) ed una fuoriuscita di ioni potassio per lo stesso motivo. Fig. 3 - Questa figura è un po’ complicata: oltre alla forma d’onda del potenziale di azione sono rappresentate anche le variazioni di conduttività della membrana cellulare per gli ioni sodio e potassio. Da Guyton “Trattato di Fisiologia medica” Piccin Editore Padova.
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Le nuove concentrazioni interna ed esterna dei vari ioni causeranno l’instaurarsi di un diverso potenziale di membrana, questa volta invertito rispetto al precedente. Ma la cellula, ancora viva, rimetterà in moto i meccanismi attivi di spostamento selettivo di ioni fra l’interno e l’esterno (pompa sodio-potassio) finché si ristabilirà lo stato precedente. Questa sorta di “crash” si chiama eccitazione elettrica cellulare e la corrispondente variazione repentina del potenziale di membrana si chiama potenziale di azione. E’ un processo molto veloce che ha una fase iniziale molto rapida durante la quale il potenziale si inverte e una fase più lenta nella quale la cellula ristabilisce le concentrazioni precedenti al suo interno e quindi il potenziale di membrana. Tutto l’evento dura circa 1 millisecondo (ma può durare anche 300 o 400 millisecondi nelle fibre cardiache). Fig. 4 - Sono mostrate le varie fasi della generazione del potenziale di azione così come potrebbero essere viste da un voltmetro. Da Guyton “Trattato di Fisiologia medica” Piccin Editore Padova.
Se la cellula è molto grande è verosimile pensare che il potenziale d’azione generatosi su una zona della membrana cellulare si estenda successivamente a tutta la membrana stessa. Il fatto che una parte della membrana sia eccitata costituisce motivo sufficiente (stimolazione elettrica) perché anche la membrana immediatamente confinante alla parte eccitata si ecciti a sua volta. Ma allora l’eccitazione sviluppatasi in un punto si diffonde poi a tutta la membrana e se la cellula è cilindrica e lunghissima come quella di un nervo potremmo “vedere” l’eccitazione propagarsi lungo di essa. Questo processo avviene in tempi molto brevi. La velocità di propagazione dell’impulso nervoso può raggiungere anche un terzo della velocità del suono dell’aria, cioè circa 300 Km/h. Si tratta sicuramente di una velocità bassissima rispetto a quella di propagazione del campo elettrico in un cavo coassiale (poco più della metà della velocità della luce nel vuoto), ma c’è un vantaggio di indubbio conto. La fibra nervosa costituisce una sorta di linea di trasmissione attiva. L’impulso arriva come tale, immodificato, a destinazione indipendentemente dalla lunghezza del percorso senza distorsioni o attenuazioni. Inoltre l’eccitazione nervosa è intrinsecamente un segnale digitale (o c’è o non c’è). L’uomo non è ancora riuscito ad inventare niente di simile in maniera artificiale. L’unico inconveniente è dato dalla bassa velocità di propagazione: se l’animale è di taglia piccola non è un grande problema, ma se l’animale è grande può dare qualche fastidio. Sembra che i dinosauri abbiano avuto dei problemi per “comunicare” dalla testa con le parti più lontane del loro corpo e che quindi fossero dotati di una sorta di cervello più piccolo
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alla base della coda per prendere delle decisioni “locali” rapide, prima delle istruzioni provenienti dal cervello principale3. Fig. 5 - E’ mostrato il processo di propagazione dell’impulso nervoso in una fibra nervosa. Va da sé che all’onda di eccitazione con il potenziale di azione segue l’onda di ripolarizzazione. Poiché il tempo tra la eccitazione e la ripolarizzazione è di circa 2 ms e la velocità dell’impulso è di circa 100 m/s, la “lunghezza d’onda” del potenziale sulla fibra è di circa 20 cm (distanza tra il fonte di avanzamento dell’eccitazione e quello di avanzamento della ripolarizzazione). Da Guyton “Trattato di Fisiologia medica” Piccin Editore Padova.
L’ECCITAZIONE DELLE CELLULE MUSCOLARI. Una cellula muscolare, o fibra muscolare, è una cellula particolare che contiene delle strutture proteiche filamentose che sono in grado di scorrere le une sulle altre così che la cellula di fatto diminuisce di lunghezza. Questa è la base della contrazione muscolare. Un muscolo è costituito da moltissime fibre muscolari strettamente connesse le une alle altre così che quando esse si contraggono tutto il muscolo si accorcia ovvero si contrae. Pochi sanno o ricordano che la contrazione muscolare è, paradossalmente, un fenomeno passivo: cioè avviene senza consumo di energia. Energia è invece richiesta per il rilasciamento muscolare. Questo spiega tra l’altro il fenomeno del rigor mortis dovuto alla mancanza di energia per il rilasciamento. La rigidità cadaverica, che inizia non appena viene meno l’apporto di ossigeno ai tessuti (come un crampo), sparisce soltanto quando iniziano i processi di decomposizione. Per lo stesso motivo i primi effetti di disturbi vascolari coronarici si notano sul rilasciamento diastolico ventricolare piuttosto che nella contrazione sistolica come sembrerebbe più ovvio in prima battuta. Fig. 6 - La giunzione neuromuscolare. Da Guyton “Trattato di Fisiologia medica” Piccin Editore Padova.
Le cellule muscolari si contraggono quando vengono eccitate. Per l’eccitazione occorre che un segnale nervoso raggiunga la cellula muscola3
Potenza dell’informatica distribuita!
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re e sia trasferito ad essa. In Fig. 6 è mostrata la particolare struttura di accoppiamento tra nervo (cellula nervosa) e fibra muscolare (cellula muscolare). Purtroppo una cellula muscolare eccitata non riesce ad eccitare la cellula muscolare immediatamente adiacente a causa dell’alta impedenza di contatto tra esse. Pertanto occorre una giunzione neuromuscolare per ogni fibra muscolare. Questo non vuol dire che occorra una fibra nervosa per ogni fibra muscolare. In prossimità del muscolo la fibra nervosa si divide in vari rami che si collegano a più cellule muscolari. Quindi l’eccitazione di una cellula nervosa provocherà l’eccitazione e la conseguente contrazione simultanea di alcune fibre muscolari. L’insieme della fibra nervosa e delle fibre muscolari ad essa connessa, vanno sotto il nome di unità motoria. Se una unità motoria è composta da molte fibre muscolari, essa allora darà al muscolo dei movimenti piuttosto rozzi (quasi a scatto) come quelli dei muscoli posturali antigravitazionali (glutei ad esempio) mentre se una unità motoria è costituita da pochissime fibre muscolari si avranno movimenti fini o finissimi (ad esempio come quelli delle corde vocali o degli occhi o delle dita delle mani). Nel caso del muscolo cardiaco le cose vanno in modo un po’ diverso. La fibra muscolare cardiaca è infatti collegata a quelle vicine con dei ponti a bassa resistenza elettrica per cui una cellula eccitata può eccitare subito quella vicina senza che ci sia una connessione tipo giunzione neuromuscolare. Inoltre la cellula muscolare cardiaca tende ad eccitarsi da sola ritmicamente. Il suo potenziale di membrana, infatti, non è stabile e tende lentamente a salire da valori negativi verso valori via via positivi fino a far scattare un potenziale di eccitazione e quindi provocando la contrazione. Contrazione che si estende subito a tutto il muscolo. Peraltro nel cuore esistono delle fibre di tessuto muscolare specifico che hanno quasi un compito analogo a quello dei nervi per trasportare in loco l’impulso di comando di contrazione. Queste fibre servono solo a fare in modo che l’eccitazione cardiaca avvenga secondo un certo schema sequenziale preciso, ma non possono dirsi insostituibili. Fig. 7 - Origine della ritmicità di contrazione del cuore. Il potenziale di riposo della fibra muscolare cardiaca non è stabile e provoca ritmici potenziali di azione. Non tutte le fibre cardiache hanno la stessa periodicità di scarica. La più veloce “condurrà le danze” perché la sua eccitazione provocherà l’eccitazione di tutto il restante ambito muscolare cardiaco e quindi il battito. Essa sarà anche la prima a poter ripartire con una nuova eccitazione e manterrà la frequenza del battito cardiaco uguale alla sua propria frequenza di scarica.
Si dice dunque che le cellule cardiache si comportano come un sol uomo ovvero come un sincizio funzionale. Poichè la velocità di propagazione della eccitazione nel muscolo cardiaco è relativamente lenta, ci saranno in ogni istante parti del cuore eccitate e parti non eccitate. Un osservatore esterno potrà dunque vedere un campo elettrico come se il cuore fosse una pila elettrica. La
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Fig. 8 mostra questo effetto con una serie di voltmetri applicati sulla superficie della massa muscolare cardiaca. Fig. 8 - Differenze di potenziale si generano sulla superficie del cuore.
Mentre succede questo il cuore si trova immerso nel torace. Una struttura costituita da altri tessuti in un ambiente grossolanamente liquido con sali disciolti in esso. Il torace può essere considerato come una sorta di vasca elettrolitica che contiene il cuore che periodicamente manifesta differenze di potenziale sulla sua superficie come una pila elettrica. E’ ora opportuno pensare al cuore come ad una pila elettrica immersa in una vasca di acqua e sale. Nei paragrafi successivi esploriamo dunque la fisica del fenomeno e vediamo come l’eccitazione elettrica del cuore possa apparire, ed essere “captata”, sulla superficie della pelle dell’individuo. LA FISICA DI UNA PILETTA STILO IN SALAMOIA. Si prenda una vasca piena di acqua salata (salamoia) con una concentrazione di sale (NaCl) diciamo allo 0.9% (grosso modo analoga a quella del corpo umano)4 e vi si immerga una piletta stilo (di quelle tipiche usate nelle radioline, modello AA da 1.5V) di modo che la piletta si trovi al centro della vasca. Poiché la piletta tenderà ad affondare, supponiamo di sospenderla attaccata ad un filo da pesca isolante. Adesso ci si propone di studiare la fisica di questo sistema: in particolare ci piacerebbe sapere quali leggi fisiche regolano lo scorrere di correnti nel liquido elettrolita e come si distribuiscono i potenziali. Escludiamo qui le problematiche fisiche e chimiche all’interfaccia tra i contatti metallici della pila e la soluzione; queste saranno riconsiderate più avanti a proposito degli elettrodi. Due leggi fisiche del tutto generali dovranno valere in questo sistema: il principio di conservazione della carica e la legge di Ohm. Per il principio di conservazione della carica se si prende un volumetto infinitesimo dell’elettrolita dovremo trovare che tutta la carica che entra nel volumetto è esattamente uguale a quella che ne esce nello stesso tempo. Se prendiamo un volumetto dτ = dxdydz con gli spigoli paralleli agli assi coordinati del sistema di riferimento scelto avremo, ad es. per la facce del cubetto perpendicolari all’asse x, che la corrente sarà:
∂j x ∂j x ( j x ) − j x + ∂x dx dydz = ∂x dτ
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Una soluzione di questo tipo ha una conducibilità di circa 0.036 S/cm (vedi Sakamoto K. et al. “Some physical results from an impedance camera” Clin. Phys. Physiol. Meas., Suppl. A 71-6 1987).
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dove j x è la densità di corrente che entra nella faccia a coordinata x e
jx +
∂j x dx ∂x
è la densità di cor-
rente che esce dalla faccia a coordinata x+dx. Per tutte le facce del cubetto si avrà che il bilancio di carica per il cubetto si scriverà, introducendo l’operatore divergenza:
∂j x ∂j y ∂j z r dτ = div( j )dτ = 0 + + ∂z ∂x ∂y da cui deriva:
r div( j ) = 0
Per la legge di Ohm la densità di corrente nell’elettrolita è legata al campo elettrico presente e alla conducibilità5:
r r j = σE
r
Notare che ora il simbolo E sopralineato designa il vettore campo elettrico; parlando della equazione di Nerst lo stesso simbolo (non sopralineato) si è usato per indicare la forza elettromotrice. D’altra parte conosciamo il concetto di potenziale elettrico (che ci consente di fare misure prescindendo dal campo), introducendo l’operatore gradiente6:
r ∂V ∂V ∂V E = − + + = − grad (V ) ∂x ∂y ∂z Dal principio di conservazione della carica e dalla legge di Ohm deriva quindi, introducendo l’operatore nabla:
r r div( j ) = σdiv E = −σdivgrad (V ) = −σ∇ 2V = 0
( )
quindi si arriva per il potenziale elettrico nella soluzione elettrolitica alla seguente equazione:
∇ 2V = 0 LA FISICA DI UNA DISTRIBUZIONE DI CARICHE NEL VUOTO.
Che cosa c’entra adesso questo nuovo argomento? Ma come? La discussione della piletta in salamoia non vi ha forse fatto tornare alla mente l’equazione di Laplace valida per una distribuzione di cariche? Allora beccatevi questa breve rinfrescata. Il campo elettrico uscente da una superficie chiusa è proporzionale alle cariche elettriche presenti all’interno della superficie:
r ρ( x , y , z ) divE0 =
ε
0 r dove E 0 è il campo elettrico nel vuoto, ρ ( x , y , z ) è la densità di carica elettrica all’interno della super-
ficie chiusa sulla quale si calcola la divergenza del campo e Sappiamo che:
ε0
è la costante dielettrica del vuoto.
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Attenzione! Purtroppo stiamo facendo una di quelle assunzioni fasulle che possono falsare tutte le registrazioni elettrocardiografiche. Stiamo considerando la conducibilità come una costante mentre, essendo il torace tutto tranne che isotropo, in realtà essa è un tensore ed il risultato viene del tutto diverso. Per giunta, se la conducibilità è un tensore, la legge di Ohm ne viene un tantino stravolta poiché i vettori campo elettrico e densità di corrente non sono più sempre paralleli (cioè in alcuni punti il campo “tira” da una parte e la corrente va da un’altra). Si giunge forse a risultati apparentemente strani come vedere la corrente scorrere tra punti allo stesso potenziale...? 6 L’operatore gradiente è simile all’operatore divergenza con l’importante “finezza” che esso si applica a grandezze scalari (producendo un vettore) mentre l’operatore divergenza si applica a grandezze vettoriali (producendo uno scalare) [ohibò!].
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r E0 = − grad (V0 ) e quindi
r ρ( x, y, z) div E 0 = − divgrad (V0 ) =
( )
ε0
Per una regione di spazio priva di cariche la distribuzione sarà ovviamente:
ρ( x, y, z) = 0
e ne deriva la famosa equazione di Laplace:
∇ 2V = 0 L’equazione di Laplace è la stessa cosa trovata per il potenziale in una vasca elettrolitica! Ma allora c’è una analogia tra campo elettrico nel vuoto e densità di corrente nell’elettrolita e potenziale elettrico nel vuoto e lo stesso nell’elettrolita! Bello, perché così possiamo trattare il problema del cuore nel torace (pardon della piletta in salamoia) con la fisica dell’elettrostatica. IL CUORE VISTO COME UN DIPOLO ELETTRICO NELLO SPAZIO.
Ora che abbiamo appurato l’analogia tra caso elettrostatico ed elettrolitico, vediamo come si possa stimare il vettore dipolo elettrico del cuore da misure di differenza di potenziale al contorno. Fig. 9 - Un elettrocardiogramma si fa letteralmente così: applicando i due puntali di un voltmetro sulla pelle. Ma tra il dire e il fare.... Da Guyton “Trattato di Fisiologia medica” Piccin Editore Padova.
Ecco un’altra assunzione fasulla della metodica elettrocardiografica: anche data per buona la distribuzione delle correnti e del potenziale all’interno del torace, chi ci dice che i potenziali sulla superficie (cioè al confine tra una zona di una certa conducibilità e l’aria dove assumeremo una conducibilità nulla) siano indipendenti dal fatto che ci troviamo proprio in una zona di confine? E’ evidente che i potenziali sulla pelle saranno influenzati da ciò e potremmo soltanto cavarcela ammettendo (falsamente) di trovarci così lontano dal cuore che la geometria del torace non conti più e cioè che la distorsione (appiattimento) delle linee di corrente e del campo alla superficie del torace sia trascurabile. Detto questo pensiamo di considerare il dipolo elettrico del cuore applicato al centro di un triangolo equilatero e deriviamo mediante calcoli geometrici quali sarebbero le differenze di potenziale che ci potremmo aspettare facendo misure sui vertici del triangolo stesso. La geometria e la fisica relativa alla questione è di seguito schematizzata.
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Con riferimento alla Fig. 10 troviamo ora analiticamente la differenza di potenziale tra i punti P1 e P2 ammettendo di trovarci nel caso elettrostatico con due cariche +q e -q piazzate a eguale distanza (δ/2) dal centro del triangolo su una retta che interseca l’asse delle ascisse con un angolo α7 (dipolo elettrico).
Fig. 10 - Questo triangolo si chiama “triangolo di Einthoven8” dal nome del fisiologo che per primo più di cento anni fa studiò l’elettrocardiografia e fece le prime acquisizioni dei tracciati9.
Il potenziale elettrico nel punto P2 è:
V0 ( P2 ) =
1 q −q q r1 − r2 ⋅ + = 4πε 0 r2 r1 4πε 0 r1r2
Accettando ancora l’assunzione fasulla di porsi con i punti di misura a grande distanza rispetto al cuore (ovvero δ << r ) possiamo porre:
r1 − r2 ≅ −δ cos(150°−α )
e
r1r2 ≅ r 2 quindi
V0 ( P2 ) =
− qδ cos(150°−α ) 4πε 0 r 2
Considerando che il potenziale in P1 è esattamente quello che si avrebbe in P2 ruotando di +120° il dipolo, allora si ottiene:
V0 ( P1 ) =
− qδ cos( 30°−α ) 4πε 0 r 2
Quindi la differenza di potenziale tra P2 e P1 sarà (dopo alcuni passaggi):
D1 = V0 ( P2 ) − V0 ( P1 ) = kP cos(α )
dove k è una costante:
k=
3 4πε 0 r 2
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Per la verità l’angolo (trigonometricamente) sarebbe 180°-α, ma la “trigonometria dei medici” misura gli angoli positivi in senso orario e quelli negativi in senso antiorario. Qui ho deciso di seguire la trigonometria dei medici. 8 Non è dato sapere se Einthoven fosse massone. Ovviamente sto scherzando! (il triangolo è un simbolo massonico). 9 Con un amperometro a filo mobile e amplificazione ottica dell’ombra del filo.
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e P è il modulo del vettore di dipolo elettrico:
P = qδ
Dalla costruzione in Fig. 10 si vede tra l’altro che D1 è proprio la proiezione del dipolo elettrico sulla retta congiungente i punti P1 e P2. Questa è la conclusione generale alla quale si voleva giungere, e cioè che la differenza di potenziale tra una coppia qualsiasi di vertici del triangolo è proporzionale alla proiezione del dipolo elettrico (potenziale cardiaco nel caso elettrolitico) sulla direzione congiungente la coppia di vertici considerata. Ciò è semplicemente dato per scontato dai medici (beati loro).
Questo fatto ci consentirebbe di misurare il potenziale elettrico cardiaco indirettamente mediante misure effettuate sui vertici di un triangolo equilatero molto grande che abbia al suo centro il cuore. Poiché nessuno sa bene dove si trovi il cuore in una certa persona, nessuno sa anche come trovare i punti P1, P2 e P3 di un opportuno triangolo equilatero! Si considerano perciò i punti P1= spalla destra, P2 = spalla sinistra e P3 = anca sinistra e si assume (fasullamente!) che essi siano i vertici di un triangolo equilatero molto grande con al centro il cuore10. Per giunta, siccome è scomodo mettere gli elettrodi nei punti detti, si considerano gli arti come semplici “conduttori” e gli elettrodi vengono dunque spostati ai polsi e alle caviglie (che sono più facilmente accessibili come in Fig. 11). Il discorso fatto sopra vale per il dipolo cardiaco staticamente posizionato, ma anche in condizioni dinamiche. Il cuore, durante il suo ciclo, genera un potenziale elettrico che varia nel tempo in modulo, direzione e verso. Pertanto anche le proiezioni di tale potenziale lungo le direzioni dette sopra varieranno nel tempo. Fig. 11 - Schematizzazione della misura dei potenziali elettrici del cuore sui “vertici” del triangolo di Einthoven. Da Guyton “Trattato di Fisiologia medica” Piccin Editore Padova.
A ciascuna “posizione” di misura dei potenziali cardiaci viene dato il nome di “derivazione” o di derivazione elettrocardiografica. Nella Fig. 11 sono quindi evidenziate le misure sulle tre derivazioni elettrocardiografiche degli arti e nella Fig. 12 sono rappresentati i relativi tracciati nel tempo. Alla derivazione tra il braccio sinistro e il destro si dà il nome di prima derivazione, a quella tra la gamba sinistra e il braccio destro si assegna il nome di seconda derivazione ed infine quella tra la gamba sinistra ed il braccio sinistro si chiama terza derivazione 10
E’ appena il caso di ricordare che l’elegante trattazione detta sopra vale solo per un triangolo equilatero. Per la verità gli studiosi si sono cimentati nella generalizzazione del problema con il triangolo di Burger (vedi Wilson et al. “On the possibility of constructing an Einthoven triangle for a given subject” Am. Heart J. 37, 493, 1949).
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elettrocardiografica. Esse debbono essere registrate con le polarità del voltmetro così come evidenziato in Fig. 11. Queste derivazioni vengono anche chiamate dai medici derivazioni bipolari degli arti per indicare che esse sono in realtà delle differenze di potenziale tra due arti. Esistono, infatti, anche le derivazioni unipolari degli arti, così chiamate perché esse sono la registrazione della differenza di potenziale tra un arto e la media degli altri due (o la media di tutti e tre). Bisogna comunque ricordare che il vettore di dipolo cardiaco è un vettore nello spazio non necessariamente giacente sul piano al quale appartiene il triangolo di Einthoven. Tutte le derivazioni fin qui viste perdono quindi l’informazione del vettore perpendicolare al piano frontale. Vengono pertanto normalmente utilizzate altre sei derivazioni unipolari eseguite con un elettrodo in sei diverse posizioni sul torace per misurare la differenza di potenziale tra questo e la media dei potenziali degli arti. Dunque, mentre per stimare completamente un vettore nello spazio basterebbero tre misure ortogonali, i medici utilizzano un insieme di dodici misure tra le quali sicuramente deve esserci una dipendenza. Infatti, se indichiamo con D1 la prima derivazione, con D2 la seconda e con D3 la terza, con VBS il potenziale al braccio sinistro, con VBD il potenziale al braccio destro e con VGS il potenziale alla gamba sinistra allora si può scrivere: D1 = VBS - VBD D2 = VGS - VBD D3 = VGS - VBS da cui deriva facilmente: D2 = D1 + D3 e cioè le tre derivazioni bipolari degli arti sono tra loro linearmente dipendenti come c’era da aspettarsi. Questa ovvia dipendenza in fisiologia ha gli onori riservati ad una legge naturale e viene conosciuta come “Legge di Einthoven”. Fig. 12 - Tracciati delle tre derivazioni bipolari degli arti. N.B. i segnali non sono stati acquisiti contemporaneamente istante per istante. Da Guyton “Trattato di Fisiologia medica” Piccin Editore Padova.
GLI ELETTRODI.
Come raccontata fin qui, la questione della misura dell’elettrocardiogramma sembra abbastanza facile: sia pure con tutte le precauzioni da prendere. Per la verità nelle figure precedenti il voltmetro sembrava collegato al paziente con dei puntali metallici come un qualsiasi voltmetro da laboratorio. Purtroppo non è affatto così. La questione è che la corrente che scorre nel corpo, dovuta al campo elettrico prodotto dal cuore, non è una corrente di elettroni come quella che scorre nei fili 12
metallici dello strumento. Essa è piuttosto una corrente di ioni. Ci vuole pertanto un qualche sistema in grado di trasformare una corrente di ioni in una corrente di elettroni. L’unico sistema noto per trasformare una corrente di ioni in una corrente di elettroni è quello di utilizzare una sorta di interfaccia nella quale avvenga una reazione chimica di ossidoriduzione la quale comporti una acquisizione o cessione di elettroni da/verso sostanze in forma ionica. A tale sistema si dà il nome generico di elettrodo. Se nessuno avesse ancora inventato un elettrodo, si potrebbe pensare di farlo come segue. Intanto sembrerebbe opportuno farlo in due pezzi: una parte metallica per il collegamento con il filo elettrico che va al voltmetro ed una parte salina, attaccata alla precedente, in grado di partecipare alla reazione di ossidoriduzione. Inoltre potrebbe essere importante che la resistenza dell’elettrodo fosse la più piccola possibile per evitare che si abbia sull’elettrodo una eccessiva caduta di tensione e quindi si misuri un valore inutilmente più piccolo sul voltmetro. Così si dovrebbe scegliere un metallo a bassa resistività (e adeguata tollerabilità dermatologica) come l’argento (non l’oro perché troppo costoso). Per quanto riguarda la parte salina ovviamente si sceglierà a questo punto un sale d’argento. Quale? Siccome l’elettrodo va messo sulla pelle che è in diretta comunicazione con i liquidi extracellulari del derma ricchi di cloro, si sceglierà ad esempio il sale cloruro d’argento. E allora l’elettrodo sarà fatto così: una placchetta d’argento metallico ricoperta da una patina di cloruro d’argento nella zona che deve andare a contatto con la pelle. Per concludere potremmo prevedere una spugnetta imbevuta di una soluzione di cloruro d’argento in acqua per garantire l’opportuna mobilità degli ioni. Sarebbe bene che il tutto fosse al riparo dalla luce. Questa infatti scinde i sali d’argento11. E così abbiamo “inventato” un bell’elettrodo. Ma come funziona? La reazione di ossidoriduzione che avviene tra l’elettrodo e la pelle è la seguente: Ag + Cl − ⇔ AgCl + e − e sembra funzionare tutto bene. In particolare, essendo la reazione reversibile, si ha la possibilità di uno scorrimento della corrente in ambedue le direzioni con la stessa reazione di ossidoriduzione. L’elettrodo si dice reversibile. Ma che succede se la corrente dovesse scorrere sempre in una sola direzione come si ha proprio in una misura elettrocardiografica di lunga durata? In questo caso l’elettrodo potrebbe “consumarsi” nel senso che lo strato di cloruro potrebbe passare tutto in soluzione e l’argento metallico entrare direttamente in contatto con la pelle. Allora l’elettrodo si dice esauribile. Un elettrodo argento/argentocloruro è un elettrodo reversibile ed esauribile. L’esaurimento dell’elettrodo non è una cosa positiva. Per fare una misura con il voltmetro ci vogliono almeno due elettrodi. Ognuno di essi “vedrà” probabilmente una concentrazione diversa di ioni cloro nella zona dove è stato posto. Questo farà sì che ogni elettrodo genererà un proprio potenziale di semicella (equazione di Nerst) diverso dall’altro. Tale potenziale è anche noto con il nome di potenziale di giunzione liquida. Essendo i due potenziali diversi, essi non si annulleranno a vicenda e quindi si misurerà il valore del potenziale cardiaco sommato alla differenza dei potenziali di semicella degli elettrodi. Il potenziale elettrico cardiaco ha valori dell’ordine del millivolt mentre il potenziale di giunzione liquida ha valori dell’ordine del volt. Questo fatto rende la misura un po’ complicata (vedi dopo “Come è fatto dentro un elettrocardiografo”) e purtuttavia si può convivere con questo fenomeno e ottenere delle buone registrazioni. Questo almeno finquando l’elettrodo è in buono stato! Quando il cloruro si è consumato tutto, infatti, il potenziale di semicella diventa impredicibile ed erratico dipendendo 11
Le prime lastre fotografiche erano proprio fatte di una pasta di cloruro d’argento, sostituito poi dal nitrato e, più modernamente, dal bromuro. Il bromuro è il sale più “debole” e la sua scissione ad opera della luce avviene molto facilmente, così da consentire la produzione di pellicole fotografiche molto sensibili.
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da altri ioni presenti nella zona oltre che dalle impurità presenti nell’argento. Ben difficilmente l’amplificatore elettrocardiografico (il voltmetro) potrà ora compensare ed ovviare a questo effetto. A questo punto si dice che l’elettrodo si è polarizzato e può essere gettato nella spazzatura senza rimpianti. Sarebbe bello allora inventare un elettrodo inesauribile. Uno lo potremmo fare con una placchetta di platino metallico. Il platino catalizza l’elettrolisi dell’acqua (ci troviamo ovviamente in un ambiente acquoso) e abbiamo questa reazione: 1 e − + H2 O → OH − + H2 2 Stavolta si tratta però di una reazione non reversibile e quindi invertendo il senso della corrente deve avvenire una reazione diversa: 1 H 2 O → 2 H + + O2 + 2e − 2 Abbiamo così un elettrodo inesauribile (il platino catalizza la reazione, ma non ne prende parte chimicamente e quindi non si consuma), ma irreversibile. La produzione di gas nella reazione di elettrolisi non è affatto comoda (il gas tende ad isolare l’elettrodo dalla pelle) e dunque questo tipo di elettrodo non è particolarmente utile. Per quanto esistano almeno altri due o tre tipi di elettrodi per elettrocardiografia, quello Ag/AgCl è il più usato ed è ormai in vendita a meno di 1000 lire l’uno. Storicamente si ricorda un elettrodo divertente: era l’elettrodo “spray-on” sviluppato dalla NASA per il monitoraggio dell’elettrocardiogramma dei primi astronauti. Lo sprayon era realizzato spruzzando grafite colloidale (polvere di carbone) sulla pelle che ne risultava praticamente verniciata. La grafite (conduttiva) creava un contatto intimo con la pelle e sulla “macchia nera” si poteva semplicemente appoggiare un normale filo metallico. Oggi l’elettrodo spray-on non è quasi più utilizzato. COME È FATTO DENTRO UN ELETTROCARDIOGRAFO.
Omissis12 QUELLO CHE L’ELETTROCARDIOGRAFO FA VEDERE (E NON DOVREBBE) E QUELLO CHE NON FA VEDERE (MA DOVREBBE).
Omissis13
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Apparirà in una prossima release di questo documento Apparirà in una prossima release di questo documento
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STIMA PRATICA DELLA BANDA PASSANTE DI UN ELETTROCARDIOGRAFO.
Vediamo ora come ci si può accertare del buon funzionamento di un elettrocardiografo usato correntemente nella pratica clinica. E’ evidente, infatti, che mentre ci si può sincerare bene della bontà degli elettrodi (pulendoli perfettamente o sostituendoli), come della efficienza dei collegamenti (mediante esame visivo dei connettori o prove di continuità), ben più difficile può risultare il controllo dell’elettrocardiografo come macchinetta. Comunemente la sola cosa che viene fatta consiste nell’uso del pulsante di calibrazione dell’apparecchio che fornisce un ingresso standard di 1 mV ai circuiti di ingresso e dovrebbe provocare la deflessione del tracciato di 1 cm o 2 cm in funzione del valore dell’amplificazione selezionato. Questa prova assicura del corretto valore di guadagno e di una sua eventuale deriva, ma non dice nulla sulla risposta in frequenza dell’apparecchio che, tra l’altro, più facilmente potrebbe essere alterata. Se da un lato il sistema principe di verifica del funzionamento sarebbe la prova di laboratorio, sul campo sono spesso usati quelli che in gergo sono detti “cuori di pollo”. Un “cuore di pollo” è un piccolo dispositivo alimentato a batteria entrocontenuta che ha una serie di morsetti dove vengono collegati i fili dell’elettrocardiografo che normalmente vanno agli elettrodi. Il cuore di pollo ha internamente un circuito elettrico che simula il segnale elettrocardiografico perfettamente e, quindi, consente tramite una semplice ispezione visiva dei tracciati ottenuti da questo “cuore campione” di accertarsi del funzionamento della macchina. Per chi non avesse a disposizione un cuore di pollo descrivo qui una tecnica manuale che fornisce risultati abbastanza precisi, ma incompleti, e purtuttavia è utile perché semplice e di facile esecuzione. Questa tecnica si basa sempre sul famoso pulsante della calibrazione ad 1 mV dell’apparecchio. Supponiamo per semplicità che il circuito dell’elettrocardiografo sia alla fin fine schematizzato come in Fig. 13. Fig. 13 - Circuito schematico dell’elettrocardiografo che mette in risalto i componenti che sono responsabili della banda passante della macchina e non dell’amplificazione.
Questa assunzione per quanto brutale non è però così distante dalla realtà. Nel circuito in figura vediamo due sezioni a resistenza e capacità. La prima sezione presenta la resistenza R1 in serie al segnale e la capacità C1 in parallelo, mentre la seconda sezione mostra la capacità C2 in serie e la resistenza R2 in parallelo all’uscita. Se assumiamo che la serie C2-R2 non influisca molto sulla capacità C1 (cosa possibile perché la sua impedenza è sicuramente molto più alta come vedremo), allora possiamo trattare le due sezioni in maniera indipendente. Cominciamo a studiare la prima sezione ed in particolare cerchiamo di trovare analiticamente l’andamento della tensione ai capi di C1 quando in ingresso sia applicato un segnale a gradino, cioè un segnale nullo fino al tempo t = t0 e uguale a una costante (1 mV) per t > t0 (cioè proprio il segnale del pulsante di calibrazione dello strumento).
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Indicando con Vi la tensione del gradino, con Q( t ) la carica immagazzinata nella capacità, con Vc ( t )
la tensione ai capi della capacità, con ic ( t ) la corrente che scorre nella capacità, possiamo scrivere per per t > t0:
dQ( t ) = ic ( t )dt = CdVc ( t )
essendo però:
ic ( t ) =
(V − V (t )) i
c
R
si avrà con semplici passaggi14:
1 1 dt = dV RC (Vi − Vc (t )) c quindi integrando: T
∫ 0
1 dt = RC
Vc ( T )
1
∫ (V − V (t )) dV
c
i
0
c
si ottiene (uno studente dell’ultimo anno di liceo DEVE saper risolvere l’integrale sopra):
T = − ln(Vi − Vc ( T )) + ln(Vi ) RC e quindi si trova la tensione sul condensatore che è anche la tensione di uscita del circuito (prima sezione): T − Vc ( T ) = Vi 1 − e RC
Poiché non conosciamo RC possiamo stimarlo poiché, quando T = RC allora la tensione sul condensatore sarà il 63% della tensione di ingresso. Per dimostrarlo basta risolvere l’ultima equazione ponendo per l’appunto T = RC15. Ma perché interessa tanto conoscere RC? Facciamo dunque quest’altra pensata. A quale frequenza il circuito resistenza-capacità (Fig. 13 prima sezione) attenuerà la potenza del segnale di ingresso della metà16? Il circuito è un passa basso poiché al crescere della frequenza l’impedenza del condensatore sarà sempre minore e quindi il segnale di uscita sarà via via più piccolo, infatti possiamo scrivere:
Vc =
Vi Zc R + Zc
dove:
1 ι 2πfC Zc 1 1− i Quando R = Z c = avremo e, considerando il quadrato del modulo di tale rap= R + Zc 2 2πfC Zc =
porto (per l’attenuazione in potenza) si ottiene proprio:
Zc R + Zc
2
=
1 2
quindi la frequenza del segnale la cui potenza si riduce della metà nel passaggio attraverso il filtro sarà:
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Stàdero ha sempre odiato chi dice che una certa cosa si ottiene con semplici passaggi soprattutto quando i semplici passaggi non sono né semplici né scontati (del tipo: “il bianco muove e matta in tre mosse”). Crede però di essersi spinto abbastanza avanti nel dettaglio affinché uno studente medio sappia fare gli ultimi conti prima della soluzione. 15 Notare che il prodotto RC ha le dimensioni di un tempo e i medici, guarda caso, lo chiamano “costante di tempo”. 16 Concettualmente qualunque altra frazione sarebbe andata bene. Il dimezzamento fornisce una particolare semplificazione nei calcoli.
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f =
1 2πRC
Allora, per stimare la frequenza di taglio passa basso del circuito (ovvero dell’elettrocardiografo) basta: 1 - premere il pulsante di calibrazione 2 - misurare sul tracciato il tempo che ci mette la traccia a portarsi al 63% di 1 mV 3 - poiché quel tempo è RC, porlo nell’ultima formula e trovare f la frequenza trovata è quella al di sopra della quale l’attenuazione dell’elettrocardiografo è maggiore del 50%, cioè tutti i segnali con frequenza superiore a quella saranno attenuati di più del 50% rispetto ad un segnale a frequenza nulla (cioè una tensione continua).
Fig. 14 - Stima della frequenza di taglio passa basso di un elettrocardiografo dalla sua risposta al gradino di calibrazione.
Nella Fig. 14 sopra si riporta un pezzo di tracciato dove è stata esemplificata la misura della frequenza di taglio passa basso di un elettrocardiografo. Il segnale di calibrazione, che è un gradino di pendenza pressoché infinita, è stato registrato come una salita piuttosto morbida (a causa del circuito a resistenza capacità). Esso raggiunge in 4 ms il livello di 0.63 mV dunque RC = 4 ms e pertanto: 1 f = = 39.8 Hz 2π 4 ⋅ 10−3 Questa misura non sarà un gran che (non è proprio corretto separare le due sezioni del circuito e trattarle separatamente), ma è pur sempre qualcosa! C’è qualche precauzione da prendere quando si fa questa misura: è bene che la velocità della carta della macchinetta venga posta al valore più alto possibile e così pure l’amplificazione. Questo renderà più agevole la misura del tempuscolo detto sopra (che nella Fig. 14 è stato didatticamente accentuato).
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Vediamo ora come si fa a definire la frequenza di taglio passa alto, cioè la frequenza per cui tutti i segnali aventi frequenza minore verranno attenuati di più della metà. Questa misura è più agevole della precedente ed è anche più importante perché è più grave per un elettrocardiografo aver perso larghezza di banda in basso piuttosto che in alto. Alle basse frequenze, infatti, ci sono segnali di interesse per lo studio di patologie importanti come l’ischemia coronarica e l’infarto. La trattazione ora va fatta per la seconda sezione del circuito in Fig. 13 (come se la prima sezione non ci fosse). La prima parte dei calcoli, quella relativa alla risposta al gradino, è analoga a quella esposta prima e, dopo alcuni passaggi, si arriva a: −
T RC
Vc ( T ) = Vi e Ora quando T = RC la tensione sulla resistenza (cioè la tensione di uscita) sarà il 37% della tensione di ingresso. Anche qui la frequenza “a mezza altezza” ovvero la frequenza di taglio passa alto sarà quella per la quale: R = Zc e quindi: 1 f = 2πRC Allora, per stimare la frequenza di taglio passa alto del circuito (ovvero dell’elettrocardiografo) basta: 1 - premere il pulsante di calibrazione 2 - misurare sul tracciato il tempo che ci mette la traccia a tornare al 37% di 1 mV 3 - poiché quel tempo è RC, porlo nell’ultima formula e trovare f la frequenza trovata è quella al di sotto della quale l’attenuazione dell’elettrocardiografo è maggiore del 50%, cioè tutti i segnali con frequenza inferiore a quella saranno attenuati di più del 50% rispetto ad un segnale a frequenza infinita. Nella Fig. 15 sotto si riporta un pezzo di tracciato dove è stata esemplificata la misura della frequenza di taglio passa alto di un elettrocardiografo. Il segnale di calibrazione è stato registrato per un lungo periodo per verificare la sua “tenuta” (ovviamente col tempo cede a causa del caricamento della capacità). Esso ritorna in 4.2 s al livello di 0.37 mV dunque RC = 4.2 s e pertanto: 1 f = = 0.038 Hz 2π 4.2 Per questa misura è ovviamente meglio che la carta dello strumento sia fatta correre alla minore velocità possibile mentre è sempre bene che il guadagno sia massimo. Morale: tanto più il segnale di calibrazione sale rapidamente, tanto più l’elettrocardiografo è bravo a registrare frequenze alte; tanto più il segnale di calibrazione “tiene” dopo la salita e tanto più la macchina è brava a registrare frequenze basse. Questo perché le frequenze alte sono costituite da variazioni rapide, mentre le frequenze basse sono variazioni lente e cosa c’è di più lento di un segnale costante? Ci si potrebbe chiedere perché mai si debba verificare la banda passante dell’elettrocardiografo e perché questa venga di proposito limitata.
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Il motivo della verifica è accertarsi che con l’invecchiamento dei componenti elettronici non si abbia anche una degradazione inaccettabile delle performance dello strumento. Il motivo per cui viene limitata è dovuto a: 1 - tutti gli strumenti di misura hanno una banda limitata quanto meno da considerazioni puramente “fisiche” 2 - in molti casi la banda viene ulteriormente limitata (apposta) per minimizzare il rumore o per escludere segnali di interferenza o per stabilizzare il tracciato. La limitazione di banda è sempre un lavoro di compromesso poiché, spesso, parte del segnale utile viene eliminato insieme a quello disturbante ovvero parte del segnale disturbante rimane a confondere il segnale utile. Fig. 15 a lato - Stima della frequenza di taglio passa alto di un elettrocardiografo dalla sua risposta al gradino di calibrazione.
CONCLUSIONE.
Purtroppo quasi tutte le metodiche strumentali di uso in medicina sono di natura più o meno approssimata e richiedono la definizione di assunzioni più o meno gravemente false. Questo non vuol dire che siano del tutto inservibili. In questo mondo supertecnologico sembra assurdo che un medico (da cui dipende la nostra salute, anzi la vostra perché io per il momento mi curo da solo) possa utilizzare strumenti che abbiano in effetti errori del 20 o 30%. Eppure è così e le cose vanno avanti abbastanza bene. E’ ovvio che potrebbero andare meglio. Pensate a quanto si potrebbe fare in questo campo! Anche l’aspetto economico è interessante: sapevate che in Italia la spesa sanitaria17 (quasi 120.000 miliardi solo da fonte pubblica più circa 50.000 miliardi da fonte privata cioè circa il 10% del PIL) è tre volte quella delle telecomunicazioni (65.000 miliardi) che pure ha generato un incredibile business e molti posti di lavoro negli ultimi anni? I medici illuminati sanno bene che non si può strizzare dall’elettrocardiogramma quello che non può dire, sanno bene che la lettura dell’elettrocardiogramma va fatta in maniera oggettiva senza introdurre descrizioni fantastiche, sanno bene che il significato di un elettrocardiogramma non può essere svincolato dalle condizioni del paziente e che pertanto non può essere interpretato al di fuori di un esame clinico del paziente stesso ed, infine, 17
Appendice alla Relazione della Corte dei Conti sul Bilancio dello Stato del 1998.
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sanno bene che un elettrocardiogramma può eventualmente confermare un sospetto diagnostico scaturito dall’anamnesi o dall’esame obiettivo del paziente e non essere usato solo come amo per pescare una possibile malattia di cui non si sospetta nemmeno l’esistenza. Ma purtroppo i medici illuminati, e in generale le persone illuminate, sono pochi e l’elettrocardiogramma viene considerato quindi spesso dai medici e dai pazienti come un esame “assoluto” che ti dice se stai bene o se stai male. Questo è un peccato perché, quando ad una metodica si attribuiscono poteri che non ha, si getta il seme della disillusione per cui presto o tardi la metodica potrebbe essere abbandonata anche in quei casi dove rimane insostituibile. Forse potreste pensare che l’elettrocardiografia sia tutto sommato una fregatura o come si dice a Roma: una “sòla”. Ricordate allora, ancor più, che l’unica garanzia del suo uso appropriato rimane nell’utente18, cioè in voi. APPENDICE : LA VERA STORIA DELL’ELETTROCARDIOGRAFIA. 1842: il fisico italiano Carlo Matteucci mostra che ad ogni battito cardiaco è associata una corrente elettrica. Matteucci C. Sur un phenomene physiologique produit par les muscles en contraction. Ann Chim Phys 1842;6:339-341.
1843: il fisiologo tedesco Emil Dubois-Reymond descrive un "potenziale di azione" che accompagna ogni contrazione muscolare e conferma le scoperte di Matteucci sulle rane. 1856: Rudolph von Koelliker e Heinrich Muller registrano un potenziale di azione. 1869-70: Alexander Muirhead del St Bartholomew's Hospital di Londra potrebbe aver registrato il primo elettrocardiogramma umano, ma la vicenda è controversa. 1872: il fisico francese Gabriel Lippmann inventa un elettrometro capillare. E’ costituito da un sottile tubetto di vetro che contiene una colonna di mercurio sotto acido solforico. Il menisco del mercurio si muove secondo il potenziale elettrico ed è osservato tramite un microscopio. 1876: Marey usa un elettrometro per registrare l’attività elettrica di un cuore (esposto) di rana. Marey EJ. Des variations electriques des muscles et du couer en particulier etudies au moyen de l'electrometre de M Lippman. Compres Rendus Hebdomadaires des Seances de l'Acadamie des sciences 1876;82:975-977.
1878: i fisiologi britannici John Burden Sanderson e Frederick Page registrano la corrente elettrica del cuore con un elettrometro capillare e mostrano che consiste di due fasi (poi chiamate QRS e T). Burdon Sanderson J. Experimental results relating to the rhythmical and excitatory motions of the ventricle of the frog. Proc R Soc Lond 1878;27:410-414. 1884: John Burden Sanderson e Frederick Page pubblicano alcune delle loro registrazioni. Burdon Sanderson J, Page FJM. On the electrical phenomena of the excitatory process in the heart of the tortoise, as investigated photographically. J Physiol (London) 1884;4:327-338. 1887: il fisiologo britannico Augustus D. Waller della St Mary's Medical School di Londra pubblica il primo elettrocardiogramma umano. E’ quello del signor Thomas Go18
“E questa conclusione è parsa così giusta che si è pensato di metterla qui come il succo di tutta la storia, la quale se non v’è dispiaciuta affatto vogliatene bene a chi l’ha scritta e anche un pochino a chi l’ha raccomodata e se invece si fosse riusciti ad annoiarvi, sappiate che non s’è fatto apposta”. N.B.: questa dispensa non è stata sciacquata in Arno e nemmeno nel Tevere, ma piuttosto nel fosso che attraversa l’area del campus di Tor Vergata (sic!); si prega dunque di segnalare, senza biasimo, eventuali errori anche gravi di fisica, di fisiologia e d’italiano, che saranno prontamente corretti a tutto vantaggio dei futuri studenti (e della reputazione di Stàdero).
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swell, un tecnico del laboratorio. Waller AD. A demonstration on man of electromotive changes accompanying the heart's beat. J Physiol (London) 1887;8:229-234. 1889: il fisiologo olandese Willem Einthoven vede Waller dimostrare la sua tecnica al Primo Congresso Internazionale di Fisiologia. 1890: GJ Burch di Oxford trova una correzione aritmetica per evitare le fluttuazioni che si osservano nell’elettrometro. Questo consente di disegnare le vere forme d’onda dell’elettrocardiogramma, ma solo dopo noiosissimi calcoli. Burch GJ. On a method of determining the value of rapid variations of a difference potential by means of a capillary electrometer. Proc R Soc Lond (Biol) 1890;48:89-93.
1891: i fisiologi britannici William Bayliss e Edward Starling del University College di Londra migliorano l’elettrometro capillare. Essi collegano i terminali dello strumento alla mano destra ed alla cute sopra l’apice del cuore e mostrano una “variazione trifasica che accompagna (o piuttosto precede) ogni battito cardiaco". Queste deflessioni sono successivamente chiamate P, QRS e T. Bayliss WM, Starling EH. On the electrical variations of the heart in man. Proc Phys Soc (14th November) in J Physiol (London) 1891;13 e anche On the electromotive phenomena of the mammalian heart. Proc R Soc Lond 1892;50:211-214. Essi dimostrano inoltre un ritardo
di circa 0.13 secondi tra la stimolazione atriale e la depolarizzazione ventricolare (chiamato più tardi intervallo PR). On the electromotive phenomena of the mammalian heart. Proc Phys Soc (21st March) in J Physiol (London) 1891;12:xx-xxi. 1893: Willem Einthoven introduce il termine 'elettrocardiogramma' ad un incontro della Associazione Medica Olandese (successivamente ammetterà che fu Waller il primo ad usare il termine). Einthoven W: Nieuwe methoden voor clinisch onderzoek [Nuovi metodi di investigazione clinica]. Ned T Geneesk 29 II: 263-286, 1893. 1895: Einthoven, usando un elettrometro avanzato ed una formula di correzione sviluppata indipendentemente da Burch, distingue cinque deflessioni che egli chiama P, Q, R, S e T. Einthoven W. Ueber die Form des menschlichen Electrocardiogramms. Arch f d Ges Physiol 1895;60:101-123. 1897: Clement Ader, un ingegnere elettrico francese, realizza il suo sistema di amplificazione chiamato galvanometro a filo che usa per le linee telegrafiche sottomarine. Ader C. Sur un nouvel appareil enregistreur pour cables sous-marins. C R Acad Sci (Paris) 1897;124:1440-1442. 1901: Einthoven modifica un galvanometro a filo per registrare segnali elettrocardiografici. Il suo galvanometro a filo pesa circa 300 chilogrammi. Einthoven W. Un nouveau galvanometre. Arch Neerl Sc Ex Nat 1901;6:625-633. 1902: Einthoven pubblica il primo elettrocardiogramma registrato con un galvanometro a filo. Einthoven W. Galvanometrische registratie van het menschilijk electrocardiogram. In: Herinneringsbundel Professor S. S. Rosenstein. Leiden: Eduard Ijdo, 1902:101-107. 1903: Einthoven discute della produzione commerciale di un galvanometro a filo con Max Edelmann di Monaco e Horace Darwin della Cambridge Scientific Instruments Company di Londra. 1905: Einthoven comincia a trasmettere elettrocardiogrammi dall’ospedale al suo laboratorio distante 1.5 km attraverso un cavo telefonico. Il 22 marzo il primo 'telecardiogramma' viene registrato da un volontario sano e vigoroso e le alte onde R vengono attribuite alla sua corsa in bicicletta dal laboratorio all’ospedale per la registrazione. 1906: Einthoven pubblica la prima presentazione organizzata di elettrocardiogrammi normali e patologici registrati con un galvanometro a filo. Vengono descritte l’ipertrofia atriale e ventricolare destra e sinistra, l’onda U (per la prima volta), uncinature del QRS, battiti prematuri ventricolari, bigeminismo ventricolare, flutter atriale e blocco cardiaco completo. Einthoven W. Le telecardiogramme. Arch Int de Physiol 1906;4:132-164 (tradotto in inglese. Am Heart J 1957;53:602-615). 21
1906: Lee De Forest inventa il triodo o "audion tube", una tubo a vuoto con tre elettrodi (valvola termoionica) invece di due (presenti nel diodo a vuoto). Il triodo, che può amplificare elettronicamente piccoli segnali elettrici, rende commercialmente possibili molti circuiti elettronici, tra cui la radio. 1908: Edward Schafer della University of Edinburgh è il primo a comprare un galvanometro a filo per uso clinico. 1909: Thomas Lewis dello University College Hospital di Londra ne compra un altro e così pure Alfred Cohn del Mt Sinae Hospital di New York. 1910: Walter James, Columbia University e Horatio Williams, Cornell University Medical College di New York pubblicano la prima review americana di elettrocardiografia. Descrivono l’ipertrofia ventricolare, le aritmie atriali e ventricolari, la fibrillazione atriale e ventricolare. Le registrazioni sono inviate direttamente dalle corsie al laboratorio di elettrocardiografia mediante un sistema di cavi. Si può vedere una grande immagine di un paziente mentre è sottoposto ad elettrocardiografia con la didascalia che dice: “Gli elettrodi in uso”. James WB, Williams HB. The electrocardiogram in clinical medicine. Am J Med Sci 1910;140:408-421, 644-669. 1911: Thomas Lewis pubblica un testo classico. The mechanism of the heart beat. London: Shaw & Sons e lo dedica a Willem Einthoven. 1912: Einthoven parla alla Chelsea Clinical Society in Londra e descrive un triangolo equilatero formato dalle sue derivazioni standard I, II e III successivamente chiamato 'triangolo di Einthoven'. Questa sembra essere la prima volta che viene adoperata l’abbreviazione ‘EKG’ in un articolo in inglese. Einthoven W. The different forms of the human electrocardiogram and their signification. Lancet 1912(1):853-. 1920: Hubert Mann del Cardiographic Laboratory, Mount Sinae Hospital, descrive la derivazione di un 'monocardiogramma' successivamente chiamato ‘vettorcardiogramma’. Mann H. A method of analyzing the electrocardiogram. Arch Int Med 1920;25:283-294. 1920: Harold Pardee di New York pubblica il primo elettrocardiogramma di un infarto miocardico acuto nell’uomo e descrive l’onda T come alta e “partente da un punto ben più alto sulla discesa dell’onda R”. Pardee HEB. An electrocardiographic sign of coronary artery obstruction. Arch Int Med 1920;26:244-257. 1924: Willem Einthoven è insignito del premio Nobel per l’invenzione dell’elettrocardiografo. 1928: Ernstine e Levine riportano l’uso dei tubi a vuoto di De Forest (valvole termoioniche) per amplificare l’elettrocardiogramma invece dell’amplificazione meccanica del galvanometro a filo. Ernstine AC, Levine SA. A comparison of records taken with the Einthoven string galvanomter and the amplifier-type electrocardiograph. Am Heart J 1928;4:725-731. 1928: Frank Sanborn's company (poi acquistata dalla Hewlett-Packard) converte la sua macchina elettrocardiografica da tavolo nella prima versione portatile che pesa (solo) 25 chilogrammi ed è alimentata da una batteria da automobile da 6-volt. 1932: Charles Wolferth e Francis Wood descrivono l’uso clinico delle derivazioni precordiali. Wolferth CC, Wood FC. The electrocardiographic diagnosis of coronary occlusion by the use of chest leads. Am J Med Sci 1932;183:30-35. 1938: la American Heart Association e la Cardiac Society di Gran Bretagna definiscono la posizioni standard, ed il cablaggio, delle derivazioni precordiali da V1 - V6. La 'V' significa voltaggio. Barnes AR, Pardee HEB, White PD. et al. Standardization of precordial leads. Am Heart J 1938;15:235-239.
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1942: Emanuel Goldberger aggiunge le derivazioni aumentate degli arti aVR, aVL e aVF alle derivazioni standard di Einthoven e alle sei derivazioni precordiali definendo la misura elettrocardiografica a 12 derivazioni che è usata ancora oggi. 1956: John Bardeen, Walter Brattain e William Shockley dei Bell Laboratories sono insigniti del premio Nobel per l’invenzione del transistor. Si apre l’era della miniaturizzazione dei circuiti elettronici. 1971-74: Ted Hoffs e Federico Faggin della Intel inventano il primo microprocessore (il “4004” è costituito da 2300 transistor mentre il “Pentium-Pro” ne conta 5,5 milioni): con la maggiore miniaturizzazione, la programmabilità ed il bassissimo consumo di energia dei moderni dispositivi elettronici, inizia la storia dell’informatica personale e della elaborazione digitale dei segnali. BIBLIOGRAFIA DELL’APPENDICE. [1] Fye WB. A history of the origin, evolution, and impact of electrocardiography. Am J Cardiol 1994;73:937-949. [2] Burchell HB. A centennial note on Waller and the first human electrocardiogram. Am J Cardiol 1987;59:979-983. [3] Burnett J. The origins of the electrocardiograph as a clinical instrument. Medical History Supplement 5: 1985, 53-76. [4] Published as a monograph. The emergence of modern cardiology. Bynum WF, Lawrence C, Nutton V, eds. Wellcome Institute for the History of Medicine: 1985. [5] Hewlett-Packard - 'History and Mission' [6] Intel museum a http://www.intel.com/intel/museum/
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Il Dr. Enrico Maria (Stàdero) Staderini è ricercatore presso il Dipartimento di Biopatologia e Diagnostica per Immagini, Facoltà di Medicina, Università di Roma “Tor Vergata”. E’ stato Professore a contratto di “Metodi di elaborazione di segnali biomedici” al corso di Specializzazione in Cardiologia dell’Università di Roma “Tor Vergata” (1987-1994), Conferenziere invitato al Centro Interdipartimentale di Ricerca per l’Analisi dei Modelli e dell’Informazione nei Sistemi Biomedici dell’Università di Roma “La Sapienza” (1990-1999), Professore invitato al Centro Internazionale di Fisica Teorica IAEA-UNESCO di Trieste (1990-1996) ed al Centro di Ingegneria Educativa dell’Università di San Paolo del Brasile (1996). Ha lavorato da metalmeccanico nell’industria elettromedicale e informatica come progettista, poi come analista hardware di sistema ed infine come dirigente tecnico-scientifico (1987-1997). Ha in preparazione (da parecchio tempo) un libro di fisica medica, burlesco come al solito ma scientificamente impeccabile, dal titolo “MD: medici nelle retrovie” dove “MD” sta per “reparto di Medicina Donne”. Si interessa di applicazioni mediche di radar impulsati a banda ultra larga ed ha trascorso un periodo di studio e ricerca alla Ohio-State University di Columbus (OH), USA, per lavorare sull’argomento (http://www.uniroma2.it/fismed/UWBradar). Incontrarlo è molto difficile per la sua frenetica attività (c’è chi lo descrive quantisticamente con una funzione d’onda...), ma può essere facilmente frequentato virtualmente via posta elettronica (
[email protected]). Si è laureato in medicina (pensate!) con undici esami in più di quelli prescritti (ex art. 6, presso il corso di ingegneria elettronica), ha seguìto un corso di Specializzazione in Bioingegneria, è dottore di ricerca in Fisiopatologia Cardiovascolare e gli piace pure fare il medico il cui lavoro, complice la “vis sanatrix naturae” (cioè la capacità degli esseri viventi di ripararsi da soli), ritiene più facile di quello del fisico o dell’ingegnere (gli strumenti rotti raramente si aggiustano da soli!). Quest’ultimo, però, è la sua vera passione.
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