A. NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE
A.1. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO ORGANISMI NORMATIVI NAZIONALI E INTERNAZIONALI CODICE E NORMA ATTIVITÀ NORMATIVA Le modalità di redazione-comunicazione degli elaborati di progetto sono regolate da norme. Si tratta di disposizioni, convenzioni, prescrizioni che costituiscono solo una parte di più ampi apparati di regolamentazione nazionali e internazionali rivolti a verificare e garantire le prestazioni dei prodotti industriali in genere – quindi anche dei prodotti che intervengono nell’industria delle costruzioni – e a coordinarne la compatibilità e l’utilizzabilità nei diversi ambiti produttivi e territoriali, sia come “prodotti finali” destinati direttamente alla fruizione, sia come “componenti” di prodotti più complessi.
NORME DI RAPPRESENTAZIONE È essenziale della “rappresentazione” l’esigenza di trasmettere informazioni. Tanto vale per qualsiasi tipo di rappresentazione, in qualsiasi ambito di progettazione e di produzione. Tanto più vale in ambiti caratterizzati dalla collaborazione di un gran numero di operatori e da un elevato grado di complessità dei materiali e dei processi, come è per l’ambito del progetto edilizio. Quanto più esteso è il numero degli operatori coinvolti e quanto più alto è il grado di complessità implicato dai processi produttivi, tanto più chiara e definita dovrà risultare l’informazione che la rappresentazione trasmette. Tutto ciò è alla base dell’esigenza di definire, codificare, regolare i modi della trascrizione-comunicazione del progetto. Questioni “normative” che non si ponevano quando il “progetto”, costituito da rappresentazioni ‘naturali’, doveva rendere conto al “committente” illuminato del palazzo o della cattedrale e fornire indicazioni di costruzione, d’ordine e di misura ad artigiani sapienti e, in qualche modo, familiari, in quanto appartenenti alla stessa aura culturale del progettista. Questioni divenute essenziali oggi che la “committenza” è costituita soprattutto da “istituzioni” – come è per scuole, case popolari, musei e biblioteche, stazioni, strade e piazze, dighe, ecc. – che nel concreto propongono una pluralità complessa di interlocutori; oggi che la realizzazione è demandata a una larga gamma di operatori – altri tecnici, industriali, artigiani – con proprie logiche produttive, proprie culture, propri statuti. Accanto al disegno ‘naturale’, che sopravvive come strumento di ricerca, di verifica e comunicazione sintetica del progetto, si dispongono sistemi di rappresentazione di diverso grado di astrazione e complessità, regolati da codici di comunicazione rivolti a rendere chiare e univoche le informazioni per i diversi interlocutori e operatori coinvolti nella realizzazione dell’opera. Il progetto consiste essenzialmente nell’elaborazione di questo complesso sistema di informazioni chiare e correlate, redatte in codici che possano essere univocamente interpetrati dagli operatori che concorrono alla realizzazione dell’opera. Il “codice” non è ancora “norma”: il codice precede la norma, è una modalità di comunicazione che si istituisce all’interno di un gruppo, di una comunità scientifica o tecnica e che nel tempo si afferma e consolida. Allorquando un “codice” viene selezionato, definito e infine imposto esplicitamente da una qualche legge o regolamento emanato da qualche autorità riconosciuta, acquisisce il carattere di “norma”, vale a dire di disposizione cogente, imperativa.
Codici ‘letterari’, come sono: • nomi (di prodotti, categorie di prodotti, strumenti) • legende, didascalie processuali, avvertenze. Codici ‘numerici e quantitativi’, come sono: • quote e misure, numerazione di pezzi o parti ricorrenti; • calcoli, computi delle quantità, analisi dei prezzi, ecc. Simbologie grafiche-numeriche di designazione e correlazione, come sono: • la posizione dei riferimenti a sezioni, particolari e dettagli; • i rimandi ai corrispondenti elaborati grafici. Codici grafici, come sono: • spessori connotativi delle linee; • simbologie di designazione dei materiali; • simbologie schematiche di oggetti complessi (apparecchiature di impianti idraulici, elettrici ed elettronici, telefonici, ecc); • schematizzazioni di processi (come i grafici di temporalizzazione delle opere); • schematizzazioni di apparati tecnologici (come gli schemi di smaltimento delle acque meteoriche nelle coperture).
ORGANIZZAZIONI NAZIONALI E INTERNAZIONALI DI NORMALIZZAZIONE L’attività normativa viene svolta prevalentemente a livello nazionale, ma da diversi anni si sono costituite organizzazioni che operano nel senso di promuovere l’estensione dei sistemi normativi e di armonizzare le diverse norme nazionali al fine di agevolare gli scambi e la comunicazione a livello europeo e mondiale. Per motivi storici, all’interno dei diversi ambiti territoriali di competenza (nazionale, europeo, mondiale) si sono costituite due catene di Organizzazioni principali: una limitata al settore elettrotecnico ed elettronico, l’altra estesa a regolare tutti gli altri settori. • In ambito nazionale italiano tali organizzazioni sono la CEI per il settore elettrico e l’UNI per gli altri settori; • in ambito europeo vi sono la CENELEC per il settore elettrico e la CEN per gli altri settori; • in ambito mondiale vi sono la IEC per il settore elettrico e l’ISO per gli altri settori.
INTERNATIONAL STANDARD ORGANIZATION (ISO) È una federazione mondiale di organismi di normazione – fondata nel 1926 come International Federation of the National Standardising Association (ISA) e costituita nella sua forma attuale nel 1946, alla quale aderiscono oltre cento Nazioni, presenti ognuna con un rappresentante. Il suo obiettivo è la promozione dello sviluppo della normativa e delle attività connesse in tutti i Paesi aderenti, al fine di facilitare gli scambi internazionali di beni e servizi e di sviluppare la cooperazione intellettuale, scientifica, tecnica ed economica. L’ISO emana Norme Internazionali applicabili su base volontaria in tutti i settori, a eccezione di quello elettrico ed elettronico che resta di competenza dell’IEC (Comitato Elettrotecnico Internazionale). L’ISO ha stabilito rapporti di lavoro con diversi organismi regionali di normazione, gli operatori dei quali sono anche membri dell’ISO; secondo un principio di comportamento generalmente accettato, le Norme ISO vengono assunte come base per la normazione di ambiti ed esigenze particolari delle diverse Regioni. È strutturato in Comitati tecnici, Sottocomitati, Gruppi di lavoro. Il Comitato tecnico che si occupa del settore edile è il Tc 59.
A2
COMITATO EUROPEO DI NORMAZIONE (CEN) È l’organizzazione europea responsabile della pianificazione, della redazione e dell’adozione delle norme europee riferibili a tutti i settori produttivi, eccetto quelle dei settori elettrico, elettronico e delle comunicazioni regolati dal CENELEC (Comitato Europeo di Normazione Elettrotecnico) e dall’ETSI (Istituto Europeo di Normazione delle Telecomunicazioni). Si è costituito nel 1961 e ha sede a Bruxelles. Fanno parte del CEN gli Organismi nazionali di normazione dei Paesi membri della Comunità europea e della European Free Trade Association (EFTA). Le norme CEN sono rivolte a costituire una base tecnica comune e coerente per il Mercato Unico. Accertata la necessità di disporre di norme europee in un determinato ambito produttivo, viene costituito un gruppo di lavoro formato da esperti dei diversi Paesi europei, finanziati volontariamente dall’industria e da altre organizzazioni di ricerca. Il gruppo elabora le normative seguendo procedure che garantiscano il rispetto di alcuni principi, come sono: • apertura e trasparenza: tutte le parti interessate possono partecipare ai lavori; • consenso: le norme sono elaborate sulla base di un accordo volontario fra le parti interessate; • impegno nazionale: l’adozione formale delle norme viene deliberata tramite voto ed è vincolante per i membri nazionali del CEN; • coerenza tecnica a livello europeo e nazionale: le norme europee costituiscono un corpus che si viene compattando a vantaggio degli utilizzatori sia a livello europeo che nazionale, mediante il ritiro obbligatorio delle norme nazionali che via via vengono a trovarsi in contrasto con le nuove disposizioni emanate. Il Comitato Europeo di Normazione (CEN) ha instaurato con l’ISO protocolli procedurali per l’elaborazione di norme che valgano sia come Norme Europee che come Norme Internazionali. Il CEN opera nel settore delle costruzioni mediante un Comitato di programmazione “Building”; mediante Comitati tecnici articolati in quattro gruppi che si occupano di normative sulle prestazioni ambientali, sulle strutture portanti, sulle parti funzionali dell’edificio e sugli impianti; infine, mediante Comitati di certificazione. Il CEN emana Norme europee (EN) (da trasporre senza modifiche negli ordinamenti nazionali), Documenti di Armonizzazione (HD) (trasponibili con alcune modifiche che non ne alterino i contenuti essenziali), Norme sperimentali (ENV) (applicabili provvisoriamente, in genere per due anni, nei settori ad alto tasso di innovazione, consentendo la permanenza di eventuali norme contrastanti).
Non sappiamo chi, in stato di avanzata demenza, abbia inventato la simmetria, una nozione che tuttora ottenebra
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO ORGANISMI NORMATIVI NAZIONALI E INTERNAZIONALI
A.1. 1. A.ZIONI
ENTE NAZIONALE ITALIANO DI UNIFICAZIONE (UNI)
COMITATO ELETTROTECNICO ITALIANO (CEI)
È una associazione, senza fine di lucro, di imprese industriali e commerciali, di associazioni di categoria e di soci individuali, costituita nel 1921, riconosciuta in Italia con RD del 1930 e poi con DPR del 1955, riconosciuta dall’Europa con Direttiva Cee n.83/189 quale organo nazionale per l’emanazione di norme tecniche valide per tutti i settori produttivi e merceologici, a esclusione di quelli elettrotecnici ed elettronici. Opera in stretto contatto con il Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato e ha rapporti di collaborazione con diversi altri Ministeri, tra cui quelli degli Interni, dei Lavori Pubblici, delle Poste e Telecomunicazioni, della Difesa, del Commercio con l’estero, dell’Ambiente. Collabora inoltre con il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), con il CNR (Consiglio Nazionale della Ricerca), con l’ENEA (Ente Nazionale Energia e Ambiente).
È l’organismo che ha il compito di redigere le norme riferite al settore elettronico ed elettrotecnico, per incarico dello Stato italiano e dell’Unione Europea. Sorto nel 1909, ricostituito nel 1946, ottiene riconoscimento giuridico nel 1967.
Alla attività normativa, l’UNI affianca una importante presenza nel campo della “certificazione”: • per l’accreditamento degli Organismi di Certificazione (attraverso il SINCERT); • per l’accreditamento dei laboratori di prova e degli istituti abilitati a rilasciare il marchio di conformità alle norme UNI.
L’attività dell’UNI si esplica in diversi settori, quali: • produzione di norme tecniche; • collaborazione con gli Enti esteri di normazione, come ISO e CEN; • pubblicazione e diffusione delle norme tecniche; • promozione e diffusione della cultura normativa; • promozione e coordinamento di studi e ricerche.
• promuovere la sicurezza, la qualità della vita e la conservazione dell’ambiente, regolamentando prodotti, processi e servizi; • migliorare l’economicità dei sistemi produttivi unificando prodotti, prestazioni, metodi di verifica e controlli; • facilitare la comunicazione tecnica settoriale e intersettoriale unificando terminologia, codici e interfacce; • salvaguardare gli interessi degli utenti, dei consumatori di prodotti e servizi, in generale della collettività.
Per il settore edilizio l’UNI ha ordinato una raccolta di titoli normativi, la “Selezione 10”, articolata nelle seguenti sezioni: a b. c. d.
norme relative al processo edilizio; norme relative alle prestazioni edilizie; norme relative al sistema tecnologico; materiali e semilavorati per elementi tecnici del sistema tecnologico senza specifica destinazione d’uso; e. norme relative alle attrezzature di cantiere; f. norme relative alle infrastrutture.
• elaborazione, redazione e diffusione delle norme tecniche per l’accettazione, il collaudo e la certificazione di materiali, strumenti, apparecchi, macchine e accessori elettrotecnici ed elettronici, e per il collaudo e la protezione degli impianti elettrici; • unificazione nel settore elettrotecnico ed elettronico (unificazione dei prodotti, delle parti componenti, delle prestazioni, dei metodi di verifica e controllo, nonché unificazione della terminologia, dei simboli, dei codici e dei sistemi di interfaccia);
• attività di ricerca e promozione. Il CEI collabora strettamente con l’UNI e, in campo europeo e internazionale, con il Comité Européen de Normalisation Electrotechnique (CENELEC) e con l’International Electrotechnical Commission (IEC), nonché con i corrispondenti dell’UNI – ovvero con CEN e ISO – del Gruppo di Lavoro QDS (Quality, Dependability and Statistics) che persegue l’obiettivo di armonizzare norme e ricerche sui temi fondamentali per la gestione integrata delle attività rivolte al perseguimento della “qualità”.
Algeria (INAPI) Institut Algérien de Normalisation et de Propriété Industrielle 5, rue Abou Hamou Moussa B.P. 403 — Centre de tri ALGER Argentina (IRAM) Instituto Argentino de Racionalización de Materiales Chile 1192 1098 BUENOS AIRES Australia (SAA) Standards Australia 1 The Crescent HOMEBUSH – N.S.W. 2140 Postal address P.O. Box 1055 STRATHFIELD – N.S.W. 2135 Austria (ON) Österreichisches Normungsinstitut Heinestrasse 3 Postfach 130 A – 1021 WIEN Belgium (IBN) Institut Belge de Normalisation Av. de la Brabançonne 29 B – 1040 BRUXELLES
Bosnia and Herzegovina (BASMP) Institute for Standardization Metrology and Patents C/o Permanent Mission of Bosnia and Herzegovina 22 bis, rue Lamartine CH-1203 GENEVE
Colombia (ICONTEC) Instituto Colombiano de Normas Técnicas Carrera 37, No. 52-95 Edificio ICONTEC P.O. Box 14237 SANTAFE’ DE BOGOTÀ
Brazil (ABNT) Associaçao Brasileira de Normas Técnicas Av. 13 de Maio, n° 13, 27° andar Caixa Postal 1680 20003-900 RIO DE JANEIRO-RJ
Croatia (DZNM) State Office for Standardization and Metrology Ulica Grada Vukovara 78 10000 ZAGREB
Bulgaria (BDS) Committee for Standardization and Metrology at the Council of Ministers 21, 6th September Str. 1000 SOFIA Canada (SCC) Standards Council of Canada 45 O’Connor Street, Suite 1200 OTTAWA, Ontario K1P 6N7
Cuba (NC) Oficina Nacional de Normalización Calle E No. 261 entre 11 y 13 VEDADO, LA HABANA 10400 Cyprus (CYS) Cyprus Organization for Standars and Control of Quality Ministry of Commerce, Industry and Tourism NICOSIA 1421
Chile (INN) Instituto Nacional de Normalización Matìas Cousiño 64 – 6° piso Casilla 995 – Correo Central SANTIAGO
Denmark (DS) Dansk Standard Baunegaardsvej 73 DK – 2900 HELLERUP
China (CSBTS) China State Bureau of Technical Supervision 4, Zhichun Road Haidian District P.O. Box 8010 BEIJING 100088
Ecuador (INEN) Instituto Ecuatoriano de Normalización Baquerizo Moreno 454 y Av. 6 de Diciembre Casilla 17-01-3999 QUITO
CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P
ISO – INDIRIZZI DEGLI ORGANISMI CORRISPONDENTI DI ALCUNI STATI MEMBRI
Albania (DSC) Drejtoria e Standardizimit dhe Cilesise Rruga “Mine Peza” TIRANA
B.ATTERISTICLHI EDELLE
E ESE ESSIONAL PROF
I compiti principali del CEI riguardano:
• collaborazione con enti nazionali e internazionali; L’UNI persegue i seguenti obiettivi:
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
Egypt (EOS) Egyptian Organization for Standardization and Quality Control 2 Latin America Street Garden City CAIRO Ethiopia (ESA) Ethiopian Authority for Standardization P.O. Box 2310 ADDIS ABEBA Finland (SFS) Finnish Standards Association P.O. Box 116 FIN – 00241 HELSINKI France (AFNOR) Association Française de Normalisation Tour Europe F – 92049 PARIS LA DÉFENSE CEDEX Ghana (GSB) Ghana Standard Board P.O. Box M 245 ACCRA Germany (DIN) DIN Deutsches Institut für Normung Burggrafenstrasse 6 D – 10787 BERLIN Greece (ELOT) Hellenic Organization for Standardization 313, Acharnon Street GR – 111 45 ATHENS
➥
il cervello di molti architetti. Non vi è traccia di simmetria nei monumenti preistorici (anche se i testi di
IVI RMAT 1. A.1. NISMI NO A G E OR NALI LI NAZIO AZIONA N R E T IN
A3
A.1. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO ORGANISMI NORMATIVI NAZIONALI E INTERNAZIONALI ➦ ORGANIZZAZIONI NAZIONALI E INTERNAZIONALI DI NORMALIZZAZIONE ➦ ISO – INDIRIZZI DEGLI ORGANISMI CORRISPONDENTI DI ALCUNI STATI MEMBRI Hungary (MSZT) Magyar Szabványügui Testület Üllöi ùt 25 H-1450 BUDAPEST 9 Pf. 24. India (BIS) Bureau of Indian Standards Manak Bhavan 9 Bahadur Shah Zafar Marg NEW DELHI 110002 Indonesia (DSN) Dewan Standarsisasi Nasional (Standarization Council of Indonesia) c/o Pusat Standardisasi – LIPI Jalan Jend. Gatot Subroto 10 JAKARTA 12710 Iran, Islamic Republic of (ISIRI) Insitute of Standards and Industrial Research of Iran P.O. Box 31585-163 KARAJ Ireland (NSAI) National Standards Authority of Ireland Glasnevin DUBLIN – 9 Israel (SII) Standards Insitution of Israel 42 Chaim Levaron Street TEL AVIV 69977 Italy (UNI) Ente Nazionale Italiano di Unificazione Via Battistotti Sassi, 11/b I – 20133 MILANO Jamaica (JBS) Jamaica Bureau of Standards 6 Winchester Road P.O. Box 113 KINGSTON 10 Japan (JISC) Japanese Industrial Standards Committee c/o Standards Departement Agency of Industrial Science and Technology – Ministry of International Trade and Industry 1 – 3 – 1, Kasumigaseki, Chiyoda-ku TOKYO 100 Kenya (KEBS) Kenya Bureau of Standards Off Mombasa Road Behind Belle Vue Cinema P.O. Box 54974 NAIROBI Korea, Democratic People’s Republic of (CSK) Committee for Standardization of the Democratic People’s Republic of Korea Zung Gu Yok Seungli-Street PYONGYANG
A4
Korea, Republic of (KIAA) Industrial Advancement Administration (KIAA) 2, Chungang-dong, Kwachon-City KYONGGI-DO 427-010 Libyan Arab Jamahiriya (LNCSM) Libyan National Centre for Standardization and Metrology Industrial Research Centre Bulding P.O. Box 5178 TRIPOLI Malaysia (SIRIM) Standards and Industrial Research Institute of Malaysia Persiaran Dato’ Menteri, Section 2 P.O. Box 7035, 40911 Shah Alam SELANGOR DARUL EHSAN Mexico (DGN) Dirección General de Normas Calle Puente de Tecamachalco N° 6 Lomas de Tecamachalco Sección Fuentes Naucalpan de Juárez 53 950 MEXICO Morocco (SNIMA) Service de Normalization Industrielle Marocaine Ministère du commerce, de l’industrie et de l’artisanat Quartier Administratif RABAT CHELLAH Netherlands (NNI) Nederlands Normalisatie – Instituut Kalfjeslaan 2 P.O. Box 5059 NL – 2600 GB DELFT New Zealand (SNZ) Standards New Zealand Standards House 155 The Terrace WELLINGTON 6001 Nigeria (SON) Standards Organisation of Nigeria Federal Secretariat Phase 1, 9th Floor lkoyi LAGOS Norway (NSF) Norges Standardiseringsforbund Drammensveien 145 Postboks 353 Skøyen N – 0212 OSLO Pakistan (PSI) Pakistan Standards Institution 39 Garden Road, Saddar KARACHI-74400 Panama (COPANIT) Comisión Panameña de Normas Industriales y Técnicas
Ministerio de Comercio e Industrias Apartado Postal 9658 PANAMA, Zona 4 Philippines (BPS) Bureau of Product Standards Department of Trade and Industry 361 Sen. Gil J. Puyat Avenue Makati METRO MANILA 1200 Poland (PKN) Polish Committee for Standardization ul. Elektoralna 2 P.O. Box 411 00-950 WARSZAWA Portugal (IPQ) Instituto Português da Qualidade Rua C à Avenida dos Três Vales P – 2825 MONTE DE CAPARICA Romania (IRS) Institutul Român de Standardizare Str. Jean-Louis Calderon Nr. 13 Cod 70201 BUCURESTI 2 Russian Federation (GOST R) Committee of the Russian Federation for Standardization Metrology and Certification Leninsky Prospekt 9 MOSKVA 117049 Saudi Arabia (SASO) Saudi Arabian Standards Organization Imam Saud Bin Abdul Aziz Bin Mohammed Road (West End) P.O. Box 3437 RIYADH 11471 Singapore (SISIR) Singapore Institute of Standards and Industrial Research 1 Science Park Drive SINGAPORE 118221 Slovakia (UNMS) Slovak Office of Standards, Metrology and Testing Stefanovicova 3 814 39 BRATISLAVA Slovenia (SMIS) Standards and Metrology Institute Ministry of Science and Technology Kotnikova 6 SI-1000 LJUBLJANA South Africa (SABS) South African Bureau of Standards 1 Dr Lategan rd, Groenkloof Private Bag x191 PRETORIA 0001 Spain (AENOR) Asociación Española de Normalización y Certificación Fernández de la Hoz, 52 E – 28010 MADRID
Sweden (SIS) Standardiseringen i Sverige St Eriksgatan 115 Box 6455 S – 113 STOCKHOLM Switzerland (SNV) Swiss Association for Standardization Mühlebachstrasse 54 CH – 8008 ZURICH Syrian Arab Republic (SASMO) Syrian Arab Organization for Standardization and Metrology P.O. Box 11836 DAMASCUS Thailand (TISI) Thai Industrial Standards Institute Ministry of Industry Rama VI Street BANGKOK 10400 Tunisia (INNORPI) Institut National de la Normalisation et de la Propriété Industrielle B. P. 23 1012 TUNIS-BELVEDERE Turkey (TSE) Türk Standardlari Enstitüsü Necatibey Cad. 112 Bakanliklar 06100 ANKARA Ukraine (DSTU) State Committee of Ukraine for Standardization Metrology and Certification 174 Gorky Street GSP, KIEV-6, 252650 United Kingdom (BSI) British Standards Institution 389 Chiswick High Road GB – LONDON W4 4AL Uruguay (UNIT) Instituto Uruguayo de Normas Técnicas San José 1031 P. 7 Galerìa Elysée MONTEVIDEO USA (ANSI) American National Standards Institute 11 West 42nd Street 13th floor NEW YORK, N. Y. 10036 Venezuela (COVENIN) Comisiòn Venezolana de Normas Industriales Avda Andrés Bello Edf. Torre Fondo Comùn Piso 12 CARACAS 1050
archeologia spesso li simmetrizzano) nelle civiltà del mondo antico, e neppure in grecia, dove è persino arduo
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE
•
RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO FORMATO UNI DEI DISEGNI
A.ZIONI
FORMATI DEI FOGLI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. A.1.2./1 FORMATI UNI DEI FOGLI
FORMATI PRINCIPALI – BASE
B.ATTERISTICLHI EDELLE
A0
Le norme UNI 936 e 938 regolano il formato dei disegni, specificando: i margini, la squadratura, la piegatura, la posizione e dimensione del riquadro delle iscrizioni, i riferimenti di origine e centratura, il sistema di coordinate, i riferimenti di orientamento, la scala di riferimento. Per tutti i formati UNI dei fogli vale il rapporto costante:
595
CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
595
C.RCIZIO
I formati UNI principali, corredati delle sigle di identificazione e relative misure, sono riportati nella Fig. A.1.2./1 che evidenzia il criterio adottato nell’articolazione della serie da A0 a A4.
420.
a : b = √2 = 1,413.
A2
D.GETTAZIONE
A1
E.NTROLLO
297
CO NTALE AMBIE
210.
Le tolleranze ammesse per le dimensioni dei due lati dei formati UNI sono le seguenti: • per dimensioni da 210 mm fino a 600 mm è ammessa una tolleranza contenuta entro ± 2 mm; • per dimensioni superiori a 600 mm è ammessa una tolleranza contenuta entro ± 3 mm.
A4 421.
A3
FORMATI “SPECIALI” E “ECCEZIONALI” Le tabelle che seguono riportano alcuni formati “speciali allungati” e “eccezionali allungati” adottati in caso di disegni di notevoli dimensioni o, più frequentemente, nel caso che più disegni debbano essere raccolti in un unico foglio-documento per disposizioni di norma o di regolamento impartite dalle amministrazioni che, a qualche titolo, esercitano verifiche o controlli. Tali formati “speciali” e “eccezionali” si ottengono moltiplicando uno dei due lati del formato-base richiamato nella sigla per multipli interi dell’altro lato, come specificato in parentesi.
TAB. A.1.2./1 FORMATI PRINCIPALI BASE
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU 841.
TOLLERANZE NEI FORMATI
A.1. 2.
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB 297 1189
Individuazione dei formati UNI principali e dei reciproci rapporti dimensionali: ogni formato si ottiene dividendo a metà il lato maggiore del formato immediatamente superiore. TAB. A.1.2./2 FORMATI SPECIALI ALLUNGATI
A0
841 x 1.189
A3 x 3
420 x 891 (3 x 297)
A1
594 x 841
A2
420 x 594
A3
297 x 420
A4
210 x 297
A3 A4 A4 A4
420 x 1.189 (4 x 297) 297 x 630 (3 x 210) 97 x 841 (4 x 210) 29 x 1.051 (5 x 210)
x x x x
4 3 4 5
TAB. A.1.2./3 FORMATI ECCEZIONALI ALLUNGATI A0 A0 A1 A1 A2 A2 A2 A4 A4
x x x x x x x x x
2 3 3 4 3 4 5 7 8
1.189 x 1.682 (2 x 841) 1.189 x 2.523 (3 x 841) 841 x 1.783 (3 x 594) 841 x 2.378 (4 x 594) 594 x 1.261 (3 x 420) 594 x 1.682 (4 x 420) 594 x 2.102 (5 x 420) 297 x 1.471 (7 x 210) 297 x 1.682 (8 x 210)
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
SQUADRATURA, PIEGATURA, RIQUADRO DELLE ISCRIZIONI FIG. A.1.2./2 SQUADRATURA DEI FOGLI BORDO DEL FOGLIO
In ogni foglio, il “campo dei disegni” deve essere delimitato rispetto ai “margini” mediante linee di “squadratura” di grossezza non inferiore a 0,5 mm. La squadratura deve essere tracciata in modo da lasciare lungo i quattro lati del foglio un margine pari a 20 mm per i formati A0 e A1, che si riduce a 10 mm per i formati A2, A3 e A4.
20.
SQUADRATURA DEI FOGLI
MARGINE NEI FORMATI A0, A1
Per il solo margine verticale sinistro dei formati minori è ammesso un incremento di tale limite fino alla larghezza di 20 mm, in considerazione dell’esigenza di contenere dispositivi di legatura dei fogli nel caso debbano essere raccolti in fascicoli.
SCALA MET. GRADUATA
10.
SQUADRATURA
SCALA GRAFICA DI RIFERIMENTO
CAMPO DI ESECUZIONE DEL DISEGNO
Nel caso di disegni molto estesi, in considerazione del fatto che il supporto cartaceo delle riproduzioni è passibile di deformazioni (soprattutto dilatazioni), che possono verificarsi con diversa incidenza nelle due direzioni del foglio e da zona a zona, è consigliabile disporre una scala grafica graduata continua, disposta all’ interno dei lati di squadratura.
10.
Le norme UNI prescrivono che i disegni siano corredati da una scala grafica graduata di riferimento, di lunghezza pari almeno a 10 cm, divisa in intervalli non superiori a 1 cm.
15
MARGINE NEI FORMATI A2, A3, A4
All’interno della squadratura è opportuno tracciare la scala metrica graduata di riferimento.
trovare linee parallele. La cultura medievale è interamente asimmetrica. Dunque la simmetria è un dogma
IVI RMAT 1. A.1. NISMI NO A ORG NALI E I L NAZIO AZIONA N INTER 2. A.1. ATO UNI FORM EGNI IS DEI D
A5
A.1. 2.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE FORMATO UNI DEI DISEGNI
•
RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO
➦ SQUADRATURA, PIEGATURA, RIQUADRO DELLE ISCRIZIONI PIEGATURA DEI FOGLI La norma UNI n. 938, al fine di consentire sistemi agevoli e unificati di archiviazione e trasmissione degli elaborati,stabilisce che le copie – riprodotte con qualsiasi tecnica corrente – vengano piegate in modo da essere riportate al formato UNI A4 (210 x 297 mm). Si usa indicare il passo di piegatura dei fogli mediante linee sottili tracciate ortogonalmente alle linee di squadratura, in corrispondenza dei vertici di piegatura del foglio. A fianco si riporta il tracciato di piegatura più frequentemente adottato, come da norma UNI 938; inoltre sono illustrati altri schemi di piegatura che possono essere adottati per formati molto grandi.
FIG. A.1.2./4 SCHEMA DI PIEGATURA DEI FOGLI – FORMATO A0 ORIZZONTALE E VERTICALE
841 210
131
185
185
298
FIG. A.1.2./3 SCHEMA DI PIEGATURA DEI FOGLI – FORMATO A1 ORIZZONTALE E VERTICALE
130
841 210
210
210
297
297
297
594
1189
297
297
211
SCHEMA DI PIEGATURA DEI FOGLI (UNI 938) NELL' ESEMPIO: FORMATO A1 ORIZZONTALE (IN ALTO) FORMATO A1 VERTICALE (IN BASSO)
1189 594 139
210
210
210
210
247 297
841
297
841
297
A6
210
192
297
192
247
210
accademico applicato al passato falsificando la realtà. I Propilei dell’acropoli ateniese sono asimmetrici ad un
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE
•
RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO FORMATO UNI DEI DISEGNI
A.1. 2./3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
POSIZIONE DEL RIQUADRO DELLE ISCRIZIONI
B.ATTERISTICLHI EDELLE
FIG. A.1.2./5 SCHEMA DI CARTIGLIO
CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
9
TITOLARE DELLO STUDIO
17
C.RCIZIO
DATA
DESIGNAZIONE DELL' OPERA
E ESE ESSIONAL PROF
AGGIORNAMENTO
D.GETTAZIONE 20
OGGETTO DEL DISEGNO
DISEGNATORE
9
Il riquadro delle iscrizioni (detto “cartiglio” o “intestazione”) deve essere collocato presso l’angolo inferiore destro della squadratura del foglio: a piegatura avvenuta, risulterà nella parte bassa della faccia in vista. La norma UNI 8187 fissa dimensioni e criteri dei “cartigli” nel caso di disegni meccanici; sussiste tuttavia larga concordanza nel ritenere che tali criteri non possano essere estesi al caso degli elaborati architettonici che richiedono un numero maggiore di informazioni e di riferimenti. L’esempio riportato illustra dimensioni e iscrizioni di un tipo di “cartiglio” per disegni architettonici richiamato in diversi manuali. Spesso, in Italia , vengono adottati riquadri delle iscrizioni che occupano l’intero frontespizio del foglio piegato, vale a dire un intero formato A4 (210 x 297 mm);
ARCH. TITOLARE
PRO TTURALE STRU
N. DEL DISEGNO
ARCH. COLLAB.
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
RIFERIMENTI
F. TERIALI,
149
Questo schema di cartiglio è utilizzato per i disegni di cantiere e in tutti i casi nei quali non siano prescritte ulteriori specificazioni come: dati fiscali, designazione del committente, spazi per vidimazioni
questo formato si rende necessario per ottemperare a diverse prescrizioni normative e regolamentari – fiscali, amministrative, ecc. – che impongono anche la esplicitazione degli estremi di identificazione del
“committente” (privato o pubblico che sia), i codici fiscali e l’indirizzo del titolare del progetto, le date, gli estremi, i timbri e le firme di vidimazione degli uffici tecnico-amministrativi preposti.
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
FORMATO DEI FOGLI E SQUADRATURA I.S.O. La International Standard Organization (I.S.O.) definisce i formati “A” in modo identico ai formati UNI, trattati in precedenza, ma specifica in modo più rigido le dimensioni dei margini e della corrispondente squadratura, con qualche differenza per quanto riguarda il margine sinistro del foglio che è dato di dimensioni maggiori per tutti i formati, in vista della esigenza di rilegature e fascicolazioni o di applicazione di fasce forate per l’archiviazione dei disegni, come si vede nella Tab. A.1.2./4.
TAB. A.1.2./4 DIMENSIONI I.S.O. DEL FOGLIO DI DISEGNO IN MILLIMETRI FORMATO
MISURE DEL FOGLIO
MARGINI INF. - SUP.
MARGINE DA RILEGARE
MARGINE DESTRO
MISURE NETTE DEL DISEGNO
A0
1.189 x 841
20
40
16
1.133 x 801
A1
841 x 594
14
28
12
801 x 566
A2
594 x 420
10
20
8
566 x 400
A3
420 x 297
7
20
6
184 x 283
A4
210 x 297
7
20
6
184 x 283
B1
1.000 x 707
14
28
12
960 x 679
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
SISTEMI DI MISURAZIONE, SCALE GRAFICHE DI RAPPRESENTAZIONE SISTEMA METRICO DECIMALE Il “Sistema Metrico Decimale”, nella sua prima sistematizzazione organica, compare in Francia all’epoca della rivoluzione francese, tra altri importanti portati dell’episteme illuminista, per poi diffondersi gradualmente in tutta Europa e nei domini coloniali francesi e spagnoli. Nel 1875 gli Stati Uniti d’America si uniscono ad altri sedici paesi nel sottoscrivere il Treaty of the Meter. Nel 1960 i lavori della General Conference of Weights and Measures mettono a punto una revisione del sistema metrico che assume il nome di Système International d’Unités (S.I.). Questo stesso sistema metrico S.I., infine, viene assunto come riferimento negli Stati Uniti – con il U.S. Metric Act del 1975 – dove, con The Metric Conversion Act si avvia un complesso processo di conversione “volontaria” dal sistema Customary al Metrico Decimale. Il Sistema metrico S.I. si applica a tutti i sistemi di misurazione correlati. In questo capitolo se ne esaminano le applicazioni per quanto attiene al sistema delle costruzioni edili. Occorre precisare che negli U.S.A. – e anche nei paesi europei, in misura minore – permangono ancora settori produttivi e corrispondenti settori di progettazione, all’interno dei quali si continua a utilizzare diffusamente il sistema di misurazione Customary di ambito originario anglosassone. Tali sono, per quanto concerne l’edilizia: il settore delle strutture in acciaio, delle barre metalliche, dei tubi e delle condutture idrauliche, e altri. Per questo motivo sono state allegate tabelle dei fattori di conversione tra le principali unità di misura vigenti nel sistema Metrico S.I. e nel sistema Customary. TAB. A.1.3./1 UNITÀ DI MISURA S.I. (Système International d’Unité) QUANTITÀ FISICHE
UNITÀ
SIMBOLI
Lunghezza
metro
m
Massa
chilogrammo
k
Tempo
secondo
s
Corrente elettrica
Ampere
A
Temperatura (termodinamica)
Kelvin
K
Intensità luminosa
candela
cd
TAB. A.1.3./3 MULTIPLI DI UNITÀ S.I. CON NOMI SPECIALI QUANTITÀ FISICHE TAB. A.1.3./2 UNITÀ SUPPLEMENTARI S.I. QUANTITÀ FISICHE
UNITÀ
SIMBOLI
Angolo piano
radiante
rad
Angolo solido
steroradiante
sr
UNITÀ
SIMBOLI
Volume
litro
10-3 mc
Massa
megagrammo
103 kg
ettaro
104 m2
millibar
2
Area Pressione
10 Pa
grado squillante, ma l’accademia grottescamente li “corregge”; l’Erechteion, a fianco del Partenone, è quanto di
2. A.1. ATO UNI FORM EGNI IS DEI D NE, 3. RAZIO A.1. I DI MISU DI E M E SIST GRAFICH NE SCALE ESENTAZIO R RAPP
A7
A.1. 3.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SISTEMI DI MISURAZIONE, SCALE GRAFICHE DI RAPPRESENTAZIONE ➦ SISTEMA METRICO DECIMALE TAB. A.1.3./4 UNITÀ DERIVATE
TAB. A.1.3./5 UNITÀ DERIVATE CON NOMI SPECIFICI
QUANTITÀ FISICHE
UNITÀ
Area
metroquadro
SIMBOLI m2
Volume
metrocubo
m3
Densità
chilogrammo al metrocubo
Velocità
metro al secondo
Velocità angolare
radiante al secondo
rad/s
Accelerazione
metro al secondo quadrato
m/s2
kg/m3 m/s
UNITÀ
Frequenza
Hertz
SIMBOLI Hz
DERIVAZIONE s-1
Forza
Newton
N
kg. m/s2
Pressione
Pascal
Pa
N/m2
Lavoro, energia
Joule
J
N. m
Potenza
Watt
W
J/s
Carico elettrico
Coulomb
C
A. s
Potenziale elettrico
Volt
V
W/A
Resistenza elettrica
Ohm
O
V/A
Conduttività elettrica
Siemens
S
Ω-1
Wb
V. s
Accelerazione angolare
radiante al secondoquadrato
Volume di flusso
metrocubo al secondo
m2/s
Flusso magnetico
Weber
Momento d’inerzia
chilogrammi al metroquadro
kg/m2
Densità di flusso magnetico
Tesla
T
Wb/m2
Induttanza
Henry
H
Wb/A
Temperatura (Celsius)
Grado Celsius
°C
K
Flusso luminoso
Lumen
lm
cd. sr
Illuminazione (illuminamento)
Lux
lx
lm/m2
Momento di una forza
rad/s2
QUANTITÀ FISICHE
Newton per metro
N. m
Conduttività termica
Watt al metro per Kelvin
W/m. K
Luminosità
candela al metroquadro
cd/m2
FATTORI DI CONVERSIONE TRA SISTEMA METRICO E SISTEMA CUSTOMARY Le tabelle allegate al presente paragrafo sono tratte da Manuali editi negli USA. Tra le unità di misura comparate e convertite non compare quasi mai il “centimetro”: questo perché nella prassi corrente negli USA il centimetro non è considerato una unità di misura opportuna in ambito di costruzioni edilizie. Si preferisce l’uso del millimetro, per poi passare al metro per le elaborazioni di grande scala. Occorre osservare che in Italia, al contrario, il centimetro costituisce unità di misura di riferimento essenziale per la maggior parte degli elaborati tecnici, di massima, esecutivi, e “di cantiere”; fanno eccezione gli elaborati che si riferiscono ai dettagli delle opere in metallo e ai particolari dei sistemi impiantistici che vengono comunemente quotati in millimetri o, ancora, in unità del sistema Customary (piedi, pollici ecc.).
ARROTONDAMENTI NELLE OPERAZIONI DI CONVERSIONE Quando si procede alla conversione da un sistema di misura a un altro, i valori che si ottengono dalla semplice applicazione dei fattori di conversione (indicati nelle tabelle allegate) può dare luogo a risultati imprecisi a motivo della diversa incidenza delle “tolleranze” considerate; ad esempio, una tolleranza o approssimazione pari a ± 0,5 m non ha la stessa incidenza di una tolleranza o approssimazione contenuta in ± 0,5 piedi. In questi casi si procede per “arrotondamenti del risultato di conversione: l’esempio precedente si dovrà considerare una approssimazione o tolleranza vicina a ± 0,3 m. Altri scostamenti dal valore esatto di conversione possono aversi in ragione del nume-
ro dei posti decimali che si assumono nei rapporti di conversione. Tale scelta compete di volta in volta al progettista, in ragione della scala grafica del disegno, dei materiali e delle lavorazioni in esame, ecc. Per quanto concerne le tabelle allegate, i fattori di conversione sono stati assunti con un consistente numero di posti decimali, in modo da coprire una larga banda di utilizzazione. Seguono, nell’ordine, le tabelle relative ai “fattori di conversione” tra le unità di misura principali del sistema Customary e quelle del sistema metrico S.I. e, di seguito, le tabelle di conversione analitica diretta dalle serie di valori in unità Customary ai corrispondenti valori metrici S.I.
TAB. A.1.3./6 FATTORI DI CONVERSIONE DELLE LUNGHEZZE
TAB. A.1.3./9 FATTORI DI CONVERSIONE DELLE TEMPERATURE
DA CUSTOMARY A S.I. METRICO
DA S.I. METRICO A CUSTOMARY
CUSTOMARY
S.I. METRICO
S.I. METRICO
1 chain
20,1168 m
1 yard
0,9144 m
1 metro
foot (piede)*
0,3048 m
1 millimetro
CUSTOMARY 0,621371 mile 49,7096 chains 3,28084 feet 1,09361 yards 0,039370 inch
1 mile (miglio)
1,609344 km
1 chilometro
1 inch
25,4 mm
1 micrometro
0,0003937 inch
* 1 U.S. survey foot = 0,3048006 m
DA CUSTOMARY A S.I. METRICO
CUSTOMARY
S.I. METRICO
1°F
0,555556 °C 5/9 °C o 5/9 K
TAB. A.1.3./7 FATTORI DI CONVERSIONE DELLE AREE
CUSTOMARY
S.I. METRICO
DA CUSTOMARY A S.I. METRICO
1 ton (short)
0,907185 ton. metriche 907,185 kg
1 lb (libbra)
0,453592 kg 28,34959 g 1,55517 g
CUSTOMARY 1 mile2 (miglio)
S.I. METRICO
1 yd2
2,59000 km2 0,404687 ha 4046,87 m2 0,836127 m2
1 ft
2
0,092903 m2
1 in2
645,16 mm2
1 acre
S.I. METRICO
CUSTOMARY
1 km2
0,386101 mile2
CUSTOMARY 1°C
S.I. METRICO 1K 1/8°F
TAB. A.1.3./10 FATTORI DI CONVERSIONE DELLE UNITÀ DI MISURA DI MASSA DA CUSTOMARY A S.I. METRICO
DA S.I. METRICO A CUSTOMARY
DA S.I. METRICO A CUSTOMARY
1 ha
2,47104 acre
1 oz (oncia)
10,7639 ft2 1,19599 yd2
1 pennyweight
1 m2 1 mm2
0,001550 in2
DA S.I. METRICO A CUSTOMARY
S.I. METRICO 1 kg 1 ton 1g
CUSTOMARY 2,20462 lb (libbre) 35,274002 oz (once) 2204,62 lb 0,035274 oz (once) 0,643015 penny weight
TAB. A.1.3./11 FATTORI DI CONVERSIONE DELLE MISURE DI CAPACITÀ TAB. A.1.3./8 FATTORI DI CONVERSIONE DEI VOLUMI DA CUSTOMARY A S.I. METRICO
CUSTOMARY 1 acre ft
A8
S.I. METRICO
DA S.I. METRICO A CUSTOMARY
S.I. METRICO
1233,49 m3
1 yd3
0,764555 m3
1 ft3
28316,8 cm3
1 in3
16,3871 cm3
DA CUSTOMARY A S.I. METRICO
1 m3 1 mm3
CUSTOMARY 0,810709 x 103 acre ft 1,30795 yd 3 35,3147 ft 3 423,776 board ft 61,0237 x 10-6 in 3
CUSTOMARY
S.I. METRICO
1 gal (U.S. liquidi)*
3,78541 l
1 qt (U.S. liquidi)
946,353 ml
1 pt (U.S. liquidi)
473,177 ml
1 floz (U.S.)
29,5735 ml
DA S.I. METRICO A CUSTOMARY
S.I. METRICO 1L
1 mL
CUSTOMARY 0,0353147 ft3 0,264172 gal. U.S. 1,05669 qt U.S. 0,061023 in3
* 1 gal U.K. = ~ 1,2 gal U.S. (galloni)
più dissonante esista nella storia, ed infatti se ne tiene scarso conto per non disturbare la narcosi della cosiddetta
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SISTEMI DI MISURAZIONE, SCALE GRAFICHE DI RAPPRESENTAZIONE
A.1. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. A.1.3./1 SCALA GRAFICA DUALE DI CONVERSIONE TRA METRI E FEET
B.ATTERISTICLHI EDELLE 0
5
0
5
10
10
15
20
25
30
15
35
40
45
CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
20 METRI
50
55
60
C.RCIZIO
65 FEET
E ESE ESSIONAL PROF
FIG. A.1.3./2 SCALA GRAFICA DUALE DI CONVERSIONE DELLE TEMPERATURE PUNTO CRITICO DI CONGELAMENTO DELL'ACQUA °C -40
-30
°F -40
-20
-20
-10
0
0
20
10
40
20
60
D.GETTAZIONE
PUNTO CRITICO DI EBOLLIZIONE DELL'ACQUA 30
80
40
100
50
60
70
120
140
160
80
90
180
100
200
110
220
PRO TTURALE STRU
120
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
240
212° F
32° F
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
TAB. A.1.3./12 CONVERSIONE DI MISURE DI LUNGHEZZA – DA INCH (POLLICI) E FRAZIONI A MILLIMETRI 0
INCHES
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
MILLIMETRI
0
0,00
25,40
50,80
76,20
101,60
127,00
152,40
177,80
203,20
228,60
254,00
279,40
1/16
1,59
26,99
52,39
77,79
103,19
128,59
153,99
179,39
204,79
230,19
255,59
280,99
1/8
3,18
28,58
53,98
79,38
104,78
130,18
155,58
180,98
206,38
231,78
257,18
282,58
3/16
4,76
30,16
55,56
80,96
106,36
131,76
157,16
182,56
207,96
233,36
258,76
284,16
1/4
6,35
31,75
57,15
82,55
107,95
133,35
158,75
184,15
209,55
234,95
260,35
285,75
5/16
7,94
33,34
58,74
84,14
109,54
134,94
160,34
185,74
211,14
236,54
261,94
287,34
3/8
9,53
34,93
60,33
85,73
111,13
136,53
161,93
187,33
212,73
238,13
263,53
288,93
7/16
11,11
36,51
61,91
87,31
112,71
138,11
163,51
188,91
214,31
239,71
265,11
290,51
1/2
12,70
38,10
63,50
88,90
114,30
139,70
165,10
190,50
215,90
241,30
266,70
292,10
9/16
14,29
39,69
65,09
90,49
115,89
141,29
166,69
192,09
217,49
242,89
268,29
293,69
5/8
15,88
41,28
66,68
92,08
117,48
142,88
168,28
193,68
219,08
244,48
269,88
295,28
11/16
17,46
42,86
68,26
93,66
119,06
144,46
169,86
195,26
220,66
246,06
271,46
296,86
3/4
19,05
44,45
69,85
95,25
120,65
146,05
171,45
196,85
222,25
247,65
273,05
298,45
13/16
20,64
46,04
71,44
96,84
122,24
147,64
173,04
198,44
223,84
249,24
274,64
300,04
7/8
22,23
47,63
73,03
98,43
123,83
149,23
174,63
200,03
225,43
250,83
276,23
301,63
15/16
23,81
49,21
74,61
100,01
125,41
150,81
176,21
201,61
227,01
252,41
277,81
303,21
0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 110 120 130 140 150 160 170 180 190 200
0
1
2
3
0,00 3,048 6,096 9,144 12,192 15,240 18,289 21,336 24,384 27,432 30,480 33,528 36,576 39,624 42,672 45,720 48,768 51,816 54,864 57,912 60,960
0,305 3,353 6,401 9,449 12,497 15,545 18,593 21,641 24,689 27,737 30,785 33,833 36,881 39,929 42,977 46,025 49,073 52,121 55,169 58,217
0,610 3,658 6,706 9,754 12,802 15,850 18,898 21,946 24,994 28,042 31,090 34,138 37,186 40,234 43,282 46,330 49,378 52,426 55,474 58,522
0,914 3,962 7,010 10,058 13,106 16,154 19,202 22,250 25,298 28,346 31,394 34,442 37,490 40,538 43,586 46,634 49,682 52,730 55,778 58,826
4 5 METRI 1,219 1,524 4,267 4,572 7,315 7,620 10,363 10,668 13,411 13,716 16,459 16,764 19,507 19,812 22,555 22,860 25,603 25,908 28,651 28,956 31,699 32,004 34,747 35,052 37,795 38,100 40,843 41,148 43,891 44,196 46,939 47,244 49,987 50,292 53,035 53,340 56,083 56,388 59,131 59,436
URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
TAB. A.1.3./14 CONVERSIONE DI MISURE DI LUNGHEZZA DA MILES (MIGLIA) A CHILOMETRI
TAB. A.1.3./13 CONVERSIONE DI MISURE DI LUNGHEZZA DA FEET (PIEDI) A METRI FEET
G.ANISTICA
6
7
8
9
1,829 4,877 7,925 10,973 14,021 17,069 20,117 23,165 26,213 29,261 32,309 35,357 38,405 41,453 44,501 47,549 50,597 53,645 56,693 59,741
2,134 5,182 8,230 11,278 14,326 17,374 20,422 23,470 26,518 29,566 32,614 35,662 38,710 41,758 44,806 47,854 50,902 53,950 56,998 60,046
2,438 5,486 8,534 11,582 14,630 17,678 20,726 23,774 26,822 29,870 32,918 35,966 39,014 42,062 45,110 48,158 51,206 54,254 57,302 60,350
2,743 5,791 8,839 11,887 14,935 17,983 21,031 24,079 27,127 30,175 33,223 36,271 39,319 42,367 45,415 48,463 51,511 54,559 57,607 60,655
0
1
2
3
0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 110 120 130 140 150 160 170 180 190
0,00 16,093 32,187 48,280 64,374 80,467 96,561 112,654 128,478 144,841 160,934 177,028 193,121 209,215 225,308 241,402 257,495 273,588 289,682 305,775
1,609 17,703 33,796 49,890 65,983 82,077 98,170 114,263 130,357 146,450 162,544 178,637 194,731 210,824 226,918 243,011 259,104 275,198 291,291 307,385
3,219 19,312 35,406 51,499 67,592 83,686 99,779 115,873 131,966 148,060 164,153 180,247 196,340 212,433 228,527 244,620 260,714 276,807 292,901 308,994
4,828 20,921 37,015 53,108 69,202 85,295 101,389 117,482 133,576 149,669 165,762 181,856 197,949 214,043 230,136 246,230 262,323 278,417 294,510 310,603
200
321,869
MILES
4 5 CHILOMETRI 6,437 8,047 22,531 24,140 38,624 40,234 54,718 56,327 70,811 72,420 86,905 88,514 102,998 104,607 119,091 120,701 135,185 136,794 151,278 152,888 167,372 168,981 183,465 185,075 199,559 201,168 215,652 217,261 231,746 233,355 247,839 249,448 263,932 265,542 280,026 281,635 296,119 297,729 312,213 313,822
6
7
8
9
9,656 25,750 41,843 57,936 74,030 90,123 106,217 122,310 138,404 154,497 170,590 186,684 202,777 218,871 234,964 251,058 267,151 283,245 299,338 315,431
11,265 27,359 43,452 59,546 75,639 91,733 107,826 123,919 140,013 156,106 172,200 188,293 204,387 220,480 236,574 252,667 268,760 284,854 300,947 317,041
12,875 28,968 45,062 61,155 77,249 93,342 109,435 125,529 141,622 157,716 173,809 189,903 205,996 222,089 238,183 254,276 270,370 286,463 302,557 318,650
14,484 30,578 46,671 62,764 78,858 94,951 111,045 127,138 143,232 159,325 175,418 191,512 207,605 223,699 239,792 255,866 271,979 288,073 304,166 320,259
➥
classicità. Un edificio simmetrico è chiuso in sé, “finito”, pago della propria autonomia figurale; non dialoga con
NE, 3. RAZIO A.1. I DI MISU DI E M E H SIST GRAFIC NE SCALE ESENTAZIO R RAPP
A9
A.1. 3.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SISTEMI DI MISURAZIONE, SCALE GRAFICHE DI RAPPRESENTAZIONE ➦ FATTORI DI CONVERSIONE TRA SISTEMA METRICO E SISTEMA CUSTOMARY TAB. A.1.3./15 CONVERSIONE DI MISURE DI AREA DA SQUARE INCHES (POLLICI2) A mm2 1
2
3
4
5
TAB. A.1.3./16 CONVERSIONE DI MISURE DI AREA DA SQUARE FEET (PIEDI QUADRATI) A mm2
SQUARE INCHES
0
6
7
8
9
0
0,00
0,645
1,290
1,935
2,581
3,226
3,781
10
6,452
7,097
7,742
8,387
9,032
9,677
10,323 10,968 11,613 12,258
20
12,903 13,548 14,194 14,839 15,484 16,129 16,774 17,419 18,064 18,710
30
19,356 20,000 20,645 21,290 21,935 22,581 23,226 23,871 24,516 25,161
40
25,806 26,452 27,097 27,742 28,387 29,032 29,677 30,323 30,968 31,613
50
32,258 32,093 33,548 34,193 34,839 35,484 36,129 36,774 37,419 38,064
60
38,710 39,355 40,000 40,645 41,290 41,935 42,581 43,226 43,871 44,516
70
45,161 45,806 46,452 47,097 47,742 48,387 49,032 49,677 50,322 50,968
80
51,613 52,258 52,903 53,548 54,193 54,839 55,484 56,129 56,774 57,419
90
58,064 58,710 59,355 60,000 60,645 61,290 61,935 62,581 63,226 63,871
100
64,516 65,161 65,806 66,451 67,097 67,742 68,387 69,032 69,677 70,322
MILLIMETRI QUADRATI (mmq) 4,516
5,161
5,806
SQUARE INCHES
0
0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000
0,00 9,29 18,58 27,87 37,16 46,45 55,74 65,03 74,32 83,61 92,90
0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 110 120 130 140 150 160 170 180 190 200
TAB. A.1.3./17 CONVERSIONE DI MISURE DI AREA DA ACRES (acri) A ETTARI 0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
ETTARI (ha)
0
0,00
4,05
8,09
12,14
16,19
20,23
24,28
28,33
32,37
36,42
100
40,47
44,52
48,56
52,61
56,66
60,70
64,75
68,80
72,84
76,89
200
80,94
84,98
89,03
93,08
97,12
101,17 105,22 109,27 113,31 117,36
300
121,41 125,45 129,50 133,55 137,59 141,64 145,69 149,73 153,78 157,83
400
161,87 165,92 169,97 174,01 178,06 182,11 186,16 190,20 194,25 198,30
500
202,34 206,39 210,44 214,48 218,53 222,58 226,62 230,67 234,72 238,76
600
242,81 246,86 250,91 254,95 259,00 263,05 267,09 271,14 275,19 279,23
700
183,28 287,33 291,37 295,42 299,47 303,51 307,56 311,91 315,65 319,70
800
323,75 327,80 331,84 335,89 339,94 343,98 348,03 352,08 356,12 360,17
900
364,22 368,26 372,31 376,36 380,40 384,45 388,50 392,55 396,59 400,64
1000
404,69
2
3
4
5
6
7
8
9
MILLIMETRI QUADRATI (mmq) 0,93 10,22 19,51 28,80 38,09 47,38 56,67 65,96 75,25 84,54 93,83
1,86 11,15 20,44 29,73 39,02 48,31 57,60 66,89 76,18 85,47 94,76
2,79 12,08 21,37 30,66 39,95 49,24 58,53 67,82 77,11 86,40 95,69
3,72 13,01 22,30 31,59 40,88 50,17 59,46 68,75 78,04 87,33 96,62
4,65 13,94 23,23 32,52 41,81 51,10 60,39 69,68 78,97 88,26 97,55
5,57 14,86 24,15 33,45 42,74 52,03 61,32 70,61 79,90 89,19 98,48
6,50 15,79 25,08 34,37 43,66 52,95 62,25 71,54 80,83 90,12 99,41
7,43 8,36 16,72 17,65 26,01 26,94 35,30 36,23 44,59 45,52 53,88 54,81 63,17 64,10 72,46 73,39 81,75 82,68 91,04 91,97 100,34 101,26
TAB. A.1.3./18 CONVERSIONE DI MISURE DI VOLUME DA CUBIC FEET (PIEDI CUBI) A m3 CUBIC FEET
ACRES
1
0
0,283 0,566 0,850 1,133 1,416 1,699 1,982 2,265 2,549 2,832 3,115 3,398 3,681 3,964 4,248 4,531 4,814 5,097 5,380 5,663
1
2
0,028 0,311 0,595 0,878 1,161 1,444 1,727 2,010 2,293 2,577 2,860 3,143 3,426 3,710 3,993 4,276 4,559 4,842 5,125 5,409
0,057 0,340 0,623 0,906 1,189 1,472 1,756 2,034 2,322 2,605 2,888 3,171 3,455 3,738 4,021 4,304 4,587 4,870 5,154 5,437
3
4 5 6 METRI CUBI (mc) 0,085 0,113 0,142 0,170 0,368 0,396 0,425 0,453 0,651 0,680 0,708 0,736 0,934 0,963 0,991 1,019 1,218 1,246 1,274 1,303 1,501 1,529 1,557 1,586 1,874 1,812 1,841 1,869 2,067 2,095 2,124 2,152 2,350 2,379 2,407 2,435 2,633 2,662 2,690 2,718 2,917 2,945 2,973 3,002 3,200 3,228 3,256 3,258 3,483 3,511 3,540 3,568 3,766 3,794 3,823 3,851 4,049 4,078 4,106 4,134 4,332 4,361 4,389 4,417 4,616 4,644 4,672 4,701 4,899 4,927 4,956 4,984 5,182 5,210 5,239 5,267 5,465 5,493 5,522 5,550
7
8
9
0,198 0,481 0,765 1,048 1,331 1,614 1,897 2,180 2,464 2,747 3,030 3,313 3,596 3,879 4,163 4,446 4,729 5,012 5,295 5,578
0,227 0,510 0,793 1,076 1,359 1,642 1,926 2,209 2,492 2,775 3,058 3,341 3,625 3,908 4,191 4,474 4,757 5,040 5,324 5,606
0,256 0,538 0,821 1,104 1,386 1,671 1,954 2,237 2,520 2,803 3,087 3,370 3,663 3,936 4,219 4,502 4,786 5,069 5,352 5,635
TAB. A.1.3./19 CONVERSIONE DI MISURE DI CAPACITÀ – DA U.S. GALLONS (galloni USA) A LITRI U.S. GALLONS 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000
A 10
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
18,93 56,78 94,64 132,49 170,34 208,20 246,05 283,91 321,76 359,61 50 567,8 946,4 1324,9 1703,4 2082,0 2460,5 2839,1 3217,6 3596,1
22,71 60,57 98,42 136,27 174,13 211,98 249,84 287,69 325,55 363,40 60 605,7 984,2 1362,7 1741,3 2119,8 2498,4 2876,9 3255,5 3634,0
26,50 64,35 102,21 140,06 177,91 215,77 253,62 291,48 329,33 367,18 70 643,5 1022,1 1400,6 1779,1 2157,7 2536,2 2914,8 3293,3 3671,8
30,28 68,14 105,99 143,85 181,70 219,55 257,41 295,26 333,12 370,97 80 681,4 1059,9 1438,5 1817,0 2195,5 2574,1 2952,6 3331,2 3709,7
34,07 71,92 109,78 147,63 185,49 223,34 261,19 299,05 336,90 374,76 90 719,2 1097,8 1476,3 1854,9 2233,4 2611,9 2990,5 3369 0 3747,6
LITRI (l) 37,85 75,71 113,56 151,42 189,27 227,12 264,98 302,83 340,69 0 378,5 757,1 1135,6 1514,2 1892,7 2271,2 2649,8 3028,3 3406,9 3785,4
3,79 41,64 79,49 117,35 155,20 193,06 230,91 268,76 306,62 344,47 10 416,4 794,9 1173,5 1552,0 1930,6 2309,1 2687,6 3066,3 3444,7
7,57 45,42 83,28 121,13 158,99 196,84 234,70 272,55 310,40 348,26 20 454,2 832,8 1211,3 1589,9 1968,4 2347,0 2725,5 3104,0 3482,6
11,36 49,21 87,06 124,92 162,77 200,63 238,48 276,34 314,19 352,04 30 492,1 870,6 1249,2 1627,7 2006,3 2384,8 2763,4 3141,9 3520,4
15,14 53,00 90,85 128,70 166,56 204,41 242,27 280,12 317,97 355,83 40 530,0 908,5 1287,0 1665,6 2044,1 2422,7 2801,2 3179,7 3558,3
l’intorno, trascura sia l’invenzione spaziale che la dialettica ambientale, reprime le azioni umane entro scatole
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SISTEMI DI MISURAZIONE, SCALE GRAFICHE DI RAPPRESENTAZIONE
A.1. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. A.1.3./20 CONVERSIONE DI MISURE DI MASSA – DA POUNDS A CHILOGRAMMI 0
POUNDS
1
2
3
4
5
6
7
8
B.ATTERISTICLHI EDELLE
9
CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
CHILOGRAMMI (kg) 0,45
0,91
1,36
1,81
2,27
2,72
3,18
3,63
10
0 4,54
4,99
5,44
5,90
6,35
6,80
7,26
7,71
8,16
4,08 8,62
20
9,07
9,53
9,98
10,43
10,89
11,34
11,79
12,25
12,70
13,15
30
13,61
14,06
14,52
14,97
15,42
15,88
16,33
16,78
17,24
17,69
40
18,14
18,60
19,05
19,50
19,96
20,41
20,87
21,32
21,77
22,23
50
22,68
23,13
23,59
24,04
24,49
24,95
25,40
25,85
26,31
26,76
60
27,22
27,67
28,12
28,58
29,03
29,48
29,94
30,39
30,84
31,30
70
31,75
32,21
32,66
33,11
33,57
34,02
34,47
34,93
35,38
35,83
80
36,29
36,74
37,19
37,65
38,10
38,56
39,01
39,46
39,92
40,37
90
40,82
41,28
41,73
42,18
42,64
43,09
43,54
44,00
44,45
44,91
100
45,36
45,81
46,27
46,72
47,17
47,63
48,08
48,53
48,99
49,44
110
49,90
50,35
50,80
51,26
51,71
52,16
52,62
53,07
53,52
53,98
120
54,43
54,88
55,34
55,79
56,25
56,70
57,15
57,61
58,06
58,51
130
58,97
59,42
59,87
60,33
60,78
61,24
61,69
62,14
62,60
63,05
140
63,50
63,96
64,41
64,86
65,32
65,77
66,22
66,68
67,13
67,59
150
68,04
68,49
68,95
69,40
69,85
70,31
70,76
71,21
71,67
72,12
160
72,57
73,03
73,48
73,94
74,39
74,84
75,30
75,75
76,20
76,66
170
77,11
77,56
78,02
78,47
78,93
79,38
79,83
80,29
80,74
81,19
180
81,65
82,10
82,55
83,01
83,46
83,91
84,37
84,82
85,28
85,73
190
86,18
86,64
87,09
87,54
88,00
88,45
88,90
89,36
89,81
90,26
200
90,72
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P
TAB. A.1.3./22 CONVERSIONE DI MISURE DI ILLUMINAZIONE DA LUMEN/SQUARE FOOT A LUX (lm/m2) TAB. A.1.3./21 CONVERSIONE DI MISURE DI MASSA DA U.S. SHORT TONS (2000 libbre) A TONNELLATE S.I. SHORT TONS U.S.
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
4,536
5,443
6,350
7,257
3
4
5
10,8
21,5
32,3
43,1
NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P
6
7
8
9
53,8
64,6
75,3
86,1
96,9
10
107,6
118,4
129,2
139,9
150,7
161,5
172,2
183,0
193,8
204,5
1,814
8,165
20
215,3
226,0
236,8
247,6
258,3
269,1
279,9
290,6
301,4
312,2
9,979
10,886 11,793 12,701 13,608 14,515 15,422 16,329 17,237
30
322,9
333,7
344,4
355,2
366,0
376,7
387,5
398,3
409,0
419,8
20
18,144 19,051 19,958 20,865 21,772 22,680 23,587 24,494 25,401 26,308
40
430,6
441,3
452,1
462,8
473,6
484,4
495,1
505,9
516,7
527,4
30
27,216 28,123 29,030 29,937 30,844 31,751 32,659 33,566 34,473 35,380
50
538,2
549,0
559,7
570,5
581,3
592,0
602,8
613,5
624,3
635,1
40
36,287 37,195 38,102 39,009 39,916 40,823 41,731 42,638 43,545 44,452
60
645,8
656,6
667,4
678,1
688,9
699,7
710,4
721,2
731,9
742,7
50
45,359 46,266 47,174 48,081 48,988 49,895 50,802 51,710 52,617 53,524
70
753,5
764,2
775,0
785,8
796,5
807,3
818,1
828,8
839,6
850,3
60
54,431 55,338 56,245 57,153 58,060 58,967 59,874 60,781 61,689 62,596
80
861,1
871,9
882,6
893,4
904,2
914,9
925,7
936,5
947,2
958,0
70
63,503 64,410 65,317 66,225 67,132 68,039 68,946 69,853 70,760 71,668
90
968,8
979,5
990,3
1001,0 1011,8 1022,6 1033,3 1044,1 1054,9 1065,6
9,072
3,629
2
0,907
10
2,722
1
LUX (lm/mq)
0
TONNELLATE S.I.
0
0
LM/FT2
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
TAB. A.1.3./23 CONVERSIONE DI MISURE DI ILLUMINAZIONE – DA LUMEN / SQUARE FOOT A CHILOLUX (1000 lux)
LM/FT2
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
LUX (lm/mq)
100
1,076
1,184
1,292
1,399
1,507
1,615
1,722
1,830
1,938
2,045
200
2,153
2,260
2,368
2,476
2,583
2,691
2,799
2,906
3,014
3,122
300
3,229
3,337
3,444
3,552
3,660
3,767
3,875
3,983
4,090
4,198
400
4,306
4,413
4,521
4,628
4,736
4,844
4,951
5,059
5,167
5,274
500
5,382
5,490
5,597
5,705
5,813
5,920
6,028
6,135
6,243
6,351
600
6,458
6,566
6,674
6,781
6,889
6,997
7,104
7,212
7,319
7,427
700
7,535
7,642
7,750
7,858
7,965
8,073
8,181
8,288
8,396
8,503
800
8,611
8,719
8,826
8,934
9,042
9,149
9,257
9,365
9,472
9,580
900
9,688
9,795
9,903
10,010
10,118
10,226
10,333
10,441
10,549
10,656
100
10,764
➥
standardizzate, annienta le differenze in omaggio ad una regola astratta e assurda. L’arte moderna si fonda sulla
NE, 3. RAZIO A.1. I DI MISU DI E M E H SIST GRAFIC NE SCALE ESENTAZIO R RAPP
A 11
A.1. 3.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SISTEMI DI MISURAZIONE, SCALE GRAFICHE DI RAPPRESENTAZIONE ➦ FATTORI DI CONVERSIONE TRA SISTEMA METRICO E SISTEMA CUSTOMARY TAB. A.1.3./24 CONVERSIONE DI MISURE DI DENSITÀ – DA POUND PER CUBIC FOOT A CHILOGRAMMI PER METROCUBO PD/FT
3
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
CHILOGRAMMI PER METRO CUBO (kg/mc) 16,0
32,0
48,1
64,1
80,1
96,1
112,1
128,1
144,2
10
0 160,2
176,2
192,2
208,2
224,3
240,3
256,3
272,3
288,3
304,4
20
320,4
336,4
352,4
368,4
384,4
400,5
416,5
432,5
448,5
464,5
30
480,6
496,6
512,6
528,6
544,6
560,6
576,7
592,7
608,7
624,7
40
640,7
656,8
672,8
688,8
704,8
720,8
736,8
752,9
768,9
784,9
50
800,9
816,9
833,0
849,0
865,0
881,0
897,0
913,1
929,1
945,1
60
961,1
977,1
993,1
1009,2
1025,2
1041,2
1057,2
1073,2
1089,3
1105,3
70
1121,3
1137,3
1153,3
1169,3
1185,4
1201,4
1217,4
1233,4
1249,4
1265,5
80
1281,5
1297,5
1313,5
1329,5
1345,6
1361,6
1377,6
1393,6
1409,6
1425,6
90
1441,7
1457,7
1473,7
1489,7
1505,7
1521,8
1537,8
1553,8
1569,8
1585,8
100
1601,8
1617,9
1633,9
1649,9
1665,9
1681,9
1698,0
1714,0
1730,0
1746,0
110
1762,0
1778,0
1794,1
1810,1
1826,1
1842,1
1858,1
1874,2
1890,2
1906,2
120
1922,2
1938,2
1954,3
1970,3
1986,3
2002,3
2018,3
2034,3
2050,4
2066,4
130
2082,4
2098,4
2114,4
2130,5
2146,5
2162,5
2178,5
2194,5
2210,5
2226,6
140
2242,6
2258,6
2274,6
2290,6
2306,7
2322,7
2338,7
2354,7
2370,7
2386,8
150
2402,8
2418,8
2434,8
2450,8
2466,8
2482,9
2498,9
2514,9
2590,9
2546,9
160
2563,0
2579,0
2595,0
2611,0
2627,0
2643,0
2659,1
2675,1
2691,1
2707,1
170
2723,1
2739,2
2755,2
2771,2
2787,2
2803,2
2819,2
2835,3
2851,3
2867,3
180
2883,3
2899,3
2915,4
2931,4
2947,4
2963,4
2979,4
2995,4
3011,5
3027,5
190
3043,5
3059,5
3075,5
3091,6
3107,6
3123,6
3139,6
3155,6
3117,7
3187,7
200
3203,7
5
6
7
8
9 40,03
TAB. A.1.3./25 CONVERSIONE DI MISURE DI FORZA – DA POUND-FORCE A NEWTONS POUND FORCE
0
0
A 12
1
2
3
4
NEWTON (N = Kg x m/s2) 17,79 22,24
4,45
8,90
13,34
26,69
31,14
35,59
10
44,48
48,93
53,38
57,83
62,28
66,72
71,17
75,62
80,07
84,52
20
88,96
93,41
97,86
102,31
106,76
111,21
115,65
120,10
124,55
129,00
30
133,45
137,89
142,34
146,79
151,24
155,69
160,14
164,58
169,03
173,48
40
177,93
182,38
186,83
191,27
195,72
200,17
204,62
209,07
213,51
217,96
50
222,41
226,86
231,31
235,76
240,20
244,65
249,10
253,55
258,00
262,45
60
266,89
271,34
275,79
280,24
284,69
289,13
293,58
298,03
302,48
306,93
70
311,38
315,82
320,27
324,72
329,17
333,62
338,06
342,51
346,96
351,41
80 90
355,86 400,34
360,31 404,79
364,75 409,24
369,20 413,68
373,65 418,13
378,10 422,58
382,55 427,03
387,00 431,48
391,44 435,93
395,89 440,37
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
444,8
489,3
533,8
578,3
622,8
667,2
711,7
756,2
800,7
845,2
200
889,6
934,1
978,6
1023,1
1067,6
1112,1
1156,5
1201,0
1245,5
1290,0
300
1334,5
1378,9
1423,4
1467,9
1512,4
1556,9
1601,4
1645,8
1690,3
1734,8
400
1779,3
1823,8
1868,3
1912,7
1957,2
2001,7
2046,2
2090,7
2135,1
2179,6
500
2224,1
2268,6
2313,1
2357,6
2402,0
2446,5
2491,0
2535,5
2580,0
2624,5
600
2668,9
2713,4
2757,9
2802,4
2846,9
2891,3
2935,8
2980,3
3024,8
3069,3
700
3113,8
3158,2
3202,7
3247,2
3291,7
3336,2
3380,6
3425,1
3469,6
3514,1
800
3558,6
3603,1
3647,5
3692,0
3736,5
3781,0
3835,5
3870,0
3914,4
3958,9
900
4003,4
4047,9
4092,4
4136,8
4181,3
4225,8
4270,3
4314,8
4359,3
4403,7
1000
4448,2
4492,7
4537,2
4581,7
4626,1
4670,6
4715,1
4759,6
4804,1
4848,6
1100
4893,0
4937,5
4982,0
5026,5
5071,0
5115,5
5159,9
5204,4
5248,9
5293,4
1200
5337,9
5382,3
5426,8
5471,3
5515,8
5560,3
5604,8
5649,2
5693,7
5738,2
1300
5782,7
5827,2
5871,7
5916,1
5960,6
6005,1
6049,6
6094,1
6138,5
6183,0
1400
6227,5
6272,0
6316,5
6361,0
6405,4
6449,9
6494,4
6538,9
3583,4
6627,8
1500
6672,3
6716,8
6761,3
6805,8
6850,3
6894,7
6939,2
6983,7
7028,2
7072,7
1600
7117,2
7161,6
7206,1
7250,6
7295,1
7339,6
7384,0
7428,5
7473,0
7517,5
1700
7562,0
7606,5
7650,9
7695,4
7739,9
7784,4
7828,9
7873,3
7917,8
7962,3
1800
8006,0
8051,3
8095,8
8140,2
8184,7
8229,2
8273,7
8318,2
8362,7
8407,1
1900
8451,6
8496,1
8540,6
8585,1
8629,5
8674,0
8718,5
8763,0
8807,5
8852,0
2000
8896,4
dissonanza e sul “non-finito”.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SISTEMI DI MISURAZIONE, SCALE GRAFICHE DI RAPPRESENTAZIONE
A.1. 3. A.ZIONI
SCALE GRAFICHE DI RAPPRESENTAZIONE L’adozione di scale grafiche dimensionali per l’esecuzione dei disegni tecnici è regolata dalla norma UNI 3967. Con la dizione “scala di rappresentazione” – o “scala dimensionale”, come compare nella norma UNI – si indica il rapporto che si istituisce tra la dimensione che l’oggetto presenta nel disegno e la dimensione effettiva dell’oggetto reale che si rappresenta. La notevole dimensione degli edifici e la complessa composizione di materiali, tecniche e procedure che concorrono alla loro costruzione comportano l’adozione di scale grafiche di rappresentazioni diverse e articolate, che consentano di descriverne compiutamente sia i caratteri planovolumetrici e compositivi generali (disegni di insieme), sia le singole parti componenti con evidenza dei materiali che compaiono e delle reciproche relazioni. In ambito di Sistema Metrico Decimale S.I. sono state definite come normalizzate le seguenti scale: • scale di ingrandimento (usate soprattutto nel disegno di pezzi meccanici): 50:1, 20:1, 10:1, 10:1, 5:1, 2:1; • scala naturale: 1:1; • scale di riduzione: 1:10.000, 1:5.000, 1:2.000, 1:1.000, 1:500, 1:200, 1:100, 1:50, 1:20, 1:10, 1:5, 1:2.
MODI DI SEGNALARE LA SCALA DIMENSIONALE DEI DISEGNI La scala grafica del disegno deve essere indicata nel “riquadro delle iscrizioni, in apposito “campo”. Nella maggior parte dei casi un foglio raccoglie disegni redatti nella stessa scala dimensionale. Possono darsi tuttavia casi nei quali può essere opportuno riunire nello stesso elaborato disegni redatti in diverse scale, come nel caso di “particolari costruttivi” e “dettagli architettonici” dove i diversi materiali e le diverse tecniche, pur pertinenti alla costruzione di una stessa “parte”, possono richiedere livelli diversi di approfondimento. In questi casi si dovranno separare i disegni redatti in scale diverse mediante squadrature che definiscano i campi all’interno dei quali vigono le singole scale; una iscrizione disposta nell’angolo inferiore destro della squadratura indicherà la scala grafica di riferimento del campo e nel riquadro delle iscrizioni del foglio si elencheranno tutte le scale utilizzate nel foglio di riferimento.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO 1:100.000
Ambito geografico e territoriale.
1 : 50.000
Quadri di insieme e riferimento regionale per la pianificazione alla grande scala e per i tracciati dei sistemi infrastrutturali maggiori.
1 : 25.000
Come sopra. Non fa parte del sistema normalizzato. Viene qui richiamata perché è la scala nella quale sono redatte le “mappe” dell’IGN (Istituto Geografico Nazionale), a loro volta utilizzate come base o riferimento per vari sistemi cartografici, come le carte geologiche di larga scala.
1 : 20.000
Scala normalizzata poco usata.
1 : 10.000
Ambito urbanistico. Utilizzata largamente nella pianificazione territoriale di pertinenza regionale, provinciale, intercomunale e comunale. Utilizzata anche per i quadri di unione dei PRG delle città maggiori.
1 : 5.000
1 : 2.000
1 : 1.000
Ambito urbanistico. Piani Regolatori Generali (PRG); in particolare: quadri di insieme di città minori, Piani di settore (reti della viabilità, dei trasporti, altre reti tecniche). Scala adottata per restituzioni cartografiche dei rilievi aereo fotogrammetrici (equidistanza delle isometriche = 5m) Ambito urbanistico. PRG: elaborati attinenti gli insediamenti urbani completi (per i centri minori) o ripartiti in “fogli” (per i centri maggiori). Compare negli elaborati di corredo del “progetto di massima” architettonico come riferimento di localizzazione ed estratto dei relativi elaborati urbanistici di riferimento normativo. Scala adottata per restituzioni cartografiche dei rilievi aereofotogrammetrici (equidistanza delle isometriche = 2 m) Ambito urbanistico di attuazione. Utilizzata per i Piani Particolareggiati di Esecuzione (PPE), per i Piani di Recupero (PdR), per i Piani di Lottizzazione e per altri strumenti di pianificazione attuativa. Scala utilizzata anche come ingrandimento dei riferimenti urbanistici di localizzazione.
1 : 500
Ambito edilizio e urbanistico di attuazione. Utilizzata prevalentemente nelle “planimetrie generali” degli interventi di qualche consistenza e nei tracciati di massima delle infrastrutture. Utilizzata anche in ambito urbanistico-attuativo per approfondimenti in merito ad aree complesse (parti o isolati di centri storici, nodi infrastrutturali, ecc.)
1 : 200
Ambito edilizio. Progetti preliminari e di “larga massima” di edifici correnti, progetti di massima di edifici e insediamenti estesi. Quadri di unione, di insieme e di riferimento di “parti” definite ad altre scale. Progetti di strade.
1 :100
Ambito edilizio: progetto di massima. Elaborati di insieme dei progetti di massima: piante, sezioni, prospetti.
1 : 50
Ambito edilizio: progetto esecutivo. Elaborati di insieme dei “progetti esecutivi”: piante, sezioni, prospetti architettonici. Elaborati esecutivi di insieme dei sistemi strutturali primari: pianta dei “fili fissi”, piante delle “carpenterie” dei diversi piani o livelli. Elaborati esecutivi di insieme degli impianti: piante e sezioni degli impianti elettrico, idraulico, di riscaldamento, ecc.
1 : 20
Ambito edilizio: particolari. Sequenze coordinate e correlate verticali (particolari di sezioni e prospetti) e orizzontali (particolari di piante). Approfondimento di parti complesse o rappresentative della costruzione dell’edificio (particolari di bagni, cucine, scale, ascensori). Sequenze coordinate di particolari delle strutture.”Casellario” degli infissi esterni e interni.
1:5
Ambito edilizio: dettagli costruttivi.
1:2
Abaco dei nodi degli infissi.
1:1
Dettagli delle soluzioni strutturali (sezioni di travi e pilastri, nodi delle strutture metalliche). Dettagli costruttivi delle finiture in pietra e simili, in metallo, in legno. Dettagli di componenti impiantistici.
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
CORRISPONDENZA TRA SCALE NEL SISTEMA METRICO S.I. E NEL SISTEMA CUSTOMARY La conversione di disegni – e relative informazioni – dal sistema Customary di ambito anglosassone al sistema metrico S.I. incontra difficoltà per quanto attiene alle scale dimensionali di rappresentazione in quanto la complessa articolazione interna delle unità del Customary ha comportato l’adozione usuale di scale con “ragioni” diverse e non direttamente confrontabili con quelle in uso nel sistema metrico decimale. Ci troviamo quindi a confrontare scale dimensionali non corrispondenti e non convertibili. Nella Tab. A.1.3./27 i due sistemi di scale dimensionali vengono confrontati al solo fine di indicare quelle tra loro più prossime, che svolgono ruoli operativi grosso modo analoghi.
TAB. A.1.3./27 COMPARAZIONE TRA SCALE DIMENSIONALI NEL SISTEMA S.I. E CUSTOMARY SISTEMA CUSTOMARY
SCALE METRICHE
RAPPORTI
SCALE CUSTOMARY
1 : 100.000
1 : 126720
1/2” = 1 mi (miglio)
1 : 50.000
1 : 63360
1” = 1 mi
1 : 21120
3” = 1 mi
1 : 24000
1” = 2000’ 0”
1 : 10560 1 : 12000 1 : 4800
1” = 400’ 0”
1 : 6000
1” = 500’ 0”
1 : 2400
1” = 200’ 0”
1 : 960
1” = 80’ 0”
1 : 1200
1” = 100’ 0”
1 : 25.000 1 : 10.000 1 : 5.000 1 : 2.000 1 : 1.000
SCALE METRICHE
1 : 500
SISTEMA CUSTOMARY RAPPORTI
SCALE CUSTOMARY
1 : 384
1/32” = 1’ 0”
1 : 480
1” = 40’ 0”
1 : 600
1” = 50’ 0”
1 : 200
1 : 192
1/16” = 1’ 0”
6” = 1 mi
1 : 100
1 : 96
1/8” = 1’ 0”
1” = 1000’ 0”
1 : 50
1 : 48
1/4” = 1’ 0”
1 : 16
3/4” = 1’ 0”
1 : 20 1 : 10 1:5
1 : 24
1/2” = 1’ 0”
1:8
1 1/2” = 1’ 0”
1 : 12
1” = 1’ 0”
1:4
3” = 1’ 0”
NE, 3. RAZIO A.1. I DI MISU DI E M E H SIST GRAFIC NE SCALE ESENTAZIO R RAPP
A 13
A.1. 3.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SISTEMI DI MISURAZIONE, SCALE GRAFICHE DI RAPPRESENTAZIONE ➦ SCALE GRAFICHE DI RAPPRESENTAZIONE MODI DI SEGNALARE LA SCALA DIMENSIONALE DEI DISEGNI I supporti cartacei degli elaborati, originali o riproduzioni che siano, sono soggetti a deformazioni di estensione prodotte da diverse cause, tra le quali si segnalano: • la carta trasparente degli originali “lucidi” – è in genere molto sensibile all’umidità, per cui anche variazioni contenute del tasso igrometrico ambientale producono dilatazioni o contrazioni apprezzabili e di diversa intensità nelle due direzioni dei lati del foglio; • le riproduzioni dei disegni copie cianografiche, eliografiche, fotostatiche, fotografiche, ecc. – subiscono defor-
mazioni di estensione dovute al non perfetto funzionamento delle macchine di riproduzione e stampa, come sono: incostante velocità di scorrimento o trascinamento, deformazioni ottiche, e altro. Al fine di disporre di riferimenti dimensionali certi anche nel caso che si verifichino deformazioni del supporto degli elaborati e delle copie, è buona norma riportare graficamente fasce graduate lungo i lati della squadratura del foglio. Tanto vale soprattutto per i disegni di formato maggiore. La Fig. A.1.3./3 riporta esempi delle “scale dimensionali grafiche graduate” più diffuse.
SCALE GRAFICHE GRADUATE FIG. A.1.3./3 SCALE DIMENSIONALI GRAFICHE È consigliabile disporre di scale graduate lungo la squadratura del foglio a correzione delle deformazioni che originali e copie potrebbero subire QUESTA LUNGHEZZA RAPPRESENTA 10 metri
50 m
100 m
150 m
200 m
250 m
300 m
350 m
1 : 2000
QUESTA LUNGHEZZA RAPPRESENTA 2 metri
QUESTA LUNGHEZZA RAPPRESENTA 10 metri
20 m
30 m
40 m
50 m
60 m
70 m
80 m
90 m
1 : 500
QUESTA LUNGHEZZA RAPPRESENTA 1 metro
QUESTA LUNGHEZZA RAPPRESENTA 10 metri
15 m
20 m
25 m
30 m
35 m
1 : 200
QUESTA LUNGHEZZA RAPPRESENTA 1 metro
QUESTA LUNGHEZZA RAPPRESENTA 10 metri
1m
2m
3m
4m
5m
6m
7m
8m
9m
1m
11 m
12 m
13 m
14 m
15 m
16 m
17 m
18 m
1 : 100
QUESTA LUNGHEZZA RAPPRESENTA 100 mm
QUESTA LUNGHEZZA RAPPRESENTA 1 metro
QUESTA LUNGHEZZA RAPPRESENTA 1 metro
2m
3m
4m
5m
6m
7m
8m
1 : 50
QUESTA LUNGHEZZA RAPPRESENTA 100 mm.
E' CONSIGLIABILE DISPORRE SCALE GRADUATE LUNGO LA SQUADRATURA DEL FOGLIO A CORREZIONE DELLE DEFORMAZIONI CHE ORIGINALI E COPIE POTREBBERO SUBIRE
A 14
9m
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO PRINCÌPI DI DESIGNAZIONE DI ELEMENTI E PARTI DEGLI EDIFICI
A.ZIONI
METODI DI DESIGNAZIONE DESCRIZIONE DELL’OGGETTO: DISEGNO E DESIGNAZIONI
DESIGNAZIONE DEL TIPO, SINGOLA E COMPLETA (UNI – ISO 4157)
La norma UNI – ISO 4157 indica criteri generali per la designazione di edifici, parti, componenti e quanto altro occorre per una organizzazione univoca delle informazioni contenute nei disegni. La norma inizia precisando: “Tutti i disegni e i particolari disegnati devono essere preparati in maniera che il disegno da solo basti a descrivere l’oggetto, senza alcuna aggiunta di parole o iniziali”. Premessa essenziale nello spirito della normativa UNI, che esattamente a questo è rivolta: a fare sì che ogni disegno, redatto con segni, campiture e simbologie normalizzate e univoche, contenga intrinsecamente tutte le informazioni necessarie alla sua decodificazione e attuazione. “Tuttavia” – prosegue la norma – “se il disegno rappresenta un certo numero di parti similari (ad esempio: la pianta di un edificio con molte finestre), si può, se necessario, identificarle separatamente (ad esempio: con una serie di numeri); ugualmente si può fare quando oggetti similari (ad esempio: finestre) possono essere confusi con altri elementi similari, quali le porte. In caso di simili identificazioni, devono essere osservati i principi specificati nella presente norma”.
Designazione del tipo “Differenti oggetti sono classificati conformemente al tipo (ad esempio genere o forma dell’oggetto)”.
Ad esempio: la designazione principale di porte e finestre viene sostituita rispettivamente da un perimetro quadrato ruotato di 45° e da un esagono che contengono al loro interno le designazioni, addizionali relative a tipo o dimensione, in forma di lettere e/o numeri.
Designazione singola “Ogni oggetto separato è individuato. La designazione singola è sovente una indicazione di posizione.” Designazione completa “La designazione completa è composta da una designazione principale e da una addizionale. La designazione principale individua le categorie di oggetti previste nella progettazione e permane in tutti i livelli della documentazione. Essa può essere effettuata con uno dei seguenti criteri: Denominazione completa di ciascuna categoria (ad esempio: CASA, VANO, FINESTRA, PORTA, CHIUSURA, VALVOLA D’ARRESTO);
DESIGNAZIONE MEDIANTE SIMBOLI GRAFICI Annotiamo a margine dei “principi di designazione” riportati dalla norma UNI – ISO che è prassi progettuale consolidata sostituire alcuni codici di designazione con simboli grafici che, di fatto, svolgono lo stesso ruolo.
Abbreviazioni corrispondenti (ad esempio: C, V, F, Ch, VDA);
FIG. A.1.4./1 DESIGNAZIONE DEI PIANI LIVELLO 4 PIANO 4
PIANO 3
LIVELLO 3
LIVELLO 2
LIVELLO 1
Altre designazioni sintetiche (ad esempio: porte: 1; finestre: 2; divisorio: 3; ecc.); Designazione conforme a un sistema generale di classificazione e codificazione “Le designazioni addizionali indicano una ulteriore specificazione nella categoria considerata. Esse devono contenere i seguenti elementi:
PIANO 2
• per una designazione di tipo: delle cifre e delle lettere ad esempio: F 12 b dove F rappresenta la designazione principale per “finestra”, 12 la designazione addizionale per tipo, materiale, dimensione, ecc., e b la designazione addizionale per delle varianti, per esempio tacca per il davanzale;
PIANO 1
• per delle designazioni singole: le cifre e le lettere in ordine ad esempio: P1, P2, P3, ecc. dove P rappresenta la designazione principale per pilastro, e 1, 2, 3, designa individualmente ogni pilastro. La designazione singola può ugualmente essere costituita da coordinate.”
Edifici “Gli edifici appartenenti al medesimo progetto sono indicati con una designazione principale e una designazione singola, ad esempio: CASA 1, CASA 2, CASA 3. Parti di edificio “La designazione di una parte di un edificio consiste nella designazione principale, integrata da una lettera sistematica o da un numero, ad esempio: CASA 2 PARTE A, CASA 2 PARTE B, ecc.” Piani “Per ‘piano’ si intende uno spazio tra due livelli definito da limiti fisici (pavimenti, soffitti, muri), questi limiti restano inclusi. La concezione di piano e quella di livello sono complementari ma non equivalenti. Ogni piano deve essere designato da cifre progressive dal basso verso l’alto. Il livello più basso utilizzabile, indipendentemente dalla destinazione d’uso, si designa con il numero 1”. “La numerazione si applica non soltanto allo spazio utilizzabile di un dato piano, ma anche ai limiti fisici che delimitano questo spazio. Allo scopo di esprimere la variazione da un piano all’altro, si raccomanda di riferire il livello alla superficie superiore del solaio portante”. “Se esistono variazioni di livello di un edificio (ad esempio mezzanini, piani fuori del livello principale, pianerottoli, rampe, ecc.) devono essere fornite tutte le indicazioni necessarie al fine di evitare errori. Per queste indicazioni può essere usato il termine ‘livello’ o anche altre
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P
CASI DI DESIGNAZIONE RICORRENTI (REGOLATI DALLA NORMA UNI 4157) La norma UNI di riferimento espone alcuni casi di designazione essenziali e di uso corrente, come segue.
A.1. 4.
abbreviazioni prestabilite, accompagnate dal numero del piano cui si riferiscono. Le indicazioni devono essere collocate in prossimità del disegno.” Parti di piano “La designazione di una parte di piano, quando la sua rappresentazione è suddivisa in diversi disegni, è costituita dalla designazione del piano, integrata da una lettera sistematica o da un numero. Ad esempio:
Vani e altre superfici connesse “All’interno dei limiti fisici di tutte le parti della costruzione e a ogni piano, i vani sono generalmente numerati con ordine progressivo. Per aderire alla eventuale destinazione funzionale, i vani possono essere riuniti anche in serie”. “Se degli edifici separati sono inclusi nello stesso progetto i vani devono essere numerati indipendentemente per ogni, edificio”. “I numeri e le denominazioni dei vani sono indicati in ciascuno spazio nel modo seguente:
PIANO 3 PARTE A, PIANO 3 PARTE B, ecc.”
324 RICEVIMENTO 325 ARCHIVIO
“In un disegno riguardante una parte di piano, deve essere indicato anche un disegno d’insieme in scala ridotta avente lo scopo di segnalare l’ubicazione della parte rappresentata nell’intero edificio”.
I numeri dei vani sono costituiti, per ogni piano, da tre cifre (se ciò non basta, quattro, ecc.) di cui la prima cifra indica il numero del piano e le ultime due (o più) i numeri d’ordine”. “La numerazione dei vani è effettuata a ogni piano in modo da facilitare l’orientamento all’interno dell’edificio. Essa deve essere effettuata partendo dalla sinistra dell’edificio, nell’ordine di accessibilità ai vani, iniziando dall’entrata principale o dall’ultima entrata e da qui girando in senso orario”. “Se da un vano già numerato se ne ricava un altro, questo riceve il medesimo numero già attribuito al vano dalla cui superficie è stato ricavato. Entrambi i vani risultanti sono differenziati mediante l’adozione di una lettera differente, nel modo seguente: 127 A, 127 B”. “Non deve sussistere alcun vuoto nella numerazione. Se due vani già numerati vengono fusi, il nuovo vano risultante deve essere contrassegnato con i numeri precedentemente attribuiti nel modo seguente: 127, 128”. “Il numero dell’edificio e il numero del vano possono essere indicati in un’unica designazione, nel seguente modo: 2/216 (cioè: edificio 2, vano 216 [ n.16 del piano 2])”.
Solai “I solai (strutture di impalcato) sono numerati in ordine dal basso verso l’alto dell’edificio, conformemente al numero del piano di cui rappresentano l’elemento di definizione superiore.” Pilastri, solai, muri, travi ecc. “I pilastri, i solai, i muri, le travi ecc. sono designati con una abbreviazione principale e un’indicazione addizionale (cifre). La prima cifra della definizione addizionale indica il numero del piano e le due ultime cifre i numeri d’ordine, conformemente al seguente esempio: Pilastri Solai Muri Travi
= = = =
P 201, P202 S 201, S 202 M 201, M 202 T 201, T 202”
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
NE, 3. RAZIO A.1. I DI MISU DI E M E SIST GRAFICH NE SCALE ESENTAZIO R RAPP . IGNA 4 A.1. ÌPI DI DES MENTI E C L PRIN DEGLI E IFICI E ZION TI DEGLI ED E PAR
A 15
A.1. 4.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO PRINCÌPI DI DESIGNAZIONE DI ELEMENTI E PARTI DEGLI EDIFICI SIMBOLOGIE GRAFICHE DI DESIGNAZIONE E DI CORRELAZIONE Nel disegno si adottano numerose simbologie grafiche che hanno lo scopo di sintetizzare e uniformare alcuni sistemi di informazione. A rigor di termini farebbero parte della famiglia delle “simbologie grafiche” anche lo spessore dei segni, le linee di riferimento delle quote o misure, le campiture che si usano per indicare i diversi materiali adottati, e altro che, ai fini di una trattazione, sistematica, sono stati ordinati in altri paragrafi specifici.
FIG: A.1.4./2 SIMBOLI GRAFICI DI DESIGNAZIONE E CORRELAZIONE – AMBITO EDILIZIO SIMBOLI DI DESIGNAZIONE DELLE FINESTRE LETTERE E/O NUMERI INTERNI INDICANO DESIGNAZIONI ADDIZIONALI DI TIPO SIMBOLI DI DESIGNAZIONE DELLE PORTE LETTERE E/O NUMERI INTERNI INDICANO DESIGNAZIONI ADDIZIONALI DI TIPO
In questo paragrafo si privilegiano due ordini di simbologie grafiche:
SIMBOLI DI DESIGNAZIONE DEI VANI LA MISURA INTERNA RIPORTA LA SUPERFICIE IL NUMERO ESTERNO DESIGNA IL VANO
• il primo ordine sostituisce a tutti gli effetti una corrispondente “designazione principale” in lettere, ad esempio: un contorno esagonale posto in cima a una linea di richiamo che lo collega a una finestra, sostituisce la designazione principale FINESTRA o F., mentre il numero o la lettera racchiusa all’interno costituisce designazione accessoria di tipo;
SIMBOLI DI DESIGNAZIONE DELLA GRIGLIA STRUTTURALE LETTERE E NUMERI INTERNI DESIGNANO LE POSIZIONI DEGLI ELEMENTI (PILASTRI, SETTI, ECC.)
• il secondo ordine istituisce sistemi di riferimento e correlazione trai diversi elaborati (grafici e non grafici) che costituiscono il progetto, ad esempio, una circonferenza connessa da una freccia a un oggetto indica che di quell’oggetto è stato disegnato un DETTAGLIO; il numero iscritto nella parte superiore del cerchio designa quel particolare dettaglio, mentre lettera e numero iscritti nella parte inferiore indicano serie e numero della tavola che ospita il disegno del dettaglio in oggetto. La distinzione trai due ordini di simbologie grafiche ha senso solo in riferimento alla funzione principale che svolgono, in quanto i simboli di designazione svolgono anche una funzione secondaria di correlazione (nel caso delle finestre, l’esagono rimanda alle voci corrispondenti del “capitolato”, del “computo metrico” ecc.), così come i simboli di correlazione svolgono un ruolo secondario di designazione (nell’esempio riportato, quel certo cerchio sostituisce la dizione “particolare”, altri simboli analoghi sostituiscono la dizione “sezione”, ecc.).
E
3
3c
B
6
6c
18,32 mq
A
216
A
1
SIMBOLI DI DESIGNAZIONE DEI PIANI DI SEZIONE LETTERE O NUMERI INTERNI SUPERIORI DESIGNANO LA SEZIONE LETTERE E NUMERI INFERIORI SONO DI CORRELAZIONE CON GLI ELABORATI DI PROGETTO DI PERTINENZA: NELL' ESEMPIO, E' DESIGNATA LA SEZIONE C, RAPPRESENTATA NELLA TAV. A.3
SIMBOLI DI DESIGNAZIONE DEI PARTICOLARI LETTERE O NUMERI INTERNI SUPERIORI DESIGNANO IL PARTICOLARE SVILUPPATO LETTERE E NUMERI INFERIORI SONO DI CORRELAZIONE CON GLI ELABORATI DI PROGETTO DI PERTINENZA: NELL' ESEMPIO, SONO DESIGNATI I PARTICOLARI DI SEZIONI DELLE MURATURE 4, 5, 8, RAPPRESENTATI RISPETTIVAMENTE NELLE TAV. A.6, A.7,.
C A.3
C
C
A.3
A.3
2 A.3
4
5
A.6
A.7
8 A.6
SIMBOLI DI DESIGNAZIONE DEI DETTAGLI LETTERE O NUMERI INTERNI SUPERIORI DESIGNANO IL DETTAGLIO SVILUPPATO LETTERE E NUMERI INFERIORI SONO DI CORRELAZIONE CON GLI ELABORATI DI PROGETTO DI PERTINENZA: NELL' ESEMPIO, SONO DESIGNATI I DETTAGLI 7, 9, RAPPRESENTATI RISPETTIVAMENTE NELLE TAV. A.5, A.11
8 A.12
9
7
A.11
A.5
FIG: A.1.4./3 SIMBOLI GRAFICI DI DESIGNAZIONE E CORRELAZIONE – AMBITO URBANISTICO
FRECCE DI DESIGNAZIONE Le “frecce di designazione” sono costituite da un segno sottile continuo o piegato, terminante in una freccia, che connette una designazione (o una annotazione) all’oggetto o alla parte alla quale si riferisce; la punta della freccia deve toccare l’oggetto in questione. Il metodo di informazione costituito da un testo che specifica natura, tipo e caratteristiche del materiale adottato e da una freccia di designazione è usato frequentemente nei disegni di dettagli o particolari che analizzano insiemi complessi (sezioni di coperture, terrazze, sezioni di tamponamenti, ecc.). La figura in alto riporta le simbologie grafiche di designazione e di correlazione più diffuse in ambito edilizio, come sono: i simboli di designazione di finestre, di porte, i simboli di ordinamento e di superficie dei vani, i simboli di ordinamento della griglia strutturale, i simboli di correlazione delle sezioni, dei dettagli, dei particolari. La figura in basso riporta le simbologie grafiche di designazione ricorrenti in ambito urbanistico e geotecnico, come sono i simboli di designazione dei punti di rilevamento altimetrico, dei punti dove sono stati effettuati sondaggi geotecnici, delle isometriche altimetriche esistenti e di progetto.
A 16
PUNTO DI RILEVAMENTO DI QUOTA ALTIMETRICA ESISTENTE
PUNTO DI RIFERIMENTO DI QUOTA ALTIMETRICA DI PROGETTO
PUNTO DI RIFERIMENTO DI SONDAGGIO , CON DESIGNAZIONE DEL SONDAGGIO (N. DI CORRELAZIONE)
320,40
320,40
S-1
RAPPRESENTAZIONE DEI VALORI ALTIMETRICI DEL TERRENO MEDIANTE CURVE DI LIVELLO EQUIDISTANTI (ISOMETRICHE) CURVE INDICANTI LO STATO ESISTENTE O PERSISTENTE 140 RAPPRESENTAZIONE DEI VALORI ALTIMETRICI DEL TERRENO MEDIANTE CURVE DI LIVELLO EQUIDISTANTI (ISOMETRICHE) CURVE INDICANTI GLI ANDAMENTI PREESISTENTI MODIFICATI 140 RAPPRESENTAZIONE DEI VALORI ALTIMETRICI DEL TERRENO MEDIANTE CURVE DI LIVELLO EQUIDISTANTI (ISOMETRICHE) CURVE INDICANTI I NUOVI ANDAMENTI DI PROGETTO, SOVRAPPOSTI AGLI ANDAMENTI PREESISTENTI 140
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE
A.ZIONI
“LINEE”: TIPI E SPESSORI (UNI 3968) Nella esecuzione dei disegni si utilizzano sistemi di linee diversi per tipo e per spessore, al fine di evidenziare diverse parti, diverse posizioni ed evidenze rispetto al piano del disegno – piano verticale o orizzontale, secondo il quale l’edificio è stato sezionato da quella certa pianta, sezione, dettaglio, particolare. La norma UNI 3968 – “Tipi, grossezze e applicazioni delle linee” specifica i comportamenti da adottare in materia.
La norma UNI 3968 prescrive che negli elaborati grafici si debbano adottare solo due spessori di linea, uno grosso e uno fine, selezionati tra quelli classificati nei rispettivi ordini di grossezza, e che la linea fine adottata non deve superare la metà dello spessore della linea grossa. Gli spessori di linee accreditati dalla norma UNI, espressi in mm, sono:
0,18 - 0,25 - 0,35 - 0,50 - 0,70 - 1,00 - 1,40 - 2,00 Se, ad esempio, per piante o sezioni di un edificio si, adotterà per le parti sezionate uno spessore pari a 0,50, le altre parti non sezionate si dovranno disegnare con linee di spessore pari a 0,25 (o minore). Nella pratica professionale si ricorre spesso all’adozione di più di due soli spessori
di linee – ad esempio linee fine, medie e grosse – e si utilizzano gamme di spessori più estesi e articolati, come quelli resi possibili dagli strumenti disponibili – l’estesa gamma di pennini dei rapidografo dei menu pens dei programmi grafici dei computers. Tuttavia, salvo casi eccezionali, si consiglia di attenersi strettamente alle prescrizioni UNI. Quanto più dettagliato e complesso appare il sistema di informazioni che si vuole trasmettere, tanto più conviene orientare la scelta degli spessori verso grossezze minori, in modo che le diverse linee non si confondano tra di loro; a questo proposito la normativa UNI prescrive che la distanza tra due righe parallele sia almeno pari al doppio dello spessore della linea più grossa e comunque non inferiore a 0,7 mm.
• le linee complesse – tratteggiate, miste, ecc.– che in genere rappresentano contorni di parti nascoste o posizioni di ordine astratte relative alla composizione-strutturazione-costruzione dell’edificio, come sono: assi di simmetria, assi di rotazione, ambiti di variabilità, giunti, linee di montaggio, linee di scorrimento, ecc. La norma UNI 3968 indica i principali tipi e grossezze di linee e relativi campi di applicazione. Se ne specificano le indicazioni per i casi ricorrenti con maggiore frequenza, come segue:
B.ATTERISTICLHI EDELLE C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
“TIPI” DELLE LINEE
• le linee continue, che in genere rappresentano contorni di parti reali e “in vista”
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
“GROSSEZZA” DELLE LINEE
Le linee utilizzate nei disegni possono essere articolate in due grandi famiglie:
A.1. 5.
Linea continua grossa • si adotta per i contorni delle parti sezionate dal piano del disegno.
Linea mista grossa • per tracce o contorni di superfici e zone all’interno delle quali vigono condizioni o requisiti particolari
F. TERIALI,
Linea continua fine • per i contorni, spigoli, ecc. delle parti in vista non sezionate; • per le linee di riferimento delle quote, dei simboli di correlazione, ecc.; • per la campitura a tratteggio di edifici, parti sezionate, ecc.
Linea mista fine • per assi e tracce di piani di simmetria, di rotazione, e simili; • per parti situate anteriormente al piano di sezione del disegno; • per figure primitive o di inviluppo.
G.ANISTICA
Linea a tratti grossa • per contorni e spigoli reali nascosti rispetto al piano del disegno. Linea a tratti fine • per contorni fittizi non in vista.
Linea mista a due tratti brevi (o a due punti) • per posizioni di pezzi o parti vicine, dati come riferimento; • per posizioni alternative o estreme; • per traiettorie di parti mobili; • per linee di ingombro; • per indicare assi neutri
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO ORGA OGETTO R DEL P
SIMBOLOGIE GRAFICHE DI RAPPRESENTAZIONE DEI MATERIALI GENERALITÀ La norma UNI 3972 “Tratteggi per la rappresentazione dei materiali nelle sezioni” reca indicazioni rivolte a “fissare una differenziazione dei materiali mediante tratteggi con cui si individuano le superfici sezionate in tutti i tipi di disegni tecnici”. Se ne riportano le prescrizioni significative per il disegno nel settore edile. • Quando interessa mettere in evidenza esclusivamente una superficie sezionata si usa il tratteggio della Fig. A.1.5./1, dis.1. • Nei casi in cui sia sufficiente una differenziazione di larga massima dei materiali, senza specificazioni ulteriori, il tratteggio designerà tali differenze secondo la simbologia riportata nella Fig. A.1.5./1, dis.2. • Nei casi in cui siano necessarie ulteriori differenziazioni della natura dei materiali solidi adottati, si usano i tratteggi della Fig. A.1.5./1, dis.3. Come si vede le indicazioni della norma UNI 3972 si limitano a un ambito di differenziazione generico dei materiali e non trattano la designazione di estese categorie di materiali utilizzati nel settore edilizio, né specificano simbologie appropriate alle diverse scale di rappresentazione. Nella pratica progettuale operano alcune convenzioni di designazione dei materiali generalmente accettate; la Fig. A.1.5./2 riporta un repertorio di simbologie di designazione di materiali per l’edilizia ordinata sulla base di analoga tabella proposta dallo Architectural Graphic Standards (American Institute of Architects), con alcune integrazioni desunte da comportamenti ricorrenti in Italia.
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
FIG. A.1.5./1 SIMBOLOGIA PER LA RAPPRESENTAZIONE DI MATERIALI NELLE SEZIONI (UNI 3972)
SUPERFICIE SEZIONATA
AERIFORMI E ASSIMILABILI (QUANDO HANNO IMPORTANZA FUNZIONALE)
SOLIDI
LIQUIDI
TERRENO
MATERIALE PREDOMINANTE (ES. METALLO IN MECCANICA, LATERIZIO IN EDILIZIA)
AVVOLGIMENTI ELETTRICI
MATERIALE DA METTERE IN PARTICOLARE EVIDENZA (ES. PARTI A CONTATTO CON QUELLE INDIVIDUATE CON IL TRATTEGGIO PRECEDENTE)
ISOLANTI
MATERIALI AUSILIARI (ES. MATERIE PLASTICHE IN MECCANICA, PIETRE E MARMI IN EDILIZIA)
MATERIALI TRASPARENTI
LEGNO
CONGLOMERATO CEMENTIZIO
➥
IGNA 4. A.1. ÌPI DI DES MENTI PRINC DEGLI ELE IFICI E ZION TI DEGLI ED E PAR ORMIN 5. A.1. LOGIE, TE IONI Z O N B SIM , CONVE ZIONE LOGIE PRESENTA P DI RA
A 17
A.1. 5.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE ➦ SIMBOLOGIE GRAFICHE DI RAPPRESENTAZIONE DEI MATERIALI FIG. A.1.5./2 SIMBOLOGIE GRAFICHE DI RAPPRESENTAZIONE IN SEZIONE TERRENO
TERRENO VERGINE
TERRENO RIPORTATO
MANTO ERBOSO
CIOTTOLI PER DRENAGGI
PIETRAME A SECCO PER VESPAI
GHIAIA
GETTATO IN OPERA
LEGGERO
INTONACO MALTA, SABBIA
RAPP.1:500 - 1:100 C.L.S. PER C.A.
RAPP.1:50 - 1:1 C.L.S. PER C.A.
RAPP.1:50 -1:1 C.L.S. LEGGERO
ADOBE
LATERIZI
MATTONI SMALTATI
BLOCCHI DI CEMENTO
BLOCCHI DI GESSO
RIVESTIMENTO STRUTTURALE
ARDESIA, ECC.
IMPASTI DI PIETRISCO
MARMO
ALLUMINIO
OTTONE, BRONZO
ACCIAIO
RIFINITO
NON RIFINITO
MASSELLO
RAPP. 1:5 COMPENSATO
RAPP. 1:1 COMPENSATO
LAMELLARE
LASTRE RAPP.1:5 - 1:1
STRUTTURALE
VETRO-CEMENTO
AGGREGATI DI FIBBRE
PANNELLO RIGIDO
SCHIUMA
RAPP. 1:20 - 1:10 ASFALTO, GUAINE
RAPP. 1:5 - 1:1 ASFALTO, GUAINE
RAPP. 1:20 - 1:10 STRATI INCROCIATI
MONTANTI IN LEGNO
MONTANTI IN ACCIAIO
PARAMENTO SPECIALE
CEMENTO
MURATURE
PIETRE NATURALI
METALLI
LEGNO
VETRO
ISOLANTI
MEMBRANE SINTETICHE
PARETI VERTICALI
A 18
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE
A.1. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
SIMBOLOGIE GRAFICHE DI DESIGNAZIONE DEI TERRENI E DELLE ROCCE NELLE STRATIGRAFIE La descrizione delle caratteristiche tecnico-geologiche del terreno è in genere resa mediante stratigrafie, ovvero mediante sezioni che sintetizzano il risultato dei saggi e che indicano la natura, la successione e gli spes-
sori dei diversi strati che costituiscono il terreno. Le stratigrafie devono indicare la successione dei diversi strati, i relativi spessori e la quota relativa di ogni strato rispetto al piano di campagna.
La simbologia adottata più diffusamente in Italia per indicare i diversi terreni e rocce nelle stratigrafie è quella ordinata dalla Associazione Geotecnica Italiana, riportata nella Fig. A.1.5./3.
CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
FIG. A.1.5./3 SIMBOLOGIE PER LA RAPPRESENTAZIONE DI TERRENI E ROCCE NELLE STRATIGRAFIE
SABBIA LIEVEMENTE CEMENTATA
B.ATTERISTICLHI EDELLE
E ESE ESSIONAL PROF
ARENARIE
LIMO
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
ROCCE IGNEE INTRUSIVE (GRANITI, ECC.)
ARGILLA
CONGLOMERATI
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
ROCCE IGNEE EFFUSIVE (LAVE DI VARIO TIPO)
TORBA
TUFI VULCANICI
ARGILLA ORGANICA
MARNE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM ARGILLE LAMINATE ODINDURITE (ARGILLITI)
G.ANISTICA URB
SCISTI CRISTALLINI (MICASCISTI, FILLADI, ECC.)
ARGILLA CONSOLIDATA FESSURATA
GHIAIA
GNEISS
ARGILLE SCAGLIOSE, ARGILLOSCISTI
SABBIA
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P
TERRENI PIROCLASTICI
TERRENO VEGETALE
SABBIA E GHIAIA
NE A.2. NIZZAZIO ORGA OGETTO R DEL P
ROCCE CALCAREE (CALCARI, CALCARI DOLOMITICI, DOLOMIE, ECC.)
TERRENO DI RIPORTO
SABBIA FINA
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
SIMBOLOGIE GRAFICHE DI DESIGNAZIONE DEI MATERIALI DELLE COPERTURE PIANE E INCLINATE Non sussistono norme nazionali che regolano terminologia, classificazione e simbologie di designazione delle coperture piane o inclinate e delle loro parti componenti. Nella pratica professionale, tuttavia, si sono consolidati alcuni comportamenti che possono essere assunti a riferimento, come segue. Nella rappresentazione planimetrica delle coperture piane: • le linee di compluvio e di displuvio sono indicate con tratteggio continuo fine; • le direzioni di massima pendenza sono indicate con frecce orientate nel senso di deflusso delle acque; • i bocchettoni di raccolta delle acque vengono posizionati e indicati con un cerchio del relativo diametro; Nella rappresentazione planimetrica delle coperture inclinate (a tetto): • le linee di compluvio e di displuvio sono indicate con tratto continuo fine; • le direzioni di massima pendenza sono indicate con frecce orientate nel senso di deflusso delle acque; • le gronde di raccolta sono indicate dalla effettiva proiezione in pianta così come le posizioni degli imbocchi dei discendenti pluviali. Anche per quanto attiene alla rappresentazione dei materiali che costituiscono il manto di copertura ci si può riferire ad alcune convenzioni grafiche di larga diffusione, richiamate nella Fig. A.1.5./4.
FIG. A.1.5./4 SIMBOLOGIE PER LA RAPPRESENTAZIONE IN PIANTA DEI MATERIALI IMPIEGATI NELLE COPERTURE RAPP. 1:200 - 1:100
RAPP. 1:50 - 1:20
RAPP. 1:200 - 1:100
TEGOLE ALLA ROMANA
RAPP. 1:50 - 1:20
PANNELLI DI VETRO CON STRUTTURA DI METALLO
CANALI O COPPI
TERRAZZA CON PIASTRELLE DI (GRANIGLIA, GRES, ECC.)
TEGOLE ALLA MARSIGLIESE, PORTOGHESE, OLANDESE
TERRAZZA CON LASTRE DI MARMO
ETERNIT, ONDULIT E SIMILI
VETRO CEMENTO
PANNELLI DI LAMIERA ZINCATA, ALLUMINIO
ARDESIA LAVAGNA
ORMIN 5. A.1. LOGIE, TE IONI Z O N B SIM , CONVE ZIONE LOGIE PRESENTA P DI RA
A 19
A.1. 5.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE QUOTE: TIPI POSIZIONI CORRELAZIONI Nell’ambito delle diverse informazioni che il disegno trasmette agli altri operatori coinvolti nel processo edilizio, le quote, ovvero l’indicazione delle dimensioni generali e particolari dell’oggetto rappresentato e delle sue parti, costituiscono indicazione essenziale per una corretta comprensione del disegno stesso e per la fedele realizzazione del progetto. Pertanto si vuole che le quote siano univoche, di immediata lettura e di chiara riconducibilità all’elemento, parte o intervallo al quale si riferiscono. Si consideri che in tutti i casi nei quali non si riscontra una accettabile congruenza tra misure desumibili dalla rappresentazione grafica e le quote corrispondenti indicate (ad esempio tra lunghezza in scala di un segmento e quota indicata) deve sempre essere assunto come cogente il dato espresso dalla quota indicata. In epoca recente le quote – unitamente ad altri apparati di designazione e correlazione tra elementi e parti dell’edificio – hanno acquisito importanza crescente rispetto alla rappresentazione grafica nella elaborazione del progetto, fino ad assumere anche il ruolo di strumento di progettazione e montaggio degli elementi oltre a quello tradizionale di informazione. Tale nuova importanza si deve alla maggiore complessità e articolazione dei processi produttivi e al sempre più esteso impiego di sistemi di componenti industriali nella costruzione degli edifici. Di fatto la necessità di considerare, giunti, tolleranze di produzione e montaggio, congruenze tra materiali e processi eterogenei chiama in campo misure e intervalli sistematici che non possono trovare adeguata considerazione, verifica e controllo utilizzando solo strumenti grafici. Le quote che vengono collocate nei singoli disegni e nell’insieme degli elaborati grafici che costituiscono un progetto (o un rilievo) vengono ordinate in sistemi riferibili ai diversi operatori ai quali compete l’elaborazione successiva o la realizzazione delle parti e opere rappresentate, come sono: • altri professionisti ai quali competono elaborazioni tecniche in materia di strutture e di impianti; • organizzazione dell’impresa alla quale compete la programmazione e realizzazione delle opere; • industrie e/o artigiani ai quali compete la produzione di elementi e parti componenti complesse (infissi, opere in metallo, ascensori, ecc.)
SISTEMI DI QUOTE Nella generalità dei disegni esecutivi per l’edilizia si indicano i seguenti sistemi di quote principali: • • • •
sistema delle quote architettoniche esterne e finite; sistema delle quote architettoniche interne (date al rustico o finite); sistema delle quote strutturali; sistema delle quote di coordinamento modulare (per edifici o parti costituite da componenti modulari).
Le posizioni relative dei vani degli infissi (porte, finestre, vetrate e simili) sono date fissando l’asse o i margini del vano stesso all’interno dei sistemi di quote architettoniche esterne e interne; le dimensioni del vano (altezza e larghezza) vengono specificate da quote affiancate all’asse di posizione; simboli di designazione dei singoli infissi (lettere di chiamata) rimandano agli elaborati che ne specificano le caratteristiche (“casellario degli infissi” e “abaco dei nodi”).
SISTEMA DELLE QUOTE ARCHITETTONICHE ESTERNE E “FINITE” Il sistema delle quote architettoniche esterne dovrà indicare le misure corrispondenti a tutte le parti e/o elementi e le variazioni planimetriche e altimetriche rilevanti per la composizione e la costruzione dell’edificio, come sono: aggetti (balconi, corpi emergenti, ecc.), rientranze (logge, nicchie, ecc.) variazioni di giacitura e di allineamento; inoltre dovrà segnalare le posizioni relative di vani finestre, vetrate e simili rispetto alla parete nella quale vengono aperti, misurandone a volte la posizione dell’asse (caso di edifici con paramento murario generico), a volte l’effettivo intervallo di ingombro (caso di edifici a paramento modulare). La somma della “sequenza lineare di quote architettoniche” completa e finita, disposta secondo una determinata giacitura, dovrà risultare pari alla quota che misura l’ingombro complessivo dell’edificio preso secondo la stessa giacitura (quota architettonica totale).
SEQUENZE LINEARI DI QUOTE Ognuno dei sistemi di quote si articola in sequenze lineari continue e complete, disposte di preferenza parallelamente alla giacitura dei piani di contorno dell’oggetto rappresentato o, anche – nel caso di oggetti dal perimetro molto complesso – secondo assi cartesiani prefissati. Le sequenze lineari di quote, sia che si riferiscano a misure planimetriche – come è per planimetrie, piante, e simili – sia che si riferiscano a misure altimetriche – come è per sezioni, prospetti e simili – non dovranno presentare lacune o intervalli non quotati che ne interrompano la continuità. Le sequenze lineari appartenenti ai diversi sistemi di quote e riferite alle stesse parti o giaciture dovranno essere tra loro correlate, in modo da risultare confrontabili, congruenti e finite – ovvero completate con le misure dei giunti, delle tolleranze, degli scarti iniziali e finali –, con evidenza delle posizioni anche intermedie di congruenza, in modo che si verifichino somme totali identiche lungo tutte le sequenze correlate (e anche somme parziali identiche tra posizioni di congruenza intermedie). Ogni singola quota è rappresentata mediante una linea di misura, un intervallo di misura e un numero: • la linea di misura indica la giacitura del piano rispetto al quale si vogliono assumere misure, piano generalmente parallelo a una delle giaciture (o facce) principali dell’oggetto rappresentato; • l’intervallo di misura individua nella linea di misura una lunghezza corrispondente alla proiezione ortogonale sulla stessa dell’elemento, parte o intervallo che si misura; • il numero indica la misura analitica della proiezione sul piano delle misure dell’elemento o intervallo che si valuta e deve essere chiaramente collegato al corrispondente intervallo di misura. La Fig. A.1.5./5 schematizza i modi ricorrenti di indicazione di quote. Nel caso di edifici, oggetti o parti definiti da superfici curve si possono adottare sistemi di quotatura polari, basati sulla misurazione di raggi, angoli e funzioni trigonometriche riferiti a un centro geometrico o polo.
A 20
FIG A.1.5./5 SISTEMI DI INDICAZIONE DELLE QUOTE PLANIMETRICHE 8 mm 88 mm
22 mm
RIPARTIZIONE A TAGLIO - QUOTE SOVRASTANTI - INDICAZIONE DELL'UNITA'
88 mm
22 mm
6
RIPARTIZIONE A FRECCIA - QUOTE SOVRASTANTI - INDICAZIONE DELL'UNITA'
110
28
8
RIPARTIZIONE A FRECCIA - QUOTE IN LINEA
88 mm
22 mm
6
RIPARTIZIONE A PUNTO - QUOTE SOVRASTANTI - INDICAZIONE DELL'UNITA'
110 RIPARTIZIONE A PUNTO - QUOTE IN LINEA
28
8
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE
A.1. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
SISTEMI DELLE QUOTE STRUTTURALI NEI DISEGNI DELLA SERIE “ARCHITETTONICA” Il sistema delle quote strutturali indicate nei disegni architettonici non ha in genere valenza cogente, ma piuttosto di correlazione tra la struttura stessa e le altre parti che concorrono alla costruzione dell’edificio (murature di tamponamento, tramezzature, reti impiantistiche, ecc.). Le strutture, che siano in cemento armato o in metallo, vengono realizzate sulla base di elaborati specifici redatti dal professionista al quale compete il “progetto e calcolo delle strutture”, come sono: piante strutturali dette “carpenterie”, sezioni, casellari, di pilastri e travi, tabelle e “distinte dei ferri”, relazioni di calcolo, . Tutto ciò considerato, il sistema delle quote strutturali riportate negli esecutivi architettonici svolge i seguenti ruoli essenziali: • definire la “morfologia strutturale” dell’edificio, segnalandone gli aspetti essenziali, gli eventuali vin-
coli e le tolleranze al professionista incaricato dei “calcoli delle strutture”; • verificare la congruenza tra posizione e dimensione degli elementi strutturali e le altre parti e aspetti che concorrono alla costruzione dell’edificio: congruenza tra strutture e murature di tamponamento, tra strutture e tramezzature interne, tra strutture e reti impiantistiche, tra strutture e apertura di vani per gli infissi interni ed esterni, tra strutture e fruibilità degli, spazi. L’elaborato grafico che sintetizza i ruoli e le correlazioni appena elencati è costituito dalla “tavola dei fili fissi”. Si tratta di una pianta schematica che indica per gli elementi strutturali posizioni certe e dimensioni di ingombro prevedibili ma approssimate, mediante linee di maggiore spessore che segnalano per ogni pilastro i
vincoli di posizione, dimensione e di congruenza che dovranno essere rispettati in sede di calcolo. Le linee di maggiore spessore – dette appunto “fili fissi” – indicano, cioè, le giaciture dei piani che non potranno essere alterate dalla effettiva configurazione delle parti strutturali e dalle loro eventuali variazioni; pilastro, setto o trave potranno dunque crescere o ridursi solo rispetto alle altre linee di ingombro disegnate con tratto sottile; qualora il “filo fisso” sia posto in asse, l’elemento strutturale potrà variare simmetricamente rispetto allo stesso asse. Corrispondentemente, la sequenza di quote che misura il sistema strutturale dovrà anch’esso riferirsi alle posizioni dei “fili fissi” degli elementi strutturali, dal momento che in tali posizioni si hanno valori certi, indipendenti dalla effettiva dimensione delle strutture e congruenti con le altre parti dell’edificio e con la morfologia generale dell’edificio.
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
FIG A.1.5./6 SISTEMI DI QUOTATURA DELLE PIANTE
SISTEMI DI QUOTATURA DELLE PIANTE - EDIFICIO SEMPLICE, IN MURATURA PORTANTE
G.ANISTICA URB
QUOTE TOTALI QUOTE ARCHITETTONICHE (CON POSIZIONE DEI VANI DEI SERRAMENTI DATE ALL'ASSE)
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO ORGA OGETTO R DEL P
QUOTE INTERNE
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
SISTEMI DI QUOTATURA DELLE PIANTE - EDIFICIO CON STRUTTURA IN C.A. E PARAMENTO ESTERNO IN LATERIZI QUOTE TOTALI QUOTE STRUTTURALI A RIF. AL CASELLARIO DEGLI INFISSI A
B
QUOTE ARCHITETTONICHE
QUOTE INTERNE
SISTEMI DI QUOTATURA DELLE PIANTE - EDIFICIO CON PARAMENTO MODULARE QUOTE TOTALI 1
RIF. ALLA GRIGLIA STRUTTURALE
2
3 QUOTE STRUTTURALI
QUOTE ARCHITETTONICHE MODULARI (VANI DEI SERRAMENTI DATI COME INGOMBRO NEL RETICOLO MODULARE) MOD.
C
RIF. AL CASELLARIO DEGLI INFISSI
C
C
A
QUOTE INTERNE
ORMIN 5. A.1. LOGIE, TE IONI Z O N B SIM , CONVE ZIONE LOGIE PRESENTA P DI RA
A 21
A.1. 5.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE SIMBOLOGIE GRAFICHE DI RAPPRESENTAZIONE DELLE STRUTTURE IN CEMENTO ARMATO Per quanto attiene alla rappresentazioni delle strutture, i compendi delle norme UNI e degli altri organismi nazionali e internazionali di normazione presentano un quadro largamente incompleto e disuguale, con lacune più ampie nel settore delle strutture in cemento armato rispetto al settore delle strutture in acciaio. L’UNI in merito alla rappresentazione delle strutture in cemento armato ha emanato le seguenti norme: • UNI – ISO 3766 Rappresentazione simbolica delle armature del calcestruzzo • UNI 9120 Disegni di costruzioni e d’ingegneria civile: distinta dei ferri
PROSPETTO I COMPOSIZIONE DEL NUMERO DI CODICE 1° carattere 0 senza piegatura 1 1 piegatura
ELENCO DELLE FORME CORRENTI
2 2 piegature
“Quando il terzo carattere è utilizzato la direzione degli ancoraggi alle estremità (delle barre) deve essere indicata per mezzo di tratti discontinui come negli esempi del PROSPETTO II°. I valori delle quote indicate con la lettera devono comparire nella distinta dei ferri.
3 3 piegature
DISTINTA DEI FERRI
5 5 piegature
La distinta dei ferri è un documento che permette di specificare e identificare le barre d’armatura. La distinta dei ferri deve contenere le informazioni seguenti esposte nell’ordine sotto riportato: a elemento: identificazione dell’elemento di struttura nel quale si trova la barra; b riferimento della barra: caratteristiche proprie della barra; c tipo di acciaio; d diametro della barra, in mm; e lunghezza di ogni barra (lunghezza del taglio tenuto conto della perdita o guadagno per le pieghe, calcolati a partire dalle dimensioni e dai raggi specifici), in m; f numero delle barre per ogni elemento strutturale; g numero degli elementi per ciascun tipo; h numero totale delle barre f x g; i massa totale in kg; l codice della forma definito come in precedenza; m dimensioni delle parti curve, in mm; n lettere indicanti le modifiche; o riquadro delle iscrizioni (v. A.1.2.2.).
6 archi di cerchio
4 4 piegature
7 eliche
2° carattere 0 barre diritte 1 piegatura a 90° di raggio normalizzato tutte le curve nel medesimo senso 2 piegatura a 90° di raggio non normalizzato tutte le curve nel medesimo senso 3 piegatura a 180° di raggio non normalizzato tutte le curve nel medesimo senso
Norma UNI – ISO 3766 “Rappresentazione simbolica delle armature del calcestruzzo”
4 piegatura a 90° di raggio normalizzato le curvature non sono tutte nello stesso senso
Definisce i modi per rappresentare e designare le armature metalliche e relative lavorazioni (piegature, ancoraggi, risvolti, ecc.). La stessa norma elenca i dati che “le informazioni relative alle armature devono fornire:
5 piegature <90° tutte le curvature nel medesimo senso
a b c d e f g
numero (cioè quantità); dimensione della sezione; qualità dell’acciaio; lunghezza; distanza, cioè ‘spaziatura’ (in mm); numero di riferimento; collocazione in una soletta o nel muro.
Le informazioni concernenti gli insiemi di barre d’armatura devono essere fornite nell’ordine seguente: a b c d e f g h
numero (cioè quantità) degli insiemi (fasci); numero (cioè quantità) delle barre per insieme; dimensione (sezione); qualità dell’acciaio; lunghezza; numero di riferimento delle barre; distanza tra gli insiemi (in mm); collocazione nel getto”.
6 piegature <90° le curvature non sono tutte nel medesimo senso 7 archi o eliche
3° carattere 0 senza estremità d’ancoraggio (indicazione facoltativa) 1 con una estremità di ancoraggio definita da eventuali altre norme nazionali 2 con due estremità di ancoraggio definite da eventuali altre norme nazionali
4° carattere Norma UNI 9120 “Disegni di costruzioni e d’ingegneria civile: distinta dei ferri” Ha lo scopo di fissare i metodi di annotazione delle dimensioni delle barre, della loro codificazione, di fornire l’elenco delle forme correnti e di fornire una distinta dei ferri.
5 se una norma nazionale specifica un particolare raggio di curvatura (staffe, monconi) questo dovrà essere indicato con la lettera S
Metodi di annotazione delle dimensioni delle barre. “Le dimensioni delle parti curve devono essere annotate come indicato nelle Figg. 1a e 1b. Le dimensioni indicate sono quelle esterne massime eccetto che per i raggi di curvatura; il raggio deve avere valori minimi consentiti dalle norme e dai regolamenti nazionali. La lunghezza totale (lunghezza di taglio) deve essere calcolata sulla base delle dimensioni appropriate delle parti curve, tenuto conto dell’incremento per le curve e dei supplementi per i ganci” Sistema di codificazione delle barre. “Il codice delle barre si compone di due o, se necessario, di tre o quattro caratteri, definiti dal PROSPETTO I° (Composizione del numero di codice)”.
A 22
81-89 Forme definite da eventuali altre norme nazionali 99Forme non normalizzate speciali definite a mezzo di schizzo. Si raccomanda di usare il codice 99 per tutte le forme non normalizzate. All’uopo i numeri dal 91 al 99 sono disponibili per i casi che richiedono più di un numero per le forme speciali
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE
A.ZIONI
➦ SIMBOLOGIE GRAFICHE DI RAPPRESENTAZIONE DELLE STRUTTURE IN CEMENTO ARMATO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG A.1.5./7 ESEMPIO DI DISTINTA DEI FERRI CON INDICAZIONE DELLA CODIFICA DELLE FORME CORRENTI (DALLA NORMA UNI 9120)
Numero di codice
Forma
Senza estremità di ancoraggio
0.0. Senza piegatura Barre diritte
b
D.GETTAZIONE b
PRO TTURALE STRU r
1.2. Una piegatura, 90°,tutte le curve nel medesimo senso
E.NTROLLO
a
1.3. Una piegatura, 180°,tutte le curve nel medesimo senso
CO NTALE AMBIE
b
c
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
a
c
a
G.ANISTICA
b
c
a
URB
b a
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P
b
2.6. Due piegature, > 90°, le curve non sono tutte nel medesimo senso
c d
b a
NE A.2. NIZZAZIO ORGA OGETTO R DEL P
d
a b
3.1. Tre piegature, 90°, tutte le curve nel medesimo senso
c
d
2.5. Due piegature, > 90°, tutte le curve nel medesimo senso
CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU E ESE ESSIONAL PROF
a
2.1. Due piegature, 90°, tutte le curve nel medesimo senso
Con estremità di ancoraggio
C.RCIZIO
a
1.1. Una piegatura, 90°,tutte le curve nel medesimo senso
1.5. Una piegatura, > 90°, tutte le curve nel medesimo senso
B.ATTERISTICLHI EDELLE
Esempi
(e specificazione)
A.1. 5.
c c b
3.3. Tre piegature, 180°, tutte le curve nel medesimo senso
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
a e
a
d
b
4.1. Quattro piegature, 90°, tutte le curve nel medesimo senso
c
d
b
d e
b c
b
d
c
a b
5.1. Cinque piegature, 90°, tutte le curve nel medesimo senso
c a
b
4.6. Quattro piegature, > 90°, le curve non sono tutte nel medesimo senso
e
a
e
4.4. Quattro piegature, 90°, le curve non sono tutte nel medesimo senso
a a
r
6.7. Archi di cerchio, archi o eliche a
b
7.7. Eliche, archi o eliche
ORMIN 5. A.1. LOGIE, TE IONI Z O N B SIM , CONVE ZIONE LOGIE PRESENTA P DI RA
A 23
A.1. 5.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE SIMBOLOGIE DI DESIGNAZIONE NELLA RAPPRESENTAZIONE DELLE STRUTTURE IN ACCIAIO FIG A.1.5./8 RAPPRESENTAZIONE E QUOTATURA DI STRUTTURE DI CARPENTERIA METALLICA (NORMA UNI 7619) DESIGNAZIONE DELLE BARRE E DEI TUBI
ESEMPLIFICAZIONE DI QUOTATURA (Dalla norma UNI 7619)
DENOMINAZIONE
DESIGNAZIONE SEGNO GRAFICO
DIMENSIONE
SIGNIFICATO DELLE DIMENSIONI
d
BARRA TONDA
d dxs TUBO
s d
BARRA QUADRATA
l l lxs
TUBO QUADRATO
s l h
bxhxs TUBO RETTANGOLARE
s l ESEMPLIFICAZIONE DI DESIGNAZIONE DEL TIPO DI FORI E DI BULLONI BARRA ESAGONALE 4 x 100
d
50
d
dxs
TUBO ESAGONALE
s d
BARRA TRIANGOLARE
5 MIG X 50 UNI
L 70 x 7 - 500
l
h
l ESEMPLIFICAZIONE DI QUOTATURA DI UN GRUPPO SIMMETRICO DI FORI
BARRA SEMITONDA O SEMITONDA APPIATTITA
260
200
100
DESIGNAZIONE DEI PROFILATI DENOMINAZIONE DESIGNAZIONE
10 Ø 17 800
bxh
b
lxs
52
s
BARRA PIATTA O RETTANGOLARE
130
DENOMINAZIONE
PROFILATO A Z
PROFILATO A L
PROFILATO PER ROTABILI FERROVIARIE
PROFILATO A T
PROFILATO A L CON BULBO
PROFILATO A I
BARRA PIATTA CON BULBO
PROFILATO A U
DESIGNAZIONE
X
-2 25 7 6 X 70
0 10
50 X 5 - 1680
ESEMPLIFICAZIONE DI DESIGNAZIONE DEGLI ELEMENTI COMPONENTI
50 8 39 -2
L’UNI ha emanato due norme in materia di rappresentazione di strutture in metallo: La norma UNI 7619 “Rappresentazione e quotatura delle strutture di carpenteria metallica”. Definisce norme in merito alle modalità di elaborazione dei disegni tecnici, in particolare per quanto attiene alla rappresentazione e quotatura di insiemi e di particolari, per la progettazione e realizzazione di strutture metalliche, di apparecchi di sollevamento e trasporto, di ascensori, di contenitori. La norma UNI 8219 “Rappresentazione in pianta dei solai”.
100 x 10 - 5640
A 24
Definisce convenzioni, segni grafici e regole per la rappresentazione delle viste dall’alto (piante) di solai camminabili nelle strutture in carpenteria metallica.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE
A.1. 5. A.ZIONI
Norma UNI 7619 “Rappresentazione e quotatura delle strutture di carpenteria metallica”
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG A.1.5./9 ESEMPLIFICAZIONE DI QUOTATURA DEI NODI (NORMA UNI 7619)
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
A - ESEMPLIFICAZIONE DI QUOTATURA DI UN NODO (dalla norma UNI 7619) -
Quotatura
C.RCIZIO
• Le linee di riferimento devono essere staccate dai segni grafici rappresentanti fori, bulloni, chiodi e ribattini su viste o sezioni parallele al loro asse. 22
• Il diametro del foro deve essere indicato vicino al segno grafico.
(70)
80
CO NTALE AMBIE
338
81
G.ANISTICA 72
27
18
72
Designazione di barre, tubi, profilati e lamiere
27
• Vicino a tutte le rappresentazioni delle barre, tubi e profilati deve essere indicata la loro designazione UNI o di norme internazionali (ISO, EN, EURONORM) seguita, se necessario, dal valore della lunghezza separata da un breve tratto orizzontale.
3 x 105
28
45
50
3 x 110
9
27
8
22
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P
5
NE A.2. NIZZAZIO ORGA OGETTO R DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA 100
B - ESEMPLIFICAZIONE DI QUOTATURA DI UN NODO (dalla norma UNI 7619) -
Quotatura dei nodi • Il sistema di quotatura dei nodi deve essere riferito al punto di intersezione di almeno due assi neutri convergenti (punto di riferimento).
63
100
102
193
283
80
10 x 315 x 7785
• Le inclinazioni degli assi dei profili e delle barre devono essere indicate vicino ai due cateti di un triangolo rettangolo, preferibilmente con valori delle distanze reali tra i punti di riferimento oppure con valori convenzionali, in per cento, posti tra parentesi.
30
Ø 140 x 6
27
2
72
236
Rappresentazione schematica • Le strutture di carpenteria metallica possono essere rappresentate schematicamente indicando con linea continua grossa gli assi neutri degli elementi di intersezione. In questo caso i valori delle distanze tra i punti di riferimento degli assi neutri devono essere indicati direttamente sui segmenti che rappresentano gli elementi.
URB
30
30
• La quotatura dei nodi deve comprendere le quote di posizione dei fori rispetto agli assi neutri predetti e, eventualmente, le dimensioni di ingombro e la distanza minima tra i bordi del nodo e gli assi dei fori (pinza)
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
90
• Per i gruppi simmetrici di fori, bulloni, chiodi, ecc. può essere quotato solamente l’interasse.
• Dette designazioni possono essere semplificate utilizzando le designazioni (segno grafico + dimensioni) di cui alla tabella allegata. In questo caso i segni grafici devono essere orientati in modo da richiamare la posizione trasversale dei profilati.
F. TERIALI,
329 81
• La designazione dei fori, bulloni e chiodi, quando si riferisce a gruppi di elementi uguali, può essere indicata solo su un elemento. In questi casi la designazione deve essere preceduta dal numero dei fori, bulloni o chiodi costituenti il gruppo.
E.NTROLLO
10 x 455 x 810 (100)
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
300 45
• Per l’indicazione delle caratteristiche dei bulloni e dei chiodi deve essere indicata vicino al segno grafico o nella distinta dei pezzi la corrispondente designazione UNI o, in mancanza di questa, quella di norme internazionali ISO o di altre norme nazionali o estere.
280
E ESE ESSIONAL PROF
346 28
8
X
10
5
165 360
22
5
➥
ORMIN 5. A.1. LOGIE, TE IONI Z O N B SIM , CONVE ZIONE LOGIE PRESENTA P DI RA
A 25
A.1. 5.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE ➦ SIMBOLOGIE DI DESIGNAZIONE NELLA RAPPRESENTAZIONE DELLE STRUTTURE IN ACCIAIO Norma UNI 8219 “Rappresentazione in pianta dei solai” • Segni grafici per la rappresentazione in pianta dei tipi di solette (v. Tabella). • Segno grafico per la rappresentazione dei carichi: la trasmissione dei carichi e dei sovraccarichi sugli appoggi del solaio deve essere indicata mediante un segmento con due frecce. • Segni grafici per la rappresentazione in pianta di parapetti e fermapiedi (v. Tabella) FIG A.1.5./10 ESEMPLIFICAZIONE DELLA RAPPRESENTAZIONE IN PIANTA DI UN SOLAIO IN STRUTTURA METALLICA (NORMA UNI 8219) SEGNI GRAFICI PER LA RAPPRESENTAZIONE IN PIANTA DEI TIPI DI SOLETTE (UNI 8219) N. D'ORDINE DENOMINAZIONE SEGNO GRAFICO
2.1.1.
GRIGLIATO
2.1.2.
LAMIERA STRIATA
2.1.3.
2.1.4.
LAMIERA GRECATA
CONGLOMERATO CEMENTIZIO ARMATO
SEGNI GRAFICI PER LA RAPPRESENTAZIONE IN PIANTA DI PARAPETTI E FERMAPIEDI (UNI 8219) N. D'ORDINE DENOMINAZIONE SEGNO GRAFICO
2.3.1.
PARAPETTO
2.3.2.
FERMAPIEDI
2.3.3.
PARAPETTO CON FERMAPIEDI
DESIGNAZIONE E DIMENSIONE DI PROFILATI TAB. 1.5./1. TONDI IN BARRE (UNI 6012-74)
d
design. profilo
D mm
P kg/m
5 6 7
5 6 7
0,154 0,2 0,302
design. profilo
D mm
P kg/m
design. profilo
D mm
P kg/m
design. profilo
D mm
P kg/m
design. profilo
D mm
P kg/m
design. profilo
D mm
P kg/m
8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21
8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21
0,394 0,499 0,616 0,746 0,887 1,041 1,208 1,387 1,578 1,781 1,997 2,225 2,465 2,718
22 23 24 25 26 27 28 30 32 34 35 36 37 38
22 23 24 25 26 27 28 30 32 34 35 36 37 38
2,983 3,260 3,549 3,851 4,166 4,492 4,831 5,546 6,310 7,124 7,549 7,986 8,436 8,898
40 42 45 48 50 52 53 55 58 60 63 65 68 70
40 42 45 48 50 52 53 55 58 60 63 65 68 70
9,860 10,870 12,479 14,198 15,406 16,663 17,310 18,641 20,730 22,184 24,458 26,036 28,494 30,195
73 75 78 80 83 85 88 90 95 100 105 110 115 120
73 75 78 80 83 85 88 90 95 100 105 110 115 120
32,839 34,663 37,491 39,438 42,452 44,522 47,720 49,914 55,614 61,623 67,939 74,563 81,496 88 736
125 125 130 135 140 145 150 155 160 170 180 190 210 220
125 125 130 135 140 145 150 155 160 170 180 190 210 220
96,285 96,285 104,142 112,307 120,780 129,561 138,651 148,048 157,754 178,089 199,657 222,457 271,755 298,253
TAB. 1.5./2. QUADRI IN BARRE (UNI 6013-74)
d
A 26
design. profilo
D mm
P kg/m
design. profilo
D mm
P kg/m
design. profilo
D mm
P kg/m
design. profilo
D mm
P kg/m
design. profilo
D mm
P kg/m
6 7 8 9 10 11 12
6 7 8 9 10 11 12
0,283 0,385 0,502 0,636 0,785 0,950 1,130
13 14 15 16 18 19 20
13 14 15 16 18 19 20
1,327 1,539 1,766 2,010 2,543 2,834 3,140
22 25 26 28 30 32 35
22 25 26 28 30 32 35
3,799 4,906 5,307 6,154 7,065 8,038 9,616
38 40 45 50 55 60 70
38 40 45 50 55 60 70
11,335 12,560 15,896 19,625 23,746 28,260 38,465
80 90 100 120 130
80 90 100 120 130
50,240 63,585 78,500 113,040 132,665
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE
A.1. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. A.1.5./3 PIATTI (UNI 6014-67)
s l
design. L S P profilo mm mm kg/m 10 x 4 10 4 0,314 10 x 5 10 5 0,392 10 x 6* 10 6 0,471 10 x 7* 10 7 0,550 12 x 4 12 4 0,377 12 x 5 12 5 0,471 12 x 6 12 6 0,565 12 x 7* 12 7 0,659 14 x 4 14 4 0,440 14 x 5 14 5 0,550 14 x 6 14 6 0,659 14 x 7* 14 7 0,659 14 x 8 14 8 0,879 14 x 9* 14 9 0,989 15 x 4* 15 4 0,471 15 x 5* 15 5 0,589 15 x 6* 15 6 0,706 15 x 7* 15 7 0,824 15 x 8* 15 8 0,942 15 x 9* 15 9 1,060 16 x 4 16 4 0,502 16 x 5 16 5 0,628 16 x 6 16 6 0,754 16 x 7* 16 7 0,879 16 x 8 16 8 1,000 16 x 9* 16 9 1,130 16 x 10 16 10 1,260 18 x 4 18 4 1,565 18 x 5 18 5 0,706 18 x 6 18 6 0,848 18 x 7 18 7 0,989 18 x 8 18 8 1,130 18 x 9* 18 9 1,270 18 x 10 18 10 1,410 20 x 4 20 4 0,628 20 x 5 20 5 0,785 20 x 6 20 6 0,942 20 x 7* 20 7 1,100 20 x 8 20 8 1,260 20 x 9* 20 9 1,410 20 x 10 20 10 1,570 20 x 12 20 12 1,880 20 x 14* 20 14 2,200 20 x 15 20 15 2,360 22 x 4 22 4 0,691 22 x 5 22 5 0,864 22 x 6 22 6 1,040 22 x 7* 22 7 1,210 22 x 8 22 8 1,380 22 x 9* 22 9 1,550 22 x 10 22 10 1,730 22 x 12 22 12 2,070 22 x 14* 22 14 2,420 22 x 15 22 15 2,590 25 x 4 25 4 0,785 25 x 5 25 5 0,981 25 x 6 25 6 1,18 25 x 7* 25 7 1,37 25 x 8 25 8 1,57 25 x 9* 25 9 1,77 25 x 10 25 10 1,95
design. L S P profilo mm mm kg/m 25 x 12 25 12 2,36 25 x 14* 25 14 2,75 25 x 15 25 15 2,94 30 x 4 30 4 0,94 30 x 5 30 5 1,18 30 x 6 30 6 1,41 30 x 7* 30 7 1,65 30 x 8 30 8 1,88 30 x 9* 30 9 2,12 30 x 10 30 10 2,36 30 x 12 30 12 2,83 30 x 14* 30 14 3,30 30 x 15 30 15 3,53 30 x 16* 30 16 3,77 30 x 20 30 20 4,71 35 x 5 35 5 1,37 35 x 6 35 6 1,65 35 x 7* 35 7 1,92 35 x 8 35 8 2,20 35 x 9* 35 9 2,47 35 x 10 35 10 2,75 35 x 12 35 12 3,30 35 x 14* 35 14 3,85 35 x 15 35 15 4,12 35 x 16* 35 16 4,40 35 x 20 35 20 5,50 35 x 25 35 25 6,87 40 x 4 40 4 1,26 40 x 5 40 5 1,57 40 x 6 40 6 1,88 40 x 7* 40 7 2,20 40 x 8 40 8 2,51 40 x 10 40 10 3,14 40 x 12 40 12 3,77 40 x 14* 40 14 4,40 40 x 15 40 15 4,71 40 x 16* 40 16 5,02 40 x 20 40 20 6,28 40 x 25 40 25 7,85 40 x 30 40 30 9,42 45 x 4 45 4 1,41 45 x 5 45 5 1,77 45 x 6 45 6 2,12 45 x 7* 45 7 2,47 45 x 8 45 8 2,83 45 x 10* 45 10 3,53 45 x 12 45 12 4,24 45 x 15 45 15 5,30 45 x 16 45 16 5,65 45 x 20* 45 20 7,09 45 x 25 45 25 8,83 45 x 30 45 30 10,60 50 x 4 50 4 1,57 50 x 5* 50 5 1,96 50 x 6 50 6 2,36 50 x 7 50 7 2,75 50 x 8 50 8 3,14 50 x 10* 50 10 3,92 50 x 12 50 12 4,71 50 x 14* 50 14 5,50 50 x 15 50 15 5,89 50 x 16 50 16 6,28 50 x 20 50 20 7,85 50 x 25 50 25 9,81 50 x 30 50 30 11,80 50 x 35* 50 35 13,70 50 x 40* 50 40 15,70 60 x 4 60 4 1,88 60 x 5 60 5 2,36 60 x 6 60 6 2,83 60 x 8 60 8 3,77 60 x 10 60 10 4,71 60 x 12 60 12 5,65 60 x 14* 60 14 6,59 60 x 15 60 15 7,06
design. profilo 60 x 16 60 x 20 60 x 25 60 x 30 60 x 35* 60 x 40 60 x 45* 60 x 50* 70 x 4 70 x 5 70 x 8 70 x 10 70 x 12 70 x 14* 70 x 15 70 x 16* 70 x 20 70 x 25 70 x 30 70 x 35* 70 x 40 70 x 45* 70 x 50 70 x 60 80 x 5 80 x 6 80 x 8 80 x 10 80 x 12 80 x 14* 80 x 15 80 x 16* 80 x 20 80 x 25 80 x 30 80 x 35* 80 x 40 80 x 50 80 x 60* 90 x 5 90 x 6 90 x 7 90 x 8 90 x 10* 90 x 12 90 x 14* 90 x 15 90 x 16* 90 x 20 90 x 25 90 x 30 90 x 35* 90 x 40 90 x 45* 90 x 50 90 x 60* 100 x 5 100 x 6 100 x 7* 100 x 8 100 x 10 100 x 12 100 x 14* 100 x 15 100 x 16* 100 x 20 100 x 25 100 x 30 100 x 35* 100 x 40 100 x 45* 100 x 50 100 x 60* 110 x 5 110 x 6
L S P mm mm kg/m 60 16 7,54 60 20 9,42 60 25 11,80 60 30 14,10 60 35 16,50 60 40 18,80 60 45 21,20 60 50 23,60 70 4 2,20 70 5 2,75 70 8 4,40 70 10 5,50 70 12 6,59 70 14 7,69 70 15 8,24 70 16 8,79 70 20 11,00 70 25 13,70 70 30 16,50 70 35 19,20 70 40 22,00 70 45 24,70 70 50 27,50 70 60 33,00 80 5 3,14 80 6 3,77 80 8 5,02 80 10 6,28 80 12 7,54 80 14 8,79 80 15 9,42 80 16 10,00 80 20 12,60 80 25 15,70 80 30 18,80 80 35 22,00 80 40 25,10 80 50 31,40 80 60 37,70 90 5 3,53 90 6 4,24 90 7 4,95 90 8 5,65 90 10 7,06 90 12 8,48 90 14 9,89 90 15 10,60 90 16 11,30 90 20 14,10 90 25 17,70 90 30 21,20 90 35 24,70 90 40 28,30 90 45 31,80 90 50 35,30 90 60 42,40 100 5 3,92 100 6 4,71 100 7 5,50 100 8 6,28 100 10 7,85 100 12 9,42 100 14 11,00 100 15 11,80 100 16 12,60 100 20 15,70 100 25 19,60 100 30 23,60 100 35 27,50 100 40 31,40 100 45 35,30 100 50 39,20 100 60 47,10 110 5 4,32 110 6 5,18
design. profilo 110 x 7* 110 x 8 110 x 10 110 x 12 110 x 14* 110 x 15 110 x 16* 110 x 20 110 x 25 110 x 30 110 x 35* 110 x 40 110 x 7* 110 x 8 110 x 10 110 x 12 110 x 14* 110 x 15 110 x 45* 110 x 50 110 x 60* 120 x 5* 120 x 6 120 x 7* 120 x 8 120 x 10 120 x 12 120 x 14* 120 x 16* 120 x 20 120 x 25 120 x 30 120 x 35* 120 x 40 120 x 45* 120 x 50 120 x 60* 130 x 5* 130 x 6 130 x 7* 130 x 8 130 x 9* 130 x 10 130 x 12 130 x 14* 130 x 15 130 x 16* 130 x 18* 130 x 20 130 x 22* 130 x 25 130 x 27* 130 x 30 130 x 35* 130 x 40 130 x 45* 130 x 50 130 x 60* 140 x 5* 140 x 6* 140 x 7* 140 x 8 140 x 9* 140 x 10 140 x 12 140 x 14* 140 x 15 140 x 16* 140 x 18* 140 x 20 140 x 22* 140 x 25 140 x 27* 140 x 30 140 x 40
L S P mm mm kg/m 110 7 6,04 110 8 6,91 110 10 8,64 110 12 10,40 110 14 12,10 110 15 13,00 110 16 13,80 110 20 17,30 110 25 21,60 110 30 25,90 110 35 30,20 110 40 34,50 110 7 6,04 110 8 6,91 110 10 8,64 110 12 10,40 110 14 12,10 110 15 13,00 110 45 38,90 110 50 43,20 110 60 51,80 120 5 4,71 120 6 5,65 120 7 6,59 120 8 7,54 120 10 9,42 120 12 11,30 120 14 13,20 120 16 15,10 120 20 18,80 120 25 23,60 120 30 28,30 120 35 33,00 120 40 37,70 120 45 42,40 120 50 47,10 120 60 56,50 130 5 5,10 130 6 6,12 130 7 7,14 130 8 8,16 130 9 9,18 130 10 10,20 130 12 12,20 130 14 14,30 130 15 15,30 130 16 16,30 130 18 18,40 130 20 20,40 130 22 22,50 130 25 25,50 130 27 27,60 130 30 30,60 130 35 35,70 130 40 40,80 130 45 45,90 130 50 51,00 130 60 61,20 140 5 5,50 140 6 6,59 140 7 7,69 140 8 8,79 140 9 9,89 140 10 11,00 140 12 13,20 140 14 15,40 140 15 16,50 140 16 17,60 140 18 19,80 140 20 22,00 140 22 24,20 140 25 27,50 140 27 29,70 140 30 33,00 140 40 44,00
design. profilo 140 x 45* 140 x 50 140 x 60* 150 x 5* 150 x 6* 150 x 7* 150 x 8 150 x 9* 150 x 10 150 x 12 150 x 14* 150 x 15 150 x 16* 150 x 18* 150 x 20 150 x 22* 150 x 25 150 x 27* 150 x 30 150 x 35* 150 x 40 150 x 45* 150 x 50 150 x 60* 160 x 5* 160 x 6* 160 x 7* 160 x 8* 160 x 9* 160 x 10* 160 x 12* 160 x 14* 160 x 15* 160 x 16* 160 x 18* 160 x 20* 160 x 22* 160 x 25* 160 x 27* 160 x 30* 170 x 5* 170 x 6* 170 x 7* 170 x 8* 170 x 9* 170 x 10* 170 x 12* 170 x 14* 170 x 15* 170 x 16* 170 x 18* 170 x 20* 170 x 22* 170 x 25* 170 x 27* 170 x 30* 180 x 6* 180 x 7* 180 x 8* 180 x 9* 180 x 10* 180 x 12* 180 x 14* 180 x 15* 180 x 16* 180 x 18* 180 x 20* 180 x 22* 180 x 25* 180 x 27* 180 x 30* 190 x 8* 190 x 9* 190 x 10* 190 x 12*
L S P mm mm kg/m 140 45 49,50 140 50 55,00 140 60 65,90 150 5 5,89 150 6 7,06 150 7 8,24 150 8 9,42 150 9 10,60 150 10 11,80 150 12 14,10 150 14 16,50 150 15 17,70 150 16 18,80 150 18 21,20 150 20 23,60 150 22 25,90 150 25 29,40 150 27 31,80 150 30 35,30 150 35 41,20 150 40 47,10 150 45 53,00 150 50 58,90 150 60 70,60 160 5 6,28 160 6 7,54 160 7 8,79 160 8 10,00 160 9 11,30 160 10 12,60 160 12 15,10 160 14 17,60 160 15 18,80 160 16 20,10 160 18 22,60 160 20 25,10 160 22 27,60 160 25 31,40 160 27 33,90 160 30 37,70 170 5 6,67 170 6 8,01 170 7 9,34 170 8 10,70 170 9 12,00 170 10 13,30 170 12 16,00 170 14 18,70 170 15 20,00 170 16 21,40 170 18 24,00 170 20 26,70 170 22 29,40 170 25 33,40 170 27 36,00 170 30 40,30 180 6 8,48 180 7 9,89 180 8 11,30 180 9 12,70 180 10 14,10 180 12 17,00 180 14 19,80 180 15 21,20 180 16 22,60 180 18 25,40 180 20 28,30 180 22 31,10 180 25 35,30 180 27 38,20 180 30 42,40 190 8 11,90 190 9 13,40 190 10 14,90 190 12 17,90
design. profilo 190 x 14* 190 x 15* 190 x 16* 190 x 18* 190 x 20* 190 x 22* 190 x 25* 190 x 27* 190 x 30* 200 x 8* 200 x 9* 200 x 10* 200 x 12* 200 x 14* 200 x 15* 200 x 16* 200 x 18* 200 x 20* 200 x 22* 200 x 25* 200 x 27* 200 x 30* 200 x 35* 200 x 40* 220 x 10* 220 x 12* 220 x 15* 220 x 18* 220 x 20* 220 x 25* 220 x 30* 220 x 40* 250 x 10* 250 x 12* 250 x 15* 250 x 18* 250 x 20* 250 x 25* 250 x 30* 250 x 35* 250 x 40* 280 x 10* 280 x 12* 280 x 15* 280 x 18* 280 x 20* 280 x 25* 280 x 30* 280 x 35* 280 x 40* 300 x 10* 300 x 12* 300 x 15* 300 x 18* 300 x 20* 300 x 25* 300 x 30* 300 x 35* 300 x 40* 320 x 10* 320 x 12* 320 x 15* 320 x 18* 320 x 20* 320 x 25* 320 x 30* 320 x 35* 320 x 40* 350 x 10* 350 x 12* 350 x 15* 350 x 18* 350 x 20* 350 x 25* 350 x 30*
L S P mm mm kg/m 190 14 20,90 190 15 22,40 190 16 23,90 190 18 26,80 190 20 29,80 190 22 32,80 190 25 37,30 190 27 40,30 190 30 44,70 200 8 12,60 200 9 14,10 200 10 15,70 200 12 18,80 200 14 22,00 200 15 23,00 200 16 25,10 200 18 28,30 200 20 31,40 200 22 34,50 200 25 39,20 200 27 42,40 200 30 47,10 200 35 55,00 200 40 62,80 220 10 17,30 220 12 20,70 220 15 25,90 220 18 31,10 220 20 34,50 220 25 43,20 220 30 51,80 220 40 69,10 250 10 19,60 250 12 23,60 250 15 29,40 250 18 35,30 250 20 39,20 250 25 49,10 250 30 58,90 250 35 68,70 250 40 78,50 280 10 522,00 280 12 26,40 280 15 33,00 280 18 39,60 280 20 44,00 280 25 55,00 280 30 65,90 280 35 76,90 280 40 87,90 300 10 23,60 300 12 28,30 300 15 35,20 300 18 42,40 300 20 47,10 300 25 58,90 300 30 70,60 300 35 82,40 300 40 94,20 320 10 25,10 320 12 30,10 320 15 37,70 320 18 45,20 320 20 50,20 320 25 62,80 320 30 75,40 320 35 87,90 320 40 100,00 350 10 27,50 350 12 33,00 350 15 41,20 350 18 49,50 350 20 55,00 350 25 68,70 350 30 82,40
➥
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO ORGA OGETTO R DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
ORMIN 5. A.1. LOGIE, TE IONI Z O N B SIM , CONVE ZIONE LOGIE PRESENTA P DI RA
A 27
A.1. 5.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE ➦ SIMBOLOGIE DI DESIGNAZIONE NELLA RAPPRESENTAZIONE DELLE STRUTTURE IN ACCIAIO TAB. A.1.5./4 ANGOLARI A LATI UGUALI SPIGOLI ROTONDI (UNI 5783-73) design. profilo 15 x 3 20 x 3 20 x 4 25 x 3 25 x 4 25 x 5 30 x 3 30 x 4 30 x 5 30 x 6 35 x 3* 35 x 3,5* 35 x 4 35 x 5 35 x 6 40 x 3* 40 x 4 40 x 5 40 x 6 45 x 3* 45 x 4* 45 x 5 45 x 6 45 x 7 50 x 3* 50 x 4* 50 x 5 50 x 6 50 x 7
r'
l r s l
L S R R’ mm mm mm mm 15 3 3,5 2 20 3 4 2 20 4 4 2 25 3 4 2 25 4 4 2 25 5 4 2 30 3 5 2,5 30 4 5 2,5 30 5 5 2,5 30 6 5 2,5 35 3 5 2,5 35 3,5 5 2,5 35 4 5 2,5 35 5 5 2,5 35 6 5 2,5 40 3 6 3 40 4 6 3 40 5 6 3 40 6 6 3 45 3 7 3,5 45 4 7 3,5 45 5 7 3,5 45 6 7 3,5 45 7 7 3,5 50 3 7 3,5 50 4 7 3,5 50 5 7 3,5 50 6 7 3,5 50 7 7 3,5
P kg/m 0,643 0,885 1,144 1,12 1,458 1,78 1,363 1 779 2,18 2,564 1,599 1,848 2,093 2,572 3,035 1,844 2,417 2,974 3,516 2,09 2,742 3,378 3,998 4,602 2,326 3,056 3,77 4,469 5,152
design. profilo 50 x 8 50 x 9 55 x 4* 55 x 5 55 x 6 55 x 8 60 x 4* 60 x 5 60 x 6 60 x 8 60 x 10 65 x 5* 65 x 6* 65 x 7 65 x 9 70 x 5* 70 x 6* 70 x 7 70 x 8 70 x 9 70 x 10 70 x 11 75 x 5* 75 x 6* 75 x 7 75 x 8 75 x 9 75 x 10 75 x 11
L S R R’ mm mm mm mm 50 8,5 7 3,5 50 9 7 3,5 55 4 8 4 55 5 8 4 55 6 8 4 55 8 8 4 60 4 8 4 60 5 8 4 60 6 8 4 60 8 8 4 60 10 8 4 65 5 9 4,5 65 6 9 4,5 65 7 9 4,5 65 9 9 4,5 70 5 9 4,5 70 6 9 4,5 70 7 9 4,5 70 8 9 4,5 70 9 9 4,5 70 10 9 4,5 70 11 9 4,5 75 5 10 5 75 6 10 5 75 7 10 5 75 8 10 5 75 9 10 5 75 10 10 5 75 11 10 5
P kg/m 5,819 6,47 3,382 4,175 4,952 6,46 3,696 4,568 5,423 7,088 8,689 4,975 5,909 6,827 8,617 5,367 6,38 7,377 8,358 9,324 10,273 11,208 5,78 6,87 7,94 9 10,05 11,07 12,09
design. profilo 80 x 6* 80 x 7* 80 x 8 80 x 10 80 x 12 90 x 6* 90 x 7* 90 x 8 90 x 9 90 x 10 90 x 11 90 x 12 90 x 13 90 x 15 100 x 6* 100 x 7* 100 x 8* 100 x 9* 100 x 10 100 x 12 100 x 14 100 x 15 100 x 16 110 x 6* 110 x 7* 110 x 8* 110 x 9* 110 x 10 110 x 12
L S R R’ mm mm mm mm 80 6 10 5 80 7 10 5 80 8 10 5 80 10 10 5 80 12 10 5 90 6 11 5,5 90 7 11 5,5 90 8 11 5,5 90 9 11 5,5 90 10 11 5,5 90 11 11 5,5 90 12 11 5,5 90 13 11 5,5 90 15 11 5,5 100 5 12 6 100 7 12 6 100 8 12 6 100 9 12 6 100 10 12 6 100 12 12 6 100 14 12 6 100 15 12 6 100 16 12 6 110 6 12 6 110 7 12 6 110 8 12 6 110 9 12 6 110 10 12 6 110 12 12 6
design. profilo 110 x 14 120 x 8* 120 x 9* 120 x 10* 120 x 11 120 x 12 120 x 13 120 x 15 120 x 18 130 x 12 130 x 14 130 x 16 140 x 13 140 x 15 140 x 17 150 x 12 150 x 14 150 x 15 150 x 16 150 x 18 180 x 15 180 x 18 180 x 20 200 x 16 200 x 18 200 x 20 200 x 24
P kg/m 7,34 8,49 9,63 11,86 14,03 8,3 9,61 10,9 12,18 13,45 14,7 15,93 17,14 19,53 9,26 10,73 12,18 13,62 15,04 17,83 20,56 21,91 23,23 10,2 11,83 13,44 15,03 16,61 19,72
L S R R’ mm mm mm mm 110 4 2 6 120 8 13 6,5 120 9 13 6,5 120 10 13 6,5 120 11 13 6,5 120 12 13 6,5 120 13 13 6,5 120 15 13 6,5 120 18 13 6,5 130 12 14 7 130 14 14 7 130 16 14 7 140 13 15 7,5 140 15 15 7,5 140 17 15 7,5 150 12 16 8 150 14 16 8 150 15 16 8 150 16 16 8 150 18 16 8 180 15 18 9 180 18 18 9 180 20 18 9 200 16 18 9 200 18 18 9 200 20 18 9 200 24 18 9
P kg/m 22,76 14,71 16,46 18,2 19,92 21,62 23,31 26,64 31,51 23,53 27,2 30,81 27,44 31,39 35,29 27,35 31,65 33,77 35,89 40,06 40,9 48,6 53,65 48,5 54,25 59,93 71,11
TAB. A.1.5./5 ANGOLARI A LATI DISUGUALI SPIGOLI TONDI (UNI 5784-73) r'
l
r s l'
design. profilo 30 x 20 x 3 30 x 20 x 4 30 x 20 x 5 35 x 20 x 4 35 x 20 x 5 40 x 20 x 3 40 x 20 x 4 40 x 20 x 5 40 x 25 x 4 40 x 25 x 5 45 x 30 x 4 45 x 30 x 5 45 x 30 x 6 50 x 30 x 4 50 x 30 x 5 50 x 30 x 6 60 x 30 x 5 60 x 30 x 6 60 x 30 x 7 60 x 40 x 5 60 x 40 x 6 60 x 40 x 7 65 x 50 x 5 65 x 50 x 6 65 x 50 x 7 65 x 50 x 8 75 x 50 x 5
L mm 30 30 30 35 35 40 40 40 40 40 45 45 45 50 50 50 60 30 60 60 60 60 65 65 65 65 75
L’ S R R’ mm mm mm mm 20 3 4 2 20 4 4 2 20 5 4 2 20 4 4 2 20 5 4 2 20 3 4 2 20 4 4 2 20 5 4 2 25 4 4 2 25 5 4 2 30 4 4 2 30 5 4 2 30 6 4 2 30 4 5 2,5 30 5 5 2,5 30 6 5 2,5 30 5 6 3 30 6 6 3 30 7 6 3 40 5 6 3 40 6 6 3 40 7 6 3 50 5 6 3 50 6 6 3 50 7 6 3 50 8 6 3 50 5 7 3,5
P kg/m 1,12 1,46 1,78 1,61 1,98 1,36 1,77 2,17 1,93 2,37 2,24 2,76 3,26 2,41 2,96 3,51 3,37 3,99 4,59 3,76 4,46 5,14 4,35 5,16 5,96 6,75 4,75
design. L L’ profilo mm mm 75 x 50 x 6 75 50 75 x 50 x 7 75 50 75 x 50 x 8 75 50 75 x 50 x 9 75 50 80 x 40 x 5 80 40 80 x 40 x 6 80 40 80 x 40 x 7 80 40 80 x 40 x 8 80 40 80 x 60 x 6 80 60 80 x 60 x 7 80 60 80 x 60 x 8 80 60 80 x 60 x 10 80 60 100 x 50 x 6 100 50 100 x 50 x 7 100 50 100 x 50 x 8 100 50 100 x 50 x 10 100 50 100 x 65 x 7 100 65 100 x 65 x 8 100 65 100 x 65 x 9 100 65 100 x 65 x 10 100 65 100 x 65 x 11 100 65 100 x 75 x 8 100 75 100 x 75 x 10 100 75 100 x 75 x 12 100 75 110 x 75 x 8 110 75 110 x 75 x 10 110 75 120 x 60 x 8 120 60
S mm 6 7 8 9 5 6 7 8 6 7 8 10 6 7 8 10 7 8 9 10 11 8 10 12 8 10 8
R mm 7 7 7 7 7 7 7 7 8 8 8 8 9 9 9 9 10 10 10 10 10 10 10 10 10 10 10
R’ mm 3,5 3,5 3,5 3,5 3,5 3,5 3,5 3,5 4 4 4 4 4,5 4,5 4,5 4,5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5
P kg/m 4,65 6,53 7,39 8,24 4,56 5,41 6,25 7,07 6,37 7,36 8,34 10,26 6,85 7,93 8,99 11,06 8,77 9,94 11,11 12,25 13,38 10,57 13,04 15,44 11,2 13,82 10,89
design. profilo 120 x 80 x 8 120 x 80 x 10 120 x 80 x 12 120 x 80 x 14 125 x 75 x 8 125 x 75 x 10 125 x 75 x 12 130 x 65 x 8 130 x 65 x 10 130 x 65 x 12 150 x 75 x 9 150 x 75 x 10 150 x 75 x 12 150 x 75 x 15 150 x 90 x 10 150 x 90 x 12 150 x 90 x 15 150 x 100 x 10 150 x 100 x 12 150 x 100 x 14 200 x 90 x 9 200 x 90 x 10 200 x 90 x 11 200 x 90 x 12 200 x 90 x 15 200 x 100 x 10 200 x 100 x 12
L mm 120 120 120 120 125 125 125 130 130 130 150 150 150 150 150 150 150 150 150 150 200 200 200 200 200 200 200
L’ mm 80 80 80 80 75 75 75 65 65 65 75 75 75 75 90 90 90 100 100 100 90 90 90 90 90 100 100
S mm 8 10 12 14 8 10 12 8 10 12 9 10 12 15 10 12 15 10 12 14 9 10 11 12 15 10 12
R mm 11 11 11 11 11 11 11 11 11 11 11 11 11 11 12 12 12 13 13 13 13 13 13 13 13 15 15
R’ mm 5,5 5,5 5,5 5,5 5,5 5,5 5,5 5,5 5,5 5,5 5,5 5,5 5,5 5,5 6 6 6 6,5 6,5 6,5 6,5 6,5 6,5 6,5 6,5 7,5 7,5
P kg/m 12,16 15,02 17,81 20,54 12,16 15,02 17,81 11,85 14,62 17,34 15,36 16,98 20,17 24,83 18,18 21,6 26,62 18,98 22,56 26,08 20 22,12 24,23 26,33 32,52 22,95 27,32
TAB. A.1.5./6 ANGOLARE A T, SPIGOLI TONDI r2 . h/2
s
h r
1 .r
t1 b
A 28
t b/4
design. profilo 20 x 20 25 x 25 30 x 30 35 x 35
H=B S=T=R T’ R’ R” P mm mm mm mm mm kg/m 20 3 2,9 1,5 1 0,88 25 3,5 3,4 2 1 1,29 30 4 3,8 2 1 1,77 35 4,5 4,3 2,5 1 2,33
design. profilo 40 x 40 45 x 45 50 x 50 60 x 60
H=B S=T=R T’ R’ R” P mm mm mm mm mm kg/m 40 5 4,8 2,5 1 2,96 45 5,5 5,3 3 1,5 3,67 50 6 5,7 3 1,5 4,44 60 7 6,7 3,5 2 6,23
design. profilo 70 x 70 80 x 80 100 x 100 120 x 120
H=B S=T=R mm mm 70 8 80 9 100 11 120 13
T’ R’ R” P mm mm mm kg/m 7,6 4 2 8,32 8,6 4,5 2 10,7 10,5 4,5 3 16,4 12,4 6,5 3 23,2
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE
A.1. 5. A.ZIONI
TAB. A.1.5./7 TRAVI
HE
HE A – SERIE LEGGERA
r s 1 h2 h
h
t b
HE B – SERIE NORMALE
r s 2 1
h
h h
t b
HE B – SERIE NORMALE
r 2 1
h
h h
s
t b
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
AD ALI LARGHE PARALLELE (UNI 5397-64) design. profilo HE 100 A HE 120 A HE 140 A HE 160 A HE 180 A HE 200 A HE 220 A HE 240 A HE 260 A HE 280 A
H mm 96 114 133 152 171 190 210 230 250 270
B mm 100 120 140 160 180 200 220 240 260 280
S mm 5,0 5,0 5,5 6,0 6,0 6,5 7,0 7,5 7,5 8,0
T mm 8,0 8,0 8,5 9,0 9,5 10,0 11,0 12,0 12,5 13,0
R mm 12 12 12 15 15 18 18 21 24 24
H’ mm 56 74 92 104 122 134 152 164 177 196
H” SEZ. P mm cmq kg/m 80 21,2 16,6 98 25,3 19,9 116 31,4 24,6 134 38,8 30,5 152 45,3 35,6 170 53,8 42,2 188 64,3 50,5 206 76,8 60,3 225 86,8 68,1 244 97,3 76,4
design. profilo HE 300 A HE 320 A HE 340 A HE 360 A HE 400 A HE 450 A HE 500 A HE 550 A HE 600 A
H mm 290 310 330 350 390 440 490 540 590
B mm 300 300 300 300 300 300 300 300 300
S mm 8,5 9,0 9,5 10,0 11,0 11,5 12,0 12,5 13,0
T mm 14,0 15,5 16,5 17,5 19,0 21,0 23,0 24,0 25,0
R mm 27 27 27 27 27 27 27 27 27
H’ mm 208 225 243 261 298 344 390 438 486
H” SEZ. P mm cmq kg/m 262 112,5 88,3 279 124,4 97,7 297 133,5 104,8 315 142,8 112,1 352 159,0 124,8 398 178,0 139,7 444 197,5 155,0 492 211,8 166,3 540 226,5 177,8
design. profilo HE 100 B HE 120 B HE 140 B HE 160 B HE 180 B HE 200 B HE 220 B HE 240 B HE 260 B HE 280 B
H mm 100 120 140 160 180 200 220 240 260 280
B mm 100 120 140 160 180 200 220 240 260 280
S mm 6,0 6,5 7,0 8,0 8,5 9,0 9,5 10,0 10,0 10,5
T mm 10,0 11,0 12,0 13,0 14,0 15,0 16,0 17,0 17,5 18,0
R mm 12 12 12 15 15 18 18 21 24 24
H’ mm 56 74 92 104 122 134 152 164 177 196
H” SEZ. P mm cmq kg/m 80 26,0 20,4 98 34,0 26,7 116 43,0 33,7 134 54,3 42,6 152 65,3 51,2 170 78,1 61,3 188 91,0 71,5 206 106,0 83,2 225 118,4 93,0 244 131,1 103,0
design. profilo HE 300 B HE 320 B HE 340 B HE 360 B HE 400 B HE 450 B HE 500 B HE 550 B HE 600 B
H mm 300 320 340 360 400 450 500 550 600
B mm 300 300 300 300 300 300 300 300 300
S mm 11,0 11,5 12,0 12,5 13,5 14,0 14,5 15,0 15,5
T mm 19,0 20,5 21,5 22,5 24,0 26,0 28,0 29,0 30,0
R mm 27 27 27 27 27 27 27 27 27
H’ mm 208 225 243 261 298 344 390 438 486
H” SEZ. P mm cmq kg/m 262 149,1 117,0 279 161,3 127,0 297 170,9 134,0 315 180,6 142,0 352 197,8 155,0 398 218,0 171,0 444 238,6 187,0 492 254,1 199,0 540 270,0 212,0
design. profilo HE 100 B HE 120 B HE 140 B HE 160 B HE 180 B HE 200 B HE 220 B HE 240 B HE 260 B HE 280 B
H mm 100 120 140 160 180 200 220 240 260 280
B mm 100 120 140 160 180 200 220 240 260 280
S mm 6,0 6,5 7,0 8,0 8,5 9,0 9,5 10,0 10,0 10,5
T mm 10,0 11,0 12,0 13,0 14,0 15,0 16,0 17,0 17,5 18,0
R mm 12 12 12 15 15 18 18 21 24 24
H’ mm 56 74 92 104 122 134 152 164 177 196
H” SEZ. P mm cmq kg/m 80 26,0 20,4 98 34,0 26,7 116 43,0 33,7 134 54,3 42,6 152 65,3 51,2 170 78,1 61,3 188 91,0 71,5 206 106,0 83,2 225 118,4 93,0 244 131,1 103,0
design. profilo HE 300 B HE 320 B HE 340 B HE 360 B HE 400 B HE 450 B HE 500 B HE 550 B HE 600 B
H mm 300 320 340 360 400 450 500 550 600
B mm 300 300 300 300 300 300 300 300 300
S mm 11,0 11,5 12,0 12,5 13,5 14,0 14,5 15,0 15,5
T mm 19,0 20,5 21,5 22,5 24,0 26,0 28,0 29,0 30,0
R mm 27 27 27 27 27 27 27 27 27
H’ mm 208 225 243 261 298 344 390 438 486
H” SEZ. P mm cmq kg/m 262 149,1 117,0 279 161,3 127,0 297 170,9 134,0 315 180,6 142,0 352 197,8 155,0 398 218,0 171,0 444 238,6 187,0 492 254,1 199,0 540 270,0 212,0
s h
h2 h1
t b
design. profilo IPE 80 IPE 100 IPE 120 IPE 140 IPE 160 IPE 200 IPE 220 IPE 240 IPE 270
H mm 80 100 120 140 160 200 220 240 270
TAB. A.1.5./9 ANGOLARE A Z AD ANGOLI VIVI (UNI 742)
B mm 45 55 64 73 82 100 110 120 135
S mm 3,8 4,1 4,4 4,7 5,0 5,6 5,9 6,2 6,6
T mm 5,2 5,7 6,3 6,9 7,4 8,5 9,2 9,8 10,2
R mm 5 7 7 7 9 12 12 15 15
H’ mm 59,6 74,6 93,4 112,2 127,2 159,0 177,6 190,4 219,6
H” SEZ. P mm cmq kg/m 69,6 7,6 6,0 88,6 10,3 8,1 107,4 13,2 10,4 126,2 16,4 12,9 145,2 20,1 15,8 183,0 28,5 22,4 201,6 33,4 26,2 220,4 39,1 30,7 249,6 46,0 36,1
CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TAB. A.1.5./8 IPE (UNI 5398-64) r
B.ATTERISTICLHI EDELLE
design. profilo IPE 300 IPE 330 IPE 360 IPE 400 IPE 450 IPE 500 IPE 550 IPE 600
H mm 300 330 360 400 450 500 550 600
TAB. A.1.5./10 PROFILATI A T, SPIGOLI VIVI (UNI 5681-73)
B mm 150 160 170 180 190 200 210 220
S mm 7,1 7,5 8,0 8,6 9,4 10,2 11,1 12,0
T mm 10,7 11,5 12,7 13,5 14,6 16,0 17,2 19,0
R mm 15 18 18 21 21 21 24 24
H’ mm 248,6 271,0 298,6 331,0 378,8 426,0 467,6 514,0
H” mm 278,6 307,0 334,6 373,0 420,8 468,0 515,6 562,0
SEZ. P cmq kg/m 53,8 42,2 62,5 49,1 72,7 57,1 84,5 66,3 98,9 77,6 115,5 90,7 135,0 106,0 155,4 122,0
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO ORGA OGETTO R DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
TAB. A.1.5./11 ANGOLARE A LATI DISUGUALI, SPIGOLI VIVI (UNI 6762-70)
1
b
l
h
h
design. H B B’ S SEZ. P profilo mm mm mm mm CMQ kg/m 25 25 15 13 4,5 1,97 1,55 30 30 17 14 5,0 2,55 2,00 35 35 19 16 5,5 3,25 2,55 40 40 21 17 6,0 3,96 3,11
s
s
s b
l1
b
design. H=B S SEZ. P profilo mm mm cmq kg/m 20 20 4,0 1,44 1,13 25 25 4,5 2,05 1,61 30 30 5,0 2,75 2,16 35 35 5,5 3,54 2,78 40 40 6,0 4,45 3,49
design. H=B S SEZ. P profilo mm mm cmq kg/m 50 50 7,0 6,51 5,11 60 60 8,0 8,96 7,03 70 70 9,0 11,80 9,26 80 80 10,0 15,16 11,90 100 100 11,0 20,76 16,30
design. L L’ S SEZ. P profilo mm mm mm cmq kg/m 20 x 12 x 4 20 12 4,0 1,12 0,88 25 x 15 x 4,5 25 15 4,5 1,59 1,25 30 x 17,5 x 5 30 17,5 5,0 2,13 1,67 35 x 20 x 5,5 35 20 5,5 2,73 2,14 40 x 22 x 6 40 22 6,0 3,36 2,64 45 x 30 x 6,5 45 30 6,5 4,46 3,50 50 x 30 x 7 50 30 7,0 5,11 4,01
➥
ORMIN 5. A.1. LOGIE, TE IONI Z O N B SIM , CONVE ZIONE LOGIE PRESENTA P DI RA
A 29
A.1. 5.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE SIMBOLOGIA E TERMINOLOGIA DI DESIGNAZIONE DEI SERRAMENTI La rappresentazione dei serramenti interni (porte e simili) ed esterni (finestre e simili) negli elaborati grafici di progetto rimanda a diversi codici e convenzioni relativi a modi chiari e univoci di indicazione delle dimensioni delle diverse parti componenti e relative congruenze, dei tipi e delle direzioni di apertura, della terminologia da adottare per designare i diversi tipi e le diverse parti componenti. Negli elaborati grafici di insieme alle scale 1:200, 1:100 (piante, sezioni) il disegno deve indicare le dimensioni d’insieme del serramento e il meccanismo di apertura. Le altre informazioni che riguardano forma, particolari costruttivi, indicazioni di mon-
taggio, ecc. vengono specificate in disegni di dettaglio alle scale 1:10, 1:5, 1:2 – come il “Casellario dei serramenti” interni e esterni e l’ “Abaco dei nodi dei serramenti” interni e esterni – nei quali la dimensione del disegno e il grado di definizione del dettaglio non comportano il ricorso a simbologie grafiche. L’UNI interviene in merito a modalità di designazione dei serramenti e delle parti componenti con diverse norme – alle quali si farà riferimento caso per caso nel corso della trattazione – che tuttavia, a oggi, non esauriscono la complessità delle questioni di terminologia e classificazione che si pongono.
PORTE INTERNE Possono essere definite come “componente funzionale che permette la separazione tra due ambienti, consentendo o impedendo, quando necessario, il passaggio di persone o di cose e la comunicazione visiva e acustica tra gli ambienti contigui e separati dal componente stesso”.
CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE Al componente “porta” possono essere richiesti diversi tipi e diversi livelli di prestazioni: più o meno intensa difesa dalla luce, dalla vista, dal rumore, dal caldo e dal freddo, dagli odori, dal fuoco, ecc. Le porte dovrebbero fornire prestazioni adeguate a ogni tipo di richiesta-esigenza, differenziandosi in una estesa tipologia. In questa sede, tuttavia, trattandosi di classificazione e terminologia di designazione per la rappresentazione del progetto, ci si può limitare alla identificazione dei tipi di porta ricorrenti con maggiore frequenza, come segue.
Porte interne ordinarie di distribuzione • separano ambienti con caratteristiche e condizioni ambientali simili; • non richiedono particolari prestazioni di isolamento termico e acustico.
• la porta sarà isolata termicamente o acusticamente in relazione al tipo e all’intensità del disturbo che altrimenti potrebbe determinarsi per uno o entrambi gli ambienti separati.
Porte interne vetrate di distribuzione • separano ambienti a diversa intensità di illuminazione naturale; • le parti vetrate assicurano un incremento di illuminazione all’ambiente meno illuminato; • la maggiore o minore trasparenza del vetro viene decisa in funzione delle relazioni visive che si vogliono permettere o ridurre.
Porte antieffrazione • si rendono necessarie nel caso che uno degli ambienti separati esiga specifica resistenza all’effrazione; • sempre più frequentemente usate per i “portoncini” di accesso alle unità immobiliari.
Porte interne isolanti • separano ambienti con diverse condizioni ambientali rispetto a rumore, temperatura, ecc.;
Porte tagliafiamma • si tratta di porte alle quali è richiesta specifica resistenza al fuoco (in genere imposta da norme di prevenzione, soprattutto negli edifici pubblici e in generale negli edifici con alta frequenza di presenze).
CLASSIFICAZIONE IN BASE AL MOVIMENTO DI APERTURA (NORMA UNI 7961) 1. Scopo Scopo della norma è fornire la classificazione dei tipi di porte interne usate nell’edilizia residenziale (prevalentemente), in vista di future norme relative alla terminologia (v. par. seguente e norma UNI 7962), ai requisiti e ai controlli. 2. Porta Elemento di partizione interna la cui funzione principale è di consentire o impedire il passaggio tra due spazi interni (definizione secondo norma UNI 7960 punto 4.2.). 3. Classificazione La funzione della porta è assolta attraverso il movimento di uno o più elementi o parti mobili vincolati in vario modo agli elementi o parti fisse. Il criterio di classificazione è basato sul tipo di movimento che le parti mobili della porta compiono nei confronti delle parti fisse o di altri componenti edilizi.
Secondo il movimento che caratterizza lo spostamento delle parti mobili, si distinguono i tipi di porte seguenti: 3.1. Porte con movimento rotatorio su asse verticale laterale dette porte a battente e porte a ventola secondo il tipo di movimento. 3.2. Porte con movimento rotatorio su asse verticale eccentrico dette porte a bilico verticale. 3.3. Porte con movimento traslatorio in direzione orizzontale dette porte scorrevoli. 3.4. Porte con movimento combinato rotatorio e traslatorio in direzione orizzontale dette porte ripiegabili
NOMENCLATURA E SIMBOLEGGIATURA (NORMA UNI 7962 CONCORDATA CON NORMA ISO 1804) La norma UNI di riferimento limita l’estensione della elencazione seguente al caso delle “porte interne con movimento rotatorio su asse verticale laterale”. Tuttavia i casi, le parti e gli elementi classificati hanno carattere di generalità tale da valere anche per le altre tipologie di porte. La norma UNI 7962 richiamata, concorda con la corrispondente norma internazionale 1SO 1804 “Doors – Terminology” (“Portes – Terminologie”). Le numerazioni ordinatrici attribuite alle definizioni della seguente “Nomenclatura e simboleggiatura” (Terminology and symbolization) costituiscono anche designazione di corrispondenti parti o elementi rappresentati nelle figure poste a corredo della UNI 7962 e qui riproposte. La tabella allegata, data in appendice dalla norma UNI 7962, ordina la “Corrispondenza fra i termini italiani e i corrispondenti termini inglesi, francesi e tedeschi”.
A 30
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE
A.1. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. A.1.5./11 PORTE INTERNE. SIMBOLEGGIATURA E NOMENCLATURA (NORMA UNI 7962). LE NUMERAZIONI DI DESIGNAZIONE SI RIFERISCONO ALLA TABELLA “TERMINOLOGIA E SIMBOLIZZAZIONE”
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
1.2.
1.2.
1.2.
C.RCIZIO
1.2.
E ESE ESSIONAL PROF 1.1.
1.5.
D.GETTAZIONE
1.1.
PRO TTURALE STRU
1.b.
1.a.
1.8.
1.4.
1.1.
1.3.
1.3.
1.1.
1.1.
1.3.
1.3. FIG. 1 - VANO SENZA BATTUTA
E.NTROLLO
1.8.
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
1.1.
G.ANISTICA
2.1.
URB
FIG. 2 - VANO CON BATTUTA
2.1.
2.1.
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P
2.2.
2.3.
2.3.
2.3.
2.5. 2.a.
2.b.
2.4.
2.c.
2.4.
2.0.
2.0.
2.0.
2.0.
2.0. FIG. 4 - TELAIO FISSO SENZA BATTUTA
3.3.
3.4.
3.a.
3.b.
3.1.
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
2.4.
FIG. 3 - TELAIO FISSO CON BATTUTA
FIG. 6 -PANNELLO ANTA SENZA COPRIBATTUTA E SOVRAPPORTA SENZA COPRI BATTUTA
NE A.2. NIZZAZIO ORGA OGETTO R DEL P
2.5.
2.0. FIG. 5 - TELAIO FISSO CON TRAVERSA PER SOVRAPORTA
3.2.
FIG. 7 -PANNELLO ANTA CON COPRIBATTUTA E SOVRAPPORTA CON COPRI BATTUTA
➥
ORMIN 5. A.1. LOGIE, TE IONI Z O N B SIM , CONVE ZIONE LOGIE PRESENTA P DI RA
A 31
A.1. 5.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE ➦ SIMBOLOGIA E TERMINOLOGIA DI DESIGNAZIONE DEI SERRAMENTI ➦ FIG. A.1.5./11 PORTE INTERNE. SIMBOLEGGIATURA E NOMENCLATURA (NORMA UNI 7962). LE NUMERAZIONI DI DESIGNAZIONE SI RIFERISCONO ALLA TABELLA “TERMINOLOGIA E SIMBOLIZZAZIONE”
1.7.
c1
c
f
f' 3
f3
f2
c2
g
j
3.2.
1.6.
2.7.
2.8.
C
2.6.
C 2.1.
2.1.
2.9a
d2
d3 k'
FIG.10 10 FIG.
d' 3
k'
C
k"
FIG. FIG.9 9
d d' 2
d
d2
k
d3
d'2
A2
A1
A
k'
j
j
2.8.
A2 A1
FIG. FIG. 88
2.1.
2.8.
C 2.9b
A 32
A
d' 3 k"
d2
d3
A1 d' 2
d A2
d2
d
FIG. 12 FIG. 12
k'
1.8 FIG. FIG.11 11
k
d3
d' 2
A2
A1
k'
k'
j
j
2.1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE
A.1. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
➦ FIG. A.1.5./11 PORTE INTERNE. SIMBOLEGGIATURA E NOMENCLATURA (NORMA UNI 7962). LE NUMERAZIONI DI DESIGNAZIONE SI RIFERISCONO ALLA TABELLA “TERMINOLOGIA E SIMBOLIZZAZIONE”
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
B
C.RCIZIO
B1
B
E ESE ESSIONAL PROF
B2 e' 2
B1 B2
C
C2
e' 2
C
k'
e3
j
k
e3
k'
e2
j
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
k
CO NTALE AMBIE
e2
e
D.GETTAZIONE
e' 3
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
e FIG. FIG.13 13
FIG. FIG.14 14
G.ANISTICA URB
B2 B1
B1
B2
e' 2
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P
j
e 3 e2
k
f'3
f2
f3 k'
f3
C C
C2
j
e' 2
k'
k
e3 e2
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
e' 3
e
e FIG. FIG.15 15
NE A.2. NIZZAZIO ORGA OGETTO R DEL P
FIG. FIG.16 16
PORTE INTERNE – SIMBOLEGGIATURA E TERMINOLOGIA (LEGENDA) 1.
VANO: apertura lasciata nella parete per ricevere una porta. Vano senza battuta (fig.1) Vano con battuta (fig.2) Alloggiamento (con o senza battuta) del telaio fisso (figg.1,2) Intradosso dell’architrave (figg.1,2) Facce delle spalle (figg.1,2) Soglia (fig.2) Battuta strutturale (fig.2) Profondità della battuta strutturale (fig.2,8) Larghezza della battuta strutturale (fig.2,8) Pavimento finito (figg.1,2)
2.3. 2.4. 2.5. 2.6.
TELAIO FISSO: insieme di profili fissi della porta su cui viene montato il pannello anta 2a Telaio fisso con battuta (fig.3) 2b Telaio fisso senza battuta (fig.4) 2c Telaio fisso con traversa per sovrapporta (fig.5) 2. Alloggiamento (con o senza battuta) del pannello anta (figg.3,4,5) 2.1. Traversa superiore del telaio fisso (figg.3,4,5,9,10, 11,12) 2.2. Traversa del sovrapporta (fig.5)
3b 3.1. 3.2. 3.3.
1a 1b 1.1. 1.2. 1.3. 1.4. 1.5. 1.6. 1.7. 1.8. 2.
Montante (figg.3,4,5) Traversa inferiore (soglia) (figg.3,4,5) Battuta (figg.3,5) Profondità della battuta del telaio (fig.8) 2.7. Larghezza della battuta del telaio (fig.8) 2.8. Cornice coprigiunto (fig.9,11) 2.9aTelaio fisso accostato (fig.10) 2.9bTelaio fisso avvolgente (fig.12) 3.
3a
3.4. 4.
PANNELLO ANTA: elemento mobile della porta che apre e chiude il vano. Pannello anta senza copribattuta (fig.6) Pannello anta con copribattuta (fig.7) Battuta (fig.7) Copribattuta (fig.7) Sovrapporta senza copribattuta (fig.6) Sovrapporta con copribattuta (fig.7)
SIMBOLI RELATIVI ALLE DIMENSIONI 4.1. Altezze A Altezza di coordinazione del telaio fisso (fig.9,12)
A1 Altezza dell’alloggiamento del telaio fisso (fig.9,10,11,12) A2 Altezza del telaio fisso (fig.9,10,11,12) d Altezza di coordinazione del pannello anta (fig.9,10,11,12) d2 Altezza di alloggiamento del pannello anta (fig.9,10,11,12) d’2 Altezza di passaggio (fig.9,10,11,12) d3 Altezza del pannello anta (interna al telaio fisso) (fig.9,10,11,12) d’3 Altezza totale del pannello anta con copribattuta (fig.10,12) 4.2. Larghezze B Larghezza di coordinazione del telaio fisso (fig.13,14) B1 Larghezza di alloggiamento del telaio fisso (fig.13,14,15,16) B2 Larghezza del telaio fisso (fig.13,14,15,16) e Larghezza di coordinazione del pannello anta (fig.13,14,15,16) e2 Larghezza di alloggiamento del pannello anta (fig.13,14,15,16) e’2 Larghezza di passaggio (fig.13,14,15,16)
e3 e’3 g
Larghezza del pannello anta (interna al telaio fisso) (fig.13,14,15,16) Larghezza totale del pannello anta con copribattuta (fig.14,16) Larghezza della battuta del telaio fisso (fig.8)
4.3. Profondità e spessori C Profondità di coordinazione del telaio fisso (fig.8,9,10,11,12,13,14,15,16) C1 Profondità di alloggiamento del telaio fisso (fig.8) C2 Spessore del telaio fisso (fig.8,14,16) f Profondità di coordinazione del pannello anta (fig.8) f2 Profondità di alloggiamento del pannello anta (fig.8,16) f3 Spessore del pannello anta (interna al telaio fisso) (fig.8,15,16) f’3 Spessore totale del pannello anta con copribattuta (fig.8) 4.4. Altre dimensioni j Giuoco del giunto k k’ k” Giuoco tra telaio fisso e pannello anta k’’’ Giuoco tra pannello anta e pavimento finito
ORMIN 5. A.1. LOGIE, TE IONI Z O N B SIM , CONVE ZIONE LOGIE PRESENTA P DI RA
A 33
A.1. 5.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE ➦ SIMBOLOGIA E TERMINOLOGIA DI DESIGNAZIONE DEI SERRAMENTI SERRAMENTI ESTERNI L’UNI non ha ancora emanato disposizioni relative all’unificazione della terminologia e della simbolizzazione di designazione delle parti componenti degli infissi esterni, limitandosi a definire la classificazione dei serramenti esterni in base ai diversi “movimenti di apertura delle ante” (UNI 8370).
TAB. A.1.5./12 CLASSIFICAZIONE DEI MOVIMENTI DI APERTURA DELLE ANTE (NORMA UNI 8370) POSIZIONE DEI VINCOLI
TIPI DI MOVIMENTO
L’UNI ha emanato una norma rivolta alla definizione e differenziazione dei serramenti esterni in base ai diversi “movimenti di apertura delle ante” (UNI 8370). Se ne riportano la classificazione e i grafici allegati. 1. Scopo e campo di applicazione della norma Scopo della norma è di classificare il movimento di apertura delle ante dei serramenti esterni. Il serramento è da intendersi in generale dotato di una o più ante mobili; in quest’ultimo caso il movimento di apertura di ciascuna anta può essere di uno stesso tipo ovvero di tipi diversi tra quelli qui classificati. 2. Classificazione I movimenti di apertura delle ante sono classificati nei tipi fondamentali riportati nella tabella seguente.
Apertura verso l’esterno all’inglese (FIG.1)
laterale
Classificazione dei movimenti di apertura delle ante (norma UNI 8370)
SENSO DI APERTURA DENOMINAZIONE
Apertura verso l’interno
intermedia Rotazione
superiore inferiore
alla francese (FIG.2) girevole (FIG. 3)
Apertura verso l’esterno a visiera esterna Apertura verso l’interno
a visiera interna (FIG. 7)
Apertura verso l’esterno a vasistas esterno (FIG. 8) Apertura verso l’interno
a vasistas interno (FIG. 9)
intermedia
a bilico (FIG. 10)
Rotazione con asse verticale associata con asse orizzontale
laterale e inferiore
oscillobattente (FIG. 4)
Traslazione secondo una direzione parallela al piano del serramento
in direzione orizzontale
scorrevole (FIG. 12) saliscendi (FIG. 14) contrappeso automatico
Traslazione secondo una direzione perpendicolare al piano del serramento Rotazione + traslazione secondo una direzione parallela al piano del serramento
pantografo (FIG. 5) assi di rotazione verticali
fisarmonica (FIG. 13)
assi di rotazione orizzontali
basculante (FIG. 11)
FIG.1.5./12 SERRAMENTI ESTERNI. CLASSIFICAZIONE DEI MOVIMENTI DI APERTURA DELLE ANTE (NORMA UNI 8370)
FIG. 1 - APERTURA ALL'INGLESE
FIG. 6 - APERTURA A VISIERA EST.
FIG. 2 - APERTURA ALLA FRANCESE
FIG. 3 - APERTURE GIREVOLI
FIG. 7 - APERTURA A VISIERA INT.
FIG. 10 - APERTURE A BILICO
FIG. 12 - APERTURA SCORREVOLE
A 34
FIG. 4 - APERTURA OSCILLOBATTENTE
FIG. 8 - APERTURA A VASISTAS EST.
FIG. 5 - APERTURA A PANTOGRAFO
FIG. 9 - APERTURA A VASISTAS INT.
FIG. 11 - APERTURA BASCULANTE
FIG. 13 - APERTURA A FISARMONICA
FIG. 14 - APERTURE APERTURE SALISCENDI SALISCENDI
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE
A.1. 5. A.ZIONI
FIG.1.5./13 SERRAMENTI ESTERNI – CLASSIFICAZIONE DEI MOVIMENTI DI APERTURA DELLE ANTE. RAPPRESENTAZIONE IN PROSPETTO (NORMA UNI 8370)
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF FIG. 1 - APERTURA ALL'INGLESE
FIG. 2 - APERTURA ALLA FRANCESE
FIG. 3 - APERTURE GIREVOLI
FIG. 4 - APERTURA OSCILLOBATTENTE
FIG. 5 - APERTURA A PANTOGRAFO
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
FIG. 6 - APERTURA A VISIERA EST.
FIG. 7 - APERTURA A VISIERA INT.
FIG. 8 - APERTURA A VASISTAS EST.
FIG. 9 - APERTURA A VASISTAS INT.
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
FIG. 10 - APERTURE A BILICO
FIG. 11 - APERTURA BASCULANTE
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO ORGA OGETTO R DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
FIG. 12 - APERTURA SCORREVOLE
FIG. 13 - APERTURA A FISARMONICA
FIG. 14 - APERTURE SALISCENDI
“MOVIMENTI DI APERTURA DELLE ANTE” Finestra alla francese È costituita da una o più ante che si aprono verso l’interno per rotazione intorno a un montante laterale.
Finestra a bilico orizzontale È costituita da un’anta che si apre ruotando intorno a un asse orizzontale mediano o alto o basso rispetto alla luce del telaio maestro.
Finestra all’inglese È costituita da una o più ante che si aprono verso l’esterno per rotazione intorno a un montante laterale.
Finestra oscillobattente È costituita da un’anta che si apre alternativamente per rotazione intorno a un montante verticale e intorno alla traversa inferiore.
Finestra girevole È costituita da un’anta che si apre ruotando intorno a un asse verticale (o a bilico verticale) mediano o asimmetrico rispetto alla luce del telaio maestro.
Finestra scorrevole È costituita da una o più ante che si aprono (tutte o solo alcune) per traslazione orizzontale su guide di scorrimento, generalmente sospese a un asse orizzontale.
Finestra a visiera esterna È costituita da un’anta che si apre verso l’esterno per rotazione intorno alla traversa superiore.
Finestra a saliscendi È costituita da una o più ante che si aprono (tutte o solo alcune) per traslazione verticale lungo guide di scorrimento, eventualmente con l’ausilio di contrappeso.
Finestra a visiera interna È costituita da un’anta che si apre verso l’interno per rotazione intorno alla traversa superiore.
Finestra a pantografo È costituita da un’anta che si apre traslando verso l’esterno parallelamente a se stessa, con apposita ferramenta con azione a pantografo.
Finestra a vasistas esterno È costituita da un’anta che si apre verso l’esterno per rotazione intorno alla traversa inferiore.
Finestra a fisarmonica È costituita da due o più ante che si aprono ripiegandosi le une sulle altre per scorrimento degli assi verticali di rotazione centrali o laterali.
Finestra a vasistas interno È costituita da un’anta che si apre verso l’interno per rotazione intorno alla traversa inferiore.
Finestra basculante È costituita da una o più ante che si aprono ripiegandosi le une sulle altre per scorrimento degli assi orizzontali di rotazione centrali, superiori o inferiori.
ORMIN 5. A.1. LOGIE, TE IONI Z O N B SIM , CONVE ZIONE LOGIE PRESENTA P DI RA
A 35
A.1. 5.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE ➦ SIMBOLOGIA E TERMINOLOGIA DI DESIGNAZIONE DEI SERRAMENTI SERRAMENTI ESTERNI – TERMINOLOGIA Numerosi repertori e compendi tecnici nazionali e internazionali sono intervenuti a sanare le lacune normative in tema di designazione e terminologia relative ai serramenti esterni, elaborando definizioni e classificazioni grosso modo concordanti, sulla scorta dei comportamenti ricorrenti di progettisti e di produttori di serramenti esterni. Di seguito si riporta una sintesi dei termini di designazione ricorrenti, elaborata sulla base della comparazione di tali elaborazioni, in analogia con la “terminologia” emanata dall’UNI per i serramenti interni.
TAB. A.1.5./14 TERMINI DI DESIGNAZIONE RICORRENTI VANO apertura lasciata in una parete esterna per ricevere una finestra
ANTA (telaio mobile) elemento mobile della finestra che apre e chiude la “luce” del telaio maestro
Stipiti
elementi verticali del vano finestra
Luce netta dell’anta
alloggiamento delle lastre di vetro (o simili), al netto del fermavetro
Architrave
elemento orizzontale superiore del vano finestra
Luce lorda dell’anta
alloggiamento delle lastre di vetro (o simili), al lordo del fermavetro
Davanzale
elemento orizzontale inferiore del vano finestra
Soglia
elemento orizzontale inferiore di un vano per porta-finestra
Battuta dell’anta
risalti perimetrali del profilo dell’anta, congruenti con le battute del telaio e con le battute di altre ante adiacenti ospitate dalla stessa luce del telaio maestro
elemento verticale del vano finestra con funzione di appoggio e protezione del controtelaio, specificata in profondità della battuta e larghezza della battuta
Montante dell’anta
elementi verticali dell’anta
Battuta (mazzetta)
Traversa superiore
elemento orizzontale superiore dell’anta
Traversa inferiore
elemento orizzontale inferiore dell’anta
Traverse intermedie
elementi orizzontali intermedi di ripartizione dell’altezza della luce dell’anta
Listello fermavetro
elemento che assolve alla funzione di fissare il vetro al telaio fisso o mobile (anta) nel caso che questo non sia dotato di apposito incavo
Traversino
elemento di piccola sezione di ripartizione della luce dell’anta o del telaio fisso
Gocciolatoio
Profilo fissato alla traversa inferiore del telaio fisso o mobile per favorire il deflusso e l’allontanamento dell’acqua
CONTROTELAIO elemento della finestra premurato per la rifinitura del vano e per il fissaggio del serramento alla muratura Coprigiunto o coprifilo
profilo che copre e rifinisce il giunto tra il vano della finestra e il controtelaio
TELAIO MAESTRO insieme dei profili del serramento esterno, da fissare al controtelaio, su cui viene montato il telaio mobile (anta) o fisso Luce netta del telaio
alloggiamento dell’anta al netto delle battute
Luce lorda del telaio
alloggiamento dell’anta al lordo delle battute
Battute del telaio
risalti perimetrali del profilo del telaio contro i quali si arresta il movimento dell’anta, sagomati in congruenza con il profilo dell’anta in modo da impedire infiltrazioni d’aria e di acqua, specificati in: profondità delle battute del telaio maestro e larghezza delle battute del telaio maestro
Montante del telaio
elementi verticali del telaio
Traversa superiore
elemento orizzontale superiore del telaio
Traversa inferiore
elemento orizzontale inferiore del telaio
TELAIO FISSO elemento fisso della finestra che chiude la luce o parti di luce del telaio maestro alloggiamento delle lastre di vetro (o simili), al netto del Luce netta del telaio fisso fermavetro alloggiamento delle lastre di vetro (o simili), al lordo del Luce lorda del telaio fisso fermavetro Montante del telaio fisso
elementi verticali dell’anta
Traverse del telaio fisso
elementi orizzontali intermedi di ripartizione dell’altezza della Traverse intermedie luce del telaio fisso per la costituzione di sovrafinestra, sottofinestra o altre articolazioni del serramento
superiore
elemento orizzontale superiore dell’anta
inferiore
elemento orizzontale inferiore dell’anta
intermedie
elementi orizzontali intermedi di ripartizione dell’altezza della luce dell’anta
SIMBOLOGIA E TERMINOLOGIA DI DESIGNAZIONE DEGLI IMPIANTI TECNICI IMPIANTI ELETTRICI L’UNI definisce gli impianti elettrici all’interno delle unità tecnologiche che compongono il sistema edilizio come “l’insieme degli elementi tecnici del sistema edilizio aventi funzione di addurre, distribuire ed erogare energia elettrica per uso domestico”. Tale uso si specifica nel settore della illuminazione artificiale degli ambienti e nel settore della utilizzazione di apparecchiature elettriche di tipo elettrodomestico e di apparecchiature elettriche per il riscaldamento e il condizionamento degli ambienti. Le norme UNI ordinano gli elementi costitutivi di un impianto elettrico secondo la seguente classificazione: 1. 2. 3. 4.
alimentazione; allacciamento; apparecchiature elettriche; rete di distribuzione e terminali.
Il seguente cap. E.9. IMPIANTI TECNICI, par. E.9.1., si occupa specificamente della progettazione, dei requisiti, della sicurezza e del controllo degli impianti elettrici. Qui si illustrano le simbologie e i codici ricorrenti di rappresentazione dei componenti degli impianti elettrici.
A 36
SIMBOLOGIA GRAFICA E TERMINOLOGIA DI DESIGNAZIONE DI COMPONENTI DEGLI IMPIANTI ELETTRICI In Italia l’organismo di normazione che si occupa del settore elettrico ed elettronico è il Comitato Elettrotecnico Italiano (CEI), corrispondente nazionale del CENELEC (Comité Européen de Normalisation Electrotechnique). Nella rappresentazione grafica degli impianti elettrici si fa largo ricorso a simbologie grafiche. Il CEI ha emanato una serie di norme aventi lo scopo di dare una classificazione ai vari schemi o diagrammi di rappresentazione degli impianti elettrici, tra i quali si segnalano i seguenti:
Schema di montaggio Rappresenta le posizioni di installazione delle diverse apparecchiature, date come apparecchi completi. Oltre alle parti elettriche, vengono rappresentate anche le scatole e le cassette di derivazione che concorrono alla posa in opera dell’impianto. Ogni conduttore è indicato da una linea (rappresentazione multifilare) e più conduttori sono indicati come fasci di segni paralleli che indicano come lungo un certo percorso tali conduttori siano contigui, ospitati da uno stesso tubo protettivo o comunque siano orientati nella stessa direzione.
Schema funzionale Rappresenta il funzionamento delle apparecchiature che compongono l’impianto, attraverso la segmentazione di apparecchi complessi nelle parti utilizzate e attraverso la disposizione delle parti utilizzate secondo un criterio di svolgimento della funzione. Le modalità di redazione di uno schema funzionale sono del tutto convenzionali ed è necessario riferirsi alle indicazioni dettate da normative internazionali.
Schema topografico o architettonico È lo schema più diffuso tra i progettisti edili, poiché rappresenta e posiziona nei posti di effettiva dislocazione gli apparecchi elettrici e le parti non elettriche che concorrono alla messa in opera dell’impianto.In questo schema una sola linea indica anche più conduttori raccolti in fasci (rappresentazione unificare). I segni di designazione grafica più frequentemente adottati nella rappresentazione degli impianti elettrici civili sono ordinati nella Tabella allegata.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE
A.1. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
A.1.5./15 TERMINOLOGIA E SIMBOLOGIA GRAFICA DEGLI IMPIANTI ELETTRICI SEGNI DI USO GENERALE, CONDUTTORI E DISPOSITIVI DI CONNESSIONE
Massa, telaio
Corrente continua
Equipotenzialità
Corrente alternata
Connessione di conduttori
Interruttore di potenza ad apertura automatica, magnetotermico, differenziale
Terminale o morsetto
Fusibile, segno generale
Polarità positiva Polarità negativa
Morsettiera con esempio di numerazione dei morsetti
Bobina di comando, segno generale (forma 2)
Derivazione (forma 2)
Bobina di comando con due avvolgimenti separati, rappresentazione raggruppata
Doppia derivazione (forma 1)
Bobina di comando con due avvolgimenti separati, rappresentazione separata
Doppia derivazione (forma 2)
Bobina di comando di un relé con ritardo alla ricaduta
Conduttore. Il numero dei conduttori è indicato da trattini e da un numero
Bobina di comando di un relé con ritardo all’attrazione
Conduttore neutro
Bobina di comando di un relé con ritardo alla ricaduta e all’attrazione
Mediano Linea o conduttore, segno generale Linea o conduttore, con indicazione della utilizzazione (F: telefonia; T: trasmissione dati e telegrafia; V: canale video; S: canale audio) Linea sotterranea Conduttore di protezione Linea aerea Linea su supporto a muro Conduttura in tubo protettivo in vista Conduttura a parete incassata Conduttura in tubo protettivo incassato Conduttura in tubo protettivo incassato con indicazione di sezione e numero conduttori
Conduttore neutro avente anche funzioni di conduttore di protezione (PEN) Esempio di conduttura trifase con conduttore neutro e conduttore di protezione Indicazione del numero e della sezione in mm2 dei conduttori Incrocio di conduttori senza connessione elettrica Connessione e derivazione da un circuito a 2 conduttori
CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
Bobina di comando, segno generale (forma 1)
Derivazione (forma 1) Neutro
B.ATTERISTICLHI EDELLE
Interruttore di potenza ad apertura automatica, magnetotermico
Bobina di comando di un relé rapido (attrazione e ricaduta rapide) Bobina di comando di un relé insensibile a corrente alternata Bobina di comando di un relé a corrente alternata Bobina di comando di un relé ad aggancio automatico Bobina di comando di un relé temporizzatore luci scale
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
~
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P
Interruttore, segno generale Interruttore con lampada spia
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
Interruttore da parete o da incasso, bipolare
Conduttura in canaletta o passerella
APPARECCHI E DISPOSITIVI DI COMANDO E PROTEZIONE
Conduttura in sbarra protetta
Interruttore, segno generale
Interruttore a perella
Conduttura ascendente
Contatto di chiusura (aperto a riposo)
Interruttore a tirante
Conduttura discendente
Contatto di apertura (chiuso a riposo)
Interruttore unipolare a tempo di chiusura limitato
Conduttura verticale passante
Deviatore
Variatore di luminosità
Quadro di distribuzione (rappresentato con 7 condutture)
Commutatore
Interruttore orario
Scatola, segno generale
Invertitore
Commutatore da parete o da incasso (doppio interruttore)
Scatola con connessioni
Interruttore automatico con un polo protetto
Deviatore da parete o da incasso
Cassetta di derivazione
Contatto di chiusura con comando a pulsante
Invertitore da parete o da incasso
Cassetta terminale di allacciamento utente
Contatto di apertura con comando a pulsante
Scatola per frutti (è possibile indicare i dispositivi da installare)
Interruttore (di potenza)
Collegamento a terra
Interruttore di potenza ad apertura automatica
Pulsante a tirante
Collegamento a terra senza rumore
Interruttore di potenza ad apertura automatica, differenziale
Pulsante ad accesso protetto
Terra di protezione
Interruttore di potenza ad apertura automatica, termico
Pulsante di comando di relé, es. relé interruttore
Interruttore da parete o da incasso, tripolare
Interruttore comandato a distanza (a relé) Pulsante Pulsante luminoso
➥
ORMIN 5. A.1. LOGIE, TE IONI Z O N B SIM , CONVE ZIONE LOGIE PRESENTA P DI RA
A 37
A.1. 5.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE ➦ SIMBOLOGIA E TERMINOLOGIA DI DESIGNAZIONE DEGLI IMPIANTI TECNICI ➦ TAB. A.1.5./16 TERMINOLOGIA E SIMBOLOGIA GRAFICA DI DESIGNAZIONE DEGLI IMPIANTI PER LA DISTRIBUZIONE DI ACQUA, GAS E VAPORE (NORMA UNI 9511) TRASFORMATORI E COMPONENTI PASSIVI
LAMPADE E APPARECCHI AUSILIARI Lampada, segno generale. Per precisare il tipo di lampada, mettere vicino al simbolo una delle seguenti indicazioni: Ne: Neon Xe: Xeno Na: Sodio Hg: Mercurio I: Iodio IN: Incandescenza El: Elettroluminescenza ARC: Arco FL: Fluorescenza lR: Infrarosso UV: Ultravioletto LED: Diodo elettroluminescente
Elemento di pila o accumulatore Trasformatore monofase con due avvolgimenti (forma 1) Trasformatore monofase con due avvolgimenti (forma 2) Autotrasformatore (forma 1) Autotrasformatore (forma 2) Resistore (forma preferita)
Lampada, con indicazione della potenza, es. 60W.
Resistore (altra forma)
Lampada a parete, rappresentato con conduttura
Resistore variabile
SEGNALAZIONI E APPARECCHI VARI Lampada di segnalazione, segno generale. Se si vuole indicare il colore della lampada, mettere vicino al simbolo una delle seguenti indicazioni: RD: rosso YE: giallo GN: verde BU: blu WH: bianco Lampada di segnalazione lampeggiante
Tromba elettrica, clacson
Suoneria (forma preferita)
Condensatore (forma preferita) Proiettore, segno generale Suoneria (altra forma) Condensatore (altra forma) Proiettore a fascio stretto Induttore, bobina, avvolgimento (forma preferita)
Sirena Proiettore a fascio largo
Induttore, bobina, avvolgimento (altra forma)
Ronzatore o cicala (forma preferita) Apparecchio di illuminazione di sicurezza su circuito speciale
Resistenza ohmica
Complesso autonomo di illuminazione di sicurezza
APPARECCHI IN DERIVAZIONE Presa multipla rappresentata con tre uscite (forma 1) Presa multipla rappresentata con tre uscite (forma 2) Presa con contatto per conduttore di protezione (10 A) Presa con contatto per conduttore di protezione (16 A)
3
Ronzatore o cicala (altra forma)
Fischio con comando elettrico
Apparecchio ausiliario per lampada a scarica Apparecchio di illuminazione a tubo fluorescente, con indicazione della potenza, es. 40W.
Apriporta elettrico
Scalda acqua Apparecchio di illuminazione a tre tubi fluorescenti Ventilatore Lampada fluorescente tubolare circolare
Presa a spina con fusibile Starter per lampada fluorescente
Orologio marca tempo
Presa con interruttore unipolare
Accenditore per lampade a scarica
Serratura elettrica
Presa con interruttore unipolare interbloccato
Lampada per segnalazione, di direzione
Presa di sicurezza
Presa con trasformatore di isolamento Presa per telecomunicazioni, segno generale. Per distinguere le differenti prese si usano i seguenti simboli: TP: Telefono TV: Televisione TX: Telex FD: Filodiffusione FM: Modulazione di frequenza M: Microfono Altoparlante Presa e spina (femmina e maschio)
A 38
Interruttore crepuscolare
Lampada fluorescente rettilinea Cellula fotoelettrica Lampada slimline Quadretto indicatore a cartellini Lampada fluorescente circolare Quadretto indicatore luminoso Lampada a vapori di sodio
Lampada a vapori di mercurio
Relé a cartellino azionato da bobina
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE
A.1. 5. A.ZIONI
➦ TAB. A.1.5./16 TERMINOLOGIA E SIMBOLOGIA GRAFICA DI DESIGNAZIONE DEGLI IMPIANTI PER LA DISTRIBUZIONE DI ACQUA, GAS E VAPORE (NORMA UNI 9511) TRASDUTTORI E APPARECCHI PER LA DISTRIBUZIONE DI SEGNALI TV
APPARECCHI PER IMPIANTI ANTINCENDIO E ANTIFURTO
Comando a orologio protetto contro la manomissione
Interfono, citofono
Rivelatore antincendio, segno generale
Segnalazione luminosa protetta contro la manomissione
Rivelatore antintrusione, segno generale
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
Segnalazione luminosa lampeggiante protetta contro la manomissione
Ricevitore televisivo Rivelatore di incendio
D.GETTAZIONE
Sirena protetta contro la manomissione
Videocitofono
PRO TTURALE STRU
Rivelatore termico Telefono, segno generale
Microfono, segno generale
Rivelatore di fumo
Sirena autoalimentata protetta contro la manomissione
Rivelatore di fumo a ionizzazione
Segnalazione via telefono protetta contro la manomissione
Rivelatore di fiamma
Segnalazione via radio protetta contro la manomissione
A: Pulsante antirapina a rottura vetro I: Pulsante incendio a rottura vetro Altoparlante microfono
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
Registratore di eventi protetto contro la manomissione. L’asterisco viene sostituito con i seguenti simboli per distinguere i diversi sistemi di rivelazione:
Altoparlante, segno generale
Pulsante antincendio
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
G.ANISTICA
Su carta
URB
Su nastro Antenna, segno generale
Apparecchio telegrafico emittente
Ricevitore di telecopia
Ripartitore a due vie
Ripartitore a tre vie, con una uscita a livello più elevato
Derivazione di utente
Presa da rete
Presa da rete diretta
Pulsante antirapina con memoria Rivelatore volumetrico, segno generale. L’asterisco viene sostituito con i seguenti simboli per distinguere i diversi sistemi di rivelazione: M: Rivelatore a microonde I: Rilevatore a infrarosso U: Rivelatore a ultrasuoni V: Rilevatore a confronto di immagini TV CC Rivelatore puntuale o superficiale, segno generale.L’asterisco viene sostituito con i seguenti simboli per distinguere i diversi sistemi di rivelazione: MG: Rilevatore magnetico V: Rivelatore di vibrazioni o inerziale P: Rivelatore a pressione B: Rivelatore rottura vetro Rivelatore lineare, segno generale. L’asterisco viene sostituito con i seguenti simboli per distinguere i diversi sistemi di rivelazione: L: Rivelatore a luce I: Rilevatore a infrarosso M: Rivelatore a microonde MC: Rivelatore meccanico C: Rivelatore a linea interrata
Equalizzatore Rivelatore di metalli Attenuatore (per schema topografico) Rivelatore di allagamento Attenuatore
Su disco VR
Video – Registratore NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P
Centrale Antincendio. Gli asterischi vanno sostituiti con le seguenti indicazioni: * Numero delle zone **Numero ore di funzionamento in assenza di energia elettrica
*
NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P
Centrale Antifurto o Antintrusione. Gli asterischi vanno sostituiti con le seguenti indicazioni: * Numero delle zone **Numero ore di funzionamento in assenza di energia elettrica
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
*
Centrale Rivelazione Gas. Gli asterischi vanno sostituiti con le seguenti indicazioni: * Numero delle zone **Numero ore di funzionamento in assenza di energia elettrica Macchina fotografica *
Lettore. L’asterisco viene sostituito con i seguenti simboli per distinguere i diversi sistemi di lettura: I: Inserimento P: Prossimità O: Ottico S: Striscio N: Codice numerico M: Magnetico
*
Telecamera a fuoco fisso. Gli asterischi vanno sostituiti con i seguenti simboli: * IPxy: grado di protezione ** C: a colori, BW: bianco e nero, T: termostatica All’esterno del segno T: Brandeggio C
Rivelatore di radioattività Alimentatore di linea
Rivelatore di gas (indicare il simbolo chimico del gas)
Dispositivo di interruzione dell’alimentazione
Comando elettronico a tastiera protetto contro la manomissione
Punto di iniezione dell’alimentazione
Comando a chiave protetto contro la manomissione
Esempio: Telecamera a fuoco fisso, grado di protezione contro la penetrazione di corpi solidi 6, dell’acqua 4, termostatica, bianco e e nero, brandeggio Telecamera con Zoom Video di controllo Video di controllo a commutazione automatica
➥
ORMIN 5. A.1. LOGIE, TE IONI Z O N B SIM , CONVE ZIONE LOGIE PRESENTA P DI RA
A 39
A.1. 5.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE ➦ SIMBOLOGIA E TERMINOLOGIA DI DESIGNAZIONE DEGLI IMPIANTI TECNICI ➦ TAB. A.1.5./16 TERMINOLOGIA E SIMBOLOGIA GRAFICA DI DESIGNAZIONE DEGLI IMPIANTI PER LA DISTRIBUZIONE DI ACQUA, GAS E VAPORE (NORMA UNI 9511) TUBAZIONI E RELATIVI ACCESSORI Tubazione, segno grafico generale Tubazioni, metodo A: i segni grafici indicano la posizione della tubazione rispetto al piano di sezione: • visibile • nascosta • davanti al piano della sezione La natura del fluido viene precisata con un codice di identificazione, secondo la natura del fluido convogliato
Giunto isolante Giunto elastico antivibrante
Valvola a farfalla
Valvola a galleggiante
Raccordo a T Valvola per terminali Curva Valvola ad angolo (a squadra) Tappo Valvola a tre vie
Tubazioni, metodo B I segni grafici precisano la natura e lo stato del fluido. Il significato di tali segni deve essere precisato sul disegno in apposita legenda.
Fondello
Tubazioni esistenti, segno grafico generale (metodi A e B, linea fine). Le tubazioni di progetto sono rappresentate con linea grossa, come indicato nei punti precedenti. In luogo della differenziazione della grossezza di linea, le tubazioni esistenti possono essere differenziate dalla tubazione di progetto contrassegnandole con il simbolo E. La scelta di un metodo (A o B) esclude l’altro.
Riduzione eccentrica
Valvola di non ritorno (il senso del flusso è indicato dalla freccia)
Supporto
Valvola di sicurezza
Supporto scorrevole
Stabilizzatore o riduttore di pressione, o organo di espansione
Supporto o punto fisso
Dispositivo rompivuoto, segno grafico generale
POZZETTI E SCARICHI
Disconnettore (per reti idriche)
Valvola a quattro vie Riduzione concentrica
Tubi piezometrici Acquedotto (derivazione da condotta pubblica)
Pozzetto, segno grafico generale
Linea che identifica il limite di contratto (linea mista extra grossa) Incrocio di tubazioni, senza connessione (incrocio di canali)
Pozzetto con sifone Dispositivo di sfogo area
Connessione (cerchio pieno con d. pari circa a quattro volte lo spessore del tratto)
Separatore, segno grafico generale
Incrocio di tubazioni, con connessione (incrocio di canali)
Sifone
Dispositivo di sfogo area manuale
Dispositivo di sfogo area automatico
Derivazione di tubazioni
Pozzetto con dispositivo di drenaggio per condotte in pressione
Tubo flessibile
Pozzetto con dispositivo di presa d’acqua
Senso del flusso Senso del flusso gravitazionale (può essere indicato il valore della pendenza espressa in %)
Rubinetto di spillamento o scarico
Scarico aperto Scarico chiuso
GIUNZIONI E ACCESSORI PER TUBAZIONI
VALVOLAME
Giunzione, segno grafico generale Giunzione a flangia
Valvolame, segno grafico generale, utilizzato anche per organo di intercettazione, di taratura o di regolazione a due vie
Giunzione a bicchiere
Valvola a sfera
Dispositivo di sfogo area automatico con separatore Separatore di vapore, separatore liquido-vapore Gruppo di miscelazione Scaricatore di condensa per vapore acqueo (precisare in legenda il tipo costruttivo: a secchiello, termodinamico, ecc.)
Indicatore di passaggio
Indicatore di livello
Giunzione a manicotto Valvola a maschio
Serbatoio o vasca di accumulo acqua
Giunto a tre pezzi Valvola a globo
Stazione di pompaggio dell’acqua
Valvola con otturatore a diaframma
Stazione di trattamento dell’acqua
Flangia cieca Giunto scorrevole, segno grafico generale
A 40
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE
A.1. 5. A.ZIONI
➦ TAB. A.1.5./16 TERMINOLOGIA E SIMBOLOGIA GRAFICA DI DESIGNAZIONE DEGLI IMPIANTI PER LA DISTRIBUZIONE DI ACQUA, GAS E VAPORE (NORMA UNI 9511)
Scambiatore di calore ad accumulo
Pannello radiante (a pavimento o soffitto)
Scambiatore di calore a piastre
Termoconvettore
Pompa per acqua
Ventilconvettore
Generatore di calore a combustibile solido
Pompa per altri fluidi (liquidi)
Ventilconvettore con presa d’aria esterna
Generatore di calore a combustibile liquido
Filtro, segno grafico generale
Aerotermo
Generatore di calore a combustibile gassoso preparatore a gas di acqua calda di consumo
Filtro temporaneo
Vaso d’espansione, segno grafico generale, sistema aperto
Generatore di calore elettrico preparatore elettrico di acqua calda di consumo
Filtro a Y (a cestello)
Vaso d’espansione, autopressurizzato, sistema chiuso
Corpo scaldante, segno grafico generale (radiatori, termoconvettori)
Vaso d’espansione a membrana, sistema chiuso
Tubo alettato
Ammortizzatore di colpo d’ariete
APPARECCHIATURA Apparecchio, segno grafico generale (utilizzare preferibilmente il segno grafico del cerchio per i componenti che hanno parti in movimento, il segno grafico del rettangolo negli altri casi). Il simbolo rettangolare può essere utilizzato sia verticalmente che orizzontalmente
Scambiatore di calore: segno grafico generale 1 segno grafico generale 2
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
A.1.5./17 TERMINOLOGIA E SIMBOLOGIA GRAFICA DI DESIGNAZIONE DEGLI IMPIANTI PER IL TRATTAMENTO E LA DISTRIBUZIONE DELL’ARIA (NORMA UNI 9511)
CANALI, ACCESSORI E COMPONENTI
Griglia di ventilazione, segno grafico generale
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P
Filtro rotativo
Canale, segno grafico generale Griglia anti-intemperie Canale di mandata sezione visibile sezione nascosta Canale di estrazione sezione visibile sezione nascosta
Griglia anti-intemperie dotata di rete anti-insetto
NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P
Umidificatore
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
Separatore di gocce
Griglia di transito o labirinto Silenziatore
Senso del flusso
Giunto a cannocchiale
Serranda regolabile per camini Batteria di riscaldamento Tagliafiamma Batteria di raffreddamento
Giunto antivibrante
Bocchetta di mandata APPARECCHIATURA Bocchetta (o griglia) di ripresa Serranda di regolazione, segno grafico generale
Apparecchio, segno grafico generale. (utilizzare preferibilmente il segno grafico del cerchio per i componenti che hanno parti in movimento ed il segno grafico del rettangolo negli altri casi). Il simbolo del rettangolo può essere utilizzato sia verticalmente sia orizzontalmente
Serranda ad alette parallele
Serranda ad alette contrapposte
Serranda di sovrapressione Serranda tagliafuoco (in legenda precisare il numero in minuti REI)
Ventilatore (il senso del flusso è indicato dalla posizione del vertice del triangolo)
Cassetta terminale miscelatrice
Cassetta terminale di post-riscaldamento Cassetta terminale per impianti a portata d’aria variabile Recuperatore di calore (indicare in legenda il tipo: RT, rotativo; UHP, a tubi di calore)
Filtro per aria, segno grafico generale
Estrattore d’aria da parete o finestra
Filtro a tasche
Estrattore d’aria a torrino
➥
ORMIN 5. A.1. LOGIE, TE IONI Z O N B SIM , CONVE ZIONE LOGIE PRESENTA P DI RA
A 41
A.1. 5.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE ➦ SIMBOLOGIA E TERMINOLOGIA DI DESIGNAZIONE DEGLI IMPIANTI TECNICI ➦ A.1.5./17 TERMINOLOGIA E SIMBOLOGIA GRAFICA DI DESIGNAZIONE DEGLI IMPIANTI PER IL TRATTAMENTO E LA DISTRIBUZIONE DELL’ARIA (NORMA UNI 9511) SEGNI GRAFICI PER ORGANI DI REGOLAZIONE E CONTROLLO
SEGNI GRAFICI PER GUAINE E PRESE PER MISURAZIONI
SEGNI GRAFICI PER APPARECCHI INDICATORI, REGISTRATORI E CONTATORI
Comando manuale, segno grafico generale (utilizzato anche per servomotore elettrico)
Presa per manometro
Apparecchio indicatore (a lettura diretta)
Comando automatico, segno grafico generale
Presa per manometro, con flangia di prova
Apparecchio registratore
Comando a molla
Pozzetto per termometro
Contatore (indicare la dimensione fisica) Contaimpulsi (per sistemi di trattamento delle acque)
Comando a contrappeso SIGLE DI IDENTIFICAZIONE DELLA NATURA DEL FLUIDO CONVOGLIATO
Comando a galleggiante
• • • • • • •
Comando a pistone
SEGNI GRAFICI PER SONDE E RILEVATORI
Comando a membrana
Sonda di temperatura
Motore di trascinamento rotativo
Rilevatore di pressione
• •
Compressore aria
Rilevatore di portata
Comando elettromagnetico
Sonda di umidità
• • •
Controllo a distanza
Rilevatore di livello
• • •
Aria Compressa Acqua Calda (T < 373 K) Acqua Calda e/o Refrigerata Acqua Refrigerata Acqua Surriscaldata (T > 373 K) Acqua Trattata Cond. di vapore acqueo, flusso a Gravità Gas metano Condensa di Vapore acqueo, flusso in pressione (pompato) Drenaggio di apparecchi (spurgo) Gas generico Gas Manufatturato (o di città o di cocheria) Gas di Petrolio Liquefatto Sfogo in atmosfera (atmosferico) Vapore acqueo
A ... AC ACR AR AS AT CG CH4 CP D G GM GPL SP V ...
TAB. A.1.5./18 TERMINOLOGIA E SIMBOLOGIA GRAFICA DI DESIGNAZIONE PER GLI APPARECCHI E LA RUBINETTERIA SANITARIA (NORMA UNI 9511) SEGNI GRAFICI PER APPARECCHI SANITARI Lavello semplice con gocciolatoio Pianta Elevazione Lavello doppio con gocciolatoio Pianta Elevazione Pilozzo Pianta Elevazione Vuotatoio Pianta Elevazione Vasca da bucato Pianta Elevazione Lavabo Pianta Elevazione Lavabo a canale Pianta Elevazione
Piatto doccia Pianta Elevazione
SEGNI GRAFICI PER ELETTRODOMESTICI
Lavastoviglie Beverino Pianta Elevazione Lavapiedi Pianta Elevazione
Lavatrice
Asciugabiancheria
Bidé Pianta Elevazione Vaso Pianta Elevazione Vaso con cassetta di risciacquamento Pianta Elevazione Orinatoio a parete Pianta Elevazione
SEGNI GRAFICI PER RUBINETTERIA SANITARIA E ACCESSORI Rubinetto a erogazione
Miscelatore per acqua calda e fredda
Soffione doccia
Doccia a telefono
A 42
Vasca da bagno Pianta Elevazione
Orinatoio multiplo a pavimento Pianta Elevazione
Vasca a sedile Pianta Elevazione
Vaso a pavimento Pianta Elevazione
Rubinetto con attacco a vite per tubo flessibile
Piletta sifonata di scarico a pavimento
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE
A.1. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
A.1.5./19 TERMINOLOGIA E SIMBOLOGIA GRAFICA PER LA REGOLAZIONE AUTOMATICA (NORMA UNI 9511) SEGNI GRAFICI PER IDENTIFICARE LE GRANDEZZE RILEVATE O CONTROLLATE
SEGNI GRAFICI PER REGOLATORI CON AMPLIFICATORE (ELETTRONICI O PNEUMATICI)
Convertitore di segnale (trasduttore pneumoelettrico)
Temperatura
Regolatore: segno grafico generale
Convertitore di segnale (trasduttore elettro-pneumatico)
Regolatori ambiente con sonda incorporata: segno grafico generale
Relè proporzionale
Pressione Portata Umidità
Regolatore di temperatura da condotta aria o tubazione con elemento sensibile
Livello
Regolatori ∆T
SEGNI GRAFICI PER SONDE O TRASMETTITORI DA AMBIENTE O DA ESTERNO Sonda o trasmettitore: segno grafico generale Sonda di temperatura ambiente
Regolatore montato all’interno di un servocomando
CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
Relè proporzionale-integrale
D.GETTAZIONE
Relè proporzionale-integrale-derivativo
PRO TTURALE STRU
Programmatore orario
Irraggiamento solare Regolatori ∆P
B.ATTERISTICLHI EDELLE
∆
E.NTROLLO
Relè a due posizioni
CO NTALE AMBIE
Variatore manuale (potenziometro, variatore di pressione, ecc.)
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
Strumento indicatore (manometro o milliamperometro)
SEGNI GRAFICI PER REGOLATORI DI TIPO ELETTRICO, ELETTROMECCANICO, ECC.
SEGNI GRAFICI PER I SERVOCOMANDI E SERVOMOTORI PER VALVOLE O SERRANDE
Sonda di temperatura o climatica per ambiente esterno
Regolatori con elemento rilevatore della grandezza incorporato: segno grafico generale
Servocomando pneumatico
Sonda di temperatura o climatica per esterno sensibile anche all’irraggiamento solare
Regolatore ambiente di temperatura
SEGNI GRAFICI PER ORGANI FINALI DI REGOLAZIONE
Regolatore ambiente di temperatura per condotta aria o posto su tubazione, serbatoio, vasca, ecc.
Sonda di umidità relativa ambiente
Valvola a due vie Valvola a tre vie
Regolatore ambiente di temperatura differenziale per condotta aria o posto su tubazione, serbatoio, vasca, ecc.
Valvola a quattro vie
Regolatore ambiente di umidità relativa
G.ANISTICA URB
Servocomando pneumatico con posizionatore NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P
Servocomando elettroidraulico
NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P
Servocomando elettrico
Servocomando elettromagnetico
Valvola termostatica per radiatori con sonda incorporata Valvola termostatica per radiatori con sonda a distanza Valvola a due vie autoazionata (grandezza regolante temperatura) Valvola a tre vie autoazionata (grandezza regolante temperatura)
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
Servocomando elettrotermico Regolatore ambiente di umidità relativa per condotta aria Regolatore ambiente di temperatura per umidità assoluta
SEGNI GRAFICI PER LINEE DI COLLEGAMENTO, TRATTI DI INTERRUZIONE, ECC. Collegamenti: simbolo generale
Flussostato (la freccia indica in senso del flusso del fluido)
Collegamenti pneumatici e idraulici Collegamenti elettrici Tratti di interruzione
SEGNI GRAFICI PER SONDE O TRASMETTITORI PER CONDOTTE, TUBAZIONI E ALTRO
SEGNI GRAFICI PER ACCESSORI
Sonda o trasmettitore da condotta: segno grafico generale
Accessorio, segno grafico generale
Sonda o trasmettitore di temperatura
Selettore di massimo segnale
Sonda o trasmettitore di pressione
Selettore di minimo segnale
Raggruppamento di apparecchiature
SIMBOLI LETTERALI DELLE GRANDEZZE
Sonda o trasmettitore di portata
Sonda o trasmettitore di umidità relativa Sonda o trasmettitore di livello
Amplificatore di segnale
Invertitore di segnale Selettore di media dei segnali d’ingresso
Temperatura Differenza di temperatura Pressione assoluta Pressione relativa Differenza di pressione Umidità assoluta Umidità relativa Entalpia Potenza termica Portata Livello Flusso Velocità Numero di giri
T ∆T P p ∆P H H% J W Q L F V Ω
➥
ORMIN 5. A.1. LOGIE, TE IONI Z O N B SIM , CONVE ZIONE LOGIE PRESENTA P DI RA
A 43
A.1. 5.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO SIMBOLOGIE, TERMINOLOGIE, CONVENZIONI DI RAPPRESENTAZIONE ➦ SIMBOLOGIA E TERMINOLOGIA DI DESIGNAZIONE DEGLI IMPIANTI TECNICI TAB. A.1.5./20 TERMINOLOGIA E SIMBOLOGIA GRAFICA PER GLI IMPIANTI DI REFRIGERAZIONE (NORMA UNI 9511) SEGNI GRAFICI
Evaporatore a circolazione forzata d’aria
Apparecchio, segno grafico generale
Filtro essiccatore Spie
Evaporatore raffreddatore di liquidi Compressore, simbolo generale
Spia di passaggio
Compressore a pistoni
Evaporatore raffreddatore a pioggia
Compressore a vite o volumetrico
Serbatoio a pressione, segno grafico generale
Compressore centrifugo Separatore di liquido Compressore ad ejettore Valvola di intercettazione Compressore a due stadi Elemento di condensatore, segno grafico generale Condensatore raffreddato ad acqua Condensatore raffreddato ad aria forzata Condensatore evaporativo a circolazione naturale d’aria Condensatore evaporativo ad aria forzata Elemento di evaporatore, segno grafico generale Evaporatore a circolazione naturale d’aria
Organo di espansione, segno grafico generale Organo di espansione a regolazione manuale Valvola di espansione termostatica con equilibratore esterno
Spia di livello Spia di umidità Strumento indicatore Stazione di carica
Valvola di sicurezza Disco di sicurezza a rottura Raffreddatore intermedio a miscela Scambiatore di calore gas/liquido o rettificatore d’olio
Regolatore di pressione autoazionato Torre di refrigerazione Valvola di espansione con galleggiante sulla bassa pressione Valvola di espansione con galleggiante sull’alta pressione Regolatore di livello magnetico a galleggiante
Refrigerazione di liquidi ad evaporazione Sbrinatore elettrico Sbrinatore a pioggia d’acqua
TAB. A.1.5./21 TERMINOLOGIA E SIMBOLOGIA GRAFICA PER I SISTEMI DI DRENAGGIO E SCARICO ACQUE USATE (NORMA UNI 9511) CANALIZZAZIONI, TUBAZIONI, FOSSATI
Senso del flusso
Fossati
Senso del flusso gravitazionale (può essere indicato il valore della pendenza in %) Riduzione concentrica
Tubazione o canalizzazione, segno grafico generale Metodo A: I segni grafici indicano la posizione della tubazione rispetto al piano si sezione: • visibile • nascosta • davanti al piano di sezione La natura del fluido viene precisata con un codice di identificazione, secondo la natura del fluido convogliato Metodo B: I segni grafici precisano la natura e lo stato del fluido. Il significato di tali segni deve essere precisato sul disegno in apposita legenda Tubazioni esistenti, segno grafico generale (metodi A e B, linea fine). Le tubazioni di progetto sono rappresentate con linea grossa, come indicato nei punti precedenti. In luogo della differenziazione della grossezza di linea si può utilizzare il codice di identificazione E sulle parti esistenti
A 44
Manicotto scorrevole
GIUNZIONI E PEZZI SPECIALI Riduzione eccentrica Giunzione, segno grafico generale A bicchiere
Confluenza di tubazioni
A flangia Supporto A manicotto Supporto scorrevole A tre pezzi (giunto) A manicotto e saldatura elettrica A manicotto con guarnizione
Linea di identificazione: linea di picchettatura (linea mista grossa)
Tappo
Linea che identifica il limite di contratto (linea mista extra grossa)
Flangia cieca
Incrocio di tubazioni, senza connessione (incrocio di canali)
Giunto scorrevole, segno grafico generale
Punto fisso
Curva
Raccordo a T
Braga
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO FASI O “LIVELLI” DI ELABORAZIONE E REDAZIONE DEL PROGETTO ATTORI DEL «PROCESSO EDILIZIO», DESTINATARI DELLE DIVERSE FASI E SETTORI DI ELABORAZIONE DEL PROGETTO L’UNI definisce il processo edilizio “Sequenza organizzata di fasi operative che portano dal rilevamento di esigenze al loro soddisfacimento in termini di produzione edilizia” (UNI 7867). L’elaborazione del progetto di opere edili si svolge quindi attraverso una sequenza di fasi o livelli tra loro coordinati, rivolti a rispondere ai diversi tipi e ai diversi gradi di esigenze che la realizzazione dell’opera comporta. La recente legislazione in materia di opere pubbliche – programmazione, progettazione, appalti, controlli ecc. – ha innovato notevolmente anche molti aspetti che riguardano l’ela-
borazione, l’organizzazione e la formalizzazione dei progetti (legge 109/1994 – 216/1995). Per quanto attiene all’attività edilizia di committenza privata le fasi e le procedure di progettazione sono rimaste per il momento inalterate. Questo doppio regime normativo in materia di progettazione è destinato a permanere per diversi anni; si è reso quindi necessario illustrare e documentare entrambe le sequenze di fasi di approfondimento del progetto e relativi adempimenti e competenze, una di seguito all’altra, segnalando le differenze rilevanti, anche con l’ausilio di tavole sinottiche di confronto.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU E ESE ESSIONAL PROF
• notizie, schemi e schizzi assunti in fabbrica o nei laboratori artigiani in merito a possibili componenti da utilizzare, lavorazioni, modalità di posa, ecc. Tali elaborati, non dovendo essere trasmessi ad alcuno, non dovendo quindi fornire indicazioni ad altri che allo stesso progettista, possono essere redatti anche in forma strettamente personalizzata e non è necessario che siano formalizzati secondo codici e convenzioni prestabilite.
INTERLOCUTORI DEL PROGETTO: GLI ATTORI DEL PROCESSO EDILIZIO Tutti gli altri elaborati si rivolgono, di volta in volta e di fase in fase, ai diversi operatori che partecipano del processo edilizio, cioè che concorrono in qualche modo e per qualche aspetto all’insieme delle attività di programmazione, progettazione, costruzione, pro-
A.ZIONI
C.RCIZIO
ELABORATI CHE IL PROGETTISTA ESEGUE PER SE STESSO Hanno valore strumentale di esplicazione e di verifica di idee, ipotesi, tentativi, ecc. e di appunti di ordinamento iniziale e/o parziale degli aggregati di scelte che il progetto comporta. Appartengono a questo gruppo di elaborati interni: • appunti e schizzi presi nel sito di localizzazione dell’opera; • schizzi preliminari di configurazione dell’opera o di parti dell’opera; • appunti, annotazioni e schemi grafici presi in cantiere, in corso d’opera;
A.2. 1.
duzione di componenti, verifica, controllo e fruizione dell’opera. Schematizzando largamente, gli interlocutori del progetto possono essere riassunti nelle “figure” di seguito specificate, con indicazione degli elaborati dei quali sono destinatari privilegiati.
COMMITTENTE Sia che si tratti di un privato cittadino, sia che si tratti di una Amministrazione pubblica – o organismi di diritto pubblico, come definiti dall’art.2, c.6, lettera a), della legge 109/1994 – 216/1995 –, il committente rappresenta l’ente attuatore del processo edilizio, al quale compete la decisione di realizzare l’opera e la responsabilità di definire il programma al quale tale opera deve corrispondere. Nella definizione del programma di intervento il committente indica le esigenze essenziali e specifiche alle quali l’opera dovrà rispondere, in termini di individuazione del sito di localizzazione, di specificazione del tipo e delle quantità di attività di destinazione e di attività accessorie o integrative, di riferimento economico ai costi compatibili, di tempi di riferimento per l’elaborazione del progetto e per l’esecuzione delle opere, infine di quanto altro occorre per illustrare compiutamente le finalità generali dell’opera e gli ambiti compatibili di variabilità del programma stesso.
Tali ordinamenti normativi specifici di alcune tipologie ricorrenti di intervento vengono di norma allegati al programma stesso e trasmessi al progettista (come espressamente previsto dalla Bozza del Regolamento di attuazione della legge109/1994 – 216/1995, art.16, c.3); in altri casi tali ordinamenti di esigenze vengono dati per noti o semplicemente richiamati: in tal caso è compito del progettista stesso reperirne le raccolte e gli aggiornamenti. Per quanto attiene le opere pubbliche disciplinate dalla legge 109/1994 –216/1995, l’Amministrazione pubblica committente di lavori nomina un “responsabile unico del procedimento di attuazione di ogni singolo intervento per le fasi della progettazione, dell’affidamento e dell’esecuzione dello stesso” (art.7, c.1) al quale compete, tra l’altro, la verifica della completezza e congruità dei documenti, delle norme e delle informazioni fornite al progettista, ai fini dell’espletamento dell’incarico, nonché la verifica della qualità del progetto redatto dal progettista [ v. successivo A.2.1.2, sezione quinta].
Nel caso di committente pubblico – amministrazioni pubbliche, enti locali, enti di diritto pubblico, ecc. – gran parte delle esigenze essenziali che costituiscono il programma di intervento sono formalizzate in specifici ordinamenti normativi e regolamentari (come nel caso delle scuole, dell’edilizia, residenziale pubblica, ecc.) che specificano gran parte dei requisiti che si richiedono per quanto attiene a: • condizioni di sicurezza; • condizioni di benessere dei fruitori; • condizioni di fruibilità degli spazi, aggregazioni funzionali, ecc.; • condizioni di economia di gestione e manutenzione.
Elaborati di progetto che interessano il committente: Al committente devono essere consegnati tutti gli elaborati relativi alle diverse fasi di esplicazione del progetto, e ogni altro elaborato – anche successivo – che attenga l’esecuzione delle opere, varianti in corso d’opera, ecc. In genere, soprattutto nel caso di opere di impegno e rilevanza non ordinarie, anche nei casi che non rientrano tra quelli regolati dalla legge109/1994 – 216/1995, è buona norma predisporre progetto di larga massima o quantomeno progetto planovolumetrico preliminare da sottoporre a verifica di congruenza con il programma e alla preventiva approvazione del committente, prima di procedere alle successive e impegnative fasi di elaborazione.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
UTENTE È bene precisare che sono sempre più rari i casi in cui la figura del committente coincide con quella dell’utente dell’opera; per questo motivo l’utente viene individuato come figura distinta. La figura dell’utente rappresenta l’insieme di coloro che fruiranno direttamente del bene prodotto, chiunque ne sia stato il committente, pubblico o privato. Utenti sono: • gli abitanti rispetto agli alloggi di edilizia pubblica o privata; • gli studenti rispetto alle scuole; • i malati e il personale medico rispetto agli ospedali; • gli spettatori rispetto a un cinema o a un teatro; • gli atleti e gli spettatori rispetto a un impianto sportivo; ecc. La figura dell’utente, nel caso in cui non coincida con quella del committente, appare poco considerata dalle norme che regolano il processo edilizio, anche perché spesso
assume una fisionomia concreta solo a cose fatte, quando il bene – casa, scuola, ospedale, teatro o altro – è già stato realizzato. Tuttavia, si sostiene, gli apparati normativi e regolamentari esistenti, dovrebbero rappresentarne adeguatamente le istanze. Elaborati di progetto che interessano l’utente: Sono rare le occasioni in cui si prospettano sedi di informazione e di interlocuzione diretta con l’utenza, fatti salvi i casi di utente-committente, come quello di un privato che decide di costruirsi la casa o la sede della propria attività produttiva. Una significativa eccezione è rappresentata dalle normative europee in materia di impatto ambientale, che prevedono specifici adempimenti in tema di pubblicizzazione degli interventi e di acquisizione del parere della popolazione in qualche modo interessata.
PROGETTISTA Nella figura del progettista sono raccolti tutti gli operatori tecnici che concorrono alla definizione dei diversi gradi e dei diversi settori del progetto, ai quali spetta l’individuazione, l’organizzazione e il coordinamento dei diversi insiemi o sistemi di prestazioni – specifiche delle diverse competenze – che dovranno essere assicurate in congruenza con le esigenze poste dalla realizzazione dei lavori e dall’esercizio dell’opera: dal progetto architettonico a quelli delle strutture, degli impianti tecnici, agli studi ambientali e paesaggistici, ai diversi tipi e gradi di valutazione economica, ecc. Elaborati di progetto che interessano altre competenze tecniche e professionali: Il professionista responsabile del progetto (o capogruppo) deve curare che a ognuno degli altri professionisti responsabili delle diverse competenze tecniche implicate dal progetto siano consegnati tutti gli elaborati del progetto esecutivo (anche quelli del
progetto definitivo, secondo il disposto della legge 216/95, in materia di opere pubbliche) necessari per l’espletamento delle specifiche attività di progettazione, con chiara e inequivoca indicazione delle posizioni e dei vincoli all’interno dei quali tale attività progettuale dovrà svolgersi, come sono ad esempio: • indicazione della morfologia strutturale generale e dei “fili fissi” per i professionisti incaricati del calcolo delle strutture; • indicazione della localizzazione ottimale di apparecchi igienici e altri terminali di utilizzazione, nonché delle sedi predisposte per il passaggio delle canalizzazioni per gli impianti idraulici; • indicazione della localizzazione ottimale dei corpi riscaldanti, corpi radianti, convettori, caldaie e centrali, ecc., nonché delle sedi predisposte per il passaggio delle canalizzazioni per gli impianti di riscaldamento e climatizzazione; ecc.
ORMIN 5. A.1. LOGIE, TE IONI Z O N B SIM , CONVE ZIONE LOGIE PRESENTA P DI RA . DI 1 A.2. “LIVELLI”E REDAO FASI RAZIONE ETTO ELABO DEL PROG E ZION
A 45
A.2. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO FASI O “LIVELLI” DI ELABORAZIONE E REDAZIONE DEL PROGETTO ➦ ATTORI DEL «PROCESSO EDILIZIO», DESTINATARI DELLE DIVERSE FASI E SETTORI DI ELABORAZIONE DEL PROGETTO IMPRESA Con la dizione generale di impresa si indica il soggetto esecutore dell’opera, vale a dire la struttura organizzativa-produttiva alla quale viene demandata la esecuzione dei lavori. Tale conferimento avviene generalmente mediante contratti di appalto di diverso tipo e a seguito dell’espletamento di diverse procedure (di cui si tratta nella seguente sezione C “Esercizio professionale”). Qui giova ricordare che, a seconda del tipo di appalto, all’Impresa compete la responsabilità della realizzazione dell’intero insieme delle opere necessarie per dare l’oggetto edilizio finito e agibile, o solo alcune parti o categorie di esse, mentre per altre il committente provvede direttamente mediante altri rapporti contrattuali. Elaborati di progetto che interessano l’impresa: All’impresa devono essere consegnati tutti gli elaborati che costituiscono il progetto esecutivo delle opere commissionate e contrattate, i relativi dettagli e particolari, i capitolati d’appalto, i computi metrici-estimativi, nonché ogni altro elaborato o documento necessario per la corretta esecuzione delle opere e per la loro valutazione qualitativa, quantitativa ed economica. A tale fine si segnala l’importanza della elaborazione e redazione grafica chiara e di univoca interpretazione degli elaborati di insieme e di coordinamento, con altrettanto
univoci riferimenti a tutti gli altri elaborati che analizzano parti, dettagli, particolari o altro del progetto, secondo le normative grafiche di designazione e correlazione indicate nel cap. A.1. Nel caso di lavori aggiudicati mediante gara per l’affidamento di una concessione di costruzione e gestione, all’Impresa viene consegnato il progetto definitivo come definito dall’art.16, c.4, della legge 109/1994 – 216/1995 e specificato dal Titolo III, Capo II, Sezione terza della Bozza del Regolamento di attuazione, integrato dai documenti e dalle elaborazioni specificati dallo stesso Regolamento all’art.29, c.3, all’art.30, c.2, lettera h), all’art.36, c.2 e all’art.37, c.7 (tutti riportati in A.2.1.2). Nel caso di lavori aggiudicati mediante gara di appalto concorso, all’Impresa viene consegnato progetto preliminare come definito dall’art.16, c.3, della legge 109/1994 – 216/1995 e specificato dal Titolo III, Capo II, Sezione seconda della Bozza del Regolamento di Attuazione, integrato dai documenti e dalle elaborazioni specificati dallo stesso Regolamento all’art.22, c.3 e agli articoli 27 e 28 (riportato in A.2.1.2). All’impresa deve essere consegnata in ogni caso anche copia del progetto di massima o del progetto definitivo come definito dalla legge 109/1994 – 216/1995, approvato dalle autorità competenti, in modo che sia in ogni momento verificabile la legittimità normativa delle opere in esecuzione.
PRODUTTORI DI PARTI O COMPONENTI Industrie, artigiani o altri produttori ai quali viene richiesta offerta o ordinata la fornitura di parti o componenti dell’edificio, sulla base di diversi tipi di commissione: • in esecuzione di specifici elaborati di progetto; • mediante la scelta da catalogo di elementi ordinariamente prodotti, con o senza variazioni; • mediante la richiesta di elementi, serie di elementi, componenti o parti che dovranno essere espressamente progettati e prodotti, sulla scorta della prescrizione di alcuni requisiti qualitativi tecnici ed economici essenziali.
Elaborati di progetto che interessano i produttori di parti o componenti: Ai produttori di parti o componenti devono essere consegnati gli elaborati del “progetto esecutivo” specifici – particolari, dettagli, casellari, abachi, ecc. – relativi alle opere o forniture commissionate, le voci di capitolato e i dati quantitativi e di stima corrispondenti, nonché elaborati di insieme dai quali siano desumibili le collocazioni e le condizioni di applicazione degli elementi, materiali o parti commissionate. Nel caso di elementi, componenti o parti commissionati da “catalogo”, deve essere indicata con chiarezza la voce di classificazione dei tipi di prodotti selezionati, e devono essere richiamate le caratteristiche prestazionali che si richiedono (esplicitate o meno che siano nel catalogo).
OPERATORI DI CONTROLLO URBANISTICO, AMBIENTALE E DI LEGITTIMITÀ DEGLI INTERVENTI Qualsiasi tipo di intervento edilizio è sottoposto a procedure di autorizzazione o concessione, esplicite o implicite, che ne legittimino preventivamente l’esecuzione e ne verifichino la conforme realizzazione, a fronte delle normative urbanistiche, ambientali, igienico-sanitarie, di sicurezza, ecc. vigenti, nonché a fronte di eventuali vincoli (ambientali, paesistici, archeologici, o altro) incidenti nell’area. A tali controlli preventivi e finali sono preposti specifici uffici delle Amministrazioni competenti, come sono: le Commissioni Edilizie Comunali, le Sovrintendenze, il Genio Civile, il Comando dei VVF, gli Ufficiali sanitari delle ASL, le ripartizioni tecniche degli Enti committenti e/o responsabili di settore (Comuni, Province, Regioni, Ministero dei LLPP, Ministero dell’Ambiente, ANAS, ecc.). Gli orientamenti normativi e amministrativi recenti fanno sempre più frequentemente ricorso, nel caso di opere di particolare importanza o urgenza, alla convocazione di conferenza di servizi, che riunisce insieme tutti gli organismi preposti alle verifiche di conformità normativa del progetto, in modo da raccoglierne tempestivamente i pareri o nulla-osta di competenza, secondo le modalità fissate dagli articoli 14 e 16 della legge 7 agosto 1990, n.241 e successive modificazioni, richiamata dall’art.7, c.4 quinquies, 5, 6, 7 e 8 della legge 109/1994
– 216/1995. Alcuni di questi controlli, soprattutto quelli preventivi effettuati sulla scorta degli elaborati di progetto, hanno carattere prevalentemente legittimante, ovvero si esprimono in merito alla assentibilità normativa degli interventi a fronte delle leggi e regolamenti vigenti. Altri controlli intervengono nel merito della rispondenza delle opere progettate e/o realizzate ai requisiti fondamentali di sicurezza, benessere, fruibilità gestione e manutenzione. In tali casi il controllo ha carattere tecnico e rientra tra le fattispecie trattate al seguente capoverso. Elaborati di progetto rivolti alla verifica di legittimità normativa: Trattandosi nella maggior parte dei casi di “controlli preventivi” di legittimità, tale attività si applica essenzialmente al progetto di massima per le opere ordinarie, non comprese nel campo di applicazione della legge 109/1994 – 216/1995, e al progetto definitivo nel caso di opere alle quali si applicano le procedure della legge Merloni; tali fasi e adempimenti progettuali sono chiamati precipuamente ad adempiere a questo ruolo e a fornire tutti i dati, riferimenti e informazioni necessari per tali controlli.
OPERATORI DI CONTROLLO TECNICO (O DI QUALITÀ) Le operazioni di controllo hanno il compito di verificare se gli obiettivi particolari, che specificano fase per fase o parte per parte l’obiettivo generale, siano stati o meno raggiunti, in termini di valutazione delle prestazioni offerte a fronte dei requisiti esigenziali richiesti, vale a dire in termini di qualità del prodotto edilizio, di inserimento ambientale e paesaggistico e di congruenza dei costi (almeno per quei costi che non sono contemplati dal contratto di appalto sottoscritto). All’interno dell’approccio esigenziale-prestazionale, l’attività di controllo viene collocata come momento caratteristico di ogni fase decisionale del processo edilizio, compresa la fase di organizzazione del programma e di definizione del progetto. Si possono distinguere due modi di controllo: • un primo tipo di controllo e verifica è interno all’articolazione di ogni fase decisionale, e attiene in genere agli stessi operatori ai quali compete l’assunzione di tali decisioni, progettisti o esecutori che siano; • un secondo tipo di controllo – controllo propriamente detto – si configura come una fase autonoma del processo edilizio, posta al termine delle diverse fasi esecutive per verificarne e certificarne l’accettabilità.
A 46
Questo secondo tipo di controllo fa capo in genere a specifici operatori che dispongono di propri tempi e propri mezzi per effettuare il controllo. Si citano ad esempio: il collaudo delle strutture, i collaudi generali delle opere, le certificazioni di abitabilità, agibilità, ecc. Un controllo costante in merito alla qualità del progetto in tutte le sue fasi o livelli è esercitato dal responsabile del procedimento secondo il disposto dell’art.7 della legge 109/1994 – 216/1995 e con le modalità specificate nella sezione quinta del Titolo IV del Regolamento di attuazione (Bozza del 14 maggio 1996, riportata in A.2.1.3.) Elaborati di progetto che intervengono nelle procedure di controllo tecnico e di qualità delle opere: I tecnici preposti ai controlli e alle verifiche devono disporre di tutti i livelli di progettazione e di tutti gli elaborati – grafici, computi, calcoli, relazioni, ecc. – relativi ai settori e/o alle categorie di opere che sono chiamati a verificare.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO FASI O “LIVELLI” DI ELABORAZIONE E REDAZIONE DEL PROGETTO FASI DI ELABORAZIONE DEL PROGETTO – PROGETTAZIONE DI OPERE PUBBLICHE REGOLATE DALLA LEGGE 109/94 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI La legge 109/1994, modificata e integrata dalla legge 216/1995 (“Nuova legge Merloni”) e dalla legge 415/1998 (“Merloni Ter e Quater”), costituisce “norma fondamentale di riferimento”... “anche per il rispetto degli obblighi internazionali dello Stato”, in materia di opere e di lavori pubblici. Gli aspetti inerenti l’esercizio professionale e relative implicazioni deontologiche, economiche, ecc., vengono trattati nella successiva sezione B. “Esercizio professionale”. Nel presente capitolo vengono ordinate le parti che prospettano conseguenze rilevanti per quanto attiene le fasi di elaborazione e organizzazione del progetto, i relativi adempimenti formali e sostanziali e l’indicazione degli studi, delle indagini, delle relazioni, dei calcoli e degli elaborati grafici prescritti per ogni singola fase. In tale ambito, le novità sostanziali introdotte dalla legge 109/1994 e successive modificazioni, riguardano: • l’introduzione del “progetto preliminare” come fase essenziale e disciplinata dell’iter progettuale, laddove nella prassi precedente rivestiva il carattere di strumento opzionale non regolamentato; • la sostituzione del “progetto definitivo” al precedente “progetto di massima”, con l’integrazione di ulteriori competenze e adempimenti, come il “calcolo preliminare delle strutture e degli impianti”, l’individuazione del tipo di fondazioni, lo “studio di
impatto ambientale ove previsto”, l’anticipazione in questa fase della elaborazione di un primo “computo metrico estimativo” e degli “studi e indagini di tipo geognostico, idrologico, sismico, agronomico, biologico, chimico” necessari per i calcoli preliminari delle strutture e degli impianti già detti; • l’introduzione del “piano di manutenzione dell’opera e delle sue parti” tra gli adempimenti prescritti per il “progetto esecutivo”; • la generale considerazione richiesta in tutte le fasi del progetto per le implicazioni di carattere ambientale delle opere e dei lavori che si progettano;
A.2. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
• la generale tendenza a privilegiare una metodologia progettuale basata sull’approccio di tipo esigenziale-prestazionale piuttosto che sulla tradizionale articolazione per categorie di opere, che muove decisamente in direzione della omogeneizzazione dei comportamenti professionali e tecnico-amministrativi europei.
D.GETTAZIONE
La materia è trattata nei termini generali dall’art.16 della legge 109/1994 e successive modificazioni, come di seguito trascritto; successivamente è stata specificata e articolata da apposito “Regolamento” (richiamato dall’art.3 della legge 109/1994 e successive modificazioni), del 14 dicembre 1999.
E.NTROLLO
PRO TTURALE STRU
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
LIVELLI DI SUCCESSIVO APPROFONDIMENTO DELLA PROGETTAZIONE (Estratto legge 109/1994 e successive modificazioni, art.16 “attività di progettazione”) 1. La progettazione si articola, nel rispetto dei vincoli esistenti, preventivamente accertati, e dei limiti di spesa prestabiliti, secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici, in preliminare, definitiva ed esecutiva, in modo da assicurare: a. la qualità dell’opera e la rispondenza alle finalità relative; b. la conformità alle norme ambientali e urbanistiche; c. il soddisfacimento dei requisiti essenziali, definiti dal quadro normativo nazionale e comunitario. 2. Le prescrizioni relative agli elaborati descrittivi e grafici contenute nei c.3, 4 e 5 sono di norma necessarie per ritenere i progetti adeguatamente sviluppati. Il responsabile del procedimento nella fase di progettazione, qualora, in rapporto alla specifica tipologia e alla dimensione dei lavori da progettare, ritenga le prescrizioni di cui ai c.3,4 e 5 insufficienti o eccessive, provvede a integrarle ovvero a modificarle. 3. [“Progetto preliminare”] Il “progetto preliminare” definisce le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire e consiste in una relazione illustrativa delle ragioni della scelta della soluzione prospettata in base alla valutazione delle eventuali soluzioni possibili, anche con riferimento ai profili ambientali e all’utilizzo dei materiali provenienti dalle attività di riuso e riciclaggio, della sua fattibilità amministrativa e tecnica, accertata attraverso le indispensabili indagini di prima approssimazione, dei costi, da determinare in relazione ai benefici previsti, nonché in schemi grafici per l’individuazione delle caratteristiche dimensionali e volumetriche, tipologiche, funzionali e tecnologiche dei lavori da realizzare; il “progetto preliminare” dovrà inoltre consentire l’avvio della procedura espropriativa. 4. [“Progetto definitivo”] Il “progetto definitivo” individua compiutamente i lavori da realizzare, nel rispetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabiliti nel progetto preliminare e contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni e approvazioni. Esso consiste in una relazione descrittiva dei criteri utilizzati per le scelte progettuali, nonché delle caratteristiche dei materiali prescelti e dell’inserimento delle opere sul territorio; nello “studio di impatto ambientale” ove previsto; in disegni generali nelle opportune scale descrittivi delle principali caratteristiche delle opere, delle superfici e dei volumi da realizzare, compresi quelli per l’individuazione del tipo di fondazione; negli studi e indagini preliminari occorrenti con riguardo alla natura e alle caratteristiche dell’opera; nei calcoli preliminari delle strutture e degli impianti; in un disciplinare descrittivo degli elementi prestazionali, tecnici ed economici previsti in progetto nonché in un “computo metrico estimativo”. Gli studi e le indagini occorrenti, quali quelli di tipo geognostico, idrologico, sismico, agronomico, biologico, chimico, i rilievi e i sondaggi, sono condotti fino a un livello tale da consentire i calcoli preliminari delle strutture e degli impianti e lo sviluppo del computo metrico estimativo.
G.ANISTICA URB
5. [“Progetto esecutivo”] Il progetto esecutivo, redatto in conformità al progetto definitivo, determina in ogni dettaglio i lavori da realizzare e il relativo costo previsto deve essere sviluppato a un livello di definizione tale da consentire che ogni elemento sia identificabile in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo. In particolare il progetto è costituito dall’insieme delle relazioni, dei calcoli esecutivi delle strutture e degli impianti e degli elaborati grafici nelle scale adeguate, compresi gli eventuali particolari costruttivi, dal capitolato speciale di appalto, prestazionale e descrittivo, dal computo metrico estimativo e dall’elenco prezzi unitari. Esso è redatto sulla base degli studi e delle indagini compiuti nelle fasi precedenti e degli eventuali ulteriori studi e indagini, di dettaglio o di verifica delle ipotesi progettuali, che risultino necessari e sulla base di rilievi planoaltimetrici, di misurazioni e picchettazioni, di rilievi della rete di servizi del sottosuolo. Il progetto esecutivo deve essere altresì corredato da apposito piano di manutenzione dell’opera e delle sue parti da redigersi nei termini, con le modalità, i contenuti, i tempi e le gradualità stabiliti dal regolamento di cui all’art.3 (Regolamento di attuazione”, v. par. seguente).
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
6. [Richiamo del “Regolamento”] In relazione alle caratteristiche e all’importanza dell’opera, il regolamento di cui all’art.3, con riferimento alle categorie di lavori e alle tipologie di intervento e tenendo presenti le esigenze di gestione e di manutenzione, stabilisce criteri, contenuti e momenti di verifica dei vari livelli di progettazione. 7. [Oneri inerenti alla progettazione] Gli oneri inerenti alla progettazione, alla direzione dei lavori, alla vigilanza e ai collaudi, nonché agli studi e alle ricerche connessi, gli oneri relativi alla progettazione dei piani di sicurezza e di coordinamento e dei piani generali di sicurezza quando previsti ai sensi del DLgs 14 agosto 1996, n.494, gli oneri relativi alle prestazioni professionali e specialistiche atte a definire gli elementi necessari a fornire il progetto esecutivo completo in ogni dettaglio, ivi compresi i rilievi e i costi riguardanti prove, sondaggi, analisi, collaudo di strutture e di impianti per gli edifici esistenti, fanno carico agli stanziamenti previsti per la realizzazione dei singoli lavori negli stati di previsione della spesa o nei bilanci delle amministrazioni aggiudicatrici, nonché degli altri enti aggiudicatori o realizzatori. 8. [Coordinamento della esecuzione dei lavori] I progetti sono redatti in modo da assicurare il coordinamento della esecuzione dei lavori, tenendo conto del contesto in cui si inseriscono, con particolare attenzione, nel caso di interventi urbani, ai problemi della accessibilità e della manutenzione degli impianti e dei servizi a rete. 9. [Accesso all’area di intervento] L’accesso per l’espletamento delle indagini e delle ricerche necessarie all’attività di progettazione è autorizzato dal sindaco del comune in cui i lavori sono localizzati ovvero dal prefetto in caso di opere statali.
DI 1. A.2. “LIVELLI”E REDAO FASI RAZIONE ETTO ELABO DEL PROG E ZION
A 47
A.2. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO FASI O “LIVELLI” DI ELABORAZIONE E REDAZIONE DEL PROGETTO ➦ FASI DI ELABORAZIONE DEL PROGETTO – PROGETTAZIONE DI OPERE PUBBLICHE REGOLATE DALLA LEGGE 109/1994 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI TAB. A.2.1./1 FASI DI PROGETTAZIONE: ELABORATI PREVISTI DALLA LEGGE 109/1994 – E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI – E DALLE PROCEDURE ORDINARIE OPERE PUBBLICHE – LEGGE 109/1994 E REGOLAMENTO
COMMITTENZA PRIVATA – PROCEDURE ORDINARIE
LIVELLI DI PROGETTO ED ELABORATI PRESCRITTI
FASI DI PROGETTO ED ELABORATI PRESCRITTI
PROGETTO PRELIMINARE
PROGETTO DI LARGA MASSIMA (OPZIONALE)
a
relazione illustrativa
relazione generale
b
relazione tecnica
(non richiesto)
c
studio di prefattibilità ambientale
(non richiesto in questa fase)
d
indagini geologiche, idrogeologiche e archeologiche preliminari
(non richiesto)
e
planimetria generale e schemi grafici
planimetria generale e schemi grafici
f
prime indicazioni e disposizioni per la stesura dei piani di sicurezza
(non richiesto)
g
calcolo sommario della spesa
calcolo sommario di spesa
e grafici relativi a indagini geologica, geotecnica, idrologica idraulica e,ove necessaria, 2a relazioni sismica, delle aree interessate ai lavori
(non richiesto in questa fase)
2b capitolato speciale prestazionale
(non richiesto in questa fase)
2c piano economico e finanziario di massima
(non richiesto)
PROGETTO DEFINITIVO a
relazione descrittiva
relazione generale
b
relazioni geologica, geotecnica, idrologica, idraulica, sismica
(non richiesto)
c
relazioni tecniche specialistiche
(non richiesto)
d
rilievi planoaltimetrici e studio di inserimento urbanistico
rilievi planoaltimetrici e studio di inserimento urbanistico
e
elaborati grafici
elaborati grafici
f
studio di impatto ambientale ove previsto dalle vigenti normative, ovvero studio di fattibilità ambientale
(non richiesto in questa fase)
g
calcoli preliminari delle strutture e degli impianti
(non richiesto)
h
disciplinare descrittivo e prestazionale degli elementi tecnici
(non richiesto)
i
piano particellare di esproprio
preventivo sommario di spesa
l
computo metrico estimativo
(non richiesto)
quadro economico
quadro economico
m
A 48
PROGETTO DI MASSIMA
PROGETTO ESECUTIVO
PROGETTO ESECUTIVO
a
relazione generale
relazione generale
b
relazioni specialistiche
relazioni tecniche specialistiche ove necessario
c
elaborati grafici comprensivi di quelli delle strutture, degli impianti e di ripristino e miglioramento ambientale elaborati grafici, comprese strutture, impianti
d
calcoli esecutivi delle strutture e degli impianti
calcoli delle strutture e degli impianti
e
piani di manutenzione dell’opera e delle sue parti
(non richiesto)
f
piani di sicurezza e coordinamento
(non richiesto)
g
computo metrico estimativo definitivo e quadro economico
computo metrico estimativo definitivo e quadro economico se richiesto
h
cronoprogramma
cronoprogramma (solo se richiesto)
i
elenco dei prezzi unitari ed eventuali analisi
elenco dei prezzi unitari ed eventuali analisi
l
quadro dell’incidenza percentuale della quantità di manodopera per le diverse categorie di cui si compone l’opera o il lavoro
(non richiesto)
m schema di contratto e capitolato speciale di appalto
capitolato speciale di appalto
2a già effettuato nel progetto definitivo
relazioni geologica,geotecnica,idrologica,idraulica
2b già effettuato nel progetto definitivo
piano particellare di esproprio ove necessario
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO FASI O “LIVELLI” DI ELABORAZIONE E REDAZIONE DEL PROGETTO
A.2. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
ESTRATTO DAL REGOLAMENTO DI ATTUAZIONE, TITOLO III, CAPO II: “LA PROGETTAZIONE” Il “Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici” (legge 109/1994), emanato il 14 dicembre 1999,viene riportato pressoché integralmente di seguito.
SEZIONE PRIMA: DISPOSIZIONI GENERALI Art.15. DISPOSIZIONI PRELIMINARI 1. La progettazione ha come fine fondamentale la realizzazione di un intervento di qualità e tecnicamente valido, nel rispetto del miglior rapporto fra i benefici e i costi globali di costruzione, manutenzione e gestione. La progettazione è informata, tra l’altro, a principi di minimizzazione dell’impegno di risorse materiali non rinnovabili e di massimo riutilizzo delle risorse naturali impegnate dall’intervento e di massima manutenibilità, durabilità dei materiali e dei componenti, sostituibilità degli elementi, compatibilità dei materiali e agevole controllabilità delle prestazioni dell’intervento nel tempo. 2. Il progetto è redatto, salvo quanto disposto dal responsabile del procedimento ai sensi dell’art.16, c.2, della legge, secondo tre progressivi livelli di definizione: preliminare, definitivo e esecutivo. I tre livelli costituiscono una suddivisione di contenuti che tra loro interagiscono e si sviluppano senza soluzione di continuità. 3. Al fine di potere effettuare la manutenzione e le eventuali modifiche dell’intervento nel suo ciclo di vita utile, gli elaborati del progetto sono aggiornati in conseguenza delle varianti o delle soluzioni esecutive che si siano rese necessarie, a cura dell’appaltatore e con l’approvazione del direttore dei lavori, in modo da rendere disponibili tutte le informazioni sulle modalità di realizzazione dell’opera o del lavoro. 4. Il responsabile del procedimento cura la redazione di un documento preliminare all’avvio della progettazione, con allegato ogni atto necessario alla redazione del progetto. 5. Il documento preliminare, con approfondimenti tecnici e amministrativi graduati in rapporto all’entità, alla tipologia e categoria dell’intervento da realizzare, riporta fra l’altro l’indicazione: a) della situazione iniziale e della possibilità di far ricorso alle tecniche di ingegneria naturalistica; b) degli obiettivi generali da perseguire e delle strategie per raggiungerli;
c) la localizzazione delle cave eventualmente necessarie e la valutazione sia del tipo e quantità di materiali da prelevare, sia delle esigenze di eventuale ripristino ambientale finale; d) lo studio e la copertura finanziaria per la realizzazione degli interventi di conservazione, protezione e restauro volti alla tutela e salvaguardia del patrimonio di interesse artistico e storico e delle opere di sistemazione esterna. 8. I progetti sono redatti considerando anche il contesto in cui l’intervento si inserisce in modo che esso non pregiudichi l’accessibilità, l’utilizzo e la manutenzione delle opere, degli impianti e dei servizi esistenti. 9. I progetti devono essere redatti secondo criteri diretti a salvaguardare nella fase di costruzione e in quella di esercizio gli utenti e la popolazione delle zone interessate dai fattori di rischio per la sicurezza e la salute degli operai. 10.Tutti gli elaborati devono essere sottoscritti dal progettista o dai progettisti responsabili degli stessi nonché dal progettista responsabile dell’integrazione fra le varie prestazioni specialistiche. 11.La redazione dei progetti delle opere o dei lavori complessi e in particolare di quelli di cui all’art.2, c.1, lettere h) e i), è svolta preferibilmente impiegando la tecnica dell’”analisi del valore”. In tale caso le relazioni illustrano i risultati di tali analisi. 12.Qualora siano possibili più soluzioni progettuali, la scelta deve avvenire mediante l’impiego di una metodologia di valutazione qualitativa e quantitativa, multicriteri o multiobiettivi, tale da permettere di dedurre una graduatoria di priorità tra le soluzioni progettuali possibili. Art.16. NORME TECNICHE 1. I progetti sono predisposti in conformità alle regole e norme tecniche stabilite dalle disposizioni vigenti in materia al momento della loro redazione.
e) dei vincoli di legge relativi al contesto in cui l’intervento è previsto; f) delle funzioni che dovrà svolgere l’intervento;
CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
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D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
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ICHE TECN MA ONENTI, P COM
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NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P
2. I materiali e i prodotti sono conformi alle regole tecniche previste dalle vigenti disposizioni di legge, le norme armonizzate e le omologazioni tecniche. Le relazioni tecniche indicano la normativa applicata.
NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P
3. È vietato introdurre nei progetti prescrizioni che menzionino prodotti di una determinata fabbricazione o provenienza oppure procedimenti particolari che abbiano l’effetto di favorire determinate imprese o di eliminarne altre o che indichino marchi, brevetti o tipi o un’origine o una produzione determinata. È ammessa l’indicazione specifica del prodotto o del procedimento, purché accompagnata dalla espressione “o equivalente”, allorché non sia altrimenti possibile la descrizione dell’oggetto dell’appalto mediante prescrizioni sufficientemente precise e comprensibili.
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
c) delle esigenze e bisogni da soddisfare; d) delle regole e norme tecniche da rispettare;
B.ATTERISTICLHI EDELLE
g) dei requisiti tecnici che dovrà rispettare; Art.17. QUADRI ECONOMICI h) degli impatti dell’opera sulle componenti ambientali e nel caso degli organismi edilizi delle attività e unità ambientali; i) delle fasi di progettazione da sviluppare e della loro sequenza logica nonché dei relativi tempi di svolgimento;
1. I quadri economici degli interventi sono predisposti con progressivo approfondimento in rapporto al livello di progettazione al quale sono riferiti e con le necessarie variazioni in relazione alla specifica tipologia e categoria dell’intervento stesso e prevedono la seguente articolazione del costo complessivo:
l) dei livelli di progettazione e degli elaborati grafici e descrittivi da redigere;
a) lavori a misura, a corpo, in economia;
m) dei limiti finanziari da rispettare e della stima dei costi e delle fonti di finanziamento;
a) uno studio della viabilità di accesso ai cantieri, ed eventualmente la progettazione di quella provvisoria, in modo che siano contenuti l’interferenza con il traffico locale e il pericolo per le persone e l’ambiente;
b) somme a disposizione della stazione appaltante per: 11.lavori in economia, previsti in progetto ed esclusi dall’appalto; 12.rilievi, accertamenti e indagini; 13.allacciamenti ai pubblici servizi; 14.imprevisti; 15.acquisizione aree o immobili; 16.accantonamento di cui all’art.26, c.4, della legge; 17.spese tecniche relative alla progettazione, alle necessarie attività preliminari, nonché al coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, alle conferenze di servizi, alla direzione lavori e al coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione, assistenza giornaliera e contabilità, assicurazione dei dipendenti; 18.spese per attività di consulenza o di supporto; 19.eventuali spese per commissioni giudicatrici; 10.spese per pubblicità e, ove previsto, per opere artistiche; 11.spese per accertamenti di laboratorio e verifiche tecniche previste dal capitolato speciale d’appalto, collaudo tecnico amministrativo, collaudo statico e altri eventuali collaudi specialistici; 12.IVA ed eventuali altre imposte.
b) l’indicazione degli accorgimenti atti ad evitare inquinamenti del suolo, acustici, idrici e atmosferici;
2. L’importo dei lavori a misura, a corpo e in economia deve essere suddiviso in importo per l’esecuzione delle lavorazioni e importo per l’attuazione dei piani di sicurezza.
n) del sistema di realizzazione da impiegare. 6. I progetti, con le necessarie differenziazioni, in relazione alla loro specificità e dimensione, sono redatti nel rispetto degli standard dimensionali e di costo e in modo da assicurare il massimo rispetto e la piena compatibilità con le caratteristiche del contesto territoriale e ambientale in cui si colloca l’intervento, sia nella fase di costruzione che in sede di gestione. 7. Gli elaborati progettuali prevedono misure atte ad evitare effetti negativi sull’ambiente, sul paesaggio e sul patrimonio storico, artistico e archeologico in relazione all’attività di cantiere e a tal fine comprendono:
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DI 1. A.2. “LIVELLI”E REDAO FASI RAZIONE ETTO ELABO DEL PROG E ZION
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A.2. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO FASI O “LIVELLI” DI ELABORAZIONE E REDAZIONE DEL PROGETTO ➦ FASI DI ELABORAZIONE DEL PROGETTO – PROGETTAZIONE DI OPERE PUBBLICHE REGOLATE DALLA LEGGE 109/1994 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI ➦ ESTRATTO DAL REGOLAMENTO DI ATTUAZIONE, TITOLO III, CAPO II: “LA PROGETTAZIONE” SEZIONE SECONDA: PROGETTO PRELIMINARE Art.18. DOCUMENTI COMPONENTI IL PROGETTO PRELIMINARE 1. Il progetto preliminare stabilisce i profili e le caratteristiche più significative degli elaborati dei successivi livelli di progettazione, in funzione delle dimensioni economiche e della tipologia e categoria dell’intervento, ed è composto, salva diversa determinazione del responsabile del procedimento, dai seguenti elaborati: a) relazione illustrativa; b) relazione tecnica; c) studio di prefattibilità ambientale; d) indagini geologiche, idrogeologiche e archeologiche preliminari; e) planimetria generale e schemi grafici; f) prime indicazioni e disposizioni per la stesura dei piani di sicurezza; g) calcolo sommario della spesa. 2. Qualora il progetto debba essere posto a base di gara di un appalto concorso o di una concessione di lavori pubblici: a) sono effettuate, sulle aree interessate dall’intervento, le indagini necessarie quali quelle geologiche, geotecniche, idrologiche, idrauliche e sismiche e sono redatti le relative relazioni e grafici; b) è redatto un capitolato speciale prestazionale.
b) lo studio sui prevedibili effetti della realizzazione dell’intervento e del suo esercizio sulle componenti ambientali e sulla salute dei cittadini; c) la illustrazione, in funzione della minimizzazione dell’impatto ambientale, delle ragioni della scelta del sito e della soluzione progettuale prescelta nonché delle possibili alternative localizzative e tipologiche; d) la determinazione delle misure di compensazione ambientale e degli eventuali interventi di ripristino, riqualificazione e miglioramento ambientale e paesaggistico, con la stima dei relativi costi da inserire nei piani finanziari dei lavori; e) l’indicazione delle norme di tutela ambientale che si applicano all’intervento e degli eventuali limiti posti dalla normativa di settore per l’esercizio di impianti, nonché l’indicazione dei criteri tecnici che si intendono adottare per assicurarne il rispetto.
3. Qualora il progetto preliminare è posto a base di gara per l’affidamento di una concessione di lavori pubblici, deve essere altresì predisposto un piano economico e finanziario di massima, sulla base del quale sono determinati gli elementi previsti dall’art.85, c.1, lettere a), b), c), d), e), f), g) e h) da inserire nel relativo bando di gara.
2. Nel caso di interventi ricadenti sotto la procedura di valutazione di impatto ambientale, lo studio di prefattibilità ambientale, contiene le informazioni necessarie allo svolgimento della fase di selezione preliminare dei contenuti dello studio di impatto ambientale. Nel caso di interventi per i quali si rende necessaria la procedura di selezione prevista dalle direttive comunitarie lo studio di prefattibilità ambientale consente di verificare che questi non possono causare impatto ambientale significativo ovvero deve consentire di identificare misure prescrittive tali da mitigare tali impatti.
Art.19. RELAZIONE ILLUSTRATIVA DEL PROGETTO PRELIMINARE
Art.22. SCHEMI GRAFICI DEL PROGETTO PRELIMINARE
1. La relazione illustrativa, secondo la tipologia, la categoria e la entità dell’intervento, contiene: a) la descrizione dell’intervento da realizzare; b) l’illustrazione delle ragioni della soluzione prescelta sotto il profilo localizzativo e funzionale, nonché delle problematiche connesse alla prefattibilità ambientale, alle preesistenze archeologiche e alla situazione complessiva della zona, in relazione alle caratteristiche e alle finalità dell’intervento, anche con riferimento ad altre possibili soluzioni; c) l’esposizione della fattibilità dell’intervento, documentata attraverso lo studio di prefattibilità ambientale, dell’esito delle indagini geologiche, geotecniche, idrologiche, idrauliche e sismiche di prima approssimazione delle aree interessate e dell’esito degli accertamenti in ordine agli eventuali vincoli di natura storica, artistica, archeologica, paesaggistica o di qualsiasi altra natura interferenti sulle aree o sugli immobili interessati; d) l’accertamento in ordine alla disponibilità delle aree o immobili da utilizzare, alle relative modalità di acquisizione, ai prevedibili oneri e alla situazione dei pubblici servizi; e) gli indirizzi per la redazione del progetto definitivo in conformità di quanto disposto dall’art.15, c.4, anche in relazione alle esigenze di gestione e manutenzione; f) il cronoprogramma delle fasi attuative con l’indicazione dei tempi massimi di svolgimento delle varie attività di progettazione, approvazione, affidamento, esecuzione e collaudo; g) le indicazioni necessarie per garantire l’accessibilità, l’utilizzo e la manutenzione delle opere, degli impianti e dei servizi esistenti.
1. Gli schemi grafici, redatti in scala opportuna e debitamente quotati, con le necessarie differenziazioni in relazione alla dimensione, alla categoria e alla tipologia dell’intervento, e tenendo conto della necessità di includere le misure e gli interventi di cui all’art.21, c.1, lett. d) sono costituiti:
2. La relazione dà chiara e precisa nozione di quelle circostanze che non possono risultare dai disegni e che hanno influenza sulla scelta e sulla riuscita del progetto. 3. La relazione riferisce in merito agli aspetti funzionali e interrelazionali dei diversi elementi del progetto e ai calcoli sommari giustificativi della spesa. Nel caso di opere puntuali, la relazione ne illustra il profilo architettonico. 4. La relazione riporta una sintesi riguardante forme e fonti di finanziamento per la copertura della spesa, l’eventuale articolazione dell’intervento in lotti funzionali e fruibili, nonché i risultati del piano economico finanziario. Art.20. RELAZIONE TECNICA 1. La relazione tecnica riporta lo sviluppo degli studi tecnici di prima approssimazione connessi alla tipologia e categoria dell’intervento da realizzare, con l’indicazione di massima dei requisiti e delle prestazioni che devono essere riscontrate nell’intervento. Art.21. STUDIO DI PREFATTIBILITÀ AMBIENTALE 1. Lo studio di prefattibilità ambientale in relazione alla tipologia, categoria e all’entità dell’intervento e allo scopo di ricercare le condizioni che consentano un miglioramento della qualità ambientale e paesaggistica del contesto territoriale comprende:
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a) la verifica, anche in relazione all’acquisizione dei necessari pareri amministrativi, di compatibilità dell’intervento con le prescrizioni di eventuali piani paesaggistici, territoriali e urbanistici sia a carattere generale che settoriale;
a) per opere e lavori puntuali: • dallo stralcio dello strumento di pianificazione paesaggistico territoriale e del piano urbanistico generale o attuativo, sul quale sono indicate la localizzazione dell’intervento da realizzare e le eventuali altre localizzazioni esaminate; • dalle planimetrie con le indicazioni delle curve di livello in scala non inferiore a 1: 2.000, sulle quali sono riportati separatamente le opere e i lavori da realizzare e le altre eventuali ipotesi progettuali esaminate; • dagli schemi grafici e sezioni schematiche nel numero, nell’articolazione e nelle scale necessarie a permettere l’individuazione di massima di tutte le caratteristiche spaziali, tipologiche, funzionali e tecnologiche delle opere e dei lavori da realizzare, integrati da tabelle relative ai parametri da rispettare; b) per opere e lavori a rete: • dalla corografia generale contenente l’indicazione dell’andamento planimetrico delle opere e dei lavori da realizzare e gli eventuali altri andamenti esaminati con riferimento all’orografia dell’area, al sistema di trasporti e degli altri servizi esistenti, al reticolo idrografico, all’ubicazione dei servizi esistenti in scala non inferiore a 1: 25.000. Se sono necessarie più corografie, va redatto anche un quadro d’insieme in scala non inferiore a 1: 100.000; • dallo stralcio dello strumento di pianificazione paesaggistico territoriale e del piano urbanistico generale o attuativo sul quale è indicato il tracciato delle opere e dei lavori da realizzare e gli eventuali altri tracciati esaminati. Se sono necessari più stralci, deve essere redatto anche un quadro d’insieme in scala non inferiore a 1: 25.000; • dalle planimetrie con le indicazioni delle curve di livello, in scala non inferiore a 1: 5.000, sulle quali sono riportati separatamente il tracciato delle opere e dei lavori da realizzare e gli eventuali altri tracciati esaminati. Se sono necessarie più planimetrie, deve essere redatto un quadro d’insieme in scala non inferiore a 1:10.000; • dai profili longitudinali e trasversali altimetrici delle opere e dei lavori da realizzare in scala non inferiore a 1:5.000/500, sezioni tipo idriche, stradali e simili in scala non inferiore a 1:100 nonché uguali profili per le eventuali altre ipotesi progettuali esaminate; • dalle indicazioni di massima, in scala adeguata, di tutti i manufatti speciali che l’intervento richiede; • dalle tabelle contenenti tutte le quantità caratteristiche delle opere e dei lavori da realizzare. 2. Sia per le opere e i lavori puntuali che per le opere e i lavori a rete, il progetto preliminare specifica gli elaborati e le relative scale da adottare in sede di progetto definitivo ed esecutivo, ferme restando le scale minime previste nei successivi articoli. Le planimetrie e gli schemi grafici riportano le indicazioni preliminari relative al soddisfacimento delle esigenze di cui all’art.14, c.7, della legge.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO FASI O “LIVELLI” DI ELABORAZIONE E REDAZIONE DEL PROGETTO
A.2. 1. A.ZIONI
Art.23. CALCOLO SOMMARIO DELLA SPESA 1. Il calcolo sommario della spesa è effettuato: a) per quanto concerne le opere o i lavori, applicando alle quantità caratteristiche degli stessi, i corrispondenti costi standardizzati determinati dall’Osservatorio dei lavori pubblici. In assenza di costi standardizzati, applicando parametri desunti da interventi similari realizzati, ovvero redigendo un computo metrico-estimativo di massima con prezzi unitari ricavati dai prezziari o dai listini ufficiali vigenti nell’area interessata; b) per quanto concerne le ulteriori somme a disposizione della stazione appaltante, attraverso valutazioni di massima effettuate in sede di accertamenti preliminari a cura del responsabile del procedimento.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
Art.24. CAPITOLATO SPECIALE PRESTAZIONALE DEL PROGETTO PRELIMINARE
B.ATTERISTICLHI EDELLE
1. Il capitolato speciale prestazionale contiene: a) l’indicazione delle necessità funzionali, dei requisiti e delle specifiche prestazioni che dovranno essere presenti nell’intervento in modo che questo risponda alle esigenze della stazione appaltante e degli utilizzatori, nel rispetto delle rispettive risorse finanziarie; b) la specificazione delle opere generali e delle eventuali opere specializzate comprese nell’intervento con i relativi importi; c) una tabella degli elementi e sub-elementi in cui l’intervento è suddivisibile, con l’indicazione dei relativi pesi normalizzati necessari per l’applicazione della metodologia di determinazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
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D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO SEZIONE TERZA: PROGETTO DEFINITIVO Art.25. DOCUMENTI COMPONENTI IL PROGETTO DEFINITIVO 1. Il progetto definitivo, redatto sulla base delle indicazioni del progetto preliminare approvato e di quanto emerso in sede di eventuale conferenza di servizi, contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio della concessione edilizia, dell’accertamento di conformità urbanistica o di altro atto equivalente.
e) riferisce in merito all’idoneità delle reti esterne dei servizi atti a soddisfare le esigenze connesse all’esercizio dell’intervento da realizzare e in merito alla verifica sulle interferenze delle reti aeree e sotterranee con i nuovi manufatti ; f) contiene le motivazioni che hanno indotto il progettista ad apportare variazioni alle indicazioni contenute nel progetto preliminare; g) riferisce in merito alle eventuali opere di abbellimento artistico o di valorizzazione architettonica;
2. Esso comprende: a) b) c) d) e) f)
relazione descrittiva; relazioni geologica, geotecnica, idrologica, idraulica, sismica; relazioni tecniche specialistiche; rilievi planoaltimetrici e studio di inserimento urbanistico; elaborati grafici; studio di impatto ambientale ove previsto dalle vigenti normative ovvero studio di fattibilità ambientale; g) calcoli preliminari delle strutture e degli impianti; h) disciplinare descrittivo e prestazionale degli elementi tecnici; i) piano particellare di esproprio; l) computo metrico estimativo; m) quadro economico. 3. Quando il progetto definitivo è posto a base di gara ai sensi dell’art.19, c.1, lettera b) della legge ferma restando la necessità della previa acquisizione della positiva valutazione di impatto ambientale se richiesta, in sostituzione del disciplinare di cui all’art.32, il progetto è corredato dallo schema di contratto e dal capitolato speciale d’appalto redatti con le modalità indicate all’art.43. Il capitolato prevede, inoltre, la sede di redazione e tempi della progettazione esecutiva, nonché le modalità di controllo del rispetto da parte dell’affidatario delle indicazioni del progetto definitivo. 4. Gli elaborati grafici e descrittivi nonché i calcoli preliminari sono sviluppati a un livello di definizione tale che nella successiva progettazione esecutiva non si abbiano apprezzabili differenze tecniche e di costo. Art.26. RELAZIONE DESCRITTIVA DEL PROGETTO DEFINITIVO 1. La relazione fornisce i chiarimenti atti a dimostrare la rispondenza del progetto alle finalità dell’intervento, il rispetto del prescritto livello qualitativo, dei conseguenti costi e dei benefici attesi. 2. In particolare la relazione: a) descrive, con espresso riferimento ai singoli punti della relazione illustrativa del progetto preliminare, i criteri utilizzati per le scelte progettuali, gli aspetti dell’inserimento dell’intervento sul territorio, le caratteristiche prestazionali e descrittive dei materiali prescelti, nonché i criteri di progettazione delle strutture e degli impianti, in particolare per quanto riguarda la sicurezza, la funzionalità e l’economia di gestione; b) riferisce in merito a tutti gli aspetti riguardanti la topografia, la geologia, l’idrologia, il paesaggio, l’ambiente e gli immobili di interesse storico, artistico e archeologico che sono stati esaminati e risolti in sede di progettazione attraverso lo studio di fattibilità ambientale, di cui all’art.29, ove previsto, nonché attraverso i risultati di apposite indagini e studi specialistici; c) indica le eventuali cave e discariche da utilizzare per la realizzazione dell’intervento con la specificazione dell’avvenuta autorizzazione; d) indica le soluzioni adottate per il superamento delle barriere architettoniche;
h) riferisce in merito al tempo necessario per la redazione del progetto esecutivo eventualmente aggiornando quello indicato nel cronoprogramma del progetto preliminare. 3. Quando il progetto definitivo è posto a base di gara e riguarda interventi complessi di cui all’art.2, c.1, lettere h) e i) la relazione deve essere corredata da quanto previsto all’art.36, c.3. Art.27. RELAZIONI GEOLOGICA, GEOTECNICA, IDROLOGICA E IDRAULICA DEL PROGETTO DEFINITIVO 1. La relazione geologica comprende, sulla base di specifiche indagini geologiche, la identificazione delle formazioni presenti nel sito, lo studio dei tipi litologici, della struttura e dei caratteri fisici del sottosuolo, definisce il modello geologico-tecnico del sottosuolo, illustra e caratterizza gli aspetti stratigrafici, strutturali, idrogeologici, geomorfologici, litotecnici e fisici nonché il conseguente livello di pericolosità geologica e il comportamento in assenza e in presenza delle opere. 2. La relazione geotecnica definisce, alla luce di specifiche indagini geotecniche, il comportamento meccanico del volume di terreno influenzato, direttamente o indirettamente, dalla costruzione del manufatto e che a sua volta influenzerà il comportamento del manufatto stesso. Illustra inoltre i calcoli geotecnici per gli aspetti che si riferiscono al rapporto del manufatto con il terreno.
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
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G.ANISTICA URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
3. Le relazioni idrologica e idraulica riguardano lo studio delle acque meteoriche, superficiali e sotterranee. Gli studi devono indicare le fonti dalle quali provengono gli elementi elaborati e i procedimenti usati nella elaborazione per dedurre le grandezze di interesse. Art.28. RELAZIONI TECNICHE E SPECIALISTICHE DEL PROGETTO DEFINITIVO 1. Ove la progettazione implichi la soluzione di questioni specialistiche, queste formano oggetto di apposite relazioni che definiscono le problematiche e indicano le soluzioni da adottare in sede di progettazione esecutiva. Art.29. STUDIO DI IMPATTO AMBIENTALE E STUDIO DI FATTIBILITÀ AMBIENTALE 1. Lo studio di impatto ambientale, ove previsto dalla normativa vigente, è redatto secondo le norme tecniche che disciplinano la materia ed è predisposto contestualmente al progetto definitivo sulla base dei risultati della fase di selezione preliminare dello studio di impatto ambientale, nonché dei dati e delle informazioni raccolte nell’ambito del progetto stesso anche con riferimento alle cave e alle discariche. 2. Lo studio di fattibilità ambientale, tenendo conto delle elaborazioni a base del progetto definitivo, approfondisce e verifica le analisi sviluppate nella fase di redazione del progetto preliminare, e analizza e determina le misure atte a ridurre o compensare gli effetti dell’intervento sull’ambiente e sulla salute, e a riqualificare e migliorare la qualità ambientale e paesaggistica del contesto territoriale avuto riguardo agli esiti delle indagini tecniche, alle caratteristiche dell’ambiente interessato dall’intervento in fase di cantiere e di esercizio, alla natura delle attività e lavo-
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DI 1. A.2. “LIVELLI”E REDAO FASI RAZIONE ETTO ELABO DEL PROG E ZION
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A.2. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO FASI O “LIVELLI” DI ELABORAZIONE E REDAZIONE DEL PROGETTO ➦ FASI DI ELABORAZIONE DEL PROGETTO – PROGETTAZIONE DI OPERE PUBBLICHE REGOLATE DALLA LEGGE 109/1994 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI ➦ ESTRATTO DAL REGOLAMENTO DI ATTUAZIONE, TITOLO III, CAPO II: “LA PROGETTAZIONE” razioni necessarie all’esecuzione dell’intervento, e all’esistenza di vincoli sulle aree interessate. Esso contiene tutte le informazioni necessarie al rilascio delle prescritte autorizzazioni e approvazioni in materia ambientale. Art.30. ELABORATI GRAFICI DEL PROGETTO DEFINITIVO 1. Gli elaborati grafici descrivono le principali caratteristiche dell’intervento da realizzare. Essi individuano le caratteristiche delle fondazioni e sono redatti nelle opportune scale in relazione al tipo di opera o di lavoro, puntuale o a rete, da realizzare. 2. Per i lavori e le opere puntuali i grafici sono costituiti, salva diversa indicazione del progetto preliminare e oltre a quelli già predisposti con il medesimo progetto, da: a) stralcio dello strumento urbanistico generale o attuativo con l’esatta indicazione dell’area interessata all’intervento; b) planimetria d’insieme in scala non inferiore a 1:500, con le indicazioni delle curve di livello dell’area interessata all’intervento, con equidistanza non superiore a cinquanta centimetri, delle strade, della posizione, sagome e distacchi delle eventuali costruzioni confinanti e delle eventuali alberature esistenti con la specificazione delle varie essenze; c) planimetria in scala non inferiore a 1:200, in relazione alla dimensione dell’intervento, corredata da due o più sezioni atte a illustrare tutti i profili significativi dell’intervento, anche in relazione al terreno, alle strade e agli edifici circostanti, prima e dopo la realizzazione, nella quale risultino precisati la superficie coperta di tutti i corpi di fabbrica. Tutte le quote altimetriche relative sia al piano di campagna originario sia alla sistemazione del terreno dopo la realizzazione dell’intervento, sono riferite a un caposaldo fisso. La planimetria riporta la sistemazione degli spazi esterni indicando le recinzioni, le essenze arboree da porre a dimora e le eventuali superfici da destinare a parcheggio; è altresì integrata da una tabella riassuntiva di tutti gli elementi geometrici del progetto: superficie dell’area, volume dell’edificio, superficie coperta totale e dei singoli piani e ogni altro utile elemento; d) le piante dei vari livelli, nella scala prescritta dai regolamenti edilizi o da normative specifiche e comunque non inferiore a 1:100 con l’indicazione delle destinazioni d’uso, delle quote planimetriche e altimetriche e delle strutture portanti. Le quote altimetriche sono riferite al caposaldo di cui alla lettera c) e in tutte le piante sono indicate le linee di sezione di cui alla lettera e); e) almeno due sezioni, trasversale e longitudinale nella scala prescritta da regolamenti edilizi o da normative specifiche e comunque non inferiore a 1:100, con la misura delle altezze nette dei singoli piani, dello spessore dei solai e della altezza totale dell’edificio. In tali sezioni è altresì indicato l’andamento del terreno prima e dopo la realizzazione dell’intervento, lungo le sezioni stesse, fino al confine e alle eventuali strade limitrofe. Tutte le quote altimetriche sono riferite allo stesso caposaldo di cui alla lettera c); f) tutti i prospetti, a semplice contorno, nella scala prescritta da normative specifiche e comunque non inferiore a 1:100 completi di riferimento alle altezze e ai distacchi degli edifici circostanti, alle quote del terreno e alle sue eventuali modifiche. Se l’edificio è adiacente ad altri fabbricati, i disegni dei prospetti comprendono anche quelli schematici delle facciate adiacenti; g) elaborati grafici nella diversa scala prescritta da normative specifiche e comunque non inferiore a 1:200 atti a illustrare il progetto strutturale nei suoi aspetti fondamentali, in particolare per quanto riguarda le fondazioni; h) schemi funzionali e dimensionamento di massima dei singoli impianti, sia interni che esterni; i) planimetrie e sezioni in scala non inferiore a 1:200, in cui sono riportati i tracciati principali delle reti impiantistiche esterne e la localizzazione delle centrali dei diversi apparati, con l’indicazione del rispetto delle vigenti norme in materia di sicurezza, in modo da poterne determinare il relativo costo; 3. Le prescrizioni di cui al c.2 si riferiscono agli edifici. Esse valgono per gli altri lavori e opere puntuali per quanto possibile e con gli opportuni adattamenti. 4. Per interventi su opere esistenti, gli elaborati di cui al c.2, lettere c), d), e) e f) indicano, con idonea rappresentazione grafica, le parti conservate, quelle da demolire e quelle nuove. 5. Per i lavori e le opere a rete i grafici sono costituiti, oltre che da quelli già predisposti con il progetto preliminare, anche da: a) stralcio dello strumento urbanistico generale o attuativo con l’esatta indicazione dei tracciati dell’intervento. Se sono necessari più stralci è redatto anche un quadro d’insieme in scala non inferiore a 1:25.000; b) planimetria in scala non inferiore a 1:2.000 con le indicazioni delle curve di livello delle aree interessate dall’intervento, con equidistanza non superiore a un metro, dell’assetto definitivo dell’intervento e delle parti complementari. Se sono necessarie più planimetrie è redatto anche un quadro d’insieme in scala non inferiore a 1:5.000; c) profili longitudinali in scala non inferiore a 1:200 per le altezze e 1:2.000 per le lunghezze e sezioni trasversali;
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d) piante, sezioni e prospetti in scala non inferiore a 1:100 di tutte le opere d’arte, manufatti e opere speciali comunque riconducibili a opere puntuali. 6. Per ogni opera e lavoro, indipendentemente dalle tipologie e categorie, gli elaborati grafici del progetto definitivo comprendono le opere e i lavori necessari per il rispetto delle esigenze di cui all’art.15, c.7. Art.31. CALCOLI PRELIMINARI DELLE STRUTTURE E DEGLI IMPIANTI 1. I calcoli preliminari delle strutture e degli impianti devono consentirne il dimensionamento e, per quanto riguarda le reti e le apparecchiature degli impianti, anche la specificazione delle caratteristiche. I calcoli degli impianti devono permettere, altresì, la definizione degli eventuali volumi tecnici necessari. Art.32. DISCIPLINARE DESCRITTIVO E PRESTAZIONALE DEGLI ELEMENTI TECNICI DEL PROGETTO DEFINITIVO 1. Il disciplinare descrittivo e prestazionale precisa, sulla base delle specifiche tecniche, tutti i contenuti prestazionali tecnici degli elementi previsti nel progetto. Il disciplinare contiene, inoltre, la descrizione, anche sotto il profilo estetico, delle caratteristiche, della forma e delle principali dimensioni dell’intervento, dei materiali e di componenti previsti nel progetto. Art.33. PIANO PARTICELLARE DI ESPROPRIO 1. Il piano particellare degli espropri, degli asservimenti e delle interferenze con i servizi è redatto in base alle mappe catastali aggiornate, e comprende anche le espropriazioni e gli asservimenti necessari per gli attraversamenti e le deviazioni di strade e di corsi d’acqua. 2. Sulle mappe catastali sono altresì indicate le eventuali zone di rispetto o da sottoporre a vincolo in relazione a specifiche normative o a esigenze connesse alla categoria dell’intervento. 3. Il piano è corredato dall’elenco delle ditte che in catasto risultano proprietarie dell’immobile da espropriare, asservire o occupare temporaneamente ed è corredato dell’indicazione di tutti i dati catastali nonché delle superfici interessate. 4. Per ogni ditta va inoltre indicata l’indennità presunta di espropriazione e di occupazione temporanea determinata in base alle leggi e normative vigenti, previo occorrendo apposito sopralluogo. 5. Se l’incarico di acquisire l’area su cui insiste l’intervento da realizzare è affidato all’appaltatore, questi ha diritto al rimborso di quanto corrisposto a titolo di indennizzo ai proprietari espropriati, nonché al pagamento delle eventuali spese legali sostenute se non sussistano ritardi o responsabilità a lui imputabili. Art.34. STIMA SOMMARIA DELL’INTERVENTO E DELLE ESPROPRIAZIONI DEL PROGETTO DEFINITIVO 1. La stima sommaria dell’intervento consiste nel computo metrico estimativo, redatto applicando alle quantità delle lavorazioni i prezzi unitari dedotti dai prezziari della stazione appaltante o dai listini correnti nell’area interessata. 2. Per eventuali voci mancanti il relativo prezzo viene determinato: a) applicando alle quantità di materiali, mano d’opera, noli e trasporti, necessari per la realizzazione delle quantità unitarie di ogni voce, i rispettivi prezzi elementari dedotti da listini ufficiali o dai listini delle locali camere di commercio ovvero, in difetto, dai prezzi correnti di mercato; b) aggiungendo all’importo così determinato una percentuale per le spese relative alla sicurezza; c) aggiungendo ulteriormente una percentuale variabile tra il 13 e il 15 per cento, a seconda della categoria e tipologia dei lavori, per spese generali; d) aggiungendo infine una percentuale del 10 per cento per utile dell’appaltatore. 3. In relazione alle specifiche caratteristiche dell’intervento il computo metrico estimativo può prevedere le somme da accantonare per eventuali lavorazioni in economia, da prevedere nel contratto d’appalto o da inserire nel quadro economico tra quelle a disposizione della stazione appaltante. 4. L’elaborazione della stima sommaria dell’intervento può essere effettuata anche attraverso programmi di gestione informatizzata; se la progettazione è affidata a progettisti esterni, i programmi devono essere preventivamente accettati dalla stazione appaltante. 5. Il risultato della stima sommaria dell’intervento e delle espropriazioni confluisce in un quadro economico redatto secondo lo schema di cui all’art.17.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO FASI O “LIVELLI” DI ELABORAZIONE E REDAZIONE DEL PROGETTO
A.2. 1. A.ZIONI
SEZIONE QUARTA: PROGETTO ESECUTIVO Art.35. DOCUMENTI COMPONENTI IL PROGETTO ESECUTIVO 1. Il progetto esecutivo costituisce la ingegnerizzazione di tutte le lavorazioni e, pertanto, definisce compiutamente e in ogni particolare architettonico, strutturale e impiantistico l’intervento da realizzare. Restano esclusi soltanto i piani operativi di cantiere, i piani di approvvigionamenti, nonché i calcoli e i grafici relativi alle opere provvisionali. Il progetto è redatto nel pieno rispetto del progetto definitivo nonché delle prescrizioni dettate in sede di rilascio della concessione edilizia o di accertamento di conformità urbanistica, o di conferenza di servizi o di pronuncia di compatibilità ambientale ovvero il provvedimento di esclusione delle procedure, ove previsti. Il progetto esecutivo è composto dai seguenti documenti: a) relazione generale; b) relazioni specialistiche; c) elaborati grafici comprensivi anche di quelli delle strutture, degli impianti e di ripristino e miglioramento ambientale; d) calcoli esecutivi delle strutture e degli impianti; e) piani di manutenzione dell’opera e delle sue parti; f) piani di sicurezza e di coordinamento; g) computo metrico estimativo definitivo e quadro economico; h) cronoprogramma; i) elenco dei prezzi unitari e eventuali analisi; l) quadro dell’incidenza percentuale della quantità di manodopera per le diverse categorie di cui si compone l’opera o il lavoro; m) schema di contratto e capitolato speciale di appalto.
e) dagli elaborati di tutte le lavorazioni che risultano necessarie per il rispetto delle prescrizioni disposte dagli organismi competenti in sede di approvazione dei progetti preliminari, definitivi o di approvazione di specifici aspetti dei progetti; f) dagli elaborati di tutti i lavori da eseguire per soddisfare le esigenza di cui all’art.15, c.7; g) dagli elaborati atti a definire le caratteristiche dimensionali, prestazionali e di assemblaggio dei componenti prefabbricati. 2. Gli elaborati sono comunque redatti in scala non inferiore al doppio di quelle del progetto definitivo, o comunque in modo da consentire all’esecutore una sicura interpretazione e esecuzione dei lavori in ogni loro elemento.
2. La relazione generale contiene l’illustrazione dei criteri seguiti e delle scelte effettuate per trasferire sul piano contrattuale e sul piano costruttivo le soluzioni spaziali, tipologiche, funzionali, architettoniche e tecnologiche previste dal progetto definitivo approvato; la relazione contiene inoltre la descrizione delle indagini, rilievi e ricerche effettuati al fine di ridurre in corso di esecuzione la possibilità di imprevisti. 3. La relazione generale dei progetti riguardanti gli interventi complessi di cui all’art.2, c.1, lettere h) e i), è corredata: a) da una rappresentazione grafica di tutte le attività costruttive suddivise in livelli gerarchici dal più generale oggetto del progetto fino alle più elementari attività gestibili autonomamente dal punto di vista delle responsabilità, dei costi e dei tempi; b) da un diagramma che rappresenti graficamente la pianificazione delle lavorazioni nei suoi principali aspetti di sequenza logica e temporale, ferma restando la prescrizione all’impresa, in sede di capitolato speciale d’appalto, dell’obbligo di presentazione di un programma di esecuzione delle lavorazioni riguardante tutte le fasi costruttive intermedie, con la indicazione dell’importo dei vari stati di avanzamento dell’esecuzione dell’intervento alle scadenze temporali contrattualmente previste. Art.37. RELAZIONI SPECIALISTICHE 1. Le relazioni geologica, geotecnica, idrologica e idraulica illustrano puntualmente, sulla base del progetto definitivo, le soluzioni adottate. 2. Per gli interventi di particolare complessità, per i quali si sono rese necessarie, nell’ambito del progetto definitivo, relazioni specialistiche, queste sono sviluppate in modo da definire in dettaglio gli aspetti inerenti alla esecuzione e alla manutenzione degli impianti tecnologici e di ogni altro aspetto dell’intervento o del lavoro, compreso quello relativo alle opere a verde. 3. Le relazioni contengono l’illustrazione di tutte le problematiche esaminate e delle verifiche analitiche effettuate in sede di progettazione esecutiva. Art.38. ELABORATI GRAFICI DEL PROGETTO ESECUTIVO 1. Gli elaborati grafici esecutivi , eseguiti con i procedimenti più idonei, sono costituiti: a) dagli elaborati che sviluppano nelle scale ammesse o prescritte, tutti gli elaborati grafici del progetto definitivo; b) dagli elaborati che risultino necessari all’esecuzione delle opere o dei lavori sulla base degli esiti, degli studi e di indagini eseguite in sede di progettazione esecutiva. c) dagli elaborati di tutti i particolari costruttivi; d) dagli elaborati atti a illustrare le modalità esecutive di dettaglio;
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Art.39. CALCOLI ESECUTIVI DELLE STRUTTURE E DEGLI IMPIANTI 1. I calcoli esecutivi delle strutture e degli impianti, nell’osservanza delle rispettive normative vigenti, possono essere eseguiti anche mediante utilizzo di programmi informatici. 2. I calcoli esecutivi delle strutture consentono la definizione e il dimensionamento delle stesse in ogni loro aspetto generale e particolare, in modo da escludere la necessità di variazioni in corso di esecuzione. 3. I calcoli esecutivi degli impianti sono eseguiti con riferimento alle condizioni di esercizio, alla destinazione specifica dell’intervento e devono permettere di stabilire e dimensionare tutte le apparecchiature, condutture, canalizzazioni e qualsiasi altro elemento necessario per la funzionalità dell’impianto stesso, nonché consentire di determinarne il prezzo.
Art.36. RELAZIONE GENERALE DEL PROGETTO ESECUTIVO 1. La relazione generale del progetto esecutivo descrive in dettaglio, anche attraverso specifici riferimenti agli elaborati grafici e alle prescrizioni del capitolato speciale d’appalto, i criteri utilizzati per le scelte progettuali esecutive, per i particolari costruttivi e per il conseguimento e la verifica dei prescritti livelli di sicurezza e qualitativi. Nel caso in cui il progetto prevede l’impiego di componenti prefabbricati, la relazione precisa le caratteristiche illustrate negli elaborati grafici e le prescrizioni del capitolato speciale d’appalto riguardanti le modalità di presentazione e di approvazione dei componenti da utilizzare.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
4. La progettazione esecutiva delle strutture e degli impianti è effettuata unitamente alla progettazione esecutiva delle opere civili al fine di prevedere esattamente ingombri, passaggi, cavedi, sedi, attraversamenti e simili e di ottimizzare le fasi di realizzazione. 5. I calcoli delle strutture e degli impianti, comunque eseguiti, sono accompagnati da una relazione illustrativa dei criteri e delle modalità di calcolo che ne consentano una agevole lettura e verificabilità. 6. Il progetto esecutivo delle strutture comprende: a) gli elaborati grafici di insieme (carpenterie, profili e sezioni) in scala non inferiore a 1:50, e gli elaborati grafici di dettaglio in scala non inferiore a 1: 10, contenenti fra l’altro: 1) per le strutture in cemento armato o in cemento armato precompresso: i tracciati dei ferri di armatura con l’indicazione delle sezioni e delle misure parziali e complessive, nonché i tracciati delle armature per la precompressione; resta esclusa soltanto la compilazione delle distinte di ordinazione a carattere organizzativo di cantiere; 2) per le strutture metalliche o lignee: tutti i profili e i particolari relativi ai collegamenti, completi nella forma e spessore delle piastre, del numero e posizione di chiodi e bulloni, dello spessore, tipo, posizione e lunghezza delle saldature; resta esclusa soltanto la compilazione dei disegni di officina e delle relative distinte pezzi; 3) per le strutture murarie: tutti gli elementi tipologici e dimensionali atti a consentirne l’esecuzione.
PRO TTURALE STRU
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NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
b) la relazione di calcolo contenente: 1) l’indicazione delle norme di riferimento; 2) la specifica della qualità e delle caratteristiche meccaniche dei materiali e delle modalità di esecuzione qualora necessarie; 3) l’analisi dei carichi per i quali le strutture sono state dimensionate; 4) le verifiche statiche. 7. Nelle strutture che si identificano con l’intero intervento, quali ponti, viadotti, pontili di attracco, opere di sostegno delle terre e simili, il progetto esecutivo deve essere completo dei particolari esecutivi di tutte le opere integrative. 8. Il progetto esecutivo degli impianti comprende: a) gli elaborati grafici di insieme, in scala ammessa o prescritta e comunque non inferiore a 1:50, e gli elaborati grafici di dettaglio, in scala non inferiore a 1:10, con le notazioni metriche necessarie; b) l’elencazione descrittiva particolareggiata delle parti di ogni impianto con le relative relazioni di calcolo; c) la specificazione delle caratteristiche funzionali e qualitative dei materiali, macchinari e apparecchiature. Art.40. PIANO DI MANUTENZIONE DELL’OPERA E DELLE SUE PARTI 1. Il piano di manutenzione è il documento complementare al progetto esecutivo che prevede, pianifica e programma, tenendo conto degli elaborati progettuali esecutivi effettivamente realizzati, l’attività di manutenzione dell’intervento al fine di mantenerne nel tempo la funzionalità, le caratteristiche di qualità, l’efficienza e il valore economico.
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DI 1. A.2. “LIVELLI”E REDAO FASI RAZIONE ETTO ELABO DEL PROG E ZION
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A.2. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO FASI O “LIVELLI” DI ELABORAZIONE E REDAZIONE DEL PROGETTO ➦ FASI DI ELABORAZIONE DEL PROGETTO – PROGETTAZIONE DI OPERE PUBBLICHE REGOLATE DALLA LEGGE 109/1994 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI ➦ ESTRATTO DAL REGOLAMENTO DI ATTUAZIONE, TITOLO III, CAPO II: “LA PROGETTAZIONE” 2. Il piano di manutenzione assume contenuto differenziato in relazione all’importanza e alla specificità dell’intervento, ed è costituito dai seguenti documenti operativi: a) il manuale d’uso; b) il manuale di manutenzione; c) il programma di manutenzione; 3. Il manuale d’uso si riferisce all’uso delle parti più importanti del bene, e in particolare degli impianti tecnologici. Il manuale contiene l’insieme delle informazioni atte a permettere all’utente di conoscere le modalità di fruizione del bene, nonché tutti gli elementi necessari per limitare quanto più possibile i danni derivanti da un’utilizzazione impropria, per consentire di eseguire tutte le operazioni atte alla sua conservazione che non richiedono conoscenze specialistiche e per riconoscere tempestivamente fenomeni di deterioramento anomalo al fine di sollecitare interventi specialistici.
2. I piani sono costituiti da una relazione tecnica contenente le coordinate e la descrizione dell’intervento e delle fasi del procedimento attuativo, la individuazione delle caratteristiche delle attività lavorative con la specificazione di quelle critiche, la stima della durata delle lavorazioni, e da una relazione contenente la individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi in rapporto alla morfologia del sito, alla pianificazione e programmazione delle lavorazioni, alla presenza contemporanea di più soggetti prestatori d’opera, all’utilizzo di sostanze pericolose e a ogni altro elemento utile a valutare oggettivamente i rischi per i lavoratori. I piani sono integrati da un disciplinare contenente le prescrizioni operative atte a garantire il rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni e per la tutela della salute dei lavoratori e da tutte le informazioni relative alla gestione del cantiere. Tale disciplinare comprende la stima dei costi per dare attuazione alle prescrizioni in esso contenute. Art.42. CRONOPROGRAMMA
4. Il manuale d’uso contiene le seguenti informazioni: a) la collocazione nell’intervento delle parti menzionate; b) la rappresentazione grafica; c) la descrizione; d) le modalità di uso corretto. 5. Il manuale di manutenzione si riferisce alla manutenzione delle parti più importanti del bene e in particolare degli impianti tecnologici. Esso fornisce, in relazione alle diverse unità tecnologiche, alle caratteristiche dei materiali o dei componenti interessati, le indicazioni necessarie per la corretta manutenzione nonché per il ricorso ai centri di assistenza o di servizio. 6. Il manuale di manutenzione contiene le seguenti informazioni: a) la collocazione nell’intervento delle parti menzionate; b) la rappresentazione grafica; c) la descrizione delle risorse necessarie per l’intervento manutentivo; d) il livello minimo delle prestazioni; e) le anomalie riscontrabili; f) le manutenzioni eseguibili direttamente dall’utente; g) le manutenzioni da eseguire a cura di personale specializzato. 7. Il programma di manutenzione prevede un sistema di controlli e di interventi da eseguire, a cadenze temporalmente o altrimenti prefissate, al fine di una corretta gestione del bene e delle sue parti nel corso degli anni. Esso si articola secondo tre sottoprogrammi: a) il sottoprogramma delle prestazioni, che prende in considerazione, per classe di requisito, le prestazioni fornite dal bene e dalle sue parti nel corso del suo ciclo di vita; b) il sottoprogramma dei controlli, che definisce il programma delle verifiche e dei controlli al fine di rilevare il livello prestazionale (qualitativo e quantitativo) nei successivi momenti della vita del bene, individuando la dinamica della caduta delle prestazioni aventi come estremi il valore di collaudo e quello minimo di norma; c) il sottoprogramma degli interventi di manutenzione, che riporta in ordine temporale i differenti interventi di manutenzione, al fine di fornire le informazioni per una corretta conservazione del bene. 8. Il programma di manutenzione, il manuale d’uso e il manuale di manutenzione redatti in fase di progettazione sono sottoposti a cura del direttore dei lavori, al termine della realizzazione dell’intervento, al controllo e alla verifica di validità, con gli eventuali aggiornamenti resi necessari dai problemi emersi durante l’esecuzione dei lavori.
1. Il progetto esecutivo è corredato dal cronoprogramma delle lavorazioni, redatto al fine di stabilire in via convenzionale, nel caso di lavori compensati a prezzo chiuso, l’importo degli stessi da eseguire per ogni anno intero decorrente dalla data della consegna. 2. Nei casi di appalto-concorso e di appalto di progettazione esecutiva ed esecuzione, il cronoprogramma è presentato dall’appaltatore unitamente all’offerta. 3. Nel calcolo del tempo contrattuale deve tenersi conto della prevedibile incidenza dei giorni di andamento stagionale sfavorevole. 4. Nel caso di sospensione o di ritardo dei lavori per fatti imputabili all’impresa, resta fermo lo sviluppo esecutivo risultante dal cronoprogramma. ART.43. ELENCO DEI PREZZI UNITARI 1. Per la redazione dei computi metrico-estimativi facenti parte integrante dei progetti esecutivi, vengono utilizzati i prezzi adottati per il progetto definitivo, secondo quanto specificato all’art.34, integrati, ove necessario, da nuovi prezzi redatti con le medesime modalità. ART.44. COMPUTO METRICO-ESTIMATIVO DEFINITIVO E QUADRO ECONOMICO 1. Il computo metrico-estimativo del progetto esecutivo costituisce l’integrazione e l’aggiornamento della stima sommaria dei lavori redatta in sede di progetto definitivo, nel rispetto degli stessi criteri e delle stesse indicazioni precisati all’art.43. 2. Il computo metrico-estimativo viene redatto applicando alle quantità delle lavorazioni, dedotte dagli elaborati grafici del progetto esecutivo, i prezzi dell’elenco di cui all’art.43. 3. Nel quadro economico redatto secondo l’art.17 confluiscono: a) il risultato del computo metrico estimativo dei lavori, comprensivi delle opere di cui all’art.15, c.7; b) l’accantonamento in misura non superiore al 10 per cento per imprevisti e per eventuali lavori in economia; c) l’importo dei costi di acquisizione o di espropriazione di aree o immobili, come da piano particellare allegato al progetto; d) tutti gli ulteriori costi relativi alle varie voci riportate all’art.17. Art.45. SCHEMA DI CONTRATTO E CAPITOLATO SPECIALE D’APPALTO
9. Il piano di manutenzione è redatto a corredo dei: a) progetti affidati dopo sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, se relativi a lavori di importo pari o superiore a 35.000.000 di Euro; b) progetti affidati dopo dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, se relativi a lavori di importo pari o superiore a 25.000.000 di Euro; c) progetti affidati dopo diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, se relativi a lavori di importo pari o superiore a 10.000.000 di Euro, e inferiore a 25.000.000 di Euro; d) progetti affidati dopo ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, se relativi a lavori di importo inferiore a 10.000.000 di Euro, fatto salvo il potere di deroga del responsabile del procedimento, ai sensi dell’art.16, c.2, della legge.
1. Lo schema di contratto contiene, per quanto non disciplinato dal presente regolamento e dal capitolato generale d’appalto, le clausole dirette a regolare il rapporto tra stazione appaltante e impresa, in relazione alle caratteristiche dell’intervento con particolare riferimento a: a) termini di esecuzione e penali; b) programma di esecuzione dei lavori; c) sospensioni o riprese dei lavori; d) oneri a carico dell’appaltatore; e) contabilizzazione dei lavori a misura, a corpo; f) liquidazione dei corrispettivi; g) controlli; h) specifiche modalità e termini di collaudo; i) modalità di soluzione delle controversie.
Art.41. PIANI DI SICUREZZA E DI COORDINAMENTO 1. I piani di sicurezza e di coordinamento sono i documenti complementari al progetto esecutivo che prevedono l’organizzazione delle lavorazioni atta a prevenire o ridurre i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori. La loro redazione comporta, con riferimento alle varie tipologie di lavorazioni, individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi intrinseci al particolare procedimento di lavorazione connessi a congestione di aree di lavorazioni e dipendenti da sovrapposizione di fasi di lavorazioni.
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2. Allo schema di contratto è allegato il capitolato speciale, che riguarda le prescrizioni tecniche da applicare all’oggetto del singolo contratto. 3. Il capitolato speciale d’appalto è diviso in due parti, l’una contenente la descrizione delle lavorazioni e l’altra la specificazione delle prescrizioni tecniche; esso illustra in dettaglio: a) nella prima parte tutti gli elementi necessari per una compiuta definizione tecnica ed economica dell’oggetto dell’appalto, anche a integrazione degli aspetti non pienamente deducibili dagli elaborati grafici del progetto esecutivo;
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO FASI O “LIVELLI” DI ELABORAZIONE E REDAZIONE DEL PROGETTO
A.2. 1. A.ZIONI
b) nella seconda parte le modalità di esecuzione e le norme di misurazione di ogni lavorazione, i requisiti di accettazione di materiali e componenti, le specifiche di prestazione e le modalità di prove nonché, ove necessario, in relazione alle caratteristiche dell’intervento, l’ordine da tenersi nello svolgimento di specifiche lavorazioni; nel caso in cui il progetto prevede l’impiego di componenti prefabbricati, ne vanno precisate le caratteristiche principali, descrittive e prestazionali, la documentazione da presentare in ordine all’omologazione e all’esito di prove di laboratorio nonché le modalità di approvazione da parte del direttore dei lavori, sentito il progettista, per assicurarne la rispondenza alle scelte progettuali. 4. Nel caso di interventi complessi di cui all’art.2, c.1, lettera h), il capitolato contiene, altresì, l’obbligo per l’aggiudicatario di redigere un documento (piano di qualità di costruzione e di installazione), da sottoporre alla approvazione della direzione dei lavori, che prevede, pianifica e programma le condizioni, sequenze, modalità, strumentazioni, mezzi d’opera e fasi delle attività di controllo da svolgersi nella fase esecutiva. A tal fine il capitolato suddivide tutte le lavorazioni previste in tre classi di importanza: critica, importante, comune. Appartengono alla classe: a) critica le strutture o loro parti nonché gli impianti o loro componenti correlabili, anche indirettamente, con la sicurezza delle prestazioni fornite nel ciclo di vita utile dell’intervento; b) importante le strutture o loro parti nonché gli impianti o loro componenti correlabili, anche indirettamente, con la regolarità delle prestazioni fornite nel ciclo di vita utile dell’intervento ovvero qualora siano di onerosa sostituibilità o di rilevante costo; c) comune tutti i componenti e i materiali non compresi nelle classi precedenti; 5. La classe di importanza è tenuta in considerazione: a) nell’approvvigionamento dei materiali da parte dell’aggiudicatario e quindi dei criteri di qualifica dei propri fornitori; b) nella identificazione e rintracciabilità dei materiali; c) nella valutazione delle non conformità. 6. Per gli interventi il cui corrispettivo è previsto a corpo ovvero per la parte a corpo di un intervento il cui corrispettivo è previsto a corpo e a misura, il capitolato spe-
SEZIONE QUINTA: VERIFICHE E VALIDAZIONE DEI PROGETTI, ACQUISIZIONE DEI PARERI E APPROVAZIONE DEI PROGETTI Art.46. VERIFICA DEL PROGETTO PRELIMINARE 1. Ai sensi dell’art.16, c.6, della legge i progetti preliminari sono sottoposti, a cura del responsabile del procedimento e alla presenza dei progettisti, a una verifica in rapporto alla tipologia, alla categoria, all’entità e all’importanza dell’intervento. 2. La verifica è finalizzata ad accertare la qualità concettuale, sociale, ecologica, ambientale ed economica della soluzione progettuale prescelta e la sua conformità alle specifiche disposizioni funzionali, prestazionali e tecniche contenute nel documento preliminare alla progettazione, e tende all’obiettivo di ottimizzare la soluzione progettuale prescelta. 3. La verifica comporta il controllo della coerenza esterna tra la soluzione progettuale prescelta e il contesto socio economico e ambientale in cui l’intervento progettato si inserisce, il controllo della coerenza interna tra gli elementi o componenti della soluzione progettuale prescelta e del rispetto dei criteri di progettazione indicati nel presente regolamento, la valutazione dell’efficacia della soluzione progettuale prescelta sotto il profilo della sua capacità di conseguire gli obiettivi attesi, e infine la valutazione dell’efficienza della soluzione progettuale prescelta intesa come capacità di ottenere il risultato atteso minimizzando i costi di realizzazione, gestione e manutenzione. Art.47. VALIDAZIONE DEL PROGETTO 1. Prima della approvazione, il responsabile del procedimento procede in contraddittorio con i progettisti a verificare la conformità del progetto esecutivo alla normativa vigente e al documento preliminare alla progettazione. In caso di appalto integrato la verifica ha a oggetto il progetto definitivo. 2. La validazione riguarda fra l’altro: a) la corrispondenza dei nominativi dei progettisti a quelli titolari dell’affidamento e la sottoscrizione dei documenti per l’assunzione delle rispettive responsabilità; b) la completezza della documentazione relativa agli intervenuti accertamenti di fattibilità tecnica, amministrativa ed economica dell’intervento; c) l’esistenza delle indagini, geologiche, geotecniche e, ove necessario, archeologiche nell’area di intervento e la congruenza dei risultati di tali indagini con le scelte progettuali; d) la completezza, adeguatezza e chiarezza degli elaborati progettuali, grafici, descrittivi e tecnico-economici, previsti dal regolamento; e) l’esistenza delle relazioni di calcolo delle strutture e degli impianti e la valutazione dell’idoneità dei criteri adottati; f) l’esistenza dei computi metrico-estimativi e la verifica della corrispondenza agli elaborati grafici, descrittivi e alle prescrizioni capitolari;
ciale d’appalto indica, per ogni gruppo delle lavorazioni complessive dell’intervento ritenute omogenee, il relativo importo e la sua aliquota percentuale riferita all’ammontare complessivo dell’intervento. Tali importi e le correlate aliquote sono dedotti in sede di progetto esecutivo dal computo metrico-estimativo. Al fine del pagamento in corso d’opera i suddetti importi e aliquote possono essere indicati anche disaggregati nelle loro componenti principali. I pagamenti in corso d’opera sono determinati sulla base delle aliquote percentuali così definite, di ciascuna delle quali viene contabilizzata la quota parte effettivamente eseguita. 7. Per gli interventi il cui corrispettivo è previsto a misura, il capitolato speciale d’appalto precisa l’importo di ciascuno dei gruppi delle lavorazioni complessive dell’opera o del lavoro ritenute omogenee, desumendolo dal computo metrico-estimativo. 8. Ai fini della disciplina delle varianti e degli interventi disposti dal direttore dei lavori ai sensi dell’art.25, c.3, primo periodo della legge, la verifica dell’incidenza delle eventuali variazioni è desunta dagli importi netti dei gruppi di lavorazione ritenuti omogenei definiti con le modalità di cui ai commi 6 e 7. 9. Per i lavori il cui corrispettivo è in parte a corpo e in parte a misura, la parte liquidabile a misura riguarda le lavorazioni per le quali in sede di progettazione risulta eccessivamente oneroso individuare in maniera certa e definita le rispettive quantità. Tali lavorazioni sono indicate nel provvedimento di approvazione della progettazione esecutiva con puntuale motivazione di carattere tecnico e con l’indicazione dell’importo sommario del loro valore presunto e della relativa incidenza sul valore complessivo assunto a base d’asta. 10.Il capitolato speciale d’appalto prescrive l’obbligo per l’impresa di presentare, prima dell’inizio dei lavori, un programma esecutivo, anche indipendente dal cronoprogramma di cui all’art.42 c.1, nel quale sono riportate, per ogni lavorazione, le previsioni circa il periodo di esecuzione nonché l’ammontare presunto, parziale e progressivo, dell’avanzamento dei lavori alle date contrattualmente stabilite per la liquidazione dei certificati di pagamento. È in facoltà prescrivere, in sede di capitolato speciale d’appalto, eventuali scadenze differenziate di varie lavorazioni in relazione a determinate esigenze.
g) la rispondenza delle scelte progettuali alle esigenze di manutenzione e gestione; h) l’effettuazione della valutazione di impatto ambientale, ovvero della verifica di esclusione dalle procedure, ove prescritte; i) l’esistenza delle dichiarazioni in merito al rispetto delle prescrizioni normative, tecniche e legislative comunque applicabili al progetto; l) l’acquisizione di tutte le approvazioni e autorizzazioni di legge, necessarie ad assicurare l’immediata cantierabilità del progetto; m) il coordinamento tra le prescrizioni del progetto e le clausole dello schema di contratto e del capitolato speciale d’appalto nonché la verifica della rispondenza di queste ai canoni della legalità.
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NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
Art.48. MODALITÀ DELLE VERIFICHE E DELLA VALIDAZIONE 1. Le verifiche di cui agli articoli 46 e 47 sono demandate al responsabile del procedimento che vi provvede direttamente con il supporto tecnico dei propri uffici, oppure nei casi di accertata carenza di adeguate professionalità avvalendosi del supporto degli organismi di controllo di cui all’art.30, c.6, della legge, individuati secondo le procedure e con le modalità previste dalla normativa vigente in materia di appalto di servizi. Le risultanze delle verifiche sono riportate in verbali sottoscritti da tutti i partecipanti. 2. Gli affidatari delle attività di supporto non possono espletare incarichi di progettazione e non possono partecipare neppure indirettamente agli appalti, alle concessioni e ai relativi subappalti e cottimi con riferimento ai lavori per i quali abbiano svolto le predette attività. 3. Gli oneri economici inerenti allo svolgimento dei servizi di cui al c.fanno carico agli stanziamenti previsti per la realizzazione dei singoli lavori. Art.49. ACQUISIZIONE DEI PARERI E APPROVAZIONE DEI PROGETTI 1. La conferenza dei servizi si svolge dopo l’acquisizione dei pareri tecnici necessari alla definizione di tutti gli aspetti del progetto. La conferenza dei servizi procede a nuovo esame del progetto dopo che siano state apportate le modifiche eventualmente richieste, e dopo che su di esse sono intervenuti i necessari pareri tecnici. 2. Terminata la verifica di cui all’art.47 e svolta la conferenza di servizi, ciascuna amministrazione aggiudicatrice procede alla approvazione del progetto secondo i modi e i tempi stabiliti dal proprio ordinamento. 3. In caso di opere o lavori sottoposti a valutazione di impatto ambientale si procede in ogni caso secondo quanto previsto dall’ultimo periodo dell’art.7, c.8, della legge.
DI 1. A.2. “LIVELLI”E REDAO FASI RAZIONE ETTO ELABO DEL PROG E ZION
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A.2. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO FASI O “LIVELLI” DI ELABORAZIONE E REDAZIONE DEL PROGETTO ➦ FASI DI ELABORAZIONE DEL PROGETTO – PROGETTAZIONE DI OPERE PUBBLICHE REGOLATE DALLA LEGGE 109/1994 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI TAB. A.2.1.2 COMPARAZIONE TRA PROGETTO DEFINITIVO [legge 109/1994 e successive modificazioni] E PROGETTO DI MASSIMA – ELABORATI GRAFICI OPERE PUBBLICHE – LEGGE 109/1994 – SUCCESSIVE MODIFICAZIONI E REGOLAMENTO
COMMITTENZA PRIVATA
ELABORATI GRAFICI PRESCRITTI
ELABORATI PRESCRITTI E SPECIFICATI
PROGETTO DEFINITIVO
PROGETTO DI MASSIMA
a.
Stralcio dello strumento urbanistico generale o attuativo in scala non inferiore a 1:5000 con l’esatta indicazione dell’area Come per il “progetto definitivo”. interessata al lavoro
Planimetria d’insieme in scala non inferiore a 1:500, comprendente il piano quotato con l’indicazione delle curve di livello b. dell’area interessata, delle strade, della posizione, sagome e distacchi delle eventuali costruzioni confinanti e delle eventuali Come per il “progetto definitivo”. alberature esistenti con la precisazione delle varie essenze. Planimetria in scala non inferiore a 1:200, corredata da due o più sezioni atte a illustrare tutti i profili significativi del lavoro, anche in relazione al terreno, alle strade e agli edifici circostanti, prima e dopo la realizzazione, nella quale risulti precisata c. la superficie coperta di tutti i corpi di fabbrica. Le quote altimetriche relative sia al piano di campagna originario sia alla Come per il “progetto definitivo”. sistemazione del terreno progettate, vanno riferite a un caposaldo fisso. Vanno riportate la sistemazione degli spazi esterni, le recinzioni, le essenze arboree da porre a dimora e le eventuali superfici destinate a parcheggio. c’.
La planimetria è integrata da una tabella riassuntiva di tutti gli elementi geometrici del progetto: superficie dell’area, volume Come per il “progetto definitivo”. dell’edificio, superficie coperta totale e dei singoli piani e ogni altro utile elemento.
d.
Piante dei vari livelli, nella scala prescritta dai regolamenti edilizi o da normative specifiche e comunque non inferiore a 1:100, con l’indicazione delle destinazioni d’uso, delle quote planimetriche e altimetriche e delle strutture portanti. le quote Come per il “progetto definitivo”. altimetriche vanno riferite al caposaldo di cui alla lettera c’; in tutte le piante vanno indicate le linee di sezione di cui alla lettera e.
e.
Almeno due sezioni trasversale e longitudinale nella scala prescritta dai regolamenti edilizi o da normative specifiche e comunque non inferiore a 1:100, per ciascun corpo di fabbrica, con la misura delle altezze nette dei singoli piani, dello spessore dei solai e della altezza totale dell’edificio. Nelle sezioni è indicato l’andamento del terreno prima e dopo la realizzazione del lavoro, lungo le sezioni stesse fino ai confini e alle eventuali strade limitrofe. Tutte le quote altimetriche sono riferite allo stesso caposaldo di cui alla lettera c.
f.
Tutti i prospetti, a semplice contorno, nella scala prescritta da normative specifiche e comunque non inferiore a 1:100, completi di riferimenti alle altezze e ai distacchi degli edifici circostanti, alle quote del terreno e alle sue eventuali modifiche. Come per il “progetto definitivo”. Qualora l’edificio sia adiacente ad altri fabbricati, i disegni dei prospetti devono comprendere anche quelli schematici delle facciate adiacenti.
Come per il “progetto definitivo”.
Elaborati grafici nella diversa scala prescritta da normative specifiche e comunque non inferiore a 1:200 atti a illustrare il progetto Non richiesto in fase di progetto di g. strutturale nei suoi aspetti fondamentali, in particolare per quanto riguarda le fondazioni, con l’indicazione delle dimensioni previste massima Previsto tra gli elaborati del dei singoli elementi in modo da poterne determinare il costo relativo. progetto esecutivo. h. Schemi funzionali e dimensionamento di massima dei singoli impianti, sia interni che esterni alle opere da realizzare.
Non richiesto in fase di progetto di massima Previsto tra gli elaborati del progetto esecutivo.
i.
Planimetrie e sezioni in scala non inferiore a 1:200, in cui siano riportati i tracciati principali delle reti impiantistiche esterne Come per il “progetto definitivo”. e la localizzazione delle centrali dei diversi apparati, con l’indicazione del rispetto delle vigenti norme in materia di sicurezza.
l.
Per interventi su opere esistenti, gli elaborati di cui alle lettere c; d; e e f indicano con idoneo graficismo le parti conservate, Come per il “progetto definitivo”. quelle da demolire e quelle nuove.
TAB. A.2.1.3 PROGETTO ESECUTIVO PREVISTO DALLA LEGGE 109/1994 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI E DALLE PROCEDURE ORDINARIE – ELABORATI GRAFICI OPERE PUBBLICHE – LEGGE 109/1994 – 216/1995 E BOZZA DEL REGOLAMENTO ELABORATI GRAFICI PRESCRITTI
COMMITTENZA PRIVATA ELABORATI PRESCRITTI E SPECIFICATI
PROGETTO ESECUTIVO [OPERE PUBBLICHE]
PROGETTO ESECUTIVO [OPERE PRIVATE]
a. Elaborati che sviluppano nelle scale ammesse o prescritte,tutti gli elaborati grafici del progetto definitivo.
Come per il progetto esecutivo di OO.PP. Strutture e impianti possono essere anche affidati ad altri tecnici.
b.
Elaborati che risultino necessari all’esecuzione delle opere o dei lavori sulla base degli esiti,degli studi e di indagini Come per il progetto esecutivo di OO.PP. eseguite in sede di progettazione esecutiva.
c. Elaborati di tutti i particolari costruttivi.
Come per il progetto esecutivo di OO.PP.
d. Elaborati atti a illustrare le modalità esecutive di dettaglio.
Come per il progetto esecutivo di OO.PP.
e.
Elaborati necessari per il rispetto delle prescrizioni dispoElaborati di tutte le lavorazioni che risultino necessarie per il rispetto delle prescrizioni disposte dagli organismi comste dagli organismi competenti in sede di approvazione petenti in sede di approvazione dei progetti preliminari, definitivi o di approvazione di specifici aspetti dei progetti. del “progetto di massima”.
f.
Elaborati di tutti i lavori da eseguire per soddisfare le esigenze di cui all’art.15, c.7.
g. Elaborati atti a definire le caratteristiche dimensionali, prestazionali e di assemblaggio dei componenti prefabbricati.
A 56
Non espressamente prescritto, ma implicato dalle necessità di evitare in ogni caso danni e impedimenti a cose e persone. Non espressamente prescritto, ma implicato da una corretta progettazione.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO FASI O “LIVELLI” DI ELABORAZIONE E REDAZIONE DEL PROGETTO
A.2. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. A.2.1./4 SCHEMA PER LA REDAZIONE DEL QUADRO ECONOMICO [art.17 del regolamento di attuazione della legge 109/1994 e successive modificazioni] I quadri economici degli interventi sono predisposti con progressivo approfondimento in rapporto al livello di progettazione al quale sono riferiti e con le necessarie variazioni in relazione alla specifica tipologia e categoria dell’intervento stesso e prevedono l’articolazione del costo complessivo, come specificata nella sottostante tabella.
COSTO COMPLESSIVO DELL’INTERVENTO (COSTO DEI LAVORI + SOMME A DISPOSIZIONE)
EURO [Somma A +B]
A. Lavori a misura, a corpo, in economia (importo totale del computo metrico-estimativo)
Euro [Totale computo estimativo]
B. Somme a disposizione della stazione appaltante per:
Euro [Somma da 1 a 11]
01. lavori in economia, previsti in progetto ed esclusi dall’appalto
Euro _________________________________
02. rilievi, accertamenti e indagini
Euro _________________________________
03. allacciamenti a pubblici servizi
Euro _________________________________
04. imprevisti
Euro _________________________________
05. acquisizione aree o immobili
Euro _________________________________
06. accantonamento di cui all’art.26, c.4, della legge
Euro _________________________________
07. spese tecniche relative alla progettazione, alle necessarie attività preliminari, nonché al coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, alle conferenze di servizi, alla direzione dei lavori e al coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione, assistenza giornaliera e contabilità, assicurazione dei dipendenti
Euro _________________________________
08. spese per attività di consulenza o di supporto
Euro _________________________________
09. eventuali spese per commissioni giudicatrici
Euro _________________________________
10. spese per pubblicità e, ove previsto, per opere artistiche
Euro _________________________________
11. spese per accertamenti di laboratorio e verifiche tecniche previste dal capitolato speciale d’appalto, collaudo tecnico amministrativo, collaudo statico e altri eventuali collaudi specialistici
Euro _________________________________
12. I.V.A. ed eventuali altre imposte
Euro _________________________________
TAB. A.2.1./5 INDICAZIONI PER LA REDAZIONE DELLO SCHEMA DI CONTRATTO E DEL CAPITOLATO SPECIALE D’APPALTO [art.45 del regolamento di attuazione della legge 109/1994 e succ. modificazioni] Lo schema di contratto contiene, per quanto non disciplinato dal presente regolamento e dal capitolato generale d’appalto, le clausole dirette a regolare il rapporto tra stazione appaltante e impresa, in relazione alle caratteristiche dell’intervento con particolare riferimento a: a. b. c. d. e. f. g. h. i. 2.
3.
4.
termini di esecuzione e penali; programma di esecuzione dei lavori; sospensioni o riprese dei lavori; oneri a carico dell’appaltatore; contabilizzazione dei lavori a misura, a corpo; liquidazione dei corrispettivi; controlli; specifiche modalità e termini di collaudo; modalità di soluzione delle controversie.
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
Nel caso di interventi complessi di cui all’art.2, c.1, lettera h), il capitolato contiene, altresì, l’obbligo per l’aggiudicatario di redigere un documento (piano di qualità di costruzione e di installazione), da sottoporre alla approvazione della direzione dei lavori, che prevede, pianifica e programma le condizioni, sequenze, modalità, strumentazioni, mezzi d’opera e fasi delle attività di controllo da svolgersi nella fase esecutiva. A tal fine il capitolato suddivide tutte le lavorazioni previste in tre classi di importanza: critica, importante, comune. Appartengono alla classe:
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
b. importante le strutture o loro parti nonché gli impianti o loro componenti correlabili, anche indirettamente, con la regolarità delle prestazioni fornite nel ciclo di vita utile dell’intervento ovvero qualora siano di onerosa sostituibilità o di rilevante costo; c. comune tutti i componenti e i materiali non compresi nelle classi precedenti. 5.
La classe di importanza è tenuta in considerazione: a. nell’approvvigionamento dei materiali da parte dell’aggiudicatario e quindi dei criteri di qualifica dei propri fornitori;
a. nella prima parte tutti gli elementi necessari per una compiuta definizione tecnica ed economica dell’oggetto dell’appalto, anche a integrazione degli aspetti non pienamente deducibili dagli elaborati grafici del progetto esecutivo; b. nella seconda parte le modalità di esecuzione e le norme di misurazione di ogni lavorazione, i requisiti di accettazione di materiali e componenti, le specifiche di prestazione e le modalità di prove nonché, ove necessario, in relazione alle caratteristiche dell’intervento, l’ordine da tenersi nello svolgimento di specifiche lavorazioni; nel caso in cui il progetto prevede l’impiego di componenti prefabbricati, ne vanno precisate le caratteristiche principali, descrittive e prestazionali, la documentazione da presentare in ordine all’omologazione e all’esito di prove di laboratorio nonché le modalità di approvazione da parte del direttore dei lavori, sentito il progettista, per assicurarne la rispondenza alle scelte progettuali.
C.RCIZIO
a. critica le strutture o loro parti nonché gli impianti o loro componenti correlabili, anche indirettamente, con la sicurezza delle prestazioni fornite nel ciclo di vita utile dell’intervento;
Allo schema di contratto è allegato il capitolato speciale, che riguarda le prescrizioni tecniche da applicare all’oggetto del singolo contratto. Il capitolato speciale d’appalto è diviso in due parti, l’una contenente la descrizione delle lavorazioni e l’altra la specificazione delle prescrizioni tecniche; esso illustra in dettaglio:
CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
URB
* Per i lavori pubblici affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli altri enti aggiudicatori o realizzatori non è ammesso procedere alla revisione dei prezzi e non si applica il primo c.dell’art.1664 del Codice civile. – Per i lavori di cui al c.3 si applica il prezzo chiuso, consistente nel prezzo dei lavori al netto del ribasso d’asta, aumentato di una percentuale da applicarsi, nel caso in cui la differenza tra il tasso di inflazione reale e il tasso di inflazione programmato nell’anno precedente sia superiore al 2%, all’importo dei lavori ancora da eseguire per ogni anno intero previsto per l’ultimazione dei lavori stessi. Tale percentuale è fissata con DM dei LLPP da emanare entro il 30 giugno di ogni anno, nella misura eccedente la predetta percentuale del 2% (legge 109/1994-216/1995, art.26, c.3 e 4).
1.
B.ATTERISTICLHI EDELLE
b. nella identificazione e rintracciabilità dei materiali; c. nella valutazione delle non conformità. 6.
Per gli interventi il cui corrispettivo è previsto a corpo ovvero per la parte a corpo di un intervento il cui corrispettivo è previsto a corpo e a misura, il capitolato speciale d’appalto indica, per ogni gruppo delle lavorazioni complessive dell’intervento ritenute omogenee, il relativo importo e la sua aliquota percentuale riferita all’ammontare complessivo dell’intervento. Tali importi e le correlate aliquote sono dedotti in sede di progetto esecutivo dal computo metrico-estimativo. Al fine del pagamento in corso d’opera i suddetti importi e aliquote possono essere indicati anche disaggregati nelle loro componenti principali. I pagamenti in corso d’opera sono determinati sulla base delle aliquote percentuali così definite, di ciascuna delle quali viene contabilizzata la quota parte effettivamente eseguita.
DI 1. A.2. “LIVELLI”E REDAO FASI RAZIONE ETTO ELABO DEL PROG E ZION
A 57
A.2. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO FASI O “LIVELLI” DI ELABORAZIONE E REDAZIONE DEL PROGETTO ➦ FASI DI ELABORAZIONE DEL PROGETTO – PROGETTAZIONE DI OPERE PUBBLICHE REGOLATE DALLA LEGGE 109/1994 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI TAB. A.2.1./6 PRESCRIZIONI PER LA REDAZIONE DEI DIVERSI LIVELLI DI PROGETTAZIONE – RELAZIONI [regolamento legge 109/1994 e successive modificazioni] RELAZIONE ILLUSTRATIVA DEL PROGETTO PRELIMNARE [Art.19]
1.
La relazione illustrativa, secondo la tipologia, la categoria e la entità dell’intervento, contiene: a. la descrizione dell’intervento da realizzare; b. l’illustrazione delle ragioni della soluzione prescelta sotto il profilo localizzativo e funzionale, nonché delle problematiche connesse alla prefattibilità ambientale, alle preesistenze archeologiche e alla situazione complessiva della zona, in relazione alle caratteristiche e alle finalità dell’intervento, anche con riferimento ad altre possibili soluzioni; c. l’esposizione della fattibilità dell’intervento, documentata attraverso lo studio di prefattibilità ambientale, dell’esito delle indagini geologiche, geotecniche, idrologiche, idrauliche e sismiche di prima approssimazione delle aree interessate e dell’esito degli accertamenti in ordine agli eventuali vincoli di natura storica, artistica, archeologica, paesaggistica o di qualsiasi altra natura interferenti sulle aree o sugli immobili interessati; d. l’accertamento in ordine alla disponibilità delle aree o immobili da utilizzare, alle relative modalità di acquisizione, ai prevedibili oneri e alla situazione dei pubblici servizi; e. gli indirizzi per la redazione del progetto definitivo in conformità di quanto disposto dall’art.15, c.4, anche in relazione alle esigenze di gestione e manutenzione; f. il cronoprogramma delle fasi attuative con l’indicazione dei tempi massimi di svolgimento delle varie attività di progettazione, approvazione, affidamento, esecuzione e collaudo; g. le indicazioni necessarie per garantire l’accessibilità, l’utilizzo e la manutenzione delle opere, degli impianti e dei servizi esistenti.
RELAZIONI GEOLOGICA, GEOTECNICA, IDROLOGICA E IDRAULICA DEL PROGETTO DEFINITIVO [Art.27]
1.
La relazione geologica comprende, sulla base di specifiche indagini geologiche, la identificazione delle formazioni presenti nel sito, lo studio dei tipi litologici, della struttura e dei caratteri fisici del sottosuolo, definisce il modello geologico-tecnico del sottosuolo, illustra e caratterizza gli aspetti stratigrafici, strutturali, idrogeologici, geomorfologici, litotecnici e fisici nonché il conseguente livello di pericolosità geologica e il comportamento in assenza e in presenza delle opere.
2.
La relazione geotecnica definisce, alla luce di specifiche indagini geotecniche, il comportamento meccanico del volume di terreno influenzato, direttamente o indirettamente, dalla costruzione del manufatto e che a sua volta influenzerà il comportamento del manufatto stesso. Illustra inoltre i calcoli geotecnici per gli aspetti che si riferiscono al rapporto del manufatto con il terreno.
3.
Le relazioni idrologica e idraulica riguardano lo studio delle acque meteoriche, superficiali e sotterranee. Gli studi devono indicare le fonti dalle quali provengono gli elementi elaborati e i procedimenti usati nella elaborazione per dedurre le grandezze di interesse.
RELAZIONI TECNICHE E SPECIALISTICHE DEL PROGETTO DEFINITIVO [Art.28]
1.
2.
La relazione riferisce in merito agli aspetti funzionali e interrelazionali dei diversi elementi del progetto e ai calcoli sommari giustificativi della spesa. Nel caso di opere puntuali, la relazione ne illustra il profilo architettonico.
RELAZIONE GENERALE DEL PROGETTO ESECUTIVO [Art.36]
3.
4.
La relazione riporta una sintesi riguardante forme e fonti di finanziamento per la copertura della spesa, l’eventuale articolazione dell’intervento in lotti funzionali e fruibili, nonché i risultati del piano economico finanziario.
1.
La relazione generale del progetto esecutivo descrive in dettaglio, anche attraverso specifici riferimenti agli elaborati grafici e alle prescrizioni del capitolato speciale d’appalto, i criteri utilizzati per le scelte progettuali esecutive, per i particolari costruttivi e per il conseguimento e la verifica dei prescritti livelli di sicurezza e qualitativi. Nel caso in cui il progetto prevede l’impiego di componenti prefabbricati, la relazione precisa le caratteristiche illustrate negli elaborati grafici e le prescrizioni del capitolato speciale d’appalto riguardanti le modalità di presentazione e di approvazione dei componenti da utilizzare.
2.
La relazione generale contiene l’illustrazione dei criteri seguiti e delle scelte effettuate per trasferire sul piano contrattuale e sul piano costruttivo le soluzioni spaziali, tipologiche, funzionali, architettoniche e tecnologiche previste dal progetto definitivo approvato; la relazione contiene inoltre la descrizione delle indagini, rilievi e ricerche effettuati al fine di ridurre in corso di esecuzione la possibilità di imprevisti.
3.
La relazione generale dei progetti riguardanti gli interventi complessi di cui all’art.2, c.1, lettere h) e i), è corredata: a. da una rappresentazione grafica di tutte le attività costruttive suddivise in livelli gerarchici dal più generale oggetto del progetto fino alle più elementari attività gestibili autonomamente dal punto di vista delle responsabilità, dei costi e dei tempi; b. da un diagramma che rappresenti graficamente la pianificazione delle lavorazioni nei suoi principali aspetti di sequenza logica e temporale, ferma restando la prescrizione all’impresa, in sede di capitolato speciale d’appalto, dell’obbligo di presentazione di un programma di esecuzione delle lavorazioni riguardante tutte le fasi costruttive intermedie, con la indicazione dell’importo dei vari stati di avanzamento dell’esecuzione dell’intervento alle scadenze temporali contrattualmente previste.
RELAZIONE TECNICA DEL PROGETTO PRELIMNARE [Art.20]
1.
La relazione tecnica riporta lo sviluppo degli studi tecnici di prima approssimazione connessi alla tipologia e categoria dell’intervento da realizzare, con l’indicazione di massima dei requisiti e delle prestazioni che devono essere riscontrate nell’intervento.
RELAZIONE DESCRITTIVA DEL PROGETTO DEFINITIVO [Art.26]
A 58
Ove la progettazione implichi la soluzione di questioni specialistiche, queste formano oggetto di apposite relazioni che definiscono le problematiche e indicano le soluzioni da adottare in sede di progettazione esecutiva.
La relazione dà chiara e precisa nozione di quelle circostanze che non possono risultare dai disegni e che hanno influenza sulla scelta e sulla riuscita del progetto.
1.
La relazione fornisce i chiarimenti atti a dimostrare la rispondenza del progetto alle finalità dell’intervento, il rispetto del prescritto livello qualitativo, dei conseguenti costi e dei benefici attesi.
2.
In particolare la relazione: a. descrive, con espresso riferimento ai singoli punti della relazione illustrativa del progetto preliminare, i criteri utilizzati per le scelte progettuali, gli aspetti dell’inserimento dell’intervento sul territorio, le caratteristiche prestazionali e descrittive dei materiali prescelti, nonché i criteri di progettazione delle strutture e degli impianti, in particolare per quanto riguarda la sicurezza, la funzionalità e l’economia di gestione; b. riferisce in merito a tutti gli aspetti riguardanti la topografia, la geologia, l’idrologia, il paesaggio, l’ambiente e gli immobili di interesse storico, artistico e archeologico che sono stati esaminati e risolti in sede di progettazione attraverso lo studio di fattibilità ambientale, di cui all’art.29, ove previsto, nonché attraverso i risultati di apposite indagini e studi specialistici; c. indica le eventuali cave e discariche da utilizzare per la realizzazione dell’intervento con la specificazione dell’avvenuta autorizzazione; d. indica le soluzioni adottate per il superamento delle barriere architettoniche; e. riferisce in merito all’idoneità delle reti esterne dei servizi atti a soddisfare le esigenze connesse all’esercizio dell’intervento da realizzare e in merito alla verifica sulle interferenze delle reti aeree e sotterranee con i nuovi manufatti; f. contiene le motivazioni che hanno indotto il progettista ad apportare variazioni alle indicazioni contenute nel progetto preliminare; g. riferisce in merito alle eventuali opere di abbellimento artistico o di valorizzazione architettonica; h. riferisce in merito al tempo necessario per la redazione del progetto esecutivo eventualmente aggiornando quello indicato nel cronoprogramma del progetto preliminare. Quando il progetto definitivo è posto a base di gara e riguarda interventi complessi di cui all’art.2, c.1, lettere h) e i) la relazione deve essere corredata da quanto previsto all’art.36, c.3.
RELAZIONI SPECIALISTICHE DEL PROGETTO ESECUTIVO [Art.37] 1.
Le relazioni geologica, geotecnica, idrologica e idraulica illustrano puntualmente, sulla base del progetto definitivo, le soluzioni adottate.
2.
Per gli interventi di particolare complessità, per i quali si sono rese necessarie, nell’ambito del progetto definitivo, relazioni specialistiche, queste sono sviluppate in modo da definire in dettaglio gli aspetti inerenti alla esecuzione e alla manutenzione degli impianti tecnologici e di ogni altro aspetto dell’intervento o del lavoro, compreso quello relativo alle opere a verde.
3.
Le relazioni contengono l’illustrazione di tutte le problematiche esaminate e delle verifiche analitiche effettuate in sede di progettazione esecutiva.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO FASI O “LIVELLI” DI ELABORAZIONE E REDAZIONE DEL PROGETTO
A.2. 1. A.ZIONI
TAB. A.2.1./7 INDICAZIONI PER LA REDAZIONE DEL PIANO DI MANUTENZIONE DELL’OPERA E DELLE SUE PARTI [art.40 del regolamento di attuazione della legge 109/1994 e successive modificazioni]
1.
Il piano di manutenzione è il documento complementare al progetto esecutivo che prevede, pianifica e programma, tenendo conto degli elaborati progettuali esecutivi effettivamente realizzati, l’attività di manutenzione dell’intervento al fine di mantenerne nel tempo la funzionalità, le caratteristiche di qualità, l’efficienza e il valore economico.
2.
Il piano di manutenzione assume contenuto differenziato in relazione all’importanza e alla specificità dell’intervento, ed è costituito dai seguenti documenti operativi: a. il “manuale d’uso”; b. il “manuale di manutenzione”; c. il “programma di manutenzione”;
3.
Il manuale d’uso si riferisce all’uso delle parti più importanti del bene, e in particolare degli impianti tecnologici. Il manuale contiene l’insieme delle informazioni atte a permettere all’utente di conoscere le modalità di fruizione del bene, nonché tutti gli elementi necessari per limitare quanto più possibile i danni derivanti da un’utilizzazione impropria, per consentire di eseguire tutte le operazioni atte alla sua conservazione che non richiedono conoscenze specialistiche e per riconoscere tempestivamente fenomeni di deterioramento anomalo al fine di sollecitare interventi specialistici.
4.
Il manuale d’uso contiene le seguenti informazioni: a. la collocazione nell’intervento delle parti menzionate; b la rappresentazione grafica; c. la descrizione; d. le modalità di uso corretto.
5.
Il manuale di manutenzione si riferisce alla manutenzione delle parti più importanti del bene e in particolare degli impianti tecnologici. Esso fornisce, in relazione alle diverse unità tecnologiche, alle caratteristiche dei materiali o dei componenti interessati, le indicazioni necessarie per la corretta mantenzione nonché per il ricorso ai centri di assistenza o di servizio.
6.
7.
Il manuale di manutenzione contiene le seguenti informazioni: a. la collocazione nell’intervento delle parti menzionate; b. la rappresentazione grafica; c. la descrizione delle risorse necessarie per l’intervento manutentivo; d. il livello minimo delle prestazioni; e. le anomalie riscontrabili; f. le manutenzioni eseguibili direttamente dall’utente; g. le manutenzioni da eseguire a cura di personale specializzato. Il programma di manutenzione prevede un sistema di controlli e di interventi da eseguire, a cadenze temporalmente o altrimenti prefissate, al fine di una corretta gestione del bene e delle sue parti nel corso degli anni. Esso si articola secondo tre sottoprogrammi: a. il sottoprogramma delle prestazioni, che prende in considerazione, per classe di requisito, le prestazioni fornite dal bene e dalle sue parti nel corso del suo ciclo di vita; b. il sottoprogramma dei controlli, che definisce il programma delle verifiche e dei controlli al fine di rilevare il livello prestazionale (qualitativo e quantitativo) nei successivi momenti della vita del bene, individuando la dinamica della caduta delle prestazioni aventi come estremi il valore di collaudo e quello minimo di norma; c. il sottoprogramma degli interventi di manutenzione, che riporta in ordine temporale i differenti interventi di manutenzione, al fine di fornire le informazioni per una corretta conservazione del bene.
8.
9.
Il programma di manutenzione, il manuale d’uso e il manuale di manutenzione redatti in fase di progettazione sono sottoposti a cura del direttore dei lavori, al termine della realizzazione dell’intervento, al controllo e alla verifica di validità, con gli eventuali aggiornamenti resi necessari dai problemi emersi durante l’esecuzione dei lavori. Il piano di manutenzione è redatto a corredo dei: a. progetti affidati dopo sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, se relativi a lavori di importo pari o superiore a 35.000.000 di Euro; b. progetti affidati dopo dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, se relativi a lavori di importo pari o superiore a 25.000.000 di Euro; c. progetti affidati dopo diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, se relativi a lavori di importo pari o superiore a 10.000.000 Euro, e inferiore a 25.000.000 Euro; d. progetti affidati dopo ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, se relativi a lavori di importo inferiore a 10.000.000 di Euro, fatto salvo il potere di deroga del responsabile del procedimento, ai sensi dell’art.16, c.2, della legge.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TAB. A.2.1./8 INDICAZIONI PER LA REDAZIONE DEL PIANO DI SICUREZZA E DI COORDINAMENTO [art.41 del regolamento di attuazione della legge 109/1994 e successive modificazioni]
1.
I piani di sicurezza e di coordinamento sono i documenti complementari al progetto esecutivo che prevedono l’organizzazione delle lavorazioni atta a prevenire o ridurre i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori. La loro redazione comporta, con riferimento alle varie tipologie di lavorazioni, individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi intrinseci al particolare procedimento di lavorazione connessi a congestione di aree di lavorazioni e dipendenti da sovrapposizione di fasi di lavorazioni.
2.
I piani sono costituiti da una relazione tecnica contenente le coordinate e la descrizione dell’intervento e delle fasi del procedimento attuativo, la individuazione delle caratteristiche delle attività lavorative con la specificazione di quelle critiche, la stima della durata delle lavorazioni, e da una relazione contenente la individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi in rapporto alla morfologia del sito, alla pianificazione e programmazione delle lavorazioni, alla presenza contemporanea di più soggetti prestatori d’opera, all’utilizzo di sostanze pericolose e a ogni altro elemento utile a valutare oggettivamente i rischi per i lavoratori. I piani sono integrati da un disciplinare contenente le prescrizioni operative atte a garantire il rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni e per la tutela della salute dei lavoratori e da tutte le informazioni relative alla gestione del cantiere. Tale disciplinare comprende la stima dei costi per dare attuazione alle prescrizioni in esso contenute.
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
FASI DI ELABORAZIONE DEL PROGETTO PER OPERE E IMPORTI ESCLUSI DALL’APPLICAZIONE DELLA LEGGE 109/1994 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI Per quanto attiene alla progettazione-realizzazione di opere di committenza privata continuano a operare le procedure e gli adempimenti regolati dalle norme di esercizio professionale emanate prima della entrata in vigore della legge 109/1994 e successive modificazioni. Anche in questi casi l’elaborazione del progetto edilizio si articola in fasi successive caratterizzate da diversa finalità prevalente della redazione e da diverso grado di approfondimento.
Alcune di queste fasi di elaborazione corrispondono ad adempimenti essenziali, tecnici o normativi, e, richiedono specifiche modalità di formalizzazione-comunicazione, regolate dalle normative vigenti. Tali sono: • il progetto di massima; • il progetto esecutivo; • capitolati, computi metrici e|o computi metriciestimativi.
Altre fasi di elaborazione si rendono più o meno necessarie a secondo dell’importanza e della complessità dell’opera in progetto. Si danno casi nei quali alcune di tali ulteriori elaborazioni, preliminari o contestuali, e la relativa formalizzazione è prescritta dalle normative vigenti. Tali fasi ulteriori di elaborazione sono: • studio di impatto ambientale; • progetto planovolumetrici di coordinamento; • progetto di larga massima.
DI 1. A.2. “LIVELLI”E REDAO FASI RAZIONE ETTO ELABO DEL PROG E ZION
A 59
A.2. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO FASI O “LIVELLI” DI ELABORAZIONE E REDAZIONE DEL PROGETTO ➦ FASI DI ELABORAZIONE DEL PROGETTO – PROGETTAZIONE DI OPERE PUBBLICHE REGOLATE DALLA LEGGE 109/1994 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI PROGETTO DI MASSIMA Il progetto di massima costituisce a tutti gli effetti la sintesi e la restituzione integrale della soluzione finale alla quale è pervenuta l’elaborazione progettuale dell’opera edilizia che si intende realizzare, fatti salvi gli approfondimenti tecnico-costruttivi di dettaglio, il calcolo delle strutture e il calcolo e la definizione delle caratteristiche tecniche di installazione ed esercizio degli impianti. In anni recenti si è assistito alla progressiva riduzione delle elaborazioni effettuate e delle informazioni fornite con il progetto di massima, fino alla riduzione dello stesso a mero atto formale finalizzato all’ottenimento della concessione a edificare, con grave pregiudizio per la corretta esplicazione dell’intero arco del processo edilizio e per la qualità finale delle opere, nonché con altrettanto gravi inconvenienti – in termini di programmazione delle opere, di tempi di esecuzione, di correttezza e completezza degli atti amministrativi, di congruente previsione di spesa, ecc. – che hanno finito per danneggiare anche i soggetti attuatori ed esecutori del programma, come sono il committente e l’impresa responsabile della esecuzione delle opere. Più recentemente, le disposizioni di legge relative al rilascio delle certificazioni di abitabilità e/o di agibilità, imponendo il rispetto fedele dei progetti concessi o, in caso di differenze sostanziali, la necessità di acquisire una ulteriore concessione per le opere o parti di esse variate, sembrano poter ricondurre il progetto di massima a un maggior rigore, maggiore completezza e maggiore chiarezza di redazione-comunicazione. Infine, l’emanazione della legge 109/1994 – 216/1995 in materia di opere pubbliche ha definito anche natura e adempimenti dell’attività di progettazione, costituendo un utile riferimento anche nel caso di opere che non rientrano, per tipo di committenza o per importo dei lavori, tra quelle direttamente regolate; cosicché il progetto definitivo come definito all’art.16, c.4 della legge 109/1994 – 216/1995 e al Titolo III, Capo II, sezione terza del Regolamento di attuazione (bozza del 14 giugno 1996) – riportato nel precedente cap. A.2.1. – costituisce un riferimento dirimente anche per la specificazione delle competenze e degli adempimenti del progetto di massima, a esclusione di quanto non esplicitamente previsto in questa fase di elaborazione (v. Tabella di comparazione tra progetto definitivo e progetto di massima, allegata).
Il progetto di massima deve rispondere essenzialmente a due ordini di necessità: • comunicare al committente in forma chiara, completa e verificabile l’insieme delle soluzioni predisposte in risposta alle esigenze poste nel programma – esplicitamente e/o implicitamente –, e il loro coordinamento nella configurazione complessiva dell’organismo architettonico; • acquisire i pareri, nulla-osta, e simili, e infine la concessione a edificare che legittimi preventivamente l’intervento in oggetto. Per quanto attiene al secondo aspetto, quello della “assentibilità” delle opere progettate e dell’ottenimento della concessione a edificare, l’Ente preposto centralmente a tale scopo è l’Amministrazione comunale, nella figura del Sindaco – con l’ausilio della istruttoria effettuata dai suoi Uffici tecnici e acquisito il parere della Commissione Edilizia, nonché tutti gli altri pareri e nulla-osta necessari a norma di legge – in conformità ai propri strumenti urbanistici e alle altre normative locali e nazionali vigenti. Gli ambiti di autonomia dei Comuni nell’espletamento delle proprie funzioni di controllo dell’attività edilizia possono dare luogo ad alcune differenze in termini di prescrizioni e adempimenti ai quali il progettista è chiamato a ottemperare nella redazione del progetto di massima; si rende quindi necessario verificare di volta in volta – comune per comune – quali siano gli adempimenti necessari per ottenere la concessione a edificare. Tuttavia, a norma di leggi e regolamenti in tema di esercizio professionale e di deontologia professionale, nonché in vista delle finalità generali indicate sopra, è possibile indicare i requisiti essenziali ai quali deve corrispondere la redazione del progetto di massima, come di seguito specificato, anche in analogia con la recente normativa in materia di progetto di opere pubbliche emanata con la legge 109/1994 e successive modificazioni.
DOCUMENTI ED ELABORATI DEL PROGETTO DI MASSIMA Alla domanda di concessione deve essere allegato il progetto – almeno in tre copie –, costituito dai seguenti elaborati • COROGRAFIA CON STRALCIO DELLO STRUMENTO URBANISTICO VIGENTE (rilasciato dal Comune, su richiesta degli interessati) in scala non inferiore a 1:5000. • COROGRAFIA CON STRALCIO DEI PIANI DI ESECUZIONE, Piani di lottizzazione, Convenzioni, o altri strumenti di pianificazione esecutiva eventualmente gravanti sull’area, recanti gli estremi della approvazione comunale, nelle scale corrispondenti. • COROGRAFIA CON STRALCIO DEI PIANI PAESISTICI eventualmente interessanti l’area, nella scala corrispondente. • STRALCIO DELLA MAPPA CATASTALE che comprende il lotto di intervento e le aree contermini e certificato catastale rilasciato in data non anteriore a sei mesi. • COMPUTO dei volumi progettati, delle superfici coperte e ogni altro dato necessario per verificare la rispondenza del progetto agli indici fissati dallo strumento urbanistico generale e/o esecutivo vigente. • PLANIMETRIA DELLO STATO ATTUALE dei luoghi (nella scala 1:200 ÷; 1:500), estesa per un congruo raggio – si consiglia almeno 50 ml. – oltre i confini del lotto, dalla quale risulti: l’ubicazione del lotto di intervento; quote altimetriche date in numero e posizioni sufficienti a restituire gli andamenti clivometrici del terreno (nei casi di acclività apprezzabile si consiglia anche il tracciamento delle curve isometriche di livello); la larghezza e il nome delle strade esistenti adiacenti; le proprietà confinanti e i nomi dei relativi proprietari; le altezze e le distanze degli edifici circostanti; la eventuale presenza di servitù attive e passive; l’indicazione delle eventuali alberature esistenti. • PLANIMETRIA DI PROGETTO in scala ed estensione corrispondente alla “planimetria dello stato dei luoghi”, dalla quale risulti: l’ubicazione del lotto di intervento; le quote altimetriche relative all’assetto del suolo di progetto, comparate direttamente con le quote dello stato ante operam dei luoghi; la larghezza e il nome delle strade esistenti adiacenti; l’ubicazione degli edifici, annessi, e altre opere accessorie di progetto, con indicazione dei distacchi da strade, confini ed edifici confinanti o circostanti; l’indicazione delle recinzioni, dei varchi di accesso carrabili e pedonali, dei percorsi carrabili e pedonali, l’ubicazione e il dimensionamento dei parcheggi, e tutte le altre opere di sistemazione delle superfici non coperte dagli edifici, distinguendo le parti a verde da quelle lastricate; l’indicazione degli impianti vegetali di progetto, con evidenza delle alberature abbattute, sostituite, traslate e dei nuovi impianti vegetali progettati.
A 60
• PIANTE QUOTATE DI OGNI PIANO, compresi i piani interrati e il piano di copertura con indicazione dei volumi tecnici, con indicazione delle destinazioni dei singoli locali, nella scala 1:100. • ALMENO DUE SEZIONI VERTICALI QUOTATE (generalmente una trasversale e una longitudinale), tracciate in corrispondenza di elementi significativi dell’impianto di progetto ed estese a tagliare tutta l’estensione del lotto e una ulteriore fascia corrispondente ai distacchi minimi tra edifici contemplati dalle norme edilizie e urbanistiche vigenti, con indicazione dell’andamento del terreno prima e dopo la sistemazione prevista; nella scala 1:100. • TUTTI I PROSPETTI ESTERNI, con indicazione delle quote altimetriche dei piani e delle coperture riferite alle quote stradale e alle più basse sistemazioni esterne, nella scala 1:100. • PARTICOLARI DELLE PIANTE, DELLE SEZIONI E DEI PROSPETTI in scala non inferiore a 1:20, in corrispondenza delle parti, caratterizzanti dell’edificio, con indicazione dei materiali, delle finiture e dei colori previsti. • SCHEMI DI VERIFICA DELLA FRUIBILITÀ dei diversi spazi in funzione delle specifiche destinazioni d’uso; • DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE LE PRESTAZIONI DI ISOLAMENTO TERMICO, in riferimento alla esigenza di contenimento dei consumi energetici sancita dalla normativa vigente. • GRAFICI CHE VERIFICANO LA FRUIBILITÀ delle diverse attività e destinazioni ospitate da parte di portatori di handicap, in conformità con la normativa vigente. • RELAZIONE TECNICA che illustri: i criteri che hanno orientato le scelte progettuali per quanto attiene ad aspetti contestuali, formali, distributivi e tecnici; i dati di conformità edilizia e urbanistica del progetto alle normative e agli strumenti urbanistici vigenti; gli aspetti tecnico-costruttivi, in termini di morfologia strutturale, materiali e finiture impiegati; materiali, finiture e coloriture dei paramenti esterni; sistemazione degli spazi esterni, accessibilità, parcheggi e apparati vegetali. È buona norma che la relazione, in vista dell’adeguamento ai comportamenti europei, si esprima in merito alla rispondenza del progetto ai requisiti essenziali di sicurezza, benessere, fruibilità degli spazi, manutenzione e gestione, inserimento ambientale e paesaggistico.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO FASI O “LIVELLI” DI ELABORAZIONE E REDAZIONE DEL PROGETTO
A.2. 1. A.ZIONI
DESTINATARI DEL PROGETTO DI MASSIMA Destinatari naturali del progetto di massima sono: • IL COMMITTENTE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
• TUTTE LE AMMINISTRAZIONI E GLI ENTI preposti al controllo dell’attività edilizia e alla tutela degli eventuali vincoli gravanti sull’area interessata dall’intervento, ai quali compete il rilascio dei relativi pareri e nulla-osta, nonché la concessione a edificare: - l’Amministrazione comunale; - l’ufficiale sanitario della USL per quanto attiene ad aspetti igienico-sanitari; - il Comando dei VVFF, per quanto attiene alle normative antincendio; - le Sovrintendenze preposte dalla legislazione vigente alla tutela del patrimonio archeologico, ai beni culturali, all’ambiente e al paesaggio.
C.RCIZIO
Per gli interventi extra-urbani, possono essere richieste altre autorizzazioni che interessano l’ispettorato provinciale dell’Agricoltura, l’Ispettorato dipartimentale delle Foreste, le Autorità di Bacino, nonché le autorizzazioni in materia di accesso alle strade statali e nazionali.
D.GETTAZIONE
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
PROGETTO ESECUTIVO Le competenze e gli adempimenti del progetto esecutivo non differiscono né nel nome né nella sostanza da quanto definito dall’art.16 della legge 109/1994 e successive modificazioni e dal Titolo III,Capo II, sezione IV del Regolamento di attuazione (14 dicembre 1999). Pertanto si rimanda a quanto già riportato nel precedente sottocapitolo, Sezione quarta, progetto esecutivo, nonché alle Tabelle sinottiche e di comparazione allegate.
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM Di seguito si richiamano gli adempimenti essenziali richiesti, generali e specifici, in riferimento al tipo e all’importanza delle opere da realizzare.
ADEMPIMENTI ED ELABORATI DEL PROGETTO ESECUTIVO Il progetto esecutivo definisce compiutamente e in ogni particolare architettonico, strutturale e impiantistico l’intervento da realizzare. Il progetto è redatto nel pieno rispetto del progetto di massima nonché delle eventuali prescrizioni impartite in sede di rilascio della concessione edilizia, di accertamento di conformità urbanistica, di conferenza di servizi o di pronuncia di compatibilità ambientale (ove previsti). Il progetto esecutivo è composto dai seguenti documenti: a) relazione generale; b) relazioni specialistiche; c) elaborati grafici comprensivi anche di quelli delle strutture, degli impianti e di ripristino ambientale; d) calcoli esecutivi delle strutture e degli impianti; e) piani di sicurezza; f) computo metrico estimativo definitivo e quadro economico; g) elenco dei prezzi unitari e eventuali analisi; h) schema di contratto e capitolato speciale di appalto. RELAZIONE GENERALE DEL PROGETTO ESECUTIVO La relazione generale del progetto esecutivo descrive in dettaglio, anche attraverso riferimenti agli elaborati grafici e alle prescrizioni del capitolato d’appalto, i criteri utilizzati per le scelte progettuali esecutive, per i particolari costruttivi e per il conseguimento e la verifica dei prescritti livelli disicurezza Contiene inoltre la descrizione delle indagini, rilievi e ricerche effettuati al fine di ridurre in corso di esecuzione la possibilità di imprevisti. RELAZIONI SPECIALISTICHE Le relazioni specialistiche contengono l’illustrazione di tutte le problematiche esaminate e delle verifiche analitiche effettuate in sede di progettazione esecutiva. In particolare: • le relazioni geologica, geotecnica, idrologica e idraulica illustrano puntualmente le soluzioni adottate. • le relazioni impiantistiche sono sviluppate in modo da definire in dettaglio gli aspetti inerenti alla esecuzione e alla manutenzione degli impianti tecnologici; • le relazioni botaniche, agronomiche o simili definiscono gli aspetti relativi alle opere a verde. ELABORATI GRAFICI DEL PROGETTO ESECUTIVO
CALCOLI ESECUTIVI DELLE STRUTTURE E DEGLI IMPIANTI I calcoli esecutivi delle strutture e degli impianti, nell’osservanza delle normative vigenti, possono essere eseguiti anche mediante utilizzo di programmi informatici. I calcoli esecutivi delle strutture devono consentire la definizione e il dimensionamento delle stesse in ogni loro aspetto generale e particolare, in modo da escludere la necessità di variazioni in corso di esecuzione. I calcoli esecutivi degli impianti sono eseguiti con riferimento alle condizioni d’esercizio, alla destinazione specifica dell’intervento e devono permettere di stabilire e dimensionare tutte le apparecchiature, condutture, canalizzazioni e qualsiasi altro elemento necessario per la funzionalità dell’impianto stesso, nonché consentire di determinarne il prezzo. La progettazione esecutiva delle strutture e degli impianti è effettuata unitamente alla progettazione esecutiva delle opere civili al fine di prevedere esattamente ingombri, passaggi, cavedi, sedi, attraversamenti e simili e di ottimizzare le fasi di realizzazione. I calcoli delle strutture e degli impianti, comunque eseguiti, sono accompagnati da una relazione illustrativa dei criteri e delle modalità di calcolo che ne consentano una agevole lettura e verificabilità.
G.ANISTICA
Il progetto esecutivo delle strutture comprende:
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
a) gli elaborati grafici di insieme (carpenterie, profili e sezioni) in scala non inferiore a 1:50, e gli elaborati grafici di dettaglio in scala non inferiore a 1: 10, contenenti fra l’altro: 1) per le strutture in cemento armato o in cemento armato precompresso: i tracciati dei ferri di armatura con l’indicazione delle sezioni e delle misure parziali e complessive, nonché i tracciati delle armature per la precompressione ; resta esclusa soltanto la compilazione delle distinte di ordinazione a carattere organizzativo di cantiere; 2) per le strutture metalliche o lignee: tutti i profili e i particolari relativi ai collegamenti, completi nella forma e spessore delle piastre, del numero e posizione di chiodi e bulloni, dello spessore, tipo, posizione e lunghezza delle saldature; resta esclusa soltanto la compilazione dei disegni di officina e delle relative distinte pezzi; 3) per le strutture murarie: tutti gli elementi tipologici e dimensionali atti a consentirne l’esecuzione.
URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P
b) la relazione di calcolo contenente: 1) l’indicazione delle norme di riferimento; 2) la specifica della qualità e delle caratteristiche meccaniche dei materiali e delle modalità di esecuzione qualora necessarie; 3) l’analisi dei carichi per i quali le strutture sono state dimensionate; 4) le verifiche statiche. Nelle strutture che si identificano con l’intero intervento, quali ponti, viadotti, pontili di attracco, opere di sostegno delle terre e simili, il progetto esecutivo deve essere completo dei particolari esecutivi di tutte le opere integrative.
Gli elaborati grafici esecutivi , eseguiti con i procedimenti più idonei, sono costituiti: Il progetto esecutivo degli impianti comprende: a) dagli elaborati che sviluppano nelle scale ammesse o prescritte, tutti gli elaborati grafici del progetto di massima; b) dagli elaborati che risultino necessari all’esecuzione delle opere o dei lavori sulla base degli esiti di studi e indagini eseguite in sede di progettazione esecutiva; c) dagli elaborati di tutti i particolari costruttivi ; d) dagli elaborati atti a illustrare le modalità esecutive di dettaglio; e) dagli elaborati atti a definire le caratteristiche dimensionali, prestazionali e di assemblaggio di componenti industrializzati e prefabbricati.
a) gli elaborati grafici di insieme, in scala ammessa o prescritta e comunque non inferiore a 1:50, e gli elaborati grafici di dettaglio, in scala non inferiore a 1:10, con le notazioni metriche necessarie; b) l’elencazione descrittiva particolareggiata delle parti di ogni impianto con le relative relazioni di calcolo; c) la specificazione delle caratteristiche funzionali e qualitative dei materiali, macchinari e apparecchiature.
DI 1. A.2. “LIVELLI”E REDAO FASI RAZIONE ETTO ELABO DEL PROG E ZION
A 61
A.2. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO FASI O “LIVELLI” DI ELABORAZIONE E REDAZIONE DEL PROGETTO ➦ FASI DI ELABORAZIONE DEL PROGETTO – PROGETTAZIONE DI OPERE PUBBLICHE REGOLATE DALLA LEGGE 109/1994 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI ELABORAZIONI INTEGRATIVE PRELIMINARI Di seguito si descrivono alcune fasi di elaborazione preliminare che a volte, soprattutto nei casi di interventi complessi e/o di apprezzabile dimensione, si rendono necessari al fine di verificare la corrispondenza del progetto alle esigenze del committente e la leggittimità urbanistica rispetto ai piani, regolamenti e altre norme generali vigenti.
PROGETTO PLANOVOLUMETRICO DI COORDINAMENTO Si tratta di un livello di elaborazione intermedio tra la pianificazione urbanistica-attuativa e il progetto edilizio, al quale si ricorre in casi di interventi complessi, articolati in più parti, o incidenti in contesti di particolare rilevanza urbana, in assenza di piani urbanistici attuativi che forniscano indicazioni di scala e dettaglio adeguati alle esigenze d’ordine poste dalle caratteristiche e dalle dimensioni dell’intervento. Tale tipo di elaborazione preliminare a volte è espressamente prescritta dalle norme di attuazione di Piani Regolatori Generali per parti e/o isolati del territorio; altre volte è prescritta dalle Amministrazioni competenti tra le fasi di elaborazione progettuale di opere pubbliche, come plessi scolastici, ospedali generali, ecc. Il progetto planovolumetrico di coordinamento è chiamato a specificare soluzioni per problemi e aspetti diversi a seconda delle diverse tipologie di intervento e contesti di localizzazione. Si possono considerare essenziali e costanti le elaborazioni relative alle seguenti questioni: • DETERMINAZIONE DEI DATI PLANOVOLUMETRICI del complesso edilizio e delle sue articolazioni, in termini di assetto planimetrico, superfici coperte dagli edifici, altezze degli edifici e/o delle diverse articolazioni degli edifici , cubatura totale progettata, ecc.; • DETERMINAZIONE DEI RAPPORTI CON IL LOTTO DI INTERVENTO con gli altri edifici esistenti e confinanti, con la viabilità e con gli spazi pubblici esistenti al contorno, in termini di distacchi, di allineamenti, rotazioni, traslazioni relative o variazioni planimetriche, di comparazione di profili, ecc.; • DETERMINAZIONE DELLE MODALITÀ DI ACCESSO E PARCHEGGIO della distribuzione generale delle attività ospitate e delle relative relazioni di collegamento o separazione, ecc.;
• INDICAZIONI GENERALI SULLA SISTEMAZIONE DELLE AREE LIBERE esterne agli edifici, in termini di descrizione delle variazioni apportate agli andamenti del terreno, di dotazione e morfologia degli apparati vegetali, di tracciamento dei percorsi carrabili e pedonali, di configurazione degli spazi pavimentati e attrezzati, e simili; • SCHEMI FUNZIONALI relativi alla distribuzione delle attività ospitate e alla organizzazione delle condizioni generali di fruizione degli spazi relativi. Elaborati essenziali del progetto planovolumetrico di coordinamento sono: • LABORATI DI RIFERIMENTO AGLI STRUMENTI URBANISTICI VIGENTI (PRG, Piani Particolareggiati di esecuzione, eventuali Piani paesaggistici, ecc.), con evidenza dei vincoli di varia natura eventualmente gravanti sull’area (vincoli archeologici, ambientali-paesaggistici, ecc.), riportati mediante estratti dalle relative tavole di piano; • RESTITUZIONE PLANIMETRICA dello stato attuale del lotto e delle aree adiacenti, con indicazione delle quote altimetriche e delle curve isometriche di livello, nei casi di acclività, apprezzabile, degli apparati vegetali esistenti, delle eventuali preesistenze edilizie (sia che vengano conservate, sia che vengano demolite), elaborata sulla base di rilievo diretto del sito o mediante estratto da rilievo aerofotogrammetrico; • RESTITUZIONE ALTIMETRICA dello stato attuale del lotto e delle aree adiacenti, edifici esistenti compresi, con indicazione delle principali quote altimetriche, mediante il tracciamento di profili esterni e di sezioni e/o sequenze di sezioni tracciate in corrispondenza delle variazioni significative delle clivometrie esistenti;
• PLANIMETRIA GENERALE DI PROGETTO, quotata planimetricamente e altimetricamente con comparazione diretta con le quote dello stato attuale, con indicazione delle volumetrie progettate, delle sistemazioni degli spazi liberi dagli edifici, degli apparati vegetali conservati, abbattuti, sostituiti o di nuovo impianto, nella scala adeguata alle dimensioni dell’intervento (1:200 Ö; 1:500); • PROFILI E SEZIONI GENERALI DI PROGETTO quotate altimetricamente e comparate direttamente con le corrispondenti sezioni e profili dello stato attuale (1:200 Ö; 1:500); • PROGRAMMA GENERALE DI INTERVENTO con indicazione della distribuzione delle attività ospitate, delle modalità di accesso, dei parcheggi, dei percorsi di collegamento, restituito mediante schemi planimetrici e altimetrici, con indicazione delle quantità di superfici e/o di volume attribuite; • RAPPRESENTAZIONI TRIDIMENSIONALI LIBERE DI INSIEME (prospettive, assonometrie, planimetrie con ombre portate, ecc.), tese a restituire sinteticamente, anche nei riguardi di interlocutori non tecnici, l’articolazione planovolumetrica dell’intervento edilizio e il suo inserimento nel contesto urbano o paesaggistico; • RELAZIONE DI PROGETTO che specifichi le scelte operate e i criteri adottati in merito ai diversi ordini di esigenze generali poste dal programma e dalle condizioni di contesto, integrata da quadri e tabelle riassuntivi e di verifica degli adempimenti normativi (bilancio delle cubature, delle superfici coperte e di quelle utili, della dotazione di parcheggi, della dotazione di verde, ecc.) nonché delle quantità delle superfici utili e/o delle cubature, comparate con le esigenze programmatiche di fruibilità dell’intervento.
PROGETTO DI LARGA MASSIMA Il progetto di larga massima è rivolto essenzialmente a verificare la corrispondenza delle opzioni generali di progetto operate con le esigenze espresse dal committente. Tale tipo di verifica non trova definizione nel quadro normativo esistente; tuttavia è consigliabile ricorrervi nei casi nei quali sussista qualche dubbio in merito alla effettiva soddisfazione del committente: per scarsa definizione del programma posto a base del progetto; per complessità dell’opera in progetto; per assenza di una chiara casistica di interventi analoghi di riferimento; per particolari condizioni morfologiche del sito o del contesto nel quale si interviene. Rispetto al precedente progetto planovolumetrico di coordinamento, il Progetto preliminare di larga massima si caratterizza per una maggiore attenzione verso la prefigurazione degli aspetti formali e funzionali dell’organismo architettonico rispetto agli aspetti urbanistici e normativi. Conseguentemente dovrà redigere elaborati grafici e relazioni rivolti a chiarire i seguenti aspetti: • INSERIMENTO DELLE OPERE nel contesto urbano e/o paesaggistico, con particolare attenzione alle questioni di rapporto con la morfologia del suolo, con gli apparati vegetali esistenti e/o progettati, con le strade limitrofe e di accesso, con gli edifici contermini, ecc.; • DEFINIZIONE DELLE ARTICOLAZIONI PLANOVOLUMETRICHE dell’edificio, dei partiti e degli elementi architettonici rilevanti dei valori cromatici e materici dei paramenti esterni e delle coperture; • DEFINIZIONE DELLA ARTICOLAZIONE degli spazi interni della distribuzione delle diverse attività e destinazioni d’uso e delle relative condizioni di fruibilità; • VALUTAZIONE SOMMARIA DEL COSTO dell’intervento stimata su base parametrica, in riferimento al grado di finitura previsto e ai principali materiali impiegati.
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Gli elaborati consigliati per questa fase preliminare di progetto sono: • PLANIMETRIA DELL’INTERVENTO, estesa a comprendere le aree e gli edifici contermini, con evidenza delle eventuali variazioni apportate agli andamenti del terreno, dei percorsi pedonali e carrabili di accesso, della articolazione e sistemazione degli spazi non coperti dall’edificio; • PIANTE DI TUTTI I PIANI in scala 1:200, con indicazione delle destinazioni dei diversi spazi e delle relative condizioni di fruibilità (schemi di arredo); • SEZIONI (almeno due) in scala 1:200, tracciate lungo piani significativi della articolazione dell’edificio, con evidenza degli andamenti del terreno ante operam e post operam; • TUTTI I PROSPETTI in scala 1:200, con designazione dei materiali di paramento che si intendono adottare e indicazione dei colori; • RAPPRESENTAZIONI TRIDIMENSIONALI di insieme (prospettive, assonometrie), significative per la prefigurazione dell’edificio e dei rapporti che istituirà con il contesto urbano e/o paesaggistico; • RELAZIONE SINTETICA che specifichi i criteri di ordine contestuale, formale, distributivo e tecnico che hanno orientato le scelte di progetto, i materiali principali che si intendono adottare e quanto altro necessario per rendere chiara la prefigurazione dell’assetto finale dell’intervento; • VALUTAZIONE SOMMARIA DEI COSTI implicati dall’intervento, condotta su base parametrica (costo al mc. vuoto per pieno, costo al mq. di superficie utile, ecc.), in riferimento ai valori correnti per interventi simili e in considerazione del tipo di finiture e materiali previsti.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE
•
ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO NORMALIZZAZIONE EDILIZIA
A.ZIONI
NORMALIZZAZIONE E UNIFICAZIONE IN EDILIZIA La nozione di “normalizzazione”, o anche “normazione”, traduce il termine anglosassone standardization. Il più antico tentativo di elaborazione di uno standard sistematico in ambito industriale viene fatto generalmente risalire alla norma relativa al sistema di filettatura Whitworth del 1841. La nozione di standard rimanda a un universo di esigenze specifiche dei processi di produzione industriale, rilevabili in particolare nella storia della meccanizzazione, cio” alla evoluzione di apparati sostitutivi della forza muscolare, alimentati da fonti energetiche non localizzate e ad alta capacità produttiva. Tali condizioni vengono sintetizzate da L. Grebler come “modo produttivo fondato essenzialmente su processi organizzati di natura ripetitiva”. “Organizzazione” e “ripetizione” sono le parole chiave che orientano i sistemi di standardizzazione. In questa fase, definita “prima rivoluzione industriale” o della “meccanizzazione dell’azione”, la “organizzazione” “ relegata a un ruolo accessorio e strumentale rispetto alla “ripetizione” che occupa il centro di interesse della ricerca, rivolta essenzialmente a questioni relative alla produzione di grande serie. Negli anni ‘50, l’evoluzione delle macchine verso tipi, autoazionantesi e a programma controllato (quella che viene chiamata “la seconda rivoluzione industriale”), conduce la produzione ad adottare criteri ripetitivi di tipo “analogico”, concepiti come riproduzione da modelli operativi a diverso contenuto di informazione, che permettono di raggiungere un’alta efficienza anche nella fabbricazione di piccole e medie serie e nella produzione di oggetti differenziati. La produzione di grande serie perde gradatamente importanza con l’affermarsi del regime di “informatizzazione dei processi produttivi” che consente di impartire un insieme compiuto e complesso di istruzioni elaborate preventivamente o anche elaborabili istantaneamente: in questa seconda fase “ la “organizzazione” che viene a occupare il ruolo centrale del processo di normalizzazione per il prevalere dell’istanza di ordinare un insieme di entità in modo coerente così che il loro comportamento risulti unitario. Perde così interesse il requisito della “ripetibilità” parallelamente al diffondersi di produzioni di piccola serie capaci di adattarsi a una domanda resa variabile e articolata dai cambiamenti di esigenze, di norme, di materiali, dalla richiesta di personalizzazione dei prodotti e dalla minore durata in efficienza degli stessi. La proposta di uno “ spazio normativo” “ enunciata per la prima volta da L.C. Verman in un saggio del 1958 presentato a un Comitato dell’ISO (Organizzazione Internazionale di Standardizzazione). Secondo tale accezione, l’universo normativo si presenta articolato in due ambiti: il sotto-universo delle unificazioni – che attiene alle norme applicabili a tutti i soggetti compresi in una determinata classe o categoria – e il sotto-universo delle semplificazioni, che si riferisce solo ad alcuni soggetti della stessa classe o categoria. L’UNI (norma UNI 2000 p. 4°, 1984), accogliendo sostanzialmente tale impostazione, defi-
nisce “rango” la collocazione strutturale della norma, argomento, il criterio organizzativo cui devono uniformarsi le prescrizioni e “livello” l’ambito di vigenza della norma stessa. Alla fine degli anni ‘80 si procede a una rielaborazione del sistema di classificazione, per adeguarlo ai nuovi ordinamenti internazionali e sovranazionali di normazione (ISO, CEN). L’adozione di tale nuova classificazione si esplicita in Italia nel D.M. LL.PP. del 18 gennaio 1988, elaborato dal CER (Comitato per l’Edilizia Residenziale), che, per il settore di propria competenza, articola la normativa tecnica in: funzionale-dimensionale, fisico-ambientale, tecnologica, procedurale. Con l’affermarsi dell’approccio analitico e progettuale, “esigenziale-prestazionale”, basato sulla rispondenza delle opere ai requisiti esigenziali disposti da norme, regolamenti o comunque dai programmi di intervento, l’attività di unificazione si “ rivolta prevalentemente a definire parametri, codici e indicatori rivolti a verificare la “qualità” dei prodotti edilizi, nel loro insieme integrato e nei singoli materiali, parti o componenti, nonché a certificarne le prestazioni rispetto agli aspetti principali connessi ai rispettivi impieghi. Il processo di unificazione – sospinto anche dall’esigenza di omogeneizzare i comportamenti internazionali ed europei in particolare – non “più rivolto alla ricerca di assimilazione dei prodotti, dei processi, delle dimensioni, quanto piuttosto alla omogeneizzazione degli indicatori di “qualità prestazionale” e dei corrispondenti parametri di valutazione-certificazione, nonché ad assicurare la compatibilità-assemblabilità dei diversi sistemi di componenti che concorrono alla costituzione dell’oggetto edilizio e delle sue parti. L’accelerato processo di sostituzione di questo approccio “esigenziale-prestazionale” alla precedente prassi basata sulla corrispondenza delle diverse categorie di opere alle descrizioni fornite nei compendi capitolari, oltre a imprimere notevole slancio ai processi di innovazione tecnologica, comporta notevoli, trasformazioni delle prassi e degli adempimenti connessi all’espletarsi della attività di progettazione. Oggi sempre più frequentemente – segnatamente nel caso di “gare di progettazione internazionali” e nel caso di grandi opere pubbliche – ciò che viene richiesto al progetto non “la rispondenza a procedure costruttive e modalità di realizzazione consolidate e sancite dal “capitolato generale”, quanto la garanzia che ogni ambiente, ogni parte edilizia e ogni componente corrisponda a requisiti essenziali di benessere, di fruizione, di sicurezza, di gestione e manutenzione in qualche modo prefissati o regolamentati. Per adempiere a questo compito, l’attività progettuale può avvalersi dei “certificati di qualità” – rilasciati ai produttori da enti e laboratori espressamente autorizzati –, per orientare l’adozione dei diversi prodotti e componenti e per integrarne i valori prestazionali nella valutazione complessiva di congruenza delle prestazioni tecniche offerte dal progetto a fronte dei corrispondenti requisiti esigenziali imposti dal programma di intervento e dalle norme e regolamenti vigenti.
COORDINAZIONE MODULARE I primi studi di “coordinazione modulare” vengono promossi dall’AEP (Agenzia Europea di Produttività), organo dell’ OECE (Organizzazione Europea di Cooperazione Economica), dopo la seconda guerra mondiale (Progetto AEP n.174); le risultanze di tali ricerche in ambito teorico e applicativo sono pubblicate con due rapporti ufficiali del 1956 e del 1960. Successivamente il Gruppo di lavoro AEP si trasforma nel IMG (International Modular Group), che ancora opera in stretta collaborazione con il Gruppo di lavoro W24 del CIB (Conseil International du Bâtiment).
A.2. 2.
In questo ambito, l’UNI ha emanato norme che regolano la materia anche in Italia, in accordo con i comportamenti internazionali, in particolare per quanto attiene alla definizione dei termini ricorrenti: • Norma UNI 786 Coordinazione dimensionale e modulare: Terminologia; • Norma UNI 7862 Coordinazione delle dimensioni orizzontali: Terminologia; • Norma UNI 7863 Coordinazione delle dimensioni verticali: Terminologia. Da tali norme, riportiamo di seguito alcune definizioni terminologiche.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
COORDINAZIONE DIMENSIONALE E MODULARE: TERMINOLOGIA (UNI 7861) Coordinazione dimensionale Branca di geometria applicata a istituire una correlazione programmata tra le forme e le estensioni delle parti di un organismo edilizio mediante un sistema convenzionale di strumenti e di procedure al fine di consentire l’assemblaggio dei componenti senza tagli o adattamenti in cantiere. Modulo Ente geometrico iterativo nello spazio adottato nella progettazione dimensionale di un organismo edilizio e delle sue parti. Coordinazione modulare Coordinazione dimensionale fondata su una particolare convenzione che stabilisce il modulo e che consente la produzione di componenti intercambiabili e dimensionalmente selezionati, con la riduzione della varietà dimensionale unita alla flessibilità nella combinazione dei componenti stessi. Modulo base Modulo lineare il cui valore viene stabilito per convenzione.
Dimensione modulare Dimensione multipla del modulo base. Sistema modulare di lunghezza Sistema di lunghezze costituito dal modulo base, da sottomoduli e da multimoduli, adottato per il dimensionamento degli spazi fruibili e dei componenti edilizi. Reticolo o griglia di riferimento Schema grafico, spaziale o piano, composto da famiglie di rette di riferimento parallele fra loro e distanziate di quantità prefissate (moduli del reticolo) uguali a una unità del sistema modulare di lunghezza. Zona modulare Spazio modulare stratiforme tra due piani modulari paralleli destinato a contenere una zona di coordinazione di un componente o di un gruppo di componenti. Piani limite: Piani modulari delimitanti una particolare zona modulare usati come riferimento per la definizione della posizione di piani di coordinazione.
COORDINAZIONE DELLE DIMENSIONI ORIZZONTALI: TERMINOLOGIA (UNI 7862) Dimensione di coordinazione dei pieni Distanza tra due piani di coordinazione delimitanti una zona di coordinazione verticale.
Dimensione limite della zona modulare verticale Distanza tra i due piani limite delimitanti una zona modulare verticale.
Dimensione di coordinazione dell’interzona Distanza tra due piani di coordinazione consecutivi appartenenti a due zone di coordinazione verticale.
Dimensione limite dell’interzona Distanza tra due piani limite consecutivi appartenenti a due zone modulari verticali.
Distanza di interposizione assiale riferita al piano di coordinazione Distanza tra il piano assiale e il piano di cordinazione immediatamente antecedente per riguardo a un verso prefissato.
Distanza di interposizione assiale riferita al piano limite Distanza tra un piano assiale e il piano limite immediatamente antecedente per riguardo a un piano prefissato.
DI 1. A.2. “LIVELLI”E REDAO FASI RAZIONE ETTO ELABO DEL PROG E ZION NE 2. A.2. ALIZZAZIO NORMIA EDILIZ
A 63
A.2. 2.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE NORMALIZZAZIONE EDILIZIA
•
ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO
➦ COORDINAZIONE MODULARE COORDINAZIONE DELLE DIMENSIONI VERTICALI: TERMINOLOGIA (UNI 7862) Zona di coordinazione dell’impalcato finito Zona di coordinazione orizzontale destinata a contenere tutti i componenti di un impalcato finito. All’interno della “zona di coordinazione dell’impalcato finito”, dall’alto verso il basso senza soluzioni di continuità, si individuano nella generalità dei casi le tre zone distinte sotto definite. • Zona di coordinazione del completamento superiore • Zona di coordinazione dell’impalcato rustico • Zona di coordinazione del completamento inferiore. Altezza di coordinazione di impalcato finito Distanza tra due piani di coordinazione delimitanti una zona di coordinazione dell’impalcato finito. È formata per somma delle tre altezze sotto definite:
• Altezza di coordinazione del pavimento • Altezza di coordinazione dell’ impalcato rustico • Altezza di coordinazione del soffitto Altre altezze di coordinamento modulare ricorrenti sono definite come segue (con riferimento alle dimensioni indicate nelle figure allegate): • Altezza interna di coordinazione al finito • Altezza interna di coordinazione al rustico • Altezza esterna di coordinazione al rustico. • Altezza limite di impalcato finito • Altezza interna limite • Altezza esterna limite
COORDINAZIONE MODULARE DELLE DIMENSIONI VERTICALI – MODELLO PREFERENZIALE DI ARTICOLAZIONE (UNI 7865) Fissa le altezze modulari e regolamentari. Tutte le altezze di coordinazione sono, nella generalità, dimensioni sottomodulari multiple del più piccolo sottomodulo M/4 (25 mm) appartenente al sistema modulare di lunghezza. La norma UNI 7866 fissa i valori di “Coordinazione modulare delle dimensioni verticali”.
VALORI PREFERENZIALI PER LE ALTEZZE Altezza limite I valori dell’altezza limite d’impalcato finito devono appartenere alla sequenza nM a partire da 2M (con n numero intero della serie naturale). I valori delle altezze interne limite devono appartenere alla sequenza 3nM a partire da 21M a 48M e alla sequenza 6nM a partire da 48M. I valori delle altezze esterne limite conseguono ai valori dell’altezza interna limite più l’altezza limite d’impalcato finito e appartengono alla sequenza nM.
Altezza di coordinazione I valori dell’altezza di coordinazione di impalcato finito, dell’altezza di coordinazione di pavimento, dell’altezza di coordinazione di impalcato rustico e dell’altezza di coordinazione di soffitto devono appartenere alla sequenza nM/4.
COORDINAZIONE MODULARE – SISTEMA MODULARE DI LUNGHEZZA (UNI 7864) Emanata a seguito di rielaborazione della norma ISO 1006, in tema di assunzione della dimensione del modulo base. Il sistema modulare di lunghezza “ formato dal modulo base e dai sottomoduli e multimoduli di seguito indicati.
Sottomoduli I sottomoduli, indicati con i simboli M/2 e M/4, sono costituiti rispettivamente da lunghezze aventi valore di 50 e 25 mm.
Modulo base Il modulo base, indicato con il simbolo M, “costituito da una lunghezza avente valore di 100 mm.
Multimoduli I multimoduli, indicati con i simboli 3M, 6M, 12M, sono costituiti rispettivamente da lunghezze aventi valore 300, 600, e 1200 mm.
FIG. A.2.2.1 COORDINAZIONE DELLE DIMENSIONI ORIZZONTALI (UNI 7862) ZONA DI COORDINAZIONE VERTICALE
p
DIMENSIONE DI COORDINAZIONE DELL'INTERZONA
PIANO LIMITE VERTICALE
b
DIMENSIONE DI COORDINAZIONE DEI PIENI
PIANO ASSIALE
xb
DISTANZA DI INTERPOSIZIONE ASSIALE RIFERITA AL PIANO DI COORDINAZIONE
PIANO DI COORDINAZIONE VERTICALE
p
DIMENSIONE LIMITE DELLA ZONA MODULARE VERTICALE
n
DIMENSIONE LIMITE DELL'INTERZONA
s
DISTANZA DI INTERPOSIZIONE ASSIALE RIFERITA AL PIANO LIMITE
i
s b
l
xb
ZONA MODULARE VERTICALE
A 64
i
n
COMPONENTE
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE
•
ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO NORMALIZZAZIONE EDILIZIA
A.2. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. A.2.2./2 COORDINAZIONE DELLE DIMENSIONI VERTICALI (UNI 7863)
hs.
hf.
{ h.
ALTEZZA DI COORDINAZIONE DEL PAVIMENTO
ALTEZZA DI COORDINAZIONE DI IMPALCATO FINITO
hf
ALTEZZA DI COORDINAZIONE DEL PAVIMENTO
hs
ALTEZZA DI COORDINAZIONE DI IMPALCATO RUSTICO
hc
ALTEZZA DI COORDINAZIONE DEL SOFFITTO
Hr
ALTEZZA INTERNA DI COORDINAZIONE AL FINITO
Hrs
ALTEZZA INTERNA DI COORDINAZIONE AL RUSTICO
Hs
ALTEZZA ESTERNA DI COORDINAZIONE AL RUSTICO
h
ALTEZZA LIMITE DI IMPALCATO FINITO
Hr
ALTEZZA INTERNA LIMITE
H
ALTEZZA ESTERNA LIMITE
Hrs.
Hs.
Hr.
H.
Hr.
hc.
{
H.
ALTEZZA DI COORDINAZIONE DEL SOFFITTO
IMPALCATO FINITO
h
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
PIANI DI COORDINAZIONE ORIZZONTALI PIANI LIMITE ORIZZONTALI
G.ANISTICA URB
ZONA MODULARE DELL'IMPALCATO FINITO
ZONA DI COORDINAZIONE DELL'IMPALCATO FINITO
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P PIANI DI COORDINAZIONE ORIZZONTALI
{
hs.
ALTEZZA DI COORDINAZIONE DEL SOFFITTO
IMPALCATO (I +1) ESIMO hc.
h.
{ h.
ALTEZZA DI COORDINAZIONE DEL PAVIMENTO
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
hf.
PIANO LIMITE SUPERIORE COINCIDENTE COL PIANO DI COORDINAZIONE SUPERIORE DELL'IMPALCATO FINITO
NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P
PIANO LIMITE INFERIORE
Hrs.
Hs.
Hr.
Hr.
h.
IMPALCATO I ESIMO
h - h.
ALTEZZA DI COORDINAZIONE DI IMPALCATO FINITO
h.
H = H.
PIANO DI COORDINAZIONE INFERIORE DELL'IMPALCATO FINITO
NE 2. A.2. ALIZZAZIO NORMIA EDILIZ
A 65
A.2. 2.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE NORMALIZZAZIONE EDILIZIA
•
ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO
➦ COORDINAZIONE MODULARE FIG. A.2.2./3 RETICOLI DI COORDINAZIONE M = MODULO BASE
MULTIMODULO DI PROGETTO nM
M = 100 mm. = MODULO BASE
M/4 = SOTTOMODULO
nM
- IL MODULO BASE ADOTTATO INTERNAZIONALMENTE NELL'INDUSTRIA EDILIZIA È PARI A 100 MILLIMETRI. - IL SOTTOMODULO MINIMO CONSENTITO È PARI A UN QUARTO DEL MODULO BASE, PARI A 25 MILLIMETRI - I MULTIMODULI CONSIGLIATI SONO COSTITUITI DA LUNGHEZZE AVENTI VALORE DI 3M, 6M, 12M, PARI A 300, 600 E 1200 MILLIMETRI (UNI 7864)
GRIGLIA DEI MULTIMODULI n. M = MULTIMODULO M/4
M
COORDINATA DI RIFERIMENTO
GRIGLIA MODULARE DI PROGETTO
n M = n x 100
GRIGLIA MODULARE
COORDINATA DI RIFERIMENTO
GRIGLIA MODULARE
GRIGLIA MODULARE DELLA STRUTTURA PIANI DI COORDINAMENTO
PIANI DI COORDINAMENTO
ZONA
PIANI DI COORDINAMENTO ASSIALI
A 66
DIMENSIONE DI COORD.
DIMENSIONE DI COORD.
DIMENSIONE DI COORD.
nM
n'M
ZONA DI COORDINAMENTO
PIANI DI COORDINAMENTO LIMITE
GRIGLIA MODULARE «TARTAN»
M = MODULO BASE
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE
•
ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO NORMALIZZAZIONE EDILIZIA
A.2. 2. A.ZIONI
FIG. A.2.2./4 SCHEMI GRAFICI ALTIMETRICI E PLANIMETRICI DI COORDINAMENTO MODULARE. IN CASO DI EDIFICIO CON STRUTTURA MODULARE E PARAMENTO ESTERNO (PARETE VENTILATA) MODULARE COORDINAMENTO DELLE DIMENSIONI VERTICALI
n = DIMENSIONE LIMITE DELL'INTERZONA
h f.
p
h c.
h
h s.
xb
10 M
PIANO LIMITE INFERIORE
M = 100 mm (UNI - ISO 7864) M/4 = 25 mm SISTEMA DELLE STRUTTURE COORDINAZIONE MODULARE DELLE DIMENSIONI VERTICALI hf = 3 M/4 hs = 8 M/4 hc = 1 M/4 h = 3M H r = 27 M = 9 (3 M) H = 30 M = 3 M+27 M
COMPONENTE STRUTTURALE
10 M.
30 M
ZONA MODULARE VERTICALE
STRATI DEL PARAMENTO
COORDINAZIONE MODULARE DIMENSIONI ORIZZONTALI
COMPONENTE DI FRONTIERA (PANNELLO)
i b Xb p1 n
= = = = =
48 M = 8 (6 M) 10 M/4 5 M/4 12 M/4 45 M = 15 (3 M)
ELEMENTI DI TAMPONAMENTO COORDINAZIONE MODULARE DIMENSIONI VERTICALI
10 M.
Ht = 30 M = H Hp = 10 M
C.RCIZIO
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D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P
COORDINAZIONE MODULARE DIMENSIONI ORIZZONTALI it = 48 M = i = 8 (6 M) mM = 6 M = 1 (6 M) p2 = 6 M/4 = 2 M/4 + 4 M/4
PIANO LIMITE SUPERIORE COINCIDENTE COL PIANO DI COORDINAZIONE SUPERIORE DELL'IMPALCATO FINITO
Hrs. = ALTEZZA INTERNA DI COORDINAZIONE AL RUSTICO
Hir. = ALTEZZA INTERNA DI COORDINAZIONE AL FINITO
NELL'ESEMPIO PROPOSTO
Hs. = ALTEZZA ESTERNA DI COORDINAZIONE AL RUSTICO
PIANO DI COORDINAZIONE MOD. INFERIORE DELL'IMPALCATO FINITO
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
i = DIMENSIONE DI COORDINAZIONE DELL'INTERZONA
s
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA h.
PIANI DI COORDINAZIONE ORIZZONTALI
ZONA MODULARE DELL'IMPALCATO FINITO MASSIMO p2
p1
p1
n = 45 M
6 M.
n M.
COORDINAMENTO DELLE DIMENSIONI ORIZZONTALI
PIANO ASSIALE VERTICALE Y
PIANO ASSIALE VERTICALE X
PIANO ASSIALE VERTICALE X
3 M.
6 M.
PIANI DI COORD. VERTICALE PIANO ASSIALE VERTICALE Y
3M
6M
6M
6M
6M it = i = 48 M
6M
6M
NE 2. A.2. ALIZZAZIO NORMIA EDILIZ
A 67
A.2. 2.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE NORMALIZZAZIONE EDILIZIA
•
ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO
➦ COORDINAZIONE MODULARE FIG. A.2.2./5 COORDINAZIONE MODULARE – PARAMENTO COORDINATO CON LA STRUTTURA
DIMENSIONE DI FINITURA DELL'ANGOLO
n' M = DIMENSIONE MODULARE DELL'ANGOLO
PASSO DELLA STRUTTURA
PARAMENTO MODULARE CONTINUO ZONA VETRATA TRASPARENTE
n.M = COMPONENTE PARAMENTO
SOLUZIONE D'ANGOLO - A ZONA VETRATA TRASPARENTE
n' M = DIMENSIONE MODULARE DELL'ANGOLO
n.M = DIMENSIONE MODULARE X DEL COMPONENTE DEL PARAMENTO
n.M
PASSO DELLA STRUTTURA
SOLUZIONE D'ANGOLO - B ZONA VETRATA E FINITURE D'ANGOLO
NEI CASI RIPORTATI A LATO, LE SERIE MODULARI DEL SISTEMA DI PARAMENTO ESTERNO SONO DIRETTAMENTE COORDINATE CON IL PASSO DELLA STRUTTURA. GLI SCARTI CHE SI DETERMINANO IN CORRISPONDENZA DELL'ANGOLO SONO RISOLTI MEDIANTE L'INSERIMENTO DI COMPONENTI E FINITURE SPECIFICAMENTE DEFINITI, DI DIMENSIONI COMUNQUE APPARTENENTI ALLE SERIE DI COORDINAMENTO MODULARE ADOTTATE. NEL CASO «A» LA SOLUZIONE D'ANGOLO È DENUNZIATA MEDIANTE L'ARRETRAMENTO DEI PEZZI DI FINITURA. NEL CASO «B» I PEZZI DI FINITURA RIPRENDONO LE GIACITURE DEI PIANI DEL SISTEMA DI PARAMENTO.
n' M = DIMENSIONE MODULARE DELL'ANGOLO.
n.M = COMPONENTE PARAMENTO.
N. (n.M ) = PASSO DELLA STRUTTURA
n' M = DIMENSIONE MODULARE DELL'ANGOLO.
n.M = DIMENSIONE MODULARE X DEL COMPONENTE DEL PARAMENTO N. (n.M ) = PASSO DELLA STRUTTURA
A 68
n.M
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE
•
ORGANIZZAZIONE DEL PROGETTO NORMALIZZAZIONE EDILIZIA
A.2. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. A.2.2./6 COORDINAZIONE MODULARE – PARAMENTO INDIPENDENTE DAL PASSO DELLA STRUTTURA
PASSO DELLA STRUTTURA SCARTO.
n.M = DIMENSIONE MODULARE DEL COMPONENTE DEL PARAMENTO
SOLUZIONE D'ANGOLO ZONA OPACA IN CORRISPONDENZA DEL PARAPETTO
B.ATTERISTICLHI EDELLE
PARAMENTO MODULARE CONTINUO ZONA OPACA E ZONA TRASPARENTE
CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF DIVISORIO INTERNO
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P n.M = DIMENSIONE MODULARE X DEL COMPONENTE DEL PARAMENTO SCARTO
n.M
PASSO DELLA STRUTTURA
n.M =
SERIE MOD ULAR E DE L PA RAM ENTO
SOLUZIONE DI ANGOLO OTTUSO ZONA VETRATA TRASPARENTE
n.M = SERIE MODULARE DEL PARAMENTO
NEL CASO DI SOLUZIONI PROGETTUALI CHE ADOTTANO UN PARAMENTO ESTERNO MODULARE E CONTINUO IN MATERIALI SIA OPACHI CHE TRASPARENTI, IN CORRISPONDENZA DELLE SOLUZIONI D'ANGOLO POSSONO DARSI VINCOLI COSTRUTTIVI CHE NON CONSENTONO IL COORDINAMENTO DIRETTO DELLE SERIE MODULARI DEL PARAMENTO CON IL PASSO DELLE STRUTTURE. IL COORDINAMENTO MODULARE ORIZZONTALE DEI SISTEMI DEL PARAMENTO ESTERNO PUO' ADOTTARE IN TALI CASI VALORI SERIALI INDIPENDENTI RISPETTO AL PASSO DELLA STRUTTURA, LIMITATAMENTE ALLE ZONE O PARTI INTERESSATE O PER L'INTERA L'ESTENSIONE DEL PARAMENTO STESSO.
NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
NEI PARTICOLARI PRESENTATI, LE SOLUZIONI PROPOSTE SONO DEL TIPO DI QUELLE UTILIZZATE PER LA RISTRUTTURAZIONE DEL GRATTACIELO «SHELL» A FRANCOFORTE SUL MENO (GERMANIA), NEL QUALE IL TAMPONAMENTO ESTERNO E' STATO INTEGRALMENTE SOSTITUITO CON UN PARAMENTO VETRATO MODULARE CONTINUO (SISTEMIA «SCHÜCO»). LO SCARTO DIMENSIONALE TRA SERIE MODULARE DEL PARAMENTO E PASSO DELLA STRUTTURA È STATO RIASSORBITO MEDIANTE L'UTILIZZAZIONE DI PANNELLI TERMINALI DI DIMENSIONI ORIZZONTALI MINORI
NE 2. A.2. ALIZZAZIO NORMIA EDILIZ
A 69
A.3. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE La tutela dell’ambiente si è imposta negli ultimi anni come istanza primaria ed essenziale in riferimento ai settori dell’attività umana che hanno rivelato maggiore “impatto ambientale”, ma ha finito per affermarsi anche come opzione generale – “esigenza” – da considerare e verificare in qualsiasi tipo di intervento, integrando e modificando profondamente la prassi progettuale. Il rischio ambientale, avvertito da tempo dalla comunità scientifica internazionale e drammaticamente concretizzato dal verificarsi di gravi catastrofi ecologiche (Amoco, Seveso, Bhopal, Cernobyl, Karin B, ecc.), si è infine imposto all’attenzione dei governi dando luogo alla emanazione di apparati legislativi che traducono le acquisizioni scientifiche in strumenti normativi di prevenzione e di controllo dei fenomeni indotti nell’ambiente dalle attività umane, e dall’attività edilizia per quanto qui direttamente si tratta. La Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) costituisce il più importante e diffuso tra gli strumenti tecnico-normativi messi a punto e regolamentati in vista dell’esigenza di salvaguardare gli ambiti di compatibilità delle trasformazioni ambientali, mediante un duplice ordine di operatività: • consentire la valutazione preventiva delle ricadute ambientali degli interventi; • predisporre strategie di limitazione degli eventuali danni e/o interventi compensativi del danno stesso. La “valutazione di impatto ambientale (VIA)” viene introdotta per la prima volta negli USA con il National Environment Policy Act del 1 gennaio 1970 che istituisce il Council on Environment Quality e dichiara come obiettivo prioritario “incoraggiare un
rapporto fecondo e felice tra l’uomo e il suo ambiente; promuovere ogni sforzo per prevenire o eliminare i danni per l’ambiente e per la biosfera e stimolare la salute e il benessere dell’uomo; arricchire le conoscenze ecologiche e sulle risorse naturali essenziali...”. Accanto alla proclamazione di obiettivi e valori generali, l’Atto definisce alcuni interessanti aspetti procedurali di ordine amministrativo come: • adottare un approccio sistematico e interdisciplinare al fine di assicurare l’uso integrato delle scienze sociali e naturali e delle tecniche progettuali nella pianificazione e nei processi decisionali in grado di influenzare l’ambiente umano; • definire e sviluppare metodi e procedure... che possano garantire che i valori e le bellezze ambientali presenti e non quantificabili, siano adeguatamente considerati nell’ambito dei processi decisionali unitamente agli aspetti tecnici ed economici; • inserire in ogni raccomandazione o relazione sulle proposte di legge e negli atti federali rilevanti che incidano significativamente sulla qualità ambientale, una relazione dettagliata redatta dal funzionario responsabile contenente: - l’impatto sull’ambiente dell’azione proposta; - qualsiasi effetto negativo sull’ambiente che non può essere evitato nell’attuazione della proposta; - le alternativa all’azione proposta; - il rapporto tra l’utilizzazione locale a breve termine e la preservazione e miglioramento della produttività a medio termine e qualsiasi utilizzazione di risorse irreversibile e irreparabile che sia dall’attuazione dell’azione proposta.
IN EUROPA In Europa, con la Direttiva del Consiglio CEE del 27 giugno 1985, n.337 (85/337/CEE) “Valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati”, si definiscono con chiarezza le competenze legislative e attuative, gli ambiti di applicazione, le forme di pubblicità e gli adempimenti essenziali connessi alla V.I.A. Gli Stati membri della CEE sono obbligati ad adeguare i rispettivi ordinamenti alle disposizioni della Direttiva: “Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché, prima del rilascio dell’autorizzazione, i progetti per i quali si prevede un impatto ambientale importante, segnatamente per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, formino oggetto di una valutazione del loro impatto” (art.2, c.1). Vengono elencati i “fattori” rispetto ai quali la VIA deve valutare gli effetti diretti e indiretti di un progetto: • • • •
l’uomo, la fauna e la flora; il suolo, l’acqua, l’aria, il clima e il paesaggio; l’interazione tra i fattori di cui al primo e secondo trattino; i beni materiali e il patrimonio culturale.
Viene sancito l’obbligo di pubblicità degli atti connessi all’espletamento della VIA: “Gli Stati membri vigilano affinché: • qualsiasi domanda di autorizzazione nonché le informazioni raccolte ai sensi dell’art.5 siano messe a disposizione del pubblico; • al pubblico interessato sia data la possibilità di esprimere il parere prima dell’avvio del progetto”. Al testo della Direttiva vengono infine integrati tre “Allegati”: • Allegato I: “Progetti di cui all’art.4, paragrafo 1” (sottoposti obbligatoriamente alla VIA); • Allegato II: “Progetti di cui all’art.4, paragrafo 2” (da sottoporre alla VIA quando gli Stati membri lo ritengano opportuno); • Allegato III: “Informazioni di cui all’art.5, paragrafo 1” (informazioni che il Committente deve fornire in merito alle caratteristiche dell’intervento).
IN ITALIA In Italia, il disposto della Direttiva 85/377/CEE viene accolto e attuato con tre atti legislativi successivi: • Legge 8 luglio 1986, n.349 “Istituzione del Ministero dell’Ambiente e norme in materia di danno ambientale”; • DPCM 10 agosto 1988, n.377 “Regolamentazione delle pronuncie di compatibilità ambientale...”; • DPCM 27 dicembre 1988 “Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità ...”. A questi ordinamenti quadro va integrata una vasta, articolata ma – per il momento – disorganica legislazione emanata precedentemente alla Direttiva 85/337/CEE e rivolta a regolare diversi aspetti e fenomeni particolari in materia di tutela delle acque, difesa del mare, inquinamenti dell’aria negli ambienti esterni, emissioni nell’atmosfera da impianti termoelettrici a vapore, ecc. (v. Tab. A.4.1./1). Meritano un richiamo particolare tre leggi fondamentali in materia di tutela del patrimonio culturale, artistico, storico e paesaggistico, in quanto strettamente connesse alla valutazione degli effetti degli interventi in riferimento ai fattori “paesaggio” e “beni materiali e patrimonio culturale”. Tali sono: • Legge 1 giugno 1939, n.1089 “Tutela delle cose di interesse artistico o storico”; • Legge 29 giugno 1939, n.1497 “Norme sulla protezione delle bellezze naturali”;
A 70
• Legge 8 agosto 1985, n.431 [detta: legge Galasso] “Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale. Integrazione dell’art.82 del DPR 24 luglio 1977, n.616”. L’emanazione della legge 109/1994, aggiornata dalla legge 216/1995 opera recentemente una importante estensione degli ambiti di tutela dell’ambiente e del paesaggio, includendo valutazioni operate “anche con riferimento ai profili ambientali” tra gli adempimenti del “progetto preliminare”, nel quadro delle esigenze da soddisfare e della esplicitazione dei criteri di scelta adottati tra le diverse soluzioni possibili (art.16, c.3). Il Regolamento di attuazione della stessa legge 109/1994 (Bozza del 14 giugno 1996), precisa tale indirizzo di salvaguardia ambientale e paesaggistica, prevedendo tra le “Disposizioni preliminari” (Titolo III, Capo II, Sezione prima, art.16, c.8): “Gli elaborati progettuali devono prevedere misure atte a evitare effetti negativi sull’ambiente, sul paesaggio e sul patrimonio di interesse storico e artistico, in relazione all’attività di cantiere e a tal fine comprendono: a) uno studio della viabilità di accesso ai cantieri per limitarne l’interferenza con il traffico locale e il pericolo per le persone e l’ambiente; b) l’indicazione degli accorgimenti atti a evitare inquinamenti del suolo, acustici, idrici e atmosferici; c) l’indicazione degli accorgimenti atti a eliminare pericoli di alterazione del regime idrologico superficiale e sotterraneo; d) la localizzazione di cave eventualmente necessarie con la valutazione sia del tipo e quantità di materiale da prelevare, sia delle esigenze di eventuale ripristino ambientale finale;
e) uno studio dei movimenti di terra esteso a tutte le aree, anche contermini, comunque investite dall’intervento; f) la quantificazione dei materiali da riutilizzare o da portare a rifiuto e le prescrizioni di trasporto alle discariche autorizzate; g) lo studio e la copertura finanziaria delle opere di sistemazione esterna e delle opere di ripristino e compensazione per la eliminazione di eventuali danni all’ambiente e al paesaggio derivati dall’attuazione dell’intervento; h) lo studio e la copertura finanziaria per la realizzazione degli interventi di conservazione, protezione e restauro volti alla tutela e salvaguardia del patrimonio di interesse artistico e storico”. Nella successiva Sezione seconda dello stesso Regolamento, dedicata al “Progetto preliminare”, tra i “documenti componenti il progetto”, viene prescritto (Titolo III, Capo II, Sezione seconda, art.22, c.1): “Il “progetto preliminare”, così come definito dall’art.16, c.3, della legge [109/1994 – 216/1995], è composto dai seguenti elaborati: a) b) c) d)
relazione generale; studio di inserimento ambientale e paesaggistico; planimetria generale e schemi grafici; calcolo sommario della spesa.”
I contenuti dello Studio di inserimento ambientale e paesaggistico sono specificati come segue (Titolo III, Capo II, Sezione seconda, art.24): “Per le opere non soggette alla specifica disciplina della valutazione di impatto ambientale, lo studio di inserimento ambientale e paesaggistico in relazione alla natura e all’entità dei lavori comprende, secondo le indicazioni del responsabile del procedimento:
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE
A.3. 1. A.ZIONI
a) una verifica, anche in relazione all’acquisizione dei necessari pareri amministrativi, di compatibilità con le prescrizioni di eventuali piani paesaggistici, territoriali e urbanistici sia a carattere generale che settoriale; b) uno studio sui prevedibili effetti della realizzazione dei lavori e dell’esercizio dell’opera sulle componenti ambientali e sulla salute umana; c) una relazione esplicativa della scelta del sito e delle possibili alternative di localizzazione; d) le misure di compensazione ambientale e gli eventuali interventi di ripristino e riqualificazione ambientale e paesaggistica, con la stima dei relativi costi da inserire nei piani finanziari dei lavori;
e) le norme di tutela ambientale che si applicano all’intervento e gli eventuali limiti posti dalla normativa di settore per l’esercizio di impianti, nonché i criteri tecnici che si intendono adottare per assicurarne il rispetto.” Con l’emanazione del DPCM 27 dicembre 1988 e con la generalizzazione degli studi di inserimento ambientale operati dalla legge 109/1994 e dalla bozza di Regolamento del 14 giugno 1996 (in attesa di approvazione), l’Italia ha finalmente adeguato il proprio quadro normativo in materia di tutela ambientale e paesaggistica al livello dei più attenti e sensibili partners europei.
Permangono tuttavia evidenti incertezze metodologiche e carenze di strumentazioni analitico-progettuali per quanto attiene all’importante fattore/componente ambientale “paesaggio”; si tratta comunque di incertezze e carenze riscontrabili anche negli altri ordinamenti disciplinari e normativi europei. Il sottocapitolo A.4.2. indica norme e procedure in qualche modo consolidate allo stato attuale. Successivi aggiornamenti del Manuale si rivolgeranno specificamente a una attenta ricognizione di quanto si sta ricercando e quanto si può già proporre in tema di metodologie e strumentazioni di analisi e di progettazione paesaggistica.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
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D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
TAB. A.3.1./1 QUADRO LEGISLATIVO IN TEMA DI TUTELA DELL’AMBIENTE E DEL PAESAGGIO LEGISLAZIONE DI RILEVANTE INTERESSE AMBIENTALE GENERALE
E.NTROLLO
LEGGE 13 LUGLIO 1966, n.615 Provvedimenti contro l’inquinamento atmosferico
LEGGE 3 MARZO 1987, n.59 Disposizioni transitorie e urgenti per il funzionamento del Ministero dell’ambiente
LEGGE 10 MAGGIO 1976, n.319 Norme per la tutela delle acque dall’inquinamento
DECRETO DEL MINISTERO DELL’AMBIENTE, 10 MARZO 1987, n.105 Limiti alle emissioni nell’atmosfera da impianti termoelettrici a vapore
DPR 24 LUGLIO 1977, n.616 Attuazione della delega di cui all’art.1 della legge 22 luglio 1975, n.382
DPR, 19 GIUGNO 1987, n.306 Regolamento per l’organizzazione del Ministero dell’ambiente
LEGGE 24 DICEMBRE 1979, n.650 Integrazioni e modifiche delle legge 16 aprile 1973, n.171 e 10 maggio 1976, n.319, in materia di tutela delle acque dall’inquinamento
DECRETO DEL MINISTERO DELL’AMBIENTE, 28 DICEMBRE 1987, n.559 Criteri per l’elaborazione e la predisposizione dei piani regionali di cui all’art.1-ter del DL 31 agosto 1987, n.361, convertito, con modificazioni, nella legge 29 ottobre 1987, n.441 per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani
LEGGE 31 DICEMBRE 1982, n.979 Disposizioni per la difesa del mare
LEGGE 11 MARZO 1988, n.67 Art.18 [interventi urgenti per la salvaguardia ambientale]
DPCM 28 MARZO 1983 Limiti massimi di accettabilità delle concentrazioni e di esposizione relativi a inquinanti dell’aria nell’ambiente esterno
DPR, 24 MAGGIO 1988, n.203 Norma provvisoria in materia di autorizzazione per la costruzione e l’esercizio di impianti
DIRETTIVA CEE DEL 27 GIUGNO 1985, n.85/337 (CEE) Valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati
DPCM 10 AGOSTO 1988, n.377 Regolamentazione delle pronunce di compatibilità ambientale di cui all’art.6 della legge 8 luglio 1986, n.349, recante istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale
LEGGE 8 LUGLIO 1986, n.349 Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale DM 20 FEBBRAIO 1987 Individuazione delle associazioni di protezione ambientale ai sensi dell’art.13 della legge 8 luglio 1986, n.349
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
DPCM 27 DICEMBRE 1988 Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità di cui all’art.6 della legge 8 luglio 1986, n.349, adottate ai sensi dell’art.3 del DPCM 10 agosto 1988, n.377
G.ANISTICA URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
LEGISLAZIONE DI PREVALENTE INTERESSE PAESAGGISTICO-AMBIENTALE LEGGE 1° GIUGNO 1939, n.1089 Tutela delle cose d’interesse artistico o storico
LEGGE 8 AGOSTO 1985, n.431 [LEGGE GALASSO] Tutela delle zone di particolare interesse ambientale
LEGGE 29 GIUGNO 1939, n.1497 Norma sulla protezione delle bellezze naturali
LEGGE 1994, n.97 Nuove disposizioni per le zone montane
VALUTAZIONE DELL’IMPATTO AMBIENTALE DI DETERMINATI PROGETTI PUBBLICI E PRIVATI DIRETTIVA CEE 27 GIUGNO 1985 – n.85/337 Art.1. 1. La presente direttiva si applica alla valutazione dell’impatto ambientale dei progetti pubblici e privati che possono avere un impatto ambientale importante. 2. Ai sensi della presente direttiva si intende per: Progetto: • la realizzazione di lavori di costruzione o di altri impianti od opere; • altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo; Committente: il richiedente dell’autorizzazione relativa a un progetto privato o la pubblica autorità che prende l’iniziativa relativa a un progetto;
Autorizzazione: decisione dell’autorità competente, o delle autorità competenti, che conferisce al committente il diritto di realizzare il progetto stesso 3. L’autorità o le autorità competenti sono quelle che gli Stati membri designano per assolvere i compiti derivanti dalla presente direttiva. 4. La presente direttiva non riguarda i progetti destinati a scopi di difesa nazionale. 5. La presente direttiva non si applica ai progetti adottati mediante un atto legislativo nazionale specifico, inteso che gli obiettivi perseguiti dalla presente direttiva, incluso l’obiettivo della disponibilità delle informazioni, vengono raggiunti tramite la procedura legislativa.
Art.2. 1. Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché, prima del rilascio dell’autorizzazione, i progetti per i quali si prevede un impatto ambientale importante, segnatamente per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, formino oggetto di una valutazione del loro impatto. Detti progetti sono definiti nell’art.4. 2. La valutazione dell’impatto ambientale può essere integrata nelle procedure esistenti di autorizzazione dei progetti negli Stati membri ovvero, in mancanza di queste, in altre procedure o nelle procedure da stabilire per raggiungere gli obiettivi della presente direttiva. 3. Gli stati membri, in casi eccezionali, possono esentare in tutto o in parte un progetto specifico dalle disposizioni della presente direttiva. In questi casi gli Stati membri:
➥
DI TEMA 1. A.3. ATIVE IN TALE N M IE R B O M N TTO A IMPA
A 71
A.3. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE ➦ VALUTAZIONE DELL’IMPATTO AMBIENTALE DI DETERMINATI PROGETTI PUBBLICI E PRIVATI ➦ DIRETTIVA CEE 27 GIUGNO 1985 – n.85/337 a) esaminano se sia opportuna un’altra forma di valutazione e se si debbano mettere a disposizione del pubblico le informazioni così raccolte; b) mettono a disposizione del pubblico interessato le informazioni relative a tale esenzione e le ragioni per cui è stata concessa; c) informano la Commissione, prima del rilascio dell’autorizzazione, dei motivi che giustificano l’esenzione accordata e le forniscono le informazioni che mettono eventualmente a disposizione dei propri cittadini. La Commissione riferisce immediatamente i documenti ricevuti all’applicazione del presente paragrafo. Art.3. 1. La valutazione dell’impatto ambientale individua, descrive e valuta, in modo appropriato, per ciascun caso particolare e conformemente agli artt. da 4 a 11, gli effetti diretti e indiretti di un progetto sui seguenti fattori: • l’uomo, la fauna e la flora; • il suolo, l’acqua, l’aria, l clima e il paesaggio; • l’interazione tra i fattori di cui al primo e secondo trattino • i beni materiali e il patrimonio culturale. Art.4. 1. Fatto salvo l’art.2, paragrafo 3, i progetti appartenenti alle classi elencate nell’allegato I formano oggetto di valutazione ai sensi degli artt. da 5 a 10. 2. I progetti appartenenti alle classi elencate nell’allegato II formano oggetto di una valutazione ai sensi degli artt. da 5 a 10 quando gli Stati ritengono che le loro caratteristiche lo richiedano. A tal fine, gli Stati membri possono, tra l’altro, specificare alcuni tipi di progetti da sottoporre a una valutazione d’impatto o fissare criteri e/o soglie limite per determinare quali dei progetti appartenenti alle classi elencate nell’allegato II debbano formare oggetto di una valutazione ai sensi degli artt. da 5 a 10. Art.5. 1. Nel caso dei progetti che, a norma dell’art.4, devono formare oggetto di una valutazione dell’impatto ambientale ai sensi degli artt. da 5 a 10, gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che il committente fornisca, nella forma opportuna, le informazioni specificate nell’allegato III, qualora: a) gli Stati membri ritengano che le informazioni siano appropriate a una determinata fase della procedura di autorizzazione e alle caratteristiche peculiari di un progetto specifico o di un tipo di progetto e dei fattori ambientali che possono subire un pregiudizio; b) gli Stati membri ritengano che si possa ragionevolmente esigere che un committente raccolga i dati, tenendo conto fra l’altro delle conoscenze e dei metodi di valutazione disponibili. 2. Le informazioni che il committente deve fornire conformemente al paragrafo 1 comportano almeno: • una descrizione del progetto con informazioni relative alla sua ubicazione, progettazione e dimensioni; • una descrizione delle misure previste per evitare, ridurre e possibilmente compensare rilevanti effetti negativi; • i dati necessari per individuare e valutare i principali effetti che il progetto può avere sull’ambiente; • una sintesi non tecnica delle informazioni di cui al primo, secondo e terzo trattino.
Art.6. 1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché le autorità che possono essere interessate al progetto per la loro specifica responsabilità in materia di ambiente abbiano la possibilità di esprimere il loro parere sulla domanda di autorizzazione. Gli Stati membri designano a tal fine le autorità da consultare, in generale o caso per caso, all’atto della presentazione delle domande di autorizzazione. Queste autorità ricevono le informazioni raccolte ai sensi dell’art.5. Le modalità della consultazione sono fissate dagli stati membri. 2. Gli Stati membri vigilano affinché: • qualsiasi domanda di autorizzazione nonché le informazioni raccolte ai sensi dell’art.5 siano messe a disposizione del pubblico; • al pubblico interessato sia data la possibilità di esprimere il parere prima dell’avvio del progetto. 3. Le modalità di informazione e consultazione sono definite dagli Stati membri i quali, secondo le caratteristiche particolari dei progetti o dei siti interessati, hanno tra l’altro la facoltà di: • individuare il pubblico interessato; • precisare i luoghi in cui le informazioni possono essere consultate; • specificare la maniera in cui il pubblico può essere informato, ad esempio mediante affissione nell’ambito di una determinata zona, pubblicazione nei giornali locali, organizzazione di esposizioni con piani, disegni, tabelle, grafici, plastici; • determinare in che modo debba avvenire la consultazione del pubblico, ad esempio per iscritto e per indagine pubblica; • fissare dei periodi appropriati per le diverse fasi della procedura per garantire che venga presa una decisione entro termini ragionevoli. Art.7. 1. Qualora uno Stato membro constati che un progetto può avere un impatto importante sull’ambiente di un altro stato membro, o qualora uno Stato membro che potrebbe essere considerevolmente danneggiato ne faccia richiesta, lo Stato membro nel cui territorio si intende realizzare il progetto trasmette le informazioni raccolte ai sensi dell’art.5 all’altro stato membro e contemporaneamente le mette a disposizione dei propri cittadini. Dette informazioni costituiscono la base per qualsiasi consultazione che si renda necessaria nell’ambito delle relazioni bilaterali tra due Stati membri su un piano di reciprocità e di parità.
strative nazionali e dalle prassi giuridiche esistenti in materia di segreto industriale e commerciale, nonché in materia di tutela dell’interesse pubblico. In caso di applicazione dell’art.7 l’inoltro di informazioni a un altro Stato membro sono soggetti alle restrizioni vigenti nello Stato membro in cui il progetto è proposto. Art.11. 1. Gli Stati membri e la Commissione scambiano informazioni sull’esperienza acquisita nell’applicazione della presente direttiva. 2. In particolare, gli Stati membri informano la Commissione dei criteri e/o delle soglie limite eventualmente fissati per la selezione dei progetti in questione, conformemente all’art.4, paragrafo 2, o dei tipi di progetti interessati che sono oggetto di una valutazione ai sensi degli artt. da 5 a 10 in applicazione dell’art.4, paragrafo 2. 3. Cinque anni dopo la notifica della presente direttiva, la commissione invia al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione riguardante l’applicazione e l’efficacia della direttiva. La relazione è basata sul suddetto scambio di informazioni. 4. Sulla base di questo scambio di informazioni la Commissione presenta al consiglio ulteriori proposte, se necessario, per una applicazione sufficientemente coordinata della presente direttiva. Art.12. 1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro un termine di tre anni a decorrere dalla notifica. 2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva. Art.13. 1. Le disposizioni della presente direttiva non pregiudicano la facoltà degli Stati membri di fissare norme più severe per quanto concerne il campo di applicazione e la procedura di valutazione dell’impatto ambientale. Art.14. Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva. ALLEGATO I
Art.8. Progetti di cui all’art.4, paragrafo 1 Le informazioni raccolte in conformità degli artt. 5, 6 e 7 devono essere prese in considerazione nel quadro della procedura di autorizzazione. Art.9.
1. Raffinerie di petrolio greggio (escluse le imprese che producono soltanto lubrificanti dal petrolio greggio) nonché impianti di gassificazione e di liquefazione di almeno 500 t al giorno di carbone o di scisti bituminosi.
In caso di decisione, la o le autorità competenti mettono a disposizione del pubblico interessato: • il tenore della decisione e le condizioni che eventualmente l’accompagnano; • i motivi e le considerazioni su cui la decisione si fonda, ove ciò sia previsto dalla legislazione degli Stati membri.
2. Centrali termiche e altri impianti di combustione con potenza termica di almeno 300 MW, nonché centrali nucleari e altri reattori nucleari (esclusi gli impianti di ricerca per la produzione e la lavorazione delle materie fissili e fertili, la cui potenza massima non supera 1 MW di durata permanente termica).
Le modalità di informazione sono state definite dagli Stati membri. Un altro Stato membro che sia stato informato conformemente all’art.7 è informato anche dalla decisione in causa.
3. Impianti destinati esclusivamente allo stoccaggio definitivo o all’alimentazione definitiva dei residui radioattivi. 4. Acciaierie integrate di prima fusione della ghisa e dell’acciaio.
Art.10. 3. Gli Stati membri, qualora lo reputino necessario, provvedano affinché le autorità mettano a disposizione del committente le informazioni appropriate di cui dispongono.
A 72
1. Le disposizioni della presente direttiva fanno salvo l’obbligo delle autorità competenti di rispettare le restrizioni imposte dalle disposizioni regolamentari e ammini-
5. Impianti per l’estrazione di amianto, nonché per il trattamento e la trasformazione dell’amianto e dei prodotti contenenti amianto: per i prodotti di amianto-cemento, una produzione annua di oltre 20.000 t di prodotti
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE
A.3. 1. A.ZIONI
finiti; per le guarnizioni da attrito, una produzione annua di oltre 50 t di prodotti finiti e, per gli altri impieghi dell’amianto, una utilizzazione annua di oltre 200 t. 6. Impianti chimici integrati. 7. Costruzione di autostrade, vie di rapida comunicazione (1), tronchi ferroviari per il traffico a grande distanza, nonché aeroporto (2) con piste di decollo e di atterraggio lunghe almeno 2.100 m. 8. Porti commerciali marittimi, nonché vie navigabili e porti per la navigazione interna accessibili a battelli con stazza superiore a 1.350 t. 9. Impianti di eliminazione dei rifiuti tossici e pericolosi mediante incenerimento, trattamento chimico o stoccaggio a terra. (1) Le “vie di rapida comunicazione” qui richiamate sono quelle così definite dall’accordo europeo sulle grandi strade di traffico internazionale del 15 novembre 1975. (2) Gli “aeroporti” qui richiamati sono quelli definiti dalla convenzione di Chicago del 1944, relativa alla costituzione dell’organizzazione internazionale dell’aeronautica civile.
ALLEGATO II
d) e) f) g)
Stoccaggio di gas combustibili in serbatoi sotterranei Stoccaggio in superficie di combustibili fossili Agglomerazione industriale di carbon fossile e lignite Impianti per la produzione o l’arricchimento di combustibili nucleari h) Impianti per il ritrattamento di combustibili nucleari irradiati i) Impianti per la raccolta e il trattamento di residui radioattivi (se non compresi nell’allegato I) j) Impianti per la produzione di energia idroelettrica 4. Lavorazione dei metalli a) Stabilimenti siderurgici, comprese le fonderie; fucine, trafilerie e laminatori (salvo quelli di cui nell’allegato I) b) Impianti di produzione, compresa la fusione, affinazione, filatura e laminatura di metalli non ferrosi, salvo i metalli preziosi c) Imbutitura, tranciatura di pezzi di notevoli dimensioni d) Trattamento in superficie e rivestimento di metalli e) Costruzione di caldaie, di serbatoi e di altri pezzi in lamiera f) Costruzione e montaggio di autoveicoli e costruzione dei relativi motori g) Cantieri navali h) Impianti per la costruzione e riparazione di aeromobili i) Costruzione di materiale ferroviario j) Imbutitura di fondo con esplosivi k) Impianti di arrostimento e sintetizzazione di minerali metallici
g) Tram, ferrovie sopraelevate e sotterranee, funicolari o simili linee di natura particolare esclusivamente o principalmente adibite al trasporto di passeggeri h) Installazioni di oleodotti e gasdotti i) Installazione di acquedotti a lunga distanza j) Porti turistici 11.Altri progetti a) Villaggi di vacanza, complessi alberghieri b) Piste permanenti per corse e prove d’automobili e motociclette c) Impianti di eliminazione di rifiuti industriali e domestici (se non compresi nell’allegato I) d) Impianti di depurazione e) Depositi di fanghi f) Stoccaggio di rottami di ferro g) Banchi di prova per motori, turbine o reattori h) Fabbricazione di fibre minerali artificiali i) Fabbricazione, condizionamento, carico o messa in cartucce di polveri ed esplosivi j) Stabilimenti di squartamento 12.Modifica dei progetti che figurano nell’allegato I e dei progetti dell’allegato I che hanno esclusivamente o essenzialmente lo scopo di sviluppare e provare nuovi metodi o prodotti e non sono utilizzati per più di un anno. ALLEGATO III
Progetti di cui all’art.4, paragrafo 2
5. Fabbricazione del vetro
Informazioni di cui all’art.5, paragrafo 1
1. Agricoltura a) Progetti di ricomposizione rurale b) Progetti volti a destinare terre incolte o estensioni seminaturali alla coltivazione agricola intensiva c) Progetti di idraulica agricola d) Primi rimboschimenti, qualora rischino di provocare trasformazioni ecologiche negative e dissodamenti destinati a consentire la conversione a un altro tipo di sfruttamento del suolo e) Impianti che possono ospitare volatili da cortile f) Impianti che possono ospitare suini g) Piscicoltura di salmonidi h) Recupero di terre dal mare
6. Industria chimica a) Trattamento di prodotti intermedi e fabbricazione di prodotti chimici (se non compresi nell’allegato I) b) Produzione di antiparassitari e di prodotti farmaceutici, di pitture e vernici, di elastomeri e perossidi c) Impianti di stoccaggio di petrolio, prodotti petrolchimici e chimici
1. Descrizione del progetto, comprese in particolare: • una descrizione delle caratteristiche fisiche dell’insieme del progetto e delle esigenze di utilizzazione del suolo durante le fasi di costruzione e di funzionamento; • una descrizione delle principali caratteristiche dei processi produttivi con l’indicazione per esempio della natura e delle quantità dei materiali impiegati; • una valutazione del tipo e della quantità dei residui e delle emissioni previsti (inquinamento dell’acqua, dell’aria e del suolo, rumore, vibrazione, luce, calore, radiazione, ecc.) risultanti dall’attività del progetto proposto.
2. Industria estrattiva a) Estrazione della torba b) Trivellazioni in profondità escluse quelle intese a studiare la stabilità del suolo e in particolare: - trivellazioni geotermiche - trivellazioni per lo stoccaggio dei residui nucleari - trivellazioni per l’approvvigionamento di acqua c) Estrazione di minerali diversi da quelli metallici e energetici, come marmo, sabbia, ghiaia, scisto, sale, fosfati, potassa d) Estrazione di carbon fossile e di lignite in coltivazioni in sotterraneo e) Estrazione di carbon fossile e di lignite in coltivazioni a cielo aperto f) Estrazione di petrolio g) Estrazione di gas naturale h) Estrazione di minerali metallici i) Estrazione di scisti bituminosi j) Estrazione di minerali non energetici (senza minerali metallici) a cielo aperto k) Impianti di superficie dell’industria di estrazione di carbon fossile, di petrolio ,di gas naturale e di minerali metallici nonché di scisti bituminosi l) Cokerie (distillazione a secco del carbone) m) Impianti destinati alla fabbricazione del cemento 3. Industria energetica a) Impianti industriali per la produzione di energia elettrica vapore e acqua calda (se non compresi nell’allegato I) b) Impianti industriali per il trasporto di gas, vapore e acqua calda; trasporto di energia elettrica mediante linee aeree c) Stoccaggio in superficie di gas naturale
7. Industria dei prodotti alimentari a) Fabbricazione di grassi vegetali e animali b) Fabbricazione di conserve di prodotti animali e vegetali c) Fabbricazione di prodotti lattiero-caseari d) Industria della birra e del malto e) Fabbricazione di dolciumi e sciroppi f) Impianti per la macellazione di animali g) Industrie per la produzione della fecola h) Stabilimenti per la produzione di farina di pesce e olio di pesce i) Zuccherifici 8. Industria dei tessili, del cuoio, del legno, della carta a) Officine di lavaggio, sgrassaggio e imbianchimento della lana b) Fabbricazione di pannelli di fibre, pannelli di particelle e compensati c) Fabbricazione di pasta per carta, carta e cartone d) Stabilimenti per la tintura di fibre e) Impianti per la produzione e la lavorazione della cellulosa f) Stabilimenti per la concia e l’allumatura 9. Industria della gomma Fabbricazione e trattamento di prodotti a base di elastomeri 10.Progetti di infrastrutture a) Lavori per l’attrezzatura di zone industriali b) Lavori di sistemazione urbana c) Impianti meccanici di risalita e teleferiche d) Costruzione di strade, porti, compresi i porti di pesca, e aeroporti (progetti non contemplati nell’allegato I) e) Opere di canalizzazione e regolazione di corsi d’acqua f) Dighe e altri impianti destinati a trattenere le acque o ad accumularle in modo durevole
2. Eventualmente una descrizione sommaria delle principali alternative prese in esame dal committente, con indicazione delle principali ragioni della scelta, sotto il profilo dell’impatto ambientale.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
3. Una descrizione delle componenti dell’ambiente potenzialmente soggette a un impatto importante del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, alla fauna e alla flora, al suolo, all’acqua, all’aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio, architettonico e archeologico, al paesaggio e all’interazione tra questi vari fattori. 4. Una descrizione dei probabili effetti rilevanti del progetto proposto sull’ambiente: • dovuti all’esistenza del progetto • dovuti all’emissione di inquinanti, alla creazione di sostanze nocive e allo smaltimento dei rifiuti e la menzione da parte del committente dei metodi di previsione utilizzati per valutare gli effetti sull’ambiente. 5. Una descrizione delle misure previste per evitare, ridurre e se possibile compensare rilevanti effetti negativi del progetto sull’ambiente. 6. Un riassunto non tecnico delle informazioni trasmesse sulla base dei punti precedenti. 7. Un sommario delle eventuali difficoltà (lacune tecniche o mancanza di conoscenze) incontrate dal committente nella raccolta dei dati richiesti.
DI TEMA 1. A.3. ATIVE IN TALE N M IE R B O M N TTO A IMPA
A 73
A.3. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE ➦ VALUTAZIONE DELL’IMPATTO AMBIENTALE DI DETERMINATI PROGETTI PUBBLICI E PRIVATI TAB. A.3.1./2 VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE [VIA] – CAMPO DI APPLICAZIONE – CRITERI DI ATTUAZIONE – ATTORI INTERESSATI CAMPO DI APPLICAZIONE DELLA VIA
ATTORI INTERESSATI
Il campo di applicazione della VIA è molto esteso e può comprendere uno o più dei seguenti oggetti: • atti normativi (proposte di legge, direttive, regolamenti ...); • pianificazione territoriale, piani di urbanizzazione ...; • grandi progetti di investimento pubblici e/o privati; • nuovi prodotti e tecnologie.
Le parti direttamente interessate alla procedura di VIA sono:
Per quanto riguarda le opere, la direttiva 85/377/CEE ne opera una classificazione in tre gruppi a seconda del grado di importanza, richiedendo per i casi più importanti una procedura VIA obbligatoria «completa» e dettagliata, lasciando agli Stati membri la facoltà di discriminare su progetti di minore importanza eventualmente sottoponibili a una procedura «semplificata». Un primo gruppo di opere a elevato rischio, identificato in base a criterio tipologico, specifico, è soggetto all’obbligo di VIA completa, indipendentemente dalle dimensioni dell’opera e dalla sua localizzazione [v. 85/377/CEE, Allegato I, riportato in A.4.1.1.]. Un secondo gruppo a rischio relativo, identificato in base al criterio delle dimensioni dell’opera e dalla dimensione (fisica o finanziaria) degli effetti, può essere obbligato a una VIA completa o semplificata in relazione alle caratteristiche del sito di insediamento [v. 85/377/CEE Allegato II, riportato in A.4.1.1.]. Un terzo gruppo di opere a impatto debole in assoluto ma che devono essere considerate se incidenti in siti particolari (criterio della vulnerabilità del sito) in quanto localizzate o adiacenti a zone protette, parchi naturali, località particolarmente vulnerabili a causa dell’elevato valore naturalistico, culturale, turistico, strategico, ecc.
Il committente, è il richiedente dell’autorizzazione relativa a un progetto privato o la pubblica autorità che prende l’iniziativa relativa a un progetto; motiva la richiesta tramite la redazione di uno «Studio di Impatto Ambientale» (SIA) elaborato da propr i tecnici e consulenti. La pubblica amministrazione, è l’autorità competente che conferisce al committente il diritto di realizzare il progetto stesso. È preposta a verificare la congruità del progetto con la legislazione vigente e i vincoli territoriali in atto, nonché a valutare lo SIA presentato dal proponente per: • dichiarare se è completo e sufficientemente approfondito; • proporre modifiche al progetto; • eventualmente produce essa stessa un «Rapporto di Impatto Ambientale» (RIA). La pubblica amministrazione scandisce il calendario della procedura amministrativa e garantisce la pubblicità degli atti e le informazioni. Il pubblico interessato è chiamato a partecipare in diversi modi e in diverse sedi, direttamente o mediante rappresentanze – di partiti, associazioni, loro delegati o consulenti – alla formazione della decisione di respingere, approvare o chiedere modifiche del progetto di intervento. I modi della partecipazione pubblica devono essere stabiliti preventivamente e prevedere forme di graduale «allargamento» in relazione all’importanza delle opere. Oltre ai consigli comunali e zonali si possono prevedere assemblee pubbliche, conferenze riunioni di delegati e commissioni paritetiche di studio. La forma di pubblicazione può variare dalla semplice esposizione agli albi alla massima diffusione attraverso mass media.
ISTITUZIONE DEL MINISTERO DELL’AMBIENTE E NORME IN MATERIA DI DANNO AMBIENTALE Circa un anno dopo l’emanazione della Direttiva 85/337/CEE, in Italia, con la legge 8 luglio 1986, n.349 viene istituito il Ministero dell’Ambiente. Con l’occasione si provvede a emanare alcune “norme in materia di danno ambientale” che costituiscono un primo atto di adeguamento alla disciplina ambientale europea. La legge 349/1986 regola sostanzialmente quattro ordini di questioni: • l’istituzione del Ministero dell’Ambiente e i conseguenti trasferimenti e attribuzioni di competenze, nonchè la definizione dei relativi organi di funzionamento (artt. da 1 a 5 e da 8 a 17); • l’impegno a presentare un disegno di legge che attui le direttive comunitarie in materia di impatto ambientale e, in attesa, a prescrivere una comunicazione documentata
ai fini della valutazione di impatto ambientale per le norme tecniche e le opere in grado di produrre rilevanti modificazioni dell’ambiente (art.6); • le procedure per dichiarare le “aree a elevato rischio di crisi ambientale” e per individuare gli obiettivi per gli interventi di risanamento e le direttive per i “piani di disinquinamento” (art.7); • la comminazione di sanzioni o l’obbligo di risarcimento per chi provochi danno all’ambiente, (art.18). In considerazione degli intenti operativi della trattazione, si riportano di seguito integralmente gli artt. 6 e 7, e quei passi degli altri artt. che presentano qualche interessante implicazione progettuale.
LEGGE 8 LUGLIO 1986 – n.349 Art.1. (parte) 1. È istituito il Ministero dell’ambiente. 2. È compito del Ministero assicurare, in un quadro organico, la promozione, la conservazione e il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività e alla qualità della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall’inquinamento.
tà delle concentrazioni e i limiti massimi di esposizione relativi a inquinamenti di natura chimica, fisica e biologica e delle emissioni sonore relativamente all’ambiente esterno e abitativo di cui all’art.4 della legge 23 dicembre 1978, n.833... 19. Il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro per la ricerca scientifica e tecnologica e con i Ministri interessati, predispone i piani nazionali di ricerca in materia ambientale e coordina la partecipazione italiana ai programmi di ricerca ambientale definiti dalla Comunità Europea. Art.5.
Art.2. (parte) 5. Il Ministro dell’ambiente interviene, per il concerto, nella predisposizione dei piani di settore a carattere nazionale che abbiano rilevanza di impatto ambientale.
1. I territori nei quali istituire riserve naturali e parchi di carattere interregionale sono individuati, a norma dell’art.83, c.4, del DPR 24 luglio 1977, n.616, su proposta del Ministro dell’ambiente.
6. Il Ministro dell’ambiente adotta, d’intesa con il Ministro dei lavori pubblici, le iniziative necessarie per assicurare il coordinamento, a ogni livello di pianificazione, delle funzioni di tutela dell’ambiente di cui alla presente legge con gli interventi per la difesa del suolo e per la tutela e utilizzazione delle acque.
2. Sono trasferite al Ministro dell’ambiente le competenze esercitate, ai sensi delle leggi vigenti, dal Ministro dell’agricoltura e foreste in materia di parchi nazionali e di individuazione delle zone di importanza naturalistica nazionale e internazionale promuovendo in esse la costituzione di parchi e riserve naturali.
7. In particolare... sono esercitate di concerto con il Ministro dell’ambiente le funzioni di cui alla lettera a) del c.1, art.81 del DPR 24 luglio 1977, n.616, relativamente alle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale e alla difesa del suolo, nonché le funzioni di cui agli artt. 90 e 91 dello stesso decreto relativamente alla programmazione nazionale delle destinazioni delle risorse idriche.
3. Il Ministro dell’ambiente impartisce agli enti autonomi e agli altri organismi di gestione dei parchi nazionali e delle riserve naturali statali le direttive necessarie al raggiungimento degli obiettivi scientifici, educativi e di protezione naturalistica, verificandone l’osservanza. Propone altresì al Consiglio dei ministri norme generali di indirizzo e coordinamento per la gestione delle aree protette di carattere regionale e locale.
8. Sono adottati di concerto con il Ministro dell’ambiente i provvedimenti di competenza ministeriale relativi al piano generale di difesa del mare e delle coste marine di cui all’art.1, legge 31 dicembre 1982, n.979. 14.Il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro della sanità, propone al Presidente del Consiglio dei Ministri la fissazione dei limiti massimi di accettabili-
A 74
Art.6. 1. Entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge il Governo presenta al Parlamento il disegno di legge relativo all’attuazione delle direttive comunitarie in materia di impatto ambientale.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE
A.3. 1. A.ZIONI
2. In attesa dell’attuazione legislativa delle direttive comunitarie in materia di impatto ambientale, le norme tecniche e le categorie di opere in grado di produrre rilevanti modificazioni dell’ambiente e alle quali si applicano le disposizioni di cui ai successivi c.3, 4 e 5, sono individuate con DPCM, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata su proposta del Ministro dell’ambiente, sentito il Comitato scientifico di cui al successivo art.11, conformemente alla direttiva 85/337/CEE. 3. I progetti delle opere di cui al precedente c.2 sono comunicati, prima della loro approvazione, al Ministro dell’ambiente, al Ministro per i beni culturali e ambientali e alla Regione territorialmente interessata, ai fini della valutazione dell’impatto sull’ambiente. La comunicazione contiene l’indicazione della localizzazione dell’intervento, la specificazione dei rifiuti liquidi e solidi, delle emissioni e immissioni inquinanti nell’atmosfera e delle emissioni sonore prodotte dall’opera, la descrizione dei dispositivi di eliminazione o recupero dei danni all’ambiente e i piani di prevenzione dei danni all’ambiente e di monitoraggio ambientale. L’annuncio dell’avvenuta comunicazione deve essere pubblicato, a cura del committente, sul quotidiano più diffuso nella Regione territorialmente interessata, nonché su un quotidiano a diffusione nazionale. 4. Il Ministro dell’ambiente, sentita la Regione interessata, di concerto con il Ministro per i beni culturali e ambientali, si pronuncia sulla compatibilità ambientale nei successivi novanta giorni, decorsi i quali la procedura di approvazione del progetto riprende il suo corso, salvo proroga deliberata dal Consiglio dei Ministri in casi di particolare rilevanza. Per le opere incidenti su aree sottoposte a vincolo di tutela culturale o paesaggistica, il Ministro dell’ambiente provvede di concerto con il Ministro per i beni culturali e ambientali. 5. Ove il Ministro competente alla realizzazione dell’opera non ritenga di uniformarsi alla valutazione del Ministro dell’ambiente, la questione è rimessa al Consiglio dei Ministri. 6. Qualora, nell’esecuzione delle opere di cui al c.3, il Ministro dell’ambiente ravvisi comportamenti contrastanti con il parere sulla compatibilità ambientale espresso ai sensi del c.4, o comunque tali da compromettere fondamentali esigenze di equi-
librio ecologico e ambientale ordina la sospensione dei lavori e rimette la questione al Consiglio dei Ministri. 9. Qualsiasi cittadino, in conformità delle leggi vigenti, può presentare, in forma scritta, al Ministero dell’ambiente, al Ministero per i beni culturali e ambientali e alla Regione interessata istanze, osservazioni o pareri sull’opera soggetta a valutazione di impatto ambientale, nel termine di trenta giorni dall’annuncio della comunicazione del progetto.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
Art.7.
E ESE ESSIONAL PROF
1. Gli ambiti territoriali e gli eventuali tratti marittimi prospicienti, caratterizzati da gravi alterazioni degli equilibri ecologici nei corpi idrici, nell’atmosfera o nel suolo, sono dichiarati “aree a elevato rischio di crisi ambientale”.
D.GETTAZIONE
2. La dichiarazione di area a elevato rischio di crisi ambientale è deliberata dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente, d’intesa con le Regioni interessate. 3. Con la deliberazione di cui al precedente c.2 sono individuati gli obiettivi per gli interventi di risanamento e le direttive per la formazione di un piano di disinquinamento. Il piano, predisposto d’intesa con le Regioni interessate dal Ministro dell’ambiente, è approvato con DPCM, su deliberazione del Consiglio dei Ministri. 4. Il piano, sulla base della ricognizione delle fonti inquinanti, dispone un programma, anche pluriennale, di misure dirette: a) alla realizzazione e all’impiego di impianti e apparati per eliminare o ridurre l’inquinamento; b) alla vigilanza sui tipi e modi di produzione e sulla utilizzazione dei dispositivi di eliminazione o riduzione dell’inquinamento.
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
6. L’adozione del piano ha effetto di dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza e indifferibilità delle opere in esso previste.
REGOLAMENTO DELLE PRONUNCE DI COMPATIBILITÀ AMBIENTALE
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P
DPCM 10 AGOSTO 1988 – n.377 Regolamentazione delle pronunce di compatibilità ambientale di cui all’art.6 della legge 8 luglio 1986, n.349, recante istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale
NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P
Art.1. CATEGORIE DI OPERE 1. Sono sottoposti alla procedura di valutazione di cui all’art.6 della legge 8 luglio 1986, n.349, i progetti delle opere rientranti nelle seguenti categorie: a) raffinerie di petrolio greggio (escluse le imprese che producono soltanto lubrificanti dal petrolio greggio), nonché impianti di gassificazione e di liquefazione di almeno 500 t al giorno di carbone o di scisti bituminosi; b) centrali termiche e altri impianti di combustione con potenza termica di almeno 300 MW, nonché centrali nucleari e altri reattori nucleari (esclusi gli impianti di ricerca per la produzione e la lavorazione delle materie fissili e fertili, la cui potenza massima non supera 1 MW di durata permanente termica); c) Impianti destinati esclusivamente allo stoccaggio definitivo o all’alimentazione definitiva dei residui radioattivi; d) acciaierie integrate di prima fusione della ghisa e dell’acciaio; e) impianti per l’estrazione di amianto, nonché per il trattamento e la trasformazione dell’amianto e dei prodotti contenenti amianto: per i prodotti di amiantocemento, una produzione annua di oltre 20.000 t di prodotti finiti; per le guarnizioni da attrito, una produzione annua di oltre 50 t di prodotti finiti e, per gli altri impieghi dell’amianto, una utilizzazione annua di oltre 200 t; f) impianti chimici integrati; g) autostrade e vie di rapida comunicazione definiti ai sensi dell’accordo europeo sulle grandi strade di traffico internazionale del 15 novembre 1975; tronchi ferroviari per il traffico a grande distanza, nonché aeroporti con piste di decollo e di atterraggio lunghe almeno 2.100 m; h) porti commerciali marittimi, nonché vie navigabili e porti per la navigazione interna accessibili a battelli con stazza superiore a 1.350 t; i) impianti di eliminazione dei rifiuti tossici e pericolosi mediante incenerimento, trattamento chimico o stoccaggio a terra; l) dighe e altri impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare le acque in modo durevole, di altezza superiore a 10 m e/o capacità superiore a 100.000 mc. 2. La medesima procedura si applica anche agli interventi su opere già esistenti, non rientranti nelle categorie del c.1, qualora da tali interventi derivi un’opera che rientra nelle categorie stesse; si applica altresì agli interventi su opere già esistenti rientranti nelle categorie del c.1 qualora da tali interventi derivi un’opera con caratteristiche sostanzialmente diverse dalla precedente, con esclusione, comunque, dei ripristini e
delle terze corsie autostradali aggiuntive, che siano richieste da esigenze relative alla sicurezza del traffico o al mantenimento del livello di esercizio.
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
3. Il c.2 non si applica a eventuali interventi di risanamento ambientale di centrali termoelettriche esistenti, anche accompagnati da interventi di ripotenziamento, da cui derivi un miglioramento dello stato di qualità dell’ambiente connesso alla riduzione delle emissioni. 4. Per agevolare l’applicazione dei c.2 e 3 il Ministro dell’ambiente convoca apposite riunioni di coordinamento con il Ministero dei beni culturali e ambientali e con le amministrazioni interessate all’esecuzione delle opere di cui al presente art., ai fini di individuare, anticipatamente, sulla base dei programmi delle amministrazioni interessate, i casi di esclusione dalla procedura ai sensi dei citati commi. 5. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle opere destinate alla difesa nazionale. Art.2. NORME TECNICHE SULLA COMUNICAZIONE DEI PROGETTI 1. Si intendono per progetti delle opere di cui all’art.1, i progetti di massima delle opere stesse, prima che i medesimi vengano inoltrati per i pareri, le autorizzazioni, i nulla-osta e gli altri atti previsti dalla normativa vigente e, comunque, prima dell’aggiudicazione dei relativi lavori. In particolare: a) Per progetti delle centrali termoelettriche, si intendono quelli necessari per il provvedimento di cui all’art.5, primo c., della legge 18 dicembre 1973, n.880, così come disciplinato dall’art.17 del DPR 24 maggio 1988, n.203, gli stessi devono essere inoltrati prima del provvedimento del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato; b) per progetti delle raffinerie di petrolio greggio, degli impianti di gassificazione e liquefazione, delle acciaierie integrate di prima fusione della ghisa e dell’acciaio e degli impianti chimici integrati, si intendono quelli presentati al Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato per il decreto di concessione secondo quanto previsto dal RDL 2 novembre 1933 n.1741, convertito dalla legge 8 febbraio 1934, n.367, e successive modificazioni e integrazioni; gli stessi devono essere inoltrati prima della concessione da parte del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato;
➥
DI TEMA 1. A.3. ATIVE IN TALE N M IE R B O M N TTO A IMPA
A 75
A.3. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE ➦ REGOLAMENTO DELLE PRONUNCE DI COMPATIBILITÀ AMBIENTALE ➦ DPCM 10 AGOSTO 1988 – n.377 Regolamentazione delle pronunce di compatibilità ambientale di cui all’art.6 della legge 8 luglio 1986, n.349, recante istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale c) per progetti di impianto per l’estrazione di amianto si intendono quelli presentati al Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato; gli stessi devono essere inoltrati prima del rilascio del permesso da parte del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato; d) per progetti degli impianti di eliminazione di smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi, si intendono quelli che devono essere inoltrati alla Regione per l’approvazione; e) per progetti delle autostrade e delle vie di rapida comunicazione, si intendono quelli, riferiti all’intero tracciato, previsti dalle “Istruzioni per la redazione dei progetti strade” pubblicate nel Bollettino ufficiale – Norme tecniche – del CNR – Anno XIV n.77 del 5 maggio 1980, concernenti il progetto di massima, ovvero, nei casi in cui tale documentazione non sia disponibile per cause oggettive, riferiti a tronchi funzionali da sottoporre alle procedure di riferimento purché siano comunque definite le ipotesi di massima concernenti l’intero tracciato nello studio di impatto ambientale. Gli stessi devono essere inoltrati prima del relativo provvedimento di approvazione da parte del Ministro dei lavori pubblici; f) per progetti dei tronchi ferroviari per il traffico a grande distanza, si intendono quelli, riferiti alla costruzione di impianti ferroviari e delle opere connesse predisposti dall’ente Ferrovie dello Stato e trasmessi alle Regioni interessate e agli enti locali nel cui territorio sono previsti gli interventi, ai sensi dell’art.25 della legge 17 maggio 1985, n.210; gli stessi devono essere inoltrati prima del relativo provvedimento di approvazione o conformità g) per progetti degli aeroporti si intendono i nuovi piani regolatori o le varianti dei piani esistenti, nonché i progetti di massima delle opere; gli stessi devono essere inoltrati prima dell’approvazione da parte del comitato previsto dall’art.5 della legge 22 agosto 1985, n.449; h) per progetti delle dighe e degli altri impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare le acque, si intendono i progetti di massima allegati alla domanda di concessione di derivazione d’acqua così come previsto dall’art.9 del RD del 14 agosto 1920, n.1285, dal RD 11 dicembre 1933, n.1775, e all’art.1 del DPR 1 novembre 1959, n.1363; gli stessi devono essere inoltrati prima della concessione alla derivazione, anche provvisoria, da parte del Ministro dei lavori pubblici. 2. Nel caso di appalto concorso o di affidamenti in concessione disciplinati dalla legge 24 giugno 1929, n.1137, così come modificata dalla legge 15 gennaio 1951, n.34, nonché dalla legge 8 agosto 1977, n.584, e dalla legge 17 febbraio 1987, n.80, le amministrazioni competenti comunicano al Ministro dell’ambiente e al Ministro per i beni culturali e ambientali il progetto esecutivo delle opere qualora contenga importanti variazioni rispetto alla progettazione di massima già oggetto di pronuncia di compatibilità ambientale. Il Ministro dell’ambiente può stabilire, entro venti giorni dalla comunicazione, che il progetto esecutivo sia sottoposto a sua volta alla procedura di cui all’art.6 della legge 8 luglio 1986, n.349. 3. La comunicazione di cui al c.3 dell’art.6 della legge 8 luglio 1986, n.349, oltre al progetto come individuato al c.1, comprende uno studio di impatto ambientale contenente: a) l’indicazione della localizzazione riferita alla incidenza spaziale e territoriale dell’intervento, alla luce delle principali alternative prese in esame, alla incidenza sulle risorse naturali, alla corrispondenza ai piani urbanistici, paesistici, territoriali e di settore, agli eventuali vincoli paesaggistici, archeologici, demaniali e idrogeologici, supportata da adeguata cartografia; b) la specificazione degli scarichi idrici e delle misure previste per l’osservanza della normativa vigente, nonché le eventuali conseguenti alterazioni della qualità del corpo ricettore finale; c) la specificazione dei rifiuti solidi e delle relative modalità di smaltimento rapportata alle prescrizioni della normativa vigente in materia; d) la specificazione delle emissioni nell’atmosfera da sostanze inquinanti, rapportata alla normativa vigente nonché le conseguenti alterazioni della qualità dell’aria anche alla luce delle migliori tecnologie disponibili; e) la specificazione delle emissioni sonore prodotte e degli accorgimenti e delle tecniche riduttive del rumore previsti; f) la descrizione dei dispositivi di eliminazione e risarcimento dei danni all’ambiente con riferimento alle scelte progettuali, alle migliori tecniche disponibili e agli aspetti tecnico-economici; g) i piani di prevenzione dei danni all’ambiente con riferimento alle fasi di costruzione e gestione; h) i piani di monitoraggio ambientale secondo le specificazioni derivanti dalla normativa vigente o da particolari esigenze in relazione alle singole opere; i) un riassunto non tecnico di quanto previsto alle lettere precedenti.
A 76
relazione a ciascuna categoria di opere, sono emanate con DPCM previa deliberazione del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri competenti per materia e sentito il comitato scientifico di cui all’art.11 della legge 8 luglio 1986, n.349, entro novanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del presente decreto. Art.4. VIGILANZA 1. Il Ministro dell’ambiente vigila ai sensi dell’art.6, c.6, della legge 8 luglio 1986, n.349, sulla osservanza delle eventuali prescrizioni contenute nella pronuncia di compatibilità ambientale. 2. Le amministrazioni interessate rendono noto nel bando di gara o nell’invito a trattare che l’approvazione dei progetti è assoggettata all’osservanza delle eventuali prescrizioni contenute nella pronuncia di compatibilità ambientale. Art.5. PUBBLICITÀ 1. Contestualmente alla comunicazione di cui al c.3 dell’art.2, il committente di opere di cui all’art.1 provvede alla pubblicazione, sul quotidiano più diffuso nella Regione o Provincia autonoma territorialmente interessata e su un quotidiano a diffusione nazionale, di un annuncio contenete l’indicazione dell’opera, la sua localizzazione e una sommaria descrizione del progetto. 2. Il committente provvede altresì al deposito di una o più copie del progetto e degli elaborati della comunicazione, così come definiti all’art.2 presso il competente ufficio della Regione o Provincia autonoma interessata, ai fini della consultazione da parte del pubblico. 3. Le Regioni, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, individuano gli uffici di cui al c.2 provvedendo anche alla pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione e a una adeguata informazione al pubblico. Art.6. ISTRUTTORIA 1. L’istruttoria sui progetti di cui all’art.1 ha le seguenti finalità: a) accertare la completezza della documentazione presentata; b) verificare la rispondenza della descrizione dei luoghi e delle loro caratteristiche ambientali a quelle documentate dal proponente; c) verificare che i dati del progetto, per quanto concerne i rifiuti liquidi e solidi e le emissioni inquinanti nell’atmosfera, corrispondano alle prescrizioni dettate dalla normativa del settore; d) accertare la coerenza del progetto, per quanto concerne le tecniche di realizzazione e dei processi produttivi previsti, con i dati di utilizzo delle materie prime e delle risorse naturali; e) accertare il corretto utilizzo delle metodologie di analisi e previsione, nonché l’idoneità delle tecniche di rilevazione e previsione impiegate dal proponente in relazione agli effetti ambientali; f) individuare e descrivere l’impatto complessivo del progetto sull’ambiente anche in ordine ai livelli di qualità finale, raffrontando la situazione esistente al momento della comunicazione con la previsione di quella successiva. 2. La pronuncia sulla compatibilità ambientale del progetto interviene nel termine di cui al c.4 dell’art.6 della legge 8 luglio 1986, n.349, decorso il quale la procedura riprende il suo corso. Art.7. NORMA TRANSITORIA 1. La disciplina di cui al presente decreto non si applica ai progetti delle opere per i quali sia già intervenuta l’approvazione a norma delle disposizioni vigenti. 2. La disciplina di cui al presente decreto non si applica altresì alle opere per le quali Il Ministro dell’ambiente e il Ministro per i beni culturali e ambientali abbiano ricevuto, alla data di pubblicazione del presente decreto, il parere di organismi istituiti per l’esame dei profili di interesse ambientale delle opere medesime. Art.8. ENTRATA IN VIGORE
Art.3. NORME TECNICHE INTEGRATIVE
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione nella GU del DPCM previsto dall’art.3. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica Italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
1. Le norme tecniche integrative della disciplina di cui all’art.2 del presente decreto, concernenti la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione dei giudizi di compatibilità di cui all’art.6, c.4 della legge 8 luglio 1986, n.349, in
N.B. – L’elenco delle categorie di opere sottoposte alla VIA, esposto all’art.1 del D.P.C.M. 10 agosto 1988, n.377, è stato recentemente esteso e specificato dal D.P.R. 12 aprile 1996, più avanti esposto.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE
A.ZIONI
NORME TECNICHE PER LA REDAZIONE DEGLI STUDI DI IMPATTO AMBIENTALE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
DPCM, 27 DICEMBRE 1988 Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità di cui all’art.6 della legge 8 luglio 1986, n.349, adottate ai sensi dell’art.3 del DPCM 10 agosto 1988, n.377
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
Art.1. FINALITÀ
Art.3. QUADRO DI RIFERIMENTO PROGRAMMATICO
1. Per tutte le categorie di opere di cui all’art.1 del DPCM 10 agosto 1988, n.377, sono adottate le seguenti norme tecniche integrative che definiscono:
1. Il quadro di riferimento programmatico per lo studio di impatto ambientale fornisce gli elementi conoscitivi sulle relazioni tra l’opera progettata e gli atti di pianificazione e programmazione territoriale e settoriale. Tali elementi costituiscono parametri di riferimento per la costruzione del giudizio di compatibilità ambientale di cui all’art.6. È comunque escluso che il giudizio di compatibilità ambientale abbia a oggetto i contenuti dei suddetti atti di pianificazione e programmazione, nonché la conformità dell’opera ai medesimi.
a) i contenuti degli studi di impatto ambientale e la loro articolazione, la documentazione relativa ,l’attività istruttoria e i criteri di formulazione del giudizio di compatibilità; b) le componenti e i fattori ambientali (allegato I);
2. Il quadro di riferimento programmatico in particolare comprende: c) le caratterizzazioni delle componenti e dei fattori ambientali e le relazioni tra questi esistenti per l’analisi e la valutazione del sistema ambientale (allegato II); d) i criteri peculiari da applicare nella redazione degli studi in relazione alla specifica tipologia di ciascuna categoria di opere (allegato III); e) le procedure da applicare per i progetti di centrali termoelettriche e turbogas (allegato IV). 2. Il giudizio di compatibilità ambientale è reso, tenuto conto degli studi effettuati dal committente, previa valutazione degli effetti dell’opera sul sistema ambientale con riferimento programmatico, progettuale e ambientale e in funzione della conseguente attività istruttoria della pubblica amministrazione. 3. Lo studio di impatto ambientale dell’opera è redatto conformemente alle prescrizioni relative ai quadri di riferimento programmatico, progettuale e ambientale e in funzione della conseguente attività istruttoria della pubblica amministrazione. 4. Le presenti norme tecniche integrano le prescrizioni di cui all’art.2, c.3, e all’art.6 del DPCM 10 agosto 1988, n.377.
A.3. 1.
a) la descrizione del progetto in relazione agli stati di attuazione degli strumenti pianificatori di settore e territoriali, nei quali è inquadrabile il progetto stesso; per le opere pubbliche sono precisate le eventuali priorità ivi predeterminate; b) la descrizione dei rapporti di coerenza del progetto con gli obiettivi perseguiti dagli strumenti pianificatori, evidenziando, con riguardo all’area interessata: 1) e eventuali modificazioni intervenute con riguardo alle ipotesi di sviluppo assunte a base delle pianificazioni; 2) l’indicazione degli interventi connessi, complementari o a servizio rispetto a quello proposto, con le eventuali previsioni temporali di realizzazione; c) l’indicazione dei tempi di attuazione dell’intervento e delle eventuali infrastrutture a servizio e complementari.
C.RCIZIO
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D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
3. Il quadro di riferimento descrive inoltre: a) l’attualità del progetto e la motivazione delle eventuali modifiche apportate dopo la sua originaria concezione; b) le eventuali disarmonie di previsione contenute in distinti strumenti programmatori.
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P
Art.4. QUADRO DI RIFERIMENTO PROGETTUALE Art.2. DOCUMENTAZIONE DEGLI STUDI DI IMPATTO
c) una sintesi non tecnica destinata all’informazione al pubblico, con allegati grafici di agevole riproduzione;
1. Il quadro di riferimento progettuale descrive il progetto e le soluzioni adottate a seguito degli studi effettuati nonché l’inquadramento del territorio, inteso come sito e come area vasta interessati. Esso consta di due distinte parti, la prima delle quali, che comprende gli elementi di cui ai successivi c.2 e 3 esplicita le motivazioni assunte dal proponente nella definizione del progetto. La seconda, che riguarda gli elementi di cui al c.4, concorre al giudizio di compatibilità ambientale e descrive le motivazioni tecniche delle scelte progettuali nonché misure, provvedimenti e interventi anche non strettamente riferibili al progetto, che il proponente ritiene opportuno adottare ai fini di una migliore inserimento dell’opera nell’ambiente, fermo restando che il giudizio di compatibilità dell’opera agli strumenti di pianificazione, ai vincoli, alle servitù e alla normativa tecnica che ne regola la realizzazione.
d) la documentazione attestante l’avvenuta pubblicazione avvenuta ai sensi dell’art.1, c.1, del DPCM n.377/1988.
2. Il quadro di riferimento progettuale precisa le caratteristiche dell’opera progettata con particolare riferimento a:
1. Il committente è tenuto ad allegare alla domanda di pronuncia sulla compatibilità ambientale, in tre copie al Ministro dell’ambiente e due rispettivamente al Ministro per i beni culturali e ambientali e alla Regione interessata, i seguenti atti: a) lo studio di impatto ambientale articolato secondo i quadri di riferimento di cui ai successivi artt., ivi comprese le caratterizzazioni e le analisi; b) gli elaborati di progetto;
2. Lo studio di impatto è inoltre corredato da:
b) il grado di copertura della domanda e i suoi livelli di soddisfacimento in funzione delle diverse ipotesi progettuali esaminate, ciò anche con riferimento all’ipotesi di assenza dell’intervento;
b) altri eventuali documenti ritenuti utili dal committente o richiesti dalla commissione di valutazione di cui all’art.18 della legge 11 marzo 1988, n.67, per particolari progetti;
c) la prevedibile evoluzione qualitativa e quantitativa del rapporto domanda-offerta riferita alla presumibile vita tecnica ed economica dell’intervento;
d) esposizione sintetica delle eventuali difficoltà, lacune tecniche o mancanza di conoscenze, incontrate dal committente nella raccolta dei dati richiesti. 3. L’esattezza delle allegazioni è attestata da apposita dichiarazione giurata resa dai professionisti iscritti agli albi professionali, ove esistenti, ovvero dagli esperti che firmano lo studio di impatto ambientale.
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
a) la natura dei beni e/o servizi offerti;
a) documenti cartografici in scala adeguata e in particolare carte geografiche generali e speciali, carte tematiche, carte tecniche; foto aeree; tabelle; grafici ed eventuali stralci di documenti; fonti di riferimento;
c) indicazione della legislazione vigente e della regolamentazione di settore concernente la realizzazione e l’esercizio dell’opera, degli atti provvedimentali e consultivi necessari alla realizzazione dell’intervento, precisando quelli già acquisiti e quelli da acquisire;
NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P
d) l’articolazione delle attività necessarie alla realizzazione dell’opera in fase di cantiere e di quelle che caratterizzano l’esercizio; e) i criteri che hanno guidato le scelte del progettista in relazione alle previsioni delle trasformazioni territoriali di breve e lungo periodo conseguenti alla localizzazione dell’intervento, delle infrastrutture di servizio e dell’eventuale indotto. 3. Per le opere pubbliche o a rilevanza pubblica si illustrano i risultati dell’analisi economica di costi e benefici, ove già richiesta dalla normativa vigente, e si evidenziano in particolare i seguenti elementi considerati, i valori unitari assunti dall’analisi, il tasso di redditività interna dell’investimento. 4. Nel quadro progettuale si descrivono inoltre:
4. I dati e le informazioni ai quali si applica la vigente disciplina a tutela del segreto industriale sono esclusi dalla pubblicità di cui all’art.5 del DPCM 10 agosto 1988, n.377, ed essi possono essere trasmessi con plico separato.
a) le caratteristiche tecniche e fisiche del progetto e le aree occupate durante la fase di costruzione e di esercizio;
➥
DI TEMA 1. A.3. ATIVE IN TALE N M IE R B O M N TTO A IMPA
A 77
A.3. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE ➦ NORME TECNICHE PER LA REDAZIONE DEGLI STUDI DI IMPATTO AMBIENTALE ➦ DPCM, 27 DICEMBRE 1988 Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità di cui all’art.6 della legge 8 luglio 1986, n.349, adottate ai sensi dell’art.3 del DPCM 10 agosto 1988, n.377 b) l’insieme dei condizionamenti e vincoli di cui si è dovuto tenere conto nella redazione del progetto e in particolare: 1) le norme tecniche che regolano la realizzazione dell’opera; 2) le norme e le prescrizioni di strumenti urbanistici, piani paesistici e territoriali e piani di settore; 3) i vincoli paesaggistici, naturalistici, architettonici, archeologici, storico-culturali, demaniali e idrogeologici, servitù e altre limitazioni alla proprietà; 4) i condizionamenti indotti dalla natura e vocazione dei luoghi e da particolari esigenze di tutela ambientale; c) le motivazioni tecniche della scelta progettuale e delle principali alternative prese in esame, opportunamente descritte, con particolare riferimento a: 1) le scelte di processo per gli impianti industriali, per la produzione di energia elettrica e per lo smaltimento di rifiuti; 2) le condizioni di utilizzazione di risorse naturali e di materie prime direttamente e indirettamente utilizzate o interessate nelle diverse fasi di realizzazione del progetto e di esercizio dell’opera; 3) le qualità e le caratteristiche degli scarichi idrici, dei rifiuti, delle emissioni nell’atmosfera in riferimento alle diverse fasi di attuazione del progetto e di esercizio dell’opera; 4) le necessità progettuali di livello esecutivo e le esigenze gestionali imposte o da ritenersi a seguito dell’analisi ambientale; d) le eventuali misure non strettamente riferibili al progetto o provvedimenti di carattere gestionale che si ritiene opportuno adottare per contenere gli impatti sia nel corso della fase di costruzione, che di esercizio;
c) descrive la prevedibile evoluzione, a seguito dell’intervento, delle componenti e dei fattori ambientali, delle relative interazioni e del sistema ambientale complessivo; d) descrive e stima la modifica, sia nel breve che nel lungo periodo, dei livelli di qualità preesistenti in relazione agli approfondimenti di cui al presente art.; e) definisce gli strumenti di gestione e di controllo e, ove necessario, le reti di monitoraggio ambientale, documentando la localizzazione dei punti di misura e i parametri ritenuti opportuni; f) illustra i sistemi di intervento nell’ipotesi di manifestarsi di emergenze particolari.
Art.6. ISTRUTTORIA PER IL GIUDIZIO DI COMPATIBILITÀ AMBIENTALE 1. La commissione di cui all’art.18, c.5, della legge 11 marzo 1988, n.67, verifica il progetto, anche mediante accertamento d’ufficio, in relazione alle specificazioni, descrizioni e piani richiesti dall’art.2, c.3 del DPCM 10 agosto 1988, n.377, e a quanto previsto dall’art.6 del medesimo DPCM. 2. L’istruttoria si conclude con parere motivato, tenuto conto degli studi effettuati dal proponente e previa valutazione degli effetti, anche indotti, dell’opera sul sistema ambientale, raffrontando la situazione esistente al momento della comunicazione con la previsione di quella successiva. La commissione identifica inoltre, se necessario, le eventuali prescrizioni finalizzate alla compatibilità ambientale del progetto.
e) gli interventi di ottimizzazione dell’inserimento nel territorio e nell’ambiente; f) gli interventi tesi a riequilibrare eventuali scompensi indotti sull’ambiente.
3. La commissione ha facoltà di richiedere i pareri di enti e amministrazioni pubbliche e di organi di consulenza tecnico-scientifica dello Stato, che ritenga opportuno acquisire nell’ambito dell’istruttoria.
5. Per gli Impianti industriali sottoposti alla procedura di cui al DPR 17 maggio 1988, n.175, gli elementi richiesti ai commi precedenti che siano compresi nel rapporto di sicurezza di cui all’art.5 del citato decreto possono essere sostituiti dalla presentazione di copia del rapporto medesimo.
4. Ove sia verificata l’incompletezza della documentazione presentata, il Ministero dell’ambiente provvede a richiedere, possibilmente in una unica soluzione, le integrazioni necessarie. Tale richiesta ha effetto di pronuncia interlocutoria negativa.
Art.5. QUADRO DI RIFERIMENTO AMBIENTALE
5. Restano comunque salve le prescrizioni tecniche attinenti all’esecuzione delle opere e degli impianti e alla loro sicurezza ai sensi delle disposizioni vigenti.
1. Per il quadro di riferimento ambientale lo studio di impatto è sviluppato secondo criteri descrittivi, analitici e previsionali. 2. Con riferimento alle componenti ambientali e ai fattori ambientali interessati dal progetto, secondo quanto indicato all’allegato III integrato, ove necessario e d’intesa con l’amministrazione proponente, ai fini della valutazione globale di impatto, dalle componenti e fattori descritti negli allegati I e II, il quadro di riferimento ambientale: a) definisce l’ambito territoriale – inteso come sito e area vasta – e i sistemi ambientali interessati dal progetto, sia direttamente che indirettamente, entro cui è da presumere che possano manifestarsi effetti significativi sulla qualità degli stessi;
6. Il committente delle opere ha facoltà di comunicare al Ministero dell’ambiente, commissione per le valutazioni dell’impatto ambientale di cui all’art.18, c.5, della legge 11 marzo 1988, n.67, l’inizio degli studi di impatto ambientale e delle conseguenti operazioni tecniche. Il presidente della commissione ha facoltà di designare osservatori che assistano a sopralluoghi prove, verifiche sperimentali di modelli e altre operazioni tecniche non facilmente ripetibili che siano funzionali allo studio. 7. La Commissione provvede altresì a verificare la sussistenza delle condizioni di esclusione dei progetti relativi agli interventi di cui al c.3 dell’art.1 del DPCM 10 agosto 1988, n.377.
Art.7. REQUISITI DI TRASPARENZA DEL PROCEDIMENTO E ATTI SUCCESSIVI b) descrive i sistemi ambientali interessati, ponendo in evidenza l’eventuale criticità degli equilibri esistenti; c) individua le aree, le componenti e i fattori ambientali e le relazioni tra essi esistenti che manifestano un carattere di eventuale criticità, al fine di evidenziare gli approfondimenti di indagine necessari al caso specifico;
1. Il Ministero dell’ambiente assicura la consultazione della sintesi non tecnica di cui al precedente art.2, c.1, lettera c), anche attraverso accordi con istituzioni scientifiche o culturali pubbliche.
d) documenta gli usi plurimi previsti delle risorse, la priorità negli usi delle medesime e gli ulteriori usi potenziali coinvolti dalla realizzazione del progetto;
2. Il giudizio di compatibilità è reso ai sensi dell’art.6 c.4 della legge 8 luglio 1986, n.349, con atto definitivo che contestualmente considera le osservazioni, le proposte e le allegazioni presentate ai sensi del c.9 del medesimo art.6, esprimendosi sulle stesse singolarmente o per gruppi.
e) documenta i livelli di qualità preesistenti all’intervento per ciascuna componente ambientale interessata e gli eventuali fenomeni di degrado delle risorse in atto.
Art.8. DISPOSIZIONI ATTUATIVE DEL DPCM 10 AGOSTO 1988, n.377
3. In relazione alle peculiarità dell’ambiente interessato così come definite a seguito delle analisi di cui ai precedenti c., nonché ai livelli di approfondimento necessari per la tipologia di intervento proposto come precisato nell’allegato III, il quadro di riferimento ambientale: a) stima qualitativamente e quantitativamente gli impatti indotti dall’opera sul sistema ambientale, nonché le interazioni degli impatti con le diverse componenti e i fattori ambientali anche in relazione ai rapporti esistenti tra essi;
1. Per impianti chimici integrati di cui al c.1 dell’art.1, lettera f) del DPCM 10 agosto 1988, n.377, si intende l’insieme di due o più unità produttive che realizzano processi di trasformazione o di sintesi, che concorrono a determinare prodotti chimici merceologicamente definiti se possono incidere segnatamente per l’ubicazione, le dimensioni, le quantità degli effluenti, secondo i seguenti parametri singolarmente intesi e ridotti del 30% qualora l’impianto sia localizzato all’interno di un’area dichiarata a elevato rischio di crisi ambientale ai sensi della legge 8 luglio 1986, n.349: a) materie in ingresso pari o superiore a 200.000 t/anno;
b) descrive le modificazioni delle condizioni d’uso e della fruizione potenziale del territorio, in rapporto alla situazione preesistente;
A 78
b) consumi idrici pari o superiore a 2 mc/secondo;
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE
A.3. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
c) potenza termica impegnata pari o superiore a 300 MW termici; ALLEGATO II
B.ATTERISTICLHI EDELLE
d) superfici impegnate, compresi depositi, movimentazioni e spazi operativi, pari o superiori a 50.000 mq; Caratterizzazione e analisi delle componenti e dei fattori ambientali e) numero degli addetti pari o superiore a 300. 2. Per progetti degli impianti di cui al precedente c.1 si intendono, conformemente all’art.2 del DPCM 10 agosto 1988, n.377, i progetti di massima, corredati dalle indicazioni esecutive relative ai processi industriali e che devono essere inoltrati prima delle autorizzazioni previste dalle vigenti disposizioni. 3. Per i progetti delle acciaierie integrate di prima fusione della ghisa e dell’acciaio si intendono i progetti di massima corredati dalle indicazioni esecutive relative al processo industriale e che devono essere inoltrati prima delle autorizzazioni previste dalle vigenti disposizioni. 4. Con riferimento agli aeroporti, la procedura di cui all’art.6 della legge 8 luglio 1986, n.349, si applica al sistema aeroporto nel suo complesso, nonché ai progetti di massima delle opere qualora comportino la modifica sostanziale del sistema stesso e delle sue pertinenze in relazione ai profili ambientali: a) nel caso di nuovi aeroporti o di aeroporti già esistenti per i quali si prevede la realizzazione di piste di lunghezza superiore ai 2100 m od il prolungamento di quelle esistenti oltre i 2100 m;
1. Le analisi, riferite a situazioni rappresentative e articolate secondo i criteri descritti all’art.5, sono svolte in relazione al livello di approfondimento necessario per la tipologia d’intervento proposta e le peculiarità dell’ambiente interessato, attenendosi, per ciascuna delle componenti o fattori ambientali, ai criteri indicati. Ogni qualvolta le analisi indicate non siano effettuate sarà brevemente precisata la relativa motivazione d’ordine tecnico. 2. I risultati delle indagini e della stima verranno espressi dal punto di vista metodologico, mediante parametri definiti (esplicitando per ognuno di essi il metodo di rilevamento e di elaborazione) che permettano di effettuare confronti significativi tra situazione attuale e situazione prevista. 3. Le analisi di cui al presente allegato, laddove lo stato dei rilevamenti non consenta una rigorosa conoscenza dei dati per la caratterizzazione dello stato di qualità dell’ambiente, saranno svolte attraverso apposite rilevazioni e/o l’uso di adeguati modelli previsionali. 4. In relazione ai c.1 e 2 potranno anche essere utilizzate esperienze di rilevazione effettuate in fase di controllo di analoghe opere già in esercizio.
b) nel caso di aeroporti già esistenti con piste di lunghezza superiore a 2100 m qualora si prevedano sostanziali modifiche al piano regolatore aeroportuale connesse all’incremento del traffico aereo e che comportino essenziali variazioni spaziali e implicazioni territoriali dell’infrastruttura stessa.
5. La caratterizzazione e l’analisi delle componenti ambientali e le relazioni tra essi esistenti riguardano:
5. La comunicazione dello studio di impatto ambientale per le opere di cui all’art.1, lettera h) del DPCM 10 agosto 1988, n.377, sarà fatta dall’amministrazione competente, sentito il Ministero della marina mercantile.
Obiettivo della caratterizzazione dello stato di qualità dell’aria e delle condizioni meteoclimatiche è quello di stabilire la compatibilità ambientale sia di eventuali emissioni, anche da sorgenti mobili, con le normative vigenti sia di eventuali cause di perturbazione meteoclimatiche con le condizioni naturali. Le analisi concernenti l’atmosfera sono pertanto effettuate attraverso:
ALLEGATO I
a) i dati meteorologici convenzionali (temperatura, precipitazioni, umidità relativa, vento), riferiti a un periodo di tempo significativo, nonché eventuali dati supplementari (radiazione solare, ecc.) e dati di concentrazione di specie gassose e di materiale particolato; b) la caratterizzazione dello stato fisico dell’atmosfera attraverso la definizione di parametri quali: regime anemometrico, regime pluviometrico, condizioni di umidità dell’aria, termini di bilancio radiativo ed energetico;
Componenti e fattori ambientali 1. Lo studio di impatto ambientale di un’opera con riferimento al quadro ambientale dovrà considerare le componenti naturalistiche e antropiche interessate, le interazioni tra queste e il sistema ambientale preso nella sua globalità. 2. Le componenti e i fattori ambientali sono così intesi:
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
A. Atmosfera
Art.9. ENTRATA IN VIGORE 1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
c) la caratterizzazione preventiva dello stato di qualità dell’aria (gas e materiale particolato); d) la localizzazione e caratterizzazione delle fonti inquinanti;
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
e) la previsione degli effetti del trasporto (orizzontale e verticale) degli effluenti mediante modelli di diffusione in atmosfera;
a) atmosfera: qualità dell’aria e caratterizzazione meteoclimatica; b) ambiente idrico: acque sotterranee e acque superficiali (dolci, salmastre e marine), considerate come componenti, come ambienti e come risorse; c) suolo e sottosuolo: intesi sotto il profilo geologico, geomorfologico e pedologico, nel quadro dell’ambiente in esame, e anche come risorse non rinnovabili;
f) previsioni degli effetti delle trasformazioni fisico-chimiche degli effluenti attraverso modelli atmosferici dei processi di trasformazione (fotochimica, od in fase liquida) e di rimozione (umida e secca), applicati alle particolari caratteristiche del territorio. B. Ambiente idrico
d) vegetazione, flora, fauna: formazioni vegetali e associazioni animali, emergenze più significative, specie protette ed equilibri naturali;
Obiettivo della caratterizzazione delle condizioni idrografiche, idrologiche e idrauliche, dello stato di qualità e degli usi dei corpi idrici è:
e) ecosistemi: complessi di componenti e fattori fisici, chimici e biologici tra loro interagenti e interdipendenti, che formano un sistema unitario e identificabile (quali un lago, un bosco, un fiume, il mare) per propria struttura, funzionamento ed evoluzione temporale;
1) stabilire la compatibilità ambientale, secondo la normativa vigente, delle variazioni quantitative (prelievi, scarichi) indotte dall’intervento proposto;
f) salute pubblica: come individui e comunità;
2) stabilire la compatibilità delle modificazioni fisiche, chimiche e biologiche, indotte dall’intervento proposto, con gli usi attuali, previsti e potenziali, e con il mantenimento degli equilibri interni a ciascun corpo idrico, anche in rapporto alle altre componenti ambientali.
g) rumore e vibrazioni: considerati in rapporto all’ambiente sa naturale che umano; Le analisi concernenti i corpi idrici riguardano: h) radiazioni ionizzanti e non ionizzanti: considerati in rapporto all’ambiente sia naturale che umano; i) paesaggio: aspetti morfologici e culturali del paesaggio, identità delle comunità umane interessate e relativi beni culturali. Caratterizzazioni e analisi relative ai componenti e fattori ambientali elencati vengono specificati dal DPCM 12 dicembre 1988 nel successivo Allegato II. che viene riportato testualmente di seguito. Il contenuto dell’Allegato II “Caratterizzazione e analisi delle componenti e dei fattori ambientali” è stato anche sintetizzato in Tabelle di più veloce e agevole consultazione (v. Tab. A.4.1. – da g a q).
a) la caratterizzazione qualitativa e quantitativa del corpo idrico nelle sue diverse matrici; b) la determinazione dei movimenti delle masse d’acqua, con particolare riguardo ai regimi fluviali, ai fenomeni ondosi e alle correnti marine, e alle relative eventuali modificazioni indotte dall’intervento. Per i corsi d’acqua si dovrà valutare, in particolare, l’eventuale effetto di alterazione del regime idraulico e delle correnti. Per i laghi e i mari si dovrà determinare l’effetto eventuale sul moto ondoso e sulle correnti; c) la caratterizzazione del trasporto solido naturale, senza e con intervento, anche con riguardo alle erosioni delle coste e agli interrimenti;
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DI TEMA 1. A.3. ATIVE IN TALE N M IE R B O M N TTO A IMPA
A 79
A.3. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE ➦ NORME TECNICHE PER LA REDAZIONE DEGLI STUDI DI IMPATTO AMBIENTALE ➦ DPCM, 27 DICEMBRE 1988 Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità di cui all’art.6 della legge 8 luglio 1986, n.349, adottate ai sensi dell’art.3 del DPCM 10 agosto 1988, n.377 d) la stima del carico inquinante, senza e con intervento, e la localizzazione e caratterizzazione delle fonti; e) la definizione degli usi attuali, ivi compresa la vocazione naturale, e previsti. C. Suolo e sottosuolo Obiettivi della caratterizzazione del suolo e del sottosuolo sono: l’individuazione delle modifiche che l’intervento proposto può causare sulla evoluzione dei processi geodinamici esogeni e la determinazione della compatibilità delle azioni progettuali con l’equilibrata utilizzazione delle risorse naturali. Le analisi concernenti il suolo e il sottosuolo sono pertanto effettuate, in ambiti territoriali e temporali adeguati al tipo di intervento e allo stato dell’ambiente interessato, attraverso: a) la caratterizzazione geolitologica e geostrutturale del territorio, la definizione della sismicità dell’area e la descrizione di eventuali fenomeni vulcanici; b) la caratterizzazione idrogeologica dell’area coinvolta direttamente e indirettamente dall’intervento, con particolare riguardo per l’infiltrazione e la circolazione delle acque nel sottosuolo, la presenza di falde idriche sotterranee e relative emergenze (sorgenti, pozzi), la vulnerabilità degli acquiferi; c) la caratterizzazione geomorfologica e la individuazione dei processi di modellamento in atto, con particolare rigardo per i fenomeni di erosione e di sedimentazione e per i movimenti in massa (movimenti lenti nel regolite, frane), nonché per le tendenze evolutive dei versanti, delle piane alluvionali e dei litorali eventualmente interessati;
E. Ecosistemi Obiettivo della caratterizzazione del funzionamento e delle qualità di un sistema ambientale è quello di stabilire gli effetti significativi determinati dall’opera sull’ecosistema e sulle formazioni ecosistemiche presenti al suo interno. Le analisi concernenti gli ecosistemi sono effettuate attraverso: a) l’individuazione cartografica delle unità ecosistemiche naturali e antropiche presenti nel territorio interessato dall’intervento; b) la caratterizzazione almeno qualitativa dela struttura degli ecosistemi stessi attraverso la descrizione delle rispettive componenti abiotiche e biotiche e della dinamica di essi, con particolare riferimento sia al ruolo svolto dalle catene alimentari sul trasporto, sull’eventuale accumulo e trasferimento ad altre specie e all’uomo di contaminanti, che al grado di autodepurazione di essi; c) quando il caso lo richieda, rilevamenti diretti sul grado di maturità degli ecosistemi e sullo stato di qualità di essi; d) la stima della diversità biologica tra la situazione attuale e quella potenzialmente presente nell’habitat in esame, riferita alle specie più significative (fauna vertebrata, vegetali vascolari e macroinvertebrati acquatici). In particolare si confronterà la diversità ecologica presente con quella ottimale ipotizzabile in situazioni analoghe a elevata naturalità; la criticità verrà anche esaminata analizzando le situazioni di alta vulnerabilità riscontrate in relazione ai fattori di pressione esistenti e allo stato di degrado presente. F. Salute pubblica
d) la determinazione delle caratteristiche geotecniche dei terreni e delle rocce, con riferimento ai problemi di instabilità dei pendii; e) la caratterizzazione pedologica dell’area interessata dall’opera proposta con particolare riferimento alla composizione fisico-chimica del suolo, ,alla sua componente biotica e alle relative interazioni, nonché alla genesi, alla evoluzione e alla capacità d’uso del suolo; f) la caratterizzazione geochimica delle fasi solide (minerali, sostanze organiche) e fluide (acqua, gas) presenti nel suolo e nel sottosuolo, con particolare riferimento agli elementi e composti naturali di interesse nutrizionale e tossicologico. Ogni caratteristica e ogni fenomeno geologico, geomorfologico e geopedologico saranno esaminati come effetto della dinamica endogena ed esogena, nonché delle attività umane, e quindi come prodotto di una serie di trasformazioni il cui risultato è rilevabile al momento dell’osservazione ed è prevedibile per il futuro, sia in assenza che in presenza dell’opera progettata. In questo quadro saranno definiti, per l’area vasta in cui si inserisce l’opera, i rischi geologici (in senso lato) connessi a eventi variamente prevedibili (sismici, vulcanici, franosi, meteorologici, marini, ecc.) e caratterizzati da differente entità in relazione all’attività umana nel sito prescelto. D. Vegetazione, flora e fauna La caratterizzazione dei livelli di qualità della vegetazione, della flora e della fauna presenti nel sistema ambientale interessato dall’opera è compiuta tramite lo studio della situazione presente e della prevedibile incidenza su di esse delle azioni progettuali, tenendo presenti i vincoli derivanti dalla normativa e il rispetto degli equilibri naturali. Le analisi sono effettuate attraverso: a) vegetazione e flora: • carta della vegetazione presente, espressa come essenze dominanti sulla base di analisi aerofotogrammetriche e di rilevazioni fisionomiche dirette; • flora significativa potenziale (specie e popolamenti rari e protetti, sulla base delle formazioni esistenti e del clima); • carta delle unità forestali e di uso pastorale; • liste delle specie botaniche presenti nel sito direttamente interessato dall’opera; • quando il caso lo richieda rilevamenti fitosociologici nell’area di intervento. b) fauna: • lista della fauna vertebrata presumibile (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci) sulla base degli areali, degli habitat presenti e della documentazione disponibile; • lista della fauna invertebrata significativa potenziale (specie endemiche o comunque di interesse biogeografico) sulla base della documentazione disponibile; • quando il caso lo richieda, rilevamenti diretti della fauna vertebrata realmente presente, mappa delle aree di importanza faunistica (siti di produzione, di rifugio, di svernamento, di alimentazione, di corridoi di transito, ecc.) anche sulla base di rilevamenti specifici; • quando il caso lo richieda, rilevamenti diretti della fauna invertebrata presente nel sito direttamente interessato dall’opera e negli ecosistemi acquatici interessati.
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Obiettivo della caratterizzazione dello stato di qualità dell’ambiente, in relazione al benessere e alla salute umana, è quello di verificare la compatibilità delle conseguenze dirette e indirette delle opere e del loro esercizio con gli standard e i criteri per la prevenzione dei rischi riguardanti la salute umana a breve, medio e lungo periodo. Le analisi sono effettuate attraverso: a) la caratterizzazione dal punto di vista della salute umana, dell’ambiente e della comunità potenzialmente coinvolti, nella situazione in cui si presentano prima dell’attuazione del progetto; b) l’identificazione e la classificazione delle cause significative di rischio per la salute umana da microrganismi patogeni, da sostanze chimiche e componenti di natura biologica, qualità di energia, rumore, vibrazioni, radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, connesse con l’opera; c) la identificazione dei rischi eco-tossicologici (acuti, e cronici, a carattere reversibile e irreversibile) con riferimento alle normative nazionali, comunitarie e internazionali e la definizione dei relativi fattori di emissione; d) la descrizione del destino degli inquinanti considerati, individuati attraverso lo studio del sistema ambientale in esame, dei processi di dispersione, diffusione, trasformazione e degradazione e delle catene alimentari; e) l’identificazione delle possibili condizioni di esposizione delle comunità e delle relative aree coinvolte; f) l’integrazione dei dati ottenuti nell’ambito delle altre analisi settoriali e la verifica della compatibilità con la normativa vigente e dei livelli di esposizione previsti; g) la considerazione degli eventuali gruppi di individui particolarmente sensibili e dell’eventuale esposizione combinata a più fattori di rischio. Per quanto riguarda le infrastrutture di trasporto, l’indagine dovrà riguardare la definizione dei livelli di qualità e di sicurezza delle condizioni di esercizio, anche con riferimento a quanto sopra specificato. G. Rumore e vibrazioni La caratterizzazione della qualità dell’ambiente in relazione al rumore dovrà consentire di definire le modifiche introdotte dall’opera, verificarne la compatibilità con gli standard esistenti, con gli equilibri naturali e la salute pubblica da salvaguardare e con lo svolgimento delle attività antropiche nelle aree interessate, attraverso: a) la definizione della mappa di rumorosità secondo le modalità precisate nelle Norme internazionali ISO 1996/1 e 1996/2 e stima delle modificazioni a seguito della realizzazione dell’opera; b) definizione delle fonti di vibrazioni con adeguati rilievi di accelerazione nelle tre direzioni fondamentali e con caratterizzazione in termini di analisi settoriale e occorrenza temporale secondo le modalità previste nella Norma internazionale ISO 2631.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE
A.3. 1. A.ZIONI
H. Radiazioni ionizzanti e non ionizzanti La caratterizzazione della qualità dell’ambiente in relazione alle radiazioni ionizzanti e non ionizzanti dovrà consentire la definizione delle modifiche indotte dall’opera, verificarne la compatibilità con gli standard esistenti e con i criteri di prevenzione di danni all’ambiente e all’uomo, attraverso: a) la descrizione dei livelli medi e massimi di radiazioni presenti nell’ambiente interessato, per cause naturali e antropiche, prima dell’intervento; b) la definizione e caratterizzazione delle sorgenti e dei livelli di emissione di radiazioni prevedibili in conseguenza dell’intervento; c) la definizione dei quantitativi emessi nell’unità di tempo e del destino del materiale (tenendo conto delle caratteristiche proprie del sito) qualora l’attuazione dell’intervento possa causare il rilascio nell’ambiente di materiale radioattivo; d) la definizione dei livelli prevedibili nell’ambiente a seguito dell’intervento sulla base di quanto precede, per i diversi tipi di radiazione; e) la definizione dei conseguenti scenari di esposizione e la loro interpretazione alla luce dei parametri di riferimento rilevanti (standard, criteri di accettabilità, ecc.). I. Paesaggio Obiettivo della caratterizzazione della qualità del paesaggio con riferimento sia agli aspetti storico-testimoniali e culturali, sia agli aspetti legati alla percezione visiva, è quello di definire le azioni di disturbo esercitate dal progetto e le modifiche introdotte in rapporto alla qualità dell’ambiente. La qualità del paesaggio è pertanto determinata attraverso le analisi concernenti: a) il paesaggio nei suoi dinamismi spontanei, mediante l’esame delle componenti naturali così come definite alle precedenti componenti; b) le attività agricole, residenziali, produttive turistiche, ricreazionali, le presenze infrastrutturali, le loro stratificazioni e la relativa incidenza sul grado di naturalità presente nel sistema; c) le condizioni naturali e umane che hanno generato l’evoluzione del paesaggio; d) lo studio strettamente visivo e culturale semiologico del rapporto tra soggetto e ambiente, nonché delle radici della trasformazione e creazione del paesaggio da parte dell’uomo; e) i piani paesistici e territoriali; f) i vincoli ambientali, archeologici, architettonici, artistici e storici.
ALLEGATO III
Con riferimento alle categorie di opere elencate nell’art.1 del DPCM 377/1988, le disposizioni di cui agli art.3, 4 e 5 del decreto vengono così specificate e integrate: 1. Impianti industriali (raffinerie di petrolio greggio, impianti di gassificazione e di liquefazione di carbone e scisti bituminosi, acciaierie integrate di prima fusione della ghisa e dell’acciaio, impianti chimici integrati, impianti per l’estrazione dell’amianto per il trattamento e la trasformazione). Per quanto attiene il quadro di riferimento programmatico di cui all’art.3, si terrà conto dei seguenti atti di programmazione e di pianificazione di settore e di area: • piani nazionali del settore interessato; • piano energetico nazionale; • eventuali altri strumenti di programmazione e di finanziamento; • piani regionali e provinciali dei trasporti; • piani regionali e di area vasta per la salvaguardia e il risanamento ambientale, i piani territoriali e paesistici, piani per le attività industriali; • strumenti urbanistici locali. Per quanto riguarda il quadro di riferimento progettuale, a integrazione e specificazione di quanto disposto dall’art.4, c.4, si dovrà provvedere ai seguenti adempimenti: • elenco delle norme e disposizioni, anche di carattere locale, relative alla salvaguardia e tutela dell’ambiente e alla protezione della popolazione, che si applicano alle tecnologie impiegate nei processi produttivi o di costruzione, con riferimento in particolare alla tutela della qualità dell’aria, alla tutela delle acque, all’utilizzo e trasporto di sostanze infiammabili, esplosive o tossiche, alla sicurezza degli impianti industriali, allo smaltimento dei rifiuti; • criteri delle scelte in merito alla tecnologia dei sistemi di processo e di stoccaggio dei combustibili, materie prime, prodotti e sottoprodotti e rifiuti; dei sistemi di abbattimento delle emissioni inquinanti in atmosfera e di trattamento, condizionamento e smaltimento dei rifiuti solidi e dei sottoprodotti; delle ipotesi di recupero e riciclaggio dei sottoprodotti e/o dei rifiuti;
• descrizione dei sistemi produttivi e di processo con indicazione delle quantità e caratteristiche chimico-fisiche dei materiali utilizzati e di quelli finali e intermedi; • descrizione delle condizioni operative delle fasi di processo rilevanti dei sistemi destinati alla prevenzione delle varie forme di inquinamento (abbattimento delle emissioni di inquinanti dell’aria, depurazione degli effluenti liquidi, trattamento e smaltimento dei rifiuti solidi, riduzione di rumori, vibrazioni, odori, ecc.), dei sistemi di monitoraggio e delle infrastrutture civili; • descrizione delle infrastrutture di trasporto e stoccaggio di materiali di processo o di servizio (terminali portuali, depositi, oleodotti, gasdotti ed elettrodotti, inclusi i terminali); • descrizione del consumo o utilizzo di materie prime e di risorse naturali; • ogni altra informazione specifica relativa a particolari tecnologie di processo o all’uso dei materiali impiegati nello specifico impianto; • analisi dei malfunzionamenti di sistemi e/o processi con possibili ripercussioni di carattere ambientale (rilasci incontrollati di sostanze inquinanti e nocive, tossiche e/o infiammabili in atmosfera o in corpi idrici, rilasci di radioattività, esplosioni e incendi, interruzioni di attività ecc.), incidenti durante trasporti pericolosi, con individuazione in termini quantitativi (quantità, tassi di fuga, tempi di reazione, durata, ecc.) delle possibili cause di perturbazione nei confronti delle componenti ambientali definite; descrizione dei sistemi preventivi e protettivi (interventi attivi e/o passivi); eventuali predisposizioni per situazioni di emergenza; • tipo e durata prevedibile degli eventuali lavori di smantellamento, con indicazione di eventuali residui atmosferici, liquidi o solidi prodotti; descrizione di eventuali possibilità di riutilizzo dell’impianto per altre finalità; trasformazione degli impianti esistenti; piani di bonifica e risanamento. Secondo quanto previsto dall’art.5 c.3, si dovranno descrivere e stimare gli effetti sull’ambiente con riferimento ai punti precedenti, nonché alle scelte progettuali e alle misure di attenuazione individuate.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
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CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
2. Centrali termiche e impianti per la produzione di energia elettrica (impianti di combustione, centrali nucleari e altri reattori nucleari) Per quanto attiene il quadro di riferimento programmatico di cui all’art.3, si terrà conto dei seguenti atti di programmazione e di pianificazione di settore e di area: • piano energetico nazionale; • eventuali altri strumenti di programmazione e di finanziamento; • piani dei trasporti; • piani regionali e di area vasta per la salvaguardia e il risanamento ambientale, piani territoriali e paesistici, piani per le attività industriali; • strumenti urbanistici locali. Per quanto riguarda il quadro di riferimento progettuale, a integrazione e specificazione di quanto disposto dall’art.4, c.4, si dovrà provvedere ai seguenti adempimenti: • elenco delle norme e disposizioni, anche di carattere locale, relative alla salvaguardia e tutela dell’ambiente e alla protezione della popolazione, che si applicano alle tecnologie impiegate nei processi produttivi o di costruzione, con riferimento in particolare alla tutela della qualità dell’aria, alla tutela delle acque, alle radiazioni ionizzanti, all’utilizzo e trasporto di sostanze infiammabili, esplosive o tossiche, alla sicurezza degli impianti, allo smaltimento dei rifiuti; • criteri delle scelte in merito alla tecnologia del ciclo termico, dei sistemi di contenimento e abbattimento degli inquinanti nelle emissioni in atmosfera e negli effluenti liquidi, dei sistemi di trattamento, condizionamento e smaltimento dei rifiuti solidi e dei sottoprodotti e del loro recupero o riciclaggio, con riferimento alle norme e disposizioni di cui sopra ed eventuali norme tecniche di settore; • descrizione dei sistemi produttivi e di processo, con particolare riferimento al sistema di generazione di vapore e/o calore, al sistema di raffreddamento della centrale, ai sistemi destinati alla prevenzione delle varie forme di inquinamento (abbattimento delle emissioni di inquinanti dell’aria depurazione degli effluenti liquidi, trattamento e smaltimento dei rifiuti solidi, riduzione di rumori e vibrazioni, ecc.) e ai sistemi di monitoraggio; • descrizione delle infrastrutture elettriche e degli elettrodotti, delle infrastrutture civili e infrastrutture di trasporto e stoccaggio di combustibili e di altri materiali di processo o di servizio (terminali portuali, carbonili, depositi, oleodotti, gasdotti o altri sistemi lineari di trasporto di materiali); • descrizione dell’utilizzo di materie prime e di risorse naturali con particolare riguardo alla sottrazione di acque di superficie o di falda; • ogni altra informazione specifica relativa a particolari tecnologie di processo o all’uso dei materiali impiegati nello specifico impianto, in relazione alle condizioni ambientali esistenti nel sito proposto per l’insediamento; • analisi dei malfunzionamenti di sistemi e/o processi con possibili ripercussioni di carattere ambientale (rilasci incontrollati di sostanze inquinanti e nocive sul suolo, infiammabili in atmosfera o in corpi idrici, esplosioni e incendi, interruzioni di attività, ecc.), nonché delle possibilità di incidenti durante trasporti pericolosi, con individuazione in termini quantitativi (quantità, tassi di fuga, tempi di reazione, durata, ecc.) delle possibili cause di perturbazione nei confronti delle componenti ambientali definite; descrizione dei sistemi preventivi e protettivi (interventi attivi e/o passivi); eventuali predisposizioni per situazioni di emergenza; • tipo e durata prevedibile degli eventuali lavori di smantellamento, con indicazione dei residui atmosferici, liquidi o solidi prodotti; descrizione di eventuali possibilità di riutilizzo dell’impianto per altre finalità; trasformazione degli impianti esistenti; piani di bonifica e risanamento; recupero a fini naturalistici.
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NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
DI TEMA 1. A.3. ATIVE IN TALE N M IE R B O M N TTO A IMPA
A 81
A.3. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE ➦ NORME TECNICHE PER LA REDAZIONE DEGLI STUDI DI IMPATTO AMBIENTALE ➦ DPCM, 27 DICEMBRE 1988 Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità di cui all’art.6 della legge 8 luglio 1986, n.349, adottate ai sensi dell’art.3 del DPCM 10 agosto 1988, n.377 Secondo quanto previsto dall’art.5 c.3, si dovranno descrivere e stimare gli effetti sull’ambiente con riferimento ai punti precedenti, nonché alle scelte progettuali e alle misure di attenuazione individuate.
3. Infrastrutture lineari di trasporto (autostrade e vie di rapida comunicazione, tronchi ferroviari per il traffico a grande distanza) Per quanto attiene il quadro di riferimento programmatico di cui all’art.3, si terrà conto dei seguenti atti di programmazione e di pianificazione di settore e di area: • piano decennale ANAS, relativi stralci attuativi piani straordinari ANAS; • piano generale dei trasporti; • piani regionali e provinciali dei trasporti; • altri strumenti di programmazione e di finanziamento; • piani regionali e di area vasta per la salvaguardia e il risanamento ambientale, piani territoriali e paesistici • strumenti urbanistici locali. Nell’indicare i tempi previsti per l’attuazione dell’intervento, l’attenzione dovrà essere posta anche sulla eventuale apertura all’esercizio della infrastruttura per tronchi, evidenziandone le conseguenze sulla rete. Per quanto riguarda il quadro di riferimento progettuale, a integrazione e specificazione di quanto disposto dall’art.4, c.4, si dovrà provvedere ai seguenti adempimenti: • nella descrizione del progetto saranno giustificate le scelte di tracciato raffrontando la soluzione prescelta con quelle delle alternative, evidenziando le motivazioni della scelta suddetta in base a parametri di carattere tecnico, economico e ambientale con riferimento in particolare a: • tracciato e profili; • soluzioni tipologiche (viadotto, galleria, scavo, rilevato, raso) e le loro relative interrelazioni; • saranno indicate la natura, la quantità e la provenienza dei materiali necessari per la costruzione dell’opera, nonché fornite indicazioni circa le cave disponibili in base alla normativa vigente e utilizzabili per quanto riguarda la loro caratterizzazione geologica e potenzialità; nel caso di cave esclusivamente aperte e utilizzate in funzione dei lavori in questione, saranno precisate le modalità tecniche a cui dovrà attenersi l’appaltatore per il risanamento delle cave stesse dopo la loro utilizzazione; • andranno altresì individuate qualità e, ove possibile, quantità dei materiali da portare alle discariche, localizzando di massima le stesse e prevedendo le modalità tecniche a cui dovrà attenersi l’appaltatore per la sistemazione delle stesse. Per quanto riguarda la fase di costruzione saranno forniti gli elementi atti a individuare i principali impatti prevedibili, indicando altresì le prescrizioni da inserire nei progetti esecutivi e nei capitolati di oneri per il contenimento di tali impatti e per il risanamento ambientale. Con riferimento all’art.5, si dovranno descrivere e stimare gli effetti connessi: • all’eventuale variazione del regime delle acque superficiali e, qualora intercettate delle acque profonde; • alle concentrazioni degli inquinanti atmosferici dovute alle sorgenti in movimento, in relazione a particolari condizioni meteo-climatiche e orografiche e in riferimento alla diversa sensibilità dei ricettori; • ai livelli di inquinamento da rumore ed eventuali vibrazioni, in relazione alla protezione delle zone abitate e di aree di riconosciuta valenza o criticità ambientale; • alle modifiche delle caratteristiche geomorfologiche del suolo e del sottosuolo indotte in conseguenza della realizzazione dell’infrastruttura; • alle conseguenze di sottrazione e limitazione d’uso di territorio e/o di aree di continuità territoriale di riconosciuta valenza o criticità ambientale; • agli effetti paesaggistici connessi alla realizzazione dell’opera, intesi anche in termini storico-testimoniali e culturale; • alle misure di contenimento dei possibili impatti connessi allo sversamento accidentale di sostanze inquinanti, in relazione alla prevedibile gravità delle conseguenze di rischio ambientale con particolare attenzione ove il tracciato interessi acque destinate all’uso potabile o comunque il cui inquinamento possa incidere sulla salute umana.
4. Aeroporti Per quanto attiene il quadro di riferimento programmatico di cui all’art.3, si terrà conto dei seguenti atti di programmazione e di pianificazione di settore e di area: • piano generale dei trasporti; • piano nazionale degli aeroporti; • piani regionali e provinciali dei trasporti; • altri strumenti di programmazione e di finanziamento; • piani regionali e di area vasta per la salvaguardia e il risanamento ambientale piani territoriali e paesistici; • strumenti urbanistici locali.
A 82
Per quanto riguarda il quadro di riferimento progettuale, a integrazione e specificazione di quanto disposto dall’art.4, c.4, si dovrà provvedere ai seguenti adempimenti: • indicare la natura, la quantità e la provenienza dei materiali necessari per la costruzione dell’opera, nonché fornire indicazioni circa le cave disponibili in base alla normativa vigente e utilizzabili per quanto riguarda la loro caratterizzazione geologica e potenzialità; nel caso di cave esclusivamente aperte e utilizzate in funzione dei lavori in questione, saranno precisate le modalità tecniche a cui dovrà attenersi l’appaltatore per il risanamento delle cave stesse dopo la loro utilizzazione; • andranno altresì individuate qualità e, ove possibile, quantità dei materiali da portare alle discariche, localizzando di massima le stesse e prevedendo le modalità tecniche a cui dovrà attenersi l’appaltatore per la sistemazione delle stesse; • descrivere i fenomeni legati all’inquinamento da rumore (predisposizione di apposita cartografia tematica in conformità alla circolare della Direzione Generale dell’aviazione civile 45/3030 n.327); • descrivere il sistema di smaltimento dei rifiuti (con indicazioni di qualità e volumi); • descrivere le infrastrutture di trasporto e stoccaggio dei combustibili e dei carburanti, nonché di merci che possono avere rilevanza dal punto di vista ambientale; • descrivere le modalità di rispetto dei vincoli sul territorio derivanti dall’applicazione della legge 4 febbraio 1963, n.58; • confrontare le omogeneità con quanto previsto dalle norme ICAO Annesso 14. Per quanto riguarda il quadro di riferimento ambientale di cui all’art.5, c.3, considerato che in fase di esercizio l’eventuale degrado della qualità ambientale indotto dall’infrastruttura aeroportuale è riconducibile all’inquinamento prodotto dalle sorgenti in movimento e all’ingombro fisico dell’opera sul territorio, nonché dalla gestione dei servizi connessi all’esercizio dell’attività operativa, lo studio dell’impatto dovrà approfondire l’analisi conoscitiva o prevista in ordine a quelle componenti che risultano più direttamente connesse.
5. Porti e vie navigabili Per quanto attiene il quadro di riferimento programmatico di cui all’art.3, si terrà conto dei seguenti atti di programmazione e di pianificazione di settore e di area: • piano generale dei trasporti, relativamente ai sistemi portuali; • codice della navigazione e regolamentazione delle attività assentite nelle acque territoriali e in quelle adiacenti soggette a giurisdizione nazionale; • piani di programmazione settoriale: nautica da diporto; pesca; portualità commerciale; • piano delle coste; • piani regionali e provinciali dei trasporti; • programmi regionali settoriali di interventi nell’ambito della pianificazione nazionale: nautica da diporto; pesca; portualità commerciale; • altri strumenti di programmazione e di finanziamento; • piani regionali e di area vasta per la salvaguardia e il risanamento ambientale, piani territoriali e paesistici di tutela dell’ambiente costiero e marino; • strumenti urbanistici locali e piano regolatore portuale. Per quanto riguarda il quadro di riferimento progettuale, a integrazione e specificazione di quanto disposto dall’art.4, c.4, si dovrà provvedere ai seguenti adempimenti: • descrivere la previsione dei flussi di traffico via mare e via terra; per questi ultimi andranno evidenziati i rapporti tra quantità e qualità delle merci e modalità di trasporto, al fine di ottimizzare la rete infrastrutturale di collegamento con il territorio e attenuare le eventuali relative interazioni ambientali; • nel caso di ampliamenti, precisare i riferimenti all’eventuale sistema portuale locale; • illustrare, anche attraverso i modelli di previsione utilizzati, le interazioni tra le opere portuali e l’assetto attuale e futuro della linea di costa; • descrivere la configurazione degli specchi acquei protetti dal bacino portuale in relazione all’interscambio con l’ambiente marino esterno, con riferimento alle esigenze di protezione del bacino stesso dal moto ondoso; • indicare la natura, la quantità e la provenienza dei materiali necessari per la costruzione dell’opera, nonché fornire indicazioni circa le cave disponibili in base alla normativa vigente e utilizzabili per quanto riguarda la loro caratterizzazione geologica e potenzialità; nel caso di cave esclusivamente aperte e utilizzate in funzione dei lavori in questione, saranno precisate le modalità tecniche a cui dovrà attenersi l’appaltatore per il risanamento delle cave stesse dopo la loro utilizzazione; • descrivere le misure atte a minimizzare il rischio di inquinamenti del corpo idrico (dilavamento di piazzali e banchine, scarichi ed emissioni provenienti dai natanti, acque di zavorra, ecc.) anche in relazione alla quantità dell’ambiente marino circostante; • individuare la natura e quantità dei materiali provenienti dai dragaggi, indicando di massima il punto di discarica terrestre o marittima e fornendo la giustificazione ambientale della scelta effettuata.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE
A.3. 1. A.ZIONI
Secondo quanto previsto dall’art.5, c.3, si dovranno descrivere e stimare gli effetti sull’ambiente con riferimento ai punti precedenti, nonché alle scelte progettuali e alle misure di attenuazione individuate.
6. Impianti tecnologici (impianti destinati esclusivamente allo stoccaggio definitivo o alla eliminazione dei residui radioattivi, impianti di eliminazione dei rifiuti tossici o nocivi mediante incenerimento, trattamento chimico o stoccaggio) Per quanto attiene il quadro di riferimento programmatico di cui all’art.3, si terrà conto dei seguenti atti di programmazione e di pianificazione di settore e di area: • piani nazionali e regionali di settore; • eventuali altri strumenti di programmazione e di finanziamento; • piani regionali e provinciali dei trasporti; • piani regionali e di area vasta per la salvaguardia e il risanamento ambientale, piani territoriali e paesistici piani per le attività industriali; • strumenti urbanistici locali. Per quanto riguarda il quadro di riferimento progettuale, a integrazione e specificazione di quanto disposto dall’art.4, c.4, si dovrà provvedere ai seguenti adempimenti: • elenco delle norme e disposizioni, anche di carattere locale, relative alla salvaguardia e tutela dell’ambiente e alla protezione della popolazione, che si applicano alle tecnologie impiegate nei processi produttivi o di costruzione, di trasporto di trattamento e di stoccaggio dei materiali; • indicazione di massima delle quantità e caratteristiche chimico-fisiche dei materiali per i quali è predisposto l’impianto; • descrizione delle infrastrutture e modalità previste per il trasporto e il conferimento dei rifiuti; • criteri nelle scelte in merito alla tecnologia del ciclo di trattamento e condizionamento, dei sistemi di contenimento e abbattimento degli inquinanti delle emissioni in atmosfera e negli effluenti liquidi, degli eventuali sottoprodotti e della loro utilizzazione con riferimento alle norme vigenti; • indicazione di massima dei volumi e quantità prodotte nell’unità di tempo, in relazione alle emissioni in atmosfera e negli effluenti liquidi, alle sostanze e ai flussi energetici eventualmente prodotti e rilasciati e al destino delle scorie finali; • infrastrutture di movimentazione, di trattamento e stoccaggio dei rifiuti e infrastrutture di servizio; • ogni altra informazione specifica relativa a particolari tecnologie di processo o all’uso dei materiali impiegati; • descrizione del consumo o utilizzo di materie prime e di risorse naturali; • analisi dei malfunzionamenti di sistemi e/o processi con possibili ripercussioni di carattere ambientale (rilasci incontrollati di sostanze inquinanti, nocive e tossiche sul suolo, in atmosfera o in corpi idrici, esplosioni e incendi, ecc.), con individuazione in termini quantitativi (quantità, tassi di fuga, durata, ecc.) delle possibili cause di perturbazione nei confronti delle componenti ambientali definite; descrizione dei sistemi preventivi e di interventi attivi e/o passivi; • sistemi di monitoraggio convenzionale e, ove necessario, radiometrico. Secondo quanto previsto dall’art.5 c.3, si dovranno descrivere e stimare gli effetti sull’ambiente con riferimento ai punti precedenti, nonché alle scelte progettuali e alle misure di attenuazione individuate.
7. Impianti di regolazione delle acque (dighe e altri impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare acqua in modo durevole). Per quanto attiene il quadro di riferimento programmatico di cui all’art.3, si terrà conto dei seguenti atti di programmazione e pianificazione: • piano generale degli acquedotti; • piano energetico nazionale; • piano agricolo nazionale; • piani di bacino; • programmi regionali settoriali; • altri strumenti di programmazione e di finanziamento; • piani regionali e di area vasta per la salvaguardia e il risanamento ambientale, piani territoriali e paesistici; • strumenti urbanistici locali. Per quanto riguarda il quadro di riferimento progettuale, a integrazione e specificazione di quanto disposto dall’art.4, c.4, si dovrà provvedere ai seguenti adempimenti: • sarà indicata la natura, la quantità e la provenienza dei materiali necessari per la costruzione dell’opera; • saranno fornite le indicazioni circa le cave disponibili in base alla normativa vigente e utilizzabili per quanto riguarda la loro caratterizzazione geologica e potenzialità; nel caso di cave esclusivamente aperte e utilizzate in funzione dei lavori in questione, saranno precisate le modalità tecniche a cui dovrà attenersi l’appaltatore per il risanamento delle cave stesse dopo la loro utilizzazione. Con riferimento all’art.5, c.3, lo studio dovrà descrivere e prevedere gli effetti possibili sull’ambiente dell’invaso e delle opere connesse, sia durante la costruzione che per il successivo esercizio, con riguardo a:
• gli effetti sul clima e sul microclima conseguenti a invasi non inferiori a 20 milioni mc di acqua e/o 100 ettari di massimo specchio liquido, salvo significativa influenza di temperatura e umidità in casi di documentata rilevanza ambientale; • le modificazioni indotte al sistema idrico di superficie e sotterraneo, sia in fase di costruzione che di esercizio, e relativi effetti, compresi quelli conseguenti sulle qualità delle acque interessate; • gli effetti sulla morfologia dei luoghi, con particolare riferimento alle oscillazioni del pelo libero dell’invaso; • le eventuali modifiche di carattere pedologico per l’area interessata; • gli effetti sulla vegetazione, flora, fauna e habitat; • gli effetti paesaggistici connessi alla realizzazione dell’opera, intesi anche in termini storico-culturali; • gli effetti prodotti dalla sottrazione fisica di aree inondate e/o inondabili; • gli effetti della sottrazione del trasporto solido sia lungo l’asta fluviale sia sui litorali; • la qualità delle acque e dello stato dei luoghi circostanti l’invaso, al fine di verificare i potenziali usi aggiuntivi degli stessi (turismo, pesca, ecc.) oltre a quello previsto; • gli effetti di antropizzazione e loro conseguenze ambientali dovute alla realizzazione della viabilità di accesso, se di uso pubblico.
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ALLEGATO IV Procedure per i progetti di centrali termoelettriche e turbogas
G.ANISTICA
Art.1. 1. La localizzazione e l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di nuove centrali termoelettriche e turbogas, da installare sulla terra ferma o nelle acque territoriali, nonché l’autorizzazione delle modifiche delle centrali termoelettriche esistenti, da effettuarsi da parte dell’ENEL, sono regolate dalle seguenti norme emanate in applicazione del secondo periodo del c.2 dell’art.17 del DPR 24 maggio 1988, n.203. Art.2. 1. Per l’applicazione delle disposizioni del presente allegato valgono le definizioni che seguono: a) sezione di centrale termoelettrica: sistema coordinato per convertire, attraverso la produzione di vapore, l’energia termica dei combustibili in energia elettrica; esso consiste essenzialmente in generatore di vapore, turbina, ciclo rigenerativo, alternatore, trasformatore, circuito di raffreddamento, sistema logistico per l’approvvigionamento dei combustibili e altri componenti; b) centrale termoelettrica: complesso di una o più sezioni termoelettriche; c) ampliamento di centrale termoelettrica: una o più sezioni termoelettriche da realizzare in area contigua alla centrale esistente; d) sezione di centrale turbogas: sistema coordinato per convertire, attraverso un ciclo ad aria, l’energia termica dei combustibili in energia elettrica; esso consiste essenzialmente in turbina a gas, alternatore e trasformatore; e) centrale turbogas: complesso di una o più sezioni turbogas; f) modifica del progetto di massima autorizzato con il decreto di cui all’art.11 o della centrale termoelettrica esistente: variazione consistente in incrementi della potenza elettrica delle sezioni esistenti, anche con turbogas in combinazione o meno con la centrale termoelettrica e/o variazione che comporti immissione di nuove sostanze estranee nell’ambiente e/o variazione che implichi occupazione di aree esterne a quelle di pertinenza della centrale.
URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
Art.3. 1. I programmi pluriennali dell’ENEL sono approvati, su proposta del Ministro dell’industria del commercio e dell’artigianato, dal CIPE. 2. In detti programmi saranno in particolare indicati: a) le aree geografiche nelle quali sia opportuno realizzare le nuove centrali termoelettriche e/o l’ampliamento di quelle esistenti, nonché le altre centrali di produzione di energia elettrica, tenendo conto del fabbisogno energetico di tali aree, anche in relazione alle esigenze di un equilibrato sviluppo economico del Paese, nonché della ubicazione delle fonti energetiche nazionali; b) i combustibili per le centrali termoelettriche, tenendo conto della necessaria diversificazione delle fonti di energia. Art.4. 1. L’ENEL, sulla base dei programmi pluriennali approvati del CIPE, tenendo conto degli indispensabili requisiti tecnici connessi con le centrali termoelettriche da realizzare, effettua gli studi relativi a ciascun sito che intende proporre per la predisposizione della documentazione di cui al c.4.
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DI TEMA 1. A.3. ATIVE IN TALE N M IE R B O M N TTO A IMPA
A 83
A.3. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE ➦ NORME TECNICHE PER LA REDAZIONE DEGLI STUDI DI IMPATTO AMBIENTALE ➦ DPCM, 27 DICEMBRE 1988 Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità di cui all’art.6 della legge 8 luglio 1986, n.349, adottate ai sensi dell’art.3 del DPCM 10 agosto 1988, n.377 2. L’ENEL informa dell’avvio dei predetti studi il Ministero dell’ambiente, il Ministero della difesa, la Regione, la Provincia e il Comune territorialmente interessati, nonché, per quanto riguarda le centrali in acque territoriali, il Ministero della marina mercantile, per consentire ai medesimi di formulare eventuali preliminari osservazioni.
3. Chiunque ne abbia interesse può fornire, nel termine di 45 giorni, a pena di decadenza, dalla pubblicazione di cui all’art.4 c.6, contributi di valutazione sul piano scientifico e tecnico attraverso la presentazione di memorie scritte strettamente inerenti l’installazione della centrale sul sito proposto e le sue conseguenze sul piano ambientale.
3. Ove sia necessario introdursi nella proprietà privata per reperire elementi occorrenti per la redazione dello studio di impatto ambientale, si applicano gli artt. 7 e 8 della legge 25 giugno 1865 n.2359. Il prescritto avviso ai proprietari sarà dato direttamente dall’ENEL.
4. Il presidente dell’inchiesta pubblica decide, in base agli argomenti trattati, sull’ammissibilità delle memorie e può svolgere audizioni con gli enti e i privati che hanno presentato le memorie ammesse. 5. L’ENEL può presentare osservazioni alle memorie presentate.
4. L’ENEL, al fine del rilascio dei provvedimenti di cui all’art.11, propone al Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato, per ciascuna centrale termoelettrica il sito ritenuto idoneo, presentando il progetto di massima della centrale stessa o del relativo ampliamento, il progetto di massima delle opere connesse e delle infrastrutture portuali, fluviali, stradali e ferroviarie ritenute necessarie, lo studio di impatto ambientale secondo lo schema predisposto dal Ministro dell’ambiente ai sensi dell’art.5 e il rapporto di sintesi del medesimo studio.
6. Entro tre mesi dall’avvenuta pubblicazione sui quotidiani da parte dell’ENEL, il presidente chiude l’inchiesta pubblica e trasmette al Ministero dell’ambiente le memorie presentate e le osservazioni dell’ENEL, con una relazione di sintesi delle attività svolte. Art.8.
5. Identica documentazione è inviata dall’ENEL al Ministero dell’ambiente, alla Regione, alla Provincia e al Comune territorialmente interessati.
1. Il Ministro dell’ambiente definisce l’istruttoria di cui all’art.6 entro 120 giorni dalla presentazione del progetto di cui al c.4 dell’art.4.
6. L’ENEL stesso dà notizia della presentazione del progetto della centrale sul più diffuso quotidiano locale e su uno nazionale, mentre Regione, Provincia e Comune mettono a disposizione del pubblico la documentazione presentata dall’ENEL.
2. Lo stes,so Ministro dell’ambiente, entro i 15 giorni successivi al termine, dell’istruttoria tecnica di cui al c.1, invia richiesta di parere alla Regione interessata, la quale dovrà renderlo entro i successivi 30 giorni, sentito il Comune territorialmente competente, anche relativamente agli aspetti di natura urbanistica.
Art.5. 1. Il Ministro dell’ambiente stabilisce lo schema in base al quale devono essere predisposti gli studi di impatto ambientale di cui all’art.4, nonché i criteri per formulare il giudizio finale di compatibilità ambientale di cui all’art.8. Art.6. 1. Il Ministro dell’ambiente, sulla base della documentazione ricevuta dall’ENEL e di cui all’art.4, promuove e attua la valutazione di impatto ambientale della centrale termoelettrica, o del relativo ampliamento, effettuando l’istruttoria tecnica e svolgendo l’inchiesta pubblica. 2. Il Ministro dell’ambiente provvede all’istruttoria tecnica anche richiedendo i pareri del Ministero dei beni culturali e ambientali, del Ministero delIa sanità, del Ministero dei lavori pubblici, della Regione, della Provincia e del Comune territorialmente interessati, ed eventualmente del Ministero della marina mercantile e del Ministero dei trasporti, che devono essere forniti entro il termine di 90 giorni. 3. Per l’espletamento dei compiti e delle funzioni istituzionali connesse con l’istruttoria tecnica, il Ministero dell’ambiente si avvale della commissione per le valutazioni d’impatto ambientale, integrata da esperti scelti nell’ambito dell’Istituto superiore di sanità, dell’ISPEL, dell’ENEA, dell’ENEA-DISP, del CNR, dei vigili del fuoco, e da tre esperti designati dalle Regioni interessate. 4. Nel caso di pareri sfavorevoli, discordanti, o mancanti entro il predetto termine, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su richiesta del Ministro dell’ambiente, convoca una Conferenza dei servizi costituita dai rappresentanti degli enti ai quali è stato chiesto il parere di cui al c.2, del Ministero dell’ambiente e del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato e all’esito della medesima Conferenza, adotta le proprie decisioni circa i pareri sfavorevoli, quelli discordanti, nonché sugli atti mancanti, comunque entro il termine di cui all’art.8, c.1. 5. Alle riunioni della commissione per le valutazioni di impatto ambientale ed alla Conferenza dei servizi partecipa, a titolo consultivo, l’ENEL. Art.7. 1. L’inchiesta pubblica ha luogo, contemporaneamente all’istruttoria tecnica, nel Comune in cui è proposta l’ubicazione della centrale, oppure, se sono interessati più Comuni, nel capoluogo di Provincia, sotto la presidenza di un magistrato della giurisdizione amministrativa con qualifica di presidente di sezione del Consiglio di Stato. Lo stesso è nominato con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, sentito il presidente della Regione interessata, subito dopo la presentazione da parte dell’ENEL degli atti di cui ai commi 4 e 5 dell’art.4.
3. Il Ministro dell’ambiente, entro 60 giorni dal termine dell’istruttoria tecnica e del parere della Regione, formula il giudizio finale di compatibilità ambientale, precisando le eventuali prescrizioni per l’esecuzione del progetto della centrale e delle relative infrastrutture. 4. Il giudizio finale di compatibilità ambientale viene comunicato ai Ministeri dei lavori pubblici, dell’industria, del commercio e dell’artigianato, della sanità, della marina mercantile, dei trasporti, alla Regione, alla Provincia, al Comune e all’ENEL. 5. Decorso il predetto termine di 60 giorni di cui al c.3, senza che il Ministro dell’ambiente si sia pronunciato, il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato può proseguire la procedura autorizzativa della centrale proposta ai sensi del c.3 dell’art.11. Art.9. 1. L’ENEL, contemporaneamente alla procedura di cui agli artt. 6, 7 e 8, svolge l’istruttoria sugli interventi socio-economici connessi con la costruzione e l’esercizio della centrale proposta e definisce i relativi accordi con la Regione, la Provincia e il Comune per gli oneri da assumere a carico dell’ENEL e delle altre parti contraenti. 2. L’ENEL con tali accordi, oltre a disciplinare la corresponsione del contributo di cui all’art.15 della legge 2 agosto 1975, n.393, può assumere oneri per interventi di natura infrastrutturale e di riequilibrio economico e ambientale connessi con la costruzione e l’esercizio della centrale proposta. 3. L’ENEL, entro 180 giorni dalla presentazione della documentazione di cui all’art.4, trasmette al Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato, le risultanze dell’istruttoria e gli accordi che siano stati definiti sugli interventi socio-economici con la Regione, la Provincia e il Comune. 4. La mancanza della definizione degli accordi socio-economici non impedisce la prosecuzione della procedura autorizzativa. 5. L’efficacia degli accordi definiti rimane condizionata al rilascio dell’autorizzazione di cui all’art.11. Art.10. 1. Il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, ricevuta la documentazione presentata dall’ENEL di cui all’art.4, chiede il parere del Ministero della difesa e del Ministero dell’interno, che devono essere forniti entro il termine di 90 giorni. 2. In mancanza di risposta entro 90 giorni, i pareri s’intendono favorevoli. Art.11.
2. Il presidente dell’inchiesta pubblica è assistito da 3 esperti designati dal Ministero dell’ambiente e da 3 esperti, di comprovata competenza nel settore, designati rispettivamente dalla Regione, dalla Provincia e dal Comune interessati, alla cui nomina si provvede con il medesimo provvedimento di cui al c.1.
A 84
1. Il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, entro i quindici giorni successivi all’ultimo degli adempimenti di cui agli artt.6, 7, 8, 9 e 10, localizza e autorizza la costruzione e l’esercizio della centrale termoelettrica, o del suo
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE
A.3. 1. A.ZIONI
ampliamento, secondo il progetto di massima proposto e il giudizio finale di compatibilità ambientale, indicando le relative prescrizioni, anche per gli impegni di natura socio-economica a carico dell’ENEL non ancora definiti con la Regione, la Provincia e il Comune.
Art.14. 1. Si applica l’art.13 anche alla costruzione e all’esercizio di: a) modifiche delle centrali turbogas;
2. Tra i predetti impegni di natura socio-economica possono essere indicati nello stesso decreto quelli per i quali l’ENEL deve anticipare il finanziamento per conto dello Stato e/o degli enti pubblici competenti. 3. Se il parere della Regione di cui al c.2 dell’art.8 è stato negativo o comunque non è stato espresso entro i 30 giorni successivi alla richiesta, o nei casi previsti dal c.5 dell’art.8, può provvedersi alla localizzazione, sotto il profilo urbanistico e ambientale, della centrale proposta, previa delibera del Consiglio dei ministri, con DPCM su proposta del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato. 4. A seguito del DPCM di cui al c.3, il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, autorizza la costruzione e l’esercizio della centrale proposta, indicando le necessarie prescrizioni anche per gli aspetti ambientali ove si sia proceduto in assenza del giudizio finale di compatibilità ambientale e delle relative prescrizioni di cui al c.3 dell’art.8. Art.12. 1. Il provvedimento di localizzazione, di cui all’art.11, emesso dal Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato o dal Presidente del Consiglio dei Ministri, assume valore di dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità delle opere e, anche in presenza di vincoli di qualsiasi genere riguardanti il territorio interessato dall’insediamento ha effetto di variante del piano regolatore comunale e del piano regolatore portuale e dell’area di sviluppo industriale e sostituisce la concessione edilizia comunale, nonché i provvedimenti previsti dalla seguente normativa: • art.9, legge 10 maggio 1976, n.319 (scarico acque); • art.14, legge 24 dicembre 1979, n.650 (scarico acque); • art.48, DPR 19 marzo 1956, n.303 (igiene del lavoro); • art.17, legge 24 dicembre, 1976, n.898 (servitù militare); • art.714, RD 30 marzo 1942, n.327 (segnalazione ostacoli al volo); • art.7, legge 29 giugno 1939, n.1497 e art.82, c.9, DPR 24 luglio 1977, n.616, come introdotto dalla legge 8 agosto 1985, n.431 (costruzione in zone di particolare interesse paesistico); • art.6, legge 8 luglio 1986, n.349 (parere di conformità ambientale); • art.55, RD 30 marzo 1942, n.327 (costruzione in fascia di rispetto); • art.221, RD 27 luglio 1934, n.1265 (licenza di agibilità comunale); • art.216, RD 27 luglio 1934, n.1265 (attivazione impianto industriale). Art.13. 1. Le modifiche del progetto di massima autorizzato con il decreto di cui all’art.11 devono essere autorizzate, ai fini della costruzione e dell’esercizio, dal Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato su istanza dell’ENEL in adempimento dei commi successivi. 2. Una apposita Commissione presso il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato, composta da rappresentanti dei Ministeri dell’ambiente, dei beni culturali e ambientali, della sanità e dei lavori pubblici, valuta le modifiche richieste ed eventualmente indica i Ministeri, tra quelli interessati dalla procedura e di cui agli artt. 6, c.2 e 10, che devono rilasciare il parere ai fini dell’autorizzazione del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato. 3. Nel caso di pareri sfavorevoli, discordanti o mancanti, entro il termine di 90 giorni dall’istanza dell’ENEL, si applica il c.4 dell’art.6.
b) modifiche delle centrali termoelettriche esistenti; c) modifiche delle centrali termoelettriche in costruzione alla data di entrata in vigore delle presenti disposizioni. 2. Per le modifiche comportanti incrementi di potenza elettrica e per la costruzione di centrali turbogas si applica l’art.15 della legge 2 marzo 1975, n.393. 3. Le modifiche che non rientrano nella definizione di cui all’art.2 non richiedono per la loro esecuzione né le autorizzazioni di cui alle presenti disposizioni né la concessione edilizia comunale, né altre autorizzazioni previste dalla legislazione regionale.
Art.15. 1. Le amministrazioni pubbliche devono adottare gli atti d’intesa, le autorizzazioni, le approvazioni, i nulla osta e i pareri di rispettiva competenza, non previsti dalle presenti disposizioni, entro il termine di 90 giorni a decorrere dalla data della relativa richiesta. 2. Decorso infruttuosamente il termine di cui al c.1 o in presenza di atti sfavorevoli, si applicano i c.4 e 5 dell’art.6.
Art.16.
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
1. I pareri espressi in base alle presenti norme si intendono sostitutivi di quelli previsti dalle particolari autorizzazioni prescritte per le le seguenti opere o attività dalla normativa a fianco di ciascuna indicata: a) deposito olii combustibili e oleodotto (legge 8 febbraio 1934, n.367; RD 20 luglio 1934, n.1303); b) opere di presa e scarico acqua di raffreddamento (RD 30 marzo 1942, n.327; DPR 15 febbraio 1952, n.328; RD 11 dicembre 1933, n.1775; RD 14 agosto 1920 n.1285); c) opere portuali (RD 30 marzo 1942, n.327; DPR 15 febbraio 1952, n.328).
Art.17. 1. Per la messa in esercizio delle centrali termoelettriche, delle centrali turbogas e delle relative modifiche che comportano immissione di nuove sostanze estranee nell’ambiente, nonché per le attività di controllo, si applicano agli artt. 8, 9, 10 e 11 del DPR 24 maggio 1988, n.203, così come modificati dall’art.17 del medesimo decreto.
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
2. Con riferimento all’art.9 del DPR 24 maggio 1988, n.203, l’autorità competente per il controllo è la Provincia. Art.18. 1. Per le centrali termoelettriche da installare nelle acque territoriali le presenti, disposizioni si applicano con le seguenti modifiche: a) gli enti territorialmente competenti ai fini degli artt. 4, 6, 7, 8 e 9 si identificano nella Regione prospiciente la zona delle acque territoriali interessata dalla centrale termoelettrica e nel Comune sul cui territorio insistono le opere accessorie e provvisionali al progetto; b) gli altri artt. delle presenti disposizioni si intendono modificati, conseguentemente.
4. Le modifiche del progetto di massima autorizzato che implicano occupazioni di aree esterne a quelle di pertinenza della centrale vengono autorizzate, attuando la procedura di cui ai commi 2 e 3, con decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato previo parere della Regione interessata, la quale dovrà renderlo, sentito il Comune territorialmente competente.
Art.19.
5. Se il parere della Regione è negativo o comunque non è espresso entro 90 giorni dal ricevimento da parte della Regione della richiesta del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato, si applicano i commi 2 e 3 dell’art.11.
Art.20.
6. L’autorizzazione alle modifiche ottenuta ai sensi del presente art.ha gli effetti di cui all’art.12.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
1. Sono fatti salvi i poteri delle Regioni a statuto speciale e delle Provincie di Trento e Bolzano.
1. Le presenti disposizioni non si applicano, con eccezione degli artt. da 12 a 16, alle centrali termoelettriche e turbogas autorizzate, alla data dell’entrata in vigore delle medesime disposizioni, con decreto di cui all’art.5 della legge 18 dicembre 1973, n.880.
DI TEMA 1. A.3. ATIVE IN TALE N M IE R B O M N TTO A IMPA
A 85
A.3. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE
SCHEDE SINTETICHE – (DPCM 27 dicembre 1988) Queste tavole rappresentano una sintesi delle norme contenute del DPCM 27 dicembre 1988, nell'intento di fornire uno strumento di facile consultazione e individuazione della materia di interesse specifico. DOCUMENTAZIONE DEGLI STUDI DI IMPATTO AMBIENTALE [ art.2] Il committente è tenuto ad allegare alla domanda di pronuncia sulla compatibilità ambientale, in tre copie al Ministro dell'ambiente e due rispettivamente al Ministro per i beni culturali e ambientali e alla Regione interessata, i seguenti atti:
QUADRO DI RIFERIMENTO PROGRAMMATICO [art.3]
1.
Il quadro di riferimento programmatico in particolare comprende: a. la descrizione del progetto in relazione agli stati di attuazione degli strumenti pianificatori, di settore e territoriali, nei quali è inquadrabile il progetto stesso; per le opere pubbliche sono precisate le eventuali priorità ivi predeterminate;
a. studio di impatto ambientale articolato secondo i quadri di riferimento di cui ai 1. successivi artt. [Tab. A.4.1. d, e, f] b. gli elaborati di progetto;
2.
c. una sintesi non tecnica destinata all'informazione al pubblico, con allegati grafici di agevole riproduzione; d. la documentazione attestante l'avvenuta pubblicazione ai sensi dell'art.1, c.1, del DPCM 377/1988.
b. altri eventuali documenti ritenuti utili dal committente o richiesti dalla commissione di valutazione di cui all'art.18 della legge 11 marzo 1988, n.67, per particolari progetti; c. indicazione della legislazione vigente e della regolamentazione di settore concernente la realizzazione e l'esercizio dell'opera, degli atti necessari alla realizzazione dell'intervento, precisando quelli già acquisiti e quelli da acquisire; 2. d. esposizione sintetica delle eventuali difficoltà, lacune tecniche o mancanza di conoscenze, incontrate dal committente nella raccolta dei dati richiesti. Il giudizio di compatibilità ambientale è reso, tenuto conto degli studi effettuati dal committente, previa valutazione degli effetti dell'opera sul sistema ambientale con riferimento progammatico, progettuale e ambientale e in funzione della conseguente attività istruttoria della pubblica amministrazione. Lo studio di impatto ambientale dell'opera è redatto conformemente alle prescrizioni relative ai quadri di riferimento programmatico, progettuale e ambientale e in funzione della conseguente attività istruttoria della pubblica amministrazione
Il quadro di riferimento descrive inoltre: 3. a. l'attualità del progetto e la motivazione delle eventuali modifiche apportate dopo la sua originaria concezione; b. le eventuali disarmonie di previsione contenute in distinti strumenti programmatori. 4.
I dati e le informazioni ai quali si applica la vigente disciplina a tutela del segreto industriale sono esclusi dalla 4. pubblicità di cui all'art.5 del DPCM 10 agosto 1988, n.377, ed essi possono essere trasmessi con plico separato.
A 86
I dati e le informazioni ai quali si applica la vigente disciplina a tutela del segreto industriale sono esclusi dalla pubblicità di cui all'art.5 del DPCM 10 agosto 1988, n.377, ed essi possono essere trasmessi con plico separato. QUADRO DI RIFERIMENTO PROGETTUALE [ art.4]
Il "quadro di riferimento progettuale" descrive il progetto e le soluzioni adottate, nonché l'inquadramento del territorio, inteso come sito e come area vasta interessati. Esso consta di due distinte parti: • la prima [di cui ai punti 2 e 3] esplicita le motivazioni assunte dal proponente nella definizione del progetto; 1. • la seconda [di cui al punto 4] descrive le motivazioni tecniche delle scelte progettuali nonché misure, provvedimenti e interventi anche non strettamente riferibili al progetto, che il proponente intende adottare ai fini di un migliore inserimento dell'opera nell'ambiente. Il "quadro di riferimento progettuale" precisa le caratteristiche dell'opera progettata con particolare riferimento a: a. natura dei beni e/o servizi offerti; b. grado di copertura della domanda in rapporto alle alternative progettuali esaminate, compresa l'ipotesi di assenza dell'intervento; 2. c. previsioni di evoluzione qualitativa e quantitativa del rapporto domanda-offerta riferita alla presumibile vita tecnica ed economica dell'intervento; d. articolazione delle attività necessarie alla realizzazione dell'opera in fase di cantiere e di quelle che caratterizzano l'esercizio; e. criteri che hanno guidato le scelte progettuali in relazione alle previsioni delle trasformazioni territoriali di breve e lungo periodo conseguenti alla realizzazione dell'intervento, delle infrastrutture di servizio e dell'indotto 3.
Per le opere pubbliche si illustrano i risultati dell'analisi costi-benefici, ove richiesta dalla normativa vigente, e si evidenziano gli elementi considerati, i valori unitari assunti, il tasso di redditività dell'investimento. Nel "quadro di riferimento progettuale" si descrivono inoltre: a. le caratteristiche tecniche e fisiche del progetto e le aree occupate durante la fase di costruzione e di esercizio; b. l'insieme dei condizionamenti e vincoli di cui si è dovuto tenere conto nella redazione del progetto e in particolare: 1) le norme tecniche che regolano la realizzazione dell'opera; 2) le norme e le prescrizioni di strumenti urbanistici, piani paesistici e territoriali e piani di settore; 3) i vincoli paesaggistici, naturalistici, architettonici, archeologici, storico-culturali, demaniali e idrogeologici, servitù e altre limitazioni alla proprietà; 4) i condizionamenti indotti dalla natura e vocazione dei luoghi e da particolari esigenze di tutela ambientale;
4. L'esattezza delle allegazioni è attestata da apposita dichiarazione giurata resa dai professionisti iscritti agli albi profes3. sionali, ove esistenti, ovvero dagli esperti che firmano lo studio di impatto ambientale.
b. la descrizione dei rapporti di coerenza del progetto con gli obiettivi perseguiti dagli strumenti pianificatori, evidenziando, con riguardo all'area interessata: • le eventuali modificazioni intervenute con riguardo alle ipotesi di sviluppo assunte a base delle pianificazioni; • l'indicazione degli interventi connessi, complementari o serventi quello proposto, con le eventuali previsioni temporali di realizzazione; c. l'indicazione dei tempi di attuazione dell'intervento e delle eventuali infrastrutture a servizio e complementari.
Lo studio di impatto è inoltre corredato da: a. documenti cartografici in scala adeguata e in particolare carte geografiche generali e speciali, carte tematiche, carte tecniche; foto aeree; tabelle; grafici ed eventuali stralci di documenti; fonti di riferimento;
Il "quadro di riferimento programmatico" fornisce gli elementi conoscitivi sulle relazioni tra l'opera progettata e gli atti di pianificazione e programmazione territoriale e settoriale, che costituiscono parametri di riferimento per la costruzione del giudizio di compatibilità ambientale. Il giudizio di compatibilità ambientale non si applica ai contenuti dei suddetti atti di pianificazione e programmazione, né alla conformità dell'opera ai medesimi.
c. le motivazioni tecniche della scelta progettuale e delle principali alternative prese in esame, opportunamente descritte, con particolare riferimento a: 1) le scelte di processo per gli impianti industriali, per la produzione di energia elettrica e per lo smaltimento di rifiuti; 2) le condizioni di utilizzazione di risorse naturali e di materie prime direttamente e indirettamente utilizzate o interessate nelle diverse fasi di realizzazione del progetto e di esercizio dell'opera; 3) le qualità e le caratteristiche degli scarichi idrici, dei rifiuti, delle emissioni nell'atmosfera in riferimento alle diverse fasi di attuazione del progetto e di esercizio dell'opera; 4) le necessità progettuali di livello esecutivo e le esigenze gestionali imposte o da ritenersi a seguito dell'analisi ambientale; d. le eventuali misure non strettamente riferibili al progetto o provvedimenti di carattere gestionale che si ritiene opportuno adottare per contenere gli impatti sia nel corso della fase di costruzione, che di esercizio; e. gli interventi di ottimizzazione dell'inserimento nel territorio e nell'ambiente; f. gli interventi tesi a riequilibrare eventuali scompensi indotti sull'ambiente.
Per gli Impianti industriali sottoposti alla procedura di cui al DPR 17 maggio 1988 n.175, gli elementi richiesti ai commi pre5. cedenti che siano compresi nel "rapporto di sicurezza" di cui all'art.5 del citato decreto possono essere sostituiti dalla presentazione di copia del rapporto medesimo.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE
A.3. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
QUADRO DI RIFERIMENTO AMBIENTALE [ art.5]
B.ATTERISTICLHI EDELLE
1. Per il "quadro di riferimento ambientale" lo studio di impatto è svolto secondo criteri descrittivi, analitici e previsionali Con riferimento alle componenti ambientali e ai fattori ambientali interessati dal progetto, secondo quanto indicato all'allegato III integrato, ove necessario e d'intesa con l'amministrazione proponente, ai fini della valutazione globale di impatto, dalle componenti e fattori descritti negli allegati I e II, il quadro di riferimento ambientale: a. definisce l'ambito territoriale – sito e area vasta – e i sistemi ambientali interessati dal progetto, direttamente e indirettamente, entro cui è da presumere che possano manifestarsi effetti significativi sulla qualità degli stessi; 2. b. descrive i sistemi ambientali interessati, ponendo in evidenza l'eventuale criticità degli equilibri esistenti; c. individua le aree, le componenti e i fattori ambientali e le relazioni tra essi che manifestano caratteri di eventuale criticità, ed evidenzia gli approfondimenti di indagine necessari al caso specifico; d. documenta gli usi plurimi previsti delle risorse, la priorità negli usi delle medesime e gli usi potenziali indotti dalla realizzazione del progetto;
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
e. documenta i livelli di qualità preesistenti all'intervento per ciascuna componente ambientale implicata e i fenomeni di degrado in atto.
PRO TTURALE STRU
In relazione alle peculiarità dell'ambiente interessato rilevate dalle analisi di cui ai precedenti c., nonché agli approfondimenti necessari per la tipologia di intervento proposto [v. Tabb. A.4.1. – g, h, i, l, m, n, o – seguenti; v. anche allegato III al DPCM 27 dicembre 1988 e ], il quadro di riferimento ambientale:
E.NTROLLO
a. stima qualitativamente e quantitativamente gli impatti indotti dall'opera sul sistema ambientale e le interazioni degli impatti con le diverse componenti e fattori ambientali anche in relazione ai rapporti esistenti tra essi; 3.
CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
b. descrive le modificazioni delle condizioni d'uso e della fruizione potenziale del territorio, in rapporto alla situazione preesistente; c. descrive la prevedibile evoluzione, a seguito dell'intervento, delle componenti e dei fattori ambientali, delle relative interazioni e del sistema ambientale complessivo; d. descrive e stima la modifica, sia nel breve che nel lungo periodo, dei livelli di qualità preesistenti in relazione agli approfondimenti prescritti;
G.ANISTICA
e. definisce gli strumenti di gestione e controllo e, ove necessario, le reti di monitoraggio ambientale, documentando la localizzazione dei punti di misura e i parametri;
URB
f. illustra i sistemi di intervento nell'ipotesi di manifestarsi di emergenze particolari.
ALLEGATO II – CARATTERIZZAZIONE E ANALISI DELLE COMPONENTI E DEI FATTORI AMBIENTALI 1.
Le analisi, riferite a situazioni rappresentative e articolate secondo i criteri descritti all’art.5, sono svolte in relazione al livello di approfondimento necessario per la tipologia d'intervento proposta e le peculiarità dell'ambiente interessato, attenendosi, per ciascuna delle componenti o fattori ambientali, ai criteri indicati. Ogni qualvolta le analisi indicate non siano effettuate sarà brevemente precisata la relativa motivazione d'ordine tecnico.
2.
I risultati delle indagini e della stima verranno espressi dal punto di vista metodologico, mediante parametri definiti (esplicitando per ognuno di essi il metodo di rilevamento e di elaborazione) che permettano di effettuare confronti significativi tra situazione attuale e situazione prevista.
3.
Le analisi di cui al presente allegato, laddove lo stato dei rilevamenti non consenta una rigorosa conoscenza dei dati per la caratterizzazione dello stato di qualità dell'ambiente, saranno svolte attraverso apposite rilevazioni e/o l'uso di adeguati modelli previsionali.
4.
In relazione ai c.1 e 2 potranno anche essere utilizzate esperienze di rilevazione effettuate in fase di controllo di analoghe opere già in esercizio.
ATMOSFERA
Obiettivo della caratterizzazione dello stato di qualità dell’aria e delle condizioni meteoclimatiche è quello di stabilire la compatibilità ambientale sia di eventuali emissioni, anche da sorgenti mobili, con le normative vigenti sia di eventuali cause di perturbazione meteoclimatiche con le condizioni naturali. Le analisi concernenti l'atmosfera sono pertanto effettuate attraverso:
a.
i dati meteorologici convenzionali (temperatura, precipitazioni, umidità relativa, vento), riferiti a un periodo di tempo significativo, nonché eventuali dati supplementari (radiazione solare, ecc.) e dati di concentrazione di specie gassose e di materiale particolato;
B.
c.
la caratterizzazione preventiva dello stato di qualità dell'aria (gas e materiale particolato);
d. la localizzazione e caratterizzazione delle fonti inquinanti;
AMBIENTE IDRICO
Obiettivo della caratterizzazione delle condizioni idrografiche, idrologiche e idrauliche, dello stato di qualità e degli usi dei corpi idrici è: 1) stabilire la compatibilità ambientale, secondo la normativa vigente, delle variazioni quantitative (prelievi, scarichi) indotte dall'intervento proposto; 2) stabilire la compatibilità delle modificazioni fisiche, chimiche e biologiche, indotte dall'intervento proposto, con gli usi attuali, previsti e potenziali, e con il mantenimento degli equilibri interni a ciascun corpo idrico, anche in rapporto alle altre componenti ambientali. Le analisi concernenti i corpi idrici riguardano: a.
la caratterizzazione dello stato fisico dell'atmosfera attraverso la definizione di b. parametri quali: regime anemometrico, regime pluviometrico, condizioni di umidità dell'aria, termini di bilancio radiativo ed energetico;
NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
La caratterizzazione e l'analisi delle componenti ambientali e le relazioni tra essi esistenti riguardano: A.
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P
la caratterizzazione qualitativa e quantitativa del corpo idrico nelle sue diverse matrici;
la determinazione dei movimenti delle masse d'acqua, con particolare riguardo ai regimi fluviali, ai fenomeni ondosi e alle correnti marine, e alle relative eventuali modificazioni indotte dall'intervento. b. Per i corsi d'acqua si dovrà valutare, in particolare, l'eventuale effetto di alterazione del regime idraulico e delle correnti. Per i laghi e i mari si dovrà determinare l'effetto eventuale sul moto ondoso e sulle correnti;
e.
la previsione degli effetti del trasporto (orizzontale e verticale) degli effluenti mediante modelli di diffusione in atmosfera;
c.
la caratterizzazione del trasporto solido naturale, senza e con intervento, anche con riguardo alle erosioni delle coste e agli interrimenti;
previsioni degli effetti delle trasformazioni fisico-chimiche degli effluenti attraverso modelli atmosferici dei processi di trasformazione (fotochimica, od in fase liquida) e di rimozione (umida e secca), applicati alle particolari caratteristiche del territorio.
d.
la stima del carico inquinante, senza e con intervento, e la localizzazione e caratterizzazione delle fonti;
f.
e. la definizione degli usi attuali, ivi compresa la vocazione naturale, e previsti.
➥
DI TEMA 1. A.3. ATIVE IN TALE N M IE R B O M N TTO A IMPA
A 87
A.3. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE ➦ NORME TECNICHE PER LA REDAZIONE DEGLI STUDI DI IMPATTO AMBIENTALE ➦ SCHEDE SINTETICHE – (DPCM 27 dicembre 1988) – ALLEGATO II – CARATTERIZZAZIONE E ANALISI DELLE COMPONENTI E DEI FATTORI AMBIENTALI C.
SUOLO E SOTTOSUOLO
Obiettivi della caratterizzazione del suolo e del sottosuolo sono: l'individuazione delle modifiche che l'intervento proposto può causare sulla evoluzione dei processi geodinamici esogeni e la determinazione della compatibilità delle azioni progettuali con l'equilibrata utilizzazione delle risorse naturali.
E.
ECOSISTEMI
Obiettivo della caratterizzazione del funzionamento e delle qualità di un sistema ambientale è quello di stabilire gli effetti significativi determiinati dall’opera sull’ecosistema e sulle formazioni ecosistemiche presenti al suo interno. Le analisi concernenti gli ecosistemi sono effettuate attraverso:
Le analisi concernenti il suolo e il sottosuolo sono pertanto effettuate, in ambiti territoriali e temporali adeguati al tipo di intervento e allo stato dell'ambiente interessato, attraverso: a.
la caratterizzazione geolitologica e geostrutturale del territorio, la definizione della sismicità dell'area e la descrizione di eventuali fenomeni vulcanici;
b.
la caratterizzazione idrogeologica dell'area coinvolta direttamente e indirettamente dall'intervento, con particolare riguardo per l'infiltrazione e la circolazione delle acque nel sottosuolo, la presenza di falde idriche sotterranee e relative emergenze (sorgenti, pozzi), la vulnerabilità degli acquiferi;
la caratterizzazione geomorfologica e la individuazione dei processi di modellamento in atto, con particolare rigardo per i fenomeni di erosione e di sedimentac. zione e per i movimenti in massa (movimenti lenti nel regolite, frane), nonché per le tendenze evolutive dei versanti, delle piane alluvionali e dei litorali eventualmente interessati; d.
la determinazione delle caratteristiche geotecniche dei terreni e delle rocce, con riferimento ai problemi di instabilità dei pendii;
la caratterizzazione pedologica dell'area interessata dall'opera proposta con particolare riferimento alla composizione fisico-chimica del suolo, ,alla sua componente e. biotica e alle relative interazioni, nonché alla genesi, alla evoluzione e alla capacità d'uso del suolo; la caratterizzazione geochimica delle fasi solide (minerali, sostanze organiche) e fluide (acqua, gas) presenti nel suolo e nel sottosuolo, con particolare riferimento agli elementi e composti naturali di interesse nutrizionale e tossicologico. Ogni caratteristica e ogni fenomeno geologico, geomorfologico e geopedologico saranno esaminati come effetto della dinamica endogena ed esogena, nonché delle attività umane, e quindi come prodotto di una serie di trasformazioni il cui f. risultato è rilevabile al momento dell'osservazione ed è prevedibile per il futuro, sia in assenza che in presenza dell'opera progettata. In questo quadro saranno definiti, per l'area vasta in cui si inserisce l'opera, i rischi geologici (in senso lato) connessi a eventi variamente prevedibili (sismici, vulcanici, franosi, meteorologici, marini, ecc.) e caratterizzati da differente entità in relazione all'attività umana nel sito prescelto. D.
VEGETAZIONE, FLORA E FAUNA
La caratterizzazione dei livelli di qualità della vegetazione, della flora e della fauna presenti nel sistema ambientale interessato dall'opera è compiuta tramite lo studio della situazione presente e della prevedibile incidenza su di esse delle azioni progettuali, tenendo presenti i vincoli derivanti dalla normativa e il rispetto degli equilibri naturali.
a.
la caratterizzazione almeno qualitativa della struttura degli ecosistemi stessi attraverso la descrizione delle rispettive componenti abiotiche e biotiche e della b. dinamica di essi, con particolare riferimento sia al ruolo svolto dalle catene alimentari sul trasporto, sull’eventuale accumulo e trasferimento ad altre specie e all’uomo di contaminanti, che al grado di autodepurazione di essi. c.
fauna: • lista della fauna vertebrata presumibile (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci) sulla base degli areali, degli habitat presenti e della documentazione disponibile; • lista della fauna invertebrata significativa potenziale (specie endemiche o comunque di interesse biogeografico) sulla base della documentazione disb. ponibile; • quando il caso lo richieda, rilevamenti diretti della fauna vertebrata realmente presente, mappa delle aree di importanza faunistica (siti di produzione, di rifugio, di svernamento, di alimentazione, di corridoi di transito, ecc.) anche sulla base di rilevamenti specifici; • quando il caso lo richieda, rilevamenti diretti della fauna invertebrata presente nel sito direttamente interessato dall'opera e negli ecosistemi acquatici interessati.
A 88
quando il caso lo richieda, rilevamenti diretti sul grado di maturità degli ecosistemi e sullo stato di qualità di essi;
la stima della diversità biologica tra la situazione attuale e quella potenzialmente presente nell'habitat in esame, riferita alle specie più significative (fauna vertebrata, vegetali vascolari e macroinvertebrati acquatici). In particolare si confrond. terà la diversità ecologica presente con quella ottimale ipotizzabile in situazioni analoghe a elevata naturalità; la criticità verrà anche esaminata analizzando le situazioni di alta vulnerabilità riscontrate in relazione ai fattori di pressione esistenti e allo stato di degrado presente. F.
SALUTE PUBBLICA
Obiettivo della caratterizzazione dello stato di qualità dell'ambiente, in relazione al benessere e alla salute umana, è quello di verificare la compatibilità delle conseguenze dirette e indirette delle opere e del loro esercizio con gli standard e i criteri per la prevenzione dei rischi riguardanti la salute umana a breve, medio e lungo periodo. Le analisi sono effettuate attraverso: la caratterizzazione dal punto di vista della salute umana, dell'ambiente e della a. comunità potenzialmente coinvolti, nella situazione in cui si presentano prima dell'attuazione del progetto;
b.
l'identificazione e la classificazione delle cause significative di rischio per la salute umana da microrganismi patogeni, da sostanze chimiche e componenti di natura biologica, qualità di energia, rumore, vibrazioni, radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, connesse con l'opera;
la identificazione dei rischi eco-tossicologici (acuti, e cronici, a carattere reversic. bile e irreversibile) con riferimento alle normative nazionali, comunitarie e internazionali e la definizione dei relativi fattori di emissione; la descrizione del destino degli inquinanti considerati, individuati attraverso lo d. studio del sistema ambientale in esame, dei processi di dispersione, diffusione, trasformazione e degradazione e delle catene alimentari; e.
l'identificazione delle possibili condizioni di esposizione delle comunità e delle relative aree coinvolte;
f.
l'integrazione dei dati ottenuti nell'ambito delle altre analisi settoriali e la verifica della compatibilità con la normativa vigente e dei livelli di esposizione previsti;
g.
la considerazione degli eventuali gruppi di individui particolarmente sensibili e dell'eventuale esposizione combinata a più fattori di rischio.
Le analisi sono effettuate attraverso: vegetazione e flora: • carta della vegetazione presente, espressa come essenze dominanti sulla base di analisi aerofotogrammetriche e di rilevazioni fisionomiche dirette; • flora significativa potenziale (specie e popolamenti rari e protetti, sulla base dela. le formazioni esistenti e del clima); • carta delle unità forestali e di uso pastorale; • liste delle specie botaniche presenti nel sito direttamente interessato dall'opera; • quando il caso lo richieda rilevamenti fitosociologici nell'area di intervento.
l’individuazione cartografica delle unità ecosistemiche naturali e antropiche presenti nel territorio interessato dall’intervento.
Per quanto riguarda le infrastrutture di trasporto, l'indagine dovrà riguardare la definizione dei livelli di qualità e di sicurezza delle condizioni di esercizio, anche con riferimento a quanto sopra specificato. G. RUMORE E VIBRAZIONI La caratterizzazione della qualità dell'ambiente in relazione al rumore dovrà consentire di definire le modifiche introdotte dall'opera, verificarne la compatibilità con gli standard esistenti, con gli equilibri naturali e la salute pubblica da salvaguardare e con lo svolgimento delle attività antropiche nelle aree interessate, attraverso: la definizione della mappa di rumorosità secondo le modalità precisate nelle a. Norme internazionali ISO 1996/1 e 1996/2 e stima delle modificazioni a seguito della realizzazione dell'opera; definizione delle fonti di vibrazioni con adeguati rilievi di accelerazione nelle tre direb. zioni fondamentali e con caratterizzazione in termini di analisi settoriale e occorrenza temporale secondo le modalità previste nella Norma internazionale ISO 2631.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE
A.3. 1. A.ZIONI
H.
RADIAZIONI IONIZZANTI E NON IONIZZANTI
La caratterizzazione della qualità dell'ambiente in relazione alle radiazioni ionizzanti e non ionizzanti dovrà consentire la definizione delle modifiche indotte dall'opera, verificarne la compatibilità con gli standard esistenti e con i criteri di prevenzione di danni all'ambiente e all'uomo, attraverso: a.
la descrizione dei livelli medi e massimi di radiazioni presenti nell'ambiente interessato, per cause naturali e antropiche, prima dell'intervento;
la definizione e caratterizzazione delle sorgenti e dei livelli di emissione di radiab. zioni prevedibili in conseguenza dell'intervento; la definizione dei quantitativi emessi nell'unità di tempo e del destino del matec. riale (tenendo conto delle caratteristiche proprie del sito) qualora l'attuazione dell'intervento possa causare il rilascio nell'ambiente di materiale radioattivo; d.
la definizione dei livelli prevedibili nell'ambiente a seguito dell'intervento sulla base di quanto precede, per i diversi tipi di radiazione;
e.
la definizione dei conseguenti scenari di esposizione e la loro interpretazione alla luce dei parametri di riferimento rilevanti (standard, criteri di accettabilità, ecc.).
I.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
PAESAGGIO
Obiettivo della caratterizzazione della qualità del paesaggio con riferimento sia agli aspetti storico-testimoniali e culturali, sia agli aspetti legati alla percezione visiva, è quello di definire le azioni di disturbo esercitate dal progetto e le modifiche introdotte in rapporto alla qualità dell'ambiente. La qualità del paesaggio è pertanto determinata attraverso le analisi concernenti: a.
il paesaggio nei suoi dinamismi spontanei, mediante l'esame delle componenti naturali così come definite alle precedenti componenti;
le attività agricole, residenziali, produttive turistiche, ricreazionali, le presenze b. infrastrutturali, le loro stratificazioni e la relativa incidenza sul grado di naturalità presente nel sistema; c. le condizioni naturali e umane che hanno generato l'evoluzione del paesaggio; lo studio strettamente visivo e culturale semiologico del rapporto tra soggetto e d. ambiente, nonché delle radici della trasformazione e creazione del paesaggio da parte dell'uomo; e. i piani paesistici e territoriali;
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
Con riferimento alle categorie di opere elencate nell'art.1 del DPCM 377/1988, le disposizioni di cui agli artt.3, 4 e 5 del decreto vengono così specificate e integrate:
Per quanto attiene il quadro di riferimento programmatico di cui all'art.3, si terrà conto dei seguenti atti di programmazione e di pianificazione di settore e di area: • piani nazionali del settore interessato; • piano energetico nazionale; • eventuali altri strumenti di programmazione e di finanziamento; • piani regionali e provinciali dei trasporti; • piani regionali e di area vasta per la salvaguardia e il risanamento ambientale, i piani territoriali e paesistici, piani per le attività industriali; • strumenti urbanistici locali.
CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
CO NTALE AMBIE
f. i vincoli ambientali, archeologici, architettonici, artistici e storici.
ALLEGATO III – SPECIFICAZIONI DELLE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI VIA
1. IMPIANTI INDUSTRIALI (raffinerie di petrolio greggio, impianti di gassificazione e di liquefazione di carbone e scisti bituminosi, acciaierie integrate di prima fusione della ghisa e dell'acciaio, impianti chimici integrati, impianti per l'estrazione dell'amianto per il trattamento e la trasformazione).
B.ATTERISTICLHI EDELLE
2. CENTRALI TERMICHE E IMPIANTI PER LA PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA (impianti di combustione, centrali nucleari e altri reattori nucleari)
G.ANISTICA
Per quanto attiene il quadro di riferimento programmatico di cui all'art.3, si terrà conto dei seguenti atti di programmazione e di pianificazione di settore e di area: • piano energetico nazionale; • eventuali altri strumenti di programmazione e di finanziamento; • piani dei trasporti; • piani regionali e di area vasta per la salvaguardia e il risanamento ambientale, piani territoriali e paesistici, piani per le attività industriali; • strumenti urbanistici locali.
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P
URB
Per quanto riguarda il quadro di riferimento progettuale, a integrazione e specificazione di quanto disposto dall'art.4, c.4, si dovrà provvedere ai seguenti adempimenti: •elenco delle norme e disposizioni, anche di carattere locale, relative alla salvaguardia e tutela dell'ambiente e alla protezione della popolazione, che si applicano alle tecnologie impiegate nei processi produttivi o di costruzione, con riferimento alla tutela della qualità dell'aria, e delle acque, all'utilizzo e trasporto di sostanze infiammabili, esplosive o tossiche, alla sicurezza degli impianti industriali, allo smaltimento dei rifiuti; • criteri delle scelte in merito alla tecnologia dei sistemi di processo e di stoccaggio dei combustibili, materie prime, prodotti e sottoprodotti e rifiuti; dei sistemi di abbattimento delle emissioni inquinanti in atmosfera e di trattamento, condizionamento e smaltimento dei rifiuti solidi e dei sottoprodotti; delle ipotesi di recupero e riciclaggio dei sottoprodotti e/o dei rifiuti; • descrizione dei sistemi produttivi e di processo con indicazione delle quantità e caratteristiche chimico-fisiche dei materiali utilizzati e di quelli finali e intermedi; • descrizione delle condizioni operative delle fasi di processo rilevanti dei sistemi destinati alla prevenzione delle varie forme di inquinamento (abbattimento delle emissioni di inquinanti dell'aria, depurazione degli effluenti liquidi, trattamento e smaltimento dei rifiuti solidi, riduzione di rumori, vibrazioni, odori, ecc.), dei sistemi di monitoraggio e delle infrastrutture civili; • descrizione delle infrastrutture di trasporto e stoccaggio di materiali di processo o di servizio (terminali portuali, depositi, oleodotti, gasdotti ed elettrodotti, inclusi i terminali); • descrizione del consumo o utilizzo di materie prime e di risorse naturali; • ogni altra informazione specifica relativa a particolari tecnologie di processo o all'uso dei materiali impiegati nello specifico impianto; • analisi dei malfunzionamenti di sistemi e/o processi con possibili ripercussioni di carattere ambientale (rilasci incontrollati di sostanze inquinanti e nocive, tossiche e/o infiammabili in atmosfera o in corpi idrici, rilasci di radioattività, esplosioni e incendi, interruzioni di attività ecc.), incidenti durante trasporti pericolosi, con individuazione in termini quantitativi (quantità, tassi di fuga, tempi di reazione, durata, ecc.) delle possibili cause di perturbazione nei confronti delle componenti ambientali definite; descrizione dei sistemi preventivi e protettivi (interventi attivi e/o passivi); eventuali predisposizioni per situazioni di emergenza; • tipo e durata prevedibile degli eventuali lavori di smantellamento, con indicazione di eventuali residui atmosferici, liquidi o solidi prodotti; descrizione di eventuali possibilità di riutilizzo dell'impianto per altre finalità; trasformazione degli impianti esistenti; piani di bonifica e risanamento.
Per quanto riguarda il quadro di riferimento progettuale, a integrazione e specificazione di quanto disposto dall'art.4, c.4, si dovrà provvedere ai seguenti adempimenti: • elenco delle norme e disposizioni, anche di carattere locale, relative alla salvaguardia e tutela dell'ambiente e alla protezione della popolazione, che si applicano alle tecnologie impiegate nei processi produttivi o di costruzione, con riferimento in particolare alla tutela della qualità dell'aria, alla tutela delle acque, alle radiazioni ionizzanti, all'utilizzo e trasporto di sostanze infiammabili, esplosive o tossiche, alla sicurezza degli impianti, allo smaltimento dei rifiuti; • criteri delle scelte in merito alla tecnologia del ciclo termico, dei sistemi di contenimento e abbattimento degli inquinanti nelle emissioni in atmosfera e negli effluenti liquidi, dei sistemi di trattamento, condizionamento e smaltimento dei rifiuti solidi e dei sottoprodotti e del loro recupero o riciclaggio, con riferimento alle norme e disposizioni di cui sopra ed eventuali norme tecniche di settore; • descrizione dei sistemi produttivi e di processo, con particolare riferimento al sistema di generazione di vapore e/o calore, al sistema di raffreddamento della centrale, ai sistemi destinati alla prevenzione delle varie forme di inquinamento (abbattimento delle emissioni di inquinanti dell'aria depurazione degli effluenti liquidi, trattamento e smaltimento dei rifiuti solidi, riduzione di rumori e vibrazioni, ecc.) e ai sistemi di monitoraggio; • descrizione delle infrastrutture elettriche e degli elettrodotti, delle infrastrutture civili e infrastrutture di trasporto e stoccaggio di combustibili e di altri materiali di processo o di servizio (terminali portuali, carbonili, depositi, oleodotti, gasdotti o altri sistemi lineari di trasporto di materiali); • descrizione dell'utilizzo di materie prime e di risorse naturali con particolare riguardo alla sottrazione di acque di superficie o di falda; • ogni altra informazione specifica relativa a particolari tecnologie di processo o all'uso dei materiali impiegati nello specifico impianto, in relazione alle condizioni ambientali esistenti nel sito proposto per l'insediamento; • analisi dei malfunzionamenti di sistemi e/o processi con possibili ripercussioni di carattere ambientale (rilasci incontrollati di sostanze inquinanti e nocive sul suolo, infiammabili in atmosfera o in corpi idrici, esplosioni e incendi, interruzioni di attività, ecc.), nonché delle possibilità di incidenti durante trasporti pericolosi, con individuazione in termini quantitativi (quantità, tassi di fuga, tempi di reazione, durata, ecc.) delle possibili cause di perturbazione nei confronti delle componenti ambientali definite; descrizione dei sistemi preventivi e protettivi (interventi attivi e/o passivi); eventuali predisposizioni per situazioni di emergenza; • tipo e durata prevedibile degli eventuali lavori di smantellamento, con indicazione dei residui atmosferici, liquidi o solidi prodotti; descrizione di eventuali possibilità di riutilizzo dell'impianto per altre finalità; trasformazione degli impianti esistenti; piani di bonifica e risanamento; recupero a fini naturalistici.
NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P
Secondo quanto previsto dall'art.5 c.3, si dovranno descrivere e stimare gli effetti sull'ambiente con riferimento ai punti precedenti, nonché alle scelte progettuali e alle misure di attenuazione individuate.
Secondo quanto previsto dall'art.5 c.3, si dovranno descrivere e stimare gli effetti sull'ambiente con riferimento ai punti precedenti, nonché alle scelte progettuali e alle misure di attenuazione individuate.
DI TEMA 1. A.3. ATIVE IN TALE N M IE R B O M N TTO A IMPA
➥
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
A 89
A.3. 1.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE ➦ NORME TECNICHE PER LA REDAZIONE DEGLI STUDI DI IMPATTO AMBIENTALE ➦ SCHEDE SINTETICHE – (DPCM 27 dicembre 1988) – ALLEGATO III – SPECIFICAZIONI DELLE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI VIA 3. INFRASTRUTTURE LINEARI DI TRASPORTO (autostrade e vie di rapida comunicazione, tronchi ferroviari per il traffico a grande distanza).
4. AEROPORTI
Per quanto attiene il quadro di riferimento programmatico di cui all'art.3, si terrà conto dei seguenti atti di programmazione e di pianificazione di settore e di area:
Per quanto attiene il quadro di riferimento programmatico di cui all'art.3, si terrà conto dei seguenti atti di programmazione e di pianificazione di settore e di area:
• • • • •
• • • • •
piano decennale ANAS, relativi stralci attuativi piani straordinari ANAS; piano generale dei trasporti; piani regionali e provinciali dei trasporti; altri strumenti di programmazione e di finanziamento; piani regionali e di area vasta per la salvaguardia e il risanamento ambientale, piani territoriali e paesistici • strumenti urbanistici locali.
piano generale dei trasporti; piano nazionale degli aeroporti; piani regionali e provinciali dei trasporti; altri strumenti di programmazione e di finanziamento; piani regionali e di area vasta per la salvaguardia e il risanamento ambientale piani territoriali e paesistici; • strumenti urbanistici locali.
Nell'indicare i tempi previsti per l'attuazione dell'intervento, l'attenzione dovrà essere posta anche sulla eventuale apertura all'esercizio della infrastruttura per tronchi, evidenziandone le conseguenze sulla rete.
Per quanto riguarda il quadro di riferimento progettuale, a integrazione e specificazione di quanto disposto dall'art.4, c.4, si dovrà provvedere ai seguenti adempimenti: • nella descrizione del progetto saranno giustificate le scelte di tracciato raffrontando la soluzione prescelta con quelle delle alternative, evidenziando le motivazioni della scelta suddetta in base a parametri di carattere tecnico, economico e ambientale con riferimento in particolare a: • tracciato e profili; • soluzioni tipologiche (viadotto, galleria, scavo, rilevato, raso) e le loro relative interrelazioni; • saranno indicate la natura, la quantità e la provenienza dei materiali necessari per la costruzione dell'opera, nonché fornite indicazioni circa le cave disponibili in base alla normativa vigente e utilizzabili per quanto riguarda la loro caratterizzazione geologica e potenzialità; nel caso di cave esclusivamente aperte e utilizzate in funzione dei lavori in questione, saranno precisate le modalità tecniche a cui dovrà attenersi l'appaltatore per il risanamento delle cave stesse dopo la loro utilizzazione; • andranno altresì individuate qualità e, ove possibile, quantità dei materiali da portare alle discariche, localizzando di massima le stesse e prevedendo le modalità tecniche a cui dovrà attenersi l'appaltatore per la sistemazione delle stesse. Per quanto riguarda la fase di costruzione saranno forniti gli elementi atti a individuare i principali impatti prevedibili, indicando altresì le prescrizioni da inserire nei progetti esecutivi e nei capitolati di oneri per il contenimento di tali impatti e per il risanamento ambientale.
Per quanto riguarda il quadro di riferimento progettuale, a integrazione e specificazione di quanto disposto dall'art.4, c.4, si dovrà provvedere ai seguenti adempimenti: • indicare la natura, la quantità e la provenienza dei materiali necessari per la costruzione dell'opera, nonché fornire indicazioni circa le cave disponibili in base alla normativa vigente e utilizzabili per quanto riguarda la loro caratterizzazione geologica e potenzialità; nel caso di cave esclusivamente aperte e utilizzate in funzione dei lavori in questione, saranno precisate le modalità tecniche a cui dovrà attenersi l'appaltatore per il risanamento delle cave stesse dopo la loro utilizzazione; • andranno altresì individuate qualità e, ove possibile, quantità dei materiali da portare alle discariche, localizzando di massima le stesse e prevedendo le modalità tecniche a cui dovrà attenersi l'appaltatore per la sistemazione delle stesse; • descrivere i fenomeni legati all'inquinamento da rumore (predisposizione di apposita cartografia tematica in conformità alla circolare della Direzione Generale dell'aviazione civile 45/3030 n.327); • descrivere il sistema di smaltimento dei rifiuti (con indicazioni di qualità e volumi); • descrivere le infrastrutture di trasporto e stoccaggio dei combustibili e dei carburanti, nonché di merci che possono avere rilevanza dal punto di vista ambientale; • descrivere le modalità di rispetto dei vincoli sul territorio derivanti dall'applicazione della legge 4 febbraio 1963, n.58; • confrontare le omogeneità con quanto previsto dalle norme ICAO Annesso 14.
Con riferimento all'art.5, si dovranno descrivere e stimare gli effetti connessi: • all'eventuale variazione del regime delle acque superficiali e, qualora intercettate delle acque profonde; • alle concentrazioni degli inquinanti atmosferici dovute alle sorgenti in movimento, in relazione a particolari condizioni meteo-climatiche e orografiche e in riferimento alla diversa sensibilità dei ricettori; • ai livelli di inquinamento da rumore ed eventuali vibrazioni, in relazione alla protezione delle zone abitate e di aree di riconosciuta valenza o criticità ambientale; • alle modifiche delle caratteristiche geomorfologiche del suolo e del sottosuolo indotte in conseguenza della realizzazione dell'infrastruttura; • alle conseguenze di sottrazione e limitazione d'uso di territorio e/o di aree di continuità territoriale di riconosciuta valenza o criticità ambientale; • agli effetti paesaggistici connessi alla realizzazione dell'opera, intesi anche in termini storico-testimoniali e culturale; • alle misure di contenimento dei possibili impatti connessi allo sversamento accidentale di sostanze inquinanti, in relazione alla prevedibile gravità delle conseguenze di rischio ambientale con particolare attenzione ove il tracciato interessi acque destinate all'uso potabile o comunque il cui inquinamento possa incidere sulla salute umana.
A 90
Per quanto riguarda il quadro di riferimento ambientale di cui all'art.5, c.3, considerato che in fase di esercizio l'eventuale degrado della qualità ambientale indotto dall'infrastruttura aeroportuale è riconducibile all'inquinamento prodotto dalle sorgenti in movimento e all'ingombro fisico dell'opera sul territorio, nonché dalla gestione dei servizi connessi all'esercizio dell'attività operativa, lo studio dell'impatto dovrà approfondire l'analisi conoscitiva o prevista in ordine a quelle componenti che risultano più direttamente connesse.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE IN TEMA DI IMPATTO AMBIENTALE
A.3. 1. A.ZIONI
5. PORTI E VIE NAVIGABILI Per quanto attiene il quadro di riferimento programmatico di cui all'art.3, si terrà conto dei seguenti atti di programmazione e di pianificazione di settore e di area: • piano generale dei trasporti, relativamente ai sistemi portuali; • codice della navigazione e regolamentazione delle attività assentite nelle acque territoriali e in quelle adiacenti soggette a giurisdizione nazionale; • piani di programmazione settoriale: nautica da diporto; pesca; portualità commerciale; • piano delle coste; • piani regionali e provinciali dei trasporti; • programmi regionali settoriali di interventi nell'ambito della pianificazione nazionale: nautica da diporto; pesca; portualità commerciale; • altri strumenti di programmazione e di finanziamento; • piani regionali e di area vasta per la salvaguardia e il risanamento ambientale, piani territoriali e paesistici di tutela dell'ambiente costiero e marino; • strumenti urbanistici locali e piano regolatore portuale.
Per quanto riguarda il quadro di riferimento progettuale, a integrazione e specificazione di quanto disposto dall'art.4, c.4, si dovrà provvedere ai seguenti adempimenti: • descrivere la previsione dei flussi di traffico via mare e via terra; per questi ultimi andranno evidenziati i rapporti tra quantità e qualità delle merci e modalità di trasporto, al fine di ottimizzare la rete infrastrutturale di collegamento con il territorio e attenuare le eventuali relative interazioni ambientali; • nel caso di ampliamenti, precisare i riferimenti all'eventuale sistema portuale locale; • illustrare, anche attraverso i modelli di previsione utilizzati, le interazioni tra le opere portuali e l'assetto attuale e futuro della linea di costa; • descrivere la configurazione degli specchi acquei protetti dal bacino portuale in relazione all'interscambio con l'ambiente marino esterno, con riferimento alle esigenze di protezione del bacino stesso dal moto ondoso; • indicare la natura, la quantità e la provenienza dei materiali necessari per la costruzione dell'opera, nonché fornire indicazioni circa le cave disponibili in base alla normativa vigente e utilizzabili per quanto riguarda la loro caratterizzazione geologica e potenzialità; nel caso di cave esclusivamente aperte e utilizzate in funzione dei lavori in questione, saranno precisate le modalità tecniche a cui dovrà attenersi l'appaltatore per il risanamento delle cave stesse dopo la loro utilizzazione; • descrivere le misure atte a minimizzare il rischio di inquinamenti del corpo idrico (dilavamento di piazzali e banchine, scarichi ed emissioni provenienti dai natanti, acque di zavorra, ecc.) anche in relazione alla quantità dell'ambiente marino circostante; • individuare la natura e quantità dei materiali provenienti dai dragaggi, indicando di massima il punto di discarica terrestre o marittima e fornendo la giustificazione ambientale della scelta effettuata.
Secondo quanto previsto dall'art.5, c.3, si dovranno descrivere e stimare gli effetti sull'ambiente con riferimento ai punti precedenti, nonché alle scelte progettuali e alle misure di attenuazione individuate.
6. IMPIANTI TECNOLOGICI (impianti destinati esclusivamente allo stoccaggio definitivo o alla eliminazione dei residui radioattivi, impianti di eliminazione dei rifiuti tossici o nocivi mediante incenerimento, trattamento chimico o stoccaggio).
Per quanto attiene il quadro di riferimento programmatico di cui all'art.3, si terrà conto dei seguenti atti di programmazione e di pianificazione di settore e di area: • piani nazionali e regionali di settore; • eventuali altri strumenti di programmazione e di finanziamento; • piani regionali e provinciali dei trasporti; • piani regionali e di area vasta per la salvaguardia e il risanamento ambientale, piani territoriali e paesistici piani per le attività industriali; • strumenti urbanistici locali.
Per quanto riguarda il quadro di riferimento progettuale, a integrazione e specificazione di quanto disposto dall'art.4, c.4, si dovrà provvedere ai seguenti adempimenti: • elenco delle norme e disposizioni, anche di carattere locale, relative alla salvaguardia e tutela dell'ambiente e alla protezione della popolazione, che si applicano alle tecnologie impiegate nei processi produttivi o di costruzione, di trasporto di trattamento e di stoccaggio dei materiali; • indicazione di massima delle quantità e caratteristiche chimico-fisiche dei materiali per i quali è predisposto l'impianto; • descrizione delle infrastrutture e modalità previste per il trasporto e il conferimento dei rifiuti; • criteri nelle scelte in merito alla tecnologia del ciclo di trattamento e condizionamento, dei sistemi di contenimento e abbattimento degli inquinanti delle emissioni in atmosfera e negli effluenti liquidi, degli eventuali sottoprodotti e della loro utilizzazione con riferimento alle norme vigenti; • indicazione di massima dei volumi e quantità prodotte nell'unità di tempo, in relazione alle emissioni in atmosfera e negli effluenti liquidi, alle sostanze e ai flussi energetici eventualmente prodotti e rilasciati e al destino delle scorie finali; • infrastrutture di movimentazione, di trattamento e stoccaggio dei rifiuti e infrastrutture di servizio; • ogni altra informazione specifica relativa a particolari tecnologie di processo o all'uso dei materiali impiegati; • descrizione del consumo o utilizzo di materie prime e di risorse naturali; • analisi dei malfunzionamenti di sistemi e/o processi con possibili ripercussioni di carattere ambientale (rilasci incontrollati di sostanze inquinanti, nocive e tossiche sul suolo, in atmosfera o in corpi idrici, esplosioni e incendi, ecc.), con individuazione in termini quantitativi (quantità, tassi di fuga, durata, ecc.) delle possibili cause di perturbazione nei confronti delle componenti ambientali definite; descrizione dei sistemi preventivi e di interventi attivi e/o passivi; • sistemi di monitoraggio convenzionale e, ove necessario, radiometrico.
Secondo quanto previsto dall'art.5 c.3, si dovranno descrivere e stimare gli effetti sull'ambiente con riferimento ai punti precedenti, nonché alle scelte progettuali e alle misure di attenuazione individuate.
7. IMPIANTI DI REGOLAZIONE DELLE ACQUE (dighe e altri impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare acqua in modo durevole).
Per quanto attiene il quadro di riferimento programmatico di cui all'art.3, si terrà conto dei seguenti atti di programmazione e pianificazione: • • • • • •
piano generale degli acquedotti; piano energetico nazionale; piano agricolo nazionale; piani di bacino; programmi regionali settoriali; altri strumenti di programmazione e di finanziamento; • piani regionali e di area vasta per la salvaguardia e il risanamento ambientale, piani territoriali e paesistici; • strumenti urbanistici locali.
Per quanto riguarda il quadro di riferimento progettuale, a integrazione e specificazione di quanto disposto dall'art.4, c.4, si dovrà provvedere ai seguenti adempimenti: • sarà indicata la natura, la quantità e la provenienza dei materiali necessari per la costruzione dell'opera; • saranno fornite le indicazioni circa le cave disponibili in base alla normativa vigente e utilizzabili per quanto riguarda la loro caratterizzazione geologica e potenzialità; nel caso di cave esclusivamente aperte e utilizzate in funzione dei lavori in questione, saranno precisate le modalità tecniche a cui dovrà attenersi l'appaltatore per il risanamento delle cave stesse dopo la loro utilizzazione.
Con riferimento all'art.5, c.3, lo studio dovrà descrivere e prevedere gli effetti possibili sull'ambiente dell'invaso e delle opere connesse, sia durante la costruzione che per il successivo esercizio, con riguardo a: • gli effetti sul clima e sul microclima conseguenti a invasi non inferiori a 20 milioni di mc di acqua e/o 100 ettari di massimo specchio liquido, salvo significativa influenza di temperatura e umidità in casi di documentata rilevanza ambientale; • le modificazioni indotte al sistema idrico di superficie e sotterraneo, sia in fase di costruzione che di esercizio, e relativi effetti, compresi quelli conseguenti sulle qualità delle acque interessate; • gli effetti sulla morfologia dei luoghi, con particolare riferimento alle oscillazioni del pelo libero dell'invaso; • le eventuali modifiche di carattere pedologico per l'area interessata; • gli effetti sulla vegetazione, flora, fauna e habitat; • gli effetti paesaggistici connessi alla realizzazione dell'opera, intesi anche in termini storico-culturali; • gli effetti prodotti dalla sottrazione fisica di aree inondate e/o inondabili; • gli effetti della sottrazione del trasporto solido sia lungo l'asta fluviale sia sui litorali; • la qualità delle acque e dello stato dei luoghi circostanti l'invaso, al fine di verificare i potenziali usi aggiuntivi degli stessi (turismo, pesca, ecc.) oltre a quello previsto; • gli effetti di antropizzazione e loro conseguenze ambientali dovute alla realizzazione della viabilità di accesso, se di uso pubblico.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
DI TEMA 1. A.3. ATIVE IN TALE N M IE R B O M N TTO A IMPA
A 91
A.3. 2.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE NORME PER LA DIFESA DEL SUOLO
•
COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA
NORME PER IL RIASSETTO ORGANIZZATIVO E FUNZIONALE DELLA DIFESA DEL SUOLO modificata e integrata dalla: LEGGE 7 AGOSTO 1990, n.253
TITOLO I LE ATTIVITA, I SOGGETTI, I SERVIZI CAPO I – LE ATTIVITÀ Art.1. FINALITÀ DELLA LEGGE 1. La presente legge ha per scopo di assicurare la difesa del suolo, il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, la tutela degli aspetti ambientali a essi connessi. 2. Per il conseguimento delle finalità perseguite dalla presente legge, la pubblica amministrazione svolge ogni opportuna azione di carattere conoscitivo, di programmazione e pianificazione degli interventi, di loro esecuzione, in conformità alle disposizioni che seguono. 3. Ai fini della presente legge si intende: a) per suolo: il territorio, il suolo, il sottosuolo, gli abitati e le opere infrastrutturali; b) per acque: quelle meteoriche, fluviali, sotterranee e marine; c) per corso d’acqua: i corsi d’acqua, i fiumi, i torrenti, i canali, i laghi, le lagune, gli altri corpi idrici; d) per bacino idrografico: il territorio dal quale le acque pluviali o di fusione delle nevi e dei ghiacci, defluendo in superficie, si raccolgono in un determinato corso d’acqua direttamente o a mezzo di affluenti, nonché il territorio che può essere allagato dalle acque del medesimo corso d’acqua, ivi compresi i suoi rami terminali con le foci in mare e il litorale marittimo prospiciente; qualora un territorio possa essere allagato dalle acque di più corsi d’acqua, esso si intende ricadente nel bacino idrografico il cui bacino imbrifero montano ha la superficie maggiore; e) per sub-bacino: una parte del bacino idrografico, quale definito dalla competente autorità amministrativa. 4. Alla realizzazione delle attività previste al c.1 concorrono, secondo le rispettive competenze: lo Stato, le regioni a statuto speciale e ordinario, le province autonome di Trento e di Bolzano, le province, i comuni, le comunità montane, i consorzi di bonifica e irrigazione e quelli di bacino imbrifero montano. 5. Le disposizioni della presente legge costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica nonché principi fondamentali ai sensi dell’art.117 della Costituzione. Art.2. ATTIVITÀ CONOSCITIVA 1. Nell’attività conoscitiva, svolta per le finalità della presente legge e riferita all’intero territorio nazionale, si intendono comprese le azioni di: raccolta, elaborazione, archiviazione e diffusione dei dati; accertamento, sperimentazione, ricerca e studio degli elementi dell’ambiente fisico e delle condizioni generali di rischio; formazione e aggiornamento delle carte tematiche del territorio; valutazione e studio degli effetti conseguenti alla esecuzione dei piani, dei programmi e dei progetti di opere previsti dalla presente legge; attuazione di ogni iniziativa a carattere conoscitivo ritenuta necessaria per il conseguimento delle finalità di cui all’art.1. 2. L’attività conoscitiva di cui al presente articolo è svolta, sulla base delle deliberazioni di cui all’art.4, primo c., secondo criteri metodi e standards di raccolta, elaborazione e consultazione, nonché modalità di coordinamento e di collaborazione tra i soggetti pubblici comunque operanti nel settore, che garantiscano la possibilità di omogenea elaborazio-
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ne e analisi e la costituzione e gestione, a opera dei servizi tecnici nazionali, di un unico sistema informativo, cui vanno raccordati i sistemi informativi regionali e quelli delle province autonome. 3. È fatto obbligo alle amministrazioni dello Stato, anche a ordinamento autonomo, nonché alle istituzioni e agli enti pubblici, anche economici, che comunque raccolgano dati nel settore della difesa del suolo, di trasmetterli alla regione territorialmente interessata e ai competenti servizi tecnici nazionali, di cui all’art.9, secondo le modalità definite ai sensi del secondo c.del presente art.. Art.3. LE ATTIVITÀ DI PIANIFICAZIONE, DI PROGRAMMAZIONE E DI ATTUAZIONE 1. Le attività di programmazione, di pianificazione e di attuazione degli interventi destinati a realizzare le finalità indicate all’art.1 curano in particolare: a) la sistemazione, la conservazione e il recupero del suolo nei bacini idrografici, con interventi idrogeologici, idraulici, idraulico-forestali, idraulicoagrari, silvo-pastorali, di forestazione e di bonifica, anche attraverso processi di recupero naturalistico, botanico e faunistico; b) la difesa, la sistemazione e la regolazione dei corsi d’acqua, dei rami terminali dei fiumi e delle loro foci nel mare, nonché delle zone umide; c) la moderazione delle piene, anche mediante serbatoi di invaso, vasche di laminazione, casse di espansione, scaricatori, scolmatori, diversivi o altro, per la difesa dalle inondazioni e dagli allagamenti; d) la disciplina delle attività estrattive, al fine di prevenire il dissesto del territorio, inclusi erosione e abbassamento degli alvei e delle corse; e) la difesa e il consolidamento dei versanti e delle aree instabili, nonché la difesa degli abitanti e delle infrastrutture contro i movimenti franosi, le valanghe e altri fenomeni di dissesto; f) il contenimento dei fenomeni di subsidenza dei suoli e di risalita delle acque marine lungo i fiumi e nelle falde idriche, anche mediante operazioni di ristabilimento delle preesistenti condizioni di equilibrio e delle falde sotterranee; g) la protezione delle coste e degli abitati dall’invasione e dall’erosione delle acque marine e il ripascimento degli arenili, anche mediante opere di ricostituzione dei cordoni dunosi; h) il risanamento delle acque superficiali e sotterranee allo scopo di fermarne il degrado e, rendendole conformi alle normative comunitarie e nazionali, assicurarne la razionale utilizzazione per le esigenze della alimentazione, degli usi produttivi, del tempo libero, della ricreazione e del turismo, mediante opere di depurazione degli effluenti urbani, industriali e agricoli, e la definizione di provvedimenti per la trasformazione dei cicli produttivi industriali e il razionale impiego di concimi e pesticidi in agricoltura; i) la razionale utilizzazione delle risorse idriche superficiali e profonde, con una efficiente rete idraulica, irrigua e idrica, garantendo, comunque, che l’insieme delle derivazioni non pregiudichi il minimo deflusso costante vitale negli alvei sottesi, nonché la polizia delle acque; l) lo svolgimento funzionale dei servizi di polizia idraulica, di navigazione interna, di piena e di pronto intervento idraulico, nonché della gestione degli impianti; m)la manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere e degli impianti nel settore e la conservazione dei beni; n) la regolamentazione dei territori interessati dagli interventi di cui alle lettere precedenti ai fini della loro tutela ambientale, anche mediante la determinazione di criteri per la salvaguardia e la conservazione delle aree demaniali e la costituzione di parchi fluviali e lacuali e di aree protette;
o) la gestione integrata in ambiti ottimali dei servizi pubblici nel settore, sulla base di criteri di economicità e di efficienza delle prestazioni; p) il riordino del vincolo idrogeologico; q) l’attività di prevenzione e di allerta svolta dagli enti periferici operanti sul territorio. 2. Le attività di cui al presente articolo sono svolte, sulla base della deliberazione di cui all’art.4, primo c., secondo criteri, metodi e standards, nonché modalità di coordinamento e di collaborazione tra i soggetti pubblici comunque competenti al fine, tra l’altro, di garantire omogeneità di: a) condizioni di salvaguardia della vita umana e del territorio, ivi compresi gli abitati e i beni; b) modalità di utilizzazione delle risorse e dei beni, e di gestione dei servizi connessi.
CAPO II – I SOGGETTI CENTRALI Art.4. 1. Il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dei lavori pubblici ovvero del Comitato dei ministri di cui al c.2 nel caso di cui alla lettera d), e previa deliberazione del Consiglio dei ministri, approva con proprio decreto: a) le deliberazioni concernenti i metodi e i criteri, anche tecnici, per lo svolgimento delle attività di cui agli artt. 2 e 3, nonché per la verifica e il controllo dei piani di bacino, dei programmi di intervento e di quelli di gestione; b) gli atti relativi alla delimitazione dei bacini di rilievo nazionale e interregionale; c) i piani di bacino di rilievo nazionale, sentito il Comitato nazionale per la difesa del suolo di cui all’art.6 e previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici; d) il programma nazionale di intervento, di cui all’art.25, c.3; e) gli atti volti a provvedere in via sostitutiva in caso di persistente inattività dei soggetti ai quali sono demandate le funzioni previste dalla presente legge, qualora si tratti di attività da svolgersi entro termini essenziali, avuto riguardo alle obbligazioni assunte o alla natura degli interventi; f) ogni altro atto di indirizzo e coordinamento nel settore disciplinato dalla presente legge. 2. “È istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Comitato dei Ministri per i servizi tecnici nazionali e gli interventi nel settore della difesa del suolo. Il Comitato, presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, su sua delega, da un Ministro membro del Comitato stesso, è composto dai Ministri dei lavori pubblici, dell’ambiente, dell’agricoltura e delle foreste, per il coordinamento della protezione civile, per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, per gli affari regionali e i problemi istituzionali e per i beni culturali e ambientali”. 3. Il Comitato dei ministri ha funzioni di alta vigilanza sui servizi tecnici nazionali e adotta gli atti di indirizzo e di coordinamento delle loro attività. Propone al Presidente del Consiglio dei ministri lo schema di programma nazionale di intervento, di cui all’art.25, c.3, che coordina con quelli delle regioni e degli altri enti pubblici a carattere nazionale, verificandone l’attuazione. 4. Per lo svolgimento delle funzioni di segreteria tecnica, il Comitato dei ministri si avvale delle strutture delle Amministrazioni statali competenti. 4-bis.“ I principi degli atti di indirizzo e coordinamento di cui al presente articolo sono preventivamente sottoposti alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano”.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE
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COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORME PER LA DIFESA DEL SUOLO
A.3. 2. A.ZIONI
Art.5. COMPETENZE DEL MINISTRO DEI LAVORI PUBBLICI E DEL MINISTERO DELL’AMBIENTE 1. Le attribuzioni statali previste dalla presente legge sono svolte sotto la responsabilità del Ministro dei lavori pubblici e del Ministro dell’ambiente, secondo le rispettive competenze. 2. Il Ministro dei lavori pubblici: a) formula proposte, sentito il Comitato nazionale per la difesa del suolo ai fini dell’adozione, ai sensi dell’art.4, degli indirizzi e dei criteri per lo svolgimento del servizio di polizia idraulica, di navigazione interna, di piena e di pronto intervento idraulico e per la realizzazione, gestione e manutenzione delle opere e degli impianti e la conservazione dei beni; b) provvede al soddisfacimento delle esigenze organizzative necessarie al funzionamento del Comitato nazionale per la difesa del suolo, le cui spese di carattere obbligatorio sono poste a carico dello stato di previsione della spesa del Ministero; c) predispone la relazione sull’uso del suolo e sulle condizioni dell’assetto idrogeologico, da allegare alla relazione sullo stato dell’ambiente di cui all’art.1, c.6, della legge 8 luglio 1986, n.349, nonché la relazione sullo stato di attuazione dei programmi triennali di intervento, di cui all’art.25, da allegare alla relazione previsionale e programmatica, ai sensi dell’art.29 della presente legge. La relazione sull’uso del suolo e sulle condizioni dell’assetto idrogeologico e la relazione sullo stato dell’ambiente sono redatte avvalendosi dei servizi tecnici nazionali; d) provvede, “in tutti i” bacini di rilievo nazionale e a mezzo del Magistrato alle acque di Venezia, del Magistrato per il Po di Parma e dei provveditorati regionali alle opere pubbliche, alla progettazione, realizzazione e gestione delle opere idrauliche di competenza statale, nonché alla organizzazione e al funzionamento dei servizi di polizia idraulica e di pronto intervento di propria competenza; e) opera, ai sensi dell’art.2, commi 5 e 6, della legge 8 luglio 1986, n.349, rispettivamente, di concerto e di intesa con il Ministro dell’ambiente per assicurare il coordinamento, a ogni livello di pianificazione, delle funzioni di difesa del suolo con gli interventi per la tutela e l’utilizzazione delle acque e per la tutela dell’ambiente. 3. Il Ministro dell’ambiente provvede nei bacini di rilievo nazionale e interregionale, all’esercizio delle funzioni amministrative di competenza statale in materia di tutela dall’inquinamento e di smaltimento dei rifiuti, anche per gli aspetti di rilevanza ambientale di cui, in particolare, all’art.3, c.1, lettere a) e h).
c) formula osservazioni sui piani di bacino, ai fini della loro conformità agli indirizzi e ai criteri di cui all’art.4; d) esprime pareri sulla ripartizione degli stanziamenti autorizzati da ciascun programma triennale tra i soggetti preposti all’attuazione delle opere e degli interventi individuati dai piani di bacino; e) esprime pareri sui programmi di intervento di competenza statale per i bacini di rilievo nazionale. Art.7. DIREZIONE GENERALE DELLA DIFESA DEL SUOLO 1. La direzione generale delle acque e degli impianti elettrici del Ministero dei lavori pubblici assume la denominazione di direzione generale della difesa del suolo ed espleta le funzioni di segreteria del Comitato nazionale per la difesa del suolo, oltre a quelle già di sua competenza e a quelle attribuite al Ministero dei lavori pubblici dall’art.5. 2. Le funzioni di segreteria del Comitato nazionale per la difesa del suolo sono esercitate, per le materie concernenti la difesa delle acque dall’inquinamento, dal servizio prevenzione degli inquinamenti e risanamento ambientale del Ministero dell’ambiente. 3. Con DM dei LLPP si provvede, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, alla organizzazione della direzione generale della difesa del suolo, dotandola delle strutture tecniche, degli strumenti, degli istituti e delle risorse necessari, tra l’altro, a garantire il più efficace supporto dell’attività del Comitato nazionale per la difesa del suolo. Art.8. COLLABORAZIONE INTERMINISTERIALE 1. Il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri membri del Comitato di cui all’art.4 possono richiedere, per il tramite del Ministro competente, alle Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, che sono tenute a provvedere, l’espletamento delle attività necessarie all’esercizio delle competenze loro attribuite dalla presente legge. Art.9. I SERVIZI TECNICI NAZIONALI 1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri sono istituiti i servizi tecnici nazionali, in un sistema coordinato e unitario sotto l’alta vigilanza del Comitato dei ministri di cui all’art.4. Ai servizi tecnici nazionali è assicurata autonomia scientifica, tecnica, organizzativa e operativa.
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2. I servizi tecnici già esistenti presso i Ministeri dei lavori pubblici e dell’ambiente sono costituiti nei seguenti servizi tecnici nazionali: idrografico e mareografico; sismico; dighe; geologico. Con la procedura e i criteri di cui al c.9 vengono costituiti gli ulteriori servizi tecnici nazionali necessari allo scopo di perseguire l’obiettivo della conoscenza del territorio e dell’ambiente, nonché delle loro trasformazioni. A tal fine sono prioritariamente riorganizzate le strutture della pubblica amministrazione che già operano nel settore, nonché quelle del Corpo forestale dello Stato e quelle preposte all’intervento straordinario nel Mezzogiorno.
7. Il Comitato formula pareri, proposte e osservazioni, anche ai fini dell’esercizio delle funzioni di indirizzo e coordinamento di cui all’art.4, in ordine alle attività e alle finalità della presente legge, e ogni qualvolta ne è richiesto dal Ministro dei lavori pubblici. In particolare: a) formula proposte per l’adozione degli indirizzi, dei metodi e dei criteri di cui al predetto art.4; b) formula proposte per il costante adeguamento scientifico e organizzativo dei servizi tecnici nazionali e del loro coordinamento con i servizi, gli istituti, gli uffici e gli enti pubblici privati che svolgono attività di rilevazione, studio e ricerca in materie riguardanti, direttamente o indirettamente, il settore della difesa del suolo;
3. “Dell’attività dei servizi tecnici nazionali si avvalgono direttamente i Ministri dei lavori pubblici, dell’ambiente, dell’agricoltura e delle foreste, della marina mercantile e per il coordinamento della protezione civile, le autorità dei bacini di rilievo nazionale, gli organismi preposti a quelli di rilievo interregionale e regionale, il Comitato nazionale per la difesa del suolo, il Consiglio superiore dei lavori pubblici, la Direzione generale della difesa del suolo del Ministero dei lavori pubblici, il servizio prevenzione degli inquinamenti e risanamento ambientale e il servizio valutazione dell’impatto ambientale, informazione ai cittadini e per la relazione sullo stato dell’ambiente del Ministero dell’ambiente, nonché il Dipartimento per il Mezzogiorno”.
Art.6. COMITATO NAZIONALE PER LA DIFESA DEL SUOLO: ISTITUZIONE E COMPITI 1. È istituito presso il Ministero dei lavori pubblici il Comitato nazionale per la difesa del suolo.
4. I servizi tecnici nazionali hanno le seguenti funzioni: a) svolgere l’attività conoscitiva, qual è definita all’art.2; b) realizzare il sistema informativo unico e la rete nazionale integrati di rilevamento e sorveglianza, secondo quanto previsto al c.5; c) fornire, a chiunque ne faccia richiesta, dati, pareri e consulenze, secondo un tariffario fissato ogni biennio con DPCM, sentito il Comitato dei ministri di cui all’art.4. Le tariffe sono stabilite in base al principio della partecipazione al costo delle prestazioni da parte di chi ne usufruisca. 5. I servizi tecnici nazionali organizzano, gestiscono e coordinano un sistema informativo unico e una rete nazionale integrati di rilevamento e sorveglianza, definendo con le Amministrazioni statali, le regioni e gli altri soggetti pubblici e privati interessati, le integrazioni e i coordinamenti necessari. All’organizzazione e alla gestione della rete sismica integrata concorre, sulla base di apposite convenzioni, l’Istituto nazionale di geofisica. Con DPCM, entro il 31 dicembre 1991, le iniziative adottate in attuazione e nell’ambito delle risorse assegnate ai sensi dell’art.18, c.1, lettera e), della legge 11 marzo 1988, n.67, relative al sistema informativo e di monitoraggio, confluiscono nei servizi tecnici nazionali. 6. Nell’ambito del Comitato dei ministri di cui all’art.4, ciascuno dei Ministri che lo compongono propone, nel settore di sua competenza, le misure di indirizzo e di coordinamento volte alla completa realizzazione del sistema informativo e della rete integrati di cui al c.5, e in particolare le priorità nel rilevamento e nella predisposizione della base di dati. 7. Ai servizi tecnici nazionali è preposto un Consiglio dei direttori, composto dal presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, che lo presiede, dai direttori dei singoli servizi tecnici nazionali di cui al c.1, nonché dai responsabili dell’Istituto geografico militare, del Centro interregionale per la cartografia, dell’Istituto idrografico della Marina, del Servizio metereologico dell’Aeronautica militare, del Corpo forestale dello Stato e dell’Istituto nazionale di geofisica.
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8. Il Consiglio dei direttori: a) provvede, in conformità alle deliberazioni di cui all’art.4, al coordinamento dell’attività svolta dai singoli servizi tecnici nazionali, dai servizi tecnici dei soggetti competenti ai sensi dell’art.1, c.4, nonché dagli altri organismi indicati al precedente c.7; b) esercita ogni altra funzione demandatagli con i regolamenti di cui al c.9. 9. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, con appositi regolamenti, emanati con DPR, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, sentite le competenti Commissioni parlamentari, si provvede alla riorganizzazione e al potenziamento dei servizi tecnici di cui al c.2, in particolare disciplinando: a) l’ordinamento dei servizi tecnici nazionali e i criteri generali di organizzazione, anche sotto il profilo della articolazione territoriale, di ogni singolo servizio; b) i criteri generali per il coordinamento dell’attività dei servizi tecnici nazionali, dei servizi tecnici dei soggetti competenti ai sensi dell’art.1, c.4, tenendo conto in modo particolare dell’attività svolta dai servizi tecnici regionali; c) i criteri per la formazione di ruoli tecnici omogenei per ciascun servizio, con l’attribuzione di posizioni giuridiche basate sul possesso del titolo professionale necessario allo svolgimento delle attività di ogni singolo servizio e sul livello professionale delle mansioni da svolgere;
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A DIFES 2. A.3. E PER LA M R NO OLO U DEL S
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A.3. 2.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE NORME PER LA DIFESA DEL SUOLO
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COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA
➦ NORME PER IL RIASSETTO ORGANIZZATIVO E FUNZIONALE DELLA DIFESA DEL SUOLO modificata e integrata dalla: LEGGE 7 AGOSTO 1990, n.253
d) i criteri generali per la attribuzione della dirigenza dei servizi e dei singoli settori in cui gli stessi sono articolati nel rispetto del principio della preposizione ai servizi e ai singoli settori tecnici di funzionari appartenenti ai relativi ruoli; e) le modalità di organizzazione e di gestione del sistema informativo unico e della rete nazionale integrati di rilevamento e sorveglianza; f) le modalità che consentono ai servizi tecnici nazionali di avvalersi dell’attività di enti e organismi specializzati operanti nei settori di rispettiva competenza nonché di impiegare in compiti di istituto ricercatori e docenti universitari, sulla base di convenzioni-tipo, adottate con DPCM, che definiscono l’applicazione delle disposizioni in materia di comandi finalizzate all’interscambio culturale e scientifico. 10.
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CAPO III – LE REGIONI, GLI ENTI LOCALI E LE AUTORITÀ DI BACINO DI RILIEVO NAZIONALE Art.10. 1. Le regioni, ove occorra d’intesa tra loro, esercitano le funzioni a esse trasferite e delegate ai sensi della presente legge, e in particolare quelle di gestione delle risorse d’acqua e di terra e, tra l’altro: a) delimitano i bacini idrografici di propria competenza; b) collaborano nel rilevamento e nell’elaborazione del progetto di piano dei bacini di rilievo nazionale secondo le direttive dei relativi comitati istituzionali, e adottano gli atti di competenza; c) formulano proposte per la formazione dei programmi e per la redazione di studi e di progetti relativi ai bacini di rilievo nazionale; d) provvedono alla elaborazione, adozione, approvazione e attuazione dei piani dei bacini idrografici di rilievo regionale nonché alla approvazione di quelli di rilievo interregionale; e) dispongono la redazione e provvedono all’approvazione e all’esecuzione dei progetti, degli interventi e delle opere da realizzare nei bacini di rilievo regionale e di rilievo interregionale, istituendo, ove occorra, gestioni comuni, ai sensi dell’art.8 del DPR 24 luglio 1977, n.616; f) provvedono, nei bacini di rilievo regionale e in quelli di rilievo interregionale, per la parte di propria competenza, alla organizzazione e al funzionamento del servizio di polizia idraulica, di piena e di pronto intervento idraulico e a quelli per la gestione e la manutenzione delle opere e degli impianti e la conservazione dei beni; g) provvedono alla organizzazione e al funzionamento della navigazione interna; h) attivano la costituzione di comitati per i bacini di rilievo regionale e di rilievo interregionale e stabiliscono le modalità di consultazione di enti, organismi, associazioni e privati interessi, in ordine alla redazione dei piani di bacino; i) predispongono annualmente la relazione sull’uso del suolo e sulle condizioni dell’assetto idrogeologico del territorio di competenza e sullo stato di attuazione del programma triennale in corso e la trasmettono al Comitato nazionale per la difesa del suolo entro il mese di dicembre; l) assumono ogni altra iniziativa ritenuta necessaria in materia di conservazione e difesa del territorio, del suolo e del sottosuolo e di tutela e uso delle acque nei bacini idrografici di competenza ed esercitano ogni altra funzione prevista dalla presente legge.
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2. "Nei comitati tecnici di bacino di rilievo regionale e in quelli di rilievo interregionale deve essere assicurata la presenza a livello tecnico di funzionari dello Stato, di cui almeno uno del Ministero dei lavori pubblici, uno del Ministero dell’ambiente e uno del Ministero dell’agricoltura e delle foreste. Negli stessi comitati tecnici dei bacini ricadenti nelle aree del Mezzogiorno è altresì assicurata la presenza di un rappresentante del Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno". 3. “Il Servizio nazionale dighe provvede in via esclusiva, anche nelle zone sismiche, alla identificazione, al controllo dei progetti di massima, nonché al controllo dei progetti esecutivi delle opere di sbarramento, dighe di ritenuta o traverse che superano 15 m di altezza o che determinano un volume di invaso superiore a 1.000.000 di mc. Restano di competenza del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato tutte le opere di sbarramento che determinano invasi adibiti esclusivamente a deposito o decantazione o lavaggio di residui industriali. 4. Rientrano nella competenza delle regioni a statuto ordinario e a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano le attribuzioni di cui al DPR 1 novembre 1959, n.1363, per gli sbarramenti che non superano i 15 m di altezza e che determinano un invaso non superiore a 1.000.000 di mc. Per tali sbarramenti, ove posti al servizio di grandi derivazioni di acqua di competenza statale, restano ferme le attribuzioni del Ministero dei lavori pubblici. Il servizio nazionale dighe fornisce alle regioni il supporto tecnico richiesto” (1). 5. Resta di competenza statale la normativa tecnica relativa alla progettazione e costruzione delle dighe di sbarramento di qualsiasi altezza e capacità di invaso. 6. Le funzioni relative al vincolo idrogeologico di cui al regio DL 30 dicembre 1923, n.3267, sono interamente esercitate dalle regioni a partire dalla data di entrata in vigore della presente legge. 7. Sono delegate alle regioni, nel rispetto degli indirizzi generali e dei criteri definiti dallo Stato, le funzioni amministrative statali relative alla difesa delle coste, con esclusione delle zone comprese nei bacini di rilievo nazionale, nonché delle aree di preminente interesse nazionale per la sicurezza dello Stato e della navigazione marittima.
medesimi come ecosistemi unitari. 2. Sono organi dell’Autorità di bacino: a) il comitato istituzionale; b) il comitato tecnico; c) il segretario generale e la segreteria tecnico-operativa. 3. Il comitato istituzionale è presieduto dal Ministro dei lavori pubblici, ovvero dal Ministro dell’ambiente per quanto attiene al risanamento delle acque, la tutela dei suoli dall’inquinamento e la salvaguardia dell’ecosistema fluviale. 4. Il comitato istituzionale: a) adotta criteri e metodi per la elaborazione del piano di bacino in conformità agli indirizzi e ai criteri di cui all’art.4; b) individua tempi e modalità per l’adozione del piano di bacino, che potrà eventualmente articolarsi in piani riferiti a sub-bacini; c) determina quali componenti del piano costituiscono interesse esclusivo delle singole regioni e quali costituiscono interessi comuni a più regioni; d) adotta i provvedimenti necessari per garantire comunque l’elaborazione del piano di bacino; e) adotta il piano di bacino; f) assicura il coordinamento dei piani di risanamento e tutela delle acque, esercitando, fin dalla costituzione e in vista della revisione della legislazione in materia, le funzioni delle conferenze interregionali di cui alla legge 10 maggio 1976, n.319; g) “controlla l’attuazione degli schemi previsionali e programmatici di cui all’art.31 del piano di bacino e dei programmi triennali e, in caso di grave ritardo nell’esecuzione di interventi non di competenza statale rispetto ai tempi fissati nel programma, diffida l’amministrazione inadempiente, fissando in dodici mesi il termine massimo per l’inizio dei lavori. Decorso infruttuosamente tale termine, all’adozione delle misure necessarie ad assicurare l’avvio dei lavori provvede, in via sostitutiva, il presidente della giunta regionale interessata che, a tal fine, può avvalersi degli organi decentrati e periferici del Ministero dei lavori pubblici” (2). 5. Il comitato tecnico è organo di consulenza del comitato istituzionale e provvede alla elaborazione del piano di bacino avvalendosi della segreteria tecnicooperativa. 6. – omissis –
8. Restano ferme tutte le altre funzioni amministrative già trasferite o delegate alle regioni.
(1) Commi così sostituiti dall’art.1, commi 2 e 3, della legge 21 ottobre 1994, n.584.
Art.11. ENTI LOCALI E ALTRI SOGGETTI 1. I comuni, le province, i loro consorzi o associazioni, le comunità montane, i consorzi di bonifica, i consorzi di bacino imbrifero montano e gli altri enti pubblici e di diritto pubblico con sede nel bacino idrografico partecipano all’esercizio di funzioni regionali in materia di difesa del suolo nei modi e nelle forme stabilite dalle regioni singolarmente o d’intesa tra loro, nell’ambito delle competenze del sistema delle autonomie locali. 2. Gli enti di cui al primo c.possono avvalersi, sulla base di apposite convenzioni, dei servizi tecnici nazionali per la difesa del suolo e sono tenuti a collaborare con essi. Art.12. AUTORITÀ DI BACINO DI RILIEVO PERSONALE 1. Nei bacini idrografici di rilievo nazionale è istituita l’Autorità di bacino, che opera in conformità agli obiettivi della presente legge considerando i bacini
7. Il segretario generale: a) provvede agli adempimenti necessari al funzionamento dell’Autorità di bacino; b) cura l’istruttoria degli atti di competenza del comitato istituzionale, cui formula proposte; c) cura i rapporti, ai fini del coordinamento delle rispettive attività, con le Amministrazioni statali, regionali e degli enti locali; d) cura l’attuazione delle direttive del comitato istituzionale agendo per conto del comitato medesimo nei limiti dei poteri delegatigli; e) riferisce al comitato istituzionale sullo stato di attuazione del piano di bacino per l’esercizio del potere di vigilanza e in tale materia esercita i poteri che gli vengono delegati dal comitato medesimo; f) cura la raccolta dei dati relativi agli interventi programmati e attuati, nonché alle risorse stanziate per le finalità del piano di bacino da parte dello Stato, delle regioni e degli enti locali e comunque agli interventi da attuare nell’ambito del bacino, qualora abbiano attinenza con le finalità del piano medesimo; g) è preposto alla segreteria tecnico-operativa. 8. – omissis – 9. La segreteria tecnico-operativa, costituita da dipen-
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denti dell’Amministrazione dei lavori pubblici e da personale designato dalle Amministrazioni statali e dalle regioni interessate, è articolata negli uffici: a) segreteria; b) studi e documentazione; c) piani e programmi. 10.
Le Autorità di bacino hanno sede provvisoria presso il Magistrato alle acque di Venezia, il Magistrato per il Po di Parma e i provveditorati regionali alle opere pubbliche competenti e individuati dal Ministro dei lavori pubblici, cui spettano le determinazioni definitive.
lica e del servizio di pronto intervento, in essi il Ministro dei lavori pubblici, su richiesta del comitato istituzionale interessato e su conforme parere del Comitato nazionale per la difesa del suolo, individua con proprio decreto, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i corsi d’acqua, escluse in ogni caso le aste principali dei bacini, per i quali le competenze amministrative relative alle opere idrauliche e alla polizia idraulica sono trasferite alle regioni territorialmente competenti. Art.15. BACINI DI RILEVO INTERREGIONALE 1. Bacini di rilievo interregionale sono:
(2) Lettera così sostituita dall’art.12, c.1, del D.L. 398/1993, convertito in legge 493/1993.
TITOLO II GLI AMBITI, GLI STRUMENTI, GLI INTERVENTI, LE RISORSE CAPO I – GLI AMBITI Art.13. CLASSIFICAZIONE DEI BACINI IDROGRAFICI E LORO DELIMITAZIONE 1. L’intero territorio nazionale, ivi comprese le isole minori, è ripartito in bacini idrografici. Ai fini della presente legge i bacini idrografici sono classificati in bacini di rilievo nazionale, interregionale e regionale. 2. I bacini di rilievo nazionale e interregionale sono provvisoriamente delimitati come da cartografia allegata al DPCM 22 dicembre 1977, pubblicato nella GU n.354 del 29 dicembre 1977. Eventuali variazioni possono essere disposte ai sensi dell’art.4, c.1, lettera b). 3. Le regioni provvedono, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, alla delimitazione dei bacini di propria competenza. Art.14. BACINI DI RILEVO NAZIONALE 1. Fatti salvi gli accordi internazionali che riguardano bacini interessanti anche territori al di fuori dei confini nazionali, sono bacini di rilievo nazionale: a) per il versante adriatico: 1) Isonzo (Friuli-Venezia Giulia); 2) Tagliamento (Veneto, Friuli-Venezia Giulia); 3) Livenza (Veneto, Friuli-Venezia Giulia); 4) Piave (Veneto, Friuli-Venezia Giulia); 5) Brenta-Bacchiglione (Veneto, Trentino-Alto Adige); 6) Adige (Veneto, Trentino-Alto Adige); 7) Po (Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Toscana, Emilia-Romagna); b) per il versante tirrenico: 1) Arno (Toscana, Umbria); 2) Tevere (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo); 3) Liri-Garigliano (Lazio, Campania, Abruzzo); 4) Volturno (Abruzzo, Lazio, Campania). 2. Ai bacini dei fiumi che sfociano nell’alto Adriatico a nord del bacino dell’Adige e fino al confine jugoslavo, sopra indicati alla lettera a), nn.1), 2), 3), 4) e 5) e a quelli del medio Tirreno, sopra indicati alla lettera b), nn.3) e 4), è preposta rispettivamente un’unica Autorità di bacino, che opera anche per il coordinamento dei singoli piani di bacino avendo particolare riguardo alla valutazione degli effetti sulle aree costiere. 3. Nei bacini di rilievo nazionale resta fermo il riparto delle competenze previsto dalle vigenti disposizioni di legge. Ai fini della razionalizzazione delle competenze amministrative e della coordinata gestione delle opere idrauliche, della polizia idrau-
a) per il versante adriatico: 1) Lemene (Veneto, Friuli-Venezia Giulia); 2) Fissaro – Tartaro – Canal Bianco (Lombardia, Veneto); 3) Reno (Toscana, Emilia-Romagna); 4) Marecchia (Toscana, Emilia-Romagna, Marche); 5) Conca (Marche, Emilia-Romagna); 6) Tronto (Marche, Lazio, Abruzzo); 7) Sangro (Abruzzo, Molise); 8) Trigno (Abruzzo, Molise); 9) Saccione (Molise, Puglia); 10) Fortore (Campania, Molise, Puglia); 11) Ofanto (Campania, Basilicata, Puglia); b) per il versante ionico: 1) Bradano (Puglia, Basilicata); 2) Sinni (Basilicata, Calabria); c) per il versante tirrenico: 1) Magra (Liguria, Toscana); 2) Fiora (Toscana, Lazio); 3) Sele (Campania, Basilicata); 4) Noce (Basilicata, Calabria); 5) Lao (Basilicata, Calabria). 2. Nei predetti bacini sono trasferite alle regioni territorialmente competenti le funzioni amministrative relative alle opere idrauliche e delegate le funzioni amministrative relative alle risorse idriche. Le regioni esercitano le predette funzioni previa adozione di specifiche intese. 3. Le regioni territorialmente competenti definiscono, d’intesa: a) la formazione del comitato istituzionale di bacino e del comitato tecnico; b) il piano di bacino; c) la programmazione degli interventi; d) le modalità di svolgimento delle funzioni amministrative per la gestione del bacino, ivi comprese la progettazione, la realizzazione, la gestione e il finanziamento degli incentivi, degli interventi e delle opere. 4. “Qualora l’intesa di cui al c.2 non venga conseguita entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Presidente del Consiglio dei Ministri, previa diffida ad adempiere entro 30 giorni, istituisce, su proposta del Ministro dei lavori pubblici, il comitato istituzionale di bacino e il comitato tecnico di cui al c.3, lettera a)”. Art.16. BACINI DI RILEVO REGIONALE 1. Bacini di rilievo regionale sono tutti quelli non ricompresi nelle disposizioni degli artt. 14 e 15. 2. Le funzioni amministrative relative alle risorse idriche in tutti i bacini di rilievo regionale sono delegate alle regioni territorialmente competenti con DPR entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. 3. Nulla è innovato al disposto del DPR 24 luglio 1977, n.616, per quanto attiene alla disciplina delle grandi derivazioni sia nei bacini di rilievo regionale sia in quelli di rilievo interregionale, di cui all’art.15.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
CAPO II – GLI STRUMENTI
B.ATTERISTICLHI EDELLE
Art.17. VALORE, FINALITÀ E CONTENUTI DEL PIANO DI BACINO 1. Il piano di bacino ha valore di piano territoriale di settore ed è lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d’uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e la corretta utilizzazione delle acque, sulla base delle caratteristiche fisiche e ambientali del territorio interessato. 2. Il piano di bacino è redatto, ai sensi dell’art.81, primo c., lettera a) del DPR 24 luglio 1977, n.616, in base agli indirizzi, metodi e criteri fissati dal PCM, su proposta del Ministro dei lavori pubblici previa deliberazione del Comitato nazionale per la difesa del suolo. Studi e interventi sono condotti con particolare riferimento ai bacini montani, ai torrenti di alta valle e ai corsi d’acqua di fondovalle. 3. Il piano di bacino persegue le finalità indicate all’art.3 e, in particolare, contiene: a) in conformità a quanto previsto dall’art.2, il quadro conoscitivo organizzato e aggiornato del sistema fisico, delle utilizzazioni del territorio previste dagli strumenti urbanistici comunali e intercomunali, nonché dei vincoli, relativi al bacino, di cui la regio DL 30 dicembre 1923, n.3267, e alle leggi 1 giugno 1939, n.1089 e 29 giugno 1939, n.1497, e loro successive modificazioni e integrazioni; b) la individuazione e la quantificazione delle situazioni, in atto e potenziali, di degrado del sistema fisico, nonché delle relative cause; c) le direttive alle quali devono uniformarsi la difesa del suolo, la sistemazione idrogeologica e idraulica e l’utilizzazione delle acque e dei suoli; d) l’indicazione delle opere necessarie distinte in funzione: dei pericoli di inondazione e della gravità ed estensione del dissesto; del perseguimento degli obiettivi di sviluppo sociale ed economico o di riequilibrio territoriale nonché del tempo necessario per assicurare l’efficacia degli interventi; e) la programmazione e l’utilizzazione delle risorse idriche, agrarie, forestali ed estrattive; f) la individuazione delle prescrizioni, dei vincoli e delle opere idrauliche, idraulico-agrarie, idraulico-forestali, di forestazione, di bonifica idraulica, di stabilizzazione e consolidamento dei terreni e di ogni altra azione o norma d’uso o vincolo finalizzati alla conservazione del suolo e alla tutela dell’ambiente; g) il proseguimento e il completamento delle opere indicate alla precedente lettera f), qualora siano già state intraprese con stanziamenti disposti da leggi speciali e da leggi ordinarie di bilancio; h) le opere di protezione, consolidamento e sistemazione dei litorali marini che sottendono il bacino idrografico; i) la valutazione preventiva, anche al fine di scegliere tra ipotesi di governo e gestione tra loro diverse, del rapporto costi-benefici, dell’impatto ambientale e delle risorse finanziarie per i principali interventi previsti; l) la normativa e gli interventi rivolti a regolare l’estrazione dei materiali litoidi dal demanio fluviale, lacuale e marittimo e le relative fasce di rispetto, specificamente individuate in funzione del buon regime delle acque e della tutela dell’equilibrio geostatico e geomorfologico dei terreni e dei litorali; m)l’indicazione delle zone da assoggettare a speciali vincoli e prescrizioni in rapporto alle specifiche condizioni idrogeologiche, ai fini della conservazione del suolo, della tutela dell’ambiente e della prevenzione contro presumibili effetti dannosi di intervento antropici;
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CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
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D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
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A DIFES 2. A.3. E PER LA M R NO OLO U DEL S
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A.3. 2.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE NORME PER LA DIFESA DEL SUOLO
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COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA
➦ NORME PER IL RIASSETTO ORGANIZZATIVO E FUNZIONALE DELLA DIFESA DEL SUOLO modificata e integrata dalla: LEGGE 7 AGOSTO 1990, n.253
n) le prescrizioni contro l’inquinamento del suolo e il versamento nel terreno di discariche di rifiuti civili e industriali che comunque possano incidere sulle qualità dei corpi idrici superficiali e sotterranei; o) le misure per contrastare i fenomeni di subsidenza; p) il rilievo conoscitivo delle derivazioni in atto con specificazione degli scopi energetici, idropotabili, irrigui od altri e delle portate; q) il rilievo delle utilizzazioni diverse per la pesca, la navigazione od altre; r) il piano delle possibili utilizzazioni future sia per le derivazioni che per altri scopi, distinte per tipologie d’impiego e secondo le quantità; s) le priorità degli interventi e il loro organico sviluppo nel tempo, in relazione alla gravità del dissesto. 4. I piani di bacino sono coordinati con i programmi nazionali, regionali e sub-regionali di sviluppo economico e di uso del suolo. Di conseguenza, le autorità competenti, in particolare, provvedono entro dodici mesi dall’approvazione del piano di bacino ad adeguare i piani territoriali e i programmi regionali previsti dalla legge 27 dicembre 1977, n.984; i piani di risanamento delle acque previsti dalla legge 10 maggio 1976, n.319; i piani di smaltimento di rifiuti di cui al DPR 10 settembre 1982, n.915; i piani di cui all’art.5 della legge 29 giugno 1939, n.1497, e all’art.1-bis del DL 27 giugno 1985, n.312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n.431; i piani di disinquinamento di cui all’art.7 della legge 8 luglio 1986, n.349; i piani generali di bonifica. 5. Le disposizioni del piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici, nonché per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso piano di bacino. 6. Fermo il disposto del c.5, le regioni, entro novanta giorni dalla data di pubblicazione nella GU o nei Bollettini Ufficiali dell’approvazione del piano di bacino, emanano ove necessario le disposizioni concernenti l’attuazione del piano stesso nel settore urbanistico. Decorso tale termine, gli enti territorialmente interessati dal piano di bacino sono comunque tenuti a rispettarne le prescrizioni nel settore urbanistico. Qualora gli enti predetti non provvedano ad adottare i necessari adempimenti relativi ai propri strumenti urbanistici entro sei mesi dalla data di comunicazione delle predette disposizioni, e comunque entro nove mesi dalla pubblicazione dell’approvazione del piano di bacino, all’adeguamento provvedono d’ufficio le regioni. 6-bis.“In attesa dell’approvazione del piano di bacino, le autorità di bacino, tramite il comitato istituzionale, adottano misure di salvaguardia con particolare riferimento ai bacini montani, ai torrenti di alta valle e ai corsi d’acqua di fondovalle e ai contenuti di cui alle lettere b), c), f), l) e m) del c.3. Le misure di salvaguardia sono immediatamente vincolanti e restano in vigore sino all’approvazione del piano di bacino e comunque per un periodo non superiore a tre anni. In caso di mancata attuazione o di inosservanza, da parte delle regioni, delle province e dei comuni, delle misure di salvaguardia e qualora da ciò possa derivare un grave danno al territorio, il Ministro dei lavori pubblici, previa diffida ad adempiere entro congruo termine da indicarsi nella diffida medesima, adotta con ordinanza cautelare le necessarie misure provvisorie di salvaguardia, anche a carattere inibitorio di opere, di lavori o di attività
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antropiche, dandone comunicazione preventiva alle amministrazioni competenti. Se la mancata attuazione o l’inosservanza di cui al presente c. riguarda l’ufficio periferico dello Stato, il Ministro dei lavori pubblici informa senza indugio il Ministro competente da cui l’ufficio dipende, il quale assume le misure necessarie per assicurare l’adempimento. Se permane la necessità di un intervento cautelare per evitare un grave danno al territorio, il Ministro competente, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, adotta l’ordinanza cautelare di cui al presente c. ” 6-ter. “I piani di bacino idrografico possono essere redatti e approvati anche per sottobacini o per stralci relativi a settori funzionali che in ogni caso devono costituire fasi sequenziali e interrelate rispetto ai contenuti di cui al c.3. Deve comunque essere garantita la considerazione sistemica del territorio e devono essere disposte, ai sensi del c.6-bis, le opportune misure inibitorie e cautelative in relazione agli aspetti non ancora compiutamente disciplinati” (3).
(3) Commi aggiunti dall’art.12, c.3, del DL 398/1993, convertito in legge 493/1993.
Art.18. PIANI DI BACINO DI RILIEVO NAZIONALE 1. I progetti di piano di bacino di rilievo nazionale sono elaborati dai comitati tecnici e quindi adottati dai comitati istituzionali che, con propria deliberazione, contestualmente stabiliscono: a) i termini per l’adozione da parte delle regioni dei provvedimenti di cui al presente art.; b) quali componenti del progetto costituiscono interesse esclusivo delle singole regioni e quali costituiscono interessi comuni a due o più regioni. 2. In caso di inerzia in ordine agli adempimenti regionali, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dei lavori pubblici o del Ministro dell’ambiente per le materie di rispettiva competenza, sentito il comitato istituzionale di bacino, assume i provvedimenti necessari per garantire comunque lo svolgimento delle procedure e l’adozione degli atti necessari per la formazione dei piani secondo quanto disposto dal presente art., ivi compresa la nomina di commissari ad acta. 3. Dell’adozione del progetto di piano di bacino è data notizia nella GU e nei Bollettini Ufficiali delle regioni territorialmente interessate, con la precisazione dei tempi, luoghi e modalità, ove chiunque sia interessato possa prendere visione e consultare la documentazione. Il progetto è altresì trasmesso al Comitato nazionale per la difesa del suolo anche ai fini della verifica del rispetto dei metodi, indirizzi e criteri di cui all’art.4. 4. Il Comitato nazionale per la difesa del suolo esprime osservazioni sul progetto di piano di bacino entro novanta giorni dalla data di trasmissione dello stesso. Trascorso tale termine il parere si intende espresso favorevolmente. 5. Le eventuali osservazioni del Comitato nazionale per la difesa del suolo sono trasmesse tempestivamente alle regioni interessate ai fini della formulazione di eventuali controdeduzioni. 6. Il progetto di piano e la relativa documentazione sono depositati almeno presso le sedi delle regioni e delle province territorialmente interessate e
sono disponibili per la consultazione per quarantacinque giorni dopo la pubblicazione dell’avvenuta adozione nella GU. 7. Presso ogni sede di consultazione è predisposto un registro sul quale sono annotate le richieste di visione e copia degli atti. 8. Osservazioni sul progetto di piano possono essere inoltrate alla regione territorialmente competente entro i successivi quarantacinque giorni dalla scadenza del periodo di consultazione o essere direttamente annotate sul registro di cui al c.7. 9. Entro trenta giorni dalla scadenza del termine indicato al c.8, le regioni si esprimono sulle osservazioni di cui ai c.4 e 8 e formulano un parere sul progetto di piano. 10.Il comitato istituzionale, tenuto conto delle osservazioni e dei pareri di cui ai commi precedenti, adotta il piano di bacino. 11.I piani di bacino, approvati con le modalità di cui all’art.4, c.1, lettera c), sono pubblicati nella GU e nei Bollettini Ufficiali delle regioni territorialmente competenti. Art.19. PIANI DI BACINO DI RILIEVO INTERREGIONALE 1. Per la elaborazione e adozione dei piani di bacino di rilievo interregionale si applicano le disposizioni di cui ai c. da 1 a 10 dell’art.18. 2. Le regioni, tenuto conto delle osservazioni formulate dal Comitato nazionale per la difesa del suolo, ai sensi della lettera c) del c.7 dell’art.6, approvano, per le parti di rispettiva competenza territoriale, il piano del bacino e lo trasmettono entro i successivi sessanta giorni al Comitato nazionale per la difesa del suolo. 3. Nel caso di mancato adeguamento da parte delle regioni alle osservazioni formulate dal Comitato nazionale, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dei lavori pubblici, può adottare eventuali modifiche. Art.20. PIANI DI BACINO DI RILIEVO REGIONALE 1. “Con propri atti le regioni disciplinano e provvedono a elaborare e approvare i piani di bacino di rilievo regionale contestualmente coordinando i piani di cui alla legge 10 maggio 1976, n.319. Ove risulti opportuno per esigenze di coordinamento, le regioni possono elaborare e approvare un unico piano per più bacini regionali, rientranti nello stesso versante idrografico e aventi caratteristiche di uniformità morfologica ed economicoproduttiva”. 2. Qualora in un bacino di rilievo regionale siano compresi territori d’altra regione, il piano è elaborato dalla regione il cui territorio è maggiormente interessato e all’approvazione provvedono le singole regioni, ciascuna per la parte di rispettiva competenza territoriale, secondo le disposizioni di cui al c.1. 3. Il piano di bacino è trasmesso entro sessanta giorni dalla adozione al Comitato nazionale per la difesa del suolo ai fini della verifica del rispetto degli indirizzi e criteri di cui all’art.4. 3. “In caso di inerzia o di mancata intesa tra le regioni interessate, il PCM, previa diffida ad adempiere entro trenta giorni, adotta, su proposta del Ministro dei lavori pubblici o del Ministro dell’ambiente, per le materie di rispettiva competenza, gli atti in via sostitutiva”.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE
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COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORME PER LA DIFESA DEL SUOLO
A.3. 2. A.ZIONI
Capo III – GLI INTERVENTI Art.21. I PROGRAMMI DI INTERVENTO 1. I piani di bacino sono attuati attraverso programmi triennali di intervento, redatti tenendo conto degli indirizzi e delle finalità dei piani medesimi. 2. I programmi triennali debbono destinare una quota non inferiore al 10% (4) degli stanziamenti complessivamente a: a) interventi di manutenzione ordinaria delle opere, degli impianti e dei beni, compresi mezzi, attrezzature e materiali dei cantieri-officina e dei magazzini idraulici; b) svolgimento del servizio di polizia idraulica, di navigazione interna, di piena e pronto intervento idraulico; c) compilazione e aggiornamento dei piani di bacino, svolgimento di studi, rilevazioni o altro nelle materie riguardanti la difesa del suolo, redazione dei progetti generali, degli studi di fattibilità, dei progetti di massima ed esecutivi di opere e degli studi di valutazione dell’impatto ambientale di quelle principali; d) – omissis – 3. Le regioni, conseguito il parere favorevole del comitato di bacino di cui all’art.18, possono provvedere con propri stanziamenti alla realizzazione di opere e di interventi previsti dai piani di bacino di rilievo nazionale, con il controllo del predetto comitato. 4. Le province, i comuni, le comunità montane e gli altri enti pubblici, previa autorizzazione della regione o del comitato istituzionale interessati, possono concorrere con propri stanziamenti alla realizzazione di opere e interventi previsti dai piani di bacino.
(4) Percentuale così ridotta dall’art.12, c.4 del D.L.398/1993 convertito in legge 493/1993.
Art.22. ADOZIONE DEI PROGRAMMI 1. I programmi di intervento nei bacini di rilievo nazionale sono adottati dai competenti comitati istituzionali. 2. I programmi triennali di intervento relativi ai bacini di rilievo interregionale sono adottati d’intesa dalle regioni; in mancanza di intesa si applica il c.4 dell’art.20. 3. Alla adozione dei programmi di intervento nei bacini di rilievo regionale provvedono le regioni competenti. 4. Entro il 31 dicembre del penultimo anno del programma triennale in corso, i programmi di intervento, adottati secondo le modalità di cui ai commi precedenti, sono trasmessi al Ministro dei lavori pubblici – presidente del Comitato nazionale per la difesa del suolo, affinché entro il successivo 30 giugno, sulla base delle previsioni contenute nei programmi, e sentito il Comitato nazionale per la difesa del suolo, trasmetta al Ministro del tesoro l’indicazione del fabbisogno finanziario per il successivo triennio, ai fini della predisposizione del disegno di legge finanziaria. 5. La scadenza di ogni programma triennale è stabilita al 31 dicembre dell’ultimo anno del triennio e le somme autorizzate per l’attuazione del programma per la parte eventualmente non ancora impegnata alla predetta data sono destinate a incrementare il fondo del programma triennale successivo per l’attuazione degli interventi previsti dal programma triennale in corso o dalla sua revisione.
6. L’approvazione del programma triennale produce gli effetti di cui all’art.81 del DPR 24 luglio 1977, n.616, con riferimento all’accertamento di conformità e alle intese di cui al citato art.81. 6-bis.“Gli interventi previsti dai programmi triennali sono di norma attuati in forma integrata e coordinata dai soggetti competenti, in base ad accordi di programma ai sensi dell’art.27 della legge 8 giugno 1990, n.142 (5).
(5) C. aggiunto dall’art.12, c.2, del D.L. 398/1993, convertito in legge 493/1993.
Art.23. ATTUAZIONE DEGLI INTERVENTI 1. Le funzioni di studio e di progettazione e tecnicoorganizzative attribuite alle Autorità di bacino possono essere esercitate anche mediante affidamento di incarichi, deliberati dai rispettivi comitati istituzionali, a istituzioni universitarie, liberi professionisti e organizzazioni tecnico-professionali specializzate. 2. L’aliquota per spese generali di cui all’art.2 della legge 24 giugno 1929, n.1137, e successive modificazioni e integrazioni, è stabilita a favore del concessionario nella misura massima di 10% dell’importo dei lavori e delle espropriazioni e compensa ogni altro onere affrontato per la realizzazione delle opere dalla fase progettuale al collaudo e accertamento dei terreni occupati. 2-bis. “Il Presidente del Consiglio dei Ministri, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, su proposta del Ministro dei lavori pubblici e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, emana un decreto che disciplina la materia di cui al c.2, tenendo conto delle caratteristiche dei lavori e delle categorie delle prestazioni professionali”. 3. Nell’ambito delle competenze attribuite dalla presente legge, il Ministro dei lavori pubblici e le regioni sono autorizzati ad assumere impegni di spesa fino all’intero ammontare degli stanziamenti assegnati per tutta la durata del programma triennale, purché i relativi pagamenti siano effettuati entro i limiti delle rispettive assegnazioni annuali. 4. L’esecuzione di opere di pronto intervento ai sensi del DLgs 12 aprile 1948, n.1010, ratificato con legge 18 dicembre 1952, n.3136, può avere carattere definitivo quando l’urgenza del caso lo richiede. 5. Tutti gli atti di concessione per l’attuazione di interventi ai sensi della presente legge sono soggetti a registrazione a tassa fissa.
Capo IV – LE RISORSE Artt. 24 – 25 – omissis –
Art.30. BACINO REGIONALE PILOTA 1. Entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge il Ministro dei lavori pubblici, d’intesa con il Ministro dell’ambiente, individua il bacino regionale in cui, per le particolari condizioni di dissesto idrogeologico, di rischio sismico e di inquinamento delle acque, procedere alla predisposizione del piano di bacino, come previsto dalla presente legge, già con riferimento agli interventi da effettuare nel triennio 1989—1991, sperimentando in tale sede la prima formulazione delle normative tecniche di cui all’art.2, dei metodi e dei criteri di cui all’art.17 e delle modalità di coordinamento con i piani di risanamento delle acque e di smaltimento dei rifiuti previsti dalle disposizioni vigenti. Limitatamente all’ambito territoriale del bacino predetto, è inoltre autorizzato il recepimento anticipato, rispetto al restante territorio nazionale, delle direttive comunitarie rilevanti rispetto alle finalità della presente legge. Art.31. SCHEMI PREVISIONALI E PROGRAMMATICI 1. Entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con DPCM, sono costituite le Autorità dei bacini di rilievo nazionale, che elaborano e adottano uno schema previsionale e programmatico ai fini della definizione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio con riferimento alla difesa del suolo e della predisposizione dei piani di bacino, sulla base dei necessari atti di indirizzo e coordinamento. 2. Gli schemi debbono, tra l’altro, indicare: a) gli adempimenti, e i relativi termini, necessari per la costituzione delle strutture tecnico-operative di bacini;
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
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F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
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NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P
b) i fabbisogni cartografici e tecnici e gli studi preliminarmente indispensabili ai fini del c.1;
NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P
c) gli interventi più urgenti per la salvaguardia del suolo, del territorio e degli abitati e la razionale utilizzazione delle acque, ai sensi della presente legge, dando priorità in base ai criteri integrati dell’incolumità delle popolazioni o del danno incombente nonché dell’organica sistemazione;
A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
d) le modalità di attuazioni e i tempi di attuazione e i tempi di realizzazione degli interventi; e) i fabbisogni finanziari. 3. Agli stessi fini del c.1, le regioni, delimitati provvisoriamente, ove necessario, gli ambiti territoriali, adottano, ove occorra, d’intesa, schemi con pari indicazioni per i restanti bacini. 4. Gli schemi sono trasmessi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge al Comitato dei ministri di cui all’art.4 che, sentito il Comitato nazionale per la difesa del suolo, propone al Consiglio dei ministri la ripartizione dei fondi disponibili per il triennio 1989—1991, da adottare con DPCM.
TITOLO III DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI
Artt. 32 – 34 – omissis –
Art.26. COSTITUZIONE DEL COMITATO NAZIONALE PER LA DIFESA DEL SUOLO
Art.35 ORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI IDRICI PUBBLICI
1. Entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è costituito il Comitato nazionale per la difesa del suolo. Entro lo stesso termine sono costituiti gli organi dell’Autorità di bacino di cui all’art.12 della presente legge.
1. Nei piani di bacino, in relazione a quanto previsto all’art.17, c.3, lettera e), e compatibilmente con gli altri interventi programmati dal Ministero dei lavori pubblici con il piano nazionale degli acquedotti, possono essere individuati ambiti territoriali ottimali per la gestione mediante consorzio obbligatorio dei servizi pubblici di acquedotto, fognatura, collettamento e depurazione delle acque usate.
Artt. 27 – 29 – omissis –
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
A DIFES 2. A.3. E PER LA M R NO OLO U DEL S
A 97
A.3. 3.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE SALVAGUARDIA DELLE RISORSE IDRICHE
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COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA
DISPOSIZIONI IN MATERIA DI RISORSE IDRICHE ACQUE PUBBLICHE E IMPIANTI ELETTRICI A) DISPOSIZIONI GENERALI
CAPO I – PRINCIPI GENERALI
1. Tutela e uso delle risorse idriche 1. Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata e utilizzata secondo criteri di solidarietà. 2. Qualsiasi uso delle acque è effettuato salvaguardando le aspettative e i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale. 3. Gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici. 4. Le acque termali, minerali e per uso geotermico sono disciplinate da leggi speciali.
(1) Pubblicata nella GU 19 gennaio 1994, n.14, S.O.
2. Usi delle acque 1. L'uso dell'acqua per il consumo umano è prioritario rispetto agli altri usi del medesimo corpo idrico superficiale o sotterraneo. Gli altri usi sono ammessi quando la risorsa è sufficiente e a condizione che non ledano la qualità dell'acqua per il consumo umano. 2. Con decreto emanato, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, dal Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, ai sensi dell'art.17, c.3, della legge 23 agosto 1988, n.400 (2), è adottato il regolamento per la disciplina delle modificazioni artificiali della fase atmosferica del ciclo naturale dell'acqua.
(2) Riportata alla voce Ministeri: provvedimenti generali.
3. Equilibrio del bilancio idrico 1. L'Autorità di bacino competente definisce e aggiorna periodicamente il bilancio idrico diretto ad assicurare l'equilibrio fra le disponibilità di risorse reperibili o attivabili nell'area di riferimento e i fabbisogni per i diversi usi, nel rispetto dei criteri e degli obiettivi di cui agli artt. 1 e 2. 2. Per assicurare l'equilibrio tra risorse e fabbisogni, l'Autorità di bacino competente adotta, per quanto di competenza, le misure per la pianificazione dell'economia idrica in funzione degli usi cui sono destinate le risorse. 3. Nei bacini idrografici caratterizzati da consistenti prelievi o da trasferimenti, sia a valle che oltre la linea di displuvio, le derivazioni sono regolate in modo da garantire il livello di deflusso necessario alla vita negli alvei sottesi e tale da non danneggiare gli equilibri degli ecosistemi interessati.
4. Competenze dello Stato 1. Il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Comitato dei ministri per i servizi tecnici nazionali e gli interventi nel settore della difesa del suolo, di cui all'art.4, c.2, della legge 18 maggio 1989,
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n.183 (3), e successive modificazioni, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nell'esercizio delle funzioni di cui al medesimo art.4 della citata legge n.183 del 1989 (3), con propri decreti determina: a) le direttive generali e di settore per il censimento delle risorse idriche, per la disciplina dell'economia idrica e per la protezione delle acque dall'inquinamento; b) le metodologie generali per la programmazione della razionale utilizzazione delle risorse idriche e le linee della programmazione degli usi plurimi delle risorse idriche; c) i criteri e gli indirizzi per la programmazione dei trasferimenti di acqua per il consumo umano di cui all'articolo17; d) le metodologie e i criteri generali per la revisione e l'aggiornamento del piano regolatore generale degli acquedotti, e successive varianti, di cui alla legge 4 febbraio 1963, n.129 (4), e successive modificazioni, da effettuarsi su scala di bacino salvo quanto previsto all'art.17; e) le direttive e i parametri tecnici per la individuazione delle aree a rischio di crisi idrica con finalità di prevenzione delle emergenze idriche; f) i criteri per la gestione del servizio idrico integrato, costituito dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua a usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue; g) i livelli minimi dei servizi che devono essere garantiti in ciascun ambito territoriale ottimale di cui all'art.8, c.1, nonché i criteri e gli indirizzi per la gestione dei servizi di approvvigionamento, di captazione e di accumulo per usi diversi da quello potabile; h) meccanismi e istituti di conguaglio a livello di bacino ai fini del riequilibrio tariffario; i) i sistemi già esistenti che rispondano all'obiettivo di cui all'art.17, ai fini dell'applicazione del medesimo articolo (4/a). 2. Per lo svolgimento delle attività di cui al c.1, il Comitato dei ministri di cui all'art.4, c.2, della citata legge n.183 del 1989 (3), e successive modificazioni, senza oneri ulteriori a carico del bilancio dello Stato, si avvale del supporto tecnico e amministrativo del dipartimento per i servizi tecnici nazionali della Presidenza del Consiglio dei ministri, della direzione generale della difesa del suolo del Ministero dei lavori pubblici e del servizio per la tutela delle acque, la disciplina dei rifiuti, il risanamento del suolo e la prevenzione dell'inquinamento di natura fisica del Ministero dell'ambiente.
(3) Riportata alla voce Ministero dell'ambiente. (4) Riportata al n.A/IX. (4/a) Vedi, anche, il DPCM 4 marzo 1996, riportato al n.A/XXXIV.
5. Risparmio idrico 1. Il risparmio della risorsa idrica è conseguito, in particolare, mediante la progressiva estensione delle seguenti misure: a) risanamento e graduale ripristino delle reti esistenti che evidenziano rilevanti perdite; b) installazione di reti duali nei nuovi insediamenti abitativi, commerciali e produttivi di rilevanti dimensioni; c) installazione di contatori in ogni singola unità abitativa nonché di contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano; d) diffusione dei metodi e delle apparecchiature per il risparmio idrico domestico e nei settori industriale, terziario e agricolo.
2. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, con DM dei lavori pubblici, emanato ai sensi dell'art.17, c.3, della legge 23 agosto 1988, n.400 (5), è adottato un regolamento per la definizione dei criteri e del metodo in base ai quali valutare le perdite degli acquedotti e delle fognature. Entro il mese di febbraio di ciascun anno, i soggetti gestori dei servizi idrici trasmettono al Ministero dei lavori pubblici i risultati delle rilevazioni eseguite con la predetta metodologia.
(5) Riportata alla voce Ministeri: provvedimenti generali.
6. Modalità per il riutilizzo delle acque reflue 1. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, in attuazione dell'art.2, primo c., lettera e), della legge10 maggio 1976, n.319 (6), con decreto del Ministro dell'ambiente, sentiti i Ministri dei lavori pubblici, della sanità e dell'industria, del commercio e dell'artigianato, sono adottate norme tecniche riguardanti: a) le tipologie di uso dell'acqua per le quali è ammesso il reimpiego di acque reflue; le tipologie delle acque reflue suscettibili di riutilizzo; gli standard di qualità e di consumo; i requisiti tecnologici relativi ai trattamenti di depurazione da adottare; b) le modalità di impiego di acque reflue depurate, tenuto conto degli aspetti igienico – sanitari; c) le modalità per la realizzazione, la conduzione e l'adeguamento di impianti di depurazione e di reti di distribuzione di acque reflue per i diversi usi. 2. La regione adotta programmi per attuare il risparmio idrico, prevedendo incentivi e agevolazioni alle imprese che si dotino di impianti di riuso e di riciclo ovvero utilizzino acque reflue trattate, nonché per realizzare acquedotti a uso industriale, promiscuo e rurale. (6) Riportata alla voce Sanità pubblica.
7. Trattamento delle acque reflue urbane 1. Il Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri della sanità, dell'industria, del commercio e dell'artigianato e dei lavori pubblici, previo parere vincolante della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, con proprio decreto predispone il programma nazionale di attuazione della direttiva 91/271/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1991, concernente il trattamento delle acque reflue urbane. Il programma definisce le direttive, i criteri e gli indirizzi affinché i comuni siano provvisti di reti fognarie e le acque reflue urbane siano depurate secondo le modalità e le norme tecniche stabilite dalla medesima direttiva. 2. Il Ministro dell'ambiente, con proprio decreto emanato di concerto con i Ministri della sanità, dell'industria, del commercio e dell'artigianato e dei lavori pubblici, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, provvede all'attuazione della citata direttiva 91/271/CEE in conformità alla legislazione vigente in materia di tutela delle acque dall'inquinamento. 3. I decreti di cui ai commi 1 e 2 sono emanati ai sensi dell'art.17, c.3, della legge 23 agosto 1988, n.400. 4. Il Ministro dell'ambiente, nell'ambito della relazione sullo stato dell'ambiente, riferisce al
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE
COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA SALVAGUARDIA DELLE RISORSE IDRICHE
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A.3. 3. A.ZIONI
Parlamento sullo stato di attuazione della citata direttiva 91/271/CEE e della relativa normativa di recepimento. Il Ministro dell'ambiente provvede altresì a informare le Comunità europee e a fornire le altre comunicazioni previste dalla medesima direttiva. A tali fini, il Ministro dell'ambiente promuove e organizza la raccolta presso i comuni, le province e le regioni di tutti i dati necessari.
bliche fognature, per la funzionalità degli impianti di pretrattamento e per il rispetto dei limiti e delle prescrizioni previsti dalle relative autorizzazioni (8/a).
soggetto che svolge il compito di coordinamento del servizio e adottano ogni altra misura di organizzazione e di integrazione delle funzioni fra la pluralità di soggetti gestori.
6. Nei bacini di rilievo nazionale sono fatte salve le competenze statali di cui all'art.91, numero 4), del D.P.R. 24 luglio 1977, n.616 (9), esercitate dal Ministro dei lavori pubblici, su proposta dell'Autorità di bacino.
(10) Riportata alla voce Comuni e province. (11) Riportata alla voce Amministrazione del patrimonio e contabilità generale dello Stato.
C.RCIZIO
10. Gestioni esistenti
D.GETTAZIONE
CAPO II – SERVIZIO IDRICO INTEGRATO
8. Organizzazione territoriale del servizio idrico integrato. 1. I servizi idrici sono riorganizzati sulla base di ambiti territoriali ottimali delimitati secondo i seguenti criteri: a) rispetto dell'unità del bacino idrografico o del sub-bacino o dei bacini idrografici contigui, tenuto conto delle previsioni e dei vincoli contenuti nei piani regionali di risanamento delle acque di cui alla legge 10 maggio 1976, n.319, e successive modificazioni, e nel piano regolatore generale degli acquedotti, nonché della localizzazione delle risorse e dei loro vincoli di destinazione, anche derivanti da consuetudine, in favore dei centri abitati interessati; b) superamento della frammentazione delle gestioni; c) conseguimento di adeguate dimensioni gestionali, definite sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici e sulla base delle ripartizioni politico-amministrative (6/a). 2. Le regioni, sentite le province interessate, nonché le province autonome di Trento e di Bolzano, nell'ambito delle attività di programmazione e di pianificazione previste dagli artt. 3 e 17 della legge 18 maggio 1989, n.183 (7), e successive modificazioni, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, provvedono alla delimitazione degli ambiti territoriali ottimali. Nei bacini idrografici di rilievo nazionale, ai sensi della citata legge n.183 del 1989 (8), le regioni, sentite le province interessate, nonché le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono alla delimitazione degli ambiti territoriali ottimali dopo aver sottoposto il progetto di delimitazione all'Autorità di bacino per la determinazione di competenza ai sensi dell'art.12, c.4, della citata legge n.183 del 1989 (8) (8/a). 3. Qualora, nei bacini che non siano di rilievo nazionale, un acquedotto in regime di servizio pubblico, per concessione assentita o consuetudine, convogli risorse idriche derivate o captate in territori comunali ricadenti in più regioni, la delimitazione degli ambiti territoriali ottimali di cui al c.1 è effettuata d'intesa tra le regioni interessate (8/a). 4. Le regioni, sentite le province interessate, nonché le province autonome di Trento e di Bolzano, d'intesa tra loro o singolarmente, nonché l'Autorità di bacino, nell'ambito delle attività previste dagli artt. 3 e 17 della citata legge n.183 del 1989 (8), e successive modificazioni, per le finalità di cui alla presente legge provvedono nei bacini idrografici di loro competenza all'aggiornamento del piano regolatore generale degli acquedotti su scala di bacino e alla programmazione degli interventi attuativi occorrenti in conformità alle procedure previste dalla medesima legge n.183 del 1989 (8) (8/a). 5. Le regioni, sentite le province, nonché le province autonome di Trento e di Bolzano, stabiliscono norme integrative per il controllo degli scarichi degli insediamenti civili e produttivi allacciati alle pub-
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
(6/a) La Corte costituzionale, con sentenza 24 novembre-51 – Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art.8, commi 1, 2, 3, 4 e 5 nella parte in cui si estende alle Province autonome di Trento e di Bolzano, e dell'art.30, c.1, lettere b) e c), della stessa legge, nella parte in cui prevede l'intervento di organismi statali senza ricorrere all'intesa con le Province autonome e al di fuori del piano generale provinciale, anche quando non si tratti di grandi derivazioni a scopo idroelettrico.
(7) Riportata alla voce Ministero dell'ambiente. (8) Riportata alla voce Ministero dell'ambiente. (8/a) Vedi la nota 6/a all'art.8. (9) Riportato alla voce Regioni.
9. Disciplina della gestione del servizio idrico integrato 1. I comuni e le province di ciascun ambito territoriale ottimale di cui all'art.8, entro il termine perentorio di sei mesi dalla delimitazione dell'ambito medesimo, organizzano il servizio idrico integrato, come definito dall'art.4, c.1, lettera f), al fine di garantirne la gestione secondo criteri di efficienza, di efficacia e di economicità. 2. I comuni e le province provvedono alla gestione del servizio idrico integrato mediante le forme, anche obbligatorie, previste dalla legge 8 giugno 1990, n.142 (10), come integrata dall'art.12, legge 23 dicembre 1992, n.498 (11). 3. Per le finalità di cui al presente art., le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, disciplinano, ai sensi della legge 8 giugno 1990, n.142 (10), e successive modificazioni, le forme e i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale. Nei casi in cui la forma di cooperazione sia attuata per gli effetti dell'art.24 della legge 8 giugno 1990, n.142 (10), le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano individuano gli enti locali partecipanti, l'ente locale responsabile del coordinamento, gli adempimenti e i termini previsti per la stipulazione delle convenzioni di cui all'art.24, c.1, della legge 8 giugno 1990, n.142. Dette convenzioni determinano in particolare le procedure che dovranno essere adottate per l'assegnazione della gestione del servizio idrico, le forme di vigilanza e di controllo, nonché gli altri elementi indicati all'art.24, c.2, della legge 8 giugno 1990, n.142 (10). Decorso inutilmente il termine fissato dalle regioni e dalle province autonome, provvedono queste ultime in sostituzione degli enti inadempienti. 4. Al fine di salvaguardare le forme e le capacità gestionali degli organismi esistenti che rispondono a criteri di efficienza, di efficacia e di economicità, i comuni e le province possono provvedere alla gestione integrata del servizio idrico anche con una pluralità di soggetti e di forme tra quelle di cui al c.2. In tal caso, i comuni e le province individuano il
1. Le aziende speciali, gli enti e i consorzi pubblici esercenti i servizi, anche in economia, esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge, continuano a gestire i servizi loro affidati fino alla organizzazione del servizio idrico integrato secondo le modalità di cui all'art.9. 2. Le aziende speciali, gli enti e i consorzi pubblici esercenti i servizi, anche in economia, di cui al c.1, ove ne sia deliberato lo scioglimento, confluiscono nel soggetto gestore del servizio idrico integrato, secondo le modalità e le forme stabilite nella convenzione. Il nuovo soggetto gestore subentra agli enti preesistenti nei termini e con le modalità previste nella convenzione e nel relativo disciplinare.
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
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CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
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G.ANISTICA URB
3. Le società e le imprese consortili concessionarie di servizi alla data di entrata in vigore della presente legge ne mantengono la gestione fino alla scadenza della relativa concessione. 4. Alla scadenza delle concessioni di cui al c.3, i beni e gli impianti delle imprese già concessionarie sono trasferiti direttamente agli enti locali concedenti nei limiti e nelle forme di legge, se non diversamente disposto dalla convenzione. 5. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro dei lavori pubblici, emanato d'intesa con il Ministro del tesoro, sentiti il Ministro dell'ambiente e le regioni interessate, nonché le competenti Commissioni parlamentari, nel limite degli ordinari stanziamenti di bilancio, si provvede al riassetto funzionale e organizzativo degli enti gestori di servizi di cui all'art.4, c.1, lettera f), sottoposti a vigilanza statale, ridefinendone la natura giuridica e le competenze territoriali, nel rispetto dei criteri e delle modalità di gestione dei servizi di cui alla presente legge.
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
6. Gli impianti di acquedotto, fognatura e depurazione gestiti dai consorzi per le aree e i nuclei di sviluppo industriale di cui all'art.50 del testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, approvato con DPR 6 marzo 1978, n.218 (12), e successive modificazioni, e da altri consorzi di diritto pubblico, nel rispetto dell'unità di gestione, entro il 31 dicembre 1995 sono trasferiti al gestore del servizio idrico integrato dell'ambito territoriale ottimale nel quale ricadono in tutto o per la maggior parte i territori serviti, secondo un piano adottato con DPCM, su proposta del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro dell'ambiente, sentite le regioni, le province e gli enti interessati. 7. Nel caso in cui le regioni, le province o altri enti pubblici siano titolari di servizi di cui all'art.4; comma1, lettera f), essi ne affidano la gestione nelle forme previste dall'art.22, c.3, lettere b), c) ed e), della legge 8 giugno 1990, n.142 (13).
(12) Riportato alla voce Cassa per il Mezzogiorno. (13) Riportata alla voce Comuni e province.
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DELLE 3. A.3. GUARDIA E A H V L SA SE IDRIC RISOR
A 99
A.3. 3.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE SALVAGUARDIA DELLE RISORSE IDRICHE
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COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA
➦ DISPOSIZIONI IN MATERIA DI RISORSE IDRICHE ➦ ACQUE PUBBLICHE E IMPIANTI ELETTRICI 11. Rapporti tra enti locali e soggetti gestori del servizio idrico integrato. 1. La regione adotta una convenzione tipo e relativo disciplinare per regolare i rapporti tra gli enti locali di cui all'art.9 e i soggetti gestori dei servizi idrici integrati, in conformità ai criteri e agli indirizzi di cui all'art.4, c.1, lettere f) e g). 2. La convenzione tipo prevede, in particolare: a) il regime giuridico prescelto per la gestione del servizio; b) l'obbligo del raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario della gestione; c) la durata dell'affidamento, non superiore comunque a trenta anni; d) i criteri per definire il piano economico-finanziario per la gestione integrata del servizio; e) le modalità di controllo del corretto esercizio del servizio; f) il livello di efficienza e di affidabilità del servizio da assicurare all'utenza anche con riferimento alla manutenzione degli impianti; g) la facoltà di riscatto da parte degli enti locali secondo i principi di cui al titolo I, capo II, del regolamento approvato con DPR 4 ottobre1986, n.902 (14); h) l'obbligo di restituzione delle opere, degli impianti e delle canalizzazioni dei servizi di cui all'art.4, c.1, lettera f), oggetto dell'esercizio, in condizioni di efficienza e in buono stato di conservazione; i) idonee garanzie finanziarie e assicurative; l) le penali, le sanzioni in caso di inadempimento e le condizioni di risoluzione secondo i principi del codice civile; m)i criteri e le modalità di applicazione delle tariffe determinate dagli enti locali e del loro aggiornamento, anche con riferimento alle diverse categorie di utenze. 3. Ai fini della definizione dei contenuti della convenzione di cui al c.2, i comuni e le province operano la ricognizione delle opere di adduzione, di distribuzione, di fognatura e di depurazione esistenti e definiscono le procedure e le modalità, anche su base pluriennale, per assicurare il conseguimento degli obiettivi previsti dalla presente legge. A tal fine predispongono, sulla base dei criteri e degli indirizzi fissati dalle regioni, un programma degli interventi necessari accompagnato da un piano finanziario e dal connesso modello gestionale e organizzativo. Il piano finanziario indica, in particolare, le risorse disponibili, quelle da reperire nonché i proventi da tariffa, come definiti all'art.13, per il periodo considerato.
(14) Riportato alla voce Municipalizzazione di pubblici servizi.
12. Dotazioni dei soggetti gestori del servizio idrico integrato 1. Le opere, gli impianti e le canalizzazioni relativi ai servizi di cui all'art.4, c.1, lettera f), di proprietà degli enti locali o affidati in dotazione o in esercizio ad aziende speciali e a consorzi, salvo diverse disposizioni della convenzione, sono affidati in concessione al soggetto gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare. 2. Le immobilizzazioni, le attività e le passività relative ai servizi di cui all'art.4, c.1, lettera f), ivi compresi gli oneri relativi all'ammortamento dei mutui, sono trasferite al soggetto gestore del servizio idrico integrato.
A 100
3. Le regioni e, compatibilmente con le attribuzioni previste dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione, le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano forme e modalità per il trasferimento ai soggetti gestori del servizio idrico integrato del personale appartenente alle amministrazioni comunali, dei consorzi, delle aziende speciali e di altri enti pubblici giˆ adibito ai servizi di cui all'art.4, c.1, lettera f), della presente legge, alla data del 31 dicembre 1992. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono con legge al trasferimento del personale ai nuovi gestori del servizio idrico integrato; tale trasferimento avviene nella posizione giuridica rivestita dal personale stesso presso l'ente di provenienza. Nel caso di passaggio di dipendenti di enti pubblici e di aziende municipalizzate o consortili a società private che esercitano le medesime funzioni, si applica, ai sensi dell'art.62 del DLgs 3 febbraio 1993, n.29 (15), la disciplina del trasferimento di azienda di cui all'art.2112 del codice civile.
6. La tariffa è applicata dai soggetti gestori, nel rispetto della convenzione e del relativo disciplinare.
4. Il soggetto gestore del servizio idrico integrato, previo consenso della provincia e del comune giˆ titolare, può gestire altri servizi pubblici, oltre a quello idrico, ma con questo compatibili, anche se non estesi all'intero ambito territoriale ottimale.
(17/a) Vedi, anche, l'art.3, c.42-47, legge 28 dicembre 1995,
7. Nella modulazione della tariffa sono assicurate agevolazioni per i consumi domestici essenziali nonché per i consumi di determinate categorie secondo prefissati scaglioni di reddito. Per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi sono ammesse maggiorazioni di tariffa per le residenze secondarie e per gli impianti ricettivi stagionali. 8. Per le successive determinazioni della tariffa si tiene conto degli obiettivi di miglioramento della produttività e della qualità del servizio fornito e del tasso di inflazione programmato. 9. L'eventuale modulazione della tariffa tra i comuni tiene conto degli investimenti effettuati dai comuni medesimi che risultino utili ai fini dell'organizzazione del servizio idrico integrato (17/a).
n.549, riportata alla voce Amministrazione del patrimonio e contabilità generale dello Stato.
14. Tariffa del servizio di fognatura e depurazione 5. Il servizio elettrico gestito, alla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell'art.4, numero5), della legge 6 dicembre 1962, n.1643 (16), e dell'articolo21 della legge 9 gennaio 1991, n.9 (17), da aziende esercenti anche servizi di cui all'art.4, c.1, lettera f), della presente legge può essere trasferito, con autorizzazione del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, previo consenso del comune titolare della concessione di esercizio elettrico, al soggetto gestore del servizio idrico integrato.
(15) Riportato alla voce Impiegati civili dello Stato. (16) Riportata alla voce Ente nazionale per la cellulosa e per la carta. (17) Riportata alla voce Ministero dell'ambiente.
13. Tariffa del servizio idrico 1. La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico come definito all'articolo4, c.1, lettera f). 2. La tariffa è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio. 3. Il Ministro dei lavori pubblici, di intesa con il Ministro dell'ambiente, su proposta del comitato di vigilanza di cui all'art.21, sentite le Autorità di bacino di rilievo nazionale, nonché la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, elabora un metodo normalizzato per definire le componenti di costo e determinare la tariffa di riferimento. La tariffa di riferimento è articolata per fasce di utenza e territoriali, anche con riferimento a particolari situazioni idrogeologiche.
1. La quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. I relativi proventi affluiscono in un fondo vincolato e sono destinati esclusivamente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione . 2. Gli utenti tenuti all'obbligo di versamento della tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura, di cui al c.1, sono esentati dal pagamento di qualsivoglia altra tariffa eventualmente dovuta al medesimo titolo ad altri enti. 3. Al fine della determinazione della quota tariffaria di cui al presente art., il volume dell'acqua scaricata è determinato in misura pari al volume di acqua fornita, prelevata o comunque accumulata. 4. Per le utenze industriali la quota tariffaria di cui al presente art.è determinata sulla base della qualità e della quantità delle acque reflue scaricate. È fatta salva la possibilità di determinare una quota tariffaria ridotta per le utenze che provvedono direttamente alla depurazione e che utilizzano la pubblica fognatura.
15. Riscossione della tariffa 1. In attuazione delle disposizioni di cui all'art.12, c.5, della legge 23 dicembre 1992, n.498 (18), la tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce il servizio idrico integrato come definito all'art.4, c.1, lettera f), della presente legge. 2. Qualora il servizio idrico sia gestito separatamente, per effetto di particolari convenzioni e concessioni, la relativa tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce il servizio di acquedotto, il quale provvede al successivo riparto tra i diversi gestori entro trenta giorni dalla riscossione.
4. La tariffa di riferimento costituisce la base per la determinazione della tariffa nonché per orientare e graduare nel tempo gli adeguamenti tariffari derivanti dall'applicazione della presente legge.
3. Con apposita convenzione, sottoposta al controllo della regione, sono definiti i rapporti tra i diversi gestori per il riparto delle spese di riscossione.
5. La tariffa è determinata dagli enti locali, anche in relazione al piano finanziario degli interventi relativi al servizio idrico di cui all'art.11, c.3.
(18) Riportata alla voce Amministrazione del patrimonio e contabilità generale dello Stato.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE
COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA SALVAGUARDIA DELLE RISORSE IDRICHE
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A.3. 3. A.ZIONI
16. Opere di adeguamento del servizio idrico
18. Canoni per le utenze di acqua pubblica
1. Ciascun ente locale ha facoltà di realizzare le opere necessarie per provvedere all'adeguamento del servizio idrico in relazione ai piani urbanistici, previa convenzione con il soggetto gestore del servizio medesimo, al quale le opere sono affidate in gestione.
1. Ferme restando le esenzioni vigenti, dal 1 gennaio 1994 i canoni annui relativi alle utenze di acqua pubblica, previsti dall'art.35 del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici, approvato con RD 11 dicembre 1933, n.1775 (22), e successive modificazioni, costituiscono il corrispettivo per gli usi delle acque prelevate e sono cos“stabiliti: a) per ogni modulo di acqua a uso di irrigazione, lire 70.400 (€ 36,36), ridotte alla metà se le colature e i residui di acqua sono restituiti anche in falda; b) per ogni ettaro, per irrigazione di terreni con derivazione non suscettibile di essere fatta a bocca tassata, lire 640 (€ 0,33); c) per ogni modulo di acqua assentito per il consumo umano, lire 3 milioni (€ 1.549,37); d) per ogni modulo di acqua assentito a uso industriale, lire 22 milioni (€ 11.362,05), assumendosi ogni modulo pari a tre milioni di mc annui. Il canone è ridotto del 50% se il concessionario attua un riuso delle acque a ciclo chiuso reimpiegando le acque risultanti a valle del processo produttivo o se restituisce le acque di scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate. Le disposizioni di cui al c.5 dell'art.12 del DL 27 aprile 1990, n.90 (23), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 giugno 1990, n.165, e successive modificazioni, non si applicano limitatamente al canone di cui alla presente lettera; e) per ogni modulo di acqua per la pescicoltura, l'irrigazione di attrezzature sportive e di aree destinate a verde pubblico, lire 500.000 (€ 258,23); f) per ogni kilowatt di potenza nominale concessa o riconosciuta, per le concessioni di derivazione a uso idroelettrico lire 20.467 (€ 10,57). È abrogato l'art.32 della legge 9 gennaio 1991, n.9, e successive modificazioni; g) per ogni modulo di acqua a uso igienico e assimilati, concernente l'utilizzo dell'acqua per servizi igienici e servizi antincendio, ivi compreso quello relativo a impianti sportivi, industrie e strutture varie qualora la richiesta di concessione riguardi solo tale utilizzo, per impianti di autolavaggio e lavaggio strade e comunque per tutti gli usi non previsti alle precedenti lettere, lire 1.500.000 (€ 774,69).
17. Opere e interventi per il trasferimento di acqua 1. Ai fini di pianificare l'utilizzo delle risorse idriche nei casi di cui all'art.4, c.1, lettere c) e i), della presente legge, laddove il fabbisogno comporti o possa comportare il trasferimento di acqua tra regioni diverse e ciò travalichi i comprensori di riferimento dei bacini idrografici istituiti a norma della legge 18 maggio 1989, n.183 (19), e successive modificazioni, le Autorità di bacino di rilievo nazionale e le regioni interessate, in quanto titolari, in forma singola o associata, dei poteri di Autorità di bacino, di rilievo regionale o interregionale, promuovono accordi di programma ai sensi dell'art.27 della legge 8 giugno 1990, n.142 (20), salvaguardando in ogni caso le finalità di cui all'art.3 della presente legge. A tal fine il Ministro dei lavori pubblici assume le opportune iniziative anche su richiesta di una Autorità di bacino o di una regione interessata, fissando un termine per definire gli accordi. 2. Gli accordi di programma di cui al c.1, su proposta delle Autorità di bacino e delle regioni interessate per competenza, sono approvati dal Comitato dei ministri di cui all'art.4, c.2, della citata legge n.183 del 1989, e successive modificazioni, nel quadro dei programmi triennali di intervento di cui all'art.21 della medesima legge. 3. Nell'ambito dell'accordo di programma sono stabiliti criteri e modalità per la esecuzione e la gestione degli interventi. 4. In caso di inerzia, di mancato accordo o di mancata attuazione dell'accordo stesso, il Presidente del Consiglio dei ministri, in via sostitutiva, su proposta del Ministro dei lavori pubblici, previo congruo preavviso, sottopone al Comitato dei ministri di cui all'art.4, c.2, della citata legge n.183 del 1989, e successive modificazioni, l'accordo di programma o le misure necessarie alla sua attuazione. 5. Le opere e gli impianti necessari per le finalità di cui al presente articolo sono dichiarati di interesse nazionale. La loro realizzazione e gestione possono essere poste anche a totale carico dello Stato, previa deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), su proposta del Ministro dei lavori pubblici, al quale compete altresì definire la convenzione tipo, le direttive per la concessione delle acque ai soggetti utilizzatori, nonché l'affidamento per la realizzazione e la gestione delle opere e degli impianti medesimi. 6. Le opere e gli interventi relativi al trasferimento di acqua di cui al presente articolo sono sottoposti alla preventiva valutazione di impatto ambientale, secondo quanto previsto dal DPCM 10 agosto 1988, n.377 (21), e successive modificazioni. 7. L'approvazione degli accordi di programma di cui al c.2 comporta variante al piano regolatore generale degli acquedotti.
(19) Riportata alla voce Ministero dell'ambiente. (20) Riportata alla voce Comuni e province. (21) Riportato alla voce Ministero dell'ambiente.
2. Gli importi dei canoni di cui al c.1 non possono essere inferiori a lire 500.000 (€ 258,23) per derivazioni per il consumo umano e a lire 3 milioni (€ 1.549,37) per derivazioni per uso industriale. 3. È istituito un fondo speciale per il finanziamento degli interventi relativi al risparmio idrico e al riuso delle acque reflue, nonché alle finalità di cui alla legge 18 maggio 1989, n.183, e successive modificazioni. Le maggiori entrate derivanti dall'applicazione del presente art.e quelle derivanti da eventuali maggiorazioni dei canoni rispetto a quelli in atto alla data di entrata in vigore della presente legge sono conferite al fondo di cui al presente c. Le somme sono ripartite con le procedure di cui alla medesima legge n.183 del 1989. 4. A far data dal 1° gennaio 1994 l'art.2 della legge 16 maggio 1970, n.281 (24), non si applica per le concessioni di acque pubbliche. A decorrere dalla medesima data le regioni possono istituire un'addizionale fino al 10% dell'ammontare dei canoni di cui al c.1. 5. Con DM delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite le modalità per l'applicazione del presente articolo e per l'aggiornamento triennale dei canoni tenendo conto del tasso di inflazione programmato e delle finalità di cui alla presente legge.
6. È abrogato il c.1 dell'art.5 del DL 15 settembre 1990, n.261 (25), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 novembre 1990, n.331. 7. Al c.2 dell'art.2 della legge 23 dicembre 1992, n.498 (26), le parole da: "Le maggiori risorse" fino a: "delle sostanze disperse." sono soppresse.
(22) (23) (24) (25) (26)
Riportato al n.A/III. Riportato alla voce Imposte e tasse in genere. Riportata alla voce Regioni. Riportato alla voce Finanza locale. Riportata alla voce Amministrazione del patrimonio e contabilità generale dello Stato.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
19. Poteri sostitutivi 1. Qualora la regione non individui nel termine di cui all'art.8, c.2, gli ambiti territoriali ottimali, il Presidente del Consiglio dei ministri, previa congrua diffida, su proposta del Ministro dei lavori pubblici, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, adotta i provvedimenti sostitutivi. 2. Nei casi in cui le intese o gli accordi previsti dalla presente legge non siano conseguiti dalle regioni interessate, previa congrua diffida, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dei lavori pubblici, provvede, su istanza anche di una sola delle regioni interessate, sentita l'Autorità di bacino. 3. La regione, nella convenzione tipo di cui all'art.11, prevede l'esercizio di poteri sostitutivi e gli interventi necessari qualora siano accertate gravi irregolarità, inadempienze e in qualsiasi altro caso in cui la gestione del servizio idrico non possa essere proseguita.
20. Concessione della gestione del servizio idrico a soggetti non appartenenti alla pubblica amministrazione 1. La concessione a terzi della gestione del servizio idrico, nei casi previsti dalla presente legge, * soggetta alle disposizioni dell'appalto pubblico di servizi degli enti erogatori di acqua in conformità alle vigenti direttive della Comunità europea in materia, secondo modalità definite con DM dei LLPP, di concerto con il Ministro dell'ambiente. Non sono applicabili le norme relative agli importi degli appalti, ivi compreso il limite di importo della concessione medesima.
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
2. I concessionari e gli affidatari del servizio idrico diversi dalle pubbliche amministrazioni e dalle relative aziende speciali sono considerati come operatori in virtù di diritti speciali o esclusivi ai sensi della direttiva 90/531/CEE del Consiglio, del 17 settembre 1990, e successive modificazioni. 3. Qualora la gestione di servizi idrici rientri nell'oggetto di una concessione di costruzione e gestione, le relative attività sono assoggettate alla disciplina vigente in materia di appalti di lavori pubblici.
CAPO III – VIGILANZA, CONTROLLI E PARTECIPAZIONE
21. Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche 1. Al fine di garantire l'osservanza dei principi di cui all'art.9, con particolare riferimento all'efficienza, all'efficacia e all'economicità del servizio, alla regolare determinazione e al regolare adeguamento
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DELLE 3. A.3. GUARDIA E A H V L SA SE IDRIC RISOR
A 101
A.3. 3.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE SALVAGUARDIA DELLE RISORSE IDRICHE
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COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA
➦ DISPOSIZIONI IN MATERIA DI RISORSE IDRICHE ➦ ACQUE PUBBLICHE E IMPIANTI ELETTRICI delle tariffe sulla base dei criteri fissati dal Comitato interministeriale dei prezzi (CIP), nonché alla tutela dell'interesse degli utenti, è istituito, presso il Ministero dei lavori pubblici, il Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche, di seguito denominato "Comitato". 2. Il Comitato è composto da sette membri, nominati con DM dei LLPP, di concerto con il Ministro dell'ambiente. Di tali componenti, tre sono designati dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome e quattro – di cui uno con funzioni di presidente individuato con il medesimo decreto – sono scelti tra persone particolarmente esperte in materia di tutela e uso delle acque, sulla base di specifiche esperienze e conoscenze del settore. 3. I membri del Comitato durano in carica cinque anni e non possono essere confermati. Qualora siano dipendenti pubblici, essi sono collocati fuori ruolo o, se professori universitari, sono collocati in aspettativa per l'intera durata del mandato. Con DPCM, su proposta del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con i Ministri dell'ambiente e del tesoro, è determinato il trattamento economico spettante ai membri del Comitato. 4. Per l'espletamento dei propri compiti e per lo svolgimento di funzioni ispettive, il Comitato si avvale di una segreteria tecnica, costituita nell'ambito della direzione generale della difesa del suolo del Ministero dei lavori pubblici, nonché della collaborazione delle Autorità di bacino. Esso può richiedere di avvalersi, altresì, dell'attività ispettiva e di verifica di altre amministrazioni. 5. Il Comitato definisce, d'intesa con le regioni e con le province autonome di Trento e di Bolzano, i programmi di attività e le iniziative da porre in essere a garanzia degli interessi degli utenti per il perseguimento delle finalità di cui al c.1, anche mediante la cooperazione con organi di garanzia eventualmente istituiti dalle regioni e dalle province autonome competenti.
22. Osservatorio dei servizi idrici 1. Per l'espletamento dei propri compiti il Comitato si avvale di un Osservatorio dei servizi idrici, di seguito denominato "Osservatorio". L'Osservatorio, mediante la costituzione e la gestione di una banca dati in connessione con i sistemi informativi delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, delle Autorità di bacino e dei soggetti pubblici che detengono informazioni nel settore, svolge funzioni di raccolta, elaborazione e restituzione di dati statistici e conoscitivi, in particolare, in materia di: a) censimento dei soggetti gestori dei servizi idrici e relativi dati dimensionali, tecnici e finanziari di esercizio; b) convenzioni e condizioni generali di contratto per l'esercizio dei servizi idrici; c) modelli adottati di organizzazione, di gestione, di controllo e di programmazione dei servizi e degli impianti; d) livelli di qualità dei servizi erogati; e) tariffe applicate; f) piani di investimento per l'ammodernamento degli impianti e lo sviluppo dei servizi. 2. I soggetti gestori dei servizi idrici trasmettono periodicamente all'Osservatorio, alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano i dati e le informazioni di cui al c.1. L'Osservatorio ha, altresì, facoltà di acquisire
A 102
direttamente le notizie relative ai servizi idrici ai fini della proposizione innanzi agli organi giurisdizionali competenti, da parte del Comitato, dell'azione avverso gli atti posti in essere in violazione della presente legge, nonché dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e di risarcimento dei danni a tutela dei diritti dell'utente.
2. Ciascun gestore dei servizi idrici integrati assicura l'informazione agli utenti, promuove iniziative per la diffusione della cultura dell'acqua e garantisce l'accesso dei cittadini alle informazioni inerenti ai servizi gestiti nell'ambito di propria competenza, alle tecnologie impiegate, al funzionamento degli impianti, alla quantità e qualità delle acque fornite e trattate.
3. Sulla base dei dati acquisiti, l'Osservatorio effettua, su richiesta del Comitato, elaborazioni al fine, tra l'altro, di: a) definire indici di produttività per la valutazione della economicità delle gestioni a fronte dei servizi resi; b) individuare livelli tecnologici e modelli organizzativi ottimali dei servizi; c) definire parametri di valutazione per il controllo delle politiche tariffarie praticate, anche a supporto degli organi decisionali in materia di fissazione di tariffe e dei loro adeguamenti, verificando il rispetto dei criteri fissati in materia dai competenti organi statali; d) individuare situazioni di criticità e di irregolarità funzionale dei servizi o di inosservanza delle prescrizioni normative vigenti in materia, per l'azione di vigilanza a tutela dell'utente; e) promuovere la sperimentazione e l'adozione di tecnologie innovative; f) verificare la fattibilità e la congruità dei programmi di investimento in relazione alle risorse finanziarie e alla politica tariffaria; g) realizzare quadri conoscitivi di sintesi sulla base dei quali il Comitato predispone una relazione annuale al Parlamento sullo stato dei servizi idrici.
3. Il Ministro dei lavori pubblici, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nell'ambito delle rispettive competenze, assicurano la pubblicità dei progetti concernenti opere idrauliche che comportano o presuppongono grandi e piccole derivazioni, opere di sbarramento o di canalizzazione, nonché la perforazione di pozzi. A tal fine, le amministrazioni competenti curano la pubblicazione delle domande di concessione, contestualmente all'avvio del procedimento, oltre che nelle forme previste dall'art.7 del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici, approvato con RD 11 dicembre 1933, n.1775 (28), e successive modificazioni, anche mediante pubblicazione per estratto sulla Gazzetta Ufficiale e su almeno un quotidiano a diffusione nazionale e un quotidiano a diffusione locale.
4. L'Osservatorio assicura l'accesso generalizzato, anche per via informatica, ai dati raccolti e alle elaborazioni effettuate per la tutela degli interessi degli utenti. 5. Con DPCM, su proposta del Ministro dei lavori pubblici, formulata d'intesa con il Ministro del tesoro e con il Ministro per la funzione pubblica, ai sensi dell'art.6, c.3, del DLgs 3 febbraio 1993, n.29 (27), è approvata la consistenza della dotazione organica della segreteria tecnica del Comitato e dell'Osservatorio, cui sono preposti due dirigenti, rispettivamente, del ruolo amministrativo e tecnico del Ministero dei lavori pubblici. Per l'espletamento dei propri compiti, l'Osservatorio può avvalersi della consulenza di esperti nel settore e stipulare convenzioni con enti pubblici di ricerca e con società specializzate. 6. All'onere derivante dalla costituzione e dal funzionamento del Comitato e dell'Osservatorio, pari a lire 700 milioni (€ 361.519,83) per il 1993 e a lire 1.750 milioni (€ 903.799,57) annue a decorrere dal 1994, si provvede mediante riduzione dello stanziamento iscritto al capitolo 1124 dello stato di previsione del Ministero dei lavori pubblici per l'anno 1993 e corrispondenti capitoli per gli esercizi successivi. (27) Riportato alla voce Impiegati civili dello Stato.
23. Partecipazione, garanzia e informazione degli utenti 1. Le società miste e le società concessionarie del servizio idrico integrato possono emettere prestiti obbligazionari sottoscrivibili esclusivamente dagli utenti con facoltà di conversione in azioni semplici o di risparmio. Nel caso di aumento del capitale sociale, una quota non inferiore al 10% è offerta in sottoscrizione agli utenti del servizio.
4. Chiunque può prendere visione presso i competenti uffici del Ministero dei lavori pubblici, delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano di tutti i documenti, gli atti, gli studi e i progetti inerenti alle domande di concessione di cui al c.3 del presente art., ai sensi della legge 7 agosto 1990, n.241 (29).
(28) Riportato al n.A/III. (29) Riportata alla voce Ministeri: provvedimenti generali.
24. Gestione delle aree di salvaguardia 1. Per assicurare la tutela delle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano, il gestore del servizio idrico integrato può stipulare convenzioni con lo Stato, le regioni, gli enti locali, le associazioni e le università agrarie titolari di demani collettivi, per la gestione diretta dei demani pubblici o collettivi ricadenti nel perimetro delle predette aree, nel rispetto della protezione della natura e tenuto conto dei diritti di uso civico esercitati. 2. La quota di tariffa riferita ai costi per la gestione delle aree di salvaguardia, in caso di trasferimenti di acqua da un ambito territoriale ottimale all'altro, è versata alla comunità montana, ove costituita, o agli enti locali nel cui territorio ricadono le derivazioni; i relativi proventi sono utilizzati ai fini della tutela e del recupero delle risorse ambientali.
25. Disciplina delle acque nelle aree protette 1. Nell'ambito delle aree naturali protette nazionali e regionali, l'ente gestore dell'area protetta, sentita l'Autorità di bacino, definisce le acque sorgive, fluenti e sotterranee necessarie alla conservazione degli ecosistemi, che non possono essere captate. 2. Gli utenti di captazioni nelle aree di cui al c.1 che, alla data di entrata in vigore della presente legge, non siano in possesso del regolare titolo, sono tenuti a richiederlo entro sei mesi dalla suddetta data, pena l'immediata interruzione della captazione a loro spese. L'ente gestore dell'area protetta si pronuncia sulla ammissibilità delle captazioni di cui alle predette domande entro i sei mesi successivi alla presentazione delle stesse (29/a).
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE
COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA SALVAGUARDIA DELLE RISORSE IDRICHE
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A.3. 3. A.ZIONI
3. Le captazioni prive di regolare titolo, o per le quali non è stata presentata domanda, sono immediatamente interrotte a spese dell'utente responsabile.
(29/a) Termine differito al 30 giugno 1995 dall'art.15, D.L. 8 agosto 1994, n.507, riportato al n.A/XXXIII.
26. Controlli 1. Per assicurare la fornitura di acqua di buona qualità e per il controllo degli scarichi nei corpi ricettori, ciascun gestore di servizio idrico si dota di un adeguato servizio di controllo territoriale e di un laboratorio di analisi per i controlli di qualità delle acque alla presa, nelle reti di adduzione e di distribuzione, nei potabilizzatori e nei depuratori, ovvero stipula apposita convenzione con altri soggetti gestori di servizi idrici. Restano ferme le competenze amministrative e le funzioni di controllo sulla qualità delle acque e sugli scarichi nei corpi idrici stabilite dalla normativa vigente e quelle degli organismi tecnici preposti a tali funzioni. 2. Coloro che si approvvigionano in tutto o in parte di acqua da fonti diverse dal pubblico acquedotto sono tenuti a denunciare al soggetto gestore del servizio idrico il quantitativo prelevato nei termini e secondo le modalità previste dalla normativa per la tutela delle acque dall'inquinamento. 3. Le sanzioni previste dall'art.21 del DPR 24 maggio 1988, n.236 (30), si applicano al responsabile della gestione dell'acquedotto soltanto nel caso in cui, dopo la comunicazione dell'esito delle analisi, egli non abbia tempestivamente adottato le misure idonee ad adeguare la qualità dell'acqua o a prevenire il consumo o l'erogazione di acqua non idonea.
(30) Riportato alla voce Alimenti, bevande, oggetti di uso domestico e sostanze agrarie (Igiene e repressione delle frodi in materia di).
CAPO IV – USI PRODUTTIVI DELLE RISORSE IDRICHE
2. I rapporti tra i consorzi di bonifica e irrigazione e i soggetti che praticano gli usi di cui al c.1 sono regolati dalle disposizioni di cui al capo I del titolo VI del RD 8 maggio 1904, n.368 (32). 3. Chiunque, non associato ai consorzi di bonifica e irrigazione, utilizza canali consortili o acque irrigue come recapito di scarichi, anche se depurati e compatibili con l'uso irriguo, provenienti da insediamenti di qualsiasi natura, deve contribuire alle spese consortili in proporzione al beneficio ottenuto.
(31) Riportato al n.A/III. (32) Riportato alla voce Bonifica.
all'art.4, c.2, della legge 18 maggio 1989, n.183, e successive modificazioni, sentite le Autorità di bacino, disciplina: a) la produzione al fine della cessione di acqua dissalata conseguita nei cicli di produzione delle centrali elettriche costiere;
3. La raccolta di acque piovane in invasi e cisterne al servizio di fondi agricoli o di singoli edifici * libera. 4. La raccolta di cui al c.3 non richiede licenza o concessione di derivazione di acque; la realizzazione dei relativi manufatti è regolata dalle leggi in materia di edilizia, di costruzioni nelle zone sismiche, di dighe e sbarramenti e dalle altre leggi speciali. 5. L'utilizzazione delle acque sotterranee per gli usi domestici come definiti dall'art.93, secondo c., del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici, approvato con RD 11 dicembre 1933, n.1775 (34), resta disciplinata dalla medesima disposizione, purché non comprometta l'equilibrio del bilancio idrico di cui all'art.3.
CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
c) la difesa e la bonifica per la salvaguardia della quantità e della qualità delle acque dei serbatoi a uso idroelettrico.
D.GETTAZIONE
31. Piani, studi e ricerche
2. Nell'ipotesi in cui, ai sensi dell'art.3, c.3, della presente legge, si proceda alla regolazione delle derivazioni, l'amministrazione competente, sentiti i soggetti titolari delle concessioni di derivazione, assume il relativo provvedimento in conformità alle determinazioni adottate dal Comitato dei ministri di cui all'art.4, c.2, della legge 18 maggio 1989, n.183 (33), e successive modificazioni.
B.ATTERISTICLHI EDELLE
b) l'utilizzazione dell'acqua invasata a scopi idroelettrici per fronteggiare situazioni di emergenza idrica;
28. Usi agricoli delle acque 1. Nei periodi di siccità e comunque nei casi di scarsità di risorse idriche, durante i quali si procede alla regolazione delle derivazioni in atto, deve essere assicurata, dopo il consumo umano, la priorità dell'uso agricolo.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
1. I piani, gli studi e le ricerche realizzati dalle Amministrazioni dello Stato e da enti pubblici aventi competenza nelle materie disciplinate dalla legge 18 maggio 1989, n.183, e successive modificazioni, sono comunicati alle Autorità di bacino competenti per territorio ai fini della predisposizione dei piani a esse affidati.
CAPO V – DISPOSIZIONI FINALI E TRANSITORIE
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
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32. Abrogazione di norme 1. Gli artt. 17-bis e 17-ter della legge 10 maggio 1976, n.319 (36), sono abrogati. 2. L'art.12 del DLgs 12 luglio 1993, n.275 (37), è abrogato. 3. Il Governo, ai sensi dell'art.17, c.2, della legge23 agosto 1988, n.400 (38), adotta, su proposta del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con i Ministri interessati nelle materie di rispettiva competenza, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, che si esprimono entro trenta giorni dalla trasmissione dei relativi schemi alle Camere, uno o più regolamenti con i quali sono individuate le disposizioni normative incompatibili con la presente legge e indicati i termini della relativa abrogazione in connessione con le fasi di attuazione della presente legge nei diversi ambiti territoriali (39).
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
27. Usi delle acque irrigue e di bonifica 1. I consorzi di bonifica e irrigazione, nell'ambito delle competenze definite dalla legge, hanno facoltà di realizzare e gestire le reti a prevalente scopo irriguo, gli impianti per l'utilizzazione in agricoltura di acque reflue, gli acquedotti rurali e gli altri impianti funzionali ai sistemi irrigui e di bonifica e, previa domanda alle competenti autorità, corredata dal progetto di massima delle opere da realizzare, hanno facoltà di utilizzare le acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che comportino la restituzione delle acque e siano compatibili con le successive utilizzazioni, ivi compresi la produzione di energia idroelettrica e l'approvvigionamento di imprese produttive. L'autorità competente esprime entro sessanta giorni la propria determinazione. Il predetto termine è interrotto una sola volta qualora l'amministrazione richieda integrazioni della documentazione allegata alla domanda, decorrendo nuovamente nei limiti di trenta giorni dalla data di presentazione della documentazione integrativa. Trascorso tale termine, la diversa utilizzazione si intende consentita. Per tali usi i consorzi sono obbligati al pagamento dei relativi canoni per le quantità di acqua corrispondenti, applicandosi anche in tali ipotesi le disposizioni di cui al secondo c.dell'art.36 del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici, approvato con RD 11 dicembre 1933, n.1775 (31).
(33) Riportata alla voce Ministero dell'ambiente. (34) Riportato al n.A/III.
29. Acque per usi industriali 1. Al primo c.dell'art.21 del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici, approvato con RD 11 dicembre 1933, n.1775 (34), come modificato dall'art.6 del DLgs 12 luglio 1993, n.275, le parole: "per usi industriali diversi" sono soppresse. 2 .......................................................(35).
(34) Riportato al n.A/III. (35) Aggiunge un c., dopo il primo, all'art.21, R.D. 11 dicembre 1933, n.1775, riportato al n.A/III.
30. Utilizzazione delle acque destinate a uso idroelettrico 1. Tenuto conto dei principi di cui alla presente legge e del piano energetico nazionale, nonché degli indirizzi per gli usi plurimi delle risorse idriche di cui all'art.4, c.1, lettera b), della presente legge, il CIPE, su iniziativa del Comitato dei ministri di cui
(36) Riportata alla voce Sanità pubblica. (37) Riportato al n.A/XXX. (38) Riportata alla voce Ministeri: provvedimenti generali. (39) C. così sostituito dall'art.12, D.L. 8 agosto1994, n.507, riportato al n.A/XXXIII.
33. Disposizioni di principio 1. Le disposizioni di cui alla presente legge costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art.117 della Costituzione. Sono fatte salve le competenze spettanti alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione.
34. Norma transitoria 1. Il termine entro il quale far valere, a pena di decadenza, ai sensi degli artt. 3 e 4 del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici, approvato con RD 11 dicembre 1933, n.1775, il diritto al riconoscimento o alla concessione di acque che hanno assunto natura pubblica a norma dell'art.1, c.1, della presente legge, è fissato in tre anni dalla data di entrata in vigore della legge stessa.
DELLE 3. A.3. GUARDIA E A H V L SA SE IDRIC RISOR
A 103
A.3. 4.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE DI PREVALENTE INTERESSE PAESAGGISTICO NORMATIVE DI TUTELA DEL PAESAGGIO Sia in ambito di ricerca scientifica e culturale che in ambito di ordinamenti normativi specifici, le azioni di tutela del “paesaggio” anticipano di mezzo secolo quelle rivolte alla salvaguardia dell’ambiente in generale. In Italia, già nel 1939 – con la legge 1 giugno 1939, n.1089 “Tutela delle cose d’interesse artistico o storico” e con la legge 29 giugno 1939, n.1497 specificamente destinata a “Norme sulla protezione delle bellezze naturali” – si provvede a emanare disposizioni rivolte alla salvaguardia non solo di insiemi “di interesse storico o artistico” (legge 1089/1939), ma anche di “ville, giardini e parchi... per la loro non comune bellezza”, i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, le bellezze panoramiche considerate come quadri naturali, (legge1497/1939), e si provvede a redigere appositi “elenchi” di tali bellezze naturali sottoposte a “vincolo”. Circa mezzo secolo dopo e comunque prima dell’emanazione di leggi specificamente rivolte alla tutela dell’ambiente, con la legge 8 agosto 1985, n.431 [detta legge Galasso] che integra l’art.82 del DPR 24 luglio 1977, n.616, la salvaguardia del paesaggio perviene a una concezione estesa alla scala geografica, che, di fatto, rivela strette relazioni con più ampie considerazioni
ambientali, tant’è che il titolo della legge invoca la “Tutela delle zone di particolare interesse ambientale”. Successivamente, la legge 97/1994 stabilisce “Nuove disposizioni per le zone montane” rivolte alla salvaguardia e alla valorizzazione delle zone montane, da attuarsi con la tutela e la diffusione della conoscenza delle qualità ambientali e delle potenzialità degli habitat locali, attraverso interventi di carattere economico, sociale e culturale. Alcune disposizioni sono dirette ad arrestare i processi di spopolamento delle montagne, mediante la promozione di nuovi insediamenti favoriti da incentivi finanziari, premi di trasferimento e contributi per l’acquisto o la ristrutturazione di immobili da destinare a prima abitazione. Altre disposizioni riguardano incentivi alla produzione, sgravi fiscali e l’istituzione di un albo dei prodotti di montagna. L’art.24 prevede la realizzazione di un “sistema informativo della montagna” che dovrebbe collegare telematicamente la pubblica amministrazione centrale alle popolazioni dei territori montani. Occorre ricordare ancora che con l’emanazione della legge 109/1994, aggiornata dalla legge 216/1995, (v. il precedente A.2.1.) la tutela preventiva dell’ambiente
e del paesaggio viene perseguita in forma estesa nei riguardi di qualsiasi opera o intervento pubblico, quindi anche nei riguardi delle categorie e tipi di opere per i quali non è espressamente richiesta la Valutazione di Impatto Ambientale.In questi casi viene richiesto uno “Studio di inserimento ambientale e paesaggistico” dell’intervento, del quale studio il Regolamento di attuazione (bozza del 14 giugno 1996 non ancora emanata) specifica contenuti e adempimenti al Titolo III, Capo II, Sezione prima, art.16, c.8; Sezione seconda, art.22, c.1 e art.24 (v. Tab. A.4.2./1). Benché la normativa di tutela del paesaggio anticipi di alcuni decenni l’emanazione di quadri legislativi organici in tema di difesa dell’ambiente, oggi è proprio la componente/fattore ambientale “paesaggio” a mostrare un grave ritardo nella definizione di metodologie appropriate di indagine, di intervento e di recupero o ripristino, che appaiono ancora improntate da un approccio prevalentemente intuitivo, che oscilla tra l’impostazione estetica purovisibilista di matrice ottocentesca e le nuove istanze scientifiche e sistematiche che vedono nella configurazione del paesaggio e nelle sue alterazioni l’effetto superficiale e visibile di processi più ampi di natura essenzialmente ambientale.
TUTELA DELLE COSE DI INTERESSE ARTISTICO E STORICO NELLA LEGGE 1089/1939 La legge 1089/1939 anticipa di poco meno di un mese l’emanazione della legge 1497/1939; tale circostanza accredita l’opinione che si tratta in realtà di un disegno normativo organico, rivolto nel suo insieme a tutelare le “cose belle”: la prima protegge cose e immobili di interesse artistico, storico, archeologico ed etnografico, compresi ville, parchi e giardini “che abbiano interesse storico o artistico; la seconda protegge le “bellezze naturali”, intese come oggetti anch’essi di valenza, essenzialmente estetica, in accordo con le concezioni correnti all’epoca. Lo strumento di tutela che in entrambi i casi viene utilizzato è quello dell’apposizione di un “vincolo”, sulla base della formazione di appositi “elenchi” delle cose o situazioni da tutelare. È interessante rilevare che nel caso della legge 1089/1939 il vincolo, trascritto nei registri delle conservatorie, non comporta solo l’inibizione a demolire, rimuovere, modificare ma anche il divieto di adibire tali cose “a usi non compatibili con il loro carattere storico od artistico oppure tali da arrecare pregiudizio alla loro conservazione o integrità”; disposizione che se fosse stata fedelmente applicata avrebbe potuto evitare il
grave degrado e la manomissione di molte importanti opere e testimonianze della storia del nostro paese. È anche interessante notare come all’art.3 compaia un riferimento diretto, seppure in accezione riduttiva, all’ambiente: “Il Ministro ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette a evitare che ... ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro”. Occorre poi precisare che, con il DPR 616/1977, molte delle competenze attribuite dal testo della legge 1089 del 1939 al Ministero per l’educazione nazionale [oggi: Ministero per i beni culturali e ambientali] sono state trasferite o delegate alle Regioni: competenze in materia di istituzione e funzionamento di musei e biblioteche di interesse locale, competenze delle sopraintendenze bibliografiche anche di interesse non locale, competenze relative alle raccolte di interesse artistico e storico, alle biblioteche popolari, ecc. Compete ancora al Ministero dei beni culturali la conservazione del patrimonio archivistico.
LEGGE 1 GIUGNO 1939, n.1089 – TUTELA DELLE COSE D’INTERESSE ARTISTICO O STORICO Art.1. Sono soggetti alla presente legge le cose, immobili o mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, compresi: a) le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà; b) le cose d’interesse numismatico; c) i manoscritti, gli autografi, i carteggi, i documenti notevoli, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe e le incisioni aventi carattere di rarità e di pregio. Vi sono pure compresi le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico. Non sono soggette alla disciplina della presente legge le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga a oltre cinquant’anni.
Art.3. Il Ministero dell’educazione nazionale [oggi: Ministero per i beni culturali e ambientali] notifica in forma amministrativa ai privati proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo, le cose indicate all’art.1 che siano di interesse particolarmente importante. Trattandosi di immobili per natura o di pertinenze, si applicano le norme di cui al secondo c.dell’articolo precedente. L’elenco delle cose immobili, delle quali si è notificato l’interesse particolarmente importante, è conservato presso il Ministero [oggi: Ministero per i beni culturali e ambientali] e copie dello stesso sono depositate presso le prefetture. Chiunque abbia interesse può prenderne visione. Artt. da 4 a 10 omissis
Art.2. Sono altresì sottoposte alla presente legge le cose immobili che, a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte o della cultura in genere, siano state riconosciute di interesse particolarmente importante e come tali abbiano formato oggetto di notificazione, in forma amministrativa, del Ministero per l’educazione nazionale [oggi: Ministero per i beni culturali e ambientali]. La notifica, su richiesta del Ministero, è trascritta nei registri delle conservatorie delle ipoteche e ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore della cosa a qualsiasi titolo.
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Art.11. Le cose previste dagli artt. 1 e 2, appartenenti alle Provincie, ai Comuni, agli enti e istituti legalmente riconosciuti, non possono essere demolite, rimosse, modificate o restaurate senza l’autorizzazione del Ministero [oggi: per i beni culturali e ambientali]. Le cose medesime non possono essere adibite a usi non compatibili con il loro carattere storico od artistico oppure tali da arrecare pregiudizio alla loro conservazione o integrità. Esse debbono essere fissate al luogo di loro destinazione nel modo indicato dalla soprintendenza competente.
Artt. da 12 a 20 omissis Art.21. Il Ministro [oggi: per i beni culturali e ambientali] ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette a evitare che sia messa in pericolo l’integrità delle cose immobili soggette alle disposizioni della presente legge, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro. L’esercizio di tale facoltà è indipendente dall’applicazione dei regolamenti edilizi o dalla esecuzione di piani regolatori. Le prescrizioni dettate in base al presente articolo devono essere, su richiesta del Ministero, trascritte nei registri delle conservatorie delle ipoteche e hanno efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore, a qualsiasi titolo, della cosa cui le prescrizioni stesse si riferiscono. Artt. da 22 a 44 omissis Art.45. Il Ministro [oggi: per i beni culturali e ambientali], sentito il Consiglio [oggi: nazionale per i beni culturali e ambientali], può fare concessione a enti o privati di eseguire ricerche archeologiche o, in genere, opere per il ritrovamento di cose di cui all’art.1, in qualunque parte del territorio dello Stato, e, a tale scopo, autorizzare, con suo decreto, l’occupazione degli immobili ove devono eseguirsi i lavori.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE DI PREVALENTE INTERESSE PAESAGGISTICO
A.3. 4. A.ZIONI
Il concessionario deve osservare, oltre alle norme imposte nell’atto di concessione, tutte le altre che l’Amministrazione ritenga di prescrivere. In caso di inosservanza la concessione è revocata. La concessione può altresì essere revocata quando il Ministro intenda sostituirsi nell’esecuzione o prosecuzione delle opere. In tal caso sono rimborsate dallo Stato le spese occorse per le opere già eseguite e il relativo importo è fissato dal Ministro ...
Artt. 46 e 47 omissis Art.48. Chiunque scopra fortuitamente cose mobili o immobili di cui all’art.1 deve farne immediatamente denuncia all’autorità competente e provvedere alla conservazione temporanea di esse, lasciandole nelle condizioni e nel luogo in cui sono state rinvenute. Ove si tratti di cose mobili di cui non si possa altrimenti assicurare la custodia, lo sco-
pritore ha facoltà di rimuoverle per meglio garantirne la sicurezza e la conservazione fino alla visita dell’autorità competente e, ove occorra, di chiedere l’ausilio della forza pubblica. Agli stessi obblighi è soggetto ogni detentore delle cose scoperte fortuitamente. Le eventuali spese sostenute per la custodia e rimozione sono rimborsate dal Ministro [oggi: per i beni culturali e ambientali].
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
Art.2. Delle cose di cui ai nn.1 e 2 delle località di cui ai nn.3 e 4 del precedente articolo sono compilati, Provincia per Provincia, due distinti elenchi. La compilazione di detti elenchi è affidata a una Commissione istituita in ciascuna Provincia con decreto del Ministero per l’Educazione Nazionale [oggi: Ministero per i beni culturali e ambientali]. La Commissione è presieduta da un delegato del Ministero dell’educazione nazionale [oggi: Ministero per i beni culturali e ambientali] scelto preferibilmente fra i membri del Consiglio nazionale dell’educazione, delle scienze e delle arti [oggi: Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali] ed è composta: • del soprintendente ai monumenti competente per sede; • del presidente dell’Ente provinciale per il Turismo o di un suo delegato. Fanno parte di diritto della Commissione: • i podestà [oggi: Sindaco] dei Comuni interessati; • i rappresentanti delle categorie interessate. Il presidente della Commissione aggrega di volta in volta singoli esperti in materia mineraria o un rappresentante della milizia nazionale forestale [oggi: Corpo forestale dello Stato], o un artista designato dalla Confederazione professionisti e artisti [oggi: Associazione sindacale di categoria degli artisti], a seconda della natura delle cose e località oggetto della presente legge. L’elenco delle località così compilato, e ogni variante di mano in mano che vi s’introduca, sono pubblicati per un periodo di tre mesi all’albo di tutti i Comuni interessati della Provincia, e depositati oltreché nelle segreterie dei Comuni stessi, presso le sedi delle Unioni provinciali dei professionisti e degli artisti, delle Unioni provinciali degli agricoltori e delle Unioni provinciali degli industriali.
Art.5. Dalle vaste località incluse nell’elenco di cui ai nn.3 e 4 dell’art.1 della presente legge, il Ministro per l’educazione nazionale [oggi spetta alle Regioni disporre “piani paesaggistici”, a norma dell’art.1 del DPR 15 gennaio 1972, n.8] ha facoltà di disporre un piano territoriale paesistico, da redigersi secondo le norme dettate dal regolamento e da approvarsi e pubblicarsi insieme con l’elenco medesimo, al fine di impedire che le aree di quelle località siano utilizzate in modo pregiudizievole alla bellezza panoramica. Il detto piano, se compilato successivamente alla pubblicazione dell’elenco, è pubblicato a parte mediante affissione per un periodo di tre mesi all’albo dei Comuni interessati, e una copia di esso è depositata nella segreteria dei Comuni stessi, affinché chiunque ne possa prendere visione. Contro il piano territoriale paesistico gli interessati di cui all’art.3, hanno facoltà di ricorrere nel termine e agli effetti di cui al terzo c.del precedente art.. Art.6. Sulla base dell’elenco delle cose di cui ai nn.1 e 2 dell’art.1, compilato dalla Commissione provinciale, il Ministro per l’educazione nazionale [oggi sostituito dalle competenze del Ministero per i beni culturali e
E.NTROLLO
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LEGGE 29 GIUGNO 1939, n.1497 – NORME SULLA PROTEZIONE DELLE BELLEZZE NATURALI
Art.4. L’elenco delle località di cui ai nn.3 e 4 dell’art.1, approvato dal Ministro, è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Una copia del numero della Gazzetta Ufficiale che la contiene è affissa per tre mesi all’albo di tutti i Comuni interessati; e altra copia, con la planimetria, è contemporaneamente depositata presso il competente ufficio di ciascun Comune ove gli interessati hanno facoltà di prenderne visione. Entro il successivo termine di tre mesi, i proprietari possessori o detentori interessati hanno facoltà di ricorrere al Governo che si pronuncia, sentiti i competenti corpi tecnici del Ministero dell’educazione nazionale [oggi: Ministero per i beni culturali e ambientali] e il Consiglio di Stato. Tale pronuncia ha carattere di provvedimento definitivo.
CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU E ESE ESSIONAL PROF
La legge 29 giugno 1939, n.1497 costituisce il primo ordinamento organico di disposizioni rivolte alla tutela delle “bellezze naturali”, considerate essenzialmente come oggetti di rilevanza estetica, in buon accordo con l’accezione di “paesaggio” accreditata dalla fine del XIX secolo alla metà del XX secolo. Data l’epoca di emanazione della legge, molti termini, istituzioni e competenze richiamate si sono venute modificando, dimodoché è apparso opportuno segnalare tra parentesi le principali variazioni intervenute.
Art.3. Entro il termine di tre mesi dall’avvenuta pubblicazione i proprietari, possessori o detentori comunque interessati possono produrre opposizione al Ministero a mezzo della Soprintendenza. Nello stesso termine, chiunque ritenga di avere interesse, può far pervenire alle rispettive organizzazioni sindacali locali reclami o proposte in merito all’elenco, che, coordinati e riassunti a opera di queste, saranno trasmessi al Ministero dell’educazione nazionale entro il successivo trimestre per il tramite delle Soprintendenze. Il Ministro, esaminati gli atti, approva l’elenco, introducendovi le modificazioni che ritenga opportune.
B.ATTERISTICLHI EDELLE C.RCIZIO
Artt. segg. omissis
SALVAGUARDIA DEL PAESAGGIO NELLA LEGGE 29 GIUGNO 1939, n.1497
Art.1. Sono soggette alla presente legge a causa del loro notevole interesse pubblico: 1) le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica; 2) le ville, i giardini e i parchi, che non contemplati dalle leggi per la tutela delle cose di interesse artistico o storico si distinguono per la loro non comune bellezza; 3) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale; 4) le bellezze panoramiche considerate come quadri naturali e così pure quei punti di vista o di belvedere accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
ambientali e dalle competenze delle Regioni] ordina la notificazione in via amministrativa della dichiarazione del notevole interesse pubblico ai proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo, degli immobili. Tale dichiarazione trascritta a richiesta del Ministro, sui registri della Conservatoria delle ipoteche, ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore. Contro la dichiarazione così notificata, è ammesso il ricorso di cui al terzo c.dell’art.4. Art.7. I proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo dell’immobile, il quale sia stato oggetto di notificata dichiarazione o sia stato compreso nei pubblicati elenchi delle località non possono distruggerlo né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio a quel suo esteriore aspetto che è protetto dalla presente legge. Essi pertanto, debbono presentare i progetti dei lavori che vogliono intraprendere alla competente Soprintendenza e astenersi dal mettervi mano sino a tanto che non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione. È fatto obbligo al Soprintendente di pronunciarsi sui detti progetti nel termine massimo di tre mesi dalla loro presentazione.
G.ANISTICA URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
Art.8. Indipendentemente dall’inclusione nell’elenco delle località e dalla notificazione di cui all’art.6, il Ministro per l’educazione nazionale [oggi sostituito dalle competenze del Ministero per i beni culturali e ambientali e dalle competenze delle Regioni] ha facoltà: 1) di inibire che si eseguano, senza preventiva autorizzazione, lavori comunque capaci di recare pregiudizio all’attuale stato esteriore delle cose e delle località soggette alla presente legge; 2) di ordinare, anche quando non sia intervenuta la diffida di cui al numero precedente, la sospensione degli iniziati lavori. Art.9. Il provvedimento ministeriale adottato ai sensi dell’articolo precedente s’intende revocato se entro il termine di tre mesi non sia stato comunicato all’interessato che la Commissione di cui all’art.2 ha espresso parere favorevole all’imposizione del vincolo che giustifica l’inibizione d’intraprendere lavori o la sospensione dei lavori iniziati. Il provvedimento stesso è considerato definitivo dal trentesimo giorno da quello della notifica dell’approvazione all’interessato. Art.10. Per lavori su cose, né precedentemente incluse nel pubblicato elenco delle località, né precedentemente dichiarate e notificate di notevole interesse pubblico, dei quali sia stata ordinata la sospensione, senza che fosse stata
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4. A.3. ATIVE DI RESSE E NORMLENTE INT PREVAGGISTICO PAESA
A 105
A.3. 4.
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE DI PREVALENTE INTERESSE PAESAGGISTICO ➦ SALVAGUARDIA DEL PAESAGGIO NELLA LEGGE 29 GIUGNO 1939, n.1497 ➦ LEGGE 29 GIUGNO 1939, n.1497 – NORME SULLA PROTEZIONE DELLE BELLEZZE NATURALI intimata la preventiva diffida di cui all’art.8, n.1 è data azione per ottenere il rimborso delle spese sostenute sino al momento della notificata sospensione. Le opere già eseguite sono demolite a spese del Ministero dell’educazione nazionale. Art.11. Nel caso di apertura di strade e di cave, nel caso di condotta per impianti industriali e di palificazione nell’ambito e in vista delle località di cui ai nn.3 e 4 dell’art.1 della presente legge, ovvero in prossimità delle cose di cui ai nn.1 e 2 dell’art.1 dello stesso art., il regio Soprintendente ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le varianti ai progetti in corso di esecuzione, le quali, tenendo in debito conto l’utilità economica dell’intrapreso lavoro, valgono a evitare pregiudizio delle cose e luoghi protetti dalla presente legge. Art.12. Omissis [materia superata da successive leggi] Art.13. I provvedimenti da adottare ai sensi della presente legge relativi ai luoghi che interessano aziende patrimoniali del Demanio dello Stato devono essere emessi di concerto con il Ministro delle finanze [oggi: Ministero per le partecipazioni statali]. I provvedimenti che riguardano beni compresi nell’ambito del Demanio pubblico marittimo devono essere emessi di concerto con il Ministro per le comunicazioni [oggi: Ministero per la marina mercantile], e qualora si riferiscano a opere portuali, di concerto anche con il Ministro per i lavori pubblici. I provvedimenti di carattere generale interessanti le località riconosciute stazioni di soggiorno, di cura, di turismo ai sensi del DL 15 aprile 1926, n.765 [sostituito dal DL 2) agosto 1960, n.1042], devono essere emessi di concerto con il Ministro per la cultura popolare [oggi: Ministero per il turismo e lo spettacolo]. Tutti i provvedimenti, infine, che riguardano opere pubbliche, devono essere emessi di concerto con le singole amministrazioni interessate. Art.14. Nell’ambito e in prossimità dei luoghi e delle cose contemplati dall’art.1 della presente legge non può essere autorizzata la posa in opera di cartelli o di altri mezzi di pubblicità se non previo consenso della competente
Soprintendenza ai monumenti o all’arte medioevale e moderna alla quale è fatto obbligo di interpellare l’Ente provinciale per il turismo. Il Ministro per l’educazione nazionale [oggi sostituito dalle competenze del Ministero per i beni culturali e ambientali e dalle competenze delle Regioni] ha facoltà di ordinare per mezzo del Prefetto, la rimozione, a cura e spesa degli interessati, dei cartelli e degli altri mezzi di pubblicità non preventivamente autorizzati che rechino, comunque, pregiudizio all’aspetto o al libero godimento delle cose e località soggette alla presente legge. È anche facoltà del Ministro [e/o delle Regioni] ordinare per mezzo del Prefetto che nelle località di cui ai nn.3 e 4 dell’art.1 della presente legge, sia dato alle facciate dei fabbricati, il cui colore rechi disturbo alla bellezza dell’insieme, un diverso colore che con quella armonizzi. In caso di inadempienza, il Prefetto provvede all’esecuzione d’ufficio a termini e agli effetti di cui all’art.20 del vigente TU della legge comunale e provinciale. Art.15. Indipendentemente dalle sanzioni comminate dal Codice penale, chi non ottempera agli obblighi e agli ordini di cui alla presente legge è tenuto, secondo che il Ministero dell’educazione nazionale [oggi sostituito dalle competenze del Ministero per i beni culturali e ambientali e dalle competenze delle Regioni] ritenga più opportuno, nell’interesse della protezione delle bellezze naturali e panoramiche, alla demolizione a proprie spese delle opere abusivamente eseguite o al pagamento d’una indennità equivalente alla maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione. Se il trasgressore non provvede alla demolizione entro il termine prefissogli ha facoltà di provvedere d’ufficio il Ministero dell’educazione nazionale [oggi sostituito dalle competenze del Ministero per i beni culturali e ambientali e dalle competenze delle Regioni], per mezzo del Prefetto. La nota delle spese è resa esecutoria con provvedimento del Ministro ed è riscossa secondo le norme della vigente legge sulla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato. L’indennità di cui al primo c.è determinata dal Ministro per l’educazione nazionale [oggi sostituito dalle competenze del Ministero per i beni culturali e ambientali e dalle competenze delle Regioni], in base a perizia degli Uffici del Genio civile o della Milizia forestale [oggi: Corpo forestale dello Stato] assistiti dal Soprintendente. Se il trasgressore non accetta la misura fissata dal Ministro l’indennità è determinata insindacabilmente da
un collegio di tre periti da nominarsi uno dal Ministro, l’altro dal trasgressore e il terzo dal presidente del Tribunale. Le relative spese sono anticipate dal trasgressore. Il provvedimento emesso dal Ministro ai sensi del terzo c.di questo articolo è esecutivo quando l’interessato abbia dato la sua adesione in iscritto, o quando entro tre mesi dalla notificazione, egli non abbia aderito né, facendo il prescritto deposito delle spese, abbia dichiarato di voler provocare il giudizio del collegio peritale. Il provvedimento emesso dal Ministro in seguito alla pronuncia del collegio dei periti è immediatamente esecutivo.L’indennità, comunque determinata, è riscossa nei modi di cui al secondo c.di questo articolo e affluisce a uno speciale capitolo del bilancio di entrata dello Stato. Art.16. Non è dovuto indennizzo per i vincoli imposti agli immobili di proprietà privata a norma dei precedenti artt.. Tuttavia, nei soli casi di divieto assoluto di costruzione sopra aree da considerarsi come fabbricabili, potrà essere concesso, previa perizia estimativa dell’Ufficio Tecnici erariale, uno speciale contributo nei limiti della somma da stanziarsi in apposito capitolo dello stato di previsione delle spese del Ministero dell’educazione nazionale, in relazione al gettito dei proventi di cui all’art.15, della presente legge, secondo le modalità stabilite dal regolamento. Allo stesso capitolo vanno imputate le spese inerenti alla protezione delle cose o località di cui all’art.1, comprese quelle per Commissioni, missioni o sopralluoghi ed esclusi i premi di operosità e rendimento. Art.17. Se l’imposizione del vincolo a termini della presente legge, determina un’effettiva riduzione del reddito degli immobili, il possessore può richiedere la variazione dell’estimo dei terreni ai sensi dell’art.43 del TU delle leggi sul nuovo catasto approvato con RD 8 ottobre 1931, n.1572, ancorché nel Comune sia in vigore il vecchio catasto, ovvero la revisione parziale del reddito dei fabbricati ai sensi dell’art.21 della legge 26 gennaio 1865, n.2136, e dell’art.10 della legge 11, luglio 1889, n.6214, sempreché ricorrano gli estremi previsti dalle disposizioni medesime [e successive integrazioni e modificazioni intervenute in materia di estimi catastali e di procedure]. Artt.18 e 19 . Omissis [in quanto norme transitorie e finali superate].
SALVAGUARDIA DEL PAESAGGIO NELLA LEGGE 8 AGOSTO 1985, n.431 La legge 8 agosto 1985, n.431 converte, con modificazioni e integrazioni, il DPR 27 giugno 1985, n.312, ed entrambi rivedono e integrano il quadro normativo precedente in materia di “bellezze naturali” costituito dalla legge 1497/1939 e dagli artt. 82 e 83 del DPR 24 luglio 1977, n.616. La legge 431/1985 costituisce riferimento fondamentale in materia paesaggisticoambientale, in quanto con essa, per la prima volta, il legislatore supera il concetto di “bellezza naturale” e affronta in una visione organica e completa l’insieme di fenomeni e di azioni che attengono alla definizione e alla trasformazione del territorio e del
paesaggio considerati come “beni ambientali” e, come tali, da tutelare in forma estesa e sistematica. Lo strumento privilegiato della tutela non è più rappresentato solo dalla imposizione di “vincoli”, ma dalla redazione di specifici “Piani paesistici” alla quale le Regioni dovranno prevedere entro tempi certi e dati; i vincoli – che pure vengono apposti e per intere estensioni geografiche – rappresentano una misura necessaria di salvaguardia in attesa dell’approvazione dei piani paesaggistici e, nello stesso tempo, indicazioni generali di comportamento per la definizione dei piani stessi.
LEGGE 8 AGOSTO 1985, n.431 Conversione in legge, con modificazioni, del DL 27 giugno 1985, n.312, recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale. Integrazione dell’art.82 del DPR 24 luglio 1977, n.616
Art.1. Il DL 27 giugno 1985, n.312, recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale è convertito in legge con le seguenti modificazioni: L’art.1 è sostituito dal seguente: “All’art.82 del DPR 24 luglio 1977, n.616, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi: [5] Sono sottoposti in vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n.1497:
A 106
a) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 m dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare; b) i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 m dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi;
dicembre 1933, n.1775, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 m ciascuna; d) le montagne per la parte eccedente 1600 m sul livello del mare per la catena alpina e 1200 m sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole; e) i ghiacciai e i circhi glaciali;
c) i fiumi, i torrenti e i corsi d’acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici, approvato con RD 11
f) i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi;
NOZIONI GENERALI DI PROGETTAZIONE • COMP. AMBIENTALE E PAESAGGISTICA NORMATIVE DI PREVALENTE INTERESSE PAESAGGISTICO
A.3. 4. A.ZIONI
g) i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento; h) le aree assegnate alle Università Agrarie e le zone gravate da usi civici; i) le zone umide incluse nell’elenco di cui al DPR 13 marzo 1976, n.448; l) i vulcani; m)le zone di interesse archeologico. [6] Il vincolo di cui al precedente c.non si applica alle zone A e B e – limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali di attuazione – alle altre zone, come delimitate dagli strumenti urbanistici ai sensi del Dec. Min.2 aprile 1968, n.1444 e, nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ai centri edificati perimetrati ai sensi dell’art.18 della legge 22 ottobre 1971, n.865. [7] Sono peraltro sottoposti a vincolo paesaggistico, anche nelle zone di cui al c.precedente, i beni di cui al numero 2) dell’art.1 della legge 29 giugno 1939, n.1497 [cioè: “le ville, i giardini e i parchi che, non contemplati dalle leggi per la tutela delle cose di interesse artistico o storico, si distinguono per la loro non comune bellezza”]. [8] Nei boschi e nelle foreste di cui alla lettera g) del quinto c.del presente articolo sono consentiti il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione previsti e autorizzati in base alle norme vigenti in materia. [9] L’autorizzazione di cui all’art.7 della legge 29 giugno 1939, n.1497, deve essere rilasciata o negata entro il termine perentorio di sessanta giorni. Le regioni danno immediata comunicazione al Ministro per i beni culturali e ambientali delle autorizzazioni rilasciate e trasmettono contestualmente la relativa documentazione. Decorso inutilmente il predetto termine gli interessati, entro trenta giorni, possono richiedere l’autorizzazione al Ministro per i beni cultu-
rali e ambientali, che si pronuncia entro sessanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta. Il Ministro per i beni culturali e ambientali può in ogni caso annullare, con provvedimento motivato, l’autorizzazione regionale entro i sessanta giorni successivi alla relativa comunicazione. [10] Qualora la richiesta di autorizzazione riguardi opere da eseguirsi da parte di amministrazioni statali, il Ministro per i beni culturali e ambientali può in ogni caso rilasciare o negare entro sessanta giorni l’autorizzazione di cui all’art.7 della legge 29 giugno 1939, n.1497, anche in difformità dalla decisione regionale. [11] Per le attività di ricerca e estrazione di cui al RD 29 luglio 1927, n.1443, l’autorizzazione del Ministero per i beni culturali e ambientali, prevista dal precedente nono c., è rilasciata sentito il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato. [12] Non è richiesta l’autorizzazione di cui all’art.7 della legge 29 giugno 1939, n.1497, per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici, nonché per l’esercizio dell’attività agro-silvopastorale che non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi per costruzioni edilizie od altre opere civili, e sempre che si tratti di attività e opere che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio.
territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali, da approvare entro il 31 dicembre 1986. 2. Decorso inutilmente il termine di cui al precedente c., il Ministro per i beni culturali e ambientali esercita i poteri di cui agli artt. 4 e 82 del DPR 24 luglio 1977, n.616. Art.1. TER Omissis [potere delle regioni di individuare aree da sottoporre a vincolo, entro 120 giorni, ormai decaduto] Art.1. QUATER Omissis [potere delle regioni di escludere alcuni corsi d’acqua dal vincolo, entro 90 giorni, ormai decaduto] Art.1. QUINQUIES 1. Le aree e i beni individuati ai sensi dell’art.2 del Dec. Min.21 settembre 1984, sono inclusi tra quelli in cui è vietata, fino all’adozione da parte delle regioni dei piani di cui all’art.1-bis ogni modificazione dell’assetto del territorio nonché ogni opera edilizia, con esclusione degli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici. Art.1. SEXIES 1. Ferme restando le sanzioni di cui alla legge 1497/1939, per la violazione delle disposizioni di cui al presente decreto, si applicano altresì quelle previste dall’art.20 della legge 28 febbraio 1985, n.47.
[13] Le funzioni di vigilanza sull’osservanza del vincolo di cui al quinto c.del presente articolo sono esercitate anche dagli organi del Ministero per i beni culturali e ambientali”
2. Con la sentenza di condanna viene ordinata la rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi a spese del condannato.
Art.1. BIS 1. Con riferimento ai beni e alle aree elencati dal quinto c.dell’art.82 del DPR 24 luglio 1977, n.616, come integrato dal precedente art.1, le regioni sottopongono a specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale il relativo territorio mediante la redazione di piani paesistici o di piani urbanistico-
Art.2. 1. Le disposizioni di cui all’art.1 del decreto-legge 27 giugno 1985, n.312, recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale come convertito in legge dalla presente legge, costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.ATTERISTICLHI EDELLE CAR AZIONA IZIE PRESTTTURE EDIL STRU
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
NE A.1. ESENTAZIO R RAPP OGETTO R DEL P NE A.2. NIZZAZIO A G O R T T O ROGE DEL P A.3. ATIBILITÀ COMP NTALE E AMBIEGGISTICA PAESA
TAB. A.3.4./1 STUDIO DI INSERIMENTO AMBIENTALE E PAESAGGISTICO – ADEMPIMENTI PREVISTI DAL REGOLAMENTO (bozza 14 giugno 1996) DELLA LEGGE 109/1994 STUDIO DI IMPATTO AMBIENTALE O STUDIO DI INSERIMENTO AMBIENTALE E PAESAGGISTICO ADEMPIMENTI IN FASE DI PROGETTO DEFINITIVO
STUDIO DI INSERIMENTO AMBIENTALE E PAESAGGISTICO ADEMPIMENTI IN FASE DI PROGETTO PRELIMINARE (Titolo III, Capo II, Sezione seconda, art.24) Per le opere non soggette alla specifica disciplina della valutazione di impatto ambientale, lo “studio di inserimento ambientale e paesaggistico” in relazione alla natura e all'entità dei lavori comprende, secondo le indicazioni del responsabile del procedimento: a una verifica, anche in relazione all'acquisizione dei necessari pareri amministrativi, di compatibilità con le prescrizioni di eventuali piani paesaggistici, territoriali e urbanistici sia a carattere generale che settoriale;
1.
b uno studio sui prevedibili effetti della realizzazione dei lavori e dell'esercizio dell'opera sulle componenti ambientali e sulla salute umana; c una relazione esplicativa della scelta del sito e delle possibili alternative di localizzazione;
(Titolo III, Capo II, Sezione seconda, art.33) Lo “studio di impatto ambientale”, ove previsto dalla normativa vigente, redatto secondo le norme tecniche che disciplinano la materia, è predisposto 1. contestualmente al progetto definitivo sulla base dell'integrazione e della reciproca utilizzazione dei dati e delle informazioni raccolte nell'ambito del progetto e delle analisi di impatto ambientale. Lo “studio di inserimento ambientale e paesaggistico” è redatto con la caratterizzazione e il dettaglio adeguati all'importanza e allo sviluppo del progetto definitivo. Nel documento sono analizzate le misure atte a ridurre o compensare gli effetti dei lavori sull'ambiente e sulla salute umana, avuto riguardo agli esiti 2. delle indagini tecniche, alle caratteristiche dell'ambiente interessato dai lavori in fase di cantiere e di esercizio, alla natura delle attività e lavorazioni necessarie alla esecuzione dei lavori, all'esistenza dei vincoli che insistono sulle aree interessate.
d le misure di compensazione ambientale e gli eventuali interventi di ripristino e riqualificazione ambientale e paesaggistica, con la stima dei relativi costi da inserire nei piani finanziari dei lavori; e le norme di tutela ambientale che si applicano all'intervento e gli eventuali limiti posti dalla normativa di settore per l'esercizio di impianti, nonché i criteri tecnici che si intendono adottare per assicurarne il rispetto.
3.
Il responsabile del procedimento verifica che il progetto recepisca gli esiti dell'analisi ambientale e paesaggistica e contenga le misure previste nelle valutazioni dello “studio di impatto ambientale” ovvero dello “studio di inserimento ambientale e paesaggistico”.
4. A.3. ATIVE DI RESSE E NORMLENTE INT PREVAGGISTICO PAESA
A 107
B. PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
B.1. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI RIFERIMENTI ANTROPOMETRICI
FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI
•
DATI ANTROPOMETRICI FIG. B.1.1./1 DATI ANTROPOMETRICI DI BASE
210 195 185
495 450 405
1905 1770 1640
235 220 215
390 365 345
195 185 175
1575 1460 1345
385 350 315
450 405 365
1790 1665 1540
1785 1660 1540
370 350 325 385 350 315
1475 1365 1260
285 260 250
255 235 220
865 790 730
210 190 175
735 680 620
460 425 390
185 175 165
455 425 400
270 255 235
920 850 775
1675 1560 1440
210 205 200
300 280 265
485 455 425
195 185 185
190 175 160
690 640 580
425 390 355
410 380 345
450 415 375 290 265 245
120 115 105
265 245 225
125 120 115
UOMO
DONNA Età 15
B C
12
D
9
C L S
7
T
5
Q M
3 1
H
R
U
A
V
F
N
K 15
12
9
G O
7
J P
5
A
B
C
D
E
G
H
J
K
Kg
1800 1675 1545 1625 1485 1350 1440 1320 1200 1315 1220 1125
465 420 375 395 350 300 350 310 265 320 285 250
155 145 140 155 145 135 150 140 130 150 140 130
200 190 185 200 185 170 200 185 170 195 180 165
225 220 215 215 215 210 210 205 205 205 205 200
1460 1370 1260 1325 1205 1080 1165 1065 960 1060 970 890
F
860 790 730 810 730 645 705 630 560 630 565 505
790 735 685 710 660 600 640 585 515 585 525 470
270 250 230 240 220 195 220 200 175 200 180 160
1685 1565 1445 1520 1385 1250 1335 1220 1100 1215 1120 1025
76.5 69.0 62.0 51.5 37.0 23.5 36.5 27.0 17.0 28.0 22.0 16.5
1185 1090 995
290 260 230
145 135 125
195 180 165
200 195 190
945 865 780
545 490 430
515 460 415
181 161 141
1085 995 890
22.0 18.0 13.5
930 725
240 205
135 125
175 160
195 175
735 565
375 245
415 305
141 110
835 640
13.0 9.0
L
M
N
O
P
Q
R
S
T
U
V
370 350 330 345 320 295
465 430 405 420 390 360
430 400 360 385 345 305
420 390 350 375 335 300
115 105 100 100 95 90
355 325 290 320 280 250
190 175 160 170 150 130
185 175 165 170 160 150
285 270 250 260 245 225
255 240 220 230 215 195
195 180 165 175 160 145
310 290 275 290 280 260
375 350 320 345 325 305
335 300 265 300 270 245
325 290 255 290 260 235
95 90 85 90 85 80
270 245 220 245 220 210
145 130 110 130 115 100
160 145 135 145 140 130
240 220 195 220 200 175
210 190 160 190 165 150
150 140 130 140 130 120
270 255 240
315 300 280
260 235 210
255 220 195
85 80 70
215 200 185
105 90 80
135 125 120
190 170 145
160 145 130
130 120 115
BAMBINI
B2
L’architettura è spazio creativo, cavità animata dalla luce e dai percorsi umani: un pezzo di vuoto parzialmente
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI RIFERIMENTI ANTROPOMETRICI
B.1. 1. A.ZIONI
Nella pratica progettuale il ricorso alla utilizzazione diretta dei dati antropometrici viene effettuato sempre più frequentemente, con l’affermarsi della metodologia progettuale fondata sulla analisi puntuale delle «esigenze» dei fruitori e sulla corrispondente risposta in termini di «prestazione» dei materiali, dei processi, dei prodotti finali. L’approccio esigenziale-prestazionale, per sua stessa natura, relega in secondo piano le cristallizzazioni tipologiche, sottoponendo a una rigorosa verifica – estesa a ogni materiale, ogni componente, ogni parte e ogni spazio – le condizioni di fruibilità, di benessere, di sicurezza e di gestione e manutenzione degli ambienti progettati. La «fruibilità degli spazi» – che qui si tratta – trova riferimento progettuale e verifica nella conoscenza dettagliata dei dati antropometrici che si riportano, comprendendo in tali dati sia le dimensioni fisiche statisticamente rilevanti (pari a circa il 95% della popolazione), sia le
misure di ingombro e di accesso relative alla esplicazione di movimenti e attività usuali come: camminare, sedersi, lavorare, dormire, prendere, ecc. Nelle figure che seguono, a ognuno dei valori corrisponde un gruppo di tre misure, date in millimetri e circoscritte da un rettangolo: • la misura superiore si riferisce a persone valutate statisticamente di alta statura; • la misura di mezzo si riferisce a persone di statura media; • la misura inferiore si riferisce a persone valutate statisticamente di bassa statura. Vengono presentate separatamente le figure e i dati relativi agli uomini, alle donne e ai bambini-ragazzi (fino a 15 anni). Non si è invece fatta distinzione tra bambini dei due sessi, inquanto le differenze di crescita, che pure sussistono, appaiono di scarso rilievo.
Negli altri schemi grafici vengono rappresentati gli ingombri e gli ambiti di fruizione necessari per determinare le dimensioni di ambienti particolari come corridoi e disimpegni, gli ambiti di agibilità per attività e posizioni particolari come quelle che si svolgono negli spazi ristretti dei cavedi, delle officine, scale tecniche e simili. Le misure indicate sia nelle figure che nelle tabelle comprendono anche l’incremento medio dovuto allo spessore delle calzature. Nelle figure presentate i punti marcati con pallino nero rappresentano schematicamente i punti di articolazione dei movimenti, mentre i tratti grossi interni alla figura rappresentano gli assi della struttura ossea. I dati relativi all’antropometria e alla cinosfera dei portatori di handicap vengono presentati a parte, nel successivo capitolo B.1.4. “Fruibilità dello spazio da parte di portatori di handicap”.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
FIG. B.1.1./2 DIMENSIONAMENTO DEGLI ARREDI IN RELAZIONE ALLE ATTIVITÀ RICORRENTI – BAMBINI DA 5 A 15 ANNI
G.ANISTICA URB
15°
MENSOLA
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
40°
MIN.
C
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
K
150
G
LAVORO
Q
LAVANDINO
280
A
MIN.
LAVAGNA
K
P D
15°
F
H
J L N
BAMBINI IN PIEDI
BAMBINI SEDUTI
BAMBINI - MISURE RELATIVE A MOVIMENTI RICORRENTI
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
DATI RELATIVI AL DIMENSIONAMENTO DI ARREDI SPECIFICI RICORRENTI
Età
A
B
C
815 730 665
735 685 635
1440 1375 1315
660 610 570
1215 1160 1100
Età
15
2085 1915 1765
15
1675
760
915
460
650
370
405
150
175
445
380
760
12
1860 1705 1545
705 630 560
665 620 565
1320 1250 1185
600 555 510
1100 1040 990
12
1485
685
795
420
590
340
370
145
160
420
370
710
9
1320
635
695
380
525
300
325
135
140
355
330
610
9
1645 1510 1345
605 555 510
600 550 485
1175 1120 1040
540 495 435
975 925 880
7
1220
585
635
355
480
275
290
130
130
330
305
610
545 510 485
550 495 445
1080 1015 960
500 445 395
890 850 815
1090
485
570
330
445
250
265
120
125
305
280
535
7
1505 1370 1245
5
5
1330 1210 1085
500 465 425
480 435 390
970 915 865
430 385 345
815 770 720
D
E
F
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
M
O B
S
R
E
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
G H J K L M N O P altezza altezza altezza profondità altezza profondità altezza da sedile a altezza mensola lavandino lavoro lavoro tavolo sedia sedile schienale scienale
Q distanza braccioli
R largh. sedile
S largh. tavolo
ritagliato nella continuità ambientale e sempre in dialogo dentro-fuori con essa. Un manuale tratta più del
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. B.1.1 ENTI I IM RIFER POMETRIC O ANTR
B3
B.1. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI RIFERIMENTI ANTROPOMETRICI
•
FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI
➦ DATI ANTROPOMETRICI FIG. B.1.1./3 DIMENSIONAMENTO DEGLI ARREDI IN RELAZIONE ALLE ATTIVITÀ RICORRENTI – UOMO DONNA
710 330
15¡
2185 2030 1880
15¡
30¡
SCAFFALE ALTO 40¡
1905 1770 1640
15¡
0¡
40¡
1790 1665 1540
SPECCHIO 1575 1460 1345
1475 1365 1260
1515 1405 1295
PIANO PER SCRIVERE
30¡
1175 1090 1005
MANIGLIA
965 915
45¡
1420 1315 1215
650 605 575
1105 1025 935
PIANO ALTO
PIANO DELLA CUCINA
915 865
915 865
865 815
845 780 710
790 730 660
15¡
15¡ 610 535
610 535
SPECCHIO INTERO 45¡ 40
210
94¡ 62¡ VISIONE BINOCULARE
LIMITE VISIONE COLORI 30¡-60¡ 760 685 610
455 405
560 485
610 510
VISIONE LATERALE
535 330
30¡-60¡
60¡ LIMITE DISTORSIONE 1590 UOMO 1455 DONNA
25
62¡ 405 380
760 610
VISIONE OCCHIO DESTRO 94¡
60¡ 1590 1465 1355 1445 1335 1235
30¡
50¡ LIMITE DI ABBAGLIAMENTO
30¡
1370
40¡
0¡
1325 1225 1135
1230 1140 1055
1055 965 890
800 675 715 655 600 635
1475 1360 1265 1345 1240 1155
15¡ 975 895 830
695 650 605
TAVOLO
38¡
PIANO PER TASTIERA
660 605 550
LIMITE VISIONE SUPERIORE 50¡
1270
40¡
35¡ LIMITI VISIONE COLORI 0¡ 40¡
UOMO DONNA
240
UOMO DONNA
455
45¡
215
405
650 605 575
70¡ LIMITE VISIONE INFERIORE
610
470 425 395 400
B4
430 400 365
contenente che del contenuto, dell’involucro edilizio più che degli invasi; ma anche un modesto, disarmato architetto,
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI RIFERIMENTI ANTROPOMETRICI
B.1. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.1.1./4 FRUIBILITÀ E ACCESSIBILITÀ – DIMENSIONI MINIME DI INGOMBRO DI PERCORSI E SPAZI DI LAVORO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
PERCORSI, CORRIDOI, DISIMPEGNI, ECC MIN.
MIN. 2 PERSONE 535 760
330
3 PERSONE
4 PERSONE
MIN.
1700
2250
800
1065 1370
965
1 PER. 2 PER. 1015
MIN.
2110
1 PER. 2 PER. 1120
965
2360
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
1245 1880
2135 3050
2030
2540 3505
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
1250
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
580 915
455 560
635 760
760
585
330
560
115
125
L
H
L
H
205
125
495
125
L
785 915
660
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
L
L
SPAZI MINIMI DI LAVORO : ISPEZIONE A CABINE, CAVEDI, AUTO, ECC.
660
1905
915 1270
815 915 510 610
710 915 1930 1525
1420
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
1220
2440
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
1015
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
430 510
POSTI A SEDERE
685
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
180
1725 865
510
710
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
405
1980 1700
1450
MIN.
MIN.
1930
2030
MIN. 2030
840
1345 1220
10¡-15¡
965
50¡-60¡
725
45¡-60¡
445
MAX. 305
30¡-35¡
5¡-8¡
ingegnere, geometra e capomastro partecipa alla sfida di orchestrare il territorio con interventi significativi,
. B.1.1 ENTI I IM RIFER POMETRIC O ANTR
B5
B.1. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLE STRUTTURE DI COLLEGAMENTO ORIZZONTALE E VERTICALE AGIBILITÀ DI CORRIDOI, SCALE, ASCENSORI CORRIDOI E DISIMPEGNI Fatto salvo quanto prescritto per la fruizione dei corridoi, disimpegni e simili da parte dei portatori di handicap motori (di cui al succ. B.1.4.), la larghezza dei corridoi deve essere dimensionati in rapporto al flusso massimo di persone ipotizzabile o determinabile che può attraversarla. Il flusso di persone massimo viene calcolato nella ipotesi di “esodo” contemporaneo di tutte le persone che abitano, lavorano o svolgono qualsiasi altro tipo di attività nei locali che hanno accesso dal corridoio in esame.
Per la maggior parte dei locali pubblici o aperti al pubblico (v. B.1.2.) la larghezza dei corridoi in rapporto al deflusso massimo (esodo), così come altre caratteristiche tecniche – aereazione, illuminazione, segnaletica, caratteristiche delle pavimentazioni – viene prescritta da normative specifiche relative alla agibilità di tali locali. Nei casi in cui la larghezza dei corridoi non sia prescritta da norme o regolamenti specifici, è consigliabile attenersi a un dimensionamento basato su multipli interi di un modulo pari a 60 cm, considerando un flusso massimo
ammissibile pari a 50 persone per modulo. Nel caso di corridoi o disimpegni che presentino nel loro sviluppo riduzioni della larghezza di qualsiasi tipo o natura, la larghezza minima ammissibile deve essere verificata in corrispondenza del tratto del corridoio che presenta larghezza minore. La Fig. B.1.1./4., allegata al precedente B.1.1. (“Riferimenti antropometrici – dati di accessibilità”), in alto, indica le larghezze minime di corridoi e disimpegni in funzione di diverse condizioni e intensità di fruizione, sulla base di ingombri antropometrici.
La piattaforma di distribuzione al piano della scala non può avere profondità netta minore della larghezza delle rampe afferenti; nel caso di scale di edifici collettivi, pubblico e privati, residenziali e non residenziali, la profondità minima ammissibile della piattaforma di distribuzione è pari a 1,50 ml, in considerazione della fruibilità da parte di portatori di handicap.
in qualche modo la misura di uno dei due elementi del rapporto, dimodoché l’altro elemento dovrà essere dimensionato in modo da assicurare un rapporto alzata/pedata ottimale. Il grafico allegato (Fig. B.1.2./4.) mostra i valori ammissibili del rapporto alzata/pedata al variare di uno dei due elementi e ne specifica gli ambiti di variabilità ottimali in riferimento alle diverse situazioni di utilizzazione: rampe, cordonate, scale pubbliche esterne, scale interne di edifici pubblici, scale internedi uso collettivo (condominiale o simili) interne agli edifici residenziali, scale interne a singoli alloggi, scalette tecniche. Per le scale di uso collettivo si utilizza generalmente la formula: pedata +2 alzate = 62÷64 cm. Le figure e i grafici della figura B.1.2./2. indicano i modi grafici e le formule che si adottano per ottenere che i piani inclinati di intradosso delle rampe successive di una scala intersechino l’intradosso del pianerottolo secondo una stessa linea. Nella realizzazione delle scale è raccomandata l’adozione di «pedate» con finiture antisdrucciolo, che si possono ottenere sia mediante l’adozione di materiali idonei (con elevato attrito radente), sia attraverso opportune lavorazioni (evitando la levigatura superficiale), sia mediante l’incisione di rigature trasversali o l’applicazione di fascette antisdrucciolo.
SCALE, RAMPE, CORDONATE E SIMILI La larghezza delle scale, così come quella dei corridoi, deve essere dimensionati in rapporto al flusso massimo di persone ipotizzabile o determinabile che può attraversarla. Il flusso di persone massimo viene calcolato nella ipotesi di “esodo” contemporaneo di tutte le persone che abitano, lavorano o svolgono comunque qualsiasi altro tipo di attività nei locali che hanno accesso dalla scala, rampa o cordonata in esame. Per la maggior parte dei locali pubblici o aperti al pubblico (v. B.1.2.) la larghezza delle scale in rapporto al deflusso massimo (esodo), così come altre caratteristiche tecniche – rapporto alzata/pedata, caratteristiche delle pavimentazioni, ecc. – viene prescritta da normative specifiche relative alla agibilità di tali locali. Nei casi in cui la larghezza delle scale non sia prescritta da norme o regolamenti specifici, è consigliabile attenersi a un dimensionamento basato su multipli interi di un modulo pari a 60 cm, considerando un flusso massimo ammissibile pari a 50 persone per modulo. Nel caso di scale che presentino nel loro sviluppo riduzioni della larghezza di qualsiasi tipo o natura, la larghezza minima ammissibile deve essere verificata in corrispondenza del tratto di scala o di pianerottolo che presenta larghezza minore.
Il pianerottolo intermedio tra due rampe di scale non può avere profondità netta minore della largezza delle rampe; nel caso di edifici pubblici (grandi uffici, scuole, ospedali, impianti sportivi, ecc.) è consigliabile che la profondità del pianerottolo sia pari alla larghezza delle rampe, in modo che il flusso d’esodo si svolga lungo percorsi piani o scalinati di larghezza costante; per lo stesso motivo, nei casi di esodo contemporaneo di grandi quantità di persone (stadi, locali per spettacolo, ecc.) Nella progettazione delle scale riveste particolare importanza la determinazione del rapporto alzata/pedata che, per consentire una agevole fruizione, deve essere commisurato al normale passo degli utenti. Diversi tipi di scale – scale esterne o interne, di edifici pubblici o di edifici residenziali, ecc. – nonché alcune caratteristiche costruttive degli edifici – altezza dell’interpiano o degli intervalli altimetrici da superare – possono condizionare
FIG. B.1.2./1 RIFERIMENTI ANTROPOMETRICI – VINCOLI DI PASSAGGIO PER SCALE, RAMPE, TAPIS ROULANT
L1 = 120
L1 = 180
135
75
55
passo = 72 MISURA MEDIA DI UN PASSO D'UOMO
B6
ALTEZZA LIBERA MINIMA DA PEDATA A SOFFITTO
POSIZIONE MANCORRENTE
LARGHEZZA SCALE A DUE TRANSITI
LARGHEZZA SCALE A TRE TRANSITI
dissonanti, atti a moltiplicare le scelte degli individui e delle comunità. I veri, grandi, autentici generatori del
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLE STRUTTURE DI COLLEGAMENTO ORIZZONTALE E VERTICALE
B.1. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.1.2./2 SFALSAMENTO DEI GRADINI E CONGRUENZA DELLE RAMPE CON IL PIANEROTTOLO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU sf2
sf1=sf2
E.NTROLLO
sf1
sf1
CO NTALE AMBIE
sf2
F. TERIALI, ß ß
§
d r cos ß
s ß
d r cos ß
s
SCALA CON SFALSAMENTO INDIETRO
d=a 2
s
URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
SCALA CON SFALSAMENTO IN AVANTI
d = s - r = s - r √a2 + p 2 cos ß p
d>a 2
d=s- r = s - r √a 2 + p2 cos ß p
I PIANI DI INTRADOSSO DELLE DUE RAMPE INTERSECHERANNO QUELLO DEL PIANEROTTOLO O DELLA PIATTAFORMA DI PIANO LUNGO UNA STESSA LINEA SE SI CALIBRA UNO SFALSAMENTO TRAI GRADINI DELLE DUE RAMPE. NEL CASO IN CUI d È Ø MAGGIORE O MINORE DI a/2, GLI SFALSAMENTI CORRISPONDONO AD UNA FRAZIONE DI PEDATA IN AVANTI O INDIETRO, COME ILLUSTRATO NEI DISEGNI SOPRA. I VALORI DELLO SFALSAMENTO SONO DATI DAL DIAGRAMMA ILLUSTRATO SOTTO, NEL QUALE: a - ALZATA; p - PEDATA; § - INCLINAZIONE DELLE RAMPE; s - SPESSORE DEL PIANEROTTOLO MISURATO FRA I PIANI INTRADOSSO E ESTRADOSSO AL FINITO; r - DISTANZA FRA IL PIANO DI INTRADOSSO DELLA RAMPA E IL PIANO RADENTE AI VERTICI INTERNI DELLA SPEZZATA FORMATA DALLE ALZATE E DALLE PEDATE VALORE DI r MISURATO VERTICALMENTE : = √a2 + p2 p r VALORE DI d : d=scos ß
=
r cos ß
VALORI SFALSAMENTO IN AVANTI
35 34 33 32 31 30 29 28 27 26 25 24 23 22 21 20 19 18 17 16 15 14 13 12 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35
VALORI SFALSAMENTO INDIETRO
VALORI DI d IN CM.
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 a 23, p 20
a 25, p 19
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
SE d = 0 LO SFALSAMENTO ØE’ INDIETRO DI UNA INTERA PEDATA SE d = a/2 LO SFALSAMENTO E’ NULLO NEGLI ALTRI CASI POSSONO ESSERE ASSUNTI I VALORI DESUMIBILI DAL DIAGRAMMA ALLEGATO
LINEE-TRACCIA DI PENDENZE DI SCALE RICORRENTI
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
r
SCALA CON SFALSAMENTO NULLO
d=s- r = s - r √a2 + p2 cos ß p
r ß cos ß ß
ß
r
r
d
ß ß
d
a 27, p 18
a 29, p 17
a 31, p 16
a 33, p 15
linguaggio sono pochi nella storia, ma negli altri, tutti, ciascuno di noi è coinvolto in questa travolgente avventura
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
TSTRU . B.1.2ILITÀ DELLE MENTO A IB G FRU I COLLE ERTICALE D V TURE ONTALE E ORIZZ
B7
B.1. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLE STRUTTURE DI COLLEGAMENTO ORIZZONTALE E VERTICALE ➦ AGIBILITÀ DI CORRIDOI, SCALE, ASCENSORI FIG. B.1.2./3 TIPOLOGIE DI SCALE RICORRENTI SCALE AD UNA RAMPA IN LINEA O CURVE
SCALE A DUE O TRE RAMPE
SCALE COMPLESSE
L
L
L
L
L
L
2L
L
L
L
R=L
L
L
L
L L
L
L
L
Rm = n x p x 4 6,28 Ri = Rm - 40 cm Re = Ri + L
Re.
Rm = n x p x 2 6,28 Ri = Rm - 40 cm Re = Ri + L
Rm.
L
Re. L L L
40
L
Ri. min. 30
L
L
L
L
Rm.
40
Ri.
L
2L
p
L
L
L
Ri.
2L
Rm = n x p x 4/3 6,28 Ri = Rm - 40 cm Re = Ri + L Rm. Re.
ASCENSORE
min. 30
B8
L
L
L
40
liberale e sociale, sa di essere co-protagonista di un mondo nuovo, organico, e allora sente vibrare, dietro i dati
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLE STRUTTURE DI COLLEGAMENTO ORIZZONTALE E VERTICALE
B.1. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.1.2./4 DETERMINAZIONE DI ALZATA MASSIMA, PEDATA MINIMA E ALTEZZA MINIMA DEL MANCORRENTE (curve di P. Vaughan, a.i.a. Architectural graphic standard, adattate alla normativa italiana e al s.i.) SCALE INTERNE PER I L CALCOLO DEL RAPPORTO ALZATA / PEDATA SI UTILIZZA FREQUENTEMENTE IL SEGUENTE RAPPORTO: 2H + P = ÷ 63 CM 62 CM ≤ 2H + P ≥ 64 CM PER SCALE INTERNE A SINGOLI ALLOGGI IL RAPPORTO PUO' ESSERE INCREMENTATO COME SEGUE: 2H + P = ÷ 65 (VALORE MASSIMO DI H = 23 CM)
ALTEZZA MIN. DEL MANCORRENTE
61°
SCALE ESTERNE SONO MENO RIPIDE DI QUELLE INTERNE IN QUANTO SI DISPONE DI SPAZI PIU' AMPI E IN QUANTO SUSSISTONO CONDIZIONI DI RISCHIO (GELO, NEVE, PIOGGIA). IL RAPPORTO ALZATA / PEDATA SI INCREMENTA, A VANTAGGIO DELLA PEDATA, COME SEGUE: 2H + P = ÷ 65, CON ALZATA COMPRESA TRA 13 E 16
14
26
61°
50° ÷ 77° SCALETTE TECNICHE (SENZA ELEMENTI DI ALZATA)
8
17
0
,0
,0
19
26
,0
18
27
28, C.
,0
21
24 23
,0 22
OL
77°
ANG
LE SCA
16
,0 21
26
,0 18 AG 7,5 1 E N ,0 ER 17 T IN I 6,5 V E I 1 T AL ET ,0 C L 16 L S CO 5 S. 15, E R 5,0 CI I I 1 F C 7 LI DI 14, BB EE 3 PU AL 14, CI I F SC 0 DI 14, EE L 13,7 A SC 3 1 ,3 13,0 12,7 E N ER . EST X A E M L ATE SCA ALZ
28 29
30 31
37,5
32 33 34 35 36 37 38 39 40
ATE NTO PED REME (INC
E
ONAT
CORD .
50°
20° 20° ANGOLO 13,5 MIN. SCALE 37,5
DI 1
).
CM.
CORD. 12°
15 70
CORD. 9,5°
12 75
CORD. 7°
10 80
A PER
20° RAMPE
16,5 30
27
80,7
SC AL E DE LL E
L DE 3 ZA ÷ 6 N = GE + P VI DI 2H
CR IT IC O AN GO LI O
O
T OR PP RA
,0 19 ,5 18
SCALA PIU' FREQUENTE
13,5
CN TE LE CA ,S TE AL SC
LL
A LI
29°
25
,5
I
IO C
80,7
,0
20
25
EC E, ICH
SCALE A PIOLI
ET
,0
20
LE
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
29
24
2
EL O D
PRO TTURALE STRU
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
23
19
IC RIT
D.GETTAZIONE
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
22
G OG
30°
E ESE ESSIONAL PROF
85,0
16
15
14
13
0 29,
30,5
30, 0
31,0
31,5
32,0
12
11
10
9
23 19
LINEA DELLE ALTEZZE MINIME DEL MANCORRENTE RISPETTO AL GRADINO
5 0,
BI AM
C.RCIZIO
ICHE TECN MA ONENTI, P COM 50° ANGOLO MAX. SCALE INTERNE
TO
I ED PRE NISM ORGA
F. TERIALI,
50°
22
SCALE A PIOLI
34,0 ALZATE
27 15
18
90,0
31
95,0
100
6
B.STAZIONI DILEGIZLII
MAX. RAMP 8% - PENDENZA I HANDICAPPAT
apparentemente freddi, obiettivi, del manuale, gli impulsi vitali che determinano la felicità architettonica.
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
TSTRU . B.1.2ILITÀ DELLE MENTO A IB G FRU I COLLE ERTICALE D V TURE ONTALE E ORIZZ
B9
B.1. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLE STRUTTURE DI COLLEGAMENTO ORIZZONTALE E VERTICALE ➦ AGIBILITÀ DI CORRIDOI, SCALE, ASCENSORI FIG. B.1.2./5 RAPPRESENTAZIONE DI UNA SCALA ORDINARIA PER EDIFICIO RESIDENZIALE
TIPI DI GRADINI RICORRENTI
16,5 30
A1 = 30 x 9 = 270 CM
.
A2 =150 min.
L1
A3 = L1
A4 = P/2 (15 cm.)
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
A4 = P/2 (15 CM)
ZOCCOLO
L = 260 CM.
20
19
18
17
16
15
14
13
+660
20
L3 + 2L4
12
11
L1
A = 570 CM
A.3 S
PIANEROTTOLO INTERMEDIO
PIATTAFORMA DI DISTRIBUZIONE
A.3 S
PEDATA
INCREMENTO PEDATA =2
3 CM
PIANTA DELLA SCALA RIFERITA A UN PIANO INTERMEDIO ZOCCOLO
15 (P/2) MANCORRENTE
+660
105
105
PEDATA
+330 ZOCCOLO
PEDATA INCREMENTO PEDATA =3
d=a/2 SEZIONE DELLA SCALA - (PARTE CORRISPONDENTE A UN PIANO INTERMEDIO) RAPPRESENTAZIONE DI UNA SCALA ORDINARIA PER EDIFICIO RESIDENZIALE LA SCALA RAPPRESENTATA PRESENTA LE SEGUENTI CARATTERISTICHE: H - ALTEZZA INTERPIANO: 330 CM PARI A 20 ALZATE DA 16,5 CM - RAPPORTO ALZATA/PEDATA PARI A 16,5/30 (2A + P = 63 CM) L1 - LARGHEZZA LIBERA DELLE RAMPE PARI A 120 CM L2 - DISTACCO TRA LE RAMPE PARI A 10 CM L3 - INGOMBRO DEL MANCORRENTE RISPETTO ALLA LARGHEZZA DI OGNI RAMPA PARI A 5 CM L - LARGHEZZA TOTALE DEL VANO SCALA = 2L1 + L2 + 2L3 = 260 CM A1 - LUNGHEZZA DELLA RAMPA PARI A 9 PEDATE DA 30 CM = 270 CM A2 - PIATTAFORMA DI DISTRIBUZIONE AI PIANI CON LARGHEZZA LIBERA PARI A 150 CM A3 - PIANEROTTOLO INTERMEDIO CON LARGHEZZA PARI ALLA RAMPA (120 CM) A4 - SFALSAMENTO TRA I GRADINI DELLE RAMPE PARI A 0; INCREMENTO DI INGOMBRO DEL MANCORRENTE PARI A 1/2 DELLA PEDATA PER LATO = 30/2 = 15 CM A - SVILUPPO COMPLESSIVO DELLA LUNGHEZZA DEL VANO SCALA = A1 + A2 + A3 + 2A4 = 570 CM
B 10
4 CM
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLE STRUTTURE DI COLLEGAMENTO ORIZZONTALE E VERTICALE
B.1. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG.B.1.2./6 SCALE MOBILI E TAPIS ROULANT
TAPIS ROULANT
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
MAX.12¡
SOTTOPASSAGGIO
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
SOPRAPASSAGGIO
ORIZZONTALE
SISTEMA CON UNA SOLA RAMPA, INTERROTTO
SISTEMA PARALLELO, SALITA E DISCESA, INTERROTTO
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
SISTEMA CONTINUO SEMPLICE A SPIRALE
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
SISTEMA CONTINUO DOPPIO A SPIRALE
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
72
200
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
118
130
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
C B
118
87
A
400
A
B
C
4000 PERSONE/ORA
450
1306
1350
6000 PERSONE/ORA
600
1456
1500
8000 PERSONE/ORA
900
1776
1880
PORTATA
TSTRU . B.1.2ILITÀ DELLE MENTO A IB G FRU I COLLE ERTICALE D V TURE ONTALE E ORIZZ
B 11
B.1. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLE STRUTTURE DI COLLEGAMENTO ORIZZONTALE E VERTICALE ➦ AGIBILITÀ DI CORRIDOI, SCALE, ASCENSORI ASCENSORI La norma UNI – ISO 4190, nella prima parte “Ascensori della classe I, II, III”, fissa le dimensioni necessarie e gli ingombri degli ascensori di tali tre classi e ne definisce le caratteristiche. La norma UNI 8725 “Impianti di ascensori elettrici a funi: istruzioni per l’integrazione nell’edificio” esplicita “le informazioni necessarie ai diversi operatori della progettazione edilizia per una corretta scelta e integrazione nell’edificio degli impianti di ascensore in risposta alle esigenze proprie dell’utenza finale dell’organismo architettonico”, per ascensori ordinari, ovvero di portata nominale tra 400, 600 e 1000 kg. Le norme UNI e relativi grafici e tabelle indicano dimensioni delle cabine e delle porte non sempre congruenti con quelle prescritte dal DM dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n.236 per la fruizione da parte di portatori di handicap motori, integrato dal DPR 24 luglio 1996, n.503, “Regolamento recante norme per l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici” (di cui al par. B.1.4.). N nelle tabelle e nei grafici allegati si provve a segnalare tali casi di incongruenza. Nei grafici allegati vengono riportati i tipi di ascensori normalizzati secondo le norme UNI, nonché le relative portate e le dimensioni dei «vani» , delle «porte» e delle «cabine». È stato riportato anche un tipo di ascensore non normalizzato, tuttavia prodotto e largamente installato negli edifici residenziali inquanto prospetta le dimensioni minime di ingombro compatibili con la fruizione da parte di portatori di handicap motori, a norma dei decreti citati. Le tabelle allegate, elaborate in base alle prescrizioni delle norme UNI, ordinano ulteriori dati relativi alle dimensioni dei «vani», delle «porte» e delle «cabine» degli ascen-
sori della «classe prima» (ascensori propriamente detti per edifici residenziali e non residenziali) e della «classe terza» (montaletti) e specificano le dimensioni della «fos-
sa» inferiore e della «testata» (estracorso) del vano ascensore, nonché del locale macchine, in rapporto alle diverse «velocità di esercizio» degli ascensori.
TAB. B.1.2./1 ASCENSORI ELETTRICI DELLA CLASSE TERZA (montaletti) VELOCITÀ a
carico nominale (kg) cabina profondità altezza porte di cabina e di piano (tipo apertura centrale) vano v v v v v v v v
fossa
testata
locale macchine
≤ ≤ ≤ ≤ ≤ ≤ ≤ ≤
0,63 1,00 1,60 2,50 0,63 1,00 1,60 2,50
m/s m/s m/s m/s m/s m/s m/s m/s
tutte le velocità
larghezza
A (cm) B (cm) cm
1600 140 240 230
2000 150 270 230
2500 180 270 270
larghezza
E (cm)
130
130
130
altezza
F (cm)
210
210
210
larghezza profondità altezza altezza altezza altezza altezza altezza altezza altezza area larghezza profondità altezza
C (cm) D (cm) P (cm) P (cm) P (cm) P (cm) Q (cm) Q (cm) Q (cm) Q (cm) S (mq) R (cm) T (cm) H (cm)
240 300 160 170 190 280 440 440 440 540 25 320 550 280
240 330 160 170 190 280 440 440 440 540 27 320 580 280
270 330 180 190 210 300 460 460 460 560 29 350 580 280
1250 195 140 230
1600 195 175 230
TAB. B.1.2./2 ASCENSORI ELETTRICI DELLA CLASSE PRIMA VELOCITÀ
EDIFICI RESIDENZIALI E ALTRI TIPI DI EDIFICI (UFFICI, ALBERGHI, ECC.)
carico nominale (kg) cabina porte di cabina e di piano (tipo apertura centrale) vano
fossa
testata
v v v v v v v v
≤ ≤ ≤ ≤ ≤ ≤ ≤ ≤
0,63 1,00 1,60 2,50 0,63 1,00 1,60 2,50
m/s m/s m/s m/s m/s m/s m/s m/s
v ≤ 0,63 m/s
v ≤ 1,00 m/s locale macchine v ≤ 1,60 m/s
v ≤ 2,50 m/s
B 12
400 110 95* 220
630 110 140 220
1000 110 210 220
630 110 140 220
800 135 140 220
1000 160 140 230
larghezza profondità altezza
A (cm) B (cm) cm
larghezza
E (cm)
80
80
80
80
80
110
110
110
altezza
F (cm)
200
200
200
200
200
210
210
210
larghezza profondità altezza altezza altezza altezza altezza altezza altezza altezza area larghezza profondità altezza area larghezza profondità altezza area larghezza profondità altezza area larghezza profondità altezza
C (cm) D (cm) P (cm) P (cm) P (cm) P (cm) Q (cm) Q (cm) Q (cm) Q (cm) S (mq) R (cm) T (cm) H (cm) S (mq) R (cm) T (cm) H (cm) S (mq) r (cm) T (cm) H (cm) S (mq) R (cm) T (cm) H (cm)
180 160* 140 150 170 N.N. 370 380 400 N.N. 7,5 220 320 200 7,5 220 320 200 10 220 320 220 N.N. N.N. N.N. N.N.
180 210 140 150 170 280 370 380 400 500 10 240 370 200 10 220 370 200 12 220 370 220 14 280 370 260
180 260 140 150 170 280 370 380 400 500 12 240 420 200 12 240 420 200 14 240 420 220 16 280 420 260
180 210 150 150 170 N.N. 380 380 400 N.N. 15 250 370 220 15 250 370 220 15 250 370 220 N.N. N.N. N.N. N.N.
190 230 150 150 170 280 380 380 400 500 15 250 370 220 15 250 370 220 15 250 370 220 18 280 490 280
240 230 170 170 170 280 420 420 420 520 20 320 490 240 20 320 490 240 20 320 490 240 20 280 490 280
260 230 190 190 190 280 440 440 440 540 22 320 490 240 22 320 490 240 22 320 490 240 22 320 490 280
260 260 190 190 190 280 440 440 440 540 25 320 550 280 25 320 550 280 25 320 550 280 25 320 550 280
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLE STRUTTURE DI COLLEGAMENTO ORIZZONTALE E VERTICALE
B.1. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.1.2./7 SISTEMI DI COLLEGAMENTO VERTICALE – ASCENSORI
I ED PRE NISM ORGA
LOC. MACCHINE.
MIN. 200
B.STAZIONI DILEGIZLII LOCALE MACCHINE
RIFERIMENTI AD ALTRI GRAFICI I GRAFICI DELLA FIGURA SEGUENTE INDICANO I TIPI NORMALIZZATI DI ASCENSORI DELLE CLASSI PRIMA E TERZA (MONTALETTI).
RIFERIMENTI AD ALTRE TABELLE
MIN. 370
TESTATA.
LE TABELLE ALLEGATE, ELABORATE SULLA BASE DELLE NORME UNI, INDIVIDUANO GLI ASCENSORI DELLE CLASSI PRIMA E TERZA (MONTALETTI) E NE SPECIFICANO LE DIMENSIONI E LE CARATTERISTICHE SEGUENTI:
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
- CARICO NOMINALE (PORTATA) - DIMENSIONI DELLA CABINA
ULTIMA FERMATA
- DIMENSIONI DELLE PORTE INTERPIANO.
- DIMENSIONI DEL VANO SPECIFICANO INOLTRE, IN RELAZIONE ALLE DIVERSE VELOCITA' DI ESERCIZIO: - DIMENSIONI DELLA FOSSA
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
- DIMENSIONI DELLA TESTATA - DIMENSIONI DEL LOCALE MACCHINE
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
MIN. 200
MIN. 200
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
150
150
150
FOSSA.
PRIMA FERMATA
FOSSA
SISTEMA MOTORE IN ALTO
SISTEMA MOTORE IN BASSO
SISTEMA IDRAULICO
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
DIMENSIONAMENTO DELLA CABINA E DEL VANO (DM LL.PP. 236 - 14 GIUGNO 1989) LOCALE MACCHINE E SOLETTA PORTANTE DIMENSIONI, PORTATA E CARICHI USUALI (NON NORMALIZZATI )
A VARIABILE -10 CM MAX. D B VARIABILE -15-20 CM
PERSONE 3
200 x 250
6500
PERSONE 4
ID.
ID.
PERSONE 5
ID.
ID.
PERSONE 6
250 x 300
9000
PERSONE 8
ID.
ID.
PERSONE 10
300 x 350
12500
PERSONE 13
ID.
ID.
E A
300 x 350
9000
KG 1000
350 x 400
12500
B
KG 630
C > DI 5 CM SE IL CONTRAPPESO NON CORRE NELLO STESSO VANO DELLA CABINA; > DI 20 CM SE SI TROVA NELLO STESSO VANO DELLA CABINA ED E' GUIDATO CON GUIDE RIGIDE D MIN. 140 CM IN EDIFICI NON RESIDENZIALI MIN. 130 CM IN EDIFICI RESIDENZIALI
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
E MIN. 110 CM IN EDIFICI NON RESIDENZIALI MIN. 95 CM IN EDIFICI RESIDENZIALI
C
MONTALETTI
PORTA (MIN. 80).
CARICO SU SOLETTA (KG)
CABINA
LOC.ALE MACCHINE
VANO
PORTATA
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
TSTRU . B.1.2ILITÀ DELLE MENTO A IB G FRU I COLLE ERTICALE D V TURE ONTALE E ORIZZ
B 13
B.1. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLE STRUTTURE DI COLLEGAMENTO ORIZZONTALE E VERTICALE ➦ AGIBILITÀ DI CORRIDOI, SCALE, ASCENSORI FIG. B.1.2./8 ASCENSORI – INGOMBRO E DIMENSIONI DELLE DIVERSE TIPOLOGIE E CLASSI SECONDO LA NORMA UNI 8725
CLASSE I - ASCENSORI PER EDIFICI RESIDENZIALI DIMENSIONI MINIME DI ASCENSORI IN PRODUZIONE, IDONEI PER L'USO DA PARTE DI PORTATORI DI HANDICAP PORTATA IN KG: 630 KG ALTEZZA CABINA: 220 CM ALTEZZA PORTA: 200 CM
PORTATA IN KG.: 400 KG ALTEZZA CABINA: 220 CM ALTEZZA PORTA: 200 CM (TIPO NON IDONEO PER PORTATORI DI HANDICAP)
PORTATA IN KG: 1000 KG ALTEZZA CABINA: 220 CM ALTEZZA PORTA: 200 CM
NEGLI ASCENSORI DI PRODUZIONE CORRENTE SPESSO IL CONTRAPPESO E' POSTO DI LATO ALLA CABINA, IN MODO DA AVERE UNA MAGGIORE LARGHEZZA DEL VANO DAL LATO DI RACCOLTA DI APERTURA DELLA PORTA AUTOMATICA
180 100
180 100
180
PORTATA IN KG: 630 KG ALTEZZA CABINA: 220 CM ALTEZZA PORTA: 200 CM
175
100
80
80
80
175
260
210
210
130
95
160
140
100
80 TIPO NON NORMALIZZATO
CLASSE I - ASCENSORI PER EDIFICI NON RESIDENZIALI
260
100
160
195
140
230
140
210
140
80
110
260 195
110
110
CLASSE III - ASCENSORI MONTALETTIGHE PORTATA IN KG: 1600 KG ALTEZZA CABINA: 230 CM ALTEZZA PORTA: 210 CM
PORTATA IN KG: 2000 KG ALTEZZA CABINA: 230 CM ALTEZZA PORTA: 210 CM
PORTATA IN KG: 2500 KG ALTEZZA CABINA: 230 CM ALTEZZA PORTA: 210 CM
240 240
270
150
180
130
130
330
270
330
270
300
240
140
130
N.B. - PER ALTRI DATI E CARATTERISTICHE RELATIVI AI TIPI DI ASCENSORI DELLA CLASSE PRIMA E DELLA CLASSE TERZA QUI RAPPRESENTATI SI VEDANO LE TABELLE SEGUENTI, ELABORATE SULLA BASE DELLE PRESCRIZIONI E INDICAZIONI DELLE NORME UNI
B 14
260
240
PORTATA IN KG: 1600 KG ALTEZZA CABINA: 230 CM ALTEZZA PORTA: 210 CM
175
190 100
80
PORTATA IN KG: 1250 KG ALTEZZA CABINA: 230 CM ALTEZZA PORTA: 210 CM
140
180
PORTATA IN KG. : 1000 KG. ALTEZZA CABINA : 230 CM. ALTEZZA PORTA : 210 CM
230
PORTATA IN KG: 800 KG ALTEZZA CABINA: 220 CM ALTEZZA PORTA: 200 CM
230
PORTATA IN KG: 630 KG ALTEZZA CABINA: 220 CM ALTEZZA PORTA: 200 CM
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DI AMBIENTI SPECIALI DEGLI ALLOGGI
B.1. 3. A.ZIONI
CUCINE, CUCINETTE, CUCINE IN NICCHIA Fatte salve le norme urbanistiche ed edilizie, nonché le norme per l'edilizia residenziale pubblica, per l'edilizia agevolata o comunque convenzionata, che fissano le superfici minime ammissibili per le diverse tipologie di cucine, gli ambienti destinati a ospitare tali funzioni potranno seguire i seguenti criteri di dimensionamento minimo e distribuzione.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII
CUCINE Dovranno essere dimensionate in modo da poter contenere e disporre in modo razionale e fruibile la seguente dotazione minima di apparecchi:
Vengono comunemente considerati nel dimensionamente le seguenti ulteriori attrezzature:
• macchina per cucinare e forno (ingombro medio 60 x 60 cm);
• lavastoviglie, generalmente alloggiata sotto il piano di scolo del lavello (60 x 60 cm);
• lavello e piano di scolo (60 x 100 ÷120 cm);
• piano di lavoro (60 x 60 cm min.);
• frigorifero (60 x 60 cm);
• contenitori pensili, generalmente disposti al di sopra dello spazio di lavoro.
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
FIG. B.1.3./1 FRUIBILITÀ DELLE CUCINE
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
MIN. 100 CM APPARECCHI DISPOSTI SU DUE LATI OPPOSTI
MIN. 100 CM
APPARECCHI DISPOSTI SU DUE LATI ADIACENTI
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
MIN. 130 CM APPARECCHI DISPOSTI SU TRE LATI
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
MIN. 130 CM
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
APPARECCHI DISPOSTI SU UN SOLO LATO
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
76 -100
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
85 - 90
45 - 50
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
SISTEMA FRIGORIFERO - DISPENSA
SISTEMA LAVANDINO - LAVASTOVIGLIE
SISTEMA FORNELLI - FORNO - LAVASTOVIGLIE
TSTRU . B.1.2ILITÀ DELLE MENTO A IB G FRU I COLLE ERTICALE D V TURE ONTALE E ORIZZ I BIENT . B.1.3ILITÀ DI AMLLOGGI A IB I L U FR LI DEG SPECIA
B 15
B.1. 3.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DI AMBIENTI SPECIALI DEGLI ALLOGGI ➦ CUCINE, CUCINETTE, CUCINE IN NICCHIA ➦ CUCINE ➦ FIG. B.1.3./1 FRUIBILITÀ DELLE CUCINE
D
D
D: 45 - 60 cm SPAZIO LATERALE NECESSARIO PER UTILIZZARE IL PIANO DEI FORNELLI
D1
D1: 45 - 90 cm D2: 60 - 90 cm SPAZIO DI LAVORO PREVISTO SU ENTRAMBI I LATI DEL LAVANDINO
D
D: 35 cm min. SOLUZIONE ANGOLARE.DISTANZA MINIMA PER UTILIZZARE IL PIANO DEI FORNELLI
D2
D
D: 35 cm min. SOLUZIONE ANGOLARE.DISTANZA MINIMA PER UTILIZZARE IL LAVANDINO.
D
D
D: 90 - 105 cm DISTANZA NECESSARIA TRA IL PIANO DEI FORNELLI E ALTRI ELETTRODOMESTICI
D: 38 cm min. SPAZIO LATERALE NECESSARIO PER L'APERTURA-CHIUSURA DEL FRIGORIFERO
D
D
D: 40 cm. min. SOLUZIONE ANGOLARE.DISTANZA MINIMA PER L'APERTURA DEL FRIGORIFERO
D
D: 40 cm min. DISTANZA MINIMA TRA I FORNELLI O IL FORNO A PARETE ED ELETTRODOMESTICI ALTI O IL MURO
CUCINETTE E CUCINE IN NICCHIA Vengono sempre più frequentemente previsti – soprattutto nel caso di «case-albergo», piccole case per vacanze e alloggi minimi per uno o due abitanti – ambienti cucina di dimensioni molto ridotte che aprono direttamente verso gli ambienti soggiorno o ne sono separati da porte scorrevoli, a soffieto, a libro o simili. Cucinette e «cucine in nicchia» possono essere dimensionate in modo da ospitare la dotazione di apparecchi strettamente necessaria per il tipo di uso che se ne prevede. Potranno anche essere istallatii apparecchi di dimensioni ridotte rispetto a quelle usuali standardizzate. Si dovrà in ogni caso prevedere la seguente dotazione minima di apparecchi: • lavello (eventualmente anche senza piano di scolo) • apparecchiatura per cottura (eventualmente anche senza forno) • frigorifero. In tutti i casi nei quali l’ambiente cucina non dispone di propria finestra o altro tipo di ricambio d’aria naturale, si dovrà provvedere a istallare apposito apparecchio di ven-
tilazione e ricambio d’aria meccanico e relativi condotti d’aria verso l’esterno dell’edificio, opportunamente dimensionati in base al volume dell’ambiente cucina. Nel progetto degli impianti elettrici, dovrà essere previsto un numero di «prese» per elettrodomestici adeguato alle dotazioni di apparecchiature prevedibile, poste al di sopra della quota del piano di lavoro (80÷90 cm) e lontano dai punti di erogazione d’acqua. Si consiglia di disporre altresì interruttori autonomi per gli apparecchi elettrodomestici di uso periodico, come lavastoviglie, lavatrici e simili, in modo da escludere la presenza di correnti elettriche in fili esterni e altri condotti, per evidenti motivi di sicurezza. Negli ambienti cucina, in considerazione di possibili tracimazioni d’acqua, è consigliata l’adozione di pavimentazioni antisdrucciolo, evitando le superfici levigate e gli smalti lucidi. Nei grafici allegati vengono proposti alcuni schemi distributivi degli apparecchi nell’ambiente cucina ritenuti ottimali in considerazione della buona fruibilità delle singole apparecchiature e della razionale utilizzazione delle stesse rispetto alle sequenze di operazioni ricorrenti.
SERVIZI IGIENICI E BAGNI Fatte salve le norme relative alla fruizione dei servizi igienici da parte dei portatori di handicap motori (di cui al succ. par. B.1.4.), i servizi igienici principali delle abitazioni devono essere dimensionati e distribuiti in modo da ospitare e disporre in modo razionale e fruibile la seguente dotazione minima di apparecchi: water, bidet, lavandino, vasca o doccia. È necessario prevedere anche l’installazione di una lavatrice, nel caso che non sia ospitata da altro servizio igienico o comunque in altro ambiente idoneo. I servizi igienici secondari (secondo bagno, bagno di servizio, ecc.) possono essere dimensionati anche per contenere solo alcuni degli appareccchi elencati, a secondo dell’uso prevalente al quale sono destinati. Tra le diverse opzioni di dotazione di apparecchi si consigliano le seguenti: Bagno secondario • water + bidet + lavandino + doccia; • water + lavandino + doccia.
B 16
Bagno di servizio: • water +bidet + lavandino + doccia + lavatrice; • water +bidet + landino + lavatrice; • water + lavandino + lavatrice. Antibagno Frequentemente l’ambiente bagno viene fatto precedere da un antibagno costituito da uno spazio che precede e da accesso al bagno, dimensionato per ospitare almeno un lavandino ed eventuali altre attrezzature secondarie (lavatrice) e separato dal bagno da una seconda porta. L’antibagno rivela notevole utilità soprattutto nel caso di abitazioni che dispongono di un solo bagno, perché consente l’uso del lavandino e delle altre apparecchiature secondarie che ospita in contemporaneità con la fruizione da parte di altro abitante delle apparecchiature disposte all’interno del bagno, alcune delle quali possono comportare anche tempi d’uso prolungati (vasca, doccia, water). Gli ingombri dei singoli apparecchi e i relativi spazi minimi di pertinenza e fruizione sono rappresentati e dimen-
sionati nei grafici e nella specifica tabella allegati. Negli schemi grafici allegati vengono proposte alcune disposizioni degli apparecchi nell’ambiente «servizio igienico» ritenuti ottimali in considerazione della buona fruibilità delle singole apparecchiature e della razionale utilizzazione delle stesse rispetto alle sequenze di operazioni ricorrenti. Nel progetto degli impianti elettrici, dovrà essere prevista almeno una «presa» per piccoli elettrodomestici posta al di sopra della quota del piano del lavandino e di lato, in modo che risulti sufficientemente distante dai punti di erogazione d’acqua. Si consiglia di disporre anche nei servizi igienici interruttori autonomi per gli apparecchi elettrodomestici di alto assorbimento e di uso periodico, come lavatrici e simili, in modo da escludere la presenza di correnti elettriche in fili esterni e altri condotti, per evidenti motivi di sicurezza. Nei servizi igienici, in considerazione di possibili tracimazioni d’acqua, è consigliata l’adozione di pavimentazioni antisdrucciolo, evitando le superfici levigate e gli smalti lucidi.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DI AMBIENTI SPECIALI DEGLI ALLOGGI
B.1. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.1.3./2 FRUIBILITÀ DEI BAGNI
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
DIMENSIONI DEGLI APPARECCHI SANITARI E SPAZI DI FRUIZIONE
B
B
B C
C
B
C
B
C
A
A
E ESE ESSIONAL PROF
D
PRO TTURALE STRU D
D
D
E.NTROLLO
D
D
C.RCIZIO
D.GETTAZIONE
A
A
A
B
C
A
C
CO NTALE AMBIE
C
125 135 B
D
MIN.
NORM.
MIN.
NORM.
MIN.
NORM.
MIN.
WATER CLOSET
55
60
33
38
36
40
45
90
BIDET
55
60
33
38
38
40
45
90
LAVANDINO
35
50
45
65
35
45
45
76
DOCCIA
70
80
70
80
_
10
45
60
VASCA
60
70
160
170
_
10
50
70
VASCA
60
70
110
130
_
10
50
70
Cw
NORM.
Cb
URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB 70
130
170 75
130
70
60
70
130
70
60
70
60
130
170
70
60
70
70
75
170
140
60
140
130
140
70
140
60
60
70
70
70
60
130
70
60
70
140
140
140
140
170
170
140 70 130
60
70
70.
70 130
140
70.
60
L
70
70
80
130
170
130
190
80
190
70
70
180
70
70
180
180
200
130
70
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
ESEMPI DI BAGNI CON APPARECCHI IN OPPOSIZIONE 130
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
140
70
60
70
60
130
60
70
170
130
60
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
ESEMPI DI BAGNI CON APPARECCHI AD ANGOLO
170
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
L
75
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
ESEMPI DI BAGNI CON APPARECCHI IN LINEA 130
F. TERIALI,
A
APPARECCHI SANITARI
B
D
A
I BIENT . B.1.3ILITÀ DI AMLLOGGI A IB I L U FR LI DEG SPECIA
B 17
B.1. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLO SPAZIO DA PARTE DI PORTATORI DI HANDICAP DATI ANTROPOMETRICI DELL’INSIEME PORTATORE DI HANDICAP – SEDIA A ROTELLE FIG. B.1.4./1 SPAZI DI MANOVRA CON SEDIA A ROTELLE (Art.8 DM LLPP 14 giugno1989, n.236) Le condizioni di fruibilità degli spazi e degli ambienti da parte di portatori di handicap sono definite e prescritte da norme nazionali; in particolare:
INGOMBRO DI ROTAZIONE A 360¡ AMBITO PRIVO DI OSTACOLI = MIN. 150 CM
INGOMBRO DI SVOLTA A 90¡ NELLO STESSO SENSO DI MARCIA 90
80
90° 90
• Legge 9 gennaio 1989, n.13 “Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”.
140
50
70
50
• DPR 27 aprile 1978, n.384 “Regolamento concernente norme di attuazione dell’art.27 della Legge 30 marzo 1971, n.118, a favore degli invalidi civili, in materia di barriere architettoniche e di trasporti pubblici”. Si riferisce in particolare “alle strutture pubbliche con particolare riguardo a quelle di carattere collettivo-sociale”.
110
• DM LLPP 14 giugno 1989, n.236 “Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche”.
150
170
INGOMBRO DI ROTAZIONE A 90¡ IN DIREZIONE OPPOSTA AL SENSO DI MARCIA
Riassume e integra le precedenti normative e definisce un ordinamento sistematico della materia; viene riportato integralmente di seguito.
INGOMBRO DI ROTAZIONE: A 180¡ (140 x 170) (INVERSIONE DI DIREZIONE )
140
• DPR 24 luglio 1996, n. 503 “Regolamento recante norme per l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici”.
90°
180°
140
140
90°
30
Come per la generalità degli utenti-fruitori degli spazi progettati e costruiti considerati in questo capitolo, anche per i portatori di handicap si ritiene utile iniziare con la presentazione de i principali dati antropometrici che, in questo caso, si riferiscono all’insieme composto dalla integrazione della figura umana con la protesi motoria costituita dalla sedia a rotelle. La conoscenza puntuale di tali dati e, in generale, della cinosfera del portatore di handicap, risponde a due ordini di istanze: • quella di una effettiva e «ordinaria» integrazione delle esigenze di questo particolare gruppo di utenti, anche oltre il dettato normativo, in modo da evitare la mortificante esperienza di percorsi, accessi e fruizioni «alternative» degli edifici o di parti di essi; • quella di iscrivere le esigenze dei portatori di handicap nell’universo delle esigenze poste a base del progetto,
140
110
Riprende e integra il precedente DM LLPP 14 giugno 1989, n.236.”
30
110
170
in modo che siano risolte organicamente nella poetica dell’edificio, evitando l’incongrua e posticcia applicazione di protesi edilizie come rampe, tettoie, piattaforme e simili altre. Le figure allegate e relativi dati metrici si riferiscono all’insieme portatore di handicap motori adulti e sedia a rotel-
le e indicano le dimensioni di ingombro statico, gli ambiti di ingombro dei movimenti e di accessibilità alle cose (cinosfera), gli assi visuali. Le condizioni di fruibilità degi diversi tipi di spazi e di arredi verranno presentate nelle pagine seguenti, come adempimenti delle prescrizioni specifiche impartite dalle norme vigenti.
FIG. B.1.4./2 DIMENSIONI E INGOMBRI DI UNA SEDIA A ROTELLE 15
TOLLERANZA ALTEZZA DI INGOMBRO ALTEZZA DEGLI OCCHI INGOMBRO LIMITE (PIEDI)
76
67 7
22
52
45÷50
65÷70
110
125
135
120
110
B 18
110
70
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLO SPAZIO DA PARTE DI PORTATORI DI HANDICAP FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI DA PARTE DI PORTATORI DI HANDICAP MOTORI FIG. B.1.4./3 RIFERIMENTI ANTROPOMETRICI – DATI RELATIVI A PORTATORI DI HANDICAP MOTORI
B.1. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
DATI DI INGOMBRO HANDICAPPATO + SEDIA A ROTELLE AMBITI DI OPERABILITÀ PROIEZIONE VERTICALE FRONTALE
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
AGIBILITÀ DEL LAVANDINO PROIEZIONE VERTICALE LATERALE
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S AMBITI DI OPERABILITÀ PROIEZIONE VERTICALE LATERALE
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
AGIBILITÀ DEL LAVANDINO PROIEZIONE ORIZZONTALE
AMBITI DI OPERABILITÀ PROIEZIONE ORIZZONTALE
IO SPAZ . B.1.4 ITÀ DELLO TATORI IL R O IB FRU RTE DI P DA PANDICAP DI HA
B 19
B.1. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLO SPAZIO DA PARTE DI PORTATORI DI HANDICAP ➦ FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI DA PARTE DEI PORTATORI DI HANDICAP MOTORI FIG. B.1.4./4 DATI RELATIVI A PORTATORI DI HANDICAP MOTORI (legge 30 marzo 1971, n.118 – DM LLPP 14 giugno 1989, n.236) RAMPE E PIATTAFORME AMBITI DI MOVIMENTO SULLE RAMPE PROIEZIONE ORIZZONTALE
17,5
150
PIATTAFORMA DI ROTAZIONE
150
17,5
DILATAZIONE DELLA PIATTAFORMA DI ROTAZIONE (VERSO DESTRA)
75
90
LARGHEZZA MIN. RAMPA
LA LARGHEZZA MINIMA DI UNA RAMPA DEVE ESSERE: - DI 90 CM PER IL TRANSITO DI UNA PERSONA SU SEDIA A RUOTE - DI 150 CM PER CONSENTIRE L'INCROCIO DI DUE PERSONE
DILATAZIONE DELLA PIATTAFORMA DI ROTAZIONE (VERSO SINISTRA)
200 AMBITI DI MOVIMENTO SULLE RAMPE PROIEZIONE VERTICALE FRONTALE
AMBITI DI MOVIMENTO SULLE RAMPE PROIEZIONE VERTICALE LATERALE
90
8
8 MANCORRENTE ORDINARIO
75
75 90÷100
SE A LATO DELLA RAMPA E' PRESENTE UN PARAPETTO NON PIENO DEVE ESSERE PREVISTO UN CORDOLO ALTO MIN. 10 CM
10
90÷100
90
MANCORRENTE DI TRAINO
17,5
75
MAX. 8%
17,5
100
90
SVILUPPO LONGITUDINALE DELLE RAMPE - RIPIANI INTERMEDI - TORNANTI
RAMPA
10,00 m
RIPIANO
90
90
CASO 'A' - RIPIANO ORIZZONTALE 150 x 150 CM
1,70 m
TORNANTE
1,70 m
RAMPA
RIPIANO
1,50 m
90
CASO 'B' - RIPIANO ORIZZONTALE TRASVERSALE 140 x 170 CM
1,50 m
10,00 m
RAMPA
10,00 m
B 20
RIPIANO
1,40 m
1,70 m
90
CASO 'C' - RIPIANO ORIZZONTALE NEL SENSO DI MARCIA 170 CM
OGNI 10 M DI LUNGHEZZA E IN PRESENZA DI INTERRUZIONI MEDIANTE PORTE, LA RAMPA DEVE PREVEDERE UN RIPIANO ORIZZONTALE DI DIMENSIONI MINIME PARI A: - 150 x 150 CM (V. CASO 'B') - O140 x170 CM IN SENSO TRASVERSALE ('B') - O 170 NEL SENSO DI MARCIA ('A') OLTRE L'INGOMBRO DI EVENTUALI PORTE
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLO SPAZIO DA PARTE DI PORTATORI DI HANDICAP
B.1. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.1.4./5 DATI RELATIVI A PORTATORI DI HANDICAP MOTORI (Legge 30 maro 1971, n.118 – DM LLPP 14 giugno 1989, n.236) BAGNI
ACCESSIBILITÀ DEL BAGNO DA PERSONA SU SEDIA A RUOTE UNITÀ COMPLETA PER ABITAZIONE - CASO CON VASCA 58
min. 198 (cons. 210) min. 82 (cons. 100)
58
40
B.STAZIONI DILEGIZLII
ACCESSIBILITÀ DEL BAGNO UNITÀ MINIMA PER EDIFICI PUBBLICI - PIANTA 180 100 100 40 40 5
40
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
SPAZIO D'ACCOSTAMENTO LATERALE AL WATER SPAZIO D'ACCOSTAMENTO LATERALE AL WATER
80
75
75
100
CANNA VERTICALE DI SOSTEGNO CAMPANELLO ELETTRICO
180
30
100
60
50
PULSANTE ACQUA WATER
85
RUBINETTO CON COMANDO A LEVA
80
20 70
140
70
20
80
85
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
MANIGLIONE INTERNO ED ESTERNO
SPAZIO DI ACCOSTAMENTO FRONTALE AL LAVANDINO
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
SPAZIO D'ACCOSTAMENTO LATERALE ALLA VASCA (LUNGO LA VASCA)
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M VISITABILITÀ DEL BAGNO DA PERSONA SU SEDIA A RUOTE
- ACCOSTAMENTO AL WATER LATERALE: 100 CM DALL'ASSE DEL WATER - ACCOSTAMENTO AL BIDET LATERALE: 100 CM DALL'ASSE DEL BIDET - ACCOSTAMENTO AL LAVABO FRONTALE: 80 CM DAL BORDO ANTERIORE - ACCOSTAMENTO ALLA VASCA LATERALE: 140 CM LUNGO LA VASCA PER UNA PROFONDITÀ PARI A 80 CM
NEGLI ALLOGGI OVE È RICHIESTA LA VISITABILITÀ, IL REQUISITO S'INTENDE SODDISFATTO SE È CONSENTITO A PERSONA SU SEDIA A RUOTE DI RAGGIUNGIERE LA TAZZA E UN LAVABO; PER RAGGIUNGIMENTO S'INTENDE LA POSSIBILITÀ DI ARRIVARE IN PROSSIMITÀ DELL'APPARECCHIO, ANCHE SENZA ACCOSTAMENTO LATERALE (AL WC) O FRONTALE (AL LAVABO). AGIBILITÀ DEL BAGNO UNITÀ MINIMA PER EDIFICI PUBBLICI - SEZIONE
AGIBILITÀ DEL BAGNO UNITÀ MINIMA PER EDIFICI PUBBLICI - SEZIONE
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
CARATTERISTICHE DEGLI APPARECCHI LAVABO - PIANO AD 80 CM DAL CALPESTIO - SENZA COLONNA - CON SIFONE PREFERIBILMENTE ACCOSTATO O INCASSATO A PARETE
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR 80
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
DOCCIA - A PAVIMENTO - CON SEDILE RIBALTABILE - CON IMPUGNATURA "A TELEFONO"
15
5
CANNA VERTICALE DI SOSTEGNO CORRIMANO CAMPANELLO ELETTRICO PULSANTE ACQUA WATER
80
85 180
15
45÷50
80
80
100
MANIGLIONI E CORRIMANO NEI SERVIZI IGIENICI DI LOCALI APERTI AL PUBBLICO È NECESSARIO PREVEDERE IL CORRIMANO IN PROSSIMITÀ DELLA TAZZA: - ALL'ALTEZZA DI 80 CM DAL CALPESTIO - DI DIAMETRO PARI A 3÷4 CM - SE FISSATO A PARETE, DEVE ESSERE POSTO A 5 CM DALLA STESSA.
CO NTALE AMBIE
URB
ACCOSTAMENTO AGLI APPARECCHI
WATER E BIDET - PREFERIBILMENTE DEL TIPO SOSPESO - GLI ASSI DEGLI APPARECCHI DEVONO DISTARE 40 CM DALLA PARETE LATERALE - I BORDI ANTERIORI DEVONO DISTARE 75÷80 CM DALLA PARETE POSTERIORE - IL PIANO SUPERIORE DEVE ESSERE POSTO A 45÷50 CM DAL CALPESTIO
E.NTROLLO
G.ANISTICA
15
SPAZIO D'ACCOSTAMENTO LATERALE ALLA VASCA (PROFONDITÀ)
PRO TTURALE STRU
F. TERIALI,
80
75
300
100
CORRIMANO
D.GETTAZIONE
100
40 180
40
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
WATER DI TIPO SOSPESO
IO SPAZ . B.1.4 ITÀ DELLO TATORI IL R O IB FRU RTE DI P DA PANDICAP DI HA
B 21
B.1. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLO SPAZIO DA PARTE DI PORTATORI DI HANDICAP ➦ FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI DA PARTE DEI PORTATORI DI HANDICAP MOTORI FIG. B.1.4./6 DATI RELATIVI A PORTATORI DI HANDICAP MOTORI (Legge 30 marzo 1971, n.118 – DM dei lavori pubblii 14 giugno 1989) CUCINE, ASCENSORI
AGIBILITÀ DELLA CUCINA DA PARTE DI PERSONE SU SEDIA A RUOTE
ACCESSIBILITÀ E AGIBILITÀ DEGLI ASCENSORI
ESEMPIO IN LINEA - PIANTA DIMENSIONI MINIME CONSENTITE PER ASCENSORI RESIDENZIALI E NON RESIDENZIALI 30 FRIGORIFERO
60
50
200
110
RESIDENZIALE: 130 cm
NON RESIDENZ.: 100 cm RESIDENZIALE: 95 cm
NON RESIDENZ.: 140 cm
PIANO DI LAVORO PENSILE
300
MIN. 80 cm
ESEMPIO AD ANGOLO - PIANTA
195
150 cm
PIANO DI LAVORO H. 80÷84 ALTEZZA LIBERA SOTTOSTANTE
210
PIATTAFORMA DI DISTRIBUZIONE
150 cm ADEGUAMENTO DI EDIFICI ESISTENTI IN CASO DI ADEGUAMENTO DI EDIFICI ESISTENTI, OVE NON SIA POSSIBILE L'INSTALLAZIONE DI CABINE DI DIMENSIONI SUPERIORI, SONO CONSENTITE LE SEGUENTI DIMENSIONI - CABINA: PROFONDITÀ 120 CM, LARGHEZZA 80 CM - PORTA: LUCE MIN. 75 CM, POSTA SUL LATO CORTO - PIATTAFORMA: 140 x 140 CM
FRIGORIFERO
320
SEZIONE LONGITUDINALE
SEZIONE SUI FORNELLI
SEZIONE SUL LAVELLO
LUCE D'EMERGENZA
110
B 22
60
60
90
80
80
ALTEZZA LIBERA SOTTOSTANTE
110
min. 35 cm
CITOFONO
70
70
RUBINETTI CON COMANDO A LEVA
BOTTONIERA
PIANO DEI FORNELLI
110÷140 cm
PIANO DI LAVORO
110 cm 140
PIANO DEL LAVELLO
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLO SPAZIO DA PARTE DI PORTATORI DI HANDICAP
B.1. 4. A.ZIONI
PRESCRIZIONI TECNICHE NECESSARIE A GARANTIRE ACCESSIBILITÀ, ADATTABILITÀ E VISITABILITÀ DEGLI EDIFICI PRIVATI E DI EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA SOVVENZIONATA E AGEVOLATA, AI FINI DEL SUPERAMENTO E DELL’ELIMINAZIONE DELLE BARRIERE ARCHITETTONICHE (DM LLPP 14 giugno 1989, n.236) CAPO I – GENERALITÀ
Art.1. CAMPO DI APPLICAZIONE Le norme contenute nel presente decreto si applicano: 1) agli edifici privati di nuova costruzione, residenziali e non, ivi compresi quelli di edilizia residenziale convenzionata; 2) agli edifici di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, di nuova costruzione; 3) alla ristrutturazione degli edifici privati di cui ai precedenti punti 1 e 2, anche se preesistenti alla entrata in vigore del presente decreto; 4) agli spazi esterni di pertinenza degli edifici di cui ai punti precedenti.
I. Per adattabilità si intende la possibilità di modificare nel tempo lo spazio costruito a costi limitati, allo scopo di renderlo completamente e agevolmente fruibile anche da parte di persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale. L. Per ristrutturazione di edifici si intende la categoria di intervento definita al Titolo IV art.31 lett. d) della legge 457 del 5 agosto 1978. M. Per adeguamento si intende l’insieme dei provvedimenti necessari a rendere gli spazi costruiti o di progetto conformi ai requisiti del presente decreto. N. Per legge si intende la legge 9 gennaio 1989 n.13 e successive modificazioni.
Art.2. DEFINIZIONI CAPO II – CRITERI DI PROGETTAZIONE Ai fini del presente decreto: A. Per barriere architettoniche si intendono: a. gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque e in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea; b. gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di parti, attrezzature o componenti; c. la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l’orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi. B. Per unità ambientale si intende uno spazio elementare e definito, idoneo a consentire attività compatibili tra loro. C. Per unità immobiliare si intende una unità ambientale suscettibile di autonomo godimento ovvero un insieme di unità ambientali funzionalmente connesse, suscettibile di autonomo godimento. D. Per edificio si intende una unità immobiliare dotata di autonomia funzionale, ovvero un insieme autonomo di unità immobiliari funzionalmente e/o fisicamente connesse tra loro. E. Per parti comuni dell’edificio si intendono quelle unità ambientali che servono o che connettono funzionalmente più unità immobiliari. F. Per spazio esterno si intende l’insieme degli spazi aperti, anche se coperti, di pertinenza dell’edificio o di più edifici e in particolare quelli interposti tra l’edificio o gli edifici e la viabilità pubblica o di uso pubblico. G. Per accessibilità si intende la possibilità, anche per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere l’edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia. H. Per visitabilità si intende la possibilità, anche per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di accedere agli spazi di relazione e ad almeno un servizio igienico di ogni unità immobiliare. Sono spazi di relazione gli spazi di soggiorno o pranzo dell’alloggio e quelli dei luoghi di lavoro, servizio e incontro, nei quali il cittadino entra in rapporto con la funzione ivi svolta.
Art.3. CRITERI GENERALI DI PROGETTAZIONE 3.1. In relazione alle finalità delle presenti norme si considerano tre livelli di qualità dello spazio costruito. • L’ accessibilità esprime il più alto livello in quanto ne consente la totale fruizione nell’immediato. • La visitabilità rappresenta un livello di accessibilità limitato a una parte più o meno estesa dell’edificio o delle unità immobiliari, che consente comunque ogni tipo di relazione fondamentale anche alla persona con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale. • La adattabilità rappresenta un livello ridotto di qualità, potenzialmente suscettibile, per originaria previsione progettuale, di trasformazione in livello di accessibilità; l’adattabilità è, pertanto, un’accessibilità differita. 3.2. L’accessibilità deve essere garantita per quanto riguarda: a. gli spazi esterni. Il requisito si considera soddisfatto se esiste almeno un percorso agevolmente fruibile anche da persona con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale; b. Le parti comuni Negli edifici residenziali con non più di tre livelli fuori terra è consentita la deroga all’installazione di meccanismi per l’accesso ai piani superiori, ivi compresi i servoscala, purchè sia assicurata la possibilità della loro installazione in un tempo successivo. L’ascensore va comunque istallato in tutti i casi in cui l’accesso alla più alta unità immobiliare è posto oltre il terzo livello, ivi compresi eventuali livelli interrati e/o porticati. 3.3. Devono inoltre essere accessibili: a. almeno il 5% degli alloggi previsti negli interventi di edilizia residenziale sovvenzionata, con un minimo di 1 unità immobiliare per ogni intervento. Qualora le richieste di alloggi accessibili superino la suddetta quota, alle richieste eccedenti si applicano le disposizioni di cui all’art.17 del DPR 27 aprile 1978, n.384 (“Gli alloggi situati nei piani terreni dei caseggiati dell’edilizia economica e popolare dovranno essere assegnati per precedenza agli invalidi che hanno difficoltà di deambulazione, qualora gli assegnatari ne facciano richiesta. Agli alloggi così assegnati dovranno essere apportate le variazioni possibili per adeguarli alle prescrizioni del presente regolamento.”); b. gli ambienti destinati ad attività sociali, come quelle scolastiche, sanitarie, assistenziali, culturali, sportive; c. gli edifici sedi di aziende o imprese soggette alla normativa sul collocamento obbligatorio, secondo le norme specifiche di cui al punto 4.5.
3.4. Ogni unità immobiliare, qualsiasi sia la sua destinazione, deve essere visitabile, fatte salve le seguenti precisazioni: a. negli edifici residenziali non compresi nelle precedenti categorie il requisito di visitabilità si intende soddisfatto se il soggiorno o il pranzo, un servizio igienico e i relativi percorsi di collegamento interni alle unità immobiliari sono accessibili; b. nelle unità immobiliari sedi di riunioni o spettacoli all’aperto o al chiuso, temporanei o permanenti, compresi i circoli privati, e in quelle di ristorazione, il requisito della visitabilità si intende soddisfatto se almeno una zona riservata al pubblico, oltre a un servizio igienico, sono accessibili; deve essere garantita inoltre la fruibilità degli spazi di relazione e dei servizi previsti, quali la biglietteria e il guardaroba; c. nelle unità immobiliari sedi di attività ricettive il requisito della visitabilità si intende soddisfatto se tutte le parti e servizi comuni e un numero di stanze e di zone all’aperto destinate al soggiorno temporaneo determinato in base alle disposizioni di cui all’art.5, sono accessibili; d. nelle unità immobiliari sedi di culto il requisito della visitabilità si intende soddisfatto se almeno una zona riservata ai fedeli per assistere alle funzioni religiose è accessibile; e. nelle unità immobiliari sedi di attività aperte al pubblico, il requisito della visitabilità si intende soddisfatto se, nei casi in cui sono previsti spazi di relazione nei quali il cittadino entra in rapporto con la funzione ivi svolta, questi sono accessibili; in tal caso deve essere prevista l’accessibilità anche ad almeno un servizio igienico. Nelle unità immobiliari sedi di attività aperte al pubblico, di superficie netta inferiore a 250 mq, il requisito della visitabilità si intende soddisfatto se sono accessibili gli spazi di relazione, caratterizzanti le sedi stesse, nelle quali il cittadino entra in relazione con la funzione ivi svolta; f. nei luoghi di lavoro sedi di attività non aperte al pubblico e non soggette alla normativa sul collocamento obbligatorio, è sufficiente che sia soddisfatto il solo requisito della adattabilità. g. negli edifici residenziali unifamiliari e in quelli plurifamiliari privi di parti comuni, è sufficiente che sia soddisfatto il solo requisito della adattabilità. 3.5. Ogni unità immobiliare, qualunque sia la sua destinazione, deve essere adattabile per tutte le parti e componenti per le quali non è già richiesta l’accessibilità e/o la visitabilità, fatte salve le deroghe consentite dal presente decreto. Art.4. CRITERI DI PROGETTAZIONE PER L’ACCESSIBILITÀ
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
4.1. Unità ambientali e loro componenti 4.1.1 Porte Le porte di accesso di ogni unità ambientale devono essere facilmente manovrabili, di tipo e luce netta tali da consentire un agevole transito anche da parte di persona su sedia a ruote; il vano della porta e gli spazi antistanti e retrostanti devono essere complanari. Occorre dimensionale adeguatamente gli spazi antistanti e retrostanti, con riferimento alle manovre da effettuare con la sedia a ruote, anche in rapporto al tipo di apertura. Sono ammessi dislivelli in corrispondenza del vano della porta di accesso di una unità immobiliare, ovvero negli interventi di ristrutturazione, purchè questi siano contenuti e tali comunque da non ostacolare il transito di una persona su sedia a ruote. Per dimensioni, posizionamento e manovrabilità la porta deve essere tale da consentire una agevole apertura della/e ante da entrambi i lati di utilizzo; sono consi-
➥
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
IO SPAZ . B.1.4 ITÀ DELLO TATORI IL R O IB FRU RTE DI P DA PANDICAP DI HA
B 23
B.1. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLO SPAZIO DA PARTE DI PORTATORI DI HANDICAP ➦ FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI DA PARTE DEI PORTATORI DI HANDICAP MOTORI ➦ PRESCRIZIONI TECNICHE NECESSARIE A GARANTIRE ACCESSIBILITÀ, ADATTABILITÀ E VISITABILITÀ DEGLI EDIFICI PRIVATI E DI EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA SOVVENZIONATA E AGEVOLATA, AI FINI DEL SUPERAMENTO E DELL’ELIMINAZIONE DELLE BARRIERE ARCHITETTONICHE (DM LLPP 14 giugno 1989, n.236) gliabili porte scorrevoli o con anta a libro, mentre devono essere evitate le porte girevoli, a ritorno automatico non ritardato e quelle vetrate se non fornite di accorgimenti per la sicurezza. Le porte vetrate devono essere facilmente individuabili mediante l’apposizione di opportuni segnali. Sono da preferire maniglie del tipo a leva opportunamente curvate e arrotondate. (Per le specifiche vedi 8.1.1.). 4.1.2 Pavimenti I pavimenti devono essere di norma orizzontali e complanari tra loro e, nelle parti comuni e di uso pubblico, non sdrucciolevoli. Eventuali differenze di livello devono essere contenute ovvero superate tramite rampe con pendenza adeguata in modo da non costituire ostacolo al transito di una persona su sedia a ruote. Nel primo caso si deve segnalare il dislivello con variazioni cromatiche; lo spigolo di eventuali soglie deve essere arrotondato. Nelle parti comuni dell’edificio, si deve provvedere a una chiara individuazione dei percorsi, eventualmente mediante una adeguata differenziazione nel materiale e nel colore delle pavimentazioni. I grigliati utilizzati nei calpestii debbono avere maglie con vuoti tali da non costituire ostacolo o pericolo rispetto a ruote, bastoni di sostegno, etc.; gli zerbini devono essere incassati e le guide solidamente ancorate. (Per le specifiche vedi 8.1.2.). 4.1.3 Infissi esterni Le porte, le finestre e le porte-finestre devono essere facilmente utilizzabili anche da persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale. I meccanismi di apertura e chiusura devono essere facilmente manovrabili e percepibili e le parti mobili devono poter essere usate esercitando una lieve pressione. Ove possibile si deve dare preferenza a finestre e parapetti che consentono la visuale anche alla persona seduta. Si devono comunque garantire i requisiti di sicurezza e protezione dalle cadute verso l’esterno. (Per le specifiche vedi 8.1.3.). 4.1.4 Arredi fissi La disposizione degli arredi fissi nell’unità ambientale deve essere tale da consentire il transito della persona su sedia a ruote e l’agevole utilizzabilità di tutte le attrezzature in essa contenute. Deve essere data preferenza ad arredi non taglienti e privi di spigoli vivi. Le cassette per la posta devono essere ubicate a una altezza tale da permetterne l’uso agevole anche a persona su sedia a ruote. Per assicurare l’accessibilità gli arredi fissi non devono costituire ostacolo o impedimento per lo svolgimento di attività anche da parte di persone con ridotte o impedite capacità motorie. In particolare: • i banconi e i piani di appoggio utilizzati per le normali operazioni del pubblico devono essere predisposti in modo che almeno una parte di essi sia utilizzabile da persona su sedia a ruote, permettendole di espletare tutti i servizi; • nel caso di adozione di bussole, percorsi obbligati, cancelletti a spinta etc., occorre che questi siano dimensionati e manovrabili in modo da garantire il passaggio di una sedia a ruote; • eventuali sistemi di apertura e chiusura, se automatici, devono essere temporizzati in modo da permettere un agevole passaggio anche a disabili su sedia a ruote; • ove necessario deve essere predisposto un idoneo spazio d’attesa con postri a sedere. (Per le specifiche vedi 8.1.4.). 4.1.5 Terminali degli impianti Gli apparecchi elettrici, i quadri generali, le valvole e i rubinetti di arresto delle varie utenze, i regolatori degli impianti di riscaldamento e condizionamento, nonchè i
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campanelli, pulsanti di comando e i citofoni, devono essere, per tipo e posizione planimetrica e altimetrica, tali da permettere un uso agevole anche da parte della persona su sedia a ruote; devono, inoltre, essere facilmente individuabili anche in condizioni di scarsa visibilità ed essere protetti dal danneggiamento per urto. (Per le specifiche vedi 8.1.5.). 4.1.6 Servizi igienici Nei servizi igienici devono essere garantite, con opportuni accorgimenti spaziali, le manovre di una sedia a ruote necessarie per l’utilizzazione degli apparecchi sanitari. Deve essere garantito in particolare: • lo spazio necessario per l’accostamento laterale della sedia a ruote alla tazza e, ove presenti, al bidet, alla doccia, alla vasca da bagno, al lavatoio, alla lavatrice; • lo spazio necessario per l’accostamento frontale della sedia a ruote al lavabo, che deve essere del tipo a mensola; • la dotazione di opportuni corrimano e di un campanello di emergenza posto in prossimità della tazza e della vasca. Si deve dare preferenza a rubinetti con manovra a leva e, ove prevista, con erogazione dell’acqua calda regolabile mediante miscelatori termostatici, e a porte scorrevoli o che aprono verso l’esterno. (Per le specifiche vedi 8.1.6.) 4.1.7 Cucine Nelle cucine gli apparecchi, e quindi i relativi punti di erogazione, devono essere preferibilmente disposti sulla stessa parete o su pareti contigue. Al di sotto dei principali apparecchi e del piano di lavoro va previsto un vano vuoto per consentire un agevole accostamento anche da parte della persona su sedia a ruote. (Per le specifiche vedi 8.1.7.) 4.1.8 Balconi e terrazze La soglia interposta tra balcone o terrazza e ambiente interno non deve presentare un dislivello tale da costituire ostacolo al transito di una persona su sedia a ruote. È vietato l’uso di porte-finestre con traversa orizzontale a pavimento di altezza tale da costituire ostacolo al moto della sedia a ruote. Almeno una porzione di balcone o terrazza, prossima alla porta-finestra, deve avere una profondità tale da consentire la manovra di rotazione della sedia a ruote. Ove possibile si deve dare preferenza a parapetti che consentano la visuale anche alla persona seduta, garantendo contemporaneamente i requisiti di sicurezza e protezione delle cadute verso l’esterno. (Per le specifiche vedi 8.1.8.) 4.1.9 Percorsi orizzontali Corridoi e passaggi devono presentare andamento quanto più possibile continuo e con variazioni di direzione ben evidenziate. I corridoi non devono presentare variazioni di livello; in caso contrario queste devono essere superate mediante rampe. La larghezza del corridoio e del passaggio deve essere tale da garantire il facile accesso alle unità ambientali da esso servite e in punti non eccessivamente distanti tra loro essere tale da consentire l’inversione di direzione a una persona su sedia a ruote. Il corridoio comune posto in corrispondenza di un percorso verticale (quale scala, rampa, ascensore, servoscala, piattaforma elevatrice) deve prevedere una piattaforma di distribuzione come vano di ingresso o piano di arrivo dei collegamenti verticali, dalla quale sia possibile accedere ai vari ambienti, esclusi i locali tecnici, solo tramite percorsi orizzontali. (Per le specifiche vedi 8.1.9.) 4.1.10 Scale Le scale devono presentare un andamento regolare e omogeneo per tutto il loro sviluppo. Ove questo non risulti possibile è necessario mediare ogni variazione del loro
andamento per mezzo di ripiani di adeguate dimensioni. Per gni rampa di scale i gradini devono avere la stessa alzata e pedata. Le rampe devono contenere possibilmente lo stesso numero di gradini, caratterizzati da un corretto rapporto tra alzata e pedata. Le porte con apertura verso la scala devono avere uno spazio antistante di adeguata profondità. I gradini delle scale devono avere una pedata antisdrucciolevole a pianta preferibilmente rettangolare e con un profilo preferibilmente continuo a spigoli arrotondati. Le scale devono essere dotate di parapetto atto a costituire difesa verso il vuoto e di corrimano. I corrimano devono essere di facile prendibilità e realizzati con materiale resistente e non tagliente. Le scale comuni e quelle degli edifici aperti al pubblico devono avere i seguenti ulteriori requisiti: 1) la larghezza delle rampe e dei pianerottoli deve permettere il passaggio contemporaneo di due persone e il passaggio orizzontale di una barella con una inclinazione massima del 15% lungo l’asse longitudinale; 2) la lunghezza delle rampe deve essere contenuta, in caso contrario si deve interrompere con un ripiano in grado di arrestare la caduta di un corpo umano; 3) il corrimano deve essere installato su entrambi i lati; 4) in caso di utenza prevalente di bambini si deve prevedere un secondo corrimano ad altezza proporzionata; 5) è preferibile una illuminazione naturale laterale. Si deve dotare la scala di illuminazione artificiale, anche essa laterale, con comando individuabile al buio e disposto su ogni pianerottolo; 6) le rampe di scale devono essere facilmente percepibili, anche per i non vedenti. (Per le specifiche vedi 8.1.10.) 4.1.11 Rampe La pendenza di una rampa va definita in rapporto alla capacità di una persona su sedia a ruote di superarla e di percorrerla senza affaticamento anche in relazione alla lunghezza della stessa. Si devono interporre ripiani orizzontali di riposo per rampe particolarmente lunghe. Valgono in generale per le rampe accorgimenti analoghi a quelli definiti per le scale. (Per le specifiche vedi 8.1.10. e 8.1.11.) 4.1.12 Ascensore L’ascensore deve avere una cabina di dimensioni minime tali da permettere l’uso da parte di una persona su sedia a ruote. Le porte di cabina e di piano devono essere del tipo automatico e di dimensioni tali da permettere l’accesso alla sedia a ruote. Il sistema di apertura delle porte deve essere dotato di idoneo meccanismo (come cellula fotoelettrica, costole mobili) per l’arresto e l’inversione della chiusura in caso di ostruzione del vano porta. I tempi di apertura e di chiusura delle porte devono assicurare un agevole e comodo accesso alla persona su sedia a ruote. Lo stazionamento della cabina ai piani di fermata deve avvenire con porte chiuse. La bottoniera di comando interna ed esterna deve avere il comando più alto a una altezza adeguata alla persona su sedia a ruote ed essere idonea a un uso agevole da parte dei non vedenti. Nell’interno della cabina devono essere posti un citofono, un campanello d’allarme, un segnale luminoso che confermi l’avvenuta ricezione all’esterno della chiamata di allarme, una luce di emergenza. Il ripiano di fermata, anteriormente alla porta della cabina, deve avere una profondità tale da contenere una sedia a ruote e consentirne le manovre necessarie all’accesso. Deve essere garantito un arresto ai piani che renda complanare il pavimento della cabina con quello del pianerottolo. Deve essere prevista la segnalazione sonora dell’arrivo al piano e un dispositivo luminoso per segnalare ogni eventuale stato di allarme. (Per le specifiche vedi 8.1.12.)
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLO SPAZIO DA PARTE DI PORTATORI DI HANDICAP
B.1. 4. A.ZIONI
4.1.13 Servoscala e piattaforma elevatrice Per servoscala e piattaforma elevatrice si intendono apparecchiature atte a consentire, in alternativa a un ascensore o rampa inclinata, il superamento di un dislivello a persone con ridotta o impedita capacità motoria. Tali apparecchiature sono consentite in via alternativa ad ascensori negli interventi di adeguamento o per superare differenze di quota contenute. Fino all’emanazione di una normativa specifica, le apparecchiature stesse devono essere rispondenti alle specifiche di cui al punto 8.1.13.; devono garantire un agevole accesso e stazionamento della persona in piedi, seduta o su sedia a ruote, e agevole manovrabilità dei comandi e sicurezza sia delle persone trasportate che di quelle che possono venire in contatto con l’apparecchiatura in movimento. A tal fine le suddette apparecchiature devono essere dotate di sistemi anticaduta, anticesoiamento, antischiacciamento, antiurto e di apparati atti a garantire sicurezze di movimento, meccaniche, elettriche e di comando. Lo stazionamento dell’apparecchiatura deve avvenire preferibilmente con la pedana o piattaforma ribaltata verso la parete o incassata nel pavimento. Lo spazio antistante la piattaforma, sia in posizione di partenza che di arrivo, deve avere una profondità tale da consentire un agevole accesso o uscita da parte di una persona su sedia a ruote. (Per le specifiche vedi 8.1.13.) 4.1.14 Autorimesse Il locale per autorimessa deve avere collegamenti con gli spazi esterni e con gli apparecchi di risalita idonei all’uso da parte della persona su sedie a ruote. Lo spazio riservato alla sosta delle autovetture al servizio delle persone disabili deve avere dimensioni tali da consentire anche il movimento del disabile nelle fasi di trasferimento; deve essere evidenziato con appositi segnali orizzontali e verticali. (Per le specifiche vedi 8.1.13.) 4.2. Spazi esterni 4.2.1 Percorsi Negli spazi esterni e sino agli accessi degli edifici deve essere previsto almeno un percorso preferibilmente in piano con caratteristiche tali da consentire la mobilità delle persone con ridotte o impedite capacità motorie, e che assicuri loro la utilizzabilità diretta delle attrezzature dei parcheggi e dei servizi posti all’esterno, ove previsti. I percorsi devono presentare un andamento quanto più possibile semplice e regolare in relazione alle principali direttrici di accesso ed essere privi di strozzature, arredi, ostacoli di qualsiasi natura che riducano la larghezza utile di passaggio o che possano causare infortuni. La loro larghezza deve essere tale da garantire la mobilità nonché, in punti non eccessivamente distanti tra loro, anche l’inversione di marcia da parte di una persona su sedia a ruote. Quando un percorso pedonale sia adiacente a zone non pavimentate, è necessario prevedere un ciglio da realizzare con materiale atto ad assicurare l’immediata percezione visiva nonché acustica se percosso con bastone. Le eventuali variazioni di livello dei percorsi devono essere raccordate con lievi pendenze ovvero superate mediante rampe in presenza o meno di eventuali gradini ed evidenziate con variazioni cromatiche. In particolare, ogni qualvolta il percorso pedonale si raccorda con il livello stradale, o è interrotto da un passo carrabile, devono predisporsi rampe di pendenza contenuta e raccordate in maniera continua col piano carrabile, che consentono il passaggio di una sedia a ruote. Le intersezioni tra percorsi pedonali e zone carrabili devono essere opportunamente segnalate anche ai non vedenti. (Per le specifiche vedi 8.2.1.) 4.2.2 Pavimentazione La pavimentazione del percorso pedonale deve essere antisdrucciolevole. Eventuali differenze di livello tra gli elementi costituenti una pavimentazione devono essere contenute in maniera tale da non costituire ostacolo al transito di una persona su sedia a ruote. I grigliati utilizzati nei calpestii devono avere maglie con vuoti tali da non costituire ostacolo o pericolo rispetto a ruote, bastoni di Sostegno e simili. (Per le specifiche vedi 8.2.2.)
4.2.3 Parcheggi Si considera accessibile un parcheggio complanare alle aree pedonali di servizio o a esse collegato tramite rampe o idonei apparecchi di sollevamento. Lo spazio riservato alla sosta delle autovetture delle persone disabili deve avere le stesse caratteristiche di cui al punto 4.1.14. (Per le specifiche vedi 8.2.3.) 4.3. Segnaletica Nelle unità immobiliari e negli spazi accessibili devono essere installati, in posizioni tali da essere agevolmente visibili, cartelli di indicazione che facilitino l’orientamento e la fruizione degli spazi costruiti e che forniscano una adeguata informazione sull’esistenza degli accorgimenti previsti per l’accessibilità di persone a impedite o ridotte capacità motorie; in tale caso i cartelli indicatori devono riportare anche il simbolo internazionale di accessibilità di cui all’art.2 del DPR 27 aprile 1978 n.384. I numeri civici, le targhe e i contrassegni di altro tipo devono essere facilmente leggibili. Negli edifici aperti al pubblico deve essere predisposta una adeguata segnaletica che indichi le attività principali ivi svolte e i percorsi necessari per raggiungerle. Per i non vedenti è opportuno predisporre apparecchi fonici per dette indicazioni, ovvero tabelle integrative con scritte in Braille. Per facilitarne l’orientamento è necessario prevedere punti di riferimento ben riconoscibili in quantità sufficiente e in posizione adeguata. In generale, ogni situazione di pericolo deve essere resa immediatamente avvertibile anche tramite accorgimenti e mezzi riferibili sia alle percezioni acustiche che a quelle visive. 4.4. Strutture sociali Nelle strutture destinate ad attività sociali come quelle scolastiche, sanitarie, assistenziali, culturali e sportive, devono essere rispettate quelle prescrizioni di cui ai punti 4.1, 4.2, 4.3, atte a garantire il requisito di accessibilità. Limitatamente ai servizi igienici, il requisito si intende soddisfatto se almeno un servizio igienico per ogni livello utile dell’edificio è accessibile alle persone su sedia a ruote. Qualora nell’edificio, per le dimensioni e per il tipo di afflusso e utilizzo, debbano essere previsti più nuclei di servizi igienici, anche quelli accessibili alle persone su sedia a ruote devono essere incrementati in proporzione. 4.5. Edifici sedi di aziende o imprese soggette al collocamento obbligatorio Negli edifici sedi di aziende o imprese soggette al collocamento obbligatorio, il requisito dell’accessibilità si considera soddisfatto se sono accessibili tutti i settori produttivi, gli uffici amministrativi e almeno un servizio igienico per ogni nucleo di servizi igienici previsto. Deve essere sempre garantita la fruibilità delle mense, degli spogliatoi, dei luoghi ricreativi e di tutti i servizi di pertinenza.
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Art.5. CRITERI DI PROGETTAZIONE PER LA VISITABILITÀ
B.STAZIONI DILEGIZLII
5.1. Residenza Nelle unità immobiliari visitabili di edilizia residenziale, di cui all’art.3, deve essere consentito l’accesso, da parte di persone su sedia a ruote, alla zona di soggiorno o di pranzo, a un servizio igienico e ai relativi percorsi di collegamento. A tal fine si deve assicurare la rispondenza ai criteri di progettazione di cui ai punti 4.1.1, 4.1.6; 4.1.9, 4.2 e alle relative specifiche dimensionali e/o soluzioni tecniche. In particolare per i percorsi orizzontali si vedano anche le soluzioni tecniche di cui al punto 9.1.1. 5.2. Sale e luoghi per riunioni, spettacoli e ristorazione Nelle sale e nei luoghi per riunioni e spettacoli, almeno una zona deve essere agevolmente raggiungibile, anche dalle persone con ridotta o impedita capacità motoria, mediante un percorso continuo in piano o raccordato con rampe, ovvero mediante ascensore o altri mezzi di sollevamento. Qualora le attività siano soggette alla vigente normativa antincendio, detta zona deve essere prevista in posizione tale che, nel caso di emergenza, possa essere agevolmente raggiunta una via di esodo accessibile o un “luogo sicuro statico”. In particolare, la sala per riunione, spettacolo e ristorazione deve inoltre: • essere dotata di posti riservati per persone con ridotta capacità motoria, in numero pari ad almeno due posti per ogni quattrocento o frazione di quattrocento posti, con un minimo di due; • essere dotata, nella stessa percentuale, di spazi liberi riservati per le persone su sedia a ruote, predisposti su pavimento orizzontale, con dimensioni tali da garantire la manovra e lo stazionamentodi una sedia a ruote; • essere consentita l’accessibilità ad almeno un servizio igienico e, ove previsti, al palco, al palcoscenico e almeno a un camerino spogliatoio con relativo servizio igienico. Nelle sale per la ristorazione, almeno una zona della sala deve essere raggiungibile mediante un percorso continuo e raccordato con rampe, dalle persone con ridotta o impedita capacità motoria e deve inoltre essere dotata di almento uno spazio libero per persone su sedia a ruote. Questo spazio deve essere predisposto su pavimento orizzontale e di dimensione tale da garantire la manovra e lo stazionamento di una sedia a ruote; • deve essere consentita l’accessibilità ad almeno un servizio igienico. Per consentire la visibilità nelle sale e nei luoghi per riunioni, spettacoli e ristorazione si devono rispettare quelle prescrizioni di cui ai punti 4.1, 4.2, e 4.3; che sono atte a garantire il soddisfacimento dei suddetti requisiti specifici.
4.6. Raccordi con la normativa antincendio 5.3. Strutture ricettive Qualsiasi soluzione progettuale per garantire l’accessibilità o la visitabilità deve comunque prevedere una adeguata distribuzione degli ambienti e specifici accorgimenti tecnici per contenere i rischi di incendio anche nei confronti di persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale. A tal fine dovrà essere preferita, ove tecnicamente possibile e nel rispetto delle vigenti normative, la suddivisione dell’insieme edilizio in “compartimenti antincendio” piuttosto che l’individuazione di “sistemi di via d’uscita” costituiti da scale di sicurezza non utilizzabili dalle persone con ridotta o impedita capacità motoria. La suddivisione in compartimenti, che costituiscono “luogo sicuro statico” così come definito dal DM 30 novembre 1983, recante “termini, definizioni generali e simboli grafici di prevenzione incendi” pubblicato su GU n.339 del 12 dicembre 1983 deve essere effettuata in modo da prevedere ambienti protetti opportunamente distribuiti e in numero adeguato, resistenti al fuoco e facilmente raggiungibili in modo autonomo da parte delle persone disabili, ove attendere i soccorsi.
Ogni struttura ricettiva (alberghi, pensioni, villaggi turistici, campeggi, ecc.) deve avere tutte le parti e servizi comuni e un determinato numero di stanze accessibili anche a persone con ridotta o impedita capacità motoria. Tali stanze devono avere arredi, servizi, percorsi e spazi di manovra che consentano l’uso agevole anche da parte di persone su sedia a ruote. Qualora le stanze non dispongano dei servizi igienici, deve essere accessibile sullo stesso piano, nelle vicinanze della stanza, almeno un servizio igienico. Il numero di stanze accessibili in ogni struttura ricettiva deve essere di almeno due fino a 40 o frazione di 40, aumentato di altre due ogni 40 stanze o frazione di 40 in più. In tutte le stanze è opportuno prevedere un apparecchio per la segnalazione, sonora e luminosa, di allarme. L’ubicazione delle stanze accessibili deve essere preferibilmente nei piani bassi dell’immobile e comunque nelle vicinanze di un “luogo sicuro statico” o di una via di esodo accessibile. Per i villaggi turistici e campeggi, oltre ai servizi e alle attrezzature comuni, devono esse-
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B.1. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLO SPAZIO DA PARTE DI PORTATORI DI HANDICAP ➦ FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI DA PARTE DEI PORTATORI DI HANDICAP MOTORI ➦ PRESCRIZIONI TECNICHE NECESSARIE A GARANTIRE ACCESSIBILITÀ, ADATTABILITÀ E VISITABILITÀ DEGLI EDIFICI PRIVATI E DI EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA SOVVENZIONATA E AGEVOLATA, AI FINI DEL SUPERAMENTO E DELL’ELIMINAZIONE DELLE BARRIERE ARCHITETTONICHE (DM LLPP 14 giugno 1989, n.236) re accessibili almeno il 5% delle superfici destinate alle unità di soggiorno temporaneo con un minimo assoluto di due unità. Per consentire la visitabilità nelle strutture ricettive si devono rispettare le prescrizioni di cui ai punti 4.1, 4.2 e 4.3, atte a garantire il soddisfacimento dei suddetti requisiti specifici.
della normativa vigente a tutela dei beni ambientali, artistici, archeologici, storici e culturali. L’installazione dell’ascensore all’interno del vano scala non deve compromettere la fruibilità delle rampe e dei ripiani orizzontali, soprattutto in relazione alla necessità di garantire un adeguato deflusso in caso di evacuazione in situazione di emergenza.
5.4. Luoghi per il culto I luoghi per il culto devono avere una zona della sala per le funzioni religiose in piano, raggiungibile mediante un percorso continuo e raccordato tramite rampe. A tal fine si devono rispettare le prescrizioni di cui ai punti 4.1, 4.2 e 4.3, atte a garantire il soddisfacimento di tale requisito specifico. 5.5. Altri luoghi aperti al pubblico Negli altri luoghi aperti al pubblico deve essere garantita l’accessibilità agli spazi di relazione. A tal fine si devono rispettare le prescrizioni di cui ai punti 4.1, 4.2 e 4.3, atte a garantire il soddisfacimento di tale requisito. Questi locali, quando superano i 250 mq. di superficie utile, devono prevedere almeno un servizio igienico accessibile. 5.6. Arredi fissi Per assicurare la visitabilità gli arredi fissi non devono costituire ostacolo o impedimento per lo svolgimento di attività anche da parte di persone con ridotte o impedite capacità motorie. A riguardo valgono le prescrizioni di cui al precedente punto 4.4. 5.7. Visitabilità condizionata Negli edifici, unità immobiliari o ambientali aperti al pubblico esistenti, che non vengono sottoposti a ristrutturazione e che non siano in tutto o in parte rispondenti ai criteri per l’accessibilità contenuti nel presente decreto, ma nei quali esista la possibilità di fruizione mediante personale di aiuto anche per le persone a ridotta o impedita capacità motoria, deve essere posto in prossimità dell’ingresso un apposito pulsante di chiamata al quale deve essere affiancato il simbolo internazionale di accessibilità di cui all’art.2 del DPR 384/1978. Art.6. CRITERI DI PROGETTAZIONE PER LA ADATTABILITÀ 6.1.
Interventi di nuova edificazione
Gli edifici di nuova edificazione e le loro parti si considerano adattabili quando, tramite l’esecuzione differita nel tempo di lavori che non modificano né la struttura portante, né la rete degli impianti comuni, possono essere resi idonei, a costi contenuti, alle necessità delle persone con ridotta o impedita capacità motoria, garantendo il soddisfacimento dei requisiti previsti dalle norme relative alla accessibilità. La progettazione deve garantire l’obiettivo che precede con una particolare considerazione sia del posizionamento e dimensionamento dei servizi e ambienti limitrofi, dei disimpegni e delle porte sia della futura eventuale dotazione dei sistemi di sollevamento. A tale proposito quando all’interno di unità immobiliari a più livelli, per particolari conformazioni della scala non è possibile ipotizzare l’inserimento di un servoscala con piattaforma, deve essere previsto uno spazio idoneo per l’inserimento di una piattaforma elevatrice. 6.2. Interventi di ristrutturazione Negli interventi di ristrutturazione si deve garantire il soddisfacimento di requisiti analoghi a quelli descritti per la nuova edificazione, fermo restando il rispetto
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CAPO III – COGENZA DELLE PRESCRIZIONI
Art.7. 7.1. Le specificazioni contenute nel capo IV art.8 hanno valore prescrittivo, le soluzioni tecniche contenute all’art.9, anche se non basate su tali specificazioni, sono ritenute rispondenti ai criteri di progettazione e quindi accettabili in quanto sopperiscono alle riduzioni dimensionali con particolari soluzioni spaziali o tecnologiche. 7.2. Tuttavia in sede di progetto possono essere proposte soluzioni alternative alle specificazioni e alle soluzioni tecniche, purché rispondano alle esigenze sottintese dai criteri di progettazione. In questo caso, la dichiarazione di cui all’art1 c.4 della legge n.13 del 9 gennaio 1989 deve essere accompagnata da una relazione, corredata dai grafici necessari, con la quale viene illustrata l’alternativa proposta e l’equivalente o migliore qualità degli esiti ottenibili.
corrimano al piano di calpestio. Altezza parapetto o corrimano scale: distanza dal lembo superiore del parapetto o corrimano al piano di calpestio di un qualunque gradino, misurata in verticale in corrispondenza della parte anteriore del gradino stesso. Lunghezza di una rampa: distanza misurata in orizzontale tra due zone in piano dislivellate e raccordate dalla rampa. Luce netta porta o porta-finestra: larghezza di passaggio al netto dell’ingombro dell’anta mobile in posizione di massima apertura se scorrevole, in posizione di apertura a 90° se incernierata (larghezza utile di passaggio). Altezza maniglia: distanza misurata in verticale dall’asse di rotazione della manopola, ovvero del lembo superiore del pomello, al piano di calpestio. Altezze apparecchi di comando, interruttori, prese, pulsanti: distanza misurata in verticale dall’asse del dispositivo di comando al piano di calpestio. Altezza citofono: distanza misurata in verticale dall’asse dell’elemento grigliato microfonico, ovvero dal lembo superiore della cornetta mobile, al piano di calpestio. Altezza telefono a parete e cassetta per lettere: distanza misurata in verticale sino al piano di calpestio dell’elemento da raggiungere, per consentirne l’utilizzo, posto più in alto. 8.0.2 Spazi di manovra con sedia a ruote
7.3. La conformità del progetto alle prescrizioni dettate dal presente decreto, e l’idoneità delle eventuali soluzioni alternative alle specificazioni e alle soluzioni tecniche di cui sopra sono certificate dal professionista abilitato ai sensi dell’art.1 della legge. Il rilascio dell’autorizzazione o della concessione edilizia è subordinata alla verifica di tale conformità compiuta dall’Ufficio Tecnico o dal Tecnico incaricato dal Comune competente ad adottare tali atti. L’eventuale dichiarazione di non conformità del progetto o il mancato accoglimento di eventuali soluzioni tecniche alternative devono essere motivati. 7.4. Le prescrizioni del presente decreto sono derogabili solo per gli edifici o loro parti che, nel rispetto di normative tecniche specifiche, non possono essere realizzati senza barriere architettoniche, ovvero per singoli locali tecnici il cui accesso è riservato ai soli addetti specializzati. 7.5. Negli interventi di ristrutturazione, fermo restando il rispetto dell’art.1 c.3 della legge, sono ammesse deroghe alle norme del presente decreto in caso di dimostrata impossibilità tecnica connessa agli elementi strutturali e impiantistici. Le suddette deroghe sono concesse dal Sindaco in sede di provvedimento autorizzativo previo parere favorevole dell’Ufficio Tecnico o del Tecnico incaricato dal Comune per l’istruttoria dei progetti.
CAPO IV – SPECIFICHE E SOLUZIONI TECNICHE
Art.8. SPECIFICHE FUNZIONALI E DIMENSIONALI 8.0.
Generalità
8.0.1 Modalità di misura Altezza parapetto: distanza misurata in verticale dal lembo superiore dell’elemento che limita l’affaccio (copertina, traversa inferiore infisso, eventuale corrimano o ringhierino) al piano di calpestio. Altezza corrimano: distanza misurata in verticale dal lembo superiore dei
8.1. Unità ambientali e loro componenti 8.1.1 Porte La luce netta della porta di accesso di ogni edificio e di ogni unità immobiliare deve essere di almeno 80 cm La luce netta delle altre porte deve essere di almeno 75 cm Gli spazi antistanti e retrostanti la porta devono essere dimensionati nel rispetto dei minimi previsti negli schemi grafici riportati. L’altezza delle maniglie deve essere compresa tra 85 e 95 cm (consigliata 90 cm) Devono inoltre essere preferite soluzioni per le quali le singole ante delle porte non abbiano larghezza superiore ai 120 cm, e gli eventuali vetri siano collocati a una altezza di almeno 40 cm dal piano del pavimento. L’anta mobile deve poter essere usata esercitando una pressione non superiore a 8 kg. 8.1.2 Pavimenti Qualora i pavimenti presentino un dislivello, questo non deve superare i 2,5 cm Ove siano prescritte pavimentazioni antisdrucciolevoli, valgano le prescrizioni di cui al successivo punto 8.2.2. 8.1.3 Infissi esterni L’altezza delle maniglie o dispositivo di comando deve essere compresa tra 100 e 130 cm; consigliata 115 cm. Per consentire alla persona seduta la visuale anche all’esterno, devono essere preferite soluzioni per le quali la parte opaca del parapetto, se presente, non superi i 60 cm di altezza dal calpestio, con l’avvertenza, però, per ragioni di sicurezza, che l’intero parapetto sia complessivamente alto almeno 100 cm e inattraversabile da una sfera di 10 cm di diametro. Nelle finestre lo spigolo vivo della traversa inferiore dell’anta apribile deve essere opportunamente sagomato o protetto per non causare infortuni. Le ante mobili degli infissi esterni devono poter essere usate esercitando una pressione non superiore a 8 kg. 8.1.4 Arredi fissi Negli edifici residenziali le cassette per la posta non devono essere collocate a una altezza superiore ai 140 cm. Nei luoghi aperti al pubblico, nei quali il contat-
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLO SPAZIO DA PARTE DI PORTATORI DI HANDICAP
B.1. 4. A.ZIONI
to con il pubblico avviene mediante tavoli o scrivanie, deve essere previsto un adeguato spazio libero, eventualmente in ambiente separato, per poter svolgersi una ordinata attesa, nel quale inoltre possano disporsi un congruo numero di posti a sedere (preferibilmente sedie separate). La distanza libera anteriormente a ogni tavolo deve essere di almeno 150 cm, e lateralmente di almeno 120 cm al fine di consentire un agevole passaggio fra i tavoli e le scrivanie. Nei luoghi aperti al pubblico nei quali il contatto con il pubblico avviene mediante sportelli su bancone continuo o su parete, deve essere consentita un’attesa sopportabile dalla generabilità del pubblico, al fine di evitare l’insorgere di situazioni patologiche di nervosismo e di stanchezza. In tali luoghi deve pertanto essere previsto un adeguato spazio libero, eventualmente in ambiente separato, dove possa svolgersi una ordinata attesa, nel quale inoltre possano disporsi un congruo numero di posti a sedere (preferibilmente sedie separate). Quando, in funzione di particolari affluenze di pubblico, è necessario prevedere transenne guida-persone, queste devono essere di lunghezza pari a quella della coda di persone che viene considerata la media delle grandi affluenze, e di larghezza utile minima di 70 cm. La transenna che separa il percorso di avvicinamento allo sportello da quello di uscita deve essere interrotta a una distanza di 120 cm dal limite di ingombro del bancone continuo o del piano di lavoro dello sportello a parete. In ogni caso le transenne guida-persone non devono avere una lunghezza superiore a 400 cm. Le transenne guida-persone devono essere rigidamente fissate al pavimento e avere una altezza al livello del corrimano di 90 cm. Almeno uno sportello deve avere il piano di utilizzo per il pubblico posto a una altezza pari a 90 cm dal calpestio della zona riservata al pubblico. Nei luoghi aperti al pubblico nei quali il contatto con il pubblico avviene mediante bancone continuo, almeno una parte di questo deve avere un piano di utilizzo al pubblico posto a una altezza pari a 90 cm dal calpestio. Apparecchiature automatiche di qualsiasi genere a uso del pubblico, poste all’interno o all’esterno di unità immobiliari aperte al pubblico, devono, per posizione, altezza e comandi, poter essere utilizzate da persona su sedia a ruote. A tal fine valgono le indicazioni di cui allo schema del punto 8.1.5 per quanto applicabili. 8.1.5 Terminali degli impianti Gli apparecchi elettrici, i quadri generali, le valvole e i rubinetti di arresto delle varie utenze, i regolatori di impianti di riscaldamento e di condizionamento, i campanelli di allarme, il citofono, devono essere posti a una altezza compresa tra i 40 e i 140 cm. 8.1.6 Servizi igienici Per garantire la manovra e l’uso degli apparecchi anche alle persone con impedita capacità motoria, deve essere previsto, in rapporto agli spazi di manovra di cui al punto 8.0.2, l’accostamento laterale alla tazza w.c., bidet, vasca, doccia, lavatrice e l’accostamento frontale al lavabo. A tal fine devono essere rispettati i seguenti minimi dimensionali: • lo spazio necessario all’accostamento e al trasferimento laterale della sedia a ruote alla tazza w.c. e al bidet, ove previsto, deve essere minimo 100 cm misurati dall’asse dell’apparecchio sanitario; • lo spazio necessario all’accostamento laterale della sedia a ruote alla vasca deve essere minimo di 140 cm lungo la vasca con profondità minima di 80 cm; • lo spazio necessario all’accostamento frontale della sedia a ruote al lavabo deve essere minimo di 80 cm misurati dal bordo anteriore del lavabo. Relativamente alle caratteristiche degli apparecchi sanitari inoltre: • i lavabi devono avere il piano superiore posto a 80 cm dal calpestio ed essere sempre senza colonna con sifone preferibilmente del tipo accostato o incassato a parete; • i w.c. e i bidet preferibilmente sono di tipo sospeso, in particolare l’asse della tazza w.c. o del bidet deve essere posto a una distanza minima di 40 cm dalla parete laterale, il bordo anteriore a 75-80 cm dalla
parete posteriore e il piano superiore a 45-50 cm dal calpestio. Qualora l’asse della tazza wc o bidet sia distante più di 40 cm dalla parete, si deve prevedere a 40 cm dall’asse dell’apparecchio sanitario un maniglione o corrimano per consentire il trasferimento; • la doccia deve essere a pavimento, dotata di sedile ribaltabile e doccia a telefono. Negli alloggi accessibili di edilizia residenziale sovvenzionata di cui al capo II art.3 deve inoltre essere prevista l’attrezzabilità con maniglioni e corrimano orizzontali e/o verticali in vicinanza degli apparecchi; il tipo e le caratteristiche dei maniglioni o corrimano devono essere conformi alle specifiche esigenze riscontrabili successivamente all’atto dell’assegnazione dell’alloggio e posti in opera in tale occasione. Nei servizi igienici dei locali aperti al pubblico è necessario prevedere e installare il corrimano il corrimano in prossimità della tazza wc, posto ad altezza di 80 cm dal calpestio, e di diametro pari a 3-4 cm; se fissato a parete deve essere posto a 5 cm dalla stessa. Nei casi di adeguamento è consentita la eliminazione del bidet e la sostituzione della vasca con una doccia a pavimento al fine di ottenere, anche senza modifiche sostanziali del locale, uno spazio laterale di accostamento alla tazza wc e di definire sufficienti spazi di manovra. Negli alloggi di edilizia residenziale nei quali è previsto il requisito della visitabilità, il servizio igienico si intende accessibile se è consentito almeno il raggiungimento di una tazza wc e di un lavabo, da parte di persona su sedia a ruote. Per raggiungimento dell’apparecchio sanitario si intende la possibilità di arrivare sino alla diretta prossimità di esso, anche senza l’accostamento laterale per la tazza wc e frontale per il lavabo. 8.1.7 Cucine Per garantire la manovra e l’uso agevole del lavello e dell’apparecchio di cottura, questi devono essere previsti con sottostante spazio libero per un’altezza minima di 70 cm dal calpestio. In spazi limitati sono da preferirsi porte scorrevoli o a libro. 8.1.8 Balconi e terrazze Il parapetto deve avere un’altezza minima di 100 cm ed essere inattraversabile da una sfera di 10 cm di diametro. Per permettere il cambiamento di direzione, balconi e terrazze dovranno avere almeno uno spazio entro il quale sia inscrivibile una circonferenza di diametro di 140 cm. 8.1.9 Percorsi orizzontali e corridoi I corridoi o i percorsi devono avere una larghezza minima di 100 cm, e avere allargamenti atti a consentire l’inversione di marcia da parte di persona su sedia a ruote (vedi punto 8.0.2 Spazi di manovra). Questi allargamenti devono di preferenza essere posti nelle parti terminali dei corridoi e previsti comunque ogni 10 m di sviluppo lineare degli stessi. Per le parti di corridoio o disimpegni sulle quali si aprono porte devono essere adottate le soluzioni tecniche di cui al punto 9.1.1., nel rispetto anche dei sensi di apertura delle porte e degli spazi liberi necessari per il passaggio di cui al punto 8.1.1.; le dimensioni ivi previste devono considerarsi come minimi accettabili. 8.1.10 Scale Le rampe di scale che costituiscono parte o siano di uso pubblico devono avere una larghezza minima di 120 cm, avere una pendenza limitata e costante per l’intero sviluppo della scala. I gradini devono essere caratterizzati da un corretto rapporto tra alzata e pedata (pedata minima di 30 cm): la somma tra il doppio dell’alzata e la pedata deve essere compresa tra 62-64 cm. Il profilo del gradino deve presentare preferibilmente un disegno continuo a spigoli arrotondati, con sottogrado inclinato rispetto al grado, e formante con esso un angolo di circa 75°-80°. In caso di disegno discontinuo, l’aggetto del grado rispetto al sottogrado deve essere compreso fra un minimo di 2 cm e un massimo di 2,5 cm. Un segnale al pavimento (fascia di materiale diverso o comunque percepibile anche da
parte dei non vedenti), situato almeno a 30 cm dal primo e dall’ultimo gradino, deve indicare l’inizio e la fine della rampa. Il parapetto che costituisce la difesa verso il vuoto deve avere una altezza minima di 100 cm ed essere inattraversabile da una sfera di 10 cm di diametro. In corrispondenza delle interruzioni del corrimano, questo deve essere prolungato di 30 cm oltre il primo e l’ultimo gradino. Il corrimano deve essere posto a una altezza compresa tra 90-100 cm. Nel caso in cui è opportuno prevedere un secondo corrimano, questo deve essere posto a una altezza di 75 cm. Il corrimano su parapetto o parete piena deve essere distante da essi di almeno 4 cm. Le rampe di scale che non costituiscono parte comune o non sono di uso pubblico devono avere una larghezza minima di 80 cm. In tal caso devono comunque essere rispettati il già citato rapporto tra alzata e pedata (in questo caso minimo 25 cm) e l’altezza minima del parapetto. 8.1.11 Rampe Non viene considerato accessibile il superamento di un dislivello superiore a 320 cm ottenuto esclusivamente mediante rampe inclinate poste in successione. La larghezza minima di una rampa deve essere: • di 90 cm per consentire il transito di una persona su sedia a ruote; • di 150 cm per consentire l’incrocio di due persone. Ogni 10 m di lunghezza e in presenza di interruzioni mediante porte, la rampa deve prevedere un ripiano orizzontale di dimensioni minime pari a 150x150 cm, ovvero 140x170 cm in senso trasversale e 170 cm in senso longitudinale al verso di marcia, oltre l’ingombro di apertura di eventuali porte. Qualora al lato della rampa sia presente un parapetto non pieno, la rampa deve avere un cordolo di almeno 10 cm di altezza. La pendenza delle rampe non deve superare l’8%. Sono ammesse pendenze superiori, nei casi di adeguamento, rapportate allo sviluppo lineare effettivo della rampa. In tal caso il rapporto tra la pendenza e la lunghezza deve essere comunque di valore inferiore rispetto a quelli individuati dalla linea di interpolazione del grafico. 8.1.12 Ascensore a) Negli edifici di nuova edificazione, non residenziali, l’ascensore deve avere le seguenticaratteristiche: • cabina di dimensioni minime di 140 cm di profondità e 110 cm di larghezza; • porta con luce netta minima di 80 cm posta sul lato corto; • piattaforma minima di distribuzione anteriormente alla porta della cabina di 150x150 cm. b) Negli edifici di nuova edificazione residenziali l’ascensore deve avere le seguenti caratteristiche: • cabina di dimensioni minime di 130 cm di profondità e 95 cm di larghezza; • porta con luce netta minima di 80 cm posta sul lato corto; • piattaforma minima di distribuzione anteriormente alla porta della cabina di 150x150 cm. c) L’ascensore in caso di adeguamento di edifici preesistenti, ove non sia possibile l’installazione di cabine di dimensioni superiori, può avere le seguenti caratteristiche: • cabina di dimensioni minime di 120 cm di profondità e 80 cm di larghezza; • porta con luce netta minima di 75 cm posta sul lato corto; • piattaforma minima di distribuzione anteriormente alla porta della cabina di 140x140 cm. Le porte di cabina e di piano devono essere del tipo a scorrimento automatico. 0Nel caso di adeguamento la porta di piano può essere del tipo ad anta incernierata purché dotata di sistema per l’apertura automatica. In tutti i casi le porte devono rimanere aperte per almeno 8 secondi e il tempo di chiusura non deve essere inferiore a 4 secondi. L’arresto ai piani deve avvenire con autolivellamento con tolleranza massima di circa 2 cm. Lo stazionamento della cabina ai piani di fermata deve avvenire con porte chiuse.
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PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLO SPAZIO DA PARTE DI PORTATORI DI HANDICAP ➦ FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI DA PARTE DEI PORTATORI DI HANDICAP MOTORI ➦ PRESCRIZIONI TECNICHE NECESSARIE A GARANTIRE ACCESSIBILITÀ, ADATTABILITÀ E VISITABILITÀ DEGLI EDIFICI PRIVATI E DI EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA SOVVENZIONATA E AGEVOLATA, AI FINI DEL SUPERAMENTO E DELL’ELIMINAZIONE DELLE BARRIERE ARCHITETTONICHE (DM LLPP 14 giugno 1989, n.236) La bottoniera di comando interna ed esterna deve avere i bottoni a una altezza massima compresa tra 110 e 140 cm: per ascensori del tipo a), b) e c) la bottoniera interna deve essere posta su una parete laterale ad almeno 35 cm dalla porta della cabina. Nell’interno della cabina, oltre il campanello di allarme, deve essere posto un citofono ad altezza compresa tra 110 e 130 cm e una luce di emergenza con autonomia minima di 3 ore. I pulsanti di comando devono prevedere la numerazione in rilievo e le scritte con traduzione in Braille: in adiacenza alla bottoniera esterna deve essere posta una placca di riconoscimento di piano in caratteri Braille. Si deve prevedere la segnalazione sonora dell’arrivo al piano e, ove possibile, l’installazione di un sedile ribaltabile con ritorno automatico. 8.1.13 Servoscala e piattaforme elevatrici Servoscala Per servoscala si intende un’apparecchiatura costituita da un mezzo di carico opportunamente attrezzato per il trasporto di persone con ridotta o impedita capacità motoria, marciante lungo il lato di una scala o di un piano inclinato e che si sposta, azionato da un motore elettrico, nei due sensi di marcia vincolato a guida/e. I servoscala si distinguono nelle seguenti categorie: a) pedana servoscala: per il trasporto di persona in piedi; b) sedile servoscala: per il trasporto di persona seduta; c) pedana servoscala a sedile ribaltabile: per il trasporto di persona in piedi o seduta; d) piattaforma servoscala a piattaforma ribaltabile: per il trasporto di persona su sedia a ruote; e) piattaforma servoscala a piattaforma e sedile ribaltabile: per il trasporto di persona su sedia a ruote o persona seduta. I servoscala sono consentiti in via alternativa ad ascensori e preferibilmente, per superare differenze di quota non superiori a 400 cm. Nei luoghi aperti al pubblico e di norma nelle parti comuni di un edificio, i servoscala devono consentire il superamento del dislivello anche a persona su sedia a ruote: in tal caso, allorquando la libera visuale tra persona su piattaforma e persona posta lungo il percorso dell’apparecchiatura sia inferiore a 200 cm, è necessario che l’intero spazio interessato dalla piattaforma in movimento sia protetto e delimitato da idoneo parapetto e quindi l’apparecchiatura marci in sede propria con cancelletti automatici alle estremità della corsa. In alternativa alla marcia in sede propria è consentita marcia con accompagnatore lungo tutto il percorso con comandi equivalenti a uso dello stesso, ovvero che opportune segnalazioni acustiche e visive segnalino l’apparecchiatura in movimento. In ogni caso i servoscala devono avere le seguenti caratteristiche: Dimensioni, per categoria: a) pedana non inferiore a 35x35 cm; b), c) sedile non inferiore a 35x40 cm., posto a 40-50 cm. da sottostante predellino per appoggio piedi di dimensioni non inferiori a 30x20 cm; d), e) piattaforma (escluse costole mobili) non inferiori a 70x75 cm in luoghi aperti al pubblico. Portata, per categorie: a), b), c) non inferiore a 100 kg. e non superiore a 200 kg. d), e) non inferiore a 150 kg. in luoghi aperti al pubblico e 130 kg. negli altri casi. Velocità: massima velocità riferita a percorso rettilineo pari a 10 cm/sec. Comandi: sia sul servoscala che al piano devono essere previsti comandi per salita-discesa e chiamata-rimando posti a un’altezza compresa tra 70 e 110 cm. È consigliabile prevedere anche un collegamento per comandi volanti a uso di un accompagnatore lungo il percorso.
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Ancoraggi: gli ancoraggi delle guide e giunti devono sopportare il carico mobile moltiplicato per 1,5. Sicurezze elettriche: • tensione massima di alimentazione 220 V monofase (preferibilmente 24 V cc.); • interruttore differenziale ad alta sensibilità (30 mA); • isolamenti in genere a norma CEI; • messa a terra di tutte le masse metalliche; nel caso di interventi di ristrutturazione è ammessa, in alternativa, l’adozione di doppi isolamenti. Sicurezze dei comandi: • devono essere del tipo “uomo presente” e protetti contro l’azionamento accidentale in modo meccanico oppure attraverso una determinata sequenza di comandi elettrici; • devono essere integrati da interruttore a chiave estraibile e consentire la possibilità di fermare l’apparecchiatura in movimento da tutti i posti di comando; • i pulsanti di chiamata e rimando ai piani devono essere installati quando dalla posizione di comando sia possibile il controllo visivo di tutto il percorso del servoscala o quando la marcia del servoscala avvenga in posizione di chiusura a piattaforma ribaltata. Sicurezze meccaniche, devono essere garantite le seguenti caratteristiche: a) coefficiente di sicurezza minimo pari a k = 2 per parti meccaniche in genere e in particolare: • per traino a fune (sempre due indipendenti) k = 6 cad.; • per traino a catena (due indipendenti k = 6 cad. ovvero una k = 10); • per traino pignone cremagliera o simili k = 2; • per traino ad aderenza k = 2; b) limitatore di velocità con paracadute che entri in funzione prima che la velocità del mezzo mobile superi di 1,5 volte quella massima ed essere tale da comandare l’arresto del motore principale consentendo l’arresto del mobile entro uno spazio di 5 cm misurato in verticale dal punto corrispondente all’entrata in funzione del limitatore; c) freno mediante dispositivi in grado di fermare il mezzo mobile in meno di 8 cm misurati lungo la guida, dal momento della attivazione. Sicurezza anticaduta, per i servoscala di categoria: a), b), c) si devono prevedere barre o braccioli di protezione (almeno uno posto verso il basso); d), e) oltre alle barre di cui sopra si devono prevedere bandelle o scivoli ribaltabili di contenimento sui lati della piattaforma perpendicolari al moto. Le barre, le bandelle, gli scivoli e i braccioli durante il moto devono essere in posizione di contenimento della persona e/o della sedia a ruote. Nel servoscala di categoria d) e) l’accesso o l’uscita dalla piattaforma posta nella posizione più alta raggiungibile deve avvenire con un solo scivolo abbassato. Lo scivolo consente l’accesso o l’uscita dalla piattaforma scarica o a pieno carico deve raccordare la stessa al calpestio mediante una pendenza non superiore al 15%. Sicurezza di percorso: lungo tutto il percorso di un servoscala lo spazio interessato dall’apparecchiatura in movimento e quello interessato dalla persona utilizzatrice, deve essere libero da qualsiasi ostacolo fisso o mobile quali porte, finestre, sportelli, intradosso solai sovrastanti, ecc. Nei casi ove non sia prevista la marcia in sede propria del servoscala, dovranno essere previste le seguenti sicurezze: • sistema anticesoiamento nel moto verso l’alto da prevedere sul bordo superiore del corpo macchina e della piattaforma;
• sistema antischiacciamento nel moto verso il basso interessante tutta la parte al di sotto del piano della pedana o piattaforma e del corpo macchina; • sistema antiurto nel moto verso il basso da prevedere in corrispondenza del bordo inferiore del corpo macchina e della piattaforma. Piattaforme elevatrici Le piattaforme elevatrici per superare dislivelli, di norma, non superiori a 4 ml., con velocità non superiore a 0,1 m/sec., devono rispettare, per quanto compatibili, le prescrizioni tecniche specificate per i servoscala. Le piattaforme e il relativo vano corsa devono avere opportuna protezione e i due accessi muniti di cancelletto. La protezione del vano corsa e il cancelletto del livello inferiore devono avere altezza tale da non consentire il raggiungimento dello spazio sottostante la piattaforma, in nessuna posizione della stessa. La portata utile minima deve essere di 100 kg. Il vano corsa deve avere dimensioni minime pari a 80 x 120 cm. Se le piattaforme sono installate all’esterno, gli impianti devono risultare protetti dagli agenti atmosferici. 8.1.14 Autorimesse Le autorimesse singole e collettive, a eccezione di quelle degli edifici residenziali per i quali non è obbligatorio l’uso dell’ascensore e fatte salve le prescrizioni antincendio, devono essere servite da ascensori o altri mezzi di sollevamento, che arrivino alla stessa quota di stazionamento delle auto, ovvero essere raccordate alla quota di arrivo del mezzo di sollevamento, mediante rampe di modesto sviluppo lineare e aventi pendenza massima pari all’8%. Negli edifici aperti al pubblico devono essere previsti, nella misura minima di 1 ogni 50, o frazione di 50, posti auto di larghezza non inferiore a 320 cm, da riservarsi gratuitamente agli eventuali veicoli al servizio di persone disabili. Nella quota parte di alloggi di edilizia residenziale pubblica immediatamente accessibili di cui al precedente art.3 devono essere previsti posti auto con le caratteristiche di cui sopra in numero pari agli alloggi accessibili. Detti posti auto opportunamente segnalati sono ubicati in prossimità del mezzo di sollevamento e in posizione tale da cui sia possibile in caso di emergenza raggiungere in breve tempo un “luogo sicuro statico”, o una via di esodo accessibile. Le rampe carrabili e/o pedonali devono essere dotate di corrimano. 8.2. Spazi esterni 8.2.1 Percorsi • Il percorso pedonale deve avere una larghezza minima di 90 cm e avere, per consentire l’inversione di marcia da parte di una persona su sedia a ruote, allargamenti del percorso da realizzare in piano, ogni 10 m di sviluppo lineare, (per le dimensioni vedi punto 8.0.2. Spazi di manovra). • Qualsiasi cambio di direzione rispetto al percorso rettilineo deve avvenire in piano. • Ove sia indispensabile effettuare svolte ortogonali al verso di marcia, la zona interessata alla svolta, per almeno 170 cm su ciascun lato a partire dal vertice più esterno, deve risultare in piano e priva di qualsiasi interruzione. • Ove sia necessario prevedere un ciglio, questo deve essere sopraelevato di 10 cm dal calpestio, essere differenziato per materiale e colore dalla pavimentazione del percorso, non essere a spigoli vivi ed essere interrotto almeno ogni 10 m da varchi che consentano l’accesso alle zone adiacenti non pavimentate. • La pendenza longitudinale non deve superare di norma il 5%; ove ciò non sia possibile, sono ammesse pendenze superiori, purché realizzate in conformità a quanto previsto al punto 8.1.11. • Per pendenze del 5% è necessario prevedere un ripiano orizzontale di sosta, di profondità di almeno 150 cm, ogni 15 m di lunghezza del percorso; per
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pendenze superiori tale lunghezza deve proporzionalmente ridursi fino alla misura di 10 m per una pendenza dell’8%. La pendenza trasversale massima ammissibile è dell’1%. In presenza di contropendenze al termine di un percorso inclinato o di un raccordo tra percorso e livello stradale, la somma delle due pendenze rispetto al piano orizzontale deve essere inferiore al 22%. Il dislivello ottimale tra il piano del percorso e il piano del terreno o delle zone carrabili a esso adiacenti è di 2,5 cm. Allorquando il percorso si raccorda con il livello stradale o è interrotto da un passo carrabile, sono ammesse brevi rampe di pendenza non superiore al 15% per un dislivello massimo di 15 cm. Fino a una altezza minima di 210 cm dal calpestio, non devono esistere ostacoli di nessun genere, quali tabelle segnaletiche o elementi sporgenti dai fabbricati, che possono essere causa di infortunio a una persona in movimento.
8.2.2 Pavimentazioni Per pavimentazione antisdrucciolevole si intende una pavimentazione realizzata con materiali il cui coefficiente di attrito, misurato secondo il metodo della British Ceramic Research Association Ltd. (BCRA) Rep. CEC. 6/81, sia superiore ai seguenti valori: • 0,40 per elemento scivolante cuoio su pavimentazione asciutta; • 0,40 per elemento scivolante gomma dura standard su pavimentazione bagnata.
I valori di attrito predetto non devono essere modificati dall’apposizione di stati di finitura lucidanti o di protezione che, se previsti, devono essere applicati sui materiali stessi prima della prova. Le ipotesi di condizione della pavimentazione (asciutta o bagnata) devono essere assunte in base alle condizioni normali del luogo ove sia posta in opera. Gli strati di supporto della pavimentazione devono essere idonei a sopportare nel tempo la pavimentazione e i sovraccarichi previsti nonché ad assicurare il bloccaggio duraturo degli elementi costituenti la pavimentazione stessa. Gli elementi costituenti una pavimentazione devono presentare giunture inferiori a 5 mm, stilate con materiali durevoli, essere piani con eventuali risalti di spessore non superiore a 2 mm. I grigliati inseriti nella pavimentazione devono essere realizzati con maglie non attraversabili da una sfera di 2 cm di diametro; i grigliati a elementi paralleli devono comunque essere posti con gli elementi ortogonali al verso di marcia. 8.2.3 Parcheggi Nelle aree di parcheggio devono comunque essere previsti, nella misura minima di 1 ogni 50, o frazione di 50, posti auto di larghezza non inferiore a 320 cm, e riservati gratuitamente ai veicoli al servizio di persone disabili. Detti posti auto, opportunamente segnalati, sono ubicati in aderenza ai percorsi pedonali e nelle vicinanze dell’accesso dell’edificio o attrezzatura. Al fine di agevolare la manovra di trasferimento della persona su sedia a ruote in comuni condizioni atmosferiche, detti posti auto riservati sono preferibilmente dotati di copertura.
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Art.9. SOLUZIONI TECNICHE CONFORMI
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(Si vedano gli schemi grafici allegati)
I ED PRE NISM ORGA CAPO V – NORME FINALI
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Art.10. ELABORATI TECNICI 10.1. Gli elaborati tecnici devono chiaramente evidenziare le soluzioni progettuali e gli accorgimenti tecnici adottati per garantire il soddisfacimento delle prescrizioni di accessibilità, visitabilità e adattabilità di cui al presente decreto. In particolare, per quanto concerne l’adattabilità, le soluzioni progettuali e gli accorgimenti tecnici atti a garantire il soddisfacimento devono essere descritti tramite specifici elaborati grafici. 10.2. Al fine di consentire una più chiara valutazione di merito gli elaborati tecnici devono essere accompagnati da una relazione specifica contenente la descrizione delle soluzioni progettuali e delle opere previste per la eliminazione delle barriere architettoniche, degli accorgimenti tecnico-strutturali e impiantistici e dei materiali previsti a tale scopo; del grado di accessibilità delle soluzioni previste per garantire l’adeguamento dell’edificio.
Art.1. DEFINIZIONI ED OGGETTO 1. Le norme del presente regolamento sono volte a eliminare gli impedimenti comunemente definiti “barriere architettoniche”. 2. Per barriere architettoniche si intendono: a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque e in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea; b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di spazi, attrezzature o componenti; c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l’orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi. 3. Le presenti norme si applicano agli edifici e spazi di nuova costruzione, ancorché di carattere temporaneo, o a quelli esistenti qualora sottoposti a ristrutturazione. Si applicano altresì agli edifici e spazi pubblici sottoposti a qualunque altro tipo di intervento edilizio suscettibile di limitare l’accessibilità e la visibilità, almeno per la parte oggetto dell’intervento stesso. Si applicano inoltre agli edifici e spazi pubblici in tutto o in parte soggetti a cambiamento di destinazione se finalizzata all’uso pubblico, nonché ai servizi speciali di pubblica utilità di cui al successivo titolo VI. 4. Agli edifici e spazi pubblici esistenti, anche se non soggetti a recupero o riorganizzazione funzionale, devono essere apportati tutti quegli accorgimenti che possono migliorarne la fruibilità sulla base delle norme contenute nel presente regolamento. 5. In attesa del predetto adeguamento ogni edificio deve essere dotato, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, a cura dell’Amministrazione pubblica che utilizza l’edi-
ficio, di un sistema di chiamata per attivare un servizio di assistenza tale da consentire alle persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale la fruizione dei servizi espletati. 6. Agli edifici di edilizia residenziale pubblica e agli edifici privati compresi quelli aperti al pubblico si applica il DM LLPP 14 giugno 1989, n.236. 7. Non possono essere erogati contributi o agevolazioni da parte dello Stato e di altri enti pubblici per la realizzazione di opere o servizi pubblici non conformi alle norme di cui al presente regolamento. Art.2. CONTRASSEGNI 1. Gli edifici, i mezzi di trasporto e le strutture costruite, modificate o adeguate tenendo conto delle norme per l’eliminazione delle barriere, devono recare in posizione agevolmente visibile il simbolo di “accessibilità ” secondo il modello di cui all’allegato A. 2. È’ fatta salva la specifica simbologia dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile ove prescritta. 3. Il sistema di chiamata di cui all’art.1 deve essere posto in luogo accessibile e contrassegnato con il simbolo di “accessibilità condizionata” secondo il modello di cui all’allegato B. 4. Uffici, sale per riunioni, conferenze o spettacoli, posti telefonici pubblici ovvero apparecchiature quali ascensori e telefoni che assicurano servizi di comunicazione per sordi, devono recare in posizione agevolmente visibile il simbolo internazionale di accesso alla comunicazione per le persone sorde di cui all’allegato C.
TITOLO II – AREE EDIFICABILI, URBANIZZAZIONI, E OPERE DI ARREDO URBANO
Art.3. AREE EDIFICABILI Nell’elaborazione degli strumenti urbanistici le aree destinate a servizi pubblici sono scelte preferendo quelle che assicurano la progettazione di edifici e spazi privi di barriere architettoniche.
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Art.11. omissis
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REGOLAMENTO RECANTE NORME PER L’ELIMINAZIONE DELLE BARRIERE ARCHITETTONICHE NEGLI EDIFICI, SPAZI E SERVIZI PUBBLICI (DPR 24 luglio 1996 n.503) TITOLO I – SCOPI E CAMPO DI APPLICAZIONE
D.GETTAZIONE
Art.4. SPAZI PEDONALI I progetti relativi agli spazi pubblici e alle opere di urbanizzazione a prevalente fruizione pedonale devono prevedere almeno un percorso accessibile in grado di consentire con l’utilizzo di impianti di sollevamento ove necessario, l’uso dei servizi, le relazioni sociali e la fruizione ambientale anche alle persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale. Si applicano, per quanto riguarda le caratteristiche del suddetto percorso, le norme contenute ai punti 4.2.1., 4.2.2. e 8.2.1., 8.2.2. del DM LLPP 14 giugno 1989, n.236, e, per quanto riguarda le caratteristiche degli eventuali impianti di sollevamento, le norme contenute ai punti 4.1.12., 4.1.13. e 8.1.12., 8.1.13. dello stesso decreto, con le successive prescrizioni elaborate dall’ISPESL e dall’UNI in conformità alla normativa comunitaria. Art.5. MARCIAPIEDI 1. Per i percorsi pedonali in adiacenza a spazi carrabili le indicazioni normative di cui ai punti 4.2.2. e 8.2.2. del DM LLPP 14 giugno 1989, n.236, valgono limitatamente alle caratteristiche delle pavimentazioni e ai raccordi tra marciapiedi e spazi carrabili. 2. Il dislivello, tra il piano del marciapiede e zone carrabili a esso adiacenti non deve comunque superare i 15 cm. 3. La larghezza dei marciapiedi realizzati in interventi di nuova urbanizzazione deve essere tale da consentire la fruizione anche da parte di persone su sedia a ruote. Art.6. ATTRAVERSAMENTI PEDONALI 1. Nelle strade ad alto volume di traffico gli attraversamenti pedonali devono essere illuminati nelle ore notturne o di scarsa visibilità. 2. Il fondo stradale, in prossimità dell’attraversamento pedonale, potrà essere differenziato mediante rugosità poste su manto stradale al fine di segnalare la necessità di moderare la velocità. 3. Le piattaforme salvagente devono essere accessibili alle persone su sedia a ruote. 4. Gli impianti semaforici, di nuova installazione o di sosti-
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B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
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IO SPAZ . B.1.4 ITÀ DELLO TATORI IL R O IB FRU RTE DI P DA PANDICAP DI HA
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PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLO SPAZIO DA PARTE DI PORTATORI DI HANDICAP ➦ FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI DA PARTE DEI PORTATORI DI HANDICAP MOTORI ➦ REGOLAMENTO RECANTE NORME PER L’ELIMINAZIONE DELLE BARRIERE ARCHITETTONICHE NEGLI EDIFICI, SPAZI E SERVIZI PUBBLICI (DPR 24 luglio 1996 n.503) tuzione, devono essere dotati di avvisatori acustici che segnalano il tempo di via libera anche a non vedenti e, ove necessario, di comandi manuali accessibili per consentire tempi sufficienti per l’attraversamento da parte di persone che si muovono lentamente. 5. La regolamentazione relativa agli impianti semaforici è emanata con DM LLPP. Art.7. SCALE E RAMPE Per le scale e le rampe valgono le norme contenute ai punti 4.1.10., 4.1.11. e 8.1.10., e 8.1.11. del DM LLPP 14 giugno 1989, n.236. I percorsi che superano i 6 metri di larghezza devono essere, di norma, attrezzati anche con corrimano centrale. Art.8. SERVIZI IGIENICI PUBBLICI Per i servizi igienici valgono le norme contenute ai punti 4.1.6. e 8.1.6 del DM LLPP 14 giugno 1989, n.236. Deve essere prevista l’accessibilità ad almeno un wc e un lavabo per ogni nucleo installato. Art.9. – ARREDO URBANO 1. Gli elementi di arredo nonché le strutture, anche commerciali, con funzione di arredo urbano da ubicare su spazi pubblici devono essere accessibili, secondo i criteri di cui all’art.4 del DM LLPP 14 giugno 1989, n.236. 2. Le tabelle e i dispositivi segnaletici devono essere installati in posizione tale da essere agevolmente visibili e leggibili. 3. Le tabelle e i dispositivi segnaletici di cui al secondo comma, nonché le strutture di sostegno di linee elettriche, telefoniche, di impianti di illuminazione pubblica e comunque di apparecchiature di qualsiasi tipo, sono installate in modo da non essere fonte di infortunio e di intralcio, anche a persone su sedie a ruote. 4. I varchi di accesso con selezione del traffico pedonale devono essere sempre dotati di almeno una unità accessibile. Art.10. PARCHEGGI 1. Per i parcheggi valgono le norme di cui ai punti 4.2.3. e 8.2.3. del DM LLPP 14 giugno 1989, n.236. 2. Per i posti riservati disposti parallelamente al senso di marcia, la lunghezza deve essere tale da consentire il passaggio di una persona su sedia a ruote tra un veicolo e l’altro. Il requisito si intende soddisfatto se la lunghezza del posto auto non è inferiore a 6 m; in tal caso la larghezza del posto auto riservato non eccede quella di un posto auto ordinario. 3. I posti riservati possono essere delimitati da appositi dissuasori. Art.11. CIRCOLAZIONE E SOSTA DEI VEICOLI AL SERVIZIO DI PERSONE DISABILI 1. Alle persone detentrici del contrassegno di cui all’art.12 viene consentita, dalle autorità competenti, la circolazione e la sosta del veicolo al loro specifico servizio, purché ciò non costituisca grave intralcio al traffico, nel caso di sospensione o limitazione della circolazione per motivi di sicurezza pubblica, di pubblico interesse o per esigenze di carattere militare, ovvero quando siano stati stabiliti obblighi o divieti di carattere permanente o temporaneo, oppure quando sia stata vietata o limitata la sosta. 2. Le facilitazioni possono essere subordinate alla osservanza di eventuali motivate condizioni e cautele. 3. La circolazione e la sosta sono consentite nelle “zone a traffico limitato” e “nelle aree pedonali urbane”, così come definite dall’art.3 del DLg 30 aprile 1992, n.285, qualora è autorizzato l’accesso anche a una sola categoria di veicoli per l’espletamento di servizi di trasporto di pubblica utilità.
B 30
4. Per i percorsi preferenziali o le corsie preferenziali riservate oltre che ai mezzi di trasporto pubblico collettivo anche ai taxi, la circolazione deve intendersi consentita anche ai veicoli al servizio di persone invalide detentrici dello speciale contrassegno di cui all’art.12. 5. Nell’ambito dei parcheggi o delle attrezzature per la sosta, muniti di dispositivi di controllo della durata della sosta ovvero con custodia dei veicoli, devono essere riservati gratuitamente ai detentori del contrassegno almeno 1 posto ogni 50 o frazione di 50 posti disponibili. 6. I suddetti posti sono contrassegnati con il segnale di cui alla figura II 79/a art.120 del DPR 16 dicembre 1992, n.495. Art.12. CONTRASSEGNO SPECIALE 1. Alle persone con capacità di deambulazione sensibilmente ridotta è rilasciato dai comuni, a seguito di apposita documentata istanza, lo speciale contrassegno di cui al DPR 16 dicembre 1992, n.495, che deve essere apposto sulla parte anteriore del veicolo. 2. Il contrassegno è valido per tutto il territorio nazionale. 3. La normativa di cui al presente articolo si intende estesa anche alla categoria dei non vedenti. TITOLO III – STRUTTURA EDILIZIA IN GENERALE
Art.13. NORME GENERALI PER GLI EDIFICI 1. Le norme del presente regolamento sono riferite alla generalità dei tipi edilizi. 2. Negli edifici pubblici deve essere garantito un livello di accessibilità degli spazi interni tale da consentire la fruizione dell’edificio sia al pubblico che al personale in servizio, secondo le disposizioni di cui all’art.3 del DM LLPP 14 giugno 1989, n.236. 3. Per gli spazi esterni di pertinenza degli edifici stessi, il necessario requisito di accessibilità si considera soddisfatto se esiste almeno un percorso per l’accesso all’edificio fruibile anche da parte di persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale. 4. Le normative specifiche riguardanti singoli tipi edilizi possono articolare o limitare il criterio generale di accessibilità alla particolarità del tipo. 5. In sede di definizione e di applicazione di norme concernenti specifici settori, quali sicurezza, contenimento consumi elettrici, tutela ambientale, ecc., devono essere studiate o adottate, nel rispetto di tali normative, soluzioni conformi alle disposizioni del presente regolamento. 6. Per gli alloggi di servizio valgono le disposizioni di cui all’art.3.3 del DM LLPP 14 giugno 1989, n.236, relative agli alloggi di edilizia residenziale sovvenzionata. 7. Negli interventi di recupero, gli eventuali volumi aggiunti relativi agli impianti tecnici di sollevamento non sono computabili ai fini della volumetria utile. Art.14. MODALITÀ DI MISURA Per le modalità di misura dei componenti edilizi e per le caratteristiche degli spazi di manovra con la sedia a ruote valgono le norme stabilite al punto 8.0 del DM LLPP 14 giugno 1989, n.236. Art.15. UNITÀ AMBIENTALI E LORO COMPONENTI Per le unità ambientali e loro componenti come porte, pavimenti, infissi sterni, arredi fissi, terminali degli impianti, servizi igienici, cucine, balconi e terrazze, percorsi orizzontali, scale, rampe, ascensori, servoscala e piattaforme elevatrici, autorimesse, valgono le norme stabilite ai punti 4.1 e 8.1 del DM LLPP 14 giugno 1989, n.236.
Art.16. SPAZI ESTERNI DI PERTINENZA DELL’EDIFICIO E LORO COMPONENTI Per gli spazi esterni di pertinenza dell’edificio e loro componenti come percorsi, pavimentazioni e parcheggi valgono le norme stabilite ai punti 4.2 e 8.2 del DM LLPP 14 giugno 1989, n.236. Art.17. SEGNALETICA Per la segnaletica valgono le norme stabilite ai punti 4.3 del DM LLPP 14 giugno 1989, n.236. Art.18. RACCORDI CON LA NORMATIVA ANTINCENDIO Per i raccordi con la normativa antincendio, ferme restando le disposizioni vigenti in materia di sistemi di via d’uscita, valgono le norme stabilite al punto 4.6 DM LLPP 14 giugno 1989, n.236.
TITOLO IV – PROCEDURE Art.19. DEROGHE E SOLUZIONI ALTERNATIVE 1. Le prescrizioni del presente regolamento, sono derogabili solo per gli edifici o loro parti che, nel rispetto di normative tecniche specifiche, non possono essere realizzati senza dar luogo a barriere architettoniche, ovvero per singoli locali tecnici il cui accesso è riservato ai soli addetti specializzati. 2. Negli edifici esistenti sono ammesse deroghe alle norme del presente regolamento in caso di dimostrata impossibilità tecnica connessa agli elementi strutturali o impiantistici. 3. Per gli edifici soggetti al vincolo di cui all’art.1 della legge 29 giugno 1939, n.1497, e dell’art.2 della legge 1 giugno 1939, n.1089, la deroga è consentita nel caso in cui le opere di adeguamento costituiscono pregiudizio per valori storici ed estetici del bene tutelato; in tal caso il soddisfacimento del requisito di accessibilità è realizzato attraverso opere provvisionali ovvero, in subordine, con attrezzature d’ausilio e apparecchiature mobili non stabilmente ancorate alle strutture edilizie. La mancata applicazione delle presenti norme deve essere motivata con la specificazione della natura e della serietà del pregiudizio. 4. La deroga è concessa dall’amministrazione cui è demandata l’approvazione del progetto e della stessa si dà conto nell’ambito dell’atto autorizzativo. La stessa deroga viene inoltre comunicata alla Commissione di cui all’art.22. 5. Sono ammesse eventuali soluzioni alternative, così come definite dall’art.7.2 del DM LLPP 14 giugno 1989, n.236, purché rispondenti ai criteri di progettazione di cui all’art.4 dello stesso decreto. Art.20. ELABORATI TECNICI 1. Gli elaborati tecnici devono chiaramente evidenziare le soluzioni progettuali e gli accorgimenti tecnici adottati per garantire il rispetto delle prescrizioni di cui al presente regolamento. 2. Al fine di consentire una più chiara valutazione di merito, gli elaborati tecnici devono essere accompagnati da una relazione specifica contenente la descrizione delle soluzioni progettuali e delle opere previste per la eliminazione delle barriere architettoniche, degli accorgimenti tecnico-strutturali e impiantistici e dei materiali previsti a tale scopo. 3. Quando vengono proposte soluzioni alternative la relazione di cui al secondo comma corredata dai grafici necessari, deve essere integrata con le illustrazioni delle alternative e dell’equivalente o migliore qualità degli esiti ottenibili. Art.21. VERIFICHE 1. In attuazione dell’art.24,c.5, della legge 5 febbraop 1992, n.104, è fatto obbligo di allegare ai progetti delle opere di cui al presente regolamento, la dichiarazione del professionista che ha progettato l’opera attestante la conformità degli elaborati alle disposizioni
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLO SPAZIO DA PARTE DI PORTATORI DI HANDICAP
B.1. 4. A.ZIONI
contenute nel regolamento stesso e che illustra e giustifica eventuali deroghe o soluzioni tecniche alternative. 2. Spetta all’amministrazione cui è demandata l’approvazione del progetto, l’accertamento e l’attestazione di conformità ; l’eventuale attestazione di non conformità del progetto o il mancato accoglimento di eventuali deroghe o soluzioni tecniche alternative devono essere motivati. Art.22. AGGIORNAMENTO E MODIFICA DELLE PRESCRIZIONI Sono attribuiti alla commissione permanente istituita ai sensi dell’art.12 del DM LLPP 14 giugno 1989, n.236, la soluzione dei problemi tecnici derivanti dall’applicazione della presente normativa, l’esame o l’elaborazione delle proposte di aggiornamento e modifica, nonché il parere per le proposte di aggiornamento delle normative specifiche di cui all’art.13. Gli enti locali, gli istituti universitari, i singoli professionisti possono proporre soluzioni alternative alla commissione la quale, in caso di riconosciuta idoneità , può utilizzarle per le proposte di aggiornamento del presente regolamento.
TITOLO V – EDILIZIA SCOLASTICA
Art.23. EDIFICI SCOLASTICI 1. Gli edifici delle istituzioni prescolastiche, scolastiche, comprese le università e delle altre istituzioni di interesse sociale nel settore della scuola devono assicurare la loro utilizzazione anche da parte di studenti non deambulanti o con difficoltà di deambulazione. 2. Le strutture interne devono avere le caratteristiche di cui agli artt.7,15 e 17, le strutture esterne quelle di cui all’art.10. 3. L’arredamento, i sussidi didattici e le attrezzature necessarie per assicurare lo svolgimento delle attività didattiche devono avere caratteristiche particolari per ogni caso di invalidità (banchi, sedie, macchine da scrivere, materiale Braille, spogliatoi, ecc.).
TITOLO VI – SERVIZI SPECIALI DI PUBBLICA UTILITÀ
Art.24. TRANVIE, FILOVIE, LINEE AUTOMOBILISTICHE, METROPOLITANE 1. Sui mezzi di trasporto tranviario, filoviario, metropolitano, devono essere riservati a persone con limitate capacità motorie deambulanti almeno tre posti a sedere in prossimità della porta di uscita. 2. Alle persone con ridotta capacità motoria è consentito l’accesso dalla porta di uscita. 3. All’interno di almeno un’autovettura del convoglio deve essere riservata una piattaforma di spazio sufficientemente ampio per permettere lo stazionamento di sedia a ruote, senza intralciare il passaggio. 4. Tale spazio riservato deve essere dotato di opportuni ancoraggi, collocati in modo idoneo per consentire il bloccaggio della sedia a ruote. 5. Nelle stazioni metropolitane devono essere agevolati l’accesso e lo stazionamento su sedia a ruote, anche con l’installazione di idonei ascensori e rampe a seconda dei dislivelli, al fine di consentire alle persone non deambulanti di accedere con la propria sedia a ruote al piano di transito della vettura della metropolitana. 6. I veicoli adibiti al trasporto in comune di persone su strada a uso pubblico devono rispondere alle caratteristiche costruttive di cui al DM dei trasporti 18 giugno 1991. Art.25. TRENI, STAZIONI, FERROVIE 1. Le principali stazioni ferroviarie devono essere dotate di passerelle, rampe mobili o altri idonei mezzi di elevazione al fine di facilitare l’accesso alle stesse e ai treni alle persone con difficoltà di deambulazione. In relazione alle specifiche esigenze tecniche degli impianti ferroviari è consentito il superamento,
mediante rampe inclinate, anche di dislivelli superiori a 3,20 m. In assenza di rampe, ascensori o altri impianti necessari per un trasferimento da un marciapiede a un altro, il disabile su sedia a ruote può utilizzare i passaggi di servizio a raso purché accompagnato da personale di stazione appositamente autorizzato, a integrazione di quanto previsto dall’art.21 del DPR 11 luglio 1980, n.753. 2. Il sistema di chiamata per l’espletamento del servizio di assistenza, previsto dal quinto comma dell’art.1, deve essere realizzato nelle principali stazioni presenziate dal personale ferroviario, mediante l’attivazione di appositi centri di assistenza opportunamente pubblicizzati. 3 – 6 – omissis – 7. Le norme del presente regolamento non sono vincolanti per gli edifici e per gli impianti delle stazioni e delle fermate impresenziate, sprovviste cioè di personale ferroviario sia in via temporanea che in via permanente. Art.26. SERVIZI DI NAVIGAZIONE MARITTIMA: NAVI NAZIONALI 1. Le aperture dei portelloni di accesso a bordo impiegabili per persone con impedita capacità motoria o sensoriale, trasportate con autovettura o sedia a ruote, devono avere dimensioni adeguate all’agevole passaggio dell’autovettura e sedia a ruote e non presentare pertanto soglie o scalini. Per il passaggio della sedia a ruote è richiesta una larghezza non inferiore a 1,50 m. 2. Le rampe o passerelle di accesso da terra a bordo devono avere pendenza modesta, e comunque non superiore all’8%, salvo che non siano adottati speciali accorgimenti per garantirne la sicura agibilità per l’incolumità delle persone. 3. La zona di ponte ove si accede a bordo deve permettere il passaggio fino all’area degli alloggi destinati alle persone con impedita capacità motoria o sensoriale con percorso sullo stesso ponte, ovvero fino all’ascensore od alla rampa, nel caso che gli alloggi siano su altro ponte. In tal caso la zona antistante l’ascensore o la rampa deve avere dimensioni tali da permettere lo sbarco della persona con impedita capacità motoria o sensoriale dall’autovettura, e il trasferimento su sedia a ruote, nonché la manovra di essa. 4. Il percorso di cui al terzo comma raccordato da rampe deve essere privo di ostacoli, con eventuali dislivelli non superiori di norma al 5% e di larghezza, nel caso di impiego di sedie a ruote non inferiore a 1,50 m. La zona di ponte corrispondente deve essere rivestita con materiale antisdrucciolevole. Eventuali soglie e simili devono avere altezza non superiore a 2,5 cm. 5. Gli ascensori accessibili a persone su sedie a ruote devono avere caratteristiche rispondenti alle norme dell’art.15. Le rampe sostitutive degli ascensori non essendo ammesse scale se non di emergenza, devono avere le caratteristiche rispondenti alle norme dell’art.7 del presente regolamento. Ascensori e rampe devono sfociare al chiuso entro l’area degli alloggi. 6. L’area degli alloggi, preferibilmente ubicata su un solo ponte, deve essere tale da consentire, in caso di emergenza, un agevole accesso ai mezzi di sfuggita e di salvataggio e deve avere: corridoi, passaggi e relative porte di larghezza non inferiore a 1,50 m e privi di ostacoli; porte, comprese quelle di locali igienici, di larghezza non inferiore a 0,90 m e provviste di agevoli dispositivi di manovra; pavimenti antisdrucciolevoli nelle zone di passaggio; apparecchi di segnalazione per chiamata del personale di servizio addetto alle persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale; locali igienici riservati alle stesse persone, rispondenti alle norme dell’art.15. 7. Le presenti disposizioni non si applicano alle unità veloci o a sostentamento dinamico quali aliscafi, catamarani, SES, le cui dimensioni sono tali da non rendere ragionevole e praticabile l’applicazione delle disposizioni di cui sopra.
Art.27. SERVIZI DI NAVIGAZIONE INTERNA 1. Le passerelle e gli accessi alle navi devono essere larghi almeno 1 m, essere idonei al passaggio delle sedie a ruote e avere pendenza modesta, e comunque non superiore all’8%, salvo che non siano adottati speciali accorgimenti per garantirne la sicura agibilità per l’incolumità delle persone. 2. Sulle navi nelle immediate vicinanze dell’accesso deve essere ricavata una superficie di pavimento opportunamente attrezzata per dislocarvi sedie a ruote salvo gravi difficoltà tecniche. 3. Le presenti disposizioni non si applicano alle unità veloci o a sostentamento dinamico quali aliscafi, catamarani, SES, le cui dimensioni siano tali da non rendere ragionevole e praticabile l’applicazione delle disposizioni di cui sopra.
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Art.28. AEROSTAZIONI 1. Ogni aeroporto deve essere dotato di appositi sistemi per consentire un percorso continuo e senza ostacoli dall’aerostazione all’interno dell’aereo o viceversa. Qualora non siano presenti pontili di imbarco, l’accesso all’aeromobile è assicurato da elevatore a cabina chiusa. 2. Le strutture esterne connesse agli edifici debbono avere le caratteristiche di cui agli artt. 4, 10 e 11; le strutture interne degli edifici aperti al movimento dei passeggeri debbono avere le caratteristiche di cui agli artt.7, 15 e 17. 3. All’interno del mezzo aereo deve essere prevista la dotazione di sedie a ruote per garantire, per quanto possibile, l’autonome circolazione del passeggero disabile.
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Art.29. SERVIZI PER VIAGGIATORI I servizi per i viaggiatori nelle stazioni devono essere accessibili.
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
Art.30. omissis
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
Art.31. IMPIANTI TELEFONICI PUBBLICI Al fine di consentire l’uso di impianti telefonici pubblici da parte anche di persone con ridotte o impedite capacità motorie o sensoriali sono adottati i seguenti criteri: a) nei posti telefonici pubblici ubicati nei capoluoghi di provincia, deve essere installato in posizione accessibile almeno un apparecchio posto a un’altezza massima di 0,90 m dal pavimento e convenientemente isolato sotto il profilo acustico. Negli uffici anzidetti, con un numero di cabine non inferiore a 10, una delle cabine deve essere strutturata e attrezzata come segue: b) il dislivello massimo tra il pavimento interno della speciale cabina telefonica e il pavimento esterno non deve essere superiore a 2,5 cm; la porta di accesso deve avere una luce netta minima di 0,85 m; l’apparecchio telefonico deve essere situato a un’altezza minima di 0,90 m dal pavimento; sulla parete ove è applicato l’apparecchio deve prevedersi un sedile ribaltabile a scomparsa avente piano di appoggio a un’altezza di 0,45 m; la mensola porta elenchi deve essere posta a un’altezza di 0,80 m; eventuali altre caratteristiche sono stabilite con decreto del Ministro delle poste e delle telecomunicazioni; c) in ogni comune, secondo un programma da realizzarsi gradualmente in un quinquennio, deve essere posto a disposizione dell’utenza, preferibilmente nella sede del locale posto telefonico pubblico, almeno un apparecchio telefonico con i requisiti di cui alla lettera a); d) il 5% delle cabine di nuova installazione poste a disposizione del pubblico deve essere rispondente ai requisiti di cui alla lettera a); il 5% degli apparecchi posti a disposizione del pubblico deve essere installato a un’altezza non superiore a 0,90 m. I predetti impianti sono dislocati secondo le esigenze prioritarie segnalate da parte dei singoli comuni interessati. Art.32. Sono abrogate, dalla data di entrata in vigore del presente decreto le disposizioni di cui al DPR 27 aprile 1978, n.384. Il presente decreto entra in vigore il 13 ottobre 1996.
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F. TERIALI,
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G.ANISTICA URB
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
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IO SPAZ . B.1.4 ITÀ DELLO TATORI IL R O IB FRU RTE DI P DA PANDICAP DI HA
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B.1. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLO SPAZIO DA PARTE DI PORTATORI DI HANDICAP ➦ FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI DA PARTE DEI PORTATORI DI HANDICAP MOTORI FIG. B.1.4./7 SOLUZIONI TECNICHE CONFORMI – UNITÀ AMBIENTALI: SPAZI ANTISTANTI E RETROSTANTI LA PORTA (DM LLPP 14 giugno 1989 n.236 – Art.8) APERTURA CONTRO MARCIA APERTURA A SINISTRA
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APERTURA NEL SENSO DI MARCIA APERTURA A DESTRA 75÷80 20
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100
10 75÷80 15
100÷105
130÷135
185÷190
APERTURA NEL SENSO DI MARCIA APERTURA A SINISTRA 35
90
100÷105
75÷80
20
100
20 75÷80
100
10
120
15 75÷80
185÷190
130÷135
FIG. B.1.4./8 FRUIBILITÀ DELLE CAMERE DA LETTO NEL CASO DI "ADATTABILITÀ"
90
45
150
LETTO MATRIMONIALE CON SPAZIO DI MANOVRA LATERALE AREA LIBERA DA INGOMBRI
45 150
90
90
180
420
B 32
240
300 90
90
300
90
180
360 LETTO MATRIMONIALE CON ACCESSO PER SEDIA A RUOTE MA SENZA SPAZIO DI MANOVRA
90
300 LETTO SINGOLO CON SPAZIO DI MANOVRA LATERALE
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI FRUIBILITÀ DELLO SPAZIO DA PARTE DI PORTATORI DI HANDICAP
B.1. 4. A.ZIONI
FIG. B.1.4./9 SOLUZIONI TECNICHE CONFORMI – UNITÀ AMBIENTALI – PERCORSI ORIZZONTALI (DM LLPP 14 giugno 1989 n. 236 – Art.9)
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
IO SPAZ . B.1.4 ITÀ DELLO TATORI IL R O IB FRU RTE DI P DA PANDICAP DI HA
B 33
B.2. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STRUTTURE FERROVIARIE
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
STAZIONI FERROVIARIE: ATTIVITÀ E CRITERI DI CLASSIFICAZIONE SETTORI DI ATTIVITÀ DELLE STAZIONI Le stazioni ferroviarie sono destinate a organizzare i servizi per il pubblico (in partenza, in arrivo e in attesa), a gestire il transito delle merci (in arrivo e in partenza, in sosta) e a regolare la circolazione dei treni. Conseguentemente, possono essere individuati i seguenti settori di attività: Settore destinato ai viaggiatori: • viaggiatori in partenza; • viaggiatori in arrivo; • viaggiatori e pubblico in attesa. Settore destinato al transito delle merci: • merci in partenza; • merci in arrivo; • stoccaggio temporaneo delle merci in transito. Settore delle attività di esercizio dei treni: • movimentazione dei treni; formazione dei treni; smistamento dei convogli; controllo della circolazione; controllo degli incroci e delle precedenze. • gestione e manutenzione dei vagoni e dei materiali di trazione: sosta dei vagoni e dei treni; manutenzione e riparazioni; pulizie dei vagoni; rifornimenti (d’acqua, di materiali accessori di servizio, ecc.).
CRITERI DI CLASSIFICAZIONE DELLE STAZIONI FERROVIARIE Sussistono criteri di diversa natura in base ai quali è possibile ordinare classificazioni delle stazioni ferroviarie: • di specializzazione funzionale; • di ubicazione e disposizione del settore viaggiatori (piazzale) rispetto ai binari; • di importanza rispetto alla struttura della rete e rispetto ai flussi di transito; • di configurazione tipologica del settore viaggiatori. Specializzazione funzionale In riferimento al criterio della specializzazione funzionale, nei centri urbani maggiori si tende a individuare sedi (o settori di stazioni) distinte, destinati ad assicurare razionalmente l’espletamento delle seguenti attività: • stazione viaggiatori; • stazioni merci; • stazioni di smistamento. Ubicazione e disposizione del settore viaggiatori rispetto ai binari L’insieme degli spazi di carico e scarico dei viaggiatori (banchine), nel loro insieme o per gruppi, costituiscono il “piazzale”. L’ubicazione dei “piazzali” rispetto al fascio dei binari, può dare luogo alla seguente casistica: • stazioni intermedie: con “piazzale” posto lungo le linee (attraversato da linee passanti); • stazioni estreme o capolinea: con piazzali posti all’origine o al termine di linea; • stazioni ‘di testa’: come nel caso precedente e con piazzali che interrompono e chiudono letteralmente le linee; • stazioni di diramazione: poste nel nodo di intersezione tra più linee. Importanza rispetto alla struttura della rete e ai flussi di transito In base all’importanza del ruolo che svolgono rispetto alla rete ferroviaria, si è soliti distinguere le stazioni nelle seguenti classi dimensionali. • Fermata Struttura minima, interessate dal transito solo di due binari (nel caso di linee a un solo binario: un binario di linea e almeno una derivazione per la sosta), con sosta breve dei treni limitata a permettere la salita e la discesa dei viaggiatori. Nel caso di linea a un solo binario, è sufficiente una ‘banchina’ o marciapiede protetto;
B 34
Nel caso di linea a binario doppio sono necessari due marciapiedi e il sottopassaggio per raggiungere il marciapiede esterno, evitando l’attraversdamento dei binari. L’edificio viaggiatori, di ridotte dimensioni, si articola in spazi destinati all’atrio, alla biglietteria, ai servizi igienici e ai locali di servizio tecnico e gestionale. In genere non sono previsti impianti per la regolazione della circolazione dei treni. • Stazioni piccole Strutture interessate dal transito di un limitato numero di binari e marciapiedi, calibrato per consentire, anche contemporaneamente: a. la salita e la discesa dei viaggiatori almeno da due binari (binari di corsa) b. il carico e lo scarico di merci ( mediante semplici binari per il carico diretto o piccolo scalo merci dotato di piano di caricamento e magazzino); c. la circolazione e il transito dei treni (lungo gli stessi binari ‘di corsa’); d. le operazioni di sosta e precedenza dei treni (binari ‘di ricevimento’). Tutto ciò comporta che siano presenti impianti di controllo della circolazione dei treni e che nell’edificio di stazione siano conseguentemente previsti locali per il responsabile del movimento e per le attrezzature di controllo e di sicurezza, oltre a quelli per il servizio ai viaggiatori già indicati per le ‘fermate’. • Stazioni medie Strutture presenti in città di media importanza, che possono svolgere anche funzioni di stazioni di scambio tra treni a lunga percorrenza (Eurostar, Intercity, Euronight) e treni locali (Regionali, Interregionali). In quanto tali, spesso costituiscono origine e/o termine di corsa di alcune tratte e comportano la presenza di strutture di ricovero e manutenzione del materiale rotabile. Il numero dei binari viene calibrato sui dati statistici di transito e di frequenza dei treni, dei viaggiatori e delle merci. Per il traffico viaggiatori è necessario prevedere un numero adeguato di ampi marciapiedi, coperti (in gran parte) e serviti da sottopassaggi.In alcuni casi risulta opportuno distinguere un “piazzale” terminale (o di testa) per i treni locali dal “piazzale” di transito attraversato dai treni veloci e/o a lunga percorrenza. Il traffico delle merci fa capo a un “piazzale” distinto da quelli per viaggiatori (scalo merci), attrezzato opportunamente con banchine di carico, magazzini, e piani di scambio (ribalte) ferro-gomma. L’edificio viaggiatori si articola in spazi congrui a offrire una maggiore gamma di servizi, come sono: atrio, biblietteria, informazioni, sale di attesa, servizi igienici, deposito bagagli, postazione della pubblica sicurezza, servizi di ristorazione (bar, ristorante ), piccole attività commerciali (giornalaio, tabaccaio, ecc.). Le strutture della stazione dovranno prevedere locali tecnici e gestionali idonei a ospitare il personale e le attività di rapporto con il pubblico, il personale e le attività di controllo della circolazione dei treni e il personale e le attrezzature di movimentazione del materiale rotabile nei “piazzali”. • Grandi stazioni Strutture presenti in città importanti e ad alta intensità di traffico ferroviario. Svolgono sempre funzioni di stazione di scambio tra treni a lunga percorrenza (Eurostar, Intercity, Euronight) e treni locali (Regionali, Interregionali); costituiscono, quindi, origine e/o termine di corsa di alcune tratte e comportano la presenza di strutture di ricovero e manutenzione del materiale rotabile. Il numero dei binari, comunque alto, viene calibrato sui dati statistici di transito e di frequenza dei treni, e dei viaggiatori e si articola e specializza per rispondere alle seguenti esigenze: a. ricevimento dei treni viaggiatori; b. composizione dei convogli; c. deposito, manutenzione, pulizia del materiale rotabile; d. impianti di trazione. Le strutture destinate al trasporto, carico e scarico delle merci sono in genere ubicate altrove, in un apposito ‘scalo’, distinto dalla stazione viaggiatori, dotato di
accessi, servizi e attrezzature specifiche e autonome. Per il traffico viaggiatori è necessario prevedere un numero adeguato di ampi marciapiedi, coperti e serviti da sottopassaggi. In questo caso appare ancor più opportuno distinguere il “piazzale” terminale (o di testa) che riceve i treni locali dal “piazzale” di transito attraversato dai treni veloci e/o a lunga percorrenza. L’edificio viaggiatori si articolerà per rispondere alle stesse esigenze e attività indicate per le Stazioni medie, ma con incrementi dimensionali dettati dalla importanza della stazione e dalla eventuale estensione della gamma d’offerta commerciale e di servizi (strutture di accoglienza, agenzie di autonoleggio, agenzie bancarie, ecc.). In considerazione del ruolo organizzativo che svolgono le stazioni maggiori richiedono anche spazi specificamente destinati agli uffici delle società di gestione (della rete, della stazione, del patrimonio, ecc.). Tra le grandi stazioni, assumono un risalto particolare le “grandi stazioni” (o stazioni delle aree metropolitane), attualmente investite da interventi e programmi di profonda ristrutturazione motivati da diverse esigenze: • adeguamento della rete e dei servizi ai treni ad alta velocità; • consistente incremento delle attività di servizio e commerciali aggregate nel nodo stazione; • centralizzazione e informatizzazione delle attrezzature e delle procedure di controllo della circolazione dei treni e di sicurezza; • razionalizzazione delle modalità di scambio tra i diversi sistemi di trasporto dei viaggiatori e delle merci. Programmi e schemi di articolazione delle attività di una Grande stazione, fatte salve le costanti d’attività indicate per le Stazioni maggiori in generale, possono variare sensibilmente da caso a caso, in funzione dell’importanza del nodo ferroviario, dell’estensione dell’area metropolitana di riferimento, della eventuale articolazione e specializzazione del traffico tra più stazioni, delle risorse, investimenti e attività pubbliche e private richiamati a intervenire nella stazione.
Configurazione del settore viaggiatori Per quanto attiene ai diversi tipi di configurazione e articolazione del settore viaggiatori, le stazioni possono essere classificate come segue. Stazioni di transito Settore viaggiatori ‘in linea’ In questo caso i treni arrivano, si fermano, scaricano e caricano viaggiatori e ripartono nella stessa direzione. Il settore viaggiatori, in genere, viene ospitato da un edificio disposto parallelamente ai binari, che, a partire da un ‘asse’ o centro costituito dall’atrio e dall’accesso alle banchine, articola longitudinalmente (in serie) gli spazi destinati alle diverse attività richieste dalla dimensione della stazione. Le varie banchine vengono servite da uno o più sottopassaggi, mediante scale, ascensrori o elevatori per portatori di handicap e (a volte) scale mobili. In genere corrispondono a stazioni di dimensione piccola o media; tuttavia vi sono casi frequenti anche di stazioni maggiori o addirittura di grandi stazioni di transito (Bologna, Roma Tiburtina, ecc.). Settore viaggiatori ‘a isola’ Un caso particolare (non frequente) di stazione di transito si ha nel caso in cui le strutture (edificio e banchine) per i viaggiatori (piccola stazione o fermata) sia posto tra i binari che vi transitano. In questo caso si le banchine relative ai due sensi di marcia dei treni hanno accesso diretto dall’edificio viaggiatori, ma si rendono necessari sottopassi o sovrapassi per connettere la stazione alla viabilità urbana. Settore viaggiatori ‘a ponte’ In alcuni casi recenti, il fabbricato che raccoglie i servizi ai viaggiatori e ne distribuisce gli accessi alle banchine e ai treni assume configurazione ‘a ponte’, dal quale si discende sulle diverse banchine; questa soluzione consente di saldare tra di loro le due parti di città separate dalla trincea costituita dall’invaso ferroviario, ma richiede la previsione di due atrii – uno per ogni testa del ‘ponte’ – (tipologia adottata dal progetto per la Nuova Stazione Tiburtina di Roma).
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STRUTTURE FERROVIARIE
B.2. 1. A.ZIONI
Il ‘ponte’, oltre al percorso di connessione tra i due atrii e le banchine, contiene gli spazi destinati ad attività di servizio ai viaggiatori, come: • sale di attesa; • banchi di informazione; • servizi di ristorazione; • servizi igienici; • eventuali attività commerciali. Stazioni ‘di testa’ Nelle stazioni di testa i binari si interrompono contro un marciapiede di testa, dal quale si dipartono ortogonalmente le banchine di accesso ai treni.
In questo caso, i treni sono costretti a invertire il senso di marcia per reimmetersi nella rete (regresso) sia nel caso che la stazione costituisca origine o termine del viaggio, sia nel caso che costituisca fermata intermedia. Frequentemente il marciapiede di testa corre parallelamente alla galleria lungo la quale sono disposti i servizi per i viaggiatori, posta a sua volta in comunicazione diretta con l’atrio e con le biglietterie. La soluzione di testa è in genere adottata nel caso di grandi stazioni e, all’inconveniente di costringere i treni alla regressione, contrappone il notevole vantaggio di portarli fino al centro della struttura urbana, senza peraltro tagliarla integralmente con l’attraversamento del fascio ferroviario.
Stazioni miste: parte di transito e parte di testa Alcune grandi stazioni (come Bologna, Bari, ecc.) articolano la zona destinata allo scambio treni-viaggiatori in più “piazzali”: uno principale con caratteristiche di transito, ove sostano i treni a lunga percorrenza in transito, e uno o più altri configurati con caratteristiche di testa, ove si attestano le linee locali (treni regionali, interregionali). In genere si tende a distinguere i binari e le banchine dei treni di transito da quelle dei settori di testa, mediante la numerazione: • binario 1, 2, 3, n. per il piazzale di transito; • binario 1 Ovest, 2 Ovest, 3 Ovest, n Ovest… 1 Est, 2 Est, 3 Est, n. Est per i “piazzali” di testa, Est o Ovest.
DATI DIMENSIONALI RELATIVI ALLE INFRASTRUTTURE FERROVIARIE E AL MATERIALE ROTABILE: BINARI, SCARTAMENTO, MASSICCIATA, SAGOMA LIMITE, DISTANZE DA OSTACOLI, RETI AEREE
Sede stradale ferroviaria La ‘sede stradale’ costituisce l’infrastruttura di base delle linee ferrovoiarie, unitamente alla ‘rete aerea o elettrica‘, che viene descritta in seguito. La sede stradale è costituita dalle seguenti parti: • armamento: definisce l’insieme formato dalle due rotaie del binario e dalle ‘traversine’ – in legno o in cemento – alle quali sono fissati; • corpo stradale: definisce l’insieme formato dalla ‘massicciata’, dalla piattaforma d’appoggio della massicciata, dalle due banchine laterali e dalle eventuali ‘opere d’arte’ accessorie, necessarie per allocare l’infrastruttura nel sito e provvedere alla raccolta e allo smaltimento delle acque (trincee, muri di contenimento laterali, canali di gronda, eventuali impalcati e viadotti). Armamento: rotaia, binario e scartamento internazionale, traversine Rotaia La rotaia è costituita da profilato di acciaio, grosso modo a doppio T, idoneo a sostenere e fungere da ‘guida’ per le ruote dei treni, scomponibile in: • fungo: parte superiore che sopporta e guida il rotolamento; • gambo: parte centrale che sostiene il fungo, predisposta alle estremità per gli apparati di congiunzione con le rotaie precedenti e successive; • suola: parte inferiore che poggia sulle traverse, mediante apposite piastre. Le rotaie sono normalizzate e classificate dall’UNI in due classi: • classe 50 UNI (con peso di 49,86 kg/m); • classe 60 UNI (con peso di 60,36 kg/m). Le due rotaie, per costituire il binario, vengono disposte a una distanza fissa pari a 1435 mm (scartamento) e sono poggiate e ancorate a “traverse” in legno o in cemento. Scartamento Definisce la distanza fissa e costante tra i bordi interni delle due rotaie del binario, ed è pari a 1435 mm (scartamento internazionale). Per i dati, le sagome e le caratteristiche della rotaia si vedano le figure allegate. Traversine Il binario poggia, mediante apposite selle, sulle ‘traversine’ che provvedono ad ancorare le rotaie in posizioni fisse e rigorosamente parallele e a distribuirne i relativi carichi statici e dinamici sulla massicciata. Originariamente e per lungo tempo sono state adottate traversine di legno di dimensioni standard pari a 260 cm di lunghezza, 26 cm di larghezza e 16 cm d’altezza, predisposte per il posizionamento e il fissaggio delle ferrature di sella e di ancoraggio dei binari. Negli ultimi anni è prevalso l’uso di traversine in cemento armato precompresso, che, rispetto a quelle in legno, consentono notevoli economie di manutenzione (hanno una vita molto più lunga), provocano minori danni all’ambiente (si è capito che gli alberi sono una risorsa essenziale per la vita), ma risultano più pesanti di oltre il doppio e richiedono apposite macchine per la posa in opera. Le traversine brevettate e adottate dalle FF.SS. italiane hanno le seguenti caratteristiche: • lunghezza: 230 cm; • sezione trapezoidale variabile, con dimensioni maggiori alle estremità (30 cm x 19 cm) e minori al centro (20 cm x 15); • predisposizione di alloggiamenti per il fissaggio delle ferrature di sella e di ancoraggio dei binari.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
STRUTTURE FERROVIARIE: RIFERIMENTI DIMENSIONALI
Sussiste una correlazione diretta tra le dimensioni e le caratteristiche delle infrastrutture ferroviarie (binari, banchine, linee aeree, distanze di ostacoli di ogni tipo, ecc.) e le dimensioni del materiale rotabile (vagoni, motrici, carri merci). Così come sono strettamente interrelate le innovazioni tecnologiche relative alle prestazioni dei treni (velocità, ambiti di oscillazione e assetto in curva) e quelle relative alle caratteristiche e al tracciamento delle infrastrutture. Gli elementi essenziali che costituiscono base delle dimensioni sia delle infrastrutture che del materiale viaggiate sono: • scartamento (dei binari e, quindi, delle coppie di ruote); • sagoma limite del materiale di transito e conseguenti distanze dagli ostacoli.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
Recentemente, con l’avvento dei treni ad alta velocità, sono stati messi a punto sistemi di infrastruttura che sostituiscono le traversine e la massicciata con piastre prefabbricate in cemento armato precompresso, predisposte per l’ancoraggio dei binari e appoggiate sulla fondazione in c.a. del corpo stradale mediante uno strato-giunto di malta idoneo ad assorbire le vibrazioni impresse dai treni e a distribuire uniformemente i carichi. (v. Fig. B.2.1./5.). Massicciata È costituita da un insieme di materiali incoerenti – pietrisco di porfido, granito, basalto – interposti tra l’armamento ferroviario e la piattaforma di base. Funzione essenziale della massicciata è quella di distribuire i carichi statici e dinamici impressi dal treno all’armamento, evitandone le deformazioni e, nello stesso tempo, ancorandone la posizione rispetto alla piattaforma. Essendo costituita da pietrisco, per garantire la stabilità del materiale componente la massicciata deve assumere una sezione di forma trapezoidale, con lati inclinati di 3/4, nella quale si suole distinguere: • cassonetto: lo strato superiore nel quale sono alloggiate le traverse; • cigli: gli spigoli superiori del trapezio; • unghiature: parti del volume, a sezione triangolare, che raccordano cigli e piattaforma. L’insieme costituito dall’armamento (rotaie + traverse) e dalla massicciata è ciò che si definisce corpo stradale ferroviario. Per il dimensionamento delle massicciate si considerano i seguenti dati. Per quanto riguarda lo spessore delle massicciate, le FF.SS. definiscono due categorie: • massicciata tipo A: con spessore minimo sotto le rotaie pari a 50 cm; • massicciata tipo B: con spessore minimo sotto le rotaie pari a 35 cm. Per il computo delle dimensioni di ingombro orizzontale delle massicciate si possono assumere i dati e gli schemi di calcolo elencati di seguito. In riferimento allo schema riportato in Fig. B.2.1./5., indichiamo con: S = scartamento (= 143,5 cm) SC = distanza scartamento-ciglio (linee ordinarie = 100 cm) S’C’ = distanza scartamento-ciglio (alta velocità = 115 cm) SS = distanza tra gli scartamenti (= 212 cm minimo) S’S’ = distanza tra scartamenti, tra treni a 250 km/h (= 316 cm) S”S” = distanza tra scartamenti, tra treni a 300 km/h (= 365 cm) C’U’ = larghezza dell’unghiatura per massicciate tipo A (= 50/2x3 = 75,0 cm) CU = larghezza dell’unghiatura per massicciate tipo B (= 35/2x3 = 52,5 cm) La larghezza della massicciata, tra i cigli, si ottiene come segue. Nel caso di un solo binario si ottiene: S + 2 x SC = 343,50 cm; nel caso di doppio binario si ottiene: 2 x S + 2 x SC + SS = 699,00 cm; nel caso di doppio binario per treni a 250 km/h si ottiene: 2 x S + 2 x S’C’ + S’S’ = 833,00 cm; nel caso di doppio binario per treni a 300 km/h si ottiene: 2 x S + 2 x S’C’ + S”S”= 882,00 cm; La larghezza della massicciata alla base di contatto con la piattaforma si ottiene: Nel caso di un solo binario: S + (2 x SC) + (2 x CU) = 448,50 cm; nel caso di doppio binario e massicciata tipo B, si ottiene: (2 x S) + (2 x SC) + SS + (2 x CU) = 804,00 cm; nel caso di doppio binario e massicciata tipo A, si ottiene: (2 x S) + (2 x SC) + SS + (2 x C’U’) = 849,00 cm; nel caso di doppio binario per treni a 250 km/h (massicciata tipo A) si ottiene: (2 x S) + (2 x S’C’) + S’S’ + (2 x C’U’) = 983,00 cm; nel caso di doppio binario per treni a 300 km/h si ottiene: (2 x S) + (2 x S’C’) + S”S” + (2 x C’U’) = 1032,00 cm.
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
RIE . OVIA B.2.1TURE FERR T U STR
B 35
B.2. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STRUTTURE FERROVIARIE
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
➦ STRUTTURE FERROVIARIE: RIFERIMENTI DIMENSIONALI DATI E DIMENSIONI RELATIVE AL MATERIALE ROTABILE E ALLE DISTANZE DA OSTACOLI Sagoma limite del materiale mobile + carichi Consente il transito dei convogli in condizione di sicurezza, mediante la definizione dell’ingombro massimo, verificato in sezione, dei veicoli ferroviari e relativo carico. Allo stato attuale convivono, una accanto all’altra, • sagome limite ‘nazionali’ (sagoma limite FF.SS.); • sagoma limite della rete europea (Gabarit C); • sagoma internazionale. I dati relativi alle dimensioni delle tre sagome limite sono riportati e comparati nelle figure allegate (FIG. B.2.1./2).
La distanza minima dell’ostacolo rispetto al bordo interno della rotaia deve essere: = 170 cm; • per i tratti rettilinei o con curvatura superiore a 1500 m = 200 cm. • per i tratti con curvatura uguale o minore di 1500 m
Distanze minime dagli ostacoli Definiscono le distanze minime alle quali debbono essere poste strutture o elementi al fine di consentire in sicurezza il transito dei convogli. Tali distanze vengono definite in relazione alle corrispondenti dimensioni delle sagome limite (vedi FIG. B.2.1./2.). In Italia, per i veicoli rigidi e privi di deformazioni trasversali del molleggio, tale distanza minima è fissata in 150 mm.
Distanze legali delle linee ferroviarie (Codice civile, Norme ferroviarie) Definiscono le distanze minime che devono sussistere tra la linea ferroviaria e i limiti di beni (immobili, colture, ecc.) di proprietà diversa da quella dell’Ente ferroviario.
Distanze minime di sicurezza Definiscono le distanze minime alle quali debbono essere poste strutture o elementi, fissi e mobili, al fine di consentire in sicurezza il transito dei convogli, anche nel caso di comportamenti anomali o irregolari di persone sul convoglio (sporgersi da finestrini, aggrapparsi alle porte), sia nel caso di presenza di personale tra l’ostacolo e il convoglio (compresi gli standard di sicurezza sul lavoro).
Per dati relativi alla distanza minima dalle rotaie si veda: • dalle strutture delle pensiline • dalle strutture delle scale • dai sostegni delle reti aeree • dai percorsi pedonali di servizio
Fig. Fig. Fig. Fig.
B.2.1./3. B.2.1./4. B.2.1./6. B.2.1./6.
Linee aeree e luci libere delle strutture di sovrappasso Le linee aeree, vale a dire i conduttori che portano energia elettrica agli apparati motori dei treni mediante connettori a ‘pantografo’, sono poste a un’altezza costante pari a 500 cm dal piano del ferro; tale altezza può essere ridotta fino a un minimo di
DATI DIMENSIONALI RELATIVI ALLE INFRASTRUTTURE FERROVIARIE: MARCIAPIEDI, PENSILINE, SCALE, SOTTOPASSAGGI, SOVRAPASSI E CAVALCAVIA Marciapiedi Assicurano il collegamento, in condizioni di sicurezza, tra l’edificio viaggiatori e le porte di accesso ai treni. Come tali, devono assicurare: • flussi dei viaggiatori in arrivo e in partenza, anche con carrelli per bagagli; • transito di mezzi tecnici di servizio e di carrelli (per l’approvvigionamenti di generi di ristoro, per macchine da pulizie, per il servizio postale, per il trasporto di bagagli al seguito, per l’assistenza, la manutenzione e le manovre ai vagoni); • interventi di pubblica sicurezza, anche con mezzi elettrici. Alcune dimensioni dei marciapiedi sono determinate in base a dati fissi; altre si computano in base a dati variabili in funzione del tipo e/o dell’importanza della stazione. Costituiscono dati fissi e inderogabili: • altezza rispetto al ‘piano del ferro’, marciapiede ordinario = 25 cm; • altezza rispetto al ‘piano del ferro’, marciapiede alto = 60 cm; • distanza del ciglio dalla rotaia più vicina, marciapiede ordinario = 80 cm; • distanza del ciglio dall’asse di rotaia, marciapiede alto = 167,5 cm; • distanza del ciglio da ostacoli di tipo puntuale (pali, pilastri) = 160 cm minimo*; • distanza del ciglio da ostacoli continui (parapetti, scale) = 180 cm minimo*; *
minimo assoluto: tali distanze variano in funzione della velocità d’esercizio dei treni.
Costituiscono dati variabili, in funzione del tipo e/o dell’importanza della stazione: • larghezza del marciapiede, in funzione dei flussi di traffico della stazione; nelle stazioni di transito, è necessario incrementare l’ampiezza del marciapiede n.1 (annesso all’edificio viaggiatori), in considerazione del transito relativo alla fruizione dei servizi ai quali dà accesso (ristoro, deposito bagagli, servizi igienici, ecc.). • lunghezza del marciapiede, in funzione dell’importanza e del tipo di stazione: nelle stazioni di testa può raggiungere 500 metri; nelle stazioni di transito di media grandezza non dovrebbe essere minore di 240 metri. Il manto di pavimentazione deve risultare: • resistente all’intensa usura; • antisdrucciolo; • di semplice manutenzione (sostituzione di parti rotte o degradate); • agevolmente pulibile, anche con mezzi meccanici; • con pendenza 2%÷3% per facilitare lo scolo delle acque. Pensiline Se si escludono alcune semplici ‘fermate’ e i casi di grandi stazioni protette da una grande copertura continua, i marciapiedi vengono protetti dalle intemperie, almeno in parte del loro sviluppo longitudinale, mediante apposite ‘pensiline’. I dati dimensionali relativi alle pensiline – a eccezione della lunghezza che può variare in funzione del tipo e dell’importanza della stazione – sono rigorosamente fissati: • distanza di sostegni verticali (pilastri) dal ciglio di marciapiede = 160 cm minimo; * • dilatazione dei bordo laterali oltre il ciglio di marciapiede = 40 cm;** • altezza minima rispetto al piano di calpestio del marciapiede = 390 cm minimo; • altezza minima del bordo di pensilina rispetto al piano del ferro = 480 cm minimo; * la distanza minima varia in funzione della velocità d’esercizio dei treni (fig. B.2.1./3.) ** per i tratti in curva il dato varia in funzione della sopraelevazione della rotaia esterna.
Le pensiline sono realizzate con strutture in c.a., o, più raramente, in metallo; oltre ad assicurare protezione dalle intemperie, devono provvedere: • alla raccolta e smaltimento delle acque meteoriche; • all’abbattimento del rumore provocato da pioggia e grandine; • alla protezione della parte bassa delle strutture dagli urti e dal vandalismo, mediante rivestimenti resistenti e di agevole pulizia e manutenzione.
B 36
Sottopassaggi e scale (ascensori, montacarichi, elevatori) I sottopassaggi sono necessari per collegare i marciapiedi tra loro e con l’edificio viaggiatori, a meno dei rari casi in cui si disponga di altri tipi di strutture di attraversamento dei binari (stazioni ‘a ponte’, sovrappassi). Il dislivello tra sottopassaggio e marciapiedi è superato mediante scale (nelle stazioni maggiori: coppie di scale contrapposte) che emergono nella fascia centrale del marciapiede. I dati dimensionali relativi ai sottopassaggi – a eccezione della lunghezza che può variare in funzione del numero dei marciapiedi da servire – possono essere definiti : = 300 cm minimo; • larghezza del sottopassaggio (300÷800 cm) • altezza libera minima = 250 cm; • altezza da superare per salire a marciapiede ordinario (25 cm) = 390 cm circa; (250 sottopasso + 50 struttura + 65 p. ferro + 25 marciapiede) = 425 cm circa; • altezza da superare per salire a marciapiede alto (60 cm) (250 sottopasso + 50 struttura + 65 p. ferro + 60 marciapiede). I dati dimensionali relativialle scale sono: • larghezza netta minima • alzata per salire a un marciapiede ordinario (= 390/26) • alzata per salire a un marciapiede alto (= 425/28) • pedata • pianerottolo di sosta intermedio • lunghezza di scala per salire a un marciapiede ordinario
= 180 cm; = 15 cm; = 15,18 cm; = 32 cm; = 120 cm; = 888 cm;
(12 x 32) + 120 + (12 x 32) • lunghezza di scala per salire a un marciapiede alto
= 952 cm;
(13 x 32) + 120 + (13 x 32) Sottopassaggi e scale sono realizzate con strutture in c.a. e devono assicurare: • adeguati apparati di impermeabilizzazione e protezione e allontanamento delle acque meteoriche; • difesa dall’umidità e dalle infiltrazioni d’acqua a soffitto, a pavimento e lungo le pareti; • protezione della parte bassa delle pareti dagli urti e dal vandalismo, mediante rivestimenti resistenti e di agevole pulizia e manutenzione; • pavimentazioni resistenti, antisdrucciolo e di facile pulizia; • presenza di mancorrenti lungo i due lati delle scale. L’accesso ai marciapiedi (e ai treni) deve essere assicurato anche a portatori di handicap mediante l’istallazione di idonei ascensori (preferibilmente) o mediante sedili elevatori a rotaia laterale posti lungo le scale. Sovrapassi e cavalcavia Le strutture di sovrappasso e ogni altro tipo di attraversamento aereo che scavalchi le linee ferroviarie elettrificate deve essere realizzato in modo da non recare intralcio al libero transito dei convogli (carico compreso) e delle strutture e infrastrutture connesse al trasporto ferroviario, in ogni possibile condizione di assetto statico e dinamico, anche in considerazione della velocità d’esercizio dei treni e delle eventuali oscillazioni laterali e sopraelevazione relativa dei binari. I dati dimensionali relativi a sovrapassi e cavalcavia sono: • altezza libera minima dal piano del ferro = 650 cm; • distanza libera tra le strutture laterali e la rotaia più vicina = 170 cm minimo;* *
varia in funzione della velocità d’esercizio e del raggio di curvatura della linea.
Nel caso di sovrapassi, passerelle o simili, che costituiscono elementi intrinseci al funzionamento delle stazioni e che siano aperti al transito del pubblico, le eventuali scale d’accesso devono possedere gli stessi requisiti di fruibilità indicati per quelle dei sottopassaggi, compresa la fruibilità da parte di portatori di handicap.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STRUTTURE FERROVIARIE
B.2. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.2.1./1 RELAZIONI TRA UFFICIO VIAGGIATORI E BANCHINE DI CARICAMENTO
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
MARCIAPIEDE 2
E ESE ESSIONAL PROF
MARCIAPIEDE 1
D.GETTAZIONE
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
BIGLIETTI INFORMAZ.
STRUTTURE COMMERCIALI
E.NTROLLO
GESTIONE SCALO
UFFICI AMM.
PRO TTURALE STRU
RISTORO
ATTESA
SERVIZI IGIENICI
BAGAGLI
EDIFICIO VIAGGIATORI
MARCIAPIEDE 3
ATRIO
G.ANISTICA URB
AREA DI SCAMBIO ESTERNA
A - STAZIONI DI TRANSITO CON EDIFICIO VIAGGIATORI SU UN LATO (IN LINEA)
B.STAZIONI DILEGIZLII
A - AGGREGAZIONE DELLE UNITA' FUNZIONALI DI UN EDIFICIO VIAGGIATORI 'IN LINEA'
AREA DI IMBARCO
TIPOLOGIE RICORRENTI DI STAZIONI FF.SS.
PARCHEGGI
SOSTA BREVE (H)
TAXI
FERMATA LINEE URBANE
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
LEGENDA
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
EDIFICIO VIAGGIATORI B - STAZIONI DI TRANSITO CON EDIFICIO VIAGGIATORI SU DUE LATI
BANCHINE (MARCIAPIEDI)
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
PERCORSI VIAGGIATORI
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
PERCORSI TRENI
ATTESA
SERVIZI TECN.
AREA DI IMBARCO
B - AGGREGAZIONE DELLE UNITÀ FUNZIONALI DI UNA GRANDE STAZIONE FERROVIARIA 'DI TESTA'
AREA DI SCAMBIO ESTERNA
ATRIO
SOSTA BREVE (H)
BIGLIETTI
INFORMAZI.
GALLERIA
RISTORO
SERVIZI IG. DIURNO
ASSISTENZA
SICUREZZA
AGENZIE TURISMO
GALLERIA
STRUTTURE COMMERCIALI
D - GRANDE STAZIONE DI TESTA
GIORNALI
RISTORO RAPIDO
BANCHE
BAGAGLI
EDIFICIO VIAGGIATORI
C - STAZIONE DI TRANSITO 'A PONTE'
RICETTIVITA''
MARCIAPIEDE DI TESTA
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
TAXI FERMATA LINEE URBANE
RIE . OVIA B.2.1TURE FERR T U STR
B 37
B.2. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STRUTTURE FERROVIARIE
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
➦ STRUTTURE FERROVIARIE: RIFERIMENTI DIMENSIONALI
28
FIG. B.2.1./2 RIFERIMENTI DIMENSIONALI PER MATERIALI ROTABILI E INFRASTRUTTURE
80,00
16
7,5 0
82,50
200,00
315,00
380
430
320
428,00
298,00
245,00
325
317,50
282,00
290 236,00 255 202,00
PIANO DEL FERRO
143,50 SCARTAMENTO
37
43
40
13 25
PIANO DEL FERRO
23
13
150,00
143,50 SCARTAMENTO
SAGOMA LIMITE INTERNAZIONALE (DEL MATERIALE MOBILE E DEI CARICHI)
SAGOMA LIMITE DELLE FERROVIE ITALIANE (DEL MATERIALE MOBILE E DEI CARICHI)
CONDUTTORE DI CONTATTO DELLA LINEA AEREA
315,00
SAGOMA LIMITE FF.SS. ITALIA
500
320
325
350,00
290 230,00
255
143,50 SCARTAMENTO SAGOMA LIMITE DELLA RETE EUROPEA (GABARIT C) COMPARATA CON QUELLA ITALIANA (A DESTRA, TRATTO SOTTILE)
B 38
13 25
37
13 25
175,00
PIANO DEL FERRO 143,50
DISTANZA MINIMA DI SICUREZZA DI OSTACOLO ESTERNO IN TRATTO RETTILINEO
15
380
430
465,00
PROFILO MINIMO OSTACOLI
DISTANZA MINIMA DI SICUREZZA DI OSTACOLO ESTERNO IN TRATTO IN CURVA, CON RAGGIO ≤ 1500 M.
291,00
170,00 200,00
PROFILO MINIMO DEGLI OSTACOLI NEL CASO DI VEICOLI RIGIDI E DISTANZA MINIMA DI SICUREZZA, RAPPORTATI ALLA SAGOMA LIMITE ITALIANA (TRATTO SOTTILE)
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STRUTTURE FERROVIARIE
B.2. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.2.1./3 MARCIAPIEDI E PENSILINE PENSILINA DI MARCIAPIEDE - DISTANZA MINIMA DEI PILASTRI DAL CIGLIO
B.STAZIONI DILEGIZLII
PENSILINA NEL CASO DI MARCIAPIEDE ALTO 60 CM.
I ED PRE NISM ORGA
FILO DI CONTATTO (RETE AEREA) 40
40
C.RCIZIO
480,00
430
390,00
480,00
SAGOMA LIMITE FF.SS.
390,00
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
L1 min 160
S
L1 min 160
C=80
143,50
143,50
LARGHEZZA LIBERA MINIMA DEI MARCIAPIEDI, IN RAPPORTO ALLA VELOCITA' DEI TRENI VELOCITÀ MASSIMA (km/h)
<100
DISTANZA CIGLIO- OSTACOLI (L1)
160 cm 180 cm
DISTANZA CIGLIO-SCALE (L2)
C=80
60
C=80
LARGHEZZA MINIMA DI SCALE E SOTTOPASSI
100÷150
150÷200
200÷250
250÷300
CATEGORIA DELLA STAZIONE
185 cm 200 cm
210 cm 240 cm
235 cm 280cm
260 cm 320 cm
LARGHEZZA MINIMA SCALE LARGHEZZA MINIMA SOTTOPASSI
1°, 2° 200 cm 400 cm
25
143,50
CO NTALE AMBIE
piano del ferro 0,00
35
35 25
piano del ferro
60
0,60
3°, 4°, 5°
CIGLIO SCALINO P.FERRO UNI 60
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
80
160 cm 360 cm
F. TERIALI,
URB
MARCIAPIEDI DI UNA GRANDE STAZIONE 'DI TESTA' - SCHEMA CON BANCHINA DI SERVIZIO INTERPOSTA TRA LE COPPIE DI BINARI RIFERIMENTI DIMENSIONALI - PIANTA
80
240
240
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
80
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
40 143,5
80
40 240
240 240 720 MARCIAPIEDI VIAGGIATORI RIFERIMENTI DIMENSIONALI - SEZIONE TRASVERSALE
SCARTAMENTO BINARI
PROIEZIONE BORDO PENSILINA CIGLIO DELLA BANCHINA LIMITE DI SICUREZZA
SCARTAMENTO BINARI
PROIEZIONE BORDO PENSILINA CIGLIO DELLA BANCHINA LIMITE DI SICUREZZA
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
80
143,5
80
360÷540
80
143,5
80
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
40
40 240
BANCHINA DI SERVIZIO
240 240 720 MARCIAPIEDI VIAGGIATORI
80
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
143,5
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
143,50
80
240
240
240
80
143,50
80
360÷540
80
143,50
390,00
480,00
480,00
390,00
480,00
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
80
240
240
240
80
143,50
RIE . OVIA B.2.1TURE FERR T U STR
B 39
B.2. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STRUTTURE FERROVIARIE
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
➦ STRUTTURE FERROVIARIE: RIFERIMENTI DIMENSIONALI FIG. B.2.1./4 SCALE E SOTTOPASSAGGI MARCIAPIEDI CON SCALE - DISTANZA MINIMA DELLE SCALE DAL CIGLIO
SCALE AL SOTTOPASSAGGIO NEL CASO DI MARCIAPIEDE ALTO 60 CM FILO DI CONTATTO (RETE AEREA)
480,00
390,00
390,00
430
SAGOMA LIMITE FF.SS.
480,00
40
0,60 35 60
0,25 0,00 C=80 143,50
C=80
L2 min 180
143,50
143,50
151,75
L2 min 180
400,00
MARCIAPIEDE (BANCHINA) - SCALE DI ACCESSO DAL SOTTOPASSAGGIO - PIANTA
SCARTAMENTO BINARI
143,5
CIGLIO DELLA BANCHINA
1800
1675,0
GRADINO DI SERVIZIO
180
1800 1675,0
1800
80
180
VARIANTE PIANTA SCALE NEL CASO DI MARCIAPIEDE ALTO 60 CM
80 143,5
40
180
180
40
LIMITE DI SICUREZZA
C=80 167,50
ASSE DEL BINARIO
ASSE DEL BINARIO
143,5
143,5
PROIEZIONE BORDO PENSILINA CIGLIO DELLA BANCHINA
0,00
MARCIAPIEDE - SCALE DI ACCESSO DAL SOTTOPASSAGGIO - SEZIONE LONGITUDINALE
VARIANTE SEZIONE SCALE NEL CASO DI MARCIAPIEDE ALTO 60 CM 0,60
0,60
0,25
15,18 32
15 32
SOTTOPASSAGGIO -3,65
-3,65
MARCIAPIEDE - SCALE DI ACCESSO DAL SOTTOPASSAGGIO - SEZIONE TRASVERSALE
VARIANTE SEZIONE SCALE NEL CASO DI MARCIAPIEDE ALTO 60 CM
0,60
B 40
85
250
90
50 250 -3,65 (rispetto al piano del ferro)
0,00
250
50 90
(P.F.) 0,00
250
250
50 65
0,25
-3,65 (rispetto al piano del ferro)
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STRUTTURE FERROVIARIE
B.2. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.2.1./5 INFRASTRUTTURE FERROVIARIE – ARMAMENTO E MASSICCIATE
MASSICCIATA - SCHEMA DI RIFERIMENTO PER LE DIMENSIONI (V. PAR. B.2.1.2/1.) MASSICCIATA:
ARMAMENTO:
BANCHINA
DISTANZA TRA 2 BINARI (SS)
PIEDE D'UNGHIA (U)
SCARTAMENTO (S)
UNGHIATURA
PIANO DEL FERRO
CIGLIO (C)
TRAVERSINA
PIATTAFORMA
ROTAIA
I ED PRE NISM ORGA RETE AEREA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
430,00
ASSE S
SS
E.NTROLLO
H*
75%
B.STAZIONI DILEGIZLII
MASSICCIATE PER LINEE A DUE BINARI
SC
S
SS, S'S', S"S" SC
* SPESSORE DELLA MASSICCIATA (H)
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
CU
TIPO 'A' (FF.SS.) = MIN. 50 cm TIPO 'B' (FF.SS.) = MIN. 35 cm
35
CU
CO NTALE AMBIE
100
212,0 355,50
143,5
MASSICCIATE PER UN SOLO BINARIO
100
143,5
MASSICCIATA TIPO 'B' (FF.SS.) - LINEA A VELOCITA' D'ESERCIZIO ORDINARIA (CON SAGOME LIMITE FF.SS. ITALIA)
100 465,00
500,00
URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
50
RETE AEREA
G.ANISTICA
212,0
143,5
100
143,5
355,50 MASSICCIATA TIPO 'A' (FF.SS.) - LINEA A VELOCITÀ D'ESERCIZIO ORDINARIA
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
35
35
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
50
100
143,5
100
115
50
143,5
316,5
143,5
115
460,00 MASSICCIATA TIPO 'B' (FF.SS.) - LINEA A VELOCITÀ D'ESERCIZIO FINO A 250 km/h.
MASSICCIATA TIPO 'B' (FF.SS.) - VELOCITÀ D'ESERCIZIO ORDINARIA SEDE STRADALE IN TRINCEA (CON RIF. ALLA SAGOMA LIMITE GABARIT C. EUROPEA )
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
50
35
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
60
100
143,5
100
60
115
143,5
356,5
143,5
115
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
500,00 MASSICCIATA TIPO 'A' (FF.SS.) - VELOCITÀ D'ESERCIZIO ORDINARIA SEDE STRADALE IN RILEVATO
MASSICCIATA TIPO 'B' (FF.SS.) - LINEA A D ALTA VELOCITÀ (300 km/h)
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
500,00 PIASTRA 250,00
50
PIASTRA 250,00
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
60
100
143,5
100
MASSICCIATA TIPO 'A' (FF.SS.) - TRATTI IN CURVA SEDE STRADALE POSTA A MEZZA COSTA
60
115
143,5
356,5
143,5
115
ARMAMENTO SU SUPPORTO PREFABBRICATO (FF.SS.) - LINEA AD ALTA VELOCITÀ
RIE . OVIA B.2.1TURE FERR T U STR
B 41
B.2. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STRUTTURE FERROVIARIE
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
➦ STRUTTURE FERROVIARIE: RIFERIMENTI DIMENSIONALI FIG. B.2.1./6 INFRASTRUTTURE FERROVIARIE – RETE AEREA, SOVRAPPASSI, SENTIERI DI SERVIZIO
RETE AEREA 1300,00
328,00
328,00
500,00
LINEA CON RETE AEREA SORRETTA DA PORTALI
VARIANTE PORTALI IN VIADOTTO
INTRADOSSO SOVRAPASSO O CAVALCAVIA
CAVO DI CONTATTO
430 PIANO DEL FERRO
143,50
LINEA CON RETE AEREA SORRETTA DA PALI
LUCI LIBERE DELLE STRUTTURE DI SOVRAPASSO (CAVALCAVIA)
PERCORSO DI SERVIZIO
225 (170 min.)
DISTANZA SENTIERI DI SERVIZIO - ROTAIE SECONDO LA VELOCITÀ DEI TRENI VELOCITA' MAX. (km/h)
<100
DISTANZA SENTIERI (D)
170 cm
100÷140 140÷160 160÷180 180÷200 175 cm
180 cm
190 cm
200 cm
> 200 240 cm
143,50
D.min 170
PERCORSO DI SERVIZIO DISTANZE DAI BINARI
B 42
D.min. 170
143,50
altezza fissa conduttore = 500,00
500 430
1300,00 ÷1600,00
H. libera minima = 650,00
RETE AEREA
CAVO DI CONTATTO
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STAZIONI DELLA METROPOLITANA
B.2. 2. A.ZIONI
La progettazione e la realizzazione di stazioni della metropolitana sono regolate da norme UNI e UNIFER: UNI 7508 Metropolitane. Banchine di stazione. UNI 7744 Metropolitane. Corridoi, scale fisse, scale mobili e ascensori nelle stazioni. Direttive di progettazione. UNI 8097 Metropolitane. Illuminazione delle metropolitane in sotterranea e in superficie.
UNIFER 18: • 18.08. Metropolitane. Atrii di stazione. Direttive di progettazione. • 18.09. Metropolitane. Locali di servizio nelle stazioni. Parte prima: Generalità. • 18.09. Metropolitane. Locali di servizio nelle stazioni. Parte seconda: Locali per impianti di sicurezza d’esercizio e telecomunicazioni. • 18.09. Metropolitane. Locali di servizio nelle stazioni. Parte terza: Locali per fornitura e controllo energia elettrica. • 18.09. Metropolitane. Locali di servizio nelle stazioni. Parte quarta: Locali di ventilazione e per impianti idrici e termici.
• 18.09. Metropolitane. Locali di servizio nelle stazioni. Parte quinta: Locali per impianti di sollevamento persone. • 18.09. Metropolitane. Locali di servizio nelle stazioni. Parte sesta: Locali per il personale e per servizi diversi. • 18.09. Metropolitane. Locali di servizio nelle stazioni. Parte settima: Locali di servizio per il pubblico. • 18.09. Metropolitane. Locali di servizio nelle stazioni. Parte ottava: Vani accessori. Nei paragrafi seguenti vengono riportate, nell’ordine, le prescrizioni rilevanti per la progettazione impartite da tali norme, nonché tabelle riassuntive e grafici esplicativi.
supposto il rotabile allo stato di riposo e in posizione centrata e tenuto conto dell’iscrizione in curva, siano rispettate le condizioni di cui al punto 3. 4.3. Quando l’andamento del bordo della banchina è curvilineo, si deve fare in modo che si abbia, dal punto nel quale si comanda la chiusura delle porte, chiara visibilità di tutta la fiancata del treno, fino all’ultima porta utilizzabile dai viaggiatori. Se la suddetta visibilità manca direttamente, devono essere previsti dispositivi idonei a ottenerla, quali, per esempio, specchi o impianti televisivi.
2. TERMINI E DEFINIZIONI • banchina di stazione: luogo destinato all’incarrozzamento dei viaggiatori in condizioni normali di esercizio; • banchina laterale: banchina nella quale l’incarrozzamento dei viaggiatori avviene lungo un solo lato; • banchina centrale o a isola: banchina disposta fra i binari e nella quale l’incarrozzamento dei viaggiatori avviene sui due lati; • bordo della banchina: linea di contorno della banchina verso il treno; • accesso alla banchina: passaggio per permettere ai viaggiatori di entrare sulla banchina dall’esterno o uscirne.
5. ANDAMENTO ALTIMETRICO DELLA BANCHINA 5.1. L’andamento altimetrico longitudinale del bordo della banchina deve seguire quello del vicino binario o differire da questo in modo da rispettare le condizioni di cui al punto 3.4. 5.2. Il bordo della banchina deve, di regola, avere pendenze non maggiori del 2%. 5.3. Quando particolari ragioni, quali l’opportunità di evitare nelle vicinanze delle stazioni grandi pendenze nei binari, lo consiglino, è ammesso che il binario di stazione e il bordo della banchina abbiano pendenza, uniforme o disuniforme, maggiore del 2%, purché essa non superi il 20%. Questa condizione è però ammessa unicamente per gli impianti nei quali il treno deve sostare normalmente per il solo tempo necessario alla salita e discesa dei viaggiatori e nei quali lo stazionamento eccezionale dei treni venga considerato alla stregua dello stazionamento in piena linea. 5.4. Trasversalmente la banchina deve avere pendenza non maggiore del 3%.
3. 3.1.
3.2.
3.3.
3.4.
4.
DISTANZA E DISLIVELLO TRA BANCHINA E ROTABILE La distanza minima della banchina dal rotabile deve essere quella indicata ai punti 2.2. e 2.4. della UNI 7360. Se il bordo della banchina è rettilineo, esso deve trovarsi, in ogni suo punto, a una distanza non maggiore di 0,12 m dal bordo della soglia delle porte laterali del rotabile. Se invece ha andamento curvilineo, è ammesso che detta distanza possa essere anche maggiore di 0,12 m ma, in ogni caso, non maggiore di 0,20 m. La distanza del bordo della banchina dal bordo della soglia delle porte laterali del rotabile deve sempre essere misurata in orizzontale, col rotabile supposto allo stato di riposo e in posizione centrata, cioè con i perni dei carrelli sull’asse del binario. Se questo ha andamento curvilineo, deve essere tenuto conto dell’iscrizione geometrica del rotabile nella curva. La soglia della porta del rotabile – questo supposto allo stato di riposo, in posizione centrata e in condizioni normali di marcia – non deve essere più bassa del piano di calpestio della banchina e il dislivello non deve essere maggiore di 0,12 m per qualsiasi condizione di carico del rotabile, salvo quanto detto al punto 8.1.
ANDAMENTO PLANIMETRICO DELLA BANCHINA 4.1. Il bordo della banchina deve essere, di regola, rettilineo. 4.2. Quando per particolari ragioni (quali l’opportunità di evitare che i binari della linea, in vicinanza delle stazioni, abbiano raggi di curva troppo piccoli, oppure la necessità di superare difficoltà di tracciamento) occorra disporre in curva anche i binari di stazione, è ammesso che il bordo della banchina abbia anch’esso andamento curvilineo, purché,
6.
6.1. 6.2. 6.3.
6.4.
ACCESSO ALLA BANCHINA L’accesso alla banchina in ingresso e in uscita può essere sistemato in uno dei seguenti modi: a una o a entrambe le estremità della banchina (vedere Figg. 1a e 1b); in uno spazio limitato, non d’estremità, della banchina (vedere Figg. 2a e 2b); distribuito lungo la banchina da un andito parallelo alla banchina stessa e lungo quanto l’intera banchina o buona parte di essa (vedere Figg. 3a e 3b); con la combinazione delle sistemazioni sopra indicate.
7. DIMENSIONI IN ORIZZONTALE 7.1. Area totale utile L’area totale utile A della banchina, esclusa la striscia di sicurezza di cui al seguente punto 9., deve essere tale che la densità N/A di viaggiatori sulla banchina risulti minore di: • 1,5 per le banchine con accesso o accessi di estremità, di cui al punto 6.1., o con accesso in uno spazio limitato della banchina, di cui al punto 6.2. • 2 per le banchine con accesso distribuito, di cui al punto 6.3. intendendo per N il numero totale di viaggiatori che si prevede siano contemporaneamente presenti in banchina e per A l’area espressa in metri quadrati. Per valutare N, in mancanza di più precisi elementi, si può far riferimento alla media dei viaggiatori che arrivano e partono nell’intervallo medio
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
BANCHINE DI STAZIONE (riferimento: UNI 7508) 1. La norma stabilisce l’andamento planimetrico e altimetrico e il dimensionamento delle banchine di stazione delle linee metropolitane, come definite dalla UNI 3733. La norma vale, di massima, pure nel caso di metropolitane servite anche da rotabili diversi da quelli impiegati nelle suddette linee metropolitane, come nel caso di un servizio cumulativo con tramvie o ferrovie extraurbane raccordate con la rete urbana. In questo caso però, qualora la norma non potesse essere integralmente applicata, le necessarie deroghe devono essere stabilite dall’Autorità competente.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
fra due treni che abbiano la stessa destinazione. Se H è l’intervallo stesso in secondi, a titolo orientativo può essere assunto: N= nH/3600, dove n è il numero dei viaggiatori di cui al seguente punto 7.4.1. 7.2. Lunghezza della banchina Nel caso che si disponga di rotabili aventi caratteristiche di frenatura come quelle dei rotabili previsti per la linea in progetto, la lunghezza della banchina deve essere almeno pari alla lunghezza del treno di massima composizione (misurata tra i piani di contatto degli agganci) maggiorata di 6 Sq, dove:
Sq = ∑ s2/m essendo s lo scarto tra la posizione prevista del treno dopo l’arresto e quella misurata con i suddetti rotabili, e m il numero delle prove effettuate non minore di 30. In mancanza dei predetti dati sperimentali, la lunghezza della banchina deve essere almeno pari alla lunghezza del treno di massima composizione, misurata come sopra detto, aumentata di 5 m. Nelle stazioni all’aperto, quando le condizioni locali facciano temere una sensibile diminuzione dell’aderenza, la lunghezza della banchina deve essere opportunamente aumentata. 7.3. Larghezza della banchina Deve essere stabilita in relazione al previsto numero di viaggiatori. Nelle vicinanze degli accessi essa deve avere valori non minori di quelli indicati al punto 7.4.; nelle altre zone la larghezza può essere minore, purché sia adeguata al traffico previsto, la variazione sia graduale e vengano rispettate le condizioni di cui al punto 7.5. 7.4. Larghezza nelle vicinanze degli accessi 7.4.1 La larghezza della banchina nelle vicinanze degli accessi deve essere non minore di un limite variabile secondo: • il numero n di viaggiatori durante un’ora di punta serviti da ogni banchina; • il numero di bordi; • la sistemazione degli accessi di cui al punto 6. 7.4.2 Nel caso di banchina laterale (banchina con un solo bordo) sulla quale si svolgano sia l’ingresso sia l’uscita dei viaggiatori ai treni, la larghezza lA della banchina non deve essere minore dei valori indicati nella tabella 1, dove n è la somma dei viaggiatori in partenza e in arrivo durante un’ora di punta. Quando n supera 8000 per banchine lunghe non più di 120 m, o 4000 per banchine più lunghe, è sconsigliabile l’impiego di accessi a una sola estremità. Per n maggiore di 25000, è consigliabile studiare disposizioni particolari, quali ad esempio stazioni a tre banchine, oppure due stazioni a piccola distanza lungo la linea. Nel caso di accessi a entrambe le estremità della banchina, la larghezza lA deve essere stabilita in relazione al numero dei viaggiatori serviti da ognuno dei due accessi. 7.4.3 Nel caso di banchina centrale (banchina con due bordi), sui due bordi della quale si svolgono sia l’ingresso sia l’uscita dei viaggiatori ai treni, la lar-
➥
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
RIE . OVIA B.2.1TURE FERR T U STR . B.2.2 NI DELLA STAZIOPOLITANA O METR
B 43
B.2. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STAZIONI DELLA METROPOLITANA
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
➦ BANCHINE DI STAZIONE (riferimento: UNI 7508) ghezza lA1 deve essere almeno il doppio di quella lA indicata nel prospetto di cui al punto 7.4.2. Ove venga adottata la sistemazione indicata nella figura 2b, si deve tener presente che: • se il gruppo di scale d’accesso è lontano dalle estremità e vicino alla metà della banchina, la larghezza lA1 va intesa al netto delle scale stesse; • se il gruppo di scale d’accesso è disposto fra le estremità della banchina e la sua metà, la larghezza del passaggio che resta fra scale e bordo della banchina deve essere stabilita opportunamente in relazione al numero dei viaggiatori che si prevede debba percorrerlo, fermo restando il rispetto di quanto è precisato al seguente punto 7.5. 7.4.4 Quando si preveda nella stazione un traffico molto intenso e contemporaneo, sia in entrata sia in uscita, è opportuno sistemare, possibilmente, una banchina per la salita dei viaggiatori sul treno diversa da quella per la discesa. In questo caso per stabilire la larghezza della banchina si deve tener conto del numero dei soli viaggiatori in arrivo (o in partenza) interessati alla banchina considerata. 7.5. Distanza minima degli ostacoli fissi La distanza minima degli ostacoli fissi continui dal bordo della banchina, salvo il caso di cui al seguente punto 10., deve essere non minore dei valori qui sotto indicati: • in generale: 2,50 m (vedere Figg. 1a e 2a); • all’estremità della banchina: 1,50 m, per una lunghezza non superiore a 3 m. (vedere Figg. 1b e 2a); • in corrispondenza di pilastri o altri ostacoli discontinui: 1,80 m, purché l’ostacolo abbia larghezza, misurata parallelamente al bordo della banchina, non maggiore di un quarto della sua distanza dal bordo stesso; lo spazio libero fra ostacoli vicini sia di almeno 2 m.; lo spazio libero fra ostacolo e parete sia di almeno 1,50 m.
Nelle zone della stazione nelle quali si prevede un traffico particolarmente intenso è sconsigliabile disporre ostacoli fissi ai limiti dei valori sopra indicati.
8.2.2.
7.6. Distanza tra i due bordi di una banchina centrale Deve essere in ogni punto non minore di 5 m. (vedere Fig. 1b).
9.
STRISCIA DI SICUREZZA SULLA BANCHINA Sulla banchina, lungo il suo bordo, deve essere disposta una segnalazione continua indicante una zona della banchina larga circa 0,60 m sulla quale è pericoloso sostare e che perciò può essere attraversata solo per entrare nelle carrozze del treno o uscirne. Tale indicazione, denominata comunemente striscia di sicurezza, può essere costituita da una striscia , ben visibile e perciò realizzata impiegando per la pavimentazione in questa zona, materiale di colore nettamente diverso da quello della pavimentazione del resto della banchina, oppure da una linea continua, larga almeno 0,12 m di colore contrastante con quello della pavimentazione generale della banchina.
10.
PASSAGGIO AL TRENO SENZA BANCHINA È ammesso che si abbiano passaggi diretti da un andito al treno senza banchina, purché sia garantito che l’arresto del treno avvenga in modo che le porte delle vetture, a convoglio fermo, risultino in corrispondenza dei passaggi sopra indicati. In tal caso però deve essere opportunamente studiata la possibilità di garantire la sicurezza dei viaggiatori, in particolare in assenza del treno e al momento della partenza, per esempio munendo i passaggi al treno di porte che stanno aperte quando il treno è fermo nella stazione e si richiudono quando esso riparte.
8. DIMENSIONI IN VERTICALE 8.1. Altezza della banchina sul piano del ferro Di regola deve essere tale che il dislivello tra il piano di calpestio del rotabile e il piano di banchina sia compreso nei limiti indicati al punto 3.4. Qualora però particolari condizioni d’esercizio, come la necessità di servire la linea con materiale rotabile di diversa provenienza, rendessero impossibile stare nei suddetti limiti, la suddetta altezza e il conseguente suddetto dislivello devono essere stabiliti tenendo conto delle effettive condizioni in cui il rotabile viene a trovarsi rispetto alla banchina, così da ottenere che la salita e la discesa dei viaggiatori sia la più agevole possibile. 8.2. Altezza libera nell’area a disposizione dei viaggiatori sulla banchina 8.2.1 Deve essere non minore dei seguenti valori: • nel caso di manufatto a cielo piano: 2,60 m, per tutta la suddetta area; • nel caso di manufatto con cielo a volta: 2,60 m, per la parte di detta area compresa tra il bordo della banchina e un piano verticale, a esso parallelo, a 0,50 m di distanza dalla parete laterale della banchina; 1,80 m, nella parte restante; • nel caso di manufatto a sezione trasversale policentrica: 2,60 m, per la parte di detta area compresa tra il bordo della banchina e un pia-
no verticale, parallelo a questo, a 0,75 m dalla parete laterale della galleria nel punto più largo della sezione; 1,80 m, nella parte restante. In corrispondenza degli apparecchi di illuminazione e dei dispositivi di segnaletica, la altezza libera nell’area viaggiatori sulla banchina non deve essere minore di 2,10 m.
TAB. B.2.2./1 DIMENSIONI MINIME DEGLI ACCESSI ALLE BANCHINE BANCHINA LATERALE CON “LA” MINIMA numero passeggeri
un solo accesso di estremità
accesso laterale o centrale
accessi distribuiti
fino a 2000
3,20
3,00
2,50
oltre 2000 fino a 4000
4,00
3,50
2,50
oltre 4000 fino a 8000
5,50
4,00
2,50
oltre 8000 fino a 15000
7,00
4,50
3,00
oltre 15000 fino a 20000
–
5,50
3,50
oltre 20000 fino a 25000
–
–
4,00
FIG. B.2.2./1 METROPOLITANE – BANCHINE DI STAZIONE (NORMA UNI 7508) ALTEZZE LIBERE DELLE BANCHINE - ESEMPI DI SEZIONI TRASVERSALI
50
B 44
180 MIN.
260 MIN.
210 MIN.
ASSE DEL BINARIO
180 MIN.
260 MIN.
210 MIN.
C
ASSE DEL BINARIO
ASSE DEL BINARIO
210 MIN.
B
260 MIN.
A
75
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STAZIONI DELLA METROPOLITANA
B.2. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.2.2./2 METROPOLITANE – BANCHINE DI STAZIONE (NORMA UNI 7508) – ESEMPI DI SISTEMAZIONE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
BORDO DELLA BANCHINA
C.RCIZIO
ASSE DEL BINARIO
E ESE ESSIONAL PROF
ASSE DEL BINARIO
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU 250 MIN.
200 MIN.
LA VEDI 7.4.2.
d 4 MAX
150 MIN.
d=180 MIN.
ACCESSO
LA VEDI 7.4.2.
BORDO DELLA BANCHINA
BANCHINA
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
ACCESSO
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
1 a - BANCHINA LATERALE CON ACCESSI ALLE ESTREMITA' ASSE DEL BINARIO
L A1
VEDI 7.4.3.
500 MIN.
150 MIN.
300 MAX
ACCESSO
BANCHINA
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
ASSE DEL BINARIO
1 b - BANCHINA CENTRALE CON ACCESSO A UNA ESTREMITÀ
ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE
ASSE DEL BINARIO
ASSE DEL BINARIO 150 MIN.
VEDI 7.4.2.
BANCHINA
LA
BORDO DELLA BANCHINA 250 MIN.
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
ACCESSO
300 MAX
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E 2 a - BANCHINA LATERALE CON ACCESSO IN SPAZIO LIMITATO NON D'ESTREMITÀ
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
ASSE DEL BINARIO
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
ASSE DEL BINARIO 2 b - BANCHINA CENTRALE CON ACCESSO IN SPAZIO LIMITATO NON D'ESTREMITÀ
200 MIN. d MAX 4
d = 180 MIN.
L A1 VEDI 7.4.3.
BORDO DELLA BANCHINA
. B.2.2 NI DELLA STAZIOPOLITANA O METR
B 45
B.2. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STAZIONI DELLA METROPOLITANA
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
➦ BANCHINE DI STAZIONE (riferimento: UNI 7508) FIG. B.2.2./3 BANCHINE DI STAZIONE (Norma UNI 7508)
ANDITO
LA
VEDI 7.4.2.
BANCHINA
LA
VEDI 7.4.2.
ACCESSO
BANCHINA
BORDO DELLA BANCHINA ASSE DEL BINARIO
ASSE DEL BINARIO BORDO DELLA BANCHINA
ACCESSO
ANDITO
3 a - BANCHINA LATERALE CON ACCESSI DA UN ANDITO, DISTRIBUITI LUNGO LA BANCHINA STESSA
LA
BORDO DELLA BANCHINA
VEDI 7.4.2.
ASSE DEL BINARIO
ACCESSO
LA
ANDITO
VEDI 7.4.2.
BORDO DELLA BANCHINA
BANCHINA
BANCHINA
ASSE DEL BINARIO
3 b - DUE BANCHINE LATERALI CON ACCESSI DA UN ANDITO, DISTRIBUITI LUNGO LA BANCHINA STESSA
ASSE DEL BINARIO
ACCESSO
ASSE DEL BINARIO 4 - SISTEMA CON PASSAGGIO DA UN ANDITO AL TRENO SENZA BANCHINA
B 46
ANDITO
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STAZIONI DELLA METROPOLITANA
A.ZIONI
CORRIDOI, SCALE FISSE, SCALE MOBILI, ASCENSORI (riferimento: UNI 7744) 1. La norma ha lo scopo di fornire direttive per la progettazione degli elementi destinati agli spostamenti orizzontali e verticali dei viaggiatori e del personale di servizio nelle stazioni di metropolitane, quali corridoi, scale fisse o mobili, ascensori.
3.4. Quando, per necessità di tracciato, due rami di uno stesso corridoio presentano un angolo maggiore di 90°, è opportuno smussare gli spigoli con superficie piane o con raccordi circolari. 3.5. Le estremità dei corridoi che si congiungono con le testate delle scale fisse o mobili, qualora non abbiano la stessa larghezza di queste, devono essere convenientemente raccordate a esse.
2. TERMINI E DEFINIZIONI • corridoio: via d’accesso che collega ambienti diversi e separati tra di loro; • scala fissa: via d’accesso a gradini fissi per il passaggio di persone da un piano a un altro di quota diversa (piano stradale, piano delle banchine di stazione, piano o piani intermedi); • scala fissa ordinaria: scala fissa utilizzabile durante tutto il tempo in cui la metropolitana è aperta al pubblico; • scala fissa di servizio: cala fissa riservata al personale addetto alle stazioni e impianti della metropolitana e utilizzabile dai viaggiatori soltanto quando si presentino situazioni di emergenza o in altri casi eccezionali; • scala mobile: scala costituita da gradini mobili che, mossi da un motore, scorrono su guide inclinate; • ascensore: mezzo di trasporto messo a disposizione dei viaggiatori per superare notevoli dislivelli al posto o a sussidio di scale mobili.
4. Scale fisse 4.1. Le scale fisse ordinarie o di servizio, possono essere costituite da una o più rampe. 4.1.1 In linea generale, ogni rampa deve essere rettilinea. Quando però particolari ragioni lo richiedano, una rampa può anche essere curva, purché la pedata in ogni punto non differisca dal suo valore medio p di oltre il 10%. 4.1.2 Ogni rampa di scala ordinaria deve essere costituita da non più di 20 gradini, ma preferibilmente da non più di 12. Se anche con 20 gradini non è sufficiente una sola rampa, deve essere previsto un pianerottolo tra due rampe successive. 4.1.3 Quando il cambiamento di direzione non sia ottenuto con la curvatura della rampa di cui si è detto in 4.1.1., deve essere previsto, là dove la scala cambia direzione, un pianerottolo, qualunque sia il numero dei gradini della rampa. Se invece la scala è rettilinea ed è affiancata da una o più scale mobili e ha solo carattere sussidiario della scala mobile, il pianerottolo può anche essere omesso. 4.2. Nel caso di scala ordinaria esterna allo scoperto è opportuno che in corrispondenza dell’ingresso al coperto esista un pianerottolo; a tal fine il limite di 20 gradini, di cui al 4.1.2., può anche essere superato. 4.3. I gradini delle scale fisse ordinarie devono avere alzata preferibilmente compresa tra 0,15 e 0,16 m, e comunque non maggiore di 0,175 m. I gradini delle scale fisse di servizio possono avere alzata anche maggiore di 0,175 m, ma in ogni caso non maggiore di 0,20 m. 4.3.1 Tanto per le scale fisse ordinarie, quanto per quelle di servizio, deve essere soddisfatta la seguente
3. CORRIDOI 3.1. La larghezza dei corridoi deve essere commisurata al flusso dei viaggiatori da valutare secondo quanto indicato al punto 7. In nessun caso la larghezza deve essere minore di 1,80 m. 3.2. L’altezza libera minima per tutta la larghezza dei corridoi non deve essere minore di 2,15 m Tale altezza può però essere ridotta a 2,05 m in corrispondenza sia di apparecchi illuminanti o di segnaletica, sia in punti singolari, quali attraversamenti, incroci o simili. 3.3. La pendenza longitudinale non deve superare, in generale, il 4%. Quando esigenze particolari lo richiedano, essa può arrivare al 10%, ma in tal caso devono essere disposti dei corrimano almeno lungo un lato del corridoio e la pavimentazione deve essere di tipo antisdrucciolevole. La pendenza trasversale deve essere compresa fra 0,5 e 2%.
relazione: 2a + p = 0,62-0,64 m dove a è l’alzata dei gradini, in metri; p è la pedata media di ogni gradino, in metri. 4.3.2 La pedata dei gradini deve essere antisdrucciolevole e, per favorire lo scolo delle acque meteoriche e di lavaggio, deve avere una pendenza di circa l’1%. 4.4. La larghezza di una scala fissa ordinaria deve essere commisurata al presumibile numero di persone che la percorreranno, valutato come indicato al punto 7. 4.4.1 La larghezza della scala, misurata dall’interno dei corrimano, deve essere di almeno 1,60 m Tuttavia, ove per osservare questa condizione esistano eccezionali difficoltà locali, può essere anche minore, e comunque non minore di 1,20 m. 4.4.2 È opportuno che le scale larghe 4,50 m o più siano divise da ringhiere longitudinali in due o più parti. 4.5. I pianerottoli devono avere larghezza non minore di quella delle rampe adiacenti. 4.5.1 Se la scala è rettilinea la lunghezza dei pianerottoli deve essere non minore di 0,90 m. 4.5.2 Se in corrispondenza del pianerottolo la scala cambia direzione con un angolo a misurato in pianta, devono essere rispettate, secondo il valore di a, le seguenti condizioni: • se a è non maggiore di 50°, la lunghezza del pianerottolo, misurata lungo la parete interna della scala deve essere non minore di 0,90 m; • se a è maggiore di 50° e non maggiore di 140°, la distanza tra il bordo del gradino più alto della rampa inferiore e il punto di incontro delle pareti interne delle rampe o del loro ideale prolungamento deve essere non minore di 0,35 m; • se a è maggiore di 140°, la distanza fra i punti più vicini dell’ultimo gradino di una rampa e del primo dell’altra rampa, deve essere non minore di 0,90 m. 4.6 Le rampe delle scale e i pianerottoli, quando non sono sistemati tra i muri, devono essere provvisti di parapetti pieni o di ringhiere. Devono essere costituite in modo da impedire il passaggio di un bambino. 4.6.1 I parapetti pieni e le ringhiere devono avere altezza dallo spigolo dei gradini non minore di 0,90 m.
FIG. B.2.2./4 FRUIBILITÀ DELLE SCALE (Norma UNI 7744) MANCORRENTE FRANGIFOLLA
50¡<§≤140¡
MIN. 35.
90 cm MIN.
➥
160 cm MIN.
160 cm MIN.
450 cm MIN.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
90¡
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
b
210 cm MIN.
210 cm. MIN.
90¡
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
a
90 cm MIN.
b
a
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
§>140¡ §≤50¡
B.2. 2.
c
3 cm MIN. a + b ≥ 90 cm LARGHEZZA DEI PIANEROTTOLI INTERMEDI
a + b + c ≥ 90 cm
5 cm MIN. LARGHEZZE E ALTEZZE LIBERE DELLE SCALE FISSE
➥
. B.2.2 NI DELLA STAZIOPOLITANA O METR
B 47
B.2. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STAZIONI DELLA METROPOLITANA
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
➦ CORRIDOI, SCALE FISSE, SCALE MOBILI, ASCENSORI (Riferimento: UNI 7744) 4.6.2 I muri e i parapetti pieni laterali devono essere muniti, lungo le rampe, di corrimano. L’altezza della superficie superiore del corrimano dallo spigolo dei gradini deve essere di circa 0,90 m. I corrimano devono avere superficie liscia e non devono presentare spigoli vivi, né sporgenze taglienti. 4.7. L’altezza libera sopra lo spigolo dei gradini, non deve essere minore di 2,10 m per tutta la larghezza della scala compresa fra i corrimano. Quando più rampe di una scala si sviluppano entro strette e apposite gallerie, è consigliabile che l’altezza sia sensibilmente maggiore del minimo sopra detto. 4.8. È opportuno che, per facilitare le operazioni di pulizia, ai due lati della scala fissa siano disposti canalini larghi non meno di 0,05 m e profondi almeno 0,03 m. 4.9. Nelle scale esterne deve essere disposto, presso l’inizio della zona coperta, un adeguato dispositivo che canalizzi le acque meteoriche e impedisca che esse scendano sulle rampe inferiori della scala. 5. SCALE MOBILI 5.1. Le scale mobili devono avere gradini di larghezza commisurata al flusso dei viaggiatori, da valutare come è indicato al punto 7. 5.2. Per l’altezza libera minima sopra lo spigolo dei gradini, vedere 4.7. 5.3. La scala deve di regola formare con l’orizzontale un angolo di 30°. Tuttavia, quando le condizioni locali lo richiedano, quali per esempio lo spazio insufficiente o l’opportunità di evitare lavori particolarmente gravosi, il suddetto angolo può essere di 35°. 5.4. La velocità deve essere scelta in relazione ai dislivelli delle scale mobili esistenti o previste per la linea di metropolitana in progetto. È consigliabile che tutte le scale mobili di una rete abbiano la stessa velocità. Se il valore mediano dei dislivelli (cioè quello che viene superato da metà delle scale) è H0, la velocità V consigliata è quella indicata nella tabella 2. La velocità comunque non deve essere maggiore di 0,9 m/s. Le eventuali scale, che abbiano velocità maggiore di quella scelta per la rete, devono essere munite di segnalazione per il pubblico. 5.5. La lunghezza Lp orizzontale continua minima a disposizione dei viaggiatori alle estremità della scala e il raggio di curvatura R del raccordo fra la parte in piano e quella inclinata non devono essere minori dei valori indicati, in relazione alla velocità V della scala, nella tab. 3. 5.6. Gli allarmi concernenti la scala devono essere riportati nel posto ove vi sia presenza permanente di un agente durante l’esercizio. Il funzionamento degli allarmi deve essere garantito anche in caso di mancanza dell’energia normale di alimentazione. 5.7. Qualora il dislivello sia maggiore di 10 m o la velocità sia maggiore di 0,5 m/s e se la scala non è ben visibile da un posto ove vi sia presenza permanente di un agente durante l’esercizio, l’immagine della scala mobile deve essere riportata, mediante un
impianto di televisione, in luogo ove vi sia presenza permanente di un agente. Dal posto do presenza si deve avere la possibilità di arrestare ogni scala. 5.8. Deve essere disposto, a ciascuna estremità della scala, a disposizione del pubblico per l’arresto di emergenza, un pulsante facilmente individuabile dal pubblico stesso e accessibile anche a persone di modesta statura. Quando il dislivello della scala è maggiore di 10 m, anche lungo la scala devono essere disposti pulsanti di emergenza alla distanza non maggiore di 10 m l’uno dall’altro. 6. ASCENSORI 6.1. Ascensori nelle stazioni possono venire disposti sia per scopi particolari, sia come mezzi principali per superare dislivelli. Nel primo caso, le loro caratteristiche devono rispondere allo scopo per il quale sono installati. Nel secondo caso, il loro numero e la loro capacità devono essere stabiliti in relazione al numero dei viaggiatori da trasportare valutato come detto in 7. Tale numero di ascensori non può in nessun caso essere minore di due. 6.2. Se un ascensore (o un gruppo di ascensori) è destinato al funzionamento senza presenza di agenti, cioè comandato dagli stessi utenti, oppure è ad azionamento automatico, deve essere garantito che siano soddisfatte le seguenti condizioni: • tutti gli allarmi devono essere riportati in un posto permanentemente presenziato da un agente e il loro funzionamento deve essere garantito anche in caso di mancanza dell’energia di alimentazione normale; • deve essere installato un impianto di diffusione sonora per mezzo del quale l’agente possa sentire la chiamata dalla cabina e diffondere in essa le proprie comunicazioni; • la cabina deve essere costruita con materiale totalmente incombustibile (metallo, vetro, ecc.); • l’isolamento delle apparecchiature e dei cavi elettrici deve corrispondere alle prescrizioni della norma CEI 64-2 per impianti elettrici in luoghi con pericolo di incendio; • la sala di arrivo o partenza deve avere una superficie libera da ostacoli almeno quadrupla della superficie utile di pavimento della cabina o del gruppo di cabine. 6.3. Nel caso che il dislivello da superare con gruppo di ascensori disposto come mezzo principale sia maggiore di 12 m, uno degli ascensori deve essere computato come riserva e il residuo gruppo di ascensori deve essere dimensionato per il traffico di progetto della stazione. Gli ascensori del gruppo dovranno essere quindi almeno tre e, nello stabilirne il numero per una determinata necessità di trasporto complessiva del gruppo, è opportuno fare in modo che il tempo medio di attesa di ogni viaggiatore sia non maggiore dell’intervallo medio tra un treno e il successivo.
7.
DIMENSIONAMENTO DEI SINGOLI ELEMENTI (CORRIDOI, SCALE, ASCENSORI) 7.1. Per valutare il numero di viaggiatori che useranno i diversi elementi oggetto della presente norma è necessario tener conto: • del numero N di viaggiatori che si prevede che impegneranno la banchina in un’ora di punta (vedere in proposito la norma UNI 7508); • dell’irregolarità di afflusso di viaggiatori all’elemento considerato, a causa della quale nel minuto di massima punta il numero dei viaggiatori è maggiore di quello medio al minuto nell’ora di punta. In particolare, si può ritenere che tale irregolarità sia la minima negli accessi dall’esterno; che tale irregolarità vada aumentando da questi accessi a mano a mano che ci si avvicina alla banchina fino ad arrivare al massimo per gli elementi più vicini a questa e ciò tanto più se l’intervallo tra un treno e il successivo è elevato (contemporanea presenza dei viaggiatori in arrivo e di quelli in partenza); • della possibilità di un futuro sviluppo del traffico nella stazione considerata e, in taluni casi, della possibilità di espansione, anche lontana nel tempo, della zona nella quale si trova la stazione; • della possibilità di un futuro ampliamento della stazione e dei suoi elementi e a questo riguardo è da tener presente come sia gravosa l’aggiunta, per esempio, di una scala o di un corridoio in una stazione profonda e con limitazioni dovute alla presenza di altre opere, mentre la stessa aggiunta potrebbe essere facile in una stazione al livello di campagna, o in una zona poco densamente costruita, o se, in previsione di questa futura aggiunta, fosse stato predisposto nelle strutture murarie quanto necessario per eseguirla; • della durata delle opere da costruire, non dimenticando che esse in generale, e in specie se sono in sotterraneo, possono durare anche moltissimi decenni. 7.2. Nella tabella 4 è indicata, per ogni elemento oggetto della presente norma (corridoio, scala fissa, scala mobile, ascensore), la portata massima effettiva Nmax dell’elemento, espressa in numero di persone al minuto in condizioni non eccezionali di traffico. TAB.B.2.2./2 VELOCITÀ SCALE MOBILI HS
< DI 5
DA 5 A 12
> DI 12
V m/s
0,5
0,67
0,8
TAB. B.2.2./3 CARATTERISTICHE DELLE SCALE MOBILI IN RAPPORTO ALLA VELOCITÀ V m/s
FINO A 0,6 DA 0,6 A 0,8 OLTRE 0,8
Lp
0,60
0,90
1,20
R
0,90
1,80
3,00
TAB. B.2.2./4 PORTATA MASSIMA DEGLI ELEMENTI DI PASSAGGIO E DEGLI ASCENSORI
ELEMENTO
SENSO UNICO DI MARCIA DISCESA
B 48
SALITA
DOPPIO SENSO DI MARCIA
ASCENSORE Portata massima effettiva per la direttrice di massimo traffico:
N max = 60
cp dove: 2 (t0 + kt1 + kt2)
CORRIDOIO per ogni metro di larghezza: pendenza < 4% pendenza > 4%
90 90
90 70
70 60
SCALA FISSA per ogni metro di larghezza:
c è il numero delle cabine p è il numero di persone che possono essere portate da ogni cabina t 0 è il tempo, in secondi, intercorrente tra la fine dell'uscita e l’ilmmediato inizio
70
60
50
t 1 è il tempo, in secondi, intercorrente dall'inizio della chiusura delle porte alla fine della
dell’entrata dei viaggiatori loro apertura (somma dei tempi di manovra delle porte e della salita, o discesa)
SCALA MOBILE con gradino di larghezza < 0,90 m • per V < 0,6 m/s • per V da 0,6 a 0,8 m/s • per V > 0,8 m/s
50 60 50
– – –
con gradino di larghezza da 0,90 a 1,20 m • per V < 0,6 m/s • per V da 0,6 a 0,8 m/s • per V > 0,8 m/s
100 120 100
– – –
t 2 è la somma del tempo, in secondi, necessario per l’ingresso e di quello necessario per l’uscita di tutti i viaggiatori
k è un coefficiente compreso tra 0,5 e 1, essendo 0,5 da usare nel caso di ritorno sempre a vuoto e 1 nel caso di carico sempre uguale nei due sensi con ascensori senza controllo biglietti, in mancanza di elementi più sicuri, può essere tenuto: t0 = 5s e t2 = 2p (in secondi) deve essere tenuto conto anche della frazione di metro arrotondandola al mezzo metro più vicino e cioè: considerare equivalente a 1 m fino a 1,24 m; a 1,5 da 1,25 a 1,74 m; a 2 m da 1,75 a 2,24 m; e così di seguito.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STAZIONI DELLA METROPOLITANA
B.2. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.2.2./5 ESEMPI DI BARRIERE
SISTEMA STANDARD
SISTEMA REMOVIBILE
SISTEMA A PARETE
SISTEMA DOPPIO
B.STAZIONI DILEGIZLII
SISTEMA CONTROLLO BIGLIETTI
I ED PRE NISM ORGA
60 70
65
C.RCIZIO
130
E ESE ESSIONAL PROF 94
94
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
20
45
variabile
94
94
118
33
65
26
E.NTROLLO
56
CO NTALE AMBIE
35
28
50
58
79
80
35
13
16
SISTEMA CONTROLLO BIGLIETTI
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
SISTEMA A CANCELLO 162 28
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
216
90
96
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
28
MIN. 105
28
MIN. 60
28
MIN. 60
28
MIN. 60
ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
28
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
ENTRATA HANDICAP
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
138
180
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
VARCO UTENTI INSERIMENTO MONETE INSERIMENTO BIGLIETTO RESTITUZIONE BIGLIETTO
. B.2.2 NI DELLA STAZIOPOLITANA O METR
B 49
B.2. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STAZIONI DELLA METROPOLITANA
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
SCHEDE ESTRATTE DALLA NORMA UNIFER 18.09 NORMA UNIFER 18.09 – PARTE II – LOCALI PER IMPIANTI DI SICUREZZA DI ESERCIZIO E TELECOMUNICAZIONI 1. LOCALE SEGNALAMENTO
2. LOCALE TELECOMANDO
1.1. Definizione Locale (sala relé) destinato alle apparecchiature relative all'impianto di sicurezza, segnalamento e fuori comando.
2.1. Definizione Locale destinato alle apparecchiature di telecomando, telecontrollo e gestione dati.
1.2. Ubicazione Preferibilmente adiacente ai locali telecomando e Dirigenza Locale al movimento, ove esistenti.
2.2. Ubicazione Preferibilmente adiacente al locale segnalamento.
1.3. Accessibilità Indiretta..
2.3. Accessibilità Indiretta.
1.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: no • Illuminazione: sì, con illuminamento di 100 lux, maggiorato opportunamente in corrispondenza dei punti di lavoro principali. • Circolazione dell'aria: con ventilazione forzata in sovrappressione tale da garantire almeno 5 ricambi d'aria ogni ora • Condizionamento: no • Riscaldamento: non necessario • Impianto telefonico: sì con allacciamento alla linea telefonica di servizio • Diffusione sonora: sì • Impianto orologi: sì, con registratori del segnalamento • Spegnimento incendi: sì, con apparecchi portatili • Rilevazione incendi: sì, sensibile ai fumi • Emergenza trazione elettrica: no
2.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: no • Illuminazione: sì, con illuminamento di 100 lux, maggiorato opportunamente in corrispondenza dei punti di lavoro principali • Circolazione dell'aria: con ventilazione forzata in sovrappressione tale da garantire almeno 5 ricambi d'aria ogni ora • Condizionamento: no • Riscaldamento: non necessario • Impianto telefonico: sì, con allacciamento alla linea tele fonica di servizio • Diffusione sonora: sì • Impianto orologi: non necessario • Spegnimento incendi: sì, con apparecchi portatili • Rilevazione incendi: sì, sensibile ai fumi • Emergenza trazione elettrica: no
1.5. Dimensionamento • Altezza minima: • Dimensioni planimetriche:
2.5. Dimensionamento • Dimensioni planimetriche:
3m per fermate (sprovviste di deviatoi) 5x6 m circa, mentre per stazioni provviste di un massimo di quattro deviatoi semplici, 5x11 m circa. Maggiorazione di 0,5 mq per ogni deviatoio semplice in più.
1.6. Caratteristiche tecnologiche edilizie • Porte: a tenuta 3. LOCALE TELECOMUNICAZIONI
2.6. Caratteristiche teconologiche edilizie • Porte: a tenuta 4. LOCALE PER CENTRALE TELECOMUNICAZIONI
3.1. Definizione Locale destinato agli impianti di stazione per le telecomunicazioni (telefoni, radiotelefono terra-treno, T.V., diffusione sonora, orologi).
4.1. Definizione Locale destinato alle centrali degli impianti di telecomunicazioni, apparecchiature di selezione, commutazione, giunzione, permutazione degli impianti telefonici e del pannello del posto operatore.
3.2. Ubicazione Non presenta particolari esigenze.
4.2. Ubicazione Non presenta particolari esigenze.
3.3. Accessibilità Possibilmente indiretta.
4.3. Accessibilità Indiretta.
3.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: no • Illuminazione: sì, con illuminamento di 100 lux, maggiorato opportunamente in corrispondenza dei punti di lavoro principali • Circolazione dell'aria: con ventilazione forzata in sovrappressione tale da garantire almeno 5 ricambi d'aria ogni ora • Condizionamento: no • Riscaldamento: non necessario • Impianto telefonico: sì, con allacciamento alla linea telefonica di servizio • Diffusione sonora: sì • Impianto orologi: non necessario • Spegnimento incendi: sì, con apparecchi portatili • Rilevazione incendi: sì, sensibile ai fumi • Emergenza trazione elettrica: no
4.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: no • Illuminazione: sì, con illuminamento di 100 lux, maggiorato opportunamente in corrispondenza dei punti di lavoro principali • Circolazione dell'aria: con ventilazione forzata in sovrappressione tale da garantire almeno 5 ricambi d'aria ogni ora • Condizionamento: no • Riscaldamento: non necessario • Impianto telefonico: sì, con allacciamento alla linea telefonica presente sulla rete • Diffusione sonora: sì • Impianto orologi: non necessario • Spegnimento incendi: sì, con apparecchi portatili • Rilevazione incendi: sì, sensibile ai fumi • Emergenza trazione elettrica: no
3.5. Dimensionamento • Dimensioni planimetriche:
4.5. Dimensionamento In funzione del numero di utenti, delle giunzioni del tipo di centrale (satellite o di coordinamento), dell'ingombro delle apparecchiature di tipo elettromeccanico o elettronico.
minime consigliate pari a 3x5 m
3.6. Caratteristiche teconologiche edilizie • Porte: a tenuta
B 50
minime consigliate pari a 3x2,50 m
4.6. Caratteristiche tecnologiche edilizie • Porte: a tenuta.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STAZIONI DELLA METROPOLITANA
B.2. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
5. LOCALE PER DIRIGENZA LOCALE DEL MOVIMENTO
6.POSTO PER AGENTE DI STAZIONE
5.1. Definizione Locale per il comando e il controllo del movimento treni.
6.1. Definizione Posto per la sorveglianza del traffico nell'ambito delle stazioni, per il comando di alcune apparecchiature e per il controllo del corretto funzionamento di impianti di stazione.
5.2. Ubicazione Presente in tutte le stazioni dove esistono quadri e banchi di comando per deviatoi. Può essere posizionato sia al piano banchina sia a un piano diverso in posizione che permetta facile accessibilità alle banchine. Va posto accanto al locale segnalamento.
6.2. Ubicazione Generalmente nell'atrio, in prossimità della linea di controllo.
5.3. Accessibilità Normalmente indiretta.
6.3. Accessibilità Diretta.
5.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: no • Illuminazione: sì, con illuminamento di 100 lux, regolabile in funzione di una corretta lettura delle informazioni riportate sul quadro e sul banco • Circolazione dell'aria: con ventilazione forzata in sovrappressione tale da garantire almeno 5 ricambi d'aria ogni ora. • Condizionamento: sì, per locali normalmente presenziati. Evitare prese d'aria al piano banchine • Riscaldamento: non necessario • Impianto telefonico: si, con allacciamento alla linea telefonica di movimento, di servizio e di emergenza • Diffusione sonora: sì, in ricezione ed emissione • Impianto orologi: sì • Spegnimento incendi: sì, con apparecchi portatili • Rilevazione incendi: sì, sensibile ai fumi • Emergenza trazione elettrica: sì
6.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: no • Illuminazione: sì, con illuminamento di 100 lux, in modo tale da non produrre riflessi sul banco • Circolazione dell'aria: con areazione naturale, integrabile con una di tipo forzato • Condizionamento: non necessario • Riscaldamento: sì • Impianto telefonico: sì, con allacciamento alla linea telefonica di movimento e di servizio • Diffusione sonora: sì, in ricezione ed emissione • Impianto orologi: non necessario • Spegnimento incendi: sì, con apparecchi portatili all'interno o nelle immediate vicinanze • Rilevazione incendi: non necessario • Emergenza trazione elettrica: sì
5.5. Dimensionamento • Altezza minima: • Dimensioni planimetriche:
6.5. Dimensionamento • Altezza minima: • Dimensioni planimetriche:
2,50 m in funzione degli ingombri delle apparecchiature che deve contenere. Pari a 15-20 mq al netto di eventuale disimpegno
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
2,10 m in funzione dell'ingombro delle apparecchiature da installare, tali da garantire almeno 1,6 mq di superficie libera per l'agente, maggiorata adeguatamente nel caso di possibile presenza di più agenti.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
NORMA UNIFER 18.09 – PARTE III – LOCALI PER FORNITURA E CONTROLLO ENERGIA ELETTRICA 1. CABINA ELETTRICA DI TRASFORMAZIONE CON TRASFORMATORI A SECCO
2. CABINA ELETTRICA DI TRASFORMAZIONE CON TRASFORMATORI IN OLIO
1.1. Definizione Locale destinato al contenimento delle apparecchiature di trasformazione, per l'alimentazione degli impianti di stazione, con trasformatori a secco.
2.1. Definizione Locale destinato al contenimento delle apparecchiature di trasformazione, per l'alimentazione degli impianti di stazione, con trasformatori a olio.
1.2. Ubicazione In posizione raggiungibile con le apparecchiature e baricentrica rispetto agli enti da alimentare.
2.2. Ubicazione In posizione raggiungibile con le apparecchiature e baricentrica rispetto agli enti da alimentare.
1.3. Accessibilità Di massima con accesso indiretto.
2.3. Accessibilità Indiretta.
1.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: no • Illuminazione: sì, con illuminamento di 100 lux, maggiorato opportunamente in corrispondenza dei punti di lavoro principali • Circolazione dell'aria: con ventilazione forzata in sovrappressione atta a smaltire il calore prodotto dalle apparecchiature e a garantire 5 ricambi d'aria ogni ora • Condizionamento: no • Riscaldamento: no • Impianto telefonico: sì, con allacciamento alla linea telefonica di servizio. • Diffusione sonora: sì • Impianto orologi: no • Spegnimento incendi: sì, con apparecchi portatili • Rilevazione incendi: sì, sensibile ai fumi • Emergenza trazione elettrica: no
2.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: no • Illuminazione: sì, con illuminamento di 100 lux, maggiorato opportunamente in corrispondenza dei punti di lavoro principali • Circolazione dell'aria: 5 ricambi d'aria ogni ora. Vanno inserite serrande tagliafuoco nel canale di mandata dell'aria e in quello di espulsione dei fumi • Condizionamento: no • Riscaldamento: no • Impianto telefonico: sì con allacciamento alla linea telefonica di servizio • Diffusione sonora: si • Impianto orologi: no • Spegnimento incendi: sì di tipo fisso e automatico. • Rilevazione incendi: sì per rilevazione fumo e fiamma • Emergenza trazione elettrica: no
1.5. Dimensionamento • Altezza minima: • Dimensioni planimetriche:
2.5. Dimensionamento • Altezza minima: • Dimensioni planimetriche:
1.6. Caratteristiche tecnologiche edilizie • Porte: a tenuta, con apertura verso l'esterno. Per l'accesso principale le dimensioni minime devono essere almeno 1,50 x 2,50 m • Pavimentazione: sovraccarico minimo su pavimento: 15 KN/mq
I ED PRE NISM ORGA
URB
5.6. Caratteristiche teconologiche edilizie • Porte: a tenuta • Pavimentazione: atta a contenere e ispezionare i cavi
3m in funzione delle apparecchiature installate, tali che l'area occupata dalle stesse non deve superare il 50% del totale. Per potenze fino a 500 KVA: 5x7 m
B.STAZIONI DILEGIZLII
3m in funzione delle apparecchiature installate, tali che l'area occupata dalle stesse non deve superare il 50% del totale. Per potenze fino a 500 KVA: 5x8 m
2.6. Caratteristiche teconologiche edilizie • Pareti: costituite da muri tagliafuoco • Porte: tagliafuoco, a tenuta con apertura verso l'esterno. Per l'accesso principale le dimensioni devono essere almeno 1,50x2,50 m • Pavimentazione: predisposta per la raccolta dell'olio. Sovraccarico min.:15 KN/mq.
➥
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. B.2.2 NI DELLA STAZIOPOLITANA O METR
B 51
B.2. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STAZIONI DELLA METROPOLITANA
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
➦ SCHEDE ESTRATTE DALLA NORMA UNIFER 18.09 ➦
NORMA UNIFER 18.09 – PARTE III – LOCALI PER FORNITURA E CONTROLLO ENERGIA ELETTRICA
3. LOCALE QUADRI ELETTRICI
4. LOCALE BATTERIE DI ACCUMULATORI
3.1. Definizione Locale di contenimento dei quadri per la distribuzione e il controllo dell'energia elettrica a bassa tensione per gli impianti di stazione e di galleria.
4.1. Definizione Locale destinato al contenimento e ricarica delle batterie di accumulatori elettrici utilizzate dagli impianti di telecomunicazioni, emergenza o altri.
3.2. Ubicazione Possibilmente contiguo al locale cabina elettrica di trasformazione.
4.2. Ubicazione Possibilmente nelle vicinanze dei locali degli impianti utilizzatori e vicino ai pozzi di areazione.
3.3. Accessibilità Possibilmente indiretta.
4.3. Accessibilità Preferibilmente indiretta.
3.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: no • Illuminazione: sì, con illuminamento di 100 lux, maggiorato opportunamente in corrispondenza dei punti di lavoro principali • Circolazione dell'aria: con ventilazione forzata in sovrappressione tale da garantire almeno 5 ricambi d'aria ogni ora • Condizionamento: no • Riscaldamento: non necessario • Impianto telefonico: sì, con allacciamento alla linea telefonica di servizio • Diffusione sonora: sì • Impianto orologi: non necessario • Spegnimento incendi: sì, con apparecchi portatili • Rilevazione incendi: sì, sensibile ai fumi • Emergenza trazione elettrica: sì
4.4. Dotazione di impianti e attrezzature. • Impianto idraulico: sì, scarico a pavimento in vicinanza della porta, rubinetto dell'acqua nel locale o nelle immediate vicinanze sì, con impianto norma CEI n.21.6 e illuminamento di 100 lux • Illuminazione: • Circolazione dell'aria: con areazione naturale, integrabile con impianto di aspirazione • Condizionamento: necessario se impossibile limitare a 40°C la temperatura dell'ambiente. • Riscaldamento: no • Impianto telefonico: no • Diffusione sonora: no • Impianto orologi: no • Spegnimento incendi: non necessario • Rilevazione incendi: non necessario • Emergenza trazione elettrica: no
3.5. Dimensionamento • Dimensioni planimetriche:
4.5. Dimensionamento Secondo le norme CEI ed ENPI.
per una potenza distribuita fino a 200 KVA: 20 mq.
3.6. Caratteristiche tecnologiche edilizie • Porte: a tenuta, con dimensioni minime pari a 1,50 x 2,50 m.
4.6. Caratteristiche tecnologiche edilizie • Pareti: con rivestimento anticorrosivo • Porte: metalliche, con trattamento anticorrosivo e soglia con canaletta per raccolta liquidi. anticorrosiva. Usare una pendenza atta a garantire un rapido • Pavimentaz.: smaltimento dei liquidi. Sovracc. min. su pavim.: 10 KN/mq.
5. CABINA ELETTRICA DI TRASFORMAZIONE CON TRASFORMATORI IN OLIO
6. LOCALE CONTATORI PER ENERGIA ELETTRICA
5.1. Definizione Locale adibito al contenimento del gruppo elettrogeno composto da macchine elettriche ed endotermiche con o senza volano per l'alimentazione dei servizi di emergenza delle stazioni.
6.1. Definizione Locale o vano destinato a contenere i contatori dell'energia elettrica.
5.2. Ubicazione Possibilmente in superficie o facilmente raggiungibile dall'esterno con le apparecchiature. Se il generatore prevede l'installazione di un serbatoio ausiliario per il combustibile di capacità superiore a 70 l., questo dovrà essere installato in un locale separato, in conformità alle norme di sicurezza. Ove possibile il pavimento del locale deve poggiare direttamente sul terreno.
6.2. Ubicazione Possibilmente in prossimità delle maggiori utenze. Per poche utenze è consigliato un vano a muro o un apposito armadio.
5.3. Accessibilità Indiretta.
6.3. Accessibilità Diretta o indiretta.
5.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: no • Illuminazione: sì, con illuminamento di 100 lux. sì, con ventilazione forzata atta a smaltire il calore prodotto. • Circolazione dell'aria: Occorre prevedere uno scarico proprio munito di silenziatore, per la fuoriuscita all'esterno dei gas combustibili • Condizionamento: no • Riscaldamento: non necessario • Impianto telefonico: sì, con allacciamento alla linea telefonica di servizio • Diffusione sonora: sì • Impianto orologi: no • Spegnimento incendi: sì, con apparecchi portatili • Rilevazione incendi: sì, sensibile a fiamme e fumi • Emergenza trazione elettrica: no
6.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: no • Illuminazione: sì, con illuminamento di 50 lux • Circolazione dell'aria: areazione naturale • Condizionamento: no • Riscaldamento: no • Impianto telefonico: no • Diffusione sonora: no • Impianto orologi: no • Spegnimento incendi: no • Rilevazione incendi: non necessario • Emergenza trazione elettrica: no
5.5. Dimensionamento • Alt. minima:
6.5. Dimensionamento In funzione del numero dei contatori e del tipo di soluzione adottata per l'ubicazione.
• Dimen. plan.:
3 m. Ove non esistano oneri gravosi è consigliabile garantire un franco di 1,5 m sopra il massimo ingombro delle apparecchiature. in funzione della potenza del gruppo elettrogeno, tali da assicurare su un fianco uno spazio libero con larghezza pari a quella massima di ingombro del gruppo stesso, e sui restanti un franco libero di 1 m. Per gruppo elettrogeno della potenza di 100 KVA sono previsti locali di ca. 30 mq senza volano e di ca. 40 mq con volano.
5.6. Caratteristiche teconologiche edilizie • Pareti: tagliafuoco • Porte: a tenuta • Pavimentaz.: anticorrosiva e adatta alla raccolta dell'olio. Adottare provvedimenti atti a ridurre la trasmissione delle vibrazioni. Sovraccarico su pavimento in relazione al tipo di apparecchiature impiegate.
B 52
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STAZIONI DELLA METROPOLITANA
B.2. 2. A.ZIONI
NORMA UNIFER 18.09 – PARTE IV – LOCALI DI VENTILAZIONE E PER IMPIANTI IDRICI E TERMICI 1. LOCALE VENTILATORI 1.1. Definizione Locale destinato a contenere le apparecchiature per la ventilazione delle zone aperte al pubblico (atrio, banchine, corridoi, sale), dei locali di servizio o eventualmente di entrambi.
2. LOCALE CONTATORI E DISTRIBUZIONE ACQUA
3. LOCALE RACCOLTA E SOLLEVAMENTO ACQUE
2.1. Definizione Locale o vano destinato a contenere i contatori dell'acqua e gli organi di distribuzione agli utilizzatori.
3.1. Definizione Locale destinato a raccogliere le acque di scarico e a ospitare le relative apparecchiature di sollevamento. È opportuno che nell'ambito di ogni stazione siano previsti locali e impianti differenziati per le acque di scarico dei servizi igeinici e per le altre acque (di lavaggio, di drenaggio, di infiltrazione, di spegnimento incendi).
4.1. Definizione Locale destinato ad accogliere le apparecchiature per la produzione di calore.
4. CENTRALE TERMICA
4.2. Ubicazione Nell'ambito o in prossimità delle stazioni dove è richiesta l'utilizzazione di calore; preferibilmente in superficie.
1.3. Accessibilità Preferibilmente indiretta nel caso di locali con gruppi di ventilazione di grande portata che mantengono l'ambiente con un salto di pressione rispetto all'esterno.
2.3. Accessibilità Diretta o indiretta.
3.3. Accessibilità Preferibilmente indiretta.
4.3. Accessibilità Diretta dall'esterno o attraverso un disimpegno costituito da uno spazio adeguato a cielo aperto, e comunque nel rispetto della legislazione vigente.
1.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: scarico a pavimento, rubinetto e vasca per il lavaggio filtri se necessario • Illuminazione: sì, con illuminamento di 100 lux • Circolazione dell'aria: secondo il tipo di impianto • Condizionamento: no • Riscaldamento: no • Impianto telefonico: non necessario • Diffusione sonora: no • Impianto orologi: no • Spegnimento incendi: sì, con apparecchi portatili all'interno o nelle immediate vicinanze • Rilevazione incendi: sì, sensibile ai fumi • Emergenza trazione elettrica: no
2.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: scarico a pavimento • Illuminazione: sì, con illuminamento di 50 lux • Circolaz. dell'aria: areazione naturale, almeno 5 ricambi d'aria ogni ora • Condizionamento: no • Riscaldamento: no • Impianto telefonico: no • Diffusione sonora: no • Impianto orologi: no • Spegnimento incendi: no • Rilevazione incendi: no • Emergenza trazione elettrica: no
3.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: sì. Per quanto riguarda lo scarico delle acque nella rete fognaria o altrove, devono essere rispettate la legislazione e la normativa vigenti. • Illuminazione: sì, con illuminamento di 100 lux nei locali ove sono installate le apparecchiature di sollevamento. • Circolaz. dell'aria: tale da garantire almeno 3 ricambi d'aria ogni ora, con areazione naturale o forzata. • Condizionamento: no • Riscaldamento: no • Impianto telefonico: no • Diffusione sonora: no • Impianto orologi: no • Spegnimento incendi: no • Rilevazione incendi: no • Emergenza trazione elettrica: no
4.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: sì. • Illuminazione: sì, con illuminamento di 100 lux. • Circolazione dell'aria: con areazione naturale in collegamento diretto con l'esterno. Le prese di areazione devono essere su pareti esterne di contorno, dimensionate in funzione della potenzialità dei generatori di calore; si consiglia che dette prese non prospettino su zone di passaggio al pubblico. • Condizionamento: no. • Riscaldamento: no. • Impianto telefonico: non necessario. • Diffusione sonora: no. • Impianto orologi: no. • Spegnimento incendi: sì, con apparecchi portatili. • Rilevazione incendi: sì, per rilevazione di fiamma e controllo di temperatura. • Emergenza trazione elettrica: no.
1.6. Caratteristiche tecnologiche edilizie • Porte: a tenuta, nel caso di locale funzionante in pressione o depressione (plenum).
3.6. Caratteristiche tecnologiche edilizie Locali adibiti ad accogliere apparecchiature di sollevamento acque: • Porte o grigliati: resistenti alla corrosione. • Pavimentazione: con pozzetto di raccolta delle acque durante le operazioni di manutenzione. Sovraccarico minimo su pavimento: 5 JN/mq, salvo le zone a carichi concentrati. Vasca di aggrottamento: • Pareti: a tenuta d'acqua e resistenti alla corrosione. • Grigliati: resistenti alla corrosione. • Pavimentazione: a tenuta d'acqua e resistente alla corrosione, con pozzetto di raccolta delle acque.
C.RCIZIO
PRO TTURALE STRU
3.2. Ubicazione Possibilmente adiacente ai pozzi di comunicazione con l'esterno e a quota inferiore ai punti di scarico.
3.5. Dimensionamento In funzione della quantità delle acque da raccogliere e delle caratteristiche generali dell'impianto. Indicativamente: • nel caso di presenza di vasca di raccolta e pompe di sollevamento: min. 3x3 m e h. 4,50 m • nel caso di apparecchiature pneumatiche a contenitori stagni: 3x3 m e h. 2,50
I ED PRE NISM ORGA
D.GETTAZIONE
2.2. Ubicazione In prossimità dell'ingresso delle condotte principali. Per poche utenze è consigliato un vano a muro o un apposito armadio.
2.5. Dimensionamento In funzione del numero dei contatori e degli organi di distribuzione.
B.STAZIONI DILEGIZLII
E ESE ESSIONAL PROF
1.2. Ubicazione In funzione del tipo di impianto previsto, della profondità della stazione e del numero e posizione dei locali richiedenti ventilazione forzata.
1.5. Dimensionamento • Altezza minima: 2,50 m • Dimensioni planimetriche: in funzione della potenzialità dell'impianto, del tipo di ventilatore del sistema di ricambio dei filtri e delle apparecchiature di insonorizzazione. Bisogna però che attorno alle apparecchiature siano lasciate delle distanze minime dalle pareti: di 1,50 m dalla parte del motore, e di 1 m sugli altri lati dove sia previsto di dover operare verifiche o manutenzioni.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
4.5. Dimensionamento • Altezza minima: 2,50 m va prevista una soglia rialzata di 20 cm rispetto al piano di calpestio • Dimensioni planimetriche: 6 mq per potenze sino a 350 KW.
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
4.6. Caratteristiche tecnologiche edilizie • Pareti: tagliafuoco. Almeno una superficie di contorno deve essere a contatto con l'esterno. • Porte: tagliafuoco. • Pavimentazione: predisposta per la raccolta dell'olio e impermeabile sino alla quota della soglia. Sovraccarico su pavimento: in relazione al peso delle apparecchiature.
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. B.2.2 NI DELLA STAZIOPOLITANA O METR
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B.2. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STAZIONI DELLA METROPOLITANA
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
➦ SCHEDE ESTRATTE DALLA NORMA UNIFER 18.09 NORMA UNIFER 18.09 – PARTE V – LOCALI PER IMPIANTI DI SOLLEVAMENTO PERSONE 1. LOCALE MACCHINE PER ASCENSORI
2. LOCALE MOTORI SCALE MOBILI
1.1. Definizione Locale adibito al contenimento dei motori e delle apparecchiature di comando degli ascensori.
2.1. Definizione Locale adibito al contenimento dell'apparecchiatura di trazione della scala mobile quando questa non sia incorporata nella scala stessa, come generalmente si ha per dislivelli maggiori di 8 m.
1.2. Ubicazione In generale per gli ascensori di tipo elettrico il locale è posto in corrispondenza della parte superiore del vano ascensori, per quelli ad azionamento idraulico in prossimità della parte inferiore. Nell'eventualità che il locale macchine per ascensori di tipo elettrico venga posto nella parte inferiore, deve essere previsto un opportuno vano superiore destinato ai meccanismi di rinvio.
2.2. Ubicazione In corrispondenza della testata alta della scala mobile e sottostante la scala stessa.
1.3. Accessibilità Diretta o indiretta.
2.3. Accessibilità Possibilmente con porta laterale o, altrimenti, con botola.
1.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: è opportuna la presenza di un lavabo nel locale o nelle immediate vicinanze. • Illuminazione: sì, con illuminamento di 100 lux. • Circolazione dell'aria: areazione naturale o forzata, se necessario. • Condizionamento: no. • Riscaldamento: no. • Impianto telefonico: non necessario. • Diffusione sonora: no. • Impianto orologi: no. • Spegnimento incendi: sì, con apparecchi portatili. • Rilevazione incendi: sì, sensibile ai fumi. • Emergenza trazione elettrica: no.
2.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: non necessario. • Illuminazione: sì, con illuminamento di 100 lux. • Circolazione dell'aria: areazione naturale o forzata, se necessario. • Condizionamento: no. • Riscaldamento: no. • Impianto telefonico: non necessario. • Diffusione sonora: no. • Impianto orologi: no. • Spegnimento incendi: sì, con apparecchi portatili. • Rilevazione incendi: sì, sensibile ai fumi. • Emergenza trazione elettrica: no.
1.5. Dimensionamento • Altezza minima: • Dimensioni planimetriche:
2.5. Dimensionamento • Altezza minima: • Dimensioni planimetriche:
2 m. in funzione della portata dell'impianto. Deve essere lasciato uno spazio minimo di 1 m sul fronte del quadro e di 0,60 m sui lati delle apparecchiature dove sia previsto operare manutenzioni. Indicativamente per impianti con cabine fino a 6 persone si possono considerare: per impianto singolo 2x3 m e per impianto doppio 4x3 m.
1.6. Caratteristiche tecnologiche edilizie • Pavimentazione: predisposta per la raccolta dell'olio per impianti ad azionamento idraulico. Sovraccarico su pavimento: in rapporto al tipo di impianto.
2 m. in funzione della potenza e del numero dei motori. Deve essere lasciato uno spazio minimo di 1 m sul fronte del quadro e di 0,60 m sui lati delle apparecchiature dove sia previsto operare manutenzioni.
2.6. Caratteristiche tecnologiche edilizie • Porta o botola: in ferro. • Pavimentazione: sovraccarico su pavimento: in relazione al tipo di impianto.
NORMA UNIFER 18.09 – PARTE VI – LOCALI DI SERVIZIO PER IL PUBBLICO 1. LOCALI COMMERCIALI (NEGOZI, BAR, EDICOLE VENDITA BIGLIETTI)
2. SERVIZI IGIENICI PER IL PUBBLICO
1.1. Definizione • Negozio: • Bar:
2.1. Definizione Complesso di vani normalmente presenziato adibito a servizi igienici per il pubblico.
• Edicola: • Vendita biglietti:
locale commerciale per la vendita di generi vari. locale adibito alla vendita e consumo di bevande e generi di tavola calda e fredda. locale adibito alla vendita di stampa periodica e quotidiana e eventualmente, anche di documenti di viaggio. locale atto a contenere personale adibito alla vendita ordinaria o straordinaria dei biglietti.
1.2. Ubicazione Presenti nelle stazioni, secondo quanto ritenuto necessario, al di fuori della linea di controllo e in posizioni tali da non ostacolare le funzionalità della stazione.
2.2. Ubicazione Prima della linea di controllo.
1.3. Accessibilità Diretta.
2.3. Accessibilità Tramite un atrio presenziato.
1.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: sì, se opportuno per il tipo di locale. • Illuminazione: sì con illuminamento di 100 lux. • Circolazione dell'aria: naturale o forzata. • Condizionamento: non necessario. • Riscaldamento: non necessario. • Impianto telefonico: non necessario. • Diffusione sonora: no. • Impianto orologi: no. • Spegnimento incendi: sì con apparecchi portatili o fissi. Per bar e negozi è opportuno l'uso di impianti automatici di spegnimento a pioggia. • Rilevazione incendi: sì. • Emergenza trazione elettrica: no.
2.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: sì, con prese d'acqua per lavaggio locale. • Illuminazione: sì, con illuminamento di 100 lux. • Circolazione dell'aria: ventilazione forzata in depressione, che assicuri almeno 10 ricambi d'aria ogni ora. • Condizionamento: non necessario. • Riscaldamento: non necessario. • Impianto telefonico: no. • Diffusione sonora: no. • Impianto orologi: no. • Spegnimento incendi: no. • Rilevazione incendi: no. • Emergenza trazione elettrica: no.
1.5. Dimensionamento Secondo l'impiego.
2.5. Dimensionamento Dimensioni planimetriche:
in funzione ddel numero degli utenti previsti. In condizioni normali: circa 45 mq, comprensivi dell'atrio e di 2 WC per uomini e 2 WC per donne, di cui almeno uno per il tipo di 1,80x1,80.
2.6. Caratteristiche tecnologiche edilizie • Pareti: piastrellate per un'altezza di 2 m.
B 54
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STAZIONI DELLA METROPOLITANA
B.2. 2. A.ZIONI
NORMA UNIFER 18.09 – PARTE VII – LOCALI PER IL PERSONALE E PER SERVIZI DIVERSI 1. LOCALE ATTESA PERSONALE DI MOVIMENTO E LOCALI VARI PRESENZIATI DA PERSONALE
2. SERVIZI IGIENICI E SPOGLIATOI PER IL PERSONALE
3. REFETTORIO
1.1. Definizione 2.1. Definizione 3.1. Definizione Locali destinati all'attesa del personale di movimento nelle Locale destinato a servizi igienici ed eventualmente spo- Locale destinato al consumo dei pasti del personale. stazioni di presentazione o cambio e all'accoglimento, gene- gliatoi a uso del personale. ralmente in via continuativa, di personale fisso o avvicendato (ad esempio locale d'ufficio, locale per riparazioni, ecc.). 1.2. Ubicazione I locali attesa personale di movimento vanno previsti possibilmente in prossimità del locale Dirigente al Movimento, se presente nella stazione. Gli altri locali, preferibilmente da porsi fuori terra, vanno disposti secondo necessità.
2.2. Ubicazione 3.2. Ubicazione Per i servizi igienici in tutte le stazioni, al piano mezzanino o Secondo le esigenze organizzative, preferibilmente fuori banchine, possibilmente in vicinanza ai locali presenziati da terra. personale. Per gli spogliatoi secondo necessità.
1.3. Accessibilità –
2.3. Accessibilità Possibilmente indiretta.
3.3. Accessibilità Possibilmente indiretta.
1.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: secondo l'impiego del locale • Illuminazione: sì, con illuminamento di 100 lux. • Circolazione dell'aria: se il locale è interrato, con ventilazione forzata e almeno 5 ricambi d'aria ogni ora. • Condizionamento: necessario solo nel caso in cui si preveda la permanenza di personale fisso. • Riscaldamento: secondo l'impiego del locale. • Impianto telefonico: sì, con allacciamento alla linea telefonica di servizio. • Diffusione sonora: per il locale attesa personale di movimento; per gli altri locali secondo l'impiego. • Impianto orologi: per il locale attesa personale di movimento; per gli altri locali secondo l'impiego. • Spegnimento incendi: sì, con apparecchi portatili • Rilevazione incendi: in funzione dell'uso. • Emergenza trazione elettrica: no.
2.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: sì, con prese d'acqua per lavaggio locale. • Illuminazione: sì, con illuminamento di 100 lux. • Circolazione dell'aria: con areazione naturale e eventualmente forzata in aspirazione, tale da garantire almeno 5 ricambi d'aria ogni ora. • Condizionamento: no. • Riscaldamento: secondo l'impiego del locale. • Impianto telefonico: no. • Diffusione sonora: no. • Impianto orologi: no. • Spegnimento incendi: no. • Rilevazione incendi: no. • Emergenza trazione elettrica: no.
3.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: sì. • Illuminazione: sì, con illuminamento di 100 lux. • Circolazione dell'aria: con areazione naturale o eventualmente forzata in aspirazione tale da garantire almeno 5 ricambi d'aria ogni ora. • Condizionamento: non necessario. • Riscaldamento: sì. • Impianto telefonico: non necessario. • Diffusione sonora: non necessaria. • Impianto orologi: non necessario. • Spegnimento incendi: sì, con apparecchi portatili. • Rilevazione incendi: non necessario. • Emergenza trazione elettrica: sì.
1.5. Dimensionamento • Dimensioni planimetriche: in funzione del numero delle persone, delle attrezzature e dei materiali da contenere.
2.5. Dimensionamento 3.5. Dimensionamento In funzione del numero e del tipo delle apparecchiature idro- In funzione del numero di persone da cui si prevede vensanitarie. Il vano dei servizi deve comunque essere separato ga frequentato. a tutta altezza dal vano antistante (atrio o spogliatoio). 2.6. Caratteristiche teconologiche edilizie • Pareti: piastrellate per un'altezza di 2 m.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
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CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
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ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
NORMA UNIFER 18.09 – PARTE VIII – VANI ACCESSORI 1. VANI DIVERSI ACCESSIBILI E PRATICABILI
2. POZZO DI COMUNICAZIONE CON L’ESTERNO
1.1. Definizione Vani accessibili e praticabili, quali intercapedini, cunicoli, sottobanchine, cantinati, sottoscala e altri simili, utilizzati per la distribuzione di cavi, tubazioni, condotte d'aria o per impieghi vari.
2.1. Definizione 3.1. Definizione Manufatto atto a garantire una comunicazione diretta fra l'esterno Locale generalmente destinato a deposito (saltuario o e i livelli sotterranei delle stazioni, allo scopo di permettere una ade- continuativo) di attrezzature o materiali. guata areazione degli ambienti e locali di stazione, oppure il passaggio di materiali ingombranti o eventualmente di persone.
1.2. Ubicazione 2.2. Ubicazione In funzione delle esigenze degli impianti, per quelli previsti In relazione al tipo di utilizzazione. in sede di progetto; ove disponibile, per quelli di risulta.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
3. LOCALE DEPOSITO MATERIALE VARIO
3.2. Ubicazione Ove possibile.
1.3. Accessibilità 2.3. Accessibilità 3.3. Accessibilità Diretta o indiretta secondo i casi. Per i cunicoli lunghi più Diretta dalla superficie esterna; senza accessi diretti dagli ambien- Diretta o indiretta. ti aperti al pubblico delle stazioni. Vanno previsti opportuni accordi 20 m è opportuno prevedere più di un accesso. gimenti per evitare l'accessibilità di persone non di servizio e l'immissione accidentale dall'esterno di liquidi pericolosi. 1.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: scarico per acque di infiltrazione, se necess.. • Illuminazione: sì, con illum. adeguato al tipo di utilizzazione. • Circolazione dell'aria: con areazione naturale o eventualmente forzata in relazione al tipo di utilizzazione. • Condizionamento: no. • Riscaldamento: no. • Impianto telefonico: no. • Diffusione sonora: no. • Impianto orologi: no. • Spegnimento incendi: in funzione dell'uso. • Rilevazione incendi: in funzione dell'uso. • Emergenza trazione elettrica: no.
2.4. Dotazione di impianti e attrezzature Di norma è da prevedere la sola dotazione relativa agli impianti per cui il pozzo è destinato, oltre a un sistema di raccolta e smaltimento delle acque. Ove fosse previsto il passaggio di persone, il pozzo deve essere opportunamente attrezzato e illuminato.
3.4. Dotazione di impianti e attrezzature • Impianto idraulico: non necessario. • Illuminazione: sì, con illuminamento di 50 lux. • Circolazione dell'aria: in funzione dell'impiego. • Condizionamento: no. • Riscaldamento: no. • Impianto telefonico: in funzione della destinazione del deposito. • Diffusione sonora: no. • Impianto orologi: no. • Spegnimento incendi: secondo i materiali presenti. • Rilevazione incendi: secondo i materiali presenti. • Emergenza trazione elettrica: sì.
1.5. Dimensionamento In relazione al tipo di utilizzazione.
2.5. Dimensionamento In relazione alle singole esigenze.
1.6. Caratteristiche teconologiche edilizie Soffitto, porte e pavimentazione possono restare senza alcun particolare trattamento salvo esigenze specifiche per l'impiego previsto.
2.6. Caratteristiche teconologiche edilizie 3.6. Caratteristiche teconologiche edilizie Pareti e soffitto possono restare grezzi. Le dimensioni del- Sovraccarico su pavimento in funzione dell'impiego. le porte o grigliati, la pavimentazione e il sovraccarico vanno stabiliti in funzione dell'impiego.
ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
3.5. Dimensionamento In funzione dell'ingombro delle attrezzature e della destinazione del locale.
. B.2.2 NI DELLA STAZIOPOLITANA O METR
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B.2. 3.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STAZIONI DELLE AUTOLINEE
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
ATTIVITÀ DELLE STAZIONI DELLE AUTOLINEE E CRITERI DI LOCALIZZAZIONE SETTORI DI ATTIVITÀ DELLE STAZIONI DELLE AUTOLINEE Le stazioni delle autolinee devono rispondere alle esigenze essenziali dei passeggeri in partenza, in arrivo e in attesa, e devono regolare la circolazione e la sosta dei vettori, in riferimento ai flussi di transito e al ruolo che svolgono all’interno della rete di collegamenti nella quale sono inserite. In alcuni casi, se l’estensione dell’area disponibile lo consente (si veda il seguente “criteri di localizzazione”), nello stesso ambito spaziale e funzionale della stazione o in area contigua sono espletate anche le attività di deposito, manutenzione e riparazione dei vettori. Specificando, per le stazioni di maggiore importanza possono essere individuati i seguenti settori di attività: Settore destinato ai viaggiatori: • viaggiatori in partenza: atrio, biglietteria, informazioni, marciapiedi alla salita in autobus; • viaggiatori in arrivo: marciapidi di discesa, verso l’uscita; • viaggiatori e pubblico in attesa: sala d’attesa, spazi coperti d’attesa; • servizi integrativi al pubblico: servizi igienici, di ristoro, di deposito bagagli, piccole offerte commerciali. Settore delle attività di esercizio degli autobus: • percorso di accostamento e stalli degli autobus in arrivo; • percorso di svincolo e stalli degli autobus in partenza; • servizi integrativi al personale: servizi igienici e di ristoro, sala di riposo. Settore delle attività di ricovero, manutenzione e riparazione degli autobus: • deposito degli autobus, all’aperto, in aree coperte, in strutture chiuse (capannoni); • manutenzione, pulizia e lavaggio; • officine di riparazione; • postazione di rifornimento di carburante. Settore delle attività di gestione della stazione e delle società di trasporto: • direzione, amministrazione, contabilità della stazione; • uffici e postazioni delle società di trasporto; • controllo della circolazione; • gestione della manutenzione e delle officine.
Rappresentazione schematica delle attività e delle relazioni di una grande stazione delle autolinee è data in Fig. B.2.3./1. Le strutture minori, come sono le ‘fermate’ e le ‘fermate con scambio’ (si veda par. B.2.3.2.), si limitano a provvedere all’accostamento e allo svincolo degli autobus, alla predisposizione di un limitato numero di stalli e dei corrispondenti marciapiedi – eventualmente protetti da pensilina o tettoia – e alla collocazione di strutture minime di servizio, come: box per la biglietteria e le informazioni e nucleo di servizi igienici.
CRITERI DI LOCALIZZAZIONE DELLE STAZIONI DELLE AUTOLINEE Le stazioni delle autolinee, così come la rete dei collegamenti alla quale afferiscono, non possono essere considerate come strutture autonome, bensì quali componenti integrate nel complessivo sistema nazionale e internazionale del trasporto passeggeri. Pertanto criterio primario di localizzazione sarà quello della contiguità o, quantomeno, della connessione diretta, con i luoghi cruciali nei quali può avvenire lo scambio con gli altri sistemi di trasporto: stazioni ferroviarie, porti passeggeri, aereoporti, stazioni delle linee metropolitane e gangli della rete dei trasporti pubblici urbani. Altri criteri di localizzazione sono implicati dalle seguenti esigenze: • disponibilità delle aree di impianto necessarie per erogare le prestazioni essenziali, integrate da quelle per eventuali futuri ampliamenti e, possibilmente, dagli spazi necessari per il deposito, la manutenzione e la riparazione degli autobus; • agevole accessibilità dalla rete della viabilità urbana ed extraurbana; • salvaguardia della quiete e della salubrità delle zone residenziali. L’esigenza di localizzare le stazioni delle autolinee in prossimità di altri gangli nodali del sistema complessivo di trasporto – in genere ubicati in zone centrali delle città – contrapposta a quelle di disporre di ampie superfici di impianto e di ampliamento e della presenza di connessioni agevoli e dirette con la viabilità urbana ed extraurbana, riducono fortemente la disponibilità di aree idonee, costringendo spesso alla scelta di ambiti spaziali appena sufficienti ad assicurare le prestazioni essenziali richieste, con le seguenti conseguenze: • necessità di ricercare in altre zone le aree necessarie per il deposito, la manutenzione e la riparazione dei vettori; • necessità di ridurre al minomo indispensabile la superficie del piazzale, razionalizzando i percorsi di accesso, di uscita e di accostamento e selezionando tra le diverse configurazioni dei marciapiedi (o banchine) quelli che prospettano maggiore compattezza e minore impegno di spazi di manovra e di svincolo.
CRITERI DI CLASSIFICAZIONE DELLE STAZIONI DELLE AUTOLINEE Si può ordinare classificazioni delle stazioni delle autolinee in base ai seguenti criteri: • importanza rispetto all’estensione della rete delle linee e ai flussi di transito; • disposizione del settore viaggiatori rispetto all’accostamento degli autobus.
CLASSIFICAZIONE IN BASE AL RUOLO DELLA STAZIONE RISPETTO ALLA RETE E AI FLUSSI DI TRANSITO In riferimento al ruolo che svolgono rispetto alla rete dei collegamenti e in base ai flussi di transito di viaggiatori, si è soliti distinguere le stazioni degli autobus nelle seguenti classi. Fermata semplice Struttura minima, costituita da un ambito di accostamento dell’autobus, con sosta breve dei vettori limitata a permettere la salita e la discesa di una parte (ridotta) dei viaggiatori. La banchina di accostamento e carico può essere costituita semplicemente da una fascia di marciapiede (qualora la relativa ampiezza lo consenta), eventualmente protetta da tettoia o pensilina. È consigliabile che l’accostamento avvenga mediate corsia carrabile svincolata da quelle di transito ordinario dei veicoli. Non contempla la presenza di strutture fisse per i viaggiatori (i biglietti vengono contrattati a bordo o in punti vendita ospitati da esercizi vicini). Fermata con scambio tra più linee Strutture interessate dalla fermata di più linee (in numero limitato), attrezzata per consentire anche l’attesa dei viaggiatori che scambiano da una linea all’altra, mediante spazio di sosta preferibilmente chiuso, dotato di sedute, di servizi igienici e di personale o apparecchiature che possano fornire notizie sull’andamento delle corse. Nel caso frequente che lo scambio tra le linee avvenga in coincidenza d’orario, le banchine di accostamento dovranno essere dimensionate e configurate in modo da consentire la sosta contemporanea degli autobus interessati. Stazioni di transito delle autolinee Costituiscono una espansione dimensionale delle ‘fermate di scambio’, nel caso di compresenza, intersezione e scambio tra un numero maggiore di linee, in genere a diverso raggio di copertura territoriale: tra linee a lunga percorrenza (interurbane, interregionali) e linee locali (regionali); conseguentemente, le stazioni di transito talvolta possono costituire anche postazioni di origine e/o termine di corsa di alcune linee locali comportando anche la presenza nell’area o nelle vicinanze di strutture di ricovero e manutenzione degli autobus relativi a tali linee. Può risultare opportuno distinguere le banchine delle linee di testa (linee locali) da quelle delle linee di transito (linee a lunga percorrenza). Il numero e/o l’estensione delle banchine di accostamento deve essere calibrato sul numero delle linee e dei viaggiatori serviti. L’edificio viaggiatori si articola in spazi congrui a offrire una maggiore gamma di servizi, come sono: atrio, biblietteria, informazioni, sala d’attesa, servizi igienici, deposito
B 56
bagagli, eventualmente integrati da servizi di ristorazione (bar, ristorante) e piccole attività commerciali (giornalaio, tabaccaio, ecc.). Uno schema delle attività e delle relazioni di una stazione degli autobus di transito è dato in Fig. B.2.3./3B). Stazioni capolinea Strutture presenti nelle città maggiori o in centri urbani non serviti dalla rete ferroviaria. Svolgono quasi sempre funzioni di scambio tra linee a lunga percorrenza (interurbane, interregionali) e linee locali; costituiscono, quindi, origine e/o termine di corsa di alcune linee e comportano la presenza di strutture di ricovero e manutenzione del materiale rotabile. Il numero delle postazioni di accostamento e l’estensione delle banchine viene calibrato sui dati statistici di transito, di frequenza e di simultaneità degli arrivi e delle partenze. Per il trasbordo dei viaggiatori è necessario prevedere un numero adeguato di ampi marciapiedi coperti. L’edificio viaggiatori si articolerà per rispondere alle stesse esigenze e attività indicate per le Stazioni di transito, ma con incrementi dimensionali dettati dalla importanza della stazione e dalla eventuale estensione della gamma d’offerta commerciale e di servizi (strutture di accoglienza, agenzie di autonoleggio, agenzie bancarie, ecc.). In considerazione del ruolo organizzativo che svolgono le stazioni di testa richiedono anche spazi destinati agli uffici delle società di trasporto. Uno schema delle attività e delle relazioni di una stazione d’autobus capolinea è dato in Fig. B.2.3./3A).
CLASSIFICAZIONE IN BASE ALLA CONFIGURAZIONE DEL SETTORE VIAGGIATORI Per quanto attiene ai diversi tipi di configurazione e articolazione del settore viaggiatori (banchine) e degli stalli d’attracco, e in considerazione della commistione o della separazione dei flussi dei passeggeri in arrivo e in partenza, i piazzali delle stazioni delle autolinee possono essere distinti come segue (v. Fig. B.2.3./2.): Piazzali con banchine (marciapiedi) a flusso misto dei viaggiatori in arrivo e in partenza: • con banchina semplice: rettilinea, a scala, a denti di sega, a pettine (v. B.2.3./4.); • con banchine parallele, ognuna per un singolo stallo, senza corsia di svincolo; • con banchine parallele, ognuna per più stalli in linea, con corsia laterale di svincolo; • con banchina curva e stalli radiali. Piazzali con banchine (marciapiedi) a flussi separati dei passeggeri in arrivo e in partenza: • con banchina in linea, suddivisa in settori successivi separati per arrivi e partenze; • con banchina a ‘penisola’, con stalli d’arrivo e di partenza disposti sui fianchi opposti della banchina; • con banchina a ‘golfo’, con stalli d’arrivo e partenza disposti su fronti contrapposti.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STAZIONI DELLE AUTOLINEE
A.ZIONI
CONFIGURAZIONI DELLE BANCHINE (o marciapiedi) Le banchine, o marciapiedi, costituiscono il collegamento, in condizioni di sicurezza, tra l’edificio viaggiatori e le porte di accesso agli autobus. Come tali, devono assicurare: • Il flusso ordinato dei passeggeri in arrivo e in partenza, anche con carrelli per bagagli; • dimensioni e disposizione degli stalli degli autobus che consentano agevoli manovre di attracco e ripartenza, anche, se necessario, mediante gli spazi di svincolo necessari per superare altri vettori in sosta anteriormente e/o posteriormente.
Il marciapiede a pettine con banchine di carico e stalli ortogonali al marciapiede di testa , consente una buon tasso di utilizzazione del piazzale e una bassa media di percorso dei viaggiatori, ma richiede impegnative manovre di svincolo dei vettori. Le dimensioni dei marciapiedi sono determinate in base ai dati (fissi) relativi agli spazi di sosta degli autobus (stalli), al tipo di disposizione degli stalli (affiancati a pettine, affiancati a dente di sega, in sequenza rettilinea, in sequenza a scala) e in base alla densità dei viaggiatori, trai quali si richiamano:
In riferimento alle modalità di accostamento degli autobus e della disposizione degli ‘stalli’, i marciapiedi possono assumere le seguenti configurazioni (v. Fig. B.2.3./4.): • marciapiede rettilineo, con stalli in sequenza lineare; • marciapiede a scala, con stalli in sequenza sfalsata; • marciapiedi a dente di sega, con stalli disposti ad angolo variabile; • marciapiedi a pettine, con stalli in serie paralla.
• ingombro lordo di una postazione d’autobus (stallo), singola
= 350 x 1250 cm
• ingombro lordo di uno stallo interno a una sequenza
= 350 x 1700 cm
• ingombro lordo di uno stallo in una sequenza + svincolo
= 700 x 1700 cm
Il marciapiede rettilineo costituisce la soluzione di attracco degli autobus più semplice – in riferimento alla funzionalità e alla costruzione, e consente l’accesso dei passeggeri alla o alle porte dell’autobus comunque siano posizionate. Rappresenta una soluzione ottimale per le ‘fermate’ e per le ‘fermate di scambio’ a bassa contemporaneità di arrivi; in tutti gli altri casi richiede uno sviluppo longitudinale eccessivo, oltre a esigere ulteriore spazio per la corsia di svincolo dalla postazione di eventuali altri vettori in sosta. Il marciapiede a scala propone vantaggi e svantaggi analoghi a quello rettilineo, compreso l’eccessivo sviluppo logitudinale, ma consente operazioni di svincolo più semplici. Il marciapiede a dente di sega (a 30°, a 45°, a 60°) costituisce una delle configurazioni più utilizzate, in quanto riduce notevolmente le superfici di ‘piazzale’; di contro, richiede una manovra di parziale retromarcia in fase di svincolo degli autobus e consente accesso diretto dei viaggiatori solo a porte poste nella parte anteriore o centrale del vettore, con esclusione delle porte posteriori. In alcuni casi, per ovviare a tale limitazione, si sono prolungati i denti pedonali, ma questo ha comportato complicazioni delle manovre di svincolo e incremento delle superfici d’ingombro.
• superficie marciapiede in funzione della densità di passeggeri = n. viagg./3 mq • altezza marciapiede rispetto agli stalli di sosta degli autobus
= circa 20 cm
I marciapiedi che risultassero direttamente adiacenti all’edificio viaggiatori devono essere di ampiezza maggiore, in considerazione del transito relativo alla fruizione dei servizi ai quali danno accesso (ristoro, deposito bagagli, servizi igienici, ecc.). Il manto di pavimentazione dei marciapiedi deve risultare: • resistente all’intensa usura; • antisdrucciolo; • di semplice manutenzione (sostituzione di parti rotte o degradate); • agevolmente pulibile, anche con mezzi meccanici; • con pendenza 2%÷3% per facilitare lo scolo delle acque. I marciapiedi vengono protetti dalle intemperie mediante apposite ‘pensiline’, almeno in parte del loro sviluppo longitudinale, a esclusione delle semplici ‘fermate’ e dei casi di grandi stazioni protette da copertura unitaria e continua (che comunque dovrà assicurare la rapida evacuazione dall’alto dei gas di scarico). Le pensiline, oltre ad assicurare protezione dalle intemperie, devono provvedere: • alla raccolta e smaltimento delle acque meteoriche; • all’abbattimento del rumore provocato da pioggia e grandine; • alla protezione della parte bassa delle strutture dagli urti e dal vandalismo, mediante rivestimenti resistenti e di agevole pulizia e manutenzione.
PERCORSI AUTOBUS
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S FERMATA LINEE URBANE
TAXI
NEGOZI O CHIOSCHI
SERVIZI IGIENICI DIURNO
UFFICI
ATRIO
NEGOZI O CHIOSCHI
ARRIVI
RISTORO
PIAZZALE
BANCHINA
PARCHEGGI H
PERCORSI VIAGGIATORI
PARTENZE
ATTESA
MARCIAPIEDI (BANCHINE)
BIGLIETTI E INFO.
ARRIVI
EDIFICIO VIAGGIATORI
OFFICINA, PULIZIA, RIFORNIMENTO
LEGENDA
B.STAZIONI DILEGIZLII
ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE
AREA DI SCAMBIO ESTERNA
EDIFICIO VIAGGIATORI
AREA DI IMBARCO
PARTENZE
PIAZZALE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
FIG. B.2.3./1 SCHEMA DI AGGREGAZIONE DELLE UNITÀ FUNZIONALI E RELAZIONI AREA E STRUTTURE DI SUPPORTO TECNICO
B.2. 3.
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. B.2.3 NI E STAZIOAUTOLINE DELLE
B 57
B.2. 3.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STAZIONI DELLE AUTOLINEE
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
➦ CONFIGURAZIONI DELLE BANCHINE (o marciapiedi) FIG. B.2.3./2 RELAZIONI TRA EDIFICIO VIAGGIATORI E BANCHINE DI CARICAMENTO
A - SCHEMA A MARCIAPIEDE UNICO, CON SOSTE DI FIANCO O DI TESTA ARRIVI E PARTENZE MISTI O IN ZONE SUCCESSIVE
A/P
D - SCHEMA A BANCHINA RADIALE, CON SOSTE DI TESTA ARRIVI E PARTENZE MISTI
A/P
ACCOSTAMENTO DI FIANCO
A/P ACCOSTAMENTO DI TESTA
E - SCHEMA A BANCHINA UNICA 'A PENISOLA' ARRIVI E PARTENZE SUI DUE LATI OPPOSTI
B - SCHEMA A BANCHINE PARALLELE, SOLO PER "FERMATE" ARRIVI E PARTENZE MISTI, SENZA CORSIA DI SVINCOLO
LEGENDA A/P EDIFICIO VIAGGIATORI A/P BANCHINE (MARCIAPIEDI) A/P
PERCORSI VIAGGIATORI
C - SCHEMA A BANCHINE PARALLELE ARRIVI E PARTENZE MISTI, CON CORSIA DI SVINCOLO
A
P
A
P
A
PERCORSI AUTOBUS
A/P
A/P
P
A
ARRIVI
P
PARTENZE
A/P
ARRIVI E PARTENZE
F - SCHEMA A DUE BANCHINE DISPOSTE 'A GOLFO' ARRIVI E PARTENZE SU BANCHINE OPPOSTE
A/P
A/P
P
A
P
A
P
A
A/P
A/P
B 58
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STAZIONI DELLE AUTOLINEE
B.2. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.2.3./3 UNITÀ FUNZIONALI E SCHEMI DEI PERCORSI CARRABILI E PEDONALI
A. STAZIONE CAPOLINEA CON SERVIZI DI ASSISTENZA AI VEICOLI (ALTO NUMERO DI LINEE UNITA' FUNZIONALI E SCHEMA DEI PERCORSI CARRABILI E PEDONALI ASSISTENZA VEICOLI
PIAZZALE
B.STAZIONI DILEGIZLII
B. STAZIONE DI TRANSITO (MEDIO NUMERO DI LINEE) SCHEMA DEI PERCORSI CARRABILI E PEDONALI
SERVIZIVIAGGIATORI
PIAZZALE
I ED PRE NISM ORGA
SERVIZIVIAGGIATORI
C.RCIZIO PARCHEGGI DI SCAMBIO
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
PARCHEGGI DI SCAMBIO EDIFICI (STAZIONE, OFFICINE)
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM VIABILITA' URBANA
VIAGGIATORI LEGENDA
EDIFICIO
VIABILITA' URBANA
VIAGGIATORI EDIFICIO
PIAZZALE
LAVAGGIO - RIFORNIMENTO
RIMESSAGGIO - OFFICINA
PARCHEGGIO BUS
E ESE ESSIONAL PROF
PERCORSI AUTOBUS
PARCHEGGI DI SCAMBIO
PIAZZALE
PARCHEGGI DI SCAMBIO
PERCORSI VIAGGIATORI
PARCHEGGIO BUS
URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
STRUTTURE A TERRA (BANCHINE, PIAZZALE)
SCHERMO VEGETALE FERMATA LINEE URBANE
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE
STAZIONAMENTO TAXI ENTRATA/USCITA BUS AL PIAZZALE ENTRATA/USCITA PASSEGGERI
N.B. NELLA DEFINIZIONE DELLA DIREZIONE DI CIRCOLAZIONE ED ACCOSTAMENTO DEGLI AUTOBUS E NELLA CONFIGURAZIONE DELLE BANCHINE, SI CONSIDERINO I SEGUENTI DATI: - GLI AUTOBUS EXTRAURBANI, URBANI E 'GRAN TURISMO' HANNO TUTTI PORTE DI SALITA E DISCESA SUL LATO DESTRO RISPETTO AL SENSO DI MARCIA; - GLI AUTOBUS EXTRAURBANI E 'GRAN TURISMO' DI MODELLO RECENTE HANNO PORTE DI SALITA E DISCESA NELLA PARTE ANTERIORE E/O CENTRALE DEL FIANCO DESTRO - GLI AUTOBUS HANNO DIMENSIONI D'INGOMBRO RICORRENTI PARI A 12,50 X 2,50 M E RICHIEDONO DISTANZA DI MANOVRA DAGLI ALTRI VEICOLI IN LINEA PARI A 5 M. SCHEMI DI CONNESSIONE CARRABILE DEL PIAZZALE (BUS) ALLA VIABILITA' URBANA
G.ANISTICA
SCHEMI DI SVINCOLO PASSANTE DALLA VIABILITÀ URBANA 1.SCHEMA PASSANTE ARRIVI E PARTENZE BUS SUL FRONTE OPPOSTO ALL'EDIFICIO VIAGGIATORI
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
2.SCHEMA PASSANTE ARRIVI E PARTENZE BUS SULLO STESSO FRONTE DELL'EDIFICIOVIAGGIATORI
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
3.SCHEMA CHIUSO ARRIVI E PARTENZE BUS LATERALI RISPETTO ALL'EDIFICIO VIAGGIATORI
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
4.TRANSITO E SVINCOLI SUL FRONTE OPPOSTO ALL'EDIFICIO VIAGGIATORI 5.TRANSITO E SVINCOLI SULLO STESSO FRONTE DELL'EDIFICIO VIAGGIATORI
SCHEMA 1
SCHEMA 2
SCHEMA 3
6. TRANSITO BUS PASSANTE TRA IL PIAZZALE E L'EDIFICIO VIAGGIATORI
SCHEMA 4
SCHEMA 5
SCHEMA 6
. B.2.3 NI E STAZIOAUTOLINE DELLE
B 59
B.2. 3.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STAZIONI DELLE AUTOLINEE
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
➦ CONFIGURAZIONI DELLE BANCHINE (o marciapiedi) FIG. B.2.3./4 CONFIGURAZIONI DELLE BANCHINE E MODALITÀ DI ACCOSTAMENTO DEGLI AUTOBUS
A - BANCHINA SEMPLICE 800
800
200
BANCHINA
350
CORSIA DI SOSTA
350
1250
CORSIA DI SVINCOLO EVENTUALE BANCHINA 2 CORSIA DI SOSTA
780
575 780
STALLI DI SOSTA
350
350
BANCHINA
CORSIA DI SVINCOLO
200
40 0
2
780
COMPORTA: - ESTESO SVILUPPO DELLE BANCHINE (18 M/BUS) - ALTA INCIDENZA DELLA SUPERFICIE UNIT. DI PIAZZALE IMPEGNATA PER OGNI POSTAZIONE DI SOSTA (÷ 123 MQ, COMPRESA CORSIA DI SVINCOLO)) - AGEVOLE ACCESSO DEI VIAGGIATORI AI BUS CON QUALSIASI POSIZIONE DELLE PORTE (ANTERIORE, POSTERIORE O CENTRALE). - LE SOLUZIONI A PIU' BANCHINE PARALLELE IMPLICANO ATTRAVERSAMENTI PEDONALI DELLE CORSIE CARRABILI
800
69
780
BANCHINA RETTILINEA A. SEMPLICE B. CON PIÙ BANCHINE IN SERIE (PARALLELE)
LA SOLUZIONI A BANCHINA SEMPLICE (A) E' ADOTTABILE IN STAZIONI DI TRANSITO CON LIMITATA RICORRENZA DI FERMATE CONTEMPORANEE DI PIU' AUTOBUS
B - CON PIU' BANCHINE PARALLELE
200
800
500
200
1250
350
500
BANCHINA
BANCHINA 'A SEGA', CON DENTI A 30° COMPORTA: - MEDIA ESTENSIONE DELLE BANCHINE (8 M/BUS) - RIDOTTA INCIDENZA DELLA SUPERFICIE UNITARIA DI PIAZZALE (÷102 MQ COMPRESA CORSIA DI SVINCOLO) - SEMPLICI MANOVRE SIA DI ARRIVO CHE DI PARTENZA (CON BRVE RETROMARCIA). - CONSENTE UN ACCESSO AGEVOLE SOLO A BUS CON PORTA DI SALITA E DISCESA ANTERIORE O CENTRALE.
780
0
COMPORTA: - RIDOTTO SVILUPPO DELLE BANCHINE (÷8 M/BUS), - MEDIA INCIDENZA DELLA SUPERFICIE UNIT.DI PIAZZALE IMPEGNATA (127 MQ, COMPRESA CORSIA DI SVINCOLO) - MANOVRE DI ARRIVO E PARTENZA NON IMPEGNATIVE (CON BREVE RETROMARCIA). - CONSENTE UN ACCESSO AGEVOLE SOLO AD AUTOBUS CON PORTA DI SALITA E DISCESA ANTERIORE
750
STALLI DI SOSTA
350
0
60
525
35
BANCHINA 'A SEGA', CON DENTI A 60°, SMUSSATI
CORSIA DI SVINCOLO
BANCHINA
600 600 650
STALLI DI SOSTA
CONFIGURAZIONE IDONEA A SOSTENERE L'INTENSO TRAFFICO DI AUTOBUS E VIAGGIATORI DI UNA GRANDE STAZIONE-CAPOLINEA, NELLE ORE DI PUNTA.
BANCHINA A PETTINE (STALLI ORTOGONALI ALLA BANCHINA) A. SOLUZIONE A DENTI RADIALI E BANCHINA CURVA POSSIBILI ANCHE SOLUZIONI CON BANCHINA RETTILINEA COMPORTA: - MINIMA ESTENSIONE DELLE BANCHINE (6 M/BUS) - MEDIA INCIDENZA DELLA SUPERFICIE UNIT. DI PIAZZALE IMPEGNATA (144 MQ COMPRESA CORSIA DI SVINCOLO) - IMPEGNATIVE MANOVRE DI PARTENZA (CON LUNGA RETROMARCIA). - ACCESSO AGEVOLE DEI VIAGGIATORI SOLO AD AUTOBUS CON PORTA DI SALITA E DISCESA ANTERIORE RISPETTO ALLA SOLUZIONE CON BANCHINA RETTILINEA, QUELLA A DENTI RADIALI RENDE MENO DISAGEVOLI LE MANOVRE DI ARRIVO E PARTENZA DEL BUS.
830
SPAZIO DI MANOVRA
LEGENDA BANCHINE (MARCIAPIEDI) DI CARICO/SCARICO PERCORSI DEI VIAGGIATORI
350
CORSIA DI SVINCOLO
INGOMBRO DELL'AUTOBUS (÷12,50 x 2,50) PERCORSI DI ACCOSTAMENTO DELL'AUTOBUS CORSIA DI SVINCOLO DEGLI AUTOBUS
B 60
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ PARCHEGGI E AUTORIMESSE
•
STRUTTURE PER PARCHEGGI E AUTORIMESSE – REQUISITI PRESTAZIONALI RIFERIMENTI NORMATIVI IN MATERIA DI PARCHEGGI RIFERIMENTI A NORME DI CARATTERE GENERALE Codice Civile, art.817, 818, 819
art.817 art.818 art.819
Pertinenze. Regime delle pertinenze. Diritti dei terzi sulle pertinenze.
Legge 1150/1942 (Legge urbanistica)
art.41 sexies
Previsione dei parcheggi a servizio di nuove costruzioni.
Legge 847/1964
art.4
Autorizzazione ai comuni a contrarre mutui per acquisire aree ex legge 167/1962 – comprese aree per sosta e parcheggi.
DM 1444/1968 art.3
art.4
art.5
Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza e distanze tra fabbricati. Rapporti massimi tra gli spazi destinati all’edilizia residenziale e gli spazi pubblici... a verde pubblico o a parcheggi. Quantità minime di spazi pubblici... a verde o a parcheggi da osservare in rapporto agli insediamenti residenziali nelle singole zone territoriali omogenee. Rapporti massimi tra gli spazi destinati a insediamenti produttivi e gli spazi pubblici... a verde o a parcheggi.
Legge 426/1971 (Disc. commercio)
art.13
Legge 10/1977 (Edificabilità dei suoli)
art.9
Concessione gratuita... per le opere di urbanizzazione eseguite in attuazione di strumenti urbanistici.
Legge 94/1982
art.7
Autorizzazione gratuita...per opere costituenti pertinenze al servizio di edifici esistenti.
Legge 47/1985
Strumenti urbanistici in atto e insediamenti commerciali... Quantità minime di spazi per parcheggio.
Sanzioni, recupero e sanatoria opere abusive. Spazi di parcheggio come “pertinenze” dell’edificio. RIFERIMENTI A COMPENDI NORMATIVI SPECIFICI IN MATERIA DI PARCHEGGI E AUTORIMESSE Legge 24.3.1989, n.122
art.26
Disposizioni in materia di parcheggi, programma triennale per le aree urbane aggiormente popolate, nonché modificazioni di alcune norme del Testo Unico sulla disciplina della circolazione stradale, approvato con DPR 15 giugno 1959, n.3931
DM 6 luglio 1989
Criteri e priorità, tipologie dei parcheggi, costi standard e misura dei contributi.
DM aree urbane 14 febbraio 1990 (GU n.51 del 02 marzo 1990) (nello stesso Decreto)
Parcheggi. Regolamento recante disposizioni in ordine ai criteri di priorità tra gli interventi proposti nella realizzazione dei parcheggi pubblici ai fini dell’ammissione ai contributi previsti dalla legge 24 marzo 1989, n.122. Approvazione degli schemi tipo di convenzione per l’affidamento in concessione della costruzione e gestione di parcheggi ai sensi della legge 24 marzo 1989, n.122.
L’incremento del parco veicoli privati registrato negli ultimi decenni costituisce una delle emergenze urbane maggiormente avvertite nella nostra epoca, tant’è che la maggior parte dei Paesi europei ed extraeuropei hanno provveduto a emanare disposizioni volte a favorire e sostenere la realizzazione di parcheggi e autorimesse in ambito urbano. In Italia tale emergenza viene affrontata con la legge 24 marzo 1989, n.122 “Disposizioni in materia di parcheggi, programma triennale per le aree urbane maggiormente popolate” e successive modifiche e integrazioni, che costituisce atto organico di programmazione, coordinamento e incentivazione per la realizzazione di parcheggi. A seguito dell’emanazione della legge 122/1989 si è verificato un alto numero di iniziative rivolte alla realizzazione di aree di parcheggio ed edifici specificamente destinati a parcheggi sotterranei o in elevazione, non senza alcuni inconvenienti di ordine ambientale e paesaggistico che, comunque, dovranno essere considerati e risolti mediante la precisazione di alcuni limiti e cautele da rispettare nella programmazione-progettazione di parcheggi e autorimesse.
DATI DI INGOMBRO DEI VEICOLI E SPAZI DI MANOVRA L’ingombro convenzionale-standard assegnato alle automobili è pari a 2,50 x 5,00 m. La superficie complessiva da porre in conto nel dimensionamento di un’area di parcheggio, comprendente spazio di sosta e quota parte pertinente delle corsie di manovra è fatta pari a 25 mq. La successione dei posti di sosta può essere disposta ortogonalmente alla corsia di accesso o secondo angoli di rotazione variabili tra 45° e 60° (meno frequentemente è disposta parallelamente alla corsia), secondo gli schemi grafici allegati. Ingombri di auto, autobus, autocarri e relativi spazi di manovra sono illustrati nei grafici allegati.
TIPOLOGIE RICORRENTI DI PARCHEGGIO A seconda della sede di stazionamento e delle caratteristiche planovolumetriche degli interventi edilizi e tecnologici necessari per la realizzazione, gli spazi per parcheggio possono essere classificati come segue: • parcheggi di superficie che utilizzano parte destinata e segnalata della sede stradale; • parcheggi di superficie ospitati da aree specificamente destinate, raccordate con la viabilità urbana; • parcheggi ospitati da edifici specificamente destinati, a più piani interrati e/o fuori terra, raccordati con rampe alla viabilità urbana; • parcheggi ospitati da edifici specificamente destinati, mediante stivaggio meccanizzato, automatizzato o semiautomatizzato (autosilos); • autorimesse ospitate in parti (generalmente interrati e/o seminterrati) di edifici con altra destinazione d’uso, dei quali costituiscono pertinenza. I grafici allegati schematizzano criteri dispositivi, di accessibilità e di manovra delle tipologie ricorrenti di parcheggi e di autorimesse.
REQUISITI RICHIESTI AI PARCHEGGI E ALLE AUTORIMESSE OSPITATI IN STRUTTURE EDILIZIE In tutti i casi nei quali parcheggi e autorimesse sono ospitati in strutture edilizie, si deve ottemperare alle norme di sicurezza e antincendio emanate dal Ministero dell’Interno, nonché ottenere il parere di conformità dal Comando del Corpo dei vigili del fuoco. Le norme ricorrenti in materia di sicurezza antincendio di parcheggi e autorimesse (DM Interno 1 febbraio 1986) sono riportate di seguito nel presente capitolo. Devono inoltre essere soddisfatti i seguenti requisiti: a. tutti gli eventuali locali accessori alle autorimesse (servizi igienici, impianti di lavaggio auto, officine, ecc.) debbono avere requisiti igienici fissati per i diversi usi a cui sono destinati; b. le altezze di eventuali vani destinati alla presenza permanente di personale devono essere conformi alle leggi vigenti, con un minimo di 2,70 ml; c. le finestre, i lucernari e altri tipi di aperture delle autorimesse prospicienti i cortili interni e gli spazi pubblici di sosta debbono essere previsti in modo tale da permettere una sufficiente illuminazione e impedire la fuoriuscita di gas ed esalazioni nocive o moleste.
NORMATIVE IN MATERIA DI SICUREZZA, SPECIFICHE PER AUTORIMESSE E GENERALI
REQUISITI DI QUALITÀ DELL’ARIA
DM interni 16 febbraio 1982 GU n.98 del 5 aprile 1982
In materia di controlli dei VVFF e di prevenzione incendi.
DM interni 20 dicembre 1982 GU n.19 del 20 gennaio 1983
Approvazione dei diversi tipi di estintori da parte del Ministero dell’interno.
DM interni 30 novembre 1983 GU n.339, 12 dicembre 1983
Per i termini, le definizioni e le tolleranze dimensionali.
DM interni 14 dicembre 1983 GU n.303 del 28 dicembre 1983)
Per le modalità di valutazione e di atte stazione di conformità dei requisiti di resistenza al fuoco delle porte e degli altri elementi di chiusura.
DM interni 26 giugno 1984 GU n.234 del 25 agosto 1984
In materia di omologazione dei materiali per quanto supplemento ordinario alla attiene alle classi di resistenza al fuoco.
DM interni 1 febbraio 1986 GU n.38 del 15 febbraio 1986
Norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio delle autorimesse e simili.
La concentrazioni di agenti inquinanti all’interno delle autorimesse non deve superare i seguenti limiti: 55 mg/mc • CO: • CO2: 9.000 mg/mc • SO2: 5 mg/mc • NO: 30 mg/mc • Idrocarburi: 0,2 mg/mc • Pb: 0,10 mg/mc. Il requisito si intende convenzionalmente soddisfatto se è previsto impianto di ventilazione meccanica avente le seguenti caratteristiche: • il numero dei ricambi d’aria non è inferiore a 3 volumi ambiente/ora; • le canne di esalazione degli impianti di ventilazione meccanica rispondono ai requisiti e le caratteristiche di norma; • le canne di esalazione attraversano locali di abitazione e sono collegate con una condotta orizzontale, dotata di bocche di presa (in numero, sezione e disposizione adeguati alla cubatura dei locali) disposte alternativamente alla base del soffitto e al piano di calpestio, in modo da facilitare l’aspirazione dei gas leggeri e pesanti. I requisiti elencati sono cogenti nel caso di autorimesse interrate o comunque con superficie ventilante libera inferiore a 4/5 della superficie di pavimento, con aperture a riscontro. Altre norme di sicurezza rilevanti riguardano questioni di accesso e immissione da e nella viabilità pubblica di diverso tipo e pertinenza territoriale-amministrativa (strade statali, provinciali, comunali e viabilità urbana).
B.2. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. B.2.3 NI E STAZIOAUTOLINE DELLE . B.2.4EGGI E H PARC IMESSE R AUTO
B 61
B.2. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI PARCHEGGI E AUTORIMESSE
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
➦ STRUTTURE PER PARCHEGGI E AUTORIMESSE – REQUISITI PRESTAZIONALI REQUISITI TECNOLOGICI, AMBIENTALI E PAESAGGISTICI Problemi tecnologici-ambientali specifici si pongono essenzialmente in riferimento ai seguenti aspetti: • caratteristiche tecniche e di permeabilità dei manti di pavimentazione delle superfici destinate a parcheggio; • natura, configurazione, intensità e requisiti botanici degli apparati vegetali di schermo e/o corredo, per la sistemazione delle aree di parcheggio; • verifiche ambientali e cautele da adottare nel caso di parcheggi interrati (in particolare per strutture a più piani interrati).
APPARATI VEGETALI NELLA SISTEMAZIONE DELLE AREE A PARCHEGGIO Nella progettazione e nella realizzazione delle aree di parcheggio, l’adozione di apparati vegetali risponde alle esigenze di schermare, ombreggiare, proteggere e, in generale, di assicurare una sistemazione paesaggistica-ambientale adeguata all’area nella quale il parcheggio insiste. Impianti vegetali a giardino, piazza-giardino e simili vengono utilizzate anche per la sistemazione delle ricoperture dei parcheggi interrati (in tal caso si deve considerare una altezza minima di terreno ricoprente non inferiore a 0,80 m). Nella selezione delle essenze arboree – oltre ai dati di clima, soleggiamento, compatibilità interna tra le essenze, esigenze igrometriche e microambientali, ecc. – occorre valutare i seguenti aspetti:
MANTI DI PAVIMENTAZIONE • buona resistenza dell’essenza ai fattori inquinanti causati dai gas di scarico; Per quanto attiene ai manti superficiali di pavimentazione di superfici destinate a parcheggio, non v’è dubbio che la soluzione più economica resta quella del manto in conglomerato bituminoso, in continuità con le caratteristiche della maggior parte delle sedi stradali. Tuttavia occorre rilevare che tale soluzione risulta inidonea nel caso di aree di particolare pregio e/o delicatezza ambientale e paesaggistica, in quanto, a causa della elevata impermeabilità, sottrae le superfici dei parcheggi al naturale imbibimento idrico con possibili turbative dell’equilibrio dell’assetto idrologico dell’area. Minore impatto sull’assetto idrologico dell’area rivela l’utilizzazione di sistemi di pavimentazione in “terra battuta”, terra battuta con manto di ghiaia, terra battuta trattata con “testa di travertino”, ai quali sarà opportuno ricorrere in siti particolarmente delicati e vulnerabili (generalmente siti extraurbani, ai margini urbani, nei parchi, giardini e simili). Occorre considerare tuttavia che anche tali sistemazioni richiedono particolari cautele e accorgimenti atti a facilitare il deflusso superficiale delle acque e a evitare la formazione di fango o di polveri. L’adozione di ricopertura superficiale in ghiaia comporta oneri di manutenzione e risarcimento periodico. Recentemente sono stati posti in produzione materiali di pavimentazione composti da impasti di cemento e inerti di varia pezzatura, a costituire elementi autobloccanti continui o “a griglia”, a costi non sostenuti, che permettono accettabili valori di permeabilità (agevolata dai giunti di disposizione o dalle celle di griglia). Resta da dire che, allo stato attuale, tali materiali non hanno ancora raggiunto apprezzabili qualità in termini di immagine. Oltre le soluzioni specifiche considerate, le superfici dei parcheggi possono essere rifinite con altri materiali ricorrenti nelle pavimentazioni esterne, come lastre di pietra, cubetti autobloccanti di pietra (sampietrini), lastre di cemento e ghiaia appoggiate su letto di sabbia o fissate su apposito massetto, ecc. Si tratta tuttavia di soluzioni economicamente onerose e comunque a forte impatto ambientale in ragione dell’attività estrattiva-produttiva implicata dai materiali in questione.
• ridotte esigenze di cura e manutenzione (impianti ecologicamente autosufficienti); • assenza di produzioni viscose e imbrattanti (foglie, bacche o frutti resinosi, oleosi, e simili); • ridotta perdita stagionale di fogliame (essenze sempreverdi), che potrebbe intasare i sistemi di allontanamento e smaltimento delle acque meteoriche; • apparati radicali tali da non costituire pregiudizio per le opere di pavimentazione contigue o per le strutture (nel caso di ricopertura di opere edilizie interrate); • adeguata superficie e configurazione dell’ambito di pertinenza e imbibimento delle essenze, ed eventuale protezione dello stesso mediante opportuni dissuasori.
VERIFICHE E CAUTELE DA ADOTTARE NEL CASO DI PARCHEGGI E AUTORIMESSE INTERRATI Nel caso di strutture di parcheggio interrate, occorre preliminarmente comparare il beneficio – in termini di numero posti auto previsti – con i costi ambientali rappresentati dallo scavo e/o sbancamento dei sistemi geomorfologici. In secondo luogo si deve verificare che gli scavi da operare e relative tecniche di scavo non costituiscano pregiudizio per: • l’assetto del suolo, in termini di stabilità, angolo di attrito, ecc. • la sicurezza e stabilità degli edifici circostanti; • l’assetto idrogeologico superficiale e sotterraneo (presenza di falde acquifere).
CLASSIFICAZIONE DELLE AUTORIMESSE E DEFINIZIONI (estratto dal DM del 12 febbraio 1986) Le autorimesse, in base alle caratteristiche edilizie, di ubicazione e di esercizio, vengono definite e classificate dal DM del 12 febbraio 1986 come segue. • In base alla destinazione dell’edificio o insieme edilizio che le ospita: a) isolate situate in edifici esclusivamente destinati a tale uso ed eventualmente adiacenti a edifici destinati ad altri usi, ma strutturalmente e funzionalmente separati da questi; b) miste tutte le altre. • I piani delle autorimesse, in base all’ubicazione rispetto al terreno, si classificano: a) interrati con il piano di parcamento a quota inferiore a quello di riferimento; b) fuori terra con il piano di parcamento a quota non inferiore a quello di riferimento; sono parimenti considerati fuori terra, ai fini delle presenti norme, le autorimesse aventi piano di parcamento a quota inferiore a quello di riferimento, purché l’intradosso del solaio o il piano che determina l’altezza del locale sia a quota superiore a quella del piano di riferimento di almeno 0,6 m e purché le aperture di aerazione abbiano altezza non inferiore a 0,5 m.
B 62
• In relazione alla configurazione delle pareti perimetrali le autorimesse e simili possono essere: a) aperte cioè autorimesse munite di aperture perimetrali su spazi a cielo libero che realizzano una percentuale di aerazione permanente non inferiore al 60% delle pareti stesse e comunque superiore al 15% della superficie in pianta; b) chiuse tutte le altre. • In base alle caratteristiche di esercizio e/o di uso le autorimesse e simili si distinguono in: a) sorvegliate quelle che sono provviste di sistemi automatici di controllo ai fini antincendio, ovvero provviste di sistemi di vigilanza continua almeno durante l’orario di apertura; b) non sorvegliate tutte le altre. • In base alla organizzazione degli spazi interni le autorimesse e simili si suddividono in: a) a box; b) a spazio aperto.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ PARCHEGGI E AUTORIMESSE
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A.ZIONI
AUTORIMESSE – REQUISITI DI SICUREZZA
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
NORME DI SICUREZZA PER LA COSTRUZIONE E L’ESERCIZIO DELLE AUTORIMESSE (DM dell’interno 1 febbraio 1986 pubblicato in GU n.38 del 15 febbraio 1986) DEFINIZIONI Ai fini delle norme emanate con DM dell’interno 1 febbraio 1986, valgono le seguenti definizioni:
ricovero, all’esposizione e alla riparazione di autoveicoli. I fini di cui sopra si intendono perseguiti con l’osservanza delle presenti norme.
Altezza dei piani: è l’altezza libera interna tra pavimento e soffitto: per i soffitti a volta l’altezza è determinata dalla media aritmetica tra l’altezza del piano di imposta e l’altezza massima, all’intradosso della volta; per i soffitti a cassettoni o comunque che presentano sporgenze di travi, l’altezza è la media ponderale delle varie altezze riferite alle superfici in pianta.
1.1. Classificazione
Autofficina o officina di riparazione autoveicoli: area coperta destinata alle lavorazioni di riparazione e manutenzione di autoveicoli. Autorimessa: area coperta destinata esclusivamente al ricovero, alla sosta e alla manovra degli autoveicoli con i serizi annessi. Non sono considerate autorimesse le tettoie aperte almeno su due lati. Autosalone o salone di esposizione autoveicoli: area coperta destinata all’esposizione e alla vendita di autoveicoli. Autosilo: volume destinato al ricovero, alla sosta e alla manovra degli autoveicoli eseguita a mezzo di dispositivi meccanici. Autoveicolo: veicolo o macchina miniti di motore a combustione interna. Box: volume delimitato da struttura di resistenza al fuoco definita e di superficie non superiore a 40 mq. Capacità di parcamento: è data dal rapporto tra la superficie netta del locale e la superficie specifica di parcamento. Piano di riferimento: piano della strada, via, piazza, cortile o spazio a cielo scoperto dal quale si accede. Rampa: piano inclinato carrabile destinato a superare dislivelli. Rampa aperta: è la rampa aerata almeno a ogni piano, superiormente o lateralmente, per un minimo del 30% della sua superficie in pianta con aperture di aerazione affacciantisi su spazio a cielo aperto oppure su pozzi di luce o cavedi di superficie non inferiore a quella sopra definita e a distanza non inferiore a 5 m da pareti, se finestrate, di edifici esterni che si affacciano sulla stessa rampa. Rampa a prova di fumo: rampa in vano costituente compartimlento antiincendio avente accesso per ogni piano – mediante porte di resistenza al fuoco almeno REI predeterminata e dotata di congegno per la chiusura automatica in caso di incendio – da spazio scoperto o da disimpegno aperto per almeno un lato su spazio scoperto. Servizi annessi: officine di riparazione di parti meccaniche e di carrozzerie, stazioni di lavaggio e di lubrificazione, esercizi di vendita di carburanti, uffici, guardiana, alloggio custode. Superficie specifica di parcamento: area necessaria alla manovra e al parcamento di ogni autoveicolo.
1. GENERALITÀ 1.0. Scopo Le presenti norme hanno per oggetto i criteri di sicurezza intesi a perseguire la tutela dell’incolumità delle persone e la preservazione dei beni contro i rischi d’incendio e di panico nei luoghi destinati alla sosta, al
B.2. 4.
1.1.0. Le autorimesse e simili possono essere di tipo: a) isolate: situate in edifici esclusivamente destinati ad altri usi, strutturalmente e funzionalmente separati da questi; b) miste: tutte le altre. 1.1.1. In base all’ubicazione, i piani delle autorimesse e simili si classificano in: a) interrati: con il piano di parcamento a quota inferiore a quello di riferimento; b) fuori terra: con il piano di parcamento a quota non inferiore a quello di riferimento. Sono parimenti considerate fuori terra, ai fini delle presenti norme, le autorimesse aventi piano di parcamento a quota inferiore a quello di riferimento, purché l’intradosso del solaio o il piano che determina l’altezza del locale sia a quota superiore a quella del piano di riferimento di almeno 0,6 m e purché le aperture di aerazione abbiano altezza non inferiore a 0,5 m. In relazione alla configurazione delle pareti perimetrali, le autorimesse e simili possono essere: a) aperte: autorimesse munite di aperture perimetrali su spazio a cielo libero che realizzano una percentuale di aerazione permanente non inferiore al 60% della superficie delle pareti stesse e comunque superiore al 15% della superficie in pianta; b) chiuse: tutte le altre. In base alle caratteristiche di esercizio e/o di uso le autorimesse e simili si distinguono in: a) sorvegliate: quelle che sono provviste di sistemi automatici di controllo ai fini antiincendi ovvero provvisti di sistemi di vigilanza continua almeno durante l’orario di apertura; b) non sorvegliate: tutte le altre. In base alla organizzazione degli spazi interni le autorimesse e simili si suddividono in: a) a box; b) a spazio aperto. 1.2. Campo di applicazione Le presenti norme si applicano alle autorimesse e alle attività indicate al precedente punto 1.0., di nuova istituzione o in caso di modifiche che comportino variazioni di classificazione o di superficie, in più o in meno, superiori al 20% della superficie in pianta o comunque eccedente i 180 mq. Per le autorimesse esistenti o in corso di esecuzione possono essere applicate le disposizioni in vigore alla data del provvedimento amministrativo comunale di autorizzazione a costruire. È in facoltà del richiedente applicare le seguenti norme anche per quelle esistenti. Per le autorimesse con numero di autoveicoli non superiore a nove e per quelle a box, purché ciascuno di questi abbia accesso diretto da spazio a cielo libero, si applicano le norme di sicurezza di cui al successivo punto 2, anziché quelle di cui al punto 3. L’indicazione circa il numero massimo di autoveicoli che si intendono ricoverare deve risultare da apposita dichiarazione rilasciata sotto le responsabilità del titolare del diritto all’uso del locale, al quale compete l’obbligo dell’osservanza delle norme di cui al punto 2.
2. AUTORIMESSE AVENTI CAPACITÀ DI PARCAMENTO NON SUPERIORE A NOVE AUTOVEICOLI 2.1. Autorimesse del tipo misto con numero di veicoli non superiore a nove • Le strutture portanti orizzontali e verticali devono essere almeno del tipo R 60 e, se di separazione, almeno REI
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60. Le eventuali comunicazioni ammissibili con i locali a diversa destinazione, facenti parte dell’edificio nel quale sono inserite, devono essere protette con porte metalliche piene a chiusura automatica; sono comunque vietate le comunicazioni con i locali adibiti a deposito o uso di sostanze esplosive e/o infiammabili. La superficie di aerazione naturale complessiva deve essere non inferiore a 1/30 della superficie in pianta del locale. L’altezza del locale deve essere non inferiore a 2 m. L’eventuale suddivisione interna in box deve essere realizzata con strutture almeno del tipo REI 30. Ogni box deve avere aerazione con aperture permanenti in alto e in basso di superficie non inferiore a 1/100 di quella in pianta. L’aerazione può avvenire anche tramite aperture sulla corsia di manovra, eventualmente realizzate nel serramento di chiusura del box.
2.2. Autorimesse del tipo isolato con numero di autoveicoli non superiore a nove • Le strutture verticali e orizzontali devono essere realizzate con materiali non combustibili. • La superficie di aerazione naturale complessiva deve essere non inferiore a 1/30 della superficie in pianta. • L’eventuale suddivisione interna in box deve essere realizzata con strutture realizzatecon materiali non combustibili. • Ogni box deve avere aerazione con aperture permanenti in alto e in basso di superficie non inferiore a 1/100 di quella in pianta. • L’aerazione può avvenire anche con aperture sulla corsia di manovra. • L’altezza del locale deve essere non inferiore a 2 m. 2.3. Autorimesse miste o isolate a box affacciantesi su spazio a cielo libero anche con numero di box superiore a nove Tali autorimesse devono essere realizzate come dal punto 2.1. se miste e 2.2. se isolate. 2.4. Dispositivi di sollevamento Nelle autorimesse a box, purché di volume netto per ogni box non inferiore a 40 mc, è consentito l’utilizzo di dispositivi di sollevamento per il ricovero di non più di due autoveicoli.
3. AUTORIMESSE AVENTI CAPACITÀ DI PARCAMENTO SUPERIORE A NOVE AUTOVEICOLI 3.0. Non è consentito destinare ad autorimessa locali situati oltre il sesto piano interrato o il settimo fuori terra. 3.1. Isolamento Ai fini dell’isolamento le autorimesse devono essere separate da edifici adiacenti con strutture di tipo non inferiore a REI 120. È consentito che tali strutture siano di tipo non inferiore a REI 90 se l’autorimessa è protetta da impianto fisso di spegnimento automatico. Le aperture dei locali a uso autorimessa non protetti da impianto fisso di spegnimento automatico, non devono essere direttamente sottostanti ad aperture di locali destinati ad attività di cui ai punti 83, 84, 85, 86 e 87 del DM 16 febbraio 1982.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
3.2. Altezza dei piani L’altezza dei piani non può essere non inferiore a 2,4 m con un minimo di 2 m sotto trave. Per gli autosilo è consentita una altezza di 1,8 m.
➥
. B.2.4EGGI E H PARC IMESSE R AUTO
B 63
B.2. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI PARCHEGGI E AUTORIMESSE
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STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
➦ AUTORIMESSE – REQUISITI DI SICUREZZA ➦ NORME DI SICUREZZA PER LA COSTRUZIONE E L’ESERCIZIO DELLE AUTORIMESSE (DM dell’Interno 1° febbraio 1986 pubblicato in GU n.38, del 15 febbraio 1986) 3.3. Superficie specifica di parcamento La superficie specifica di parcamento non può essere non inferiore a: • 20 mq per autorimesse non sorvegliate; • 10 mq per autorimesse sorvegliate e autosilo. Nelle autorimesse a box purché di volume netto, per ogni box, non inferiore a 40 mc è consentito l’utilizzo di dispositivi di sollevamento per il ricovero di non più di due autoveicoli. 3.4. Fino a quando non saranno state emanate le norme sulla resistenza al fuoco degli elementi costruttivi previsti dalla legge 2 febbraio 1974, n.64, dovranno essere osservate le seguenti disposizioni: • Strutture dei locali I locali destinati ad autorimessa devono essere realizzati con strutture non separanti non combustibili di tipo R 90. • Le strutture di searazione con altre parti dello stesso edificio devono essere di tipo non inferiore a REI 90 e per gli autosilo non inferiore a REI 180. • Le strutture di separazione con locali di edifici destinati ad attività di cui ai punti 24, 25, 51, 75, 76, 77, 78, 79, 80, 82, 84, 85, 86, 87, 89, 90 e 91di cui al Decreto Ministeriale 16 febbraio 1982 devono essere almeno di tipo REI 180. • Per le autorimesse di tipo isolato e gli autosilo le strutture orizzontali e verticali non di separazione possono essere non combustibili. 3.5. Comunicazioni 3.5.1 Le autorimesse e simili non possono avere comunicazioni con locali destinati ad attività di cui al punto 77 del DM 16 febbraio 1982. 3.5.2 Le autorimesse fino a quaranta autovetture e non oltre il secondo piano interrato possono comunicare con locali di attività ad altra destinazione non elencate nel DM 16 febbraio 1982 e/o fabbricati di civile abitazione e di altezza antiincendi non superiore a 32 m a mezzo di aperture con porte di tipo almeno RE 120 munite di congegno autochiusura. Le autorimesse private fino a quindici autovetture possono comunicare con locali di abitazione ed edifici di altezza inferiore a 24 m a mezzo aperture munite di porte metalliche piene dotate di congegno di autochiusura. Le autorimesse fino a quaranta autovetture e non oltre il secondo piano interrato possono comunicare con locali destinati ad altra attività attraverso disimpegno, anche non aerato, avente porte di tipo almeno RE 60 munite di congegno di autochiusura con esclusione dei locali destinati ad attività di cui ai punti 1, 2, 3, 4, 5, 7, 10, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 41, 45, 51, 75, 76, 78, 79, 80, 83, 84, 86, 87, 89, 90 e 91 del Decreto Ministeriale 16 febbraio 1982. Le autorimesse fino a quaranta autovetture e non oltre il secondo piano interrato possono comunicare attraverso filtri, come definiti dal DM 30 novembre 1983, con locali destinati a tutte le altre attività con l’esclusione di quelle di cui ai punti 1, 2, 3, 4, 5, 7, 10, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 41, 45, 75, 76, 78, 79 e 80. 3.5.3 Le autorimesse possono comunicare attraverso filtri, come definito dal DM 30 novembre 1983, con locali destinati ad attività di cui al DM 16 febbraio 1982, con l’esclusione di quelle di cui ai punti 1, 2, 3, 4, 5, 7, 10, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 41, 45, 75, 76, 78, 79, 80 e 83. 3.5.4 Gli autosilo non possono avere comunicazione con altri locali.
B 64
3.6. Sezionamenti 3.6.1 Compartimentazione • Le autorimesse devono essere suddivise, di norma, per ogni piano, in compartimenti di superficie non eccedente quelle indicate nella tabella di seguito riportata. • Un compartimento può essere anche costituito da più piani di autorimessa, a condizione che la superficie complessiva sia non superiore al 50% di quella risultante dalla somma delle superfici massime consentite per i singoli piani della precedente tabella e che la superficie del singolo piano non sia eccedente quella consentita da quello più elevato per le autorimesse sotterranee o più basso per quelle fuori terra né che le singole superfici per piano eccedano il 75% di quelle previste dalla tabella. • Limitatamente alle autorimesse situate al piano terra, primo e secondo interrato e primo, secondo e terzo e quarto fuori terra chiuse, le superfici indicate possono raddoppiarsi in presenza di impianti fissi di spegnimento automatico; oltre il secondo interrato e oltre il quarto fuori terra le autorimesse chiuse devono sempre essere protette da impianto fisso di spegnimento automatico. • Limitatamente alle autorimesse fuori terra aperte fino al quinto piano fuori terra le superfici indicate possono essere triplicate in presenza di impianti fissi di spegnimento automatico. • Oltre il quinto piano dette autorimesse devono sempre essere protette da tali impianti. • Le pareti di suddivisione fra i compartimenti devono essere realizzate con strutture di tipo almeno REI 90; è consentito realizzare, attraverso le pareti di suddivisione, aperture di comunicazione munite di porte almeno REI 90, a chiusura automatica in caso di incendio. 3.6.2 Strutture di collegamento verticale I passaggi tra i piani dell’autorimessa, le rampe pedonali, le scale, gli ascensori, gli elevatori, devono essere esterni o racchiusi in gabbie realizzate con strutture non combustibili di tipo almeno REI 120 e muniti di porte almeno REI 120 provviste di autochiusura. 3.6.3 Corsie di manovra Le corsie di manovra devono consentire il facile movimento degli autoveicoli e devono avere ampiezza non inferiore a 4,5 m e a 5 m nei tratti antistanti i box, o posti auto, ortogonali alla corsia. 3.7. Accessi 3.7.0 Ingressi Gli ingressi alle autorimesse devono essere ricavati su pareti attestate su vie, piazze pubbliche o private, o su spazi a cielo scoperto. Se l’accesso avviene tramite rampa, si considera ingresso l’apertura in corrispondenza dell’inizio della rampa coperta. 3.7.1 Autosilo Per gli autosilo deve essere previsto un locale per il ricevimento degli autoveicoli. Tale locale, di dimensioni minime 4,5 x 5,5 m., deve avere le stesse caratteristiche costruttive dell’autosilo. 3.7.2 Rampe Ogni compartimento deve essere servito da almeno una coppia di rampe a senso unico di marcia di ampiezza ciascuna non inferiore a 3 m o da una rampa a doppio senso di marcia di ampiezza non inferiore a 4,5 m. Per le autorimesse sino a quindici autovetture è consentita una sola rampa di ampiezza non inferiore a 3 m. Diversi compartimenti, realizzati anche su più piani, possono essere serviti da una unica rampa o da unica coppia di rampe a senso unico di marcia come sopra descritto purché le rampe siano aperte o a prova di fumo.
Le rampe non devono avere pendenza superiore al 20% con un raggio minimo di curvatura misurato sul filo esterno della curva non inferiore a 8,25 m per le rampe a doppio senso di marcia e di 7 m per rampe a senso unico di marcia. 3.8. Pavimenti 3.8.0 Pendenza I pavimenti devono avere pendenza sufficiente per il convogliamento delle acque in collettori e la loro raccolta in un dispositivo per la separazione di liquidi infiammabili delle acque residue. 3.8.1 Pavimentazione La pavimentazione deve essere realizzata con materiali antisdrucciolevoli e impermeabili. 3.8.2 Spandimento di liquidi Le soglie dei vani di comunicazione fra i compartimenti e con le rampe di accesso devono avere un livello lievemente superiore (3-4 cm) a quello dei pavimenti contigui per evitare spargimento di liquidi da un compartimento all’altro. 3.9.Ventilazione 3.9.0 Ventilazione naturale Le autorimesse devono essere dotate di sistema di aerazione naturale costituito da aperture ricavate nelle pareti e/o nei soffitti e disposte in modo da consentire un efficace ricambio dell’aria ambiente, nonché lo smaltimento del calore e dei fumi di un eventuale incendio. Al fine di assicurare una efficace ventilazione dei locali, le aperture di aerazione devono essere distribuite il più possibile uniformemente e a distanza reciproca non superiore a 40 m. 3.9.1 Superficie di ventilazione Le aperture di aerazione naturale devono avere una superficie non inferiore a 1/25 della superficie in pianta del compartimento. Nei casi nei quali non è previsto l’impianto di ventilazione meccanica di cui al successivo punto, una frazione di tale superficie – non inferiore a 0,003 mq per metro quadro di pavimento – deve essere completamente priva di serramenti. Il sistema di ventilazione deve essere indipendente per ogni piano. Per autorimesse sotterranee la ventilazione può avvenire tramite intercapedini e/o camini; se utilizzata la stessa intercapedine, per consentire l’indipendenza della ventilazione per piano, si può ricorrere al sezionamento verticale o all’uso di canalizzazioni di tipo «Shunt». Per le autorimesse suddivise in box l’aerazione naturale deve esseree realizzata per ciascun box; tale aerazione può essere ottenuta con canalizzazioni verso l’esterno o con aperture anche sulla corsia di manovra, prive di serramenti e di superficie non inferiore a 1/100 di quella in pianta del box stesso. 3.9.2 Ventilazione meccanica Il sistema di aerazione naturale deve essere integrato con un sistema di ventilazione meccanica nelle autorimesse sotterranee aventi un numero di autoveicoli per ogni piano superiore a quello riportato nella seguente tabella: N. MAX. DI AUTOVEICOLI NELLE AUTORIMESSE SOTTERRANEE SENZA AERAZIONE MECCANICA Primo piano interrato
125
Secondo piano interrato
100
Terzo piano interrato
75
Oltre il terzo piano int.
50
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ PARCHEGGI E AUTORIMESSE
•
B.2. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.2.4./1 PARCHEGGI PER AUTOMOBILI
B.STAZIONI DILEGIZLII
135÷150
DIMENSIONI DI UNA AREA PER PARCHEGGIO IN RELAZIONE AI DATI ANTROPOMETRICI E AI DATI DI INGOMBRO DI UNA AUTOMOBILE
170 250
80
170 250
80
E ESE ESSIONAL PROF
300÷540 500
110 170 HANDICAP MIN. 320
D.GETTAZIONE
POSTI AUTO RISERVATI E DIMENSIONATI PER DISABILI
PRO TTURALE STRU
PARCHEGGI - DEVE ESSERE PREVISTO 1 POSTO AUTO PER DISABILI OGNI 50 O FRAZIONE DI 50 DI LARGHEZZA NON INFERIORE A 320 CM, OPPORTUNAMENTE SEGNALATI, CON FASCIA D'ACCESSO DA 80 CM MARCATA AL SUOLO.
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
AUTORIMESSE DI EDIFICI APERTI AL PUBBLICO - DEVE ESSERE PREVISTO 1 POSTO AUTO PER DISABILI OGNI 50 O FRAZIONE DI 50 CON LE STESSE DIMENSIONI E CARATTERISTICHE DI CUI SOPRA.
H
300÷540
C.RCIZIO
10°-17°
8°-14° 40
500
I ED PRE NISM ORGA
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
AUTORIMESSE DI EDIFICI RESIDENZIALI - DEVONO ESSERE PREVITI POSTI AUTO PER DISABILI NELLO STESSO NUMERO DEGLI ALLOGGI ACCESSIBILI RICHIESTI (V. B.1.2., "PRESCRIZIONI TECNICHE..", PUNTO 3.3.)
G.ANISTICA
I POSTI AUTO RISERVATI AI DISABILI DEVONO ESSERE UBICATI: - NEL CASO DEI PARCHEGGI, IN ADERENZA AI PERCORSI PEDONALI E NELLE VICINANZE DEGLI EDIFICI EVENTUALMENTE SERVITI - NEL CASO DELLE AUTORIMESSE, IN PROSSIMITÀ DEI MEZZI DI SOLLEVAMENTO E IN POSIZIONI DALLE QUALI SIA RAGGIUNGIBILE IN BREVE TEMPO UN "LUOGO SICURO" O UNA VIA D'ESODO ACCESSIBILE.
140÷190
URB
320
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
ESEMPI DI AREE DI PARCHEGGIO PER AUTOMOBILI IN SUPERFICIE
500
1600 600
500
500
600
3200 1000
600
500
250
2700 1000
600
600
250
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
PARCHEGGIO A 90° CON CORSIA CENTRALE A SENSO UNICO
530
1560 500
530
PARCHEGGIO A 90° CON CORSIE CENTRALI A SENSO UNICO INVERSO
530
500
2940 880
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
PARCHEGGIO MISTO CON CORSIE CENTRALI A SENSO UNICO INVERSO
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
2940 500
530
530
500
880
500
530
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
PARCHEGGIO A 45° CON CORSIA CENTRALE A SENSO UNICO
PARCHEGGIO A 45° CON CORSIE CENTRALI A SENSO UNICO
PARCHEGGIO A 45° CON CORSIE CENTRALI A SENSO UNICO INVERSO
➥
. B.2.4EGGI E H PARC IMESSE R AUTO
B 65
B.2. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI PARCHEGGI E AUTORIMESSE
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
➦ AUTORIMESSE – REQUISITI DI SICUREZZA ➦ NORME DI SICUREZZA PER LA COSTRUZIONE E L’ESERCIZIO DELLE AUTORIMESSE (DM dell’interno 1° febbraio 1986 pubblicato in GU n.38, del 15 febbraio 1986) Per le autorimesse fuori terra di tipo chiuso il sistema di aerazione naturale va integrato con impianto di aerazione meccanica nei piani aventi numero di autoveicoli superiore a 250.
3.10.1 Capacità di deflusso 1) 50 per il piano terra 2) 37,5 per i primi tre piani sotterranei o fuori terra 3) 33 per i piani oltre il terzo fuori terra o interrato.
3.9.3 Ventilazione meccanica. Caratteristiche • La portata dell’impianto di ventilazione meccanica deve essere non inferiore a tre ricambi orari. • Il sistema di ventilazione meccanica deve essere indipendente per ogni piano e azionato con comando manuale o automatico, da ubicarsi in prossimità delle uscite. • L’impianto deve essere azionato nei periodi di punta individuati dalla contemporaneità della messa in moto di un numero di veicoli superiore a 1/3 o dalla indicazione di miscele pericolose segnalata da indicatori opportunamente predisposti. • L’impianto di ventilazione meccanica può essere sostituito da camini indipendenti per ogni piano o di tipo «shunt» aventi sezione non inferiore a 0,2 mq per ogni 100 mq di superficie. • I camini devono immettere nell’atmosfera a quota superiore alla copertura del fabbricato. • Nelle autorimesse di capacità superiore a 500 autoveicoli deve essere installato un doppio impianto di ventilazione meccanica, per l’immissione e per l’estrazione, comandato manualmente da un controllore sempre presente, o automaticamente da apparecchiature di rilevazione continua di miscele infiammabili di CO. Il numero e l’ubicazione degli indicatori di CO e di miscele infiammabili devono essere scelti opportunamente in funzione della superficie e della geometria degli ambienti da proteggere e delle condizioni locali della ventilazione naturale; comunque il loronumero non può essere inferiore a due per ogni tipo di rilevazione. Gli indicatori devono essere inseriti in sistemi di segnalazione o di allarme e, ove necessario, di azionamento dell’impianto di ventilazione. Il sistema deve entrare in funzione quando:
3.10.2 Vie di uscita Le autorimesse devono essere provviste di un sistema organizzato di vie d’uscita per il deflusso rapido e ordinato degli occupanti verso l’esterno o in luogo sicuro in caso di incendio o di pericolo di altra natura. Per le autorimesse interrate le vie di uscita possono terminare sotto grigliati dotati di congegni di facile apertura dall’interno.
a) un solo indicatore rivela valori istantanei delle concentrazioni di CO superiori a 1000 p.p.m. b) due indicatori simultaneamente rivelano valori istantanei delle concentrazioni di CO superiori a 500 p.p.m. c) uno o più indicatori rivelano valori delle concentrazioni delle miscele infiammabili eccedenti il 20% del limite inferiore di infiammabilità. Per le autorimesse aventi numero di autoveicoli inferiore a 500 è sufficiente l’installazione di indicatori di miscele infiammabili. 3.9.4 Autosili Negli autosili fuori terra deve essere prevista un’aerazione naturale pari a 1 mq per ogni 200 mc di volume. In quelli interrati deve invece prevedersi una ventilazione meccanica pari ad almeno tre ricambi ora e un impianto di smaltimento dei fumi con camini di superficie pari al 2% delle superfici di ogni piano, convogliata a 1 m oltre la copertura degli edifici compresi nel raggio di 10 m dai camini stessi. 3.10. Misure per lo sfollamento delle persone in caso di emergenza 3.10.0 Densità di affollamento La densità di affollamento va calcolata in base alla ricettività massima; ai fini del calcolo essa non dovrà comunque mai essere considerata inferiore a 1 persona per ogni 10 mq di superficie lorda di pavimento (0,1 persone/mq) per le autorimesse non sorvegliate e a 1 persona per ogni 100 mq di superficie lorda di pavimento (0,01 persone/mq) per le autorimesse sorvegliate.
3.10.3 Dimensionamento delle vie d’uscita Le vie d’uscita devono essere dimensionate in funzione del massimo affollamento ipotizzabile sulla base di quanto specificato in 3.10.0. e in 3.10.1. 3.10.4 Larghezza delle vie d’uscita La larghezza delle vie d’uscita deve essere multipla del modulo di uscita (0,60 m) e non inferiore a due moduli (1,20 m). Nel caso di due o più uscite è consentito che una uscita abbia larghezza inferiore a quella innanzi stabilita e comunque non inferiore a 0,60 m. La misurazione della larghezza delle uscite va eseguita nel punto più stretto dell’uscita. La larghezza totale delle uscite (per ogni piano) è determinata dal rapporto fra il massimo affollamento ipotizzabile e la capacità di deflusso. Nel computo della larghezza delle vie d’uscita sono conteggiati anche gli ingressi carrabili. 3.10.5 Ubicazione delle uscite Le uscite sulla strada pubblica o in luogo sicuro devono essere ubicate in modo da essere raggiungibili con percorsi inferiori a 40 m o 50 m se l’autorimessa è protetta da impianto di spegnimento automatico. 3.10.6 Numero delle uscite Il numero delle uscite non deve essere, per ogni piano, inferiore a due. Tali uscite vanno poste in punti ragionevolmente contrapposti. Per autorimesse a un solo piano e per le quali il percorso massimo di esodo è inferiore a 30 m il numero delle uscite può essere ridotto a uno, costituita anche dalla rampa di accesso purché sicuramente fruibile ai fini dell’esodo. 3.10.7 Scale. Ascensori. Per le autorimesse situate in edifici aventi altezza antincendi maggiore di 32 m, le scale e gli ascensori devono essere a prova di fumo, mentre per le autorimesse situate in edifici aventi altezza antincendiinferiore a 32 m sono ammessi scale e ascensori di tipo protetto. 3.10.8 Autosili L’autosilo deve essere provvisto di scale a prova di fumo raggiungibili con percorrenze interne non superiori a 60 m. Tali scale devono essere raggiungibili dalle singole celle prevedendo passaggi liberi sul lato opposto all’ingresso macchina, di almeno 90 cm oltre l’ingombro degli autoveicoli.
Generatori ad aria calda a scambio diretto è ammessa l’installazione dei generatori all’interno dell’autorimessa se questa è destinata al ricovero di soli autoveicoli del tipo Diesel.
5. IMPIANTI ELETTRICI 5.1. Conformità alla legge 1 marzo 1968, n.186 Nei locali destinati ad autorimessa, alla vendita, alla riparazione di autoveicoli, gli impianti e le apparecchiature elettriche devono essere realizzate in conformità con quanto stabilito dalla legge 1 marzo 1968, n.186. 5.2. Autorimesse con capacità superiore a 300 posti auto e autosilo Le autorimesse di capacità superiore a trecento autovetture e gli autosilo, devono essere dotati di impianti di illuminazione di sicurezza alimentati da sorgenti di energia indipendente da quella della rete di illuminazione normale. In particolare detti impianti di illuminazione di sicurezza devono avere le seguenti caratteristiche: 1) inserimento automatico e immediato non appena venga a mancare l’illuminazione normale; 2) intensità di illuminazione necessaria allo svolgimento delle operazioni di sfollamento e comunque non inferiore a 5 lux. 6. MEZZI E IMPIANTI DI PROTEZIONE ED ESTINZIONE DEGLI INCENDI 6.1. Impianti idrici antincendio 6.1.0 Caratteristiche Nelle autorimesse fuori terra e al primo interrato, di capacità superiore a cinquanta autoveicoli deve essere installato come minimo un idrante ogni cinquanta autoveicoli o frazione. Le installazioni dovranno essere eseguite con le modalità appresso indicate. Gli impianti idrici antincendio devono essere costituiti da una rete di tubazioni preferibilmente ad anello, con montanti disposti nelle gabbie delle scale o delle rampe; da ciascun montante, in corrispondenza di ogni piano dell’autorimessa, deve essere derivata con tubazione di diametro non inferiore a DN 40 un idrante UNI 45 presso ogni uscita. Le autorimesse oltre il secondo interrato e quelle oltre il quarto fuori terra se chiuse e oltre il quinto piano fuori terra se aperte, e gli autosilo, devono essere sempre protette da impianto fisso di spegnimento automatico. 6.1.1 Custodia degli idranti La custodia deve essere installata in un punto ben visibile. Deve essere munita di sportello in vetro trasparente, deve avere larghezza e altezza non inferiori rispettivamente a 0,35 m e 0,55 m e una profondità che consenta di tenere a sportello chiuso manichette e lancia permanentemente collegate.
4. IMPIANTI TECNOLOGICI 4.1. Impianti di riscaldamento Il riscaldamento delle autorimesse può essere realizzato con radiatori o aerotermi alimentati ad acqua calda, surriscaldata o vapore. Impianti ad aria calda è ammesso il circolo dell’aria ambiente se l’autorimessa è destinata al ricovero di soli autoveicoli del tipo Diesel.
6.1.2 Tubazione flessibile e lance La tubazione flessibile deve essere costituita da un tratto di tubo di tipo approvato, di lunghezza che consenta di raggiungere col getto ogni punto dell’area protetta. 6.1.3 Tubazioni fisse La rete idrica deve essere eseguita con tubi di ferro zincato o materiali equivalenti protetti contro il gelo e deve essere indipendente dalla rete dei servizi sanitari.
B B 66
66
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ PARCHEGGI E AUTORIMESSE
•
B.2. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.2.4./2 AREE DI PARCHEGGIO – APPARATI ARBOREI E FINITURE
ALBERI ED ARBUSTI NELLE AREE DI PARCHEGGIO ALBERI CONSIGLIATI - LECCIO (QUERCUS ILEX) - SUGHERA (QUERCUS SUBER) - MAGNOLIA - SALICONE (SALIX CAPREA)
DISPOSIZIONE A PONTE, A SENSO UNICO CON ACCESSO E USCITA DA STRADE DIVERSE
B.STAZIONI DILEGIZLII
DISPOSIZIONE LATERALE CON ACCESSO E USCITA DALLA STESSA STRADA
I ED PRE NISM ORGA
VIABILITÀ ORDINARIA SCHERMI DI ARBUSTI (E/O ALBERI)
SCHERMI DI ARBUSTI
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
1600
MARCIAPIEDE
600
500
500
marciapiedi
D.GETTAZIONE
0
MARCIAPIEDE
0
25
0
25
50
0
50
VIABILITA' ORDINARIA
ARBUSTIVE CONSIGLIATE - AGAZZINO (PYRACANTHA) - CORNIOLO - SCOPA ROSSA (ERCICA) - FUSAGGINE (EVONYMUS EUROP.) - ALLORO (LAURIS NOBILIS) - LENTISCO (PISTACIA LENTISUS)
350÷ 450
PRO TTURALE STRU
BANCHINA SALVAGENTE O MARCIAPIEDE (INTERNO)
350
ALBERI SCONSIGLIATI - TUTTE LE CONIFERE IN PARTICOLARE IL PINO (PER LA CADUTA DI PIGNE E RESINA) - EUCALIPTUS (PER IL RISCHIO DI CADUTA DI RAMI)
H
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB 350
AREA PEDONALE ANTISTANTE EDIFICIO PUBBLICO
H
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
H
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
MARCIAPIEDE
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
VIABILITA' ORDINARIA UBICAZIONE DELLE AREE DI PARCHEGGIO
APPARATI VEGETALI E FINITURE
NELL'UBICAZIONE DELLE AREE DI PARCHEGGIO SI DOVREBBE EVITARE DI OCCUPARE GLI SPAZI IMMEDIATAMENTE ANTISTANTI EDIFICI PUBBLICI - COME SONO: SCUOLE, PRESIDI SANITARI, CHIESE, SEDI AMMINISTRATIVE E DI ENTI CON ALTA AFFLUENZA DI PUBBLICO - IN MODO DA DESTINARE TALI SPAZI ALLA FORMAZIONE DI AREE PEDONALI DI ACCESSO E DI USCITA (PERTINENZE), OPPORTUNAMENTE ATTREZZATE.
LE AREE DI PARCHEGGIO ANDREBBERO SCHERMATE E PROTETTE MEDIANTE SISTEMI VEGETALI (SIEPI, FILARI DI ALBERI, PERGOLE), UTILI ANCHE PER RIDURRE L'IMPATTO DEI GAS DI SCARICO SULLE ZONE CIRCOSTANTI; LE ESSENZE DA IMPIANTARE DEVONO ESSERE SEMPREVERDI, NON RESINOSE E AD APPARATO RADICALE NON INVASIVO. DEVE ESSERE PREVISTO UN AMBITO D'IMPIANTO ADEGUATO, MUNITO DI DIAFRAMMI (ANELLI) CHE PROTEGGANO LE PAVIMENTAZIONI DALLA RISALITA DELLE RADICI.
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
AREA PEDONALE marciapiedi
AREA DI PARCHEGGIO
AREA DI PARCHEGGIO
MARCIAPIEDE
80
IMPIANTI VEGETALI E PROTEZIONI DI UN'AREA PEDONALE RISPETTO AL PARCHEGGIO
FILARE DI ALBERI LUNGO IL PARCHEGGIO
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
80
APPARATO DI PROTEZIONE DELLE PAVIMENTAZIONI DALLE RADICI DEGLI ALBERI 320~380
➥
. B.2.4EGGI E H PARC IMESSE R AUTO
B 67
B.2. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI PARCHEGGI E AUTORIMESSE
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
➦ AUTORIMESSE – REQUISITI DI SICUREZZA ➦ NORME DI SICUREZZA PER LA COSTRUZIONE E L’ESERCIZIO DELLE AUTORIMESSE (DM dell’interno 1° febbraio 1986 pubblicato in GU n.38, del 15 febbraio 1986) 6.1.4 Dimensionamento dell’impianto e caratteristiche idrauliche Gli impianti devono avere caratteristiche idrauliche tali da garantire al bocchello della lancia, nelle condizioni più sfavorevoli di altimetria e distanza, una portata non inferiore a 120 l al minuto primo e una pressione di almeno due bar. L’impianto deve essere dimensionato per una portata totale determinata considerando la probabilità di contemporaneo funzionamento del 50% degli idranti e, per ogni montante, degli idranti di almeno due piani. 6.1.5 Alimentazione dell’impianto L’impianto deve essere alimentato normalmente dall’acquedotto cittadino. Può essere alimentato anche da riserva idrica costituita da un serbatoio con apposito impianto di pompaggio idoneo a conferire in permanenza alla rete le caratteristiche idrauliche di cui al precedente punto. Tale soluzione dovrà essere sempre adottata qualora l’acquedotto cittadino non garantisca con continuità nelle 24 ore l’erogazione richiesta. 6.1.6 Collegamento dei mezzi dei vigili del fuoco L’impianto deve essere tenuto costantemente sotto pressione e munito di attacco per il collegamento dei mezzio dei vigili del fuoco, da installarsi in un punto ben visibile e facilmente accessibile ai mezzi stessi. 6.1.7 Capacità della riserva idrica La riserva idrica deve avere una capacità tale da assicurare il funzionamento dell’impianto per 30 minuti primi alle condizioni di portata e di pressione prescritte in precedenza. 6.1.8 Impianti di spegnimento automatico Gli impianti fissi di spegnimento automatico devono essere del tipo a pioggia (sprinkler) con alimentazione ad acqua oppure del tipo a erogatore aperto per erogazione di acqua/schiuma. 6.2. Mezzi di estinzione portatili Deve essere prevista l’installazione di estintori portatili del «tipo approvato» per fuochi della classe «A», «B» e «C» con capacità estinguente non inferiore a «21 A» e «89 B».
7.3. Misure di sfollamento in caso di emergenza Le autorimesse ubicate sulle terrazze devono essere provviste di scale raggiungibili con percorsi inferiori a 80 m, atte ad assicurare il deflusso delle persone verso luoghi sicuri in caso di incendio o di pericoli di altra natura. 7.4. Impianti idrici antincendio Per le autorimesse sulle terrazze deve essere installato come minimo un idrante ogni cento autoveicoli o frazione.
8. SERVIZI ANNESSI 8.1. Generalità È consentito destinare parti della superficie dei locali delle autorimesse a: a) officine di riparazione annesse;
c) uffici, guardianie, alloggio custode. 8.1.0 Officine di riparazione Le officine di riparazione annesse con lavorazioni a freddo possono essere situate all’interno dell’autorimessa, possibilmente in locali separati, con porte di comunicazione metalliche piene. La superficie occupata dalle officine di riparazione annesse non può comunque essere superiore al 20% della superficie dell’autorimessa. Le officine annesse possono essere ubicate al piano terra, primo piano sotterraneo o ai piani fuori terra. Le officine di riparazione annesse con lavorazioni che prevedono l’uso di fiamme libere o di sostanze infiammabili, purché limitate a un solo posto di saldatura e di verniciatura, possono essere collocate all’interno delle autorimesse, alle seguenti condizioni: a) devono essere ubicate al piano terra;
Il numero degli estintori deve essere il seguente: • per i primi 20 veicoli: 1 ogni 5 autoveicoli;
c) devono essere provviste di impianto di ventilazione locale sul posto di verniciatura;
• per i rimanenti, fino a 200 autoveicoli: 1 ogni 10 autoveicoli; • oltre 200 autoveicoli: 1 ogni 20 autoveicoli.
d) le operazioni di saldatura non possono essere eseguite in contemporaneità con le operazioni di verniciatura, a meno che per questa ultima operazione sia predisposta apposita cabina ermeticamente chiusa e con aerazione indipendente;
Gli estintori devono essere disposti presso gli ingressi o comunque in posizione ben visibile e di facile accesso.
e) la vernice, per un quantitativo massimo di 50 kg, deve essere conservata in recipienti chiusi, in apposito armadietto metallico.
7.1. Isolamento Devono essere isolate mediante interposizione di spazi scoperti di larghezza non inferiore a 1,5 m lungo i lati ove affacciano aperture di fabbricati perimetrali. 7.2. Pavimenti 7.2.0 Pendenza Per le autorimesse ubicate sulle terrazze i pavimenti devono avere le caratteristiche di cui al punto 3.8.0.
9. AUTOSALONI Per gli autosaloni o saloni di esposizione devono essere applicate le presenti norme quando il numero degli autoveicoli sia superiore a trenta.
10. NORME DI ESERCIZIO 10.1. Nell’autorimessa è vietato: a) usare fiamme libere, salvo quanto previsto in 8.1.0.; b) depositare sostanze infiammabili o combustibili, salvo quanto previsto in 8.1.0. e 8.1.1.; c) eseguire riparazioni o prove di motori, salvo quanto previsto in 8.1.0.; d) parcheggiare autoveicoli con perdite anormali di carburanti o lubrificanti. 10.2. Entro l’autorimessa è proibito fumare Tale divieto deve essere scritto a caratteri ben visibili.
b) stazioni di lavaggio e lubrificazione;
b) devono essere separate con porte di tipo almeno REI 30 e avere anche un accesso indipendente dall’autorimessa;
7. AUTORIMESSE SULLE TERRAZZE E ALL’APERTO SU SUOLI PRIVATI
B 68
7.2.1 Pavimentazione Per le autorimesse ubicate sulle terrazze la pavimentazione deve essere realizzata con materiali antisdrucciolevoli e impermeabili.
8.1.1 Stazioni di lavaggio e lubrificazione Le stazioni di lavaggio e lubrificazione possono essere situate all’interno delle autorimesse. I lubrificanti in recipienti chiusi, per un quantitativo massimo di 2 mc, devono essere depositati in apposito locale munito di porta metallica e soglia di accesso rialzata di 0,2 m. 8.1.2 Uffici – Guardiania – Alloggio custode È consentita l’ubicazione di uffici e guardianie all’interno delle autorimesse provviste anche di accessi indipendenti da quelli delle autorimesse stesse. L’alloggio del custode dovrà essere completamente isolato dai locali dell’autorimessa, salvo eventualmente un collegamento tramite porta del tipo REI 60.
10.3. Segnaletica di sicurezza Nelle autorimesse si applicano le vigenti disposizioni sulla segnaletica di sicurezza di cui al DPR 8 giugno 1982, n.542 (GU n.218 del 10 agosto 1982), espressamente finalizzate alla sicurezza antincendi. 10.4. Autosilo: divieti di accesso Negli autosilo non è consentito l’accesso alle persone non addette. L’autoveicolo deve essere consegnato al personale addetto che provvede alla successiva riconsegna in prossimità dell’ingresso. 10.5. Pulizie e raccolta dell’acqua I pavimenti devono essere periodicamente lavati e i sistemi di raccolta delle acque di lavaggio devono essere ispezionati e puliti. 10.6. Autoveicoli alimentati a gas Il parcamento di autoveicoli alimentati a gas avente densità superiore a quella dell’aria è consentito soltanto nei piani fuori terra, non comunicanti con piani interrati. 10.7. Controllo dei sistemi di rilevazione e spegnimento Al fine del mantenimento dell’affidabilità degli impianti di rilevazione e spegnimento dovrà essere previsto il loro controllo almeno ogni sei mesi da parte di personale qualificato. 11. NORME TRANSITORIE Per le autorimesse esistenti alla data di entrata in vigore del DM 20 novembre 1981 è consentito che ogni compartimento sia servito da una sola rampa di ampiezza non inferiore a 3 m purché munita di dispositivo per la sua utilizzazione a senso unico.
12. DEROGHE Qualora per particolari ragioni di carattere tecnico o per speciali esigenze di servizio non fosse possibile adottare qualcuna delle prescrizioni sopra indicate, il Ministero dell’Interno, sentita la Commissione consultiva per le sostanze esplosive e infiammabili, si riserva la facoltà di concedere deroghe sempre che l’adozione di particolari accorgimenti tecnici possa conferire alle autorimesse un grado di sicurezza non inferiore a quello ottenibile con l’attuazione integrale delle presenti norme.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ PARCHEGGI E AUTORIMESSE
•
B.2. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.2.4./3 RACCOLTA DEI RIFIUTI SOLIDI URBANI: ISOLE ECOLOGICHE NELLE AREE DI PARCHEGGIO
B.STAZIONI DILEGIZLII
ZONA DI RACCOLTA UBICATA LUNGO LA VIABILITÀ ORDINARIA MARCIAPIEDE
1
CASSONETTI 1 1 3
2
I ED PRE NISM ORGA
1 - CASSONETTI ORDINARI 2 - CASSONETTO PER LA CARTA 3 - CASSONETTO PER IL VETRO 4 - PRESA D'ACQUA PER PULIZIA PIAZZOLA 5 - ACCOSTAMENTO PEDONI 6 - SCHERMO DI ARBUSTIVE E/O ALBERI
SOSTA AUTO REGOLATA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
VIABILITA' ORDINARIA LA RACCOLTA EFFETTUATA LUNGO LA VIABILITÀ ORDINARIA INTRALCIA IL TRAFFICO VEICOLARE E PREGIUDICA L'IGIENE DELLE AREE INTERESSATE (PER ODORI, RUMORI, SPORCIZIA) È CONSIGLIATO UBICARE LE ZONE DI RACCOLTA IN SPAZI SPECIFICAMENTE DESTINATI (ISOLE) ALL'INTERNO DELLE AREE DI PARCHEGGIO, ASSICURANDO LE MANOVRE DI RACCOLTA E LA FLUIDITÀ DEL PERCORSO DEI MEZZI
ZONA DI RACCOLTA UBICATA IN UN PARCHEGGIO IN LINEA 500
650
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
500
ZONA DI RACCOLTA (ISOLA ECOLOGICA) UBICATA IN UN PARCHEGGIO A DISTRIBUZIONE ANULARE
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
min. 600
500
250
500
250
min. 600
500
min. 600
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
RACCOLTA RIFIUTI (ISOLA ECOLOGICA) H
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
H
MARCIAPIEDI MARCIAPIEDI VIABILITÀ ORDINARIA
RACCOLTA RIFIUTI (ISOLE ECOLOGICHE) - SCHEMA RACCOLTA ORDINARIA E DIFFERENZIATA (CARTA, VETRO) PUNTO D'ACQUA PER LAVAGGIO PIAZZOLA 600
350÷450
1000
1
2
1
1
1
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
1 5
5
4 1 6
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
4
3
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
6
MARCIAPIEDI MARCIAPIEDI LE DIMENSIONI DEI CASSONETTI E DEI MEZZI DI RACCOLTA VARIA A SECONDA DEI SISTEMI ADOTTATI DALLE AZIENDE INCARICATE DEL SERVIZIO
. B.2.4EGGI E H PARC IMESSE R AUTO
B 69
B.2. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI PARCHEGGI E AUTORIMESSE
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
➦ AUTORIMESSE – REQUISITI DI SICUREZZA FIG. B.2.4./4 PARCHEGGI MULTIPIANI, INTERRATI E/O FUORI TERRA, PER AUTOMOBILI
SISTEMA CON RAMPE CENTRALI A SENSO UNICO
SISTEMA CON RAMPE LATERALI A SENSO UNICO CORSIA DI MANOVRA LARGHEZZA MIN. 500 CM (CONSIGLIATA 600 CM) RAMPA 1 (SALITA)
POSTI AUTO CORSIA DI DISTRIBUZIONE
POSTI AUTO CORSIA DI DISTRIBUZIONE
POSTI AUTO RAMPA 1 (SALITA)
RAMPA 2 (DISCESA) POSTI AUTO
POSTI AUTO
POSTI AUTO CORSIA DI DISTRIBUZIONE
CORSIA DI DISTRIBUZIONE POSTI AUTO POSTI AUTO RAMPA 2 (DISCESA)
SCALE DI SICUREZZA
RAMPE A SENSO UNICO L. MIN. 300 CM RAMPE A DOPPIO SENSO L. MIN. 450 CM
ALTEZZA NETTA MINIMA 240 CM ALTEZZA SOTTO TRAVE 200 CM
CLASSIFICAZIONE DELLE AUTORIMESSE (ESTRATTO DAL DM DEL 12.02.1986) IN BASE ALLE CARATTERISTICHE EDILIZIE, DI UBICAZIONE E DI ESERCIZIO, LE AUTORIMESSE VENGONO DEFINITE E CLASSIFICATE DAL DM DEL 12.02.1986 COME SEGUE IN BASE ALLA DESTINAZIONE DELL’EDIFICIO O INSIEME EDILIZIO CHE LE OSPITA:
1 A) ISOLATE
SITUATE IN EDIFICI ESCLUSIVAMENTE DESTINATI A TALE USO ED EVENTUALMENTE ADIACENTI AD EDIFICI DESTINATI AD ALTRI USI, MA STRUTTURALMENTE E FUNZIONALMENTE SEPARATI DA QUESTI;
B) MISTE
TUTTE LE ALTRE. I PIANI DELLE AUTORIMESSE, IN BASE ALL’UBICAZIONE RISPETTO AL TERRENO, SI CLASSIFICANO IN:
2 A) INTERRATI
CON IL PIANO DI PARCAMENTO A QUOTA INFERIORE A QUELLO DI RIFERIMENTO;
B) FUORI TERRA
CON IL PIANO DI PARCAMENTO A QUOTA NON INFERIORE A QUELLO DI RIFERIMENTO; SONO PARIMENTI CONSIDERATI FUORI TERRA, AI FINI DELLE PRESENTI NORME, LE AUTORIMESSE AVENTI PIANO DI PARCAMENTO A QUOTA INFERIORE A QUELLO DI RIFERIMENTO, PURCHÉ L’INTRADOSSO DEL SOLAIO O IL PIANO CHE DETERMINA L’ALTEZZA DEL LOCALE SIA A QUOTA SUPERIORE A QUELLA DEL PIANO DI RIFERIMENTO DI ALMENO 0,6 METRI E PURCHÉ LE APERTURE DI AERAZIONE ABBIANO ALTEZZA NON INFERIORE A 0,5 METRI
A) APERTE
CIOÈ AUTORIMESSE MUNITE DI APERTURE PERIMETRALI SU SPAZI A CIELO LIBERO CHE REALIZZANO UNA PERCENTUALE DI AERAZIONE PERMANENTE NON INFERIORE AL 60% DELLE PARETI STESSE E COMUNQUE SUPERIORE AL 15% DELLA SUPERFICIE IN PIANTA;
IN RELAZIONE ALLA CONFIGURAZIONE DELLE PARETI PERIMETRALI POSSONO ESSERE:
3
B) CHIUSE
A) SORVEGLIATE B) NON SORVEGLIATE
QUELLE CHE SONO PROVVISTE DI SISTEMI AUTOMATICI DI CONTROLLO AI FINI ANTINCENDIO, OVVERO PROVVISTE DI SISTEMI DI VIGILANZA CONTINUA ALMENO DURANTE L’ORARIO DI APERTURA; TUTTE LE ALTRE. IN BASE ALLA ORGANIZZAZIONE DEGLI SPAZI INTERNI SI SUDDIVIDONO IN:
5
B 70
TUTTE LE ALTRE. IN BASE ALLE CARATTERISTICHE DI ESERCIZIO E/O DI USO SI DISTINGUONO IN:
4
A) A BOX
NEL CASO IN CUI GLI SPAZI DI SOSTA PER UNA O PIU' AUTOVETTURE SIANO RACCHIUSI DA PARETI O DIVISORI ALMENO PER TRE LATI
B) A SPAZIO APERTO
NEL CASO IN CUI GLI SPAZIDI SOSTA SIANO OSPITATI DA UN AMBIENTE CONTINUO E INDIVISO, E DEFINITI DAL SEMPLICE TRACCIATO A PAVIMENTO DELLE RIGHE PERIMETRALI CHE DELIMITANO GLI STALLI.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ PARCHEGGI E AUTORIMESSE
•
B.2. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.2.4./5 AUTORIMESSE MULTIPIANI, INTERRATI E/O FUORI TERRA, PER AUTOMOBILI
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA SISTEMA CON RAMPE LATERALI CONTINUE A SENSO UNICO
SISTEMA CON DOPPIA RAMPA ELICOIDALE
RAMPE PENDENZA MAX. 20% (CONSIGLIATA 15÷18%).
PENDENZA CONSIGLIATA
C.RCIZIO
15%RAMPA ELICOIDALE -
E ESE ESSIONAL PROF
ENTRATA P.I°
ENTRATA P.II°
RAMPA 1 (SALITA) POSTI AUTO
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
POSTI AUTO CORSIA DI DISTRIBUZIONE CORSIA DI DISTRIBUZIONE
E.NTROLLO
POSTI AUTO
CO NTALE AMBIE
POSTI AUTO POSTI AUTO
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
POSTI AUTO
CORSIA DI DISTRIBUZIONE
USCITA P.I°
USCITA P.II°
CORSIA DI DISTRIBUZIONE
POSTI AUTO
G.ANISTICA
POSTI AUTO
URB SCALE DI SICUREZZA
RAMPA 2 (DISCESA)
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
R. DI CURVATURA EST. MIN. 825 CM PER RAMPE A DOPPIO SENSO, MIN. 700 CM PER RAMPE A SENSO UNICO
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE COMPARTIMENTAZIONE DELLE AUTORIMESSE FUORI TERRA MISTE O ISOLATE (DM DEL 01.02.1986)
COMPARTIMENTAZIONE DELLE AUTORIMESSE INTERRATE (SOTTERRANEE) MISTE O ISOLATE (DM DEL 01.02.1986) AUTORIMESSE SOTTERRANEE
AUTORIMESSE FUORI TERRA MISTE
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
MISTE
ISOLATE
ISOLATE
APERTE
CHIUSE
APERTE
CHIUSE
PIANO PRIMO
5.000
2.500
7.000
3.000
PIANO SECONDO
3.500
2.000
5.500
2.500
3.500
PIANO TERZO
2.000
1.500
3.500
2.000
5.500
3.500
PIANO QUARTO
1.500
2.500
1.500
5.000
2.500
PIANO QUINTO
1.500
2.000
1.500
5.000
PIANO SESTO
1.500
2.000
1.500
4.000
PIANO SETTIMO
1.500
APERTE
CHIUSE
APERTE
CHIUSE
PIANO TERRA
7.500
5.000
10.000
7.500
PIANO TERRA
PIANO PRIMO
5.500
3.500
7.500
5.500
PIANO SECONDO
5.500
3.500
7.500
5.500
PIANO TERZO
3.500
2.500
5.500
PIANO QUARTO
3.500
2.500
PIANO QUINTO
2.500
PIANO SESTO
2.500
PIANO SETTIMO
2.000
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
COMPARTIMENTAZIONE DELLE AUTORIMESSE ISOLATE APERTE CON O SENZA IMPIANTO FISSO DI SPEGNIMENTO (DM DEL 1.2.1986)
AUTORIMESSE SENZA IMPIANTO DI SPEGNIMENTO
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
COMPARTIMENTAZIONE DELLE AUTORIMESSE ISOLATE CHIUSE CON O SENZA IMPIANTO FISSO DI SPEGNIMENTO (DM DEL 1.2.1986)
AUTORIMESSE DOTATE DI IMPIANTO DI SPEGNIMENTO
AUTORIMESSE SENZA IMPIANTO DI SPEGNIMENTO
AUTORIMESSE DOTATE DI IMPIANTO DI SPEGNIMENTO
PIANO TERRA
10.000
30.000
PIANO TERRA
5.500
11.000
PIANO PRIMO
7.500
25.000
PIANO PRIMO
7.500
15.000
PIANO SECONDO
7.500
25.000
PIANO SECONDO
3.000
6.000
N.B. - TUTTI I VALORI SONO ESPRESSI IN METRI QUADRI ED INDICANO LA SUPRFICIE MASSIMA CONSENTITA PER UN "COMPARTIMENTO", NELLE DIVERSE CONDIZIONI INDICATE
➥
. B.2.4EGGI E H PARC IMESSE R AUTO
B 71
B.2. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI PARCHEGGI E AUTORIMESSE
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
➦ AUTORIMESSE – REQUISITI DI SICUREZZA FIG. B.2.4./6 AUTORIMESSE MULTIPIANI, INTERRATI E/O FUORI TERRA, PER AUTOMOBILI – TIPI DI RAMPA
SCHERMO VISIVO PER ELIMINARE EVENTUALE SENSO DI VERTIGINE
PENDENZA LONGITUDINALE MAX. 20% PENDENZA CONSIGLIATA 12÷18%
400 CM. MIN.
RACCORDO
÷400 SEZIONE A - A
MIN. 240
100 MIN.
100 MIN.
PENDENZA TRASVERSALE 3÷4%
MIN. 200
400÷450
÷400 RAMPA: L. MIN. 400 CM A
RAGGIO INT. MIN. 520 CM
A
÷6 %
RAMPA
÷6 %
PENDENZA MAX.12%
RAMPA ELICOIDALE
RAMPA RETTILINEA - SEZIONE LONGITUDINALE
RAMPA RETTILINEA
FIG. B.2.4./7 PARCHEGGI MULTIPIANI AUTOMATIZZATI O SEMIAUTOMATIZZATI PER AUTOMOBILI (AUTOSILO) ESEMPI DI PIATTAFORME A TRASLAZIONE VERTICALE E/O ORIZZONTALE 200
200
80 60
40
60
400 320
400 280 60
70 60 70
40
60
MIN. 180
PIANTA
SEZIONE TRASVERSALE IMPIANTI AUTOMATIZZATI CON PIATTAFORME A TRASLAZIONE VERTICALE E ORIZZONTALE
B 72
SEZIONE LONGITUDINALE
STALLI LA TERALI FISSI
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ PARCHEGGI E AUTORIMESSE
•
B.2. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.2.4./8 PARCHEGGI MULTIPIANI AUTOMATIZZATI O SEMIAUTOMATIZZATI (AUTOSILO)
B.STAZIONI DILEGIZLII 400 370
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
PARTICOLARE DE LLA PIATTA FORMA ROTANTE CON BORDO ANTISDRUCCIOLO PERIMETRALE
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
MIN. 180
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
IMPIANTO AUTOMATIZZATO CON PIATTAFORMA CENTRALE ROTANTE E ST ALLI FISSI
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
SUPERFICIE A QUOTA STRADA RIFINITA CON MANTO PAVIMENTATO E/O CON MANTO VEGETALE
INGOMBRO DEL PARCHEGGIO SOTTERRANEO
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
ACCESSO FUORI TERRA DEL PARCHEGGIO SOTTERRANEO
PIANTA DEL BOX DI ACCESSO FUORI TERRA
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
LINEA DI TERRA STRATO DI TERRENO VEGETALE (EVENTUALE)
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
NASTRO TRASPORTATORE
PIATTAFORMA TRASLANTE
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
NASTRO TRASPORTATORE
IMPIANTO AUTOMATIZZATO A NASTRO TRASPORTATORE CARICATO D ALL'ALTO
SEZIONE TRASVERSALE
. B.2.4EGGI E H PARC IMESSE R AUTO
B 73
B.2. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI PARCHEGGI E AUTORIMESSE
•
STRUTTURE PER LA MOBILITÀ
➦ AUTORIMESSE – REQUISITI DI SICUREZZA FIG. B.2.4./9 PARCHEGGI MULTIPIANI AUTOMATIZZATI A TORRE – AUTOSILO
STALLI FISSI
PIATTAFORMA TRASLANTE
STALLI FISSI
AGGREGAZIONE DELLE "TORRI" PIANTA DEL SISTEMA A "TORRE" CON STALLI LATERALI FISSI
IMPIANTI AUTOMATIZZATI CON PIATTAFORMA CENTRALE TRASLANTE E STALLI LATERALI FISSI
STALLI MOBILI
AGGREGAZIONE DELLE "TORRI"
IMPIANTI AUTOMATIZZATI CON STALLI ROTANTI LUNGO UN CICLO VERTICALE (TIPO PATERNOSTER)
B 74
PIANTA DEL SISTEMA A "TORRE" CON STALLI ROTANTI A CICLO VERTICALE
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STRUTTURE PER LO STOCCAGGIO E IL TRASPORTO MERCI
A.ZIONI
ATTIVITÀ E PRESTAZIONI Costituiscono attività essenziali di una struttura di stoccaggio delle merci le seguenti: • accoglienza delle merci in arrivo; • movimentazione delle merci dai vettori d’arrivo agli stalli di stoccaggio; • stoccaggio delle merci; • movimentazione delle merci dagli stalli di stoccaggio ai vettori di partenza; • svincolo delle merci in partenza. Costituiscono attività complementari e integrative delle strutture di stoccaggio delle merci, a seconda della specializzazione funzionale e dell’importanza della struttura, le seguenti: Controllo del transito dei vettori e del carico: • ricevimento e registrazione dei carichi(delle merci) in arrivo; • registrazione dei carichi in partenza; • verifica (tecnica, fiscale, doganale, ecc.) dei carichi in arrivo e in partenza. Trattamento dei carichi (dei colli): • composizione, scomposizione, rifusione delle unità di carico; • imballaggio o predisposizione al trasporto dei carichi. Gestione direzionale della struttura: • uffici della direzione, dell’ amministrazione, della contabilità. Gestione tecnico-operativa: • controllo delle operazioni di movimentazione;
B.2. 5.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
• deposito e manutenzione dei mezzi di movimentazione dei carichi; • centrali degli impianti tecnologici.
B.STAZIONI DILEGIZLII
Attività e servizi complementari allo stoccaggio e allo scambio: • uffici-sede di spedizionieri e trasportatori; • sportelli o agenzie bancarie; • sportelli postali; • postazioni per comunicazioni dirette a distanza (fax, internet, ecc.).
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
Servizi generali per il personale e per gli operatori-ospiti: • servizi igienici (albergo diurno); • servizi di ristorazione; • strutture di riposo e di pernottamento (albergo). Le prestazioni essenziali che devono assicurare tutti i tipi di magazzini di stoccaggio merci, indipendentemente dalla specializzazione funzionale e dalla dimensione, sono riferibili alle seguenti esigenze: a. custodire i colli e proteggerli dalle intemperie e da altri agenti dannosi, in riferimento alle specifiche esigenze tecniche, meccaniche e ambientali delle merci; b. garantire la sicurezza e l’integrità delle merci e degli imballaggi rispetto ai danni causabili dalla movimentazione e dallo stivaggio; c. garantire la sicurezza dai furti e dalle manipolazioni delle merci; d. facilitare e razionalizzare le operazioni di movimentazione, stivaggio, inventario e reperimento dei ‘colli’.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
STRUTTURE ELEMENTARI DI STOCCAGGIO DELLE MERCI
URB Strutture e modalità di stoccaggio variano in funzione delle caratteristiche specifiche delle merci, dei “colli” e delle ‘unità di carico’ che le contengono, con particolare riferimento all’incidenza dei seguenti fattori: • stato fisico delle merci (solido compatto, solido incoerente, liquido, gassoso); • esigenze ambientali e deperibilità delle merci (sensibilità alla temperatura, all’umidità, alle polveri, al vento); • caratteristiche dimensionali e di resistenza di colli, di contenitori o degli imballaggi; • durata della permanenza inmagazzino; • facilità e rapidità di reperimento, accesso, carico e scarico; • unificazione delle dimensioni di stoccaggio, movimentazione e trasporto. La valutazioni di tali fattori e la conoscenza della gamma delle merci da stivare, permette di determinare la scelta di una o più strutture elementare di stoccaggio e relative modalità di movimentazione dei carichi, tra quelle elencate di seguito. Piazzali di stoccaggio Struttura definita da un’area piana predisposta per lo stoccaggio di materiali, colli o contenitori che – per caratteri specifici dei materiali o dei contenitori – non temono l’incidenza diretta dei fenomeni ambientali, come pioggia, caldo, freddo, vento, ecc. Si possono rilevare due tipi di piazzale: il piazzale semplice di accumulo e il piazzale ordinato. Piazzale di accumulo È definito semplicemente da una superficie piana di appoggio dei materiali, spianata e consolidata, eventualmente delimitata da una recinzione. È destinato ad accogliere merci accatastate o ammucchiate ‘alla rinfusa’, come cumuli (di sabbia, di ghiaie, di minerali grezzi e altri prodotti d’estrazione, di polveri e residui di lavorazioni o demolizioni, di legname non lavorato). La movimentazione dei materiali in fase di arrivo avviene mediante camion a ribalta o carrelli a ribalta che li scaricano nel luogo di accumulo; il prelevamento dei materiali avviene mediante mezzi di presa su ruote o cingoli (ruspe, pale meccaniche e simili) o mediante benne di prelevamento e nastri trasportatori. Piazzale ordinato È costituito da una superficie di stoccaggio piana, opportunamente consolidata, rifinita con manto idoneo a facilitare il transito dei vettori di trasporto e/o dei mezzi di movimentazione dei carichi. Frequentemente sul manto della superficie di stoccaggio (asfaltato od altro) sono tracciate le linee (e i numeri) che individuano gli ordinati moduli di stoccaggio e le corsie per i mezzi di movimentazione. I piazzali ordinati sono destinati a stoccare materiali disponibili in cataste (materiali metallici lavorati, legnami segati, bidoni, ecc.) o merci aggregate in unità di carico protette da involucri che non temono fenomeni ambientali: colli avvolti da pellicole impermeabili, pallets protette, container. I piazzali ordinati costituiscono soluzioni di stoccaggio privilegiata per unità di carico ordinate in ‘container’ – in particolar modo nelle aree di stoccaggio dei centri di distribuzione intermodali come gli ‘interporti’ – dato che i container: • custodiscono le merci e i colli con continuità, dal luogo di spedizione a quello di consegna, durante le soste e gli scambi e durante il trasporto sui diversi vettori (camion, ferrovia, nave); • hanno struttura idonea a proteggere le merci dagli agenti atmosferici e dai furti; • hanno struttura autoportante, che consente altresì la sovrapposizione fino a 3÷4 ordini.
Nei piazzali ordinati la movimentazione dei carichi avviene mediante mezzi specifici a percorso libero o vincolato (su rotaie), di portanza adeguata alle dimensioni e al peso delle unità di carico stoccate: gru fisse e mobili, carri ponte, torri mobili su gomma o su rotaie, carrelli elevatori elettrici a forche. Le dimensioni e la disposizione dei moduli di stoccaggio vengono definite in funzione delle unità di carico e del grado di selettività delle operazioni di carico e scarico, vale a dire della necessità o meno di traslare altre unità di carico per accedere a quella richiesta. Le dimensioni, le caratteristiche e l’eventuale gerarchia delle corsie di movimentazione vengono definite in funzione delle esigenze di manovra dei mezzi di movimentazione adottati (si veda, ad esempio, Fig. B.2.5./2). Piazzali o parti di piazzali coperti (tettoie) Rispondono a esigenze analoghe a quelle dei piazzali e inoltre assicurano la protezione dalla pioggia e dall’irraggiamento solare dei materiali ospitati, sia che si tratti di materiali d’accumulo, sia di materiali ordinatamente stivati. Modalità di stoccaggio e di movimentazione sono analoghe a quelle dei ‘piazzali’. I piazzali coperti in genere non consentono lo stivaggio di container, a meno che la copertura non sia posta a notevole altezza (≥ di 10 m), tale da consentire la manovra degli ingombranti mezzi di movimentazione. Magazzini chiusi (capannoni) Propongono una casistica estremamente articolata, capace di rispondere a tutte le esigenze relative allo stccaggio di merci di qualsiasi tipo, mediante una corrispondente articolazione dei tipi e della qualità delle prestazioni offerte, in quanto a: • superfici e volumi di stoccaggio; • regolazione dei fattori ambientali (temperatura, umidità, tasso di polveri, ecc.); • modalità di stoccaggio delle merci e dei colli (in cataste ordinate, in scaffalature o ‘castelli’ di stoccaggio, ecc.); • modalità di movimentazione, deposito e prelievo (manuale, con mezzi azionati manualmente, con mezzi a mobilità libera o vincolata, mediante carrelli elevatori, mediante sistemi automatizzati, ecc.); • presenza di settori destinati alle operazioni di imballaggio, composizione, scomposizione e rifusione delle unità di carico. Nella progettazione dei magazzini si adottano frequentemente moduli di dimensionamento unificati, corrispondenti a pallet (o multipli di pallet) che assicurano la congruenza tra la disposizione di stivaggio delle unità di carico, la potenzialità di presa e trasferimento dei mezzi di movimentazione e la capacità di carico dei vettori. La densità di stoccaggio delle merci varia in funzione delle dimensioni e della disposizione delle cataste o dei moduli di alloggiamento dei ‘castelli’, del sistema di movimentazione e delle esigenze di rotazione delle merci e selettività dei prelievi: • disposizioni molto compatte in genere corrispondono a una bassa selettività dei prelievi, in quanto l’accesso ai colli richiede la traslazione di altri colli antistanti o sovrastanti; come tale, è indicato nel caso di stoccaggio di un unico tipo di merce che consente il prelievo dei colli periferici direttamente accessibili; • disposizioni ad alta selettività, che permettono l’accesso diretto a tutti i colli, implicano una incidenza relativamente maggiore delle superfici delle corsie di movimentazione e, quindi, una minore densità di stoccaggio.
➥
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. B.2.4EGGI E H PARC IMESSE R AUTO . B.2.5TURE PER E STRUT CCAGGIO RCI E O LO ST SPORTO M IL TRA
B 75
B.2. 5.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STRUTTURE PER LO STOCCAGGIO E IL TRASPORTO MERCI ➦ STRUTTURE ELEMENTARI DI STOCCAGGIO DELLE MERCI Serbatoi Strutture di immagazzinamento destinate a sostanze liquide o gassose. Le dimensioni possono variare notevolmente in funzione del tipo di fluido contenuto, e sono strettamente correlate alla determinazione dei seguenti fattori: • caratteristiche di resistenza della struttura (in metallo, in cemento armato, in materiali plastici, in materiali compositi); • pericolosità intrinseca dei fluidi contenuti, infiammabilità e caratteristiche dei sistemi di sicurezza adottati; • sensibilità alla temperatura e agli altri fattori ambientali; • sistema di movimentazione dei fluidi (con impianto a rete fisso, mediate condotti mobili o flessibili e autobotti). Nel caso di serbatoi destinati a sostanze infiammabili o tali da costituire pericolo per l’uomo e per l’ambiente in caso di dispersione, devono essere adottate le severe misure di sicurezza impartite da normative specifiche, alle quali si rimanda (dato che risulta estremamente complesso richiamarle tutte; ci limitiamo a segnalare: • esigenza di rispettare le prescrizioni in materia di distacchi dei serbatoi contenenti sostanze a rischio dai nuclei abitati; • esigenza di costruire argini murari intorno ai serbatoi per impedire la dispersione delle sostanze a rischio eventualmente fuoruscite.
Silos Strutture di immagazzinamento e protezione di sostanze e materiali solidi incoerenti (granulari, polveriformi o simili), compresi alcuni prodotti agricoli ( semi, cereali secchi, granaglie ecc.) con esigenze ambientali o igieniche che ne sconsigliano l’accumulo all’aperto. Sono generalmente realizzati con strutture in cemento armato o in metallo, eventuamente integrate da apparati di regolazione dell’incidenza dei fattori ambientali (impermeabilizzazione, coibentazione termica, verniciature riflettenti contro ll’irraggiamento solare). La movimentazione dei materiali avviene generalmente con mezzi e modalità diverse per il carico e per il prelievo: • il carico avviene dall’alto, mediante sollevatori meccanici come: nastri trasportatori, elevatori a vaschette e simili o, per materiali leggeri, mediante canali d’aspirazione; • il prelievo avviene da bocche poste nel fondo del silos (tramogge), dalle quali il materiale cade per gravità nel contenitore del vettore di asporto, direttamente o mediante canali e scivoli.
CRITERI DI CLASSIFICAZIONE DEI CENTRI DI STOCCAGGIO DELLE MERCI Sussistono criteri di diversa natura in base ai quali è possibile classificare le strutture di stoccaggio delle merci: • specializzazione funzionale: determinata in base alla posizione che le strutture di stoccaggio occupano all’interno del ciclo di produzione, distribuzione e vendita delle merci; • specializzazione per tipologie merceologiche; • grado di meccanizzazione e/o automazione delle operazioni di stoccaggio.
SPECIALIZZAZIONE FUNZIONALE La specializzazine funzionale delle strutture di stoccaggio delle merci dipende prevalentemente dalla posizione che esse occupano all’interno del ciclo di produzione – distribuzione – vendita dei prodotti. In riferimento a tale criterio e a tale posizione nel ciclo, si possono individuare strutture caratterizzate dall’esigenza di assicurare razionalmente l’espletamento di una o più delle seguenti attività: a. magazzini merci in arrivo presso strutture di produzione; • materiali e componenti di base del processo produttivo; • materiali, pezzi e componenti di ricambio e/o manutenzione degli impianti; b. magazzini merci in partenza dalle sedi di produzione; • merci-prodotto da avviare alla distribuzione e vendita; • materiali di scarto o residuali della produzione; c. magazzini centrali di distribuzione e di scambio modale o intermodale tra diversi vettori, snodo intermedio tra fonti di produzione e destinazione di consumo;
Una categoria di strutture di stoccaggio delle merci decisamente caratterizzata dall’imporsi di complesse esigenze ambientali è costituita dai magazzini per prodotti alimentari, e in particolare dai magazzini frigoriferi che, oltre a dover assicurare prestazioni di esercizio adeguate ai requisiti ambientali imposti dalle merci stoccate, devono presentare apparati di accostamento e di carico e scarico dei vettori frigoriferi diretti e protetti, tali da impedire qualunque interruzione del ciclo del freddo. Altra categoria merceologica caratterizzata da esigenze particolari è costituita dai materiali liquidi, gassosi o solidi-incoerenti (sciolti), che richiedono specifici contenitori di stivaggio (serbatoi, silos) e specifiche modalità di carico e movimentazione.
SPECIALIZZAZIONE PER GRADO DI UNIFICAZIONE, MECCANIZZAZIONE, AUTOMAZIONE Il grado di unificazione, meccanizzazione e automazione delle strutture di stoccaggio e delle operazioni di movimentazione dei colli varia in funzione di diversi fattori, trai quali si segnalano: • variabilità o costanza dei dati dimensionali e delle caratteristiche dei colli; • frequenza delle movimentazioni (o ‘indice di rotazione’ delle merci); • grado di selettività delle movimentazione (se e in quale misura il prelievo di una unità di carico comporta la traslazione di altri colli); • quantità relativa delle unità di trasporto con caratteristiche dimensionali e di peso omogenee (container, pallet, cassette, pacchi generici, pacchi unificati, ecc.); • grado di rapidità richiesto nelle operazioni di individuazione, accesso, prelevamento o deposito dei colli; • grado di integrazione delle attività di inventario, catalogazione, ricerca, prelievo e deposito, registrazione, archiviazione, fatturazione, ecc. delle merci.
d. magazzini merci di scorta dei centri di vendita e di consumo in genere.
SPECIALIZZAZIONE PER TIPOLOGIE MERCEOLOGICHE La specializzazione per tipologie merceologiche – sempre presente nel caso di magazzini associati alle attività produttive per lo stoccaggio dei prodotti finiti – articola casistiche che si differenziano in base ai seguenti fattori: a. dimensioni delle unità di trasporto e/o degli imballi e/o dei colli; b. caratteristiche degli imballaggi o di altri complementi per il trasporto; c. requisiti delle merci, incidenti sulle modalità di stoccaggio, conservazione: • requisiti fisici: stato fisico e consistenza (solido, liquido, gassoso),peso, fragilità; • requisiti ambientali (di conservazione): temperatura, umidità, tasso di polveri; • requisiti di sicurezza: infiammabilità, pericolosità; d. esistenza di vincoli nelle modalità di posizione e movimentazione dei colli (vincoli di posizione: “alto-basso” , vincoli di presa, vincoli di direzione “avantidietro”); e. esigenza di specifici mezzi di movimentazione (carrelli, carrelli elevatori, carri ponte, gru fisse o mobili, torri mobili, sistemi di condotti a rete, condotti pneumatici, nastri trasportatori, ecc.).
B 76
Container Tipico sistema unificato di trasporto e stoccaggio delle merci è rappresentato dall’adozione di ‘container’: contenitori con struttura metallica, autoportanti, chiusi, resistenti, idonei a essere sovrapposti l’uno all’altro fino a 3÷4 ordini, che hanno dimensioni unificate congruenti con quelle delle piattaforme di carico della maggior parte dei vettori. Il container custodisce il suo carico dall’origine alla destinazione ed è particolarmente indicato nel caso in cui si debba trasportare grandi quantità di merce e il percorso preveda scambi unimodali – tra vettori tutti su gomma o tutti su ferro – o intermodali – trasporti per terra e per mare, trasporto su gomma e su ferro – ( le dimensioni unificate dei container sono riportate in Fig. B.2.5./1.) Pallet La razionalizzazione delle relazioni tra stoccaggio e movimentazione delle unità di carico è favorito dall’adozione di ‘pallet’, unità concrete e costituite da supporti di carico (base o paletta) unificate e congruenti con i mezzi più diffusi di movimentazione delle unità di carico: carrelli a forche, elevatori e torri mobili a forche, ecc. (per le dimensioni unificate dei ‘pallet’ si veda. Fig. B.2.5./1.). Sistemi di stoccaggio modulari con movimentazione dei carichi meccanizzata ed eventualmente automatizzata (si vedano Figg. B.2.5./ 3 e B.2.5./4.), sono particolarmente consigliati nelle strutture di stoccaggio, o in loro settori, destinati a merci, omogenee o eterogenee, che comunque possono essere ospitate in contenitori (cassette, scatole, imballi) di peso ridotto e di dimensioni unificate e in presenza dell’esigenza di alta selettività del sistema di prelievo.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STRUTTURE PER LO STOCCAGGIO E IL TRASPORTO MERCI MAGAZZINI CENTRALI DI DISTRIBUZIONE E/O SCAMBIO, MODALE E INTERMODALE – TIPOLOGIE MAGGIORI RICORRENTI Per quanto riguarda le tipologie di trasporto e stoccaggio delle merci definibili in base alll’applicazione del criterio della specializzazione funzionale, si consideri che le attività indicate in a. (magazzini merci in arrivo nelle sedi di produzione), in b. (magazzini delle merci in partenza dalle sedi di produzione) e in d. (magazzini merci di scorta dei centri di vendita) sono essenzialmente determinate dal ciclo produttivo dello stabilimento industriale o del centro commerciale del quale fanno parte; conseguentemente le relative strutture devono essere localizzate (concentrate o distribuite), dimensionate e caratterizzate in
sede di progetto generale dell’insediamento produttivo o commerciale. Le tipologie definibili in base al punti c. (magazzini centrali di distribuzione e di scambio modale o intermodale tra diversi vettori)possono presentarsi come strutture autonome o tra loro integrate, dando luogo a diverse casistiche. Di seguito si schematizzano attività e prestazioni caratteristiche di alcune tipologie maggiori di “centri” a servizio del trasporto e della distribuzione delle merci.
B.2. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
CENTRI DI DISTRIBUZIONE MODALE (arrivi e partenze mediante trasporto su gomma) In questo tipo di ‘centri di distribuzione’ lo scambio tra diverse modalità di trasporto avviene tra vettori dello stesso tipo, ma di diversa dimensione e/o raggio di percorrenza: i grandi vettori su gomma, che trasportano carichi voluminosi a lunga distanza (T.I.R.), lo trasmettono ad altri vettori, anch’essi su gomma ma in genere più piccoli, che provvedono alla consegna delle singole partite di merci fino alla soglia delle strutture di vendita del territorio servito.
• • • •
L’interposizione della struttura di scambio si rende necessaria in considerazione delle difficoltà tecniche e dei vincoli normativi che impediscono l’accesso dei T.I.R. all’interno delle aree urbane, nonché dell’opportunità di aggregarel consistenti carichi di prodotti destinati a estese zone territoriali o a centri urbani, per poi ripartirli nelle quantità minori richieste dai singoli operatori di vendita o da piccoli gruppi di essi.
Costituiscono strutture complementari per l’esercizio di un autoporto: • uffici per le attività direttive e amministrative dell’autoporto; • strutture per la gestione tecnico-operativa (centro di controllo della movimentazione); • strutture di deposito e manutenzione dei mezzi di movimentazione interni; • centrali degli impianti tecnologici.
Autoporto Tipica struttura di scambio unimodale di grandi dimensioni ed esteso ambito territoriale di pertinenza, organizza e relaziona le infrastrutture di arrivo, di partenza e di stazionamento specifiche dei vettori su gomma, le strutture di stoccaggio per la sosta temporanea delle merci in attesa di prelievo e l’eventuale rifusione dei carichi, e le strutture per attività complementari, integrative e di servizio necessarie (v. Fig. B.2.5./6.).
Costituiscono componenti integrative per l’esercizio di un autoporto: • strutture d’accoglienza e ristoro per il personale e per gli operatori-ospiti; • strutture di sostegno delle attività di scambio (uffici di spedizionieri e trasportatori, sportelli bancari e postali, postazioni per comunicazione a distanza (fax, internet, ecc.).
Costituiscono componenti essenziali di un autoporto: • varco d’accesso dalla viabilità ordinaria, generalmente controllato;
piazzale di manovra e stazionamento dei vettori in arrivo e in partenza; strutture coperte o chiuse per la sosta temporanea delle merci; piazzali ordinati per lo stoccaggio all’aperto delle merci (per container); varco di uscita e immissione nella viabilità ordinaria, generalmente controllato), che può anche coincidere o essere affiancato al varco di accesso.
In alcuni casi l’autoporto può prevedere ambienti o settori per l’espletamento di operazioni di scomposizione o ricomposizione delle unità di trasporto (colli). In prossimità dei valichi di confine, l’autoporto può ospitare anche le strutture destinate all’espletamento dei controlli e delle formalità doganali.
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE
CENTRI DI DISTRIBUZIONE INTERMODALE Si ha scambio intermodale quando le merci arrivano con tipo di un mezzo di trasporto e ripartono con mezzi e modalità di trasporto differenti; i casi più frequenti di scambio intermodale si hanno tra: • trasporto per terra (su gomma e/o su ferro) e per mare; • trasporto per terra (su gomma e/o su ferro) e mediante mezzo aereo; • trasporto su gomma e trasporto su ferro.
Trasporti per mare, in arrivo o in partenza: • bacino di ancoraggio e stazionamento delle navi in attesa; • banchine di accostamento e carico delle navi; • cabina di controllo e regolazione del traffico marittimo; • postazioni dei rimorchiatori e delle “pilotine”; • attrezzature specifiche per carico e scarico delle navi.
Interporto Costituisce il più importante e complesso centro di distribuzione delle merci, in presenza dello scambio intermodale tra vettori. In genere si localizza in luogo idoneo alle seguenti modalità di scambio: • scambio tra trasporti di terra (su gomma e/o su rotaie) e trasporti per mare (cargo); • scambio tra trasporto su gomma e trasporto su ferro. L’insediamento è costituito da infrastrutture di arrivo, di partenza e di stazionamento specifiche delle diverse modalità di trasporto e dalle strutture di stoccaggio temporaneo delle merci, nonché dai relativi servizi. (v. Fig. B.2.5./7.)
Strutture comuni per lo stoccaggio temporaneo delle merci in transito: • strutture coperte o chiuse per la sosta temporanea delle merci; • piazzali ordinati per lo stoccaggio all’aperto delle merci (per container); • serbatoi per lo stivaggio temporaneo di sostanze liquide o gassose; • silos per lo stivaggio temporaneo di materiali solidi incoerenti.
Costituiscono componenti essenziali di un interporto, in riferimento alle modalità di trasporto che vi convergono. Trasporti su gomma in arrivo o in partenza: • varco d’accesso dalla viabilità ordinaria, generalmente controllato; • piazzale di manovra e stazionamento dei vettori su gomma in arrivo e in partenza; • varco d’uscita verso la viabilità ordinaria, generalmente controllato, anche affiancato o coincidente con il varco di accesso; • strutture di deposito e manutenzione dei mezzi di movimentazione interni. Trasporti su ferro, in arrivo o in partenza: • varco d’accesso delle tratte ferroviarie di derivazione e cabina di controllo del transito e degli scambi ferroviari; • banchine di accostamento e carico dei vettori su ferro (vagoni).
Strutture per attività complementari e integrative specifiche: L’interporto generalmento offre una estesa gamma di servizi e opportunità complementari allo scambio delle merci, come sono: • agenzie bancarie; • sportelli postali; • postazioni per la comunicazione diretta a distanza; • uffici di contrattazione, ecc; • uffici-sede delle compagnie di trasporto e spedizionieri. Strutture per attività complementari e integrative generiche: • strutture per la gestione e l’amministrazione dell’interporto; • strutture di servizio per gli operatori esterni e interni (accoglienza, igiene, ristoro, pernottamento, ecc.).
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
L’interporto può inoltre prevedere ambienti o settori attrezzati per compiere operazioni di scomposizione o ricomposizione delle unità di trasporto (colli); Nei porti o nelle zone prossime ai valichi di confine può ospitare anche strutture destinate all’espletamento dei controlli e delle formalità doganali.
. B.2.5TURE PER E STRUT CCAGGIO RCI E O LO ST SPORTO M IL TRA
B 77
B.2. 5.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STRUTTURE PER LO STOCCAGGIO E IL TRASPORTO MERCI ➦ MAGAZZINI CENTRALI DI DISTRIBUZIONE E/O SCAMBIO, MODALE E INTERMODALE – TIPOLOGIE MAGGIORI RICORRENTI FIG. B.2.5./1 DATI DI DIMENSIONAMENTO DI STRUTTURE E ATTREZZATURE FISSE E MOBILI PER IL TRASPORTO E LO STOCCAGGIO DELLE MERCI
TRASPORTO MERCI - TIPI DI PALLET NORMALIZZATI TIPO 'C' (NON STANDARD)
TIPO 'D' - A QUATTRO VIE
min.59
PALLET
PALLET A DUE VIE (DI CARICO)
180
120
TIPO 'C' - A QUATTRO VIE
120
TIPO 'B' - A QUATTRO VIE
120
min.59
TIPO 'D' (I.S.O.)
120
TIPO 'A' - A QUATTRO VIE
TIPO 'A' - A DUE VIE
100
120
80
TIPO 'D' - A DUE VIE
TIPO 'B' (I.S.O.)
TIPO 'A' (I.S.O., U.I.C.)
PALLET A QUATTRO VIE
PALLET - DIMENSIONI NORMALIZZATE
PIATTAFORMA CHE TRASFERISCE INSIEMI DI MERCI (OMOGENEE O ETEROGENEE) IN QUANTITÀ E INGOMBRO TALI DA COSTITUIRE UNITÀ DI CARICO STANDARD (MODULI DI CARICO). PUÒ ESSERE MOVIMENTATA DA MEZZI A TRAZIONE MANUALE, ELETTRICA, O AUTOMATIZZATA. I MODULI DIMENSIONALI DEL PALLET SONO COORDINATI CON QUELLI DEI CONTAINER.
STANDARD
ACCREDIT.
TIPO 'A' TIPO 'B' TIPO 'C' TIPO 'D'
I.S.O. I.S.O. I.S.O., U.I.C.
LARGHEZZA LUNGHEZZA 800 1000 1200 1200
1200 1200 1200 1800
I.S.O. = INTERNATIONAL STANDARD ORGANIZATIO U.I.C. = UNION INTERNATIONAL DES CHEMINS DE FER
TRASPORTO MERCI - TIPI DI CONTAINER NORMALIZZATI CONTAINER
244
INGOMBRO PALLET 1A
CASSONI STANDARD PER IL TRASPORTO INTERMODALE (VEICOLI GOMMATI - FERROVIA - TRASPORTI MARITTIMI) COSTITUISCONO LA PRINCIPALE UNITÀ DI TRASPORTO PER LE LUNGHE E LUNGHISSIME PERCORRENZE. I TIPI DI CONTAINER PREVALENTI HANNO DIMENSIONI E CARATTERISTICHE DI CARICO FISSATE DALLE NORME I.S.O. PER LA CLASSE '1' (V. TABELLA) IL TIPO '1C' (I.S.O.) COSTITUISCE UNITÀ DI MISURA SIA RISPETTO ALLE ALTRE CLASSI, SIA RISPETTO ALLA VALUTAZIONE DELLA CAPACITÀ DI CARICO DEI VETTORI, DELLE FLOTTE, DEI PIAZZALI, DEI PORTI.
1219,20 CONTAINER TIPO 1A, 1AA (CON DISPOSIZIONE TRASVERSALE DEI MODULI-PALLET)
243,80
243,80
INGOMBRO PALLET 1A
INTERASSE BLOCCHI D'ANGOLO 585,30
912,10 CONTAINER TIPO 1B, 1BB (CON DISPOSIZIONE TRASVERSALE DEI MODULI-PALLET)
CONTAINER TIPO C1 - ASSONOMETRIA
INGOMBRO PALLET 1A
605,60 CONTAINER TIPO 1C, 1CC (MODULI-PALLET LOGITUDINALI)
B 78
ALTEZZE CLASSE '1'
259,30 TIPO 1AA, 1BB, 1CC
243,80
243,80 TIPO 1A, 1B, 1C
CONTAINER - DIMENSIONI NORMALIZZATE (I.S.O.) CLASSE '1' ALTEZZA mm TIPO 1A TIPO 1AA TIPO 1B TIPO 1BB TIPO 1C TIPO 1CC TIPO 1D TIPO 1E TIPO 1F
2438 2591 2438 2591 2438 2591 2438 2438 2438
LARGH. BLOCCHI mm interasse 2438 2438 2438 2438 2438 2438 2438 2438 2438
225,9 225,9 225,9
LUNGH. mm 12192 12192 9125 9125 6058 6058 2991 1968 1460
BLOCCHI PESO interasse lordo, kg 1198,5 30480 30480 891,8 25400 25400 585,3 20320 20320 10160 7110 5080
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STRUTTURE PER LO STOCCAGGIO E IL TRASPORTO MERCI
B.2. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.2.5./2 DATI DI DIMENSIONAMENTO PER LO STOCCAGGIO E IL TRASPORTO DEI CONTAINER
B.STAZIONI DILEGIZLII 250
250
250
250
250
250
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF 250
250
250
1000
250
250
250
250
250
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
610
610
250 150 250 150 250 150 250 150 250 150 250 150 250 150 250 150 250
E.NTROLLO 610
610
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM STOCCAGGIO PER MOVIMENTAZIONE FRONTALE CON CARRO-GRU (CONTAINER 1C)
STOCCAGGIO DIMENSIONATO PER MOVIMENTAZIONE CON CARRO-PONTE (A 'CAVALIERE)
G.ANISTICA
250
250
250
250
250
URB
250
250
250
250
1400
250
250
250
250
610
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M 1220
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
610
ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE
STOCCAGGIO PER MOVIMENTAZIONE LATERALE A FORCHE
STOCCAGGIO PER MOVIMENTAZIONE FRONTALE A FORCHE (CONTAINER TIPO 1A)
STOCCAGGIO E TRASPORTO DI CONTAINER - DIMENSIONI DI CONGRUENZA 243,80
600÷ 750
243,80
68÷ 365
÷ 196 ÷ 245
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
243,80
INTERASSE BLOCCHI 585,30
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
25
243,80
243,80
CONTAINER 1A = 1220
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
243,80
÷ 126
60
225,9
INTERASSE BLOCCHI = 585,30
243,80
CONTAINER 1C = 605,80
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
90
126 INTERASSE BLOCCHI D'ANGOLO 1198,50
TRASPORTO SU GOMMA DEI CONTAINER TIPO 1A, 1C
120÷ 360
CONTAINER 1C = 605,80 STOCCAGGIO DI CONTAINER TIPO 1C
243,80
243,80
. B.2.5TURE PER E STRUT CCAGGIO RCI E O LO ST SPORTO M IL TRA
B 79
B.2. 5.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STRUTTURE PER LO STOCCAGGIO E IL TRASPORTO MERCI ➦ MAGAZZINI CENTRALI DI DISTRIBUZIONE E/O SCAMBIO, MODALE E INTERMODALE – TIPOLOGIE MAGGIORI RICORRENTI FIG. B.2.5./3 STRUTTURE COMPATTE A ‘CASTELLO’ PER PALLETS, CON CARICAMENTO MECCANICO (manovrato)
"CA STELLO" COMPATTO SISTEMA CON STALLI SU PIÙ PIANI SERVITO DA TRASLAELEVATORE A TORRE, SU RUOTE
STRUTTURAE DI STOCCAGGIO DI P ALL ETS SU PIÙ LIVELLI I CONTAINER, ESSENDO CHIUSI ED AUTOPORTANTI, POSSONO ESSERE DIRETTAMENTE SOVRAPPOSTI (IN GENERE FINO A TRE ORDINI).
SCHEMA DI MANOVRA VERTICALE
MOD.1
MOD.2
STRUTTURA DEL 'CASTELLO'
PALLET TORRE
I PALLETS SONO COSTITUITI SEMPLICEMENTE DA UNA PIATTAFORMA D'APPOGGIO MODULARE, E POSSONO ESSERE APERTI O CHIUSI CON VARI TIPI DI IM BALLA GGI; PERETANTO, PER ESSERE STIVATI SU PIÙ LIVELLI RICHIEDONO ST ALLI SO RRETTI DA IDONEE STRUTTURE ("CASTELLI"). LE DIMENSIONI ED IL NUMERO DI LIVELLI DEGLI STALLI DIPENDONO: - DAL TIPO E DAL NUMERO DI P ALL ET OSPITATI DAL SINGOLO ST ALLO (A, B, C, D); - DAL PESO DE LLA M ERCE - DALLA PORTANZA DE LLA STRUTTURA DEL CASTELLO. L'ALTEZZA E IL GRADO DI COMPATTEZZA DELLE STRUTTURE DI STIVAGGIO DIPENDE ANCHE DAL MECCANISMO DI CARICO E SCARICO ADOTTATO: - A CARRELLO ELEVATORE SEMPLICE - A GRU - A TRASLOELEVATORE 'A TORRE', MONTATA SU RUOTE - A TRASLOELEVATORE 'A TORRE' SOSPESO A BINARI AEREI (AUTOMATIZZATO O CON OPERATORE) ACCANTO VIENE SCHEMATIZZATO UN SISTEMA COMPATTO DI STIVAGGIO DELLE MERCI, A MODULO STRUTTURA COSTANTE (MODULO 2) ,CAPACE DI OSPITARE DIVERSI PALL ETS (PER TIPO E PER NUMERO), FORMATO DA: - SERIE AFFRONTATE DI ST ALLI (8 L IVELLI) CON ACCESSO DALVANO CENTRALE; - TRASLOELEVATORE 'A TORRE' MONTATO SU RUOTE; - PALLETS NORMALIZZATI TIPO 'A' e 'D' (MODULO 1) . MOD. 1 =
MODULO DELLA STRUTTURA, DETERMINATO PER OSPITARE UNO O PIÙ PALLETS DEI TIPI PIÙ FREQUENTI (A, D), E RELATIVI SPAZI DI MANOVRA. NEGLI SCHEMI RIPORTATI, GLI ST ALLI POSSONO OSPITARE: - 4 PALLETS TIPO 'A' (DUE PER OGNI FRONTE DI CARICO); - 2 PALLETS TIPO 'D' (UNO PER OGNI FRONTE DI CARICO) - 2 PALLETS TIPO 'A' (SU UN FRONTE) + 1 DI TIPO 'D' SULL'ALTRO FRONTE
MOD. 2 =
MODULO PALLETS (SI VEDA FIG. B.2.5./1) SI RICHIAMANO I TIPI FREQUENTEMENTE UTILIZZATI: TIPO 'A' = 800 x 1200 TIPO 'B' = 1000 x 1200 TIPO 'D' = 1200 x 1800
PIATTO DI CARICO CON FORCHE MOBILI
VETTORE SU RUOTE
PALLET TIPO A PALLET TIPO A
MOD.1 (1xD)
MOD.1 (2xA)
PALLET TIPO D
MOD.2.
SCHEMA DI MANOVRA ORIZZONTALE
MOD.1 MOD.1 MOD.2
TRASLOELEVATORE 'A TORRE' MONTATA SU RUOTE
B 80
TRASLOELEVATORE 'A TORRE' MONTATO SU VETTORE A TERRA
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STRUTTURE PER LO STOCCAGGIO E IL TRASPORTO MERCI
B.2. 5. A.ZIONI
FIG. B.2.5./4 STOCCAGGIO DELLE MERCI – “CASTELLI” COMPATTI, CON CARICAMENTO MECCANICO O AUTOMATIZZATO
SCHEMA DI "CASTELLO" COMPATTO SISTEMA CON STALLI A M ODULO COSTANTE NORMALIZZATO E TRASLOELEVATORE 'A TORRE ' SOSPESO A BINARI AEREI, (ANCHE A MECCANISMO AUTOMATIZZATO)
STRUTTURA DI STIVAGGIO A MODULO COSTANTE COMPATIBILE CON MECCANISMI DI CARICO AUTOMATIZZATI NEL CASO DI STRUTTURE DI STIVAGGIO DESTINATE A P ALL ETS DELLO STESSO TIPO (MERCI OMOGENEE O CARICHI UNIFICATI), LA UNIFORMITÀ DEGLI ST ALLI CONSENTE ANCHE L'ADOZIONE DI APPARATI DI CARICO AUTOMATIZZATI.
SCHEMA DI MANOVRA VERTICALE BINARI AEREI
FORCHETTE DI CARICO
NELLO SCHEMA PROPOSTO, IL SISTEMA COMPATTO DI STIVAGGIO DELLE MERCI A MODULO COSTANTE È FORMATO DA: - SERIE DI STALLI A FFRONTATI, DISPOSTI SU OTTO LIVELLI, CON ACCESSO DAL VANO DI CARICO CENTRALE (MODULO 2); - TRASLOELEVATORE 'A TORRE' , SOSPESO A BINARI AEREI, CHE SCORRE NEL VANO CENTRALE E PROVVEDE AL CARICO E SCARICO DEI CONTENITORI - (ANCHE CON MECCANISMO AUTOMATIZZATO); CONTENITORI: PALL ETS NORMALIZZATI (MOD.1, P ALL ET TIPO 'A' ISO) .
SCHEMA ASSONOMETRICO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
STRUTTURA DEL 'CASTELLO' PALLETS
G.ANISTICA
TRASLAZIONE VERTICALE
URB
M1.
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
M2.
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
SCHEMA DI MANOVRA ORIZZONTALE M1. PALLET. TIPO A
M2.
ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE
M1. M2.
M2.
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
MOD. 1 = MODULO STRUTTURA (ST ALLI)
RULLI TRASPORTATORI ( ALLA ZONA DI SCAMBIO CON L' ESTERNO)
MOD. 2 = MODULO CONTENITORI (PALL ETS)
TRASLOELEVATORE 'A TORRE' SOSPESO A BINARI AEREI
PERCORSI DI TRASLAZIONE ORIZZONTALE E VERTICALE DELLE MERCI
. B.2.5TURE PER E STRUT CCAGGIO RCI E O LO ST SPORTO M IL TRA
B 81
B.2. 5.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STRUTTURE PER LO STOCCAGGIO E IL TRASPORTO MERCI ➦ MAGAZZINI CENTRALI DI DISTRIBUZIONE E/O SCAMBIO, MODALE E INTERMODALE – TIPOLOGIE MAGGIORI RICORRENTI FIG. B.2.5./5 STRUTTURE PER IL TRASPORTO DELLE MERCI – PARCHEGGIO E STAZIONAMENTO PER AUTOCARRI
92 122
92 126
410
410
DATI DI INGOMBRO DI AUTOCARRI, AUTOCARRI CON RIMORCHIO, AUTOARTICOLATI
356 638 520 1220
60
68 365
178 245
60
600 750 730 1220
196 245
68 365
60
300 365 456 516
126
25
105
186 100
600 960
90
100
575
90 120
196 243
1800 3000
25
126
380
1370 1600
60
285
90
120 90
576 1048
126 120 360
196 243
1680 2400
548 ESEMPI DI AREE DI PARCHEGGIO PER AUTOCARRI E AUTOARTICOLATI 2630 1130
750
750
1500 2000
1250
500
1250
1250
500
35 0
R=1200
50
12
PARCHEGGIO PER AUTOCARRI (2 3 ASSI) A 45¡ CON CORSIE LATERALI A SENSO UNICO 2460 1660
400
4000 6200 1600 2200
1200 2000
2400 1200 2000
1200
1200
35
0
400
400
400
ESEMPIO DI BANCHINA DI ACCOSTAMENTO PER AUTOCARRI (2 3 ASSI)
R=1000 CM.
00
20
PARCHEGGIO PER AUTOCARRI CON RIMORCHIO A 45¡ CON CORSIE LATERALI A SENSO UNICO
B 82
PARCHEGGIO PER AUTOCARRI CON RIMORCHIO A 90¡ CON CORSIE LATERALI A SENSO UNICO
PARCHEGGIO PER AUTOCARRI (4 5 ASSI) A 90¡ CON CORSIA A SENSO UNICO
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STRUTTURE PER LO STOCCAGGIO E IL TRASPORTO MERCI
B.2. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.2.5./6 STRUTTURE PER IL TRASPORTO DELLE MERCI – AREE DI STOCCAGGIO E DI SCAMBIO UNIRMODALE E INTERMODALE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
1600 1680
1440 1560
UFFICI
UFFICI
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
G.ANISTICA URB
STOCCAGGIO 120
STOCCAGGIO
D.GETTAZIONE
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
1600 1680
1440 1560
700
0,00
PIAZZALE DI MANOVRA
LIMITE COPERTURA
BANCHINA
STOCCAGGIO
STOCCAGGIO
BANCHINA
BANCHINA
STOCCAGGIO
STOCCAGGIO
BANCHINA
PIAZZALE DI MANOVRA
LIMITE COPERTURA
E ESE ESSIONAL PROF
0,00
STRUTTURA DI RIBALTA GOMMA - FERROVIA, CON BINARI PARALLELI E STOCCAGGIO MERCI AL COPERTO
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP 428
BANCHINA
BANCHINA
STOCCAGGIO
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
120
0,00 196 PROIEZIONE DELLE COPERTURE (EVENTUALI)
93,5
245
STRUTTURA DI RIBALTA GOMMA - FERROVIA, CON BINARI A SPINA DI PESCE
BANCHINE DI CARICO/SCARICO
143,5 315
ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
BANCHINA
STOCCAGGIO
BANCHINA
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
UFFICI
UFFICI
STOCCAGGIO
STRUTTURA DI RIBALTA GOMMA - GOMMA, CON STOCCAGGIO MERCI AL COPERTO
120 0,00
. B.2.5TURE PER E STRUT CCAGGIO RCI E O LO ST SPORTO M IL TRA
B 83
B 84
RIBALTA FERRO-GOMMA
PARCHEGGI OPERATORI
PIAZZALE DI MANOVRA AUTOMEZZI
RIBALTA GOMMA-GOMMA
PARCHEGGI OPERATORI CONTROLLO
VV.FF.
PARCHEGGI OPERATORI
ACCESSO DI SERVIZIO
SERVIZI GENERALI
SERVIZI TECNICI (OFFICINE, CENTRALI IMPIANTI)
DISTRIBUTORE CARBURANTE
STOCCAGGIO COLLI NON NORMALIZZATI
STOCCAGGIO CONTAINER
TEMINALE CONTAINER
CONNESSIONI FERROVIARIE
ENTRATA/USCITA AUTOMEZZI CONNESSIONE CON LA RETE STRADALE
FINANZA
ENTRATA/USCITA OPERATORI
SERVIZI GENERALI (BANCA, POSTE, UFFICI COMPAGNIE, ECC.)
STRUTTURE RICETTIVE (HOTEL, RISTORANTE, MENSA, BAR)
RIBALTA GOMMA - GOMMA
STAZIONAMENTO MEZZI IN ATTESA
RIBALTA FERROVIA - GOMMA
PARCHEGGI DEI SERVIZI GENERALI
PARCHEGGI OPERATORI
PARCHEGGI STRUTTURE RICETTIVE
RIBALTA GOMMA - GOMMA
STAZIONAMENTO MEZZI IN ATTESA
RIBALTA GOMMA - FERROVIA
CONNESSIONI FERROVIARIE
B.2. 5. PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LA MOBILITÀ STRUTTURE PER LO STOCCAGGIO E IL TRASPORTO MERCI ➦ MAGAZZINI CENTRALI DI DISTRIBUZIONE E/O SCAMBIO, MODALE E INTERMODALE – TIPOLOGIE MAGGIORI RICORRENTI
FIG. B.2.5./7 SCHEMA DELLE ATTIVITÀ E DELLE RELAZIONI DI UN’AREA ATTREZZATA PER LO SCAMBIO INTERMODALE (“interporto”)
ACCESSO DI SERVIZIO
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO AGIBILITÀ E SICUREZZA DEI LOCALI PER LO SPETTACOLO
A.ZIONI
LOCALI DI PUBBLICO SPETTACOLO – RIFERIMENTO A NORME DI CARATTERE GENERALE Circolare Min. Interno 15 febbraio 1951 n.16
Norme di sicurezza per la costruzione, l’esercizio e la vigilanza dei teatri, cinematografi e altri locali di spettacolo in genere.
Circolare Min. Interno 24 gennaio 1963 n.12
Modifiche alla Circolare Ministeriale 15 febbraio 1951, n.16 relativa a “norme di sicurezza per la costruzione, l’esercizio e la vigilanza dei teatri, cinematografi e altri locali di spettacolo in genere”.
Circolare Min. Interno 1° marzo 1963 n.28
Circolare Min. Interno 29 luglio 1971 n.72
Circolare Min. Interno 16 giugno 1980 n.13473/4109
Circolare Min. Turismo e Spettacolo 20 dicembre 1961 n.8912
Circolare Min. Interno 2 luglio 1962 n.68
Modifiche alla Circolare Ministeriale 15 febbraio 1951, n.16 relativa a “norme di sicurezza per la costruzione, l’esercizio e la vigilanza dei teatri, cinematografi e altri locali di spettacolo in genere”. Modifiche alla Circolare Ministeriale n.16 del 15 febbraio 1951 relativa a “norme di sicurezza per la costruzione, l’esercizio e la vigilanza dei teatri, cinematografi e altri locali di spettacolo in genere”. Modifiche e chiarimenti alla Circolare Ministeriale n.16 del 15 febbraio 1951 contenente “Norme di sicurezza per la costruzione, l’esercizio e la vigilanza dei teatri, cinematografi e altri locali di spettacolo in genere” e successive modificazioni”. Norme di sicurezza per l’agibilità di piste destinate ad attività kartistica a carattere ricreativo. Norme di sicurezza per l’agibilità delle piste e strade sedi di competizioni velocistiche per auto e motoveicoli.
Circolare Min. Interno 27 agosto 1971 n.79
Norme di sicurezza per i locali destinati a trattenimenti danzanti, concerti, conferenze, ecc., di capienza inferiore a 150 persone.
Circolare Min. Interno 24 marzo 1973 n.35
Gruppi per il condizionamento di ambienti. Chiarimenti in merito alla applicazione delle norme di cui alla Circolare n.68 del 25 novembre 1969 e n.73 del 29 luglio 1971.
Circolare Min. Turismo e Spettacolo 9 marzo 1978 n. 2039/T4104
Norme in materia di agibilità , apertura e funzionamento dei “teatri-tenda”.
DPR 29 luglio 1982, n.577
Approvazione del regolamento concernente l’espletamento dei servizi di prevenzione e di vigilanza antincendi
Circolare Min. Interno 20 novembre 1982 n. 52
DM 16 febbraio 1982 e DPR 29 luglio 1982, n.577 – Chiarimenti.
Lettera Circolare Min. Interno 2 marzo 1983 n.3871/4109
Certificato di prevenzione incendi per manifestazioni varie.
DM Interno 6 luglio 1983
Norme sul comportamento al fuoco delle strutture e dei materiali da impiegarsi nella costruzione di teatri, cinematografi e altri locali di pubblico spettacolo in genere.
Circolare Min. Interno 1 agosto 1983 n.25
“Norme sul comportamento al fuoco delle strutture e dei materiali da impiegarsi nella costruzione di teatri, cinematografi e altri locali di pubblico spettacolo in genere”. chiarimenti e indicazioni applicative.
DM Interno 30 novembre 1983
Termini, definizioni generali e simboli grafici di prevenzione incendi.
Lettera Circolare Min. Interno 19 maggio 1984 n.1015506/13500
Attività di spettacolo e trattenimento nei locali dei circoli privati – Attribuzione del carattere privato o pubblico del locale.
DM Interno 28 agosto 1984
DM 4 febbraio 1985
Modificazioni al DM 6 luglio 1983 concernente norme sul comportamento al fuoco delle strutture e dei materiali da impiegarsi nella costruzione di teatri, cinematografi e altri locali di spettacolo in genere. Norme transitorie sull’uso dei materiali classificati per la reazione al fuoco in data antecedente all’entrata in vigore del DM 26 giugno 1984. Classificazione di reazione al fuoco e omologazione dei materiali ai fini della prevenzione incendi.
Circolare Min. Interno 24 giugno 1985 n. 559/10122/11690
Videoproiezioni e impianto di apparecchi televisivi nei pubblici esercizi.
Circolare Min. Interno 17 dicembre 1986 n. 42
Chiarimenti interpretativi di questioni e problemi di prevenzione incendi.
Circolare Min. Interno 15 ottobre 1987 n.37/87/22
Locali di pubblico spettacolo. sostituzione di materiali componenti poltrone imbottite.
Lettera Circolare Min. Interno 22 luglio 1989 n.12721/4109
Locali di pubblico spettacolo con capienza inferiore a 150 posti. Deroghe per la larghezza della seconda uscita.
DM Interno 15 novembre 1989
Norme sui sedili non imbottiti e non rivestiti installati nei teatri, cinematografi e altri locali di pubblico spettacolo.
Lettera Circolare Min. Interno 7 gennaio 1991 n.153/4109
Locali di pubblico spettacolo con capienza inferiore a 150 posti – Deroghe per la larghezza della seconda uscita – Chiarimenti.
DM Turismo e Spettacolo 13 gennaio 1992 n.184
Regolamento di esecuzione della legge 4 novembre 1965, n.1213, per quanto attiene la costruzione, trasformazione, adattamento di immobili da destinare a sale e arene per spettacoli cinematografici, l’ampliamento di sale e arene cinematografiche già in attività, nonché’ la destinazione di teatri a sale per proiezioni cinematografiche.
DM Beni Culturali e Ambientali 20 maggio 1992 n.569
Regolamento contenente norme di sicurezza antincendio per gli edifici storici e artistici destinati a musei, gallerie, esposizioni e mostre.
Circolare Min. Interno 14 dicembre 1992 n.22
Disciplina Normativa Sulle Sale Giochi Fisse – Chiarimenti.
DM Interno 17 dicembre 1992 n.564
Regolamento concernente i criteri di sorvegliabilità dei locali adibiti a pubblici esercizi per la somministrazione di alimenti e bevande.
Legge 1 marzo 1994 n.153
Conversione in legge del DL 14 gennaio 1994, n.26 concernente interventi urgenti in favore del cinema.
DPCM 8 settembre 1994
Determinazione dei criteri per la concessione dell’autorizzazione all’apertura di sale cinematografiche.
DM Interno 22 febbraio 1996 n.261
Regolamento recante norme sui servizi di vigilanza antincendio da parte dei vigili del fuoco sui luoghi di spettacolo e trattenimento.
Circolare Min. Interno 31 maggio 1996 n.15 (Mi.Sa)
DM Interno 19 agosto 1996
B.3. 1.
Locali di pubblico spettacolo – valori dei sovraccarichi nel dimensionamento dei solai.
Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio dei locali di intrattenimento e di pubblico spettacolo.
➥
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. B.2.5TURE PER STRUT CCAGGIO ERCI M O LO ST ASPORTO E IL TR . REZZA B.3.1ITÀ E SICU AGIBILCALI PER DEI LO TTACOLO E LO SP
B 85
B.3. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO AGIBILITÀ E SICUREZZA DEI LOCALI PER LO SPETTACOLO ➦ LOCALI DI PUBBLICO SPETTACOLO – RIFERIMENTO A NORME DI CARATTERE GENERALE Circolare Min. Interno 27 marzo 1997 n.P718/4118 Sott.20/C
Chiarimenti sul termine “capienza” di un locale di pubblico spettacolo e trattenimento.
DM 22 febbraio 1996, n.261
Chiarimenti sul termine “capienza” di un locale di un pubblico spettacolo e trattenimento.
DPCM 18 settembre 1997
Determinazione dei requisiti delle sorgenti sonore nei luoghi di intrattenimento danzante.
DM Interno 8 novembre 1997
Proroga dei termini di cui al punto 7.7 della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione e l’esercizio dei locali di pubblico spettacolo e intrattenimento, approvata con DM 19 agosto 1996.
Circolare Min. Interno 18 dicembre 1997 n.21 Mi.Sa.(97)
Utilizzo occasionale di impianti sportivi al chiuso per spettacoli musicali dal vivo.
Circolare Min. Interno 5 maggio 1998 n.9
DPR 12 gennaio 1998, n.37. Regolamento per la disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione incendi – Chiarimenti applicativi.
DPCM 29 settembre 1998 n.391
Regolamento recante disposizioni per il rilascio di autorizzazione per l’apertura di sale cinematografiche, ai sensi dell’art.31 della legge 4 novembre 1965, n.1213, e successive modificazioni.
DPCM 16 aprile 1999 n.215
Regolamento recante norme per la determinazione dei requisiti acustici delle sorgenti sonore nei luoghi di intrattenimento danzante e di pubblico spettacolo e nei pubblici esercizi.
NORME DI CARATTERE SPECIFICO
NORME DI CARATTERE GENERALE
Legge 4 novembre 1965, n.1213: Nuovo ordinamento dei provvedimenti a favore della cinematografia.
DPCM 29 settembre 1998, n.391 – Dipartimento dello spettacolo: Regolamento recante disposizioni per il rilascio di autorizzazione per l’apertura di sale cinematografiche.
DM Interno 19 agosto 1996: Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio dei locali di intrattenimento e di pubblico spettacolo. DM Interno 22 febbraio 1996, n.261: Regolamento recante norme sui servizi di vigilanza antincendio da parte dei Vigili del Fuoco sui luoghi di spettacolo e trattenimento.
DL 19 settembre 1994 n.626: Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro.
“REGOLA TECNICA” La progettazione, la costruzione e l’esercizio di locali per lo spettacolo devono rispettare rigorosamente le prescrizioni in materia di prevenzione incendi ordinate da specifica Regola tecnica, promulgata con DM Interno 19 agosto 1996 che abroga tutte le precedenti disposizioni di prevenzione incendi impartite in materia. Se ne si richiamano di seguito i contenuti essenziali o che, comunque, definiscono requisiti di diretta rilevanza per l’elaborazione dei progetti.
NORME E REGOLAMENTI DI CARATTERE SPECIFICO 1. La “Regola tecnica” emana disposizioni di prevenzione incendi riguardanti la progettazione, la costruzione e l’esercizio dei seguenti locali (elencati dall’art.1 del DM Interno 19 agosto 1996): a) teatri; b) cinematografi; c) cinema-teatri; d) auditori e sale convegno; e) locali di trattenimento con capienza superiore a 100 persone: • locali destinati a trattenimenti e attrazioni varie; • aree ubicate in esercizi pubblici; • attrezzate destinate ad accogliere spettacoli, f) sale da ballo e discoteche; g) teatri tenda; h) circhi; i) luoghi destinati a spettacoli viaggianti e parchi divertimento; l) luoghi all’aperto, ovvero luoghi ubicati in delimitati spazi all’aperto attrezzati con impianti appositamente destinati a intrattenimenti o spettacoli e con strutture apposite per lo stazionamento del pubblico. Rientrando nel campo di applicazione del decreto i locali multiuso utilizzati occasionalmente per attività di intrattenimento e pubblico spettacolo. Ai locali di trattenimento, di cui alla precedente lettera e), ma con capienza non superiore a 100 persone, si applicano disposizioni riportate in uno specifico “titolo XI”. 2. Sono esclusi dal campo di applicazione della Regola tecnica: a) i luoghi all’aperto,quali piazze e aree urbane prive di strutture specificatamente destinate allo stazionamento del pubblico per assistere a spettacoli e manifestazioni varie, anche con uso di palchi o pedane per artisti, purché di altezza non superiore a 0,8 m e di attrezzature elettriche, comprese quelle di amplificazione sonora, purché installate in aree non accessibili al pubblico; b) i locali, destinati esclusivamente a riunioni operative, di pertinenza di sedi di associazioni ed enti; c) i pubblici esercizi dove sono impiegati strumenti musicali in assenza dell’aspetto danzante e di spettacolo; d) i pubblici esercizi in cui è collocato l’apparecchio musicale “karaoke” o simile, a condizione che non sia installato in sale appositamente allestite e rese idonee
B 86
all’espletamento delle esibizioni canore e all’accoglimento prolungato degli avventori, e la sala abbia capienza non superiore a 100 persone; e) i pubblici esercizi dove sono installati apparecchi di divertimento, automatici e non, in cui gli avventori sostano senza assistere a manifestazioni di spettacolo (sale giochi). 3. Le disposizioni della Regola tecnica si applicano ai locali di nuova realizzazione e a quelli esistenti alla data di entrata in vigore (19 agosto 1996), già adibiti ad attività di cui al punto 1, nel caso siano oggetto di interventi comportanti la completa ristrutturazione e/o il cambio di destinazione d’uso, con esclusione degli interventi di manutenzione ordinaria, (come definiti dall’art.31 della legge 5 agosto 1978, n.457). Nel caso che gli interventi effettuati su locali esistenti, comportino la sostituzione o modifica di impianti e/o attrezzature di protezione attiva antincendio, la modifica parziale delle caratteristiche costruttive e/o del sistema di vie di uscita, e/o ampliamenti, le disposizioni della Regola tecnica si applicano soltanto agli impianti e/o alle parti della costruzione oggetto degli interventi di modifica. In ogni caso gli interventi di modifica effettuati su locali esistenti, che non comportino un loro cambio di destinazione non possono diminuire le condizioni di sicurezza preesistenti.
OBIETTIVI Ai fini della prevenzione degli incendi, della sicurezza e della salvaguardia delle persone e dei beni, i locali di trattenimento e di pubblico spettacolo devono essere realizzati e gestiti in modo da: a) minimizzare le cause di incendio; b) garantire la stabilità delle strutture portanti al fine di assicurare il soccorso agli occupanti; c) limitare la produzione e la propagazione di un incendio all’interno del locale; d) limitare la propagazione di un incendio a edifici e/o locali contigui; e) assicurare la possibilità che gli occupanti lascino il locale indenni o che gli stessi siano soccorsi in altro modo; f) garantire la possibilità per le squadre di soccorso di operare in condizioni di sicurezza.
DISPOSIZIONI PER I LOCALI ESISTENTI E DEROGHE 1. I locali esistenti alla data di entrata in vigore del DM Interno 19 agosto 1996, per i quali le commissioni di vigilanza hanno rilasciato il parere favorevole ai fini dell’agibilità, devono essere adeguati alle disposizioni previste al titolo XIX della Regola tecnica, entro i termini ivi stabiliti. 2. Sono fatte salve le deroghe concesse, ai sensi dell’art.21 del DPR 29 luglio 1982, n.577, antecedentemente l’emanazione del decreto; 3. Qualora in ragione di particolari esigenze di ordine tecnico o funzionale non fosse possibile il rispetto di qualcuna delle prescrizioni contenute nella Regola tecnica, potrà essere avanzata motivata richiesta di deroga ai sensi dello stesso decreto 577/1982.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO AGIBILITÀ E SICUREZZA DEI LOCALI PER LO SPETTACOLO
B.3. 1. A.ZIONI
REGOLA DI PREVENZIONE INCENDI PER LA PROGETTAZIONE, COSTRUZIONE ED ESERCIZIO DEI LOCALI DI INTRATTENIMENTO E DI PUBBLICO SPETTACOLO (DM Interno 19 agosto 1996 n.261)
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. B.3.1./1 DEFINIZIONI (Titolo I Dec. 19 giugno 1996)
Auditori e sale convegno: locali destinati a concerti, conferenze, congressi e simili.
Sale da ballo e discoteche: locali destinati a trattenimenti danzanti.
B.STAZIONI DILEGIZLII
Cinema – teatri: locali destinati prevalentemente a proiezioni cinematografiche e attrezzati con scena per lo svolgimento di rappresentazioni teatrali e spettacoli in genere.
Scena: area destinata alla rappresentazione di spettacoli al pubblico; la scena comprende il palcoscenico, gli scenari nonché tutte le altre attrezzature e allestimenti necessari all’effettuazione di rappresentazioni teatrali e di spettacoli in genere. La scena in relazione alla sua ubicazione può essere:
C.RCIZIO
Cinematografi: locali, con o senza semplice pedana, destinati prevalentemente a proiezioni cinematografiche Circhi: locali destinati alla presentazione al pubblico di manifestazioni di abilità, forza e coraggio, con o senza l’intervento di animali feroci o domestici. Locali: insieme dei fabbricati, ambienti e luoghi destinati allo spettacolo e trattenimento compresi i servizi vari e disimpegni a essi annessi: convenzionalmente si considerano anche le attività di cui all’art.1, primo comma, lettere i) e l) ( v. testo allegato).
I ED PRE NISM ORGA
a. di tipo separato dalla sala, quando è separata rispetto alla sala e ai locali di servizio con strutture resistenti al fuoco e l’unica apertura con la sala è costituita dal boccascena; b. di tipo integrato nella sala, quando non esiste nessuna separazione tra l’area scenica e quella destinata al pubblico.
Locali di trattenimento: locali destinati a trattenimenti e attrazioni varie, aree ubicate in esercizi pubblici e attrezzate per accogliere spettacoli.
Spazio calmo: luogo sicuro statico contiguo e comunicante con una via di esodo verticale od in essa inserito; tale spazio non deve costituire intralcio alla fruibilità delle vie di esodo e deve avere caratteristiche tali da garantire la permanenza di persone con ridotte o impedite capacità motorie in attesa di soccorsi.
Locali multiuso: locali adibiti ordinariamente ad attività non rientranti nel campo di applicazione del presente decreto, utilizzati occasionalmente per intrattenimenti e pubblici spettacoli.
Spett. viaggianti e parchi di divertimento: luoghi destinati ad attività spettacolari, trattenimenti o attrazioni, allestiti mediante attrezzature mobili, all’aperto, ovvero in parchi permanenti.
Luoghi all’aperto: luoghi ubicati in determinati spazi all’aperto attrezzati con impianti appositamente destinati intrattenimenti o spettacoli e con strutture apposite per lo stazionamento del pubblico. Sala: area del locale utilizzata dal pubblico per assistere a uno spettacolo, a una proiezione cinematografica, a una audizione, a una riunione o destinata a trattenimenti.
TITOLO II – DISPOSIZIONI GENERALI PER LA COSTRUZIONI DEI LOCALI 2.1. Ubicazione 2.1.1 Generalità I locali al chiuso destinati a trattenimenti e pubblici spettacoli possono essere ubicati: a) in edifici isolati dagli altri; b) in edifici adiacenti con proprie strutture indipendenti; c) nel volume di edifici aventi destinazione diversa. Qualora in essi si svolgano attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, queste ultime devono essere limitate a quelle di cui ai punti 64, 83, 84, 85, 86, 87, 89, 90, 91, 92, 94 e 95 del Dm 16 febbraio 1982. 2.1.2 Scelta dell’area In sede progettuale, deve essere assicurato il rispetto delle distanze di sicurezza esterne dagli insediamenti circostanti, previste dalle specifiche regolamentazioni di prevenzione incendi, relative alle attività in essi svolte. 2.1.3 Accesso all’area Per consentire l’intervento dei mezzi di soccorso dei Vigili del Fuoco, gli accessi all’area ove sorgono i locali oggetto della presente regola tecnica devono avere i seguenti requisiti minimi: • larghezza: 3.5 m; • altezza libera: 4 m; • raggio di svolta: 13 m; • pendenza: non superiore al 10%; • resistenza al carico: almeno 20 t (8 sull’asse anteriore e 12 sull’asse posteriore; passo 4 m). L’eventuale utilizzo degli spazi esterni, di pertinenza del locale, ai fini del parcheggio di autoveicoli, può essere consentito a condizione che non siano pregiudicati l’accesso e la manovra dei mezzi di soccorso e non costituiscano ostacolo al deflusso del pubblico. Per i locali siti ad altezza antincendio superiore a 12 m, deve essere assicurata la possibilità di accostamento all’edificio delle autoscale dei Vigili del Fuoco, almeno a una qualsiasi finestra o balcone che consenta l’accesso a ogni piano Qualora non sia possibile soddisfare i requisiti di cui al presente punto, devono essere adottate misure atte a consentire l’operatività dei soccorsi.
Teatri: locali in cui si presentano al pubblico spettacoli lirici, drammatici, coreografici, di rivista e varietà, caratterizzati dalla scena, ivi compresi i locali destinati a riprese cinematografiche e/o televisive con presenza di pubblico.
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
Teatri tenda: locali con copertura a tenda destinati a spettacoli vari.
2.1.4 Ubicazione ai piani interrati I locali al chiuso non possono essere ubicati oltre il secondo piano interrato, fino alla quota di –10 m rispetto al piano di riferimento. I predetti locali, se ubicati a quote comprese tra –7,5 e –10 m devono essere protetti mediante impianto di spegnimento automatico a pioggia (impianto sprinkler) e devono disporre di uscite ubicate lungo il perimetro che immettano direttamente in luoghi sicuri dinamici. 2.2. Separazioni – Comunicazioni 2.2.1 Generalità I teatri di capienza superiore a 2000 spettatori devono essere esclusivamente ubicati in edifici di cui al punto 2.1.1 lettera a). I locali ubicati in edifici di cui al punto 2.1.1 lettere b) e c), devono essere separati da attività non pertinenti e a diversa destinazione mediante strutture di resistenza al fuoco almeno REI 90 senza comunicazioni. In uno stesso edificio possono coesistere più locali, ubicati anche su piani diversi, purché ciascuno di tali locali sia dotato di ingressi e di vie di uscita indipendenti. 2.2.2 Complessi multisala È consentito che: a) più locali della stessa tipologia, di cui all’art.1, c. 1, lett. b), d), e), f) siano serviti da un unico atrio purché separati da strutture resistenti al fuoco almeno REI 60, non comunicanti fra loro direttamente e provvisti di vie d’uscita indipendenti; b) più locali, di cui all’art.1, c. 1, lett. b) e un unico locale, di cui all’art.1, c. 1, lett. a) e c), di capienza non superiore a 1000 spettatori e con scena separata dalla sala, siano serviti da un unico atrio alle condizioni di cui alla precedente lettera a); c) più locali, di cui all’art.1, c. 1, lett. a) e c), siano serviti da un unico atrio alle seguenti condizioni: • siano separati da strutture resistenti al fuoco almeno REI 90; • non comunichino tra loro direttamente; • siano provvisti di vie di uscita indipendenti; • la capienza complessiva non superi i 1000 spettatori; • la capienza delle singole sale non superi i 500 spettatori; • i locali siano ubicati esclusivamente fuori terra, non sovrapposti fra loro, e il pavimento delle sin-
gole sale sia a quota non superiore a 7,5 m rispetto al pino di riferimento; • la scena dei singoli locali sia separata dalla sala. 2.2.3 Comunicazioni con altre attività È consentito che: a) i locali, di cui all’art.1, c. 1, lett. a), b), c), d), e),comunichino con le attività indicate ai punti 85, 86 e 89 del decreto ministeriale 16-2-1982, purché pertinenti, tramite filtro a prova di fumo dotato di porte resistenti al fuoco almeno REI 30; dette comunicazioni non possono essere considerate ai fini del computo delle vie di uscita. Salvo quanto disposto nelle specifiche disposizioni di prevenzione incendi, le strutture di separazione devono possedere caratteristiche di resistenza al fuoco non inferiori a REI 60; b) i locali, di cui all’art.1, c. 1, lett. a), b), c), d), e), comunichino con le parti comuni di centri commerciali alle condizioni di cui alla precedente lettera a); salvo quanto disposto nelle specifiche disposizioni di prevenzione incendi , le strutture di separazione devono possedere caratteristiche di resistenza al fuoco non inferiori a REI 90; c) i locali, di cui all’art.1, c. 1, lett. a), b), c), comunichino con le attività indicate al punto 84 del decreto ministeriale 16 febbraio 1982, purché pertinenti, alle condizioni di cui alla precedente lettera a); d) i locali, di cui all’art.1, c. 1, lett. a), b), c), d), e), f), comunichino con le sale consumazione di ristoranti e simili alle condizioni di cui alla precedente lettera a); e) i locali, di cui all’art.1, c. 1, lett. a), b), c), d), e), f), comunichino con sale giuochi, purché pertinenti, tramite porte resistenti al fuoco almeno REI 60; dette comunicazioni non possono essere considerate ai fini del computo delle vie d’uscita. I locali, di cui all’art.1, c. 1, lett. d), e), f), annessi alle attività indicate al punto 84 del DM 16 febbraio 1982, devono osservare le specifiche disposizioni riportate al punto 8.4 del DM dell’interno 9 aprile 1994. 2.2.4 Abitazioni ed esercizi ammessi dentro i locali. In un locale sono ammessi soltanto gli ambienti necessari alla sua gestione e amministrazione, nonché l’abitazione del custode. Quest’ultima deve essere separata dagli altri ambienti del locale con strutture resistenti al fuoco almeno REI 90 e può avere un’unica porta di
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ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. REZZA B.3.1ITÀ E SICU AGIBILCALI PER DEI LO TTACOLO E LO SP
B 87
B.3. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO AGIBILITÀ E SICUREZZA DEI LOCALI PER LO SPETTACOLO ➦ REGOLA DI PREVENZIONE INCENDI PER LA PROGETTAZIONE, COSTRUZIONE ED ESERCIZIO DEI LOCALI DI INTRATTENIMENTO E DI PUBBLICO SPETTACOLO comunicazione con gli stessi, purché resistente al fuoco almeno REI 90 e dotata di dispositivo di autochiusura. All’interno del locale sono ammessi esercizi di bar, che qualora non siano destinati esclusivamente al servizio del locale, devono essere dotati di uscite di sicurezza su pubblica via o piazza, da non computarsi alle uscite destinate allo sfollamento degli spettatori. Sono consentiti all’interno del locale spazi allestiti per l’esposizione o vendita esclusivamente destinati al pubblico ammesso nel locale, alle seguenti condizioni: a) siano ubicati nell’area di pertinenza dell’atrio di ingresso e disposti in modo tale da non costituire ostacolo al deflusso del pubblico; b) abbiano superficie complessiva non superiore a 200 mq; c) qualora abbiano superficie complessiva superiore a 10 mq l’area di pertinenza dovrà essere protetta con impianto di spegnimento automatico a pioggia (impianto sprinkler). 2.3 Strutture e materiali 2.3.1 Resistenza al fuoco delle strutture I requisiti di resistenza al fuoco degli elementi strutturali vanno valutati secondo le prescrizioni e le modalità di prova stabilite dalla circolare del Ministero dell’interno n.91 del 14 settembre 1961, prescindendo dal tipo di materiale impiegato nella realizzazione degli elementi medesimi (calcestruzzo, laterizi, acciaio, legno lamellare, legno massiccio, elementi compositi, etc.). Il dimensionamento degli spessori e delle protezioni da adottare per i vari tipi di materiali suddetti, nonché la classificazione degli edifici in funzione del carico d’incendio, vanno determinate con le tabelle e con le modalità specificate nella citata circolare n. 91/1961, tenendo conto delle disposizioni contenute nel DM Interno 6 marzo 1986, per quanto attiene il calcolo del carico di incendio per locali aventi strutture portanti in legno. Le strutture portanti e quelle separanti dei locali inseriti in edifici pluripiano devono comunque possedere caratteristiche di resistenza al fuoco, rispettivamente R e REI, non inferiori ai seguenti valori: ALT. ANTINCENDIO DELL’EDIFICIO
R
REI
fino a 12 m
60
60
superiore a 12 m e fino a 24 m
90
90
superiore a 24 m 120
90
I requisiti di resistenza al fuoco delle porte e degli altri elementi di chiusura vanno valutati e attestati in conformità del DM Interno 14 dicembre 1993 Per le strutture di pertinenza delle aree a rischio specifico devono applicarsi le disposizioni emanate nelle relative normative di prevenzione incendi. 2.3.2 Reazione al fuoco dei materiali Le caratteristiche di reazione al fuoco dei materiali devono essere le seguenti: a) negli atri, nei corridoi, nei disimpegni, nelle rampe, nei passaggi in genere e nelle vie di esodo, è consentito l’impiego di materiale di classe 1 in ragione, al massimo, del 50% della loro superficie totale (pavimento + pareti + soffitti + proiezioni orizzontali delle scale); per le restanti parti debbono essere impiegati consentito materiali di classe 0; b) in tutti gli altri ambienti è consentito che i materiali di rivestimento dei pavimenti siano di classe 2 e che gli altri materiali di rivestimento siano di classe 1; c) i materiali suscettibili di prendere fuoco su entrambe le facce (tendaggi e simili) devono essere di classe di reazione al fuoco non superiore a 1; d) le poltrone e i mobili imbottiti devono essere di classe 1IM; e) i sedili non imbottiti costituiti da materiali combustibili devono essere di classe non superiore a 2; f) i materiali isolanti in vista, con componente isolante direttamente esposto alle fiamme, devono essere di classe di reazione al fuoco non superiore a 1; nel caso di materiale isolante in vista, con componente isolante
B 88
non direttamente esposto alle fiamme sono ammesse le classi di reazione al fuoco 0-1, 1-0, 1-1; g) i materiali di rivestimento combustibili,ammessi nelle varie classi di reazione al fuoco,devono essere messi in opera in aderenza agli elementi costruttivi o riempiendo con materiale incombustibile eventuali intercapedini. Ferme restando le limitazioni di cui alla precedente lettera a), è consentita l’installazione di controsoffitti nonché di materiali di rivestimento e di materiali isolanti in vista, posti non in aderenza agli elementi costruttivi, purché abbiano classe di reazione al fuoco non superiore a 1 e siano omologati tenendo conto delle effettive condizioni di impiego anche in relazione alle possibili fonti di innesco; h) i materiali di cui alle lettere precedenti devono essere omologati ai sensi del DM Interno 26 giugno 1984. i) qualora siano previsti effettivi accorgimenti migliorativi delle condizioni globali di sicurezza dei locali rispetto a quanto previsto dal presente decreto, quali efficaci sistemi di smaltimento dei fumi asserviti a impianti di rivelazione automatica degli incendi e/o impianti di spegnimento automatico, può consentirsi l’impiego di materiali di classi 1, 2 e 3 in luogo delle classi 0, 1 e 2 precedentemente indicate, con esclusione dei tendaggi, controsoffitti e materiali di rivestimento posti non in aderenza per i quali è ammessa esclusivamente la classe 1, nonché delle poltrone e dei mobili imbottiti per i quali è ammessa esclusivamente la classe 1 IM; l) è consentita la posa in opera, a parete e a soffitto, di rivestimenti lignei opportunamente trattati con prodotti vernicianti omologati di classe 1 di reazione al fuoco, secondo le modalità e le indicazioni contenute nel DM dell’interno 6 marzo 1992; m)per il palcoscenico e la sala è ammesso il pavimento di legno; negli altri ambienti tale tipo di pavimento può essere consentito purché stabilmente aderente a strutture non combustibili o rivestite con materiale di classe 0; n) è consentito l’impiego del legno per i serramenti esterni e interni; o) i lucernari devono avere vetri retinati oppure costruiti in vetrocemento o con materiali combustibili purché di classe 1 di reazione al fuoco; p) i materiali isolanti installati all’interno di intercapedini devono essere incombustibili. È consentita l’installazione di materiali isolanti combustibili all’interno di intercapedini delimitate da strutture realizzate con materiali incombustibili e aventi resistenza al fuoco almeno REI 30.
TITOLO III – DISTRIBUZIONE E SISTEMAZIONE DEI POSTI NELLA SALA 3.1. Distribuzione dei posti a sedere Nei locali, di cui all’art.1, c. 1, lett. a), b), c), d), g), h), i posti a sedere, di tipo fisso, devono essere distribuiti in settori con non più di 160 posti, con un massimo di 16 posti per fila e di 10 file. Quando la distanza tra gli schienali delle file è di almeno 1,1 m, i posti a sedere possono essere distribuiti in settori di 300 posti con un massimo di 20 posti per fila e di 15 file. I settori devono essere separati l’uno dall’altro mediante passaggi longitudinali e trasversali di larghezza non inferiore a 1,2 m. Tra i posti a sedere e le pareti della sala deve essere lasciato un passaggio di larghezza non inferiore a 1,2 m. Su conforme parere dell’autorità competente, si può consentire che file al massimo di 4 posti vengano accostate alle pareti laterali della sala. Nei locali con capienza non superiore a 150 posti è consentita una larghezza delle corsie di passaggio non inferiore a 0,9 m. In galleria tra la balaustra e la prima fila antistante di posti, deve essere lasciato un passaggio di larghezza non inferiore a 0,6 m, misurato a sedile abbassato. L’altezza della balaustra deve essere non inferiore a 1 m. Nei locali, di cui all’art.1, c. 1, lett. e), f), la distribuzione dei posti a sedere, pur realizzata secondo le necessità non deve in ogni caso costituire impedimenti e ostacoli all’esodo delle persone in caso di emergenza. 3.2. Sistemazione dei posti fissi a sedere La distanza tra lo schienale di una fila di posti e il corrispondente schienale della fila successiva deve essere di almeno 0,8 m. La larghezza di ciascun posto deve essere almeno di 0,5 m con braccioli e di 0,45 m senza braccioli. Le sedie e le poltrone devono essere saldamente fissate al suolo e avere sedile del tipo a ribaltamento automatico o per gravità. Quando la distanza tra gli schienali di file successive è di almeno 1,1 m è consentito che il sedile sia di tipo fisso. Sono ammessi sedili mobili esclusivamente nei palchi. Nei locali non provvisti di posti a sedere fissi, può essere concesso l’impiego temporaneo di sedie purché collegate rigidamente tra loro in file. Ciascuna fila non può contenere più di 10 sedie in gruppi di 10 file, per complessivi 500 posti al chiuso e 1300 posti all’aperto per locale. È vietato collocare sedili mobili e sedie a rotelle nei passaggi e nei corridoi. 3.3. Sistemazione dei posti in piedi
2.3.3 Materiale scenico Per la realizzazione degli scenari fissi e mobili (quinte, velari, tendaggi e simili) è ammesso l’impiego di materiali combustibili di classe di reazione al fuoco non superiore a 2. È consentito l’impiego di materiali di classe superiore a 2 a condizione che siano previsti effettivi accorgimenti migliorativi delle condizioni globali di sicurezza della scena, quali efficaci sistemi di smaltimento dei fumi asserviti a impianti di rivelazione automatica degli incendi e/o impianti di spegnimento automatico. In alternativa la classe di reazione al fuoco può essere attribuita senza l’esecuzione dei metodi di preparazione e manutenzione di cui all’allegato 6 del DM dell’interno 26 giugno 1984, con la produzione della relativa documentazione probante. Di tale circostanza deve essere fatta menzione nel certificato di prova la cui validità è comunque limitata a sei mesi con l’obbligo di non effettuare lavaggi o altre operazioni di manutenzione che possano alterare le caratteristiche di reazione al fuoco. Nei locali con scena di tipo integrato nella sala, i materiali allestiti nell’area scenica devono essere di classe di reazione al fuoco non superiore a 1. 2.3.4 Materiali di copertura I materiali impiegati nella copertura dei locali devono avere caratteristiche di reazione al fuoco secondo quanto previsto al punto 2.3.2. È consentito che il materiale dei tendoni dei circhi, teatri tenda e strutture similari sia di classe di reazione al fuoco non superiore a 2.
Nessun spettatore può sostare nei passaggi esistenti nella sala. Nei locali di cui all’art.1, c. 1, lett. a), b), c), d), g), h), non sono consentiti posti in piedi se non in aree riservate e purché siano soddisfatte le seguenti condizioni: a) il numero dei posti in piedi autorizzati sia fissato in ragione di 35 spettatori ogni 10 mq di superficie all’uopo destinata; b) i posti in piedi siano computati agli effetti della larghezza delle uscite; c) le aree siano disposte solamente posteriormente ai posti a sedere,in modo da lasciare sempre liberi i percorsi di ingresso e di uscita.
TITOLO IV – MISURE PER L’ESODO DEL PUBBLICO DALLA SALA 4.1. Affollamento L’affollamento massimo deve essere stabilito come segue: a) nei locali, di cui all’art.1, c. 1, lett. a), b), c), d), g), h),pari al numero dei posti a sedere e in piedi autorizzati, compresi quelli previsti per le persone con ridotte o impedite capacità motorie; b) nei locali di cui all’art.1, c. 1, lett. e) e f), pari a quanto risulta dal calcolo in base a una densità di affollamento di: • 0,7 persone per metro quadrato al chiuso; • 1,2 persone per metro quadrato all’aperto.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO AGIBILITÀ E SICUREZZA DEI LOCALI PER LO SPETTACOLO
B.3. 1. A.ZIONI
La densità di affollamento dovrà tenere conto dei vincoli previsti da regolamento igienico-sanitari. 4.2. Capacità di deflusso La capacità di deflusso per i locali al chiuso non deve essere superiore ai seguenti valori: a) 50 per locali con pavimento a quota compresa tra più o meno 1 m rispetto al piano di riferimento; b) 37,5 per locali con pavimento a quota compresa tra più o meno 7,5 m rispetto al piano di riferimento; c) 33 per locali con pavimento a quota al di sopra o al di sotto di 7,5 m rispetto al piano di riferimento. La capacità di deflusso per i locali all’aperto non deve essere superiore a 250. 4.3. Sistema delle vie di uscita 4.3.1 Generalità Ogni locale deve essere provvisto di un sistema organizzativo di vie di uscita dimensionato in base al massimo affollamento previsto e alle capacità di deflusso sopra stabilite, che, attraverso percorsi indipendenti, adduca in luogo sicuro all’esterno. I percorsi del sistema di vie di uscita comprendono corridoi, vani di accesso alle scale e di uscita all’esterno, scale, rampe e passaggi in genere. L’altezza dei percorsi deve essere, in ogni caso, non inferiore a 2 m. La larghezza utile dei percorsi deve essere misurata deducendo l’ingombro di eventuali elementi sporgenti con esclusione degli estintori. Tra gli elementi sporgenti non vanno considerati quelli posti a un’altezza superiore a 2 m e i corrimano con sporgenza non superiore a 8 cm. Nei passaggi interni della sala, qualora sia necessario realizzare gradini per superare dislivelli, gli stessi devono avere pedate e alzate di dimensioni rispettivamente non inferiori a 30 cm (pedata) e non superiori a 18 cm (alzata), ed essere segnalati con appositi dispositivi luminosi. Le uscite della sala devono essere distribuite con criteri di uniformità e di simmetria rispetto all’asse originale della stessa Qualora ciò risulti impossibile, deve provvedersi ad assicurare lo sfollamento dei vari settori con opportuno studio del movimento del pubblico in uscita e con conseguente dimensionamento dei corridoi di disimpegno interni. La pendenza di corridoi e passaggi non può essere superiore al 12%. Le rampe ubicate lungo le vie di uscita, a servizio di aree ove è prevista la presenza di persone con ridotte o impedite capacità motorie, non possono avere pendenza superiore all’8%. Quando il pavimento inclinato immette in una scala, la pendenza deve interrompersi almeno a una distanza dalla scala di 1,2 m. I pavimenti in genere e i gradini in particolare non devono avere superfici sdrucciolevoli. Le superfici lungo le vie di uscita esposte alle intemperie devono essere tenute sgombre da neve e ghiaccio e se del caso adeguatamente protette. Superfici vetrate e specchi non devono essere installati se possono trarre in inganno sulla direzione dell’uscita. Le vie di uscita devono essere tenute sgombre da materiali che possono costituire impedimento al regolare deflusso delle persone. Gli eventuali guardaroba non possono essere previsti nelle scale o nelle loro immediate vicinanze, e, in ogni caso, devono essere ubicati in modo tale che il loro utilizzo da parte degli spettatori, non costituisca ostacolo alla normale circolazione e al deflusso del pubblico. 4.3.2 Numero delle uscite Il numero delle uscite, che dal locale adducono in luogo sicuro all’esterno, deve essere non inferiore a tre. Dette uscite vanno ubicate in posizioni ragionevolmente contrapposte. Per i locali di capienza non superiore a 150 persone possono essere previste due sole uscite. Le uscite devono essere dotate di porte apribili nel verso dell’esodo con un sistema a semplice spinta. Nella determinazione del numero delle uscite possono essere computati i vani di ingresso purché dotati di porte
apribili nel verso dell’esodo. Nei complessi multisala, ogni sala deve essere provvista di un proprio sistema indipendente di vie di uscita. È consentito che gli ingressi alle singole sale dall’atrio comune vengano computati nella determinazione del numero delle uscite purché siano protetti con porte resistenti al fuoco di caratteristiche almeno REI 30, con apertura nel verso dell’esodo e dotate di dispositivo di autochiusura.
I serramenti delle porte di uscita devono essere provvisti di dispositivi a barre di comando tali da consentire che la pressione esercitata dal pubblico sul dispositivo di apertura, posto su uno qualsiasi dei battenti, comandi in modo sicuro l’apertura del serramento. Le porte devono essere di costruzione robusta. Le superfici trasparenti delle porte devono essere costituite da materiali di sicurezza.
4.3.4 Lunghezza delle vie di uscita Per i locali al chiuso, la lunghezza massima del percorso di uscita, misurata a partire dall’interno della sala, fino a luogo sicuro, o scala di sicurezza esterna rispondente ai requisiti di cui al punto 4.5.4, non deve essere superiore a 50 m, oppure 70 m se in presenza di efficaci impianti di smaltimento dei fumi asserviti a impianti di rivelazione automatica degli incendi. Per i locali distribuiti su più piani fuori terra, qualora per le caratteristiche planivolumetriche dei medesimi, non sia possibile il rispetto delle lunghezze sopra riportate, sono consentiti percorsi di uscita di maggior lunghezza alle seguenti condizioni: 1) i locali devono essere ubicati in edifici con non più di quattro piani fuori terra; 2) le scale che fanno parte del sistema di vie di esodo, devono essere di tipo protetto con caratteristiche di resistenza al fuoco conformi a quanto previsto al punto 2.3.1, e devono immettere direttamente su luogo sicuro all’esterno; 3) la lunghezza del percorso al piano per raggiungere la più vicina scala protetta non deve essere superiore a 40 m. I percorsi interni alla sala, fino alle uscite della stessa, vanno calcolati in linea diretta, non considerando la presenza di arredi, tavoli e posti a sedere, a partire da punti di riferimento che garantiscano l’intera copertura della sala ai fini dell’esodo, nel rispetto dei seguenti criteri: a) da ciascuno dei predetti punti devono essere garantiti percorsi alternativi; si considerano tali quelli che, a partire da ciascun punto di riferimento, formano un angolo maggiore di 45°; b) qualora la condizione di cui alla precedente lettera a) non sia rispettata, la lunghezza del percorso, misurata fino al punto dove c’è disponibilità di percorso alternativo, deve essere limitata a 15 m. A titolo esemplificativo, si riporta, nelle tavole allegate, l’individuazione di tali punti relativamente a sale servite da uscite distribuite con criteri di uniformità e simmetria. Quando un percorso di esodo, a servizio di un’area riservata a persone con limitate o ridotte capacità motorie, ha una lunghezza fino al luogo sicuro superiore a 30 m e comprende una o più rampe di scale, deve essere attrezzato con spazi calmi. 4.4. Porte Le porte situate sulle vie di uscita devono aprirsi nel verso dell’esodo a semplice spinta. Esse vanno previste a uno o due battenti. I battenti delle porte, quando sono aperti, non devono ostruire passaggi, corridoi e pianerottoli. Le porte che danno sulle scale non devono aprirsi direttamente sulle rampe, bensì sul pianerottolo senza ridurne la larghezza.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
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4.5. Scale 4.3.3 Larghezza delle vie di uscita La larghezza di ogni singola via di uscita deve essere multipla del modulo di uscita (0,6 m) e comunque non inferiore a due moduli (1,2 m). La larghezza totale delle uscite da ogni piano, espressa in numero di moduli di uscita, è determinata dal rapporto tra l’affollamento previsto al piano e la capacità di deflusso relativa. Per i locali che occupano più di due piani fuori terra, la larghezza totale delle vie di uscita che immettono su luogo sicuro all’aperto, viene calcolata sommando gli affollamenti previsti su due piani consecutivi, con riferimento a quelli aventi maggiore affollamento. Per i locali con capienza non superiore a 150 persone è ammesso che le uscite abbiano larghezza inferiore a 1,2 m, con un minimo di 0,9 m, purché conteggiate come un modulo.
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4.5.1 Generalità Le scale devono avere strutture resistenti al fuoco in relazione a quanto previsto al punto 2.3.1. 4.5.2 Gradini, rampe, pianerottoli I gradini devono essere a pianta rettangolare, avere pedate e alzate di dimensioni costanti, rispettivamente non inferiore a 30 cm (pedata) e non superiore a 18 cm (alzata). Sono ammessi gradini a pianta trapezoidale, purché la pedata sia di almeno 30 cm misurata a 40 cm dal montante centrale o dal parapetto interno. Le rampe delle scale devono avere non meno di tre e non più di quindici gradini. Le rampe devono avere larghezza non inferiore a 1,2 m. I pianerottoli devono avere la stessa larghezza delle rampe. Nessuna sporgenza deve esistere nelle pareti delle scale per un’altezza di 2 m dal piano di calpestio. I corrimano lungo le pareti non devono sporgere più di 8 cm e le loro estremità devono essere arrotondate verso il basso o rientrare, con raccordo, verso le pareti stesse. Le scale di larghezza superiore a 3 m devono essere dotate di corrimano centrale. Qualora le scale siano aperte su uno o entrambi i lati, devono avere ringhiere o balaustre alte almeno 1 m, atte a sopportare le sollecitazioni derivanti da un rapido deflusso del pubblico in situazioni di emergenza o di panico.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
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G.ANISTICA URB
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4.5.3 Ventilazione I vani scali devono essere provvisti superiormente di aperture di aerazione con superficie non inferiore a 1 mq, con sistema di apertura degli infissi comandato automaticamente da rilevatori di incendio o manualmente in prossimità dell’entrata delle scale, in posizione segnalata.
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
4.5.4 Scale di sicurezza esterne Quando sia prevista la realizzazione di scale di sicurezza esterne, le stesse devono essere realizzate secondo i criteri di sicurezza sotto riportati: a) possono essere utilizzate in edifici aventi altezza antincendio non superiore a 24 m; b) devono essere realizzate con materiali di classe 0 di reazione al fuoco; c) la parete esterna dell’edificio su cui è collocata la scala, compresi gli eventuali infissi, deve possedere, per una larghezza pari alla proiezione della scala, incrementata di 2,5 m per ogni lato, requisiti di resistenza al fuoco almeno REI 60.
ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE
In alternativa la scala esterna deve distaccarsi di 2,5 m dalle pareti dell’edificio e collegarsi alle porte di piano tramite passerelle protette con setti laterali, a tutta altezza, aventi requisiti di resistenza al fuoco pari a quanto sopra indicato. 4.6. Ascensori Gli ascensori e i montacarichi devono rispettare le disposizioni antincendio previste al punto 2.5 del DM Interno 16 maggio 1987, n.246. Gli ascensori e i montacarichi non devono essere utilizzati in caso di incendio a eccezione degli ascensori antincendio. Negli edifici di altezza antincendio superiore a 24 m, deve essere previsto almeno un ascensore antincendio da realizzarsi secondo quanto disposto al punto 6.8 del DM Interno 9 aprile 1994. Le eventuali scale mobili vanno computate ai fini del dimensionamento delle vie di uscita. Occorre prevedere un sistema automatico che comandi il blocco delle scale mobili nonché il riporto al piano di uscita degli ascensori in caso di incendio.
➥
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. REZZA B.3.1ITÀ E SICU AGIBILCALI PER DEI LO TTACOLO E LO SP
B 89
B.3. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO AGIBILITÀ E SICUREZZA DEI LOCALI PER LO SPETTACOLO ➦ REGOLA DI PREVENZIONE INCENDI PER LA PROGETTAZIONE, COSTRUZIONE ED ESERCIZIO DEI LOCALI DI INTRATTENIMENTO E DI PUBBLICO SPETTACOLO FIG. B.3.1./1 ESEMPI DI DISPOSIZIONE DEGLI ACCESSI ALLA SALA E DELLE USCITE DI SICUREZZA (DM Interno 16 agosto 1996, tit.III, 4.3)
OGNI CORRIDOIO TRASVERSALE DEVE ESSERE DISPOSTO IN CORRISPONDENZA DELLE USCITE DI SICUREZZA SITUATE NELLE PARETI LATERALI E DEVE AVERE LARGHEZZA NON INFERIORE A 120 CM (DUE MODULI DA 60 CM) LE USCITE DALLA SALA DEVONO ESSERE DISTRIBUITE SIMMETRICAMENTE RISPETTO ALL'ASSE LONGITUDINALE
FIG. B.3.1./2 DISTANZE MINIME CONSENTITE PER LE POLTRONE (DM Interno 19 agosto 1996, tit. III, 3.2)
50 CM MIN.
50 CM MIN.
50 CM MIN.
50 CM MIN.
50 CM MIN.
50 CM MIN.
50 CM MIN.
50 CM MIN.
50 CM MIN.
50 CM MIN.
50 CM MIN.
50 CM MIN.
50 CM MIN.
PLATEA IN PIANO CON POLTRONE A RIBALTAMENTO SFALSATE
PLATEA A GRADONI CON POLTRONE A RIBALTAMENTO SFALSATE
82 CM MIN.
82 CM MIN.
82 CM MIN.
75 CM MIN.
82 CM MIN.
50 CM MIN.
82 CM MIN.
80 CM MIN.
80 CM MIN.
80 CM MIN.
80 CM MIN.
15. 22.
40 CM PLATEA A GRADONI
LA PENDENZA DEI CORRIDOI NON DEVE SUPERARE IL 5%
PLATEA IN PIANO
43 CM
43 CM
115 CM CIRCA
50 CM MAX. 80 CM CIRCA
15. 22.
50 CM. MAX.
40 CM
SISTEMAZIONE DEI POSTI FISSI A SEDERE A NORMA DEL TESTO UNICO EMANATO CON DM INTERNO DEL 19 AGOSTO 1996, TIT. III, 3.2.: - LA DISTANZA TRA LO SCHIENALE DI UNA FILA DI POSTI E IL CORRISPONDENTE SCHIENALE DELLA FILA SUCCESSIVA DEVE ESSERE DI ALMENO 0,8 M. - LA LARGHEZZA DI CIASCUN POSTO DEVE ESSERE ALMENO DI 0,5 M CON BRACCIOLI E DI 0,45 M SENZA BRACCIOLI. - LE SEDIE E LE POLTRONE DEVONO ESSERE SALDAMENTE FISSATE AL SUOLO E AVERE SEDILE DEL TIPO A RIBALTAMENTO AUTOMATICO O PER GRAVITÀ. QUANDO LA DISTANZA TRA GLI SCHIENALI DI FILE SUCCESSIVE È DI ALMENO 1,1 M È CONSENTITO CHE IL SEDILE SIA DI TIPO FISSO. - SONO AMMESSI SEDILI MOBILI ESCLUSIVAMENTE NEI PALCHI. - NEI LOCALI NON PROVVISTI DI POSTI A SEDERE FISSI, PUÒ ESSERE CONCESSO L’IMPIEGO TEMPORANEO DI SEDIE PURCHÉ COLLEGATE RIGIDAMENTE TRA LORO IN FILE. CIASCUNA FILA NON PUÒ CONTENERE PIÙ DI 10 SEDIE IN GRUPPI DI 10 FILE, PER COMPLESSIVI 500 POSTI AL CHIUSO E 1300 POSTI ALL’APERTO PER LOCALE. - È VIETATO COLLOCARE SEDILI MOBILI E SEDIE A ROTELLE NEI PASSAGGI E NEI CORRIDOI.
B 90
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO AGIBILITÀ E SICUREZZA DEI LOCALI PER LO SPETTACOLO
B.3. 1. A.ZIONI
TITOLO V – DISPOSIZIONI PARTICOLARI PER LA SCENA 5.1. Disposizioni generali Le scene, sia di tipo separato che integrato rispetto alla sala, devono contenere unicamente gli scenari, gli spezzati e gli attrezzi necessari per lo spettacolo del giorno, che devono essere collocati in modo da non ingombrare il passaggio e rendere accessibili le attrezzature e i mezzi antincendio. I depositi e i laboratori non devono avere alcuna comunicazione con la scena e con le aree riservate al pubblico, fatto salvo i magazzini di servizio, strettamente destinati a ricevere gli scenari e le attrezzature per gli spettacoli in corso, che possono comunicare direttamente con la scena tramite porte resistenti al fuoco REI 90 e restare aperti per il tempo strettamente necessario per lo spostamento dei materiali. I camerini e i locali destinati agli artisti non possono comunicare direttamente con la scena. L’uso nella rappresentazione di fuochi di artificio, di fiamme libere e di spari con armi, deve essere oggetto di valutazione da parte della competente autorità e non può essere autorizzato in mancanza di misure di sicurezza appropriate ai rischi. È vietato fumare nella scena e sue dipendenze, salvo che per esigenze sceniche. Eventuali scarti e residui di lavori effettuati sulla scena dovranno essere rimossi prima della rappresentazione e comunque al termine dei lavori. Nei teatri con scena di tipo separato dalla sala, al fine di consentire l’intervento dei mezzi di soccorso dei Vigili del Fuoco, deve essere assicurata l’accessibilità alla zona comprendente la scena e i locali di servizio annessi. In particolare: a) nei teatri di capienza superiore a 1000 spettatori,il corpo di fabbrica contenente la scena e i locali di servizio annessi,deve essere attestato su luoghi scoperti per una frazione non inferiore al 50% del suo perimetro. b) nei teatri di capienza compresa tra 500 e 1000 spettatori,il corpo di fabbrica, contenente la scena e i locali di servizio annessi, deve essere attestato su spazi scoperti per una frazione non inferiore a un terzo del suo perimetro. Nei teatri con scena di tipo integrato nella sala devono essere in ogni caso osservati i requisiti minimi per l’accesso all’area di cui al punto 2.1.3. 5.2. Scena separata dalla sala
mq, deve essere sopraelevata, rispetto al punto più alto della copertura della sala di almeno 2 m. In presenza di scene, con superficie di palcoscenico inferiore a 150 mq, è consentito che la copertura della scena sia allo stesso livello della copertura della sala purché a soffitto, tra palcoscenico e area riservata al pubblico, sia installato un setto di altezza non inferiore a 1,5 m, incombustibile e con caratteristiche di resistenza al fuoco almeno REI 30. 5.2.3 Corridoi, scale, porte, uscite verso l’esterno Ad eccezione dei magazzini di servizio, che possono comunicare direttamente con la scena alle condizioni di cui al punto 5.1, tutti i restanti locali di servizio, pertinenti la scena, devono comunicare con quest’ultima attraverso corridoi di disimpegno situati all’intorno della scena. Le comunicazioni tra la scena e i corridoi di disimpegno devono essere munite di porte resistenti al fuoco almeno REI 60, dotate di dispositivo di autochiusura. La larghezza di detti corridoi deve essere sufficiente al movimento degli artisti e delle comparse e non può essere inferiore a 1,5 m per quelli al piano del palcoscenico, e a 1,2 m per gli altri piani. I corridoi, direttamente o attraverso passaggi e scale, devono condurre all’esterno con percorso di lunghezza non superiore a quella stabilita al punto 4.3.4 se dispongono di almeno due uscite contrapposte, o non superiore a 15 m se dispongono di un’uscita soltanto. Il numero delle scale deve essere stabilito in relazione all’importanza della scena e alle necessità funzionale e di sicurezza. Le gallerie di manovra e i piani forati devono essere provvisti di uscite dotate di porte resistenti al fuoco almeno REI 60 con dispositivo di autochiusura, che immettano direttamente all’esterno o su una via di uscita protetta in modo da poter essere utilizzate dal personale di scena in caso di emergenza e dai Vigili del Fuoco per l’attacco di un incendio dall’esterno. 5.2.4 .Sipario di sicurezza 5.2.4.1 Caratteristiche Il sipario di sicurezza deve costituire una separazione, incombustibile, resistente al fuoco REI 60, tra la sala e il palcoscenico. Esso deve funzionare di regola a discesa verticale, deve chiudersi con velocità non minore a 0,25 m/s e resistere a una pressione di almeno 45 daN/mq, senza che si verifichino inflessioni che possano compromettere il suo funzionamento. Il sipario di sicurezza in posizione abbassata deve fare battuta sul piano del palcoscenico in corrispondenza del muro tagliafuoco sottostante.
5.2.1 Caratteristiche della separazione tra scena e sala Nei teatri con scena di tipo separato, la parte di edificio contenente la scena deve essere separata dai locali di servizio annessi e dalla sala tramite strutture resistenti al fuoco almeno REI 90. L’unica apertura ammessa nella struttura di separazione con la sala è il boccascena. Sono consentiti passaggi di servizio con la sala purché muniti di porte aventi caratteristiche di resistenza al fuoco almeno REI 90, provviste di dispositivo di autochiusura. La separazione rispetto alla sala, con le caratteristiche sopra riportate, deve essere prevista qualora il teatro abbia capienza superiore a 1000 spettatori o il palcoscenico abbia superficie superiore a 150 mq; la scena deve essere in ogni caso separata dai locali attigui di servizio con strutture almeno REI 90. Nei teatri con capienza superiore a 1000 spettatori, il boccascena deve essere munito di sipario metallico di sicurezza. L’installazione del sipario di sicurezza non è obbligatorio nei luoghi di spettacolo, di capienza anche superiore a 1000 spettatori, nei quali solo saltuariamente vengono effettuate rappresentazioni teatrali, purché il palcoscenico abbia superficie inferiore a 150 mq.
5.2.4.2 Comando del sipario di sicurezza I comandi del sipario di sicurezza devono essere ubicati in posizione tale da consentire la facile e sicura manovra, assicurando la completa visibilità del sipario stesso durante la discesa. Devono essere previsti due quadri di manovra, l’uno situato sul palcoscenico e l’altro fuori della scena.
5.2.2 Altezza della scena Al fine di impedire che i prodotti della combustione di un eventuale incendio, sviluppatosi nell’area della scena, possano invadere la sala, la copertura della scena deve essere sopraelevata, rispetto al punto più alto della copertura della sala. In ogni caso la copertura della scena, avente superficie di palcoscenico superiore a 150
5.2.6 Locali di servizio alla scena 5.2.6.1 Camerini e cameroni I camerini e i cameroni devono essere ubicati esternamente ai muri perimetrali della scena. Le comunicazioni dei camerini e cameroni con la scena e con l’esterno devono avvenire attraverso i corridoi di disimpegno e le scale previste al punto 5.2.3.
5.2.4.3 Protezione del sipario di sicurezza Il sipario di sicurezza deve essere protetto dal lato della scena mediante un impianto di raffreddamento a pioggia a comando manuale. Detto comando deve essere ubicato negli stessi punti dei quadri di manovra del sipario. La portata dell’acqua di raffreddamento deve essere non inferiore a 2 l/min per mq di del sipario ed essere distribuita in modo omogeneo su tutta l’area del sipario. 5.2.5 Sistema di evacuazione fumi e calore La scena deve essere dotata di un efficace sistema di evacuazione fumi e calore, realizzato a regola d’arte. I dispositivi di comando manuale del sistema devono essere ubicati in posizione segnalata e protetta in caso di incendio.
Nessuna installazione, neppure provvisoria, di camerini e cameroni è consentita nella scena propriamente detta, ivi compreso il sottopalco, salvo che quest’ultimo sia dotato di proprie uscite dirette verso luogo sicuro e costituisca un compartimento antincendio di classe REI 120. 5.2.6.2 Depositi e laboratori I depositi e i laboratori a servizio del teatro devono essere ubicati esternamente ai muri perimetrali della scena. Ciascuno dei locali suddetti deve disporre di accesso diretto dall’esterno e costituire compartimento antincendio di classe almeno REI 60. Non sono consentite comunicazioni dirette con la scena, salvo che per i magazzini di servizio destinati a contenere gli scenari e le attrezzature dello spettacolo in corso, di cui al punto 5.1. I suddetti locali devono disporre di aerazione diretta verso l’esterno mediante aperture di superficie non inferiore a 1/40 di quella di pianta. La superficie massima lorda di ciascun locale non potrà essere superiore a: • 1000 mq, se ubicati ai piani fuori terra; • 500 mq, se ubicati ai piani interrati. Se il carico di incendio nei locali suddetti supera il valore di 30 kg/mq di legna standard, gli stessi devono essere protetti con impianto di spegnimento automatico a pioggia (impianto sprinkler). I depositi di materiali infiammabili devono essere ubicati fuori del volume del fabbricato. Ogni deposito deve essere dotato di almeno un estintore di capacità estinguente non inferiore a 21A, 89B, C, ogni 150 mq di superficie. 5.2.7 Mezzi e impianti di estinzione degli incendi Le scene con palcoscenico di superficie superiore a 150 mq, oltre alle attrezzature mobili e disse di estinzione previste al titolo XV, devono essere protette con impianto di spegnimento automatico a pioggia (impianto sprinkler). 5.3. Scena integrata nella sala L’affollamento, sulla base del quale vanno dimensionate le vie di uscita, deve tenere conto, oltre che del pubblico, anche degli artisti e del personale di servizio alla scena, qualora l’area riservata alla scena non disponga di vie di uscita a uso esclusivo. La lunghezza massima delle vie di uscita deve essere ridotta del 20% rispetto a quanto previsto al punto 4.3.4 Il numero di uscite dalla sala e quelle che immettono sull’esterno non possono essere in ogni caso inferiori a tre, di larghezza non inferiore a 1,2 m ciascuna. Lo spazio riservato al pubblico deve distare almeno 2 m dalla scena. Gli scenari devono essere di tipo fisso e di classe di reazione al fuoco non superiore a 1. La sala deve essere dotata di un efficace sistema di evacuazione fumi.
TITOLO VI – DISPOSIZIONI PARTICOLARI PER LE CABINE DI PROIEZIONE Le cabine di proiezione devono essere dimensionate in ragione del numero e dell’ingombro degli apparecchi installati e in modo da consentire il lavoro agli addetti e gli interventi di manutenzione. Esse devono essere opportunamente aerate verso l’esterno. Le cabine di proiezione devono essere realizzate con strutture di caratteristiche di resistenza al fuoco almeno REI 60. Le feritoie di proiezione, di spia e dei riflettori del palcoscenico, ove installati, devono essere munite di cristalli di idoneo spessore e devono avere dimensioni limitate alle necessità funzionali. L’accesso dall’interno del locale deve avvenire tramite disimpegno munito di porte con caratteristiche di resistenza al fuoco REI 30. Presso ogni cabina deve essere tenuto almeno un estintore portatile di capacità estinguente minima 21A, 89B, C. Le cabine, ove sono installati impianti automatici di proiezione, non necessitano di essere permanentemente presidiate dall’operatore, che in ogni caso, deve essere reperibile all’interno del locale durante la proiezione. È consentito installare un apparecchio di proiezione di formato ridotto in un punto qualsiasi del locale, purché distante dai posti riservati agli spettatori e in posizione tale da non ostacolare in alcun modo il deflusso del pubblico.
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NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. REZZA B.3.1ITÀ E SICU AGIBILCALI PER DEI LO TTACOLO E LO SP
B 91
B.3. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO AGIBILITÀ E SICUREZZA DEI LOCALI PER LO SPETTACOLO ➦ REGOLA DI PREVENZIONE INCENDI PER LA PROGETTAZIONE, COSTRUZIONE ED ESERCIZIO DEI LOCALI DI INTRATTENIMENTO E DI PUBBLICO SPETTACOLO FIG. B.3.1./3 SALE PER LO SPETTACOLO – GENERALITÀ – DATI DI VISIBILITÀ
APS: PUNTO DI CONVERGENZA DELLA VISIONE T: DISTANZA TRA UNA FILA E LA SUCCESSIVA: 75 CM MIN. SE IN PIANO, 82 CM MIN. SE SU GRADINI D1: DISTANZA ORIZZONTALE TRA APS E L'OCCHIO DELLA PRIMA FILA Dn: DISTANZA ORIZZONTALE TRA APS E L'OCCHIO DELLA FILA N DB: DISTANZA ORIZZONTALE TRA APS E L'OCCHIO DELLA FILA DELLA BALCONATA L: DISTANZA ORIZZONTALE TRA L'OCCHIO DELLA PRIMA FILA E IL PIANO FOCALE VERTICALE ALTEZZA DELL'OCCHIO DELLA PRIMA FILA SOPRA APS E1: ALTEZZA DELL'OCCHIO DELLA FILA N SOPRA APS En: EB: ALTEZZA DELL'OCCHIO DELLA PRIMA FILA DELLA BALCONATA SOPRA APS ALTEZZA DELL'OCCHIO DELLA PERSONA SEDUTA (115 CM CIRCA) HE: HAPS: ALTEZZA DI APS SOPRA IL LIVELLO DEL PAVIMENTO DELLA PRIMA FILA ALTEZZA DELLA GRADONATA TRA UNA FILA E LA SUCCESSIVA (ALZATA) R: ALTEZZA DELLA GRADONATA AVANTI ALLA FILA N Rn: PERCENTUALE DI INCLINAZIONE DEL PAVIMENTO (MAX. 5%) P: INTERVALLO DI VISIONE LIBERO (12 CM CIRCA) C: NUMERO DI FILE (MAX. 10 FILE) N: NUMERAZIONE DELLA FILA n:
T
C
HE
R
T
30° MAX.
EB
DB
D7 D6 D5
E7 E6
D4 D3
D1
E4
T C E1
HE
E5
D2 E3 E2
R5
APS ( 5 CM. CIRCA SOPRA IL PALCOSCENICO) PAVIMENTO AD INCLINAZIONE VARIABILE T
ALTEZZA MASSIMA DEL PALCOSCENICO PER SPETTACOLI DAL VIVO: 105 CM (E1 = 0)
R2
En = Dn [ E1 + C ( 1 + 1 + 1 + .... 1 )] D1 D1 D2 D3 Dn - 1 Rn = En - En-1 PIANO FOCALE ORIZZONTALE
PIANO FOCALE VERTICALE
PIANO FOCALE VERTICALE
PIANO FOCALE VERTICALE
BALCONATA
R = T [E1 + (N - 1) C] + C D1
R = T [HE - HAPS + (N - 1) C] + C L
R = 0 PAVIMENTO ORIZZONTALE
P = 100 [HE - HAPS + (N - 1) C]+ 100 C L T
R = T [EB + (N - 1) C] + C DB
D1 = T [E1 + (N - 1) C] R-C
L = T [HE - HAPS + (N - 1) C] R-C
L = T [HAPS - HE - (N - 1) C] C
L = 100 T [HE - HAPS + (N - 1) C] PT - 100 C
DB = T [EB + (N - 1) C] R-C
E1 = D1 (R - C) - C (N - 1) T
HAPS = HE - L (R - C) + (N - 1) C T
HAPS = HE + LC + (N - 1) C T
HAPS = HE - PL + LC + (N - 1) C 100 T
EB =DB (R - C) - C (N - 1) T
L
T
APS E1 C
HAPS
HE
INCLINAZIONE COSTANTE PIANO ORIZZONTALE PIANO FOCALE VERTICALE - PAVIMENTO INCLINATO
INCLINAZIONE VARIABILE P = PERCENTUALE DI INCLINAZIONE (MAX. 5%)
R T
B 92
100
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO AGIBILITÀ E SICUREZZA DEI LOCALI PER LO SPETTACOLO
B.3. 1. A.ZIONI
TITOLO VII – CIRCHI, PARCHI DI DIVERTIMENTO E SPETTACOLI VIAGGIANTI 7.1. Ubicazione Il luogo di installazione degli impianti in questione, di cui all’art.4 della legge 18 marzo 1968, n.337, deve essere scelto in modo da consentire l’avvicinamento e la manovra degli automezzi di soccorso e la possibilità di sfollamento delle persone verso aree adiacenti. Le strade per l’allontanamento del pubblico devono avere una larghezza globale pari almeno alla metà della larghezza complessiva delle uscite dell’impianto e l’allontanamento deve essere possibile in due sensi. In ogni caso tra i tendoni e gli edifici circostanti deve essere interposta una distanza di rispetto non inferiore a 20 m. L’area destinata all’installazione di circhi, parchi di divertimento e spettacoli viaggianti deve essere fornita di energia elettrica, telefono e di almeno un idrante per il rifornimento degli automezzi antincendio.
essere tenuti a disposizione degli organi di controllo locali, unitamente a una dichiarazione di corretta installazione e montaggio delle strutture e degli impianti, redatta di volta in volta dell’esercente, autorizzato all’esercizio dell’attività ai sensi della legge 18 marzo 1968, n.337. Con periodicità annuale ogni struttura deve essere oggetto di una verifica da parte di tecnico abilitato sulla idoneità delle strutture portanti, apparati idraulici, meccanici ed elettrici. Gli esiti di detta verifica dovranno essere oggetto di apposita certificazione da tenere a disposizione degli organi di controllo locali. Non sono ammesse coperture di tipo pressostatico.
Per i luoghi e spazi all’aperto, utilizzati occasionalmente ed esclusi dal campo di applicazione del presente decreto in quanto prive di specifiche attrezzature per lo stazionamento del pubblico, è fatto obbligo di produrre, alle autorità competenti al rilascio della licenza di esercizio, la idoneità statica delle strutture allestite e la dichiarazione d’esecuzione a regola d’arte degli impianti elettrici installati, a firma di tecnici abilitati, nonché l’approntamento e l’idoneità dei mezzi antincendio.
8.1. Ubicazione L’area di installazione di teatri tenda e strutture similari deve essere rispondente a quanto previsto al punto 7.1.
Le disposizioni del presente decreto si applicano anche ai locali multiuso, fatto salvo quanto previsto da specifiche norme di prevenzione incendi. Nel caso di utilizzo di impianti sportivi per lo svolgimento occasionale di intrattenimenti e spettacoli, si applicano le norme previste per i suddetti impianti quando vengano utilizzati per manifestazioni occasionali a carattere non sportivo.
7.2. Distribuzione dei tendoni e delle attrazioni
7.3. Scuderie Le scuderie e altri ambienti destinati al ricovero degli animali debbono essere separati dalla sala. 7.4. Depositi e laboratori Depositi ed eventuali laboratori devono essere ubicati all’esterno della sala e posti a distanza di almeno 6 m.
L’area scenica, essendo in tali strutture del tipo integrato nella sala, dovrà osservare le disposizioni di cui al punto 5.3. I camerini devono essere dislocati in un’area diversa da quella della scena e le comunicazioni degli stessi con la scena e con l’esterno, devono avvenire esclusivamente a mezzo di passaggi autonomi e direttamente comunicanti con l’esterno. La larghezza di detti passaggi deve essere non inferiore a 1,2 m, onde essere valutati come uscite a servizio del palcoscenico. Nell’impossibilità di realizzare un efficace sistema di evacuazione fumi, si deve proteggere il palcoscenico, e i camerini, se ubicati all’interno del tendone, con un impianto di spegnimento ad acqua frazionata a comando manuale.
Per i locali di cui all’art.1, c. 1, lett. e), con capienza non superiore a 100 persone, utilizzati anche occasionalmente per spettacoli, trattenimenti e riunioni, devono comunque essere rispettate le disposizioni del presente allegato relative all’esodo del pubblico, alla statica delle strutture e all’esecuzione a regola d’arte degli impianti installati, la cui idoneità, da esibire a ogni controllo, dovrà essere accertata e dichiarata da tecnici abilitati.
I liquidi infiammabili devono essere tenuti in contenitori di sicurezza, chiusi e conservati in luoghi idonei. Gli spazi sottostanti e adiacenti le attrazioni, i veicoli e le carovane non devono essere utilizzati per depositare materiale combustibile o infiammabile; negli stessi spazi deve essere rimossa la vegetazione e devono essere adottati gli accorgimenti atti a evitarne la crescita, quando essa possa rappresentare pericolo d’incendio. I contenitori di GPL, sia pieni che vuoti, devono essere custoditi in conformità alle specifiche norme di prevenzione incendi. È vietato l’impiego di gas infiammabile per il gonfiaggio di palloni in vendita o in esposizione. È proibito l’uso di fiamme e di materiali infiammabili per gli effetti speciali durante gli spettacoli a meno che non vengano adottate specifiche precauzioni per prevenire gli incendi. 7.6. Impianti antincendio Le aree destinate all’installazione di circhi e spettacoli viaggianti devono essere dotate di almeno un idrante DN 70. Le aree destinate a parchi di divertimento permanenti devono essere fornite di una rete di idranti DN 70 distribuiti a distanza reciproca non superiore a 60 m. 7.7. Documentazione e verifiche tecniche I progetti delle strutture dei tendoni dei circhi e delle attività spettacolari, dei trattenimenti e delle attrazioni dello spettacolo viaggiante, devono essere approvati, precedentemente al loro primo impiego, ai sensi della legge 18 marzo 1968, n.337, e prevedere eventuali limitazioni d’impiego incluse quelle relative alle condizioni atmosferiche (neve, vento).Tali progetti, corredati di planimetrie indicanti la distribuzione dei posti per il pubblico e le vie di uscita, e di documentazione relativa alla conformità degli impianti e dei materiali, devono
8.4. Impianti antincendio L’area di installazione di un teatro tenda deve essere dotata di almeno un idrante DN 70. Qualora la struttura sia installata in modo permanente l’impianto idrico antincendio deve essere conforme a quanto prescritto al titolo XV. 8.5. Documentazione e verifiche tecniche I progetti relativi a teatri tenda e strutture similari, approvati dall’autorità competente, correlati di planimetrie e indicanti la distribuzione di posti per il pubblico e le vie d’uscita, e di documentazione relativa alla conformità degli impianti e dei materiali, devono essere tenuti a disposizione degli organi di controllo locali, unitamente a una dichiarazione di corretta installazione e montaggio delle strutture e degli impianti, redatta di volta in volta dall’esercente, autorizzato all’esercizio dell’attività ai sensi delle vigenti disposizioni di legge. Con periodicità annuale ogni struttura deve essere oggetto di una verifica da parte di tecnico abilitato sulla idoneità delle strutture portanti, apparati meccanici, idraulici ed elettrici. Gli esiti di detta verifica dovranno essere oggetto di apposita certificazione da tenere a disposizione degli organi di controllo locali. Non sono ammesse coperture di tipo pressostatico.
TITOLO IX – LUOGHI E SPAZI ALL’APERTO L’installazione all’aperto, anche provvisoria, di strutture destinate ad accogliere il pubblico o gli artisti deve essere rispondente alle disposizioni di cui al presente decreto. L’eventuale installazione di tribune deve essere conforme alle vigenti disposizioni sugli impianti sportivi.
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
TITOLO XII – AREE E IMPIANTI A RISCHIO SPECIFICO
8.3. Depositi e laboratori Eventuali magazzini e laboratori per il deposito e la lavorazione di materiale scenico devono essere sistemati all’esterno del teatro tenda.
C.RCIZIO
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
TITOLO XI – LOCALI DI TRATTENIMENTO CON CAPIENZA NON SUPERIORE A 100 PERSONE
12.1. Classificazione 7.5. Misure di prevenzione incendi
I ED PRE NISM ORGA
F. TERIALI,
8.2. Area della scena – Camerini I tendoni e le attrazioni devono essere dislocati in modo da ridurre al minimo la possibilità di propagazione di un incendio. In ogni caso la distanza tra i tendoni e le attrazioni limitrofe non deve essere inferiore a 6 m. Le funi per controventare, i picchetti e i paletti per i tendoni non devono ostruire i passaggi per le persone verso luoghi sicuri. Nel caso in cui essi fiancheggino tali passaggi, devono essere protetti e segnalati.
B.STAZIONI DILEGIZLII
D.GETTAZIONE
TITOLO X – LOCALI MULTIUSO TITOLO VIII – TEATRI TENDA E STRUTTURE SIMILARI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
Le aree e gli impianti a rischio specifico sono così classificati: • depositi; • impianti tecnologici; • autorimesse. 12.2. Depositi Si intendono depositi o magazzini gli ambienti destinati alla conservazione di materiali occorrenti all’esercizio dei locali e ai servizi amministrativi. I depositi, ove previsti, annessi ai locali di cui alle presenti norme, con esclusione di quelli già trattati ai punti 5.1, 5.2.6.2, 7.4 e 8.3, devono essere realizzati con strutture portanti e separanti di resistenza al fuoco almeno REI 60. Essi devono essere aerati direttamente dall’esterno mediante aperture di superficie non inferiore a 1/40 di quella in pianta; devono avere accesso dall’esterno e possono comunicare con gli altri ambiente dei locali a mezzo di porte resistenti al fuoco almeno REI 60, munite di dispositivo di autochiusura. 12.3. Impianti tecnologici 12.3.1 Impianti di produzione calore Gli impianti di produzione di calore funzionanti a combustibile solido, liquido e gassoso dovranno essere realizzati nel rispetto delle specifiche normative di prevenzione incendi. 12.3.2 Impianti di condizionamento e ventilazione Gli impianti di condizionamento e di ventilazione devono essere progettati e realizzati nell’osservanza dei seguenti criteri: a) Impianti centralizzati Le unità di trattamento dell’aria e i gruppi frigoriferi non possono essere installati nei locali ove sono ubicati impianti di produzione calore.
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B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. REZZA B.3.1ITÀ E SICU AGIBILCALI PER DEI LO TTACOLO E LO SP
B 93
B.3. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO AGIBILITÀ E SICUREZZA DEI LOCALI PER LO SPETTACOLO ➦ REGOLA DI PREVENZIONE INCENDI PER LA PROGETTAZIONE, COSTRUZIONE ED ESERCIZIO DEI LOCALI DI INTRATTENIMENTO E DI PUBBLICO SPETTACOLO I gruppi frigoriferi devono essere installati in apposti locali, realizzati con strutture di separazione di caratteristiche di resistenza al fuoco almeno REI 60, aventi accesso direttamente dall’esterno o tramite disimpegno aerato di analoghe caratteristiche, munito di porte REI 60 dotate di dispositivo di autochiusura: L’aerazione nei locali dove sono installati i gruppi frigoriferi non deve essere inferiore a quella indicata dal costruttore dei gruppi stessi, con una superficie minima non inferiore a 1/20 della superficie in pianta locale. Nei gruppi frigoriferi devono essere utilizzati come fluidi frigorigeni prodotti non infiammabili e non tossici. I gruppi refrigeratori che utilizzano soluzioni acquose di ammoniaca possono essere installati soltanto all’esterno dei fabbricati o in locali aventi caratteristiche analoghe a quelli delle centrali termiche alimentate a gas. Le celle frigorifere destinate a contenere gruppi termorefrigeratori ad assorbimento a fiamma diretta devono rispettare le disposizioni di prevenzione incendi in vigore per gli impianti di produzione calore, riferiti al tipo di combustibile impiegato. Non è consentito utilizzare aria di ricircolo proveniente da cucine, autorimesse e comunque spazi a rischio specifico. b) Condotte Le condotte devono essere realizzate in materiale di classe 0 di reazione al fuoco; le tubazioni flessibili di raccordo devono essere di classe di reazione al fuoco non superiore a 2. Le condotte non devono attraversare: • luoghi sicuri che non siano a cielo libero; • vani scala e vani ascensore; • locali che presentino pericolo di incendio, di esplosione e di scoppio. L’attraversamento dei suddetti locali può tuttavia essere ammesso se le condotte sono racchiuse in strutture resistenti al fuoco di classe almeno pari a quella del vano attraversato. Qualora le condotte attraversino strutture che delimitano i compartimenti, nelle condotte deve essere installata, in corrispondenza degli attraversamenti, almeno una serranda avente resistenza al fuoco pari a quella della struttura che attraversano, azionata automaticamente e direttamente da rivelatori di fumo. Negli attraversamenti di pareti e solai, lo spazio attorno alle condotte deve essere sigillato con materiale di classe 0, senza tuttavia ostacolare le dilatazioni delle stesse. c) Dispositivi di controllo Ogni impianto deve essere dotato di un dispositivo di comando manuale, situato in un punto facilmente accessibile, per l’arresto dei ventilatori in caso di incendio. Inoltre, gli impianti a ricircolo d’aria, a servizio di più compartimenti, devono essere muniti, all’interno delle condotte, di rivelatori di fumo che comandino automaticamente l’arresto dei ventilatori e la chiusura delle serrande tagliafuoco. L’intervento dei rivelatori deve essere segnalato nella centrale di controllo degli impianti di rivelazione e segnalazione automatica degli incendi. L’intervento dei dispositivi, sia manuali che automatici, non deve consentire la rimessa in marcia dei ventilatori senza l’intervento manuale dell’operatore. d) Impianti localizzati E’ consentito il condizionamento dell’aria a mezzo di armadi condizionatori, purché il fluido refrigerante non sia infiammabile né tossico. E’ comunque escluso l’impiego di apparecchiature a fiamma libera.
TITOLO XIII – IMPIANTI ELETTRICI
15.2. Estintori
13.1. Generalità
Tutti locali devono essere dotati di un adeguato numero di estintori portatili. Gli estintori devono essere distribuiti in modo uniforme nell’area da proteggere, e comunque necessario che almeno alcuni si trovino: • in prossimità degli accessi; • in vicinanza di aree di maggior pericolo. Gli estintori devono essere ubicati in posizione facilmente accessibile e visibile; apposti cartelli segnalatori devono facilitarne l’individuazione, anche a distanza. Gli estintori portatili devono essere installati in ragione di uno ogni 200 mq di pavimento, o frazione, con un minimo di due estintori per piano, fatto salvo quanto previsto specificamente in altri punti del presente allegato. Gli estintori portatili dovranno avere capacità estinguente non inferiore a 13A, 89B, C; a protezione di aree e impianti a rischio specifico devono essere previsti estintori di tipo idoneo.
Gli impianti elettrici devono essere realizzati in conformità alla legge 1° marzo 1968, n.186. In particolare ai fini della prevenzione degli incendi gli impianti elettrici: • non devono costituire causa primaria di incendio o di esplosione; • non devono fornire alimento o via privilegiata di propagazione degli incendi. Il comportamento al fuoco della membratura deve essere compatibile con la specifica destinazione d’uso dei singoli locali; • devono essere suddivisi in modo che un eventuale guasto non provochi la messa fuori servizio dell’intero sistema (utenza); • devono disporre di apparecchi di manovra ubicati in posizioni “protette” e devono riportare chiare indicazioni dei circuiti cui si riferiscono. I seguenti sistemi di utenza devono disporre di impianti di sicurezza: a) illuminazione; b) allarme; c) rivelazione; d) impianti di estinzione degli incendi; e) ascensori antincendio. La rispondenza alle norme di sicurezza vigenti deve essere attestata con la procedura di cui alla legge 5 marzo 1990, n.46, e successivi regolamenti di applicazione. 13.2. Impianti elettrici di sicurezza L’alimentazione di sicurezza deve essere automatica a interruzione breve (< 0,5 s) per gli impianti di rivelazione, allarme e illuminazione; a interruzione media (< 15 s) per ascensori antincendio e impianti idrici antincendio. Il dispositivo di carica degli accumulatori deve essere di tipo automatico e tale da consentire la ricarica completa entro le 12 ore. L’autonomia dell’alimentazione di sicurezza deve consentire lo svolgimento in sicurezza del soccorso e dello spegnimento per il tempo necessario; in ogni caso l’autonomia minima viene stabilita per ogni impianto come segue: • rivelazione e allarme: 30 min; • illuminazione di sicurezza: 1 ora; • ascensori antincendio: 1 ora; • impianti idrici antincendio: 1 ora. L’installazione dei gruppi elettrogeni deve essere conforme alle regole tecniche vigenti. L’impianto di illuminazione di sicurezza deve assicurare un livello di illuminazione non inferiore a 5 lux a un metro di altezza dal piano di calpestio lungo le vie di uscita e non inferiore a 2 lux negli altri ambienti accessibili al pubblico. Sono ammesse singole lampade con alimentazione autonoma purché assicurino il funzionamento per almeno 1 ora. 13.3. Quadri elettrici generali Il quadro elettrico generale deve essere ubicato in posizione facilmente accessibile, segnalata e protetta dall’incendio. TITOLO XIV – SISTEMA DI ALLARME I locali devono essere muniti di un sistema di allarme acustico realizzato mediante altoparlanti con caratteristiche idonee ad avvertire le persone presenti delle condizioni di pericolo in caso di incendio. Il comando di attivazione del sistema di allarme deve essere ubicato in un luogo continuamente presidiato.
TITOLO XV – MEZZI E IMPIANTI DI ESTINZIONE DEGLI INCENDI
12.4. Autorimesse 15.1. Generalità I locali, di cui all’art.1, c. 1, lett. a), b), c), d), e), f), possono essere attigui, sottostanti e sovrastanti alle autorimesse, nel rispetto delle specifiche normative di prevenzione incendi.
B 94
Le attrezzature e gli impianti di estinzione degli incendi devono essere realizzati a regola d’arte e in conformità a quanto di seguito indicato.
15.3. Impianti idrici antincendio 15.3.1 Naspi Devono essere installati almeno naspi DN 20 nei seguenti casi: • locali, di cui all’art.1, c. 1, lett. a) e c), con capienza non superiore a 150 persone; • locali, di cui all’art.1, c. 1, lett. b), d), e), f),con capienza superiore a 300 persone e non superiore a 600 persone. Questo naspo deve essere corredata da una tubazione semirigida lunga 20 m, realizzata a regola d’arte. Il numero e la posizione dei naspi devono essere prescelti in modo da consentire il raggiungimento, con il getto, di ogni punto dell’area protetta. I naspi possono essere collegati alla normale rete idrica, purché questa sia in grado di alimentare in ogni momento contemporaneamente, oltre all’utenza normale, i due naspi in condizione idraulicamente più sfavorevole, assicurando a ciascuno di essi una portata non inferiore a 35 l/min e una pressione non inferiore a 1,5 bar, quando sono entrambi in fase di scarica. L’alimentazione deve assicurare un’autonomia non inferiore a 60 min. Qualora la rete idrica non sia in grado di assicurare quanto sopra prescritto, deve essere predisposta un’alimentazione di riserva, capace di fornire le medesime prestazioni. 15.3.2 Idranti DN 45 Devono essere installati impianti idrici antincendio con idranti nei seguenti casi: • locali, di cui all’art.1, c. 1, lett. a) e c), con capienza superiore a 150 persone; • locali, di cui all’art.1, c. 1, lett. b), d), e), f), con capienza superiore a 600 persone. Gli impianti devono essere costituiti da una rete di tubazioni preferibilmente ad anello, con montanti disposti nelle gabbie delle scale o comunque in posizione protetta; dai montanti devono essere derivati gli idranti DN 45. Devono essere soddisfatte le seguenti prescrizioni: a) al bocchello della lancia dell’idrante posizionato nelle condizioni più sfavorevoli di altimetria e distanza deve essere assicurata una portata non inferiore a 120 l/min e una pressione residua di almeno 2 bar; b) il numero e la posizione degli idranti devono essere prescelti in modo da consentire il raggiungimento, con il getto, di ogni punto dell’area protetta, con un minimo di due idranti; c) l’impianto idraulico deve essere dimensionato in relazione al contemporaneo funzionamento del seguente numero di idranti: • n.2 idranti per locali di superficie complessiva fino a 5000 mq; • idranti per locali di superficie complessiva fino a 10.000 mq; • n.6 idranti per locali di superficie complessiva superiore a 10.000 mq;
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO AGIBILITÀ E SICUREZZA DEI LOCALI PER LO SPETTACOLO
B.3. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.3.1./4 SALA PER SPETTACOLO DAL VIVO (TEATRI, AUDITORIUM)
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
200 CM MIN.
ELEMENTI DI DIMENSIONAMENTO DI SALE PER SPETTACOLI DAL VIVO (TEATRO, CONCERTI ) - SEZIONE SCHEMATICA
C.RCIZIO
TORRE DI MANOVRA DELLE SCENE (PER ULTERIORI SPECIFICAZIONI RELATIVE ALLE SCENE DEI TEATRI, V. FIG. B.8.3.2./2)
GRATICCIATA DI MANOVRA
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
LIVELLO DEL SOFFITTO PIÙ ALTO PER TEMPI DI RIVERBERO PIÙ LUNGHI: PER CONCERTI (IL VOLUME DELLA SALA CORRISPONDE A 600 - 1000 CMC PER OGNI POSTO) BALLATOI DI MANOVRA
E.NTROLLO
LIVELLO DEL SOFFITTO PIÙ BASSO PER TEMPI DI RIVERBERO PIÙ BREVI: PER DRAMMA E CONFERENZE (IL VOLUME DELLA SALA CORRISPONDE A 225 - 420 CMC PER OGNI POSTO)
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
PARETE DI SEPARAZIONE TRA SCENA E SALA: REI 90
G.ANISTICA URB
POSIZIONE SIPARIO METALLICO TAGLIAFUOCO (TEATRI CON CAPACITA' > DI 1000 SPETTATORI)
MIN. 120 CM. USCITE DI SICUREZZA
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
D
H
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
MIN. 120 CM.
240 CM MAX.
SOTTOPALCO
BOCCASCENA CONCERTI: 730 - 1200 CM
BOCCASCENA OPERA E BALLETTI: 550 -900 CM
BOCCASCENA DRAMMA: 350 - 550 CM
FONDALE
2,5 - 3 VOLTE L'ALTEZZA DEL BOCCASCENA
ALTOPARLANTI
GOLFO MISTICO 0,95-1,30 MQ/ MUSICISTA
ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE
MIN. 120 CM.
OGNI SETTORE DEVE ESSERE COSTITUITO DA UN NUMERO DI FILE NON SUPERIORE A 10 E UN NUMERO DI POSTI NON SUPERIORE A 16
L'ULTIMA FILA SOTTO LA BALCONATA DEVE AVERE COMPLETA VISIONE DEGLI ALTOPARLANTI POSTI AL DI SOPRA DEL BOCCASCENA E DEL FONDALE
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
BALCONATA: RAPPORTO D : H CONCERTI OPERA, DRAMMA PROIEZIONI
1:1 2:1 3:1
ASSETTO IN CASO DI CONCERTO - ELEVATORE IDRAULICO PER L'ORCHESTRA
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
POSIZIONE DEL DIRETTORE NEL CASO DI CONCERTO
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
PALCO GIREVOLE
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
L'EVENTUALE PENDENZA DEI PASSAGGI NON DEVE ESSERE SUPERIORE AL 5%
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
BASE MOBILE DEL GOLFO MISTICO FOSSA DELL'ELEVATORE IDRAULICO SOTTOPALCO
APPARATO TELESCOPICO DELL'ELEVATORE
➥
. REZZA B.3.1ITÀ E SICU AGIBILCALI PER DEI LO TTACOLO E LO SP
B 95
B.3. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO AGIBILITÀ E SICUREZZA DEI LOCALI PER LO SPETTACOLO ➦ REGOLA DI PREVENZIONE INCENDI PER LA PROGETTAZIONE, COSTRUZIONE ED ESERCIZIO DEI LOCALI DI INTRATTENIMENTO E DI PUBBLICO SPETTACOLO d) gli idranti devono essere ubicati in posizioni utili all’accessibilità e all’operatività in caso di incendio; e) l’impianto deve essere costantemente tenuto in pressione; f) le tubazioni di alimentazione e quelle costituenti la rete devono essere protette dal gelo, dagli urti e dal fuoco. 15.3.3 Attacchi per il collegamento con le autopompe VVFF Devono prevedersi attacchi di mandata DN 70 per il collegamento con le autopompe VVFF nel seguente numero: 1 al piede di ogni colonna montante, nel caso di edifici con oltre tre piani fuori terra; n. 1 negli altri casi. Detti attacchi devono essere predisposti in punti ben visibili facilmente accessibili ai mezzi di soccorso. 15.3.4 Impianto idrico esterno In prossimità dei locali, di cui all’art.1, primo comma, lettera a), di capienza superiore a 1000 spettatori, e di tutti gli altri locali elencati all’art.1, c. 1, di capienza superiore a 2000 spettatori, deve essere installato all’esterno, in posizione facilmente accessibile e opportunamente segnalata, almeno un idrante DN 70, da utilizzare per il rifornimento dei mezzi dei Vigili del Fuoco. Tale idrante deve assicurare una portata non inferiore a 460 l/min per almeno 60 min, con una pressione residua non inferiore a 3 bar. 15.3.5 Alimentazione normale Qualora l’acquedotto pubblico non garantisca con continuità, nelle 24 ore, le prestazioni richieste, deve essere realizzata una riserva idrica alimentata dall’acquedotto e/o altre fonti, di capacità tale da assicurare un’autonomia di funzionamento dell’impianto, nell’ipotesi di cui ai precedenti punti 15.3.2, 15.3.4, per un tempo di almeno 60 min. Il gruppo di pompaggio di alimentazione della rete antincendio deve essere, in tal caso, costituito da elettropompa provvista di alimentazione elettrica di riserva, alimentata con gruppo elettrogeno ad azionamento automatico; in alternativa a quest’ultimo può essere installata una motopompa di riserva ad avviamento automatico. 15.3.6 Alimentazione ad alta affidabilità Per i teatri di capienza superiore a 2000 spettatori, l’alimentazione della rete antincendio deve essere del tipo ad alta affidabilità. Affinché un’alimentazione sia considerata ad alta affidabilità può essere realizzata in uno dei seguenti modi: una riserva virtualmente inesauribile;due serbatoi o vasche di accumulo, la cui capacità singola sia pari a quella minima richiesta dall’impianto, dotati di rincalzo; due tronchi di acquedotto che non interferiscano fra loro nell’erogazione, non siano alimentati dalla stessa sorgente, salvo che virtualmente inesauribile. Tale alimentazione deve essere collegata alla rete antincendio tramite due gruppi di pompaggio, composti da una o più pompe, ciascuno dei quali in grado di assicurare le prestazioni richieste secondo una delle seguenti modalità: una elettropompa e una motopompa, una di riserva all’altra;due elettropompe, ciascuna con portata pari alla metà del fabbisogno e una motopompa di riserva avente portata pari al fabbisogno totale; due motopompe, una di riserva all’altra;due elettropompe, una di riserva all’altra, con alimentazioni elettriche indipendenti. Ciascuna pompa deve avviarsi automaticamente. 15.4. Impianto di spegnimento automatico a pioggia (impianto Sprinkler) Oltre che nei casi previsti ai precedenti punti, deve essere installato un impianto di spegnimento automatico a pioggia (impianto sprinkler) a protezione degli ambienti con carico d’incendio superiore a 50 kg/m ≤ di legna standard. Gli impianti idrici e i relativi erogatori devono essere realizzati a regola d’arte secondo le norme UNI 9489, 9490 e 9491.
B 96
TITOLO XVI – IMPIANTO DI RIVELAZIONE E SEGNALAZIONE AUTOMATICA DEGLI INCENDI Oltre che nei casi previsti ai punti precedenti, deve essere installato un impianto di rivelazione e segnalazione automatica degli incendi a protezione degli ambienti con carico d’incendio superiore a 30 kg/mq di legna standard. Gli impianti devono essere realizzati a regola d’arte secondo le norme UNI 9795.
18.3. Informazione e formazione del personale Occorre che tutto il personale dipendente sia informato adeguatamente sui rischi prevedibili, sulle misure da osservare per prevenire gli incendi e sul comportamento da adottare in caso di incendio. Il responsabile dovrà inoltre curare che alcuni dipendenti, addetti in modo permanente al servizio del locale, (portieri, macchinisti, etc.), siano in grado di portare il più pronto ed efficace ausilio in caso di incendio o altro pericolo. 18.4. Istruzioni di sicurezza
TITOLO XVII – SEGNALETICA DI SICUREZZA Si applicano le vigenti disposizioni sulla segnaletica di sicurezza, espressamente finalizzate alla sicurezza antincendio, di cui al DPR 8 giugno 1982, n.524, nonché le prescrizioni di cui alla direttiva 92/58/CEE del 24 giugno 1992. In particolare sulle porte delle uscite di sicurezza deve essere installata una segnaletica di tipo luminoso, mantenuta sempre accesa durante l’esecuzione dell’attività, e inoltre alimentata in emergenza. In particolare la cartellonistica deve indicare: • le porte delle uscite di sicurezza; • i percorsi per il raggiungimento delle uscite di sicurezza; • l’ubicazione dei mezzi fissi e portatili di estinzione incendi. Alle attività a rischio specifico annesse ai locali, inoltre, si applicano le disposizioni sulla cartellonistica di sicurezza contenute nelle relative normativa.
TITOLO XVIII – GESTIONE DELLA SICUREZZA 18.1. Generalità Il responsabile dell’attività, o persona da lui delegata, deve provvedere affinché nel corso dell’esercizio non vengano alterate le condizioni di sicurezza, e in particolare: a) i sistemi di vie di uscita devono essere tenuti costantemente sgombri da qualsiasi materiale che possa ostacolare l’esodo delle persone e costituire pericolo per la propagazione di un incendio; b) prima dell’inizio di qualsiasi manifestazione deve essere controllata la funzionalità del sistema di vie di uscita, il corretto funzionamento dei serramenti delle porte, nonché degli impianti e delle attrezzature di sicurezza; c) devono essere mantenuti efficienti i presidi antincendio, eseguendo prove periodiche con cadenza non superiore a 6 mesi; d) devono mantenersi costantemente efficienti gli impianti elettrici, in conformità a quanto previsto dalle normative vigenti; e) devono mantenersi costantemente in efficienza i dispositivi di sicurezza degli impianti di ventilazione, condizionamento e riscaldamento; f) devono essere presi opportuni provvedimenti di sicurezza in occasione di situazioni particolari, quali manutenzioni e risistemazioni; g) deve essere fatto osservare il divieto di fumare negli ambienti ove tale divieto è previsto per motivi di sicurezza; h) nei depositi e nei laboratori, i materiali presenti devono essere disposti in modo da consentirne una agevole ispezionabilità. 18.2. Chiamata dei servizi di soccorso I servizi di soccorso devono poter essere avvertiti in caso di necessità tramite rete telefonica. La procedura di chiamata deve essere chiaramente indicata a fianco di ciascun apparecchio telefonico, dal quale questa sia possibile.
Negli atri e nei corridoi dell’area riservata al pubblico devono essere collocate in vista le planimetrie dei locali, recanti la disposizione dei posti, l’ubicazione dei servizi a uso degli spettatori e le indicazioni dei percorsi de seguire per raggiungere le scale e le uscite. Planimetrie e istruzioni adeguate dovranno altresì essere collocate sulla scena e nei corridoi di disimpegno a servizio della stessa. All’ingresso del locale deve essere disponibile una planimetria generale, per le squadre di soccorso, riportante l’ubicazione: • delle vie di uscita (corridoi, scale, uscite); • dei mezzi e degli impianti di estinzione; • dei dispositivi di arresto dell’impianto di ventilazione; • dei dispositivi di arresto degli impianti elettrici e dell’eventuale impianto di distribuzione di gas combustibile; • dei vari ambienti di pertinenza con indicazione delle relative destinazioni d’uso. 18.5. Piano di sicurezza antincendio Tutti gli adempimenti necessari per una corretta gestione della sicurezza antincendio devono essere pianificati in un apposito documento, adeguato alle dimensioni a caratteristiche del locale, che specifichi in particolare: i controlli;gli accorgimenti per prevenire gli incendi;gli interventi manutentivi; l’informazione e l’addestramento al personale;le istruzioni per il pubblico;le procedure da attuare in caso di incendio. 18.6. Registro della sicurezza antincendio Il responsabile dell’attività, o personale da lui incaricato, è tenuto a registrare i controlli e gli interventi di manutenzione sui seguenti impianti e attrezzature, finalizzate alla sicurezza antincendio: • sistema di allarme e impianti di rivelazione e segnalazione automatica degli incendi; • attrezzature e impianti di spegnimento; sistema di evacuazione fumi e calore; impianti elettrici di sicurezza; • porte ed elementi di chiusura per i quali è richiesto il requisito di resistenza al fuoco. Inoltre deve essere oggetto di registrazione l’addestramento antincendio fornita al personale. Tale registro deve essere tenuto aggiornato e reso disponibile in occasione di controlli dell’autorità competente. TITOLO XIX – ADEGUAMENTO DEI LOCALI ESISTENTI I locali esistenti, di cui all’art.5, devono essere adeguati alle disposizioni dell’allegato entro tre anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, relativamente ai seguenti punti: impianti elettrici;impianti tecnologici;sistema di allarme e impianti di rivelazione e segnalazione automatica degli incendi. Le disposizioni riguardanti la gestione della sicurezza, di cui al titolo XVIII, devono essere attuate contestualmente all’entrata in vigore del presente decreto, con l’esclusione del piano di sicurezza antincendio e del registro della sicurezza antincendio che devono essere predisposti entro un anno, fatto salvo, in ogni caso, quanto disposto dal DLgs 19 settembre 1994 n.626, di recepimento della direttiva 89/391/CEE e successive modifiche e integrazioni.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO CINEMA, MULTISALA, CABINE DI PROIEZIONE REGOLAMENTO RECANTE DISPOSIZIONI PER IL RILASCIO DI AUTORIZZAZIONE PER L’APERTURA DI SALE CINEMATOGRAFICHE, AI SENSI DELL’ART.31 DELLA LEGGE 4 NOVEMBRE 1965, N.1213, E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI (Decreto 29 settembre 1998, n.391 – Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento dello Spettacolo) Art.1. AMBITO DI APPLICAZIONE
Art.3. AUTORIZZAZIONE
1. Ai sensi dell’art.31 della legge 4 novembre 1965, n.1213, come modificato dal terzo comma dell’art.4 del decreto legislativo 8 gennaio 1998, n.3, la costruzione, la trasformazione e l’adattamento di immobili da destinare a sale e arene per spettacoli cinematografici, nonché la ristrutturazione o l’ampliamento di sale cinematografiche già in attività, sono subordinati ad autorizzazione dell’autorità di Governo competente in materia di spettacolo, nei casi in cui la capienza complessiva sia o divenga superiore, indipendentemente dal numero delle sale, a 1.300 posti.
1. L’autorizzazione di cui all’art.1 è rilasciata in presenza dei seguenti requisiti tecnici: a) impianto di proiezione automatico o semiautomatico e di riproduzione sonora stereofonica; b) aria condizionata e riscaldamento; c) cassa automatica; d) poltrone di larghezza non inferiore a cinquantacinque centimetri e con distanza fra le file non inferiore e centodieci centimetri; e) almeno due servizi complementari in favore degli spettatori, tra quelli indicati dal DM dell’industria, del commercio e dell’artigianato 30 ottobre 1996, n.683.
2. È necessaria l’autorizzazione anche nei seguenti casi: a) per adibire un teatro a sala per spettacoli cinematografici, allorché la capienza complessiva del medesimo è superiore a 1.300 posti; b) qualora due o più sale, che hanno capienza complessiva superiore a 1.300 posti, siano comunque ubicate nello stesso complesso immobiliare, ancorché non comunicanti ovvero dotate di separati ingressi su spazi pubblici. Art.2. DEFINIZIONI 1. Ai fini del rilascio delle autorizzazioni di cui all’art.1 si intende: a) per sala cinematografica uno spazio al chiuso dotato di uno schermo, adibita a pubblico spettacolo cinematografico; b) per cinema-teatro lo spazio di cui alla precedente lettera a) destinato, oltre che al pubblico spettacolo cinematografico, anche alle rappresentazioni teatrali di qualsiasi genere, da effettuare mediante la costruzione di una struttura caratterizzata dalla scena e comprendente allestimenti scenici fissi e mobili con relativi meccanismi e attrezzature; c) per multisala l’insieme di due o più sale cinematografiche adibite a programmazioni multiple accorpate in uno stesso immobile sotto il profilo strutturale, e tra loro comunicanti; d) per arena il cinema all’aperto, funzionante esclusivamente nel periodo compreso tra il 1º giugno e il 30 settembre, allestito su un area delimitata e attrezzata appositamente per le proiezioni cinematografiche. 2. Per il calcolo dei posti esistenti, vanno considerate le sale che, autorizzate o meno ai sensi dell’art.31 della legge 4 novembre 1965, n.1213, e successive modificazioni, abbiano svolto nell’anno solare precedente la richiesta di autorizzazione, attività di programmazione cinematografica non inferiore a centoventi giorni. Sono comprese nel computo le sale autorizzate e non ancora in attività e sono esclusi dal computo le arene e i cinema ambulanti. Il calcolo dei posti è effettuato con riferimento a quelli assentiti sulla base delle vigenti norme di sicurezza per i locali di pubblico spettacolo. 3. Ai fini dell’applicazione del presente regolamento, le situazioni di fatto e di diritto sono verificate con riferimento alla data di presentazione della domanda di autorizzazione.
2. L’autorizzazione di cui all’art.1 è rilasciata: a) nei comuni sprovvisti di sale cinematografiche, e che confinano con comuni anch’essi sprovvisti di sale cinematografiche con capienza superiore a 150 posti; b) nei comuni provvisti di sale cinematografiche, allorché il quoziente regionale sia inferiore al quoziente d’area. Il quoziente regionale è inteso come il rapporto fra la popolazione residente e il numero dei posti delle sale, anche comprese in complessi multisala, presenti nella regione; il quoziente d’area è inteso come il rapporto fra la popolazione residente nel comune nel quale si intende ubicare l’insediamento e nei comuni limitrofi e il numero dei posti delle sale nei medesimi ubicate, determinato sommando i posti compresi in complessi multisala nella loro totalità, e i posti in complessi aventi una unica sala al cinquanta per cento del loro numero complessivo. 3. L’autorizzazione di cui al primo comma è concessa, per sale con capienza fino a 2.000 posti, a condizione che almeno il quindici per cento dei posti da realizzarsi, distribuiti in non meno di tre sale, vengano destinati stabilmente alla proiezione di opere cinematografiche italiane e di Paesi dell’Unione europea. Per sale superiori a 2.000 posti la condizione è elevata al venti per cento dei posti da realizzarsi. 4. L’autorizzazione è concessa, in deroga ai criteri di cui al terzo e secondo comma, nei casi in cui venga chiesta autorizzazione per lo stesso numero di posti di una o più sale contestualmente chiuse, nell’ambito dello stesso comune e a condizione che detti posti non si aggiungano ad altri posti in sale o complessi multisala già esistenti. 5. Per la realizzazione di un complesso multisala nell’ambito di centri commerciali, come definiti dall’art.1, c. 1, lett. g), del Dlgs 31 marzo 1998, n.114, o nell’ambito di parchi permanenti attrezzati con strutture stabili per il tempo libero con finalità culturali o ricreative e adeguate aree di parcheggio, si prescinde dai criteri di cui al secondo comma, se il numero complessivo di posti non è superiore a 2.500 e sempre che il complesso disti non meno di due chilometri dalla più vicina sala con numero di posti superiore a 1.300. Resta fermo quanto previsto dal terzo comma. 6. Per due anni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, l’autorizzazione è concessa, in deroga ai criteri di cui al secondo comma, e nel rispetto di quanto previsto dal terzo comma, per complessi multisala aventi una capienza massima di 3.000 posti, da realizzarsi in province sprovviste di sale superiori a 1.300 posti, ubicati nelle regioni rientranti nell’obiettivo 1, come definito dal regolamento CEE 20 luglio 1993, n.2081, alla data di entrata in vigore del presente regolamento. 7. Per le autorizzazioni alla apertura di arene con capienza superiore a 1.300 posti, fermi i limiti temporali di cui all’art.1, c. 1, lett. d), si applicano i criteri di cui al secondo comma. L’autorizzazione ha efficacia soltanto per l’anno in cui essa è rilasciata.
B.3. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST . REZZA B.3.1ITÀ E SICU IL AGIB CALI PER DEI LO TTACOLO E LO SP . ALA, B.3.2A, MULTIS IONE Z CINEME DI PROIE CABIN
B 97
B.3. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO CINEMA, MULTISALA, CABINE DI PROIEZIONE
FIG. B.3.2./1 SCHEMI DI CINEMA A UNA SOLA SALA
A - CINEMA DI CAPIENZA MINIMA B - CINEMA DI BASSA CAPIENZA (200÷300 POSTI, 1 SETTORE) (100÷150 POSTI, 1 SETTORE)
C - CINEMA DI CAPIENZA MEDIA (400÷640 POSTI) AD UN SOLO LIVELLO (QUATTRO SETTORI)
DISTRIBUZIONE IN SETTORI
SERVIZI
SCHERMO
I POSTI A SEDERE FISSI DEVONO ESSERE DISTRIBUITI IN SETTORI CON NON PIÙ DI 160 POSTI, CON UN MASSIMO DI 16 POSTI PER FILA E DI 10 FILE. NEL CASO IN CUI SI DISPONGANO LE POLTRONE IN MODO CHE LA DISTANZA TRA GLI SCHIENALI DELLE FILE RISULTI DI ALMENO 1,10 ML, I POSTI A SEDERE POSSONO ESSERE DISTRIBUITI IN SETTORI DI 300 POSTI CON UN MASSIMO DI 20 POSTI PER FILA E DI 15 FILE (V. CASO 'B'). PASSAGGI TRA SETTORI E TRA SETTORI E PARETI I SETTORI DEVONO ESSERE SEPARATI L’UNO DALL’ALTRO DA PASSAGGI LONGITUDINALI E TRASVERSALI LARGHI NON IMENO DI 1,20 ML. TRA LE POLTRONE E LE PARETI DELLA SALA DEVE ESSERE LASCIATO UN PASSAGGIO LARGO NON MENO DI 1,20 M.L. NEI LOCALI CON CAPIENZA NON SUPERIORE A 150 POSTI È CONSENTITA UNA LARGHEZZA DEI PASSAGGI NON MINORE DI 0,90 M (V. CASO 'A')
SERV. CAB. ATRIO PASSAGGI ≥ 90 CM (CAPIENZA ≤ 150 SP)
SETTORE ≤ 300 POSTI (DIST. FILE ≥ 110 CM)
CABINA BAR O UFFICIO
GALLERIA
ATRIO
IN GALLERIA TRA LA BALAUSTRA E LA PRIMA FILA DI POSTI DEVE ESSERE LASCIATO UN PASSAGGIO CON LARGHEZZA NON MINORE DI 0,60 ML, MISURATO A SEDILE ABBASSATO. LA BALAUSTRA DEVE AVERE ALTEZZA ≥1 M (V. CASP 'D').
CABINA
UFFICIO
ATRIO
SERV.
BAR
ACCESSO, USCITE E PERCORSI PUBBLICO ACCESSO E PERCORSI TECNICI (OPERATORE) SCALA PER LA CABINA DI PROIEZIONE
D - CINEMA DI GRANDE CAPIENZA (1000÷1600 POSTI ) CON PLATEA A NOVE SETTORI E GALLERIA A TRE SETTORI LIVELLO INFERIORE (PLATEA)
LIVELLO SUPERIORE (GALLERIA) POSIZIONE DELLA PRIMA FILA D = DISTANZA TRA LO SCHERMO E LA PRIMA FILA DI POSTI H = ALTEZZA BORDO SUPERIORE DELLO SCHERMO
D.
SCHERMO
SCHERMO
120
35°
H.
D SALA
VIE D'ESODO PARALLELE, CON AMPIEZZA CRESCENTE, SE NON SI POSSONO APRIRE USCITE LATERALI DIRETTE DAI PASSAGGI TRASVERSALI GALLERIA
BIGLIETTERIA
BAR
B 98
ATRIO
SERVIZI
SCALE
CABINA
UFFICI
SOSTA E DISIMPEGNO
SERVIZI
SCALE
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO CINEMA, MULTISALA, CABINE DI PROIEZIONE
B.3. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.3.2./2 CINEMA MULTISALE – SCHEMI DI AGGREGAZIONE (a due o tre sale) A - CINEMA A DUE SALE, CON SCHERMI CONTRAPPOSTI
B - CINEMA A DUE O TRE SALE, CON SCHERMI NELLA STESSA DIREZIONE
SINTETIZZA SOLUZIONI DI TRASFORMAZIONE DI UN GRANDE CINEMA CON GALLERIA IN COMPLESSO MULTISALE (A DUE SALE). NELLO SCHEMA PROPOSTO LE STRUTTURE DI IMPALCATO DEL LIVELLO SUPERIORE VENGONO INTEGRALMENTE SOSTITUITE, PER REALIZZARE UNA GRADONATA CON PENDENZA OPPOSTA RISPETTO A QUELLA DELLA PRECEDENTE GALLERIA.
SINTETIZZA LE SOLUZIONI RICORRENTI NEI CASI FREQUENTI DI TRASFORMAZIONE DI UN GRANDE CINEMA CON GALLERIA IN COMPLESSO MULTISALE (A DUE O TRE SALE). NEGLI SCHEMI PROPOSTI SI UTILIZZANO LE STRUTTURE DELLA PRECEDENTE GALLERIA, COMPRESE, OVE POSSIBILE, LE SCALE DI ACCESSO, PER OSPITARE: - UNA NUOVA SALA (VARIANTE CON UNA SALA ); - DUE NUOVE SALE (VARIANTE CON DUE SALE)
SALA B (B+C)
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
SALA A
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
CABINA
SCHERMO
SCHERMO
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
SCHERMO
G.ANISTICA SALA 'B'
SALA 'B'
SALA 'C'
URB
SALA 'B'
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
SCHERMO SERVIZI SCALA
CABINA
ATRIO
SCALA
UFFICI
LIVELLO SUPERIORE (SALA B)
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
CABINA SCALA
SCALA
LIVELLO SUPERIORE - VARIANTE CON 2 SALE (B E C)
ATRIO
UFFICI
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
LIVELLO SUPERIORE - VARIANTE CON UNA SALA (B)
COMPLESSI MULTISALA SCHERMO US
US
SCHERMO
CINEMATOGRAFI
US
US
US
US
A NORMA DELLA "REGOLA DI PREVENZIONE INCENDI PER LA PROGETTAZIONE, COSTRUZIONE ED ESERCIZIO DEI LOCALI DI INTRATTENIMENTO E DI PUBBLICO SPETTACOLO" (PROMULGATO CON DM INTERNO 19 AGOSTO 1996) E’ CONSENTITO CHE:
US
US
PIÙ SALE CINEMATOGRAFICHE ED UN UNICO TEATRO O CINEMA-TEATRO DI CAPIENZA NON SUPERIORE A 1000 SPETTATORI E CON SCENA SEPARATA DALLA SALA, SIANO SERVITI DA UN UNICO ATRIO A CONDIZIONE CHE: - SIANO SEPARATI DA STRUTTURE RESISTENTI AL FUOCO ALMENO REI 60;
- NON SIANO COMUNICANTI FRA LORO DIRETTAMENTE;
SALA 'A'
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
SALA 'A'
- SIANO PROVVISTI DI VIE D’USCITA INDIPENDENTI.
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST CABINA
SERVIZI BAR
SCALE
SCALE
LIVELLO INFERIORE (SALA A)
BAR ATRIO
ATRIO
LIVELLO INFERIORE (SALA A)
SERVIZI
O SCALE
. ALA, B.3.2A, MULTIS IONE Z CINEME DI PROIE CABIN
B 99
B.3. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO CINEMA, MULTISALA, CABINE DI PROIEZIONE
FIG. B.3.2./3 CINEMA MULTISALE – SCHEMI DI AGGREGAZIONE (a sei o più sale) I NUOVI COMPLESSI MULTISALE TENDONO AD AGGREGARE NUMEROSE SALE, INTEGRATE DA AMPI SPAZI PER IL COMMERCIO E LA RISTORAZIONE, IN MODO DA PROPORSI COME "CENTRI DI INTRATTENIMENTO MULTIFUNZIONALI". IN QUESTI CASI È CONSIGLIABILE L'ACCORPAMENTO IN UN'UNICA UNITÀ FUNZIONALE DELLE CABINE DI PROIEZIONE E DEI RELATIVI SERVIZI. (PER LE DIMENSIONI E LE CARATTERISTICHE DELLE CABINE DI PROIEZIONE V. FIG. B.3.2./8) A - CINEMA A SEI (O PIÙ) SALE, DISPOSTE SULLO STESSO LIVELLO - CABINA DI PROIEZIONE POSTA LONGITUDINALMENTE LIVELLO DELLA CABINA DI PROIEZIONE
SALA 4
SALA 2
SALA 5
SALA 1
SALA 6
SERV.
SERVIZI
SERVIZI
SERVIZI
SERVIZI
SALA 3
CABINA DI PROIEZIONE
SERVIZI
SERVIZI
SERV.
LIVELLO DELLE SALE E DELLE ATTIVITA' INTEGRATIVE
ATTIVITÀ COMMERCIALI (EVENTUALI)
RISTORO ATRIO
A - CINEMA A CINQUE SALE, DISPOSTE SULLO STESSO LIVELLO - CABINA DI PROIEZIONE POSTA TRASVERSALMENTE LIVELLO DELLE SALE E DELLE ATTIVITÀ INTEGRATIVE
LIVELLO DELLA CABINA DI PROIEZIONE
SERV. SERV. SERV. SALA 5
SALA 2
SALA 4 RISTORO
DEP.
DEP.
CABINA DI PROIEZIONE
SERV.
SERV. SALA 3
SERV.
SALA 1
SERV.
B 100
SERVIZI
SERV.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO CINEMA, MULTISALA, CABINE DI PROIEZIONE
B.3. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.3.2./4 SALA PER PROIEZIONI – DISPOSIZIONE DELLE POLTRONE E DIMENSIONAMENTO DEI CORRIDOI INTERNI (DM Int. 19 agosto 1996, tit. III, 3.1)
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
MDS MDS: DISTANZA MAX. DALLO SCHERMO DELLO SPETTATORE PIU' LONTANO NON DEVE SUPERARE DI 8 VOLTE L'ALTEZZA DELLO SCHERMO (CONSIGLIATO MDS UGUALE A 5 L)
CM 120 MIN.
CM 120 MIN.
ILE
.10 F
AX RE: M
C.RCIZIO
MIN. M. 120 C
E ESE ESSIONAL PROF
O
SETT
D.GETTAZIONE
MIN. M. 120 C
CM 120 MIN.
X
: MA
FILA
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
MIN. 120 CM
. MIN CM 120
PRO TTURALE STRU
TI
OS .16 P
DS: DISTANZA MIN. DALLO SCHERMO. CONSIGLIATA PARI A 1,5 L'ALTEZZA DELLO SCHERMO O UGUALE A 1,4 L
DS
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
L/2
L/2
POSIZIONE DEGLI ALTOPARLANTI
URB
L/2
L/2
G.ANISTICA
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M MIN. 120 CM
SCHERMO STANDARD L 500 CM SCHERMO PANORAMICO L 1000 CM
ACCESSO ALLA SALA
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
LE PARETI DELLA SALA DEVONO ESSERE INSONORIZZATE
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
SFALSAMENTO DELLE POLTRONE PER UNA MIGLIORE VISIBILITA' DELLO SCHERMO LA PENDENZA DEI CORRIDOI TRASVERSALI NON DEVE ESSERE SUPERIORE AL 5% LE USCITE DI SICUREZZA DEVONO ESSERE DISPOSTE IN CORRISPONDENZA DEI CORRIDOI TRASVERSALI
MIN. 120 CM USCITE DI SICUREZZA
MIN. 120 C M
MIN. 120 CM.
MIN. 120 CM
USCITE DI SICUREZZA
DISTRIBUZIONE DEI POSTI A SEDERE A NORMA DEL TESTO UNICO EMANATO CON DEC. MIN. INTERNO DEL 19 AGOSTO 1996: - I POSTI A SEDERE, DI TIPO FISSO, DEVONO ESSERE DISTRIBUITI IN SETTORI CON NON PIU DI 160 POSTI, CON UN MASSIMO DI 16 POSTI PER FILA E DI 10 FILE. - QUANDO LA DISTANZA TRA GLI SCHIENALI DELLE FILE E' DI ALMENO 1,10 ML, I POSTI A SEDERE POSSONO ESSERE DISTRIBUITI IN SETTORI DI 300 POSTI CON UN MASSIMO DI 20 POSTI PER FILA E DI 15 FILE.
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
- I SETTORI DEVONO ESSERE SEPARATI L’UNO DALL’ALTRO MEDIANTE PASSAGGI LONGITUDINALI E TRASVERSALI DI LARGHEZZA NON INFERIORE A 1,20 ML. TRA I POSTI A SEDERE E LE PARETI DELLA SALA DEVE ESSERE LASCIATO UN PASSAGGIO DI LARGHEZZA NON INFERIORE A 1,20 ML SU PARERE DELL’AUTORITÀ COMPETENTE, SI PUO CONSENTIRE CHE FILE AL MASSIMO DI 4 POSTI VENGANO ACCOSTATE ALLE PARETI LATERALI DELLA SALA. - NEI LOCALI CON CAPIENZA NON SUPERIORE A 150 POSTI E CONSENTITA UNA LARGHEZZA DELLE CORSIE DI PASSAGGIO NON INFERIORE A 0,90 ML - IN GALLERIA TRA LA BALAUSTRA E LA PRIMA FILA ANTISTANTE DI POSTI, DEVE ESSERE LASCIATO UN PASSAGGIO DI LARGHEZZA NON INFERIORE A 0,60 ML, MISURATO A SEDILE ABBASSATO. L’ALTEZZA DELLA BALAUSTRA DEVE ESSERE NON INFERIORE A 1 M.
. ALA, B.3.2A, MULTIS IONE Z CINEME DI PROIE CABIN
B 101
B.3. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO CINEMA, MULTISALA, CABINE DI PROIEZIONE
FIG. B.3.2./5 DIMENSIONAMENTO DELLA SALA IN RELAZIONE ALLE DIMENSIONI DELLO SCHERMO PANORAMICO (secondo le indicazioni della 20century fox)
SCHEMI DI DIMENSIONAMENTO DELLA SALA IN FUNZIONE DELLA LARGHEZZA E DELL'ALTEZZA DELLO SCHERMO (SECONDO LE INDICAZIONI DELLA 20TH CENTURY FOX)
ALLARGAMENTO PARI AL 12,5%
1,75 x H
0,70 x L 5,0 x H
1,50 x H
DISTANZA DELLA PRIMA FILA
ALLARGAMENTO PARI AL 12,5% 1,30 x L
4,50 x H
107% L
272% H
DISTANZA DELLA PRIMA FILA 1,80 x L
107% L
2,0 x L
107% L
L SCHERMO
MIN. 0,63 x L
0,70 x L
1,75 x H
6,25 x H
1,50 x H 4,75 x H
MAX. 1,87 x L
2,50 x L
272% H
MIN. 0,63 x L
107% L
L SCHERMO
3,50 x H
L SCHERMO
MAX. 1,37 x L
L SCHERMO
L : LARGHEZZA DELLO SCHERMO H: ALTEZZA DELLO SCHERMO
L : LARGHEZZA DELLO SCHERMO H: ALTEZZA DELLO SCHERMO
FIG. B.3.2./6 ESEMPIO DI DISPOSIZIONE DEGLI ALTOPARLANTI DISPOSIZIONE DEGLI ALTOPARLANTI IN SALE CINEMATOGRAFICHE DI DIVERSE DIMENSIONI (SECONDO LE INDICAZIONI DELLA PARAMOUNT) ALTOPARLANTE AUSILIARE DESTRO
ALTOPARLANTE DESTRO
DISTANZA PARI A 3/4 LA LUNGHEZZA DELLA SALA
ALTOPARLANTI LATERALI DI DESTRA
ALTOPARLANTI CENTRALI
ALTOPARLANTE CENTRALE
ALTOPARLANTE SINISTRO
ALTOPARLANTE AUSILIARE SINISTRO
SALE MINORI CON SCHERMO PANORAMICO DISPOSIZIONE CON EFFETTO SONORO STEREOFONICO
B 102
ALTOPARLANTI LATERALI DI SINISTRA
SALE MAGGIORI CON SCHERMO PANORAMICO DISPOSIZIONE CON EFFETTO SONORO STEREOFONICO E AVVOLGENTE
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO CINEMA, MULTISALA, CABINE DI PROIEZIONE
B.3. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.3.2./7 SALE CINEMATOGRAFICHE – DATI DI DIMENSIONAMENTO E VISIBILITÀ
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
POSIZIONE DEGLI ALTOPARLANTI SCHERMO INCLINATO DI 1/2 DELL'ANGOLO DI PROIEZIONE SE QUESTO SUPERA I 15°
220 CM MIN.
POSIZIONE DELLE FILE ESTREME RISPETTO ALLE DIMENSIONI DELLO SCHERMO E DELLE CABINE DI PROIEZIONE VERIFICHE SUL QUADRO VERTICALE L'ANGOLO DI PROIEZIONE CON SCHERMO VERTICALE NON DEVE SUPERARE I 15° SE SUPERA 15° SI DEVE INCLINARE LO SCHERMO DI 1/2 DELL'ANGOLO DI PROIEZIONE
PRO TTURALE STRU
ALTEZZA DI UNO SCHERMO STANDARD PARI A 400 CM 120 CM MIN. BALCONATA (GALLERIA) - B: PROFONDITÀ BALCONATA - Hb: ALTEZZA BORDO INFERIORE CONSIGLIATO: B/H b = 3/1 MAX.
15° MAX.
220 CM MIN.
B (PROFONDITÀ BALCONATA)
125
Hb
200 CM MIN. 180 CM
MAX. 35°
MDS
DS:
OGNI SETTORE DEVE ESSERE COSTITUITO DA UN NUMERO DI FILE NON SUPERIORE A 10
L:
LA PENDENZA DEI CORRIDOI TRASVERSALI NON DEVE ESSERE SUPERIORE AL 5%
LIMITI LATERALI DELLE ZONE CON BUONA VISIBILITÀ VERIFICHE SUL QUADRO ORIZZONTALE PROFONDITÀ SALA MASSIMA = 8L; CONSIGLIATA = 5L÷6 L
MINIMA DISTANZA DI UNO SPETTATORE DALLO SCHERMO DEVE ESSERE TALE CHE L'ANGOLO FORMATO DALLA CONGIUNGENTE L'OCCHIO DELLO SPETTATORE CON IL BORDO SUPERIORE DELLO SCHERMO E L'ORIZZONTALE NON SUPERI I 35°
LIMITE BUONA VISIBILITÀ (B. SCHANGLER)
15° 30°
20° 40°
ASSE DI SALA L
L
ASSE DI SALA
40° 30°
20°
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
15°
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
LIMITE BUONA VISIBILITÀ
POSIZIONE DELLE FILE ESTREME RISPETTO ALLE DIMENSIONI DELLO SCHERMO VERIFICHE SUL QUADRO ORIZZONTALE
F. TERIALI,
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
LIMITE OTTIMA VISIBILITÀ
LARGHEZZA DELLO SCHERMO
CO NTALE AMBIE
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
DS
MDS: MASSIMA DISTANZA DI UNO SPETTATORE DALLO SCHERMO. NON DEVE SUPERARE DI 8 VOLTE L'ALTEZZA DELLO SCHERMO (E' CONSIGLIATO MDS UGUALE A 5 L)
E.NTROLLO
120 CM MIN.
120 CM MIN.
PRIMA FILA CON SCHERMO VERTICALE PRIMA FILA CON SCHERMO INCLINATO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
200 CM MIN.
ANGOLO DI ISODEFORMAZIONE MAX. 33°
C.RCIZIO
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST DS MDS POSIZIONE DELLA PRIMA FILA (SPETTATORE PIÙ VICINO ALLO SCHERMO) POSIZIONE DELLO SCHERMO POSIZIONE DELL'ULTIMA FILA (SPETTATORE PIÙ LONTANO DALLO SCHERMO)
LIMITE BUONA VISIBILITÀ (B. SCHANGLER) LIMITE BUONA VISIBILITÀ LIMITE OTTIMA VISIBILITÀ
. ALA, B.3.2A, MULTIS IONE Z CINEME DI PROIE CABIN
B 103
B.3. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER LO SPETTACOLO CINEMA, MULTISALA, CABINE DI PROIEZIONE
FIG. B.3.2./8 CINEMA MULTISALE: CABINE DI PROIEZIONE DIMENSIONI MINIME DELLA CABINA DI PROIEZIONE (DM INTERNI 19 AGOSTO 1996)
CABINE DI PROIEZIONE - RIFERIMENTI NORMATIVI IN RIFERIMANTO ALLE NORME IMPARTITE CON DM INTERNO 19 AGOSTO 1996, LE CABINE DI PROIEZIONE DEVONO ESSERE DIMENSIONATE IN RAGIONE DEL NUMERO E DELL’INGOMBRO DEGLI APPARECCHI INSTALLATI E IN MODO DA CONSENTIRE IL LAVORO AGLI ADDETTI E GLI INTERVENTI DI MANUTENZIONE.
FERITOIA DI CONTROLLO
2,00 ML 2,50 ML 2,20 ML
FERITOIA DI PROIEZIONE 165
220
LE DIMENSIONI MINIME DELLE CABINA DI PROIEZIONE SONO FISSATE DALLA CIRC. MIN. INTERNO N.72 DEL 1971: - PROFONDITÀ (NEL SENSO DELL'ASSE DI PROIEZIONE:) - LARGHEZZA (NEL SENSO ORTOGONALE ALL'ASSE): - ALTEZZA MINIMA NETTA:
ALTEZZA MINIMA SOFFITTO
120
LA STESSA CIRCOLARE INDICA GLI SPAZI MINIMI DI PASSAGGIO E DI MANOVRA CHE DEVONO ESSERE LASCIATI LIBERI INTORNO AGLI APPARECCHI DI PROIEZIONE, - SPAZIO LIBERO DAL LATO DI MANOVRA DEL PROIETTORE: 0,80 ML - SPAZIO LIBERO DAL LATO OPPOSTO A QUELLO DI MANOVRA: 0,50 ML - SPAZIO LIBERO (DI PASSAGGIO) DIETRO AL PROIETTORE: 0,60 ML NELLA FIGURA ACCANTO SI RIPORTANO LE DIMENSIONI MINIME DI UNA CABINA DI PROIEZIONE E GLI SPAZI DI MANOVRA RELATIVI AGLI APPARECCHI DI PROIEZIONE
ASSE DI PROIEZIONE
250
LE CABINE DEVONO ESSERE OPPORTUNAMENTE AERATE VERSO L’ESTERNO. LE CABINE DI PROIEZIONE DEVONO ESSERE REALIZZATE CON STRUTTURE DI CARATTERISTICHE DI RESISTENZA AL FUOCO ALMENO REI 60. LE FERITOIE DI PROIEZIONE, DI SPIA E DEI RIFLETTORI DEL PALCOSCENICO, OVE INSTALLATI, DEVONO ESSERE MUNITE DI CRISTALLI DI IDONEO SPESSORE E DEVONO AVERE DIMENSIONI LIMITATE ALLE NECESSITÀ FUNZIONALI.
SPAZIO LIBERO LATERALE
50
SPAZIO LIBERO LATO MANOVRA
80
L’ACCESSO DALL’INTERNO DEL LOCALE DEVE AVVENIRE TRAMITE DISIMPEGNO MUNITO DI PORTE CON CARATTERISTICHE DI RESISTENZA AL FUOCO REI 30. 200
APPARECCHIO PROIETTORE SPAZIO LIBERO POSTERIORE
60
PRESSO OGNI CABINA DEVE ESSERE TENUTO ALMENO UN ESTINTORE PORTATILE DI CAPACITÀ ESTINGUENTE MINIMA 21A, 89B, C. LE CABINE, OVE SONO INSTALLATI IMPIANTI AUTOMATICI DI PROIEZIONE, NON NECESSITANO DI ESSERE PERMANENTEMENTE PRESIDIATE DALL’OPERATORE, CHE IN OGNI CASO, DEVE ESSERE REPERIBILE ALL’INTERNO DEL LOCALE DURANTE LA PROIEZIONE.
250
È CONSENTITO INSTALLARE UN APPARECCHIO DI PROIEZIONE DI FORMATO RIDOTTO IN UN PUNTO QUALSIASI DEL LOCALE, PURCHÉ DISTANTE DAI POSTI RISERVATI AGLI SPETTATORI ED IN POSIZIONE TALE DA NON OSTACOLARE IN ALCUN MODO IL DEFLUSSO DEL PUBBLICO.
FERITOIA DI CONTROLLO
DIMENSIONI MINIME DELLA CABINA SPAZI MINIMI DI MANOVRA E PASSAGGIO
120
120
165
165
220
FERITOIA DI PROIEZIONE
ASSE DI PROIEZIONE
ASSE DI PROIEZIONE
PERCORSO E MANOVRA OPERATORE
SEZIONE 80
80
50
80
80
CABINA CON PROIETTORI PER SALE CONTRAPPOSTE (MULTISALE)
B 104
CABINA CON DUE PROIETTORI (ALTERNATIVI)
SPAZIO LIBERO LATERALE
50
ASSE DI PROIEZIONE
SPAZIO LIBERO LATO MANOVRA
PIANTA
80
ASSE DI PROIEZIONE
80
SPAZIO LIBERO LATO MANOVRA
SPAZIO LIBERO LATERALE
ASSE DI PROIEZIONE
SPAZIO LIBERO LATO MANOVRA
SPAZIO LIBERO LATO MANOVRA ASSE DI PROIEZIONE
200
60
80
50
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER LO SPETTACOLO TEATRI
B.3. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.3.3./1 TEATRI – UNITÀ FUNZIONALI E RELAZIONI SCENA AREA DESTINATA ALLA RAPPRESENTAZIONE DI SPETTACOLI AL PUBBLICO. COMPRENDE: IL PALCOSCENICO, GLI SCENARI E TUTTE LE ATTREZZATURE E GLI ALLESTIMENTI NECESSARI A EFFETTUARE SPETTACOLI IN GENERE. LA SCENA IN RELAZIONE ALLA SUA UBICAZIONE PUO ESSERE: - DI TIPO SEPARATO DALLA SALA, SE E' SEPARATA DALLA SALA E DAI LOCALI DI SERVIZIO CON STRUTTURE RESISTENTI AL FUOCO E L’UNICA APERTURA CON LA SALA E' COSTITUITA DAL BOCCASCENA; - DI TIPO INTEGRATO NELLA SALA, SE NON ESISTE SEPARAZIONE TRA L’AREA SCENICA E QUELLA DESTINATA AL PUBBLICO.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
UNITÀ FUNZIONALI SPAZI DI DISIMPEGNO E SOSTA DEL PUBBLICO COLLEGAMENTI VERTICALI PER IL PUBBLICO (SCALE, ASCENSORI) PERCORSI DEL PUBBLICO E VIE D'ESODO COLLEGAMENTI VERTICALI PER ATTORI,TECNICI, PERSONALE PERCORSI DEGLI OPERATORI (ATTORI E TECNICI)
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
SERVIZI IGIENICI
VV.FF BOCCASCENA
AMBITO DELLA FRUIZIONE (SALA) PLATEA E SERVIZI CONNESSI
SERVIZI
SEPARAZIONE SCENA/SALA
ORCHESTRA (GOLFO MISTICO)
SERVIZI
SALA PLATEA
E.NTROLLO
SALE PROVE
CO NTALE AMBIE
SERVIZI IGIENICI BALLATOI
SCENA
UFFICI
CAMERONI
SERVIZI IGIENICI
SERVIZI IGIENICI
SERVIZI IGIENICI
SEPARAZIONE SCENA/SALA AMBITO DELLA FRUIZIONE (SALA) GALLERIA E/O BALCONATA E SERVIZI CONNESSI
PROSCENIO
SALE PROVE
CAMERONI
DEPOSITI SCENE
SERVIZI DI SCENA
SCENA
AMBITO DELLA RAPPRESENTAZIONE SCENA, CAMERINI, DEPOSITI, LABORATORI, CAMERONI
LABORATORI
LABORATORI
LABORATORI SERVIZI DI SCENA
RETROSCENA
CAMERINI
AMBITO DELLA RAPPRESENTAZIONE SCENA, CAMERINI, DEPOSITI, LABORATORI, SALE DI PROVA
PRO TTURALE STRU
SERVIZI
SERVIZI
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
SALA GALLERIA
SCALE
SCALE ATRIO GUARDAROBA
RISTORO
Bi
PARCHEGGI
SPAZIO PEDONALE DI ESODO
LIVELLO DI FRUIZIONE INFERIORE (PLATEA)
AMBITO DEI SERVIZI D'ACCESSO SCALE, SPAZIO DI SOSTA, UFFICI
AMBITO DEI SERVIZI D'ACCESSO ATRIO, GUARDAROBA, RISTORO
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E SCALE
DISIMPEGNO E SOSTA
SCALE
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
LIVELLO DI FRUIZIONE SUPERIORE (GALLERIA)
. ALA, B.3.2A, MULTIS IONE Z CINEME DI PROIE CABIN
TEATRO DI CAPIENZA MEDIA÷ALTA (1000 ÷ 1600 POSTI), CON GALLERIA PREDISPOSTO ANCHE PER RAPPRESENTAZIONI DI OPERE LIRICHE
. B.3.3 I TEATR
PARCHEGGI
B 105
B.3. 3.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI TEATRI
•
STRUTTURE PER LO SPETTACOLO
SCENA FIG. B.3.3./2 SCENA DI TIPO SEPARATO PER TEATRI CON CAPIENZA SUPERIORE A 1000 SPETTATORI (Dec. Min. Interno 19 agosto 1996)
LABOR.
LABORAT. TRUCCO, PARRUC.
CAMERONI
CAMERONI
SCALE
SCALE
SALE DI PROVA
SCALE
LABOR.
LIVELLO SUPERIORE
SCALE
LIVELLO INFERIORE (PALCOSCENICO)
LABOR. COSTUMI
SERVIZI IGIENICI
SERVIZI IGIENICI
2A 1,5A
SCENA
SCENA
BOCCASCENA A
VV.FF.
SERVIZI IGIENICI
SIPARIO TAGLIAFUOCO PROSCENIO
PORTA REI 90
PARETE REI 90
ORCHESTRA (GOLFO MISTICO)
BALLATOI
PARETE REI 90
RETROSCENA
FONDALE
PONTI MOBILI
H BOCCASCENA
PROSCENIO
SIPARIO METALLICO CAMERONI
SALE PROVE
PARETE REI 90 SEPARAZIONE TRA SCENA E SALA - LA PARTE DI EDIFICIO CONTENENTE LA SCENA DEVE ESSERE SEPARATA DAI LOCALI DI SERVIZIO E DALLA SALA TRAMITE STRUTTURE RESISTENTI AL FUOCO ALMENO REI 90. - L’UNICA APERTURA AMMESSA NELLA STRUTTURA DI SEPARAZIONE CON LA SALA E' IL BOCCASCENA, CHE DEVE ESSERE MUNITO DI SIPARIO METALLICO DI SICUREZZA. - SONO CONSENTITI VARCHI DI SERVIZIO CON LA SALA PURCHÉ MUNITI DI PORTE ALMENO REI 90 CON DISPOSITIVO DI AUTOCHIUSURA.
CORRIDOI, SCALE, PORTE, USCITE VERSO L’ESTERNO - TUTTI I LOCALI DI SERVIZIO DEVONO COMUNICARE CON LA SCENA ATTRAVERSO CORRIDOI DI DISIMPEGNO POSTI NTORNO ALLA STESSA, A ECCEZIONE DEI MAGAZ- ZINI DI SERVIZIO CHE POSSONO AVERE COMUNICAZIONE DIRETTA CON LA SCENA. - I VARCHI TRA LA SCENA E I CORRIDOI DI DISIMPEGNO DEVONO ESSERE MUNITE DI PORTE ALMENO REI 60 CON DISPOSITIVO DI AUTOCHIUSURA. - LA LARGHEZZA DEI CORRIDOI NON PUO ESSERE INFERIORE A 1,5 M PER QUELLI AL PIANO DEL PALCOSCENICO, ED A 1,2 M PER GLI ALTRI PIANI. - I CORRIDOI, DIRETTAMENTE O ATTRAVERSO PASSAGGI E SCALE, DEVONO CONDURRE ALL’ESTERNO CON PERCORSO DI LUNGHEZZA NON SUPERIORE A QUELLA STABILITA AL PUNTO 4.3.4 SE DISPONGONO DI ALMENO DUE USCITE CONTRAPPOSTE, O NON SUPERIORE A 15 M SE DISPONGONO DI UN’USCITA SOLTANTO. - IL NUMERO DELLE SCALE DEVE ESSERE STABILITO IN RELAZIONE ALL’IMPORTANZA DELLA SCENA E ALLE NECESSITÀ FUNZIONALI E DI SICUREZZA. - LE GALLERIE DI MANOVRA ED I PIANI FORATI DEVONO ESSERE PROVVISTI DI USCITE CON PORTE ALMENO REI 60 E DISPOSITIVO DI AUTOCHIUSURA, CHE IMMETTANO DIRETTAMENTE ALL’ESTERNO O SU UNA VIA DI USCITA PROTETTA . CAMERINI E CAMERONI - DEVONO ESSERE UBICATI ESTERNAMENTE AI MURI PERIMETRALI DELLA SCENA. - LE COMUNICAZIONI DEI CAMERINI E CAMERONI CON LA SCENA E CON L’ESTERNO DEVONO AVVENIRE ATTRAVERSO CORRIDOI E SCALE, DI CUI AL PUNTO PRECEDENTE.
ORCHESTRA MANOVRASOTTOSCENA (PONTI MOBILI)
DEPOSITI
LEGENDA PERCORSI PERSONALE (ATTORI, TECNICI, ECC.) PERCORSI MATERIALI DI SCENA COMPARTIMENTI CON RESISTENZA AL FUOCO REI 90 (AMBITO DELLA SCENA) COMPARTIMENTI CON RESISTENZA AL FUOCO REI 60 (DEPOSITI, LABORAT.) CORRIDOI DI DISIMPEGNO INTORNO ALLA SCENA VARCHI MUNITI DI PORTE REI 90 (EVENTUALI VARCHI TRA SCENA E SALA) VARCHI MUNITI DI PORTE REI 60 (DA CORRIDOI E DISIMPEGNI AI COMPARTI) SCALE E/O ELEVATORI TECNICI (AI 'PONTI' DI SERVIZIO ALLA SCENA)
B 106
SERVIZI IGIENICI
ALTEZZA DELLA SCENA. - LA COPERTURA DELLA SCENA DEVE ESSERE SOPRAELEVATA RISPETTO AL PUNTO PIÙ ALTO DELLA COPERTURA DELLA SALA; NEL CASO DI TEATRI CON PALCOSCENICO SUPERIORE A 150 MQ, TALE DISLIVELLO DEVE ESSERE DI ALMENO 2 M. - LA COPERTURA DI SCENE CON SUPERFICIE INFERIORE A 150 MQ PUÒ ESSERE ALLO STESSO LIVELLO DELLA COPERTURA DELLA SALA, PURCHÉ A SOFFITTO TRA SCENA E SALA, SIA POSTO UN SETTO DI ALTEZZA ≥ DI 1,5 M, E RESISTENZA AL FUOCO ≥ REI 90.
GRATICCIATO
PONTI LUCI
2H ÷ 3H.
>2M.
SEZIONE IN ASSE DI SCENA
PANNO BOCCASCENA
UFFICI
FONDALE
CAMERINI
SERVIZI DI SCENA
SERVIZI DI SCENA
CAMERINI
RETROSCENA
MATERIALI DI SCENA
PONTE DI SERVIZIO
DEPOSITI E LABORATORI - DEVONO ESSERE UBICATI ESTERNAMENTE AI MURI PERIMETRALI DELLA SCENA. OGNI LOCALE DEVE DISPORRE DI ACCESSO DIRETTO DALL’ESTERNO E COSTITUIRE COMPARTIMENTO ANTINCENDIO DI CLASSE ALMENO REI 60. - NON SONO CONSENTITE COMUNICAZIONI DIRETTE CON LA SCENA, SALVO CHE PER I MAGAZZINI DI SERVIZIO PER SCENE E ATTREZZATURE DELLO SPETTACOLO IN CORSO. - DEVONO DISPORRE DI AERAZIONE DIRETTA DALL’ESTERNO MEDIANTE APERTURE DI SUPERFICIE ≥ 1/40 DI QUELLA DI PIANTA. - LA SUPERFICIE MASSIMA LORDA DI CIASCUN LOCALE NON PUO' ESSERE SUPERIORE A: - 1000 MQ, SE UBICATI AI PIANI FUORI TERRA; - 500 MQ, SE UBICATI AI PIANI INTERRATI. - SE IL CARICO DI INCENDIO NEI LOCALI SUPERA IL VALORE DI 30 KG/MQ DI LEGNA STANDARD, GLI STESSI DEVONO ESSERE PROTETTI CON IMPIANTO DI SPEGNIMENTO AUTOMATICO A PIOGGIA (IMPIANTO SPRINKLER). - I DEPOSITI DI MATERIALI INFIAMMABILI VANNO UBICATI FUORI DEL FABBRICATO. OGNI DEPOSITO DEVE ESSERE DOTATO DI ALMENO UN ESTINTORE DI CAPACITÀ ESTINGUENTE NON INFERIORE A 21A, 89B, C, OGNI 150 MQ DI SUPERFICIE. MEZZI ED IMPIANTI DI ESTINZIONE DEGLI INCENDI LE SCENE CON PALCOSCENICO DI SUPERFICIE SUPERIORE A 150 MQ, OLTRE ALLE ATTREZZATURE MOBILI E FISSE DI ESTINZIONE, DEVONO ESSERE PROTETTE CON IMPIANTO DI SPEGNIMENTO AUTOMATICO A PIOGGIA (IMPIANTO SPRINKLER).
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER LO SPETTACOLO TEATRI
B.3. 3. A.ZIONI
FIG. B.3.3./3 SCENA DI TIPO SEPARATO PER GRANDE TEATRO LIRICO CON CAPIENZA SUPERIORE A 1000 SPETTATORI (Dec. Min. Interno 19 agosto 1996)
B.STAZIONI DILEGIZLII
SERVIZI
SERVIZI
SERVIZI
SCALE
DEPOSITO COSTUMI
LABORATORIO COSTUMI
RETROSCENA
LABORATORIO TRUCCO
LABORATORIO PARRUCCHE
SCALE
SCALE
SCHEMA SECONDO LIVELLO (CAMERINI, LABORATORI)
SCALE
SCHEMA PRIMO LIVELLO (SCENA)
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF SERVIZI
D.GETTAZIONE
SCENA
BOCCASCENA
PORTA REI 90
1,5A
2A
ORCHESTRA (GOLFO MISTICO)
SCALE
SCALE
URB
SCALE
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
SEZIONE IN ASSE DI SCENA
SCALE
SCALE
SCHEMA TERZO LIVELLO (SALE PROVA, CAMERONI)
SALA PROVE
SALA PROVE
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
GRATICCIATO
BALLATOI
PARETE REI 90
2H ÷ 3H
FONDALE
DIREZIONE
PONTI LUCI
CAMERONE
CAMERONE
AMMINISTR.
PANNO BOCCASCENA
PROVE
LABORATORI
SIPARIO TAGLIAFUOCO A
FONDALE
PONTI MOBILI
PROSCENIO
SCENA
H BOCCASCENA
2A CAMERONE
CAMERONE
1,5A
SIPARIO METALLICO
ORCHESTRA
RETROSCENA
DEPOSITI
PARETE REI 90 SCALE
MANOVRASOTTOSCENA (PONTI MOBILI)
SCALE LEGENDA
SCHEMA LIVELLI SUPERIORI (UFFICI AMMINISTRATIVI E DIREZIONE)
SCALE
UFFICI
PERCORSI PERSONALE (ATTORI, TECNICI, ECC.) SCALE
F. TERIALI,
PARETE REI 90
>2M.
SCALE
CO NTALE AMBIE
G.ANISTICA
SIPARIO TAGLIAFUOCO A
SIPARIO TAGLIAFUOCO PROSCENIO
E.NTROLLO
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
SCENA
PARETE REI 90
A
CAMERINI
FONDALE
ACCOSTAMENTO VV.FF.
SERVIZI DI SCENA
2A
1,5A
SERVIZI DI SCENA
FONDALE
CAMERINI
ACCOSTAMENTO VV.FF.
PRO TTURALE STRU
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
PERCORSI MATERIALI DI SCENA COMPARTIMENTI CON RESISTENZA AL FUOCO REI 90 (AMBITO DELLA SCENA) COMPARTIMENTI CON RESISTENZA AL FUOCO REI 60 (DEPOSITI, LABORAT.) CORRIDOI DI DISIMPEGNO INTORNO ALLA SCENA
SERVIZI
SERVIZI
VARCHI MUNITI DI PORTE REI 90 (EVENTUALI VARCHI TRA SCENA E SALA) VARCHI MUNITI DI PORTE REI 60 (DA CORRIDOI E DISIMPEGNI AI COMPARTI)
. B.3.3 I TEATR
B 107
B.3. 3.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI TEATRI
•
STRUTTURE PER LO SPETTACOLO
➦ SCENA FIG. B.3.3./4 SCENA DI TIPO SEPARATO PER GRANDE TEATRO LIRICO CON CAPIENZA SUPERIORE A 1000 SPETTATORI
DISPOSIZIONI PARTICOLARI PER LA SCENA (DM INTERNO 19 AGOSTO 1996) DEPOSITI E LABORATORI NON DEVONO AVERE COMUNICAZIONE CON LA SCENA E CON AREE RISERVATE AL PUBBLICO, SALVO I MAGAZZINI DEGLI SCENARI E DELLE ATTREZZATURE PER SPETTACOLI IN CORSO, CHE POSSONO COMUNICARE CON LA SCENA TRAMITE PORTE REI 90. CAMERINI E LOCALI DEGLI ARTISTI NON DEVONO COMUNICARE DIRETTAMENTE CON LA SCENA. NEI TEATRI CON SCENA DI TIPO SEPARATO DALLA SALA, PER CONSENTIRE L’INTERVENTO DEI MEZZI VV.FF. DEVE ESSERE ASSICURATA L’ACCESSIBILITÀ ALLA ZONA COMPRENDENTE LA SCENA ED I LOCALI DI SERVIZIO. IN PARTICOLARE: A) NEI TEATRI DI CAPIENZA SUPERIORE A 1000 SPETTATORI, IL CORPO DI FABBRICA CONTENENTE LA SCENA E I LOCALI DI SERVIZIO DEVE ESSERE ATTESTATO SU LUOGHI SCOPERTI PER UNA FRAZIONE NON INFERIORE AL 50% DEL SUO PERIMETRO; B) NEI TEATRI DI CAPIENZA COMPRESA TRA 500 E 1000 SPETTATORI, IL CORPO DI FABBRICA, CONTENENTE LA SCENA E I LOCALI DI SERVIZIO DEVE ESSERE ATTESTATO SU SPAZI SCOPERTI PER UNA FRAZIONE NON INFERIORE AD UN TERZO DEL SUO PERIMETRO.
AMMINISTR.
DIREZIONE SIPARIO METALLICO
PROVE PANNO BOCCASCENA
LABORATORI SERVIZI DI SCENA LATERALI
SERVIZI RETROSCENA ORCHESTRA
SERVIZI DI SCENA LATERALI
DEPOSITI SERVIZI SOTTO-SCENA
SPAZI PER L'ALLESTIMENTO E LA MOVIMENTAZIONE DELLE SCENE LA MOVIMENTAZIONE DELLE SCENE O DI PARTI COMPONENTI GIÀ PREDISPOSTE PUÒ AVVENIRE PER DISCESA DALL'ALTO, PER SOLLEVAMENTO DAL BASSO O PER TRASLAZIONE: - AVVIENE PER DISCESA DALL'ALTO PREVALENTEMENTE PER QUINTE, FONDALI, VELATURE E SIMILI CONTENUTI NELLA 'TORRE SCENICA' E CALATE MEDIANTE 'TIRI' - AVVIENE DAL BASSO (DAL LOCALE 'SOTTO-SCENA') PREVALENTEMENTE PER LE VARIAZIONI ALTIMETRICHE DEL PIANO SCENICO, OTTENUTE MEDIANTE 'PONTI MOBILI' MODULARI E 'SETTI' ORDINATI A GRIGLIA, CHE S'INNALZANO LUNGO GUIDE CHE CONSENTONO UN'ESCURSIONE (GENERALMENTE DA - 3 A +3 M) RISPETTO AL PIANO SCENICO. - PUÒ AVVENIRE PER TRASLAZIONE ORIZZONTALE DA SPAZI LATERALI E/O DAL RETROSCENA. IN ALCUNI TEATRI MAGGIORI IL RETROSCENA HA LE STESSE DIMENSIONI DELLA ZONA SCENICA ESPOSTA, IN MODO DA CONSENTIRE LA TRASLAZIONE DI INTERE SOLUZIONI SCENICHE (COME NEL CASO DEI NUOVI TEATRI DI GENOVA E DI MILANO).
B 108
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PROGRAMMAZIONE, LOCALIZZAZIONE E RIFERIMENTI NORMATIVI
B.4. 1.
PROGRAMMAZIONE E LOCALIZZAZIONE DEGLI IMPIANTI SPORTIVI
A.ZIONI
In tema di fruibilità e agibilità degli spazi e attrezzature collettive, gli impianti sportivi occupano una posizione privilegiata inquanto la pratica sportiva delle diverse discipline e le corrispondenti caratteristiche dei relativi impianti è rigorosamente regolata in tutti i suoi aspetti da compendi normativi di ambito internazionale che fanno capo alle diverse “Federazioni”; compendi accolti nelle legislazioni nazionali, e – per quanto riguarda l’Italia – posti sotto l’attività di coordinamento, controllo e verifica del CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano). Altri compendi normativi di rilevante interesse per la progettazione esecutiva delle opere relative a impianti, strutture e attrezzature per la pratica delle attività sportive sono stati elaborati dall’ UNI (in particolare dalla sezione UNISPORT). Le più interessanti tra queste disposizioni sono richiamate nell’elenco esposto di seguito. Le prescrizioni rivolte ad assicurare “sicurezza” negli impianti interessati dalla presenza di pubblico, impartite da autorità nazionali come il Ministero dell’interno, costituiscono anch’esse apparati normativi articolati e dettagliati, soprattutto in epoca recente dato il verificarsi di numerosi e gravi fenomeni di “violenza negli stadi”. La estensione, completezza e stabilità di tali prescrizioni consente una programmazione, una progettazione e una realizzazione dettagliatamente regolata degli impianti sportivi, tale da essere trattata in forma manualistica, a differenza di altre importanti attrezzature pubbliche che contemplano programmi più articolati e flessibili.
COMPETENZE NORMATIVE Il sistema normativo che regola il settore dell’edilizia sportiva è articolato in diverse leggi e regolamenti che attengono a diversi ambiti di competenza e a diversi organismi normativi: • Allo stato competono compiti di coordinamento e di determinazione degli obiettivi nell’ambito della programmazione economica, come sono: procedure per la realizzazione di opere pubbliche, leggi di erogazione dei finanziamenti, piani di intervento economico. Allo stato competono inoltre le disposizioni in materia di sicurezza e prevenzione (DM Interno del 18 marzo 1996, riportato in B.4.2.) e quelle in materia di contenimento dei consumi energetici. • Alle Regioni competono i programmi regionali di sviluppo, e in particolare: le disposizioni sugli standard urbanistici, le norme per la costruzione e per il finanziamento degli impianti sportivi, gli interventi in materia di programmazione e sviluppo delle attività sportive. • L’UNI ha costituita una Commissione “Impianti e attrezzi sportivi e ricreativi” (alla quale partecipa anche il CONI), che ha emanato le seguenti norme:
UNI 8617
“Urbanistica per lo sport – Terminologia”
UNI 8617
“Aree all’aperto – Elenco delle attività sportive e ricreative praticabili nei diversi ambienti fisici in relazione ai momenti di attività e alle tipologie delle aree”.
UNI 8618
“Attività sportiva – Terminologia generale”.
UNI 8619
“Sistema edilizio sportivo – Terminologia e classificazione generale”
UNI Sport 14
“Edilizia sportiva – Superfici sportive – Terminologia generale”.
UNI Sport 15
“Edilizia sportiva – Superfici sportive – Analisi dei requisiti di funzionalità sportiva”.
UNI Sport 16
“Edilizia sportiva – Superfici sportive – Lista delle azioni agenti”.
TAB. B.4.1./1 IMPIANTI SPORTIVI – RIFERIMENTI NORMATIVI 1961
1962
Circolare Ministero Interno 2 luglio 1962 n.68 Norme di sicurezza per l’agibilità delle piste e strade sedi di competizioni velocistiche per auto e motoveicoli.
1973
Lettera Ministero Interno 5 dicembre 1973 n.26092/4109 Piscine coperte con capannone pressostatico.
1976
Lettera Circolare Ministero Interno 3 marzo 1976 Copertura per impianti sportivi con strutture in legno lamellato.
1983
DM Interno 6 luglio 1983 Norme sul comportamento al fuoco delle strutture e dei materiali da impiegarsi nella costruzione di teatri, cinematografi e altri locali di pubblico spettacolo in genere.
1984
1987
Norme e regolamenti di riferimento per la programmazione e la progettazione degli impianti sportivi si esprimono in merito alle seguenti categorie di requisiti: • Requisiti di localizzazione e di accessibilità; • Requisiti di sicurezza e agibilità; • Requisiti di sicurezza statica e di sicurezza agli incendi; • Requisiti di benessere ambientale e igiene; • Requisiti di manutenzione e gestione; • Requisiti di funzionalità e praticabilità delle attività sportive; • Requisiti di visibilità e buona fruizione dello spettacolo sportivo. In questo stesso ordine la materia viene ordinata nei paragrafi seguenti.
Lettera Circolare Ministero Interno 13 giugno 1984 n.2818/4109 DM Interno 28 agosto 1984 Modificazioni al DM 6 luglio 1983 concernente norme sul comportamento al fuoco delle strutture e dei materiali da impiegarsi nella costruzione di teatri, cinematografi e altri locali di spettacolo in genere. Legge 6 marzo 1987 n.65 Conversione in legge con modificazioni del DL 3 gennaio 1987, n.2, concernente misure urgenti per la costruzione o l’ammodernamento di impianti sportivi per la realizzazione o completamento di strutture sportive di base per l’utilizzazione dei finanziamenti aggiuntivi a favore delle attività di interesse turistico. DM Turismo e Spettacolo 22 maggio 1987 Adozione dei criteri e del parametri previsti dall’art.1 c. 4, del DL 3 gennaio 1987, n.2, convertito, con modificazioni nella legge 6 marzo 1987, n.65, recante: “Misure urgenti per la costruzione, l’ammodernamento di impianti sportivi per la realizzazione, completamento di strutture sportive di base e per l’utilizzazione dei finanziamenti aggiuntivi a favore delle attività di interesse turistico”.
1989
DM Interno 25 agosto 1989 Norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio di impianti sportivi.
1991
DM Sanità 11 luglio 1991 Atto di intesa tra Stato e Regioni relativo agli aspetti igienico-sanitari concernenti la costruzione, la manutenzione e la vigilanza delle piscine a uso natatorio.
1993
Circolare Interno 3 giugno 1993 n.12 DM 25 agosto 1989 “norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio di impianti sportivi” interpretazione degli artt.8 e 9. Circolare Interno 24 giugno 1993 n.559/C.3742.10089 Attività di tiro a segno – Disposizioni applicative degli articoli 76 del Regolamento di esecuzione del TULLPS e 31 della legge 18 aprile 1975 n.10.
1994
DPCM 27 settembre 1994 Integrazione di finanziamenti per il completamento di impianti sportivi.
1996
DPR 24 luglio 1996 n.503 Regolamento recante norme per l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici. DM Interno 18 marzo 1996 Norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi.
1997
REQUISITI RICHIESTI NELLA PROGRAMMAZIONE E PROGETTAZIONE DI IMPIANTI SPORTIVI
Circolare Ministero Turismo 20 dicembre 1961 n.8912 Norme di sicurezza per l’agibilità di piste destinate ad attività kartistica a carattere ricreativo.
Circolare Ministero Interno 18 giugno 1997 n.9 Mi.Sa. (97) Utilizzo di impianti sportivi per manifestazioni occasionali a carattere non sportivo – chiarimenti sull’art.12 del DM 18 marzo 1996. Circolare Interno 18 dicembre 1997 n.21 Mi.Sa. (97) Utilizzo occasionale di impianti sportivi al chiuso per spettacoli musicali dal vivo. Atletica leggera: Istruzioni Tecniche per la costruz. di Impianti Estratto da pubblicazione edita dalla FIDAL (Federazione Italiana Atletica Leggera). Calcio: Dimensioni Regolamentari dei Campi Regolamento impianto sportivo (secondo il Regolamento della Federazione Italiana Gioco Calcio – FIGC). Palestra: Istruzioni Tecniche per la Costruzione di Impianti Proposta-Tipo Elaborata dal Centro Studi Impianti Sportivi del CONI – Roma. UNI SPORT: Elenco delle Norme (v. Tab. B.4./2).
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
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ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. B.3.3I TEATR NE, . B.4.1RAMMAZIOE E PROG IZZAZION MATIVI R L LOCA ENTI NO IM RIFER
B 109
B.4. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PROGRAMMAZIONE, LOCALIZZAZIONE E RIFERIMENTI NORMATIVI ➦ PROGRAMMAZIONE E LOCALIZZAZIONE DEGLI IMPIANTI SPORTIVI PROGRAMMA DI INTERVENTO La definizione del «programma di intervento» finalizzato alla realizzazione di un nuovo impianto sportivo deve basarsi su una serie di analisi che riguardano in particolare: • assetto demografico, con particolare riferimento alla domanda dell’utenza sportiva presente nel territorio; • stato delle infrastrutture, dei servizi e delle reti di trasporto; • potenzialità economica e gestionale, con riferimento all’efficienza dell’organizzazione sportiva locale. Per l’elaborazione del programma si dovranno assumere, analizzare e comparare i dati seguenti. a. Analisi dei fattori di domanda nel territorio considerato, articolata in: • popolazione residente; • numero dei praticanti della o delle discipline sportive in programma. b. Analisi dei fattori di offerta nel territorio considerato, articolata in: • numero e capacità degli impianti esistenti; • numero degli operatori; • numero e dimensione delle società sportive. c. Valutazione degli «indicatori» di efficacia dell’intervento in programma: • indicatore di attivazione della domanda (N. praticanti/100.000 abitanti) • indicatore di soddisfacimento della domanda (N. praticanti/N. impianti) • indicatore di dotazione di impianti (N. impianti/100.000 abitanti) • stato di conservazione, grado di utilizzo e accessibilità degli impianti esistenti. d. Scelta degli interventi prioritari, in termini di miglior utilizzo, ampliamento e recupero degli impianti esistenti o di realizzazione di nuovi impianti: • analisi del rapporto costi-benefici relativa alle diverse opzioni di intervento, in termini di rapporto tra: l’insieme utenti serviti-attività consentite e l’insieme costi di costruzione-costi di gestione.
FATTORI DI LOCALIZZAZIONE La valutazione dei fattori di localizzazione di nuovi impianti discende dalla analisi del «bacino di utenza» o area di gravitazione in cui l’impianto si colloca e al quale fa riferimento. Il bacino di utenza può essere definito in termini spaziali, in termini spazio-temporali e in termini sociali: • in termini spaziali, il bacino di utenza è costituito dalla superficie territoriale che circonda l’impianto entro un determinato raggio o entro una determinata distanza; • in termini spazio-temporali il bacino di utenza è costituito dalla superficie territoriale che comprende i luoghi dai quali l’impianto è raggiungibile entro determinati tempi; • in termini sociali il bacino di utenza può essere definito come l’insieme di domanda che si rivolge a quell’impianto. Per la localizzazione dell’impianto è quindi essenziale verificare le condizioni di fruibilità da parte degli utenti in termini di distanza tra luoghi di residenza e impianto e in termini di presenza ed efficienza delle infrastrutture di collegamento esistenti e dei trasporti. In particolare è necessario acquisire dati in merito a: • sistema della viabilità e dei trasporti; • origine-destinazione e intensità del pendolarismo residenza-scuola e residenza-lavoro; • grado di attrazione delle aree centrali rispetto alle periferie; • flussi turistici giornalieri, settimanali e stagionali. Si dovranno conseguentemente valutare i seguenti aspetti. • Centralità dell’impianto rispetto al bacino di utenza; in questo ambito di valutazione occorre porre in conto anche le seguenti condizioni di relazione, con valori di integrazione urbana crescenti: a. impianto autonomo (valore di integrazione minore); b. impianto inserito o collegato a un complesso scolastico (valore d’integrazione intermedio) c. impianto inserito in un complesso di servizi sociali (valore di integrazione massimo). • Relazioni con le reti infrastrutturali di comunicazione e di servizio, articolata come segue: a. vicinanza di importanti arterie stradali; b. facilità di collegamento alla rete idrica, alla rete fognante e alla rete elettrica e congruenza delle capacità di tali reti rispetto alle quantità richieste dall’impianto (con particolare attenzione al fabbisogno idrico per l’innaffiamento); c. assenza nell’area di attraversamenti di elettrodotti o linee telefoniche. • Integrazione o agevole possibilità di integrazione nella rete dei trasporti. • Presenza o possibilità di realizzazione di agevoli percorsi pedonali e ciclabili. • Condizioni morfologiche e climatiche del terreno destinato all’impianto e aree adiacenti; tra le quali assumono rilievo i seguenti requisiti: a. sito pianeggiante e di forma regolare; b. suolo stabile e di buona permeabilità; c. sito non interessato da risalita della falda freatica, nè soggetto a inondazioni e smottamenti; d. sito non soggetto a forti venti; e. sito soleggiato durante tutto il giorno; f. sito che consenta un buon orientamento dell’impianto; g. sito lontano da fonti di inquinamento dell’aria e di inquinamento acustico.
B 110
TAB. B.4.1./2 NORME UNI RIFERITE A IMPIANTI SPORTIVI (Unisport) UNI 9217 (Codice ICS: 97.220.10) Impianti sportivi e ricreativi. Tribune. Caratteristiche e prescrizioni generali. Specifica le caratteristiche generali che deve avere qualsiasi tipo di tribuna, per impianti sportivi e ricreativi al chiuso e all’ aperto. Riferimenti: circolare n.16 del Ministero dell’ Interno e Decreto del 10 set. 1986 del Ministero dell’ Interno pubblicato sulla gazzetta ufficiale n.215 del 16 set. 1986, e successivi aggiornamenti. UNI 9217 FA 1-90 (Codice ICS: 97.220.10) Impianti sportivi e ricreativi. Tribune. Caratteristiche e prescrizioni generali. UNI 9217-2 (Codice ICS: 97.220.10) Impianti sportivi. Tribune. Tribune telescopiche. Caratteristiche e prescrizioni. Definisce le principali caratteristiche e prescrizioni per la realizzazione di tribune telescopiche. Si applica solo a tribune telescopiche con posti a sedere UNI 9217-3 (Codice ICS: 97.220.10) Impianti sportivi. Tribune. Tribune provvisorie. Caratteristiche e prescrizioni. Fornisce le principali caratteristiche e prescrizioni per la costruzione, l’installazione, l’utilizzo e il controllo delle tribune provvisorie, come definite al punto 3.1 della norma, da installare in impianti sportivi all’aperto e/o al chiuso. UNI 9316 (Codice ICS: 97.220.10) Impianti sportivi. Illuminazione per le riprese televisive a colori. Prescrizioni. Fornisce le prescrizioni per l’ illuminazione di impianti sportivi in relazione alle riprese televisive a colori, tenendo conto delle esigenze degli atleti e del pubblico. In appendice: calcolo dell’ indice di abbagliamento Riferimenti: pubblicazione CIE n.17.4 (1987) International lighting-vocabulary UNI 9553 (Codice ICS: 97.220.10) Impianti sportivi e ricreativi al coperto. Partizioni mobili per la suddivisione di una sala in più spazi di attività. Prescrizioni. Indica i principali requisiti che devono soddisfare le partizioni mobili che suddividono una sala in più spazi di attività, nell’ambito di un impianto sportivo e ricreativo UNI 9554 (Codice ICS: 97.220.10) Impianti sportivi e ricreativi. Sale per attività sportive e ricreative. Prova di resistenza ai colpi di palla. Descrive un procedimento per determinare la resistenza dei componenti edilizi (o elementi costruttivi) delle sale per attività sportive e ricreative – rivestimenti di pareti e controsoffitti, partizioni mobili di suddivisione, porte, finestre griglie di ventilazione, apparecchi per illuminazione, ecc.– ai colpi di palla. Si applica a tutti gli elementi costruttivi che si trovano all’ interno delle sale per usi sportivi e ricreativi. Considera i colpi provocati dalle palle utilizzate nei seguenti sport: pallacanestro, palla pugno, calcetto, pallamano, hockey su pista, palla medica, tennis, pallavolo e altri sport simili. Non è valida per hockey su ghiaccio, lancio del peso, squash. Si applica ai colpi provocati da palle lanciate dai praticanti, direttamente o per mezzo di attrezzi sportivi. UNI 9821 (Codice ICS: 97.220.10) Impianti sportivi. Collaudo illuminotecnico. Indica la metodologia da seguire per il collaudo illuminotecnico di un impianto sportivo attraverso la misura dei seguenti parametri: • illuminamenti sui piani orizzontali; • illuminamenti sui piani verticali; • abbagliamento; • coordinate tricromatiche e temperatura di colore della luce incidente sull’area di gioco. Riguarda l’illuminazione normale, quella sussidiaria (di riserva),e quella di sicurezza. Si applica agli impianti sportivi sia nuovi che esistenti. Appendice: Tabella delle prove e delle misure per il collaudo illuminotecnico. UNI 9939 (Codice ICS: 97.220.01) Impianti sportivi. Sedute. Criteri di applicazione dei sedili alla struttura. Indica i criteri per il fissaggio dei sedili alle strutture, siano esse in cemento armato o in ferro, o in altro materiale, e specifica le modalità di prova degli elementi previsti. UNI 10121-1 (Codice ICS: 97.220.10) Impianti sportivi. Separazione di spazi. Terminologia e requisiti generali. Stabilisce la terminologia e le caratteristiche che devono avere i manufatti che separano gli spazi in un impianto sportivo al fine di assicurare il regolare svolgimento delle manifestazioni. I manufatti costituenti le separazioni sono: separatori; selettori di folla; frangifolla; parapetti. Si applica ai manufatti preposti alla sicurezza degli utenti utilizzati negli impianti sportivi, laddove è prevista la presenza di spettatori, secondo quanto descritto dalle prescrizioni particolari (vedere UNI 10121/2, punto 3). UNI 10121-2 (Codice ICS: 97.220.10) Impianti sportivi. Separazione di spazi. Separatori per stadi per il calcio. Caratteristiche e prove. Definisce le caratteristiche e le prove cui devono soddisfare i separatori di spazi da utilizzarsi negli stadi per il calcio, come definiti nella UNI 10121/1. Riprende e integra quanto disposto dal DM 25 agosto 1989 in merito a: • separatori perimetrali interni, separatori di settori interni (art.8) e separatori dei percorsi di uscita (art.9) per impianti sportivi all’aperto per il calcio con numero di spettatori maggiore di 10 000; • separatori perimetrali esterni (art.17) per impianti sportivi all’aperto aventi capacità maggiore di 5 000 spettatori.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT NORME DI SICUREZZA E AGIBILITÀ
B.4. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
RIFERIMENTO AL DECRETO MIN. INT. DEL 18 MARZO 1996 La sicurezza nell’esercizio degli impianti sportivi, in particolare nei casi che prevedono la presenza di spettatori e soprattutto nel caso degli stadi di calcio, si è segnalato drammaticamente negli ultimi anni come questione essenziale, motivata dall’alto numero di spettatori e dai comportamenti a volte “violenti” di parte degli spettato-
ri. Conseguentemente il Ministero degli Interni ha provveduto a emanare “norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio di impianti sportivi”, con decreto del 18 marzo 1996 – che riprende e integra il precedente decreto del 25 agosto 1996 – come segue.
Sono soggetti alle presenti disposizioni gli impianti e i complessi sportivi di nuova costruzione e quelli esistenti, già adibiti a tale uso anche se inseriti in complessi non sportivi, nei quali si intendono realizzare variazioni distributive e/o funzionali, eccetto gli interventi di manutenzione ordinaria di cui all’art.31, lett. a), della legge del 5 agosto 1978, n.457, nei quali si svolgono manifestazioni e/o attività sportive regolate dal CONI e dalle Federazioni Sportive Nazionali riconosciute dal CONI, riportate nell’allegato, ove è prevista la presenza di spettatori in numero superiore a 100. I suddetti complessi o impianti sportivi, nel seguito denominati impianti sportivi, devono essere conformi oltre che alle presenti disposizioni anche ai regolamenti del CONI e delle Federazioni Sportive Nazionali e Internazionali. Per i complessi e gli impianti ove è prevista la presenza di spettatori non superiore a 100 o privi di spettatori, si applicano le disposizioni di cui al successivo art.20.
• IMPIANTO SPORTIVO AL CHIUSO: tutti gli altri impianti non ricadenti nella tipologia degli impianti all’aperto. • COMPLESSO SPORTIVO: uno o più impianti sportivi contigui aventi in comune infrastrutture e servizi; il complesso sportivo è costituito da uno o più impianti sportivi e dalle rispettive aree di servizio annesse. • AREA DI SERVIZIO ANNESSA: area di pertinenza dell’impianto o complesso sportivo recintata per controllarne gli accessi. • AREA DI SERVIZIO ESTERNA: area individuata temporaneamente, annettibile all’impianto o complesso sportivo mediante recinzione mobile. • ZONA ESTERNA: area pubblica circostante o prossima all’impianto o complesso sportivo che consente l’avvicinamento allo stesso, e lo stazionamento di servizi pubblici o privati.
Art.2. DEFINIZIONI Si fa riferimento ai termini, definizioni generali, simboli grafici di prevenzione incendi e tolleranze dimensionali di cui al DM dell’interno 30 novembre 1983 e alle seguenti ulteriori definizioni: • SPAZIO DI ATTIVITÀ SPORTIVA: spazio conformato in modo da consentire la pratica di una o più attività sportive; nel primo caso lo spazio è definito monovalente, nel secondo polivalente; più spazi di attività sportiva contigui costituiscono uno spazio sportivo polifunzionale. • ZONA DI ATTIVITÀ SPORTIVA: zona costituita dallo spazio di attività sportiva e dai servizi di supporto. • SPAZIO RISERVATO AGLI SPETTATORI: spazio riservato al pubblico per assistere alla manifestazione sportiva. • ZONA SPETTATORI: zona riservata al pubblico che comprende lo spazio riservato agli spettatori, i servizi di supporto a essi dedicati, gli eventuali spazi e servizi accessori con i relativi percorsi.
• SPAZI DI SOCCORSO: spazi raggiungibili dai mezzi di soccorso e riservati alla loro sosta e manovra. • VIA D’USCITA: percorso senza ostacoli al deflusso che conduce dall’uscita dello spazio riservato agli spettatori e dallo spazio di attività sportiva all’area di servizio annessa o all’area di servizio esterna. • SPAZIO CALMO: luogo sicuro statico contiguo e comunicante con una via di esodo verticale od in essa inserito. Tale spazio non deve costituire intralcio alla fruibilità delle vie di esodo e avere caratteristiche tali da garantire la permanenza di persone con ridotte o impedite capacità motorie in attesa dei soccorsi. • PERCORSO DI SMISTAMENTO: percorso che permette la mobilità degli spettatori all’interno dello spazio loro riservato. • STRUTTURE PRESSOSTATICHE: coperture di spazi di attività sostenute unicamente da aria immessa a pressione. • CAPIENZA: massimo affollamento ipotizzabile.
• SPAZI E SERVIZI DI SUPPORTO: spazi e servizi direttamente funzionali all’attività sportiva o alla presenza di pubblico.
Art.3. NORME DI PROCEDURA PER LA COSTRUZIONE O MODIFICAZIONE DI IMPIANTI SPORTIVI
• SPAZI E SERVIZI ACCESSORI: spazi e servizi, non strettamente funzionali, accessibili al pubblico o dallo stesso fruibili.
Chi intende costruire un impianto destinato ad attività sportiva con presenza di spettatori in numero superiore a 100 deve presentare al Comune, unitamente alla domanda di autorizzazione, la seguente documentazione: 1) una planimetria rappresentante l’impianto o il complesso sportivo, l’area di servizio annessa, ove necessaria, e la zona esterna; 2) piante ai vari livelli rappresentanti l’impianto sportivo con gli spazi o lo spazio di attività sportiva, la zona spettatori con disposizione e numero di posti, spazi e servizi accessori e di supporto, dimensioni e caratteristiche del sistema di vie d’uscita, elementi di compartimentazione, impianti tecnici e antincendio; 3) sezioni longitudinali e trasversali dell’impianto sportivo; 4) documento da cui risulti che il proprietario dell’impianto ha diritto d’uso dell’area di servizio dell’impianto stesso; 5) dichiarazione legale del locatore dalla quale risulti l’impegno contrattuale a favore del richiedente, nonché un
• IMPIANTO SPORTIVO: insieme di uno o più spazi di attività sportiva dello stesso tipo o di tipo diverso, che hanno in comune i relativi spazi e servizi accessori, preposto allo svolgimento di manifestazioni sportive. L’impianto sportivo comprende: a) lo spazio o gli spazi di attività sportiva; b) la zona spettatori; c) eventuali spazi e servizi accessori; d) eventuali spazi e servizi di supporto. • IMPIANTO SPORTIVO ALL’APERTO: impianto sportivo avente lo spazio di attività scoperto. Questa categoria comprende anche gli impianti con spazio riservato agli spettatori coperto.
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
“NORME DI SICUREZZA PER LA COSTRUZIONE E L’ESERCIZIO DI IMPIANTI SPORTIVI”
Art.1. CAMPO DI APPLICAZIONE
B.STAZIONI DILEGIZLII
E ESE ESSIONAL PROF
titolo che dimostri la proprietà dell’impianto da parte del locatore nel caso di domande presentate dal locatario; 6) parere sul progetto da parte del CONI ai sensi della legge 2 febbraio 1939, e successive modificazioni. Il Comune sottopone il progetto alla Commissione Provinciale di Vigilanza, per l’esercizio da parte di quest’ultima delle attribuzioni di cui all’art.80 del testo unico delle leggi di Pubblica Sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n.773, la quale redige apposito verbale con motivato parere circa la conformità dell’impianto alle presenti norme. Il verbale di cui innanzi deve essere allegato ai documenti che a lavori ultimati il richiedente è tenuto a presentare al Comune per la domanda di visita di constatazione, unitamente alla certificazione di idoneità statica e impiantistica, nonché agli adempimenti previsti dal DPR 29 luglio 1982, n.577, ai fini della prevenzione incendi. La Commissione Provinciale di Vigilanza esegue la visita di constatazione e redige apposito verbale esprimendo il proprio parere di competenza ai sensi delle combinate disposizioni di cui all’art.80 del testo unico delle leggi di Pubblica Sicurezza e all’art.19 del DPR 24 luglio 1977, n.616, che viene trasmesso al Sindaco ai fini del rilascio della licenza di agibilità. Le procedure di cui ai commi precedenti si applicano in tutti i casi di variazione delle caratteristiche distributive e funzionali dell’impianto o quando si verifichino sinistri che interessino le strutture e/o gli impianti. Su specifica richiesta della Commissione Provinciale di Vigilanza, e comunque ogni 10 anni a far data dal certificato di collaudo statico, deve essere prodotto alla Prefettura competente per territorio, e al Comune, in certificato di idoneità statica dell’impianto, rilasciato da tecnico abilitato. Alla Commissione di Vigilanza deve essere aggregato, a titolo consultivo, un rappresentante del CONI dal medesimo designato. Art.4. UBICAZIONE L’ubicazione dell’impianto o del complesso sportivo deve essere tale da consentire l’avvicinamento e la manovra dei mezzi di soccorso e la possibilità di sfollamento verso aree adiacenti. L’area per la realizzazione di un impianto, deve essere scelta in modo che la zona esterna garantisca, ai fini della sicurezza, il rapido sfollamento. A tal fine eventuali parcheggi e le zone di concentrazione dei mezzi pubblici devono essere situati in posizione tale da non costituire ostacolo al deflusso. Gli impianti devono essere provvisti di un luogo da cui sia possibile coordinare gli interventi di emergenza; detto ambiente deve essere facilmente individuabile e accessibile da parte delle squadre di soccorso. Fatto salvo quanto previsto dalle norme vigenti di prevenzione incendi per le specifiche attività, gli impianti al chiuso possono essere ubicati nel volume di altri edifici ove si svolgono attività di cui ai punti 64, 83, 84, 85, 86, 87, 89, 90, 91,92, 94, e 95 del DM dell’Interno del 16 febbraio 1982. La separazione da tali attività deve essere realizzata con strutture REI 90; eventuali comunicazioni sono ammesse tramite filtri a prova di fumo di stesse caratteristiche di resistenza al fuoco. Gli impianti al chiuso non possono avere lo spazio di attività sportiva ubicato oltre il primo piano interrato a quota inferiore a 7,50 m rispetto al piano dell’area di servizio o zona esterna all’impianto.
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CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
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B.4. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI NORME DI SICUREZZA E AGIBILITÀ
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IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT
➦ “NORME DI SICUREZZA PER LA COSTRUZIONE E L’ESERCIZIO DI IMPIANTI SPORTIVI” Per quelli ubicati ad altezza superiore a 12 m deve essere assicurata la possibilità dell’accostamento all’edificio delle autoscale dei Vigili del Fuoco almeno a una qualsiasi finestra o balcone di ogni piano; qualora tale requisito non fosse soddisfatto, negli edifici di altezza antincendio fino a 24 m e in quelli di altezza superiore, le scale a servizio delle vie di esodo devono essere rispettivamente protette e a prova di fumo. Per consentire l’intervento dei mezzi di soccorso gli accessi all’area di servizio annessa all’impianto, di cui al successivo art.5, devono avere i seguenti requisiti minimi: • raggio di volta non inferiore a 13 m; • altezza libera non inferiore a 4 m; • larghezza: non inferiore a 3,50 m; • pendenza: non superiore a 10%; • resistenza al carico: per automezzi di peso complessivo non inferiore a 20 t. Art.5. AREA DI SERVIZIO ANNESSA ALL’IMPIANTO Tutti gli impianti di capienza superiore a 2.000 spettatori devono avere un’area di servizio annessa all’impianto costituita da spazi scoperti delimitati in modo da risultare liberi da ostacoli di deflusso. Tali spazi devono essere in piano o con pendenza non superiore a al 12% in corrispondenza delle uscite dall’impianto e di superficie tale da poter garantire una densità di affollamento di 2 persone a metro quadrato. La delimitazione dell’area di servizio deve avere varchi di larghezza pari a quella della corrispondente uscita dall’impianto; per le caratteristiche tecniche di tale delimitazione, si rimanda alla norma UNI 10121; tutti i varchi devono essere mantenuti liberi da ostacoli al regolare deflusso del pubblico. Negli impianti di capienza compresa tra 500 e 2.000 spettatori, ove non fosse possibile disporre dell’area di servizio annessa all’impianto, dovrà essere definita un’area esterna di analoghe caratteristiche. La disponibilità di tale area durante l’uso per le manifestazioni dovrà risultare da apposito atto legalmente valido. Art.6. SPAZI RISERVATI AGLI SPETTATORI E ALL’ATTIVITÀ SPORTIVA Spazio riservato agli spettatori La capienza dello spazio riservato agli spettatori è data dalla somma dei posti a sedere e dei posti in piedi; il numero dei posti in piedi si calcola in ragione di 35 spettatori ogni 10 mq di superficie all’uopo destinata; il numero dei posti a sedere è dato dal numero totale degli elementi di seduta con soluzione di continuità, così come definito dalla norma UNI 9931, oppure dallo sviluppo lineare in metri dei gradoni o delle panche diviso 0,48. Tutti i posti a sedere devono essere chiaramente individuati e numerati e devono rispondere alle norme UNI 9931 e 9939. Per le determinazioni della capienza non si deve tener conto degli spazi destinati ai percorsi di smistamento degli spettatori, che dovranno essere mantenuti liberi durante le manifestazioni. Deve essere sempre garantita per ogni spettatore la visibilità dell’area destinata all’attività sportiva, conformemente alla norma UNI 9217. Sono ammessi posti in piedi negli impianti al chiuso con capienza fino a 500 spettatori e in quelli all’aperto con capienza fino a 2.000 spettatori. Negli impianti all’aperto è consentito prevedere posti in piedi. Le tribune provvisorie, su cui non possono essere previsti posti in piedi, devono rispondere alle norme UNI 9217. Spazio di attività sportiva La capienza dello spazio di attività sportiva è pari al numero di praticanti e di addetti previsti in funzione delle attività sportive. Lo spazio di attività sportiva deve essere collegato agli spogliatoi e all’esterno dell’area di servizio dell’impianto con percorsi separati da quelli degli spettatori. Lo spazio riservato agli spettatori deve essere delimitato rispetto a quello dell’attività sportiva; tale delimitazione deve essere conforme ai regolamenti del CONI e delle Federazioni Sportive Nazionali e per i campi di calcio dovrà essere conforme alla norma UNI 10121; queste ultime delimitazioni devono avere almeno due varchi di larghezza minima di 2,40 m, per ogni
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settore muniti di serramenti che in caso di necessità possano essere aperti su disposizione dell’autorità di pubblica sicurezza verso la zona di attività sportiva. Art.7. SETTORI Gli impianti all’aperto con un numero di spettatori superiore a 10.000 e quelli al chiuso con un numero di spettatori superiore a 4.000 devono avere lo spazio riservato agli spettatori suddiviso in settori; la capienza di ciascun settore non può essere superiore a 10.000 spettatori per impianti all’aperto e a 4.000 per quelli al chiuso. La suddivisione in settori deve essere conforme ai regolamenti del CONI e delle Federazioni Sportive Nazionali e per i campi di calcio deve essere conforme alle norme UNI 10121. Ogni settore deve avere almeno due uscite, servizi e sistemi di vie di uscite indipendenti chiaramente identificabili con segnaletica di sicurezza conforme alla vigente normativa e alle prescrizioni di cui alla direttiva 92/58/CEE del 24 giugno 1992. I settori per i posti in piedi devono avere una capienza non superiore a 500 spettatori. Negli impianti all’aperto contrassegnati nell’allegato con l’asterisco, non è necessario realizzare la suddivisione in settori; qualora tale suddivisione si rendesse necessaria per aspetti organizzativi e di pubblica sicurezza, i rispettivi settori devono essere realizzati conformemente al secondo comma del presente articolo. Art.8. SISTEMA DI VIE DI USCITA Zona riservata agli spettatori L’impianto deve essere provvisto di un sistema organizzato di vie di uscite dimensionato in base alla capienza in funzione della capacità di deflusso ed essere dotato di almeno due uscite; il sistema di vie di uscita dalla zona spettatori deve essere indipendente da quello della zona di attività sportiva. Deve essere previsto un ingresso per ogni settore; qualora gli ingressi siano dotati di preselettori di fila la larghezza degli stessi non va computata nel calcolo delle uscite. Deve essere sempre garantito l’esodo senza ostacoli dall’impianto. • La larghezza di ogni uscita e via d’uscita deve essere non inferiore a 2 moduli (1,20 m). • La larghezza complessiva delle uscite deve essere dimensionata per una capacità di deflusso non superiore a 250 (1,20 m ogni 500 persone) per gli impianti all’aperto e a 50 (1,20 m ogni 100 persone) per gli impianti al chiuso indipendentemente dalle quote. • Le vie d’uscita devono avere la stessa larghezza complessiva delle uscite dallo spazio riservato agli spettatori. • Per quanto riguarda le caratteristiche delle porte inserite nel sistema di vie di uscita e i relativi serramenti consentiti, si rimanda alle disposizioni del Ministero dell’Interno per i locali di pubblico spettacolo. • Il numero di uscite dallo spazio riservato agli spettatori per ogni settore o per ogni impianto non suddiviso in settori non deve essere inferiore a 2. • Per gli impianti al chiuso e per gli ambienti interni degli impianti all’aperto la lunghezza massima delle vie d’uscita non deve essere superiore a 40 m o a 50 m se in presenza di idonei impianti di smaltimento dei fumi asserviti a impianti di rilevazione o segnalazione di incendi realizzati in conformità alle disposizioni di cui all’art.17. • Dove sono previsti posti per portatori di handicap, su sedie a rotelle, di cui alla legge 9 gennaio 1989, n.13, sull’abbattimento delle barriere architettoniche, il sistema delle vie d’uscita e gli spazi calmi relativi devono essere conseguentemente dimensionati. • Gli spazi calmi devono essere realizzati con strutture e materiali congruenti con le caratteristiche di resistenza e reazione al fuoco richieste per le vie di esodo e devono essere raggiungibili con percorsi non superiori a 40 m, quando esiste possibilità di scelta fra due vie di esodo, in caso contrario tali percorsi devono essere non superiori a 30 m. • Le scale devono avere gradini a pianta rettangolare, con alzata e pedata costanti rispettivamente non superiori a 17 cm (alzata) e non inferiore a 30 cm (pedata);
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le rampe delle scale devono essere rettilinee, avere non meno di tre gradini e non più di 15; i pianerottoli devono avere la stessa larghezza delle scale senza allargamenti e restringimenti; sono consigliabili nei pianerottoli raccordi circolari che abbiano la larghezza radiale costante e uguale a quella della scala. Tutte le scale devono essere munite di corrimano sporgenti non oltre le tolleranze ammesse; le estremità di tali corrimano devono rientrare con accordo nel muro stesso. É ammessa la fusione di due rampe in unica rampa, purchè questa abbia larghezza pari alla somma delle due; per scale di larghezza > 3m la Commissione Provinciale di Vigilanza può prescrivere il corrimano centrale Le rampe senza gradini devono avere una pendenza massima del 12% con piani di riposo orizzontali profondi almeno 1,20 m, ogni 10 m di sviluppo della rampa. Nessuna sporgenza o rientranza, oltre quelle ammesse dalle tolleranze, deve esistere nelle pareti per una altezza di 2 m dal piano di calpestio. É ammesso l’uso di scale mobili e ascensori, ma non vanno computate nel calcolo delle vie d’uscita.
Zona di attività sportiva Il sistema di vie d’uscita e le uscite della zona di attività sportiva devono avere caratteristiche analoghe a quelle della zona riservata agli spettatori. Art.9. DISTRIBUZIONE INTERNA • I percorsi di smistamento non devono avere larghezza minore di 1,20 m e servire più di 20 posti per fila e per parte; • Ogni 15 file di gradoni deve essere presente un passaggio, parallelo alle file stesse, di larghezza non inferiore a 1,20 m; è consentito non prevedere tali passaggi quando i percorsi di smistamento adducono direttamente alle via di uscita. • I gradoni per posti a sedere devono avere una pedata non inferiore a 0,60 m; il rapporto tra pedata e alzata dei gradoni deve essere non inferiore a 1,2; possono essere previsti sedili su piani orizzontali o inclinati con pendenza non superiore al 12%. • Le aree riservate ai posti in piedi devono essere delimitate da barriere frangifolla longitudinali e trasversali con un massimo di 500 spettatori per area; i posti in piedi possono essere realizzati in piano o su piani inclinati con pendenza non superiore al 12% o su gradoni con alzata non superiore a 0,25 m. • I percorsi di smistamento devono essere rettilinei; i gradini delle scale di smistamento devono essere a pianta rettangolare con una alzata non superiore a 25 cm e una pedata non inferiore a 23 cm; il rapporto tra pedata e alzata deve essere superiore a 1,2; è ammessa la variabilità graduale dell’alzata e della pedata tra un gradino e il successivo con una tolleranza del 2%. • Tra due rampe consecutive è ammessa una variazione di pendenza a condizione che venga interposto un piano di riposo della stessa larghezza della scala di smistamento, profondo almeno 1,20 m, fermo restando i limiti dimensionali dei gradini e il rapporto tra pedata e alzata. Art.10. SERVIZI DI SUPPORTO DELLA ZONA SPETTATORI Servizi igienici • I servizi igienici della zona spettatori devono essere separati per sesso e costituiti dai gabinetti e dai locali di disimpegno. • Ogni gabinetto deve avere porta apribile verso l’esterno e accesso da apposito locale di disimpegno (ante WC) eventualmente a servizio di più locali WC, nel quale devono essere installati gli orinatoi per i servizi uomini e almeno un lavabo.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
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IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT NORME DI SICUREZZA E AGIBILITÀ
B.4. 2. A.ZIONI
• Almeno una fontanella di acqua potabile deve essere ubicata all’esterno dei servizi igienici. • La dotazione minima per impianti con capienza inferiore a 500 spettatori deve essere di almeno un gabinetto per gli uomini e un gabinetto per le donne ogni 250 spettatori; negli altri casi la zona spettatori deve essere dotata di servizi igienici proporzionati in ragione di un gabinetto e due orinatoi ogni 500 uomini e di due gabinetti ogni 500 donne considerando il rapporto uomini/donne: uno negli impianti al chiuso e due in quelli all’aperto. • I servizi igienici devono essere ubicati a una distanza massima di 50 m dalle uscite dallo spazio riservato agli spettatori, e il dislivello tra il piano di calpestio di detto spazio e il piano di calpestio dei servizi igienici non deve essere superiore a 6 m. • L’accesso ai servizi igienici non deve intralciare i percorsi di esodo del pubblico. • Nei servizi igienici deve essere garantita una superficie di aerazione naturale non inferiore a un ottavo della superficie lorda dei medesimi, in caso contrario deve essere previsto un sistema di ventilazione artificiale tale da assicurare un ricambio non inferiore a 5 volumi ambiente per ora. • I servizi igienici devono essere segnalati sia nella zona spettatori che nell’area di servizio annessa dell’impianto. Posto di pronto soccorso • Negli impianti sportivi con capienza superiore a 10.000 spettatori deve essere previsto un posto di pronto soccorso ogni 10.000 spettatori; nel caso in cui l’impianto sia suddiviso in settori di capienza inferiori a 10.000 spettatori, per ogni settore deve essere garantito l’accesso al posto di pronto soccorso. • Negli impianti con capienza inferiore a 10.000 spettatori, il posto di pronto soccorso, che comunque deve essere previsto, può essere adibito anche ad altri usi compatibili dal punto di vista sanitario. • Ogni posto di pronto soccorso deve essere dotato di un telefono, di un lavabo, di acqua potabile, di un lettino con sgabelli, di una scrivania con sedia e di quanto previsto dalla vigente normativa in materia. • I posti di pronto soccorso devono essere ubicati in agevole comunicazione con la zona spettatori e devono essere serviti dalla viabilità esterna all’impianto. • Negli impianti sportivi con capienza superiore a 10.000 spettatori è necessario, in occasione delle manifestazioni, prevedere almeno un presidio medico e l’ambulanza in corrispondenza di un pronto soccorso. • Il pronto soccorso deve essere segnalato nella zona spettatori, lungo il sistema di vie d’uscita e nell’area di pertinenza dell’impianto. Le disposizioni di cui al presente articolo possono essere integrate nell’ambito di un piano generale dei servizi medici e sanitari, prescritti dalle autorità preposte in base alle caratteristiche dell’impianto e in relazione alle singole manifestazioni alle quali l’impianto stesso è destinato. Art.11. SPOGLIATOI Gli spogliatoi per atleti e arbitri e i relativi servizi devono essere per numero e dimensioni conformi ai regolamenti o alle prescrizioni del CONI e delle Federazioni Sportive Nazionali relative alle discipline previste nella zona di attività sportiva. Gli spogliatoi devono avere accessi separati dagli spettatori durante le manifestazioni e i relativi percorsi di collegamento con la zona esterna e con lo spazio di attività sportiva devono essere delimitati e separati dal pubblico. Art.12. MANIFESTAZIONI OCCASIONALI È ammessa l’utilizzazione degli impianti sportivi anche per lo svolgimento di manifestazioni occasionali a carattere non sportivo, a condizione che vengano rispettate le destinazioni e le condizioni d’uso delle varie zone dell’impianto, secondo quanto previsto ai precedenti articoli. Nel caso in cui le zone spettatori siano estese alla zona di attività sportiva o comunque siano ampliate rispetto a quelle normalmente utilizzate per impianto sportivo, la capienza, la distribuzione interna e il dimensionamento delle vie di uscita dovrà rispondere alle prescrizioni di cui
ai precedenti articoli. Per manifestazioni sportive occasionali non allestite in impianti sportivi permanenti la scelta dell’ubicazione deve perseguire l’obiettivo di garantire la sicurezza degli spettatori e dei praticanti l’attività sportiva secondo i principi stabiliti nel presente decreto. Il progetto relativo alla sistemazione della zona spettatori e della zona di attività sportiva deve essere sottoposto dal titolare dell’attività al parere preventivo degli organi di vigilanza, secondo quanto previsto dell’art.3. Art.13. COPERTURE PRESSOSTATICHE L’impiego di coperture pressostatiche è consentito negli impianti ove è prevista la presenza di spettatori, praticanti e addetti in numero non superiore a 50 persone; tali coperture devono essere realizzate con materiali aventi classe di reazione al fuoco non superiore a 2, e omologati ai sensi del DM dell’Interno 26 giugno 1984; devono essere previsti adeguati sostegni in grado di impedire il rischio del repentino abbattimento in caso di caduta di pressione; in alternativa possono essere installati dispositivi di allarme sonoro e luminoso che comunichino ai presenti eventuali anomalie, abbassamenti della pressione e/o carichi di vento o di neve superiori ai limiti di progetto della zona in esame. Il sistema di illuminazione ove sospeso alla copertura, deve essere munito di idonei dispositivi di protezione e sicurezza contro la caduta accidentale. Devono inoltre essere previste almeno due uscite di larghezza non inferiore a 1,20 m, detti varchi devono essere opportunamente intelaiati e controventati per evitare, in caso di caduta del pallone, l’ostruzione dell’uscita. Deve essere prodotto annualmente al Comune, un certificato di idoneità statica a firma di tecnico abilitato attestante l’avvenuta verifica del materiale di copertura e dei dispositivi di cui al comma precedente. Art.14. PISCINE Lo spazio di attività sportiva di una piscina è costituito dalle vasche e dalle superfici calpestabili a piedi nudi a esse circostanti, definite “aree di bordo vasca”. L’area di bordo vasca deve essere in piano, con pendenza non superiore al 3%, in materiale antisdrucciolevole, avere larghezza non inferiore a 1,50 m e superficie complessiva non inferiore al 50% di quella della vasca. La densità di affollamento di una piscina deve essere calcolata nella misura di 2 m di specchio d’acqua per ogni bagnante. Il servizio di salvataggio deve essere disimpegnato da un assistente bagnante quando il numero di persone contemporaneamente presenti nello spazio di attività è superiore alle 20 unità o in vasche con specchi d’acqua di superficie superiore a 50 m; detto servizio deve essere disimpegnato da almeno due assistenti bagnanti per vasche con specchi d’acqua di superficie superiore a 400 m. Nel caso di vasche adiacenti e ben visibili tra loro il numero degli assistenti bagnanti va calcolato sommando le superfici delle vasche e applicando successivamente il rapporto assistenti bagnanti/superfici d’acqua in ragione di 1 ogni 500 m. Per vasche oltre i 1.000 m dovrà essere aggiunto un assistente bagnante ogni 500 m. Per assistente bagnante si intende una persona addetta al servizio di salvataggio e primo soccorso abilitata dalla sezione salvamento della Federazione Italiana Nuoto ovvero munita di brevetto di idoneità per i salvataggi in mare rilasciato da società autorizzata dal Ministero dei Trasporti e della Navigazione. Durante l’addestramento di nuotatori il servizio di assistenza agli stessi può essere svolto dall’istruttore o allenatore in possesso di detta abilitazione della Federazione Italiana Nuoto. Art.15. STRUTTURE, FINITURE E ARREDI Protezione sismica • Ai fini del dimensionamento strutturale dei complessi e impianti sportivi deve essere assunto un valore non inferiore a 1,2 per il coefficiente di protezione sismica con riferimento al DM dei lavori pubblici 24 gennaio 1986 “Norme tecniche relative alle costruzioni sismiche” e successive modificazioni e integrazioni, (ora sostituito dal DM 16 gennaio 1996).
Resistenza al fuoco • I requisiti di resistenza al fuoco degli elementi strutturali dei locali di cui al presente decreto, vanno valutati secondo le prescrizioni e le modalità di prova stabilite nella Circolare del Ministero dell’interno n.91 del 14 settembre 1961 prescindendo dal tipo di materiale costituente l’elemento strutturale stesso (ad esempio calcestruzzo, laterizi, acciaio, legno massiccio, legno lamellare, elementi compositi). • Il dimensionamento degli spessori e delle protezioni da adottare per i vari tipi dei suddetti materiali, nonché la classificazione dei locali stessi secondo il carico d’incendio, vanno determinati con le tabelle e con le modalità specificate nella circolare n.91 sopraccitate nel DM dell’interno 6 marzo 1986 “Calcolo del carico di incendio per locali aventi strutture portanti in legno”. • Negli impianti al chiuso e per gli ambienti interni degli impianti all’aperto le caratteristiche di reazione al fuoco dei materiali impiegati devono essere le seguenti: a) negli atri, nei corridoi di disimpegno, nelle scale, nelle rampe e nei passaggi in genere, è consentito l’impiego di materiali di classe 1 in ragione del 50% massimo della loro superficie totale (pavimenti + pareti + soffitti + proiezione orizzontale delle scale). Per la restante parte deve essere impiegato materiale di classe 0 (non combustibile); b) in tutti gli altri ambienti è consentito che i materiali di rivestimento dei pavimenti siano di classe 2 e che i materiali suscettibili di prendere fuoco su ambo le facce e gli altri materiali di rivestimento siano di classe 1; c) ferme restando le limitazioni previste alla precedente lettera a) è consentita l’installazione di controsoffitti nonché di materiali di rivestimento posti non in aderenza agli elementi costruttivi, purchè abbiano classe di reazione al fuoco non superiore a 1 e siano omologati tenendo conto delle effettive condizioni di impiego anche in relazione alle possibili fonti d’innesco. • In ogni caso le poltrone e gli altri mobili imbottiti debbono essere di classe di reazione al fuoco 1 IM, mentre i sedili non imbottiti e non rivestiti, costituiti da materiali rigidi combustibili, devono essere di classe di reazione al fuoco non superiore a 2. • I materiali di cui ai precedenti capoversi debbono essere omologati ai sensi del DM dell’interno 26 giugno 1984. • Le pavimentazioni delle zone dove si praticano le “attività sportive”, all’interno degli impianti sportivi, sono da considerare attrezzature sportive e quindi non necessitano di classificazione ai fini della reazione al fuoco; non è consentita la posa in opera di cavi elettrici o canalizzazioni che possono provocare l’insorgere o il propagarsi di incendi all’interno di eventuali intercapedini realizzate al di sotto di tali pavimentazioni. • Negli impianti al chiuso, nel caso in cui le zone spettatori siano estese alle zone di attività sportiva, la classificazione della pavimentazione ai fini della reazione al fuoco è comunque necessaria. • Le citate pavimentazioni, se in materiale combustibile, vanno ovviamente computate nel carico d’incendio ai fini della valutazione dei requisiti di resistenza al fuoco degli elementi strutturali degli impianti sportivi. • Qualora vengano previsti effettivi accorgimenti migliorativi delle condizioni globali di sicurezza dei locali, rispetto a quanto previsto dalle norme di cui al presente articolo, quali efficaci sistemi di smaltimento dei fumi asserviti a impianti automatici di rivelazione incendio e/o impianto automatico di spegnimento a pioggia, potrà consentirsi l’impiego di materiali di classe di reazione al fuoco 1, 2, e 3 in luogo delle classi 0, 1 e 2 precedentemente indicate, con esclusione dei tendaggi, dei controsoffitti e dei materiali posti non in aderenza agli elementi costruttivi per i quali è ammessa esclusivamente la classe 1, e dei sedili per i quali è ammessa esclusivamente la classe 1 IM e 2. • I lucernari debbono avere vetri retinati oppure essere costruiti in vetrocemento o con materiali combustibili di classe 1 di reazione al fuoco. È consentito l’impiego del legno per i serramenti esterni e interni.
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IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT
➦ “NORME DI SICUREZZA PER LA COSTRUZIONE E L’ESERCIZIO DI IMPIANTI SPORTIVI” Art.16. DEPOSITI Locali di superficie non superiore a 25 mq • I locali, di superficie non superiore a 25 mq, destinati a deposito di materiale combustibile, possono essere ubicati a qualsiasi piano dell’impianto. • Le strutture di separazione e le porte devono possedere caratteristiche almeno REI 60 ed essere munite di dispositivo di autochiusura. • Il carico di incendio deve essere limitato a 30 Kg/mq. • La ventilazione naturale non deve essere inferiore a 1/40 della superficie in pianta. Ove non sia possibile raggiungere per l’aerazione naturale il rapporto di superficie predetto, è ammesso il ricorso alla aerazione meccanica con portata di due ricambi orari, da garantire anche in situazioni di emergenza, purché sia assicurata una superficie di aerazione naturale pari al 25% di quella prevista. • Presso le porte di accesso al locale deve essere installato un estintore di capacità estinguente non inferiore a 21A. Locali di superficie superiore a 25 mq • I locali, di superficie superiore a 25 mq destinati al deposito di materiale combustibile, possono essere ubicati all’interno dell’edificio ai piani fuori terra o al 1º e 2º interrato. • La superficie massima lorda di ogni singolo locale non deve essere superiore a 1000 m per i piani fuori terra e a 500 m per i piani 1º e 2º interrato. • Le strutture di separazione e le porte di accesso, dotate di dispositivo di autochiusura, devono possedere caratteristiche almeno REI 90. • Deve essere installato un impianto automatico di rivelazione e allarme incendio. • Il carico di incendio deve essere limitato a 50 Kg/mq; qualora sia superato tale valore, il deposito deve essere protetto con impianto di spegnimento automatico. • L’aerazione deve essere pari a 1/40 della superficie in pianta del locale. Ad uso di ogni locale deve essere previsto almeno un estintore di capacità estinguente non inferiore a 21 A, ogni 150 mq di superficie. • Per i depositi con superficie superiore a 500 mq, se ubicati a piani fuori terra, e 25 mq, se ubicati ai piani interrati, le comunicazioni con gli ambienti limitrofi devono avvenire tramite disimpegno a uso esclusivo realizzato con strutture resistenti al fuoco e munito di porte aventi caratteristiche almeno REI 60. Qualora detto disimpegno sia a servizio di più locali deposito, lo stesso deve essere aerato direttamente verso l’esterno. • I depositi di sostanze infiammabili devono essere ubicati al di fuori del volume del fabbricato. È consentito detenere all’interno del volume dell’edificio in armadietti metallici, dotati di bacino di contenimento, prodotti liquidi infiammabili strettamente necessari per le esigenze igienico-sanitarie. Art.17. IMPIANTI TECNICI Impianti elettrici Gli impianti elettrici devono essere realizzati in conformità alla legge 1 marzo 1968, n.186. La rispondenza alle vigenti norme di sicurezza deve essere attestata con la procedura di cui alla legge 5 marzo 1990, n.46, e successivi regolamenti di applicazione. In particolare, ai fini della prevenzione degli incendi, gli impianti elettrici: • non devono costituire causa primaria di incendio o di esplosione; • non devono fornire alimento o via privilegiata di propagazione degli incendi; il comportamento al fuoco della membratura deve essere compatibile con la specifica destinazione d’uso dei singoli locali; • devono essere suddivisi in modo che un eventuale guasto non provochi la messa fuori servizio dell’intero sistema; • devono disporre di apparecchi di manovra ubicati in posizioni “protette” e devono riportare chiare indicazioni dei circuiti cui si riferiscono.
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Il sistema utenza deve disporre dei seguenti impianti di sicurezza: a) illuminazione; b) allarme; c) rilevazione; d) impianti di estinzione incendi. L’alimentazione di sicurezza deve essere automatica a interruzione breve (0,5 sec.) per gli impianti di segnalazione, allarme e illuminazione e a interruzione media (15 sec) per gli impianti idrici antincendio. Il dispositivo di carica degli accumulatori deve essere di tipo automatico e tale da consentire la ricarica completa entro le 12 ore. L’autonomia dell’alimentazione di sicurezza deve consentire lo svolgimento in sicurezza del soccorso e dello spegnimento per il tempo necessario. In ogni caso l’autonomia minima viene stabilita per ogni impianto come segue: 30 min; • segnalazione e allarme: 60 min; • illuminazione di sicurezza: 60 min. • impianti idrici antincendio: Gli impianti al chiuso, quelli all’aperto per i quali è previsto l’uso notturno e gli ambienti interni degli impianti sportivi all’aperto, devono essere dotati di un impianto di illuminazione di sicurezza. L’impianto di illuminazione di sicurezza deve assicurare un livello di illuminazione non inferiore a 5 lux a 1 m di altezza dal piano di calpestio lungo le vie d’uscita; sono ammesse singole lampade con alimentazione autonoma che assicurino il funzionamento per almeno 1 ora. Il quadro elettrico generale deve essere ubicato in posizione facilmente accessibile, segnalata e protetta dall’incendio per consentire di porre fuori tensione l’impianto elettrico dell’attività. Impianti di riscaldamento e condizionamento. Per gli impianti di produzione di calore e di condizionamento si rimanda alle specifiche norme emanate dal Ministero dell’Interno. É vietato utilizzare mobili alimentati da combustibile solido, liquido o gassoso, per il riscaldamento degli ambienti. Impianto di rilevazione e segnalazione degli incendi Negli impianti al chiuso, con numero di spettatori superiore a 1.000 e negli ambienti interni degli impianti all’aperto con numero di spettatori superiore a 5.000, deve essere prevista l’installazione di un impianto fisso di rivelazione e segnalazione automatica degli incendi in grado di rivelare e segnalare a distanza un principio di incendio che possa verificarsi nell’ambito dell’attività. La segnalazione di allarme proveniente da uno qualsiasi dei rivelatori utilizzati deve sempre determinare una segnalazione ottica e acustica di allarme incendio nella centrale di controllo e segnalazione, che deve essere ubicata in un ambiente presidiato. Impianto di allarme Gli impianti al chiuso devono essere muniti di un impianto di allarme acustico in grado di avvertire i presenti delle condizioni di pericolo in caso di incendio. I dispositivi sonori devono avere caratteristiche e sistemazione tali da poter segnalare il pericolo a tutti gli occupanti dell’impianto sportivo o delle parti di esso coinvolte dall’incendio; il comando del funzionamento simultaneo dei dispositivi sonori deve essere posto in ambiente presidiato, può inoltre essere previsto un secondo comando centralizzato ubicato in un locale distinto dal precedente che non presenti particolari rischi di incendio. Il funzionamento del sistema di allarme deve essere garantito anche in assenza di alimentazione elettrica principale, per un tempo non inferiore a 30 min. Mezzi e impianti di estinzione degli incendi Estintori Tutti gli impianti sportivi devono essere dotati di un adeguato numero di estintori portatili. Gli estintori devono essere distribuiti in modo uniforme nell’area da proteggere, ed è comunque necessario che alcuni si trovino: • in prossimità degli accessi; • in vicinanza di aree di maggior pericolo. Gli estintori devono essere ubicati in posizioni facilmente accessibile e visibile; appositi cartelli segnalatori devono facilitarne l’individuazione, anche a distanza.
Gli estintori portatili devono avere capacità estinguente non inferiore a 13 A – 89 B; a protezione di aree e impianti a rischio specifico devono essere previsti estintori di tipo idoneo. Impianto idrico antincendio Gli idranti e i naspi, correttamente corredati, devono essere: • distribuiti in modo da consentire l’intervento in tutte le aree dell’attività; • collocati in ciascun piano negli edifici a più piani; • dislocati in posizione accessibile e visibile; • segnalati con appositi cartelli che ne agevolino l’individuazione a distanza. Gli idranti e i naspi non devono essere posti all’interno delle scale in modo da non ostacolare l’esodo delle persone. In presenza di scale a prova di fumo interne, al fine di agevolare l’intervento dei Vigili del Fuoco, gli idranti devono essere ubicati all’interno dei filtri a prova di fumo. • Gli impianti al chiuso con numero di spettatori superiore a 100 e fino a 1.000 devono essere almeno dotati di naspi DN 20; ogni naspo deve essere corredato da una tubazione semirigida realizzata a regola d’arte. I naspi possono essere collegati alla normale rete idrica, purchè questa sia in grado di alimentare, in ogni momento, contemporaneamente, oltre all’utenza normale, i due naspi ubicati in posizione idraulicamente più sfavorevole, assicurando a ciascuno di essi una portata non inferiore a 35 l/min e una pressione non inferiore a 1.5 bar, quando sono entrambi in fase di scarica. L’alimentazione deve assicurare una autonomia non inferiore a 30 min. Qualora la rete idrica non sia in grado di assicurare quanto sopra descritto, deve essere predisposta una alimentazione di riserva, capace di fornire le medesime prestazioni. • Gli impianti al chiuso con numero di spettatori superiore a 1.000 e quelli all’aperto con numero di spettatori a 5.000 devono essere dotate di una rete idranti DN 45. Ogni idrante deve essere corredato da una tubazione flessibile realizzata a regola d’arte. L’impianto idrico antincendio per idranti deve essere costituito da una rete di tubazioni, realizzata preferibilmente ad anello con colonne montanti disposte nei vani scala; da ciascun montante, in corrispondenza di ogni piano, deve essere derivato, con tubazioni di diametro interno non inferiore a 40 mm, un attacco per idranti DN 45; la rete di tubazioni deve essere indipendente da quella dei servizi sanitari. Le tubazioni devono essere protette dal gelo, da urti e qualora non metalliche dal fuoco. L’impianto deve avere caratteristiche idrauliche tali da garantire una portata minima di 360 l/min per ogni colonna montante e nel caso di più colonne, il funzionamento contemporaneo di almeno due. Esso deve essere in grado di garantire l’erogazione ai 3 idranti in posizione idraulica più sfavorita, assicurando a ciascuno di essi una portata non inferiore a 120 l/min con una pressione al bocchello di due bar. L’alimentazione deve assicurare un autonomia di almeno 60 min. L’impianto deve essere alimentato normalmente dall’acquedotto pubblico. Qualora l’acquedotto non garantisca la condizione di cui al punto precedente, dovrà essere realizzata una riserva idrica di idonea capacità. Il gruppo di pompaggio di alimentazione della rete antincendio deve essere realizzato da elettropompa con alimentazione elettrica di riserva (gruppo elettrogeno ad azionamento automatico) o da una motopompa con avviamento automatico. Negli impianti sportivi al chiuso con capienza superiore a 4.000 spettatori e in quelli all’aperto con capienza superiore a 10.000 spettatori deve essere prevista l’installazione all’esterno, in posizione accessibile e opportunamente segnalata, di almeno un idrante DN 70 da utilizzare per il rifornimento dei mezzi dei Vigili del Fuoco. Tale idrante dovrà assicurare una portata non inferiore a 460 l/min per almeno 60 min.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
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IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT NORME DI SICUREZZA E AGIBILITÀ
B.4. 2. A.ZIONI
Art.18. DISPOSITIVO DI CONTROLLO DEGLI SPETTATORI Negli impianti con capienza superiore a 20.000 spettatori, in occasione di manifestazioni calcistiche, deve essere previsto un impianto televisivo a circuito chiuso che consenta, da un locale appositamente predisposto e presidiato, l’osservazione della zona spettatori e dell’area di servizio annessa all’impianto e dei relativi accessi, con registrazione delle relative immagini. L’impianto deve consentire il riconoscimento del singolo spettatore anche per le manifestazioni che si tengono in orari notturni. Il Prefetto ha la facoltà di imporre l’adozione dei dispositivi di cui al comma precedente in tutti gli impianti in cui ne ravvisi la necessità sentito il parere della Commissione Provinciale di Vigilanza sui locali di pubblico spettacolo. Art.19. GESTIONE DELLA SICUREZZA Il titolare dell’impianto o complesso sportivo è responsabile del mantenimento delle condizioni di sicurezza; per tale compito può avvalersi di una persona appositamente incaricata, o di un suo sostituto, che deve essere presente durante l’esercizio dell’attività. Per garantire la corretta gestione della sicurezza deve essere predisposto un piano finalizzato al mantenimento delle condizioni di sicurezza, al rispetto dei divieti, delle limitazioni e delle condizioni di esercizio e a garantire la sicurezza delle persone in caso di emergenza. In particolare il piano, tenendo anche conto di eventuali specifiche prescrizioni imposte dalla Commissione Provinciale di Vigilanza, deve elencare le seguenti azioni concernenti la sicurezza a carico del titolare dell’impianto: • controlli per prevenire gli incendi; • istruzione e formazione del personale addetto alla struttura, ivi compreso esercitazioni sull’uso dei mezzi antincendio e sulle procedure di evacuazione in caso di emergenza; • informazione degli spettatori e degli atleti sulle procedure da seguire in caso di incendio o altra emergenza; • garantire il funzionamento, durante le manifestazioni, dei dispositivi di controllo degli spettatori di cui all’art.18; • garantire la perfetta fruibilità e funzionalità delle vie d’esodo; • garantire la manutenzione e l’efficienza dei mezzi e degli impianti antincendio; • garantire la manutenzione e l’efficienza o la stabilità delle strutture fisse o mobili della zona di attività sportiva e della zona spettatori; • garantire la manutenzione e l’efficienza degli impianti; • fornire assistenza e collaborazione ai Vigili del Fuoco e al personale adibito al soccorso in caso di emergenza. • predisporre il registro dei controlli periodici ove annotare gli interventi manutentivi e i controlli relativi all’efficienza degli impianti elettrici, dell’illuminazione di sicurezza, dei presidi antincendio, dei dispositivi di sicurezza e di controllo, delle aree a rischio specifico e dell’osservanza della limitazione dei carichi di incendio nei vari ambienti dell’attività ove tale limitazione è imposta. In tale registro devono essere annotati anche i dati relativi alla formazione del personale addetto alla struttura. Il registro deve essere mantenuto costantemente aggiornato e disponibile per i controlli da parte degli organi di vigilanza. La segnaletica di sicurezza deve essere conforme alla vigente normativa e alle prescrizioni di cui alla direttiva 92/58/CEE del 24 giugno 1992 e consentire, in particolare, la individuazione delle vie d’uscita, di servizi di supporto, dei posti di pronto soccorso e dei mezzi e impianti antincendio. Appositi cartelli devono indicare le prime misure di pronto soccorso. All’ingresso dell’impianto o complesso sportivo devono essere esposte bene in vista precise istruzioni relative al comportamento del personale e del pubblico in caso di sinistro e in particolare una planimetria generale per le squadre di soccorso che deve indicare la posizione:
• delle scale e delle vie di esodo; • dei mezzi e degli impianti di estinzione disponibili; • dei dispositivi di arresto degli impianti di distribuzione del gas e dell’elettricità; • del dispositivo di arresto dell’impianto di ventilazione; • del quadro generale del sistema di rivelazione di allarme; • degli impianti e locali che presentano un rischio speciale; • degli spazi calmi. A ciascun piano deve essere esposta una planimetria d’orientamento, in prossimità delle vie di esodo. La posizione e la funzione degli spazi calmi deve essere adeguatamente segnalata. In prossimità dell’uscita dallo spazio riservato agli spettatori, precise istruzioni, esposte bene in vista, devono indicare il comportamento da tenere in caso di incendio e devono essere accompagnate da una planimetria semplificata del piano, che indichi schematicamente la posizione in cui sono disposte le istruzioni rispetto alle vie di esodo. Le istruzioni devono attirare l’attenzione sul divieto di usare gli ascensori in caso di incendio. Art.20. COMPLESSI E IMPIANTI CON CAPIENZA NON SUPERIORE A 100 SPETTATORI O PRIVI DI SPETTATORI L’indicazione della capienza della zona spettatori deve risultare da apposita dichiarazione rilasciata sotto la responsabilità del titolare del complesso o impianto sportivo. Gli impianti al chiuso possono essere ubicati nel volume di altri edifici ove si svolgono attività di cui ai punti 64, 83, 84, 85, 86, 87, 89, 90, 91, 92, 94 e 95 del decreto del Ministero dell’Interno 16-2-1982; la separazione con tali attività deve essere realizzata con strutture REI 60; eventuali comunicazioni sono ammesse tramite filtri a prova di fumo aventi stesse caratteristiche di resistenza al fuoco. • L’impianto deve essere provvisto di non meno di due uscite di cui almeno una di larghezza non inferiore a due moduli (1,20 m); per la seconda uscita è consentita una larghezza non inferiore a 0,80 m. • Negli impianti al chiuso e per gli ambienti interni degli impianti all’aperto la lunghezza massima delle vie di uscita non deve essere superiore a 40 m o a 50 m se in presenza di idonei impianti di smaltimento dei fumi. • Le strutture, le finiture e gli arredi devono essere conformi alle disposizioni contenute nell’art.15, fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente di prevenzione incendi per le specifiche attività. • I depositi, ove esistenti, devono avere caratteristiche conformi alle disposizioni dell’art.16. • Gli impianti elettrici devono essere realizzati in conformità alla legge 10 marzo 1968, n.186, (GU n.77 del 23 marzo 1968); la rispondenza alle vigenti norme di sicurezza deve essere attestata con la procedura di cui alla legge 5-3-1990, n.46, e successivi regolamenti di applicazione. • Deve essere installato un impianto di illuminazione di sicurezza che assicuri un livello di illuminazione non inferiore a 5 lux a 1 m di altezza dal piano di calpestio lungo le vie di uscita. • Gli impianti al chiuso e gli ambienti interni degli impianti all’aperto devono essere dotati di un adeguato numero di estintori portatili. • Gli estintori portatili devono avere capacità estinguente non inferiore a 13A – 89B; a protezione di aree e impianti a rischio specifico devono essere previsti estintori di tipo idoneo. I servizi igienici della zona spettatori devono essere separati per sesso e costituiti da gabinetti dotati di porte apribili verso l’esterno, e dai locali di disimpegno. Ogni gabinetto deve avere accesso da apposito locale di disimpegno (ante WC) eventualmente servizio di più locali WC, nel quale devono essere installatigli orinatoi per il servizi uomini e almeno un lavabo. Almeno una fontanella di acqua potabile deve essere ubicata all’esterno dei servizi igienici. La dotazione minima deve essere di almeno un gabinetto per gli uomini e un gabinetto per le donne.
• Deve essere installata apposita segnaletica di sicurezza conforme alla vigente normativa e alle prescrizioni di cui alla direttiva 92/58/CEE del 24 giugno 1992 che consenta la individuazione delle vie di uscita, del posto di pronto soccorso e dei mezzi antincendio; appositi cartelli devono indicare le prime misure di pronto soccorso. • Per lo spazio e la zona di attività sportiva si applicano le disposizioni contenute nell’art.6 e nell’ultimo comma dell’art.8. • Per le piscine si applicano le prescrizioni contenute nell’art.14. I suddetti impianti devono essere conformi oltre che alle disposizioni del presente articolo anche ai regolamenti del CONI e delle Federazioni Sportive Nazionali, riconosciute dal CONI Art.21. NORME TRANSITORIE Su specifica richiesta della Commissione Provinciale di Vigilanza e comunque ogni 10 anni a far data dal certificato di collaudo statico, anche per gli impianti o complessi sportivi esistenti deve essere prodotto alla Prefettura competente per territorio, e al Comune, un certificato di idoneità statica dell’impianto, rilasciato da tecnico abilitato. Gli impianti e complessi sportivi già agibili alla data di entrata in vigore del presente decreto devono comunque adeguarsi agli articoli 18 e 19 entro due anni dall’entrata in vigore del presente decreto. Gli impianti e complessi sportivi in fase di costruzione alla data di entrata in vigore del presente decreto possono comunque adeguarsi integralmente alle presenti disposizioni. Art.22. DEROGHE Qualora in ragione di particolari situazioni non fosse possibile adottare qualcuna della prescrizioni stabilite dai precedenti articoli, a esclusione degli articoli nn.4, 8, 9, 15, 16 e 17 afferenti alla sicurezza antincendio per i quali si applicano le procedure di cui all’art.21 del DPR 29 luglio 1982, n.577, la Prefettura competente per territorio, sentita la Commissione Provinciale di Vigilanza, a cui deve essere chiamato a far parte un delegato tecnico del CONI, ha facoltà di concedere specifiche deroghe nei casi in cui, attraverso l’adozione di misure alternative, venga assicurato agli impianti un grado di sicurezza equivalente a quello risultante dall’applicazione integrale delle presenti disposizioni. Art.23. COMMERCIALIZZAZIONE CEE I prodotti legalmente riconosciuti in uno dei Paesi della Comunità Europea sulla base di norme armonizzate o di norme o regole tecniche straniere riconosciute equivalenti, ovvero originari di Paesi contraenti l’accordo SEE, possono essere commercializzati in Italia per essere impiegati nel campo di applicazione disciplinato dal presente decreto. Nelle more della emanazione di apposite norme armonizzate, agli estintori, alle porte e agli elementi di chiusura per i quali è richiesto il requisito di resistenza al fuoco, nonché ai prodotti per i quali è richiesto il requisito di reazione al fuoco, si applica la normativa italiana vigente, che prevede specifiche clausole di mutuo riconoscimento, concordate con i servizi della Commissione CEE, stabilite nei seguenti decreti del Ministro dell’Interno: • decreto 12 novembre 1990 per gli estintori portatili; • decreto 5 agosto 1991 per i materiali ai quali è richiesto il requisito di reazione al fuoco; • decreto 6 marzo 1992 per gli estintori carrellati; • decreto 14 dicembre 1993 per le porte e per gli altri elementi di chiusura ai quali è richiesto il requisito di resistenza al fuoco.
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CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
Art.24. DISPOSIZIONI FINALI Restando ferme le disposizioni contenute nella legge 9 gennaio 1989, n.13, relative alla eliminazione delle barriere architettoniche.
A . REZZ B.4.2E DI SICU M R NO ILITÀ E AGIB
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B.4. 3.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRESCRIZIONI PER LA PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DI IMPIANTI SPORTIVI
QUADRO DI SINTESI DELLA TRATTAZIONE SICUREZZA STATICA
BENESSERE AMBIENTALE E IGIENE
• Sicurezza statica dell’impianto sportivo nel suo insieme
• Requisiti termoigrometrici
• Sicurezza statica dell’impianto sportivo “palestra” • Sicurezza statica dell’impianto sportivo “piscina” • Sicurezza statica delle pareti portate esterne leggere
a. Unità ambientali: servizi igienici, docce, locali deposito, locali di transito Trasmittanza Protezione delle superfici verticali trasparenti
a. Resistenza alle sollecitazioni del vento
b. Unità ambientali: locali impianti tecnologici Trasmittanza Protezione delle superfici verticali trasparenti
b. Resistenza agli urti di sicurezza Urti esterni Urti interni
c. Unità ambientali: atrii, depositi abiti, uffici, spazio palestra, sala di preatletismo Trasmittanza Protezione delle superfici verticali trasparenti
c. Resistenza agli urti accidentali Urti esterni Urti interni
d. Unità ambientale: locale controllo Trasmittanza Protezione delle superfici verticali trasparenti
d. Resistenza agli urti di scuotimento
e. Unità ambientale: sauna Trasmittanza Protezione delle superfici verticali trasparenti
e. Resistenza all’urto di corpi molli Urti esterni, pareti del piano terra Urti interni, pareti del piano terra Urti esterni, pareti dei piani superiori al piano terra Urti interni, pareti dei piani superiori al piano terra f. Resistenza agli “urti duri” Urti esterni, pareti del piano terra Urti interni, pareti del piano terra Urti esterni, pareti dei piani superiori al piano terra Urti interni, pareti dei piani superiori al piano terra • Sicurezza statica delle pareti portate interne leggere a. Resistenza all’urto pesante b. Resistenza all’urto duro c. Resistenza ai carichi eccentrici • Sicurezza statica dei serramenti esterni a. Finestre: resistenza alle sollecitazioni del vento b. Finestre: resistenza agli urti di sicurezza
f. Unità ambientale: sala vasche Trasmittanza Protezione delle superfici verticali trasparenti • Requisiti di tenuta e impermeabilità a. Unità ambientali: spazio palestra, sala di preatletismo, atrii, spogliatoi, uffici, deposito abiti, locali di deposito, locali impianti tecnologici Tenuta all’aria Tenuta all’acqua di pioggia Tenuta all’acqua sotterranea b. Unità ambientali: servizi igienici, docce, saune Tenuta all’aria Tenuta all’acqua di pioggia Tenuta all’acqua sotterranea Impermeabilità all’acqua e al vapore c. Unità ambientale: sala vasche Tenuta all’aria Tenuta all’acqua di pioggia Tenuta all’acqua sotterranea Caratteristiche dei materiali e dei rivestimenti
c. Finestre: resistenza agli urti duri d. Porte esterne: resistenza agli urti di sicurezza e. Porte esterne: resistenza agli urti di scuotimento f. Porte esterne: resistenza agli urti duri • Sicurezza statica dei serramenti interni a. Porte interne
MANUTENZIONE E GESTIONE • Contenimento dei consumi energetici
• Stabilità dei sovraimpalcati • Manutenzione • Stabilità dei controsoffitti • Durabilità • Resistenza ai fenomeni di degradazione
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SICUREZZA AGLI INCENDI
• Attrezzabilità Pareti interne attrezzate per il passaggio di canalizzazioni Pareti interne attrezzate per impianti di utilizzazione elettrica
• Resistenza al fuoco degli elementi costruttivi
• Manovrabilità dei serramenti
• Reazione al fuoco dei materiali – Definizioni e articolazioni
• Caratteristiche superficiali e rivestimenti
• Categoria di reazione al fuoco dei materiali
• Rivestimento e percettibilità delle porte
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRESCRIZIONI PER LA PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DI IMPIANTI SPORTIVI
B.4. 3.
SICUREZZA STATICA
A.ZIONI
SICUREZZA STATICA DELL’IMPIANTO SPORTIVO NEL SUO INSIEME L’impianto sportivo nel suo insieme deve garantire adeguate condizioni di sicurezza statica in relazione alle sollecitazioni statiche e dinamiche derivanti sia dalle attività svolte nell’ambito dell’impianto sportivo sia da cause esterne all’impianto stesso. Le condizioni di sicurezza devono essere verificate nell’insieme dell’organismo, nelle singole parti costituenti e negli elementi costruttivi componenti. Devono sussistere inoltre idonee condizioni di sicurezza ai carichi e sovraccarichi nelle condizioni eccezionali tenendo conto delle sollecitazioni e della loro combinazione dovute a: • peso proprio; • sovraccarichi accidentali o permanenti; • azioni sismiche; • cedimenti del terreno; • azione del vento; • vibrazioni; • movimenti dell’ossatura portante; • deformazioni termiche; • spinte delle terre. I carichi da assumere nel progetto sono quelli indicati nelle “Ipotesi di carico sulle costruzioni” CNR UNI 10012/67, per quanto non specificato di seguito. Le strutture dell’edificio, sia nell’insieme che nelle singole parti, dovranno altresì essere progettate secondo le vigenti norme tecniche per le costruzioni in zona sismica in relazione al grado di sismicità della località in cui sorgerà l’impianto sportivo; in particolare devono essere rispettate le prescrizioni contenute nella seguente normativa: • Legge 2 febbraio 1974 n.64 “Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche”; • DM 3 marzo 1975 “Approvazione delle norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche”. Con riferimento all’art.88 del DM 3 marzo 1975 si precisa che ogni elemento della costruzione strutturale e non, dovrà essere verificato per la sollecitazione di progetto più sfavorevole e fra quella indotta dal sisma e quella del vento. Quale che sia la struttura impiegata, la determinazione dei parametri di sollecitazione sulle varie membrature sarà effettuata con i metodi della scienza della costruzione, basati sulla ipotesi della elasticità lineare dei materiali o dell’elastoplasticità (stati limite). Per le opere in c.a. ordinario, precompresso e a struttura metallica vale quanto specificato nella legge 5 novembre 1971 n.1086 e relative Norme Tecniche per l’esecuzione delle opere emanate ai sensi dell’art.21 della legge stessa. Per la realizzazione degli impianti mediante procedimento costruttivo a grandi pannelli dovranno essere utilizzati solamente quei procedimenti dotati di certificato di idoneità tecnica da parte del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, in relazione anche a eventuale utilizzazione in zone sismiche. Tali procedimenti dovranno comunque osservare le prescrizioni contenute nella Circolare Ministero dei lavori pubblici. n.6090 del 11 agosto 1969 “Norme per la progettazione, il calcolo, l’esecuzione e il collaudo di costruzioni con strutture prefabbricate in zone sismiche e asismiche”. Nel progetto delle strutture, oltre a rispettare i metodi di verifica sopra richiamati, si dovrà in ogni caso garantire un’adeguata rigidezza e resistenza sotto azioni laterali, con un’adeguata distribuzione in pianta degli elementi resistenti e dovranno sempre essere realizzate sezioni dotate di sufficiente duttilità al fine di consentire, in particolare per le zone sismiche, il superamento dei limiti di elasticità senza che si manifestino rotture o collassi improvvisi. L’impianto sportivo nel suo insieme deve inoltre garantire in relazione alle condizioni d’uso delle varie unità ambientali e secondo quanto specificato nella presente parte, la resistenza alle azioni dinamiche dovute a: • urti di sicurezza; • urti accidentali; • urti di scuotimento; • urti duri. I solai, qualunque sia il tipo adottato, dovranno avere un grado di rigidezza tale da evitare inconvenienti di qualsiasi genere (deformazione delle strutture, distacchi da altri elementi della costruzione, fessurazione dei pavimenti, ecc.). Salvo eventuali maggiori valori risultanti da particolari condizioni d’uso e oltre quanto specificato nella norma CNR UNI 10012/67, dovranno essere adottati i seguenti sovraccarichi accidentali: • per coperture non praticabili – 150 Kg/mq; • per palestre sala ginnastica preparatoria – 500 Kg/mq; • per gradinate pubblico – 600 Kg/mq; • per tutte le altre unità ambientali – 350 Kg/mq.
SICUREZZA STATICA DELL’IMPIANTO SPORTIVO “PALESTRA” Particolare cura dovrà porsi nei casi in cui sono previsti carichi concentrati, soprattutto di natura dinamica e in relazione alle attività che inducono particolari sollecitazioni.
SICUREZZA STATICA DELL’IMPIANTO SPORTIVO “PISCINA” La struttura del bacino della vasca deve essere progettata e costruita in modo da assicurare la stabilità e la integrità del manufatto in funzione dei carichi previsti sia nelle condizioni di completo riempimento che in quelle di completo svuotamento del bacino, tenendo conto delle dilatazioni termiche, delle condizioni grosmorfologiche e delle interazioni con le altre strutture contigue.
Particolare cura dovrà essere posta nella progettazione e realizzazione del giunto di dilatazione corrispondente alla soletta della pavimentazione della fascia di rispetto della vasca, onde evitare inconvenienti di qualsiasi genere (deformazione delle strutture, distacchi da altri elementi della costruzione, fessurazione dei pavimenti, ecc.).
SICUREZZA STATICA DELLE PARETI PORTATE ESTERNE LEGGERE Per le pareti portate esterne, oltre quanto specificato ai capoversi precedenti, dovrà essere verificato quanto segue. A. RESISTENZA ALLE SOLLECITAZIONI DEL VENTO Le pareti portate esterne, ivi compresi i loro organi di fissaggio alla ossatura portante, dovranno essere tali da consentire che, sotto l’azione delle pressioni e depressioni dovute al vento, le regole di qualità rimangano sempre soddisfatte. In particolare: • la freccia propria di tutta o di parte della facciata non dovrà arrecare alcun disturbo agli occupanti; • la manovrabilità delle parti mobili non dovrà risentire della deformazione; • i rivestimenti esterni e interni dovranno essere fissati in modo tale da non potersi staccare; • i giunti di tenuta dovranno conservare piena efficienza. B. RESISTENZA AGLI URTI DI SICUREZZA (URTO DI CORPI MOLLI) Gli urti di sicurezza sono simulati e verificati per mezzo di un sacco riempito di sabbia, di massa pari a 50 Kg. (v. figura). Per il riempimento viene utilizzata sabbia di fiume silicocalcarea di granulometria 0,5 mm e di densità apparente allo stato secco di circa 1,55÷1,60. La prova avviene con movimento pendolare contro la facciata verticale. La posa è effettuata con gli stessi organi di fissaggio che verranno realmente impiegati, entro una intelaiatura che rappresenta la struttura di massa e forma tale che gli spostamenti e le deformazioni sotto un urto di 1000 joule siano nulli o trascurabili. L’urto viene applicato nei punti dell’elemento giudicati meno resistenti, situati a un’altezza dal solaio compresa tra 0,70 e 1,20 m. Urti esterni Le ossature o gli elementi composti autoresistenti e i loro organi di fissaggio devono resistere senza deformazioni né deterioramento alcuno a un urto con energia di impatto pari a 1000 joule (100 Kg/m). Le pareti non trasparenti delle facciate leggere devono resistere all’azione di un urto di impatto pari a 1000 joule (100 Kg/m). L’eventuale elemento costituente la faccia esterna non deve essere né attraversato né asportato. L’eventuale elemento costituente la faccia interna non deve essere deteriorato. L’urto di sicurezza di 1000 joule sarà realizzato con una altezza di caduta di 2 m. Urti interni Le ossature o gli elementi composti autoresistenti e i loro organi di fissaggio devono resistere senza deformazioni nè deterioramento alcuno a un urto con energia di impatto pari a 1000 joule (100 Kg/m). Le pareti non trasparenti delle facciate leggere devono resistere all’azione di un urto di impatto pari a 1000 joule (100 Kg/m). L’eventuale elemento costituente la faccia esterna non deve essere nè attraversato nè asportato. Non deve verificarsi la caduta di frantumi, di elementi che possano causare ferite alle persone che si trovano all’esterno. L’energia dell’urto sarà ridotta a 750 joule per le pannellature a sviluppo orizzontale a condizione che sia previsto un elemento che funga da parapetto e che questo elemento resista a un urto producente un’energia di 1000 joule. L’urto di sicurezza di 750 joule sarà realizzato con una altezza di caduta di 1,50 m. C. RESISTENZA AGLI URTI ACCIDENTALI Le modalità di prova sono le stesse di quelle adottate per la resistenza agli urti di sicurezza. L’urto di sicurezza di 750 joule sarà realizzato con una altezza di caduta di 1,50 m. L’urto di sicurezza di 600 joule sarà realizzato con una altezza di caduta di 1,20 m. Urti esterni Per i fronti non prospicienti strade, le facce esterne delle parti non trasparenti delle pareti esterne devono resistere senza deterioramenti agli urti accidentali producenti una energia di impatto di 750 joule. Qualora venga accertato che la parete esterna è facilmente sostituibile, l’energia di impatto verrà ridotta a 600 joule. Dal punto di vista della rottura si può considerare facilmente sostituibile” qualsiasi parte della costruzione che in ogni momento possa essere sostituita rapidamente, il ché chiede: • facilità di rimozione e sostituzione dall’interno o dall’esterno; • facilità di approvvigionamento; • possibilità di ristabilire immediatamente a titolo provvisorio la sicurezza e il comfort essenziali. Urti interni La faccia esterna della parete deve resistere senza deterioramenti agli urti accidentali producenti una energia di impatto di 750 joule. Detta energia verrà ridotta a 600 joule qualora si tratti di pannello di tamponamento per parapetti. La faccia interna della parete deve resistere senza deterioramenti all’azione degli urti umani accidentali producenti una energia di impatto di 750 joule. Per i parapetti tale energia viene ridotta a 600 joule. Nel caso di una faccia interna facilmente sostituibile, come pure per gli elementi di controparete, l’energia di impatto verrà ridotta a 300 joule.
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CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
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B.4. 3.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRESCRIZIONI PER LA PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DI IMPIANTI SPORTIVI ➦ SICUREZZA STATICA D. RESISTENZA AGLI URTI DI SCUOTIMENTO Il soddisfacimento a questo requisito è conseguito attraverso l’esito positivo della seguente prova: si lascia cadere da un’altezza pari a 1,20 m un pallone di cuoio di circa 20 cm di diametro, riempito di sabbia fine (0,5 mm) e di massa pari a 5 kg. Gli urti del pallone possono essere dati sia per caduta verticale che per movimento pendolare. L’urto è applicato 10 volte nella stessa posizione. I dispositivi di assemblaggio e gli organi di fissaggio delle pareti o degli elementi di riempimento non devono presentare alcun inconveniente allorquando siano sollecitati da urti ripetuti producenti una energia di impatto di 60 joule. E. RESISTENZA ALL’URTO DI CORPI MOLLI Il soddisfacimento a questo requisito è conseguito mediante l’esito positivo di prove effettuate per mezzo di una palla di massa di 3 Kg che colpisce l’elemento da provare sotto un angolo di 90°. La palla di forma sferica con diametro di 10 cm è costituita di un involucro di 10÷15 mm di spessore in gomma flessibile, telata o trattata con materiale equivalente, riempito di sabbia fine 0÷2 mm (miscela di sabbia e graniglia di piombo), la cui massa è di 3 Kg. Le modalità di applicazione d’urto e la scelta dei punti di impatto sono gli stessi della prova di urto duro; la lunghezza del pendolo in questo caso è almeno uguale a 3 m. Urti esterni, pareti del piano terra Per i fronti non prospicienti strade, le facce esterne delle parti devono resistere senza deterioramento agli urti di corpi molli producenti una energia convenzionale d’impatto di 60 joule. L’urto del corpo molle per il piano terra sarà realizzato con un’altezza di caduta di 2 m. Urti interni, pareti del piano terra La faccia interna della parete deve resistere senza deterioramento agli urti di corpi molli aventi convenzionalmente una energia di impatto limitata a 30 joule. Qualora venisse accertato che la faccia è facilmente sostituibile” l’energia verrà ridotta a 10 joule. Per un’energia di impatto di 30 joule l’altezza di caduta sarà di 1 m e per 10 joule sarà di 0,33 m. Urti esterni, pareti dei piani superiori al piano terra Le faccia esterna delle parti deve resistere senza deterioramento agli urti di corpi molli producenti una energia convenzionale d’impatto di 10 joule. Per un’energia di impatto di 10 joule l’altezza di caduta sarà di 0,33 m. Urti interni, pareti dei piani superiori al piano terra Si richiedono gli stessi requisiti del piano terra. F. RESISTENZA AGLI URTI DURI Il soddisfacimento a questo requisito è conseguito mediante l’esito positivo di prove effettuate per mezzo di una biglia di acciaio che colpisce l’elemento da provare sotto un angolo di 90°. L’elemento da provare viene immobilizzato sia in posizione orizzontale che in posizione verticale. Nel primo caso l’urto sarà realizzato per caduta verticale della biglia, senza velocità iniziale, dall’altezza prescritta. Nel secondo caso l’urto sarà dato da movimento pendolare con centro situato sulla verticale del punto di impatto e con raggio almeno uguale a 1,50 m; il dislivello dal punto di lancio della biglia senza velocità iniziale e il punto di impatto sarà pari all’altezza di caduta prescritta. I punti di impatto saranno scelti in considerazione dei diversi comportamenti dei paramenti e dei loro rivestimenti, secondo che si trovi in una zona a rigidità maggiore (ad esempio: vicinanza di piegatura in paramenti metallici) o lungo una traversa o lungo l’intelaiatura dell’elemento al quale il paramento sarà fissato. Urti esterni, pareti del piano terra Per i fronti non prospicienti strade, le facce esterne delle parti devono resistere senza deterioramento agli urti di corpi duri producenti una energia convenzionale d’impatto di 10 joule. L’urto del corpo duro per il piano terra sarà realizzato con una biglia di acciaio di massa pari a 1000 gr (diametro di 6,15 cm) e con un’altezza di caduta di 1 m. Urti interni, pareti del piano terra La faccia interna della parete deve resistere senza deterioramento agli urti di corpi duri aventi una energia convenzionale di impatto pari a 3,75 joule. L’urto sarà realizzato con una biglia di acciaio di massa pari a 500 gr (diametro 49,5 cm) e un’altezza di caduta di 0,75 m. Urti esterni, pareti dei piani superiori al piano terra È richiesta la resistenza a urti duri di energia di impatto convenzionale pari a 3,75 joule. L’urto sarà realizzato con una biglia di acciaio di 500 gr (diametro 49,5 cm) e altezza di caduta di 0,75 m. Urti interni, pareti dei piani superiori al piano terra Si richiedono gli stessi requisiti del piano terra.
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SICUREZZA STATICA DELLE PARETI PORTATE INTERNE LEGGERE Le modalità di prova relative ai requisiti specificati nel presente paragrafo, riguardanti specificatamente le tramezzature in gesso, vengono estese per analogia alle tramezzature leggere aventi pesi P ≤ 200 Kg/mq (tramezzature realizzate con prodotti vetrosi, lignei, fibrosi e plastici). A. RESISTENZA ALL’URTO PESANTE Il soddisfacimento di questo requisito è ottenuto attraverso l’esito positivo delle seguenti prove e secondo le seguenti definizioni dei modelli di prova. Si considerano due casi, a seconda della concezione del sistema esaminato. 1° caso Caso dei sistemi che non prevedono alcun appoggio dei tramezzi oltre ai collegamenti orizzontali superiori e inferiori ai soffitti e ai pavimenti. La prova è eseguita su modelli di 2,50 m di altezza e di 1,50 m di larghezza, collegati nella parte alta e bassa a una struttura rigida, indeformabile e stabile. Nel caso comune di tramezzi collegati alla struttura mediante scanalatura sigillata in gesso, o con ancoraggio con zanche murate o con travettino in gesso armato, questo modo di collegamento può essere convenzionalmente sostituito da un’opportuna schematizzazione. 2° caso Caso dei sistemi che necessitano, oltre ai collegamenti superiori e inferiori, di collegamenti a tramezzi o irrigidimenti verticali intermedi distanziati di meno di 4 m. La prova viene eseguita su modelli di 2,50 m di altezza e di larghezza uguale alla massima distanza degli irrigidimenti verticali dichiarata dal fabbricante. I modelli sono collegati nella parte superiore e inferiore a una struttura rigida indeformabile e stabile e ai lati agli irrigidimenti verticali, fissati rigidamente in alto e in basso al dispositivo di prova; in assenza di una definizione precisa degli irrigidimenti essi vengono costituiti da pali di legno di sezione quadrata di spessore uguale a quello del tramezzo, mentre il collegamento al tramezzo è assicurato da sigillatura in gesso dopo il fissaggio con zanche murate o grossi chiodi di forma particolare. Nel caso comune di tramezzi collegati alla struttura mediante scanalatura sigillata in gesso, o con ancoraggio con zanche murate o con travettino in gesso armato, questo modo di collegamento può essere convenzionalmente sostituito da un’opportuna schematizzazione. In entrambi i casi sopra menzionati, la prova è eseguita su almeno due modelli identici, dopo un sufficiente essiccamento dei materiali applicati nel montaggio, in ogni modo mai prima di sette giorni dal montaggio. Un sacco di tela cilindrico, di 25 cm di diametro, riempito di sabbia silicea asciutta fino a un peso di 300 newtons (30 Kgf), viene sospeso in un punto situato nel piano perpendicolare al tramezzo e passante per l’asse dello stesso a 15 cm di distanza dal paramento del tramezzo; la lunghezza del pendolo è tale che il contatto del sacco avvenga a metà altezza del tramezzo. Si lascia successivamente cadere il sacco con movimento pendolare e senza velocità iniziale da altezze di 20 cm, 40 cm, 60 cm, 80 cm, misurate a partire dalla posizione di equilibrio. Per ognuno di questi urti che producono un’energia di impatto rispettivamente uguale a 60, 120, 180, 240 joule, si misurano la freccia istantanea e la freccia residua e si procede a un esame delle fessurazioni o, eventualmente, delle altre deteriorazioni. Per classificare il tramezzo la prova può essere proseguita con altezze di caduta crescenti ogni volta 20 cm fino a raggiungere la rottura. Il resoconto delle prove comporta i diagrammi delle frecce istantanee e residue in funzione delle altezze successive di caduta del sacco e il resoconto delle fessurazioni e degli altri danni. Il tramezzo finito e asciutto e i suoi elementi di fissaggio devono resistere senza deformazioni residue permanenti e senza danni visibili a un urto pesante che produca un’energia di impatto di 120 joule e non devono rompersi per un’energia di impatto di 240 joule. B. RESISTENZA ALL’URTO DURO Il soddisfacimento di questo requisito è ottenuto attraverso l’esito positivo della seguente prova: gli elementi costitutivi del tramezzo vengono sottoposti all’urto di una sfera di acciaio di 515 gr (50 mm di diametro) che cade liberamente da altezze progressivamente crescenti di 25 cm in 25 cm fino a 2,00 m. La prova, che si effettua su elementi semplicemente appoggiati alle estremità, deve essere fatta sulle zone supposte di minore resistenza. Si rilevano i diametri delle impronte lasciate dalla sfera sulla superficie del tramezzo e eventualmente gli altri danni provocati. Il comportamento del tramezzo è valutato soddisfacente quando il diametro dell’impronta lasciata dalla sfera che cade da un’altezza di 50 cm non supera i 20 mm e questa altezza di caduta non provoca altri danni alla superficie del tramezzo; inoltre il tramezzo non deve essere attraversato dalla sfera lanciata da un’altezza di caduta pari o inferiore a 2,00 m. Il tramezzo finito e asciutto deve sopportare l’azione di urti duri in modo tale che un urto che abbia energia di impatto di 2,5 joule provochi soltanto deterioramenti superficiali, senza causare crepe o fori nel tramezzo. C. RESISTENZA AI CARICHI ECCENTRICI Il soddisfacimento di questo requisito è ottenuto attraverso l’esito positivo della seguente prova. Un peso di 100 Kgf agente parallelamente al tramezzo a 30 cm dal paramento deve essere sopportato da due mensole fissate ciascuna in due punti distanti 15 cm, disposizione che corrisponde ad avere in ogni punto di fissaggio una forma normale di strappamento o di penetrazione di 100 Kgf. Deve essere specificato se il carico indicato è sopportato con sistemi particolari (ad esempio con avvitamento su tasselli fissati con intonaco collante all’interno del tramezzo) oppure con sistemi ordinari.
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B.4. 3. A.ZIONI
SICUREZZA STATICA DEI SERRAMENTI ESTERNI Per i serramenti esterni dovrà essere verificato, oltre quanto specificato per l’impianto nel suo insieme, quanto segue. A. FINESTRE: RESISTENZA ALLE SOLLECITAZIONI DEL VENTO La finestra in posizione di chiusura o di apertura bloccata deve resistere alle sollecitazioni prodotte dalla pressione o depressione del vento. Sotto questo carico la finestra non deve: • deteriorarsi; • spostarsi dalla posizione nella quale è fissata; • presentare dei rischi di apertura brutale o di rottura per effetto di una brusca pressione. In relazione alla resistenza al carico del vento i serramenti sono sottoposti a tre prove distinte e successive, secondo le modalità descritte dalla norma UNI EN 77: • prova di deformazione fino a P1 in pressione o depressione; • prova di pressione e/o depressione ripetuta n volte fino alla pressione P2; • prova di sicurezza alla pressione e/o depressione fino alla pressione massima P3. In Italia sono stabilite tre pressioni sperimentali: P1
pressione massima normale corrispondente a quella derivabile dalla norma CNR UNI 10012 che viene gradualmente raggiunta misurando spostamenti e deformazioni (prove di deformazione);
P2
pressione di pulsazione fissata convenzionalmente in 0,8 P1 (prove ripetute);
P3
pressione massima eccezionale fissata convenzionalmente pari a 1,8 P1 alla quale si effettua una verifica di sicurezza (prove di sicurezza).
n.
Il numero di cicli (n) è fissato in 50.
Le finestre si classificheranno, da questo punto di vista, in tre categorie, secondo il livello di pressione e/o di depressione cui esse avranno resistito, intendendo per resistito”: • il fatto che dopo la prova di deformazione e quella di pressione e/o depressione ripetuta, la finestra non ha subito alcuna alterazione (la manovra resta facile e la classifica di permeabilità all’aria non è stata modificata); • al momento della prova di sicurezza, la finestra non si è rotta o non si è aperta bruscamente. I diversi livelli di pressione o depressione cui le finestre delle diverse categorie devono resistere sono riassunte nella seguente tabella: PRESSIONE O DEPRESSIONE IN PASCAL categoria
prove di deformazione
prove ripetute
prove di sicurezza
V1
500
300
1000
V2
1000
750
2000
V3
1750
1250
3000
Nella scheda informativa relativa ai serramenti esterni dovrà essere specificata la classe di appartenenza, secondo la descritta classificazione, in relazione alla resistenza al carico del vento. B. FINESTRE: RESISTENZA AGLI URTI DI SICUREZZA Per le modalità di prova di resistenza delle finestre agli urti di sicurezza valgono le stesse prescrizioni riportate per le pareti portate esterne leggere”. Inoltre si specifica quanto segue. Se la traversa inferiore della finestra è situata a una altezza minore di 0,90 m dal livello del pavimento e se la parte bassa della finestra non è protetta da un’attrezzatura o dispositivo tale da assicurare la sicurezza su una altezza minima di 0,90 m, è necessario: • che la parte trasparente o traslucida della finestra resista all’urto di sicurezza previsto per gli elementi di facciata leggera all’altezza di piano (urto di 1000 joule). Oppure: • che esista una traversa (traversa di sicurezza) disposta tra 0,90 m e 1,10 m resistente a urti di sicurezza (1000 joule); • che il tamponamento della finestra sotto questa traversa resista ugualmente agli urti di sicurezza previsti per i parapetti (750 joule) se la distanza tra la traversa inferiore e la traversa detta di sicurezza supera i 0,30 m. Nel caso in cui esistono delle imposte apribili sotto la traversa di sicurezza, il dispositivo di apertura deve comportare un sistema di manovra inaccessibile ai bambini e munito di un meccanismo di bloccaggio. C. FINESTRE: RESISTENZA AGLI URTI DURI Il soddisfacimento di questo requisito, richiesto per finestre e porte-finestre la cui traversa inferiore verrà a situarsi all’altezza del pavimento, è ottenuto attraverso l’esito positivo della seguente prova. Gli elementi costitutivi della finestra, collocati orizzontalmente e semplicemente appoggiati alle estremità, e sottoposti, in un punto posto a 10 cm al di sopra della parte situata a livello del pavimento, all’urto di una sfera di acciaio di 500 gr cadente liberamente da un’altezza di 0,75 m non dovranno mostrare alcun deterioramento che ne metta in causa in modo inammissibile l’aspetto.
D. PORTE ESTERNE: RESISTENZA AGLI URTI DI SICUREZZA Il soddisfacimento di questo requisito è ottenuto attraverso l’esito positivo della seguente prova. La prova è eseguita su una porta completamente montata in un telaio in posizione chiusa. Un sacco di tela cilindrico, di 25 cm di diametro e di 60 cm di altezza viene riempito di sabbia silicea asciutta fino a raggiungere la massa di 30 Kg. Il sacco è montato a pendolo secondo lo schema della figura. La prova viene eseguita con un’altezza di caduta di 0,20 m per gli urti da 60 joule o di 0,40 m per gli urti da 120 joule. Si annotano dopo ogni urto le degradazioni visibili e le eventuali deformazioni permanenti. Dopo le serie di tre urti ha luogo un esame approfondito per scoprire eventuali deterioramenti interni. Infine si procede alla prova di urto di 240 joule da un’altezza di caduta di 0,80 m. La accettabilità delle porte esterne sarà determinata dalla verifica delle seguenti condizioni. Facce interne Il battente normalmente montato, il suo fissaggio, la sospensione e la chiusura devono resistere senza deformazioni permanenti moleste e senza deterioramento a tre urti molli che producano un’energia di impatto di 60 joule applicata vicino alla maniglia. Le parti fisse e il loro fissaggio devono resistere senza deformazioni permanenti moleste e senza deterioramento a tre urti molli che producano un’energia di impatto di 120 joule applicati all’altezza della maniglia su ogni faccia. Facce esterne Le diverse parti piene della porta normalmente montata, battente e parti fisse, come pure la sospensione, il fissaggio e la chiusura devono resistere senza deformazioni permanenti moleste e senza deterioramento a tre urti molli che producano un’energia di impatto di 120 joule applicata all’altezza della maniglia su ogni faccia. E. PORTE ESTERNE: RESISTENZA AGLI URTI DI SCUOTIMENTO Il soddisfacimento di questo requisito è ottenuto attraverso l’esito positivo della seguente prova. La prova è eseguita su una porta completamente montata in un telaio in posizione chiusa. Si monta a pendolo, come nel caso precedente, un involucro di cuoio da pallone di calcio regolamentare di diametro esterno di circa 20 cm riempito di sabbia silicea asciutta per raggiungere una massa di 5 Kg. L’altezza di caduta è di 0,60 m. (urto di 30 joule). Gli urti (10 o 20 secondo i casi) vengono applicati nello stesso punto della porta in vicinanza del suolo, il più vicino possibile al montante del battente. Si prende nota dopo ogni urto dei deterioramenti visibili e delle eventuali deformazioni permanenti. Dopo la serie completa di urti si fa un esame approfondito per scoprire eventuali deterioramenti interni. Tutte le parti piene della porta normalmente montata, battente e parti fisse, come pure la sospensione, il fissaggio e la chiusura devono resistere senza deformazioni permanenti moleste e senza deterioramento a 10 urti di scuotimento che producano un’energia di impatto di 30 joule applicati alla parte inferiore. Tutte le parti piene della porta normalmente montata, battente e parti fisse, come pure la sospensione, il fissaggio e la chiusura devono resistere senza deformazioni permanenti moleste e senza deterioramento a 20 urti di scuotimento che producano un’energia di impatto di 30 joule applicati alla parte inferiore. F. PORTE ESTERNE: RESISTENZA AGLI URTI DURI Il soddisfacimento di questo requisito è ottenuto attraverso l’esito positivo della seguente prova. Gli elementi costitutivi della porta, collocati orizzontalmente e semplicemente appoggiati alle estremità, vengono sottoposti sulle zone supposte di minore resistenza all’urto di una sfera di acciaio di 500 gr cadente liberamente da un’altezza di 0,75 m o di 2,00 m, secondo i casi. Si rilevano i diametri delle impronte lasciate dalla sfera e, eventualmente gli altri deterioramenti provocati. Sotto l’azione di urti duri che producano un’energia di impatto di 10 joule si esige che si producano al massimo deterioramenti superficiali senza che le superfici si spacchino o si crepino. Sotto l’azione di urti duri che producano un’energia di impatto di 3,75 joule si esige che si producano al massimo deterioramenti superficiali senza che le superfici si spacchino o si crepino.
SICUREZZA STATICA DEI SERRAMENTI INTERNI A. PORTE INTERNE Vengono richiesti gli stessi requisiti e le stesse prove specificate per le facce interne delle porte esterne.
STABILITÀ DEI SOVRAIMPALCATI Nel caso in cui sia prevista l’adozione di sovraimpalcati ai fini di una attrezzabilità impiantistica, gli elementi portanti del sovraimpalcato stesso devono essere tali da sopportare le sollecitazioni derivanti dalle condizioni di carico trattate a proposito di sicurezza statica dell’impianto sportivo nel suo insieme”, in relazione alle destinazioni d’uso delle singole unità ambientali.
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ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
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STABILITÀ DEI CONTROSOFFITTI Nel caso in cui sia prevista l’adozione di controsoffitti, gli ancoraggi con i quali essi sono collegati al solaio devono essere tali da garantire che non avvengano cadute o distacchi degli elementi di controsoffitto stesso, tenendo conto anche dei possibili urti in relazione: • allo svolgimento dell’attività sportiva, in modo particolare per l’unità ambientale palestra” (ad esempio: urti di pallone); • a operazioni di manutenzione e montaggio degli elementi per l’illuminazione; • a operazioni di manutenzione e ispezione di eventuali canalizzazioni.
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PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRESCRIZIONI PER LA PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DI IMPIANTI SPORTIVI SICUREZZA AGLI INCENDI RESISTENZA AL FUOCO DEGLI ELEMENTI COSTRUTTIVI Per quanto riguarda la resistenza al fuoco degli elementi costruttivi dovrà essere verificato quanto segue: • le strutture orizzontali e verticali dei locali corrispondenti alle centrali tecnologiche (aree a rischio speciale) devono avere una resistenza al fuoco di 120 min (REI 120); • le strutture verticali e orizzontali dei locali corrispondenti alle altre aree a rischio speciale e agli altri spazi costituenti l’impianto sportivo devono avere una resistenza al fuoco valutata secondo le prescrizioni e le modalità di prova stabilite nella Circolare del Min. dell’Interno n.91 del 14 settembre 1961, prescindendo dal tipo di materiale costituente l’elemento strutturale stesso (ad esempio: calcestruzzo, laterizi, acciaio, legno massiccio o lamellare, elementi compositi, ecc.), secondo il dettato dell’art.del DM 6 luglio 1983 (“Norme sul comportamento al fuoco delle strutture e dei materiali da impiegarsi nella costruzione di teatri, cinematografi e altri locali di pubblico spettacolo in genere”). Il dimensionamento degli spessori e delle protezioni da adottare per gli elementi costruttivi, nonchè la classificazione dei locali stessi secondo il carico di incendio (esclusi i locali delle centrali tecnologiche ai quali è assegnata classe 120) vanno determinati con le tabelle e con le modalità specificate nella Circolare n.91 sopra citata. La resistenza al fuoco degli elementi costruttivi può essere valutata oltre che sulla base della Circolare n.91 cit., anche in uno dei modi di seguito riportati:
REAZIONE AL FUOCO DEI MATERIALI DEFINIZIONI E ARTICOLAZIONI I diversi materiali presenti negli impianti sportivi possono essere suddivisi in: a. materiali utilizzati per la realizzazione di elementi costruttivi aventi una o più delle seguenti funzioni: • funzione portante (v. norma UNI 7678); • funzione di isolamento termico (v. norma UNI 7678); • funzione di tenuta (v. norma UNI 7678); b. materiali utilizzati per la realizzazione di elementi aventi altra funzione (ad es. isolamento acustico, isolamento termico, elementi di arredo, ecc.). I materiali concorrono alla sicurezza globale rispetto all’incendio in modo diverso in relazione alla loro utilizzazione; conseguentemente variano i parametri che devono essere considerati. Per esempio, per i materiali della classe ‘a’ devono essere esaminate in modo particolare determinate caratteristiche fisico-meccaniche (coefficiente di dilatazione termica, temperatura critica, ecc.), mentre per quelli appartenenti alla classe ‘b’ interessa in particolare la determinazione del valore del potere calorifico superiore al fine della determinazione del carico d’incendio totale o specifico delle singole unità ambientali. Indipendentemente dalla loro utilizzazione, per materiale” si intende a norma del DM 30 novembre 1983 (“Termini, definizioni generali e simboli grafici di prevenzione incendi”): “il componente (o i componenti variamente associati) che può (o possono) partecipare alla combustione in dipendenza della propria natura chimica e delle effettive condizioni di messa in opera per l’utilizzazione”.
CATEGORIA DI REAZIONE AL FUOCO DEI MATERIALI • conformità degli elementi costruttivi alle tabelle 1, 2, 3 allegate alla Circolare del Ministero dell’interno n.73 del 27 luglio 1971; • prova sperimentale sugli elementi costruttivi secondo le modalità specificate nella norma UNI 7678 “Elementi costruttivi – Prove di resistenza al fuoco”; la prova dovrà essere realizzata in un laboratorio del Centro Studi ed Esperienze del Ministero dell’Interno o in altri laboratori legalmente riconosciuti, anche esteri; • conformità degli elementi costruttivi a tabelle riconosciute da normative estere, nel quale caso dovrà essere allegata al progetto documentazione attestante il riferimento a tale normativa, riportando tutti gli elementi significativi per l’identificazione, nonchè traduzione in lingua italiana delle parti (articoli, tabelle, ecc.) che hanno attinenza allo specifico problema.
Per l’impianto sportivo devono essere utilizzati materiali rispondenti a quanto specificato nel DM 6. luglio 1983 (“Norme sul comportamento al fuoco delle strutture e dei materiali da impiegarsi nella costruzione di teatri, cinematografi e altri locali di pubblico spettacolo in genere”). Per le singole unità ambientali costituenti l’impianto sportivo dovranno essere verificate le prescrizioni contenute nella sopracitata normativa e successive integrazioni intervenute. In particolare, nella “Parte II” sono riportate specificazioni inerenti gli spazi dell’atrio atleti e dell’atrio per il pubblico. La categoria di reazione al fuoco dei materiali utilizzati deve essere determinata sulla base delle prescrizioni contenute nella Circolare del Ministero dell’Interno - Direzione Generale della Protezione Civile e dei Servizi Antincendio n.12 del 17 maggio 1980 (“Reazione al fuoco dei materiali impiegati nell’edilizia. Specifiche e modalità di prove e classificazioni”).
BENESSERE AMBIENTALE E IGIENE REQUISITI TERMOIGROMETRICI
Protezione delle superfici verticali trasparenti
A. UNITÀ AMBIENTALI: servizi igienici, docce, locali deposito (deposito attrezzi, ripostiglio attrezzi di pulizia) locali di transito
Le superfici trasparenti dovranno essere realizzate con vetro opalino o comunque diffondente. Le superfici trasparenti dovranno essere dotate di opportuna schermatura mobile, atta a garantire che il flusso termico entrante dovuto all’irraggiamento solare diretto non risulti superiore al 40 % di quello che si avrebbe in assenza di schermatura, con eccezione delle superfici verticali con esposizione a Nord, pari a 0° ± 10°.
Trasmittanza Ai fini del contenimento del flusso termico attraverso le chiusure, nonchè del contenimento delle variazioni della temperatura interna che si manifesterebbero in assenza di impianti di riscaldamento, i massimi valori della trasmittanza” H dovranno risultare inferiori o uguali a quelli di seguito indicati, salvo valori più restrittivi prescritti dalle norme vigenti. • Pareti verticali opache:
H ≤ 1,0 Kcal/h mq °C
Trasmittanza
• Chiusure orizzontali o inclinate opache:
Valgono le prescrizioni date in ‘A’ per le unità ambientali servizi igienici, docce, locali di deposito.
H ≤ 0,8 Kcal/h mq °C • Superfici verticali trasparenti (media ponderale tra telaio e sup. vetrata):
H ≤ 5,5 Kcal/h mq °C • Pareti verticali con faccia esterna a contatto del terreno:
H ≤ 1,0 Kcal/h mq °C
I valori di trasmittanza dovranno comunque essere tali che la temperatura della superficie interna della parete non risulti in nessun punto inferiore alla temperatura di ruggiada dell’aria dell’ambiente interno, nelle seguenti ipotesi: • temperatura esterna pari a quella minima di progetto; • temperatura interna pari al valore di progetto, ovvero se questo non è specificato, pari a 18 °C; • umidità relativa pari al 70%. La prescrizione relativa alla temperatura di rugiada non si applica alle pareti trasparenti verticali e al telaio degli infissi nel caso in cui tali elementi siano realizzati con materiali inattaccabili dall’umidità e dall’acqua e purchè siano realizzati idonei dispositivi di drenaggio e di scarico all’esterno dell’eventuale condensa.
B 120
B. UNITÀ AMBIENTALI: locali impianti tecnologici (centrale termica, centrali termopompe, centrale idrica, centrale di termoventilazione, centrale trattamento acqua della piscina, centrale elettrica)
Protezione delle superfici verticali trasparenti Le superfici trasparenti dovranno essere realizzate con vetro opalino o comunque diffondente. C. UNITÀ AMBIENTALI: atrii, deposito abiti, uffici, spazio palestra, sala di preatletismo Trasmittanza Ai fini del contenimento del flusso termico attraverso le chiusure, nonchè del contenimento delle variazioni della temperatura interna che si manifesterebbero in assenza di impianti di riscaldamento, i massimi valori della trasmittanza” H dovranno risultare inferiori o uguali a quelli indicati nella seguente tabella in relazione alle masse medie (m) per unità di superficie delle pareti stesse, salvo valori più restrittivi prescritti dalle norme vigenti.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRESCRIZIONI PER LA PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DI IMPIANTI SPORTIVI
B.4. 3. A.ZIONI
M (Kg/mq) ≤ H (Kcal/ mq h °C)
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
F. UNITÀ AMBIENTALE: sala vasche (piscina)
PARETI VERTICALI OPACHE 20
50
100
>200
0,45
0,6
0,8
1,1
CHIUSURE ORIZZONTALI O INCLINATE OPACHE M (Kg/mq) ≤
100
200
>300
H (Kcal/ mq h °C)
0,6
0,8
1
• Superfici verticali trasparenti (media ponderale tra telaio e sup. vetrata):
H ≤ 5,5 Kcal/h mq °C • Superfici trasparenti orizzontali o inclinate:
H ≤ 3,5 Kcal/h mq °C Per le pareti verticali munite di finestre potrà ammettersi che la porzione opaca delle pareti stesse sia caratterizzata da un valore della trasmittanza H ≤ 1 Kcal/h mq °C, indipendentemente dalla massa per mq. ogni volta che sia necessario prevedere superfici finestrate di area uguale o maggiore del 50% dell’area della intera parete esterna. Lo stesso valore di trasmittanza H ≤ 1 Kcal/h mq °C potrà essere ammesso per le porzioni opache di speciali pannelli prefabbricati che in un elemento unico comprendono la finestra, il sottodavanzale, il cielino e la schermatura (infisso monoblocco). I valori di trasmittanza dovranno comunque essere tali che la temperatura della superficie interna della parete non risulti in nessun punto inferiore alla temperatura di rugiada dell’aria dell’ambiente interno, nelle seguenti ipotesi: • temperatura esterna pari a quella minima di progetto; • temperatura interna pari al valore di progetto, ovvero se questo non è specificato, pari a 18 °C; • umidità relativa pari al 70% La prescrizione relativa alla temperatura di rugiada non si applica alle pareti trasparenti verticali e al telaio degli infissi nel caso in cui tali elementi siano realizzati con materiali inattaccabili dall’umidità e dall’acqua e purchè siano realizzati idonei dispositivi di drenaggio e di scarico all’esterno dell’eventuale condensa. Protezione delle superfici verticali trasparenti Le superfici trasparenti dovranno essere dotate di opportuna schermatura mobile, atta a garantire che il flusso termico entrante dovuto all’irraggiamento solare diretto non risulti superiore al 40% di quello che si avrebbe in assenza di schermatura, con eccezione delle superfici verticali con esposizione a Nord, pari a 0° ± 10°. D. UNITÀ AMBIENTALE: locale controllo (delle piscine) Tutte le prescrizioni di seguito riportate devono essere verificate anche per le pareti interne di separazione fra il locale controllo e la sala vasche. Trasmittanza Valgono le stesse prescrizioni impartite per le unità ambientali di cui al precedente punto C”. Protezione delle superfici verticali trasparenti Valgono le stesse prescrizioni impartite per le unità ambientali di cui al precedente punto C”. E. UNITÀ AMBIENTALE: sauna Trasmittanza Ai fini del contenimento del flusso termico attraverso le chiusure, nonchè del contenimento delle variazioni della temperatura interna che si manifesterebbero in assenza di impianti di riscaldamento, i massimi valori della trasmittanza” H dovranno risultare inferiori o uguali a quelli di seguito indicati, salvo valori più restrittivi prescritti dalle norme vigenti. • Pareti verticali opache esterne e interne:
H ≤ 0,5 Kcal/h mq °C • Superfici verticali trasparenti (media ponderale tra telaio e sup. vetrata):
H ≤ 2,0 Kcal/h mq °C • L’area complessiva delle superfici trasparenti non dovrà superare 0,5 mq. • Il materiale isolante dovrà essere del tipo a cella chiusa, con esclusione del polistirolo. • Le pareti devono essere dotate sulle superfici interne di barriera a vapore priva di soluzioni di continuità. • Nelle superfici trasparenti a più lastre non dovranno verificarsi condensazioni nelle intercapedini. • Protezione delle superfici verticali trasparenti Le superfici trasparenti dovranno essere realizzate con vetro opalino o comunque diffondente.
Trasmittanza Ai fini del contenimento del flusso termico attraverso le chiusure, nonchè del contenimento delle variazioni della temperatura interna che si manifesterebbero in assenza di impianti di riscaldamento, i massimi valori della trasmittanza” H dovranno risultare inferiori o uguali a quelli indicati nella seguente tabella in relazione alle masse medie per unità di superficie delle pareti stesse, salvo valori più restrittivi prescritti dalle norme vigenti. Ai fini dei requisiti di cui appresso occorre effettuare un controllo del rapporto massa/superficie frontale della parete. La misura, da effettuarsi con tolleranza di precisione del 5%, deve essere eseguita in modo da fornire elementi sufficienti per risalire, per via di calcolo, alla massa media (m) della parete. PARETI OPACHE VERTICALI E CHIUSURE ORIZZONTALI O INCLINATE OPACHE M (Kg/mq) ≤
20
50
100
200
>300
H (Kcal/mq h °C)
0,3
0,45
0,6
0,8
1,0
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
• Superfici trasparenti verticali, orizzontali o inclinate (media ponderale tra telaio e sup. vetrata):
CO NTALE AMBIE
H ≤ 2,2 Kcal/h mq °C • I suddetti valori si intendono non come valori medi, ma come valori limite che non possono essere superati in nessun punto della parete.
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
• Il materiale isolante dovrà essere del tipo a cella chiusa, con esclusione del polistirolo. • Le pareti dovranno essere dotate sulla superficie interna di barriera a vapore priva di soluzioni di continuità.
G.ANISTICA URB
• Nelle superfici trasparenti a più lastre non dovranno verificarsi condensazioni nelle intercapedini. • Nel caso di formazione di condensazione sulla faccia interna delle superfici vetrate, gli infissi dovranno essere dotati di idonei sistemi di convogliamento e drenaggio della condensa stessa. Protezione delle superfici trasparenti dall’irraggiamento solare Le superfici trasparenti dovranno essere dotate di opportuna schermatura mobile, atta a garantire che il flusso termico entrante dovuto all’irraggiamento solare diretto non risulti superiore al 40% di quello che si avrebbe in assenza di schermatura, con eccezione delle superfici verticali con esposizione a Nord, pari a 0° ± 10°.
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE
REQUISITI DI TENUTA E IMPERMEABILITÀ A. UNITÀ AMBIENTALI: spazio palestra, sala di preatletismo, atrii, spogliatoi, uffici, deposito abiti, locali di deposito (deposito attrezzi, deposito attrezzi per pulizie), locali impianti tecnologici (centrale termica, centrali termopompe, centrale idrica, centrale di termoventilazione, centrale trattamento acqua della piscina, centrale elettrica). Tenuta all’aria La tenuta all’aria della parete esterna considerata nel suo insieme (comprendendo tutti gli elementi che la compongono, quali infissi, giunti, ecc.) deve essere tale da consentire che in un locale delimitato da altre pareti perfettamente stagne e dalla parete in questione, sia possibile realizzare nell’ambiente una pressione statica di 10 Kg/mq, con immissione di aria non superiore a 10 mc/h per ciascun mq di superficie frontale della parete considerata. Tenuta all’acqua di pioggia Le pareti esterne verticali e orizzontali considerate nel loro complesso (comprendendo tutti gli elementi che la compongono, quali infissi, giunti, ecc.), tenuto conto delle variazioni dimensionali dei materiali costitutivi e delle deformazioni generali, devono assicurare fra l’esterno e l’interno la tenuta all’acqua di pioggia, secondo le modalità di seguito indicate. • L’acqua proveniente dall’esterno non deve poter raggiungere i materiali isolanti e in generale i materiali sensibili all’acqua, tenuto conto della presenza di una eventuale barriera antivento. • Nel caso in cui la parete comprenda un’intercapedine aperta sull’ambiente esterno, le acque di infiltrazione e di condensazione devono poter fluire rapidamente verso l’esterno senza essere trattenute da ossature, fissaggi e contropendenze. • I giunti relativi alle pareti non devono permettere la penetrazione dell’acqua per capillarità nè essere essi stessi permeabili. • Nessuna parte esterna della facciata deve intralciare il defluire dell’acqua. • Le pareti esterne delle facciate assieme ai loro rivestimenti devono essere praticamente stagne all’acqua.
➥
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. ER B.4.3RIZIONI P NE PRESCOGETTAZIOE N R LA P IZZAZIO RTIVI L E REA IANTI SPO P DI IM
B 121
B.4. 3.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRESCRIZIONI PER LA PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DI IMPIANTI SPORTIVI ➦ BENESSERE AMBIENTALE E IGIENE Controllo alla tenuta all’acqua di pioggia
Impermeabilità all’acqua e al vapore
Il controllo dovrà accertare che l’acqua di pioggia che scorre su una porzione di parte opaca, comprendente eventuali giunti e particolarmente gli infissi, non possa attraversare la parete anche quando sulla faccia bagnata si esercita una pressione statica di 20 mm di colonna d’acqua.
La superficie interna delle pareti dovrà essere del tutto impermeabile all’acqua, anche calda (temperatura fino a 50°C) e al vapore ed essere priva di soluzioni di continuità.
Tenuta all’acqua sotterranea
Tenuta all’aria
In tutte le pareti o parti di esse al disotto del piano di campagna o comunque aventi la superficie esterna a contatto diretto con il terreno o con terrapieni, dovranno essere presi provvedimenti di isolamento e di impermeabilizzazione atti a evitare in ogni caso la presenza nelle pareti di acqua liquida di infiltrazione a livelli superiori al più basso piano di calpestio dell’edificio.
Valgono le stesse prescrizioni impartite per le unità ambientali di cui al precedente punto A”.
B. UNITÀ AMBIENTALI: servizi igienici, docce, sauna
Controllo alla tenuta all’acqua di pioggia
Tenuta all’aria
Valgono le stesse prescrizioni impartite per le unità ambientali di cui al precedente punto A”.
Valgono le stesse prescrizioni impartite per le unità ambientali di cui al precedente punto A”.
Tenuta all’acqua sotterranea
Tenuta all’acqua di pioggia
Valgono le stesse prescrizioni impartite per le unità ambientali di cui al precedente punto A”.
Valgono le stesse prescrizioni impartite per le unità ambientali di cui al precedente punto A”.
Caratteristiche dei materiali e dei rivestimenti
Controllo alla tenuta all’acqua di pioggia
Salvo ulteriori requisiti richiesti per la permeabilità e la durevolezza di tutti i materiali presenti nella sala vasche, con particolare riferimento alla resistenza alla corrosione da umidità e da condensa atmosferica con presenza di cloro tipica della sala vasche, deve essere verificato quanto segue:
Valgono le stesse prescrizioni impartite per le unità ambientali di cui al precedente punto A”.
C. UNITÀ AMBIENTALE: sala vasche
Tenuta all’acqua di pioggia Valgono le stesse prescrizioni impartite per le unità ambientali di cui al precedente punto A”.
Tenuta all’acqua sotterranea Valgono le stesse prescrizioni impartite per le unità ambientali di cui al precedente punto A”.
• i materiali e la struttura delle pareti della sala vasche dovranno garantire una durata utile minima di 15 anni, con particolare riferimento ai rivestimenti interni.
MANUTENZIONE E GESTIONE CONTENIMENTO DEI CONSUMI ENERGETICI L’impianto sportivo deve essere isolato termicamente secondo le norme vigenti in materia di contenimento dei consumi energetici, in particolare della legge n.10 del 9 gennaio 991 che aggiorna le prescrizioni della precedente legge n.373 del 30 aprile 1976. In ottemperanza alle citate disposizioni di legge, tenuto conto dell’incidenza del rapporto superficie/volume sul valore del coefficiente volumico Cd, in sede di scelte progettuali devono essere operate opportune razionalizzazioni planovolumetriche in modo che gli edifici presentino la minore superficie a contatto con l’esterno a parità di volume. Devono inoltre essere prese in considerazione soluzioni planovolumetriche e costruttive che consentano la posa degli strati isolanti con la massima continuità (cappotto termico”) al fine di evitare il costituirsi di zone di accentuata disuniformità termica. Particolare attenzione va rivolta a un corretto proporzionamento delle superfici trasparenti, contemperando il soddisfacimento dei requisiti di illuminazione naturale diurna con quelli relativi al contenimento delle dispersioni termiche. Gli infissi dovranno peraltro presentare idonee caratteristiche di tenuta, in modo che i ricambi d’aria previsti per i diversi ambienti non siano superati. Nella posa in opera degli infissi dovranno essere adottati tutti gli accorgimenti atti a eliminare filtrazioni di aria dirette o indirette. Le tamponature degli impianti sportivi, i muri d’ambito dei vani scala, le chiusure di base e quelle di copertura e ogni altra parete opaca prospiciente su ambienti non riscaldati dovranno essere isolati contro la dispersione del calore. Il coefficiente di trasmittanza delle pareti orizzontali e verticali opache nonchè quello dei serramenti deve rispondere alle prescrizioni contenute nella parte “ Benessere ambientale e igiene – Requisiti e prestazioni per il sistema tecnologico dell’impianto sportivo”.
MANUTENZIONE Fanno parte delle manutenzioni: • le riparazioni localizzate; • la sostituzione dei materiali a motivo di invecchiamento o logorio caratteristici. La rimozione di materiali vecchi o logorati così come la posa in opera di nuovi materiali devono essere previsti e programmati in fase di progetto, in modo che tali interventi possano essere eseguiti agevolmente e con minimo disturbo per gli utenti, senza necessitare di mezzi, preparazioni o procedure onerose e complesse: • in caso di guasti accidentali provocati a un elemento qualsiasi delle facciate, detto elemento deve poter essere sostituito senza che sia necessario smontare altri elementi oltre quelli immediatamente adiacenti e il dispositivo della facciata deve consentire tale agevole sostituzione; • la manutenzione interna delle pareti deve poter essere effettuata senza particolari precauzioni, da artigiani con mezzi, materiali e prodotti usuali; • i rivestimenti interni devono poter essere lavati, stuccati, levigati, tinteggiati secondo modalità e regole correnti in materia di opere di manutenzione delle pitture; qualora la manutenzione necessiti di materiali speciali, questi devono essere sufficientemente diffusi in modo da essere facilmente reperibili; • le parti trasparenti e traslucide devono conservare in modo soddisfacente tali proprietà dopo le normali operazioni di pulitura; la polvere non deve accumularsi in
B 122
quelle zone delle superfici trasparenti e traslucide che non sono normalmente accessibili nel corso delle operazioni di pulitura; le finestre devono essere concepite in modo che le parti trasparenti possano essere facilmente pulite dall’utente tanto sulla faccia interna che su quella esterna; • i meccanismi dei serramenti esterni devono essere accessibili in modo che il loro smontaggio e riparazione possano essere eseguiti senza rischio, senza bisogno di smontare grandi parti dell’insieme e senza danneggiare le finiture; • le pulizie dei pavimenti devono poter essere effettuate senza precauzioni particolari da personale con mezzi e prodotti correnti.
DURABILITÀ Tutti i materiali costitutivi dell’impianto sportivo devono conservare le loro proprietà specifiche per tutto il periodo di vita utile previsto e programmato, senza richiedere manutenzioni costose e frequenti. Gli elementi che non sono accessibili e che quindi non possono beneficiare di una manutenzione normale, devono essere costituiti da materiali tali – o essere trattati con materiali tali – da permettere, nelle condizioni specifiche di impiego, una durata almeno pari a quella delle parti suscettibili di manutenzione normale. Nella valutazione di questa durata, si terrà conto in particolare dei punti e delle parti singolari come sono saldature, avvitamenti, piccole aperture e si terrà conto delle conseguenze che possono derivare dalla sostituzione di parti, come vetri, pannelli, ecc. Si dovrà contenere al minimo l’usura delle parti sottoposte a movimenti (apertura, chiusura, ecc.) in ragione degli attriti soprattutto in presenza di agenti abrasivi come polvere, sabbia, ecc. In previsione di un’usura inevitabile, dovranno essere adottati accorgimenti che ne riducano l’intensità e, comunque, si dovrà evitare che l’usura eccessiva possa provocare false manovre, incidenti, perdita di tenuta e vibrazioni.
RESISTENZA AI FENOMENI DI DEGRADAZIONE Non si dovranno porre in opera materiali che non presentino una resistenza adeguata, naturale o conferita, agli attacchi biologici, alle corrosioni asciutte, umide o elettrolitiche, per tutta la durata dell’opera. Gli elementi costitutivi o presenti nei locali di servizio devono resistere ai mezzi e prodotti abitualmente usati dai servizi di igiene per la disinfezione, secondo i regolamenti nazionali o locali. Gli elementi costruttivi soggetti a fenomeni di condensa devono essere tali da assicurare una durata minima di 15 anni. Tale requisito va garantito: • mediante prova specifica accelerata, sottoposta alla committenza e approvata in base a una documentazione nazionale o internazionale; • mediante la offerta di garanzia totale per il periodo di 15 anni, nel caso che non sia possibile presentare la precedente documentazione. Nei locali dove i pavimenti sono normalmente lavati, la parte inferiore degli elementi di parete verticale finita deve essere risolta in maniera tale da evitare ogni rischio di umidificazione, considerando un’altezza d’acqua di almeno 1 cm ristagnante sul pavimento.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRESCRIZIONI PER LA PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DI IMPIANTI SPORTIVI
B.4. 3. A.ZIONI
SPORT
FEDERAZIONE
APERTO
FMI
X
CHIUSO
APERTO
AeCI
X
Motociclismo*
Volo a vela
X
Motocross*
X
Paracadutismo sportivo
X
Trial*
X
Aeromodellismo
X
Motonautica*
FIM
X
Parapendio
X
Nuoto
FIN
X
X
Deltaplano
X
Pallanuoto
X
X
Piste permanenti (circuiti)
X
Tuffi
X
X
X
Nuoto sincronizzato
X
X
Piste non permanenti (circuiti cittadini)
X
Nuoto per salvamento
X
X
Rally*
X
Pallacanestro
FIP
X
X
Karting*
X
Pentathlon moderno
FIPM
X
X
Volo a motore e turismo
Automobilismo*
ACI
CHIUSO
SPORT
FEDERAZIONE
B.STAZIONI DILEGIZLII X
X
X
Equitazione*
X
X
Gare di corsa su pista
X
X
Scherma
X
X
Gare di corsa su percorso stradale*
X
Tiro*
X
X
Gare di corsa campestre*
X
Nuoto
X
X
Gare di marcia
X
X
Corsa*
X
X
Gare di salto
X
X
Tetrathlon*
X
X
Gare di lancio
X
X
Scherma; nuoto; tiro e corsa
X
X
Orientamento* (disciplina associata)
X
X
Triathlon (disciplina associata)
X
X
X
Scherma; nuoto; corsa.
X
X
X
X
X
X
Atletica leggera
FIDAL
Arrampicata sportiva
FASI
X
Baseball
FIBS
X
Pesca sportiva*
X
Attività subacquee*
Softball Bocce*
UBI
X
Biliardo
FICK
Kayak*
X X
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE
Sci nautico*
FISN
X
X
X
Hockey ghiaccio
FISG
X
X
Corse su pista (velodromi)
X
X
Pattinaggio sul ghiaccio
X
X
Corse su strada*
X
Velocità – artistico
X
X
X
X
X
X
X
X
Calcio a 5 Pallamano
X
Equitazione
X
Associazione nazionale turismo equestre (disciplina associata)
X
X FIGH
Pallone elastico (disciplina ass.) Hockey su pista
Curling
X
X
X
X
X X
X
Pattinaggio
X
X
Gare di corsa (su pista o su strada)
X
X
Pattinaggio artistico su pista
X
X
Hockey su prato
FIHP
FIHPr
Hockey indoor Lotta
X X
FILPJ
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
X
Kendo (disciplina associata)
FIGC
URB
X
X
Calcio
G.ANISTICA
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
X
X
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
X
FIS
FIG
F. TERIALI,
X
FCI
Golf*
CO NTALE AMBIE
X
FIR
X
E.NTROLLO
X
FIC
Trampolino elastico (disciplina ass.)
PRO TTURALE STRU
FPI
Scherma
Twirling (disciplina associata)
D.GETTAZIONE
Pugilato Rugby
FGI
E ESE ESSIONAL PROF
Nuoto pinnato
Ciclismo
Ginnastica
C.RCIZIO
X
Canottaggio*
Corse campestri (ciclocross)*
I ED PRE NISM ORGA
X
X
Bowling Canoa*
FIPS
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
X
Pesistica
X
Judo
X
Karate (disciplina associata)
X
Taekwondo (disciplina associata)
X
Sci*
FISE
FISI
X
Sci alpino e di fondo*
X
Salto con gli sci*
X
Slittino*
X
Bob*
X
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
Tennis da tavolo
FITeT
Tiro con l’arco*
FITARCO
X
X
Tiro a segno*
UITS
X
X
Tiro a volo*
FITAV
X
Scacchi (disciplina ass. CONI)
X
FSI
X
Football americano (disc. ass. CONI)
FASI
Bridge (disciplina ass. CONI)
FIGB
X
Dama (disciplina ass. CONI)
FID UNIRE (non è una F.S.N. riconosciuta dal CONI)
X
Gare di trotto* Gare di galoppo * Sono previsti anche posti in piedi
X
X X
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
X
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. ER B.4.3RIZIONI P NE PRESCOGETTAZIOE N R LA P IZZAZIO RTIVI L E REA IANTI SPO P DI IM
B 123
B.4. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI PRATICABILITÀ DEGLI IMPIANTI SPORTIVI
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IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT
ISTRUZIONI TECNICHE PER LA COSTRUZIONE DI IMPIANTI PER L’ATLETICA LEGGERA Estratto dalla normativa F.I.D.A.L. (Federazione Italiana di Atletica Leggera) CRITERI COSTRUTTIVI 1. UBICAZIONE DEGLI IMPIANTI L’impianto deve trovare la sua ubicazione in località servite da strade di facile accesso ove esista un servizio di trasporto pubblico al fine di permettere l’afflusso e specialmente il deflusso di atleti e pubblico, nel più breve tempo possibile. Necessita inoltre prevedere la creazione di parcheggi, nelle zone adiacenti all’impianto e ciò per poter ospitare gli automezzi, sia pubblici che privati. Per l’orientamento del complesso sportivo, deve essere fatto un particolare studio, tenendo presenti, tra l’altro, i due aspetti nel confronto del sole e quello riguardante la direzione dei venti dominanti nella zona. Questi due fattori hanno una grande importanza, per il fatto che gli atleti durante lo svolgimento delle gare non dovrebbero avere mai il sole e il vento contrari. È quindi consigliabile che l’asse longitudinale del terreno prescelto, sia il più possibile orientato nord-sud e i vari impianti per l’atletica leggera, vengano ubicati secondo le ore di impiego, tenendo presente la posizione del sole. I posti per il pubblico si dovranno ricavare lungo il perimetro della recinzione interna degli impianti con l’accortezza di costruire, in corrispondenza dei due rettilinei, i gradoni a forma ellittica, con saetta di almeno 3,50 m, onde permettere al pubblico una buona visibilità per tutti gli impianti interni del complesso. Le tribune principali, salvo condizioni del tutto particolari, debbono essere costruite sul lato ovest, lungo il rettilineo d’arrivo, in tal modo il pubblico avrà sempre il sole alle spalle. Bisogna infine creare i servizi igienici per atleti e pubblico, divisi per sesso, fontanelle per pubblico e atleti cercando la forma più razionale e l’ubicazione più confacente. 2. PISTA ATLETICA E PEDANE La pista atletica costituita da due rettilinei raccordati da due curve e, per essere rispondente ai requisiti di quella olimpionica (alla quale si deve mirare per una razionale preparazione degli atleti che intenderanno logicamente prepararsi alla massima competizione) deve avere uno sviluppo di 400 m con curve a tutto sesto. Sono quindi sconsigliabili per ragioni tecniche e organizzative, piste che abbiano misure inferiori o superiori a 400 m, non potendosi, in queste ultime, effettuare gare regolamentari. La pista deve essere perfettamente piana e orizzontale anche nelle curve e il raggio per ottenere il migliore sviluppo, dovrebbe essere il più grande possibile, senza eccedere nella lunghezza per non rischiare di avere un rettilineo troppo ridotto che non permetta agli atleti di sviluppare il massimo sforzo. In una pista il cui sviluppo totale sia di 400 m e i cui rettilinei siano, ciascuno, di lunghezza inferiore a 75 m, le curve hanno sviluppo molto ampio, mentre, con lunghezza superiore a 75 m, le curve hanno uno sviluppo sempre più stretto, in relazione alla crescente maggiore lunghezza dei rettilinei stessi. L’esperienza acquisita consiglia che, per ottenere un rapporto ottimale fra sviluppo delle curve e lunghezza dei rettilinei, sia opportuno impiegare nella progettazione delle curve dei raggi compresi fra i 38,50 m e i 40,00 m. È sconsigliabile costruire piste incassate nel terreno, in quanto richiedono una speciale disciplina nell’allontanamento delle acque, specialmente di quelle di sgrondo del campo, che finendo nella pista vi portano materiali che indubbiamente la danneggerebbero. La pista podistica deve poter contenere almeno sei corsie ciascuna della larghezza di 1,22 m più la striscia di 5 cm (ideale se si potessero costruire sette od otto corsie) ottenendo così una larghezza totale di 7,57 m (oppure di 7,32 m se la corsia ha la larghezza di 1,22 m comprendente la striscia di 5 cm). La larghezza della pista deve essere costante sia in rettilineo, che in curva e dovrà essere delimitata ai due lati da un bordo, detto cordonata, che può essere costruito in elementi prefabbricati in calcestruzzo, in legno, in pietra od altri materiali similari.
B 124
Gli elementi formanti la cordonata, debbono avere lo spessore di 5 cm, devono presentare le facce viste ben levigate, con gli angoli smussati e arrotondati, ben fissati nel terreno e devono sopraelevarsi dal piano della pista, di 5 cm; sul piano del terreno adiacente, dovranno trovarsi almeno 7 cm per dar modo alle acque superficiali della pista di sgomberare facilmente. Gli elementi formanti la cordonata, possono essere costruiti della lunghezza di 2 m per i rettilinei e di 70 cm per le curve. Essi saranno fissati accuratamente nel terreno con malta cementizia in modo da formare una linea retta, od una curva continua, con l’avvertenza di creare una interruzione di 2 cm ogni due o tre elementi, onde permettere il rapido allontanamento delle acque superficiali della pista. La pista deve avere almeno un rettilineo della lunghezza minima di 125 m per la disputa in linea retta delle corse dei 100 m piani e 110 m a ostacoli. Questo rettilineo si ricava in generale dinanzi alla tribuna centrale prolungando quello di raccordo alla tangente “B”. È consigliabile costruire anche il rettilineo di 125 m sul lato opposto alla tribuna, qualora i venti predominanti avessero la direzione sud-nord. La pista atletica viene suddivisa, nel senso della corsa; mediante strisce della larghezza di 5 cm, in tante corsie della larghezza di 1,22 m. Le strisce possono essere marcate con polvere di gesso o latte di calce, oppure in cementite o liste di plastica o vernice. In senso trasversale, la pista verrà marcata con i metodi sopradetti, per delimitare le partenze, le zone di cambio, gli ostacoli, le zone di arrivo (con esclusione delle liste di plastica). Gli scalari, le linee di partenza e d’arrivo debbono essere riportati sui bordi della pista con piastrine di metallo fissate in modo inamovibile alla cordonata. Sul rettilineo principale, alla tangente “A” è fissato il traguardo generale degli arrivi, e tutte le misure vanno quindi riferite a esso. Il traguardo (od arrivo generale) costruito da una striscia dello spessore di 5 cm (posta alla tangente “A” attraversante la pista in senso normale, da palo a palo (RTI), segnato in calce, gesso, ecc., e da un filo di lana posto all’altezza di metri 1,22. Si ricorda che il traguardo rappresentato dal piano verticale passante per il bordo interno della striscia, escludendo quindi il suo spessore. Il regolamento prescrive: “La distanza di una gara sarà misurata dal bordo della linea di partenza più distante dall’arrivo sino al bordo della linea di arrivo più vicino alla partenza”. In Italia, gli impianti di atletica leggera, vengono normalmente usati dalla primavera all’autunno, cioè nei periodi in cui l’acqua scarseggia, occorre perciò uno studio particolare nei drenaggi della pista per evitare l’impoverimento di umidità, elemento questo essenziale per la conservazione dell’impianto. La pista podistica, come le corsie per i salti, pedane per il salto in alto e il lancio del giavellotto, è costituita da tre strati e precisamente: 1) sottofondo con funzione di drenaggio; 2) strato intermedio o supporto; 3) manto superficiale. Questi tre strati, devono essere composti di materiali che leghino tra di loro, perché la loro indipendenza porta alla instabilità della pista. Pertanto si consiglia: a) costruire il sottofondo per un’altezza da 15 a 60 cm, ciò a seconda della natura del terreno sottostante e del volume delle precipitazioni meteorologiche della zona, ricordando che il sottofondo di drenaggio, ha si la funzione di assorbire le acque di penetrazione (le acque superficiali della pista debbono essere smaltite a mezzo dei fori costruiti appositamente nelle cordonate) ma devesi tener presente anche la funzione di conservatore della umidità. Pertanto, il sottofondo dovrà essere formato con pietrame, pietrischetto e ghiaietto (escludendo nel modo più assoluto materiali provenienti da demolizioni di fabbricati), e il tutto assestato con buona rullatura;
b) per la costruzione del manto intermedio è ottima l’utilizzazione di scorie fusibili di carbone per un’altezza dagli 8 ai 12 cm. Detti materiali vanno passati alle griglie prima con maglie da 5 e poi da 1,5 e posti in opera a piccoli strati, abbondantemente bagnati e lasciati a riposo prima di passare il rullo. Si ricorda che è quanto mai errato il bagnare gli strati e rullare subito dopo, in quanto le parti da assestare non possono così trovare subito la loro posizione di assestamento, perché in sospensione nell’acqua; c) il manto superficiale, dovrà avere uno spessore variabile a seconda del materiale usato. 3. SALTO IN LUNGO È costituito da una corsia, o pedana di rincorsa, della lunghezza minima di 40 m (dove possibile non meno di 45 m) dall’inizio della rincorsa all’asse di battuta e della larghezza minima di 1,22 m. È preferibile che la larghezza della corsia venga costruita di 2 m e oltre, onde permettere agli atleti di effettuare le prove preliminari, senza affaticare la corsia di rincorsa nella battuta. La corsia, o pedana di rincorsa, verrà delimitata da cordoli prefabbricati simili a quelli impiegati per la delimitazione della pista atletica ma non sopraelevati sul piano della corsia stessa. La pedana di rincorsa dovrà essere costruita con le medesime caratteristiche delle piste atletiche e dovrà presentarsi piana e orizzontale, essendo consentita soltanto una inclinazione massima dell’1 per mille nel senso della corsa. La fossa di caduta dovrà avere una larghezza di 5 m (minima 2,75) e una lunghezza di 7 m (minima 6,00) e tutti i quattro lati dovranno essere bordati con un cordolo in legno od altro materiale, con spigoli smussati e protetti con materassini di resina espansa. La fossa deve essere riempita di rena, o sabbia fine di fiume per una altezza di circa 0,50 m con il relativo drenaggio delle acque. A 2 e a 4 m dall’inizio della fossa verso la rincorsa, verranno ubicati gli assi di battuta rispettivamente per il salto in lungo femminile e quello maschile. Detti assi di battuta sono costituiti da un grosso tavolone dello spessore di 10 cm, della lunghezza di 1,22 m e della larghezza di 20 cm. La sabbia della fossa, i cordoli, la pedana di rincorsa e le battute, devono essere sul medesimo piano orizzontale. 4. SALTO TRIPLO La corsia e la fossa di caduta dovranno essere in tutto uguali a quelle per il salto in lungo. L’asse di battuta deve essere posto a 11 m e 13 dall’inizio della fossa. Lo spazio utile per il salto triplo, ovvero dall’asse di battuta alla parete terminale della fossa, deve essere di 18 m. Anche per il salto triplo, l’intero impianto deve essere sullo stesso piano orizzontale e può essere abbinato a quello del salto in lungo. 5. SALTO CON L’ASTA È costituito da una corsia, o pedana di rincorsa della lunghezza minima di 40 m (minima 6,00) e della larghezza di 2 m con la cordonata avente le caratteristiche costruttive di quella del salto in lungo. La zona di atterraggio deve essere ricavata al disopra del piano di battuta e fatta con blocchi di resina espansa. L’impianto deve essere munito di cassetta di appoggio che dovrà avere forma trapezoidale costruita come descritto al capitolo VIII, dovrà essere sistemata sulla mediana della pedana di rincorsa immediatamente avanti il piano passante per i ritti, verso il senso della corsa, infossata di circa 20 cm di modo che i bordi superiori della cassetta risultino allo stesso livello della corsia. Per eliminare le perdite di tempo che si verificano nella effettuazione dei salti in lungo, triplo e con l’asta, per la misurazione delle relative rincorse, è opportuno
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
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IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ DEGLI IMPIANTI SPORTIVI
B.4. 4. A.ZIONI
segnare in metri (e frazioni di mezzo metro), sul bordo di destra della pista di rincorsa, la lunghezza della pista stessa dal bordo anteriore della zona di caduta alla fine della pista. È sufficiente iniziare tale misurazione al decimo metro. 6. SALTO IN ALTO È costituito da una pedana di rincorsa semicircolare dal raggio minimo di 18 m, avente le medesime caratteristiche costruttive delle corsie e pedane del salto in lungo. Questa pedana dovrà essere bordata con elementi prefabbricati ma che non sporgano dal piano della pedana stessa. Dalla parte del diametro del semicerchio e in corrispondenza della parte centrale, dovrà essere posta la zona di atterraggio costruita come al capitolo VII. Il settore di rincorsa del salto, dovrà essere perfettamente piano e orizzontale. Si ritiene opportuno precisare che una rincorsa adeguata alle attuali tecniche di salto non può essere inferiore ai 20 m, in pratica necessario poter fare affidamento su di una lunghezza di rincorsa pari a 22 o 23 m. Pertanto, onde consentire un eventuale maggiore prolungamento della rincorsa, è opportuno che il materiale coerente della pedana sia a livello del prato e, soprattutto, non vi sia un cordolo di contenimento sopraelevato. 7. GIAVELLOTTO La pedana di rincorsa avrà le stesse caratteristiche della corsia del salto in lungo e asta, con una lunghezza non superiore a 36,50 m e non inferiore a 33,50 m e una larghezza di 4 m. Sarà limitata lateralmente da cordoli prefabbricati simili a quelli delimitanti la pista atletica, ma non sopraelevati. Se la corsia incorporata in altro impianto (per esempio: salto in alto i bordi laterali potranno essere segnati con latte di calce, gesso o strisce di plastica dello spessore di 5 cm). La pedana verso il settore, sarà delimitata da un arco di cerchio del raggio di 8 m, costruito in legno o metallo della larghezza di 7 cm e dello spessore di almeno 5 cm, affondato fino al livello del terreno antistante. L’arco di cerchio, ai suoi due estremi sarà prolungato con una striscia dello spessore di 5 cm e della lunghezza di 1,50 m. Il settore di lancio deve essere almeno di 90 m. 8. PEDANA DEL DISCO Consta di una pedana circolare bordata con un cerchio di ferro del diametro di 2,50 m; la lama di ferro avrà lo spessore di 6 mm e una altezza di 76 mm e il bordo superiore deve risultare a 20 mm al disopra del piano della pedana, ma alla stessa quota del terreno circostante. La pedana di lancio dovrà essere costituita da una massicciata di pietrame dello spessore da 15 a 20 cm con sovrapposta caldana in calcestruzzo grasso dello spessore da 8 a 10 cm e dovrà presentare la superficie rugosa e non sdrucciolevole anche se bagnata; la pedana inoltre dovrà presentare almeno tre fori verticali dello spessore di almeno un centimetro atti a smaltire le acque cadute nell’interno della pedana. L’uscita dell’atleta dalla pedana, dovrà avvenire attraverso il semicerchio posteriore alla direzione del lancio e verrà indicata da una striscia larga 5 cm segnata in gesso, plastica, ecc., prolungata diametricalmente al di fuori della pedana, per 75 cm da ciascuna delle parti. Il settore di lancio dovrà essere di 40° (gradi sessagesimali) e il raggio minimo di 70 m e dovrà essere segnato chiaramente nel terreno con strisce larghe 5 cm i cui bordi interni formeranno i lati del settore. Il settore di lancio deve essere libero da ogni ostacolo sia in senso verticale che orizzontale e il terreno di caduta dell’attrezzo oltre a essere piano senza avvallamenti o buche, deve trovarsi allo stesso livello del bordo superiore del cerchio in ferro delimitante la pedana di lancio.
Nell’interno del settore di lancio è consigliabile venga segnata la bisettrice, in quanto essa è di aiuto agli atleti per indirizzare il lancio, inoltre potranno essere segnati con una striscia di calce, plastica, ecc., vari archi di cerchio a distanza di 5 m uno dall’altro e all’incrocio con le radiali verranno poste le piramidi di settore indicanti le varie misure. Nel settore di lancio sono tollerate pendenze dell’1 per mille nel senso della direzione di lancio e dell’1 per cento in senso perpendicolare; tali pendenze permetteranno un rapido allontanamento delle acque superficiali. Qualora si desideri usare la stessa gabbia del martello, l’impianto può essere adattato in due diversi modi. Il modo più semplice è di utilizzare la sola pedana del disco in cui va inserita per il lancio del martello, una corona circolare avente, i diametri di 2,135 m e di 250 m. Qualora si desideri avere due pedane differenti per il martello e il disco, queste devono essere poste una dietro l’altra, con i centri distanti 237 m sulla linea di mezzeria del settore di lancio e con la pedana del martello davanti a quella del disco. Il settore di lancio dovrà avere almeno 75 m e a 40° (gradi sessagesimali). Nell’interno delle pedane dipingere in bianco il prolungamento delle due strisce diametricalmente al di fuori della pedana. 9. PEDANA DEL PESO La pedana sarà costruita con le medesime caratteristiche di quella del lancio del disco, però il diametro interno del cerchio dovrà risultare di 2,135 m e il settore di lancio dovrà avere un raggio di 25 m. Il settore di lancio verrà delimitato da due strisce larghe 5 cm e partendo dagli esterni del fermapiede formerà un angolo al centro di circa 40°. Il settore di lancio è preferibile venga costruito in terra battuta, con un leggero strato di carbonina fina, o di tonnisolite, leggermente bagnata affinché l’attrezzo lasci una chiara impronta sul terreno. All’esterno dei radiali è opportuno costruire un canaletto di drenaggio per la raccolta delle acque, permettendo così l’agibilità del settore anche in giornate piovose. La pedana di lancio verrà divisa in due metà individuate da una striscia dello spessore di 5 cm segnata in calce, plastica, ecc., prolungata agli esterni di 75 cm. Nella parte anteriore della pedana (verso il settore di lancio) verrà sistemato il fermapiede. Esso sarà costruito in legno di essenza dura a forma di arco, dello spessore di 114 mm, dell’altezza di 100 mm e della lunghezza di 1,22 m, dipinto in bianco, e il suo bordo interno deve coincidere col bordo interno del cerchio di ferro delimitante la pedana. Il fermapiede dovrà essere fissato solidamente al terreno, in almeno tre punti. 10. PEDANA DEL MARTELLO Ha una pedana identica a quella del peso e il settore di lancio avrà un raggio di 75 m. Il settore di lancio dovrà essere realizzato possibilmente su di una superficie erbosa e avere le caratteristiche di quello destinato al lancio del disco. Il settore sarà individuato, sul terreno, da due strisce dello spessore di 5 cm i cui prolungamenti formeranno, al centro della pedana, un angolo di 40° (sessagesimali). La pedana dovrà essere sempre dotata di una gabbia di protezione in modo da garantire la incolumità e proteggere tutti coloro che al momento del lancio possono trovarsi nelle vicinanze (giudici, atleti, pubblico). Essa potrà servire anche per il disco. A seconda dell’importanza dello stadio, e delle disponibilità di aree, gli impianti sopradescritti possono essere costruiti abbinati o ripetuti due volte, in modo da permettere l’effettuazione di gare sia in condizioni di vento e di sole favorevole ma anche lo svolgimento di una gara su più pedane. 11. IMPIANTI SUSSIDIARI Nel trattare l’argomento degli impianti di un campo di atletica non possiamo trascurare gli accessori che completano il campo stesso.
Essi sono: a) il prato o tappeto erboso, che circonda tutti gli impianti già descritti e ne costituisce la cornice di verde, e va formato su terreno argilloso siliceo con piante di talee di gramigna. Esso richiede cure costanti, perché facilmente soggetto a rovinarsi, per essiccamento o per invasione di erbe parassitarie che distruggono la seminagione, unitamente ai danni provocati da bruchi, topi e talpe. Quindi le cure continue da usare sono: innaffiamento, ripulitura dalle erbacce parassitarie, tosatura periodica del tappeto con tosatrice o falcetto, almeno una volta la settimana, ripristino del tappeto nelle parti deteriorate con nuove seminagioni. Una erpicatura migliora la crescita e la resistenza delle seminagioni; b) impianto di irrigazione. L’umidità di una pista crea il fenomeno capillare che tiene in sesto le particelle, l’allagamento ne determina lo squilibrio. Per questo motivo è preferibile la irrigazione a pioggia, mentre è da evitare quella per allagamento. Più l’acqua è polverulente e più la pista si presenta in ottime condizioni. L’ideale sarebbe l’apporto di umidità dalla parte inferiore. Si ricorda che occorre un’ora perché l’acqua scenda in profondità prima di rullare. Quanto detto per la pista si deve ripetere per le pedane dei lanci e le corsie dei salti. Occorre studiare bene l’impianto di irrigazione, con manichette che non debbono avere diametro superiore a 24, distribuito lungo il bordo interno della pista, o con impianti di irrigazione a pioggia. È dannoso innaffiare per allagamento in quanto si rompe il fenomeno capillare e si distrugge l’equilibrio delle particelle superficiali della pista. Per un campo di atletica occorre una disponibilità giornaliera di acqua pari a 120-150 mc alla pressione di 3-4 atmosfere; c) impianto di raccolta delle acque pluviali e del supero dell’innaffiamento (cunette, cunicoli, chiusini, ecc.) che funzioni sempre in modo da smaltire con celerità le acque e lasciare gli impianti all’asciutto; d) impianti di: fognatura, elettrico, acqua potabile, gas, telefono esterno, ecc., che vanno sempre controllati e mantenuti in efficienza; e) impianti di apparecchio radio, nella cabina di comando, con altoparlanti situati in modo da poter diffondere la voce con uniformità in ogni parte del campo, negli spogliatoi, gabinetti, sottopassaggio, ecc.; f) impianto di telefoni da campo in modo che la cabina di comando rimanga in continuo contatto col campo stesso, si da poter dare tutte le disposizioni del caso e ricevere i risultati e comunicati delle giurie. Questi impianti e quello della radio vanno controllati continuamente, specialmente prima dello svolgimento di una manifestazione, con la prova di potenza, volume e timbro della voce e funzionamento dei telefoni. Avere in deposito dischi con gli inni nazionali più in uso e farne la prova molto prima della manifestazione; g) di una cabina comando sufficientemente spaziosa, in cui poter impiantare tutti gli apparecchi di comando: radio, microfono, centralino telefonico per l’interno, apparecchio telefonico per l’esterno, ecc. Questa cabina deve essere perfettamente isolata dall’esterno in posizione dominante, ben aerata e frequentata soltanto dal direttore di riunione e aiutante; h) sottopassaggio per accedere all’interno del campo senza attraversare la pista e altri impianti, e ostacolare così lo svolgimento degli esercizi; i) spogliatoi per giudici e atleti separati per sesso, muniti di docce, gabinetti, panche, attaccapanni, cassetti di custodia, tavoli per massaggi, ecc.; l) ambienti per il servizio sanitario con tutto l’occorrente per il pronto soccorso; m)ambienti per le riunioni delle giurie, con tavoli, sedie, macchine da scrivere, carta, telefono, ecc.; n) ambienti per la stampa, per la pubblica sicurezza; o) ambienti per la direzione, amministrazione, per il personale di custodia, magazzini, depositi e vari altri a seconda della importanza e mole dello stadio; p) quando sia possibile uno spazio coperto per sala muscolazione e palestrina di allenamento invernale.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
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D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
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ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
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. EGLI B.4.4 ABILITÀ DIVI IC T T R A PR NTI SPO IMPIA
B 125
B.4. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI PRATICABILITÀ DEGLI IMPIANTI SPORTIVI
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IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT
➦ ISTRUZIONI TECNICHE PER LA COSTRUZIONE DI IMPIANTI PER L’ATLETICA LEGGERA Estratto dalla normativa F.I.D.A.L. (Federazione Italiana di Atletica) FIG. B.4.4./1 ATLETICA LEGGERA – IMPIANTO POLIVALENTE DI ATLETICA LEGGERA E CALCIO PISTA E PEDANE DA UBICARE IN UN IMPIANTO COMPLETO DI ATLETICA LEGGERA ALL'APERTO
DIMENSIONI MINIME E MASSIME DEI CAMPI DI CALCIO
- PISTA DI ATLETICA: - PEDANE PER SALTI: - PEDANE PER I LANCI:
GARE INTERNAZIONALI LEGA NAZ. PROFESS. A E B LEGA NAZ. SEMIPROFESS. C E D LEGA NAZ. DILETT. PROMOZIONE LEGA NAZ. DILETT. 1ª E 2ª CAT. LEGA NAZ. DILETTANTI 3ª CAT. SETTORE GIOVANILE
PER LE CORSE DI DIVERSA LUNGHEZZA COMPRESE LE CORSE AD OSTACOLI SALTO IN LUNGO, SALTO TRIPLO, SALTO CON L'ASTA, SALTO IN ALTO LANCIO DEL GIAVELLOTTO, LANCIO DEL DISCO, LANCIO DEL PESO, LANCIO DEL MARTELLO
DISPOSIZIONE DELLE ATTIVITÀ SPORTIVE DIMENSIONATE IN BASE AGLI STANDARD OLIMPICI
(64 x 100) ÷ (75 x 110) (65 x 105) ÷ (70 x 110) (60 x 100) ÷ (70 x 110) (60 x 100) ÷ (70 x 110) (50 x 100) ÷ (65 x 110) 45 x 90 45 x 90
10,00 m
45 m
v
L1 = 2 X RI = 72,40 M ÷ 79,40 M L1 = 2 X RE = 91,92 M ÷ 98,92 M
PISTE DI ATLETICA LEGGERA DELLE CLASSI ' A' E 'B'
RE (PISTA A 8 CORSIE) = 46,36 M ÷ 50,16 M
SVILUPPO PISTA 400 ,00 M TRATTO RETTIL. MIN 130,00 M RAGGI DI CURVA OTTIMALI - MINIMO 38,50 M - MASSIMO 40,00 M - CONSIGLIATO 39,70 M LARGH. CORSIA - OTTIMALE 122+5 CM - TOLLERATA 117+5 CM - SPESSORE LINEE 5 CM - SESSORE CORDOLI 5 CM
L2 (PISTA A 8 CORSIE DA 122+5) = 173,72 M ÷ 178,06 M
LT = 85,34 M ÷73,40 M RE (PISTA A 8 CORSIE) = 46,36 M ÷ 50,16 M.
100,00 m
SALTO CON L'ASTA
45 m SALTO IN LUNGO E TRIPLO
95 m
90
LT = 73,40 M ÷85,34 M
75÷
40° 29°
RE (PISTA A 6 CORSIE) = 43,82 M ÷ 47,62 M
LANCIO DEL PESO 25 m
LANCIO DEL GIAVELLOTTO
O
ELL
ART
EM
60°
v
B 126
40°
TRATTO RETTILINEO , COMPRESI SPAZI DI PARTENZA E DI ARRIVO = MINIMO 130 M (IN TUTTI I CASI)
33,50÷36,50 m
SALTO IN ALTO 23÷25 CO
DIS
CAMPO DI CALCIO - 100x70 M
DEL
L2 (PISTA A 6 CORSIE DA 122+5) = 168,64 M ÷ 172,98 M
CIO
LAN
RE (PISTA A 6 CORSIE) = 43,82 M ÷ 47,62 M
L1 (PISTA A 6 CORSIE DA 122+5)= 2 X RE = 91,92 M ÷ 98,92 M
STRISCE (LINEE) DA MARCARE: - PARTENZA - ARRIVO - ZONE DI CAMBIO (STAFFETTA) - POSIZIONE OSTACOLI MATERIALI PER MARCATURA: - POLVERE DI GESSO - LATTE DI CALCE - CEMENTITE - LISTE DI PLASTICA* - VERNICE * NON AMMESSE PER LA LINEA DI ARRIVO
RIMANDI PER ULTERIORI DATI DATI E CARATTERISTICHE DEGLI IMPIANTI D'ATLETICA - ESTRATTI DALLE NORME TECNICHE FIDAL SONO SPECIFICATI NEL TESTO: B.4.4. ATLETICA LEGGERA B.4.5. GIOCO DEL CALCIO SCHEMI GRAFICI E DETTAGLI SONO RIPORTATI NELLE FIGG. SEGUENTI: - PISTA DI ATLETICA B.4.4./2 - SALTI E LANCI B.4.4./3 - PEDANE PER SALTI B.4.4./4 - PEDANE PER LANCI B.4.4./5 - CAMPO DI CALCIO B.4.5./1
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
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IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ DEGLI IMPIANTI SPORTIVI
B.4. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.4.4./2 ATLETICA LEGGERA – PISTA AD ANELLO CON 8 CORSIE
RE.
RI = RAGGIO INTERNO DELLE PARTI IN CURVA MISURATO AL BORDO INTERNO DELLA CORSIA 1 RE = RAGGIO ESTERNO DELLE PARTI IN CURVA MISURATO AL BORDO ESTERNO DELLA CORSIA N L1 = DIAMETRO MINORE NETTO DELL'ANELLO (= 2 x RE) (DIAMETRO MINORE LORDO = L1+5+5) LT = LUNGHEZZA DELLA PARTE RETTILINEA DELL'ANELLO LT = (400 /2) - [(RI + 0,30) x 3,1415] L2 = DIAMETRO MAGGIORE NETTO DELL'ANELLO (= L1+LT) (DIAMETRO MAGGIORE LORDO = L2 +5+ 5)
6 ,8
49
49,86 m (consigliata)
PISTE DI ATLETICA LEGGERA - DATI DI DIMENSIONAMENTO
m (c on E.
) ta ia gl si
R
LO SVILUPPO COMPLESSIVO DELL'ANELLO (400 M) SI MISURA A 30 CM DAL BORDO INTERNO DELLA CORSIA 1 ED E' PARI A [(RI+30 CM ) x 6,283 ]+ 2 LT
RI
ALTRI DATI E MODALITÀ DI MISURAZIONE RELATIVI A PISTE OMOLOGABILI DALLA FIDAL SONO RIPORTATI NEL TESTO (B.8.4.5./1. "ATLETICA LEGGERA")
LINEA DI ARRIVO DI TUTTE LE GARE
C2
TABELLE DEI DATI DI INGOMBRO DELLE PISTE RELATIVE AI CASI PIÙ FREQUENTI OMOLOGABILI (FIDAL)
39,70 m (consigliata)
A - PISTA A 6 CORSIE DA 117 + 5 CM (122 x 6 = 732 CM = MISURA MINIMA FIDAL)
CONSIGLIATO
100,00 m
L2.
LT.
174,06 m (consigliata) 74,34 m (consigliata)
MIINIMO
C1 PERCORSI ALTERNATIVI E VASCA D'ACQUA PER GARE CON SIEPI
10,00 m
LT (cm) L1 (cm) L2 (cm) (2 x RE) (L1+LT)
3620
4352
8534
8704
17238
3670
4402
8377
8804
17181
3770
4502
8063
9004
17067
3870
4602
7748
9204
16952
3970
4702
7434
9404
16838
4000
4732
7340
9464
16834
RI (cm)
RE (cm) (RI+732)
LT (cm) L1 (cm) L2 (cm) (2 x RE) (L1+LT)
3620
4382
8534
8764
17298
3670
4432
8377
8864
17241
3770
4532
8063
9064
17127
3870
4632
7748
9264
17012
3970
4732
7434
9464
16898
4000
4762
7340
9524
16864
C - PISTA A 8 CORSIE DA 122 + 5 CM (127 x 8 = 1016 CM)
RE.
110 - LT + (2,5 + 3)
49,86 m (consigliata)
CONSIGLIATO
PARTENZA DEI 100 METRI
RE (cm) (RI+732)
B - PISTA A 6 CORSIE DA 122 + 5 CM (127 x 6 = 762) CM
MIINIMO
PARTENZA DEI 110 METRI
RI (cm)
RI (cm)
v
MIINIMO
CONSIGLIATO
v
RE (cm) LT (cm) L1 (cm) L2 (cm) (RI+1016) (2 x RE) (L1+LT)
3620
4636
8534
9272
17806
3670
4686
8377
9372
17749
3770
4786
8063
9572
17635
3870
4886
7748
9772
17520
3970
4986
7434
9972
17406
4000
5016
7340
10032
17372
L1 PISTA A 8 CORSIE DA 122 + 5 CM (127 x 8 = 1016) 1016+5 cm (8 corsie) 762+5 cm (6 corsie) 122 cm 122 cm 122 cm 122 cm 122 cm 122 cm
8
7
6
5
4
3
PISTA A 6 CORSIE DA 117 + 5 CM (122 x 6 = 732)
122 cm
122 cm
2
1
30 CM LINEA DI MISURAZIONE DELLO SVILUPPO DELL'ANELLO (RI+30 CM) LINEA DI MISURAZIONE DI RI (BORDO INTERNO DELLA CORSIA 1)
5
5
117 cm
117 cm
6
5
732+5 cm (6 corsie) 117 cm 117 cm
4
3
117 cm
117 cm
2
1
5
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
30 CM LINEA DI MISURAZIONE DELLO SVILUPPO DELL'ANELLO (RI+30 CM) LINEA DI MISURAZIONE DI RI (BORDO INTERNO DELLA CORSIA 1)
. EGLI B.4.4 ABILITÀ DIVI IC T T R A PR NTI SPO IMPIA
B 127
B.4. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI PRATICABILITÀ DEGLI IMPIANTI SPORTIVI
•
IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT
➦ ISTRUZIONI TECNICHE PER LA COSTRUZIONE DI IMPIANTI PER L’ATLETICA LEGGERA Estratto dalla normativa F.I.D.A.L. (Federazione Italiana di Atletica) FIG. B.4.4./3 ATLETICA LEGGERA – LANCI, SALTI
SALTO IN LUNGO SALTO TRIPLO
SALTO IN ALTO
3,50 m
6m
40°
40°
3,50 m
6÷7 m
6÷7 m
VASCA DI SABBIA
R. MIN. 75 m
R. MIN. 18 m
3,10 m
2,75÷5,00 m
LANCIO DEL MARTELLO LANCIO DEL DISCO
LANCIO DEL PESO
4m
122
75 cm 2,135 m
2,5 m RETE DI PROTEZIONE
LANCIO DEL GIAVELLOTTO
R. MIN. 90 m
6m 4m
29°
11 m
5m
BASE DI CEMENTO PER ZONA CADUTA A 75
75
150
C 150
2 m ~4 m RINCORSA = 40 m MIN.
ASSE DEI DRITTI
122
122
min.200
min.200
RAGGIO = 8 m
2m
50
120
13 m SALTO TRIPLO
BUCA
RINCORSA 40 m MIN.
RINCORSA 40 m MIN.
B 128
B
O
400 cm
RINCORSA 33,50 ÷ 36,50 m.
4,00 m
SALTO IN LUNGO 2m
SALTO CON L'ASTA
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ DEGLI IMPIANTI SPORTIVI
B.4. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.4.4./4 ATLETICA LEGGERA – SALTO IN LUNGO E TRIPLO E SALTO CON L’ASTA – PARTICOLARI 13,00 m
B.STAZIONI DILEGIZLII
600÷700 cm
I ED PRE NISM ORGA
11,00 m 4,00 m 2,00 m
C.RCIZIO
VASCA DI SABBIA
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
500 cm
275 cm
122 cm
200 cm
E ESE ESSIONAL PROF
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
ASSI DI BATTUTA DEL SALTO TRIPLO
ASSI DI BATTUTA DEL SALTO IN LUNGO
ASSE DI BATTUTA
PROIEZIONE DELCORDOLO
II° STRATO
PIANO DELLA PISTA
I° STRATO
MANTO SUPERIORE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
CORDOLO PERIMETRALE RIALZATO CORDOLO IN PIANO CON LA PISTA
10
G.ANISTICA minimo 50 cm
URB
20 cm
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
SABBIA H. variabile
DRENAGGIO ZONA DI SCAVO TERRENO PREPARATO VASCA DEL SALTO IN LUNGO E SALTO TRIPLO 200÷400 cm.
550 cm
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
PARTICOLARE DELLA "BUCA"
200 cm
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
75 cm
120 cm
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
15 cm
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
100 cm
ASSE DEI RITTI 80 cm
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
20 cm
122 cm
BASE DI CEMENTO PER ZONA CADUTA BUCA
600 cm
60 cm
50
75 cm
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
II° STRATO
CORDOLO
I° STRATO
PIANO PISTA
TERRENO
MANTO SUP.
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST CUSCINO PER CADUTA
80 cm
PEDANA DEL SALTO CON L'ASTA - PARTICOLARI
➥
. EGLI B.4.4 ABILITÀ DIVI IC T T R A PR NTI SPO IMPIA
B 129
B.4. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI PRATICABILITÀ DEGLI IMPIANTI SPORTIVI
•
IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT
➦ ISTRUZIONI TECNICHE PER LA COSTRUZIONE DI IMPIANTI PER L’ATLETICA LEGGERA Estratto dalla normativa F.I.D.A.L. (Federazione Italiana di Atletica) FIG. B.4.4./5 ATLETICA LEGGERA – LANCIO DEL PESO, DEL DISCO, DEL MARTELLO E DEL GIAVELLOTTO – PARTICOLARI LANCIO DEL PESO
LANCIO DEL DISCO E DEL MARTELLO PEDANA DISCO
40°
122
AMBITO DI LANCIO R. = 25 m (PESO)
75 cm
AMBITO LANCIO DISCO R. = 70 m
213,5 cm
AMBITO LANCIO MARTELLO R = 75 m
40°
25 cm
213,5 cm
75 cm
PEDANA MARTELLO
LINEA BIANCA 5 CM
LINEA BIANCA 5 CM
ANELLO DI ACCIAIO
FERMAPIEDE IN LEGNO ANELLO DI ACCIAIO
II° STRATO
I° STRATO
I° STRATO 213,5 cm 28÷35 cm.
250 cm.
10 cm
FERMAPIEDE
II° STRATO
LANCIO DEL DISCO E DEL MARTELLO - PARTICOLARE PAVIMENTAZIONE LANCIO DEL PESO - PARTICOLARE PAVIMENTAZIONE
9 cm
ANCORAGGIO
8÷10. 3. 2.
ANELLO DI ACCIAIO MANTO SUPERIORE
ANELLO DI ACCIAIO QUOTA PEDANA MALTA DI CEMENTO E SABBIA MASSETTO DI CLS. ARMATO MASSICCIATA
15÷20.
ANELLO DI ACCIAIO MANTO SUPERIORE
FERMAPIEDE IN LEGNO VERNICIATO DI BIANCO PUNTONE DI ANCORAGGIO 11,4 cm
PARTICOLARE FERMAPIEDE
150 cm
LANCIO DEL GIAVELLOTTO
RINCORSA 33,50÷36,50 m
400 cm
A
ASSE DELL'AMBITO DI LANCIO R. = 90 m B
29°
R = 800 cm ARCO DI INIZIO MISURAZIONE LINEA DA 7 CM
MANTO SUPERIORE
150 cm
C LINEA DA 5 CM DI SPESSORE
II° STRATO CIGLIO
I° STRATO ARCO DI INIZIO MISURAZIONE 5 cm min.
7 LANCIO DEL GIAVELLOTTO - PARTICOLARE DELLA PAVIMENTAZIONE
B 130
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ DEGLI IMPIANTI SPORTIVI
B.4. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
CLASSIFICAZIONE IMPIANTI 1. SUDDIVISIONE DEGLI IMPIANTI La FIDAL suddivide i campi e gli stadi, avuto riguardo al soli impianti di atletica, in quattro classi: Classe A: impianti per riunioni internazionali; Classe B: impianti per riunioni nazionali; Classe C: impianti per riunioni regionali e campi scuola; Classe D: impianti ove esistono installazioni atte a praticare alcune specialità di atletica leggera. L’assegnazione alle classi anzidette viene fatta in base agli impianti contenuti come segue.
2. IMPIANTI DI CLASSE A li impianti atletici di Classe A sono costituiti da: a) una pista atletica da sei a otto corsie, della larghezza minima di 7,32 m e dello sviluppo minimo (misurato a 30 cm dalla corda) di 400 m. La pista deve avere un tratto rettilineo di almeno 130 m di lunghezza. Gli scalari, le linee di partenza e di arrivo debbono essere riportati sui due bordi della pista con piastrine di metallo, inamovibili; b) pedane per il salto in lungo e triplo, aventi una pista per la rincorsa bordata in legno od altro materiale, larga almeno 1,22 m e lunga almeno 50 m (dall’inizio della rincorsa all’asse di battuta) e una fossa di caduta, possibilmente bordata in legno od altro materiale (ad angoli interni smussati) di almeno 4 m (larghezza) per 5 m (lunghezza). Lo spazio utile per il salto in lungo, dall’asse di battuta al fondale della fossa, non deve essere inferiore a 10 m e per il triplo a 19. La fossa, la pista di rincorsa e l’asse di battuta e le relative bordature debbono trovarsi su di un medesimo piano orizzontale. Gli assi di battuta saranno posti dalla fossa a 2 m per il lungo femminile, 4 m per il lungo maschile, 11 e 13 m per il triplo; c) pedane per il salto con l’asta, come dimensione e sviluppo identiche alle prime, ma non è necessario che termini con la fossa di caduta, a meno che non venga utilizzata anche questa per i salti di estensione. Comunque al termine della pista di rincorsa si piazzeranno la cassetta d’imbucata, i ritti e la zona di atterraggio; d) pedane per il salto in alto, aventi una pista di rincorsa semicircolare di raggio non inferiore a 20 m con bordatura non sopraelevata. Il tutto disposto su un piano orizzontale e con zona di atterraggio;
p) per gli impianti di Classe A è necessario che le pedane di salti e lanci siano almeno doppie e in posizioni opposte per la stessa specialità, in modo da orientare lo svolgimento delle gare con le condizioni di vento e sole favorevoli e che piste e pedane siano ricoperte in materiale coerente (bituminosi o gommosi); q) zona di riscaldamento per gli atleti;
3. IMPIANTI DI CLASSE B Gli impianti atletici di Classe B sono costituiti da:
D.GETTAZIONE
a) una pista atletica con le stesse caratteristiche delle Classi A, almeno in sei corsie e con manto bituminoso; b) pedane per salto in lungo e con l’asta come per la Classe A, ma con pista di rincorsa lunga almeno 45 m; c) pedane per il salto triplo come per la Classe A, in cui lo spazio utile non sia inferiore a 17 m e la rincorsa non meno di 45 m;
o) che tra il bordo esterno della pista podistica e la recinzione del campo di gara, vi sia una striscia di rispetto di circa 1 m di larghezza;
F. TERIALI,
G.ANISTICA URB
f) pedane per il lancio del disco, come per la Classe A, ma con settore di lancio con raggio minimo di 65 m; g) pedane per il lancio del martello come per la Classe A, ma con settore di lancio col raggio minimo di 70 m; h) pedane per il lancio del peso come per la Classe A, ma con settore di lancio del raggio minimo di 20 m: i) sottopassaggio come per la Classe A;
m)impianto di altoparlante come per la Classe A; n) striscia di rispetto come per la Classe A;
4. IMPIANTI DI CLASSE C Gli impianti atletici di Classe C sono costituiti da: a) una pista atletica con almeno quattro corsie regolamentari e uno sviluppo anche inferiore a 400 m; b) pedane per il salto in lungo, triplo, con l’asta come per la Classe B ma con una rincorsa di almeno 40 m dall’asse di battuta del salto triplo;
d) una pedana per il lancio del peso da usarsi anche per il martello, quindi con fermapiede asportabile e facilmente fissabile al terreno; e) una pedana per il lancio del disco simile a quella di Classe B;
n) un tabellone luminoso segnalatore per punteggi e varie, di dimensioni adeguate in modo da essere visibile a occhio nudo da ogni parte del campo;
CO NTALE AMBIE
e) pedane per il lancio del giavellotto come per la Classe A, soltanto che la lunghezza dello spazio utile può ridursi a 90 m e la pista di rincorsa a 30 m. Inoltre la pista di rincorsa può ricavarsi anche su erba;
c) una pedana per il salto in alto come per la Classe A ma con raggio di 18 m;
m)impianto fisso di altoparlante e di una cabina radio in posizione dominante possibilmente in linea e dalla parte del traguardo generale e dalla quale possa dirigersi la manifestazione. Vi faranno capo i microfoni e gli apparecchi telefonici che comunicano con i vari settori del campo di gare;
E.NTROLLO
d) pedane per il salto in alto come per la Classe A;
o) per gli impianti di Classe B sarebbe consigliabile che le pedane dei salti e lanci fossero almeno doppie per le stesse ragioni per la Classe A.
l) spogliatoi, dotati di completi impianti igienico sanitari e di riscaldamento con una capacità non inferiore a duecento concorrenti, e almeno due locali capaci di circa quaranta giudici, di un locale attrezzato per i servizi di pronto soccorso e di un altro per la segreteria generale e servizi inerenti alla manifestazione;
PRO TTURALE STRU
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
f) pedane circolari per il lancio del disco, bordate in legno od in metallo, del diametro interno di 2,50 m; con un settore di lancio di 40° del raggio minimo di 70 m. Tale settore deve essere libero da ogni ostacolo in senso verticale e orizzontale e il terreno di caduta deve trovarsi sullo stesso piano orizzontale del bordo superiore della pedana;
i) un sottopassaggio per accedere all’interno del campo di gara, o comunque un unico ingresso che permetta il controllo per l’entrata e l’uscita, dal campo stesso, di atleti, giudici, ecc., durante le manifestazioni. Il campo di gara deve essere completamente cintato con protezione in rete alta almeno 1 m;
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
l) spogliatoio come per la Classe A, ma con capienza di almeno centocinquanta atleti;
h) pedane circolari per il lancio del peso, in tutto identiche a quelle per il lancio del martello, ma con un settore di lancio di 40° del raggio di 25 m. Inoltre tali pedane sono munite di regolamentare fermapiede solidamente fissato al terreno;
I ED PRE NISM ORGA
r) idoneo impianto di illuminazione e segnalazione.
e) pedane per il lancio del giavellotto, aventi una pista di rincorsa della lunghezza di almeno 36,50 m e larghezza 4 m. Lo spazio utile per la caduta dell’attrezzo (cioè libero da ogni ostacolo verticale e da ogni altro impianto) deve avere una lunghezza minima di 100 metri. Tutto l’impianto, compreso il terreno di caduta dell’attrezzo, deve essere su uno stesso piano orizzontale;
g) pedane circolari per il lancio del martello, in tutto come le precedenti, ma il diametro interno di 2,135 m e settore di lancio di 40° del raggio minimo di 75 m. Anche per queste pedane valgono le norme anzidette. Inoltre tali pedane debbono essere munite di gabbia protettrice;
B.STAZIONI DILEGIZLII
f) uno spazio utile per il lancio del giavellotto; g) unico accesso al campo di gara, meglio se un sottopassaggio come per le classi precedenti. Il campo di gara deve essere cintato e la striscia di rispetto è sufficiente sia di 0,50 m;
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
h) spogliatoi e servizi per almeno cento atleti; i) se possibile impianto di altoparlante anche non fisso.
5. IMPIANTI DI CLASSE D Rientrano in questa classe tutti gli impianti atletici che non posseggono i requisiti per appartenere alle precedenti classi, ma che comunque posseggono alcune installazioni per praticare l’atletica leggera.
. EGLI B.4.4 ABILITÀ DIVI IC T T R A PR NTI SPO IMPIA
B 131
B.4. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI PRATICABILITÀ DEGLI IMPIANTI SPORTIVI
•
IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT
➦ ISTRUZIONI TECNICHE PER LA COSTRUZIONE DI IMPIANTI PER L’ATLETICA LEGGERA Estratto dalla normativa F.I.D.A.L. (Federazione Italiana di Atletica) MISURAZIONE E OMOLOGAZIONE 1. MISURAZIONE
Sviluppo delle curve delle varie corsie
Si prenda in esame il caso che la pista atletica sia formata da due rettilinei raccordati da due semicerchi e a un solo centro (come la maggior parte delle piste costruite, ma obbligatorie per quelle da costruire). Il misuratore ufficiale è in grado di determinare la esatta ubicazione delle piastrine segnaletiche, procedendo ai calcoli appresso indicati. Si ritiene che questo metodo di misurazione oltre a essere più esatto del metodo tradizionale, è nello stesso tempo semplice, impegna un lavoro manuale limitato e permette un facile controllo di tutta la segnaletica. Per illustrare il concetto si premette quanto segue. Consideriamo la misura degli angoli un radianti: dato l’angolo a se AB e CD sono archi di cerchio, rispettivamente di raggio r e, R, la misura in radianti dell’angolo (che è data dal rapporto fra la lunghezza di un arco e il rispettivo raggio) è indifferentemente l/r oppure L/R di conseguenza si ha la relazione:
al bordo interno della corda in prima corsia in seconda corsia in terza corsia in quarta corsia in quinta corsia in sesta corsia
l/r = L/r da cui l = L r/R. In pratica questa relazione permette di ottenere su ogni corsia la posizione degli ostacoli, delle zone di cambio delle staffette, delle partenze scalari, ecc., effettuando misurazioni sul bordo interno della cordonata interna della pista. Sia OX il raggio corrispondente al punto di tangenza, l’arco AB rappresenti il bordo interno della cordonata interna, gli archi A1-B1; A2-B2; A3-B3; A4-B4; A5-B5; A6-B6 gli archi lungo i quali vanno misurate le distanze relative alla prima, seconda, terza, quarta, quinta e sesta corsia (quindi in pratica: A–A1 = 0,30; A–A2 = 1,47; A–A3 = 2,74; A–A4 = 4,01;
A–A5 = 5,28; A–A6 = 6,55). In concreto nella misurazione sono note le misure che debbono essere portate sugli archi A1-B1; A2-B2;.... A6-B6, in corrispondenza occorre determinare quelle da riportare su AB per la posa delle piastrine segnaletiche corrispondenti. Dunque nella relazione di cui alla Figura 1 è noto L e si deve determinare corrispondentemente l. Ora si possono presentare due casi: 1) sugli archi A1-B1; A2-B2;.... A6-B6, a partire da A1, A2, .... A6, deve aversi la stessa lunghezza L, allora su AB (a partire da A) si debbono portare rispettivamente le seguenti misure, dedotte dalla relazione figura 1:
l1 = L1 r/R1; l2 = L2 r/R2; l3 = L3 r/R3;.... l6 = L6 r/R6 (II)
INDICAZIONE
RAGGIO
tg.A
tg.B
tg.C
tg.D
tg.A
cordonata
39,70
0,00
74,34
199,06
273,40
398,12
prima corsia
40,00
0,00
74,34
200,00
274,34
400,00
seconda corsia
41,17
0,00
74,34
203,68
278,02
407,36
terza corsia
42,44
0,00
74,34
207,67
282,01
415,34
quarta corsia
43,71
0,00
74,34
211,66
286,00
423,32
quinta corsia
44,98
0,00
74,34
215,65
289,99
431,30
sesta corsia
46,25
0,00
74,34
219,64
293,98
439,28
Partendo dalla tg.A e proseguendo in senso orario in ciascuna corsia incontriamo gli ostacoli della corsa 400 H, a cominciare dal decimo e via via al primo fino alla partenza, dopo rispettivamente 40, 75, 110, 145, 180, 215, 250, 285, 320, 355, 400 m e così gli assi delle zone di cambio della staffetta 4 x 100 dopo 100, 200, 300 m. Prima di compilare le tabelle che ci danno la posizione di tutte le piastrine (da fissare sulle cordonate) facciamo due esempi che serviranno a chiarire ulteriormente il procedimento: • primo caso: in cui le piastrine indicatrici di un ostacolo (ad esempio il sesto) si trovano tutte in curva; • secondo caso: in cui le piastrine indicatrici (ad esempio per il quinto ostacolo) sono parte in rettilineo e parte in curva. Primo caso – Dallo specchio dei coefficienti di rapporto fra i raggi e dalla tabella degli sviluppi delle corsie riferiti ai punti di tangenza, vediamo che essendo la distanza fra il sesto ostacolo e l’arrivo di 180 m, in tutte le sei corsie, il sesto ostacolo sarà compreso tra la tg.B e la tg.C, sarà quindi in curva per ogni corsia. Ricordiamo la formula:
2) sugli archi A1-B1; A2-B2;....A6-B6, a partire da A1, A2,... ...A6, si debbono avere lunghezze diverse L1; L2;.... L6 allora su AB (a partire da A) si debbono portare rispettivamente le seguenti misure, ancora dedotte dalla figura 1:
l1 = L r ; 12 = L r , ecc., R1 R2
l1 = L1 r/R1; l2 = L2 r/R2; l3 = L3 r/R3;.... l6 = L6 r/R6 (III) Si noti che nelle relazioni (II) e (III) i rapporti r/R1, r/R2, .... r/R6 sono costanti e pertanto basta calcolarli una volta sola e servono per tutti i casi; detti rapporti li chiameremo coefficienti di rapporto. Ciò premesso: prendiamo in esame una pista a sei corsie di un tipico campo sportivo avente la lunghezza dei rettifili di 74,34 m e il raggio r = 39,70 e calcoliamo subito i raggi degli archi lungo i quali vanno misurate le distanze relative alle sei corsie chiamiamo quindi con:
r il raggio al bordo interno della corda R1 il raggio alla prima corsia R2 il raggio alla seconda corsia R3 il raggio alla terza corsia R4 il raggio alla quarta corsia R5 il raggio alla quinta corsia R6 il raggio alla sesta corsia
= 39,70 = r + A–A1 = 39,70 + 0,30 = 40,00 = r + A–A2 = 39,70 + 1,47 = 41,17 = r + A–A3 = 39,70 + 2,74 = 42,44 = r + A–A4 = 39,70 + 4,01 = 43,71 = r + A–A5 = 39,70 + 5,28 = 44,98 = r + A–A6 = 39,70 + 6,55 = 46,25
e conseguentemente troviamo i coefficienti di rapporto: per la prima corsia r/R1 per la seconda corsia r/R2 per la terza corsia r/R3 per la quarta corsia r/R4 per la quinta corsia r/R5 per la sesta corsia r/R6
= 39,70 : 40,00 = 0,992500 = 39,70 : 41,17 = 0,964294 = 39,70 : 42,44 = 0,925438 = 39,70 : 43,71 = 0,908259 = 39,70 : 44,98 = 0,882614 = 39,70 : 46,25 = 0,858378
Stabilito, per funzionalità e controllo, di far coincidere l’arrivo generale con la tg. A e chiamando con B, C, D, le successive tangenti che incontriamo procedendo in senso orario della tg.A.
= 39,70 x 3,1416 = 124,72 m = 40,00 x 3,1416 = 125,66 m = 41,17 x 3,1416 = 129,34 m = 42,44 x 3,1416 = 133,33 m = 43,71 x 3,1416 = 137,32 m = 44,98 x 3,1416 = 141,31 m = 46,25 x 3,1416 = 145,30 m
in questo caso L è uguale per tutte le corsie essendo pari a m (180–74,34) ed essendo noti i rapporti r/R si può calcolare l per le varie corsie (riferite alla cordonata) l = (180 – 74,34) x r/R e dato che nelle nostre misurazioni siamo partiti dall’arrivo generale in senso orario, le piastrine saranno distanti da questo rispettivamente: sesta corsia quinta corsia quarta corsia terza corsia seconda corsia prima corsia
= (180,00 – 74,34) x 0,858378 + 74,34 = 165,03 = (180,00 – 74,34) x 0,882614 + 74,34 = 167,59 = (180,00 – 74,34) x 0,908259 + 74,34 = 170,30 = (180,00 – 74,34) x 0,935438 + 74,34 = 173,17 = (180,00 – 74,34) x 0,964294 + 74,34 = 176,22 = (180,00 – 74,34) x 0,992500 + 74,34 = 179,20
Notiamo in generale che L non è lo stesso per tutte le corsie. Ad esempio, per il secondo ostacolo si hanno, a partire dalla sesta corsia, i seguenti valori L: sesta corsia L6 (320,00 – 293,98) terza corsia L3 (320,00 – 282,01) quinta corsia L5 (320,00 – 289,99) seconda corsia L2 (320,00 – 278,02) quarta corsia L4 (320,00 – 286,00) prima corsia L1 (320,00 – 274,34). Per calcolare in questo caso le distanze sulla cordonata dall’arrivo generale si ha metri
273,40 + (L1 r ), ecc. R1 Così ad esempio: per la sesta corsia (320 – 293,98) x 0,858378 + 273,40 = 295,73; ecc.
Compiliamo ora una tabella degli sviluppi della corsia riferiti ai punti di tangenza in funzione dei rettifili e dei raggi degli archi lungo i quali vanno misurate le distanze relative alle sei corsie (tabella che permette di conoscere la posizione in cui si trovano gli ostacoli della 400 H e gli assi delle zone di cambio della staffetta 4 x 100, ecc.
B 132
Secondo caso – Prendiamo in esame il quinto ostacolo della corsa 400 H. Detto ostacolo dista 215 m dall’arrivo generale. Per la sesta e quinta corsia esso risulta in curva, mentre nelle rimanenti corsie esso trovasi in rettilineo.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
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IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ DEGLI IMPIANTI SPORTIVI
B.4. 4. A.ZIONI
I valori di L per la sesta e quinta corsia sono uguali e pari a: (215 – 74,34) e pertanto l si ottiene per le rispettive corsie con:
l = (215 – 74,34), x r e (215 – 74,34) x r R6 R5 La distanza dall’arrivo generale al quinto ostacolo è allora: per la sesta corsia per la quinta corsia
(215–74,34) x 0,858378 + 74,34 = 195,07; (215–74,34) x 0,882614 + 74,34 = 198,48.
Gli altri ostacoli si trovano in rettilineo a varie distanze dalla tg.C a seconda delle corsie. Questa distanza è: per la quarta corsia per la terza corsia per la seconda corsia per la prima corsia
(215,00 – 211,66) + 199,06 = 202,40 (215,00 – 207,67) + 199,06 = 206,39 (215,00 – 203,68) + 199,06 = 210,38 (215,00 – 200,00) + 199,06 = 214,06
renza nella sua larghezza totale (7,57 m per sei corsie e 5,03 m per quattro corsie) tale differenza dovrà essere sopportata esclusivamente dall’ultima corsia; b) alla preparazione delle piastrine indicatrici. Si consiglia l’uso di piastrine metalliche in alpacca, oppure in ottone o in metallo bianco, con numeri e lettere incisi e colorati in nero o rosso. È consentito anche l’uso di piccoli termini in pietra con incisioni ben marcate e colorate (dimensioni di 15 x 20 cm). Le piastrine se metalliche, possono avere la misura di 4 cm per 8 con due robusti gambi a staffa saldati elettricamente nella parte sottostante la dicitura, per permetterne il fissaggio ai bordi. Tutte le piastrine debbono essere fissate sulla faccia superiore dei bordi della pista (o cordoli) od ai lati se si tratta di termini in pietra, e in modo che la loro lettura avvenga direttamente per chi cammina nell’interno del campo a lato della corda della pista stessa; c) al tracciamento delle linee di partenza e arrivo delle corse di 100 e 110 m, in modo che la misura esatta della lunghezza della corsa includa completamente gli spessori delle strisce delimitanti la sola partenza; d) al tracciamento di sei strisce, della consueta larghezza di 5 cm e distanti fra loro 1 m, prima della striscia di arrivo, ma verso la partenza e in senso trasversale alla pista stessa;
2. DISPOSIZIONI GENERALI SULLA OMOLOGAZIONE Tutti gli impianti atletici, a qualsiasi classe essi appartengano, non possono venir omologati se non sono costruiti secondo le norme del regolamento tecnico internazionale. 3. PRELIMINARI Costruiti gli impianti secondo le norme vigenti, e prima di richiedere la omologazione, è necessario che l’ente richiedente o consegnatario effettui prima una misurazione e un controllo esatto della pista e di tutti gli altri impianti, riportando segni provvisori sui bordi della pista stessa, per le partenze, scalari e arrivi delle corse. Le risultanze di tali misurazioni saranno riportate sulla planimetria, in lucido nella maniera esposta nei tipi 6 e 7 in appendice. Di tale lucido se ne faranno tirare almeno due copie cianografiche da inviare alla FIDAL. In questo modo si avranno già dati precisi e sarà cosi preparato il lavoro per la definitiva omologazione, evitando perdite di tempo e successive visite del misuratore.
e) a fissare con termini in pietra, debitamente ancorati al terreno e non sporgenti da esso e portanti l’apposita dicitura di “CENTRO”, il centro per le due curve (se trattasi di curve monocentriche) od i centri (se si tratta di curve policentriche); f) a preparare le pedane dei salti e dei lanci secondo le prescrizioni del regolamento tecnico internazionale e le buone norme di costruzione; in modo che le misure possano essere prese facilmente; g) far trovare il personale a disposizione del misuratore per il giorno della omologazione (almeno due o tre operai). Inoltre dovrà trovarsi sul posto un numeratore od uno scalpellino per fare i fori e applicare le piastrine. Per il loro fissaggio è consigliabile l’uso di cemento ad alta resistenza o meglio ancora cemento fuso. Dovrà provvedersi anche alla corda e filo di ferro cotto per formare allineamenti. Necessita anche un livello, e relativa stadia, per la verifica dei piani delle piste e pedane.
4. PRATICHE PER LA OMOLOGAZIONE 7. IMPIANTI INCOMPLETI L’ente proprietario o consegnatario di un impianto atletico che ne desideri la omologazione, deve rivolgere domanda in carta semplice alla FIDAL gruppo giudici gare (viale Tiziano, 70 – Roma). Alla domanda devono essere allegate: a) due planimetrie disegnate in scala 1:200 compilate nel modo riportato nei tipi 6 e 7 e ripiegate nelle dimensioni massime di 21 x 31 cm. La planimetri deve recare anche la firma del progettista; b) la dichiarazione che l’ente richiedente s’impegna a osservare tutte le disposizioni contenute nelle presenti norme per agevolare le operazioni di omologazione; c) indicazione del materiale con cui è costruito il manto superficiale di pista e pedane; d) tassa di omologazione di 50 €. 5. ESAME DEGLI ELABORATI Ricevuta la domanda e i relativi allegati, la segreteria nazionale del gruppo giudici gare esaminerà gli elaborati tecnici e ritenuti passibili di omologazione provvederà ad affidare l’incarico a un misuratore ufficiale. Contemporaneamente ne darà notizia all’ente richiedente. Il misuratore fisserà a sua volta la data della visita sopralluogo, avvertendo l’ente interessato, che provvederà ad approntare gli impianti in modo che possa effettuarsi la omologazione secondo le presenti norme. 6. PREPARAZIONE DEGLI IMPIANTI PER LA OMOLOGAZIONE Per la data fissata per il sopralluogo di omologazione è necessario che l’ente richiedente provveda: a) al tracciamento completo delle corsie (larghezza della striscia delimitante 5 cm). Per tale tracciamento, che dovrà svolgersi a cominciare da 1,22 m dal filo interno (rispetto alla pista) della corda, si dovrà fare in modo che, tanto in rettilineo, quanto nelle curve, le righe siano comprese rispettivamente fra le seguenti misure progressive: • prima riga: m 1,22 e m 1,27; – quarta riga: m 5,03 e m 5,08; • seconda riga: m 2,49 e m 2,54; – quinta riga: m 6,30 e m 6,35; • terza riga: m 3,76 e m 3,81. L’esattezza dovrà essere assoluta e quindi occorrerà controllare tali misure più volte e in più punti della pista stessa, mediante l’uso di nastri metallici. Se eventualmente in qualche punto della pista, si constatasse qualche piccola diffe-
Se gli impianti di cui si richiede la omologazione, non risultassero completi per il giorno fissato per il sopralluogo, l’ente richiedente dovrà apportarvi tutte le variazioni necessarie e dare comunicazione della avvenuta esecuzione alla FIDAL. Così, ove non fossero pronti tutti i materiali, opere e personale richiesti, la visita verrà rinviata. Non si potrà assolutamente procedere alla omologazione degli impianti, se non risultano fissate stabilmente, su indicazione, tutte le piastrine sui due bordi della pista podistica. 8. OMOLOGAZIONE Esaurite tutte le operazioni, il misuratore compilerà il “verbale di omologazione” su apposito modulo fornito dalla FIDAL. Nel determinare la lunghezza ufficiale della pista il misuratore dovrà tener presente un concetto fondamentale, cioè che essa sia fissata sui 400 m esatti per ovvi motivi più volte espressi. Quindi, ove dalle varie misurazioni non si raggiungesse tale misura esatta bisognerà richiedere ove sia ancora possibile (d’altra parte la ditta costruttrice ha per obbligo contrattuale di fornire una pista di 400 m e non approssimata a tale misura, quindi la si può richiamare alla osservanza dei patti contrattuali) lo spostamento opportuno della cordonatura per portare lo sviluppo ai 400 m esatti. Ove ciò non fosse più possibile, la pista, se in difetto, va omologata per quello che effettivamente è risultato dalle misurazioni e quindi anche al disotto dei 400 m. Certo che una pista da 399,54 m costituisce un obbrobrio costruttivo e tecnico! Se invece la misurazione è in eccesso ai 400 m si può accettare una tolleranza fino a 13 cm e fissare ufficialmente la pista a 400 m esatti (vedi art.21, testo italiano, e art.145, testo inglese, del regolamento tecnico internazionale). Per misure superiori a 400 m,13 bisognerà adottare ufficialmente la misura spezzata. La FIDAL curerà, dopo l’esame di detti elaborati, l’eventuale aggiornamento di tutte le planimetrie (sulla base dei dati forniti dal misuratore) e provvederà, inoltre, alla omologazione ufficiale degli impianti, previa pubblicazione su apposito comunicato. Da tale data ha luogo la omologazione ufficiale della FIDAL. 9. OBBLIGATORIETÀ DELLA OMOLOGAZIONE Tutti gli impianti esistenti in Italia debbono essere omologati per potervi far svolgere gare di atletica regolarmente approvate dalla FIDAL e suoi organi periferici. Quindi sarà cura particolare dei comitati regionali e locali, delle società di atletica e degli enti proprietari o consegnatari di impianti atletici, di sollecitarne la omologazione. Comunque la FIDAL non permetterà lo svolgimento delle seguenti manifestazioni: campionati individuali (anche regionali), campionati di società (di qualunque categoria), tentativi di primati, ecc., su campi che non abbiano riportato la omologazione della FIDAL.
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NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. EGLI B.4.4 ABILITÀ DIVI IC T T R A PR NTI SPO IMPIA
B 133
B.4. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI PRATICABILITÀ DEGLI IMPIANTI SPORTIVI
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IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT
➦ ISTRUZIONI TECNICHE PER LA COSTRUZIONE DI IMPIANTI PER L’ATLETICA LEGGERA Estratto dalla normativa FIDAL (Federazione Italiana di Atletica) ➦ MISURAZIONE E OMOLOGAZIONE 10. CATASTO Una copia del verbale di omologazione e della segnaletica e due copie della planimetria, verranno rimesse all’ente richiedente. Esso curerà che una copia della planimetria omologata sia collocata nei locali della direzione dello stadio, previa montatura della stessa, in forma stabile, sopra un telaio in legno, in modo da essere comodamente esaminata dai giudici, arbitri o direttori di riunione delle manifestazioni atletiche. Una copia del verbale e della planimetria verranno inviate al comitato regionale od a quello provinciale, che le conserveranno in atti. Le restanti planimetrie e il verbale originale resteranno negli atti della FIDAL che provvederà a formare il catasto degli impianti atletici. 11. COMPETENZA PER LA OMOLOGAZIONE La omologazione degli impianti per le classi A, B e C viene fatta dalla FIDAL e il suo giudizio, in merito anche alla classificazione è inappellabile. La omologazione invece degli impianti di Classe D è di competenza dei singoli comitati regionali, che potranno servirsi dell’opera di misuratori ufficiali. Ad ogni modo ne sarà data comunicazione alla FIDAL ai soli effetti statistici. 12. VARIAZIONI Ogni variazione agli impianti omologati deve essere comunicata immediatamente alla FIDAL tanto da parte dell’ente consegnatario, quanto da parte dei comitati interessati.
La omologazione degli impianti atletici potrà venire sospesa o addirittura revocata, quando la FIDAL ritenga che gli impianti stessi, per le variazioni apportatevi e per il α deperimento riscontrato non rispondono più, in tutto od in parte, allo stato accertato in sede di omologazione. 13. SOSPENSIONE La sospensione della omologazione verrà comunicata dalla FIDAL direttamente all’ente proprietario o consegnatario degli impianti, con i suggerimenti o rifacimenti da apportarvi. Durante la sospensione il campo non potrà essere utilizzato per lo svolgimento di manifestazioni atletiche. Esauriti i rifacimenti, previo accertamento degli organi competenti, potrà essere nuovamente resa valida la omologazione già data. In caso di varianti sensibili, si procederà a nuova omologazione, seguendo la prassi nota. 14. REVOCA Nel caso l’ente consegnatario degli impianti non esegua i rifacimenti suggeriti dalla FIDAL o comunque violi le disposizioni contenute nelle presenti norme, si procederà alla revoca della omologazione degli impianti stessi, dandone notizia attraverso comunicato. Con la revoca cessa anche la possibilità di far svolgere su detti impianti manifestazioni di atletica.
L
l
α r R
α
tg.C
CORDONA
tg.D
743
9
7
0
B3
3
B B1
B2
l1 l2
B4
l3
B5
l4
B6
l5
tg.B
l6
A6
A5
A4
A3
A2
A1 R R1 R2 R3 R4 R5 R6
B 134
tg.A E TRAGUARDO
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ E FRUIBILITÀ DEGLI IMPIANTI PER ALTRE DISCIPLINE SPORTIVE
B.4. 5.
CALCIO
A.ZIONI
DIMENSIONI REGOLAMENTARI DEI CAMPI – REGOLAMENTO IMPIANTO SPORTIVO (secondo il regolamento della Federazione Italiana Gioco Calcio – F.I.G.C.) 1. DIMENSIONI Il terreno di gioco deve essere rigorosamente rettangolare e orizzontale (tollerandosi una pendenza massima dello 0,5% nella direzione degli assi) e di dimensioni stabilite secondo le categorie di gare da svolgere e precisamente: MINIME
MASSIME
Gare internazionali
64 x 100
75 x 110
Lega nazionale professionisti A e B
65 x 105
70 x 110
Lega nazionale semiprofessionisti C e D
60 x 100
70 x 110
Lega nazionale dilettanti promozione
60 x 100
70 x 110
Lega nazionale dilettanti 1ª e 2ª cat.
50 x 100
65 x 110
Lega nazionale dilettanti 3ª cat.
45 x 90
Settore Giovanile
45 x 90
Per i terreni delle Società dilettanti di 3ª cat. e del Settore Giovanile è ammessa una tolleranza in difetto non superiore al 4% tanto per la lunghezza quanto per la larghezza rispetto alle misure regolamentari. Per attività ricreative non regolamentate possono essere adottate le seguenti dimensioni indicative: • per squadre a 6 giocatori 50 x 30; • per squadre a 7 giocatori 60 x 40; • per squadre a 9 giocatori 65 x 40. Le porte possono essere ridotte fino alle misure minime di 4 x 2 m; le aree di rigore possono avere la dimensione di 11 m da ciascun palo di porta e di 11 m verso l’interno del terreno di gioco; il punto di rigore può distare metri 8 dalla linea di porta. 2. SEGNATURA Il terreno di gioco deve essere segnato con linee visibili, la cui larghezza non deve superare i 12 cm e non deve essere inferiore a 10 cm. I lati maggiori del rettangolo sono denominati linee laterali, quelli minori sono denominati linee di porta. In ogni angolo del terreno deve essere fissata una bandierina su di una asta di altezza non inferiore a 1,50 m, la cui estremità non deve essere appuntita. Attraverso il terreno, per tutta la sua larghezza, deve essere tracciata la linea mediana. Il centro del terreno di gioco deve essere visibilmente segnato con un apposito punto, intorno al quale deve essere segnata una circonferenza avente il raggio di 9,15 m. 3. AREA DI PORTA Alle due estremità del terreno di gioco, a distanza di 5,50 m da ciascun palo della porta, verso l’interno, devono essere tracciate due linee perpendicolari alla linea di porta. Esse avranno una lunghezza di 5,50 m e saranno congiunte da una linea parallela alla linea di porta. I 5,50 m che vanno misurati lungo la linea di porta devono partire dalle facce interne dei pali della porta stessa. Ciascuna delle aree incluse fra dette linee e la linea di porta è denominata “area di porta”. 4. AREA DI RIGORE Alle due estremità del terreno di gioco, a distanza di 16,50 m da ciascun palo della porta, verso l’interno, devono essere tracciate due linee perpendicolari alla linea di porta. Esse avranno una lunghezza di 16,50 m e saranno congiunte da una linea parallela alla linea di porta. I 16,50 m che vanno misurati lungo la linea di porta devono partire dalle facce interne dei pali della porta stessa. Ciascuna delle aree incluse fra dette linee e la linea di porta è denominata “area di rigore”. Entro ciascuna area di rigore, alla distanza di 11 m dalla linea di porta, lungo una linea immaginaria perpendicolare al centro di essa, deve essere segnato in modo ben visibile un punto denominato “punto del calcio di rigore”. Da ciascun punto del calcio di rigore deve essere tracciato, all’esterno dell’area di rigore, un arco di circonferenza avente il raggio di 9,15 m. 5. AREA D’ANGOLO Da ciascuno dei vertici del terreno, in cui sono infisse le bandierine di angolo, all’interno del terreno, deve essere tracciato un arco di circonferenza avente il raggio di 1 m. 6. LE PORTE Al centro di ciascuna linea di porta devono essere collocate le porte. Esse sono costituite da due pali verticali, equidistanti dalle bandierine d’angolo e distanti fra loro, all’interno 7,32 m. I pali devono essere riuniti alle loro estremità superiori da una sbarra trasversale che, all’interno della porta, deve risultare a m 2,44 dal livello del terreno. Per le misure delle porte è tollerata una differenza di 2 cm in eccesso o in difetto. La larghezza e lo spessore dei pali e della sbarra trasversale non dovranno essere superiori a 12 cm e non inferiori a 10 cm. I pali della porta e la sbarra trasversale dovranno avere la stessa sezione. Dietro le porte devono essere disposte le reti, le quali devono essere di canapa, juta o nylon. Se di nylon non dovranno avere fili più sottili di quelle in canapa o juta.
Le reti devono essere fissate ai pali, alle sbarre trasversali e al terreno, opportunamente collocate in modo da non disturbare il portiere. Esse devono essere applicate in modo che siano distanti, nella parte superiore, almeno 50 cm dalla sbarra trasversale e, nella parte inferiore, almeno 1,50 m dalle linee di porta. Devono inoltre essere appese ai sostegni e non sovrapposte agli stessi.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
7. CAMPO PER DESTINAZIONE
E ESE ESSIONAL PROF
Fra le linee perimetrali del terreno di gioco e un ostacolo qualunque (muro, rete, fosso, albero, chiusini, cordoli od altro) vi deve essere una fascia di rispetto della stessa natura del terreno di gioco per la larghezza minima di 1,50 m (campo per destinazione).
D.GETTAZIONE
DISPOSIZIONI DI CARATTERE GENERALE SUI CAMPI DI GIOCO
E.NTROLLO
(Estratto da un promemoria del Ser.Imp.Sport. del CONI) Un campo per il gioco del calcio, per essere omologato, deve comprendere: • campo di gioco; • campo di destinazione; • recinzione interna in rete metallica; • spogliatoi; • gabinetti per il pubblico; • recinzione dell’impianto. L’opera più importante di un impianto per il gioco del calcio è il campo e la sua buona formazione dipende dalla costruzione del suo sottofondo e dal suo drenaggio la cui razionale costruzione è fondamentale per la migliore conservazione del manto erboso (o della terra battuta). I terreni di gioco devono essere normalmente cintati da una rete metallica dell’altezza minima di 2,20 m (misura della rete) dalla parte degli spettatori. La recinzione deve essere posta a una distanza minima di 1,50 m dalle linee laterali e dalle linee di porta. L’andamento in pianta della recinzione è preferibile sia ellittico per ragioni di visibilità. Per le gare del Settore Giovanile, il rettangolo di gioco, se non recintato con rete metallica, deve essere quanto meno cintato da opportune transenne o da altro mezzo idoneo a separare il campo per destinazione dal pubblico. Per le gare di Lega Nazionale Professionisti, Semiprofessionisti, Dilettanti promozione e di 1ª categoria, si devono installare sul terreno di gioco, a una distanza non inferiore a 1,50 m dalle linee laterali, due panchine sulle quali sono tenute a prendere posto le persone ammesse sul campo di gioco. Nelle gare di serie A, B, C e D è prescritto che le panchine siano protette verso il pubblico in modo idoneo. Il campo di gioco è munito di spogliatoi che devono sorgere in zona ben distinta da quella destinata al pubblico e protetta. Il percorso fra gli spogliatoi e il terreno di gioco deve essere indipendente dai percorsi del pubblico. L’ingresso dell’arbitro e dei giocatori agli spogliatoi dall’esterno, deve essere separato da quello del pubblico, nelle gare organizzate dalla Lega Nazionale Professionisti e dalla Lega Nazionale Semiprofessionisti. Non vige l’obbligo dell’ingresso separato dall’esterno per le gare organizzate dalla Lega Nazionale Dilettanti e dal Settore Giovanile. Gli spogliatoi devono essere almeno uno per ciascuna squadra (circa 24 mq cad.) e uno per l’arbitro e i guardalinee (circa 8 mq). Ogni spogliatoio deve avere annessi i propri servizi igienici: gabinetti e docce. I gabinetti devono essere muniti di antigabinetto; entrambi i locali devono avere aria e luce propri. L’ingresso dagli spogliatoi non deve avvenire direttamente dall’esterno ma attraverso un’anticamera o corridoio (locale di compensazione). Qualora si vogliano sistemare gli spogliatoi sotto le gradinate, il modo più razionale per realizzare l’accesso indipendente dei giocatori al campo è quello di costruire un sottopassaggio. Questo è la maggiore importanza che assumono in tal caso le opere inerenti alla costruzione della gradinata, rendono la sistemazione molto costosa e perciò si sconsiglia per i piccoli campi; si consiglia, invece, di realizzare gli spogliatoi in fabbricato a parte. D’altre parte, sotto le gradinate per soli spettatori, quando non siano ricavate sfruttando dislivelli naturali del terreno, è sempre possibile sistemare ripostigli, gabinetti per il pubblico, ecc. I gabinetti per il pubblico devono essere distinti per i due sessi e con ingresso separato. La loro consistenza è fissata dalla Circolare Ministero Interno del 15 febbraio 1951, n.16. La recinzione esterna dell’impianto deve avere un’altezza minima di 3,00 m dal piano del terreno esterno adiacente. Detta recinzione, per ragioni estetiche e per non togliere ai campi sportivi il carattere di “zona verde” è bene non sia il solito muro pieno e continuo che viene generalmente progettato. A prescindere da qualsiasi considerazione estetica od urbanistica il problema della recinzione esterna ha un importante contenuto economico in quanto un muro pieno comporta una spesa di parecchi milioni che incide tanto più su quella occorrente per realizzare l’impianto quanto più l’impianto stesso è modesto. Lo scopo che spinge a costruire i muri in parola è quello di realizzare un diaframma impenetrabile agli sguardi di coloro che sostano all’esterno del campo e insuperabile per quelli che intendessero entrare nel campo stesso senza pagare il biglietto. Il diaframma è efficace, ma costosissimo; è inutile nel caso di gradinate, anche basse, situate fra il campo e la recinzione esterna, in quanto le gradinate stesse impediscono la visibilità. La visibilità può essere sempre praticamente annullata sistemando all’interno della recinzione piantagioni di rampicanti, di siepi e di piante cespugliose che in ogni caso abbelliscono la recinzione.
PRO TTURALE STRU
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. EGLI B.4.4 ABILITÀ DIVI IC PRAT NTI SPORT IMPIA I. FRUIB B.4.5 ABILITÀ E NTI PER IC IA T PRA EGLI IMP SPORTIVE LITÀ DDISCIPLINE ALTRE
B 135
B.4. 5.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ E FRUIBILITÀ DEGLI IMPIANTI PER ALTRE DISCIPLINE SPORTIVE ➦ CALCIO FIG. B.4.5./1 CAMPO DI CALCIO
LINEA LATERALE
11,00 m
16,50 m
11,00
7,32
11,00 m
5,50
18,32 m
18,32 m
40,32
5,5
LINEA MEDIANA
PUNTO DI CENTRO CAMPO
CERCHIO DI CENTRO CAMPO
AREA DI RIGORE
DISCHETTO DEL RIGORE
AREA DI PORTA
PORTA LINEA DI PORTA
70 m
5,50
9,15 m
45 M MIN. ÷ 75 M MAX.
9,15
LINEA LATERALE 105 m 90 M MIN. ÷ 110 M MAX. IL TERRENO DI GIOCO DEVE ESSERE SEGNATO CON LINEE VISIBILI, LA CUI LARGHEZZA NON DEVE SUPERARE 12 CM E NON DEVE ESSERE INFERIORE A 10 CM. I LATI MAGGIORI DEL RETTANGOLO SONO DENOMINATI LINEE LATERALI, QUELLI MINORI SONO DENOMINATI LINEE DI PORTA. IN OGNI ANGOLO DEL TERRENO DEVE ESSERE FISSATA UNA BANDIERINA SU ASTA DI ALTEZZA NON INFERIORE A 1,50 M, CON ESTREMITÀ NON APPUNTITA. ATTRAVERSO IL TERRENO, PER TUTTA LA SUA LARGHEZZA, DEVE ESSERE TRACCIATA LA LINEA MEDIANA. IL CENTRO DEL TERRENO DI GIOCO DEVE ESSERE SEGNATO CON UN PUNTO, INTORNO AL QUALE RUOTA UNA CIRCONFERENZA CON RAGGIO DI 9,15 M.
9,15 m
2,44
LE PORTE - PARTICOLARE
AREA DI RIGORE
AREA DI PORTA 5,50 m
LINEA LATERALE CALCIO D'ANGOLO (R = 1 M)
PORTA
FASCIA LIBERA DA OSTACOLI MIN. 1,5 M. (CONSIGLIATA 2,5 M) 11,00 m
2,50
LINEA DI PORTA
B 136
7,32
50
11,00 m
ZONA LIBERA DA OSTACOLI 1,5
FRONTE VERSO IL CAMPO
150
16,50 m
DISCHETTO DEL CALCIO DI RIGORE
5,50 m 9,16 m
3,66 m
SCHEMA PLANIMETRICO LE PORTE SONO FORMATE DA DUE PALI VERTICALI DISTANTI 7,32 M NETTI, CONGIUNTI ALLE ESTREMITÀ SUPERIORI DA UNA SBARRA TRASVERSALE (TRAVERSA) POSTA A 2,44 M NETTI DAL TERRENO. LA LARGHEZZA E LO SPESSORE DEI PALI E DELLA TRAVERSA NON DEVONO ESSERE SUPERIORI A 12 CM E INFERIORI A 10 CM. LE RETI DEVONO ESSERE FISSATE AI PALI, ALLA TRAVERSA E AL TERRENO IN MODO DA NON DISTURBARE IL PORTIERE E DEVONO ESSERE DISTANTI, NELLA PARTE SUPERIORE ALMENO 50 CM DALLA TRAVERSA, E NELLA PARTE INFERIORE ALMENO 150 CM DALLA LINEA DI PORTA.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ E FRUIBILITÀ DEGLI IMPIANTI PER ALTRE DISCIPLINE SPORTIVE
B.4. 5.
RUGBY
A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.4.5./2 CAMPI PER IL GIOCO DEL RUGBY AMBITO DI VARIABILITÀ DELLE DIMENSIONI DIEI CAMPO DI RUGBY PER COMPETIZIONI NAZIONALI (DALLA CATEG. U11 ALLA SERIE A)
RECINTO DI GIOCO
38 M (U11) - 60 M÷ 68 M (A)
22 m
40÷58 M (U11) - 90 M ÷ 100 M (A)
LINEA DEI 10 M
18 m
AREA DI GIOCO
50÷68 M (U11) - 100 M.÷110 M (A)
10 m
LINEA MEDIANA
10 m
22 m
LINEA DEI 5 M
18 m
PORTA
LINEA DEI 15 M
22 m
D.GETTAZIONE
564 cm
LINEA DI META
LINEA DEI 22 M
LINEA DEI 22 METRI 22 m
10 m
DIMENSIONI DEL CAMPO DI GIOCO - MINIME (CATEG.U11) 40÷58 M x 38 M AREE DI META PROFONDE 5 M - MASSIME (SERIE A). 90÷100 M x 60÷68 M AREE DI META PROFONDE 5 M - GARE INTERNAZIONALI: 100 M x 68 M AREE DI META PROFONDE 22 M LINEE DEL CAMPO DI GIOCO ALL'INTERNO DEL CAMPO DI GIOCO SONO SEGNATE LE SEGUENTI LINEE: IN SENSO PERPENDICOLARE AI LATI DEL CAMPO: - LINEA MEDIANA DEL CAMPO DI GIOCO; - LINEE DEI 10 METRI (DI DISTANZA DALLA LINEA MEDIANA); - LINEE DEI 22 METRI; - LINEE DI META; - LINEA DI FONDO DELL'AREA DI META ("LINEA DI PALLONE MORTO"). IN SENSO PARALLELO AI LATI DEL CAMPO: - LINEE DEI 5 METRI (DI DISTANZA DAL LATO DEL CAMPO); - LINEA A TRATTI DEI 15 METRI (DI DISTANZA DAL LATO DEL CAMPO.
18 m
LINEA DEI 10 METRI
LINEA DEI 15 METRI
PORTE DEL RUGBY - PARTICOLARE 564 cm
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
3,5
AREA DI META
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
200 cm
minimo 400 cm
LINEA DI META
22 m
CO NTALE AMBIE
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
300 cm
LINEA DEI 5 METRI
22 m
LINEA LATERALE
LINEA DEI 22 METRI
E.NTROLLO
LINEA DI META AREA DI META
5
18 m 10 m 144 m
LINEA MEDIANA
PRO TTURALE STRU
URB
DEFINIZIONI CAMPO DI GIOCO: L'AREA DELIMITATA DALLE "LINEE DI META" E DALLE LINEE LATERALI (NON COMPRESE). RECINTO DI GIOCO: L'AREA CHE COMPRENDE IL CAMPO DI GIOCO, LE AREE DI META E UNA FASCIA DI TERRENO CIRCOSTANTE.
LINEA DEI 10 METRI
I ED PRE NISM ORGA
E ESE ESSIONAL PROF
PORTA AREA DI META
B.STAZIONI DILEGIZLII C.RCIZIO
5
3,5
DIMENSIONI E SEGNATURA DI UN CAMPO DA RUGBY PER COMPETIZIONI INTERNAZIONALI
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
FRONTE VERSO IL CAMPO 3,5
5m
5m 15 m
38 m
15 m
68 m N.B. - LE LINEE DI SEGNATURA DEL CAMPO DI GIOCO, TRACCIATE IN GESSO O LATTE DI CALCE, DEVONO AVERE SPESSORE COMPRESO TRA 10 E 12 CM.
3,5
IMBOTTITURA MONTANTI MONTANTI Ø 10 cm ASSE 12x8 cm 564 cm SCHEMA PLANIMETRICO
I. FRUIB B.4.5 ABILITÀ E NTI PER IC IA T PRA EGLI IMP SPORTIVE LITÀ DDISCIPLINE ALTRE
B 137
B.4. 5.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ E FRUIBILITÀ DEGLI IMPIANTI PER ALTRE DISCIPLINE SPORTIVE PALLAVOLO FIG. B.4.5./3 CAMPI DI PALLAVOLO DIMENSIONI E SEGNATURA DI UN CAMPO DI PALLAVOLO PER COMPETIZIONI INTERNAZIONALI 5,00 m
9,00 m
AMBITO DI VARIABILITÀ DELLE DIMENSIONI DEI CAMPO DI PALLAVOLO (CAMBIANO SOLO LE PROFONDITÀ DELLE ZONE LIBERE PERIMETRALI) 2 ,3 ,5 M 9M 2 ,3 ,5 M
5,00 m
6,00 m
9,00 m
6,00 m
3,00 m
1,0
1° ARBITRO
PALLAVOLO DIMENSIONI DEL TERRENO DI GIOCO E DELLE ZONE DI RISPETTO IL TERRENO DI GIOCO È COSTITUITO DA UN RETTANGOLO DI 18 X 9 M, COMPRESE LE LINEE PERIMETRALI LARGHE 5 CM, CIRCONDATO DA UNA ZONA DI RISPETTO LIBERA DA OGNI OSTACOLO,CON LE SEGUENTI PROFONDITÀ: COMPETIZIONI INTERNAZIONALI UFFICIALI: - ZONE LIBERE OLTRE LE LINEE LATERALI 5,00 M MIN. - ZONE LIBERE OLTRE LE LINEE DI FONDO 8,00 M MIN. ALTRE COMPETIZIONI: - ZONE LIBERE OLTRE LE LINEE LATERALI 3,00 M MIN. - ZONE LIBERE OLTRE LE LINEE DI FONDO 3,00 M MIN.
6,00 m
RITTI DELLA RETE
2° ARBITRO
RETE
2 M, 3 M, 8 M.
34,00 m
6,00 m
AREA DI BATTUTA
TRACCIATI DELLE LINEE TUTTE LE LINEE DEVONO AVERE SPESSORE PARI A 5 CM OLTRE ALLE LINEE PERIMETRALI DI DELIMITAZIONE DEVONO ESSERE INDICATE LE LINEE TRASVERSALI A 6 M DAL FONDO, SECONDO I TRACCIATI RIPORTATI IN FIGURA.
GIUDICE DI LINEA
8,00 m
ALTEZZA MINIMA LIBERA DA OGNI OSTACOLO COMPETIZIONI INTERNAZIONALI: 12,50 M ALTRE COMPETIZIONI UFFICIALI: 7,00 M CON ALMENO 7 M DI ALTEZZA DAL SUOLO LIBERA DA OGNI OSTACOLO.
80
PARTICOLARE DELLA RETE - GARE MASCHILI E FEMMINILI
7,00 m
GARE FEMMINILI
ALTRE GARE
224
75 100
CAMPO DI GIOCO (9 M)
B 138
GARE INTERNAZIONALI
100
100 234
GARE MASCHILI
80
19,00 m
12,50 m
18,00 m
6,00 m
18 M
6,00 m
AREA DI BATTUTA
GIUDICE DI LINEA
6,00 m
2 M, 3 M, 8 M
8,00 m
LIMITE DELLA ZONA LIBERA MIN. PER GARE INTERNAZIONALI
15,00 m 19,00 m ALTEZZE LIBERE SUL CAMPO DI GIOCO
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ E FRUIBILITÀ DEGLI IMPIANTI PER ALTRE DISCIPLINE SPORTIVE
B.4. 5.
PALLACANESTRO
A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.4.5./4 PALLACANESTRO PALLACANESTRO - ZONA DELL'ATTIVITÀ SPORTIVA - DIMENSIONI E TRACCIATI IN BASE ALLE PRESCRIZIONI F.I.P.
15 m
2m
2m
600 cm 199 cm
85
580 cm
60
60 85
OVE POSSIBILE, È CONSIGLIATO SOSPENDERE IL CANESTRO DAL SOFFITTO O DALLE PARETI (CON STRUTTURE FISSE O TELESCOPICHE) IN MODO DA CONSENTIRE ALTRE UTILIZZAZIONI DELLO SPAZIO DI ATTIVITÀ SENZA ALCUN TIPO D'INTERVENTO.
1,80
85
625
85
85
85
0
LE STRUTTURE DI SUPPORTO DEL TABELLONE E DEL CESTO DEVONO ESSERE ANCORATE AL SUOLO ALL'ESTERNO DELL'AREA DI GIOCO, A UNA DISTANZA DALLA LINEA DI FONDO TALE DA LASCIARE UNA ZONA LIBERA DA OSTASCOLI DI PROFONDITÀ NON MINORE DI 40 CM.
È CONSIGLIABILE ADOTTARE APPARATI DI ANCORAGGIO AL SUOLO DI AGEVOLE ACCESSO E MANOVRA,IN MODO DA POTER RIMUOVERE I CANESTRI E RELATIVE STRUTTURE DI SUPPORTO NEL CASO DI ALTRO TIPO DI UTILIZZO DELLO SPAZIO DI GIOCO. LA SCATOLA DEGLI APPARATI DI ANCORAGGIO, IN CASO DI RIMOZIONE DEL CANESTRO, DEVE ESSERE CHIUSA CON UN COPERCHIO CHE RICOSTITUISCA IL PIANO E IL MATERIALE DI PAVIMENTAZIONE.
175
120
175
157,5
2m
625 cm
40
625 cm
B.STAZIONI DILEGIZLII
STRUTTURE DI SUPPORTO DEL CESTO
1,99 m
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
40
30
122
URB
305
28 m LINEA DEI TIRI LIBERI
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
ZONA DELLE STRUTTURE DI SUPPORTO DEL TABELLONE E DEL CESTO
40
1,80
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
ZONA LIBERA D'OSTACOLI
157,5
120 16
85
85
85
85
85
85
LINEA DI FONDO CAMPO
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
TABELLONE 49
120
175
40 2m
175
CAMPANA DEI 3 SECONDI
LIMITE DEI 6,25 METRI
LINEA DI METÀ CAMPO
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
DIMENSIONI DEL CANESTRO - PROSPETTO
60
LINEA DI FALLO LATERALE
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
PAVIMENTO
60
FASCIA PERIMETRALE LIBERA DA OSTACOLI
CESTO Ø49 cm
CESTO Ø ESTERNO = 49 cm Ø INTERNO = 46 cm DIMENSIONI DEL CANESTRO - PIANTA
I. FRUIB B.4.5 ABILITÀ E NTI PER IC IA T PRA EGLI IMP SPORTIVE LITÀ DDISCIPLINE ALTRE
B 139
B.4. 5.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ E FRUIBILITÀ DEGLI IMPIANTI PER ALTRE DISCIPLINE SPORTIVE TENNIS FIG. B.4.5./5 TENNIS
CAMPI PER TUTTE LE ALTRE GARE
doppio 548,50 cm singolo 411,5 cm 137
B 140
500 cm
LINEA LATERALE DEL DOPPIO LIMITE FASCIA LATERALE GARE F.I.T. LIMITE FASCIA LATERALE GARE INTERNAZIONALI CAMPI COPERTI - SAGOME LIMITE DELLE ALTEZZE LIBERE PARTICOLARE DELLA RETE CINGHIA BIANCA DI ANCORAGGIO DEL CENTRO RETE (LARGHEZZA 5 cm) NASTRO BIANCO DI CIMA (H 5÷6,3 cm) SOSTENUTA DA CORDA O DA CAVO Ø 8 mm) RETE IN CANAPA O NYLON CON MAGLIE 4,4 x 4,4 cm
ANCORAGGIO N.B. - NEI CAMPI DA TENNIS LE LINEE DI SEGNATURA HANNO SPESSORE PARI A 5 CM, CHE È COMPRESO NEL COMPUTO DELLE MISURE INDICATE
488 cm 300 cm
106 cm
LINEA DI MARGINE DEL DOPPIO
LINEA DI MARGINE DEL SINGOLO
21'-0"
6,40 m 5,485
18'-0" ALTRE COMPETIZIONI F.I.T. 34,77 X 16,97
COMPETIZIONI INTERNAZIONALI F.I.T. 36,57 X 18,29
7,92 m, 6,40 m,5,50 m
CAMPI PER GARE INTERNAZIONALI
400 cm
91 3'-0"
CAMPI COPERTI (PALESTRE E PALAZZETTI DELLO SPORT) PER LA OMOLOGAZIONE DI CAMPI COPERTI DEVONO ESSERE RISPETTATE LE SEGUENTI ALTEZZE LIBERE: CAMPIONATI UFFICIALI DELLA FEDERAZIONE INTERNAZIONALE: - 9 M SOPRA IL CENTRO DELLA RETE; - 7 M SOPRA I PALETTI DI SOSTEGNO; - 5 M SOPRA GLI SPIGOLI DEL CAMPO. CAMPI OMOLOGABILI PER TUTTE LE ALTRE GARE: - 7 M SOPRA IL CENTRO DELLA RETE; - 6 M SOPRA I PALETTI DI SOSTEGNO; - 4 M SOPRA GLI SPIGOLI DEL CAMPO.
700 cm
RITTI DELLA RETE
FASCIA DEL DOPPIO
5,485
13'-6" 4,115 m
QUADRANTE DI BATTUTA
21'-0"
13'-6" 4,115 m
23,77m
6,40 m
18'- 0"
3,00 m
DIMENSIONI COMPLESSIVE DEL SETTORE DI ATTIVITÀ SPORTIVA CAMPIONATI UFFICIALI DELLA FEDERAZIONE INTERNAZIONALE: 36,75 M X 18,29 M. CAMPI OMOLOGABILI PER TUTTE LE ALTRE GARE: 34,77 M X 16,97 M. ALTEZZA DELLA RETE AL CENTRO = 0,915 (3'-0") ALTEZZA DELLA RETE AI RITTI = 1,067 (3'-6")
600 cm
9'-10 1/8"
106
3,65 m
8,23 m
91,5 cm
12'-0"
FASCE DI MARGINE CAMPIONATI INTERNAZIONALE DI TENNIS (COPPA DAVIS) E ALTRI CAMPIONATI UFFICIALI DELLA FEDERAZIONE INTERNAZ. - MARGINI DIETRO ALLE LINEE DI FONDO NON MINORE DI 6,40 M - MARGINI AI LATI DELLE LINEE LATERALI NON INFERIORE A 3,66 M PER GLI ALTRI CASI LA FEDERAZIONE ITALIANA TENNIS (F.I.T.) HA INDICATO I SEGUENTI MARGINI: - MARGINI DIETRO LE LINEE DI FONDO NON MINORE DI 5,50 M - MARGINI AI LATI DELLE LINEE LATERALI NON INFERIORE A 3 M
900 cm
27'-0"
16'-0"
DIMENSIONI DEL CAMPO DI TENNIS IL CAMPO PER IL "SINGOLO" È COSTITUITO DA UN RETTANGOLO DI 23,77 M DI LUNGHEZZA E 8,23 M DI LARGHEZZA. IL CAMPO PER IL "DOPPIO" SOMMA ALLE DIMENSIONI DETTE LA LARGHEZZA DELLE DUE FASCE LATERALI DA 1,37 M.
700
488
0,10 0'-4"
0,10 m 0'-4"
18'-0"
5,500 m
21'-0"
26'-0"
5,50 m,6,40 m,7,92 m
3,0-3,65-4,88 M.
10,97 m
3,0-3,65-4,88 m
LINEA LATERALE PALO Ø 7,5 cm
91 cm
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ E FRUIBILITÀ DEGLI IMPIANTI PER ALTRE DISCIPLINE SPORTIVE
B.4. 5.
PALLAMANO
A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.4.5./6 PALLAMANO (handball)
IL TERRENO HA FORMA RETTANGOLARE E COMPRENDE UNA SUPERFICIE DI GIOCO E DUE "AREE DI PORTA". MISURA: IN LUNGHEZZA: 40 M IN LARGHEZZA: 20 M I LATI LUNGHI SONO MARCATI DALLE "LINEE LATERALI" I LATI CORTI SONO MARCATI DALLE "LINEE DI FONDO" È CONSIGLIABILE CHE IL TERRENO SIA CIRCONDATO DA UNA FASCIA DI SICUREZZA CHE SIA PROFONDA ALMENO 1 M.
20 m
FASCIA DI SICUREZZA PORTA
LINEA DI FONDO
PORTE LE PORTE, POSTE AL CENTRO DELLE LINEE DI FONDO, DEVONO ESSERE SALDAMENTE ANCORATE AL TERRENO. MISURANO: IN LARGHEZZA 3,00 M IN ALTEZZA 2,00 M I MONTANTI E LA TRAVERSA, COSTRUITI CON LO STESSO MATERIALE (LEGNO, LEGHE LEGGERE, COMPOSTI SINTETICI, ECC.) HANNO SEZIONE QUADRATA DI 8 CM DI LATO E DEVONO ESSERE VERNICIATI SU TUTTI I LATI CON FASCE ALTERNE DI COLORE DIVERSO CHE CONTRASTINO CON I COLORI DI SFONDO: - LE FASCE CORRENTI SONO LARGHE 20 CM - LE FASCE DI SPIGOLO, DELLO STESSO COLORE, SONO DI 28 CM LO SPIGOLO POSTERIORE DEI MONTANTI DEVE ESSERE ALLINEATO CON L'ESTERNO DELLA LINEA DI FONDO. LE PORTE SONO MUNITE DI RETI SOSPESE, TALI CHE LA PALLA ENTRATA NON POSSA SUBITO USCIRNE. TUTTE LE LINEE HANNO SPESSORE PARI A 5 CM A ECCEZIONE DELLA LINEA DI PORTA (TRA I MONTANTI) CHE È PARI A 8 CM.
LINEA LATERALE
LINEA DI LANCIO LIBERO
LINEA LIMITE DELL'AREA DI PORTA
LINEA DI PORTA SP.8 cm MONTANTE 8x8 cm
AREA DI PORTA È DELIMITATA DA LINEA DI 3 M TRACCIATA ALLA DISTANZA DI 6 M DALLA LINEA DI FONDO, CHE PROSEGUE CON ARCHI DI CERCHIO CON RAGGIO DI 6 M E CENTRO ALLO SPIGOLO POSTERIORE INTERNO DEI MONTANTI DI PORTA, FINO A INCONTRARE LA LINEA DI FONDO. 40 M.
9m
LINEA DI CENTRO CAMPO
LINEA DI TIRO DI PUNIZIONE TRATTEGGIATA, CON TRATTI ED INTERVALLI DI 15 CM, TRACCIATA PARALLELAMENTE ALLA LINEA DELL'AREA DI PORTA, ALLA DISTANZA DI 9 M DALLA PORTA. SEGNO DEL TIRO DI RIGORE COSTITUITO DA UN SEGMENTO LUNGO 1 M, DI FRONTE ALLA PORTA E DISTANTE 7 M DALLA LINEA DI FONDO. PARTICOLARE DELLA PORTA
200 cm 3m
FASCE H=20 cm TRAVERSA SP. 8cm LINEA DI FONDO SP. 5cm
=
6m
7m
300 cm
20
6m
2,5 m
2M.
60 cm
28
STRUTTURA DELLA RETE
300 cm 20 m
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
R AG G IO
3m
E ESE ESSIONAL PROF
356 cm
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
100 cm
3m 6m 6m
C.RCIZIO
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
1m
3m
2,5 m
I ED PRE NISM ORGA
LINEA DI FONDO SP.5 cm
CENTRO DELLE CURVE DELL'AREA DI PORTA
POSTO SOSTITUZIONI
LINEA DEL RIGORE
LINEA LATERALE
FASCIA DI SICUREZZA PROFONDITÀ MIN. 1 m
AREA DI PORTA
B.STAZIONI DILEGIZLII
I. FRUIB B.4.5 ABILITÀ E NTI PER IC IA T PRA EGLI IMP SPORTIVE LITÀ DDISCIPLINE ALTRE
B 141
B.4. 5.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ E FRUIBILITÀ DEGLI IMPIANTI PER ALTRE DISCIPLINE SPORTIVE HOCKEY FIG. B.4.5./7 HOCKEY SU PRATO
150
640
455
1463 455
455
1463
366
455
455
455
150
640 455
2290
823
R
=
1463
14 63
640
640
200
200
455
366
566
IL CAMPO DI HOCKEY SU PRATO È COSTITUITO DA UN'AREA RETTANGOLARE DI 91,40 m x 54,84 m, CIRCONDATO DA UNA FASCIA DI RISPETTO (O DI SICUREZZA), PROFONDA 1,50 m LUNGO I LATI E 2,00 m LUNGO LE LINEE DI FONDO. IL TERRENO DI GIOCO È DEFINITO: - DALLE "LINEE DI FONDO" SUI LATI MINORI - DALLE "LINEE LATERALI" SUI LATI MAGGIORI. - È SUDDIVISO DALLA "LINEA DI CENTRO CAMPO". SONO INOLTRE MARCATE CON SEGNI TRATTEGGIATI: - LE" LINEE DEI 29 m", PARALLELE A QUELLE DI FONDO - DUE LINEE PARALLELE A QUELLE LATERALI, DISTANTI DA QUESTE 6,40 m SEGNI LUNGHI 1,82 m, PARALLELI ALLE LINEE LATERALI, DISTANTI DA QUESTE 4,55 m, INTERSECANO LE LINEE DEI 22,90 m E LA LINEA DI CENTRO CAMPO. ALTRE SEGNATURE MINORI INDICANO LE POSIZIONI DEI "TIRI D'ANGOLO", COME INDICATO IN FIGURA. AREA DI TIRO DELIMITATA DA LINEA MISTA, CON TRATTO CENTRALE RETTILINEO E TRATTI LATERALI AD ARCO DI CERCHIO TRACCIATI CON RAGGIO DI 14,63 m DAI MONTANTI DELLA PORTA.
LINEA DEI 22,90
TUTTE LE LINEE HANNO SPESSORE PARI A 7,5 cm 2280
PORTA LO SPECCHIO DELLA PORTA, MISURA 3,66 m x 2,14 m D'ALTEZZA, AL NETTO DEI MONTANTI CHE HANNO SEZIONE QUADRATA CON LATI DI 7,5 cm LA PROFONDITÀ DEL VANO DI PORTA È DI ~135 cm ALLA BASE DELLA RETE, LUNGO I LATI E IL FONDO DEL VANO DI PORTA, È DISPOSTA UNA TAVOLA CHE NON DEVE SUPERARE 46 cm DI ALTEZZA. LINEA DI CENTRO CAMPO
214 FRONTE
135
AREA DI TIRO
366
7,5 PORTA
LINEA DI FONDO PIANTA
54,84 m
B 142
366 STRUTTURA DELLA RETE LINEA DI FONDO
200
FASCIA DI RISPETTO DI FONDO (2,00 m)
MONTANTI 7,5x7,5 cm TAVOLA H. MAX. 46 cm
7,5
2290
LINEA DEI 22,90
FASCIA DI RISPETTO LATERALE (LARGA MIN. 150 cm)
LINEA LATERALE
LINEA LATERALE
2280
PARTICOLARE DELLA PORTA
MONTANTI 7,5x7,5 cm
7,5
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ E FRUIBILITÀ DEGLI IMPIANTI PER ALTRE DISCIPLINE SPORTIVE
B.4. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.4.5./8 HOCKEY
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
CAMPO DI HOCKEY SU ROTELLE 36 ÷ 40 M
540
300
E ESE ESSIONAL PROF
MONTANTI E TRAVERSA 8x8 cm
200
RECINZIONE H. 120
8
D.GETTAZIONE
35
PRO TTURALE STRU
105
300
LINEA DI DELIMITAZIONE (GIOCATORI)
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
92
166 200
8
18 ÷ 20 M
F. TERIALI,
8
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
8
166
92
1215
G.ANISTICA
50
8
URB
8
RIGORE
AREA DI RIGORE
PORTA
8
FASCIA DI SICUREZZA (FILTRO)
C.RCIZIO
PARTICOLARE DELLA PORTA
PIANTA
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
CAMPO DI HOCKEY SU GHIACCIO
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
61 M 200' - 0".
3,1 m
6,1 m
12,1 m
9,2 m
9,2 m
18,2 m
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
3,1 m
BOX GIOCATORI
LINEA BLU - 30 CM
25,9 M 85' - 0".
11'-6"
LINEA ROSSA - 5 CM
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
13,7 m 45'-0"
LINEA BLU - 30 CM
4,6 m
3,5 m
R= 3 M
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
R= 10'
6,1 m 20'-0"
SPONDE DI FONDO - H. MIN. 1 M
6,1 m 20'-0"
ZONA NEUTRALE
BOX DELLE PENALITÀ
SPONDE LATERALI - H. 1 - 1,2 M 10'-0"
20'-0"
40'-0"
30'-0"
30'-0"
60'-0"
10'-0"
I. FRUIB B.4.5 ABILITÀ E NTI PER IC IA T PRA EGLI IMP SPORTIVE LITÀ DDISCIPLINE ALTRE
B 143
B.4. 5.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ E FRUIBILITÀ DEGLI IMPIANTI PER ALTRE DISCIPLINE SPORTIVE BASEBALL FIG. B.4.5./9 CAMPO DI BASEBALL FIG. B.4.5./9 - CAMPI DI BASEBALL
IL CAMPO DI GIOCO È ARTICOLATO IN "CAMPO INTERNO" E "CAMPO ESTERNO"
LINEA DELLE TRIBUNE O RECINTO
IL "CAMPO INTERNO" È UN QUADRATO DI 27,43 M DI LATO AI VERTICI SONO UBICATE LE BASI (CASA BASE, I, II, III ); AL CENTRO È POSTA LA PEDANA DI LANCIO.
LINEA DI FOUL
IL CAMPO "ESTERNO" È DELIMITATO DALLE LINEE DI FOUL - CHE PROLUNGANO DUE LATI DEL CAMPO INTERNO - E DA UN ARCO DI CERCHIO CON RAGGIO DI 95÷98 M DALLA INTERSEZIONE DELLE LINEE DI FOUL.
BOX PER I GIOCATORI
BOX DEL SUGGERITORE
RETE D'ARRESTO
INTORNO AL CAMPO CORRE UNA FASCIA PERIMETRALE LARGA 5÷8 M, CHE, IN PROSSIMITÀ DEL "CAMPO INTERNO" SI DILATA PER OSPITARE I BOX DEI SUGGERITORI (6 x 3 M) I BOX DEI GIOCATORI (12÷15 M x 3 M) E LE ZONE PER I PROSSIMI BATTITORI (Ø 75 CM).
27 ,4 3
IL PIATTO DI CASA-BASE È FORMATO DA UN PENTAGONO IN GOMMA BIANCA, CON VERTICE COINCIDENTE CON LA INTERSEZIONE DELLE LINEE DI FOUL. LE BASI (I, II, III) SONO FORMATE DA SACCHETTI DI TELA BIANCA QUADRATI, CON LATO DI 38 CM, FISSATI A TERRA. LA PEDANA DI LANCIO È COSTITUITA DA UNA STRISCIA DI GOMMA BIANCA (60 x 15 CM) FISSATA AL TERRENO, POSTA AL CENTRO DI UNA CIRCONFERENZA (Ø 2,75 M).
0,00 m
m
18,44 m ASSE DEL CAMPO
0,00 m
95÷98 m
13 ,7 2
27 ,4 3
m
5m
m 122 m
1 3 3,7 2
C AS A 27 ,4 3
0,00 m
27 ,4 3
D A
D A
H O M E
A
27 ,4 3
m C AS A 3
m
BOX DEL RICEVITORE
m
3ª
PROSSIMO BATTITORE
A
29
LI N EA
BOX ALLENATORE
R=
D EL LE
TR IB U N E
O
D EL
R EC IN TO
CAMPO INTERNO - PARTICOLARE
2 BOX DEL RICEVITORE - PARTICOLARE 2ª
H O M E
A
1,26
0,90 m
27 ,4 3
R=0,75 m
D A
D A C 27 AS ,4 A 3 1 m A
2
R
C AS A
1
m
2,00
m
3, 00 LINEA DI FOUL
B 144
4, 00
1ª
4, 50
6, 00
=
2,65
R=4
LINEA DI ARRESTO
3,95 m
27 ,4 3
0,85
0,00 m
1,35
PIATTO DI CASA BASE
R=2,75
18,44 m
1,35
m 8,30 R=1
LINEA D'ERBA
0,85
HOME
PEDANA DI LANCIO
0,60 m
LINEA D'ERBA INDICATA CON LINEA NERA
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ E FRUIBILITÀ DEGLI IMPIANTI PER ALTRE DISCIPLINE SPORTIVE
B.4. 5.
LOTTA, JUDO, PUGILATO, SOLLEVAMENTO PESI
A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.4.5./10 LOTTA, JUDO, PUGILATO, SOLLEVAMENTO PESI JUDO IL TAPPETO PER LO JUDO È UN QUADRATO CON LATO COMPRESO TRA 14 E 16 M. L'AREA DI COMBATTIMENTO È COSTITUITA DA UN QUADRATO POSTO AL CENTRO DEL TAPPETO CON LATO COMPRESO TRA 9 E 10 M COMPRENDENTE UNA FASCIA ROSSA PERIMETRALE CON SPESSORE PARI A 1 M, DETTA "AREA DI PERICOLO". LA FASCIA ESTERNA ALL'AREA DI PERICOLO (SPESSORE: 2,5÷3 M, CONSIGLIATO: 3 M) È DETTA "AREA DI SICUREZZA". LE MISURE DELLE DIVERSE ZONE SONO MULTIPLI DEL "TATAMI" (1,00 x 2,00 M).
PUGILATO L'AREA DI COMBATTIMENTO È UN QUADRATO CON LATO COMPRESO TRA 4,90 E 6,10 M, DELIMITATO DA TRE GIRI DI CORDE SOSTENUTE DA QUATTRO PALI ANGOLARI ESTERNI. IL "RING" È POSTO SU UNA PEDANA SOLLEVATA DAL PIANO PALESTRA DI 1,00÷1,50 M, DI LATO COMPRESO TRA 6,20 E 7,40 M, IN MODO CHE ALL'ESTERNO DELLE CORDE RESTI UNA FASCIA DI SICUREZZA PROFONDA 60÷70 CM. IL PIANO DEL RING È COPERTO DA"TAPPETO" MORBIDO CONTRO GLI URTI DA CADUTA E GLI "ANGOLI" DELLE CORDE SONO PROTETTI DA "SALAMI" IMBOTTITI.
LIMITE MINIMO DELLO SPAZIO-PALESTRA
PLETTO H. 135 cm
14 - 16 m
AREA DI PERICOLO
50 40 40
130
AREA DI SICUREZZA
150
2,5 MIN.
LIMITE DEL TAPPETO
129
"SALAME" CORDE
150 9 - 10 M
9,0 m
14,0 m
19,0 m
6,1 m
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
6.1 - 7.3 m 0,6
I ED PRE NISM ORGA
CO NTALE AMBIE
PROSPETTO
AREA DI COMBATTIMENTO
B.STAZIONI DILEGIZLII
0,6
G.ANISTICA
60÷70
4.9 - 6.1 M
6,1 m
URB RING
RING
2,5 MIN.
ANGOLO PEDANA 35 30
2,5 MIN.
1M
7 -8 m
1M
PIANTA
2,5 MIN.
PARTICOLARE DELL'ANGOLO
19,0 m LOTTA IL TAPPETO PER LA LOTTA È UN QUADRATO CON LATO COMPRESO TRA 11,40 E 12 M L'AREA DI LOTTA, POSTA AL CENTRO, È COSTITUITA DA UN CERCHIO CON DIAMETRO PARI A 9 M, COMPRENDENTE UNA FASCIA PERIMETRALE CON SPESSORE PARI A 1 METRO, MARCATA CON COLORE DIVERSO DAL FONDO DEL TAPPETO. IL CENTRO DELL'AREA DI LOTTA È MARCATO DA UN CERCHIO DI 1 M DI DIAMETRO, TRACCIATO CON UNA LINEA DI SPESSORE PARI A 10 CM. DIMENSIONI MIN. PALESTRA = 15 m
10 cm PEDANA SOVRAPPOSTA AL PIANO PALESTRA
LIMITE MINIMO DELLO SPAZIO-PALESTRA 7,0 m
1,0
PEDANA INCASSATA AL DISOTTO DEL PIANO PALESTRA
DIMENSIONI MIN. PALESTRA = 15 m
LIMITE DEL TAPPETO
LIMITE MINIMO DELLO SPAZIO-PALESTRA
1,2
1,0
3,0
1,0
9m
3,0
1,0
AREA DI SOLLEVAMENTO
4,00 m
11,4 m
AREA DI LOTTA
11,4 - 12 m
4,00 m
DIMENSIONI PALESTRA = 12÷15 M
1,0
SOLLEVAMENTO PESI LA PEDANA PER SOLLEVAMENTO PESI È UN QUADRATO CON LATO PARI A 4,00 METRI, GENERALMENTE REALIZZATA IN LEGNO E SOLLEVATA DAL PAVIMENTO DI CIRCA 10 CM; LA STRUTTURA IN LEGNO DELLA PEDANA PUÒ ANCHE ESSERE INCASSATA SOTTO IL PAVIMENTO, IN MODO DA CONSENTIRE LA CONTINUITÀ DEL PIANO DELLA PALESTRA. LO SPAZIO-PALESTRA DELLA PESISTICA È ANCH'ESSO QUADRATO CON LATI DI 12÷15 M ED ALTEZZA NON INFERIORE A 3,50 M E DEVE ESSERE ATTREZZATO PER L'ORDINATA DISPOSIZIONE DEI PESI, MANUBRI, ECC. E PER LA LORO MOVIMENTAZIONE.
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
1,2
DIMENSIONI PALESTRA = 12÷15 M
I. FRUIB B.4.5 ABILITÀ E NTI PER IC IA T PRA EGLI IMP SPORTIVE LITÀ DDISCIPLINE ALTRE
B 145
B.4. 6.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ E FRUIBILITÀ DEGLI IMPIANTI SPORTIVI – SETTORI INTEGRATIVI SEZIONE DEGLI IMPIANTI TECNOLOGICI CENTRALE TERMICA L'unità dovrà essere rispondente alla vigente normativa e capace di contenere le apparecchiature per la produzione sia del calore per il riscaldamento dei locali che dell'acqua calda sanitaria.
CENTRALE PER IL TRATTAMENTO DELL'ARIA L'unità dovrà essere rispondente alla vigente normativa e capace di contenere le apparecchiature per la termoventilazione dei locali e per il recupero del calore dell'aria espulsa.
SEZIONE PUBBLICO La sezione per il pubblico deve rispondere a requisiti di sicurezza e accessibilità e dotazione di servizi come prescritti dal DM 29 agosto 1989, che si richiama di seguito. CAPIENZA A) Zona spettatori – La capienza (massimo affollamento ipotizzabile) della zona spettatori è ottenuta dividendo lo sviluppo in metri lineari dei gradoni per 0,48. Per gli impianti all'aperto, con capienza superiore a 10.000 spettatori, in occasione di manifestazioni calcistiche e per quelli al chiuso con capienza superiore a 4.000 spettatori non sono consentiti posti in piedi; i suddetti impianti devono avere solo posti a sedere numerati e di larghezza non inferiore a 0,45 m. La capienza, determinata secondo quanto sopra indicato, è comprensiva di coloro che entrano nell'impianto, in quanto vi abbiano diritto, per i quali devono essere riservate apposite zone con posti a sedere. B) Zona attività sportive – La capienza della zona delle attività sportive è in funzione delle attività previste ed è costituita dal numero dei praticanti e degli addetti. SETTORI Gli impianti all'aperto con un numero di spettatori superiore a 10.000 e quelli al chiuso con un numero di spettatori superiore a 4.000 devono avere la zona destinata agli spettatori suddivisa in settori. La capienza di ciascun settore non può essere superiore a 20.000 spettatori per impianto all'aperto e a 4.000 per quelli al chiuso. Per gli impianti all'aperto deve essere previsto in occasione di manifestazioni calcistiche, almeno un settore opportunamente dimensionato, destinato ai tifosi della squadra ospite. Ogni settore deve avere servizi e sistemi di vie di uscita indipendenti chiaramente
identificabili con segnaletica conforme al DPR 8 giugno 1982, n.524, e deve essere separato da quello adiacente con setti di materiale non combustibile di altezza non inferiore a 2,20 m in grado di sopportare una spinta orizzontale non inferiore a 80 Kg/m applicata a 2,20 m; è consentita la comunicazione tra i settori attraverso vani provvisti di porte realizzate con materiali non combustibili. Per i predetti impianti all'aperto la zona spettatori deve essere separata dalla zona attività sportive con fossato, di almeno 2,50 m di profondità e di larghezza, ovvero con setti realizzati come previsto al comma precedente. La separazione suddetta deve avere almeno due varchi per ogni settore muniti di serramenti che in caso di necessità possano essere aperti su disposizione dell'autorità di pubblica sicurezza verso la zona attività sportive. Ogni varco deve avere larghezza minima di 2,40 m. In presenza di fossati potranno essere previste soluzioni tecniche che comportano l'impiego di meccanismi di semplice funzionamento atti a consentire il superamento dei fossati stessi solo in caso di necessità. IMPIANTI IGIENICI L'unità igienica deve essere costituita almeno da un vaso, tre orinatoi e due lavabi per gli uomini e da 4 vasi e 2 lavabi per le donne. Devono essere previste unità igieniche in ragione di una ogni 500 uomini e di una ogni 1.000 donne per impianti con capienza inferiore a 30.000 spettatori e in ragione di una ogni 1.000 uomini e di una ogni 1.000 donne per capienze eccedenti 30.000 spettatori. BIGLIETTERIE Per gli impianti all'aperto le biglietterie devono essere installate a non meno di 10 m dagli ingressi e in manufatti indipendenti dalla struttura dell'impianto.
FIG. B.4.6./1 VISIBILITÀ (DM 25 agosto 1989, art.10)
x b INIZIO (BORDO) DEL CAMPO DI GIOCO
CALCOLO DELLA VISIBILITA' x= axb c - 12
LE MISURE SONO ESPRESSE IN CM c
c - 12 12
a
INIZIO (BORDO) DEL CAMPO DI GIOCO
CAMPO DI GIOCO
40 - 60 CM MIN. 60 CM
CAMPO DI GIOCO
MAX. 20 CM DIMENSIONAMENTO DEI GRADONI MIN. 23 CM
B 146
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ E FRUIBILITÀ DEGLI IMPIANTI SPORTIVI – SETTORI INTEGRATIVI
B.4. 6. A.ZIONI
SISTEMA DI VIE D'USCITA Il sistema di vie d'uscita per la zona destinata agli spettatori deve essere indipendente da quello della zona delle attività sportive. La separazione deve essere realizzata in conformità a quanto previsto al precedente art.8. È consentita la comunicazione tra i suddetti sistemi di vie d'uscita attraverso porte metalliche. La larghezza complessiva delle uscite deve essere dimensionata per una capacità di deflusso non superiore a 250 (persone) per gli impianti all'aperto e a 50 (persone) per gli impianti al chiuso indipendentemente dalle quote. La larghezza di ogni uscita deve essere non inferiore a 2 moduli (un modulo = 60 cm). Le scale e le rampe per il deflusso degli spettatori dalle tribune devono avere la stessa larghezza complessiva delle uscite. Nella determinazione della larghezza delle vie d'uscita vanno computati i vani di ingresso purchè dotati di serramenti apribili anche verso l'esterno. Per quanto riguarda i serramenti consentiti si rimanda alle disposizioni del Ministero dell'Interno per i locali di pubblico spettacolo. I gradini devono essere a pianta rettangolare, devono avere una altezza e una pedata costanti e rispettivamente non superiori a 17 cm (alzata) e non inferiore a 30 cm (pedata). Le rampe delle scale debbono essere rettilinee, avere non meno di tre gradini e non più di 15.I pianerottoli devono avere la stessa larghezza delle scale senza allargamenti o restringimenti. Sono consigliabili nei pianerottoli raccordi circolari che abbiano la larghezza radiale costante ed eguale a quella della scala. Nessuna sporgenza o rientranza deve esistere nelle pareti delle scale per una altezza di 2 m dal piano di calpestio.
Tutte le scale devono essere munite di corrimano sporgenti non oltre le tolleranze ammesse. Le estremità di tali corrimano devono rientrare con raccordo nel muro stesso. È ammessa la fusione di due rampe di scale in unica rampa, purchè questa abbia larghezza uguale alla somma delle due. Per scale di larghezza superiore a 3 m la commissione provinciale di vigilanza può prescrivere il corrimano centrale. Per gli impianti al chiuso la lunghezza massima del sistema di vie d'uscita per la zona destinata agli spettatori non può essere superiore a 40 m oppure 50 m se in presenza di idonei impianti di smaltimento dei fumi asserviti a impianti di rilevazione e segnalazione d'incendio. Il numero delle uscite per gli spettatori non può in ogni caso essere inferiore a due per ogni settore o per ogni impianto che non è diviso in settori. DISTRIBUZIONE INTERNA Le scale di smistamento degli spettatori non possono avere larghezza inferiore a 1,20 m e servire non più di 20 posti per fila e per parte. Ogni 15 gradoni per i posti a sedere si deve avere un passaggio parallelo ai gradoni stessi di larghezza non inferiore a 1,20 m. È consentito non prevedere tali passaggi quando le scale di smistamento degli spettatori adducono direttamente ai vani delle scale per il deflusso degli spettatori. I gradoni per i posti a sedere devono avere una pedata non inferiore a 0,60 m e una alzata compresa tra 0,40 e 0,60 m. Le rampe delle scale di smistamento degli spettatori devono essere rettilinee. I gradini di ogni rampa devono avere alzata e pedata costanti rispettivamente non superiore a 20 cm (alzata) e non inferiore a 23 cm (pedata).
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
SEZIONE DELLE ATTIVITÀ DI SUPPORTO SERVIZI DI SUPPORTO La sezione servizi di supporto è costituita dalle seguenti unità ambientali: • atrio atleti; • spogliatoi (per atleti, per istruttori, per giudici); • pronto soccorso; • deposito attrezzi; • uffici amministrativi.
ATRIO ATLETI Deve assicurare le funzioni di smistamento degli utenti in entrata e in uscita (dall'esterno dell'impianto, dalla zona spogliatoi e dagli uffici) e dell'eventuale pubblico accompagnatore; deve inoltre consentire l'accesso ad altri eventuale servizi ausiliari. La superficie minima consigliata è di 15÷20 mq. La zona atrio deve essere articolata in modo da consentire una chiara e razionale individuazione delle diverse zone funzionali mediante l'utilizzazione di parti e arredi mobili o mediante opportune configurazioni planimetriche.
PRONTO SOCCORSO Deve consentire il pronto intervento e la consultazione medica ordinaria. Il citato DM 29 agosto 1989 prescrive la presenza obbligatoria di pronto soccorso per gli utenti. La superficie minima consigliata è di 12÷18 mq, con annessi servizi igienici costituiti almeno da una doccia e un WC con lavabo. Dovrà essere di facile accesso sia dall'esterno che dallo spazio di attività
SPOGLIATOIO PER ISTRUTTORI E/O PER I GIUDICI L' unità minima spogliatoi per istruttori prevede, oltre allo spogliatoio propriamente detto (10 mq min.), 2 docce da 0,90 x 0,90 m, un lavabo e un wc, per una superficie complessiva di circa 18 mq. Il citato DM 29 agosto 1989 prescrive: "Per gli arbitri deve essere previsto un locale spogliatoio, distinto per sesso, della superficie minima di 10 mq al netto dei servizi, con annesso un gruppo di servizi igienici costituito da almeno due docce, un lavabo, un vaso".
SPOGLIATOIO ATLETI Deve consentire le seguenti funzioni: • entrare dall'atrio atleti; • spogliarsi in uno spazio idoneo con posti a sedere con appendiabiti e custodia degli abiti in armadietti; • accedere alla zona attività sportive attraverso disimpegno, con abbigliamento sportivo. Devono essere assicurate caratteristiche igieniche di pulibilità (scarico al centro delle acque, uso di materiali non porosi). Le dimensioni dello spogliatoio sono variabili in funzione del numero degli utenti e delle attrezzature utilizzate. Ciascuna unità deve prevedere un posto spogliatoio per handicappati. Le due porte di accesso, una esterna verso il corridoio di disimpegno, l'altra interna verso i servizi igienici, devono essere del tipo "a ventola" e avere una larghezza minima di 1,20 m.
Per quanto riguarda la sicurezza devono essere rispetta te le seguenti prescrizioni: • deve essere evitato qualsiasi dislivello tra l'unità ambientale spogliatoio e il corridoio di accesso; • le pavimentazioni devono essere "antisdrucciolevoli", in modo particolare dove devono essere realizzate pendenze per lo smaltimento delle acque di lavaggio; • gli elementi costruttivi e gli elementi di arredo dovranno essere privi di sporgenze e tali da evitare pericoli in caso di urti da parte degli utenti; • i dispositivi di apertura e chiusura di tutti i serramenti, esterni e interni, devono essere del tipo "chiuso", cioè di forma tale da non costituire pericolo nel caso di urti; • tutti gli impianti tecnologici presenti nell'unità ambientale (di utilizzazione e di controllo ambientale) dovranno essere realizzati secondo le prescrizioni legislative vigenti (EMPI, CEI).
SERVIZI IGIENICI ANNESSI AGLI SPOGLIATOI Per quanto riguarda le dimensioni e la dotazione minima di servizi igienici si richiamano le prescrizioni del DM 25 agosto 1989: "Gli spogliatoi devono avere dimensioni non inferiori a 30 mq al netto dei servizi, con annesso un gruppo di servizi igienici costituito da almeno sei docce, due lavabi, due vasi e due orinatoi. Ogni locale spogliatoio deve servire al massimo 16 praticanti, deve avere almeno 150 lux di luminosità al pavimento, aerazione naturale pari a 1/8 della superficie del locale o meccanica con ricambi di almeno 25 mc per persona per ora". La soluzione spogliatoi 1 e 2 consentono la presenza di 15÷16 utenti contemporanei, hanno superficie utile spogliatoio di 30 mq e prevedono diverse soluzioni di servizi igienici con almeno un locale wc per handicappati. Le docce sono risolvibili con soluzione lineare, a doppia linea o in apposito locale con bracci doccia a parte e scarico d'acqua al centro. I servizi igienici, accessibili da disimpegno con lavabi ed eventuali orinatoi devono prevedere almeno una unità per handicappati.
SAUNA Può essere sistemata in spazio adiacente allo spogliatoio tipo, oppure essere prevista in apposito spogliatoio polivalente con annessi servizi, per complessivi 35÷40 mq. UFFICIO AMMINISTRATIVO Deve consentire la funzione di amministrazione e direzione tecnica dell'impianto. La soluzione minima consigliata è costituita da un locale di 15÷18 mq con nucleo di servizi annessi. DEPOSITO ATTREZZI Deve consentire l'accesso dall'esterno degli attrezzi, la loro custodia e il loro trasporto negli spazi della sezione attività sportive, con larghezza e altezza degli accessi non inferiore a 12,40 m. La dimensione del deposito varia con le dimensioni e l'importanza dell'impianto; la superficie minima consigliata è di 35 mq.
➥
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
ILI. FRUIB B.4.6 ABILITÀ E TI SPORIC N T PRA GLI IMPIA EGRATIVI T TÀ DE ETTORI IN S TIVI –
B 147
B.4. 6.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ E FRUIBILITÀ DEGLI IMPIANTI SPORTIVI – SETTORI INTEGRATIVI ➦ SEZIONE DELLE ATTIVITÀ DI SUPPORTO FIG. B.4.6./2 SPOGLIATOI E PRONTO SOCCORSO SPOGLIATOIO PER ATLETI UNITÀ BASE PER 11÷19 ATLETI
SPOGLIATOIO PER ATLETI - DUE UNITÀ
700
600
180
180
220
700 220
180
280
SPOGLIATOIO PER ATLETI UNITÀ BASE PER 20 ATLETI
100
180
400
100
700
450
180
400
180
750
SPOGLIATOIO PER ATLETI UNITÀ BASE PER 15÷18 ATLETI
400
180
SPOGLIATOIO PER ATLETI - DUE UNITÀ
810
810
300
360
180
100
440
200
SPOGLIATOIO PER ATLETI CON SAUNA UNITÀ PER 16÷20 ATLETI
250 1430
300
180
360
100
440
100
180
300
300
600
180
100
1210 SPOGLIATOIO PER ATLETI - UNITÀ DOPPIA CON SERVIZI COMUNI
L’IMPIANTO DEVE PREVEDERE SPOGLIATOI PER ATLETI, PER ISTRUTTORI E PER IL PERSONALE. OGNI SPOGLIATOIO E COSTITUITO DA LOCALI CORRELATI TRA DI LORO E PRECISAMENTE: - IL LOCALE SPOGLIATOIO VERO E PROPRIO; - IL LOCALE DI DISIMPEGNO PER I SERVIZI IGIENICI E LE DOCCE; - I SERVIZI IGIENICI; - IL LOCALE DOCCE.
180
100 100
400
1180 VISITA MEDICA - PRONTO SOCCORSO
6÷8 POSTI 5 380÷450
1
100
500 100
360 250
200
4÷5 POSTI
4 3
180
240
180
4÷6 POSTI
450
400
SPOGLIATOIO PER ISTRUTTORI CON SAUNA
SPOGLIATOI PER ISTRUTTORI
820
750
NEL LOCALE DISIMPEGNO DOVRANNO ESSERE INSTALLATI I SEGUENTI APPARECCHI: - DUE LAVABI DELLE DIMENSIONI MINIME DI 0,50 X 0,60 M, DEL TIPO SENZA COLONNA - UN BEVERINO, DEL TIPO SOSPESO (SENZA COLONNA CENTRALE); - DUE ORINATOI DI TIPO PENSILE; - ASCIUGACAPELLI IN NUMERO PARI ALLE DOCCE, SE NON PREVISTI NELLO SPOGLIATOIO. IL LOCALE DOCCE DOVRÀ CONSENTIRE L’INSTALLAZIONE DI ALMENO: - DUE POSTI DOCCIA PER GLI SPOGLIATOI FINO A 10 POSTI - 4 POSTI DOCCIA PER GLI SPOGLIATOI CON N. 15 POSTI - 5 POSTI DOCCE PER QUELLI CON N. 20 POSTI SPOGLIATOIO. NELLE DOTAZIONI È COMPRESO UN POSTO DOCCIA PER HANDICAPPATI. I SERVIZI IGIENICI DOVRANNO AVERE ALMENO: - SPOGLIATOI FINO A 10 POSTI: UN SERVIZIO IGIENICO ADATTO ANCHE AD HANDICAPPATI - SPOGLIATOI FINO A 15 POSTI: DUE SERVIZI IGIENICI, DI CUI UNO PER HANDICAPPATI - SPOGLIATOI CON PIÙ DI 15 POSTI: TRE SERVIZI IGIENICI DI CUI UNO PER HANDICAPPATI.
430 650÷700 300
360
290
250
B 148
È OPPORTUNO DIMENSIONARE LO SPOGLIATOIO DEGLI ISTRUTTORI PER 4 ÷6 POSTI, IN CONSIDERAZIONE DELLA POSSIBILITÀ CHE VENGA UTILIZZATO ANCHE DAGLI ATLETI. È CONSIGLIATA UNA DOTAZIONE NON INFERIORE A: - UNA DOCCIA OGNI 3-4 UTENTI - UN WC OGNI 4-6 UTENTI DI MASSIMA NON SONO PREVISTI WC E DOCCE PER PORTATORI DI HANDICAP.
ACCESSI E DISTRIBUZIONE DEL PRONTO SOCCORSO DEVONO PERMETTERE L'USO DELLA BARELLA. L'ARREDO E LE ATTREZZATURE SONO COSTITUITE DA: 1 - LETTINO VISITA: 0,60 X 2,00 M, SGABELLO, LAMPADA; 2 - BARELLA RIPIEGABILE; 3 - ARMADIO CON VETRI: 0,45 X 0,60 X 1,30 M MINIMO; 4 - SCRIVANIA DI 0,90 X 1,60 M CIRCA E POLTRONCINA; 5 - BOMBOLA OSSIGENO E APPARECCHI DI RIANIMAZIONE
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT PRATICABILITÀ E FRUIBILITÀ DEGLI IMPIANTI SPORTIVI – SETTORI INTEGRATIVI
B.4. 6. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.4.6./3 AGGREGAZIONE DEI SERVIZI PER IMPIANTI MINORI (P1, P2) NEI GRAFICI DELLE FIG. B.4.6./ 2 E B.4.7./1.SI CONFRONTANO I DATI DIMENSIONALI E DISTRIBUTIVI RELATIVI A PALESTRE SINGOLE, REALIZZATE SECONDO GLI ASSETTI CORRENTI, CON QUELLI RELATIVI ALL'AGGREGAZIONE IN "ELEMENTI AUTONOMAMENTE FUNZIONANTI", MODULARI E AMPLIA BILI PER INCREMENTI SUCCESSIVI, ELABORATA DAL CONI (1987) PALESTRA TIPO P1 - SETTORE DEI SERVIZI DI SUPPORTO NEL CASO DI IMPIANTO AUTONOMO
PALESTRA TIPO P1 - SETTORE DEI SERVIZI DI SUPPORTO (SCHEMA MODULARE, CON POSSIBILITÀ DI AMPLIAMENTO)
P1. UNITÀ PALESTRA 'A'
SETTORE DELLE ATTIVITÀ SPORTIVE (15 x 15 M)
E ESE ESSIONAL PROF
RIP. PULIZIE
SPAZIO DI ATTIVITÀ: SCHEMA MODULARE: 13 x 13 M, H. 7 M NON MODULARE: 15 x 15 M, H. 7 M
4
DOTAZIONE SERVIZI DI SUPPORTO: 1 - N.3 SPOGLIATOI POLIVALENTI: 15 MQ COMPRESI SERVIZI IGIENICI 2 - LOCALE UFFICIO (UTILIZZABILE COME PRONTO SOCCORSO) 3 - SERVIZI IGIENICI PER HANDICAPPATI 4 - DEPOSITO ATTREZZI, 5 - CENTRALINA TERMICA.
3 1
1
1
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU 1
1
1
2
4
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
NEL CASO DI AGGREGAZIONE DELL'UNITÀ 'A' CON ALTRE UNITÀ PALESTRA, PER FORMARE COMPLESSI TIPO P2, P3, P4, GLI SPOGLIATOI POLIVALENTI (1) SARANNO COMPATIBILI CON L'UTILIZZAZIONE COME SPOGLIATOI PER GLI ISTRUTTORI E/O PER IL PERSONALE
5
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
SETTORE DELLE ATTIVITÀ SPORTIVE (13 x 13 M)
IDONEA PER ATTIVITÀ FORMATIVE, DI MUSCOLAZIONE E DI ATLETICA PESANTE
2
B.STAZIONI DILEGIZLII
5
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
P2 - UNITÀ PALESTRA POLIVALENTE (B) - SETTORE DEI SERVIZI DI SUPPORTO L'IMPIANTO P2 (CONI) COSTITUISCE "ELEMENTO AUTONOMAMENTE FUNZIONANTE" SE AGGREGA UNA UNITÀ PALESTRA 'A' (V. SOPRA) PIÙ UNA UNITÀ PALESTRA POLIVALENTE 'B' NELLO SCHEMA '1' SI ESEMPLIFICA LA DISTRIBUZIONE DELLE ATTIVITÀ DI SUPPORTO PER UN IMPIANTO P2, SECONDO LA PROPOSTA MODULARE DEL CONI (PALESTRE A + B) NELLO SCHEMA '2' SI ESEMPLIFICA LA DISTRIBUZIONE DELLE ATTIVITÀ DI SUPPORTO RELATIVE ALLA SOLA UNITÀ PALESTRA 'B' SCHEMA '1' - IMPIANTO TIPO P2 (PALESTRE A + B) , MODULARE, CON POSSIBILITÀ DI AMPLIAMENTO - ATTIVITÀ DI SUPPORTO NON INTEGRATE CON I SERVIZI PER IL PUBBLICO 13,00 (DIMENSIONI UNITÀ 'A' MODULARE) 4
P2. UNITÀ POLIVALENTE (B)
16,00 (MODULARE) SETTORE DELLE ATTIVITÀ SPORTIVE
IDONEA PER ATTIVITÀ DI GINNASTICA, PALLAVOLO E PALLACANESTRO (CAMPO DI DIMENSIONI MINIME) 7
2
2
2
6
1
DOTAZIONE SERVIZI DI SUPPORTO: 1 - N. 2 SPOGLIATOI ATLETI 49 MQ COMPRESI SERVIZI IGIENICI 2 - N.3 SPOGLIATOI POLIVALENTI: 15 MQ COMPRESI SERVIZI IGIENICI 3 - LOCALE UFFICIO (ANCHE PRONTO SOCCORSO) 4 - MAGAZZINO ATTREZZI, 5 - CENTRALE TERMICA 6 - ATRIO ATLETI.
8
8 3
SPAZIO DI ATTIVITÀ: SCHEMA MODULARE: 16 x 26 M, H. 7 M NON MODULARE: 24 x 18 M, H. 7 M
1
5
SETTORE DEL PUBBLICO 7 - ATRIO SPETTATORI 8 - SERVIZI IGIENICI PUBBLICO 9 - GRADONATE SCHEMA '2' - DISTRIBUZIONE DELLE ATTIVITÀ DI SUPPORTO DELLA SOLA PALESTRA 'B' - ATRIO COMUNE PER ATLETI E PUBBLICO
I LOCALI PER IL MAGAZZINO, PER IL DEPOSITO ATTREZZI E PER LA CENTRALE TERMICA SONO UBICATI IN SEQUENZA LUNGO QUESTO LATO.
4, 5
24,00÷26,00 SETTORE DELLE ATTIVITÀ SPORTIVE SETTORE DEL PUBBLICO (ACCOMPAGNATORI) 8
NEI TIPI P1 E P2 SI PREVEDE UNA RIDOTTA PRESENZA DI SPETTATORI, COSTITUITA PER LA MAGGIOR PARTE DAGLI ACCOMPAGNATORI" DEI PRATICANTI PIÙ GIOVANI. SI PUÒ QUINDI DISPORRE UN UNICO ATRIO COMUNE PER ATLETI E SPETTATORI.
6-7
3
1
2
2
2
1
7
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
7
PERCORSO ATLETI PERCORSO PUBBLICO PERCORSO ATTREZZI
ILI. FRUIB B.4.6 ABILITÀ E TI SPORIC N T PRA GLI IMPIA EGRATIVI T TÀ DE ETTORI IN S TIVI –
B 149
B.4. 7.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI IMPIANTI SPORTIVI AL COPERTO
•
IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT
PALESTRE E PALAZZETTI DELLO SPORT ISTRUZIONI TECNICHE PER LA COSTRUZIONE DI IMPIANTI “PALESTRA” Per colmare la lacuna determinata dall’assoluta mancanza di una normativa inerente le caratteristiche tipologiche, tecniche e dimensionali delle palestre e nell’intento di offrire un preciso indirizzo progettuale in merito, riportiamo l’estratto di una proposta-tipo del centro studi impianti sportivi del CONI
PROPOSTA-TIPO ELABORATA DAL CENTRO STUDI IMPIANTI SPORTIVI DEL CONI – ROMA 1. PROGETTAZIONE DI UN SINGOLO IMPIANTO Innanzitutto vanno definite le attività da prevedere nell’impianto, sia quelle risultanti dall’analisi esigenziale sia altre elementari, compatibili e facilmente aggregabili per ottenere una migliore resa in ore sport dell’impianto e una più economica gestione. Si passa da uno schema aspaziale di localizzazione di attività (sportive, di supporto a quelle sportive e altre ausiliarie) in rapporto tra loro a uno schema distributivo metaprogettuale prima a due parti a tre dimensioni. Va considerata, inoltre, la dimensione “tempo” nel determinare i collegamenti tra le parti di un impianto, la successione delle immagini che si presentano a chi percorre gli intervalli intercorrenti, ecc. Tale dimensione ha valore significativo anche al di là dei confini dell’impianto stesso e indica alle infrastrutture sul territorio il reale rapporto con il bacino di utenza (a piedi, in bicicletta, con mezzi motorizzati, con i trasporti pubblici); pertanto, si vengono ad avere due sistemi di relazioni uno interno e uno esterno all’impianto sportivo. 2. PALESTRA MODULARE: QUATTRO POSSIBILI SOLUZIONI Prendiamo in esame una ipotesi funzionale distributiva e volumetrica, anche definibile palazzetto dello sport nella soluzione più completa. Questa scaturisce da un articolato sistema di esigenze e di risposte che si sono date a queste esigenze, sia in termini di prestazioni che è in grado di fornire lo spazio sia in termini di caratteristiche fisiche e dimensionali dello spazio stesso. Dell’insieme di esigenze poste come input analizziamone alcune fondamentali: Possibilità di avere la seguente successione di elementi autonomamente funzionanti. P1. unità palestra (A) per attività formative, di muscolazione e di atletica pesante delle dimensioni di 13 x 13 m dotata di n.3 spogliatoi polivalenti di mq 15 compresi i servizi igienici, locale ufficio utilizzabile anche come pronto soccorso, n.2 servizi igienici per handicappati, magazzino attrezzi, centralina termica. P2. unità palestra (A) più palestra costituita da una unità polivalente (B) con spazio attività di 16 x 26 m alto 7 m e n.2 spogliatoi atleti ognuno di 49 mq compresi i servizi igienici che consente attività regolarmente di ginnastica, pallavolo e pallacanestro con campo di dimensioni minime. P3. unità palestra (A) più palestra costituita da n.2 unità polivalenti (B) con spazio attività di 26 x 32 m alto 7 m e n.4 spogliatoi atleti ognuno di 49 mq che consente attività regolamentare di ginnastica, pallavolo, pallacanestro e pallamano con campo di dimensioni minime. P4. unità palestra (A) più palestra costituita da n.3 unità polivalenti (B) con spazio attività di 26 x 48 m alto 7 m e n.6 spogliatoi atleti ognuno di 49 mq che consente attività regolamentare di ginnastica, pallavolo, pallacanestro, pallamano, tennis, calcetto, hockey indoor, hockey a rotelle (con pavimentazioni appropriate) campate (B) 26 x 48 m la capacità è di 753 spettatori con spazio attività libero di 20 x 48 m dimensione che è anche aumentabile con chiusura parziale della gradinata. Nelle condizioni climatiche del nostro Paese va particolarmente esaltata la pratica sportiva all’aperto non trascurando l’utilità anche di spazi semplicemente coperti con tettoia e illuminati artificialmente per un prolungato utilizzo.
B 150
Riteniamo infatti che siano realizzabili con interventi successivi e strutture appropriate impianti destinati inizialmente ad attività all’aperto, con le dotazioni essenziali di servizi; poi coperti considerando sia gli spazi destinati all’esercizio sportivo che la eventuale presenza di pubblico; infine chiusi ottenendo vere e proprie palestre o palazzetti dello sport. La soluzione tipologica che si propone, anche se in modo schematico, tiene conto di questo progressivo adeguamento nel tempo alle esigenze reali non solo per quanto riguarda le condizioni ambientali sopra citate, ma anche la dimensione ottimale dell’intervento dall’iniziale minimo P1-P2, fino al finale P4 con spazio palestra a tre campate strutturali. Non trascurabili caratteristiche funzionali ha anche la soluzione intermedia P3 che esclude solo il tennis e la pallamano in campi regolamentari consentendo comunque queste attività in spazi ridotti per la formazione, l’avviamento allo sport e l’esercizio sportivo non di alta prestazione. 3. PARZIALIZZAZIONE E POLIVALENZA L’idea di uno spazio palestra estremamente flessibile e adattabile a esigenze e modi d’utilizzo diversi non è certo una idea nuova né del tutto originale. Diverse esperienze, specie all’estero hanno intrapreso questa strada con risultati, a volte, anche soddisfacenti. In quest’ottica ci preme mettere a punto alcuni aspetti che comunque ci sembra richiedano ancora chiarezza e precisione. La gradualità nella realizzazione, può consentire alla stazione appaltante di predisporre un programma edilizio poliennale che viene attuato per fasi successive; è importante che ciascuna fase preveda un impianto, via via più complesso, ma in ogni caso funzionante e completo. Così la prima fase consente di disporre di una piccola palestra, la seconda di una media, la terza di una grande, con possibilità di pratica e spettacolo sportivo. La parzializzazione dell’uso è commisurata alla parzializzazione tipologica tecnologica e gestionale dell’impianto. È così possibile, anche quando l’impianto è costruito nella sua forma più completa, utilizzarne una sola parte parzializzando lo spazio utilizzato e anche gli impianti tecnologici impegnati (luce, acqua, aria). Si possono ottenere così economie tangibili, sia per quanto concerne i costi relativi ai consumi energetici, che quelli relativi al personale di custodia, pulizia, manutenzione, ecc. Le polivalenze e le polifunzionalità, rappresentano ulteriormente caratteristiche dell’impianto strettamente connesse alla gradualità costruttiva e alla parzializzazione. Si tratta di definire nel concreto quali margini di polifunzionalità (uso diverso contemporaneo) e di polivalenza (uso diverso non contemporaneo) debba avere. Ovviamente le scelte vanno condotte secondo un criterio che confronti i maggiori costi con i maggiori benefici, con lo scopo di individuare, di volta in volta, i livelli di convenienza. Non esiste infatti una soluzione ottimale, valida sempre e comunque si tratta di valutare le esigenze di soddisfare nel contesto d’intervento e lì operare le scelte più idonee. Va anche detto che polivalenza e polifunzionalità dell’impianto vanno risolte in modo organico, individuando quali attività possono realisticamente essere svolte nello stesso spazio, e per quali invece è opportuno ricorrere a spazi diversificati. Vedremo meglio più avanti come nella sala centrale conviene concentrare attività quali pallavolo, pallacanestro, pallamano, tennis, calcetto e ricorrere invece a spazi più specifici per altre attività quali tennis-tavolo, lotta, pesi, Judo, scherma, ecc. 4. REQUISITI DEGLI SPAZI ESTERNI Fondamentale è il controllo delle relazioni con l’intorno, considerando attentamente i problemi insediativi nella parte di territorio su cui si interviene e soprattutto la continuità e il rapporto con l’ambiente naturale sia esso preesistente o previsto entro i limiti dell’area dell’impianto.
Per questo è di particolare interesse considerare oltre gli spazi soggetti a regolamenti per l’esercizio delle attività sportive tutti quegli elementi che intervengono nella progettazione la cui presenza è determinante in quanto contribuisce in modo sensibile al miglioramento sia delle caratteristiche funzionali dello spazio che delle condizioni ambientali; ciò si ritiene utile sia per interventi ex novo che di recupero di impianti esistenti. Riguardo alla sistemazione delle attrezzature esterne si è indicato, in continuità con i tre spazi di attività contenuti trasversalmente nella palestra, un campo polivalente all’aperto direttamente accessibile dagli spogliatoi. Inoltre, longitudinalmente nel lato nord della palestra potrà essere previsto un tratto rettilineo per corsa e salti, attrezzature per la ginnastica all’aperto, pedana per il getto del peso e percorsi vari di preriscaldamento. 6. CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE Al fine di non vincolare le soluzioni realizzative occorre definire le caratteristiche dell’impianto sportivo in termini esigenziali. Ciò comporta una esatta individuazione dei requisiti che l’impianto deve possedere nel suo insieme e nelle singole parti che lo compongono e che possono raggrupparsi, in generale, nelle seguenti classi: • agibilità e fruibilità; • sicurezza; • manutenzione e gestione; • benessere ambientale. Rientrano nell’agibilità e fruibilità i requisiti inerenti alla costituzione e alle dimensioni dei diversi spazi in relazione alla funzione e alla destinazione d’uso, alle caratteristiche distributive e all’accessibilità. Tali requisiti comprendono inoltre gli aspetti relativi alla dotazione di apparecchiature e di impianti nonché le caratteristiche di arredabilità, eventuale adattabilità e la dotazione di attrezzature. Si riferiscono alla sicurezza i requisiti relativi a tutti gli aspetti connessi con la sicurezza degli spazi, in particolare, quindi, la sicurezza statica, la sicurezza agli incendi e all’evacuazione, la sicurezza agli eventi eccezionali, la sicurezza nell’uso degli spazi, la sicurezza nell’uso degli impianti. Per la manutenzione e gestione i requisiti si riferiscono a quegli aspetti, in parte anche contenuti nelle precedenti classi, che riguardano in qualche modo la manutenzione e la gestione dell’impianto sportivo. In tale classe sono comprese la manutenibilità degli spazi, la trasformabilità, il contenimento energetico e le caratteristiche di gestione. Il benessere ambientale e l’igiene comprende la specificazione dei parametri che si riferiscono al controllo dei comfort e dell’igiene ambientale. Essi riguardano l’esposizione e l’orientamento degli spazi, le condizioni di benessere microclimatico, visivo e acustico, le condizioni di igiene. 6.1. Sala di attività La sala di attività è l’elemento centrale dell’impianto, le sue caratteristiche dipendono oltre che dal tipo di attività anche dalle attrezzature che vi si devono installare. Le dimensioni longitudinali e trasversali dovranno essere tali da consentire la realizzazione dei campi con le relative fasce di rispetto. Queste saranno variabili a seconda dell’attività sportiva, con un valore comunque non inferiore a 1 m (possibilmente 2 m). Anche l’altezza libera del locale dipende dalle attività sportive previste. • In genere per consentire lo svolgimento di attività aeree (pallacanestro, pallavolo, pallamano, tennis...) a livello anche agonistico ma non internazionale è sufficiente un’altezza non inferiore a 7,00 m. • Per incontri internazionali di tennis tale altezza deve essere di almeno 9,00 m, in corrispondenza della rete, e 12,50 m per la pallavolo.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT IMPIANTI SPORTIVI AL COPERTO
B.4. 7. A.ZIONI
6.1.1 Pareti Le pareti della palestra dovranno presentare una conformazione di massima piana e per un’altezza di almeno 2,50 m essere priva di sporgenza e ostacoli che possano compromettere l’incolumità degli utenti. Eventuali pilastri, lesene, tubazioni o simili, ove indispensabili, dovranno quindi essere convenientemente protetti con rivestimenti o imbottiture. Per le pareti, preferibilmente, saranno adottate soluzioni costruttive che permettono l’uso dei materiali a faccia vista, eventualmente verniciati, senza ricorrere agli intonaci. Le pareti in ogni caso dovranno risultare facilmente pulibili e prive di continuità che favoriscano l’accumulo della polvere. Tutto ciò comunque va considerato assieme alle esigenze acustiche per arrivare a un’idonea soluzione di compromesso. Lungo le pareti della palestra possono essere collocate attrezzature varie, quali ad esempio spalliera, ercoline, specchiere, o altro. La conformazione delle pareti quindi, con particolare riferimento alla distribuzione delle superfici vetrate, e alla collocazione degli impianti tecnologici, dovrà tenere conto di tali esigenze. 6.1.2 Superfici vetrate Le superfici vetrate costituiscono senza dubbio uno degli elementi che caratterizzano di più lo spazio architettonico. La loro presenza in una palestra fa nascere però una serie di problemi legati soprattutto all’abbagliamento, che inducono spesso i progettisti a limitarne al massimo l’uso o addirittura ad abolirne, tendenza questa per diversi motivi, discutibile. L’attività sportiva infatti dovrebbe essere sempre vista in rapporto all’ambiente naturale, anche se al fine di permettere lo svolgimento di determinate attività sportive in condizioni climatiche sfavorevoli, si ricorre alla costruzione di involucri protettivi. Anche in tal caso però dovrebbe potersi avere sempre la possibilità di svolgere, se possibile, attività all’aperto e conservare con l’ambiente esterno un collegamento per lo meno visivo. Pertanto salvo casi di impossibilità conseguenti a particolari ubicazioni delle palestre, dovranno essere previste, in posizione opportuna, superfici trasparenti di conveniente estensione che consentano la visibilità di spazi esterni, possibilmente verdi. Tali superfici dovranno essere munite di vetri di sicurezza e tende a schemi mobili. Altre superfici vetrate, se previste, dovranno essere poste preferibilmente ad altezza superiore a 2,50 m dal pavimento munite anch’esse di sistemi per l’oscuramento. Per il dimensionamento delle superfici vetrate un criterio molto valido, è quello di fare riferimento, oltre alle suaccennate esigenze, al coefficiente di illuminazione diurna. Questo dovrebbe comunque essere non inferiore a 0,015. Per una buona diffusione dell’energia luminosa è inoltre opportuno che le diverse superfici, il soffitto e le pareti in particolare, abbiano un coefficiente di rinvio non inferiore a 0,5. Valori maggiori sono consigliabili ai fini dell’illuminazione artificiale, come verrà successivamente detto. Sempre per evitare l’abbagliamento, le superfici verticali trasparenti, eccetto quelle con orientamento verso nord o al massimo inclinate di circa 10° rispetto a tale direzione, è opportuno siano dotate di schermi fissi o mobili tali da consentire l’intercettazione della luce solare diretta. La radianza delle superfici trasparenti viste dall’interno non dovrà superare di dieci volte la luminosità media dell’ambiente. 6.1.3 Requisiti acustici La gradevolezza di un ambiente dipende in modo sostanziale dalle sue caratteristiche acustiche. Per la palestra ciò che ha più importanza è l’andamento nel tempo dell’intensità sonora posta in relazione all’inten-
sità e all’istante di emissione del suono da parte delle sorgenti, cioè la durata della coda sonora o tempo di riverberazione. Alcuni suoni, come le grida degli atleti, gli incitamenti da parte del pubblico, le istruzioni degli allenatori o altro, sono non solo graditi, ma a volte indispensabili allo svolgimento della pratica sportiva. Ciò che importa è che il segnale, una volta emesso e percepito, non perduri eccessivamente e non contribuisca a un elevamento del livello sonoro generale che produca fastidio o mascheri i suoni desiderati. Per tale ragione è opportuno che il tempo di riverberazione non superi il valore di 1,4 secondi e possibilmente scenda a valori dell’ordine di 1,2 o anche 1 secondo. Per le palestre, tenendo conto della forma della sala, ciò comporta quasi sempre l’adozione di opportuni accorgimenti costruttivi e l’adozione, a volte, di idonei pannelli fonoassorbenti. Ai fini acustici è opportuno avere pareti con risalti lesene e comunque elementi aggettanti o rientranti che diffondano il più possibile le onde sonore. Ciò ovviamente, specialmente per le pareti, va contro le esigenze di sicurezza, attrezzabilità e pulibilità, per cui occorrerà raggiungere, come sempre, una soluzione di compromesso. Per il soffitto sono da evitare forme a cupola, ma anche le superfici lisce, senza risalti o sporgenze. Le soluzioni possibili pur tenendo conto dei vincoli prima detti sono comunque numerosissime né mancano esempi dove funzionalità, economia e aspetto architettonico hanno raggiunto compromessi ottimali. Sempre ai fini del benessere acustico è inoltre opportuno che tutte le sorgenti che producono rumore, cioè gli impianti tecnologici e apparecchiature varie, non incrementino eccessivamente il livello sonoro prodotto dagli utenti. A tal fine il livello sonoro di tali sorgenti non dovrà superare i 45 dBA. 6.1.4 Sottofondo della pavimentazione La pavimentazione della palestra poggia su di un sottofondo realizzato normalmente su vespaio, su muricci e tavelloni o su solaio; la scelta ovviamente è di natura principalmente economica e strutturale. I vespai poggiano direttamente sul terreno che dovrà essere opportunamente costipato per sopportare i carichi che gli sono trasmessi dalla pavimentazione. Il vespaio è formato normalmente da una massicciata di scapoli di pietra, ciottoli o altri simili, collocati a mano, ben assestati, in modo da formare una rete di canaletti di ventilazione ad andamento parallelo con interasse non superiore a 1,50 m e con sezione di circa 15 x 20 cm o superiore. I canaletti saranno intercomunicanti e, mediante aperture sui muri perimetrali saranno in comunicazione con l’esterno per la ventilazione. Il materiale lapideo dovrà essere disposto con pezzatura decrescente in modo da intasare i vuoti con scaglie di pietra e livellando la parte superiore con ghiaietto. Lo spessore complessivo sarà di 30 ÷ 40 cm. Sopra la massicciata verrà realizzato un massetto di conglomerato cementizio magro di circa 8-10 cm sul quale verrà posata l’impermeabilizzazione. Questa, se di malta asfaltica, avrà uno spessore di almeno 12 mm; in ogni caso dovrà essere raccordata con le pareti per un’altezza di almeno 5 ÷ 10 cm. Sopra l’impermeabilizzazione va realizzato un massetto, perfettamente piano, di almeno tre centimetri di spessore con cemento e sabbia, rifinito con malta di cemento e sabbia finissima dopo qualche ora dal getto. Durante la presa e l’indurimento il massetto dovrà essere periodicamente bagnato. Prima dell’applicazione della pavimentazione occorrerà un periodo di almeno 60 giorni di stagionatura del sottofondo. I sottofondi con muricci e tavelloni sono realizzati su una struttura formata da piccoli muri bassi di mattoni piani legati con malta di cemento, a file parallele, dell’altezza di circa 40 cm. I cunicoli tra i muricci sono tra loro comunicanti e sfociano all’esterno con opportune aperture poste alle loro estremità per permettere la ventilazione. Sui muricci saranno posati i tavelloni sui quali verrà gettata una camicia di malta di 1 o 2 cm in modo da formare un piano orizzontale.
Su tale piano andrà posata l’impermeabilizzazione, la soletta di conglomerato cementizio leggero di 8-10 cm e il massetto di sabbia e cemento di 3 cm, realizzati e rifiniti come detto per il sottofondo su vespaio. Il sottofondo su solaio è analogo a quello realizzato su tavelloni. 6.1.5 Pavimentazione Le caratteristiche della pavimentazione variano in funzione dello sport praticato del suo livello di specializzazione e in generale dalla destinazione dell’impianto. Tali caratteristiche si possono riassumere in alcuni parametri, quali elasticità, ammortizzamento, deformabilità, attrito superficiale, planarità, rimbalzo, colore, isolamento termoacustico e sicurezza. Nel caso di impianti polivalenti, come le palestre, si dovrà trovare un materiale con caratteristiche intermedie che meglio soddisfano le esigenze dei diversi sport. Esaminiamo brevemente le principali caratteristiche. L’elasticità è una caratteristica fondamentale, in quanto conferisce alla pavimentazione la qualità di attutire elasticamente le forze di impatto del corpo durante azioni di corsa o di salto. L’elasticità dà quindi una sensazione di comfort all’azione sportiva e un suo valore ottimale favorisce la velocità dell’azione e diminuisce l’affaticamento muscolare. Un’elasticità eccessiva rende, invece, l’azione più lenta. Una pavimentazione troppo dura, affatica la muscolatura e aumenta l’incidenza di traumi ai legamenti articolari. Possono distinguersi due tipi di elasticità: • quella di punto; • quella di area. L’elasticità di punto è quella propria del materiale costituente la pavimentazione ed è importante che sia uniforme su tutta la pavimentazione. Questo nelle superfici sintetiche è assicurato dalla costanza dello spessore e dall’omogeneità del materiale. L’elasticità di area è sostanzialmente quella dell’eventuale sottostruttura che sostiene la pavimentazione. In genere tale sottostruttura è formata da un’orditura di travetti di legno, spesso usata per le pavimentazioni di campi di basket. In questo caso occorre evitare che la freccia d’inflessione della sottostruttura sia troppo elevata e che l’elasticità sia eccessivamente disuniforme (minore sui travetti che in mezzeria). L’ammortizzamento è l’assorbimento non elastico (isteresi) delle forze di impatto del corpo. È dovuto alla viscosità interna del materiale è normalmente presente in una pavimentazione, accanto alla elasticità, e ciò che conferisce la maggior sensazione di riposo al piede. Un ammortizzamento eccessivo rende difficoltosa l’azione sportiva. La deformabilità definisce la deformazione globale della pavimentazione sotto un carico dinamico: è quindi legata all’elasticità, alla viscosità e allo spessore dello strato elastico. Un valore eccessivo diminuisce la sicurezza di appoggio del piede e aumenta il pericolo di distorsioni. L’attrito superficiale è un elemento di notevole importanza e il suo valore ottimale varia con lo sport praticato. Infatti in alcuni sport si vuole che l’aderenza tra piede e pavimentazione sia massima come nella corsa. In altri sport si chiede la possibilità di effettuare una scivolata controllata, come nel tennis. Inoltre si vuole che il piede abbia la possibilità di ruotare facilmente sul punto d’appoggio senza bloccarsi distorsioni. Per migliorare le caratteristiche di attrito superficiale i materiali sintetici vengono resi rugosi in superficie (goffratura). La superficie della pavimentazione sportiva deve essere perfettamente piana in quanto le imperfezioni della superficie possono provocare rimbalzi anomali della palla; inoltre, soprattutto negli sport di velocità, il piede può avvertire le ondulazioni superficiali con diminuzione della sicurezza di passo e disturbi nell’esecuzione.
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NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. IVI B.4.7NTI SPORT IMPIA PERTO AL CO
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B.4. 7.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI IMPIANTI SPORTIVI AL COPERTO
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IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT
➦ PALESTRE E PALAZZETTI DELLO SPORT ➦ PROPOSTA-TIPO ELABORATA DAL CENTRO STUDI IMPIANTI SPORTIVI DEL CONI – ROMA Negli sport con la palla il rimbalzo è molto importante. Esso deve essere uniforme e regolare su tutta la superficie. Il rimbalzo della palla non deve essere ammortizzato eccessivamente pena l’impossibilità di svolgere competizioni regolari. Il regolamento della Federazione Basket prescrive che l’altezza di rimbalzo di un pallone che cade da 1,80 m deve essere almeno il 90% di quella che si ottiene su un piano di cemento (1,20 ÷ 1,40 m). La superficie sportiva deve essere opaca ma non troppo scura, (fattore di riflessione della luce 0,25÷0,50), il suo colore inoltre deve permettere di vedere chiaramente i segni sul campo di gioco. La coibenza termica è utile quando la pavimentazione viene utilizzata prevalentemente per l’esecuzione di esercizi a terra. Una buona coibenza termica può migliorare il comfort oltre che concorrere alla riduzione dei consumi energetici infatti in una palestra la pavimentazione è un elemento di grossa dispersione termica. La coibenza acustica è un requisito ambientale importante per le palestre. Ovviamente è l’intero ambiente che concorre a definire le proprie caratteristiche acustiche: il pavimento, comunque, non deve essere fonte di vibrazioni eccessive, prodotte dal correre, saltare o dal rimbalzo della palla. Questo aspetto è da verificare soprattutto nelle pavimentazioni con sottostruttura elastica, per la quale andranno previsti i necessari accorgimenti (Sistemazione di materiale fonoassorbente). Diversi aspetti della pavimentazione ne definiscono la sicurezza; oltre quanto già detto circa la deformabilità, l’attrito, ecc. è necessario che la pavimentazione della palestra non sia infiammabile, né possa generare vapori tossici. 6.1.6 Diversi tipi di pavimentazioni sportive La scelta della pavimentazione per una palestra si restringe, in pratica, al legno ai materiali resilienti e ai materiali cementizi. Gli elementi da valutare per la scelta sono l’uso e il costo (sia di realizzazione che di manutenzione). Ai fini della polivalenza c’è da considerare inoltre la relativa incompatibilità della presenza di pubblico e quindi di attrezzature (sedie, tavoli, ecc.) su una pavimentazione di elevata qualità e costo, soprattutto se questa è realizzata su sottostruttura elastica che potrebbe mal reagire a carichi elevati e prolungati. L’uso di pedanature mobili o di Pavimentazioni arrotolabili può permettere lo svolgimento di altri sport, quali scherma, ginnastica a corpo libero, lotta, ecc. In pavimentazioni di una certa importanza, quando si desideri una certa elasticità strutturale, legata a un buon rimbalzo, come nella pallacanestro, è opportuno realizzare una sottostruttura elastica. In questo caso sul sottofondo si realizza una doppia orditura di correnti in legno. Sopra viene posto un tavolato, sul quale andrà posata la pavimentazione (legno o teli di materiali resilienti). Nel caso di pavimento con listoni in legno, il tavolato può essere omesso, poggiando le tavolette di parquet direttamente sull’orditura secondaria. Per evitare il verificarsi di un’elasticità disuniforme (in particolare in corrispondenza degli incroci delle due orditure), i correnti sono muniti di fenditure longitudinali che assicurano l’elasticità anche sugli appoggi. Per una migliore uniformità di risposta elastica può essere realizzata una terza orditura di correnti sfalsata rispetto alla prima. A volte l’orditura primaria viene realizzata con un sistema di cavallotti e l’orditura secondaria va sfalsata rispetto agli appoggi di questi ultimi. Sugli appoggi e negli incroci è opportuno mettere cuscinetti di materiale elastico sintetico che migliorano l’elasticità e la fonoassorbenza della struttura. I correnti vengono posti in opera testa a testa, con un intervallo di 5 mm tra loro, semplicemente appoggiati o
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inchiodati di sbieco su megatelli annegati nel massetto sottostante. Sopra i correnti viene posto il tavolato formato da lastre di paniforte o di truciolare, fissate sui correnti per mezzo di chiodi galvanizzati applicati di sbieco, per non attraversare gli intagli dei correnti stessi. I pannelli possono essere collegati tra loro a incastro ed è opportuno lasciare sulle linee di giunzione una fessura di 2 mm. Sopra i pannelli viene posta in opera la pavimentazione finale. In corrispondenza delle soglie delle porte vanno posti dei listelli pieni. Opportuni rinforzi vanno previsti per fissare gli attrezzi. Le lastre di paniforte vanno interrotte a una distanza di circa 3 cm da muri, tubature, e simili; anche la pavimentazione deve essere distaccata di circa 5 mm e le zoccolature dovranno lasciare una fessura di qualche millimetro sulla pavimentazione finita. Particolare attenzione va posta nel proteggere la sottostruttura e la pavimentazione dall’umidità. È infatti assolutamente da evitare che l’umidità di risalita possa raggiungere il legno della sottostruttura o possa condensarsi sotto la superficie della pavimentazione. A tale scopo, ove il massetto di calcestruzzo non sia già stato impermeabilizzato, si può interporre sotto i correnti della sottostruttura un foglio di plastica opportunamente saldato o incollato. La ventilazione può essere migliorata per mezzo di un tubo disposto ortogonalmente ai correnti lungo una parete della sala, con prese d’aria in corrispondenza di ogni mezzeria tra due correnti. Come bocca di ventilazione si realizzano apposite aperture sullo zoccolo posto sulla parete opposta a quella del tubo. Un aspiratore di adeguata potenza (500 mc/ora per 700/1000 mq di pavimentazione), collegato al tubo, assicura il necessario ricambio d’aria. a) Legno Il “parquet” è ancora oggi tra i materiali preferiti per le pavimentazioni eccellenti, soprattutto se realizzato su sottostruttura elastica. Richiede una certa manutenzione, ma presenta il vantaggio di poter essere ripristinato alcune volte, mediante lamatura dello strato superficiale. Il migliore (ma più costoso) è quello realizzato con listoni dello spessore di una ventina di millimetri, larghi 70 mm e lunghi da 50 a 120 cm disposti a tolda di nave. I listoni sono lavorati a maschio e femmina e inchiodati di sbieco sui correnti sottostanti. La superficie finale, lisciata, viene verniciata con vernice trasparente (generalmente poliuretanica). Particolare cura va posta nell’isolare il pavimento dall’umidità. Per la scelta delle specie legnose è disponibile un’ampia gamma di possibilità. Occorre tenere conto della durezza del legno e del suo comportamento alle variazioni di umidità e temperatura. Queste infatti, data la periodica affluenza di pubblico. La realizzazione del parquet a tolda di nave non è l’unica possibile. Esistono altre possibilità di realizzazione (più economiche), con doghe di minore dimensione. Di recente vengono inoltre prodotti listelli con un sottile strato di legno nobile dello spessore di circa 3 mm. Questi sono molto convenienti dal punto di vista economico, ma mal sopportano successive levigature. b) PVC Il PVC, cloruro di polivinile, è una resina termoplastica prodotta per polimerizzazione del cloruro di vinile. Nelle pavimentazioni sportive è generalmente mescolato con plastificanti, che ne determinano in vario modo l’elasticità, che non stabilizzanti, lubrificanti, cariche, pigmenti e coloranti. Le cariche sono sostanze inerti come carbonato di calcio, polvere di quarzo o anche fibre di amianto, conferiscono al materiale particolari caratteristiche, come maggiore resistenza all’abrasione, e ne diminuiscono il costo. Tali pavimentazioni possiedono caratteristiche di resistenza all’uso, elasticità, coibenza termica, resistenza agli agenti chimici, basso onere di manutenzione, buona polifunzionalità. Vengono generalmente prodotte in teli. La superficie può essere liscia, ruvida o goffrata in diversi disegni, per migliorare le caratteristiche di aderenza e diminuire riflessi ottici. Gli spessori variano da 2 a 5 mm.
Allo scopo di migliorare le qualità elastiche, in funzione dell’uso previsto, i teli possono essere accoppiati a uno o più strati di schiuma di PVC od altra resina. Questo sistema ha prodotto ottimi risultati. È possibile, inoltre, montare teli su sottostruttura elastica, come per il parquet. I teli di PVC sono prodotti in diversi colori; le segnature sono ottenute con vernici speciali, sulla pavimentazione posta in opera o mediante intarsio con strisce di pavimento di altro colore. In questo caso va curata la perfetta posa in opera, per evitare distacchi. I teli vengono posti in opera per incollaggio, inoltre i giunti possono essere saldati a caldo (se il PVC non contiene troppe cariche minerali). Nel caso di pavimentazioni intercambiabili, i teli sono semplicemente appoggiati e i giunti vengono saldati per ottenere una superficie continua. Particolare cura va posta nella saldatura termica dei giunti per evitare stiramento o deformazioni. La manutenzione è molto limitata, richiedendo solamente le normali operazioni di pulizia, con i prodotti correnti. c) Gomma Sono usati generalmente elastomeri omogenei, costituiti da gomme naturali e/o sintetiche. Tali materiali sono polimeri di composizione varia, a volte miscelati tra loro, addizionati di opportune cariche minerali (carbonato di calcio, barite, caolino, silici ultrafini) che ne modificano la durezza e la resistenza all’usura. Alla mescola possono ancora essere aggiunti granuli di elastomero o sughero come cariche, le quali conferiscono particolari qualità di elasticità o di aderenza del prodotto. Il materiale si presenta omogeneo e compatto in alcuni tipi di pavimentazione; omogeneo a struttura cellulare in altri tipi. Può anche avere gli strati di materiale sovrapposti. Gli elastomeri presentano ottime caratteristiche di elasticità e di resistenza all’usura, inoltre sono resistenti agli agenti chimici. Le pavimentazioni in gomma sono prodotte in teli continui, ottenuti per calandratura del materiale e successiva vulcanizzazione. La superficie di usura è generalmente liscia, ruvida o goffrata, per migliorare le qualità di aderenza superficiale. La superficie inferiore è liscia per l’applicazione su sottofondo con adesivi, altrimenti provvista di penducoli, o solchi, per l’applicazione con cemento. Gli spessori sono variabili da 3 a 8 mm. I teli sono prodotti in diversi colori. Le segnature sono ottenute per verniciatura. La posa in opera è particolarmente delicata in quanto, se non bene eseguita si potranno verificare distacchi e bolle. Può essere fatta con adesivi o con letto di cemento. L’applicazione con adesivi è sempre da escludere in presenza di umidità. L’applicazione a cemento richiede che il massello di sottofondo sia preparato di fresco. I teli non possono essere saldati tra loro, come quelli in PVC. La manutenzione non richiede particolari cure; la gomma, però tende a mantenere segni di strisciate. d) Linoleum Il linoleum è costituito da una mescolanza omogenea di diverse sostanze. La base fondamentale è l’olio di lino, il quale viene cotto con aggiunta di resine di vario tipo (colofonia, ecc...). L’olio di lino così trattato si ossida, tendendo poi a polimerizzare. Gli altri componenti sono le cariche, costituite da farina di sughero e altri composti organici. Inoltre sono presenti pigmenti e coloranti. Il tutto è omogeneamente mescolato e steso per laminazione su un telo continuo di juta. È impiegato, specie nella varietà in linoleum sughero, (contenente granulato di sughero) per le sue qualità di resistenza all’usura, elasticità, coibenza, e acustica, attrito superficiale. Viene prodotto in teli nello spessore di 4 ÷ 4,5 mm, in varie colorazioni. La superficie e liscia o lievemente ruvida (nel tipo linoleum sughero) ma non abrasiva. Le segnature sono ottenute per verniciatura. La posa in opera dei teli avviene per incollaggio. Sul sottofondo devono essere usati idonei adesivi, con esclusione di colle alla caseina.
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B.4. 7. A.ZIONI
I giunti non possono essere saldati. Il sottofondo deve assolutamente essere esente da umidità di risalite. La manutenzione richiede qualche cura, essendo il materiale sensibile all’acqua, agli acidi inorganici, agli alcali concentrati, alle soluzioni di ipoclorito sodico (varechina). La pulizia viene fatta passando segatura umida e, successivamente, segatura secca. e) Materiali cementizi Sono pavimentazioni “dure” pertanto non molto adatte a un impianto sportivo di alto livello. Hanno però il pregio di un costo contenuto e possono costituire la base per successive pavimentazioni di tipo ligneo o resiliente. Si tratta, in pratica, di pavimentazioni continue di tipo industriale costituite da una miscela di aggregati di varia natura (polvere di quarzo e altre polveri minerali, scorie, magnesite, ossidi e pigmenti, a volte polvere di legno, ecc.) e cemento, secondo dosaggi predisposti dalle varie ditte fornitrici. 6.1.7 Ancoraggi Nel caso in cui le attrezzature necessitino di ancoraggi sulle pareti, ad esempio i canestri, o in corrispondenza della pavimentazione, come le reti o altro, dovranno essere adottati idonei accorgimenti per garantire la sicurezza degli utenti e la funzionalità della palestra. Tutti i dispositivi di ancoraggio, nel caso in cui le attrezzature siano mobili, dovranno consentire un loro rapido e agevole montaggio e smontaggio. Gli ancoraggi realizzati nella pavimentazione dovranno essere fissati saldamente al sottofondo, non alla pavimentazione. Le aperture, per ragioni di sicurezza, dovranno essere munite di coperchio rivestito dello stesso materiale della pavimentazione. Il coperchio, una volta chiuso, dovrà risultare saldamente fisso e allo stesso livello della pavimentazione. I materiali dei dispositivi di ancoraggio e in genere quelli all’interno delle aperture, dovranno resistere alla corrosione; si dovrà inoltre cercare di evitare che l’acqua di lavaggio possa entrare o comunque stagnare in tali aperture. 6.1.8 Soffitto Anche per il soffitto, come per le pareti, di preferenza, dovranno essere adottate soluzioni che prevedano l’uso di materiali a faccia vista limitando alle sole necessità acustiche l’adozione di controsoffitti. Questi ultimi, se presenti, dovranno consentire una agevole manutenzione delle apparecchiature e impianti tecnologici. Nello stesso tempo però il sistema di fissaggio dei vari elementi dovrà essere tale da non consentire la loro sconnessione o caduta in conseguenza dell’urto accidentale con oggetti lanciati durante lo svolgimento della pratica sportiva (la palla principalmente). 6.2. Spogliatoi L’impianto dovrà essere dotato di spogliatoi per gli atleti, spogliatoi per gli istruttori e spogliatoi per il personale. Ogni spogliatoio è costituito da un complesso di locali funzionalmente correlati tra di loro e precisamente: • il locale spogliatoio vero e proprio; • il locale di disimpegno per i servizi igienici per le docce; • i servizi igienici; • il locale docce. Il locale spogliatoio deve consentire agli utenti di spogliarsi in uno spazio idoneo antistante un posto a sedere in panca, appoggiare o custodire gli abiti su appendiabiti o all’interno di appositi armadietti accedere ai servizi igienici e alle docce tramite il locale di disimpegno, accedere al locale palestra in abbigliamento sportivo (per gli atleti e gli istruttori), ovvero accedere ai servizi di supporto e/o al locale palestra in abiti di lavoro (per il personale). Lo spazio occorrente per spogliarsi e cambiarsi di abito, che può definirsi “posto spogliatoio”, può assumersi pari a 0,80 x 2,00 m.
6.2.1 Spogliatoi per gli atleti Per gli atleti dovranno essere previste più unità spogliatoio in relazione alle caratteristiche dell’impianto e alla sua destinazione, in modo da ottenere un numero di posti spogliatoio pari al numero massimo di utenti contemporanei presenti nella sezione attività sportiva; in ogni caso dovranno essere realizzate almeno due unità spogliatoio. I locali dovranno presentare caratteristiche dimensionali e costitutive tali da consentire un loro agevole uso anche da parte delle persone portatrici di handicap. L’altezza dei locali dovrà essere non inferiore a 2,70 m. a) Locale spogliatoio Il locale spogliatoio per atleti dovrà essere dimensionato in modo da contenere più utenti, mediamente da un minimo di 10 a un massimo di 20. Un dimensionamento che rappresenta un buon compromesso funzionale ed economico è quello che prevede 15 utenti contemporanei, quindi 15 posti spogliatoio. Per ragioni funzionali è opportuno che la larghezza dei locali sia dimensionata con una conveniente abbondanza (3÷4 m circa). L’accesso al locale dovrà avvenire da corridoi di disimpegno comunicanti con l’atrio e con il locale palestra; è opportuno evitare l’introspezione negli spogliatoi anche a porte aperte. Il pavimento, soprattutto per ragioni di isolamento termico, è opportuno sia realizzato su solaio oppure su sottofondi a muricci e tavelloni, con esclusione, di massima, dei vespai. Per facilitare la pulizia del locale, che viene normalmente fatta con getto d’acqua, il pavimento dovrà essere conformato a pendenza verso uno o più scarichi sifonati a pavimento da collocare in modo da non risultare, possibilmente, nelle zone di normale transito o al di sotto di arredi. Le pareti dovranno essere realizzate preferibilmente con materiali a faccia vista, eventualmente trattati con resine o vernici, senza ricorrere all’impiego di intonaci. In ogni caso, stanti le modalità di pulizia del locale, sono sconsigliabili i rivestimenti o intonaci igroscopici e quelli a base di gesso. Sia per ragioni funzionali che di sicurezza le pareti dovranno risultare lisce e prive di riseghe o sporgenze almeno per un’altezza di 2 m. Anche per il soffitto dovranno essere adottate preferibilmente soluzioni che prevedano l’uso di materiali a faccia vista. Gli eventuali controsoffitti dovranno essere funzionalmente giustificati e dovranno in ogni caso essere facilmente pulibili e permettere un’agevole manutenzione di apparecchiature e impianti. Il sistema di fissaggio degli elementi del controsoffitto dovrà garantire, assieme a una sufficiente facilità di smontaggio, anche un’adeguata protezione contro le manomissioni. Gli infissi esterni del locale dovranno essere posti ad altezza non inferiore a 2,00 m dal pavimento e comunque essere protetti contro l’introspezione dall’esterno. È opportuno inoltre prevedere anche un’idonea protezione esterna contro i danneggiamenti (inferiate). Il sistema di apertura sarà preferibilmente del tipo a vasistas incernierato in basso con rinvio del comando di apertura in posizione opportuna e a quota non inferiore a 1,701,80 m dal pavimento. Analogo sistema di rinvio dovrà essere previsto per eventuali lucernai, se apribili. Le porte di accesso dal corridoio saranno del tipo a doppia anta, a ventola, larghe 1,20 m. Potranno essere realizzate anche porte ad anta semplice, sempre del tipo a ventola, con luce netta di 0,90 m. Le ante saranno dotate di corrimano posto a una altezza di 0,80 m e dovranno risultare chiudibili con serratura. L’accesso al disimpegno dei servizi sarà egualmente munito di porta a ventola come quella precedentemente illustrata ma priva di serratura. Nel locale dovrà essere installato un congruo numero di panche, di armadietti e/o appendiabiti e di asciugacapelli, questi ultimi se non previsti nel locale di disimpegno. Per le panche occorre tenere presente che per ogni posto spogliatoio necessitano 0,80 m di panca. Le panche saranno di tipo con poggiascarpe e attaccapanni, se gli armadietti non vengono realizzati.
I materiali dovranno essere particolarmente robusti, adatti a lavaggi con getto d’acqua e non dovranno richiedere manutenzione. Si preferirà l’uso del legno. Le parti metalliche dovranno essere fortemente resistenti alla corrosione. I diversi elementi saranno tra loro collegati con sistemi che conservino inalterata la loro funzione nel tempo anche in presenza di sollecitazioni brusche. Sono quindi escluse unioni con chiodi, viti e bulloni a vite a semplice attrito. I sistemi di ancoraggio dei diversi elementi alla intelaiatura dovranno risultare sufficientemente resistenti e in grado di sopportare uno sforzo concentrato nella direzione più sfavorevole, non inferiore a 120 kgf. Tutti gli spigoli dovranno essere arrotondati e non dovranno essere presenti sporgenze pericolose. Eventuali elementi di chiusura di profilati scatolari dovranno essere realizzati con lo stesso materiale costituente il profilato e saldati a quest’ultimo. Dovranno essere quindi esclusi tappi in materiale plastico, guarnizioni e simili che con il tempo sono soggetti a sfilarsi lasciando in vista pericolosi bordi taglienti. Gli armadietti per la custodia degli abiti hanno general mente dimensioni minime di circa 30 x 50 x 90 cm (h). È opportuno montarli sovrapposti e sollevati dal pavimento per almeno 25 cm per facilitare le pulizie. Saranno del tipo chiuso con sportello munito di chiave. L’insieme dovrà risultare particolarmente robusto; i materiali dovranno resistere alla corrosione ed essere facilmente pulibili a semplice getto d’acqua. I sistemi di unione dei vari elementi dovranno avere caratteristiche analoghe a quelle descritte per le panche. Se non è prevista la realizzazione di armadietti, gli appendiabiti dovranno essere integrati con le panche. In tal caso saranno costituiti da ganci in numero almeno doppio a quello dei posti spogliatoio, in materiale metallico oppure uguale a quello delle panche; il sistema di fissaggio dei diversi elementi dovrà avere caratteristiche di robustezza analoghe a quello già illustrato per le panche. Gli asciugacapelli dovranno essere installati in numero pari a quello delle docce. Gli apparecchi saranno montati a parte a una altezza di circa 1,70 m da terra e saranno del tipo a getto d’aria calda regolato da termostato con comando a pulsante. Il sistema di fissaggio alla parte dovrà essere calcolato per resistere al peso proprio dell’apparecchio più un sovraccarico di almeno 80 kgf. Gli apparecchi dovranno avere costruzione robusta, inattaccabile alla corrosione e in tutto rispondenti alle norme di sicurezza e prevenzione infortuni. Gli asciugacapelli potranno essere installati anche nel locale disimpegno purché siano rispettate le condizioni di funzionalità e sicurezza. b) Locali di disimpegno Tali locali hanno principalmente la funzione di filtro tra gli spogliatoi e i servizi. Le dimensioni saranno stabilite in relazione alle esigenze funzionali di transito e sosta per la utilizzazione degli apparecchi igienici o delle altre apparecchiature eventualmente presenti, come gli asciugacapelli ad esempio. I pavimenti i soffitti e i serramenti di tali locali avranno caratteristiche analoghe a quelle degli spogliatoi. Le pareti dovranno essere dotate, a tutta altezza, di rivestimenti non porosi e facilmente pulibili con caratteristiche del materiale non inferiori a quelle possedute dal grés ceramico. Nel locale dovranno essere installati, di massima, i seguenti apparecchi: due lavabi delle dimensioni minime di 0,50 x 0,60 m, del tipo senza colonna centrale, posti a un’altezza di 0,80 m dal pavimento e completi, ciascuno di portasapone a incasso; un beverino, del tipo sospeso (senza colonna centrale); due orinatoi di tipo pensile; gli eventuali asciugacapelli in numero pari alle docce, nel caso in cui non siano previsti nel locale spogliatoio. c) Docce Il locale docce deve consentire a più utenti di fare la doccia in condizioni di sicurezza e benessere. Lo spazio occorrente a ogni utente, che può definirsi “posto doccia”, può assumersi pari a 0,90 x 9,90 m con adiacente, su di un lato, uno spazio di disimpegno di almeno 0,90 x 0,90 eventualmente in comune con altri posti doccia.
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➦ PALESTRE E PALAZZETTI DELLO SPORT ➦ PROPOSTA-TIPO ELABORATA DAL CENTRO STUDI IMPIANTI SPORTIVI DEL CONI – ROMA Il locale dovrà consentire l’installazione di almeno due posti doccia per gli spogliatoi fino a 10 posti, 4 posti doccia per gli spogliatoi con n.15 posti e almeno 5 posti docce per quelli con n.20 posti spogliatoio. Nelle suddette dotazioni è compreso anche un posto doccia per handicappati. Le docce saranno preferibilmente senza divisori intermedi. Il locale comunicherà con il disimpegno tramite apertura di massima priva di infisso, della larghezza minima di 0,90 m. I pavimenti dovranno essere conformati a pendenza verso gli scarichi sifonati a pavimento, muniti di griglia mobile, per gruppi di docce senza ricorrere all’uso di piatti doccia. La pendenza per le zone di disimpegno sarà tale da far confluire l’acqua verso i posti doccia per consentire un’agevole smaltimento dell’acqua senza pericolo per gli utenti. Le altre caratteristiche del locale sono simili a quelle del disimpegno (pareti, soffitti, serramenti). Per ogni posto doccia dovranno essere previsti: un soffione per l’erogazione dell’acqua (sia per intensità che durata), posto a una altezza non inferiore a 2,20 m dal pavimento; grigliati in materiale plastico o altro, escluso il legno facilmente asportabile per la pulizia, di spessore tale da risultare allo stesso livello del pavimento della zona di disimpegno, in modo da non costituire ostacolo per gli utenti portatori di handicap; un corrimano in tubolare di acciaio inossidabile o altro materiale resistente alla corrosione, del diametro di 1 pollice posto a 0,80 m dal pavimento e 5 cm dalla parete, corrente su tutti i lati del locale. Dovrà inoltre essere previsto un posto doccia per handicappati, completo, da realizzare preferibilmente in corrispondenza di un angolo del locale con le seguenti dotazioni: • sedile ribaltabile delle dimensioni di 0,50 x 1,00 m posto a 0,50 m dal pavimento; • soffione doccia posto a 1,50 m dal pavimento, regolabili con comando a leva posto a 0,80 m dal pavimento; • soffione supplementare posto a 0,90 m dal pavimento; con comando separato a leva, a circa 0,50 m dalla parete, corrispondente al lato corto del sedile; • corrimano verticale con caratteristiche analoghe a quello perimetrale posto a 0,70 m dalla parete corrispondente al lato corto del sedile, da quota 0,50 m a quota 1,30 m dal pavimento. d) Servizi igienici Nel caso di spogliatoi fino a dieci posti dovrà essere realizzato almeno un servizio igienico delle dimensioni adatte anche agli utenti portatori di handicap. • Per spogliatoi fino a 15 posti andranno previsti due servizi igienici, di cui uno per handicappati; • per spogliatoi con numero maggiore di posti, almeno tre servizi igienici di cui uno sempre per handicappati. Le dimensioni dei locali wc andranno stabilite in modo da consentire un loro agevole uso da parte degli utenti; è opportuno comunque non scendere al di sotto di dimensioni di 1 x 1,80 m: • per i wc handicappati le dimensioni minime sono di 1,80 x 1,80 m; le caratteristiche del locale dovranno inoltre rispondere a quanto previsto dall’art.14 della legge 27-4-1978, n.384 (larghezza minima della porta 0,85 m, preferibilmente 0,90 m, apertura a ventola, corrimani, vaso di tipo normale, ecc.); • per i wc non destinati agli handicappati la porta di accesso al locale avrà una luce minima di 0,70 m e altezza di circa 2,10 m; • per ragioni igieniche è opportuno installare vasi “alla turca” del tipo con allagamento dell’invaso, con cassetta munita di asta metallica guidata o pulsante. Per facilitare la pulizia del locale con semplice getto d’acqua, il pavimento dovrà essere conformato a pendenza verso il vaso (o verso uno scarico a pavimento, nel wc handicappati o in quelli dotati di vasi normali). Dovrà inoltre essere previsto un portarotolo del tipo a incasso, un porta spazzola a incasso e un appendiabiti a gancio applicato sulla parte interna della porta.
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Sempre per facilitare le operazioni di lavaggio le porte di accesso dovranno essere sollevate dal pavimento (circa dieci centimetri). La porta sarà dotata di chiusura, manovrabile dall’interno con semplice comando a leva e dall’esterno con chiave di tipo tubolare. Le restanti caratteristiche delle pareti e del soffitto sono analoghe a quelle descritte per il locale disimpegno. 6.2.2 Spogliatoi per gli istruttori e per il personale In relazione alle caratteristiche dimensionali e di utilizzazione dell’impianto andranno previste una o due unità spogliatoio per gli istruttori e una o due unità spogliatoio per il personale. I criteri di dimensionamento interni e le caratteristiche delle finiture e degli arredi sono analoghe a quelle indicate per gli spogliatoi atleti. Le modifiche distributive e in parte dimensionali dovute alla diversa destinazione sono peraltro ovvie. È opportuno dimensionare il locale spogliatoio in modo da poter contenere da 4 a 6 posti spogliatoio. È opportuno anche in questo caso, per ragioni funzionali, abbondare un po’ nelle dimensioni, anche per tenere conto della possibilità che tali spogliatoi possono essere utilizzati anche dagli atleti. Così è opportuno non scendere al disotto della dotazione di una doccia ogni 3-4 utenti e di un wc ogni 4-6 utenti. Di massima non sarà prevista la realizzazione di wc e docce per handicappati. 6.4. Pronto soccorso e uffici Sia per ragioni di sicurezza che funzionali l’impianto dovrà essere dotato di un locale di pronto soccorso, inoltre, a seconda della destinazione e grandezza, di uno o più uffici per operazioni amministrative varie, sedi di società o altro. Il pronto soccorso deve consentire le operazioni di pronto intervento medico e quelle di normale consultazione medica preventiva. In relazione allo svolgimento di tali attività, l’unità ambientale deve risultare in facile comunicazione con tutte le sezioni dell’impianto. Deve inoltre essere dotata di idonee attrezzature e avere le dimensioni minime che rispondano alle esigenze sopra esposte. Le dimensioni degli accessi al pronto soccorso nonché la distribuzione interna devono permettere un agevole uso della barella. Gli elementi di arredo e le attrezzature sono costituite principalmente da: • un lettino per le visite delle dimensioni di 0,60 x 2,00 m circa, con relativo sgabello girevole regolabile e lampada a braccio mobile; • una barella ripiegabile; un armadio con vetri delle dimensioni di almeno 0,45 x 0,60 x 1,30 m circa; • una scrivania delle dimensioni di 0,90 x 1,60 m circa e relativa poltroncina; • una bombola di ossigeno con relativa apparecchiatura per la rianimazione manuale; • un attaccapanni a muro con almeno 3 posti abito. A servizio del pronto soccorso andrà previsto un locale wc, con vaso di tipo normale e lavabo, avente accesso, preferibilmente, dallo stesso locale pronto soccorso tramite disimpegno. Le caratteristiche delle finiture sono analoghe a quelle degli spogliatoi con ovvie modifiche. In particolare potranno essere realizzate finestre anche ad altezza inferiore a 2,00 m munite di sistemi di oscuramento. Gli uffici hanno costituzione analoga al pronto soccorso, e saranno adottati, sia per quanto attiene il numero che le dimensioni, alle esigenze particolari dell’impianto. 6.5. Locali di deposito Nell’impianto dovranno essere realizzati almeno un locale di deposito e un ripostiglio per gli attrezzi di pulizia. Il deposito degli attrezzi deve consentire l’immagazzinamento delle attrezzature sportive. Di queste alcune necessitano di apposite rastrelliere, scaffalature, armadi,
altre, in genere ingombranti, dovranno essere opportunamente posizionate nel locale onde evitare intralci; a questo scopo conviene disporre sul pavimento le superfici destinate ai diversi attrezzi. L’altezza del locale non dovrà essere inferiore a 2,70 m, tuttavia per particolari esigenze potranno essere necessarie altezze maggiori. Dovrà inoltre essere previsto un bancone di lavoro con gli attrezzi essenziali, per eventuali riparazioni. La superficie del locale dovrà essere commisurata al tipo e numero di attrezzature da immagazzinare; è consigliabile tuttavia non scendere al disotto di 1/8 della superficie della palestra (meglio 1/6). Per particolari esigenze potranno essere previsti più locali per deposito attrezzi. Il deposito dovrà essere in comunicazione con la palestra e avere anche un accesso diretto dall’esterno. Le porte, tutte munite di serrature di sicurezza, dovranno essere di grandi dimensioni, con luce di 3 x 3 m o comunque di altezza non inferiore a 2,70 m. L’apertura delle porte sarà preferibilmente del tipo basculante o scorrevole. Tutti i rivestimenti e gli arredi dovranno essere resistenti agli urti, in particolare le porte, eventuali spigoli, ecc. Le finestre, da realizzare comunque ad altezze superiori ai due metri dovranno essere protette dall’interno da eventuali danneggiamenti dovuti agli attrezzi e dall’esterno contro tentativi di effrazione, con idonee inferriate. Il ripostiglio per gli attrezzi di pulizia deve consentire il deposito di questi ultimi a quello dei materiali per l’igiene degli ambienti (liquidi, detersivi...). In genere è preferibile realizzare più ripostigli (dimensioni indicative di 4 mq) in modo da risultare baricentrici rispetto alle unità ambientali servite e facilmente accessibili da parte del personale. Nel locale è opportuno prevedere un lavandino o un pilozzo e uno scarico a pavimento per la pulizia. 6.6. Atrio atleti Deve assicurare le funzioni di smistamento degli utenti verso gli spogliatoi, lo smistamento dell’eventuale pubblico e la sosta per informazioni, comunicazioni telefoniche, ecc. Salvo diverso dimensionamento, funzionalmente giustificata, è opportuno che la superficie dell’atrio non sia inferiore a 1/20 di quella della sala di attività sportiva, con una sufficiente larghezza (almeno 4 m). Tale dimensionamento andrà convenientemente aumentato nel caso in cui sia prevista l’utilizzazione dell’atrio anche da parte del pubblico. In tal caso dovranno essere previste le dotazioni e le caratteristiche che più avanti verranno illustrate per la “sezione pubblico”. Le diverse zone funzionali (sosta, transito) saranno individuate mediante elementi di arredo, quali bacheche e poltroncine. Dovrà essere previsto inoltre almeno un posto telefonico pubblico. Le caratteristiche delle vie di uscita, delle porte e dei materiali, ai fini della sicurezza agli incendi e all’evacuazione sono identiche a quelle dell’atrio per il pubblico. 6.7. La sezione per il pubblico La sezione per il pubblico è costituita dall’insieme delle unità ambientali necessarie per la partecipazione del pubblico alle attività sportive. Il relativo dimensionamento e costituzione dipendono dalla destinazione dell’impianto. Nel caso più generale saranno previsti: un atrio, una biglietteria funzionalmente integrata con l’atrio o separata, le gradinate e i servizi igienici. La sezione pubblico dovrà risultare fruibile anche da persone portatrici di handicap, pertanto saranno previsti servizi igienici per handicappati, e dovranno essere eliminate le barriere architettoniche. L’atrio per il pubblico ha funzioni simili a quelle precedentemente descritte per l’atrio atleti. Deve cioè assicurare: • le funzioni di smistamento in entrata e in uscita del pubblico; • le consultazioni e le comunicazioni sul funzionamento del servizio sportivo e sullo svolgimento delle gare; • il controllo da parte del personale; • le comunicazioni telefoniche; • il servizio di biglietteria.
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B.4. 7. A.ZIONI
L’articolazione del locale deve permettere una chiara e razionale individuazione delle diverse zone funzionali sia mediante l’utilizzazione di mobili e attrezzature sia mediante la scelta di opportune configurazione planimetriche in relazione al tipo di impianto e al sistema di affluenza del pubblico, potranno essere previste più zone con funzioni di atrio. Di particolare importanza sono i problemi connessi alla sicurezza all’evacuazione e agli incendi. In particolare le porte d’ingresso debbono poter servire anche per l’uscita del pubblico in caso di rapida evacuazione, pertanto le ante dovranno aprirsi verso l’esterno e i battenti dovranno fissarsi automaticamente nella posizione di massima apertura in direzione dell’uscita. Le porte di accesso inoltre dovranno essere di costruzione robusta con le eventuali parti vetrate realizzate con vetri di sicurezza infrangibili, adottando provvedimenti per renderne facilmente percettibile la presenza. Nel dimensionamento della larghezza delle vie di uscita andranno computati per intero i vani d’ingresso. Le caratteristiche dimensionali e costruttive degli accessi devono rispondere alle prescrizioni contenute nel DPR 27 aprile 1978, n.384 (Eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici pubblici). Il servizio di biglietteria dovrà essere studiato in modo opportuno, così da non intralciare il regolare deflusso del pubblico. I materiali utilizzati devono rispondere a quanto specificato nel decreto del 6-7-1983 “Norme sul comportamento al fuoco delle strutture e dei materiali da impiegarsi nella costruzione di teatri, cinematografi, e altri locali di pubblico spettacolo in genere”. In particolare potranno essere impiegati anche materiali di classe 1 in ragione del 50% massimo della loro superficie totale (pavimenti + pareti + soffitti). Per la restante parte deve essere impiegato materiale di classe 0 (cioè non combustibile). I materiali di rivestimento, ammessi nelle diverse categorie di reazione al fuoco come sopra riportato, a eccezione dei materiali di rivestimento non combustibili, debbono essere messi in opera in aderenza agli elementi costruttivi non combustibili escludendo spazi vuoti od intercapedini. È consentita la realizzazione di intercapedini purché interamente riempite di materiali non combustibile. La categoria di reazione al fuoco dei materiali deve essere determinata sulla base delle prescrizioni contenute nella circolare del 17 maggio 1980 del Min. dell’Interno, Direzione generale della Protezione civile e dei Servizi antincendio (reazione al fuoco dei materiali impiegati nella edilizia. Specifiche e modalità di prove e classificazione). 6.7.1 Gradinate Lo spazio destinato alle gradinate per il pubblico deve consentire l’accesso del pubblico, la sistemazione degli spettatori sulle gradinate, la visibilità della palestra, l’accesso ai servizi igienici, un facile deflusso del pubblico. Il dimensionamento sarà stabilito in base al numero degli spettatori previsto tenendo conto di quanto segue: • la capienza massima delle gradinate si calcola in base allo sviluppo in metri dei gradoni diviso per 0,48 m; • le scale di smistamento del pubblico sulle gradinate, debbono avere una larghezza non inferiore a 1,20 m e debbono servire non più di 20 posti per parte e per fila; • le scale di accesso alle gradinate debbono portare il pubblico nella zona alta delle gradinate stesse o del settore che servono; • i gradoni per i posti a sedere debbono avere una pedata non inferiore a 0,60 m e un’alzata compresa fra 0,40 m e 0,50 m; la scelta delle dimensioni dei gradoni sarà principalmente in funzione della curva di visibilità nonché alla conformazione formale e distributiva dell’intero organismo; • le gradinate per il pubblico dovranno essere fruite anche da parte di portatori di handicap fisico-motori secondo quanto previsto nella legislazione già richiamata; • per gli accessi, i percorsi e le porte di accesso valgono le caratteristiche prima precisate per l’atrio. I materiali utilizzati nelle gradinate devono rispondere a quanto specificato nel Decreto del 6-7-1983 “Norme sul comportamento al fuoco delle strutture e dei materiali da impiegarsi nella costruzione di teatri, cinematografi e altri locali di pubblico spettacolo in genere”.
In particolare i materiali di rivestimento dei pavimenti devono essere di classe 2; i materiali suscettibili di prendere fuoco su entrambe le facce e gli altri materiali di rivestimento devono essere di classe 1. Per gli eventuali sedili o poltroncine sono consentiti materiali di rivestimento di classe 1, tenendo conto che in attesa della definizione di una metodologia di prova per i materiali di rivestimento esterno delle poltroncine, questi vanno provati come materiali suscettibili di prendere fuoco su entrambe le facce. Per i sedili non imbottiti è consentito l’impiego del legno o altro materiale combustibile purché di classe non superiore a 2. Anche per le gradinate i materiali di rivestimento (a meno che siano incombustibili) debbono essere messi in opera in aderenza agli elementi costruttivi non combustibili escludendo spazi vuoti o intercapedini. Eventuali intercapedini dovranno essere interamente riempite di materiale non combustibile. La categoria di reazione al fuoco è stabilita sulla base delle prove previste dalla circolare del Min. dell’Interno Direzione Generale della Protezione civile dei Servizi Antincendio n.12 del 17 maggio 1980. 6.7.2 Servizi igienici In posizione facilmente accessibile dovranno essere previste almeno due unità igienici rispettivamente per uomini e per donne, ciascuna costituita da un disimpegno e da una serie di wc di cui uno per ogni unità destinato agli handicappati. In relazione alle caratteristiche dimensionali dell’impianto potranno essere previste più unità anche diversamente dislocate. Per i servizi igienici uomini andranno previsti un wc ogni 120 spettatori con un minimo di 2 (di cui uno per handicappati). I locali avranno accesso dal disimpegno e avranno caratteristiche analoghe ai wc atleti. Nel disimpegno dovranno essere installati: • un orinatoio ogni 120 spettatori; • un lavabo ogni 240 spettatori; • un asciugamani elettrico ogni due lavabi. Le caratteristiche distributive dovranno inoltre essere tali da non consentire l’introspezione nel locale anche a porte aperte. I servizi igienici donne comprendono un wc ogni 60 spettatori con un minimo di n.2 (di cui uno per handicappati). Nel locale dovranno essere installati gli stessi apparecchi e arredi del disimpegno servizi igienici uomini (fatta eccezione per gli orinatoi). 6.8. Benessere ambientale e fattori esterni che lo influenzano L’impianto sportivo dovrà garantire idonee condizioni di benessere ambientale. Tali condizioni sono connesse, in buona parte: • al raggiungimento di determinati valori igrotermici; • al livello di illuminazione naturale o artificiale; • alle qualità acustiche dei locali. Alcuni di questi parametri, almeno in parte, dipendono dalle caratteristiche dell’involucro dell’edificio e dal tipo di impianti tecnologici installati, dalla localizzazione ed esposizione dell’impianto oltre che dal rapporto di quest’ultimo con eventuali edifici e in generale con l’ambiente esterno. Irraggiamento solare Tra i fattori esterni che incidono sul benessere termoigrometrico e visivo, notevole importanza ha l’irraggiamento solare. Di esso deve tenersi conto, ad esempio, nel dimensionamento delle strutture per quanto attiene l’isolamento e l’inerzia termica, nel posizionamento e dimensionamento delle superfici trasparenti e traslucide e nel calcolo degli impianti tecnologici. Se tale fattore costituisce un elemento negativo, dovranno essere adottati idonei accorgimenti, quali schermi fissi o a geometria variabile, elementi aggettanti o anche schermi ottenuti con essenza arboree o arbustive a foglia caduca che in pratica non schermano i raggi solari in inverno. Benessere visivo Dal punto di vista del benessere visivo, di norma l’irraggiamento solare diretto dovrà essere evitato.
Le superfici vetrate orizzontali dovranno essere schermate o comunque essere diffondenti. Anche la volta celeste, che ha una temperatura radiante variabile con l’orientamento e diversa da quella dell’aria, può avere influenza sulle condizioni ambientali interne e incide sulle scelte dimensionali delle superfici vetrate. Al riguardo occorre tenere presente che ai fini dell’illuminazione naturale la posizione di cielo più efficace è quella compresa tra 30° e 60° circa di altezza sull’orizzonte. Venti dominanti Molto importante è l’esposizione dell’edificio ai venti dominanti. Ciò influisce sul benessere termoigrometrico e incide sensibilmente sulle dispersioni energetiche e quindi sui consumi. Di norma l’impianto dovrà essere protetto dai venti dominanti e da quelli freddi in particolare mediante idonei accorgimenti. I più efficaci sono ovviamente quelli relativi alla collocazione dell’impianto sportivo in zone naturalmente riparate. Se ciò non è possibile è opportuno ricorrere alla formazione di schermi possibilmente mediante alberature o siepi che comunque contribuiscono alla gradevolezza dell’ambiente con vantaggi che vanno al di là di semplici considerazioni economiche. Pur senza entrare nel merito di tale importante aspetto e limitandosi a considerazioni tecniche c’é da osservare che affinché tali schermi siano efficaci è necessario che la loro altezza superi quella degli edifici e che questi siano compresi in una zona che in lunghezza non superi di cinque volte l’altezza dello schermo.
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6.9. Impianti tecnologici Gli impianti tecnologici di una palestra, per quanto attiene il loro tipo, e numero, dipendono in parte, dalle caratteristiche di utilizzazione dell’impianto sportivo. Quelli che comunque sono indispensabili al funzionamento sono in pratica i seguenti: • produzione del calore, con relativa alimentazione per il riscaldamento dei locali; • ventilazione (presa, trattamento aria, distribuzione, ricircolo, recupero calore, espulsione); • produzione di acqua calda sanitaria (produzione, accumulo, distribuzione); • idro-sanitario (captazione, accumulo, sopraelevazione di pressione, distribuzione, erogazione, scarichi, eventuale depurazione, smaltimento,...); • antincendio; • protezione dalle scariche atmosferiche; • protezione di terra; • elettrico (trasformazione, distribuzione, illuminazione normale e di emergenza, segnalazioni di servizio, di sicurezza, diffusione sonora,...). 6.9.1 Impianti di riscaldamento e di ventilazione Tenendo conto delle caratteristiche volumetriche e distributive nonché della destinazione, per la palestra e la sala di preatletismo è consigliabile realizzare impianti di termoventilazione a tutt’aria. Per gli altri locali impianti di termoventilazione di tipo misto o ad acqua calda con radiatori. In ogni caso l’impianto a servizio della palestra e della sala di preatletismo, tenuto conto della diversa destinazione, dovranno risultare autonomi o comunque con separati circuiti. Per la palestra e la sala di preatletismo dovrà essere garantita una sufficiente portata d’aria esterna, 30 m cubi per persona ogni ora considerando l’affollamento massimo, con un minimo di 1,5 volumi ambiente l’ora. È opportuno inoltre che l’aria esterna venga filtrata con filtri a secco d’efficienza minima 80% AFI. L’impianto di estrazione dovrà essere dimensionato in modo da garantire un’idonea sovrapressione, ottenibile con un’estrazione pari all’ 80% dell’aria esterna immessa. La temperatura minima invernale da raggiungere nei locali dovrà risultare variabile a piacere tra 16 e i 22°C in modo manuale, ma con controllo automatico, a seconda delle attività che si svolgono nelle sale. La temperatura dovrà risultare il più possibile uniforme sui piani orizzontali paralleli al pavimento e il valore prescelto dovrà essere garantito, con tolleranza di ± 1°C al centro dell’ambiente e a 1,50 m dal pavimento. Sempre per tale motivo la differenza massima tra le temperature sopra indicate, in due punti qualsiasi dell’am-
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ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
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➦ PALESTRE E PALAZZETTI DELLO SPORT ➦ PROPOSTA-TIPO ELABORATA DAL CENTRO STUDI IMPIANTI SPORTIVI DEL CONI – ROMA biente distanti più di 1 m dalle sorgenti di calore e a quote inferiori a 3 m, non dovrà superarare i 2 °C. Per evitare fastidi agli utenti la velocità dell’aria, in un punto qualsiasi della zona occupabile da questi ultimi non dovrà superare i 0,5 m/sec e il livello di rumore prodotto dagli impianti di ventilazione non dovrà superare i 40 dB. Queste caratteristiche impongono, in genere, l’adozione di idonei accorgimenti per evitare la stratificazione dell’aria calda, nociva non solo per ragioni di benessere ambientale, ma anche ai fini dell’economia di esercizio dell’impianto. Nel caso in cui tale uniformità non sia raggiungibile con il posizionamento, la regolazione e l’orientamento delle bocchette di immissione o ripresa, è opportuno ricorrere a separati sistemi di canalizzazioni per la ripresa dell’aria calda in alto e sua successiva immissione in basso. Il campo di variabilità delle temperature in relazione alle attività sportive praticate, è riportato nel grafico. Per gli spogliatoi, compresi i relativi locali per le docce, igienici e disimpegno dovrà prevedersi un sistema di ventilazione forzata, senza ricircolo, capace di garantire un’immissione di 30 mc d’aria esterna per persona ogni ora, nelle condizioni di massimo affollamento dei locali, e comunque tale da assicurare almeno 2,5 ricambi l’ora. L’estrazione dell’aria, da realizzare con apposite canalizzazioni o estrattori a parete o soffitto di tipo silenzioso, dovrà garantire la depressione dei locali rispetto al resto dell’edificio e verrà effettuata preferibilmente dai locali dove possono originarsi i cattivi odori (wc). La temperatura dell’aria è opportuno sia mantenuta attorno ai 22÷23 °C. Per le altre caratteristiche di purezza e velocità dell’aria può farsi riferimento a quanto indicato per la palestra. Le caratteristiche termoigrometriche e di purezza dell’aria degli altri locali sono riassunte nella tabella. 6.9.2 Impianti di illuminazione I procedimenti di calcolo degli impianti di illuminazione sono sostanzialmente quelli normalmente adottati per gli ambienti chiusi. Per il locale palestra, in particolare, occorrerà quindi tenere conto dei coefficienti di riflessione del pavimento, delle pareti e del soffitto nonché della presenza del pubblico. Accanto a tali fattori, nella scelta e posizionamento degli apparecchi di illuminazione, occorre tenere presenti anche le particolari esigenze legate alla pratica sportiva e alla osservazione della stessa da parte degli spettatori. In particolare gli atleti, e in parte il pubblico, non hanno in genere un campo visuale fisso, per cui tutte le pareti che delimitano le palestre, come pure gli apparecchi di illuminazione, possono entrare nel campo visivo. Gli oggetti o le persone osservati non sono fissi e possono trovarsi in un punto qualsiasi del locale; ciò è vero in particolare per gli sport prevalentemente “aerei” come la pallavolo, la pallacanestro, il tennis e il ping pong. È essenziale per gli osservatori poter stimare con esattezza la velocità e la traiettoria degli oggetti o delle persone in movimento, donde la necessità di sufficienti livelli di illuminamento. C’è infine da tenere presente che nelle palestre possono svolgersi più attività sportive o anche attività non sportive a volte con differenti esigenze di illuminazione. Ciò comporta la necessità di prevedere più livelli di illuminamento e quindi più gruppi di circuiti con separati comandi di accensione. Per evitare danneggiamenti dovuti a urti accidentali con attrezzi sportivi (palla) le sorgenti luminose devono essere opportunamente dotate di schermi resistenti o protezioni (griglie metalliche); elementi questi da considerare nel dimensionamento delle sorgenti luminose in quanto possono ridurre, anche sensibilmente, l’efficienza degli apparecchi. Posizione degli apparecchi Per quanto attiene il posizionamento degli apparecchi c’è da tenere presente che accanto alle esigenze di uniformità occorre considerare gli ulteriori vincoli posti dal posizionamento delle attrezzature sportive. Particolarmente critica ad esempio è la posizione del pannello della pallacanestro, spesso realizzato in materiale trasparente. Sorgenti luminose poste nelle vicinanze possono provocare sia abbagliamento diretto sia indiretto per riflessione sulla superficie lucida.
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Differenza di luminanza soffitto-pareti La differenza di luminanza tra soffitto o pareti e sorgenti luminose deve essere la più bassa possibile; ciò può ottenersi sia con l’impiego di sorgenti a bassa radianza (comunque non superiore a 8000 lux s.b.) sia ricorrendo a pareti e soffitti con elevato coefficiente di rinvio, purché non speculare, della luce. In particolare il coefficiente medio di rinvio per le lunghezze d’onda usuali (0,4-0,7 micron) non dovrà essere inferiore a 0,5 ed è bene elevarlo a 0,8 0,85 per il soffitto. Normalmente l’illuminazione sarà del tipo diretto o misto. L’illuminazione indiretta, anche se presenta vantaggi per quanto riguarda i fenomeni di abbagliamento, produce un’eccessiva attenuazione delle ombre e richiede una notevole maggiore potenza. Illuminamento orizzontale Il valore dell’illuminamento orizzontale dovrà essere compreso tra 150 e 500 lux: • il minimo può essere adottato per le attività ricreative o la ginnastica; • valori intermedi per l’allenamento; • i valori maggiori per le competizioni e in genere per gli sport con presenza di oggetti piccoli e il rapido movimento (palla da tennis, pallone per pallavolo, ecc.). In ogni caso il coefficiente di disuniformità non dovrà superare il valore di 1,5. Sia i valori dell’illuminamento che il requisito di uniformità dovranno essere garantiti in qualsiasi punto interno della palestra a distanza dalle pareti e dal pavimento superiore a 0,80 m e su piani comunque orientati. Per determinati sport, come la lotta, la boxe, ecc. occorrono illuminamenti più elevati, ma concentrati in una zona ristretta (la pedana). Questi illuminamenti specifici, dell’ordine dei 1000 lux, possono raggiungersi con fari supplementari sia fissi, a parete o soffitto, che su supporti mobili con collegamento a spina. Riprese televisive Nel caso in cui siano previste riprese televisive sono necessari livelli di illuminamento molto più elevati, dell’ordine di 1000 lux sul piano verticale. Poiché generalmente tali riprese sono saltuarie o eccezionali è sufficiente prevedere soltanto un congruo numero di prese per gli apparecchi di illuminazione aggiuntivi (almeno 4), o un circuito predisposto per l’alimentazione di tali apparecchi. Per ottenere la variabilità dell’illuminamento (almeno tre livelli distinti) dovranno essere realizzati più circuiti separati di alimentazione. Nel caso di palestre con sala munita di divisori, occorrerà prevedere circuiti parzializzati per ogni settore. I circuiti faranno capo a quadri di comando a parete che se posti nel vano palestra, dovranno essere collocati in posizione riparata o comunque protetta. Colore della luce È opportuno inoltre che il colore della luce sia il più possibile uguale a quello della luce diurna. A tal fine l’indice di resa cromatica non deve essere inferiore a 85. Illuminazione di sicurezza Molto importante è infine il dimensionamento dell’impianto di illuminazione di sicurezza. Normalmente a tali impianti, sull’esperienza delle sale per spettacolo, si richiede di garantire un livello d’illuminamento tale da permettere di individuare le uscite ed evitare gli ostacoli (circa 10 ÷ 20 lux). È opportuno però prevedere maggiori illuminamenti, dell’ordine di 40 ÷ 50 lux, soprattutto quando è presente il pubblico e ciò soprattutto per motivi psicologici in quanto, al contrario delle sale per spettacolo, normalmente la palestra è fortemente illuminata e in caso di interruzione dell’energia elettrica la differenza di livello luminoso sarebbe troppo elevata. Per gli altri locali dell’impianto le principali caratteristiche illuminotecniche sono riportate in tabella B.
6.10. Dimensionamento delle parti strutturali e dei componenti L’impianto sportivo nel suo insieme e nelle singole parti che lo compongono deve garantire adeguate condizioni di sicurezza nei confronti delle sollecitazioni statiche e dinamiche cui è sottoposto. Tali sollecitazioni, per la maggior parte, sono quelle che normalmente occorre considerare nel dimensionamento delle costruzioni edili: come ad esempio i carichi permanenti, le azioni del vento, quelle sismiche, i cedimenti del terreno, le spinte delle terre e altre ancora. Per tali sollecitazioni occorre fare riferimento alle normative vigenti e seguire gli usuali sistemi di calcolo. Criteri analoghi vanno adottati per i sovraccarichi accidentali avute presenti le possibili azioni dinamiche. In tabella A sono riportati i sovraccarichi minimi da adattare, salvo maggiori valori conseguenti e particolari condizioni d’uso. Azioni dinamiche Una cura particolare fa parte alle azioni dinamiche tra le quali occorre prevedere anche quelle accidentali conseguenti all’urto di corpi molli o duri. Le strutture, le pareti, gli infissi, il pavimento, il soffitto, le apparecchiature, le attrezzature e gli arredi di un impianto, specialmente quelli relativi alle sale per attività sportiva, sono spesso soggetti a sollecitazioni dinamiche anche violente sia dovute al normale uso – si pensi ad esempio all’urto di un bilanciere del peso di oltre cento chili lasciato cadere sul pavimento – che a cause accidentali, come ad esempio l’urto di persone che corrono, o quello di oggetti molli o duri (palle e attrezzi vari) a volte scagliati con velocità notevole e quindi dotati di considerevole energia cinetica. Da ciò la necessità di dover prevedere idonei dimensionamenti e accorgimenti per salvaguardare l’incolumità degli utenti e l’integrità di strutture e componenti. C’è inoltre da tenere presente che l’uso di un impianto da parte degli atleti, del personale e del pubblico, sottopone i vari componenti, anche in condizioni normali, a sollecitazioni in genere brusche e superiori comunque a quelle dei corrispondenti elementi di altre realizzazioni edili: e ciò senza tenere conto dei danneggiamenti intenzionali da parte degli utenti, per i quali ovviamente, non è possibile trovare altro rimedio all’infuori di quello dell’educazione e del senso di responsabilità dei singoli. Per tali ragioni è opportuno che i vari elementi strutturali come pure le attrezzature, le apparecchiature e gli arredi, siano in grado di resistere a sollecitazioni di urti o spostamenti e strappo di sufficiente intensità. Chiusure verticali Per le chiusure verticali (pareti, infissi) può stabilirsi abbastanza agevolmente una serie di prove che simulano con sufficiente attendibilità le condizioni d’uso sopra accennate: così dette verifiche di resistenza agli urti molli e duri. • Per gli urti molli si può ricorrere all’uso di secchi sferici o cilindrici riempiti di sabbia, del peso di 30 o 50 kg, sospesi a un cavo in modo da poter oscillare. L’elemento da provare viene posto in posizione verticale e colpito con il sacco lasciato cadere da altezze tali da consentire le sollecitazioni dinamiche richieste. L’elemento da provare deve essere vincolato nel modo effettivo in cui verrà poi posto in opera. Per verifiche di collaudo l’elemento sarà di manufatto o il componente (parete, infisso, ecc.) realizzato. • Le prove di urto duro sono eseguite con sfere di acciaio del peso di 500 o 1000 gr lasciati cadere, verticalmente o mediante un sistema di sospensione come quello prima descritto, sull’elemento da provare, posto orizzontalmente o verticalmente. Anche tale prova può essere eseguita come verifica di collaudo, su elementi in opera. • Altre prove consistono nel verificare la resistenza allo scuotimento, prova in genere effettuata mediante palloni riempiti di sabbia, e all’attraversamento da parte di corpi di piccole dimensioni con notevole energia cinetica (palla di 10 cm riempita di sabbia).
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B.4. 7. A.ZIONI
TABELLA A SOVRACCARICHI ACCIDENTALI
Kg/mq
Coperture non praticabili
150
Palestre e sala di preatletismo
500
Gradinate per il pubblico
600
Scale e terrazze praticabili
400
Altre unità ambientali
350
TABELLA B CARATTERISTICHE AMBIENTALI
• Un ulteriore aspetto di notevole importanza per gli impianti sportivi, in relazione a quanto precedentemente detto, è la resistenza ai carichi eccentrici e allo strappamento. La prima ha interesse soprattutto per le pareti portate leggere e può essere verificata con diversi dispositivi ad esempio mediante due mensole fissate alla parete, distanti tra loro 15 cm, lunghe ciascuna 30 cm, con applicato all’estremità un carico parallelo alla parete, agente sulla coppia di mensole, di 100 kgf (1000 Newton). Altra prova, eseguibile su tutti i sistemi di ancoraggio (tasselli, viti, unioni con chiodi, ecc.) è quella di applicare una forza di intensità opportuna 80 ÷ 120 (kgf) nella direzione più sfavorevole (sfilamento, taglio...).
TEMP. DELL’ARIA °C
TEMP. DELL’ACQUA °C
UMIDITÀ RELATIVA %
16-22
–
50
6.11. Comportamento al fuoco
Sala di muscolazione
22
–
–
Spogliatoi
20
–
–
Docce
20
35
–
Servizi igienici
20
–
–
Pronto soccorso
20
–
–
Uffici
20
–
–
Ingresso
20
–
–
Magazzini
16
–
–
Vari
20
–
–
Per evidenti ragioni di sicurezza tutte le parti costituenti l’edificio dovranno essere dotate di un’idonea resistenza al fuoco. La resistenza al fuoco di un elemento costruttivo è definita come la durata, espressa in minuti, misurata dall’inizio del periodo di riscaldamento fino al momento in cui l’elemento non soddisfa più alle esigenze funzionali alle quali deve rispondere. Tale resistenza va determinata nel rispetto della normativa vigente e in particolare con il DM degli Interni 6 luglio 1983 pubblicato nella GU n.201 del 23 luglio 1983, che fa riferimento al carico di incendio dei diversi locali, calcolato con i criteri stabiliti dalla circolare dello stesso Min. degli Interni n.91 del 14 settembre 1961. In ogni caso per le centrali termiche la resistenza al fuoco delle strutture dovrà risultare non inferiore a 120 minuti primi e a 30 minuti primi per gli altri locali. Inoltre i materiali, in caso di incendio, non devono emettere gas tossici o soltanto nocivi in quantità pericolosa per l’incolumità delle persone. Le richieste caratteristiche di resistenza comportano in genere l’adozione di accorgimenti che variano a seconda dei materiali utilizzati.
CARATTERISTICHE IGROMETRICHE Sala di attività
COEFF. DISUNIFORMITÀ MAX. 1,5
ILLUMINAMENTO SPECIFICO LUX
TEMP. DI COLORE 3500-4500 °K
FATTORE MEDIO LUCE DIURNA
150-500°
–
85
0,05
LIV. MEDIO LUX ILLUMINAZIONE
Sala di attività
RESA CROM.
Sala di muscolazione
200
–
–
0,05
Spogliatoi
150
500
–
0.025
Docce
80
500
–
–
Servizi igienici
80
500
–
–
Pronto soccorso
150
–
–
0,025
Uffici
300
500
85
0,03
Ingresso
300
500
85
0,03
Magazzini
100
–
–
0,015
Vari
150
–
–
–
VENTILAZIONE
NUMERO RICAMBI ORARI
VELOCITÀ MAX. ARIA M/S
Sala di attività
15
0,15
Sala di muscolazione
2
0,15
2,5
0,15
Docce
8
0,15
Servizi igienici
8
0,15
Pronto soccorso
2,5
0,15
Uffici
1,5
0,15
Ingresso
1,5
0,20
Magazzini
1
–
Vari
1
–
Spogliatoi
CARATTERISTICHE ACUSTICHE
ISOLAMENTO ACUSTICO dBA
TEMPO DI RIVERBERAZIONE SEC.
LIV. MAX. RUMORE AMBIENTE dBA
Sala di attività
–
1,2 – 1,4
–
Sala di muscolazione
–
–
50
Spogliatoi
25
–
50
Docce
25
–
50
Servizi igienici
25
–
50
Pronto soccorso
25
–
50
Uffici
25
–
50
Ingresso
20
–
50
Magazzini
–
–
50
Vari
–
–
–
Strutture in calcestruzzo Per le strutture in calcestruzzo armato, c’è da tenere presente che quest’ultimo, pur essendo un materiale incombustibile, subisce un cambiamento delle caratteristiche fisico-meccaniche, in funzione della temperatura, legate essenzialmente al comportamento che i diversi materiali presentano quando sono sottoposti all’azione del calore (legante, aggregato, armatura). Generalmente la temperatura a cui iniziano le deformazioni plastiche dell’acciaio è minore di quella per cui si ha la disgregazione del conglomerato cementizio; in particolare per l’acciaio assume importanza il raggiungimento della temperatura critica alla quale il limite elastico coincide con la tensione di esercizio. L’aumento della resistenza al fuoco può ottenersi attraverso la scelta di leganti e inerti meno sensibili all’azione del calore o con l’aumento dello spessore del copriferro, con conseguente aumento della sezione dell’elemento costruttivo. Conglomerato cementizio Il comportamento al fuoco del conglomerato cementizio presollecitato è in genere più critico di quello del cemento armato ordinario. Ciò è dovuto principalmente al fatto che si usano acciai a elevata resistenza (con conseguente diminuzione della temperatura critica a circa 300 °C), alla bassa temperatura (circa 180°) alla quale i cavi perdono la pretensione con conseguente aumento del tipo e dell’intensità delle sollecitazioni e all’innalzamento più rapido della temperatura all’interno degli elementi costruttivi rispetto ai corrispondenti in c.a. ordinario. Per aumentare la resistenza al fuoco possono essere adottate le stesse soluzioni indicate per il cemento armato ordinario, integrate da idonei rivestimenti isolanti (gesso, vermiculite, ecc.). Acciaio L’acciaio, pur avendo caratteristiche meccaniche elevate, è molto sensibile alle variazioni di temperatura; possiede infatti un’elevata conducibilità termica che facilita la trasmissione del calore attraverso le strutture.
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NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
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D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
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CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. IVI B.4.7NTI SPORT IMPIA PERTO AL CO
B 157
B.4. 7.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI IMPIANTI SPORTIVI AL COPERTO
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IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT
➦ PALESTRE E PALAZZETTI DELLO SPORT ➦ PROPOSTA-TIPO ELABORATA DAL CENTRO STUDI IMPIANTI SPORTIVI DEL CONI – ROMA Inoltre all’aumento della temperatura diminuisce la resistenza del materiale fino a una temperatura, variabile in funzione del tipo di acciaio, alla quale inizia la fase plastica con aumento delle deformazioni fino al collasso definitivo. Tale temperatura è di circa 550°C per gli acciai dolci, mentre scende a circa 400°C per gli acciai incruditi, come ad esempio le barre lavorate a freddo. Molteplici sono i sistemi con i quali è possibile aumentare la resistenza al fuoco: tra i più usuali l’applicazione di vernici protettive, l’annegamento degli elementi costruttivi in materiali aventi buon comportamento al fuoco, l’uso di acciai particolarmente resistenti al calore, l’utilizzazione di rivestimenti che proteggano gli elementi costruttivi dall’azione diretta della fiamma. Strutture in legno Per le strutture in legno c’é da tenere presente che tale materiale, pur combustibile, presenta caratteristiche di resistenza al fuoco molto interessanti. Infatti quando é sottoposto a temperature crescenti, inizialmente l’umidità (che può raggiungere anche valori compresi tra il 10 e il 20% del peso) viene eliminata dagli strati superficiali che mantengono sostanzialmente intatte le loro caratteristiche fino a una temperatura di circa 300°. A temperature superiori avviene la combustione e la carbonizzazione degli strati più esterni (500°), ma il processo di combustione a questo punto rallenta in quanto dipende sia dalla quantità di ossigeno apportato che dalla velocità con la quale il calore si trasmette dall’esterno verso l’interno, quest’ultima a sua volta risultando funzione del valore di conducibilità termica del materiale. Il carbone di legno è caratterizzato infatti da un valore molto basso della conducibilità termica (circa 0,03 Cal/mq h°C). Un’altra caratteristica particolare degli elementi costruttivi in legno è costituita dal fatto che la resistenza al fuoco dipende in modo proporzionale dalle dimensioni della sezione degli elementi stessi, mentre per l’acciaio tale proporzionalità è praticamente trascurabile. Questa caratteristica può essere utilizzata per dimensionare gli elementi costruttivi rispetto alla resistenza al fuoco. Infatti assumendo una velocità di carbonizzazione media di 0,64 mm/min le dimensioni della sezione possono ad esempio essere aumentate del prodotto di 0,64 mm/min per il tempo di resistenza al fuoco richiesto. Nell’assumere il valore della velocità di carbonizzazione bisogna tenere conto anche dell’esposizione alla fiamma e della forma degli elementi e considerare a seconda dei casi velocità di carbonizzazione maggiori (ad es. 0,84 mm/min per i pilastri...). Per aumentare la resistenza al fuoco oltre all’aumento della sezione resistente è possibile adottare dei trattamenti ignifughi che possono consistere o nell’applicazione di vernici protettive o in trattamenti a vuoto o a pressione con soluzioni di particolari sostanze chimiche. Generalmente tali procedimenti vengono utilizzati quando gli elementi costruttivi presentano sezioni piccole con conseguente basso valore di resistenza al fuoco. 6.12. Manutenzione e uso Durata degli elementi Tutti i materiali impiegati devono conservare le loro proprietà durante il periodo previsto di vita utile valutabile in circa 15 anni, senza che sia necessaria una manutenzione costosa e frequente. In particolare gli elementi che non sono accessibili e che di conseguenza non possono avere una manutenzione normale, devono presentare una durata almeno uguale a quella delle altre parti. Per la valutazione di questa durata, si terrà conto in modo particolare dei punti singolari costituiti dalle saldature, avvitamenti, piccole aperture e simili ecc., così come delle conseguenze che possono derivare per gli infissi dalla sostituzione dei vetri. Nelle condizioni normali di uso, si dovrà cercare di rendere minima l’usura delle parti mobili (delle ante degli infissi in particolare), presenza di agenti abrasivi (polveri, sabbia, ecc.).
B 158
Quando è prevista un’usura localizzata, si dovranno impiegare sia dei materiali o trattamenti adeguati che permettano di attenuare questo fenomeno, sia prevedere la possibilità di un’economica sostituzione. Riparazioni, sostituzioni, trattamenti Fanno parte della manutenzione le riparazioni localizzate, la sostituzione dei materiali o apparecchiature il cui invecchiamento o logorio è inevitabile. In questo caso la rimozione, come pure la posa in opera delle parti sostituite devono essere previsti al momento della costruzione onde facilitare al massimo le relative operazioni. Fanno ancora parte delle operazioni di manutenzione, l’applicazione di pitture, vernici o resine diverse o la pulizia. Queste operazioni devono poter essere facilmente eseguite con minimo disturbo per gli utenti, senza necessitare di mezzi o preparazioni onerose e complicate. Nel caso in cui si renda necessario sostituire un elemento qualsiasi, tale elemento deve poter essere sostituito senza che sia necessario smontare altri elementi oltre, eventualmente, quelli immediatamente adiacenti; ciò vale in particolare per i pannelli, i controsoffitti e simili. • la manutenzione delle pareti deve poter essere effettuata senza particolari precauzioni da artigiani con materiali e prodotti usuali. • i rivestimenti interni, se presenti, devono poter essere lavati, stuccati, levigati e tinteggiati secondo le regole correnti in materia di lavori di manutenzione; se la manutenzione necessita di prodotti speciali, questi devono essere facilmente reperibili. • le parti trasparenti e traslucide devono conservare in modo soddisfacente tale proprietà dopo le operazioni normali di pulitura. • I meccanismi delle finestre devono essere accessibili in modo che il loro smontaggio e riparazione possano essere facilmente eseguiti senza rischio, senza bisogno di smontare tutto l’insieme e senza danneggiare le finiture. • Le finestre devono essere concepite in modo che le loro parti trasparenti possano essere facilmente pulite tanto sulla faccia esterna che su quella interna. • Le operazioni di pulizia dei pavimenti devono poter essere effettuate senza precauzioni particolari da personale con materiali e prodotti correnti. Nel caso in cui per la pulizia occorrano particolari materiali, non devono essere di difficile approvvigionamento. • Tutti gli elementi costruttivi devono essere naturalmente resistenti, trattati o protetti in modo che non vi sia il rischio, per tutta la durata prevista e per le normali condizioni d’impiego, di essere degradati da corrosione, umidità, elettrolisi, insetti, muffe. • Gli elementi corrispondenti ai locali di servizio, devono resistere senza rischi per la loro conservazione ai mezzi abitualmente usati dai servizi di igiene per la disinfezione. Nei locali dove i pavimenti sono normalmente lavati, la parte inferiore dell’elemento di parete verticale finito deve essere studiato in modo tale che ogni rischio di umidificazione dell’elemento nella sua parte inferiore sia evitato considerando un’altezza d’acqua al di sopra del pavimento di 1 cm. Finestre • I meccanismi e gli elementi delle finestre e porte devono essere previsti per rendere le manovre delle finestre, così come delle loro attrezzature, semplici e facili quanto ad accessibilità e sforzo da applicare; inoltre per motivi di sicurezza agli urti, tutti i meccanismi per la chiusura e apertura dei serramenti (porte, finestre, ecc.) devono essere del tipo chiuso. • Quando le finestre sono dotate di elementi di protezione contro la radiazione solare, questi saranno disposti in modo tale da permettere una regolazione dell’illuminazione. Questi elementi dovranno essere manovrabili dall’interno ed essere accessibili per riparazioni o sostituzioni. • Tutte le parti esterne, per motivi di sicurezza, devono potersi aprire verso l’esterno.
Al fine di rendere agevole l’uso delle porte, queste devono essere di facile manovrabilità anche da parte di persone a ridotte o impedite capacità fisiche. Porte • Le porte devono avere una luce netta minima di 0,85 m con dimensione media ottimale di 0,90 m. • Nel caso di porte a due o più battenti, deve essere sempre garantito un passaggio con luce netta minima di 0,85 m realizzato con unico battente con due battenti a manovra unica o a ventola. In caso di porte successive deve essere assicurato uno spazio libero intermedio tra le porte stesse, di almeno 1,50 m, oltre quello eventualmente interessato dalle ante in apertura. Devono essere evitati spigoli, riporti, cornici sporgenti e quanto altro possa recare danno in caso di urto. L’apertura e la chiusura delle porte deve avvenire mediante una leggera pressione e preferibilmente essere accompagnata da apparecchiature per il ritardo della chiusura stessa. Le maniglie devono consentire una facile manovra; in genere è preferibile l’uso di maniglie a leva. La maniglia a leva deve essere posta a un’altezza massima di 0,90 m. Nel caso di adozione nelle porte a ventola, di barre o corrimani di apertura orizzontali o verticali, questi devono essere di sezione adeguata, atta ad assicurare la prensilità. I materiali con cui sono realizzate le porte e gli stipiti devono essere resistenti all’urto e all’usura specialmente per le parti comprese entro un’altezza di 40 cm dal pavimento. Le porte interamente realizzate con materiali trasparenti devono presentare accorgimenti atti ad assicurarne la loro immediata percezione, quali segnali colorati, corrimani evidenziati o simili. Pavimenti Tutti i pavimenti devono essere facilmente pulibili e devono poter resistere agli acidi di pulizia. La loro porosità deve quindi essere contenuta in limiti che permettono la perfetta disinfezione. Le caratteristiche superficiali dei pavimenti devono essere scelte in relazione alle caratteristiche d’uso delle varie unità ambientali con particolare cura per le unità ambientali dove vengono effettuate frequenti operazioni di lavaggio per motivi igienici. I pavimenti devono essere antisdrucciolevoli; essi pertanto devono essere eseguiti con materiali idonei o devono essere dotati di adeguati accorgimenti, specialmente nei locali dove devono essere realizzate pendenze ai fini dello smaltimento dell’acqua (es. docce, spogliatoi, ecc.). Le pavimentazioni devono inoltre essere realizzate in modo tale da evitare stazionamenti di acqua in qualsiasi punto. Devono inoltre essere evitate, per le pavimentazioni tutti i materiali che possono inumidirsi di acqua infetta e costituire veicoli di infezioni. Nelle unità ambientali a elevato contenuto di umidità, devono essere utilizzate pavimentazioni non igroscopiche, perché favorirebbero in tal modo un eccessivo assorbimento di umidità. Inoltre, al fine di evitare possibili incidenti, devono essere evitate variazioni anche minime di livello. Nei percorsi aventi caratteristiche di continuità, la qualità dei materiali impiegati per i pavimenti deve essere omogenea; questo al fine di evitare possibili ostacoli al moto, dovuti a disuguaglianza di comportamento dei pavimenti stessi. Inoltre deve essere assicurata, nel tempo, la planarità del pavimento, scegliendo materiali che non diano luogo a ritiri, gibbosità, scheggiature, sconnessioni, fessurazioni. Nelle condizioni abituali d’impiego, il pavimento non deve sprigionare gas tossici, maleodoranti o fastidiosi, né presentare fenomeni di essudazione dei componenti o facilitare lo sviluppo di microrganismi e di batteri nocivi: tutto questo tenendo conto delle eventuali reazioni provocate dall’impiego dei normali prodotti per la manutenzione.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
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IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT IMPIANTI SPORTIVI AL COPERTO
B.4. 7. A.ZIONI
FIG. B.4.7./1 PALESTRE – AGGREGAZIONE DEI SETTORI PER IMPIANTI MAGGIORI (P3, P4)
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
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CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
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B.4. 7.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI IMPIANTI SPORTIVI AL COPERTO ➦ PALESTRE E PALAZZETTI DELLO SPORT FIG. B.4.7./2 PALAZZETTO DELLO SPORT – SEZIONE DEI SERVIZI DI SUPPORTO
B 160
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IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
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IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT IMPIANTI SPORTIVI AL COPERTO
B.4. 7. A.ZIONI
FIG. B.4.7./3 PALAZZETTO DELLO SPORT
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
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ICHE TECN MA ONENTI, P COM
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B.4. 8.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI IMPIANTI SPORTIVI ALL’APERTO
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IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT
SUPERFICI SPORTIVE: PAVIMENTAZIONI, IRRIGAZIONE, DRENAGGIO 1. CAMPI ALL’APERTO – GENERALITÀ SPAZIO DI ATTIVITÀ L'ubicazione rispetto ai servizi (spogliatoi e annessi) dovrà consentire un facile utilizzo da parte degli atleti e l’indipendenza dei percorsi atleti e pubblico eventualmente presente. Per i manti in terra stabilizzata, in erba o sintetici drenanti, dovranno essere realizzati idonei drenaggi per lo smaltimento delle acque di percolazione, valutate sulla base delle precipitazioni locali (v.B.4.8./2) Dovrà essere previsto un impianto di irrigazione adeguato al tipo di pavimentazione e alle condizioni climatiche. Dovrà pertanto essere assicurata la disponibilità di acqua in quantitativo sufficiente e di caratteristiche fisico chimiche e biologiche compatibili (v. B.4.8./3.). Quando richiesto dalle norme delle Federazioni Sportive, i campi dovranno essere recintati, secondo le indicazioni delle Federazioni medesime; si consiglia inoltre la realizzazione di protezioni contro i venti dominanti, preferibilmente mediante siepi e alberature. SPOGLIATOI ATLETI Dovranno essere suddivisi in almeno due locali con annessi servizi igienici e docce direttamente accessibili dai locali spogliatoio preferibilmente tramite locale filtro. Il numero complessivo di posti spogliatoio dovrà essere almeno pari al numero massimo di utenti contemporanei dello spazio di attività. Indicativamente, salvo specifiche esigenze connesse all'attività praticata o diversa indicazione da parte delle FSN, dovranno essere realizzati almeno: • 60 posti spogliatoio per gli impianti di atletica leggera (preferibili n.80); • 40 posti spogliatoio per impianti di rugby; • 30 posti spogliatoio per impianti di calcio, hockey su prato; • 20-30 posti spogliatoio per piccoli campi polivalenti. Nel caso in cui siano previsti impianti con spazi di attività diversi con uso contemporaneo, gli spogliatoi potranno essere dimensionati per la condizione più gravosa tenendo conto di un idoneo fattore di contemporaneità (valore consigliato: 0.75). Per tutti gli spogliatoi dovrà essere prevista l’accessibilità ai disabili motori. DEPOSITO ATTREZZI La superficie dovrà essere funzionale al tipo di attività prevista nell’impianto e tale da consentire l'immagazzinamento delle attrezzature mobili: indicativamente si consigliano dimensionamenti non inferiori a: • 15 mq per impianti di calcio, piccoli campi polivalenti e simili; • 40 mq per impianti di atletica leggera. SPOGLIATOI GIUDICI DI GARA/ISTRUTTORI Il dimensionamento dovrà essere effettuato in relazione al tipo e al livello di attività svolta. In ogni caso, salvo particolari destinazioni o diversa indicazione da parte delle FSN, dovranno essere previste almeno le seguenti unità: • n.1 locale per piccoli campi (polivalenti e simili); • n.1 locale (preferibili 2) per campi di calcio, hockey su prato, rugby, baseball/softball; • n.2 locali con 4-6 posti spogliatoio, per l'atletica leggera. Tutti gli spogliatoi dovranno essere fruibili da parte dei disabili motori. SPOGLIATOI PER IL PERSONALE Saranno previsti in relazione al tipo e importanza dell'impianto. Preferibilmente dovrà essere realizzato almeno un locale spogliatoio dimensionato per due o più posti spogliatoio con relativo wc, doccia e lavabo, fruibili dai disabili motori.
2. CARATTERISTICHE DELLE PAVIMENTAZIONI SPORTIVE Le caratteristiche e le prestazioni richieste a una pavimentazione sportiva variano in funzione dell’attività che si inten-
B 162
de praticarvi e del tipo di utenza (sport scolastico e formativo, per il tempo libero, per l’agonismo e la competizione). Ogni attività richiede alla pavimentazione un insieme di prestazioni particolari. In molti casi lo stesso impianto viene utilizzato per diverse attività, a volte anche extrasportive (è questo il caso di molti impianti scolastici). La pavimentazione deve in questo caso possedere caratteristiche che rappresentano un compromesso tra le diverse esigenze d’uso, ossia una certa polifunzionalità. VALUTAZIONI ECONOMICHE Nel valutare dal punto di vista economico una pavimentazione sportiva, bisogna tenere conto dei seguenti fattori: • Costo dell’impianto È composto dal costo del manto, del sottofondo e delle opere accessorie quali drenaggio, irrigazione, cordoli e recinzioni, segnature, ecc. A questo costo vanno aggiunte le eventuali sistemazioni del terreno (scavi, riporti, opere di sostegno, ecc.), ove questo non sia naturalmente idoneo a contenere l’impianto sportivo. È bene quindi che l’area sia scelta con molta attenzione. Il costo del manto può variare moltissimo in funzione della qualità del materiale. La scelta del manto è quindi punto d’incontro ottimale tra costo e qualità del materiale, in funzione dell’uso previsto. • Costo della manutenzione È una voce di costo molto importante, che spesso non viene prevista o sottovalutata. Il costo della manutenzione è rilevante per alcuni tipi di pavimentazione, come i manti erbosi e le terre stabilizzate, che richiedono l’impiego assiduo di personale specializzato (soprattutto i manti erbosi) durante tutto l’anno, anche nei periodi di minima utilizzazione dell’impianto. È bene ricordare, però, che anche i materiali sintetici richiedono una manutenzione periodica (lavatura, riparazioni del manto, ecc.); • Tempi di utilizzazione Detratte le ore destinate alla manutenzione e i periodi di riposo (per i manti erbosi), per il tempo rimanente è bene che l’impianto sia sfruttato al massimo, programmandone opportunamente l’utenza nei diversi periodi dell’anno e nei diversi momenti della giornata; • Vita media dell’impianto Se l’impianto è sfruttato a pieno la sua durata sarà funzione della resistenza all’usura del manto, della manutenzione e dell’utenza. In una pista per atletica leggera, ad esempio, la durata del manto varia se gli utenti usano prevalentemente scarpette chiodate o senza chiodi, inoltre l’usura risulta generalmente non uniforme ed è massima nelle prime corsie. Sarà cura di una buona gestione fare utilizzare tutte le corsie in modo uniforme. In un manto erboso la continuità delle cure e la scelta giusta dei turni di riposo prolunga la vita dell’impianto. In generale, quindi, una corretta gestione accresce la durata della pavimentazione diminuendone il costo di ammortamento annuo.
3. IRRIGAZIONE DI SUPERFICI SPORTIVE In quasi tutte le superfici sportive, in misura variabile, è richiesto un apporto d’acqua, necessario alla manutenzione e al buon funzionamento delle superfici stesse. • Nei terreni a manto erboso l’acqua ha una funzione fondamentale, in quanto serve per il corretto sviluppo della vegetazione erbosa, specie nei periodi di maggiore siccità. La presenza dell’acqua svolge due azioni combinate: 1) viene utilizzata nel metabolismo vegetale; 2) ha una funzione di regolazione termica del terreno nei periodi più caldi. • Nei terreni stabilizzati meccanicamente l’acqua ha una funzione di mantenere la coesione degli strati, impedendo la formazione di polvere. Per una migliore ritenzione idrica da parte del terreno si utilizzano dei sali igroscopici. • Nelle superfici sintetiche, l’acqua serve per la manutenzione periodica (lavaggio delle superfici). Nelle superfici in erba sintetica una innaffiatura prima dell’uso diminuisce il pericolo di bruciature in seguito a scivolate.
La quantità di acqua fornita nell’ambito di una irrigazione continua si dice “adacquata”. SISTEMI DI IRRIGAZIONE Irrigazione a pioggia Per irrigazione a pioggia si intende la distribuzione di acqua sotto pressione, per mezzo di irrigatori. Una irrigazione comprende di norma diverse adacquate. L’irrigazione a pioggia si effettua per mezzo di irrigatori fissi o mobili. Nei primi la rotazione è comandata da un’aletta mobile che possiede un moto alternato, comandato dal flusso uscente. Nei secondi il moto rotante è ottenuto per reazione da ugelli inclinati posti su teste rotanti. L’area irrigata è quindi circolare od a settore circolare e la superficie da irrigare viene coperta per sovrapposizione di tali aree. L’irrigazione a pioggia può essere realizzata con diversi tipi di impianto: • impianto fisso gli irrigatori sono fissati direttamente su delle bocche di presa opportunamente distribuite lungo i lati del campo. Questo sistema è adatto per campi di piccole dimensioni (tennis, ecc.) in quanto, sfruttando il raggio di azione degli irrigatori posti sul bordo del campo, è possibile coprire l’intera superficie; • impianto mobile gli irrigatori sono montati su cavalletti e opportunamente dislocati all’interno del campo. Il collegamento con gli idranti avviene mediante tubi flessibili. È bene non utilizzarli per i campi da tennis, in quanto, se l’irrigazione è del tipo a battitore, si formano facilmente pozzanghere attorno al cavalletto; • impianto mobile meccanizzato gli irrigatori sono montati su di un carrello che, azionato dal moto di rotazione dell’idrante, si sposta in modo continuo al procedere dell’adacquamento. In tal modo il terreno viene irrigato per fasce parallele. L’acqua è portata al carrello mobile per mezzo di un tubo flessibile di lunghezza adeguata, collegato a un idrante posto in posizione mediana rispetto al percorso. Con questo sistema si possono coprire vaste superfici con pochi interventi operativi; • impianto integrato è costituito da una rete di distribuzione interrata che corre nella pavimentazione sportiva. In punti opportunamente dislocati sono installati degli irrigatori interrati e muniti di coperchio posti al livello della superficie sportiva in modo da non alterarne la continuità. Questo sistema è adatto soprattutto per le superfici sintetiche, in quanto il coperchio può essere rivestito dallo stesso manto superficiale, mantenendo quindi una continuità quasi perfetta. L’impianto può essere comandato a distanza per il sollevamento del coperchio e l’irrigazione; • subirrigazione Con questo sistema l’acqua è distribuita nel terreno da una rete di tubi porosi interrati. Ciò consente un migliore utilizzo e non provoca compattazione del terreno, come nel caso della pioggia. L’acqua distribuita dal basso viene assorbita per capillarità. Il sistema si presta a un comando centralizzato automatico. Un altro tipo di subirrigazione è quello a falda permanente, il quale prevede la posa in opera di una superficie impermeabile (plastica) e di una rete di tubi. La superficie impermeabile è divisa in rettangoli separati. Questo sistema è piuttosto costoso, ma si presta al recupero dell’acqua piovana. DETERMINAZIONE DEI FABBISOGNI IRRIGUI La quantità d’acqua necessaria all’irrigazione di un campo dipende da numerosi fattori: • il tipo di pavimentazione (manto erboso o terra stabilizzata); • le caratteristiche del terreno (permeabilità, spessore, capacità di ritenzione idrica); • le condizioni climatiche (stagione, temperatura, venti dominanti, ecc.). Campi erbosi Il fabbisogno dipende essenzialmente dalle capacità di accumulo dello strato portante del tappeto erboso, dalle
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT IMPIANTI SPORTIVI ALL’APERTO
B.4. 8. A.ZIONI
precipitazioni, dall’evaporazione e dal consumo biologico della specie erbosa. Deve essere assicurato un rapporto d’acqua capace di proteggere efficacemente il campo dalla siccità e da permettere la crescita del tappeto erboso. L’apporto d’acqua è funzione della temperatura. Nel periodo secco il campo deve essere irrigato di norma ogni 4÷5 giorni con un adacquamento di 10÷15 l per m2 (quantità indicativa). Devono essere evitate le adacquate frequenti e leggere, in quanto favoriscono la formazione di un sistema radicale poco profondo; tuttavia occorre intervenire con appropriati adacquamenti non appena si hanno accenni di appassimento del manto erboso. Il momento migliore per l’irrigazione è la notte o la mattina presto, in considerazione della minore evaporazione e della maggioore pressione nella rete idrica. Nei giorni in cui si gioca, l’adacquamento deve essere terminato almeno 4 ore prima della fruizione del tappeto erboso, perchè dopo l’irrigazione la resistenza del campo è temporaneamente ridotta.
• su di una superficie sintetica si tratta soltanto di evitare i ristagni dell’acqua; • in una superficie di terra stabilizzata od a manto erboso, bisogna invece rispettare un certo equilibrio idrico che è condizione indispensabile per la loro stabilità, resistenza e durata; • un ristagno d’acqua su un terreno stabilizzato lo rende fangoso e ne favorisce la distruzione; • lo stesso ristagno su un manto erboso, crea zone di terreno asfittiche, dove l’erba ingiallisce o cresce stentatamente. L’acqua in eccesso va quindi eliminata, in modo che nel terreno rimanga solo il giusto grado di umidità, necessario allo sviluppo della vegetazione e alla coesione degli strati (nel caso di terreni stabilizzati).
Campi in terra stabilizzata Nei campi in terra stabilizzata (battuta) è necessario mantenere l’umidità dello strato di rivestimento per aumentarne la resistenza allo scorrimento e per fissare la polvere. L’intensità di irrigazione deve essere calibrata in modo che non si producano movimenti di ruscellamento. Per un sufficiente inumidimento del campo si debbono di norma applicare 10 l/mq per ogni adacquata. Nel caso che lo strato superficiale e il rivestimento siano completamente asciutti è necessario erogare un’irrigazione con circa 20 l/mq, suddivisa in più adacquate. Mediamente occorrono irrigazioni per complessivi 2÷6 l/mq al giorno, a secondo delle condizioni metereologiche.
L’impianto di drenaggio è realizzato per mezzo di strati filtranti e di una rete di collettori di raccolta e di scarico. I singoli elementi costituenti sono:
REQUISITI E STRUTTURA DELL’IMPIANTO DI IRRIGAZIONE L’impianto di irrigazione dovrebbe garantire la maggiore uniformità possibile nella distribuzione di acqua. Per i campi erbosi gli irrigatori devono consentire un’intensità di pioggia pari a 25 l/mq in un arco di tempo di 5-15 ore. Per i campi in terra battuta occorre prevedere adacquamenti non inferiori a 20 l/mq in un arco di tempo di 8-12 ore. Nel caso di complessi sportivi si può tenere conto dell’avvicendarsi delle irrigazioni durante l’arco della settimana. Tutti i campi di gioco devono essere muniti di una conduttura d’acqua allacciata alla rete idrica urbana o a serbatoi propri. In tutti i campi sportivi, anche in quelli che hanno un impianto di irrigazione integrato o di subirrigazione, devono essere predisposti degli idranti a intervalli non superiori a 100 m. Ai fini del controllo del consumo di acqua, ogni impianto d’irrigazione dovrebbe essere munito di un contatore volumetrico. Se l’impianto è legato alla rete idrica urbana, si cercherà di avere un serbatoio d’acqua indipendente. Di norma le condutture fisse devono poter essere vuotate senza l’aiuto di mezzi ausiliari e ciò per difenderle dal gelo. Saranno quindi predisposti sfiati e scarichi, rispettivamente nei punti di massima e di minima altezza relativa delle condutture.
4. DRENAGGIO DELLE SUPERFICI SPORTIVE La pavimentazione sportiva di un impianto all’aperto è soggetta agli eventi meteorici. Tali eventi possono alterarne la funzionalità fino a renderne disagevole o impossibile l’uso. Il drenaggio della pavimentazione ha lo scopo di limitare gli effetti delle pioggie in modo che l’eventuale interruzione dell’attività sportiva sia limitata solo al breve periodo delle precipitazioni più intense. Il problema del drenaggio può assumere vari aspetti secondo il tipo di pavimentazione presente:
La presenza di falde freatiche poco profonde può creare ulteriori problemi all’equilibrio idrico, sia per la difficoltà di smaltimento, sia perché il loro livello è spesso variabile e si innalza nel periodo delle maggiori precipitazioni. IMPIANTI DI DRENAGGIO
• Strati e rivestimenti drenanti sono costituiti da materiale sciolto di elevata permeabilità (granulometria elevata) e costituiscono lo strato portante della pavimentazione (massicciata). Sono inoltre usati come letto di posa e rivestimento di tubazioni di drenaggio. Lo stesso materiale drenante disposto in trincee scavate nel terreno può anche costituire il canale di drenaggio, senza necessità di tubazioni (purché sia evitato l’intasamento da parte dei materiali fini per mezzo di un filtro). • Canali di drenaggio sono essenzialmente costituiti da fossi, tubazioni o strati drenanti. Raccolgono sia l’acqua meteorica proveniente dallo strato drenante, sia quella proveniente dall’eventuale falda sotterranea da abbattere, e la convogliano al collettore di scarico. • Collettori di raccolta sono elementi strutturali destinati a raccogliere le acque superficiali di ruscellamento delle superfici sportive e a cederle a una tubazione di drenaggio. Si possono avere collettori coperti o aperti, ad afflusso isolato o continuo, a profilo circolare o a U. • Tubazioni di drenaggio sono tubazioni aperte o chiuse, le quali raccolgono l’acqua dei collettori di raccolta attraverso apposite caditoie e/o le acque provenienti da canali di drenaggio e dallo strato drenante. • Tubazioni chiuse intercettano soltanto le acque provenienti dalle tubazioni di drenaggio, dai raccordi di derivazione e dai pozzi, per inviarle al collettore di scarico. • Recapiti di scarico sono i corpi idrici naturali o artificiali ove si scaricano le acque di drenaggio (fiumi, laghi, reti fognanti, pozzi perdenti, ecc.). STRUTTURA DELL’IMPIANTO DI DRENAGGIO La disposizione delle canalizzazioni e l’organizzazione delle pendenze di fondo degli strati drenanti, varia secondo la tipologia dell’impianto sportivo. Elementi che influiscono sul disegno della rete drenante sono le caratteristiche di permeabilità del terreno di base, l’integrazione eventuale tra le reti di drenaggio di due o più impianti sportivi contigui, la posizione dei recapiti di scarico. Sulla base di quanto detto, i casi caratteristici di drenaggio di una pavimentazione sportiva sono: Grandi campi di gioco (calcio, rugby, hockey, ecc.) Sono generalmente superfici realizzate con manto erboso o terra stabilizzata, pertanto il drenaggio è da effettuarsi quasi completamente sulle acque di infiltrazione e sulle eventuali acque di falda.
La pendenza massima della superficie di gioco è intorno allo 0,5% verso i bordi della pista. L’impianto viene realizzato scavando un sistema di canali di drenaggio paralleli, posti a interasse di 5-10 m. Il piano di fondazione tra un canale e l’altro viene sistemato a dosso, con pendenza verso i canali del 2-4%, per evitare ristagni d’acqua. Se necessario è possibile dare al piano di fondazione anche una pendenza, secondo il canale di drenaggio, fino all’1-2%. Lo spessore variabile della massicciata assorbe le differenze di quota e di pendenza tra il piano di base e la superficie superiore della massicciata (pendenza intorno allo 0,5%). La tubazione di drenaggio viene posta nel canale scavato, con una pendenza di 0,3-1,5%. Il valore di tale pendenza viene scelto in funzione del diametro della tubazione e della velocità dell’acqua, che non deve essere né troppo basso, per non provocare l’interrimento dei dreni, né troppo alto, per evitare fenomeni erosivi causati dal trasporto di materiale solido. I canali di drenaggio si raccordano con una tubazione di drenaggio, secondo un angolo retto (a pettine) od acuto (a spina di pesce). Nell’intersezione vengono realizzati dei pozzetti ispezionabili. La tubazione di drenaggio generalmente corre lungo i lati del campo. In casi particolari e per maggiore economia è possibile porre la tubazione di drenaggio in mezzo al campo (assi principali), in questo caso si realizzeranno due pozzetti di ispezione agli estremi della condotta. Nei campi in erba il drenaggio dello strato di terreno vegetale può essere migliorato realizzando canaletti drenanti in materiale permeabile (drenaggio rinforzato). Piccoli campi (tennis, pallavolo, ecc.) Vengono utilizzati schemi di drenaggio analoghi a quelli dei grandi campi. In questo caso l’interasse tra i canali di drenaggio diventa di 3-4 m. Le pendenze vanno sempre scelte in modo da avere una velocità di deflusso sufficiente a evitare l’interrimento. I pozzetti di ispezione vanno posti agli estremi della tubazione.La posizione di questa è preferibilmente lungo uno dei lati del campo, da dove può servire più campi contigui. Se la pavimentazione è di tipo impermeabile, il drenaggio avviene per ruscellamento. In questo caso, data la scarsa pendenza superficiale (intorno allo 0,5%), è necessario curare particolarmente la planarità della superficie, per evitare che si formino zone di ristagno. Lo smaltimento delle acque avverrà con dei collettori di raccolta (canalette) o mediante apposite caditoie. Piste (atletica leggera) Nelle piste realizzate in materiale drenante, il piano di fondazione viene realizzato con una pendenza, verso l’interno della pista, del 2-4%, dove uno strato drenante convoglia l’acqua verso una tubazione di drenaggio che corre lungo il bordo della pista. L’acqua di ruscellamento viene raccolta da una canaletta che può essere esterna alla pista o integrata nel bordo della pista stessa, e da qui defluisce verso la tubazione di drenaggio attraverso le caditoie. Nelle piste in materiale sintetico, in cui si voglia mantenere la continuità della superficie della pista con le lunette, si realizza un collettore di raccolta inserito nella pavimentazione, dove l’acqua defluisce attraverso un’asola larga al massimo 2 cm. Da questo collettore l’acqua passa alla tubazione di drenaggio attraverso caditoie. Complessi sportivi Normalmente l’impianto di drenaggio non è destinato a servire un solo campo, ma più aree sportive di tipo diverso, nonché tutte le aeree di servizio del complesso sportivo: tribune, strade, servizi, ecc. La scelta dello schema di drenaggio viene quindi fatta tenendo conto della funzionalità complessiva e del costo dell’impianto, integrando le singole reti tra loro. Occorre comunque assicurare un perfetto smaltimento delle portate e, anche per eventi eccezionali, evitare fenomeni di rigurgito a danno delle reti di drenaggio dei campi.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. IVI B.4.8NTI SPORT IMPIA ERTO P ALL’A
B 163
B.4. 8.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI IMPIANTI SPORTIVI ALL’APERTO
•
IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT
➦ SUPERFICI SPORTIVE: PAVIMENTAZIONI, IRRIGAZIONE, DRENAGGIO FIG. B.4.8./1. COMPLESSO POLIVALENTE DI ATLETICA LEGGERA ALL’APERTO (compatibile con il gioco del calcio)
B 164
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT IMPIANTI SPORTIVI ALL’APERTO
•
B.4. 8. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.4.8./2. QUADRO DI CORRELAZIONE TRA ATTIVITÀ SPORTIVE (DI DIVERSO LIVELLO AGONISTICO) E TIPI DI PAVIMENTAZIONE UTILIZZABILI
TAPPETI SPECIALI 3
3
2
3
3
3
3
MANTI ERBOSI ARTIFICIALI
3
2
2
3
BOXE
1
MUSCOLAZIONE CON PESI
3
1
2
2
2
2
2
3
2
3
1
3
3
3
3
3
3
3
3
1
2
2
2
2
2
2
2
SCHERMA
1
2 2
1
3
1
3
2
1
2
3
3 1
1
CALCIO
3
2
2
HOCKEY
3
1
3
3
3
1 1
PALLACANESTRO PALLAVOLO 3
3
2
1
1
3
3
3
3
3
3
3
3
2
1
3
2
1
1
2
2
2
2
2
2
2
2
2
1
3
2
1
1
2
2
2
2
2
2
2
2
2
1
2
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
1
2
3
3
PATTINAGGIO, HOCKEY SU GHIACCIO
3
3
BOB
3
3
3
POLO
3
3
3
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
3
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
3
SPORT DELLA NEVE
2
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
2
HANDBALL
SPORT ACQUATICI
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
3 2
SU STRADA
3
SU PISTA
3
SPORT CON PATTINI A ROTELLE
2 2
SPORT NAUTICI SPORT A MOTORE
1
1
3
TENNIS
SPORT DELLA BICICLETTA
URB
2
RUGBY
EQUESTRI
G.ANISTICA
3
CON ATTREZZI
SPORT COL CAVALLO
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
2
A CORPO LIBERO
SPORT DEL GHIACCIO
F. TERIALI,
3
PESISTICA
GOLF
CO NTALE AMBIE
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
LOTTE
BASEBALL
D.GETTAZIONE E.NTROLLO
3
LANCIO GIAVELLOTTO
SPORT CON LA PALLA
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
FELTRI IN FILATO SINTETICO
3
ELEM. PREFAB. IN MATERIA PLASTICA
2
RESINE EPOSSIDICHE
3
LATTICI DI GOMMA
3
LINOLEUM
MULTISTRATI
3
PVC
GRANULARI POROSI
3
GOMMA
GRANULARI COMPATTI
CONGLOMERATO BITUMINOSO
2
C.RCIZIO
3
LANCIO PESO, DISCO, MARTELLO
GINNASTICA
CONGLOMERATO BITUMINOSO MODIF.
3
SALTI
ATLETICA PESANTE
GRANIGLIATO
MASSETTO CONTINUO
NATURALE
ARTIFICIALE
ARTIFICIALE
NATURALE
STABILIZZATA 2
ELASTOMERI OMOGENEI (POLIURETANI)
CORSA CAMPESTRE
NATURALE
CORSA PIANA SU PISTA
COLTIVATO
SPORT
ATLETICA LEGGERA
NATURALE
3. ATTIVITÀ AGONISTICHE DI LIVELLO NAZIONALE E INTERNAZIONALE
CONGLOMERATO CEMENT. POROSO
2. ATTIVITÀ AGONISTICHE NON A LIVELLO NAZIONALE (ESERCITO SPORTIVO, COMPETIZIONI LOCALI )
I ED PRE NISM ORGA
MATERIALI SINTETICI
MATERIALI BITUMINOSI ED ASFALTOIDI
MATERIALI CEMENTIZI
LEGNO
GHIACCIO
NEVE
ACQUA
1. ATTIVITÀ NON AGONISTICHE, DI LIVELLO FORMATIVO, RICREATIVO, AMATORIALE
GRUPPI DI SPORT
B.STAZIONI DILEGIZLII
)
TERRA
INDICATORI DI LIVELLO AGONISTICO
MANTO ERBOSO
(
3
2
2
2
2
3 AUTOMOBILISMO MOTOCICLISMO MOTOCROSS
2 3
3
3
. IVI B.4.8NTI SPORT IMPIA ERTO P ALL’A
B 165
B.4. 8.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI IMPIANTI SPORTIVI ALL’APERTO CAMPI ALL’APERTO FIG. B.4.8./3 SISTEMI DI IRRIGAZIONE DEI CAMPI SPORTIVI
B 166
•
IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT IMPIANTI SPORTIVI ALL’APERTO
B.4. 8. A.ZIONI
FIG. B.4.8./4 OPERE DI DRENAGGIO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. IVI B.4.8NTI SPORT IMPIA ERTO P ALL’A
B 167
B.4. 9.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT IMPIANTI SPORTIVI PER ATTIVITÀ NATATORIE STRUTTURE DEGLI IMPIANTI PER ATTIVITÀ NATATORIE – GENERALITÀ (Estratto dalle Norme CONI per l'impiantistica sportiva approvate dalla G.E. del CONI con deliberazione n.851 del 15 luglio 1999) Le prescrizioni che seguono sono riferite sia agli impianti al chiuso che, per quanto applicabili, a quelli all'aperto.
SETTORE DELLE ATTIVITÀ NATATORIE 1. Vasche nuotatori (per attività previste dalla Federazione Italiana Nuoto) Le caratteristiche dovranno essere conformi alle specifiche tecniche della Federazione Italiana Nuoto ovvero alle norme FINA, in relazione al tipo e al livello di attività previsto. Perimetralmente le vasche, almeno sui lati lunghi, dovranno essere dotate di canalette di raccolta delle acque di tracimazione distinte e indipendenti dai sistemi di smaltimento delle acque di lavaggio del vano vasche. Nel caso di ristrutturazioni potranno essere mantenuti sistemi diversi di tracimazione nei limiti previsti dalle norme igieniche. La temperatura dell'acqua delle vasche non dovrà essere inferiore a 24°C (preferibili 26-28°C). Per le competizioni dovranno essere adottate le temperature previste dalle norme FIN e FINA. 2. Vasche non nuotatori (avviamento al nuoto, bambini) Le caratteristiche dimensionali verranno stabilite in relazione al tipo di attività; dovranno essere previsti sistemi di raccolta delle acque di tracimazione analoghi a quelli delle vasche nuotatori. La temperatura dell'acqua delle vasche non dovrà essere inferiore a 26°C (preferibili 28-29°C).
Gli spogliatoi a servizio delle vasche potranno essere utilizzati anche per altri spazi sportivi accessori dell’impianto piscina (palestre, campi all’aperto...) purché siano soddisfatti i requisiti igienici della separazione dei percorsi verso il piano vasche e la presenza del presidio di bonifica prima dell'accesso al piano vasche medesimo. In caso di contemporaneità d’uso, il dimensionamento degli spogliatoi sarà effettuato sommando al numero degli utenti dell’impianto piscina quello degli utenti delle altre attività, eventualmente ridotto del 50%. In ogni caso dovrà essere prevista la fruibilità degli spogliatoi da parte dei disabili. 5. Docce atleti Dovranno essere realizzate in apposito locale con accesso dai disimpegni della zona piedi nudi, preferibilmente tramite locale filtro, eventualmente in comune con il locale filtro dei servizi igienici. Dovrà essere prevista almeno una doccia ogni 30 mq di vasche servite. Nel caso di dimensionamento ridotto dei posti spogliatoio, potrà essere adottata una corrispondente riduzione delle docce . In ogni caso dovranno essere realizzate almeno n.2 docce per lo spogliatoio maschile e n.2 docce per quello femminile di cui almeno una, per ciascuno degli spogliatoi, accessibile ai disabili. 6. Servizi igienici atleti • Dovranno avere accesso dai disimpegni della zona piedi nudi tramite locale di disimpegno (anti wc).
3. Piano vasche L'accesso al piano vasche dovrà avvenire tramite passaggio obbligato non eludibile, conforme alla vigente normativa d'igiene, dotato di vasca lava piedi con liquido disinfettante. Il rientro dal piano vasche verso i servizi potrà avvenire tramite accesso unidirezionale. I diversi passaggi dovranno essere privi di barriere architettoniche; dovrà essere previsto l’ingresso in vasca dei disabili motori. Perimetralmente a ciascuna vasca dovranno essere realizzate banchine di idonea larghezza per garantire la sicurezza degli utenti e la funzionalità sportiva. In ogni caso la distanza minima di ostacoli fissi dal bordo vasca dovrà essere non inferiore a 1.50 m. Per garantire una sufficiente funzionalità sportiva la larghezza del bordo vasca dovrà risultare, preferibilmente, non inferiore a: • per le vasche fino a 33,33 m: 2,50 per i lati lunghi e 4 m per quelli corti e per il distacco tra vasche contigue; • per le vasche da 50 m: 3,50 sui lati lunghi e 6 m per quelli corti e per i distacchi tra vasche contigue. Attorno alle vasche dovranno essere previsti spazi comunque distribuiti ma connessi direttamente agli specchi d'acqua, aventi superficie complessiva non inferiore alla metà di quella delle vasche servite. Per assicurare una sufficiente funzionalità sportiva tale superficie dovrà preferibilmente essere almeno pari alla superficie delle vasche servite per gli impianti al chiuso e almeno al doppio della superficie delle vasche servite per gli impianti all’aperto.
• Saranno dimensionati in ragione di almeno un wc e un orinatoio ogni 150 m2 di vasche servite, per gli uomini; di almeno un wc ogni 100 m2 di vasche servite per donne. • Nei servizi igienici destinati agli uomini, coppie di orinatoi possono essere sostituiti da un wc. • Nel caso di dimensionamento ridotto dei posti spogliatoio, potrà essere prevista una analoga riduzione nel numero dei wc. In ogni caso dovranno essere realizzati almeno un wc e un orinatoio per gli uomini e due wc per le donne. • Almeno un wc per gli uomini e uno per le donne, computabili nel numero complessivo occorrente, dovranno risultare fruibili dai disabili. 7. Deposito abiti Potrà essere realizzato in apposito locale (in comunicazione con la zona piedi calzati, per la consegna delle stampelle e con quella a piedi nudi per il ritiro degli abiti), ovvero costituito da armadietti da posizionare negli spogliatoi comuni (per gli utenti di questi ultimi) o nei disimpegni della zona a piedi nudi (per gli utenti delle cabine singole o degli spogliatoi comuni), ovvero di tipo misto tra i suddetti. In relazione a particolari destinazione dell'impianto potranno essere realizzati anche appendiabiti nei locali spogliatoio comuni, secondo le indicazioni della FIN Orientativamente il numero complessivo di posti appendiabiti e/o armadietti, dovrà essere non inferiore al doppio dei posti spogliatoio serviti. Dovrà essere assicurata la fruibilità da parte dei disabili. 8. Deposito attrezzi
SETTORE DELLE ATTIVITÀ DI SUPPORTO 4. Spogliatoi atleti (bagnanti) I posti spogliatoio potranno essere raggruppati in locali comuni (spogliatoi comuni) o essere del tipo singolo (cabine a rotazione); gli spogliatoi in locale comune non potranno essere utilizzati anche come elementi di percorso di altri spogliatoi. Per ragioni igieniche, gli spogliatoi dovranno costituire elemento di separazione tra i percorsi effettuati in abbigliamento normale (percorsi a piedi calzati) e quelli in abbigliamento sportivo (percorsi a piedi nudi). Saranno inoltre suddivisi per uomini e donne, con separati servizi igienici, docce e percorsi a piedi nudi fino al passaggio obbligato. Il numero di posti spogliatoio dovrà risultare non inferiore a 1/9 della superficie, espressa in metri quadrati, delle vasche servite; si consiglia di realizzare almeno il 25% dei posti spogliatoio mediante cabine a rotazione; ai fini della valutazione dei posti spogliatoio le cabine a rotazione possono essere valutate pari a 1.5 posti spogliatoio. Riduzioni al dimensionamento dei posti spogliatoio, fino a un massimo del 50%, sono consentite per utilizzazioni in cui il numero di utenti sia inferiore a quello massimo consentito dalle vigenti normative d'igiene per lo specchio d'acqua servito. In ogni caso dovrà essere previsto un numero di posti spogliatoio non inferiore al numero massimo di utenti contemporanei previsto.
B 168
La superficie sarà tale da consentire l'immagazzinamento delle attrezzature mobili; indicativamente è consigliabile una superficie di 1/20 di quello delle vasche servite, con eventuale suddivisione in più unità. 9. Spogliatoi giudici di gara/istruttori Il dimensionamento sarà effettuato in relazione al tipo e al livello di attività svolta; in ogni caso dovrà essere previsto almeno un locale per gli uomini e uno per le donne. Almeno un locale con relativi servizi dovrà risultare accessibile ai disabili. 10. Spogliatoi per il personale Saranno previsti in relazione al tipo e importanza dell'impianto. Preferibilmente dovranno essere realizzati almeno due locali spogliatoio dimensionati per almeno due posti spogliatoio con relativo wc, doccia e lavabo, fruibili dai disabili motori. 11. Impianti di depurazione Dovrà essere previsto un impianto di depurazione e di rinnovo dell'acqua delle vasche conforme alle vigenti normative.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT IMPIANTI SPORTIVI PER ATTIVITÀ NATATORIE
B.4. 9.
SETTORE DELLE ATTIVITÀ SPORTIVE – NUOTO
A.ZIONI
La pratica del nuoto, nelle sue diverse articolazioni, in particolare per quanto attiene all’attività agonistica, è regolata dalla Federazione Italiana Nuoto (FIN). La progettazione e la costruzione di impianti per la pratica del nuoto devono rispettare i requisiti fissati dalla FIN:”Regolamento tecnico e norme integrative”. Di seguito se ne richiamano dati e specificazioni essenziali.
LA VASCA (PER IL NUOTO) Specificazioni per piscine nelle quali sono organizzati i Giochi Olimpici, i Campionati del Mondo, i Campionati Europei, i Giochi regionali (intesi come regione comprendente diversi Stati nazionali) e tutte le competizioni internazionali. a. Lunghezza: 50,00 m; • 50,03 m qualora i pannelli dell'impianto di cronometraggio elettronico automatico siano asportabili. • 50,00 m qualora detti pannelli siano installati permanentemente in corpo unico con la vasca. • Tolleranze dimensionali. Rispetto alla lunghezza nominale di 50 m è ammessa una tolleranza di 0,03 m nell'intervallo compreso tra 30 cm al di sopra e 80 cm al di sotto della superficie dell'acqua. b. Larghezza: 21,00 m (minimo). c. Profondità: mai inferiore ai 1,80 m (per iGiochi Olimpici e Campionati del Mondo). d. Pareti. • Devono essere parallele e verticali. • Le pareti di testata devono formare angoli retti con la superficie dell'acqua e devono essere costruite con materiale solido, con una superficie antisdrucciolevole che si estende fino a 0,80 m al di sotto della superficie dell'acqua al fine di permettere al concorrente di toccare e di darsi la spinta in virata senza pericolo. e. Pannelli elettronici prendi-tempi • Le dimensioni minime dei pannelli dovranno essere di 240 x 90 x 1 cm e dovranno estendersi da 30 cm al di sopra e 60 cm al di sotto della superficie dell'acqua. • L'equipaggiamento elettronico di ogni corsia dovrà essere allacciato separatamente, in modo da poter essere controllato in modo indipendente. La superficie dei pannelli di contatto dovrà essere di colore vivace e dovrà portare le strisce di segnalazione prescritte per le pareti terminali.
SISTEMI INDICATORI • Indicatori di virata a dorso Alla distanza di 5.00 m da ciascuna parete terminale devono essere installati festoni di bandierine sospesi trasversalmente alla vasca all'altezza di 1,80 m al di sopra della superficie dell'acqua, con l'ausilio dei supporti fissi. • Indicatore di falsa partenza (festone di bandierine) deve essere sospeso trasversalmente alla vasca, tramite supporti dotati di un meccanismo di rapido sganciamento, alla distanza di 15,00 m dalla linea di partenza.
• Devono essere di colore scuro e contrastante, poste sul fondo della vasca al centro di ogni corsia. • Larghezza minima: 0,20 m massima: 0,30 m lunghezza 46 m. • Ciascuna striscia deve terminare a 2,00 m dalle pareti terminali della vasca con una striscia perpendicolare della stessa larghezza e lunga 1,00 m. • La distanza tra gli assi di ogni striscia segna-corsia deve essere di 2,50 m. • Strisce indicatrici di arrivo devono essere tracciate sulle pareti terminali o sui pannelli di cronometraggio elettronico al centro di ogni corsia, con la stessa larghezza della striscia segna-corsia. Esse devono estendersi senza interruzione dal bordo superiore della vasca fino al fondo della vasca stessa. • A 0,60 m sotto la superficie dell'acqua, perpendicolarmente alla striscia indicatrice d'arrivo e misurando dal punto centrale di questa, deve essere posta una linea trasversale lunga 0,50 m. • Sul pannello di cronometraggio la linea trasversale deve essere tracciata a 0,30 m al di sotto del livello dell'acqua. LIVELLO DELL’ACQUA • Durante la gara, l'acqua della vasca deve essere mantenuta a livello costante, senza movimenti apprezzabili. • In osservanza ai regolamenti igienico sanitari in vigore nei diversi Paesi, sono ammessi l'immissione e lo scarico dell'acqua, in modo però da non provocare correnti o turbolenze apprezzabili. ILLUMINAZIONE • L'intensità luminosa al di sopra dei blocchi di partenza e delle pareti di virata non deve essere inferiore a 100 Lux. DISTANZA DI SEPARAZIONE TRA LA PISCINA PER IL NUOTO E LA VASCA DEI TUFFI
g. Canalette di scarico • Canalette di scarico possono essere situate lungo le quattro pareti della vasca. • Nel caso che le canalette siano situate sulle pareti di testata della vasca, devono poter permettere l'installazione dei pannelli di cronometraggio all'altezza richiesta di 0,30 m al di sopra della superficie dell'acqua. • Le canalette devono essere coperte da una griglia o da uno schermo adeguato. • Le canalette devono essere equipaggiate da valvole regolabili al fine di mantenere costante il livello dell'acqua.
NORME INTEGRATIVE
• Numero delle corsie: 8. • Larghezza delle corsie: 2,50 m ciascuna, con 2 spazi di 50 cm (0,50 m) ciascuno all'esterno delle corsie 1 e 8; un separatore di corsia dovrà separare questi spazi rispettivamente dalle corsie 1 e 8. • Separatori di corsia destendersi per l'intera lunghezza del percorso ed essere assicurati alle pareti terminali con ganci incassati in nicchia a parete. • Ogni separatore di corsia dovrà essere costituito da galleggianti a contatto tra di loro, con diametro compreso tra 0,05 m e 0,11 m. • Il colore dei galleggianti, per una distanza di 5,00 m da ciascuna parete terminale, dovrà essere di colore diverso da quello degli altri galleggianti. BLOCCHI DI PARTENZA • L'altezza dei blocchi dalla superficie d'acqua deve essere compresa tra 0,50 e 0,75 m. • La superficie minima dei blocchi è pari a 0,50 x 0,50 m. • La superficie deve essere rivestita con materiale antisdrucciolevole e l'angolo massimo di inclinazione non potrà superare i 10 gradi. • Le maniglie per la partenza a dorso devono essere installate tra 0,30 e 0,60 m al di sopra della superficie dell'acqua in senso orizzontale e verticale; devono essere inoltre parallele alla superficie della parete terminale e non devono sporgere rispetto a essa. • Ogni blocco di partenza deve essere distintamente numerato su tutti e 4 i lati e chiaramente visibile ai giudici di gara. Il blocco n.1 sarà posto a destra di chi guarda dalla testata di partenza verso la vasca.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
FASCE SEGNACORSIA
f. Scalini di appoggio • Lungo le pareti della vasca sono ammessi scalini di appoggio, posti a non meno di 1,20 m al di sotto della superficie dell'acqua con larghezza compresa tra 0,10÷0,15 m.
CORSIE E SEPARATORI DI CORSIA
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
• minimo 5,00 m.
1. Per lo svolgimento di manifestazioni omologabili in Italia sono ammessi campi di gara con le seguenti caratteristiche: a. Lunghezza tipo A – 50,00 m tipo B – 33,00 m tipo C – 25,00 m Tolleranze dimensionali: è ammessa una maggiorazione di tali lunghezze non superiore a 3 cm in totale, al di fuori della fascia compresa tra 0,80 m al di sotto e 0,30 m al di sopra della superficie dell'acqua. Tutti i dati dimensionali indicati sono validi anche in presenza di attrezzature, fisse o asportabili, per il cronometraggio elettronico. b. Larghezza Deve essere determinata in funzione del numero di corsie previste; è comunque consigliabile adottare le larghezze minime seguenti: tipo A – 21,00 m tipo B – 15,00 m tipo C – 10,00 m c. Profondità (per tutti i tipi): • minima 1,10 m; • consigliata 1,80 m (minimo 1,30); • minima consigliata per vasche anche per attività di pallanuoto: 1,50 m. • La pendenza del fondo della vasca in senso trasversale non deve superare il 2% (due per cento). 2. Ogni campo di gara regolare viene diviso in corsie mediante cordate di galleggianti tese tra le pareti terminali. Le corsie devono avere una larghezza minima di 2,00 m e massima di 2,50 m; devono essere numerate su entrambe le testate. È consigliabile realizzare due corsie frangiflutti lungo le pareti laterali della vasca, della larghezza di 0,50 m. I separatori di corsia devono essere realizzati con cordate di galleggianti ed estendersi per l'intera lunghezza del campo di gara ed essere assicurati alle pareti terminali con dispositivi di aggancio incassati in nicchia: ogni cordata dovrà essere composta di galleggianti a contatto tra loro di diametro compreso tra 5 e 11 cm. Il colore dei galleggianti che formano i due tratti estremi, per la lunghezza di 5,00 m, deve essere diverso da quello degli altri galleggianti.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. IVI B.4.9NTI SPORT TATORIE IMPIATTIVITÀ NA PER A
B 169
B.4. 9.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT IMPIANTI SPORTIVI PER ATTIVITÀ NATATORIE ➦ SETTORE DELLE ATTIVITÀ SPORTIVE – NUOTO FIG. B.4.9./1 PISCINE – IMPIANTI PER IL NUOTO – GARE OLIMPICHE E NAZIONALI (F.I.N.A.)
B 170
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT IMPIANTI SPORTIVI PER ATTIVITÀ NATATORIE
B.4. 9. A.ZIONI
FIG. B.4.9./2 NUOTO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. IVI B.4.9NTI SPORT TATORIE IMPIATTIVITÀ NA PER A
B 171
B.4. 9.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT IMPIANTI SPORTIVI PER ATTIVITÀ NATATORIE SETTORE DELLE ATTIVITÀ SPORTIVE: TUFFI La pratica dei tuffi, e in particolare l’attività agonistica relativa, sono regolati dalla FIN La progettazione e la costruzione degli impianti per l’attività sportiva dei tuffi devono corrispondere ai requisiti fissati dalla FIN: “Tuffi, regolamento tecnico”, del quale di seguito si riportano le disposizioni essenziali.
PIATTAFORME • Le piattaforme devono essere rigide. • Le dimensioni minime della piattaforma sono: Piatt. da 0,6 m a 1,0 m:
largh. 0,6 m – lungh. 5,0 m
TRAMPOLINI
Piatt. da 2,6 m a 3,0 m:
largh. 1,5 m – lungh. 5,0 m
• I trampolini devono essere omologati da competenti Organi Federali e devono avere una lunghezza minima di 4,80 m e una larghezza di 0,50 m.
Piatt. da 7,5 m:
largh. 1,5 m – lungh. 6,0 m
Piatt. da 10,0 m:
largh. 2,0 m – lungh. 6,0 m
• I trampolini devono essere rivestiti per l'intera lunghezza di uno strato antisdrucciolevole, e sono soggetti all'approvazione degli Organi Federali. • I trampolini per i giochi olimpici, i campionati del mondo e le manifestazioni internazionali dovranno essere provvisti di fulcro mobile facilmente regolabile dal tuffatore. • La distanza tra la piattaforma di sostegno e l'intradosso del trampolino (della tavola) deve essere di 0,25 m almeno misurata quando il fulcro a rullo (lungo 0,75 m) si trova a 0,25 m dal bordo anteriore della piattaforma di sostegno. Per ogni 0,05 m addizionali di distacco dal bordo anteriore la distanza sopra detta deve essere aumentata di 0,005 m. • La minima distanza consigliata tra bordo posteriore del trampolino e l'asse del fulcro a rullo è indicata dalla casa costruttrice del trampolino. • Le gare dal trampolino nei Giochi Olimpici, Campionati del Mondo e nella Coppa del Mondo FINA, saranno effettuati da 1 a 3 m. • I trampolini devono essere installati allo stesso livello quando il fulcro mobile è centrato. • I trampolini saranno collocati su uno o entrambi i lati delle piattaforme.
• Lo spessore del bordo frontale della piattaforma dovrà essere al massimo di 0,20 m e potrà essere verticale o inclinato con un angolo non maggiore di 10 gradi dalla verticale interna (linea a piombo). • La superficie e il bordo, frontale della piattaforma dovrà essere ricoperto con materiale antisdrucciolevole ed è soggetto all'approvazione degli Organi Federali. • Il bordo frontale delle piattaforme da 10,0 e 7,5 m dovrà sporgere almeno 1,5 m rispetto al bordo della vasca. Per le piattaforme da 2,6-3 e 5 m è accettabile una sporgenza di almeno 1,5 m e per piattaforme da 0,6 e 10 m la sporgenza accettabile è di 0,75 m. • Nel caso di piattaforme direttamente sovrapposte, la piattaforma superiore deve sporgere da 0,75 a 1,50 m oltre ogni altra piattaforma sottostante. • Il retro e i lati di ciascuna piattaforma (eccetto quelle da m. 1) saranno circondati da ringhiere con uno spazio libero fra l'una e l'altra di almeno 1,80 m. L'altezza minima sarà di 1 m e ci saranno almeno due barre trasversali poste al di fuori della piattaforma a cominciare da 0,8 m dal bordo frontale della piattaforma. • Ogni piattaforma deve essere accessibile per mezzo di scale adeguate (non a pioli). • Le dimensioni "C" dalla verticale adiacente nella tabella di fig. B.4.8.3. si applicano alle piattaforme la cui larghezza è come indicato in dettaglio nella regola. • È preferibile che una piattaforma non sia costruita direttamente sotto alcuna altra piattaforma.
B 172
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT IMPIANTI SPORTIVI PER ATTIVITÀ NATATORIE
B.4. 9. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.4.9./3 IMPIANTI PER I TUFFI (FINA)
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
CLASSI DI VASCHE PER TUFFI - DIMENSIONI E DOTAZIONE DI PIATTAFORME E TRAMPOLINI TIPO A
TIPO B
TIPO C
C.RCIZIO
D.GETTAZIONE
11,75 m
15,00 m
15,00 m
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO 16,00 m
19,90 m
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
10,00
7,00
7,00
5,00
5,00
5,00
3,00
3,00
3,00
1,00 0,00
1,00 0,00
1,00 0,00
G.ANISTICA URB 4,00
5,00 m
5,00 m
10,00
A - VASCA PER ALTE PRESTAZIONI (NORME F.I.N., F.I.N.A.) PREVEDE LA PRESENZA DI: - DUE TRAMPOLINI PER TIPO (T1, T3) - UNA PIATTAFORMA PER OGNI TIPO O ALTEZZA (P1, P3, P4, P5, P7,5, P10)
CO NTALE AMBIE
11,50 m
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
C - ATTIVITA' FORMATIVE E DI EDUCAZIONE SPORTIVA
B - ATTIVITA' AGONISTICHE PREVEDE LA PRESENZA DI: - UN TRAMPOLINO PER OGNI TIPO - UNA PIATTAFORMA PER OGNI TIPO O ALTEZZA
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
RIFERIMENTI METRICI E DIMENSIONALI DIMENSIONI DEI TRAMPOLINI TI - LUNGHEZZA 5,00 M T3 - LUNGHEZZA 5,00 M
NEL POSIZIONAMENTO DEI TRAMPOLINI E DELLE PIATTAFORME DEVONO ESSERE RISPETTATE LE MISURE "MINIME" O "CONSIGLIATE" INDICATE DALLA F.I.N.A., TALI DATI SONO ORDINATI IN TABELLA NELLA PAGINA PRECEDENTE CON RIFERIMENTO AI RICHIAMI DEGLI SCHEMI GRAFICI SOTTOSTANTI: - DISTANZE DAL FONDO E DALLE PARETI LATERALI DELLA VASCA, - DISTANZE RECIPROCHE TRA TRAMPOLINI E PIATTAFORME, - PROFONDITA' DELL'ACQUA, - ALTEZZA LIBERA DEL SOFFITTO, ECC.
SCHEMA GRAFICO DI RIFERIMENTO PER I DATI DELLA TAB. B.4.9./ x - FIANCO 30° E
0,50 M 0,50 M
DIMENSIONI DELLE PIATTAFORME P1 - LUNGHEZZA 4,50 M LARGHEZZA P3 - LUNGHEZZA 5,00 M LARGHEZZA P5 - LUNGHEZZA 6,00 M LARGHEZZA P7,5 - LUNGHEZZA 6,00 M LARGHEZZA P10 - LUNGHEZZA 6,00 M LARGHEZZA
0,60 M 1,50 M 1,50 M 1,50 M 2,00 M
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
30°
30° F
G
10,00
F
SOFFITTO 10,00
P10 VERTICALE (LINEA DI FILO A PIOMBO)
C7,5/1
AA
7,50
C10/7,5
C10/3 7,50
P7,5 AA
5,00
C1
C5/1
C10/5 P5
3,00
P3
1,00
T1 A
D
5,00
3,00
T3
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
1,00
P1
T1
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
B3 PELO DELL'ACQUA L
K
FONDO VASCA
C3
B1
J
30°
C5/3 P5
T3
PELO DELL'ACQUA
H
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
SCHEMA GRAFICO DI RIFERIMENTO PER I DATI DELLA TAB. B.4.9./ x - FRONTE
30°
SOFFITTO F
LARGHEZZA LARGHEZZA
M
30°
30°
H
FONDO VASCA
30°
. IVI B.4.9NTI SPORT TATORIE IMPIATTIVITÀ NA PER A
B 173
B.4. 9.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT IMPIANTI SPORTIVI PER ATTIVITÀ NATATORIE SETTORE DELLE ATTIVITÀ SPORTIVE: PALLANUOTO L’attività sportiva-natatoria della Pallanuoto è regolata dalla Federazione Italiana Nuoto (FIN). La progettazione e la costruzione degli impianti destinati a ospitare competizioni di pallanuoto devono rispettare i requisiti fissati dalla FIN: “Pallanuoto, Regolamento tecnico e norme integrative”, di cui si riportano di seguito le disposizioni essenziali. ORGANIZZAZIONE La società sportiva promotrice o l'Ente organizzatore sarà responsabile della esattezza delle misure e delle segnature sul campo di gioco e deve posizionare tutte le attrezzature e fissaggi necessari. Per gli incontri che si svolgono in Italia, si rimanda alle apposite "norme organizzative federali". CAMPO DI GIOCO
Per gli incontri femminili, le dimensioni massime sono fissate in 25 m per la lunghezza e 17 m per la larghezza. Le linee di porta, della metà campo, dell'area di rigore (4 m) e dei due metri, debbono essere chiaramente segnate su ciascuno dei due lati maggiori del campo. I segnali debbono risultare ben visibili durante tutto lo svolgimento della partita. La delimitazione del campo deve essere effettuata alla distanza di almeno 0,30 m dietro ciascuna linea di porta. Un segnale rosso, o di altro colore ben visibile, sarà piazzato sulla "linea di fondo campo", a due metri dall'angolo del campo, dalla parte del giudice di porta per delimitare l'area dove devono sostare i giocatori espulsi. Le dimensioni del campo devono approssimarsi il più possibile a quelle massime indicate. L'arbitro deve avere a disposizione, per tutta la lunghezza del campo, lo spazio necessario per permettergli di seguire facilmente tutte le fasi di gioco. Inoltre, è necessario assicurare ai giudici di porta un posto riservato, che deve trovarsi sul prolungamento della linea di porta.
Diagramma e misure del campo di gioco: PORTE • Larghezze: larghezza massima 20 m; larghezza minima 8 m; larghezza porta 3 m. • Profondità dell’acqua: profondità minima dell'acqua 1 m; profondità raccomandata 1,80 m. • Lunghezze: lunghezza massima 30 m; lunghezza minima 20 m. • Linee, segnali, delimitazioni 1. Delimitazione di fondo campo 2. Linea di porta 3. Linea del fuori gioco (2 m) 4. Linea dell'area di rigore (4 m) 5. Linea di metà campo.
• I montanti e le traverse di una porta di pallanuoto debbono essere costruiti in legno o metallo, o materiale sintetico, a sezione rettangolare, della misura di 0.75 (7 cm e mezzo) di larghezza e verniciati in tinta unita visibilissima, di colore bianco. • Le porte debbono essere fissate sui limiti del campo di gioco con sistema rigido a uguale distanza dalle due linee laterali e alla distanza minima di 0,30 m da qualsiasi ostacolo. • Se nel campo esiste una piattaforma od una sporgenza (a eccezione del fondo della piscina) che permetta al portiere di aggrapparsi o di riposare, tale irregolarità deve essere eliminata, oppure la disposizione delle porte deve essere effettuata in modo da rendere impossibili tali vantaggi. • La larghezza delle porte è di 3 m, misurati internamente fra i due montanti. • La traversa o sbarra trasversale deve essere a 0,90 m dal pelo dell'acqua quando la profondità di questa è di 1,50 m al minimo, e a 2,40 m dal fondo quando la profondità dell'acqua è inferiore a 1,50 m. Queste distanze sono misurate sui lati interni dei montanti e della traversa. • Le reti (floscie) debbono essere attaccate ai montanti e alla traversa in modo da chiudere solidamente lo spazio della porta, lasciando tra la linea della porta e la rete di fondo, una distanza minima regolamentare di 0,30 m.
CAMPO DI GIOCO, DIMENSIONI NORME PARTICOLARI PER LA PALLANUOTO IN MARE Per le gare dei Giochi Olimpici, dei Campionati del Mondo e dei tornei internazionali, il campo da gioco avrà le dimensioni massime fissate sopra: • La distanza tra le due linee di fondo (lunghezza) deve essere uniforme di 30 m. • La larghezza del campo di gioco deve essere di 20 m. • La profondità dell'acqua non deve essere in alcun punto inferiore a 1,80 m (preferibilmente 2,00 m). • La temperatura dell'acqua sarà minimo di 24°C e preferibilmente non superiore a 26°C. • L'illuminamento (intensità luminosa) non deve essere inferiore a 1.000 Lux.
• Intorno ai campi in mare aperto, o comunque delimitati da galleggiamenti, dovrà essere mantenuta del tutto sgombra una zona di una larghezza minima di m. 5. • In caso di arbitraggi dalla barca, dovrà essere del tutto sgombro il lato sul quale si trova la barca dell'Arbitro. Sulla barca potranno salire solamente l'Arbitro e il cronometrista. • Le eventuali barche dei giudici di porta, dovranno mettersi a non più di due metri dal lato lungo del campo in mare aperto e dovranno essere lasciate sole per un raggio di due metri. • Le misure e le caratteristiche del campo di gara dovranno rimanere inalterate per tutta la durata del Campionato, così come risultanti dal verbale di omologazione.
Per gli incontri femminili, le dimensioni devono essere: • La distanza massima tra le due linee di fondo (lunghezza) deve essere uniforme di 30 m. • La larghezza massima del campo di gioco deve essere di 17 m. • Linee, segnali, delimitazioni FIG. B.4.9./4b PALLANUOTO (PARTICOLARE)
Un segnale rosso, o di un altro colore visibile, sarà posto sulla "linea di fondo Campo", a due metri dall'angolo del campo di gioco, dal lato del Giudice di porta, (o dal lato opposto a quello del cronometrista se non ci sono dei giudici di porta). I limiti del campo di gioco alle due estremità sono fissati a 0,30 m dietro la linea di porta. Uno spazio sufficiente sarà previsto per permettere all'arbitro di spostarsi liberamente da una estremità all'altra lungo il campo di gioco. Ugualmente è necessario uno spazio riservato ai giudici di porta all'altezza delle linee di porta.
PELO DELL'ACQUA TRAVERSA DA 7,5 CM 30
300 cm 180 cm
NORME INTEGRATIVE Per le manifestazioni che si svolgono in Italia, salvo quanto prescritto dai Regolamenti dei singoli Campionati, è ammesso che le competizioni si svolgano su campi aventi le seguenti dimensioni: FONDO VASCA
• lunghezza uniforme da 30 a 20 m; • larghezza non superiore a 20 m e non inferiore a 8 m.
B 174
270 cm (min.240)
• Bianco per la linea di fondo e la linea mediana; • Rosso per la linea dei 2 m; • Giallo per la linea dei 4 m.
PALLANUOTO - PARTICOLARE DELLA PORTA
90 cm
Segnali distinti dovranno essere posti da ogni lato del campo di gioco per indicare le linee di fondo, le linee dei 2 m e dei 4 m, misurata a partire dalle linee di fondo e la linea mediana tra le linee di fondo. Questi segnali devono restare ben visibili per tutta la durata dell'incontro. Per questi segnali sono raccomandati i seguenti colori standard:
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT IMPIANTI SPORTIVI PER ATTIVITÀ NATATORIE
B.4. 9. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.4.9./4 IMPIANTI PER LA PALLANUOTO (FINA)
VASCHE E CAMPO DI GIOCO DA PALLAVOLO OMOLOGABILI PER GARE OLIMPICHE E INTERNAZIONALI
LA F.I.N.A. INDICA LA TIPOLOGIA DI VASCHE DA 33,33 M (33,33 x 25,00 E 33,33 x 21,00) COME PARTICOLARMENTE IDONEE PER OSPITARE CAMPI DI PALLANUOTO, OLTRE CHE PER GARE DI NUOTO.
LARGHEZZA VASCA = 21÷25 M LARGHEZZA CAMPO DI GIOCO = 20 M
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
VASCA 33,33 M x 25,00 M
30
LIMITE DEL CAMPO DI GIOCO
B.STAZIONI DILEGIZLII
E ESE ESSIONAL PROF
LINEA DI FONDO (SEGNALE BIANCO)
D.GETTAZIONE
LINEA DEI 2 M (SEGNALE ROSSO)
PRO TTURALE STRU
LINEA DEI 4 M (SEGNALE GIALLO)
E.NTROLLO 33,33 m
LE LINEE TRASVERSALI (DEI 2 M, DEI 4 M E MEDIANA) SONO INDICATE DALL'ALLINEAMENTO DEI RISPETTIVI SEGNALI (BANDIERINE)
LUNGHEZZA VASCA 30÷50 M
LUNGHEZZA CAMPO 30 M
LINEA MEDIANA (SEGNALE BIANCO)
VASCA DA 50,00 m
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
3000
VASCA DA 33,33 m
N.B. -
G.ANISTICA URB
25,00 m
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
VASCA 33,33 M. x 21,00 M
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
33,33 m
LINEA DEI 4 M LINEA DEI 2 M PORTA
LINEA DI FONDO LIMITE DEL CAMPO DI GIOCO
30
300 2000
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
LIMITE VASCA DA 33,33 M
DIMENSIONI DEI CAMPI DI PALLAVOLO (F.I.N.A.)
20 m
max. 17 m
8÷20 m
1,80 m
1,50 m
1÷1,80 m
PARTICOLARE DELLA PORTA
20÷30 m
* - PER LE "ALTRE COMPETIZIONI" E IN PARTICOLARE PER I CAMPIONATI NAZIONALI DELLE SERIE MAGGIORI, LE DIMENSIONI DEL CAMPO DOVRANNO AVVICINARSI IL PIÙ POSSIBILE A QUELLE MASSIME FISSATE
PELO DELL'ACQUA
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
TRAVERSA DA 7,5 CM 30
300 cm
FONDO VASCA
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
270 cm (min.240)
LIMITE VASCA DA 21 M
profondità minima
max. 25 m
90 cm
larghezza:
30 m
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
180 cm (min.150)
dist. tra linee di fondo
competizioni competzioni femminili altre *
LIMITE VASCA DA 21 M
competizioni internazionali
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
21,00 m
VASCA DA 21,00 m VASCA DA 25,00 m
➥
. IVI B.4.9NTI SPORT TATORIE IMPIATTIVITÀ NA PER A
B 175
B.4. 9.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT IMPIANTI SPORTIVI PER ATTIVITÀ NATATORIE
FIG. B.4.9./5 VASCA PROMISCUA PER NUOTO, TUFFI, PALLANUOTO
VASCA DA 50 M PER IMPIANTO PROMISCUO NUOTO - TUFFI - PALLANUOTO - IDONEA PER COMPETIZIONI INTERNAZIONALI F.I.N. - F.I.N.A.
10,00 m
7,50 m
LIVELLO DELL'ACQUA
H. BLOCCHI DI PARTENZA SULL'ACQUA 0,5 ÷ 0,75 M
5 M (FIN - FINA)
PROF. MIN. VASCA (F.I.N.) 1,80 M
2,50 m
2,5 m
PEDANE PER TUFFI DA 1 M
2,50 m
2,5 m
PIATTAFORMA PER TUFFI DA 5 M (SOTTO)
2,50 m
2,75 m
MIN. 2,75 .
PIATTAFORMA PER TUFFI DA 10 M
2,5 m 2,5 m
2,50 m
2,5 m
2,50 m
PEDANE PER TUFFI DA 3 M 2,50 m LINEA DIVISORIA DI CORSIA OPZIONALE
0,5
2,00
LINEE MARCATE SUL FONDO (PIASTRELLE SCURE), 0,2 M
1,75 m
MIN.1,9 .
3,50 m
MIN. 2,75. 5,50 m
PIATTAFORMA PER TUFFI DA 7,5 M
21 M (8 CORSIE), 23,50 M (9 CORSIE), 25 M
2,5 m
2,50 m
5,25 m
2,5 m
LINEE DIVISORIE DI CORSIA GALLEGGIANTI, ASPORTABILI
MIN. 3 ,5
0,5
2,50 m
2,00 m
2,5 m
LINEA DIVISORIA DI CORSIA (OPZIONALE)
2,5 m
2,50 m 2,00 m
ZONA DELLE PARTENZE
1,75 m
MIN.2,5 MIN.1,9 .
ZONA DEI TUFFI
MIN. 2,75.
1,8 m
5,00 m
50,03 m *
1m
3,00 m
* LA LUNGHEZZA DELLA VASCA DEVE ESSERE DI 50,03 METRI; L'INCREMENTO DI 3 CM. TIENE CONTO DELLA EVENTUALITÀ DI ISTALLARE PANNELLI PER LA PRESA ELETTRONICA DEI «TEMPI»
50 M (+ 0,03 M) *
B 176
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT IMPIANTI SPORTIVI PER ATTIVITÀ NATATORIE
B.4. 9.
SETTORE DELLE ATTIVITÀ DI SUPPORTO
A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.4.9./6 SETTORE DEI SERVIZI DI SUPPORTO
B.STAZIONI DILEGIZLII
A - PISCINA 50 x 21 M - SETTORE DEI SERVIZI DI SUPPORTO
I ED PRE NISM ORGA
A
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF SETTORE DELLE ATTIVITÀ SPORTIVE b
9 7
6
a
10
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
b
a
10
6
7
8
12
E.NTROLLO
8 3
CO NTALE AMBIE
12
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
2 12 5
5
5
4
5
4
5
D
5
11
1 13
PASSAGGIO OBBLIGATO
2,00 m
SETTORE DELLE ATTIVITÀ SPORTIVE A - VASCA PER NUOTO E PALLANUOTO 50 x 21 M B - VASCA PER NUOTO 25 x 16,66 M C - VASCA BAMBINO 16,66 x 10 M D - GINNASTICA PRE-NATATORIA (PALESTRA O SPAZIO) SETTORE DEGLI IMPIANTI T1- CENTRALE TRATTAMENTO ACQUA T2 - CENTRALE TERMICA
1,20 m
SETTORE DELLE ATTIVITÀ DI SUPPORTO 1 - ATRIO PRATICANTI E ATLETI 2 - CONTROLLO E RILASCIO APPENDIABITI 3 - DEPOSITO ABITI 4 - CABINE SINGOLE A ROTAZIONE 5 - SPOGLIATOI COMUNI 6 - LOCALE DOCCE PRATICANTI E ATLETI 7 - LOCALE WC (CON UNITÀ HANDICAPPATI) 8 - ZONA LAVANDINI 9 - ZONA ORINATOI (SEZIONE UOMINI) 10 - FILTRO USCITA (a) PASSAGGIO OBBLIGATO FILTRO ENTRATA (b) CON BARRA 11 - INGRESSO ISTRUTTORI E PERSONALE 12 - SPOGLIATOI ISTRUTTORI E PERSONALE 13 - PRONTO SOCCORSO
PERCORSI E RELAZIONI 2,00÷3,00 m 1,20 m
PERCORSO PRATICANTI CALZATI PERCORSO PRATICANTI A PIEDI NUDI ZONA CAMBIO CALZATI /PIEDI NUDI PERCORSO ISTRUTTORI E PERSONALE
B - PISCINA 25 x 16,66 M + 16,66 x 10 - SETTORE DEI SERVIZI DI SUPPORTO B
C
D
SETTORE DELLE ATTIVITÀ SPORTIVE b 6
9
a
b 6
10
8
3 5
4
4
5
5
7
MAGAZZINO ATTREZZI
2
7
1 SETTORE UOMINI A - PISCINA 50 x 21 M - SETTORE DEI SERVIZI DI SUPPORTO NUMERO MASSIMO UTENTI CONTEMPORANEI 350 NUMERO POSTI SPOGLIATOI (350/3) 118 SPOGLIATOI SINGOLI A ROTAZIONE (20% x 118) 24 (12 PER UOMINI, 12 PER DONNE) SPOGLIATOI COMUNI (118-24) 94 DOCCE (350/10) 36 (18 PER UOMINI, 18 PER DONNE) WC UOMINI (1 WC E 2 ORINATOI/30 ) 6 WC + 12 ORINATOI WC DONNE (1 WC/20) 9 WC LAVABI (1/30 BAGNANTI) 12 (6 PER UOMINI, 6 PER DONNE)
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
13
8
5
URB
SETTORE DONNE
GETTI D'ACQUA
SETTORE UOMINI
G.ANISTICA
SETTORE DONNE B - PISCINA 25 x 16,66 M + 16,66 x 10 - SETTORE DEI SERVIZI DI SUPPORTO NUMERO MASSIMO UTENTI CONTEMPORANEI 183 NUMERO POSTI SPOGLIATOI (183/3) 61 SPOGLIATOI SINGOLI A ROTAZIONE (20% x 61) 12 (6 PER UOMINI, 6 PER DONNE) SPOGLIATOI COMUNI (61-12) 49 DOCCE (183/10) 18 (9 PER UOMINI, 9 PER DONNE) WC UOMINI (1 WC E 2 ORINATOI/30 ) 3 WC + 6 ORINATOI WC DONNE (1 WC/20) 4 WC LAVABI (1/30 BAGNANTI) 6 (3 PER UOMINI, 3 PER DONNE)
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. IVI B.4.9NTI SPORT TATORIE IMPIATTIVITÀ NA PER A
B 177
B.4. 9.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • IMPIANTI E ATTREZZATURE PER LO SPORT IMPIANTI SPORTIVI PER ATTIVITÀ NATATORIE COMPLESSI NATATORI ALL'APERTO E AL COPERTO FIG. B.4.9./7 COMPLESSI POLIVALENTI CON IMPIANTI AL COPERTO E ALL'APERTO 13
13 VASCA DEI TUFFI ALL'APERTO IMPIANTI TECNOLOGICI (SOTTO IL PERCORSO)
VASCA BAMBINI ALL'APERTO
(T) 16 15,00 m
16 H G
F
15
IMPIANTI NATATORI AL COPERTO
19,90 m
VASCA BAMBINI
17
VASCA PER I TUFFI
14
16
C
B
8,00 m
11,50 m
11,75 m
16,66 m
VASCA 21 x 25 M (NUOTO, PALLANUOTO)
16
15
15
16
14 VASCA 33,33 M. x 25 M (NUOTO, PALLANUOTO)
50,00 m
15
E
A 16
33,33 m
16
16
(D) 17
25,02 m 9
a
b
7
6
10
12 3
9
6
8
7
8
7
8
6
9
3
9
6
8
7
12 12
2 5
17
21,00 m
5
4
1
4
5
5
2
12
5
5
4
1
4
5
5
13 10 LEGENDA
13
SETTORE DELLE ATTIVITÀ SPORTIVE AL COPERTO A - VASCA PER NUOTO E PALLANUOTO COPERTA (33,33 x 25 M) B - VASCA PER I TUFFI COPERTA (11,50 x 11,75 M) C - VASCA PER BAMBINI COPERTA (16,66 x 8,00 M) (D) - PALESTRE PREATLETISMO (SOTTO GRADONATE CENTRALI) SETTORE DELLE ATTIVITÀ SPORTIVE ALL'APERTO E - VASCA PER NUOTO E PALLANUOTO OLIMPIONICA (50 x 21 M) F - VASCA PER TUFFI OLIMPIONICA (15,00 x 19,90 M) G - PICCOLA VASCA PER BAMBINI ALL'APERTO H - SOLARIUM E/O GIARDINO PER LE SPECIFICHE RELATIVE AGLI IMPIANTI DESTINATI ALLE DIVERSE ATTIVITÀ SPORTIVE SI VEDANO LE TAVOLE (FIG.): B.4.8./1., 2. (NUOTO); B.4.8./3., 4.(TUFFI); B.4.8./5. (PALLANUOTO)
B 178
13 SETTORE DELLE ATTIVITÀ DI SUPPORTO 1 - ATRIO PRATICANTI E ATLETI 2 - CONTROLLO E RILASCIO APPENDIABITI 3 - DEPOSITO ABITI 4 - CABINE SINGOLE A ROTAZIONE 5 - SPOGLIATOI COMUNI 6 - LOCALE DOCCE PRATICANTI E ATLETI 7 - LOCALE WC (CON UNITÀ HANDICAPPATI) 8 - ZONA LAVANDINI 9 - ZONA ORINATOI (SEZIONE UOMINI) 10 - FILTRO USCITA (a) PASSAGGIO OBBLIGATO FILTRO ENTRATA (b) CON BARRA 11 - INGRESSO ISTRUTTORI E PERSONALE 12 - SPOGLIATOI ISTRUTTORI E PERSONALE 13 - PRONTO SOCCORSO
SETTORE DEL PUBBLICO 14 - ACCESSO DEL PUBBLICO E CONTROLLO 15 - SERVIZI IGIENICI PER IL PUBBLICO 16 - GRADONATE 17 - VARCHI DI USCITA (USCITE D'EMERGENZA) (T) SETTORE IMPIANTI (SOTTO GRADONATA CENTRALE) PERCORSI E RELAZIONI PERCORSO PRATICANTI CALZATI PERCORSO PRATICANTI A PIEDI NUDI ZONA CAMBIO CALZATI /PIEDI NUDI PERCORSO ISTRUTTORI E PERSONALE PERCORSI DEL PUBBLICO
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI STRUTTURE COMMERCIALI
B.5. 1. A.ZIONI
NORME DI CARATTERE GENERALE DPR del 19 marzo 1956, n.303
NORME DI CARATTERE SPECIFICO Norme generali per l'igiene del lavoro Legge 426/1971
Disciplina del commercio Impartisce i principi generali per l'esercizio dell'attività commerciale e definisce i criteri i limiti e le competenze dei comuni in materia di regolamentazione del commercio (“Piani del commercio”).
DM dell'Industria, commercio e artigianato del 14 gennaio 1972 DM dell'Industria, commercio e artigianato del 28 aprile 1976
NORME IGIENICO-SANITARIE PER I LABORATORI PER LAVORAZIONI E CONFEZIONI ALIMENTARI
DM dell'Industria, commercio e artigianato del 27 giugno 1986
Nel caso di laboratori per il trattamento di sostanze alimentari annessi a Supermercati e Ipermercati con reparti alimentari o annessi a esericizi commerciali in generale che contemplano attività di lavorazione, preparazione e confezionamento di prodotti alimentari, si applica la “Disciplina igienico-sanitaria” di pag. B 181.
Legge 15 luglio 1987, n.303
Costituisce aggiornamento ed integrazione organica della legge 426/1971. Definisce e regola le nuove forme di attività di distribuzione commerciale e in particolare la grande distribuzione al dettaglio e all'ingrosso (centri comerciali all'ingrosso).
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE COMMERCIALI Le strutture commerciali-distributive possono essere classificate in funzione delle modalità di vendita (diretta e assistita o self-service), del tipo di acquirente (consumatore diretto, comunità, dettagliante), della gamma di categorie merceologiche esitate (dal negozi che tratta un solo settore merceologico, al supermercato alimentare, e al grande magazzino a vasto spettro merceologico) e alla dimensione della struttura (supermercato, ipermercato, centro commerciale). SUPERMERCATO
GRANDI MAGAZZINI
• unità di vendita al dettaglio, rivolta ad acquirenti consumatori; • specializzato nella vendita di tutta la gamma merceologica del settore alimentare, integrata dai settori merceologici complementari rivolti alla gestione della vita domestica (casalinghi, detersivi, prodotti per la cura della persona e similari); • svolge anche attività di trattamento, preparazione e confezione delle merci; • modalità di vendita del tipo self-service, spesso integrato da banchi di vendita assistita (carni, pesce, prodotti da forno, salsamenteria ecc.), comunque con pagamento mediante attraversamento di un “filtro” di cassa; • La struttura del supermercato si svolge generalmente su un piano, meno frequentemente su due o più piani e utilizza sia parti di edifici e complessi sia edifici specificamente destinati; • In alcuni casi il supermercato è direttamente collegato a un «grande magazzino», in genere sovrastante, pur avendo comunque accessi, casse e funzionamento autonomo.
• complesso di vendita al dettaglio, rivolta ad acquirenti consumatori; • offre una vasta gamma merceologica – a esclusione del settore alimentare – articolata per reparti: abbigliamento, cancelleria, giochi e regali, articoli sportivi, casalinghi, elettrodomestici, arredamento ecc.; • modalità di vendita del tipo self-service, integrato da forme di vendita assistita (profumeria, calzature, orologeria ecc.), con pagamento a volte mediante attraversamento di un “filtro” di cassa, più spesso presso casse di reparto; • La struttura del supermercato si può svolgere su uno o più piani, e utilizza sia parti di edifici e complessi sia edifici specificamente destinati; • In alcuni casi il Grande magazzino è direttamente collegato a un «supermercato alimentare», in genere sottostante, pur avendo comunque accessi, casse e funzionamento autonomo.
CENTRO COMMERCIALE
IPERMERCATO
CENTRO COMMERCIALE ALL'INGROSSO
• struttura articolata, costituita da più unità di vendita (negozi) – in numero di dieci minimo, all’interno della quale “almeno il 40% della superficie totale di vendita deve essere destinata a esercizi tradizionali e specializzati” (legge 316/1987) –, rivolta ad acquirenti consumatori, “concepita, promossa, realizzata e gestita con criteri unitari da apposita società” (legge 316/1987); • offre una articolazione merceologica determinata dal tipo di esercizi presenti; il centro commerciale “deve essere integrato con attività paracommerciali (per esempio: bar, ristoranti, banche, ufficio postale, agenzie di affari) ed eventualmente extracommerciali (per esempio: teatri, cinema, sala convegni) anche ai fini di una maggiore capacità di attrazione” (legge 316/1987); • modalità di vendita del tipo diretto e assistito, quanto meno per la quota riservata a “esercizi tradizionali e specializzati”; • La struttura del Centro commerciale si articola in un sistema di esercizi, di servizi e attrezzature connessi da una rete di percorsi pedonali e/o gallerie; utilizza complessi edilizi specificamente programmati, progettati e destinati che “devono disporre in misura adeguata di infrastrutture, servizi comuni e parchegg” (legge 316/1987).
• complesso di vendita al dettaglio e/o partite di merce, rivolto a consumatori diretti (in genere selezionati e associati), a comunità e a dattaglianti; • ampio spettro merceologico: dagli alimentari e complementari ( casalinghi, detersivi, prodotti per la cura della persona ecc.) all’abbigliamento per uomo e donna, alla cancelleria, agli elettrodomestici, e all’arredamento; • svolge anche attività di trattamento, preparazione e confezione delle merci; • modalità di vendita del tipo self-service, con pagamento mediante attraversamento di un “filtro” di cassa; • la struttura dell’ipermercato si svolge generalmente su un piano (eccezionalmente due), all’interno di edifici specificamente progettati e destinati, localizzati generalmente nelle fasce suburbane in aree servite da arterie di grande comunicazione e deve essre dotato di ampie superfici di parcheggio; • spesso la struttura comprende ambienti destinati ad attività complementari come ristorante, selfservice, bar, spazi gioco per bambini ecc.
• struttura articolata e complessa di vendita all’ingrosso, rivolta ad acquirenti dettaglianti e a comunità, costituito da più aziende commerciali coordinato e gestito da una organizzazione societaria; • offre una articolazione merceologica determinata dal tipo di aziende presenti; il centro all’ingrosso deve essere integrato con le relative attività amministrative e direzionali nonché da servizi necessari al suo ciclo completo di funzionamento – come: ufficio postale, sportelli bancari, centro elaborazione dati e collegamenti in rete ecc. – e al comfort degli operatori – come: ristorante, self-service, bar ecc. • modalità di vendita del tipo diretto o per campioni, con forme di pagamento di tipo bancario; • La struttura del Centro commerciale all’ingrosso si articola in un nucleo centrale amministrativo e in un sistema di grandi magazzini, contigui o separati, comunque serviti direttamente dalla rete della viabilità interna per il carico e lo scarico delle merci; utilizza complessi edilizi specificamente programmati, progettati e destinati che devono disporre in misura adeguata di infrastrutture, servizi comuni e parcheggi, nonchè di ampi piazzali per lo stazionamento e la manovra di mezzi pesanti.
NEGOZIO • unità di vendita al dettaglio, rivolta ad acquirenti consumatori; • specializzato in categorie merceologiche settoriali o di settori affini e/o complementari; • modalità di vendita del tipo diretto e assistito; recentemente alcuni negozi ricorrono a modi di vendita del tipo self-service o di tipo misto (Minimarket); • la struttura negozio utilizza quasi esclusivamente ambienti preconfigurati volumetricamente facenti parte di edifici o complessi e di dimensioni generalmente contenute.
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. IVI B.4.9NTI SPORT TATORIE IMPIA TIVITÀ NA T PER A IALI . MERC B.5.1TURE COM T U R ST
B 179
B.5. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STRUTTURE COMMERCIALI
•
STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI
➦ CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE COMMERCIALI FIG. B.5.1./1. DATI DI INGOMBRO E RIFERIMENTI ANTROPOMETRICI
60÷90
80
75÷90
75÷90
80
75÷90
120
80
75÷90
150÷180
80
75÷90
AMBITO PER ESPOSIZIONE MERCE E PASSAGGIO
92
80
AMBITO PER ESPOSIZIONE MERCE E PASSAGGIO CON CARRELLO
45÷60 60÷90
AMBITO PER ARMADIO FRIGORIFERO E PASSAGGIO
75÷90
150÷180
141
AMBITO PER ESPOSIZIONE MERCE E DOPPIO PASSAGGIO
45÷60 60÷90
MIN. 90
AMBITO PER VETRINA REFRIGERATA E PASSAGGIO
75÷90
120
75÷90
150÷180
75÷90
141
AMBITO PER ESPOSIZIONE MERCE E DOPPIO PASSAGGIO CON CARRELLO
75÷90
60÷90
MIN. 90
AMBITO PER FRIGORIFERO A ISOLA E PASSAGGI LATERALI
75÷90
AMBITO PER ESPOSIZIONE MERCE E PASSAGGIO PORTATORE DI HANDICAP
75÷90
120÷140
80
75÷90
60÷90
120
BANCO
SCAFFALATURE
80
ESEMPIO DI SPAZI PER ESPOSIZIONE DELLA MERCE CON CORRIDOI TRASVERSALI E LONGITUDINALI
75÷90
75÷90
AMBITO PER ESPOSIZIONE MERCE IN CONTENITORI A ISOLA E PASSAGGI LATERALI
NEGOZIO TRADIZIONALE
B 180
MIN. 90
MAX. 160
75÷90
MAX. 160
80
AMBITO PER BANCONE E PASSAGGIO
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI STRUTTURE COMMERCIALI
A.ZIONI
NORME IGIENICO-SANITARIE PER I LABORATORI PER LAVORAZIONI E CONFEZIONI ALIMENTARI Nel caso di laboratori per il trattamento di sostanze alimentari annesse a Supermercati e Ipermercati con reparti alimentari o annesse a esericizi commerciali in generale che contemplano attività di lavorazione, preparazione e confezionamento di prodotti alimentari, si applica la «Disciplina igienico-sanitaria» di cui alla seguente scheda (estratta dal DPR 26 marzo 1980, n.327). DISCIPLINA DELLA PRODUZIONE E VENDITA DI SOSTANZE ALIMENTARI E BEVANDE – REQUISITI IGIENICI PER STABILIMENTI E LABORATORI (estratti dal DPR 26 marzo 1980, n.327) A. Requisiti minimi obbligatori per gli stabilimenti e laboratori di produzione e confezionamento • L’autorità sanitaria competente deve accertare che gli stabilimenti e i laboratori di produzione, lavorazione e confezionamento, fatti salvi i requisiti stabiliti da leggi o regolamenti speciali, siano provvisti di locali distinti e separati: a) per il deposito delle materie prime; b) per la produzione, preparazione e confezionamento delle sostanze destinate all’alimentazione; c) per il deposito dei prodotti finiti; d) per la detenzione di sostanze non destinate all’alimentazione. • I locali devono essere in numero adeguato al potenziale produttivo e alle caratteristiche dello stabilimento e del prodotto o dei prodotti finiti, con separazioni e attrezzature idonee a garantire l’igienicità dei prodotti in lavorazione. • Tutti i locali ai quali si può accedere dall’interno dello stabilimento o del laboratorio, ivi compresi i locali adibiti ad abitazione od uffici, sono soggetti ad accertamento dei requisiti igienico-sanitari. • Nel caso di imprese che effettuano anche la vendita al dettaglio per il consumo è obbligatorio che le lavorazioni avvengano in banchi diversi da quelli di vendita, con separazioni ed attrezzatura idonea a garantire l’igienicità dei prodotti. • L’autorità sanitaria può consentire in particolari casi, anche in relazione alle esigenze tecnologiche del processo produttivo, che i locali delle lettere a), b), c), d), siano riuniti in un unico locale di adeguata ampiezza.
• L’autorità sanitaria deve inoltre accertare che i predetti locali siano: 1. costruiti in modo tale da garantire una facile e adeguata pulizia; 2. Sufficientemente ampi, cioè tali da evitare l’ingombro delle attrezzature e l’affollamento delle persone; 3. rispondenti ai requisiti razionali sotto il profilo igienico-sanitario, con valori microclimatici atti ad assicurare condizioni di benessere ambientale anche in relazione alle peculiari esigenze di lavorazione: aerabili – naturalmente o artificialmente – sia per prevenire eventuali condensazioni di vapore, sia per evitare lo sviluppo di muffe; con sistema di illuminazione – naturale o artificiale – tale da prevenire, in ogni caso, la contaminazione delle sostanze alimentari; 4. con pareti e pavimenti le cui superfici siano, in rapporto al tipo di lavorazioni, facilmente lavabili e disinfettabili; 5. muniti di dispositivi idonei a evitare la presenza di roditori, od altri animali ed insetti; 6. adibiti esclusivamente agli usi cui sono destinati, secondo quanto indicato nella pianta planimetrica allegata alla domanda di autorizzazione. • Per particolari esigenze di taluni prodotti, quali i formaggi e i salumi, nonché i vini, gli aceti, i liquori e le acquaviti, l’autorità sanitaria competente potrà prescrivere requisiti diversi da quelli di cui ai punti 3) e 4) limitatamente ai locali di conservazione, di stagionatura e di invecchiamento. • Per i depositi di cereali e di prodotti ortofrutticoli non trasformati potrà derogarsi da quanto previsto dal precedente punto 4). • Gli stabilimenti e laboratori di produzione devono essere inoltre provvisti: a) di impianti attrezzature ed utensili riconosciuti idonei sotto il profilo igienico-sanitario e costruiti in modo da consentire la rapida e completa pulizia. Le superfici destinate a venire a contatto con le sostanze alimentari nelle varie fasi di produzione, preparazione e confezionamento, debbono essere in materiale idoneo ai sensi dell’art.11 della legge e relativi decreti di attuazione; b) di depositi o magazzini dotati di attrezzature di refrigerazione idonee alla sosta delle materie prime o dei prodotti finiti, qualora la natura e il tipo di lavorazione degli stessi lo renda necessario;
c) di acqua potabile in quantità sufficiente allo scopo. Ove non sia disponibile una quantità sufficiente di acqua potabile si può ricorrere ad acqua con caratteristiche chimico-fisiche diverse, ma in ogni caso corrispondenti ai requisiti microbiologici e, relativamente alle tolleranze ammesse per le sostanze nocive, a quelli chimici prescritti per le acquepotabili... d) di servizi igienici rispondenti alle normali esigenze igienico-sanitarie, non comunicanti direttamente con i locali adibiti a lavorazione, deposito e vendita delle sostanze alimentari. I locali adibiti a servizi igienici ed il locale antistante dotato di porta a chiusura automatica, debbono avere paretio e pavimenti costruiti in materiale impermeabile e facilmente lavabile e disinfettabile. Ove i procedimenti di lavorazione lo richiedano, deve essere previsto un numero di lavabi, con comando non manuale dell’erogazione dell’acqua, facilmente raggiungibile dal luogo di lavorazione. I gabinetti devono essere a comando non manuale (a pedale o con altri accorgimenti tecnici), con distributori di sapone liquido e con asciugamani elettrici o con asciugamani da cestinare dopo l’uso. Gli spogliatoi devono essere forniti di armadietti individuali lavabili, disinfettabili e disinfestabili, a doppio scomparto per il deposito rispettivamente degli indumenti personali e di quelli usati per il lavoro. Le docce devono essere in numero adeguato a secondo il tipo di lavorazione e il numero di persone addette alla lavorazione; e) di dispositivi per lo smaltimento dei rifiuti, rispondenti alle esigenze dell’igiene sia per lo smaltimento delle acque di rifiuto industriale e delle acque luride, sia dei rifiuti solidi che debbono essere rimossi al più presto dalle aree e dai locali di lavorazione e confezionamento; f) di contenitori di rifiuti e immondizie e, ove necessario di inceneritori od altri mezzi atti ad assicurare lo smaltimento dei rifiuti stessi, posti a congrua distanza dai locali di lavorazione, in aree opportunamente protette. • Laboratori annessi agli esercizi di vendita al dettaglio I laboratori di produzione, preparazione e confezionamento annessi agli esercizi di vendita al dettaglio di sostanze alimentari destinate prevalentemente a essere vendute nei predetti esercizi... devono adeguarsi alle disposizioni del presente articolo, in relazione alle effettive esigenze igieniche dell’attività svolta accertate di volta in volta dall’autorità sanitaria.
REQUISITI DEGLI AMBIENTI DI VENDITA CARATTERISTICHE DEGLI AMBIENTI DI VENDITA 1. Dimensioni degli ambienti di vendita Per il dimensionamento degli ambienti di vendita si applicano le norme eventualmente vigenti per la specifica attività o categoria merceologica e quelle espressamente emanate dai Piani del Commercio comunali. In assenza di specifiche normative di settore, l’altezza degli ambienti di vendita deve essere non inferiore a: • 3,00 ml per i locali di nuova costruzione adibiti ad attività commerciali di grande distribuzione (supermercati e simili); • 2,70 ml per le altre attività commerciali ed in genere per i locali adibiti alla commercializzazione di prodotti o servizi, anche quando facenti parte di edifici destinati a diversa prevalente attività.
B.5. 1.
4. Illuminazione degli ambienti di vendita Gli ambienti di vendita possono essere illuminati con luce naturale o luce artificiale. Anche quando usufruiscano di illuminazione naturale, gli ambienti di vendita devono comunque essere dotati di adeguati impianti di illuminazione artificiale, idonei per intensità e qualità e che non diano luogo a fenomeni di abbagliamento (norma UNI 10380). 5. Soppalchi adibiti ad ambienti di vendita I soppalchi possono essere adibiti ad ambienti di vendita quando presentino le seguenti caratteristiche: a) la superficie del soppalco non sia superiore a 2/3 di quella del locale su cui il soppalco prospetta;
2. Posizione degli ambienti di vendita rispetto al terreno circostante Per la posizione degli ambienti di vendita rispetto al terreno circostante valgono le stesse prescrizioni impartite per gli ambienti di lavoro.
b) le altezze degli spazi soprastanti e sottostanti il soppalco non devono risultare inferiori a 2,40 ml (nel caso di soffitti inclinati si assume l’altezza media, con un altezza minima assoluta di 2,20 ml);
3. Aereazione degli ambienti di vendita Gli ambienti di vendita devono usufruire di aereazione naturale diretta o di adeguato impianto di ventilazione forzata. Nel caso di aereazione naturale diretta, le aperture di aereazione devono presentare superficie non inferiore a quella già prescritta per gli ambienti di. Nel caso di aereazione forzata dovrà essere installato un impianto di ventilazione forzata o di condizionamento che garantisca il ricambio d’aria in conformità alla norma UNI 10339.
c) la profondità del soppalco non deve risultare superiore a 2,5 volte la minore tra le altezze di cui alla lettera precedente. d) I parapetti, le protezioni contro il vuoto, le scale, gli accessi e le uscite dovranno essere conformi a quanto previsto dalla normativa vigente per i normali ambienti di vendita.
➥
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
IALI . MERC B.5.1TURE COM T U R ST
B 181
B.5. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STRUTTURE COMMERCIALI
•
STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI
SUPERMERCATO ALIMENTARE FIG. B.5.1./2 SUPERMERCATO ALIMENTARE – SCHEMA DISPOSITIVO DELLE ATTIVITÀ E DELLE RELAZIONI FUNZIONALI
S2
S2
S4
L2
S2
S2
S3
S2
S3
S2
S3
L3 L1
S4
S1
S1
S1
S1
S1
S1
L3
L1 L
S
S4
L1
M2
A4
M4
M
A3
M3
A2 A
M1
A5
A1
LEGENDA A - ZONA FILTRO CLIENTI A1 - ENTRATA CLIENTI (PREF. PORTE AUTOMATICHE) A2 - FILTRO ENTRATA SELF-SERVICE (BARRIERA CONTAPERSONE) A3 - RITIRO CARRELLI A4 - SISTEMA DELLE CASSE A5 - USCITA CLIENTI (ANTE APRIBILI VERSO ESTERNO)
B 182
S - ZONA SELF-SERVICE S1 - ESPOSITORI SCATOLAME E MERCI CONFEZIONATE
L - ZONA LAVORAZIONI
S2 - ESPOSITORI FRIGORIFERI
L1 - LAVORAZIONI SPECIFICHE LAVORAZIONE CARNI LAVORAZIONE PESCE PREPARAZIONE CONFEZIONI
S3 - "ISOLE"
L2 - CELLE FRIGORIFERE
S4 - VENDITA ASSISTITA BANCO CARNI BANCO PESCE BANCO PANETTERIA BANCO SALSAMENTERIA
L3 - ACCESSO AI BANCHI DI VENDITA ASSISTITA
M - ZONA FILTRO MERCI M1 - ARRIVO MERCI M2 - CARICAMENTO SELF-SERVICE M3 - CONTROLLO E CERNITA M4 - DEPOSITO SCORTE (GIORNALIERE, BREVE PERIODO) PERCORSO CLIENTI PERCORSO MERCI
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI STRUTTURE COMMERCIALI
B.5. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.5.1./3 STRUTTURE PER LA GRANDE DISTRIBUZIONE – DATI DI INGOMBRO DI ARREDI E ATTREZZATURE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
MAX. 160
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
35÷40
83
100
100
PORTABAMBINO
180÷195
RIBALTA
85
F. TERIALI,
80
92
SCAFFALE PER ESPOSIZIONE MERCE
CARRELLI PER ACQUIRENTI
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
ARMADIO FRIGORIFERO A PARETE
G.ANISTICA URB
90
63
120
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
27
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M 120
VETRINA REFRIGERATA A ISOLA
100÷110
60
100÷110
60
100÷110
60
60
100÷110
RITIRO ACQUISTI E INSACCHETTAMENTO
PAGAMENTO
TRASBORDO ACQUISTI DA CARRELLO A BANCO - CASSA
55
100÷110
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
45÷55
60
200÷325
100÷110
VETRINA REFRIGERATA
100÷110
SISTEMA DI RACCOLTA E ACCATASTAMENTO CARRELLI
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
141
45÷55 200÷290 - 235÷325
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
55
30
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
DIMENSIONAMENTO DEI BANCONI DI CASSA E DELLE CORSIE DI USO
DETTAGLIO DEI BANCONI DI CASSA
IALI . MERC B.5.1TURE COM T U R ST
B 183
B.5. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STRUTTURE COMMERCIALI
•
STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI
GRANDI MAGAZZINI FIG. B.5.1./4 GRANDE MAGAZZINO SU PIÙ PIANI – SCHEMA DISPOSITIVO DELLE ATTIVITÀ E DELLE RELAZIONI FUNZIONALI US S2
S2
M8
M7
M6
M1
(CUCINE E SERVIZI: SI VEDA FIG. B.6.2./3 )
M2
S4 S4
M9
M3
S3
S1
M2
S4 S4
M5
S1
M4
S1
M8
M4
S1
U1
US
US B2
B2
S5
S5
B5
B5
B1
B3
B3 C1
C2
U1
B3 C3
M3
S3
B1 U1
C4 U2 C1
B1
C3 C4
B1
B3
B3
C2
U1 U2
B5
B5
B
B1
U1 B1
B4
S6 A
A6
A5
A1
A2
A4 A1
A4 A1
A1
U1
(PER LE DIMENSIONI E LA DISPOSIZIONE DEI TAVOLI NEGLI ESERCIZI PUBBLICI SI VEDA FIG. B.6.2./5, B.6.2./6.)
A6 A3
A3
A2
S6
U1 A5
SCHEMA DISTRIBUTIVO DEL PIANO STRADA
SCHEMA DISTRIBUTIVO DEL PIANO ATTICO (SERVIZI DI RISTORAZIONE E UFFICI) LEGENDA
S2 M2
M5 US
S4 S4 M3
S
S1
S3 B3
S1
B2
B3
B3
M4
B6
B6 B5
B5
B3
B2
B2
B3
B2
B
B3
B2
B3 C1
C2
C3
B3
B1
B2
C4
B3
B1
A B4 B2
B4 B2
B2
SCHEMA DISTRIBUTIVO DEI PIANI SUPERIORI
B 184
B2
B2
A - ZONA FILTRO CLIENTI A1 - ATRIO (NON SEMPRE PRESENTE) A2 - ENTRATA CLIENTI (FILTRO CONTAPERSONE) A3 - PANNELLI-FILTRO DI USCITA (RILEVATORI MAGNETICI) A4 - USCITA CLIENTI (ANTE APRIBILI VERSO ESTERNO) A5 - SPAZIO VETRINE A6 - PRODOTTI IN EVIDENZA E DIMOSTRAZIONI B - SALA DI ESPOSIZIONE E VENDITA B1 - STAND PER VENDITA ASSISTITA (CON BANCO E COMMESSI) B2 - STAND A GOLFO O AD ANGOLO (PRELIEVO DIRETTO DELLE MERCI) B3 - STAND PASSANTE (PRELIEVO DIRETTO DELLE MERCI) B4 - "ISOLE" B5 - CASSE B6 - CABINE DI PROVA (IN PROSSIMITÀ DEL SETTORE "ABBIGLIAMENTO") US - USCITE DI SICUREZZA DIRETTE (P. TERRA) O DALLA SCALA DI SICUREZZA C - COLLEGAMENTI VERTICALI PUBBLICO C1 - SCALA MOBILE DI SALITA C2 - SCALA ORDINARIA DI SALITA C3 - SCALA ORDINARIA DI DISCESA C4 - SCALA MOBILE DI DISCESA S - SERVIZI PER IL PUBBLICO S1 - ASCENSORI S2 - SCALE DI SICUREZZA S3 - DISIMPEGNO CON CUSTODE, TELEFONI, ECC.) S4 - SERVIZI IGIENICI PUBBLICO S5 - BAR E ZONA PER TAVOLI DEL BAR (PIANO ATTICO) S6 - RISTORANTE E/O SELF-SERVICE E ZONA PER TAVOLI (PIANO ATTICO) M - ZONA MERCI E PERSONALE M1 - ACCESSO PERSONALE E MERCI (EVENTUALMENTE SEPARATI) M2 - SCALE RISERVATE AL PERSONALE M3 - ASCENSORE RISERVATO AL PERSONALE M4 - MONTACARICHI M5 - DEPOSITO SCORTE E SPEDIZIONI (E PICCOLI DEPOSITI DI PIANO) M6 - CONTROLLO TRANSITO MERCI M7 - UFFICIO DEL PERSONALE M8 - SPOGLIATOI E SERVIZI DEL PERSONALE M9 - CUCINE E PREPARAZIONI BAR, RISTORANTE, SELF-SERVICE (PIANO ATTICO) U1 - UFFICI DIRETTIVI E AMMINISTRATIVI U2 - SERVIZI IGIENICI DEGLI UFFICI
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI STRUTTURE COMMERCIALI
B.5. 1. A.ZIONI
FIG. B.5.1./5 GRANDE MAGAZZINO SU UN SOLO PIANO – SCHEMA DISPOSITIVO DELLE ATTIVITÀ E DELLE RELAZIONI FUNZIONALI
LEGENDA S3
S2
S2
M4
M3
M1
M2
P1
M
S U1
P3
P3
A1 - ATRIO (NON SEMPRE PRESENTE) A2 - ENTRATA CLIENTI (FILTRO CONTAPERSONE) A3 - PANNELLI-FILTRO DI USCITA (RILEVATORI MAGNETICI) A4 - USCITA CLIENTI (ANTE APRIBILI VERSO ESTERNO) A5 - SPAZIO VETRINE A6 - PRODOTTI IN EVIDENZA E DIMOSTRAZIONI
P
U2
U3
U4
P2
B5
B5 U.S.
U.S.
B4
B6
B6
B2
B3
B3
B2
B4
B2
B1 B4
B - SALA DI ESPOSIZIONE E VENDITA B1 - VENDITA ASSISTITA (CON BANCO E COMMESSI) PROFUMERIA GIOIELLERIA, BIGIOTTERIA, PELLETTERIA FINE FOTO, VIDEOCAMERE, OROLOGI B2 - ESPOSITORI AD ANGOLO PRELIEVO LIBERO (SELF-SERVICE) B3 - ESPOSITORI A CORSIA (PRELIEVO LIBERO) B4 - "ISOLE" (PRELIEVO LIBERO) B5 - CABINE DI PROVA (SE PRESENTE ABBIGLIAMENTO) B6 - CASSE
B3
B3
A - ZONA DI ACCESSO CLIENTI
B4
U.S.USCITE DI SICUREZZA S - SERVIZI PER IL PUBBLICO
B
S1 - SERVIZI IGIENICI S2 - LOCALE PULIZIE B4
B4
U - UFFICI
B1 B3
U1 - RAPPORTI CON I CLIENTI (RECLAMI, INFORMAZIONI MERCI) U2 - CONTROLLO TRANSITO MERCI (ARRIVI E SPEDIZIONI) U3 - DIRIGENTE (AMMINISTRAZIONE, CONTABILITÀ) U4 - UFFICIO PERSONALE
B3
B2
B3
B3
B2
P - PERSONALE
B1 B6
B6
P1 - ACCESSO PERSONALE P2 - SPOGLIATOI PERSONALE P3 - SERVIZI IGIENICI PERSONALE M - MAGAZZINI MERCI
A A6
A6 A2
A5
A5
A3
A3
A4
A4
A2
A1
A1
A5
A5
M1 - CARICO E SCARICO MERCI M2 - DEPOSITO MERCI IN USCITA SPEDIZIONI (BREVE PERIODO) M3 - DEPOSITO SCORTE MERCI M4 - STAZIONAMENTO MEZZI DI TRASPORTO MERCI (CARRELLI)
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
VARIANTE ZONA D'ACCESSO CLIENTI, CON ACCESSI LATERALI A6
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
A6 A
A1
A2
A2
A1
A3 A4 A5
A5
A5
A5 A1
A5
A5
IALI . MERC B.5.1TURE COM T U R ST
B 185
B.5. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STRUTTURE COMMERCIALI
•
STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI
MERCATINI RIONALI
REQUISITI DELL'AREA
ZONA VENDITA (5 MQ. MIN)
MAGAZZINO 80
L'AREA DEVE ESSERE PROVVISTA DI PAVIMENTAZIONE IMPERMEABILE E CONTINUA, CON SISTEMI DI RACCOLTA DELLE ACQUE METEORICHE E DI LAVAGGIO COLLEGATI ALLA FOGNATURA COMUNALE, ONDE EVITARE FENOMENI DI RISTAGNO; L'AREA DEVE ESSERE DOTATA DI DUE UNITÀ IGIENICHE RISERVATE ALL'USO ESCLUSIVO DEGLI ADDETTI, CONFORMI AI DISPOSTI DELL'ART. 28 DEL DPR 327/80. REQUISITI DEI MANUFATTI A - I MANUFATTI DESTINATI AL DEPOSITO E ALLA VENDITA DELLE MERCI DEVONO ESSERE COSTRUITI SOLLEVATI DI 15 CM DAL TERRENO CIRCOSTANTE ED ESSERE REALIZZATI IN BLOCCO UNICO OPPURE DEVONO RISULTARE DISTANTI DA QUELLI ADIACENTI DI UNA MISURA ATTA A CONSENTIRE LA PULIZIA E IL LAVAGGIO; B - LA LORO DIMENSIONE MINIMA DI OGNI UNITÀ (STALLO) DEVE ESSERE DI 10 MQ, DI CUI ALMENO 5 DESTINATI ALLA VENDITA, E L'ALTEZZA NON DEVE ESSERE INFERIORE A M 2,70; C - I MANUFATTI DEVONO AVERE PAVIMENTO, PARETI E STIGLI DI SUPERFICIE LISCIA, IMPERMEABILE E FACILMENTE LAVABILE, CON CONNESSIONE FRA PAVIMENTO E PARETI RACCORDATE;
VARCO PER PULIZIE
D - NEI MANUFATTI DEVONO ESSERE ADOTTATE TUTTE LE MISURE CONTRO L’INTRUSIONE DEI RATTI; CONSEGUENTEMENTE LE INTERCAPEDINI SOTTOSTANTI I CHIOSCHI DEVONO ESSERE PROTETTE CON RETI O GRIGLIE A MAGLIE FITTE;
SCAFFALI
BANCONE
E - DEVE ESSERE PREVISTA UNA COPERTURA GENERALE DEL MERCATO O SISTEMI DI PENSILINE CON SPORTO MINIMO A PROTEZIONE DEL FRONTE DI VENDITA PARI A ML. 1,50; F - LE UNITÀ DESTINATE ALLA VENDITA DI PRODOTTI ALIMENTARI DEVONO AVERE ALLACCIAMENTO ALL'ACQUA POTABILE. 150
SCHEMA DI UNITA' DI VENDITA - PIANTA
270
270
150
DISTACCO DAL SUOLO MIN. 15 cm CON GRIGLIA A MAGLIE FITTE
15 cm
A - AGGREGAZIONE IN SERIE AFFRONTATE DI UNITA' DI VENDITA SEPARATE
B 186
SEZIONE DI UNITA' DI VENDITA SEPARATA O IN BLOCCO, PROTETTA DA PENSILINA
AREA COPERTA
RACCOLTA ACQUA DI LAVAGGIO
88 PENSILINA O TETTOIA
RACCOLTA ACQUA PIOVANA E DI LAVAGGIO
PENSILINA O TETTOIA
SEZIONE DI UNITA' DI VENDITA SEPARATA, CON PROPRIA TETTOIA
B - AGGREGAZIONE DI UNITA' DI VENDITA REALIZZATE IN BLOCCO
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI STRUTTURE COMMERCIALI
A.ZIONI
CRITERI DI CLASSIFICAZIONE E ARTICOLAZIONE DEI POSTI DI LAVORO CRITERI DI CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE PER UFFICI Le strutture per uffici possono essere classificate innanzitutto in funzione del carattere pubblico o privato del tipo di attività che vi si svolge: • uffici integrati o comunque connessi all’esplicazione di attività direzionali e/o amministrative specifiche di istituzioni, enti locali, enti pubblici e simili;
VARIABILITÀ NEL TEMPO DELL’ARTICOLAZIONE SPAZIALE DEGLI UFFICI: FLESSIBILITÀ E VARIABILITÀ NEL TEMPO In tutti i casi, l’assetto delle attività amministrative, direzionali e professionali è caratterizzato da una notevole variabilità, determinata dal continuo modificarsi di molti fattori come: • variazione di programmi e di organizzazione del lavoro;
• uffici destinati ad attività direzionali, amministrative, professionali e simili, di carattere privato. In secondo luogo le strutture per uffici – o parte di esse – possono essere distinte a seconda del grado e del tipo di accessibilità e fruibilità prevista o consentita da parte di utenti esterni: • strutture o parti di strutture che offrono servizi direttamente fruibili da parte del pubblico («sportelli»); • strutture o parti di strutture visitabili da utenti esterni (per appuntamento o per chiamata); • strutture o parti di strutture riservate esclusivamente a operatori interni. In terzo luogo le strutture per uffici possono essere distinte per articolazione di proprietà o titolarità: • strutture integralmente destinate all’espletamento di un sistema unitario e organico di attività direzionale-amministrativa, come sedi di amministrazioni delle Stato, sedi di banche, sedi di società e simili;
B.5. 1.
• variazione dell’organico del personale; • variazione di attrezzature e strumentazioni tecnologiche e informative.
Conseguentemente anche la progettazione delle strutture per uffici richiede la predisposizione di configurazioni ed articolazioni spaziali aperte, flessibili, variabili nel tempo agevolmente e a costi contenuti. A tale esigenza essenziale risponde una vasta gamma di offerte produttive di sistemi integrati di componenti interni (pannelli per tramezzature opache e/o vetrate, porte ecc.) e di arredi (scaffalature, contenitori, archivi, ecc), nonché di apparati tecnologici per la distribuzione delle reti impiantistiche e telematiche ( canalizzazioni di reti alloggiate sotto il pavimento – in particolare nel caso di «pavimenti flottanti» –, sopra il controsoffitto o nello stesso sistema dei pannelli-divisori), tali da consentire una articolazione degli spazi interni flessibile, adattabile alle specifiche esigenze operative della struttura o di una sua parte, modificabile nel tempo con interventi «a secco», rapidi e a costi contenuti, mediante il riutilizzo di gran parte della componentistica già installata.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
• strutture che ospitano diverse unità immobiliari-operative tra loro autonome, con alcuni servizi generali ed alcune attrezzature di uso comune. Infine le strutture per uffici possono essere distinte per classi dimensionali, per livello di specificità della destinazione originaria degli edifici che le costituiscono e per grado di integrazione e prossimità con estesi sistemi direzionali urbani.
PARTI FISSE DELLE STRUTTURE PER UFFICI
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
ARTICOLAZIONE SPAZIALE DEI «POSTI DI LAVORO»
A parte tutto ciò che costituisce struttura ed involucro esterno degli edifici – reso stabile nel tempo non solo da opportunità tecnologiche e costruttive ma anche dalle norme urbanistiche ed edilizie – gli altri elementi che possono essere considerati fissi ed invariabili nelle strutture destinate a ospitare uffici sono quelli interessati da complessità tecnologica e/o dalla cogenza di apparati normativi in materia di sicurezza e di igiene.
L’applicazione dei criteri di classificazione appena collocati dà luogo a una gamma di configurazioni spaziali-organizzative molto vasta, tale comunque da non consentire una esaustiva tipizzazione.
Tali sono:
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
Sussitono tuttavia alcuni caratteristiche ricorrenti, riferibili essenzialmente alle unità operative elementari – come: posto di lavoro, arredi specifici di lavoro, percorsi di distribuzione, servizi igienici ecc. – che consentono di ordinare riferimenti dimensionali e di fruizione essenziali.
• i nuclei di servizi igienici;
Sono quindi queste unità operative elementari che possono essere assunte in una larga generalità di casi come riferimenti di progetto e verifica. Non a caso sono proprio queste unità operative che hanno costituito oggetto di regolamentazione e coordinamento da parte dell’UNI, che interviene in materia con le seguenti norme: • UNI 7367 – 74P – Posti di lavoro: scrivanie e sedie • UNI 736 – 74P – Scrivanie e sedie di uso generale e per dattilografia • UNI 7498 – P – Sedie e appoggiapiedi. Altre caratteristiche ricorrenti nella realizzazione-organizzazione delle strutture per uffici sono individuabili nelle modalità di aggregazione delle unità operative elementari (posti di lavoro) in unità ambientali e spaziali a diverso grado di integrazione o articolazione: • strutture o parti di strutture caratterizzate da una distribuzione «cellulare» dei posti di lavoro: stanze a uno o due posti di lavoro, connesse tra loro da corridoi e disimpegni; • strutture o parti di strutture concepite a «open space», ovvero grandi ambienti che riuniscono insieme numerosi posti di lavoro;
• il sistema di collegamenti verticali: scale ed ascensori;
• le canalizzazioni impiantistiche primarie di adduzione e di scarico; • alcune attrezzature, impianti o strutture specificamente richieste da alcuni tipi di attività (per esempio: le camere blindate delle banche, degli uffici postali e di altre sedi finanziarie), o imposte dalle norme di sicurezza, in considerazione anche della dimensione degli interventi (strutture di «compartimentazione» antincendio, vie d’esodo, scale di sicurezza, impiantistica antincendio ecc.).
Al fine di assicurare flessibilità e variabilità nel tempo alla distribuzione generale delle attività e delle singole unità operative ospitate, è buona norma riunire gli elementi fissi della struttura in nuclei o sistemi integrati e disposti in maniera tale da non costituire ostacolo o discontinuità nella articolazione degli spazi di lavoro: • nuclei tecnologici e di servizio centrali, che lasciano libero e continuo un anello perimetrale; • nuclei periferici o estroflessi dal volume principale della struttura; • sistemi lineari di spina della struttura, che lasciano libere le fasce laterali.
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
Per quanto riguarda i servizi igienici, il DPR del 19 marzo 1956, n.303 ne prescrive dotazioni e caratteristiche: • lavandini 1 ogni 5 dipendenti per turno; • w.c.
• strutture o parti di struttura caratterizzate da una articolazione mista, che organizza insieme in zone operative unità cellulari separate e unità riunite in un «open space», in diretta comunicazione, in considerazione dei requisiti ambientali ed ergonomici specifici richiesti dalle diverse attività di lavoro previste.
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
1 ogni 30 dipendenti per le nuove strutture; 1 ogni 40 dipendenti per le strutture esistenti;
• oltre i 10 dipendenti devono essere previsti servizi igienici separati per uomini e per donne.
IALI . MERC B.5.1TURE COM T U R ST
B 187
B.5. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STRUTTURE PER UFFICI
•
STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI
SICUREZZA E SALUTE SUI LUOGHI DI LAVORO ATTUAZIONE DELLE DIRETTIVE 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE E 90/679/CEE RIGUARDANTI IL MIGLIORAMENTO DELLA SICUREZZA E DELLA SALUTE DEI LAVORATORI SUL LUOGO DI LAVORO (DL 19 settembre 1994, n.626) TITOLO VI – USO DI ATTREZZATURE MUNITE DI VIDEOTERMINALI
6. Nel computo dei tempi di interruzione non sono compresi i tempi di attesa della risposta da parte del sistema elettronico, che sono considerati, a tutti gli effetti, tempo di lavoro, ove il lavoratore non possa abbandonare il posto di lavoro.
Art.50. Campo di applicazione 1. Le norme del presente titolo si applicano alle attività lavorative che comportano l’uso di attrezzature munite di videoterminali.
7. La pausa è considerata a tutti gli effetti parte integrante dell’orario di lavoro e, come tale, non è riassorbibile all’interno di accordi che prevedono la riduzione dell’orario complessivo di lavoro.
2. Le norme del presente titolo si applicano ai lavoratori addetti: Art.55. Sorveglianza sanitaria a) ai posti di guida di veicoli o macchine; b) ai sistemi informatici montati a bordo di un mezzo di trasporto; c) ai sistemi informatici destinati in modo prioritario all’utilizzazione da parte del pubblico; d) ai sistemi denominati “portatili” ove non siano oggetto di utilizzazione prolungata in un posto di lavoro; e) alle macchine calcolatrici, ai registratori di cassa e a tutte le attrezzature munite di un piccolo dispositivo di visualizzazione dei dati o delle misure, necessario all’uso diretto di tale attrezzatura; f) alle macchine di videoscrittura senza schermo separato.
Art.51. Definizioni 1. Ai fini del presente titolo si intende per: a) videoterminale: uno schermo alfanumerico o grafico a prescindere dal tipo di procedimento di visualizzazione utilizzato; b) posto di lavoro: l’insieme che comprende le attrezzature munite di videoterminale, eventualmente con tastiera ovvero altro sistema di immissione dati, ovvero software per l’interfaccia uomo-macchina, gli accessori opzionali, le apparecchiature connesse, comprendenti l’unità a dischi il telefono, il modem, la stampante, il supporto per i documenti, la sedia, il piano di lavoro, nonché l’ambiente di lavoro immediatamente circostante; c) lavoratore: il lavoratore che utilizza una attrezzatura munita di videoterminale in modo sistematico ed abituale, per almeno quattro ore consecutive giornaliere, dedotte le pause di cui all’art.54, per tutta la settimana lavorativa.
1. I lavoratori di cui all’art.54, prima di essere addetti alle attività di cui al presente titolo, sono sottoposti a una visita medica per evidenziare eventuali malformazioni strutturali e a un esame degli occhi e della vista effettuati dal medico competente. Qualora l’esito della visita medica ne evidenzi la necessità, il lavoratore è sottoposto a esami specialistici. 2. In base alle risultanze degli accertamenti di cui al comma I i lavoratori vengono classificati in: a) idonei, con o senza prescrizioni; b) non idonei. 3. I lavoratori classificati come idonei con prescrizioni ed i lavoratori che abbiano compiuto il quarantacinquesimo anno di età sono sottoposti a visita di controllo con periodicità almeno biennale. 4. Il lavoratore è sottoposto a controllo oftalmologico a sua richiesta, ogni qualvolta sospetta una sopravvenuta alterazione della funzione visiva, confermata dal medico competente. 5. La spesa relativa alla dotazione di dispositivi speciali di correzione in funzione dell’attività svolta è a carico del datore di lavoro.
Art.56. Informazione e formazione 1. Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori informazioni, in particolare per quanto riguarda:
Art.52. Obblighi del datore di lavoro 1. Il datore di lavoro, all’atto della valutazione del rischio di cui all’art.4, c.1, analizza i posti di lavoro con particolare riguardo: a) ai rischi per la vista e per gli occhi; b) ai problemi legati alla postura ed all’affaticamento fisico o mentale; e) alle condizioni ergonomiche e di igiene ambientale. 2. Il datore di lavoro adotta le misure appropriate per ovviare ai rischi riscontrati in base alle valutazioni di cui al c.1, tenendo conto della somma ovvero della combinazione della incidenza dei rischi riscontrati.
a) le misure applicabili al posto di lavoro, in base all’analisi dello stesso di cui all’art.52; b) le modalità di svolgimento dell’attività; c) la protezione degli occhi e della vista. 2. Il datore di lavoro assicura ai lavoratori una formazione adeguata in particolare in ordine a quanto indicato al c.1. 3. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della Sanità, stabilisce con decreto una guida d’uso dei videoterminali.
Art.57. Consultazione e partecipazione Art.53. Organizzazione del lavoro 1. Il datore di lavoro assegna le mansioni e i compiti lavorativi comportanti l’uso dei videoterminali anche secondo una distribuzione del lavoro che consente di evitare il più possibile la ripetitività e la monotonia delle operazioni.
1. Il datore di lavoro informa preventivamente i lavoratori e il rappresentante per la sicurezza dei cambiamenti tecnologici che comportano mutamenti nell’organizzazione del lavoro, in riferimento alle attività di cui al presente titolo.
Art.58. Adeguamento alle norme Art.54. Svolgimento quotidiano del lavoro 1. Il lavoratore, qualora svolga la sua attività per almeno quattro ore consecutive, ha diritto a una interruzione della sua attività mediante pause ovvero cambiamento di attività. 2. Le modalità di tali interruzioni sono stabilite dalla contrattazione collettiva anche aziendale. 3. In assenza di una disposizione contrattuale riguardante l’interruzione di cui al comma 1, il lavoratore comunque ha diritto a una pausa di quindici minuti ogni centoventi minuti di applicazione continuativa al videoterminale. 4. Le modalità e la durata delle interruzioni possono essere stabilite temporaneamente a livello individuale ove il medico competente ne evidenzi la necessità. 5. E comunque esclusa la cumulabilità delle interruzioni all’inizio ed al termine dell’orario di lavoro.
B 188
1. I posti di lavoro utilizzati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto devono essere conformi alle prescrizioni dell’allegato VII. 2. I posti di lavoro utilizzati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto devono essere adeguati a quanto prescritto al c.1 entro il 1 gennaio 1996.
Art.59. Caratteristiche tecniche 1. Con DM del lavoro e della previdenza sociale, della sanità e dell’industria, del commercio e dell’artigianato, sentita la commissione consultiva permanente, sono disposti, anche in recepimento di direttive comunitarie, gli adattamenti di carattere tecnico all’allegato VII in funzione del progresso tecnico, della evoluzione delle normative e specifiche internazionali oppure delle conoscenze nel settore delle attrezzature dotate di videoterminali.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI STRUTTURE PER UFFICI
B.5. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.5.2./1 UFFICI – RIFERIMENTI DIMENSIONALI E INGOMBRI
60
60÷90
60
100÷120
60÷90
140÷160
60
140÷160
60÷90 60÷90
STD 75
80÷100
STD 75
60÷90
140÷160
STD 75
60÷90 STD 75
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
STD 150 105÷200
STD 75
STD 150 105÷200
STD 75
100÷120
10
60÷90 10
100÷120
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE 200
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
75
74÷76
200
PRO TTURALE STRU
AMBITO DI LAVORO SINGOLO STD: DIMENSIONE STANDARD
AMBITO DI LAVORO SINGOLO CON SCAFFALATURA
AMBITO DI LAVORO SINGOLO CON POSTO OSPITI E PERCORSO
AMBITO DI LAVORO SINGOLO CON DOPPIO PERCORSO
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
AMBITI DI LAVORO IN SERIE
DATI ANTROPOMETRICI RIFERITI ALL'UTILIZZO DI UNO SPAZIO PER UFFICI DI TIPO "OPEN SPACE"
G.ANISTICA 200
150 60
90÷120
60
100÷120
60÷90
60
360÷430 100÷120 60÷90
140÷160 660÷800 140÷160
60
100÷120
60÷90
220÷260
60÷90
100÷120
60
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
60÷90
60
90÷120
90 320÷510
~240 60÷90
60
90÷120
10
105÷200
90 105÷200 ~240
100÷140
AMBITI DI LAVORO MULTIPLI CON SCAFFALATURE SERVITI DA UN PERCORSO CENTRALE
~480 60÷90
60
90÷120
60÷90
60÷90
90÷120
60
60
BOX DI LAVORO SINGOLI IN SERIE SEPARATI DA SCAFFALATURE
BOX DI LAVORO DOPPI CON SCRIVANIE A FRONTE SEPARATI DA CASSETTIERE O SCAFFALATURE
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
90÷120
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
60÷90
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST SCRIVANIA
SCAFFALATURA
SCAFFALATURA
SCRIVANIA
SCRIVANIA
SCAFFALATURA
150÷180
SCRIVANIA
SCAFFALATURA
SCRIVANIA
SCAFFALATURA
120÷200 "STANZA" SINGOLA CON SCAFFALATURE E POSTO OSPITI
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
80
90÷120
10
AMBITI DI LAVORO CON SCAFFALATURE E POSTI PER OSPITI (CLIENTI)
310÷400 60
320÷510
10 105÷200 310÷530 90÷120 AMBITI DI LAVORO CON SCAFFALATURE E PIANI DI SERVIZIO LATERALI
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
105÷200
60
310÷390 100÷120 60÷90
90÷120
10
60÷90
105÷200
100÷120
105÷200
60
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
10
200
URB
➥
I . UFFIC B.5.2TURE PER T U R ST
B 189
B.5. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STRUTTURE PER UFFICI
•
STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI
FIG. B.5.2./2. DATI DI DIMENSIONAMENTO E DISPOSIZIONE PER POSTAZIONI DI LAVORO, ATTREZZATURE E ARREDI
180
10
180
45÷60
PASSAGGIO DI CAVI ELETTRICI E TELEMATICI COMPUTERS IN RETE
STD 150 200
STAMPANTE IN RETE
PRESE ELETTRICHE E TELEMATICHE
PASSAGGIO DI CAVI
65 74
63÷65
PASSAGGIO DI CAVI
UNITÀ DI LAVORO CON SISTEMA COMPUTER-STAMPANTE-CAVI
UNITÀ DI LAVORO IN SERIE COSTITUITE DA SISTEMI MODULARI DI ARREDO COMPRENSIVI DI CONDOTTI PER IL PASSAGGIO DI CAVI ELETTRICI E TELEMATICI 75÷150
LA PARTE SUPERIORE DELLO SCHERMO DEVE ESSERE APPENA AL DI SOPRA DELL'ALTEZZA DELL'OCCHIO
BRACCIO E AVAMBRACCIO DEVONO FORMARE UN ANGOLO RETTO
NON DEVONO ESSERE PRESENTI RIFLESSI DI LUCE SULLO SCHERMO
45÷70
STAMPANTE 38 x 58 x 15 CM.
39÷46
63÷65
113÷132
LE COSCE DEVONO ESSERE IN POSIZIONE ORIZZONTALE CARRELLO LATERALE PER STAMPANTE E CARTA COMPUTER
30° - 60° LIMITE VISIONE COLORI
TASTIERA - 20 x 48 x 5 CM. DIM. MIN. 15 x 40 x 3 CM. COMPUTER - 40 x 41x 8 CM. MONITOR DA 16 POLLICI
DATI ANTROPOMETRICI RIFERITI ALL'UTILIZZO DI UNA STAZIONE DI COMPUTER COMPLETA DI STAMPANTE 56÷60
46÷60
75÷80
48÷60 46÷60
60÷74
37,6 34,8
27,8
140÷150
30,5
37,8 35
125÷135 100÷110
FORMATO A3
136÷140
29,7
29,7
42
FORMATO A4
SCHEDARIO PER FORMATO A4 VERTICALE DOPPIO O PER FORMATO A3 ORIZZONTALE
SCHEDARIO PER FORMATO A4 ORIZZONTALE DOPPIO
SCHEDARIO PER CARTA COMPUTER A MODULO CONTINUO ORIZZONTALE O VERTICALE
CARTA COMPUTER DI TIPO A MODULO CONTINUO 17
3
CARTUCCE DI MEMORIA PER COMPUTER CON CUSTODIA
72÷75
72÷80
1,2
90÷95
17
14 14
45÷70
POLSO E MANO DEVONO ESSERE IN LINEA RETTA
LO SCHIENALE DELLA SEDIA DEVE ESSERE INCLINATO ALL'INDIETRO
B 190
75÷90
45÷60
LA DISTANZA CONSIGLIATA DELL'OCCHIO DALLO SCHERMO È DI 45÷70 CM.
21
200
180
10
90
38÷60
75÷150
SCHEDARI E CASSETTIERE PER UFFICI E STUDI PROFESSIONALI DATI DIMENSIONALI IN FUNZIONE DEL TIPO DI FORMATO UTILIZZATO
CASSETTIERA PER FORMATI A1 ORIZZONTALI
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI STRUTTURE PER UFFICI
B.5. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.5.2./3 UFFICI – ZONA DI CONTATTO CON IL PUBBLICO (sportelli) A
A
G
G A - ACCESSO DEL PUBBLICO F
B - BANCO ZONA SENZA DIAFRAMMA
A B
B
B
D - BANCO ZONE CON DIAFRAMMA
B F
D
E
D
E
B
B D
D
E
D
E
D
G
E
F
CONTATTO CON IL PUBBLICO MEDIANTE BANCO CON DIAFRAMMA E UNITÀ OPERATIVE FISSE (SPORTELLI) CASI RICORRENTI: - SERVIZI DI CASSA IN GENERALE - PAGAMENTO UTENZE - RILASCIO CERTIFICATI - EMISSIONE TITOLI DI VIAGGIO (BIGLIETTERIE)
10 60÷75
120÷200
PERCORSI DEL PUBBLICO
min.180
60
120÷180
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
75÷90
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
120
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
min.90
BANCO SENZA DIAFRAMMA OPERATIVITÀ LIBERA
BANCO CON DIAFRAMMA DI PROTEZIONE (SCAMBI DI VALORI) FRONTE ESTERNO PER OPERATIVITÀ DEL PUBBLICO FRONTE INTERNO CON UNITÀ DI CONTATTO E SCAMBIO CON IL PUBBLICO
150÷210
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
150÷210
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
60÷90
PAVIMENTO FLOTTANTE PER DISPOSIZIONE E MANUTENZIONE RETI
90÷120
100÷120
UNITÀ OPERATIVA FISSA (SPORTELLO)
÷60
140÷160
BANCO SENZA DIAFRAMMA OPERATIVITÀ LIBERA
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
60÷90
75÷90 140÷160 75÷90 140÷160 75÷90 100÷120
min.180
BANCO CON DIAFRAMMA ZONA DI SCAMBIO VALORI
75÷90
ATTIVITÀ RELATIVE AI CONTATTI CON IL PUBBLICO
ATTIVITÀ RELATIVE AI CONTATTI CON IL PUBBLICO
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
140÷160
BANCO SENZA DIAFRAMMA ZONA INFORMAZIONI
SHEDARIO, MODULISTICA MATERIALI INFORMATIVI
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
CONTATTO CON IL PUBBLICO MEDIANTE BANCO SENZA DIAFRAMMA E UNITÀ OPERATIVE LIBERE CON POSTI DI LAVORO RETROSTANTI CASI RICORRENTI: - BANCHI DI INFORMAZIONE IN GENERALE - CONSEGNA E RITIRO PRATICHE AMMINISTRATIVE - AGENZIE ASSICURATIVE - AGENZIE DI VIAGGIO
PAVIMENTO FLOTTANTE PER DISPOSIZIONE E MANUTENZIONE RETI
90÷120
PERCORSI PERSONALE
G
G
150÷210
120÷180
F
G
E.NTROLLO
ZONA DI OPERATIVITÀ DEL PUBBLICO F
E
PRO TTURALE STRU
G - ACCESSO PERSONALE (AGLI ALTRI UFFICI)
F
C.RCIZIO
D.GETTAZIONE
F - POSTO DI LAVORO
F
I ED PRE NISM ORGA
E ESE ESSIONAL PROF
E - UNITÀ OPERATIVA (SPORTELLO)
A
B.STAZIONI DILEGIZLII
BANCO SENZA DIAFRAMMA DI SEPARAZIONE FRONTE ESTERNO: OPERATIVITÀ DEL PUBBLICO FRONTE INTERNO: OPERATIVITÀ PERSONALE DI CONTATTO CON IL PUBBLICO
➥
I . UFFIC B.5.2TURE PER T U R ST
B 191
B.5. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI STRUTTURE PER UFFICI
•
STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI
FIG. B.5.2./4 UFFICI – DATI DI DIMENSIONAMENTO E DISPOSIZIONE DI SALE PER RIUNIONI 90÷100
TAVOLI PER RIUNIONI - DIMENSIONE E ARTICOLAZIONE DEGLI SPAZI
120 90÷100
90÷120
120÷150
100÷120
500÷560
120÷150
100÷120
490÷610
60
90÷100
100÷120
490 930÷1030
100÷120
90÷100
40÷48
40÷70
60÷72
68÷75
100÷123
60÷65
÷44
68÷75
÷44
60÷66 76÷92
76÷112 38÷70
43÷68
÷44 55
46 56
57
46÷84
80
78 46
58
75÷82
SEDIE PER UFFICI E PER STUDI PROFESSIONALI - RIFERIMENTI DIMENSIONALI
60÷74
REQUISITI DEGLI AMBIENTI DI UFFICIO 1. Dimensioni degli ambienti di ufficio In assenza di specifiche normative di settore, l’altezza degli ambienti di ufficio non deve essere inferiore a 2,70 ml e la loro superficie non deve essere inferiore a 9 mq, e comunque dimensionata in ragione di circa 5 mq per addetto. 2. Posizione degli ambienti di ufficio rispetto al terreno circostante Per la posizione degli ambienti di ufficio rispetto al terreno circostante valgono le stesse prescrizioni impartite per gli ambienti di lavoro. 3. Aereazione ed illuminazione degli ambienti di ufficio Gli ambienti di ufficio devono in genere usufruire delle stesse caratteristiche di aereazione ed illuminazione prescritte per gli ambienti lavorativi. In assenza di detti requisiti, per gli ambienti di ufficio sono ammessi: a) l’aereazione forzata mediante un impianto di ventilazione forzata o di condizionamento che garantisca il ricambio d’aria in conformità alla norma UNI 10339; b) l’illuminazione artificiale mediante un impianto che assicuri livelli luminosi idonei per intensità e qualità e che non diano luogo a fenomeni di abbagliamento in conformità alla norma UNI 10380. Anche quando integrate dagli impianti di aereazione e/o illuminazione di cui sopra, l’areazione ed illuminazione naturali devono in ogni caso essere assicurate nei seguenti limiti: a) per i locali di superficie fino a 100 mq: nella misura del 50% dei minimi prescritti al comma 134.3.2; b) per i locali di superficie oltre 100 mq: nella misura del 25% dei minimi prescritti al comma 134.3.2, con un minimo assoluto di 6,25 mq. 4. Soppalchi adibiti ad ambienti di ufficio I soppalchi possono essere adibiti ad ambienti di ufficio quando presentino le seguenti caratteristiche:
B 192
a) la superficie del soppalco non sia superiore a 2/3 di quella del locale su cui il soppalco prospetta; b) le altezze degli spazi soprastanti e sottostanti il soppalco non devono risultare inferiori a 2,40 ml (nel caso di soffitti inclinati si assume l’altezza media, con un’altezza minima assoluta di 2,20 ml); c) la profondità del soppalco non deve risultare superiore a 2,5 volte la minore tra le altezze di cui alla lettera precedente; d) i parapetti, le protezioni contro il vuoto, le scale, gli accessi e le uscite dovranno essere conformi a quanto previsto dalla normativa vigente per i normali ambienti di vendita. 5. Ambienti di servizio L’altezza minima consentita per gli ambienti di servizio è pari a 2,40 ml. I locali adibiti a uso doccia o wc devono rispondere ai seguenti requisiti: a) superficie non inferiore a 1,00 mq per i locali riservati al solo wc, con lato minimo comunque non inferiore a 0,90 ml; b) superficie non inferiore a 1,00 mq per i vani riservati al solo uso di doccia; c) superficie non inferiore a 1,20 mq per i locali dotati sia di wc che di altri apparecchi igienici; d) la superficie di spogliatoi, ove siano previsti, non deve essere inferiore a 1,20 mq per ogni addetto contemporaneamente presente nel locale. I locali adibiti a servizi igienici e spogliatoi non possono avere accesso diretto da ambienti di lavoro se non attraverso apposito spazio di disimpegno. Qualora nel disimpegno sia previsto il lavabo, la superficie del medesimo non deve essere inferiore a 1,50 mq. Gli ambienti di servizio possono essere ricavati sia in locali fuori terra che in locali seminterrati o interrati.
Gli ambienti di servizio possono essere aereati sia in modo naturale diretto che mediante idoneo impianto di ventilazione forzata. I servizi igienici, nel caso di aereazione naturale e diretta, devono avere finestre non inferiori a 1/8 della superficie di pavimento, con un minimo assoluto di 0,40 mq. Quando i servizi igienici siano privi di finestrature o le medesime abbiano dimensioni inferiori a quelle prescritte, l’aereazione deve essere assicurata in uno dei seguenti modi : a) mediante impianto in espulsione continua, con coefficiente di ricambio non inferiore a 6 volumi/ora; b) mediante impianto con funzionamento intermittente a comando automatico, in grado di garantire almeno 1 ricambio in un tempo massimo di 5 min per ogni utilizzazione. 6. Ambienti accessori e di supporto Sono ambienti accessori o di supporto i seguenti: • presidi sanitari (medicherie, ambulatori); • refettori o mense aziendali; • locali di soggiorno e riposo. Le camere di medicazione, ambulatori e simili devono avere superficie non inferiore a 12 mq. I refettori, le mense aziendali ed i locali di riposo, devono avere superficie non inferiore a 9 mq e comunque tale da assicurare una superficie di almeno 1 mq per ogni addetto contemporaneamente presente nel locale. Gli ambienti accessori e di supporto devono in genere usufruire delle stesse caratteristiche di aereazione ed illuminazione indicate per gli ambienti di lavoro. Quando l’illuminazione e/o l’aereazione naturali non raggiungano i minimi indicati, anche per gli ambienti di supporto sono ammessi valori minimi di areazione forzata e illuminazione artificiale indicati per gli ambienti di ufficio in generale.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI STRUTTURE PER UFFICI
B.5. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.5.2./5 UFFICI – REQUISITI TECNOLOGICI SPECIFICI – PAVIMENTO FLOTTANTE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
SCATOLA ELETTRICA PROTETTA
ELEMENTI MODULARI
10÷30
ELEMENTI DI PAVIMENTAZIONE MODULARI FLOTTANTI SUPPORTI (IN ACCIAIO INOX) REGOLABILI PIASTRA DI APPOGGIO SUPPORTI REGOLABILI DI METALLO (ACCIAIO INOX)
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
ELEMENTI DI PAVIMENTAZIONE MODULARI
F. TERIALI,
M.
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
MODULO DEGLI ELEMENTI FLOTTANTI
G.ANISTICA URB
SISTEMA DEI CANALI DI ALLOGGIAMENTO DELLE RETI ELETTRICHE E TELEMATICHE
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
A - SISTEMA PORTATO DA PIASTRE FISSATE
B - SISTEMA PORTATO DA PIASTRE A INCASTRO
CONDOTTI ELETTRICI E TELEMATICI
ELEMENTO DI FINITURA
ELEMENTO DI FINITURA
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
PIASTRA DI APPOGGIO
SISTEMI DI GRIGLIE SCATOLARI
ELEMENTI SCATOLARI CONTINUI
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
C - SISTEMA PORTATO DA GRIGLIA DI SCATOLARI
D - SISTEMA PORTATO DA GRIGLIA DI SCATOLARI
ESEMPI DI MONTAGGIO DI PAVIMENTI FLOTTANTI ISPEZIONABILI
E - SISTEMA PORTATO DA SCATOLARI CONTINUI
I . UFFIC B.5.2TURE PER T U R ST
B 193
B.5. 3.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI UFFICI APERTI AL PUBBLICO – AGENZIE BANCARIE CRITERI DI CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE PER ATTIVITÀ BANCARIE Nell’ambito delle strutture per attività terziarie, gli istituti bancari si collocano in una posizione intermedia tra terziario commerciale e terziario non commerciale (uffici, sedi amministrative ecc.), in quanto: • con le strutture commerciali hanno in comune l’esigenza di spazi destinati all’incontro ed agli scambi con il pubblico (clienti); • con le strutture terziarie non commerciali (uffici) hanno in comune l’esigenza di spazi specificamente destinati ad attività direzionali, gestionali ed amministrative. Conseguentemente, la chiara distinzione degli spazi aperti al pubblico rispetto a quelli ad accesso limitato e controllato ed a quelli destinati esclusivamente ai dipendenti rappresenta un criterio essenziale di distribuzione dei settori operativi e delle relative relazioni. Si può poi rilevare come il criterio gerarchico (o dell’ambito di influenza territoriale) incide significativamente nella distribuzione e specificazione degli spazi, in quanto comporta, ai diversi livelli, concentrazione e specializzazione di attività tali da rimandare a configurazioni spaziali chiamate a offrire prestazioni molto diverse tra loro e specializzate. In tal senso, possiamo distinguere tre livelli gerarchico-dimensionali principali: a. Sedi centrali ed altre strutture destinate ad attività direzionali, amministrative, gestionali e rappresentative “centrali”, con raggio d’influenza internazionale, nazionale o regionale, in funzione dell’importanza della banca. In questo caso le attività implicate, così come gli spazi destinati a ospitarle, appartengono essenzialmente alla categoria degli “uffici” – alla quale si rimanda – e non richiedono quindi una trattazione specifica. Nei casi in cui nello stesso edificio della “sede” siano ospitate anche attività “di sportello” con accesso libero del pubblico, gli spazi corrispondenti (generalmente ospitati al piano terra o in ambiti agevolmente accessibili dall’esterno) avranno le caratteristiche indicate nel seguente punto ‘c’ (agenzie bancarie) e la loro presenza implicherà minime variazioni dell’assetto complessivo della “sede”.
b. Filiali Costituiscono strutture amministrative e gestionali intermedie tra la sede centrale e le agenzie, con raggio di influenza nazionale (filiali di stati esteri), regionale, provinciale o urbano. Ospitano attività analoghe a quelle della sede centrale, ma si connotano per il rapporto diretto che istituiscono con il territorio di competenza, in termini di ricerca, interpretazione dei dati economici, costituzione di banche-dati, iniziative di promozione e rapporto diretto con i clienti. Anche in questo caso, quindi, l’assetto spaziale di riferimento e le prestazioni richieste sono essenzialmente quelle degli uffici. Ma, a differenza dalle “sedi”, l’eventuale presenza anche di attività di agenzia – in particolare nelle filiali minori – può comportare variazioni non irrilevanti nella disposizione degli spazi e delle relative relazioni: si pensi, ad esempio, alla localizzazione degli spazi per la “direzione”, che potrebbe essere unica per filiale e agenzia e richiedere relazioni dirette sia con gli uffici (con i dipendenti) che con il pubblico. c. Agenzie bancarie Costituiscono strutture operative e commerciali ed ospitano attività rivolte al contatto ed all’erogazione di servizi specifici al pubblico, con raggio di influenza locale (paese, quartiere ecc. L’incontro diretto con il pubblico implica localizzazione in spazi agevolmente accessibili dall’esterno (piano strada) e la estensione degli spazi richiesti è tale da non impegnare in genere un intero edificio, ma solo parte di esso. Essendo il contatto con il pubblico e lo scambio di valori l’attività prevalente di una agenzia, lo spazio caratterizzante dell’efficienza delle prestazioni è costituito dalla sequenza degli sportelli/casse. Requisito essenziale delle agenzie è la sicurezza (anti-intrusione, anti-rapina), con particolare riguardo alla posizione ed alle caratteristiche delle strutture di accesso (che devono essere controllate direttamente ed indirettamente) ed alla configurazione degli spazi per il pubblico (sala) che devono risultare aperti, privi di diaframmi e di ambiti in qualche modo schermati, tali comunque da essere agevolmente sorvegliati a vista diretta (da impiegati e sorveglianti) o indiretta (da telecamere).
ARTICOLAZIONE DEGLI ASSETTI SPAZIALI Delle “sedi” e delle “filiali” si è già detto che hanno esigenze comuni a quelle della categoria generale degli “uffici”, alla quale si rimanda per la specificazione delle prestazioni richieste in tema di fruibilità ed agibilità. Per quanto riguarda le “agenzie bancarie”, il criterio essenziale di articolazione e caratterizzazione dello spazio è costituito dai diversi gradi di accessibilità dei diversi ambiti di attività da parte del pubblico; in tal senso si possono distinguere: • spazi operativi accessibili al pubblico; • spazi con accesso di pubblico limitato e controllato; • spazi rigorosamente interdetti al pubblico. SPAZI OPERATIVI ACCESSIBILI AL PUBBLICO Seguendo il percorso di un ipotetico “cliente” (v. fig. B.5.3./1.), si incontrano: • Area di accesso, costituita da atrio (non sempre) o ambito esterno dal quale si accede alla “sala” o se ne esce attraverso “bussole di sicurezza” (a porte rotanti o a doppie porte ad apertura alterna, v. Fig. B.5.3./2.), dotate di rilevatore di metalli e controllate da telecamera a circuito chiuso (controllo indiretto). Spesso accanto alle bussole d’accesso o tra le bussole d’entrata e d’uscita viene collocata una postazione di vigilanza (controllo diretto). Se l’accesso avviene a partire da un atrio esterno, nello stesso possono essere ubicate scansie con sportelli di sicurezza per riporre gli oggetti non ammessi in banca (borse, contenitori, oggetti metallici); è buona norma prevedere anche una “porta comandata” riservata al transito di portatori di handicap che troverebbero ostacolo ad attraversare le “bussole”; la stessa porta comandata potrà essere utilizzata dai dipendenti dell’agenzia, qualora non dispongano di altro accesso riservato. • Area per operazioni automatizzate esterne (bancomat, cassa continua): sempre più frequentemente, per motivi di sicurezza, le agenzie bancarie in luogo di un semplice terminale esterno esposto lungo la strada, si dotano di spazi chiusi, accessibili mediante porta a chiave magnetica (la “carta” bancomat o altre), accessibili 24 ore, dove vengono istallati i terminali di versamento, prelievo o informazione. È consigliato che tale spazio, ove possibile, abbia accesso dall’atrio e che possa essere controllabile dall’eventuale postazione di controllo diretto (qualora presente). • Sala (area operativa): spazio destinato alla operatività del pubblico e relativi servizi di supporto, articolabili nei seguenti ambiti: - ambito di accesso agli sportelli/cassa ed al banco delle informazioni, con eventuale previsione di apparati di regolazione dei flussi e delle precedenze (erogatore di numero d’ordine e tabellone di chiamata ecc.); - ambito d’accesso ai terminali per le operazioni automatizzate interne (cassa continua, bancomat, informazioni ecc.); - ambito d’accesso ai servizi di consulenza, contrattazione titoli (borsino), gestione titoli personalizzata ecc., attività che si svolgono in genere in “box” o piccole unità spaziali schermate da arredi o pareti mobili, aperti verso la sala e tuttavia tali da assicurare privatezza e riservatezza. - ambito di attesa, destinato alla sosta dei clienti che attendono di essere chiamati ed attrezzato con poltroncine e piani di scrittura per la compilazione di eventuali documenti.
B 194
SPAZI CON ACCESSO DI PUBBLICO LIMITATO E CONTROLLATO Comprende essenzialmente due ambiti: • Ambito della direzione: operazioni di particolare importanza, delicatezza e/o riservatezza rchiedono spesso l’incontro con il direttore d’agenzia o, in assenza, con un funzionario facente funzioni; a tale scopo, l’ubicazione della direzione d’agenzia (direttore, vicedirettore, segreteria) deve permettere un accesso agevole – diretto o mediato da saletta d’attesa – dalla sala del pubblico; in alternativa si può predisporre uno spazio di ricevimento che svolga lo stesso ruolo. • Ambito delle “cassette di sicurezza” (non presente nelle agenzie minori), con accesso controllato; frequentemente, per razionalizzare i sistemi di sicurezza e di controllo, viene ubicato in spazi contigui all’ambito destinato alla custodia dei valori della banca, ponendo comunque attenzione a predisporre adeguate strutture di separazione tra i due ambiti. SPAZI RIGOROSAMENTE INTERDETTI AL PUBBLICO: AMBITI DI OPERATIVITÀ DEI DIPENDENTI Sono rigorosamente interdetti al pubblico gli spazi destinati alle attività amministrative, contabili e gestionali della banca, ed in particolare quelli destinati ad attività che comportano la presenza di titoli e valori. Escluso da questa categoria l’ambito della direzione, di cui si è detto al precedente punto, si possono elencare: • Ambito interno della sequenza degli sportelli cassa e del banco informazioni, articolato in un bancone continuo o, più frequentemente, in una serie di “box” attrezzati, separati dal pubblico mediante schermo di vetro antiproiettile, con basso varco che consente lo scambio di valori e carte (v. Fig. B.5.3./2.). • Ambito delle attività contabili e gestionali, generalmente costituito da un openspace articolato in postazioni di lavoro, in diretto contatto con l’ambito degli sportelli/cassa. • Cassa centrale, che controlla il transito di valori tra l’ambito della custodia valori e l’ambito degli sportelli/cassa. • Custodia valori, che custodisce valori e titoli dell’agenzia, accessibile direttamente (o indirettamente ma con percorso sicuro e sorvegliato) agli addetti al trasporto titoli (furgoni porta-valori) • Archivio della documentazione delle transazioni effettuate, attività ancora necessaria per motivi legali, ma in gran parte soppiantata dagli archivi e data-base informatici. • Centrale tecnologica (non sempre presente) che presiede al funzionamento delle attrezzature informatiche e telematiche, nonché – a volte – al controllo centrale dei sistemi di sicurezza. • Ambito di gestione e manutenzione delle apparecchiature di versamento e prelevamento automatizzate, ove si provvede al caricamento e al prelevamento dei valori e ad assicurare l’efficienza del servizio.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI UFFICI APERTI AL PUBBLICO – AGENZIE BANCARIE
B.5. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.5.3./1 SCHEMI DISTRIBUTIVI DELLE ATTIVITÀ E DELLE RELAZIONI
B.STAZIONI DILEGIZLII
23
24 17
17
16
16
24
21
22
24
I ED PRE NISM ORGA
A - AGENZIA BANCARIA DI MEDIA IMPORTANZA DISTRIBUZIONE DELLE ATTIVITÀ E DELLE RELAZIONI SCHEMA A "PENISOLA"
25
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF ZONE ACCESSIBILI AL PUBBLICO 20
20
(15)
1 1a 1b 1c -
26
1d 2 3 4 5 6 7 8 -
15
9
18
18
18
18
18
18
18
18
14
9 -
ZONA DI ACCESSO BUSSOLA D'ACCESSO CLIENTI BUSSOLA/FILTRO DI USCITA CLIENTI PORTA A COMANDO: ACCESSO PERSONALE ED HANDICAPPATI POSTAZIONE AGENTE DI CONTROLLO CABINA D'ACCESSO ALLA CASSA CONTINUA/BANCOMAT TERMINALE PRELIEVI E INFORMAZIONI INTERNO DISTRIBUTORE DEI NUMERI DI PRIORITÀ TABELLA ELETTRONICA DI CHIAMATA NUMERI SALA DI OPERATIVITÀ DEL PUBBLICO ZONA D'ATTESA E SCRITTOI BORSINO (CONTRATTAZIONE TITOLI, FONDI D'INVESTIMENTO, ECC.) BOX CONSULENZE (NUOVI CLIENTI, GESTIONI PATRIMONIALI, ECC.)
9
6
13
6 18
18
19
8
6
11
7
4 1c 1a
1b
15 (15) 16 17 18 19 20 -
12
3
21 22 23 24 25 26 27 -
10
1d 27
2 1
ACCESSO DIPENDENTI EVENTUALE ACCESSO DIPENDENTI DALL'ESTERNO SPOGLIATOI DIPENDENTI SERVIZI IGIENICI DIPENDENTI SPORTELLI DI CASSA BANCO INFORMAZIONI AREA OPERATIVITÀ - OPEN SPACE (RISCONTRO, CONTABILITÀ, CORRISPONDENZA, ECC.) CASSA CENTRALE DEPOSITO VALORI CARICO E SCARICO VALORI UFFICI (PROTOCOLLO, SVILUPPO, ECC.) ARCHIVIO ACCESSO OPERATORI AI SERVIZI AUTOMATIZZATI CENTRALE TECNOLOGICA
25
17
17
16
21
14
15 18
5
18
18
18
18
18
18
19
18
BUSSOLE DI ENTRATA/USCITA PER DETTAGLI, DIMENSIONI, SPECIFICAZIONI ED ALTERNATIVE SI VEDA FIG. B.5.3./2.
6
6
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
12 SPORTELLI DI CASSA PER DETTAGLI, DIMENSIONI E SPECIFICAZIONI SI VEDA FIG. B.5.3./2.
11
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
N.B. -
10
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
13
16
F. TERIALI,
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
B - AGENZIA BANCARIA DI MEDIA IMPORTANZA DISTRIBUZIONE DI ATTIVITÀ E RELAZIONI SCHEMA CON SPORTELLI DISPOSTI IN LINEA 22
CO NTALE AMBIE
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
23
20
E.NTROLLO
URB
ATTESA CLIENTI PORTA/FILTRO COMANDATA SEGRETERIA DELLA DIREZIONE DIRETTORE VICEDIRETTORE O RESPONSABILE RETAIL ZONE OPERATIVE ACCESSO CONSENTITO ESCLUSIVAMENTE AI DPENDENTI
5
PRO TTURALE STRU
G.ANISTICA
ZONE AD ACCESSO LIMITATO E CONTROLLATO 10 11 12 13 14 -
D.GETTAZIONE
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
9 PERCORSI DEL PUBBLICO
4
PERCORSI DIPENDENTI 7
3
27
2
1d
1b 1a 1
1c
8
8
ACCESSO VALORI AREA DI LIBERO ACCESSO
➥
. B.5.3 APERTI I UFFIC BBLICO – RIE AL PUZIE BANCA AGEN
B 195
B.5. 3.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI UFFICI APERTI AL PUBBLICO – AGENZIE BANCARIE
FIG. B.5.3./2 SPORTELLI/CASSA E SISTEMI DI SICUREZZA DEGLI ACCESSI
SPORTELLI /CASSA E BANCO DELLE INFORMAZIONI - AGGREGAZIONE IN LINEA SALA DEL PUBBLICO (PAVIMENTAZIONE ORDINARIA)
SPORTELLI /CASSE - ELEMENTI DI DIMENSIONAMENTO
INFORMAZIONI
~180 A
~180
B 1
80
1 C E
2
D
2
160
F
G 3
90÷100
3
60÷75
1 - PIANO DI SCAMBIO CON IL CLIENTE: A - VETRO ANTIPROIETTILE; B - VARCO 2 - PIANO DI LAVORO: C - TERMINALE; D - TASTIERA; E - CASSETTA MONETE 3 - PIANO DI SERVIZIO: F - STAMPANTE; G - MICROFILMATRICE
ZONA OPERATIVA DIPENDENTI (OPEN SPACE) PAVIMENTO FLOTTANTE MODULARE SISTEMI DI SICUREZZA DEGLI ACCESSI - BUSSOLE/FILTRO DI ENTRATA E USCITA
60÷70
180÷200
110
80÷90
60÷70
60÷70
110
60
110÷130
80÷90
180
80÷90
60÷70
110
60 120
110
80÷90 BUSSOLA DI ENTRATA (USCITA) A DUE PORTE IN LINEA AD APERTURA ALTERNA
BUSSOLA DI ENTRATA (USCITA) A DUE PORTE AD ANGOLO AD APERTURA ALTERNA
BUSSOLA DI ENTRATA/USCITA A DUE PORTE SCORREVOLI AD APERTURA ALTERNA
BUSSOLA DI ENTRATA E/O USCITA A CILINDRO ROTANTE CON VARCHI CONTRAPPOSTI
BUSSOLA DI ENTRATA E/O USCITA A SETTORE CILINDRICO ROTANTE CON VARCHI D'ANGOLO
SISTEMI DI SICUREZZA DEGLI ACCESSI - DISPOSIZIONI E AGGREGAZIONI DEGLI APPARATI DI CONTROLLO
3
1, 2 1
3
2
2
4
2
1
3
5
3
1
A, B - ENTRATA E USCITA MEDIANTE BUSSOLE A DOPPIA PORTA IN LINEA, SEPARATE DAL POSTO DI CONTROLLO
1
2
1
E, F - ENTRATA E USCITA SEPARATE, CON VARCHI A 90°, MEDIANTE BUSSOLE A SETTORE CILINDRICO SCORREVOLE
B 196
2
C - ENTRATA E USCITA ALTERNE MEDIANTE UN UNICO VARCO
1
D - ENTRATA E USCITA CON BUSSOLE A DOPPIA PORTA, ASSOCIATE A VARCO DIPENDENTI, POSTO DI CONTROLLO, SALA PRELIEVI ESTERNI
2
G - ENTRATA E USCITA SEPARATE, BUSSOLE A CILINDRO ROTANTE
1 - BUSSOLA DI ENTRATA 2 - BUSSOLA DI USCITA 3 - POSTAZIONE DI CONTROLLO 4 - VARCO CON PORTA A COMANDO PER DIPENDENTI E PORTATORI DI HANDICAP 5 - SALETTA PER OPERAZIONI AUTOMATIZZATE ESTERNE (BANCOMAT, CASSA CONTINUA VERSAMENTI)
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI UFFICI APERTI AL PUBBLICO – UFFICI POSTALI
A.ZIONI
ATTIVITÀ E PRESTAZIONI Il servizio postale nazionale italiano è attualmente esercitato dalla società Ente Poste S.p.a., che esercita le attività e provvede ai servizi ordinati nel seguente elenco.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
Gruppo direzionale amministrativo, al quale appartengono: A. La Direzione nazionale
Servizi postali Costituiscono la più importante rete per lo scambio di corrispondenza operante sul territorio nazionale e provvede alla raccolta, al trasporto ed alla distribuzione di lettere, stampe e pacchi, secondo le seguenti modalità: • • • • • • •
corrispondenza nazionale ordinaria ed espressi; corrispondenza per l'estero; corrispondenza raccomandata ed assicurata; spedizione di stampe; spedizione di pacchi; postacelere interna (PI Post) e internazionale (EMS Cai Post); posta elettronica.
Servizi di telecomunicazioni Il sistema – in fase di rapida trasformazione – provvede alle comunicazioni telegrafiche, telefoniche, radioelettriche ed ottiche, mediante le seguenti modalità principali: • servizio telex nazionale: trasmissione e ricezione testi; • servizio telegrafico: accettazione, trasmissione e recapito telegrammi; • servizio telematico: trasmissione e ricezione documenti a livello nazionale ed internazionale. Servizi di bancoposta Rappresentano la più importante infrastruttura del sistema di pagamento dopo quella bancaria, operante nei seguenti ambiti: • Pagamenti e trasferimenti di danaro, effettuabili mediante: - servizio di conto corrente: versamenti, assegni, postagiro; - servizio di trasferimento della moneta (vaglia); - liquidazione e/o accredito di retribuzioni, pensioni, sussidi ecc. • Raccolta di risparmio, mediante: - libretti di risparmio; - buoni postali fruttiferi; - sottoscrizione buoni del tesoro o di altre amministrazioni. STRUTTURA GERARCHICA DELLE ATTIVITÀ DIREZIONALI E GESTIONALI E RELATIVI AMBITI TERRITORIALI Gli organi centrali del Min. delle Poste e Telecomunicazioni e dell’Ente Poste provvedono alla pianificazione del servizio postale, alla sua articolazione e diffusione sul territorio nazionale ed ai relativi insediamenti. Organi direttivi, centrali e decentrati, provvedono alla programmazione, direzione e controllo della gestione del servizio, secondo le seguenti articolazioni e relative specificazioni di attività.
B. Le Sedi, localizzate nei capoluoghi di regione con competenze territoriale dell'intera regione aventi le seguenti funzioni: - programmazione e controllo di gestione; - patrimonio e lavori; - approvvigionamenti; - amministrazione e finanza; - personale e organizzazione; - logistica e manutenzione; - servizi postali e di comunicazione elettronica; - servizi finanziari. C. Le Filiali, con competenza territoriale provinciale, (talvolta associate a un ufficio postale), aventi le seguenti funzioni: - programmazione e controllo di gestione; - patrimonio; - approvvigionamenti; - organizzazione e formazione; - amministrazione e finanza; - servizi finanziari; - servizi postali; - logistica. Gruppo operativo, formato da: • Centri di meccanizzazione postale nei quali viene effettuata la lavorazione meccanizzata della posta, che costituisce l’ossatura della rete di raccolta e trasmissione della corrispondenza e dei pacchi; possono avere competenza territoriale provinciale, regionale o nazionale; sono spesso collocati in edifici di tipo produttivo-industriale, localizzati preferibilmente in prossimità dei nodi stradali, ferroviari e/o aeroportuali. • Centri di servizio operativo del movimento postale (Uffici di settore, nelle grandi città): provvedono al decentramento – a scala provinciale o di settore urbano – delle operazioni di distribuzione e recapito della corrispondenza, con una rete a maglie più fitte di quella dei centri di meccanizzazione, ai quali inviano gli effetti postali raccolti. Uffici postali, articolabili in: • Uffici principali (classi A e B), presenti in tutti i capoluoghi di provincia ed in alcune località di particolare importanza, con bacino d'utenza tra 100.000 e 200.000 abitanti, e l'impiego fino a 400 addetti. • Succursali ed uffici locali (classi C, D, E), situati in tutti i centri abitati, dalle più piccole frazioni ai quartieri delle grandi città, con bacino d'utenza tra 1.500 e 20.000 abitanti; in base ai livelli di traffico ed al volume di affari sono classificati in tre fasce: - di rilevante entità (classe C: con superfici utili tra 400 e 600 mq); - di media entità (classe D: con superfici utili tra 300 e 350 mq); - di minore entità (classe E: con superfici utili tra 150 e 220 mq).
STRUTTURE PER L’ESERCIZIO DEL SERVIZIO POSTALE Le sedi e le filiali propongono esigenze analoghe a quelle di qualsiasi altro edificio per uffici e si definiscono in base a programmi d’intervento calibrati sulla quantificazione e la caratterizzazione dei diversi ambiti operativi. Gli uffici postali e la loro articolazione spaziale propongono invece una estesa gamma di esigenze specifiche, definite, regolate e quantificate da apparati normativi e regolamentari ai quali è necessario riferire l’attività progettuale. Si veda, in particolare, le Norme per la progettazione di edifici PT, emanate dal Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni, Direzione generale PT, Roma 1974 e successive modificazioni ed integrazioni, dal quale è stata estratta parte dei dati e delle informazioni utilizzati per la trattazione di questo capitolo. Requisito essenziale che orienta la progettazione delle strutture per uffici postali è quello della rigorosa separazione degli spazi aperti al pubblico da quelli riservati al personale; pertanto l’ordinamento del capitolo sarà anch’esso suddiviso in base a tale separazione.
SPAZI APERTI AL PUBBLICO Gli Spazi aperti al pubblico comprendono i seguenti ambiti: • Atrio attrezzato: - spazio filtro, aperto al pubblico 24 ore su 24, che immette nella sala al pubblico; - vi si svolgono operazioni di impostazione e ritiro della posta dal casellario; - è dotato di una postazione per l'uso del telefono; - negli edifici più importanti è prevista anche un'area, simile a quella di una banca, dove è possibile svolgere una serie di operazioni automatizzate come prelievi, pagamenti e rilascio di certificazioni anagrafiche.
B.5. 4.
• Ingressi per il pubblico: devono essere almeno due (a eccezione dei piccoli uffici periferici), accessibili al pubblico dall'esterno dell'edificio: - un ingresso principale che immette nella sala per il pubblico; - un ingresso separato che immette nella zona per il pagamento delle pensioni; in alcuni casi può essere previsto un altro accesso autonomo che immette nella zona pacchi; ognuno degli accessi deve avvenire attraverso una bussola.
• Sala per il pubblico: ha dimensioni proporzionate all'importanza dell'ufficio e ai dati statistici di affluenza; deve essere organizzata in aree o zone, a seconda dei servizi offerti: -
area corrispondenza; accettazione pacchi; servizi a denaro; accettazione telegrammi;
deve prevedere anche uno spazio o un’articolazione spaziale d'attesa con scrittoi, telefoni e distributori automatici; con il processo di modernizzazione del servizio postale, l'area di attesa deve essere concepita in modo da sostituire le file agli sportelli; negli uffici di maggiore importanza, devono essere previsti anche degli spazi per il colloquio diretto con il personale e per la consulenza finanziaria, con modalità analoghe a quelle delle banche.
➥
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. B.5.3 APERTI I UFFIC BBLICO – RIE AL PUZIE BANCA AGEN . B.5.4 APERTI I UFFIC BBLICO – AL PU POSTALI I UFFIC
B 197
B.5. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI UFFICI APERTI AL PUBBLICO – UFFICI POSTALI
•
STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI
➦ STRUTTURE PER L’ESERCIZIO DEL SERVIZIO POSTALE FIG. B.5.4./1 SCHEMI DISTRIBUTIVI DELLE ATTIVITÀ E DELLE RELAZIONI DI UN UFFICIO DI CLASSE “C” (400+600 mq)
S11
S11
S1 S13 S10a S12
S10b
S10c
S2
S2
S1 S8
S7
S9a
S3 S4
S6
S4
P3
P4b
P4b
S5 S9c
S9b
P1
P5b
P2 P4a
P5a
P4a P2
REQUISITI DI FRUIBILITÀ E DI BENESSERE DEGLI AMBIENTI DI UN UFFICIO POSTALE DI CLASSE 'C', IN RIF. ALLE UNITÀ AGGREGATE NELLO SCHEMA SOVRASTANTE P P1 P2 P2 P3 P4
-
ZONE ACCESSIBILI AL PUBBLICO Atrio d'accesso (portico) Ingresso principale (bussola) Ingresso zona pensioni (bussola) Casellario Sala pubblico (servizi posta e telegrafo) a. attesa, scrittoi b. operazioni allo sportello (5 sportelli ordinari +1 pacchi ) c. accettazione telegrammi (eventuale, 1 sportello) P5 - Sala pubblico - servizio pensioni (e servizi bancari) a. attesa e scrittoi b. operazioni allo sportello (2 sportelli)
altezza min. 260 cm 260 cm 260 cm 260 cm 350 cm 350 cm 350 cm 300 cm 350 cm 350 cm 350 cm
RIFERIMENTI DIMENSIONALI lunghezza larghezza parametro sup. superfici nette 22,00 mq 3,60 mq 180 cm 200 cm 2,25 mq 150 cm 150 cm 590 cm
150 cm ~13 mq/sport.
1.125 cm 300 cm
450 cm
550 cm 400 cm
500 cm
~12 mq/sport.
~13 mq/sport.
~8,80 mq 90,00 mq 14,00 mq 64,00 mq 12,00 mq 37,00mq 14,00mq 23,00mq
S - ZONE OPERATIVE S1 - Accesso dipendenti 260 cm S2 - Spogliatoi e servizi igienici dipendenti 260 cm 44,00 mq 350 cm S3 - Retrocasellario (anche integrato negli spazi di disimpegno) 34,00 mq 6 mq/sport. 350 cm 1.125 cm 300 cm S4 - Retrosportelleria: 5 postazioni ordinarie+ 1 pacchi (+1 tegr.) 13,00 mq 6 mq/sport. 350 cm 300 cm 425 cm S5 - Retrosportelleria pensioni (può essere aggrgata alla retrosportelleria o alla direzione) S6 - Cassa centrale con box valori 300÷350 cm S7 - Direzione 300 cm 20,00 mq S8 - Archivio 6,00 mq S9 - Apparati di fonodettatura (C.T.R.) 350 cm 40,00 mq 350 cm 24,00 mq a. sala apparati con telescriventi 350 cm 8,00 mq b. sala per fonodettatura 350 cm 8,00 mq c. sala fattorini ~12 mq/sport. 350 cm 111,00 mq S10 - Sala arrivi e partenze 350 cm 26,00 mq a. settore pacchi 350 cm 56,00 mq b. settore posta 350 cm 29,00 mq c. settore portalettere da terra 80 cm min. 500 cm 250 cm (L = lungh. S11) S11 - Piano di carico S12 - Gruppo elettrogeno 6,00 mq si veda la normativa vigente per le centrali termiche S13 - Centrale termica 5,00 mq
B 198
RIFERIMENTI AMBIENTALI aerazione nat. illuminamento
vol./30 (1/6 sup.)
80 lux
vol./30 (1/6 sup.)
80 lux
1/10 sup, min.1mq si somma a P4 si somma a P6
80 lux 80 lux 200 lux 200 lux 150 lux 150 lux -
1/8 della sup. 1/8 della sup. 1/8 della sup. 1/8 della sup. 1/8 della sup. 1/8 della sup. 1/6 della sup.
200 lux 150 lux 100 lux 100 lux
50 lux 1/30 della sup. 1/30 della sup.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI UFFICI APERTI AL PUBBLICO – UFFICI POSTALI
B.5. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.5.4./2 UFFICI POSTALI DI CLASSE “D” – SCHEMI DISTRIBUTIVI DELLE ATTIVITÀ E DELLE RELAZIONI
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
P1
E ESE ESSIONAL PROF
P2
P4
P4
S8c
S8b
B - UFFICIO POSTALE DI CLASSE 'D' (300 ÷3 60 MQ) - SCHEMA DELLE ATTIVITÀ E DELLE RELAZIONI
D.GETTAZIONE E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
S4
S4
S8a
S5
S3
P4
P4
P3
PRO TTURALE STRU
F. TERIALI, S6
S1
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
CLASSIFICAZIONE DEGLI UFFICI POSTALI E SUPERFICI NECESSARIE, IN RELAZIONE AI BACINI DI UTENZA (AMMINISTRAZIONE PP.TT.) UFFICIO POSTALE DI CLASSE UFFICIO POSTALE DI CLASSE UFFICIO POSTALE DI CLASSE UFFICIO POSTALE DI CLASSE UFFICIO POSTALE DI CLASSE
ABCDE-
S12
S10
S10
S11
S9
S9
S7
S2
S2
URB
200 ÷ 800 MQ AL PIANO TERRA + 300 ÷ 400 MQ AL PIANO SUPERIORE 700 ÷ 900 MQ AL PIANO TERRA 400 ÷ 600 MQ AL PIANO TERRA FINO A 300 MQ AL PIANO TERRA (+ 50 MQ PER I LOCALI DEL C.R.T., SE PRESENTI) 150 ÷ 200 MQ AL PIANO TERRA
PERCORSI DEL PUBBLICO PERCORSI DEL PERSONALE AREA DI LIBERO ACCESSO
REQUISITI DI FRUIBILITA' DEGLI AMBIENTI DI UN UFFICIO POSTALE DI CLASSE 'D', IN RIFERIMENTO ALLE UNITÀ AGGREGATE NELLO SCHEMA SOVRASTANTE P P1 P2 P3 P4
ZONE FRUIBILI DAL PUBBLICO Atrio d'accesso (portico) Ingresso principale (bussola) Casellario Sala pubblico
S S1 S2 S3 S4
ZONE OPERATIVE Accesso dipendenti Spogliatoi e servizi igienici Retrocasellario (anche dal disimpegno) Retrosportelleria: 5 posti ordinari + 1 pacchi * Cassa centrale con box valori Direzione Archivio Apparati fonodettatura (C.T.R.) * * a. sala apparati con telescriventi b. sala per fonodettatura c. sala fattorini Sala arrivi e partenze Piano di carico Gruppo elettrogeno Centrale termica
S5 S6 S7 S8
S9 S10 S11 S12 *
altezza minima 260 cm 260 cm 260 cm 350 cm
260 cm 260 cm 350 cm 350 cm 350 cm 300÷350 cm 300 cm 350 cm 350 cm 350 cm 350 cm 350 cm da terra 80 cm
RIFERIMENTI DIMENSIONALI lunghezza larghezza parametro sup. superfici nette 12,00 mq 2,70 mq 180 cm 150 cm 6,00 mq 350 cm 150 cm 1.350 cm 470 cm ~10 mq/sport. 64,00 mq
(anche nell'ufficio della direzione) ~6 mq/sport. 300 cm 1.350 cm
** Nel caso siano richiesti (nello schema accanto sono stati contemplati)
vol./30 (1/6 della sup.)
80 lux
21,00 mq
1/10 sup. (min.1mq)
40,00 mq
la sup. si somma a P4
200 lux
1/8 della superficie 1/8 della superficie 1/8 della superficie 1/8 della superficie 1/8 della superficie 1/8 della superficie 1/8 della superficie 1/6 della superficie
200 lux
(può essere aggrgata alla retrosportelleria o alla direzione) 14,00 mq (anche in locali per altre attività d'ufficio) 5,00 mq 40,00 mq 24,00 mq 8,00 mq 8,00 mq ~11 mq/sport. 66,00 mq (L = L. S11) min. 250 cm 150 cm 5,00 mq si veda la normativa vigente per le centrali termiche 6,00 mq
Per dettagli, dimensioni e specificazione dei diversi tipi di sportelli (si veda Fig. B.5.4./3. seguente)
PARAMETRI AMBIENTALI aerazione naturale illuminamento
80 lux
150 lux
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
200 lux 150 lux 100 lux 100 lux 50 lux
1/30 della superficie 1/30 della superficie
. B.5.4 APERTI I UFFIC BBLICO – AL PU POSTALI I UFFIC
B 199
B.5. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI UFFICI APERTI AL PUBBLICO – UFFICI POSTALI
•
STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI
➦ STRUTTURE PER L’ESERCIZIO DEL SERVIZIO POSTALE SPAZI DI CONTATTO TRA PUBBLICO E PERSONALE • Retrosportelleria Spazio adiacente alla sala per il pubblico, separato da questa mediante il bancone, che ospita le postazioni dei dipendenti in contatto con il pubblico (sportelli); si articola in settori specifici in base ai servizi offerti: -
- piano di carico: spazio necessario per il carico e lo scarico della massa postale; deve essere agevolmente accessibile agli automezzi di servizio postale. • Spazi per l'Amministrazione e la Direzione - direzione: formata dagli uffici dei dirigenti con relative sale di attesa ed eventuali segreterie;
pagamento pensioni, servizi a denaro, accettazione pacchi, accettazione telegrammi;
- uffici operativi: compredono ufficio amministrativo e segreteria, disposti secondo lo schema aperto;
Il collegamento tra la ‘retrosportelleria’ e la sala deve avvenire mediante filtro protetto da una porta blindata. La retrosportelleria deve essere posta in contatto diretto con la sala telegrafica e con l'ufficio del direttore.
- caveau: camera protetta e blindata per la custodia dei valori. • Archivio Negli uffici più grandi viene collocato in un ambiente specifico, anche sotterraneo.
SPAZI RISERVATI AL PERSONALE • Ingressi per il personale oltre a quelli per il pubblico, deve essere previsto un ingresso di servizio per il personale e almeno un'uscita di sicurezza ogni 300 mq di superficie coperta. • Spazi per le funzioni di servizio comprendono i seguenti ambiti operativi: - retrocasellario: è l'area posizionata alle spalle del casellario da dove viene smistata la posta nelle varie caselle postali; - arrivi e partenze corrispondenza e pacchi: spazio in cui si svolge la lavorazione della corrispondenza e dei pacchi (in spazi separati); deve essere collegato con la retrosportelleria,con la zona portalettere e con il piano di carico; nel caso di uffici pluripiano deve essere ubicato al piano terra; - area telecomunicazioni: è composta da una sala degli apparati per tutti i servizi telematici, la fonodettatura dei telegrammi via telefono, i telex ecc.; una sala di sosta dei fattorini per il recapito dei telegrammi, che può essere anche ospitata nella zona arrivi e partenze della corrispondenza;
• Servizi per il Personale - mensa-bar, e in genere luoghi di ristoro e riposo per il personale (classi A e B); - servizi, con accesso dagli spogliatoi per il personale e dai servizi igienico-sanitari; negli edifici più grandi devono essere previsti un gruppo servizi per la retrosportelleria, uno per la zona trattamento corrispondenza, uno per quella telegrafica e uno per la direzione e gli uffici amministrativi. • Servizi Ausiliari -
deposito archivi generali gruppo elettrogeno centrali degli impianti tecnologici
Il dimensionamento dei diversi ambiti funzionali varia secondo il tipo di ufficio postale. Il dimensionamento minimo delle aree di attività dei diversi tipi di uffici postali è sintetizzato nella Tab. B.5.4./1.
FIG. B.5.4./3 UFFICI POSTALI DI CLASSE “E” – SCHEMI DISTRIBUTIVI DELLE ATTIVITÀ E DELLE RELAZIONI
UFFICIO POSTALE DI CLASSE 'E' (150 ÷ 220 MQ) - ATTIVITÀ E RELAZIONI REQUISITI DI FRUIBILITÀ DEGLI AMBIENTI DI UN UFFICIO POSTALE DI CLASSE 'E', IN RIFERIMENTO ALLE UNITÀ AGGREGATE NELLO SCHEMA ACCANTO
S10
S9
S4
S12
S2
S7 + S8b
S6+S5 + S3
PERCORSI DEL PUBBLICO PERCORSI DEL PERSONALE AREA DI LIBERO ACCESSO
B 200
ZONE FRUIBILI DAL PUBBLICO altezza min. 260 cm Atrio d'accesso (portico) 260 cm Ingresso principale (bussola) 260 cm Casellario 350 cm Sala pubblico
S S1 S2 S3 S4
ZONE OPERATIVE 260 cm Accesso dipendenti Spogliatoi e servizi igienici 350 cm (anche nell'ufficio della direzione) Retrocasellario (dal disimpegno) Retrosportelleria: 350 cm ~6 mq/sport. 900 cm 290 cm 3 posti ordinarie + 1 pacchi 350 cm Cassa centrale con box valori 300÷350 cm (anche in locali per altre attività d'ufficio) Direzione 300 cm Archivio Apparati fonodettatura (C.T.R.) * 350 cm a. sala apparati con telescriventi 350 cm b. sala per fonodettatura 350 cm (eventualmente collocata negli uffici) c. sala fattorini 350 cm Sala arrivi e partenze 350 cm ~11 mq/sport. Piano di carico 150 cm (L = L S9) da terra 80 cm min. 250 cm Gruppo elettrogeno Centrale termica si veda la normativa vigente per le centrali termiche
180 cm 350 cm 900 cm
150 cm 150 cm 450 cm
~10 mq/sport.
2,70 mq 5,20 mq 42,00 mq
P4
P2 S11
RIFERIMENTI DIMENSIONALI lunghezza larghezza parametri sup. superfici nette 9,00 mq
P P1 P2 P3 P4
P3
P1
S5 S6 S7 S8
S9 S10 S11 S12
* Nel caso siano richiesti (nello schema accanto non è previsto)
18,00 mq 26,00 mq
14,00 mq 5,00 mq 40,00 mq 24,00 mq 8,00 mq 8,00 mq 45,00 mq 5,00 mq 6,00 mq
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE COMMERCIALI E UFFICI UFFICI APERTI AL PUBBLICO – UFFICI POSTALI
B.5. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.5.4./4 SPORTELLI DI CONTATTO CON IL PUBBLICO SPORTELLERIA - SCHEMA DI AGGREGAZIONE IN LINEA DEI DIVERSI SPORTELLI BUSSOLA D'ACCESSO DALL'ATRIO
A - SPORTELLO GENERICO
SALA ARRIVI E PARTENZA E SERVIZI PERSONALE
~150 1
A
E ESE ESSIONAL PROF
D 2
D 2
3
3
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
75
SALA DEL PUBBLICO (PAVIMENTAZIONE ORDINARIA)
E.NTROLLO
RETROSPORTELLERIA (PAVIMENTO FLOTTANTE MODULARE ) A - SPORTELLI GENERICI B - SPORTELLI CONTI CORRENTI C - SPORTELLO DI INVIO E RITIRO PACCHI
50
100
CO NTALE AMBIE
50 95
100
F. TERIALI,
PERCORSO DI SERVIZIO
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
1 - PIANO DI SCAMBIO CON I CLIENTI: A - VETRO ANTIPROIETTILE; B - VARCO 2 - PIANO DI LAVORO: D - CALCOLATRICE 3 - PIANO DI SERVIZIO
~210 SPORT. B.
B - SPORTELLO CONTI CORRENTI
E
3
E
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
3
3 50
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
50
110
50
ZZAB.4. TI E ATTRERT N O IA P P S IM O PER L TURE
95
110
D
2
E
3
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
75
~210 SPORT. B. ~150 SPORT. A
C
D
E
~150 SPORT. A
B
1 2
50
~225 SPORT. C
PERCORSO DI SERVIZIO
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
1 - PIANO DI SCAMBIO CON IL CLIENTE: A - VETRO ANTIPROIETTILE; B - VARCO 2 - PIANO DI LAVORO: C - TASTIERA OPERATRICE; D - CALCOLATRICE 3 - PIANI DI SERVIZIO: E - MACCHINE OPERATRICI
SALA ARRIVI E PARTENZA E SERVIZI PERSONALE
C - SPORTELLO DI RITIRO E CONSEGNA PACCHI (+ SPORTELLO GENERICO) ~150 A
~150 1
A
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
1
B
B
G
D
2
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
2
D
3
3
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
75
75
VETRO ANTIPROIETTILE
4 F
70
75
ALTEZZA SCHERMO ANTIPROIETTILE
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
PIANO DI LAVORO
80
H
PERCORSO DI SERVIZIO 100
15
0,00 rel. 75
75
90÷120
60
95
110
60
VARCO PASSAEFFETTI PIANO DI SCAMBIO
URB
A
B C
G.ANISTICA
~210 1
75
~210 SPORT. B.
~210 SPORT. B.
3
75
B
~210
250
C.RCIZIO
1
B
A
I ED PRE NISM ORGA
~150
A
FILTRO DI COMUNICAZIONE
PLAFONIERA AVVISI ATTIVITÀ
B.STAZIONI DILEGIZLII
ZONA DEGLI SPORTELLI - ELEMENTI DI DIMENSIONAMENTO
50
100
50
1 - PIANO DI SCAMBIO CON IL CLIENTE: A - VETRO ANTIPROIETTILE; B - VARCO 2 - PIANO DI LAVORO: D - CALCOLATRICE 3 - PIANO DI SERVIZIO 4 - VARCO DI RITIRO E CONSEGNA: F - PASSAPACCHI; G - BILANCIA; H - CARRELLO
➥
. B.5.4 APERTI I UFFIC BBLICO – AL PU POSTALI I UFFIC
B 201
B.6. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE ATTIVITÀ RICETTIVE ALBERGHI – GENERALITÀ E RIFERIMENTI NORMATIVI Con la dizione «attività ricettive» la normativa vigente indica le seguenti tipologie di attività:
[si veda B.1.2.], nonché le norme vigenti in materia di scarichi, di emissioni nell’atmosfera e di rifiuti urbani, stabilite per gli insediamenti civili.
a) alberghi; b) motel; c) villaggi-albergo; d) villaggi turistici; e) esercizi di affittacamere; f) case e appartamenti per vacanze; g) alloggi agroturistici; h) ostelli per la gioventù; i) residenze turistico-alberghiere; l) rifugi alpini.
Occorre inoltre installare e denunciare annualmente idonei strumenti per la misurazione della portata delle acque prelevate dagli esercizi che hanno un sistema autonomo di approvvigionamento. CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE RICETTIVE
CARATTERI PRESTAZIONALI DEGLI EDIFICI •Diversi STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE sono i parametri e i criteri in base ai quali è possibile operare classificazione
L’insieme di tali attività costituisce «industria alberghiera», in quanto “svolge attività di gestione di strutture ricettive”. Ai fini urbanistici e normativi, il requisito che caratterizza le strutture ricettive rispetto alle altre strutture di residenza e alloggio è costituito dalla “gestione unitaria”, che deve trovare riscontro edilizio nella presenza di servizi e attrezzature collettive centralizzate. Il quadro normativo di riferimento per la progettazione di nuovi edifici destinati a ospitare strutture ricettive o anche per la trasformazione a tale fine di edifici e complessi esistenti, è costituito dagli ambiti legislativi riportati nella tabella accanto. Oltre alle normative generali e specifiche richiamate, agli alberghi si applicano le normative in materia di superamento ed eliminazione delle barriere architettoniche
delle strutture ricettive: • durata prevalente di permanenza dell’utenza (transito breve per uno o due pernottamenti, soggiorno turistico-stagionale per una o più settimane, residenza temporanea per periodi anche di più mesi, ecc.); • destinazione prevalente (per turismo, per congressi, per periodi di cura, ecc.); • per quantità di dotazione e livello qualitativo dei servizi offerti. L’ultimo tipo di criterio indicato, «per dotazione e livello qualitativo dei servizi offerti» riveste particolare importanza in quanto è quello adottato internazionalmente per la classificazione degli alberghi, che viene segnalata mediante l’attribuzione di un numero di «stelle», che può variare da 1 a 5. La normativa recente, adottata internazionalmente, applica tale tipo di classificazione alle seguenti tipologie di attività ricettive: • alberghi: da 1 a 5* + 5*Lusso • campeggi: da 1* a 4* • villaggi turistici e residenze turistico-alberghiere: da 2* a 4*
TAB. B.6.1./1 RIFERIMENTI INFORMATIVI IN MATERIA DI SICUREZZA DEGLI ALBERGHI COMPENDI NORMATIVI ORGANICI (LEGGI QUADRO)
Legge n.217 del 17 maggio 1983 GU n.141, 25 maggio 1983
DM Interni 9 aprile 1994 [riportata nel testo seguente]
Legge quadro in materia di turismo e industria alberghiera, definisce i comportamenti essenziali in materia di turismo e attività alberghiera, e i “requisiti strutturali dei servizi offerti”, modificata, aggiornata e integrata recentemente dal seguente decreto; tale legge, tra l’altro, fissa in 7 camere la dotazione minima perché l’attività possa rientrare nell’ambito alberghiero;
Promulga la “Regola tecnica di prevenzione incendi per la costruzione e l’esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere” [riportata pressoché integralmente di seguito], che distingue le “attività ricettive con capacità ricettiva superiore a 25 posti letto” (Titolo II) da quelle non superiori a 25 posti letto (Titolo III) e regola sia le “ attività di nuova costruzione Titolo II, (Parte Prima), che l’adeguamento delle “attività esistenti” (Titolo II, Parte seconda).
Raccomandazione 86/CEE/666 del 22 dicembre 1986
Raccomandazione del Consiglio CEE per la protezione antincendio degli alberghi esistenti.
DL 19 settembre 1994 n.626
Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro.
DISPOSIZIONI NORMATIVE PARTICOLARI E/O RICHIAMATE
Circ. Min. interni n.91del 14 settembre 1961
Prescrizioni e modalità di prova per valutare i requisiti di resistenza al fuoco degli elementi strutturali. Per il dimensionamento degli spessori e delle protezioni da adottare per i vari tipi di materiali. Per la classificazione degli edifici in funzione del “carico di incendio”.
DM interni 16 febbraio 1982 GU n.98, 5 aprile 1982
In materia di controlli dei VVFF e di prevenzione incendi
DM interni 30 novembre 1983 GU n.339, 12 dicembre 1983
Per i termini, le definizioni e le tolleranze dimensionali
DM interni del 14 dicembre 1983 GU n.303, 28 dicembre 1983
Per le modalità di valutazione e di attestazione di conformità dei requisiti di resistenza al fuoco delle porte e degli altri elementi di chiusura.
DM interni 26 giugno 1984 GU n.234, 25 agosto 1984
In materia di omologazione dei materiali per quanto attiene le classi di supplemento ordinario alla resistenza al fuoco.
DM interni 6 marzo 1986 GU 13 marzo 1986
Indicazioni per quanto attiene il calcolo del carico di incendio per locali aventi strutture portanti in legno.
DISPOSIZIONI RIGUARDANTI ASPETTI PARTICOLARI
B 202
RD 27 luglio 1934 n.1265
Testo unico delle leggi sanitarie, al Capo V “Alberghi”.
Legge n.168 del 1 marzo 1968 GU n.27, 23 marzo 1968
In materia di impianti elettrici.
DPR n.524/1982 – GU n.218, 10 agosto 1982
Segnaletica di sicurezza.
Legge n.46 del 5 marzo 1990
Ascensori.
DM interni del 6 marzo 1992 Altri aspetti connessi alla utilizzazione di strutture ed GU n.66, 19 marzo 1992 elementi in legno; omologazione e classificazione.
DM interni del 20 dicembre 1982 GU n.19, 20 gennaio 1983
Approvazione dei diversi tipi di estintori da parte del Ministero degli Interni.
DM Interni 10 marzo 1998
Criteri generali di sicurezza antincendio per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE ATTIVITÀ RICETTIVE
B.6. 1. A.ZIONI
TAB. B.6.1./2 TIPO E DEFINIZIONE DELLE STRUTTURE RICETTIVE (estratto dal n.94 dell’”Elenco” allegato al DL 1973/1965, e dal DM 4 aprile 1994)
TAB. B.6.1./3 NORME DI PREVENZIONE INCENDI – TERMINOLOGIA (estratto dal n.94 dell’”Elenco” allegato al DL 1973/1965, e dal DM 4 aprile 1994)
TIPO E DEFINIZIONE DELLE STRUTTURE RICETTIVE
TIPO DI ATTIVITÀ
Esercizi di affittacamere
Alloggi agroturistici
Rifugi alpini
Motel
Alberghi
Residenze turisticoalberghiere
Villaggi albergo
Villaggi turistici
Luogo sicuro
Spazio scoperto (piazze e vie private, cortili, terrazze, balconi, ponti fra edifici) di adeguate dimensioni e di facile accessibilità alla strada pubblica oppure scale protette, ove consentite, oppure “filtro a prova di fumo” fra compartimenti antincendio, oppure galleria o corridoio protetto.
Locali siti in fabbricati rurali, nei quali viene fornito alloggio da imprenditori agricoli.
Locali idonei a offrire ospitalità, in zone montane di alta quota, fuori dei centri urbani.
Case e appartamenti per vacanze
Percorso orizzontale e/o verticale che conduce da un punto interno qualsiasi dell’edificio all’esterno, su strada pubblica o in “luogo sicuro”. Il percorso può comprendere corsie, corridoi, attraversamenti di locali intermedi, vani di parete di accesso alle scale e di uscita all’esterno, scale, rampe, passaggi.
Strutture ricettive composte da non più di 6 camere; ubicate in non più di due appartamenti ammobiliati in uno stesso stabile, ove sono forniti alloggio ed eventualmente servizi complementari.
Esercizi ricettivi a gestione unitaria, attrezzati su aree recintate, per la sosta e il soggiorno di utenti provvisti, di norma, di tende o altri mezzi autonomi per il pernottamento.
Case per ferie
Via d’uscita [o via d’esodo]
DEFINIZIONE DELLA STRUTTURA
Campeggi turistici
Ostelli per la gioventù
NORME DI PREVENZIONE INCENDI – TERMINOLOGIA
Strutture ricettive attrezzate per soggiorno e pernottamento dei giovani.
Strutture ricettive attrezzate per il soggiorno di singoli o gruppi, gestite, al di fuori dei normali canali commerciali, da enti pubblici, enti o associazioni religiosi operanti senza fine di lucro per il conseguimento di finalità sociali, culturali, assistenziali, religiose, o da enti o aziende per il soggiorno dei propri dipendenti e loro familiari.
Spazio calmo
Luogo sicuro statico contiguo e comunicante con una via d’esodo verticale o in essa inserito. Tale spazio non dovrà costituire intralcio alla fruibilità delle vie d’esodo e avere caratteristiche tali da garantire la permanenza di persone con ridotte o impedite capacità motorie in attesa dei soccorsi.
Corridoio cieco
Corridoio o porzione di corridoio dal quale è possibile l’esodo in un’unica direzione. La lunghezza del “corridoio cieco” va calcolata dall’inizio dello stesso fino all’incrocio con un corridoio dal quale sia possibile l’esodo in almeno due direzioni, o fino al più prossimo “luogo sicuro” o via di esodo verticale.
Filtro a prova di fumo
Disimpegno, aerato a mezzo di canna di ventilazione di adeguata sezione oppure direttamente dall’esterno e munito di doppia porta resistente al fuoco, per il passaggio da un compartimento antincendio a uno adiacente.
Scala a prova di fumo
Scala realizzata entro gabbia costituita da pareti continue resistenti al fuoco e avente accesso, per ogni piano, da balcone esterno o da disimpegno completamente aperto su spazio a cielo scoperto per lo meno per un lato.
Scala interna a prova di fumo
Scala realizzata entro gabbia costituita da pareti continue re sistenti al fuoco e avente accesso, per ogni piano, da disimpegno aerato a mezzo di condotte di ventilazione di adeguata sezione sfocianti al di sopra della copertura della gabbia medesima.
Scala protetta
Scala racchiusa entro gabbia costituita da pareti continue resistenti al fuoco e avente accesso diretto al pianerottolo di ogni piano.
Compartimenti antincendio
Sezioni di un edificio separate da muri tagliafuoco di resisten za al fuoco pari a quella della classe di resistenza dell’edificio stesso.
Densità di affollamento
Il maggior numero prevedibile di persone presenti per unità di superficie lorda del pavimento (persone/mq).
Superficie lorda
Superficie di quasiasi piano o parte di esso compresa entro il perimetro esterno dei muri o pareti delimitanti il piano stesso o parte di esso.
Affollamento
Massimo numero prevedibile di persone presenti a qualsiasi titolo in ogni piano dell’edificio [o in alcuni ambienti, come sale, ristorante, etc.]. È determinato dal prodotto: densità di affollamento x superficie lorda.
Immobili arredati gestiti in forma imprenditoriale per l’affitto turistico, nel corso di una o più stagioni, senza offerta di servizi centralizzati, con contratti aventi validità non superiore ai tre mesi consecutivi.
Alberghi particolarmente attrezzati per la sosta e l’assistenza di ospiti dotati di autovetture o imbarcazioni, alle quali vengono inoltre assicurati servizi di riparazione e di rifornimento carburante.
Esercizi ricettivi a gestione unitaria, che forniscono alloggio, eventualmente vitto e altri servizi accessori, in camere ubicate in uno o più stabili o in parti di stabile.
Esercizi ricettivi a gestione unitaria, che forniscono alloggio e servizi accessori in unità abitative arredate costituite da uno o più locali, dotate di servizio autonomo di cucina.
Alberghi che, in un’unica area, forniscono servizi centralizzati agli ospiti di unità abitative ubicate in più stabili.
Esercizi ricettivi a gestione unitaria, attrezzate su aree recintate per sosta e soggiorno in allestimenti minimi di utenti sprovvisti, di norma, di mezzi autonomi di pernottamento.
Capacità di deflusso
Numero massimo consentito di persone che possono uscire attraverso un “modulo di uscita” (v. seg.).
Modulo di uscita
Unità di misura della larghezza delle vie di uscita, fissata pari a 0,60 m. La larghezza delle vie d’uscita si computa in ragione del numero intero di “moduli” che contiene.
Larghezza totale delle uscite
Misura del numero dei “moduli di uscita” necessari allo sfollamento totale del piano.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. IVE B.6.1 À RICETT IT ATTIV
B 203
B.6. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE ATTIVITÀ RICETTIVE ALBERGHI FIG. B.6.1./1 SCHEMA DI DISTRIBUZIONE DEL PIANO TERRA DI UN ALBERGO DI CATEGORIA SUPERIORE (servizi generali) INGRESSO PERSONALE E MERCI C4
V3 C2
VIE D'ESODO PER LE SALE [DEC. 9 APRILE 1994] : - FINO A 50 PERSONE: USCITA ORD. ≥ 90 cm. - TRA 50 E 100 PERSONE: ALMENO 2 USCITE - OLTRE 100 PERSONE: COME PER SALE PER SPETTACOLI: ALMENO LA METÀ DELLE USCITE DEVE ADDURRE DIRETTAMENTE ALL'ESTERNO O IN LUOGO SICURO
V5
C4
CUCINE
C1
USCITA DI EMERGENZA
C3 V4
V4 SALE
V2
USCITA DI EMERGENZA
V2
V1
USCITA DI EMERGENZA
RISTORANTE
BAR
GUARDAROBA
H ALL
G1
H3
A1 H2 DIREZIONE A
G3
G2
H5
R1
H4
A2
A3
H1 MARCIAPIEDI
SOSTA AUTO
SOSTA AUTO
PERCORSI OSPITI PERCORSI DI SERVIZIO LEGENDA H - HALL (ATRIO) H1 -BUSSOLA O FILTRO DI INGRESSO (V. ANCHE FIG. B.6.1./3.) H2 - RECEPTION (RICEVIMENTO) H3 - PORTIERE, INFORMAZIONI, CENTRALINO [V. ANCHE FIG. A.3.4./ 11) H4 - DEPOSITO BAGAGLI H5 - PORTIERE DI NOTTE (SI VEDA.NOTA 1) A - DIREZIONE, AMMINISTRAZIONE A1 - SALETTA DI ATTESA A2 - DIRETTORE A3 - AMMINISTRAZIONE S - SALE: LETTURA, TELEVISIONE, ECC. (PER SALE CONVEGNI, RICEVIMENTI, FESTE, ECC. V. NOTA 2) G - GUARDAROBA , SERVIZI, TELEFONI ESTERNI G1 - GUARDAROBA (OSPITI, RISTORANTE, ECC.) G2 - SERVIZI IGIENICI DONNE G3 - SERVIZI IGIENICI UOMINI R - RISTORANTE R1 - BUSSOLA O FILTRO DI INGRESSO (PER ROOF GARDEN V. NOTA 3) B - BAR (PER SERVIZIO DI PRIMA COLAZIONE, V. NOTA 4) C - CUCINE C1 - OFFICE (DISIMPEGNO DELLA ZONA CUCINE) C2 - CUCINE C3 - DEPOSITO STOVIGLIE, CARRELLI PER APPARECCHIARE, ECC. C4 - DISPENSA, FRIGORIFERO, ECC. V - NODO DEI COLLEGAMENTI VERTICALI V1 - SCALA OSPITI V2 - ASCENSORI OSPITI V3 - SCALA DI SERVIZIO V4 - ASCENSORI E MONTACARICHI DI SERVIZIO V5 - DEPOSITO MATERIALI IN ENTRATA E IN USCITA (BIANCHERIA, ECC.)
B 204
NOTE 1. LA HALL COSTITUISCE L'AMBIENTE DI MAGGIORE TRANSITO DELL'ALBERGO. PER TALE MOTIVO, IN MOLTE REALIZZAZIONI O RISTRUTTURAZIONI RECENTI NELLA HALL SONO STATI DISPOSTI ANCHE BOX O BANCHI PER ATTIVITÀ COMMERCIALI (FIORI, ABBIGLIAMENTO, OGGETTI DA REGALO, TABACCHI, ECC.) O ANCHE VETRINE DI ESPOSIZIONE DI PRODOTTI VARI. IN TALI CASI LA DIMENSIONE E LA DISTRIBUZIONE DELLA HALL DEBBONO ESSERE OPPORTUNAMENTE ADEGUATE. 2. NEGLI ALBERGHI PROGRAMMATI PER OSPITARE FREQUENTEMENTE CONVEGNI, FESTE O CERIMONIE, LA SUPERFICIE DESTINATA ALLE «SALE» DEVE ESSERE ADEGUATAMENTE INCREMENTATA E OCCORRE PREDISPORRE ACCESSI E SERVIZI - GENERALI E SPECIFICI - AUTONOMI, IN MODO CHE LO SVOLGIMENTO DI TALI ATTIVITÀ NON INTERFERISCA CON L'ORDINARIO FUNZIONAMENTO DELL'ESERCIZIO: PER CONVEGNI, CONFERENZE E SIMILI: - ACCESSI E VIE D'ESODO A NORMA [V. DEC. APR. 1994, PUNTO 8.4.] - SERVIZI IGIENICI E GUARDAROBA AUTONOMI; - CABINE DI PROIEZIONE, TRADUZIONE SIMULTANEA E RELATIVI IMPIANTI; - PREDISPOSIZIONI PER IL «PALCO» PER FESTE, RICEVIMENTI, CERIMONIE E SIMILI: - SERVIZI IGIENICI E GUARDAROBA AUTONOMI O INCREMENTO DI QUELLI ORDINARI; - PREDISPOSIZIONI PER ALLESTIMENTO DEL BUFFET. 3. QUALORA SITUAZIONI PANORAMICHE O ALTRE MOTIVAZIONI CONSIGLINO LA COLLOCAZIONE DEL RISTORANTE AL PIANO ATTICO (ROOF GARDEN), LE CUCINE POTRANNO ESSERE LOCALIZZATE ALLO STESSO PIANO ATTICO OVVERO AL PIANO TERRA; IN ENTRAMBI I CASI SI DOVRANNO PREDISPORRE MONTACARICHI DESTINATI AL SOLLEVAMENTO DEI CIBI PREPARATI O DELLE DERRATE ALIMENTARI OCCORRENTI PER LE PREPARAZIONI. NEL CASO DI ROOF GARDEN APERTO ANCHE A NON OSPITI DELL'ALBERGO È CONVENIENTE DISPORRE SCALA E ASCENSORI SPECIFICAMENTE DESTINATI. 4. SEMPRE PIÙ FREQUENTEMENTE LA «PRIMA COLAZIONE» VIENE OFFERTA IN AMBIENTI DIVERSI DALLA SALA RISTORANTE. A TALE SCOPO SI PROVVEDE A DIMENSIONARE CONGRUAMENTE L'AMBIENTE BAR O ALTRA SALA ADEGUATA, OVVERO A PREVEDERE UN AMBIENTE SPECIFICAMENTE DESTINATO, POSSIBILMENTE IN COLLEGAMENTO DIRETTO CON LA ZONA DELLE CUCINE.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE ATTIVITÀ RICETTIVE
B.6. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
REGOLA TECNICA DI PREVENZIONE INCENDI PER LA COSTRUZIONE E L’ESERCIZIO DI ATTIVITÀ RICETTIVE E TURISTICO-ALBERGHIERE Approvata ed emanata con DM degli Interni 9 aprile 1994 TITOLO I – GENERALITÀ 1. Oggetto La presente regola tecnica di prevenzione incendi, emanata allo scopo di tutelare l’incolumità delle persone e salvaguardare i beni contro i rischi dell’incendio, ha per oggetto i criteri di sicurezza da applicarsi agli edifici e ai locali adibiti ad attività ricettive turisticoalberghiere definite dall’art.6 della legge n.217 del 17 maggio 1983 (GU n 141 del 25 maggio 1983) e come di seguito elencate: a) alberghi; b) motel; c) villaggi-albergo; d) villaggi turistici; e) esercizi di affittacamere; f) case e appartamenti per vacanze; g) alloggi agroturistici; h) ostelli per la gioventù; i) residenze turistico-alberghiere; l) rifugi alpini. 2. Campo di applicazione Le presenti disposizioni si applicano agli edifici e ai locali di cui al precedente punto, esistenti e di nuova costruzione. Agli edifici e locali esistenti, già adibiti alle attività di cui al punto 1, si applicano le nuove disposizioni previste per le nuove costruzioni nel caso di rifacimento di oltre il 50% dei solai. Le disposizioni previste per le nuove costruzioni si applicano agli eventuali aumenti di volume e solo a quelli. 3. Classificazione Le attività di cui al punto 1, in relazione alla capacità ricettiva (numero di posti letto a disposizione degli ospiti) dell’edificio e/o dei locali facenti parte di una unità immobiliare, si distinguono in: a) attività con capienza superiore a venticinque posti letto, alle quali si applicano le disposizioni del Titolo II; b) attività con capienza fino a venticinque posti letto alle quali si applicano le prescrizioni di cui al titolo III. Ai rifugi alpini si applicano le prescrizioni di cui al titolo IV. 4. Termini, definizioni e tolleranze dimensionali Per i termini, le definizioni e le tolleranze dimensionali si rimanda a quanto emanato con DM 30 novembre 1983 (in GU n.339 del 12 dicembre 1983). Inoltre, ai fini della presente regola tecnica, si definisce: spazio calmo: luogo sicuro statico contiguo e comunicante con una via di esodo verticale od in essa inserito. Tale spazio non dovrà costituire intralcio alla fruibilità delle vie d’esodo e avere caratteristiche tali da garantire la permanenza di persone con ridotte o impedite capacità motorie in attesa dei soccorsi; corridoio cieco: corridoio o porzione di corridoio dal quale è possibile l’esodo in un’unica direzione. La lunghezza de l«corridoio cieco» va calcolata dall’inizio dello stesso fino all’incrocio con un corridoio dal quale sia possibile l’esodo in almeno due direzioni, o fino al più prossimo «luogo sicuro» o via di esodo verticale.
TITOLO II – DISPOSIZIONI RELATIVE ALLE ATTIVITÀ RICETTIVE CON CAPACITÀ SUPERIORE A VENTICINQUE POSTI LETTO PARTE PRIMA – ATTIVITÀ DI NUOVA COSTRUZIONE 5. Ubicazione 5.1. Generalità Gli edifici da destinare ad attività ricettive devono essere ubicati nel rispetto delle distanze di sicurezza,
stabilite dalle disposizioni vigenti, da altre attività che comportino rischi di esplosione od incendio. Le attività ricettive possono essere ubicate: a) in edifici indipendenti, costruiti per tale specifica destinazione e isolati da altri; b) in edifici o locali, anche contigui ad altri aventi destinazioni diverse, purchè, fatta salva l’osservanza di quanto disposto nelle specifiche normative, tali destinazioni, se soggette ai controlli di prevenzione incendi, siano limitate a quelle di cui ai punti 64, 83, 84, 85, 86, 87, 89, 90, 91, 92 e 94 del DM 16 febbraio 1982 (GU n.98 del 5 aprile 1982). 5.2. Separazioni – Comunicazioni Salvo quanto disposto nelle specifiche regole tecniche, le attività ricettive: a) non possono comunicare con attività non a esse pertinenti; b) possono comunicare direttamente con attività a esse pertinenti non soggette ai controlli dei vigili del fuoco ai sensi del DM 16 febbraio 1982; c) possono comunicare tramite filtri a prova di fumo o spazi scoperti con le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi a esse pertinenti, elencate al punto 5.1.; d) devono essere separate dalle attività indicate alla lettera a) e c) del presente punto mediante strutture di caratteristiche almeno REI 90. Per le attività pertinenti di cui al punto 83 del DM 16 febbraio 1982, si applicano le specifiche prescrizioni riportate nel successivo punto 8.4. 5.3. Accesso all’area Per consentire l’intervento dei mezzi di soccorso dei vigili del fuoco, gli accessi alle aree dove sorgono gli edifici oggetto della presente norma devono avere i seguenti requisiti minimi: • larghezza 3,50 ml; • altezza libera 4 ml; • raggio di svolta 13 ml; • pendenza non superiore al 10%: • resistenza al carico 20 ton (8 sull’asse anteriore, 12 sull’asse posteriore, passo 4 ml). 5.4. Accostamento dei mezzi di soccorso Per le strutture ricettive ubicate ad altezza superiore a 12 ml, deve essere assicurata la possibilità di accostamento all’edificio delle autoscale dei vigili del fuoco almeno a una facciata, al fine di raggiungere tramite percorsi interni di piano i vari locali. Qualora tale requisito non sia soddisfatto gli edifici di altezza superiore a 12 ml devono essere dotati di «scale a prova di fumo». 6. Caratteristiche costruttive 6.1. Resistenza al fuoco delle strutture I requisiti di resistenza al fuoco degli elementi strutturali devono essere valutati secondo le prescrizioni e le modalità di prova stabilite dalla circolare del Min. degli Interni n.91 del 14 settembre 1961, prescindendo dal tipo di materiale impiegato nella realizzazione degli elementi medesimi (calcestruzzo, laterizi, acciaio, legno massiccio, legno lamellare, elementi compositi). Gli elementi strutturali legalmente riconosciuti in uno dei Paesi della Comunità europea sulla base di norme armonizzate o di norme e regole tecniche straniere riconosciute equivalenti ovvero originari di Paesi contraenti l’accordo SEE possono essere commercializzati in Italia per essere impiegati nel campo di applicazione disciplinato dal presente decreto. A tal fine per ciascun prototipo il produttore dovrà presentare apposita istanza diretta al Min. degli Interni – Direzione generale della protezione civile e dei servizi antincendi, che comunicherà al richiedente l’esito dell’esame dell’istanza stessa motivando l’eventuale diniego.
L’istanza di cui al precedente comma dovrà essere corredata dalla documentazione necessaria all’identificazione del prodotto e dei relativi certificati di prova rilasciati o riconosciuti dalle competenti autorità dello Stato membro. Il dimensionamento degli spessori e delle protezioni da adottare per i vari tipi di materiali suddetti, nonché la classificazione degli edifici in funzione del «carico di incendio», vanno determinati con le tabelle e con le modalità specificate nella circolare n.91 citata [v. punto 6.1.], tenendo conto delle disposizioni contenute nel DM 6 marzo 1986 (GU del 13 marzo 1986) per quanto attiene il calcolo del carico di incendio per locali aventi strutture portanti in legno. I requisiti di resistenza al fuoco delle porte e degli altri elementi di chiusura vanno valutati e attestati in conformità al DM degli Interni del 14 dicembre 1983 (GU n.303 del 28 dicembre 1983). Le strutture portanti dovranno garantire resistenza al fuoco R e quelle separanti REI secondo quanto indicato nella successiva tabella RESISTENZA AL FUOCO R E REI IN FUNZIONE DELL’ALTEZZA ANTINCENDIO DELL’EDIFICIO Altezza antincendio fino a 24 m
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
R, REI
URB
60
superiore a 24 m, fino a 54 m
90
oltre 54 m
120
Per le strutture di pertinenza delle aree a rischio specifico devono applicarsi le disposizioni emanate nelle relative normative. 6.2. Reazione al fuoco dei materiali I materiali installati devono essere conformi a quanto di seguito specificato: a) negli atrii, nei corridoi, nei disimpegni, nelle scale, nelle rampe, nei passaggi in generale è consentito l’impiego dei materiali di classe 1 in ragione del 50% massimo della loro superficie totale (pavimento + pareti + soffitto ÷ proiezioni orizzontali delle scale). Per le restanti parti debbono essere impiegati materiali di classe 0 (non combustibili); b) in tutti gli altri ambienti è consentito che le pavimentazioni, compresi i relativi rivestimenti, siano di classe 2 e che gli altri materiali di rivestimento siano di classe 1 oppure di classe 2 se in presenza di impianti di spegnimento automatico o di sistemi di smaltimento dei fumi asserviti a impianti di rilevazione degli incendi; c) i materiali di rivestimento combustibili, nonché i materiali isolanti in vista di cui alla successiva lettera f), ammessi nelle varie classi di reazione al fuoco, devono essere posti in opera in aderenza agli elementi costruttivi di classe 0 escludendo spazi vuoti o intercapedini. Ferme restando le limitazioni previste alla precedente lettera a), è consentita l’installazione di controsoffitti nonché di materiali di rivestimento e di materiali isolanti in vista posti non in aderenza agli elementi costruttivi, purché abbiano classe di reazione al fuoco non superiore a 1 e siano omologati tenendo conto delle effettive condizioni di impiego anche in relazione alle possibili fonti di innesco; d) i materiali suscettibili di prendere fuoco su entrambe le facce (tendaggi, ecc.) devono essere di classe di reazione al fuoco non superiore a 1; e) i mobili imbottiti e i materassi devono essere di classe 1 IM; f) i materiali isolanti in vista con componente isolante direttamente esposto alle fiamme, devono avere classe di reazione al fuoco non superiore a 1. Nel caso di materiale isolante in vista con componente isolante non esposto direttamente alle fiamme, sono ammesse le classi di reazione al fuoco 0-1., 1-0, 1-1.
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ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. IVE B.6.1 À RICETT IT ATTIV
B 205
B.6. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE ATTIVITÀ RICETTIVE ➦ ALBERGHI FIG. B.6.1./2 DIMENSIONI DI RIFERIMENTO PER IL BANCO DEL PORTIERE (SEZIONE) EVENTUALE CONTROSOFFITTO ~ 240 cm N.B. IL BANCO DELLA RECEPTION (RICEVIMENTO) PRESENTA CARATTERISTICHE FUNZIONALI, TECNICHE E DIMENSIONALI ANALOGHE A QUELLE ILLUSTRATE PER IL BANCO DEL PORTIERE
18
ILLUMINAZIONE DEL BANCO
18
ALTEZZA DELL'ULTIMO RIPIANO ≤ 185 cm
18
CASELLARIO CHIAVI E CORRISPONDENZA LA NUMERAZIONE DELLE CHIAVI HA COME PRIMA CIFRA IL NUMERO INDICATIVO DEL PIANO, SEGUITO DAL NUMERO D'ORDINE DELLA CAMERA
185
18
18
TERMINALE - RETE INTERNA ED ESTERNE - PER RICERCA INFORMAZIONI E SERVIZI ESTERNI - PER CONNESSIONE CON L'AMMINISTRAZIONE - PER CONNESSIONE CON ALTRI SERVIZI BANCO DEL PORTIERE - CONSEGNA CHIAVI E CORRISPONDENZA - INFORMAZIONI - CENTRALINO TELEFONI
75
120
110.
RIF. PIANO DI LAVORO DEL CENTRALINO TELEFONI
PEDANA RIALZATA PER OSPITARE CAVI TELEFONICI -TELEMATICI FORMATA DA MODULI ASPORTABILI PER ISPEZIONI
50
≥ 110
≥ 60
FIG. B.6.1./3 CARATTERISTICHE E DIMENSIONI DELLE BUSSOLE DI INGRESSO A PORTA ROTANTE MODI DI ASSOCIARE BUSSOLE GIREVOLI CON USCITE IDONEE ALLE EMERGENZE E AI PORTATORI DI HANDICAP
PORTA A QUATTRO ALI A POSIZIONE VARIABILE
TIPO DI BUSSOLA CON PORTA GIREVOLE - DIMENSIONI DI RIFERIMENTO DIAMETRO INTERNO ACCESSO D A
È CONSENTITO INSTALLARE PORTE DI INGRESSO: A) DI TIPO GIREVOLE SE ACCANTO E' INSTALLATA PORTA APRIBILE A SPINTA VERSO L'ESTERNO B) DI TIPO SCORREVOLE UNICAMENTE SE POSSONO ESSERE APERTE A SPINTA VERSO L'ESTERNO, CON DISPOSITIVO SEGNALATO (V. DEC. 9 APR. 1994, PUNTO 7.6.)
200 cm 210 cm 220 cm 230 cm A - POSIZIONE NORMALE
≥90_ ≥ 60
135 cm 142 cm 148 cm 155 cm
PARTE FISSA B 152 cm 160 cm 167 cm 175 cm
D A
APPARECCHI DI ILLUMINAZIONE A SOFFITTO
B - DOPPIA ENTRATA POSIZ. DI VENTILAZIONE ≥ 90
VETRO TEMPERATO O STRATIFICATO
≥85
C - APERTA, TRASLATA COLLI VOLUMINOSI ≥ 60
≥ 170
≥ 60
D - APERTURA TOTALE DEFLUSSO RAPIDO
B 206
B.
≥90
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE ATTIVITÀ RICETTIVE
B.6. 1. A.ZIONI
➦ REGOLA TECNICA DI PREVENZIONE INCENDI PER LA COSTRUZIONE E L’ESERCIZIO DI ATTIVITÀ RICETTIVE E TURISTICO-ALBERGHIERE Approvata ed emanata con DM degli Interni 9 aprile 1994 I materiali di cui alle lettere precedenti devono essere omologati ai sensi del DM 26 giugno 1984 (supplemento ordinario alla GU n.234 del 25 agosto 1984). Per i materiali già in opera, per quelli installati entro 180 girni dalla data di entrata in vigore del presente decreto nonché per quelli rientranti negli altri casi specificamente previsti dall’art.10 del dec. 26 giugno 1984 è consentito che la relativa classe di reazione al fuoco sia attestata ai sensi del medesimo articolo. È consentita la posa in opera di rivestimenti lignei, opportunamente trattati con prodotti vernicianti omologati di classe 1 di reazione al fuoco, secondo le modalità e le indicazioni contenute nel DM 6 marzo 1992 (GU n.66 del 19 marzo 1992). I materiali isolanti installati all’interno di intercapedini devono essere incombustibili. È consentita l’installazione di materiali isolanti combustibili all’interno di intercapedini delimitate da strutture realizzate con materiali incombustibili e aventi resistenza al fuoco almeno REI 30. 6.3. Compartimentazione Gli edifici devono essere suddivisi in «compartimenti» (costituiti al massimo da due piani) di superficie non superiore a quella indicata in tabella A. È consentito che i primi due piani fuori terra dell’edificio costituiscano un unico compartimento avente superficie complessiva non superiore a 4.000 mq e che il primo piano interrato, per gli spazi destinati ad aree comuni a servizio del pubblico, se di superficie non eccedente 1.000 mq, faccia parte del compartimento sovrastante. Gli elementi costruttivi di separazione tra compartimenti devono soddisfare i requisiti di resistenza al fuoco indicati al punto 6.1. Le separazioni e le comunicazioni con i locali a rischio specifico devono essere congruenti con quanto previsto dalle specifiche regole tecniche, ove emanate, oppure con quanto specificato nel presente decreto. SUPERFICI MASSIME DEI COMPARTIMENTI IN RAPPORTO ALL’ALTEZZA DELL’EDIFICIO SUPERFICI MASSIME DEI COMPARTIMENTI IN RAPPORTO ALL’ALTEZZA DELL’EDIFICIO Altezza antincendio dell’edificio Fino a 24 m Superiore a 24 m fino a 54 m Oltre 54 m
Superfici e compartimenti 3.000 mq 2.000 mq 1.000 mq (*)
(*) il comparto deve estendersi a un solo piano
6.4. Piani interrati Le aree comuni a servizio del pubblico possono essere ubicate non oltre il secondo piano interrato fino alla quota di –10,00 m. Le predette aree, ubicate a quota compresa tra – 7,50 m e –10,00 m, devono essere protette mediante impianto di spegnimento automatico ad acqua frazionata comandato da impianto di rilevazione di incendio. Nei piani interrati non possono essere ubicate camere per ospiti. 6.5. Corridoi I tramezzi che separano le camere per ospiti dai corridoi devono avere caratteristiche di resistenza al fuoco non inferiori a REI 30. Le porte delle camere devono avere caratteristiche non inferiori a REI 30 con dispositivo di autochiusura. 6.6. Scale Le caratteristiche di resistenza al fuoco dei vani scala devono essere congrue con quanto previsto al punto 6.1.
Le scale a servizio di edifici a più di due piani fuori terra e non più di sei piani fuori terra devono essere almeno di tipo «protetto». Le scale a servizio di edifici a più di sei piani fuori terra devono essere del tipo «a prova di fumo». La larghezza delle scale [ovvero delle singole rampe] non può essere inferiore a 1,20 m. Le rampe delle scale devono essere rettilinee, avere non meno di tre gradini e non più di quindici. I gradini devono essere a pianta rettangolare, devono avere alzata e pedata costanti, rispettivamente non superiori a 17 cm e non inferiore a 30 cm. Sono ammesse rampe non rettilinee a condizione che vi siano pianerottoli di riposo almeno ogni quindici gradini e che la pedata del gradino sia almeno 30 cm misurata a 40 cm dal montante centrale o dal parapetto interno. Il vano scala deve avere superficie netta di aerazione permanente in sommità non inferiore a 1 mq. Nel vano di aerazione è consentita l’installazione di dispositivi per la protezione dagli agenti atmosferici da realizzare tramite infissi apribili automaticamente a mezzo di dispositivo comandato da rilevatori automatici di incendio o manualmente a distanza. 6.7. Ascensori e montacarichi Gli ascensori e i montacarichi non possono essere utilizzati in caso di incendio, a eccezione degli ascensori antincendio definiti al punto 6.8. Gli ascensori e i montacarichi che non siano installati all’interno di una scala di tipo almeno «protetto», devono avere il vano corsa di tipo «protetto», con caratteristiche di resistenza al fuoco congrue con quanto previsto al punto 6.1. Le caratteristiche di ascensori e montacarichi debbono rispondere alle specifiche disposizioni vigenti di prevenzione incendi. 6.8. Ascensori antincendio Nelle strutture ricettive ubicate in edifici aventi altezza antincendio superiore a 54 m dovranno essere previsti «ascensori antincendio» da poter utilizzare, in caso di incendio, nelle operazioni di soccorso e da realizzare come segue: 1) le strutture del vano corsa e del locale macchinario devono possedere resistenza al fuoco REI 120; l’accesso allo sbarco dei piani deve avvenire da filtro a prova di fumo di resistenza al fuoco REI 120. L’accesso al locale macchinario deve avvenire direttamente dall’esterno o tramite filtro a prova di fumo realizzato con strutture di resistenza al fuoco REI 120; 2) gli ascensori devono disporre di doppia alimentazione elettrica, una delle quali di sicurezza; 3) in caso di incendio si deve realizzare il passaggio automatico da alimentazione normale ad alimentazione di sicurezza; 4) in caso di incendio la manovra di questi ascensori deve essere riservata al personale appositamente incaricato e ai vigili del fuoco; 5) i montanti dell’alimentazione elettrica normale e di sicurezza del locale macchinario devono essere protetti contro l’azione del fuoco e tra di loro nettamente separati; 6) gli ascensori devono essere muniti di un sistema citofonico tra cabina, locale macchinario e pianerottoli; 7) gli ascensori devono avere il vano corsa e il locale macchinario distinti dagli altri ascensori. 7. Misure per l’evacuazione in caso di emergenza 7.1. Affollamento Il massimo affollamento è fissato in: • aree destinate alle camere: numero dei posti letto; • aree comuni, a servizio del pubblico: densità di affollamento pari a 0,4 persone mq salvo quanto previsto al punto 8.4.4.; • aree destinate ai servizi: persone effettivamente presenti più il 20%.
7.2. Capacità di deflusso Al fine del dimensionamento delle uscite, le capacità di deflusso devono essere non superiori ai seguenti valori: DEFLUSSO MAX. CONSENTITO
[DEFLUSSO MAX. PER 2 MOD. DI TRANSITO]
50 per il piano terra
[deflusso max. = 100 pers./2mod. (120 cm)]
37,5 per i piani interrati
[deflusso max. = 75 pers. / 2mod. (120 cm)]
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
37,5 per gli edifici fino [deflusso max. = a tre piani fuori terra 75 pers. / 2mod. (120 cm)] 32,5 per gli edifici a più di tre piani
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
[deflusso max. = 65 pers. / 2mod. (120 cm)]
E.NTROLLO
7.3. Sistemi di vie di uscita Gli edifici o la parte di essi destinata a struttura ricettiva devono essere provvisti di un sistema organizzato di vie di uscita dimensionato in base al massimo affollamento previsto in funzione della capacità di deflusso che adduca in «luogo sicuro». Il percorso può comprendere corridoi, vani di accesso alle scale e uscita all’esterno, scale, rampe e passaggi. Deve essere previsto almeno uno «spazio calmo» per ogni piano cui hanno accesso persone con capacità motorie ridotte od impedite. Gli spazi calmi devono essere dimensionati in base al numero di utilizzatori previsto dalle normative vigenti. La larghezza utile deve essere misurata deducendo l’ingombro di eventuali elementi sporgenti, con esclusione degli estintori. Tra gli elementi sporgenti non sono considerati quelli posti ad altezza superiore a 2 m ed eventuali corrimano lungo le pareti con ingombro non superiore a 8 cm. È vietato disporre specchi che possano trarre in inganno sulla direzione dell’uscita. Le porte di accesso alle scale e quelle che immettono all’esterno o in «luogo sicuro» devono aprirsi nel verso dell’esodo a semplice spinta. Le porte delle camere per ospiti devono essere dotate di serrature a sblocco manuale istantaneo delle mandate dall’interno, al fine di facilitare l’uscita in caso di pericolo. Le porte che si aprono sulle vie di uscita non devono ridurre la larghezza utile delle stesse. 7.4. Larghezza delle vie di uscita La larghezza utile delle vie di uscita deve essere multipla del modulo di uscita [60 cm] e non inferiore a due moduli (1,20 m). La misurazione della larghezza delle uscite sarà eseguita nel punto più stretto della luce. Fa eccezione la larghezza dei corridoi interni agli appartamenti per gli ospiti e delle porte delle camere. 7.5. Lunghezza delle vie di uscita Dalla porta di ciascuna camera e da ogni punto dei locali comuni deve essere possibile raggiungere una uscita su «luogo sicuro» o su scala di sicurezza esterna con un percorso non superiore a 40 m. È consentito per edifici fino a sei piani fuori terra che il percorso per raggiungere una uscita su scala protetta sia non superiore a 30 m, purché la stessa immetta direttamente su «luogo sicuro». La lunghezza dei «corridoi ciechi» non può superare i 15 m. 7.6. Larghezza totale delle uscite La larghezza totale delle uscite da ogni piano, espressa in numero di moduli, è determinata dal rapporto tra il massimo affollamento previsto e la capacità di deflusso del piano. Per le strutture ricettive che occupano più di due piani fuori terra, la larghezza totale delle vie di uscita che immettono all’aperto viene calcolata sommando il massimo affollamento previsto in due piani consecutivi, con riferimento a quelli aventi maggiore affollamento. Nel computo della larghezza delle uscite sono conteggiate anche le porte di ingresso quando queste sono apribili verso l’esterno.
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CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. IVE B.6.1 À RICETT IT ATTIV
B 207
B.6. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE ATTIVITÀ RICETTIVE ➦ ALBERGHI FIG. B.6.1./4 SCHEMI DI DISTRIBUZIONE DI UN PIANO DESTINATO ALLE CAMERE PER OSPITI
S
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DISTRIBUZIONE IN LINEA, CORPO SEMPLICE - UNA SOLA ESPOSIZIONE SOLUZIONE CONSIGLIABILE SOLO NEL CASO DI PREMINENTE INTERESSE PAESAGGISTICO DELL'ORIENTAMENTO PRESCELTO V (COLLEGAMENTI VERTICALI), e S (SERVIZI DI PIANO) VERRANNO POSTI LUNGO IL FRONTE OPPOSTO A QUELLO DELLE CAMERE
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DISTRIBUZIONE IN LINEA, CORPO DOPPIO - DOPPIA ESPOSIZIONE LA DISPOSIZIONE DI V E S E' INDIFFERENTE
V
DISTRIBUZIONE AD ANELLO - TIPOLOGIA A TORRE QUADRATA - QUATTRO ESPOSIZIONI V (COLLEGAMENTI VERTICALI) E S (SERVIZI) TROVANO POSTO NEL NOCCIOLO CENTRALE
CORTE (PATIO, GIARDINO) APERTA O CHIUSA
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DISTRIBUZIONE AD ANELLO - TIPOLOGIA A TORRE CIRCOLARE - QUATTRO ESPOSIZIONI V (COLLEGAMENTI VERTICALI) E S (SERVIZI) TROVANO POSTO NEL NOCCIOLO CENTRALE
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DISTRIBUZIONE LUNGO QUATTRO LATI - TIPOLOGIA A CORTE - QUATTRO ESPOSIZIONI DISTRIBUZIONE LUNGO TRE LATI - TIPOLOGIA A CORTE APERTA - TRE ESPOSIZIONI
B 208
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DISTRIBUZIONE AD ANGOLO - DUE ESPOSIZIONI V e S POSSONO ESSERE COLLOCATI IN CORRISPONDENZA DELL'ANGOLO INTERNO
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE ATTIVITÀ RICETTIVE
B.6. 1. A.ZIONI
➦ REGOLA TECNICA DI PREVENZIONE INCENDI PER LA COSTRUZIONE E L’ESERCIZIO DI ATTIVITÀ RICETTIVE E TURISTICO-ALBERGHIERE Approvata ed emanata con DM degli Interni 9 aprile 1994 È consentito installare porte di ingresso: a) di tipo girevole, se accanto è installata una porta apribile a spinta verso l’esterno avente caratteristiche di uscita; b) di tipo scorrevole con azionamento automatico unicamente se possono essere aperte a spinta verso l’esterno (con dispositivo appositamente segnalato) e restare in posizione aperta quando manca l’alimentazione elettrica. Le eventuali «scale mobili» non devono essere computate ai fini della larghezza delle uscite. 7.7. Numero di uscite Il numero delle uscite dai singoli piani dell’edificio non deve essere inferiore a due. Esse vanno poste in punti ragionevolmente contrapposti. È consentito che gli edifici a due piani fuori terra siano serviti da una sola scala purché la lunghezza dei corridoi che adducono alla stessa non superino i 15 m e ferma restando l’osservanza del punto 7.5., primo comma. Nelle strutture ricettive monopiano in cui tutte le camere per ospiti hanno accesso direttamente dall’esterno non è richiesta la realizzazione della seconda via d’esodo limitatamente all’area riservata alle camere.
I predetti impianti devono essere realizzati a regola d’arte e nel rispetto delle specifiche disposizioni di prevenzione incendi. Nei villaggi albergo e nelle residenze turistico-alberghiere è consentito, in considerazione della specifica destinazione, che le singole unità abitative siano servite da impianti individuali per riscaldamento ambienti e/o cottura cibi alimentati da gas combustibile sotto l’osservanza delle seguenti prescrizioni: a) gli apparecchi e gli impianti di adduzione del gas, le superfici di aerazione e le canalizzazioni di scarico devono essere realizzate a regola d’arte in conformità alle vigenti norme di sicurezza; b) gli apparecchi di riscaldamento ambiente e produzione di acqua calda alimentati a gas devono essere ubicati all’esterno; c) ciascun bruciatore a gas sia dotato di dispositivo a termocoppia che consenta l’interruzione del flusso del gas in caso di spegnimento della fiamma; d) i contatori e/o le bombole di alimentazione del gas combustibile devono essere posti all’esterno; e) la portata termica complessiva degli apparecchi alimentati a gas deve essere limitata a 34,89 Kw (30.000 Kcal/h); f) gli apparecchi devono essere oggetto di una manutenzione regolare adeguata e le istruzioni per il loro uso devono essere chiaramente esposte.
8. Aree e impianti a rischio specifico 8.1. Locali adibiti a deposito 8.1.1. Locali di superficie non superiore a 12 mq destinati a deposito di materiale combustibile Possono essere ubicati anche al piano camere. Le strutture di separazione nonché le porte devono possedere caratteristiche almeno REI 60 ed essere munite di dispositivo di autochiusura. Il carico di incendio deve essere limitato a 60 kg/mq e deve essere installato un impianto automatico di rilevazione e allarme di incendio. La ventilazione naturale non deve essere inferiore a 1/40 della superficie in pianta. Ove non sia possibile raggiungere per l’aerazione naturale il rapporto di superficie predetto è ammesso il ricorso alla aerazione meccanica con portata di due ricambi orari da garantire anche in situazioni di emergenza, sempreché sia assicurata una superficie di aerazione naturale pari al 25% di quella prevista. In prossimità della porta di accesso al locale deve essere installato un estintore. 8.1.2. Locali di superficie massima di 500 mq, destinati a deposito di materiale combustibile Possono essere ubicati all’interno dell’edificio con esclusione dei piani camere. Le strutture di separazione e la porta di accesso, che deve essere munite di dispositivo di autochiusura, devono possedere caratteristiche almeno REI 90. Deve essere installato un impianto automatico di rilevazione e allarme di incendio. Il carico di incendio deve essere limitato a 60 kg/mq; qualora sia superato tale valore il deposito deve essere protetto con impianto di spegnimento automatico. L’aerazione deve essere non inferiore a 1/40 della superficie del locale. 8.1.3. Depositi di sostanze infiammabili Devono essere ubicati al di fuori del volume del fabbricato. È consentito detenere all’interno del volume dell’edificio in armadi metallici dotati di bacino di contenimento, prodotti liquidi infiammabili strettamente necessari per le esigenze igienico-sanitarie. Tali armadi devono essere ubicati nei locali deposito. 8.2. Servizi tecnologici 8.2.1. Impianti di produzione calore Gli impianti di produzione di calore devono essere di tipo centralizzato.
8.2.1.1. Distribuzione dei gas combustibili Le condutture principali dei gas combustibili devono essere a vista ed esterne al fabbricato. In alternativa, nel caso di gas con densità relativa inferiore a 0,8, è ammessa la sistemazione a vista in cavedi direttamente aerati in sommità. Nei locali dove l’attraversamento è ammesso, le tubazioni devono essere poste in guaina di classe 0, aerata alle due estremità verso l’esterno e di diametro superiore di almeno 2 cm rispetto alla tubazione interna. La conduttura principale del gas deve essere munita di dispositivo di chiusura manuale situato all’esterno, direttamente all’arrivo della tubazione e perfettamente segnalato. 8.2.2. Impianti di condizionamento e ventilazione Gli impianti di condizionamento e/o ventilazione possono essere centralizzati o localizzati. Tali impianti devono possedere i requisiti che garantiscano il raggiungimento dei seguenti obiettivi: 1) mantenere l’efficienza delle compartimentazioni; 2) evitare il ricircolo dei prodotti della combustione o di altri gas ritenuti pericolosi; 3) non produrre, a causa di avarie o guati propri, fumi che si diffondano nei locali serviti; 4) non costituire elemento di propagazione di fumi e/o fiamme anche nella fase iniziale degli incendi; Tali obiettivi si considerano raggiunti se gli impianti sono realizzati come di seguito specificato: 8.2.2.1. Impianti centralizzati Le unità di trattamento dell’aria e i gruppi frigoriferi non possono essere installati nei locali dove sono installati gli impianti di produzione calore. I gruppi frigoriferi devono essere installati in appositi locali realizzati con strutture di separazione di caratteristiche di resistenza al fuoco non inferiori a REI 60 e accesso direttamente dall’esterno o tramite disimpegno aerato di analoghe caratteristiche, con porte REI 60 dotate di congegni di autochiusura. L’aerazione nei locali dove sono installati i gruppi frigoriferi non deve essere inferiore a quella indicata dal costruttore dei gruppi stessi, con una superficie minima non inferiore a 1:20 della superficie in pianta del locale. Nei gruppi frigoriferi devono essere utilizzati come fluidi frigorigeni prodotti non infiammabili e non tossici. I gruppi refrigeratori che utilizzano soluzioni acquose di ammoniaca possono essere installati solo all’esterno
dei fabbricati o in locali aventi caratteristiche analoghe a quelli delle centrali termiche alimentate a gas. Le centrali frigorifere destinate a contenere gruppi termorefrigeratori ad assorbimento a fiamma diretta devono rispettare le disposizioni di prevenzione incendi in vigore per gli impianti di produzione calore riferiti al tipo di combustibile impiegato. Non è consentito utilizzare aria di ricircolo proveniente da cucine, autorimesse e comunque da spazi a rischio specifico. 8.2.2.2. Condotte Le condotte devono essere realizzate in materiali di classe 0 di reazione al fuoco; le tubazioni flessibili di raccordo devono essere di classe di reazione al fuoco non superiore a 2. Le condotte non devono attraversare: • luoghi sicuri che non siano a cielo libero; • vani scala e vani ascensore; • locali che presentino pericolo di incendio, di esplosione e di scoppio. L’attraversamento dei sovrarichiamati locali può tuttavia essere ammesso se le condotte sono racchiuse in strutture resistenti al fuoco di classe almeno pari a quella del vano attraversato. Qualora le condotte attraversino strutture che delimitano i «compartimenti», nelle condotte deve essere installata in corrispondenza degli attraversamenti almeno una serranda avente resistenza al fuoco pari a quella della struttura che attraversa, azionata automaticamente e direttamente da rlvelatori di fumo. Negli attraversamenti di pareti e solai, lo spazio attorno alle condotte deve essere sigillato con materiali di classe 0, senza tuttavia ostacolare le dilatazioni delle stesse. 8.2.2.3. Dispositivi di controllo Ogni impianto deve essere dotato di un dispositivo di comando manuale, situato in un punto facilmente accessibile, per l’arresto dei ventilatori in caso di incendio. Inoltre gli impianti a ricircolo d’aria a servizio di più «compartimenti» devono essere muniti all’interno delle condotte di rivelatori di fumo che comandino automaticamente l’arresto dei ventilatori e la chiusura delle serrande tagliafuoco. L’intervento dei rivelatori deve essere segnalato nella centrale di controllo di cui al punto 12.2. L’intervento dei dispositivi, sia manuali che automatici, non deve consentire la rimessa in marcia dei ventilatori senza l’intervento manuale dell’operatore. 8.2.2.4. Schemi funzionali Per ciascun impianto dovrà essere predisposto uno «schema funzionale» in cui risultino: • gli attraversamenti di strutture resistenti al fuoco; • l’ubicazione delle serrande tagliafuoco; • l’ubicazione delle macchine; • l’ubicazione dei rivelatori di fumo e del comando manuale; • lo schema di flusso dell’aria primaria e secondaria; • la logica sequenziale delle manovre e delle azioni previste in emergenza. 8.2.2.5. Impianti localizzati È consentito il condizionamento dell’aria a mezzo di armadi condizionatori a condizione che il fluido refrigerante non sia infiammabile. È comunque escluso l’impiego di apparecchiature a fiamma libera. 8.3. Autorimesse Le autorimesse a servizio delle strutture ricettive devono essere realizzate in conformità e con le limitazioni previste dalle vigenti disposizioni. 8.4. Spazi per riunioni, trattenimento e simili Ai locali e agli spazi frequentati da pubblico, ospite o non dell’attività, inseriti nell’ambito di un edificio o complesso ricettivo, destinati a trattenimenti e riunioni a pagamento o non, si applicano le seguenti norme di prevenzione incendi.
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NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
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B 209
B.6. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE ATTIVITÀ RICETTIVE ➦ ALBERGHI FIG. B.6.1./5 SCHEMI DI DISTRIBUZIONE E ARREDO DI CAMERE CON SERVIZI
CORRIDOIO DI ACCESSO
CORRIDOIO DI ACCESSO
D - CAMERA CON BAGNO ESTERNO, CON VASCA
A - BAGNO INTERNO, CON VASCA
DIMENSIONI NORMATIVE MINIME DELLE CAMERE D'ALBERGO - CAMERE AD UN LETTO 8,00 mq - PER OGNI LETTO IN PIÙ 6,00 mq - ALTEZZA DELL'AMBIENTE CAMERA 2,70 m - ALTEZZA BAGNI E DISIMPEGNI 2,40 m _______________________________________________________ LE SUPERFICI INDICATE PER LE CAMERE DEVONO ESSERE COMPUTATE AL NETTO DAGLI EVENTUALI SERVIZI IGIENICI, DISIMPEGNI ARMADI A MURO, SPOGLIATOI E SIMILI. NEL C ASO DI ATTIVIT À RICETTIVE UBICATE IN ZONE DI MONTAGNA L'ALTEZZA MINIMA PUÒ ESSERE RIDOTTA A 2,40 m.
N.B. LE SOLUZIONI 'E' ED 'F' (CAMERE CON LIVING) SONO INDICATE PARTICOLARMENTE PER STRUTTURE RICETTIVE NELLE QUALI SIANO PREVEDIBILI ANCHE PERMANENZE PROLUNGATE DEGLI OSPITI (SETTIMANALI E OLTRE) COME NELCASO DEI SOGGIORNI DI VACANZA E DI LAVORO FUORI SEDE. E - CAMERA CON LIVING - BAGNO INTERNO, CON VASCA
C - BAGNO INTERNO, CON DOCCIA
B 210
F - CAMERA CON LIVING E LETTO IN ALCOVA - BAGNO INTERNO, CON DOCCIA
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE ATTIVITÀ RICETTIVE
B.6. 1. A.ZIONI
➦ REGOLA TECNICA DI PREVENZIONE INCENDI PER LA COSTRUZIONE E L’ESERCIZIO DI ATTIVITÀ RICETTIVE E TURISTICO-ALBERGHIERE Approvata ed emanata con DM degli Interni 9 aprile 1994 A titolo esemplificativo le suddette manifestazioni possono comprendere: • conferenze; • convegni; • sfilate di moda; • riunioni conviviali; • piccolo spettacoli di cabaret; • feste danzanti; • esposizioni d’arte e/o merceologiche con o senza l’ausilio di mezzi audiovisivi. 8.4.1. Ubicazione I locali di trattenimento possono essere ubicati a qualsiasi quota al di sopra del piano stradale e ai piani interrati purché non oltre 10 m al di sotto del piano stradale. 8.4.2. Comunicazioni I locali di trattenimento con capienza inferiore a 100 persone possono essere posti in comunicazione diretta con altri ambienti dell’attività ricettiva, salvo quanto previsto dalle norme relativamente alle aree a rischio specifico. Per gli altri locali, le relative comunicazioni con altri ambienti dell’attività ricettiva devono avvenire mediante porte di resistenza al fuoco almeno REI 30, purché ciò non sia in contrasto con le norme di prevenzione incendi relative alle aree a rischio specifico. 8.4.3. Strutture e materiali Per quanto concerne i requisiti di resistenza al fuoco degli elementi strutturali e le caratteristiche di reazione al fuoco dei materiali di rivestimento e di arredo, valgono le prescrizioni indicate ai precedenti punti 6.1. e 6.2. 8.4.4. Misure per l’evacuazione in caso di emergenza L’affollamento massimo utilizzabile in quei locali in cui il pubblico trova posto in sedili distribuiti in file, gruppi e settori, viene fissato pari al numero dei posti a sedere. Negli altri casi esso viene fissato pari a quanto risulta in base a una densità di affollamento non superiore a 0,7 persone per mq e che in ogni caso dovrà essere dichiarato sotto la diretta responsabilità del titolare dell’attività. I locali devono disporre di un sistema organizzato di vie di esodo per le persone, conforme alle vigenti disposizioni in materia e alle seguenti prescrizioni: a) i locali con capienza superiore a 100 persone: devono essere serviti da uscite che, per numero e dimensioni, siano conformi alle vigenti norme sui locali di spettacolo e trattenimento [v. A.3.4.1.]. Almeno la metà di tali uscite deve addurre direttamente all’esterno o su luogo sicuro dinamico, mentre le altre possono immettere nel sistema delle vie d’esodo del piano; b) i locali con capienza complessiva tra 50 e 100 persone: devono essere dotati di almeno due uscite, la cui larghezza sia conforme alle vigenti norme di prevenzione incendi sui locali di pubblico spettacolo [v. A.3.4./1.], che immettano nel sistema di vie d’esodo del piano; c) I locali con capienza inferiore a 50 persone: è ammesso che tali locali siano serviti da una sola uscita, di larghezza non inferiore a 0,90 m che immetta nel sistema di vie d’uscita del piano. 8.4.5. Distribuzione dei posti a sedere La distribuzione dei posti a sedere deve essere conforme alle vigenti disposizioni, con eccezione dei locali destinati a feste danzanti, riunioni conviviali, etc. per i quali è consentito che i sedili non siano uniti tra di loro e siano distribuiti secondo le necessità del caso, a condizione che non costituiscano impedimento e ostacolo per lo sfollamento delle persone in caso di emergenza. 9. Impianti elettrici Gli impianti elettrici devono essere realizzati in conformità alla legge n.168 del 1 marzo 1968 (GU n.27 del 23 marzo 1968).
In particolare, ai fini della prevenzione degli incendi, gli impianti elettrici: • non devono costituire causa primaria di incendio o di esplosione; • non devono fornire alimento o via privilegiata di propagazione degli incendi. Il comportamento al fuoco delle membrature deve essere compatibile con la specifica destinazione d’uso dei singoli locali; • devono essere suddivisi in modo che un eventuale guasto non provochi la messa fuori servizio dell’intero sistema (utenza); • devono disporre di apparecchi di manovra ubicati in posizioni «protette» e devono riportare chiare indicazioni dei circuiti cui si riferiscono. I seguenti sistemi di utenza devono disporre di impianti di sicurezza: a) illuminazione; b) allarme; c) rivelazione; d) impianti di estinzione incendi; e) ascensori antincendio. La rispondenza alle vigenti norme di sicurezza deve essere attestata con la procedura di cui alla legge n.46 del 5 marzo 1990 e successivi regolamenti di applicazione. L’alimentazione di sicurezza deve essere automatica a interruzione breve (≤ 0,5 sec) per ascensori antincendio e impianti idrici antincendio. Il dispositivo di carica degli accumulatori deve essere di tipo automatico o tale da consentire la ricarica completa entro 12 ore. L’autonomia dell’alimentazione di sicurezza deve consentire lo svolgimento in sicurezza del soccorso e dello spegnimento per il tempo necessario: in ogni caso l’autonomia minima viene stabilita per ogni impianto come segue: • rivelazione e allarme: 30 minuti; • illuminazione di sicurezza: 1 ora; • ascensori antincendio: 1 ora; • impianti idrici antincendio: 1 ora. L’installazione dei gruppi elettrogeni deve essere conforme alle regole tecniche vigenti. L’impianto di illuminazione di sicurezza deve assicurare un livello di illuminazione non inferiore a 3 lux a 1 m di altezza dal piano di calpestio lungo le vie d’uscita. Sono ammesse singole lampade con alimentazione autonoma purché assicurino il funzionamento per almeno 1 ora. Il quadro elettrico generale deve essere ubicato in posizione facilmente accessibile, segnalata e protetta dall’incendio. 10. Sistemi d’allarme Gli edifici, o la parte di essi destinata ad attività ricettiva, devono essere muniti di un sistema d’allarme acustico in grado di avvertire gli ospiti e il personale presenti delle condizioni di pericolo in caso di incendio. I dispositivi sonori devono avere caratteristiche e ubicazione tali da poter segnalare il pericolo a tutti gli occupanti del fabbricato o delle parti di esso coinvolte dall’incendio. Il comando di funzionamento simultaneo dei dispositivi sonori deve essere posto in ambiente presieduto, sotto il continuo controllo del personale preposto; può essere previsto un secondo comando centralizzato ubicato in un locale distinto dal precedente che non presenti particolari rischi di incendio. Per edifici muniti di impianto fisso di rivelazione e segnalazione d’incendio il sistema d’allarme deve funzionare automaticamente, secondo quanto prescritto nel punto 12. Il funzionamento del sistema di allarme deve essere garantito anche in assenza di alimentazione elettrica principale, per un tempo non inferiore a 30 min.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
11. Mezzi e impianti di estinzione degli incendi
B.STAZIONI DILEGIZLII
11.1. Generalità Le apparecchiature e gli impianti di estinzione degli incendi devono essere realizzati a regola d’arte e in conformità a quanto di seguito indicato.
C.RCIZIO
I ED PRE NISM ORGA
11.2. Estintori Tutte le attività ricettive devono essere dotate di un adeguato numero di estintori portatili. Nelle more di emanazione di una apposita norma armonizzata, gli estintori devono essere di tipo approvato dal Min. degli Interni ai sensi del DM 20 dicembre 1982 (GU n.19 del 20 gennaio 1983) e successive modificazioni. Gli estintori devono essere distribuiti in modo uniforme nell’area da proteggere; è comunque necessario che alcuni si trovino: • in prossimità degli accessi; • in vicinanza di aree di maggior pericolo. Gli estintori devono essere ubicati in posizione facilmente accessibile e visibile; appositi cartelli segnalatori devono facilitarne l’individuazione anche a distanza. Gli estintori portatili devono essere installati in ragione di 1 ogni 200 mq di pavimento, o frazione, con un minimo di un estintore per piano. Gli estintori portatili dovranno avere capacità estinguente non inferiore a 13 A – 89 B; a protezione di aree e impianti a rischio specifico devono essere previsti estintori di tipo idoneo. Per attività fino a 25 posti letto è sufficiente la sola installazione di estintori. 11.3. Impieghi idrici antincendio Gli idranti e i naspi, correttamente corredati, devono essere: • distribuiti in modo da consentire l’intervento in tutte le aree dell’attività; • collocati in ciascun piano negli edifici a più piani; • dislocati in posizione facilmente accessibile o visibile. Appositi cartelli segnalatori devono agevolarne la individuazione a distanza. Gli idranti e i naspi non devono essere posti all’interno delle scale, in modo da non ostacolare l’esodo delle persone. In presenza di scale a prova di fumo interno, al fine di agevolare le operazioni di intervento dei Vigili del fuoco, gli idranti devono essere localizzati all’interno dei filtri a prova di fumo. 11.3.1. Naspi DN 20 Le attività con numero di posti letto superiore a 25 e fino a 100 devono essere almeno dotate di naspi DN 20. Ogni naspo deve essere corredato da una tubazione semirigida lunga 20 m, realizzata a regola d’arte. I naspi possono essere collegati alla normale rete idrica, purché questa sia in grado di alimentare in ogni momento, contemporaneamente, oltre all’utenza normale, i due naspi in posizione idraulicamente più sfavorevole, assicurando a ciascuno di essi una portata non inferiore a 35 l/min e una pressione non inferiore a 1,5 bar, quando sono entrambi in fase di scarica. L’alimentazione deve assicurare un’autonomia non inferiore a 60 min. Qualora la rete idrica non sia in grado di assicurare quanto sopra prescritto, deve essere predisposta un’alimentazione di riserva capace di fornire le medesime prestazioni. 11.3.2. Idranti DN 45 Le attività con capienza superiore a 100 posti letto devono essere dotate di una rete di idranti DN 45. Ogni idrante deve essere corredato da una tubazione flessibile lunga 20 m. 11.3.2.1. Rete di tubazioni L’impianto idrico antincendio per idranti deve essere costituito da una rete di tubazioni, realizzata preferibilmente ad anello, con montanti disposti nei vani scala.
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PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE ATTIVITÀ RICETTIVE ➦ ALBERGHI FIG. B.6.1./6 SCHEMI DI DISTRIBUZIONE E ARREDO DI CAMERE COMUNICANTI E/O ARTICOLATE (Dimensioni maggiori)
CORRIDOIO DI ACCESSO A - SOLUZIONE A QUATTRO LETTI O ˙SUITE¨
B- SOLUZIONE CON POSSIBILIT¸ DI CAMERE COMUNICANTI
C - SOLUZIONI CON LETTI DI DIMENSIONI MAGGIORI, SALOTTINO E POSSIBILIT¸ DI CAMERE COMUNICANTI
RESISTENZA AL FUOCO DEGLI ELEMENTI DI SEPARAZIONE (V. DEC. MIN. INTERNI 9 . O4. 1994)
DIMENSIONI STANDARD DEI LETTI E VARIANTI RICORRENTI TIPO DI LETTO
ATTIVIT¸ DI NUOVA COSTRUZIONE: - PARETI TRA CAMERE E CORRIDOI MIN. REI 30 - PORTE TRA CAMERE E CORRIDOI MIN. REI 30 DEVONO DISPORRE DI MECCANISMO DI AUTOCHIUSURA ATTIVIT¸ ESISTENTI: - PORTE TRA CAMERE E CORRIDOI MIN. REI 15 NON SI APPLICA NEGLI EDIFICI DI NON PI DI TRE PIANI FUORI TERRA CON CAPIENZA NON SUPERIORE A 40 POSTI LETTO. DEVONO DISPORRE DI MECCANISMO DI AUTOCHIUSURA
D - SOLUZIONE CON LIVING E LOGGIA
LARGHEZZA LUNGHEZZA
LETTO SINGOLO ORDINARIO LETTO SINGOLO STANDARD LETTO SINGOLO LARGO
90 cm 100 cm 120 cm
190 cm 200 cm 200 cm
LETTO MATRIMONIALE ORDINARIO LETTO MATRIMONIALE STANDARD LETTO MATRIMONIALE LARGO
150 cm 180 cm 200 cm
200 cm 200 cm 210 cm
LETTO DOPPIO (POCO USATO )
135 cm
190 cm
LE SOLUZIONI PRESENTATE IN QUESTA FIGURA (CAMERE COMUNICANTI, CAMERE CON SALOTTINO, CAMERE DOPPIE CON CAPACIT¸ PER QUATTRO LETTI) SONO DA PREVEDERE IN PERCENTUALE MAGGIORE RISPETTO AL TOTALE DELLE CAMERE NEI RESIDENCE E COMUNQUE NEI CASI DI STRUTTURE RICETTIVE CHE PREVEDANO ANCHE SOGGIORNI PROLUNGATI, COME SONO: - STRUTTURE RICETTIVE IN ZONE DI VACANZA; - STRUTTURE RICETTIVE IN ZONE DI CURE TERMALI; - STRUTTURE RICETTIVE PROSSIME A SEDI DI ATTIVIT¸ CHE COMPORTANO SOGGIORNI PROLUNGATI E PERIODICI DI PERSONE FUORI SEDE (UNIVERSIT¸,TRIBUNALI) - STRUTTURE RICETTIVE PROSSIME A CENTRI DI RICERCA E AD ALTRE SEDI PRODUTTIVE CHE NON DISPONGONO DI PROPRIE RESIDENZE TEMPORANEE.
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PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE ATTIVITÀ RICETTIVE
B.6. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
➦ REGOLA TECNICA DI PREVENZIONE INCENDI PER LA COSTRUZIONE E L’ESERCIZIO DI ATTIVITÀ RICETTIVE E TURISTICOALBERGHIERE Approvata ed emanata con DM degli Interni 9 aprile 1994 Da ciascun montante, in corrispondenza di ogni piano, deve essere derivato, con tubazioni di diametro interno non inferiore a 40 mm, un attacco per idranti DN 45. La rete di tubazioni deve essere indipendente da quella dei servizi sanitari. Le tubazioni devono essere protette dal gelo, da urti e, qualora non metalliche, dal fuoco. 11.3.2.2. Caratteristiche idrauliche L’impianto deve avere caratteristiche idrauliche tali da garantire una portata minima di 360 l/min per ogni colonna montante e, nel caso di più colonne, il funzionamento contemporaneo di almeno due. Esso deve essere in grado di garantire l’erogazione ai 3 idranti in posizione idraulica più sfavorita, assicurando a ciascuno di essi una portata non inferiore a 120 l/min con una pressione al bocchello di 2 bar. L’alimentazione deve assicurare un’autonomia di almeno 60 min. 11.3.2.3. Alimentazione L’impianto deve essere alimentato normalmente dall’acquedotto pubblico. Qualora l’acquedotto non garantisca le condizioni di cui al punto precedente, dovrà essere realizzata una riserva idrica di idonea capacità. Il gruppo di pompaggio di alimentazione della rete antincendio deve essere realizzato da elettropompa con alimentazione elettrica di riserva (gruppo elettrogeno ad azionamento automatico) o da altra motopompa con azionamento automatico. 11.3.2.4. Alimentazione ad alta affidabilità Per le attività con oltre 500 posti letto e per quelle ubicate in edifici aventi altezza antincendio superiore a 32 m, l’alimentazione della rete antincendio deve essere del tipo ad alta affidabilità. Affinché una alimentazione sia considerata «ad alta affidabilità» dovrà essere realizzata in uno dei seguenti modi: • una riserva virtualmente inesauribile; • due serbatoi o vasche di accumulo, la cui capacità singola sia pari a quella minima prevista dall’impianto e dotati di rincalzo; • due tronchi di acquedotto che non interferiscano tra loro nell’erogazione, non siano alimentati dalla stessa sorgente, salvo che virtualmente inesauribile. Tale alimentazione deve essere collegata alla rete antincendio tramite due gruppi di pompaggio, composti da una o più pompe, ciascuno dei quali in grado di assicurare le prestazioni richieste secondo una delle seguenti modalità: • una elettropompa e una motopompa, una di riserva all’altra; • due elettropompe ciascuna con portata pari a metà del fabbisogno e una motopompa di riserva avente portata pari al fabbisogno totale; • due motopompe, una di riserva all’altra; • due elettropompe, una di riserva all’altra, con alimentazioni elettriche indipendenti. Ciascuna pompa deve avviarsi automaticamente. 11.3.3. Idranti DN 70 Nelle strutture ricettive con oltre 500 posti letto e in quelle ubicate in edifici aventi altezza antincendio superiore a 32 m, deve esistere all’esterno e in posizione accessibile e opportunamente segnalata, almeno un idrante DN 70, da utilizzare per rifornimento dei mezzi dei Vigili del fuoco. Tale idrante dovrà assicurare una portata non inferiore a 460 l/min per almeno 60 min. Nel caso la stessa rete alimenti sia gli idranti interni che quelli esterni, le alimentazioni devono assicurare almeno il fabbisogno contemporaneo dell’utenza complessiva.
11.3.4. Collegamento delle autopompe VVFF Ai piedi di ogni colonna montante di edifici con più di tre piani fuori terra deve essere installato un attacco di mandata per il collegamento con le autopompe VVFF. 11.3.5. Impianto di spegnimento automatico Oltre alla rete idranti, nelle strutture ricettive con oltre 1.000 posti letto deve essere provvisto l’impianto di spegnimento automatico a pioggia su tutta l’attività.
13. Segnaletica di sicurezza
B.STAZIONI DILEGIZLII
La segnaletica di sicurezza dovrà essere conforme al DPR n.524/1982 (GU n.218 del 10 agosto 1982). Inoltre la posizione e la funzione degli «spazi calmi» dovrà essere adeguatamente segnalata.
C.RCIZIO
14. Gestione della sicurezza (omissis)
12.1. Generalità Nelle attività ricettive con capienza superiore a 100 posti letto deve essere prevista l’installazione di un impianto fisso di rivelazione e segnalazione automatica degli incendi in grado di rivelare e segnalare a distanza un principio d’incendio che possa verificarsi nell’ambito dell’attività. Nei locali deposito, indipendentemente dal numero dei posti letto, devono comunque essere installati tali impianti, come previsto dal precedente punto 8.1. 12.2. Caratteristiche L’impianto deve essere progettato e realizzato a regola d’arte. La segnalazione di allarme proveniente da uno qualsiasi dei rivelatori utilizzati dovrà sempre determinare una segnalazione ottica e acustica di allarme incendio nella centrale di controllo e segnalazione, la quale deve essere ubicata in ambiente presidiato. Il predetto impianto dovrà consentire l’azionamento automatico dei dispositivi di allarme posti nell’attività entro: a) 2 min dall’emissione della segnalazione di allarme proveniente da due o più rivelatori o dall’azionamento di un qualsiasi pulsante manuale di segnalazione di incendio; b) 5 min dall’emissione di segnalazione di allarme proveniente da un qualsiasi rivelatore, qualora la segnalazione presso la centrale di allarme non sia tacitata dal personale preposto. I predetti tempi potranno essere modificati in considerazione della tipologia dell’attività e dei rischi in essa esistenti. Qualora previsto dalla presente «regola tecnica» o nella progettazione dell’attività, l’impianto di rivelazione dovrà consentire l’attivazione automatica di una o più delle seguenti azioni: • chiusura automatica di eventuali porte tagliafuoco, normalmente aperte, appartenenti al «compartimento» antincendio da cui è pervenuta la segnalazione, tramite l’attivazione degli appositi dispositivi di chiusura; • disattivazione elettrica dell’eventuale impianto di ventilazione o condizionamento esistente; • attivazione degli eventuali filtri in sovrapressione; • chiusura di eventuali serrande tagliafuoco esistenti poste nelle canalizzazioni degli impianti di ventilazione o condizionamento, riferite al «compartimento» da cui proviene la segnalazione; • eventuale trasmissione a distanza delle segnalazioni di allarme in posti predeterminati in un «piano operativo interno di emergenza». Inoltre nelle attività ricettive con oltre 300 posti letto o con numero di posti letto superiore a 100 ubicate in edifici di altezza superiore a 24 m, dovranno essere installati dispositivi ottici di ripetizione di allarme lungo i corridoi, per i rivelatori ubicati nelle camere e nei depositi. Tali ripetitori, inoltre, dovranno essere previsti per quei rivelatori che sorvegliano aree non direttamente visibili.
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
15. Addestramento del personale (omissis)
PRO TTURALE STRU
16. Registro dei controlli (omissis) 12. Impianti di rivelazione e segnalazione degli incendi
I ED PRE NISM ORGA
17. Istruzioni di sicurezza (omissis)
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
PARTE SECONDA – ATTIVITÀ ESISTENTI
F. TERIALI,
18. Ubicazione Devono essere rispettati i punti 5.1 e 5.2. salvo quanto previsto al punto 20.5. Per gli alloggi agroturistici è consentita la contiguità con i depositi di paglia, fieno, o legname posti all’esterno della volumetria dell’edificio utilizzato per l’attività ricettiva, purchè la struttura di separazione abbia caratteristiche almeno REI 120.
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
19. Caratteristiche costruttive 19.1. Resistenza al fuoco delle strutture I requisiti di resistenza al fuoco vanno valutati secondo quanto previsto al punto 6.1., con l’applicazione dei valori minimi sotto riportati: Resistenza al fuoco R e REI in funzione dell’altezza antincendio dell’edificio ALTEZZA ANTINCENDIO
30
superiore a 12 m, fino a 54 m
60
oltre 54 m
90
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
R, REI
fino a 12 m
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
19.3. Compartimentazione Gli edifici devono essere suddivisi in compartimenti (costituiti al massimo da due piani) come previsto al punto 6.3. Sono consentiti compartimenti di superficie complessiva non superiore a 4.000 mq su più piani, a condizione che il carico d’incendio, in ogni piano, non superi il valore di 30 kg/mq e che sia installato un impianto automatico di rivelazione e allarme di incendio in tutti gli ambienti. Gli elementi costruttivi di separazione tra compartimenti devono soddisfare i requisiti di resistenza al fuoco indicati al punto 19.1. Le separazioni e comunicazioni con i locali a rischio specifico devono essere congruenti con quanto previsto dalle specifiche norme, ove emanate, oppure secondo quanto specificato nel presente decreto. 19.4. Piani interrati È richiesto il rispetto del punto 6.4. 19.5. Corridoi È richiesto il rispetto del punto 6.5. con eccezione delle porte delle camere che devono avere caratteristiche non inferiori a REI 15 con autochiusura. La prescrizione relativa all’installazione delle porte REI 15 non si applica ad attività ubicate in edifici a non più di 3 piani fuori terra in cui la capienza non superi i 40 posti letto e il carico d’incendio in ciascun piano non superi i 20 kg/mq.
➥
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. IVE B.6.1 À RICETT IT ATTIV
B 213
B.6. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE ATTIVITÀ RICETTIVE ➦ ALBERGHI ➦ REGOLA TECNICA DI PREVENZIONE INCENDI PER LA COSTRUZIONE E L’ESERCIZIO DI ATTIVITÀ RICETTIVE E TURISTICOALBERGHIERE Approvata ed emanata con DM degli Interni 9 aprile 1994 È consentito altresì che le porte delle camere non abbiano caratteristiche REI 15 quando l’attività è protetta da un impianto automatico di rivelazione e allarme di incendio installato nei corridoi e nelle camere per ospiti.
materiale suscettibile di prendere fuoco su entrambe le facce; • sia installato, lungo le vie d’esodo e nelle camere, un impianto automatico di rivelazione e allarme di incendio.
19.6. Scale In edifici con più di due piani fuori terra e di altezza antincendio fino a 32 m le scale a uso esclusivo devono essere di tipo protetto. Negli edifici di altezza superiore le scale devono essere del tipo «a prova di fumo». Le caratteristiche di resistenza al fuoco dei vani scala e delle porte di accesso alle scale devono essere conformi con quanto previsto al punto 19.1. Ogni vano scala deve avere una superficie netta di aerazione permanente in sommità, come previsto al punto 6.6., ultimo comma. Le camere per ospiti devono comunicare con il vano scala attraverso corridoi. La comunicazione diretta di tali camere con i vani scala è consentita purchè tramite disimpegno con porte di resistenza al fuoco congrua con quanto richiesto al punto 19.1. Per i vani scala a uso promiscuo si rimanda a quanto impartito al successivo punto 20.5. (strutture ricettive servite da vie d’uscita a uso promiscuo).
Limitatamente ai corridoi ciechi può essere consentita una lunghezza di 25 m a condizione che: • tutti i materiali installati in tali corridoi siano di classe 0 di resistenza al fuoco; • le porte delle camere aventi accesso da tali corridoi possiedano caratteristiche REI 30 e siano dotate di meccanismo di autochiusura; • sia installato un impianto automatico di rivelazione e allarme incendio nelle camere e nei corridoi.
19.7. Ascensori e montacarichi Deve essere rispettato il punto 6.7. Le caratteristiche di resistenza al fuoco devono essere congrue con il punto 19.1. 20. Misure di evacuazione in caso di incendio Le caratteristiche delle vie di esodo devono essere poste in relazione alle caratteristiche delle strutture ricettive e degli edifici entro cui queste sono ubicate, secondo quanto di seguito indicato. 20.1. Affollamento – Capacità di deflusso Devono essere rispettati i punti 7.1. e 7.2., salvo il caso indicato al successivo punto 20.5. (vie d’uscita a uso promiscuo) 20.2. Larghezza delle vie d’uscita È consentito utilizzare, ai fini del deflusso, scale e passaggi aventi larghezza minima di 0,90 m computati pari a un modulo ai fini del calcolo del deflusso. Le aree dove sia prevista la presenza di persone con ridotte o impedite capacità motorie devono essere dotate di vie d’uscita congruenti con le vigenti disposizioni in materia di superamento e eliminazione delle barriere architettoniche. 20.3. Larghezza totale delle uscite La larghezza totale delle uscite deve essere verificata secondo quanto previsto al punto 7.6. con esclusione delle strutture ricettive servite da scale a uso promiscuo. 20.4. Vie di uscita a uso esclusivo 20.4.1. L’edificio è servito da due o più scale Il percorso di esodo, misurato a partire dalla porta di ogni camera e da ogni punto dei locali comuni, non può essere superiore a: a) 40 m, per raggiungere una uscita su luogo sicuro o su scala di sicurezza esterna; b) 30 m, per raggiungere una scala protetta che faccia parte del sistema di vie d’uscita. La lunghezza dei corridoi ciechi non può essere superiore a 15 m. Le predette lunghezze possono essere incrementate di 5 m qualora venga realizzato quanto segue in corrispondenza del percorso interessato: • i materiali installati a parete e soffitto siano di classe 0 di reazione al fuoco e non sia installato
B 214
In corrispondenza delle comunicazioni dei piani interrati con i vani scala devono essere installate porte aventi caratteristiche di resistenza al fuoco non inferiori a REI 60, munite di congegno di autochiusura. 20.4.2. L’edificio è servito da una sola scala È ammesso, limitatamente alle strutture ricettive ubicate in edifici con non più di 6 piani fuori terra, disporre di una sola scala. Questa deve essere di tipo protetto in edifici con più di due piani fuori terra. La lunghezza dei corridoi che adducono alla scala deve essere normalmente limitata a 15 m, incrementabile a 20 m o 25 m qualora siano realizzati gli accorgimenti previsti al precedente punto 20.4. con estensione dell’impianto di rivelazione e allarme incendio a tutta l’attività. La comunicazione del vano scala con i piani interrati può avvenire esclusivamente tramite disimpegno, anche non aerato, avente porte tipo REI 60 munite di congegno di autochiusura. Limitatamente agli edifici a tre piani fuori terra è consentito non realizzare la scala di tipo protetto a condizione che: • tutti i locali dell’attività siano protetti da impianto automatico di rivelazione e allarme d’incendio; • il carico d’incendio a ogni piano deve essere inferiore a 20 kg/mq, con esclusione dei depositi che devono essere conformi a quanto indicato al punto 8.1.; • la lunghezza dei corridoi che adducono alle scale sia limitata a 20 m, sotto l’osservanza degli accorgimenti previsti al punto 20.4.1.; Resta fermo per gli edifici serviti da scale non protette che la lunghezza del percorso totale per addurre su luogo sicuro sia limitata a 40 m o 45 m, secondo quanto specificato al punto 2.4.1. 20.5. Vie di uscita di uso promiscuo È consentita la permanenza di strutture ricettive in edifici a destinazione mista, servite da scale a uso promiscuo, alle seguenti condizioni: • le comunicazioni dei vani scala con i piani cantinati e con attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, ammesse nell’ambito dell’edificio ai sensi del punto 5.1. lettera b), avvengano tramite porte resistenti al fuoco almeno REI 60; • l’edificio abbia altezza antincendio non superiore a 24 m; • le scale siano dotate di impianto di illuminazione di sicurezza; • l’intera area dell’attività ricettiva sia protetta da impianto automatico di rivelazione e allarme incendio; • l’attività ricettiva sia distribuita in «compartimenti» le cui strutture separanti, comprese le porte di accesso ai vani scala, abbiano caratteristiche di resistenza al fuoco almeno REI 60; • il carico d’incendio all’interno dei compartimenti non sia superiore a 20 kg/mq;
• la larghezza della scala e della via d’esodo sia commisurata al piano di massimo affollamento, ove è ubicata l’attività rivettiva. Inoltre, a seconda del numero di scale, dovrà essere osservato quanto segue: ogni piano è servito da due o più scale: • il percorso massimo dalla porta delle camere alle scale dell’edificio non sia superiore a 25 m; • i corridoi ciechi non possono superare la lunghezza di 15 m; ogni piano è servito da una sola scala: • l’attività ricettiva sia distribuita in compartimenti aventi superficie non superiore a 750 mq; • il percorso massimo per raggiungere la scala dalla porta di ogni camera non sia superiore a 15 m. 21. Altre disposizioni 21.1. Disposizioni tecniche Le attività esistenti devono inoltre rispettare i punti 8, 9, 10, 11, 12, 13 14, 15 16 e 17 del presente decreto. È consentito che i dispositivi automatici di arresto dei ventilatori, di azionamento delle serrande tagliafuoco, negli impianti a ricircolo aria di potenzialità non superiore a 30.000 mc/h, siano di tipo termostatico. Tali dispositivi, tarati a 70°C, devono essere installati in punti adatti rispettivamente delle condotte dell’aria di ritorno (prima della miscelazione con l’aria esterna) e della condotta principale di immissione dell’aria. Inoltre l’intervento di tali dispositivi non deve consentire la rimessa in moto dei ventilatori senza l’intervento manuale. Negli impianti di potenzialità superiore a 30.000 mc/h i dispositivi di controllo devono essere costituiti da rivelatori di fumo posti nelle condotte secondo quanto previsto al punto 8.2.2.3. 21.2. Disposizioni transitorie Le attività ricettive esistenti devono adeguarsi alle disposizioni del presente decreto, a decorrere dall’entrata in vigore dello stesso, entro i seguenti termini: a) due anni per quanto riguarda le disposizioni gestionali di cui ai punti 14, 15 e 16; b) cinque anni per quanto riguarda l’adeguamento alle restanti prescrizioni, con esclusione di quanto previsto alla successiva lettera c); c) otto anni per l’adeguamento, all’interno delle camere per ospiti, dei materiali di rivestimento, dei tendaggi e dei materassi a quanto previsto dal punto 19.2. Entro un anno dall’entrata in vigore del decreto dovrà essere presentato ai Comandi dei vigili del fuoco un piano programmato degli eventuali lavori di adeguamento a firma del responsabile dell’attività.
TITOLO II – DISPOSIZIONI RELATIVE ALLE ATTIVITÀ RICETTIVE CON CAPACITÀ NON SUPERIORE A VENTICINQUE POSTI LETTO 22. Generalità Le strutture orizzontali e verticali devono avere resistenza al fuoco non inferiore a REI 30. Gli impianti devono essere realizzati a regola d’arte. Deve essere assicurato per ogni eventuale caso di emergenza il sicuro esodo degli occupanti. Devono inoltre essere osservate le disposizioni contenute nei punti 11.2, 13, 14 e 17.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE ATTIVITÀ RICETTIVE
B.6. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB.B.6.1./4 ATTIVITÀ RICETTIVE TURISTICO-ALBERGHIERE CON OLTRE 25 POSTI LETTO (allegato al DM 9 aprile 1994)
B.STAZIONI DILEGIZLII
LUNGHEZZA DEI PERCORSI DI ESODO IN RELAZIONE AL NUMERO DI PIANI ED ALLA TIPOLOGIA DI SCALA
I ED PRE NISM ORGA
ATTIVITÀ DI NUOVA COSTRUZIONE servite da due o più scale a servizio esclusivo dell'attività
A1 A
N. piani fuori terra
tipo di scala consentita
Lunghezza dei percorsi di esodo
fino a 2
aperta
40 m fino a luogo sicuro
da 3 a 6
protetta (*)
30 m fino a scala protetta 40 m fino a scala esterna
oltre 6
prova di fumo
40 m fino scala a prova di fumo o esterna
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
(*) Se non sono soddisfatti i requisiti di accostamento dell'autoscala, gli edifici con Hant > 12 m devono essere dotati di scale a prova di fumo.
Servite da una sola scala a servizio esclusivo dell'attività A2
N. piani fuori terra
tipo di scala consentita
Lunghezza dei percorsi di esodo
fino a 2
aperta
15 m fino alla scala (lunghezza corridoio) 40 m fino a luogo sicuro
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
ATTIVITÀ ESISTENTI SERVITE DA SCALE A USO ESCLUSIVO servite da due o più scale a uso esclusivo dell'attività N. piani fuori terra
tipo di scala consentita
Lunghezza dei percorsi di esodo
fino a 2
aperta
40 m o 45 m (*) fino a luogo sicuro
oltre 2 fino a 32 m altezza antincendio
protetta
30 m o 35 m (*) fino a scala protetta 40 m o 45 m (*) fino a scala esterna
oltre 32 m altezza antincendio
prova di fumo
40 m o 45 m (*) fino alla scala a prova di fumo
N. piani fuori terra
tipo di scala consentita
2
aperta
3
Aperta con Q _ 20 kg/m_impianto automatico rivelazione incendi
40 o 45 m (*) fino a luogo sicuro
3
protetta
15 o 20 m (*) o 25 m (**) (lunghezza dei corridoi di collegamento con le scale)
da 4 a 6
protetta
B1
1
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
Servite da una sola scala a uso esclusivo dell'attività B B2
Lunghezza dei percorsi di esodo ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
(*) Lungo il percorso interessato: 1. i materiali installati a parete e a soffitto siano di classe o di reazione al fuoco e non siano installati materiali suscettibili di prendere fuoco su entrambe le facce; 2. installare impianto di rivelazione automatica d'incendio lungo le vie d'esodo interessate e nelle camere. (**)Il corridoio può avere lunghezza di 25 m a condizione che: 1. tutti i materiali installati nei corridoi siano di classe 0 di reazione al fuoco; 2. le porte delle camere abbiano caratteristiche REI 30; 3. sia installato un impianto automatico di rivelazione di incendio nelle camere e nel corridoio.
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
ATTIVITÀ ESISTENTI SERVITE DA SCALE A USO PROMISCUO (*) Servite da due o più scale a uso promiscuo con altre attività C1 C
N. piani fuori terra
tipo di scala consentita
Lunghezza dei percorsi di esodo
edificio fino a 24 m
aperta
25 m fino alla scala Servite da una scala a uso promiscuo con altre attività
C2
N. piani fuori terra
tipo di scala consentita
Lunghezza dei percorsi di esodo
edificio fino a 24 m
aperta
15 m fino alla scala
(*) Per tali attività vanno osservate le specifiche disposizioni e limitazioni previste dal punto 20.5 del DM 9 aprile 1994.
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
REQUISITI DI RESISTENZA AL FUOCO DELLE PORTE DELLE CAMERE PER OSPITI ATTIVITÀ NUOVE 2 ATTIVITÀ ESISTENTI
REI 30
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
a) nessun requisito per • attività in edifici fino a 3 piani f.t. con ricettività ≤ 40 posti letto e Q≤ 20 kg/m; • tutte le attività se viene installato un impianto automatico di rivelazione e allarme incendio nei corridoi e nelle camere; b) REI 15, c) REI 30 limitatamente alle porte che immettono nei corridoi ciechi di lunghezza maggiore di 20 m (fino a25 m); d) REI pari al livello di resistenza al fuoco richiesto per il vano scala, se la camera comunica direttamente con esso.
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
LUNGHEZZA DEI CORRIDOI CIECHI ATTIVITÀ NUOVE
3 15 m
REI 30 a) 15 m; b) 20 m, valido solo se l'attività è servita da scale a uso esclusivo. Se: • i materiali installati a parete e soffitto sono di classe 0 o di reazione al fuoco; • non sono installati materiali suscettibili di prendere fuoco su entrambe le facce; • è installato un impianto automatico di rivelazione e allarme incendio nelle camere e nei corridoi; c) 25 m solo se l'attività è servita da scale a uso esclusivo e almeno protette se a più di due piani f.t.: • i materiali installati lungo il corridoio devono essere di classe 0 di reazione al fuoco; • le porte delle camere devono essere REI 30; • deve essere installato un impianto automatico di rivelazione e allarme incendio nelle camere e nei corridoi.
➥
. IVE B.6.1 À RICETT IT ATTIV
B 215
B.6. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE ATTIVITÀ RICETTIVE ➦ ALBERGHI LETTERA CIRCOLARE 20 MAGGIO 1994 N.P 1226/4122/1 del Ministero degli Interni (Dir. Gen. Prot. Civ. e Servizi Antincendi – Sez. Tecn. Centrale) Chiarimenti al DM 9 aprile 1994 “Regola tecnica di prevenzione incendi per la costruzione e l'esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere” Al fine di chiarire, a seguito di quesiti pervenuti, la portata del punto 2 (Campo di Applicazione) del DM 9 aprile 1994, si precisa quanto segue: A) Attività di nuova costruzione con ricettività superiore a 25 posti letto Le disposizioni di cui al Titolo II – Parte Prima – del decreto, si applicano: a) alle attività da realizzare in edifici di nuova costruzione; b) alle attività da realizzare in edifici o locali già esistenti e che allo stato hanno altra destinazione; c) alle attività esistenti in caso di ristrutturazione degli edifici che comportino il rifacimento di oltre il 50% dei solai; d) agli aumenti di volume (ampliamenti) di attività esistenti.
presentati ai Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco per la preventiva approvazione, a decorrere da tale data. Per quanto attiene i progetti di attività che, pur riferendosi ai casi sopraindicati, sono•stati invece presentati ai Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco prima della data di entrata in vigore del decreto, gli stessi, qualora non ancora evasi, vanno esaminati in base alla previgente normativa (lettera circolare n.27030/4122/1 del 21 ottobre 1974), fermo restando l'obbligo dei necessari adeguamenti alle misure di cui al Titolo II – Parte Seconda – del decreto, entro i termini previsti dal punto 21.2.
CARATTERI PRESTAZIONALI DEGLI EDIFICI
Le disposizioni previste dal Titolo II – Parte Prima – decorrono dalla data di entrata in vigore del decreto (26 aprile 1994) e pertanto vanno applicate in tutti i progetti
al 25 aprile 1994 di fatto esercitavano con una autorizzazione rilasciata dall'organo amministrativo competente. Il piano programmato dei lavori di adeguamento, di cui all'ultimo c. del punto 21.2 del decreto, deve consistere in una relazione che evidenzi lo stato di fatto dell'attività alla data di entrata in vigore del decreto e riporti gli adeguamenti necessari, da mettere in atto per rendere l'attività conforme alle misure di sicurezza richieste. I progetti di adeguamento di attività esistenti, che non comportino il rifacimento di oltre il 50% dei solai, anche se presentati ai Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco, antecedentemente alla data di entrata in vigore del decreto (26 aprile 1994) vanno esaminati sulla base delle disposizioni di cui al Titolo II – Parte Seconda. Al fine di rendere più immediata la lettura del decreto, si allegano alcune tabelle riassuntive e di confronto relativamente ad alcune specifiche misure.
STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE
B) Attività esistenti con ricettività superiore a 25 posti letto Le disposizioni di cui al Titolo II – Parte Seconda – si applicano alle attività esistenti alla data di entrata in vigore del decreto e come tali vanno intese quelle attività che
DOCUMENTAZIONE PER APERTURA ALBERGHI ELENCO DEI DOCUMENTI NECESSARI PER APERTURA E AMPLIAMENTO ESERCIZI ALBERGHIERI 1. Domanda di apertura, in competente bollo. 2. Relazione tecnica, dalla quale emergano gli elementi igienico-sanitari di cui al punto terzo del presente elenco. 3. Progetto completo di piante sezioni e prospetto principale, con l’indicazione della destinazione di tutti i locali, in scala non inferiore a 1:100. Richiamiamo le norme igienico-sanitarie disposte dal DPR 30 dicembre 1970 n.1437, pubblicato sulla GU n.100 del 22 aprile 1971: MISURE MINIME CAMERE LETTO PER OSPITI, AL NETTO DA OGNI ALTRO AMBIENTE ACCESSORIO Località inferiore a m 700 s.l.m.
Località superiore a m 700 s.l.m.
Tipo camere Superficie mq
Cubatura mc
Superficie mq
Cubatura mc
1 posto letto
8
24
8
23
2 posti letto
14
42
14
40
Altezza utile stabilita dai regolamenti comunali di igiene
Le latrine, i bagni, se destinati a uso comune di più camere, dovranno essere illuminati e ventilati con finestra all’esterno e dovranno avere le pareti rivestite fino a due metri di altezza di materiale lavabile e impermeabile, preferibilmente di mattonelle smaltate, maiolicate, con gli angoli fra le pareti, e fra queste e i pavimenti, arrotondati. Qualora le latrine e i bagni siano annessi a singole camere, è consentita la illuminazione artificiale e l’aerazione forzata mediante idonea apparecchiatura meccanica. 4. Dichiarazione del sindaco che non esistono impedimenti all’esecuzione delle opere progettate. 5. Parere favorevole dell’ufficiale sanitario comunale sui locali, con preciso riferimento alle norme del DPR 30 dicembre 1970, n.1437. 6. Nulla osta del comando dei vigili del fuoco sugli impianti di riscaldamento e antincendio. 7. Compilazione dei moduli di classifica, uniti in bianco alla presente. 8. Compilazione dei moduli concernenti i prezzi, uniti alla presente in bianco. Al riguardo rammentiamo che le tariffe massime di pernottamento, deliberate dal comitato provinciale prezzi per la categoria ..... anno...... sono: Pernottamento camera un letto con bagno (tutto compreso) €. .... Pernottamento camera un letto senza bagno (tutto compreso) €. .... Pernottamento camera due letti con bagno (tutto compreso)* €. .... Pernottamento camera due letti senza bagno (tutto compreso) €. .... I prezzi di pensione e dei pasti sono liberi, pertanto l’albergatore è tenuto a sensi di legge a denunciarli a suo giudizio, per poi attenervisi. N.B. Per il terzo letto, a richiesta del cliente, è ammessa una maggiorazione del 35 per cento del prezzo della camera a due letti.
OSTELLI PER LA GIOVENTÙ Gli "Ostelli per la gioventù", classificati dalla legge 326/1958 come “complessi ricettivi complementari”, si distinguono dalle altre strutture ricettive essenzialmente per l’esigenza di carattere sociale alla quale rispondono: promuovere e agevolare il viaggio e il soggiorno dei giovani, nel proprio paese o all’estero, come occasione di incontro e di scambio culturale. La finalità sociale della struttura ricettiva si estrinseca in specifici caratteri gestionali e tipologici: • gestione operata in genere da enti e associazioni senza fine di lucro, rivolta a una utenza di ospiti associati; • partecipazione frequente degli ospiti al funzionamento di alcuni servizi come: pulizia, lavanderia e simili; • ammissibilità di alto numero di posti letto per locale, e di incidenza della superficie per posto letto più bassa di quella contemplata per gli alberghi; • separazione della zona notte in settori distinti per ragazzi e ragazze e (eventualmente) per accompagnatori; • possibile concentrazione dei servizi igienico-sanitari in nuclei comuni a più locali; L’espansione del turismo di massa ha allargata la base di fruizione degli ostelli anche a fasce di utenza non giovanili (famiglie, gruppi di anziani, ecc.) e,recentemente, ha favorito la costituzione di strutture ricettive anche in forma imprenditoriale privata, tuttavia sottoposte ad autorizzazione e controllo da parte della autorità comunale. Gli ostelli per la gioventù, essendo rivoti prevalentemente a una utenza giovane e che comunque usa raramente mezzi autonomi di trasporto, sono localizzati in aree urbane centrali e utilizzano frequentemente edifici esistenti opportunamente ristrutturati e adeguati.
B 216
DATI DI DIMENSIONAMENTO In quanto a standard di dimensionamento, gli ostelli per la gioventù, oltre a disposizioni tecniche e igienico-sanitarie impartite dalle regioni, devono rispettare i seguenti limiti: Superfici minime delle camere o camerate per dormire: • superficie minima netta per camere a un letto minimo 8 mq; • superficie minima netta per camere a due letti minimo 12 mq; • superficie minima netta per ogni letto in più minimo 4 mq. Negli ostelli ospitati da edifici preesistenti, qualora non sia possibile ottemperare alle dimensioni minime indicate, è sufficiente che ogni stanza abbia una cubatura minima pari a 12 mc per occupante; – altezza minima dei locali pari a 2,70 m (2,40 m nelle località poste oltre i 700 s.l.m.). Servizi igienici Dotazione di servizi igienici di nucleo o settore, al netto dei posti letto con servizi igienici propri: • almeno 1 lavabo ogni 4 posti letto; • almeno 1 wc ogni 10 posti letto; • almeno 1 bagno o doccia ogni 12 posti letto. Spazi di soggiorno e per attività complementari Oltre alla zona notte, gli ostelli devono offrire spazi di soggiorno (in ragione di almeno 1 mq per posto letto), per il pranzo con annessa cucina (eventualmente utilizzabile anche dagli ospiti), oltre a eventuali locali di lavanderia, stireria e deposito che possono essere utilizzati direttamente dagli ospiti.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE ATTIVITÀ RICETTIVE
B.6. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.6.1./7 OSTELLI PER LA GIOVENTÙ – SCHEMI DI DISTRIBUZIONE – SOLUZIONI A “CAMERATE” SCHEMA DI DISTRIBUZIONE DELLA ZONA NOTTE
B.STAZIONI DILEGIZLII
LEGENDA ZONA DI ACCESSO E DEI SERVIZI GENERALI
D1/F
D1/F
D1/F
D1/M
D1/M
D1/M
D D/F D1/F
D1/F
D/M D2/F
D2/M
D1/M
D1/M
D3
S1
S - NUCLEO DEI SERVIZI GENERALI S1 - SOGGIORNO S2 - SALA GIOCHI - INTRATTENIMENTO S3 - LAVANDERIA S4 - STIRERIA S5 - INFERMERIA S6 - SERVIZI IGIENICI R - RISTORAZIONE (SE PRESENTE) R1 - SALA RISTORANTE O MENSA R2 - SERVIZI IGIENICI OSPITI R3 - CUCINA R4 - SELF SERVICE R5 - DEPOSITO - CELLE FRIGORIFERE R6 - ACCESSO E SERVIZI PERSONALE
SCHEMA DI DISTRIBUZIONE DELLA ZONA DI ACCESSO E DEI SERVIZI GENERALI
R1
A - RICEZIONE, COLLEGAMENTI VERTICALI A1 - ACCESSO - ATRIO A2 - RECEPTION A3 - UFFICIO DIREZIONE AMMINISTR. A4 - DEPOSITO BAGAGLI
S2
R5 R6
R4
A R2
S
A3
R3
A1
A4
S3
S4
S5
URB
V V V
≥ 320
V V V V
CORRIDOIO
≥ 320
V V V V V
V V V
V
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
V
V
V
V
V
V V V V
V
V V V V V V
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
PERCORSI OSPITI DELL'OSTELLO
V
≥ 500
V V
V
DOCCE
V
≥ 500
≥ 320
V V
V
V
V
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
V
V V V
V V V V
DOCCE
V
V
CAMERA
V
V
≥ 320
V
V
V
CORRIDOIO ATTREZZATO CON ARMADIETTI
SPOGLIATOIO ARMADIETTI
V
V
V
V
V
W.C.
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
V
V
V
CAMERA
V
V
V
V
V
V
H.
V
V
≥ 400
W.C.
V
V
V
CAMERA
V
V
V
V
V
≥ 300
SPOGLIATOIO ARMADIETTI
V
V
V
DOCCE
CAMERA
V
V
CAMERA
RIP.
V
V
V
CAMERE CON LETTI IN LINEA- SERVIZI IGIENICI IN NUCLEI DISTRIBUITI ≥ 150 ≥ 620 ≥ 400
V
W.C.
CAMERA
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
V
V
CAMERA
E.NTROLLO
D/F/ - SETTORE FEMMINILE D1/F - CAMERE FEMMINE D2/F - SERVIZI IGIENICI FEMMINE
V
V
CAMERA
PRO TTURALE STRU
G.ANISTICA
V
V
CAMERA
D.GETTAZIONE
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
D3 - LOCALE DEPOSITO O ATTIVITÀ COLLETTIVE DI PIANO ZONA NOTTE - ESEMPI DI ARTICOLAZIONE DI UN SETTORE CAMERE CON LETTI DI TESTA - SERVIZI IGIENICI IN UN UNICO NUCLEO CENTRALIZZATO ≥ 240 ≥ 500 ≥ 500
E ESE ESSIONAL PROF
F. TERIALI,
D/M - SETTORE MASCHILE D1/M - CAMERE MASCHI D2/M - SERVIZI IGIENICI MASCHI
S6
A2
C.RCIZIO
CO NTALE AMBIE
D - ZONA NOTTE
R
I ED PRE NISM ORGA
PERCORSI PERSONALE ILLUMINAZIONE E AREAZIONE NATURALE
➥
. IVE B.6.1 À RICETT IT ATTIV
B 217
B.6. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE STRUTTURE PER LA RISTORAZIONE CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE PER LA RISTORAZIONE Le strutture per la ristorazione possono essere classificate in funzione delle modalità di somministrazione dei cibi (distribuzione indiretta, servizio diretto e assistito “al tavolo” o self-service), del tipo di utente di riferimento (cliente generico, comunità), della estensione e differenziazione della offerta (del "menu") e della dimensione della struttura.
RISTORANTE
MENSA
• esercizio che distribuisce direttamente cibi preparati prevalentemente in ambienti di cucina annessi, a clienti consumatori generici e variabili;
• struttura che distribuisce direttamente cibi preparati in ambienti di cucina annessi, o provenienti da centri produttivi di tipo industriale (precotti e simili) a consumatori operanti in comunità, aziende o luoghi di studio e di lavoro in genere, dei quali la mensa costituisce servizio;
• offerta a vasto spettro gastronomico, generalmente variabile nel tempo, e/o specializzata in cucine regionali o in tipi di pietanze privilegiate (pesce, carni, cucina vegetariana, ecc.);
• offerta di tipo generale, a ridotta ampiezza gastronomica, generalmente ripetuta periodicamente nel tempo;
• modalità di distribuzione dei cibi diretta, con servizio “al tavolo”; • la struttura ristorante utilizza frequentemente ambienti preconfigurati volumetricamente facenti parte di edifici o complessi di dimensioni molto variabili: dalla piccola "osteria" al "grande ristorante".
• modalità di distribuzione dei cibi di tipo self-service, con consumazione in tavoli articolati per "posti" e non assistiti o parzialmente assistiti; • la mensa utilizza frequentemente ambienti facenti parte degli edifici o dei complessi scolastici, produttivi, religiosi, o altro rispetto ai quali svolge attività di servizio.
FAST FOOD NORME DI CARATTERE GENERALE • esercizio che distribuisce direttamente cibi preparati in ambienti di preparazione annessi, o provenienti da centri produttivi di tipo industriale (precotti e simili) a clienti consumatori generici e variabili;
DPR del 19 marzo 1956, n.303
Norme generali per l’igiene del lavoro.
DPR del 14 giugno 1989, n.236
Eliminazione delle barriere architettoniche.
Legge 104/1992 (e successive integrazioni)
Eliminazione delle barriere architettoniche.
DM 16 febbraio 1982
Attività soggette a visite di prevenzione incendi.
DM Interni 10 marzo 1998
Criteri generali di sicurezza antincendio per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro.
• offerta di tipo specializzato e a ridottissima ampiezza gastronomica, costante ripetuta nel tempo; • modalità di distribuzione dei cibi di tipo diretto al banco, eccezionalmente di tipo self-service, e consumazione rapida in tavoli articolati per "posti" o banchi, ovvero mediante asporto; • la struttura fast food può variare notevolmente in quanto a dimensioni e utilizza frequentemente ambienti preconfigurati volumetricamente facenti parte di edifici o complessi, spesso associata ad altri esercizi, come ristoranti, bar e simili, a costituire un complesso articolato di offerta per la ristorazione.
BAR • esercizio che distribuisce essenzialmente bevande, sempre più spesso associate a cibi (pasticceria, panini, gelati) provenienti da centri produttivi di tipo industriale e/o lavorati in annesso laboratorio, a clienti generici e variabili; • offerta di tipo generale o specializzato, a prevalenza di bevande, costante, ripetuta nel tempo; la prevalenza dei generi offerti spesso caratterizza la specializzazione di esercizio: pasticcerie, gelaterie, caffè, ecc;
NORME DI CARATTERE SPECIFICO
• modalità di distribuzione di bevande e cibi di tipo diretto al banco, e consumazione rapida presso lo stesso banco o in tavoli serviti; Legge 30 marzo 1962, n.283 • la struttura bar può variare notevolmente in quanto a dimensioni e utilizza frequentemente ambienti preconfigurati volumetricamente facenti parte di edifici o complessi,talvolta associata ad altri esercizi, come ristoranti e self-service, a costituire un complesso articolato di offerta per la ristorazione.
Disciplina igienica della produzione e della vendita di sostanze alimentari e bevande.
DPR del 26 marzo 1980, n.327
Regolamento di attuazione della legge 283/1962, in materia di disciplina igienica della produzione e della vendita di sostanze alimentari e bevande.
SELF SERVICE
Circolare n.8242/183 del 5 aprile 1979
Impianti di cucina e lavaggio stoviglie funzionanti a gasolio, metano, e/ a gpl, a servizio di ristoranti, mense, alberghi, ospedali e simili.
• esercizio che distribuisce direttamente cibi preparati in ambienti di cucina annessi, o provenienti da centri produttivi di tipo industriale (precotti e simili) a clienti consumatori generici e variabili; • offerta di tipo generale, a ridotta ampiezza gastronomica, generalmente ripetuta nel tempo; • modalità di distribuzione dei cibi di tipo self-service, ovvero con il cliente che scorre lungo una linea di offerta-distribuzione caricando le pietanze in un vassoio, con pagamento effettuato a una cassa posta al termine della linea di distribuzione e con consumazione in tavoli articolati per "posti" e non assistiti; • la struttura self service utilizza frequentemente ambienti preconfigurati volumetricamente facenti parte di edifici o complessi; spesso associata ad altri esercizi, come ristoranti, bar e simili, a costituire un complesso articolato di offerta per la ristorazione.
B 218
NORME IGIENICO-SANITARIE PER I LABORATORI PER LAVORAZIONI E CONFEZIONI ALIMENTARI
Nel caso di laboratori annessi a strutture per la ristorazione che contemplano attività di lavorazione, preparazione e confezionamento di prodotti alimentari, si applica la “Disciplina igienico-sanitaria” di cui al DPR 26 marzo 1980, n.327).
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE STRUTTURE PER LA RISTORAZIONE
B.6. 2. A.ZIONI
CUCINE Nella maggior parte dei casi le strutture per la ristorazione integrano attività di preparazione, cucina, trattamento o confezionamento delle sostanze alimentari.
Schematizzando largamente, l’area delle cucine comprende le seguenti articolazioni funzionali:
Si definisce sinteticamente con “cucina” il complesso di tali attività di lavorazione delle sostanze alimentari.
Norme igienico-sanitarie per i laboratori per lavorazioni e confezioni alimentari Nel caso di laboratori annessi a strutture per la ristorazione che contemplano attività di lavorazione, preparazione e confezionamento di prodotti alimentari, si applica la "Disciplina igienico-sanitaria" di cui alla scheda (estratta dal DPR 26 marzo 1980, n.327) data in A.3.7.
Le “cucine” possono variare notevolmente in quanto a dimensione e articolazione funzionale in funzione della quantità di cibi preparati, della gamma gastronomica e delle eventuali specializzazioni, dell’espletamento del ciclo completo di lavorazioni o solo di parte o segmento dello stesso ciclo. Si passa dalle piccole cucine di osterie e taverne, a conduzione familiare, alle complesse e articolate cucine di un grande ristorante – che prevedono settori specializzati di preparazione dei diversi tipi di sostanze (carni, pesce, verdure, pasticceria) – alle cucine di preparazione dell’offerta gastronomicamente limitata ma quantitativamente rilevante e/o del semplice trattamento dei precotti del self-service, fino a veri e propri stabilimenti di produzione di pietanze precotte e preconfezionate delle grandi cucine industriali.
• deposito merci e celle frigorifere: arrivo, controllo, cernita e immagazzinamento delle sostanze alimentari in depositi e celle frigorifere; • lavorazione derrate: ambienti o spazi di preparazione-lavorazione dei cibi (carni, pesce, verdure, pasticceria);
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
• ambienti di cottura dei cibi; • ambiente o spazio per il lavaggio delle stoviglie; • filtro: ambiente o spazio filtro per l’organizzazione del servizio ai tavoli, con deposito stoviglie pulite, posate, tovaglie, ecc.; • rifiuti solidi: ambiente o spazio per la raccolta e l’allontanamento dei rifiuti solidi;
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
• ambienti per servizi igienici e spogliatoi del personale; • ufficio: eventuali ambienti-ufficio di direzione e coordinamento dell’attività.
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
FIG. B.6.2./1 SCHEMI DI DISTRIBUZIONE DELLE ATTIVITÀ E DELLE RELAZIONI FUNZIONALI DI UN RISTORANTE
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
3 7 9B
9A
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
7
9B
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
9 6
4 1
5A 5 SERVIZIO AI TAVOLI
11B 11
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
8 2B
2A
2B
10 5B
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
8B 2C
8A
2D 11A 10A
SPAZI E SERVIZI PER GLI AVVENTORI 1 - BUSSOLA DI INGRESSO DEGLI AVVENTORI 2 - SERVIZI PER GLI AVVENTORI A. GUARDAROBA B. TELEFONI C. SERVIZI IGIENICI UOMINI D. SERVIZI IGIENICI DONNE 3 - BAR (ATTESA DEL TAVOLO) 4 - SALA DEL RISTORANTE PERCORSI DEGLI AVVENTORI
CUCINA E SPAZI OPERATIVI CONNESSI 9 - CUCINA A. "ISOLA DELLE COTTURE" CON CAPPA B. PIANI DI LAVORO: PREPARAZIONI, ALLESTIMENTO PORTATE 10 - CICLO DI LAVAGGIO DELLE STOVIGLIE A. APPARECCHI DI LAVAGGIO (A MANO E A MACCHINA) OFFICE, 11 - A. DEPOSITO STOVIGLIE, TOVAGLIE, ECC B. VARCO DI SERVIZIO ALLA SALA CICLO STOVIGLIE SPORCO/PULITO
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
SPAZI PER IL PERSONALE E L'AMMINISTRAZIONE
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
5 - INGRESSO DI SERVIZIO (PERSONALE E DERRATE) A. PESA MERCI E DERRATE B. CONTROLLO ED UFFICIO (AMMINISTRAZIONE) 6 - MAGAZZINO DERRATE NON DEPERIBILI 7 - CELLE FRIGORIFERE 8 - SERVIZI PER IL PERSONALE A. ANTILATRINE E SPOGLIATOI PERSONALE B. SERVIZI IGIENICI E DOCCE PERSONALE PERCORSI DEL PERSONALE PERCORSI DELLE DERRATE
➥
. B.6.2TURE PER E T STRU TORAZION LA RIS
B 219
B.6. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE STRUTTURE PER LA RISTORAZIONE ➦ CUCINE FIG. B.6.2./2 SELF SERVICE – SCHEMI DI DISTRIBUZIONE E ARREDI TECNICI
SCHEMA DI DISTRIBUZIONE DELLE ATTIVITÀ E DELLE RELAZIONI FUNZIONALI DI UN SELF SERVICE LEGENDA B2 B1
B2
A - AREA DEL PERSONALE A1 - ACCESSO MERCI, PERSONALE A2 - SPOGLIATOI E SERVIZI IGIENICI A3 - UFFICIO AMMINISTRAZIONE
A2
D2
PULITO
B4
D
C1 C2
SPORCO
B D1
A1
A B3
A3
B - AREA DELLE CUCINE B1 - MAGAZZINO B2 - CELLE FRIGORIFERE B3 - LAVAGGIO STOVIGLIE B4 - AREA COTTURA E PREPARAZIONI C - AREA SELF SERVICE C1 - SPAZIO DI ATTIVITÀ DEGLI OPERATORI C2 - LINEA DEI BANCHI SELF SERVICE C3 - CORSIA AVVENTORI: SCELTA E PRELEVAMENTO PIETANZE C4 - CASSA
C4
C
D - AREA DI ACCESSO AVVENTORI D1 - ACCESSO AVVENTORI D2 - GUARDAROBA (eventuale) TELEFONI E SERVIZI IGIENICI
C3 AREA DI SELF SERVICE
AREA DELLA SALA
SELF SERVICE - BANCO DI DISTRIBUZIONE CIBI - SEQUENZA FUNZIONALE E DIMENSIONI DEGLI ELEMENTI COMPONENTI
BANCO CALDO BAGNOMARIA PRIMI PIATTI
BANCO CALDO BAGNOMARIA SECONDI PIATTI
BANCHI FREDDI FRUTTA - DESSER
BANCHI FREDDI BEVANDE
CASSA
110÷120
BANCHI NEUTRI ANTIPASTI INSALATE
90
150÷180
150÷180
90÷120÷150
90÷120÷150
~150
85
30
85
BANCO CALDO
BARRA GUIDA (EVENTUALE)
CONTENITORI CALDO E FREDDO - DIMENSIONI DI COORDINAMENTO MODULARE «GASTRONORM» (EUROPA)
B 220
16,2
32,5
10,8 10,8 10,8
17,6
35,4
26,5
17,6
17,6
16,2
17,6
32,5
53,0
cm 53,0 x 65,0 cm 53,0 x 32,5 cm 35,4 x 32,5 cm 26,5 x 32,5 cm 17,6 x 32,5 cm 26,5 x 16,2 cm 17,6 x 16,2 cm 17,6 x 10,8
26,5
65,0 ELEMENTI DA 2/1 = ELEMENTI DA 1/1 = ELEMENTI DA 2/3 = ELEMENTI DA 1/2 = ELEMENTI DA 1/3 = ELEMENTI DA 1/4 = ELEMENTI DA 1/6 = ELEMENTI DA 1/9 =
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE STRUTTURE PER LA RISTORAZIONE
B.6. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.6.2./3 ESEMPIO DI ORGANIZZAZIONE FUNZIONALE DELLA ZONA PER LA PREPARAZIONE DEI CIBI CALDI
70 CARRELLO
TAVOLO DA LAVORO
GRIGLIA
LAVELLO
B.STAZIONI DILEGIZLII
80
I ED PRE NISM ORGA
70
40÷80
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
BRASERIA
D.GETTAZIONE
90
GRIGLIA
FRIGGITRICE
PRO TTURALE STRU
70
BRASERIA
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
FRIGGITRICE 90
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
90
PIANI PENSILI BAGNO-MARIA
G.ANISTICA
PENTOLA A GAS - H. 85 CM
URB
120 CAPPA ASPIRANTE
FUOCHI A GAS 101,5
PIANO DI APPOGGIO PER CIBI PREPARATI TAVOLO DA LAVORO
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
PASSA VIVANDE
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
FORNO A CONVEZIONE - H. 160 CM 73,5
85
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
CAPPA ASPIRANTE
PENTOLA A GAS
FRIGORIFERO A DOPPIA TEMPERATURA
FORNO A CONVEZIONE
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
ABBATTITORE RAPIDO DI TEMPERATURA - H. 181,5 CM
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
70
84
70
FRIGORIFERO A DUE TEMPERATURE - H. 200 CM
PIANTA
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
30÷50
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
85
108
190
150÷170
90
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
SEZIONE
PASSA VIVANDE PIANI PENSILI
65
45
135
90
225
90
65
45
90 135
PIANTA
➥
. B.6.2TURE PER E T STRU TORAZION LA RIS
B 221
B.6. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE STRUTTURE PER LA RISTORAZIONE ➦ CUCINE FIG. B.6.2./4 RIFERIMENTI MODULARI PER LE APPARECCHIATURE DI CUCINE – PREPARAZIONE DEI CIBI CALDI
23
62
45
90
135
83,5 90
23
BASI A CAVALLETTO 23
62
MODULO DOPPIO
45
90
45
90
45
90
45
90
83,5 90
23
MODULO BASE
FUOCHI A GAS
23
62
83,5 90
23
PIASTRE ELETTRICHE 23
62
83,5 90
23
PIASTRE INTERE O ZONE TERMICHE DIFFERENZIATE 23
62
83,5 90
23
COTTURA BAGNO - MARIA
B 222
MODULO TRIPLO 135
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE STRUTTURE PER LA RISTORAZIONE
B.6. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.6.2./5 RISTORANTI E MENSE – SALE DI SOMMINISTRAZIONE E CONSUMO PASTI – DIMENSIONI FUNZIONALI MINIME
FRUIBILITÀ E INGOMBRI DI TAVOLI CON COMMENSALI DISPOSTI LUNGO DUE LATI OPPOSTI
80
120
180
240
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
DISTACCHI FUNZIONALI MINIMI
80
45 150
C.RCIZIO
90
FRUIBILITÀ E INGOMBRI DI TAVOLI CON COMMENSALI DISPOSTI SU QUATTRO LATI
80
I ED PRE NISM ORGA
CORSIA DI SERVIZIO
60
B.STAZIONI DILEGIZLII
CORSIA DI SERVIZIO
DISTACCHI FUNZIONALI MINIMI
210
45 45 135
FRUIBILITÀ E INGOMBRI DI TAVOLI CON PANCA AVVOLGENTE
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
90
DISTACCHI FUNZIONALI MINIMI
G.ANISTICA
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
90
CORSIA DI SERVIZIO SENZA POSTI ESTERNI
90
80
URB
CORSIA DI SERVIZIO CON POSTI ESTERNI
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M 140
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
150
100
210
FRUIBILITÀ E INGOMBRI DI TAVOLI CIRCOLARI
135
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
180
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
140 120
DISTACCHI FUNZIONALI MINIMI
110 90
80
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
45 45 90
110
125
130
140
45
COMPARAZIONE TRA INGOMBRI MINIMI DELLE DISPOSIZIONI IN PARALLELO, IN DIAGONALE E IN LINEA CON PANCA AVVOLGENTE + CORSIA DI SERVIZIO
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
215
215
406 430 a - 16 POSTI - 20,40 mq
b - 16 POSTI - 17,70 mq
90
180
440
CORSIA DI SERVIZIO
90 120
436
90
180
475
135 CORSIA DI SERVIZIO
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
60 90
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
CORSIA DI SERVIZIO
360 c - 16 POSTI - 15,80 mq
➥
. B.6.2TURE PER E T STRU TORAZION LA RIS
B 223
B.6. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE RICETTIVE E PER LA RISTORAZIONE STRUTTURE PER LA RISTORAZIONE ➦ CUCINE FIG. B.6.2./6 RIFERIMENTI DIMENSIONALI E DISTRIBUTIVI PER BAR E CAFFETTERIE
170 115 35
MACCHINA CAFFÈ
110
28
CAPPA ASPIRANTE
19
28
SNACK-TRAMEZZINI BANCO CIBI PREPARATI
115
BANCO DEL FREDDO DA 8 - 10 CONTENITORI
60
120
MACCHINA CAFFÈ 52
LAVASTOVIGLIE
BIRRA ALLA SPINA
37
DISTRIBUTORE DI BEVANDE
60 30
PREPARAZIONE COCKTAIL
65
GRIGLIA PER TOAST
BIRRA ALLA SPINA
FRULLATORE
80
26
47
65
45 FRULLATORI SPREMUTE CENTRIFUGHE
PREPARAZIONE COCKTAIL - DISTRIBUTORE DI BEVANDE 60÷90 PASTICCERIA
PIANI PENSILI
BANCO DEL FREDDO (GELATI - GRANITE)
46
PIANO Di LAVORO
GRIGLIA PER TOAST E SANDWICH
BANCO REFRIGERATO
12
PIANTA
50
PORTA BICCHIERI IN LEGNO E IN METALLO PIANI PENSILI PIANO DI LAVORO 30÷40
190
50
PIANI PENSILI
75
95
85
BANCO REFRIGERATO
105
131
150
PIANO DI LAVORO
18
18
SEZIONE
B 224
60÷70
115
110
45÷50
135
80÷95
60÷70
115
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE REQUISITI MINIMI PER L’ACCREDITAMENTO DELLE STRUTTURE SANITARIE
A.ZIONI
DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE E DEI PRESIDI SANITARI Strutture e presidi sanitari costituiscono i luoghi ove si svolgono le attività rivolte alla tutela della salute pubblica, come prevenzione, prognosi, diagnosi, cura, riabilitazione, assistenza. Il Servizio Sanitario Nazionale provvede alla definizione dei criteri di programmazione e distribuzione uniforme delle strutture e delle prestazioni sanitarie sul territorio nazionale, attraverso l’articolazione delle Azienda Sanitaria Locale (ASL), organismi di amministrazione sanitaria territoriali dimensionati su bacini di utenza variabili tra 100.000 e 400.000 abitanti. Le strutture e i presidi sanitari vengono classificati e definiti in funzione del tipo, del numero e della integrazione delle prestazioni offerte, secondo la seguente elencazione. CENTRO SOCIO-SANITARIO Prestazioni sanitarie ambulatoriali di base praticate a utenti non degenti e consultazioni rivolte alla assistenza psicologica e sociale della donna, della coppia e della famiglia, anche in ordine ai problemi dei minori, svolte direttamente nel centro o distribuite nel distretto di pertinenza sotto il presidio organizzativo del centro. POLIAMBULATORIO Prestazioni sanitarie ambulatoriali di base e specialistiche, di pertinenza pluridistrettuale, consistenti in attività rivolte alla prevenzione, diagnosi, terapia e riabilitazione di forme morbose la cui complessità non richiede ricovero; tali attività possono svolgersi in strutture integrate in un complesso ospedaliero o autonome. DAY HOSPITAL (OSPEDALIZZAZIONE DIURNA) Prestazioni sanitarie diagnostiche, terapeutiche e riabilitative che implicano un tempo di degenza o di ricovero maggiore di quello richiesto dalle ordinarie prestazioni ambulatoriali e comunque non superiore al giorno, come sono: terapie delle patologie diabetiche, emodialisi, endoscopie, biopsie, piccola chirurgia, interruzione delle gravidanze attività di riabilitazione fisica e funzionale ecc. LABORATORIO DI ANALISI Prestazioni sanitarie di diagnostica di laboratorio e/o di sostegno analitico strumentale alla diagnostica operate su materiali provenienti dal corpo umano o direttamente su di esso a scopo diagnostico, prognostico, preventivo e di monitoraggio terapeutico, svolte in strutture distribuite sul territorio o integrate all’interno di un complesso ospedaliero. DIAGNOSTICA PER IMMAGINI Indagini strumentali ai fini diagnostici con utilizzo di sorgenti ionizzanti e non ionizzanti, svolte in strutture generalmente integrate in un complesso ospedaliero, ma anche in sedi autonome. AMBULATORI DI MEDICINA NUCLEARE Prestazioni sanitarie consistenti in indagini medico-nucleari e/o terapie con impiego di radionuclidi in forma non sigillata, operate direttamente sul paziente OSPEDALE (GENERALE) Prestazioni sanitarie di base e specialistiche in regime di ricovero, svolte rispetto a bacini di utenza di diversa ampiezza (zonale, plurizonale, regionale, sopraregionale) a seconda delle dimensioni della struttura e delle prestazioni specialistiche offerte.
STRUTTURE PER LA TUTELA DELLA SALUTE MENTALE Sono destinate a ospitare il complesso di interventi preventivi, terapeutici e riabilitativi organizzati e coordinati dal Dipartimento di salute mentale. Ogni Dipartimento di salute mentale deve essere dotato di: • Centro di Salute Mentale (CSM): sede organizzativa del dipartimento con attività ambulatoriali e domiciliari; • Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC): struttura ospedaliera che provvede alla cura dei pazienti che necessitano di trattamenti medici con ricovero in ambiente ospedaliero;
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
• Centro diurno e/o Day hospital psichiatrico, strutture per attività in regime semiresidenziale, in cui vengono attuati programmi terapeutici e riabilitativi a breve e medio termine programmati dal Centro di Salute Mentale, al fine di prevenire e contenere i ricoveri ospedalieri;
D.GETTAZIONE
• Residenze sanitarie assistenziali per pazienti psichiatrici: strutture ospedaliere per pazienti con patologie mentali che necessitano di interventi terapeutici e/o riabilitativi a medio e lungo termine in regime di residenzialità protetta.
E.NTROLLO
RESIDENZE SANITARIE ASSISTENZIALI Strutture extraospedaliere finalizzate a fornire accoglimento, prestazioni sanitarie, assistenziali e di recupero a soggetti non autosufficienti, non curabili a domicilio, con esiti di patologie invalidanti o degenerative.
F. TERIALI,
STRUTTURE ISCRITTE ALL’ALBO DEGLI ENTI AUSILIARI (art.116 DPR 309/1990) Alle attività di prevenzione delle tossicodipendenze e di riabilitazione dei soggetti dipendenti da sostanze stupefacenti e psicotrope, svolte in regime residenziale e semiresidenziale.
G.ANISTICA
PRO TTURALE STRU
CO NTALE AMBIE
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
URB
SERVIZI PER LE TOSSICODIPENDENZE (SERT) (legge n.162/1990) Rrivolte all’espletamento di attività di riabilitazione di soggetti dipendenti da sostanze stupefacenti o psicotrope in regime ambulatoriale e domiciliare. NORME DI CARATTERE GENERALE DL 19 settembre 1994 n.626 Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. DL 30 dicembre 1992 n.502 Definizione dei requisiti strutturali tecnologici e organizzativi minimi richiesti per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private.
CRITERI DI PROGETTAZIONE DELLE STRUTTURE SANITARIE Criteri di localizzazione e accessibilità delle strutture sanitarie Le tipologie di strutture sanitarie elencate servono bacini di utenza di diversa ampiezza e consistenza; è necessario, quindi, che la scelta del sito di localizzazione risponda al requisito di una agevole accessibilità anche da parte degli utenti residenti nelle località più lontane, in termini di: • contenimento dei tempi medi di percorrenza residenza; • struttura sanitaria da realizzare; • presenza attuale o possibilità di istituire fermata dei servizi di trasporto relativi all’ambito di pertinenza territoriale della struttura sanitaria erigenda (linee urbane e metropolitane, autolinee extraurbane, linee di collegamento diretto con le stazioni ferroviarie e con le autostazioni ecc.); • connessioni dirette con le direttrici della viabilità territoriale di pertinenza. L’area di localizzazione delle strutture sanitarie, con particolare riguardo alle strutture che contemplano assistenza in regime di ricovero, come ospedali, day hospital ecc., deve essere ubicata in siti salubri, lontano da fonti di possible inquinamento atmosferico e acustico – come sono insediamenti industriali, vie di rapido scorrimento, e simili – e possibilmente in presenza o prossimità di apprezzabili impianti vegetali (boschi, parchi, giardini). La dimensione, configurazione e disposizione dell’area destinata a strutture ospedaliere deve essere tale da assicurare: • adeguata superficie da destinare a parcheggi per pazienti e visitatori e per il personale operante nella struttura (nella misura miniuma di 1 mq/mc di volume edificato);
B.7. 1.
• disposizione rispetto alla viabilità contigua tale da consentire accessi distinti per pazienti e visitatori, per il personale e i mezzi di rifornimento e per le ambulanze e i trasporti di emergenza, nonché per permettere la separazione tra percorsi pedonali e carrabili; • riserva di area libera per eventuali ampliamenti delle strutture erigende, valutabile in termini di rapporto tra superfice utile complessiva dell’intervento e superficie dell’area destinata e perimetrata, considerando soddisfacente un valore pari a circa 1/1 di tale rapporto. Criteri di configurazione e distribuzione planovolumetrica delle strutture sanitarie La configurazione-distribuzione planovolumetrica di una struttura sanitaria, in particolar modo di un ospedale, deve contemperare esigenze essenziali e in qualche misura contraddittorie come: • esigenza di contenere gli alti costi di gestione e manutenzione, in termini di: costi del tempo di lavoro del personale (valutazione della incidenza dello sviluppo dei percorsi orizzontali e verticali, ricerca di razionale distribuzione delle attività e delle relazioni funzionali che le connettono); costi di esercizio degli impianti di climatizzazione e areazione, impianti di sollevamento e trasferimento dei pazienti e dei rifornimenti, impianti di distribuzione dell’energia, degli ausili tecnico-sanitari (ossigeno); costi e tempi delle pulizie quotidiane in funzione dei materiali e degli accorgimenti tecnici adottati; • costi delle manutenzioni periodiche (agevole accessibilità dei cavedi che ospitano le reti impiantistiche); • esigenza di ottimizzare le condizioni di comfort ambien-
tale (benessere) degli utenti, in termini di: illuminazione naturale e regolabile degli spazi di degenza e soggiorno e apertura di viste dirette verso l’esterno, possibilmente verso prospettive ampie e non sgradevoli; delle relative relazioni a costi contenuti, in tempi rapidi, possibilmente mediante “cantieri a secco” e non rumorosi. L’insieme delle esigenze elencate ha indirizzato la progettazione di strutture sanitarie recenti, soprattutto ospedali, in ambito nazionale e internazionale, verso i seguenti orientamenti: • abbandono delle tipologie “a padiglione” e “a spina”, risultate estremamente onerose per quanto attiene a tempi di percorrenza e irrazionali per quanto attiene a trasferimenti dei pazienti, separazione dei percorsi pazienti-operatori-rifornimenti e ai percorsi sporco-pulito; • abbandono delle tipologie a “blocco compatto verticale”, risultate inadeguate rispetto alle esigenze di flessibilità e ridistribuzione delle attività; • abbandono delle tipologie “a blocco compatto orizzontale” o “a piastre” in quanto implicanti impianti di climatizzazione integrale dell’edificio e comunque inadeguate rispetto alle esigenze di benessere degli utentipazienti; • adozione di impianti planovolumetrici a prevalente sviluppo orizzontale, articolati in corpi di fabbrica di ridotta profondità, disposti intorno a corti o secondo serie parallele, che consentono affaccio diretto verso l’esterno e areazione e illuminazione naturale per tutte le stanze di degenza, razionalità e possibile meccanizzazione dei sistemi di trasporto orizzontali, flessibilità nella distribuzione delle attività.
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. B.6.2TURE PER E T STRU TORAZION LA RIS . I PER B.7.1 ITI MINIMTO DELLE IS N U E REQ EDITAM ARIE R IT L’ACC TURE SAN T STRU
B 225
B.7. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE ➦ DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE E DEI PRESIDI SANITARI ➦ CRITERI DI PROGETTAZIONE DELLE STRUTTURE SANITARIE Il DL 30 dicembre 1992, n.502 e successive modifiche e integrazioni, in attuazione della legge 23 ottobre 1992 n.421 (art.1) prevede “la definizione dei requisiti strutturali tecnologici e organizzativi minimi richiesti per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture sanitarie pubbliche e private e la periodicità dei controlli sulla permanenza dei requisiti stessi mediante atto di indirizzo e coordinamento da adottarsi, sentito il Consiglio superiore di sanità e d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano”. Recentemente (1996), in attuazione dell’art.8 del DL 502/1992 citato, è stato presentato il testo dell’”Atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni e alle Provincie autonome di Trento e Bolzano in materia di requisiti minimi strutturali tecnologici e organizzativi minimi richiesti per l’esercizio delle attività sanitarie” divenuto operativo con il 1° gennaio 1997. L’art.1 dell’Atto di indirizzo definisce finalità e campo di applicazione dell’indirizzo stesso, che si rivolge alle attività delle regioni in materia di autorizzazione delle istituzioni pubbliche e private all’esercizio delle attività sanitarie di: • assistenza in regime di ricovero; • assistenza ambulatoria, consultoriale, diagnostica di laboratorio, diagnostica per immagini, medicina nucleare e fisiochinesiterapia; • assistenza psichiatrica in regime residenziale, semiresidenziale, ambulatoriale e domiciliare; • assistenza sanitaria residenziale ai disabili fisici, psichici e sensoriali e agli anziani non autosufficienti; • prevenzione, cura e riabilitazione delle dipendenze; • assistenza termale. Al fine di garantire il perseguimento degli obiettivi fondamentali di prevenzione, cura e riabilitazione definiti dal Piano Sanitario Nazionale (PSN) mediante l’erogazione delle prestazioni sanitarie in condizioni tecnico-funzionali e qualitative uniformi sul territorio nazionale l’Atto di indirizzo definisce: • • • •
i “requisiti minimi di struttura, dotazione tecnologica e organizzazione funzionale”; la periodicità dei controlli sulla permanenza di detti requisiti; i criteri per l’aggiornamento dei requisiti minimi; i criteri per la classificazione dei presidi e delle strutture sanitarie in relazione alla tipologia delle prestazioni erogabili; • i criteri e le procedure obbligatorie in materia di controllo di qualità delle prestazioni. L’art.2 dello stesso Atto di indirizzo definisce i criteri di aggiornamento e verifica dei requisiti minimi, anche in riferimento alle normative generali vigenti in materia di sicurezza, igiene e benessere ambientale. Sono definiti “requisiti generali”: • • • • • • • • • • • • • • • • •
i requisiti inerenti le caratteristiche edilizie; la protezione antisismica; la protezione antincendio; la protezione acustica; la sicurezza elettrica e la continuità elettrica; la sicurezza antinfortunistica; l’igiene dei luoghi di lavoro; la protezione delle radiazioni ionizzanti; l’eliminazione delle barriere architettoniche; lo smaltimento dei rifiuti liquidi e solidi; le condizioni microclimatiche; gli impianti di distribuzione dei gas; i materiali esplodenti; il rifornimento idropotabile; la sicurezza degli impianti; l’igiene degli alimenti e delle bevande; l’esclusione dei materiali di costruzione con effetti tossico-nocivi.
Lo stesso art.2 dell’Atto di indirizzo impone il rispetto dei “requisiti minimi specifici strutturali tecnologici e organizzativi” riportati nello “Allegato” richiamato come “parte integrante del presente decreto” e specifica i riferimenti e le circostanze in base ai quali tali requisiti vanno aggiornati: a. b. c. d. e.
gli obiettivi della programmazione sanitaria nazionale; il progresso scientifico e tecnologico; l’adeguamento a norme nazionali e a disposizioni comunitarie; la sicurezza degli operatori e degli utenti; il controllo di qualità delle prestazioni.
La verifica della permanenza dei requisiti minimi specifici deve essere effettuata ogni cinque anni e ogni qualvolta le regioni ne ravvisino la necessità ai fini del buon andamento delle attività sanitarie.
B 226
L’art.3 dell’Atto di indirizzo definisce i criteri in base ai quali le regioni possono procedere alla classificazione delle strutture. L’art.4 dell’Atto di indirizzo indica le modalità di applicazione delle norme. • Per le nuove istituzioni e per l’ampliamento e la trasformazione di strutture esistenti: i requisiti minimi fissati dal decreto devono trovare immediata applicazione per la realizzazione delle nuove istituzioni che svolgeranno attività sanitaria e per l’ampliamento e trasformazione di strutture già esistenti, intendendosi per ampliamento un aumento dei posti letto o l’attivazione di funzioni sanitarie aggiuntive rispetto a quelle già svolte e per trasformazione la totale modifica delle funzioni sanitarie già autorizzate e in esercizio o il cambio d’uso, con o senza lavori, degli edifici o parte di edifici destinati a ospitare ex novo funzioni sanitarie • Per l’adeguamento delle strutture sanitarie già esistenti: sulla base della programmazione regionale, le Regioni fissano i tempi e le modalità per l’adeguamento obbligatorio, da realizzarsi nell’arco di un decennio dal recepimento, delle strutture sanitarie pubbliche e private già autorizzate e in esercizio, in quanto in possesso dei requisiti previsti in base alla normativa vigente, che non risultino conformi ai requisiti minimi stabiliti dall’Atto di indirizzo. Nel caso di istituzioni sanitarie preesistenti e di ristrutturazioni sono accettabili, per le superfici, dimensioni in difetto entro il 20% degli standard di riferimento previsti dall’Allegato al decreto. L’art.5 fissa in un anno dall’emanazione il termine entro il quale le Regioni devono provvedere al recepimento dell’Atto di indirizzo.
INDICE ATTIVITÀ SANITARIE A.
Attività di assistenza in regime di ricovero
A.1. A.2. A.3. A.4. A.5. A.6. A.7. A.8. A.9. A.10. A.11. A.12. A.13. A.14. A.15. B. B.1. B.2. B.3. B.4. B.5. B.6. H. H.1. H.2. H.3. H.4.
Generalità Accettazione Degenza Laboratori di analisi Diagnostica per immagini Servizio mortuario Servizio farmaceutico Pronto soccorso Blocco parto Gruppo operatorio Day Hospital Servizio sterilizzazione Servizio disinfezione Servizio lavanderia Cucina
Attività di assistenza ambulatoriale Ambulatori Consultori familiari Diagnostica di laboratorio Diagnostica per immagini Medicina nucleare Fisiochinesiterapia Attività di tutela della salute mentale Generalità Centro di tutela mentale Centro diurno psichiatrico Residenze sanitarie assistenziali per pazienti
I.
Attività di recupero e riabilitazione funzionale
L.
Residenze sanitarie assistenziali
M. Attività di assistenza termale N.
Attività di prevenzione delle tossicodipendenze e riabilitazione dei soggetti dipendenti da sostanze stupefacenti e psicotrope.
Il contenuto dell’Allegato viene riportato di seguito in forma di Schede esigenziali relative alle singole strutture o presidi, in modo da facilitarne la consultazione.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
B.7. 2. A.ZIONI
ALLEGATO A L’allegato, richiamato come parte integrante dell’Atto di indirizzo, definisce i requisiti specifici strutturali tecnologici e organizzativi minimi richiesti per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture sanitarie pubbliche e private, in riferimento alle singole classi e tipologie di strutture e presidi sanitari, secondo l’indice che segue.
GENERALITÀ Definizione Si definiscono istituzioni sanitarie di ricovero quelle che esplicano attività diagnostiche, curative e riabilitative per il trattamento di condizioni patologiche indifferibili patologie acute, l’assistenza al parto nonché condizioni patologiche di lunga durata che richiedano un trattamento diagnostico terapeutico non erogabile in forma extra-ospedaliera.
A.1.1.
REQUISITI STRUTTURALI GENERALI
A.1.1.1 CARATTERISTICHE FUNZIONALI Le prestazioni da erogare rappresentano il parametro di base per le caratteristiche funzionali, in termini di svolgimento delle singole attività, nonché delle specifiche relazioni dei servizi di Diagnosi e Cura. In ogni caso la struttura deve garantire l’adeguata articolazione delle diverse funzioni di Degenza, Diagnosi e Cura e Servizi Generali, nonché l’utilizzazione ottimale delle attrezzature e degli arredi, dimensionandone l’entità alle reali possibilità di impiego e di utenza specifica in relazione alle diverse attività cliniche e al comfort di tipo alberghiero. A tale riguardo devono essere predisposti adeguati spazi di attesa opportunamente attrezzati e dotati di sistemi di comunicazione con l’esterno (telefoni pubblici). La struttura deve consentire le accessibilità diversificate per ricoverandi e/o utenti esterni, personale, nonché il regolare flusso di materiali in entrata e uscita. I percorsi interni, in una logica di razionalizzazione generale, dovranno essere opportunamente separati in sporco e pulito, anche attraverso dispositivi protettivi di separazione dei materiali. A.1.1.2 CARATTERISTICHE TECNICO-SANITARIE Ogni struttura di ricovero, oltre a soddisfare le esigenze dell’igiene e della tecnica ospedaliera, deve avere almeno i seguenti: A) servizi igienico-organizzativi e amministrativi: 1. direzione sanitaria; 2. direzione amministrativa; B) servizi di diagnosi e cura: 1. servizio di accettazione; 2. locali per la degenza; 3. locali per l’isolamento temporaneo degli ammalati di forme diffusive; 4. servizio di laboratorio di analisi chimico-cliniche; 5. servizio di diagnostica per immagini; 6. emoteca; 7. servizio farmaceutico; C) servizi generali: 1. servizio di lavanderia con annesso guardaroba; 2. servizio di disinfezione e di disinfestazione; 3. servizio di sterilizzazione; 4. servizio di cucina con annessa dispensa; 5. locali di soggiorno e attesa; 6. locali di culto e servizio di assistenza religiosa; 7. servizio mortuario; 8. spogliatoi e servizi igienici per il personale. A.1.1.3 CARATTERISTICHE DIMENSIONALI Per una verifica sul dimensionamento generale della struttura è consigliabile un confronto sulla superficie totale utile (100%) secondo una ripartizione che, con oscillazioni minime, dovrebbe tendere a: • 35% per i reparti di Degenza; • 45% per i servizi di Diagnosi e Cura; • 20% per i Servizi Generali; • altezze minime nette dei piani: secondo la normativa nazionale, regionale e locale e comunque non inferiore nel piano seminterrato e rialzato a 3,20 m, negli altri piani a 2,70 m al di sotto degli eventuali controsoffitti; • struttura edilizia idonea alla organizzazione in aree funzionali omogenee; • corridoi, adatti al passaggio di barelle e letti, larghi almeno 2,40 m e/o con appositi spazi di manovra per le strutture già esistenti. In particolare: • l’aggregazione delle unità operative di degenza è da prevedere in “Aree funzionali omogenee” in cui risultino logisticamente accorpate in un’unica area;
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
A. ATTIVITÀ DI ASSISTENZA IN REGIME DI RICOVERO
A.1.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
• la funzione di degenza; • la funzione di day hospital (ove autorizzata); • le funzioni diagnostico-terapeutiche e riabilitative relative alle diverse specialità. Nei piani interrati e seminterrati non è ammessa l’unità operativa di degenza né alcuna altra funzione sanitaria di diagnosi, cura e riabilitazione a eccezione della diagnostica per immagini, medicina nucleare e terapie radianti; tali ultime funzioni sono comunque soggette alla deroga prevista dall’art.8 del DPR 303/1956. A.1.1.4 CRITERI LOCALIZZATIVI La scelta dell’area deve avvenire nel rispetto delle norme urbanistiche emanate dalle competenti autorità. La struttura deve essere ubicata in una zona esente da inquinamenti atmosferici acustici, lontana da acque stagnanti, da depositi di rifiuti e comunque da altre cause di insalubrità. In particolare non deve essere superato il valore massimo di rumore interno a finestre chiuse, pari a 60 dBA nelle ore diurne e 45 dBA in quelle notturne. L’area deve essere dotata di un sistema di viabilità che agevoli al massimo il movimento veicolare unidirezionale e comunque consenta la regolare accessibilità e manovrabilità dei diversi mezzi di trasporto. L’area dovrà essere tale da consentire idonei spazi per parcheggi e verde secondo le disposizioni di legge emanate dalle competenti autorità. Segnaletica • Sistema di segnali stradali atti ad agevolare l’accesso alle strutture sanitarie in particolare ai servizi di pronto soccorso. • Identificazione esterna delle strutture e dei servizi di pronto soccorso con segnaletica da esterni. • Segnalazione degli ingressi e dei parcheggi. • Planimetria della struttura con indicazione dei reparti. • Segnalazione dei percorsi di accesso alle prestazioni ambulatoriali e ai servizi amministrativi. • Esposizione di orari di visita degli ambulatori e di apertura al pubblico degli uffici amministrativi.
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
Caratteristiche della segnaletica • leggibilità dei caratteri; • semplicità del linguaggio; • protezione dalle manomissioni. A.1.1.5 IMPIANTI TECNOLOGICI Gli impianti tecnologici comprendono le attrezzature tecnologiche necessarie per assicurare l’efficiente funzionamento dei servizi ausiliari. Essi dovranno prevedere locali e/o aree attrezzati per le centrali termica, idrica, elettrica, telefonica, frigorifera, di condizionamento, di aspirazione e vuoto, di gas medicali, antincendio, ricerca persone, trattamento dei rifiuti. In particolare gli impianti elettrici, di climatizzazione, di gas medicali, di trasporti verticali, per l’approvvigionamento idrico, devono possedere i seguenti requisiti. Impianti elettrici Devono coprire il normale fabbisogno di energia elettrica e l’automatica disponibilità di energia elettrica preferenziale prodotta con gruppi elettrogeni e gruppi di continuità con tempi di intervento previsti dalle norme CEI per il funzionamento delle attrezzature e dei servizi essenziali, nonché l’illuminazione di emergenza. Per le nuove costruzioni, i cavi elettrici, telefonici, per TV, per illuminazione, pubblica devono essere ispezionabili su passerelle o in tubazioni che ne garantiscano la sfilabilità, posti all’interno di controsoffittature o in percorsi accessibili. L’illuminazione artificiale deve assicurare una resa cromatica compresa fra il 70% e il 95% e una temperatura di colore compresa tra 3.500 e 4.000 K°. Impianti di climatizzazione Devono assicurare buone condizioni microclimatiche ed evitare diffusioni di microrganismi. Nelle località in cui si verificano condizioni gravi di inquinamento atmosferico dovrà porsi particolare cura per quanto riguarda la presa dell’aria esterna. Dovranno inoltre essere applicati sistemi di recupero del calore sugli impianti di espulsione e trattamento dell’aria, per ridurre i consumi energetici. I sistemi di recupero del calore dovranno essere tali da evitare possibile miscelazione tra aria espulsa e aria immessa negli ambienti.
➥
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. B.7.2IZIONE, E, DEFIN IFICAZIONALI DELLE CLASS ITI GENER ARIE IS IT REQU TURE SAN T STRU
B 227
B.7. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
FIG. B.7.2./1 OSPEDALE – SCHEMA DELLA ACCESSIBILITÀ, DELLE RELAZIONI E DEI FLUSSI FUNZIONALI ARTICOLAZIONE DEI NUCLEI FUNZIONALI
AREA DELLE DEGENZE
CARICO SCARICO
SERVIZI GENERALI
AREA CLINICA UNITÀ DIAGNOSTICHE E TERAPEUTICHE - DEGENZA PER TERAPIA INTENSIVA (UTI) (v. FIG. B.7.2./10) - SALE CHIRURGICHE - DIPARTIMENTO EMERGENZA E URGENZA (DEU) - SALE PARTO - ASSISTENZA NEONATALE - CENTRO SANGUE, TRASFUSIONI, EMOTECA - SERVIZIO MORTUARIO E AUTOPSIA
CARICO SCARICO
ATTIVITÀ DIREZIONALI - DIREZIONE SANITARIA - STRUTTURE AMMINISTRATIVE - ARCHIVI E STATISTICA AREA DELLE DEGENZE - DEGENZA PER SPECIALITÀ DI BASE - DEGENZA PER RIABILITAZIONE DEI CONVALESCENTI - LUNGODEGENZA E MALATI TERMINALI - DEGENZA REPARTO INFETTIVI (V. FIG. B.7.2./9)
SERVIZI GENERALI
DIAGNOSI E CURA
PARCHEGGIO OPERATORI
POLIAMBULATORIO
PARCHEGGIO OPERATORI
DAY HOSPITAL
SERV. TECNOL.
AREA DEI SERVIZI GENERALI E TECNOLOGICI - FARMACIA - CUCINE E MENSA - LAVANDERIA - STERILIZZAZIONE CENTRALE - SERVIZI DEL PERSONALE, SPOGLIATOI - RIFORNIMENTI E DEPOSITI GENERALI - OFFICINE DEL SERVIZIO DI MANUTENZIONE - CENTRALI DEGLI IMPIANTI - INCENERITORE
AMMINISTRAZIONE
PARCHEGGI PAZIENTI E VISITATORI
POLIAMBULATORIO - ACCOGLIENZA, ACCETTAZIONE, ATTESA CENTRALE - AMBULATORI DI BASE (GENERICI) - AMBULATORI DI SPECIALITÀ - PRELIEVI ED ESAMI FUNZIONALI
PARCHEGGI PAZIENTI E VISITATORI
FERMATA BUS ACCESSO, FLUSSO E PARCHEGGIO DEI VEICOLI
ACCESSO AMBULANZE ED EMERGENZE
FLUSSI FUNZIONALI DEGLI OPERATORI
CARICO E SCARICO MEZZI DI RIFORNIMENTO
FLUSSI FUNZIONALI DEI PAZIENTI
FERMATA MEZZI PUBBLICI
RECINZIONE DELL'AREA DI PERTINENZA
SCHERMI VEGETALI
DAY HOSPITAL (NON SEMPRE PRESENTE) - ACCOGLIENZA, ACCETTAZIONE - SOGGIORNO, ATTESA, TRATTENIMENTO - DEGENZE DIURNE E RIPOSO - ATTIVITÀ AMBULATORIALI DI DIAGNOSTICA E CURA: CENTRO ANTIDIABETICO CENTRO EMODIALISI ENDOSCOPIA RIABILITAZIONE FISICA E FUNZIONALE PICCOLA CHIRURGIA E BIOPSIA CENTRO PER L'INTERRUZIONE DELLA GRAVIDANZA
FIG. B.7.2./2 OSPEDALE – SCHEMI DI ARTICOLAZIONE VOLUMETRICA DELLE AREE FUNZIONALI E RELATIVE RELAZIONI DISPOSIZIONI VOLUMETRICHE DEI NUCLEI FUNZIONALI 1 - VOLUME A BLOCCO COMPATTO (TORRE O LAMA) AREA CLINICA E SERVIZI GENERALI CENTRALIZZATI NEI PIANI INFERIORI D
D
C
C
S.G.
S.G.
1
C
D
C
2 - DEGENZE A PIÙ CORPI (LAME O CORTE) COLLEGATI DALLA PIASTRA DELLA AREA CLINICA E DEI SERVIZI GENERALI 3 - L'AREA CLINICA È IN PARTE CENTRALIZZATA E IN PARTE ARTICOLATA IN VERTICALE, ACCANTO AI REPARTI DI DEGENZA. SERVIZI GENERALI A PIASTRA, NEL BASAMENTO.
S.G.
3
4 - L'AREA CLINICA È IN PARTE CENTRALIZZATA E IN PARTE ARTICOLATA IN VERTICALE, AL CENTRO DEI REPARTI DI DEGENZA. SERVIZI GENERALI A PIASTRA, NEL BASAMENTO.
5
5 - L'AREA CLINICA È TUTTA ARTICOLATA IN PIANI ADIACENTI AI REPARTI DI DEGENZA. SERVIZI GENERALI IN LINEA. D
D
D
C
C
C
D
D
C
C
6 - L'AREA CLINICA È TUTTA ARTICOLATA IN PIANI ADIACENTI AI REPARTI DI DEGENZA. SERVIZI GENERALI A PIASTRA SU DUE LIVELLI: UNO DESTINATO AI SERVIZI ACCESSIBILI ANCHE DA PAZIENTI E VISITATORI E UNO DESTINATO A SERVIZI ACCESSIBILI SOLO DAGLI OPERATORI S.G.
S.G. 2
B 228
S.G. 4
S.G. 6
D - AREA DEGENZE C - AREA CLINICA S.G. - SERVIZI GENERALI PAZIENTI VISITATORI
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
B.7. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
➦ A. ATTIVITÀ DI ASSISTENZA IN REGIME DI RICOVERO
B.STAZIONI DILEGIZLII ➦ A.1. GENERALITÀ Impianto centralizzato di gas medicali Dovrà essere realizzato in modo che le tubazioni siano ubicate in apposite e distinte sedi, facilmente ispezionabili, realizzate con accorgimenti atti a evitare erronei collegamenti e senza interferenze con altre reti. Gli attacchi per i diversi gas devono essere tali da evitare collegamenti accidentali errati. L’ubicazione delle bombole dei gas medicali deve essere esterna all’edificio ospedaliero. Impianto di trasporti verticali Deve essere adeguato ai flussi di traffico, separato per degenti (anche barellati) per persone, per pazienti esterni e visitatori, per materiale pulito, per materiale sporco e rifiuti. Gli ascensori montalettighe nelle nuove realizzazioni devono avere dimensioni interne ampliabili per il trasporto dei letti e dell’accompagnatore. Impianto per l’approvvigionamento idrico Deve permettere una dotazione giornaliera di almeno 350 l per posto letto in ospedali senza lavanderia interna, maggiore di 500 l in ospedali con lavanderia interna. La riserva idrica deve essere pari ad almeno il fabbisogno giornaliero al netto della quota a disposizione dei vigili del fuoco. I servizi igienici se non areati e se illuminati artificialmente devono essere provvisti di autonoma canna di aspirazione forzata. Debbono essere previste reti di ventilazione primaria e secondaria delle colonne di scarico. La temperatura dell’acqua calda non deve superare i 43°C; tutti i servizi igienici devono essere corredati di dispositivi a cordone (collegato). Nelle strutture di nuova costruzione i lavabi devono essere dotati di rubinetti a comando non manuale. Dovranno essere previsti i servizi igienici idonei per inabili. Qualsiasi sorgente sonora, in particolare gli impianti, non deve indurre rumori oltre il limite differenziale di 5 dBA nelle ore diurne (6÷22 h) e di 3 dBA in quelle notturne (22÷6 h) rispetto al rumore residuo (livello continuo equivalente quando sono escluse sorgenti disturbanti). Il limite differenziale deve essere osservato allorché il rumore interno a finestre chiuse sia tra 40 e 60 dBA nelle ore diurne e tra 30 e 45 dBA in quelle notturne. Gli impianti di smaltimento delle acque di scarico dovranno prevedere impianti di pretrattamento di disinfezione per i reparti infettivi e di pretrattamento e/o decantazione per laboratori e reparti di medicina nucleare se presenti. A1.1.6
CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE • Adozione di soluzioni tecniche e materiali adeguati per la protezione acustica dai rumori provenienti dall’esterno, dall’interno o dal funzionamento degli impianti tecnologici. • Rivestimenti per pavimenti e pareti con materiali resistenti al lavaggio, alla disinfezione e all’azione meccanica. • Pareti con paraspigoli arrotondati. • Pavimenti provvisti di zoccolatura con spigoli arrotondati e altezza minima fino a 10 cm, resistenti agli agenti chimici-fisici, antisdrucciolo, con coibenza acustica e termica; raccordo con sguscio in continuità con le pareti. • In caso di pavimentazioni in materiali resilienti, giunzioni tra i vari elementi saldate a caldo. • Per i locali che comunque contengono anestetici infiammabili i pavimenti devono avere caratteristiche di antistaticità. • Fasce protettive nelle aree di degenza all’altezza delle maniglie delle lettighe e dei carrelli. • Le camere di degenza e i locali di servizio, secondo lo specifico uso cui sono destinati devono possedere dispositivi atti a consentire un idoneo oscuramento e protezione dall’irraggiamento solare diretto, tramite apparecchiature esterne. • Almeno due scale per ogni piano, di cui almeno una a tenuta di fumo, raggiungibili da qualunque ambiente, con rampe preferibilmente rettilinee e comunque nel rispetto della normativa vigente. • Pianerottoli delle scale di dimensioni tali da consentire libertà di manovra e di passaggio alle lettighe, con le porte apribile verso il vano scala. • Larghezza minima gradini 1,20 m, alzata massima 17 cm, pedata minima 30 cm. • Tutte le porte dei servizi igienici devono aprirsi verso l’esterno. Ai fini di evitare la penetrazione di insetti e animali in genere sono da prevedere una serie di accorgimenti. In particolare: • la protezione di finestre, aperture per l’areazione nei sottotetti, nei solai nei vespai con intercapedine ventilata, con sistemi tali da impedire ogni penetrazione all’interno; • la protezione di qualsiasi imbocco di canne di aspirazione e di areazione forzata in posizione facilmente accessibile per i necessari controlli; • la perfetta tenuta di qualsiasi tipo di canalizzazione e in particolare delle fognature delle condutture di scarico uscenti dai muri, nonché degli elementi che collegano le fognature degli organismi edilizi con quelle stradali.
A.1.2.
I ED PRE NISM ORGA
REQUISITI ORGANIZZATIVI GENERALI Aggregazione delle unità operative in aree funzionali omogenee conservando alle unità operative che vi confluiscono l’autonomia tecnico-sanitaria in ordine alle patologie di competenza, nel quadro di una efficace integrazione e collaborazione con altre strutture affini e con uso in comune delle risorse umane e strumentali, per il miglioramento qualitativo dell’assistenza. Direzione responsabile: Sanitaria: Dirigente medico in possesso di idoneità specifica per le funzioni igienicoorganizzative. Amministrativa: Dirigente amministrativo per le funzioni di coordinamento amministrativo. La direzione responsabile di unità operativa deve essere affidata a personale in possesso dei requisiti previsti dalle normative vigenti. Personale: Personale laureato del ruolo sanitario, professionale, tecnico e amministrativo, personale non laureato del ruolo sanitario, tecnico e amministrativo in numero adeguato alla tipologia della struttura e delle attività assistenziali. Adempimenti obbligatori: • erogare prestazioni sanitarie in regime di ricovero ai cittadini italiani e stranieri secondo lle norme vigenti; • collegarsi con la centrale operativa 118; • collegarsi con la struttura trasfusionale territorialmente competente e attivare un’emoteca; • attivare un sistema di sorveglianza per le infezioni ospedaliere; • compilare la cartella clinica, unica per ogni episodio di ricovero nell’istituto di cura; • compilare e codificare la scheda di dimissione ospedaliera secondo il DM 28 dicembre 1991 e 26 luglio 1993, la cui completezza e correttezza è responsabilità del Responsabile dell’unità operativa; • trasmettere le informazioni alla Regione; • conservare le cartelle cliniche a cura della direzione sanitaria; • permettere l’accesso, a richiesta degli organi incaricati della vigilanza, alle cartelle cliniche e ai registri di sala operatoria; • depositare le cartelle cliniche, in caso di cessazione dell’attività della struttura di ricovero, presso il servizio medico-legale della ASL competente per territorio; • prevedere spazi adeguati e posti letto per l’esercizio della libera professione intramuraria; • prevedere spazi per la fruizione da parte dei pazienti di un differente livello di qualità alberghiera; • prevedere apposite procedure per la protezione delle informazioni contenute nelle cartelle cliniche; • prevedere uno sportello di accettazione o accoglimento per le informazioni ai pazienti ricoverati, sulla struttura e sulle procedure di utilizzo e pagamento dei servizi; • assicurare l’informazione al paziente su tutto ciò che lo concerne da parte del medico curante; • garantire agli sportelli la riservatezza del colloquio e l’accessibilità ai portatori di handicap; • prevedere sistemi di raccolta delle osservazioni sulla degenza da parte dei pazienti; • garantire la presenza di strumenti informativi sui prezzi e sulle procedure di pagamento per i servizi non gratuiti; • istituire e osservare un sistema di controllo interno di qualità e conservare i risultati relativi. Per l’attività del laboratorio di analisi: • conservare i risultati diagnostici per almeno un anno; • conservare i preparati istologici, citologici e le inclusioni in paraffina per almeno cinque anni; • istituire e osservare un sistema di controllo interno di qualità e conservare i risultati relativi; • trasmettere tutte le informazioni richieste dai servizi regionali e di ASL per quanto attiene alle notificazioni di indagini di malattie infettive; • partecipare alle attività di sorveglianza epidemiologica, di controllo delle infezioni e agli interventi attinenti alla prevenzione nei luoghi di vita e di lavoro; • attivare un controllo di qualità interno che permetta di verificare l’attendibilità dei dati analitici (accuratezza e precisione) e l’efficienza dei metodi e della strumentazione impiegata, mediante: a) controllo quotidiano e manutenzione delle attrezzature e dei reagenti;
➥
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. B.7.2IZIONE, E, DEFIN IFICAZIONALI DELLE CLASS ITI GENER ARIE IS IT REQU TURE SAN T STRU
B 229
B.7. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
FIG. B.7.2./3 DIMENSIONI FUNZIONALI MINIME DI ALCUNI SPAZI OPERATIVI DELLE STRUTTURE SANITARIE
10 50
340
190
190
10
90 PASSAGGIO SEDIA A ROTELLE
TENDA
80
LETTINO + PASSAGGIO PERSONE
280
190 80
280
60
260
190
10
10
SPAZIO VISITE E CONSULTAZIONI DIMENSIONI MINIME DEGLI SPAZI AI PIEDI DEL LETTINO
PASSAGGIO CARRELLO MEDICAZIONI
SPAZIO VISITA CON TENDA E PASSAGGIO
60 70
310
70
310
70
80
70
SCRIVANIA, SPAZIO PER SEDERE E PASSAGGIO PERSONE
SCRIVANIA, SPAZIO PER SEDERE SU DUE LATI E PASSAGGIO PERSONE
100
SPAZIO DI ACCESSO
80
100
60
60
80
80
310
270
80
ARREDI E APPARECCHI
80
120
100
ARREDI E APPARECCHI
60
10
SPAZIO VISITE E CONSULTAZIONI INGOMBRI MINIMI DELLE UNITÀ DI CONSULTAZIONE (SCRIVANIA)
180
SCRIVANIA, SPAZIO ARREDI,SPAZIO PER SEDERE E SPAZIO DI ACCESSO
SCRIVANIA: INCREMENTO DI INGOMBRO PER TERMINALE RETE COMPUTER
CAMERE DI DEGENZA DIMENSIONI DEGLI ARREDI E SPAZI FUNZIONALI MINIMI DI PERTINENZA
POSTO LETTO IN CAMERA SINGOLA MOVIMENTAZIONE LETTO MOBILE
POSTO LETTO IN CAMERA SINGOLA MOVIMENTAZIONE CARRELLI
90÷100
250
90÷95
150
210 310÷320
40
90 75
10
300÷320
POSTO LETTO PER DISABILI AVVICINAMENTO SEDIA A RUOTE
55
90÷100
70
270
90÷95
40
90 210
300÷320
90
10
90÷100
40
60
210
90
50
250
90÷95 70
50
250
90÷95 70 10
40 40
90
40 40
90
40
10 310
POSTO LETTO CONFINANTE CON SPAZIO DI TRANSITO LATERALE 230
40
91
≥20
460
230
90÷95 150÷180 400 POSTI LETTO IN CAMERA A DUE O TRE LETTI MOVIMENTAZIONE LETTO MOBILE
10
200÷220
90÷100
MOVIMENTAZIONE DI LETTI MOBILI E LETTIGHE
90 210
LETTO MOBILE, A TRE SNODI
100
90÷95
90÷95 100 90÷95 90 10
B 230
310
40 40
90
40
50÷60 210 90÷100 310÷320
210
180 580÷620
POSTI LETTO IN CAMERA A QUATTRO LETTI MOVIMENTAZIONE LETTO MOBILE E LETTIGA
210
10
NEL DIMENSIONAMENTO DELLE CAMERE DI DEGENZA SI DEVE CONSIDERARE L'ESIGENZA DI TRASFERIMENTI DEL PAZIENTE SENZA RIMUOVERLO DAL SUO LETTO OVVERO MEDIANTE IL TRASBORDO IN LETTIGA. È CONSIGLIABILE CHE LE MOVIMENTAZIONI DI UN LETTO NON RICHIEDANO SPOSTAMENTI DEGLI ALTRI LETTI DALLE LORO POSIZIONI
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
B.7. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.7.2./4 DIMENSIONI FUNZIONALI MINIME DI PERCORSI E SPAZI DI MOVIMENTAZIONE
B.STAZIONI DILEGIZLII
DIMENSIONI E CARATTERISTICHE DI SCALE UTILIZZABILI ANCHE COME VIE DI ESODO (SCALE PROTETTE O SCALE A PROVA DI FUMO)
I ED PRE NISM ORGA
SCALA PROTETTA SALVO DATI DI CARICO DI INCENDIO ECCEZIONALI:
C.RCIZIO
120
120
280
120
«SCALE PROTETTE» POSSONO ESSERE ADOTTATE IN EDIFICI DI ALTEZZA PARI O INFERIORE A 12 m
E ESE ESSIONAL PROF
«SCALE A PROVA DI FUMO» DEVONO ESSERE ADOTTATE NEGLI EDIFICI DI ALTEZZA SUPERIORE A 12 m
D.GETTAZIONE
120
LE PARETI DI CHIUSURA DEL VANO SCALA DEVONO ASSICURARE ALMENO REI 90
190
160
PRO TTURALE STRU
I GRADINI DELLE SCALE DEVONO AVERE LE SEGUENTI DIMENSIONI: ALZATA ≤ 16 cm PEDATA ≥ 30 cm
300
SCALA A PROVA DI FUMO
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
ASCENSORI MONTALETTI E MONTALETTIGHE (CLASSE III ) 240
240
140
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
270
150
180
G.ANISTICA 270 330
270 330
300
240
URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB 130 130 PORTATA IN KG: 2000 KG ALTEZZA CABINA: 230 CM ALTEZZA PORTA: 210 CM
PORTATA IN KG: 1600 KG ALTEZZA CABINA: 230 CM ALTEZZA PORTA: 210 CM
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
130 PORTATA IN KG: 2500 KG ALTEZZA CABINA: 230 CM ALTEZZA PORTA: 210 CM
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
LARGHEZZA MIN. DI PASSAGGIO
300
200÷240
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE 240
180
PERCORSI IN LINEA COMPATIBILI CON LA MOVIMENTAZIONE DEI LETTI MOBILI
AMBITO DI MANOVRA PER INVERSIONE DI DIREZIONE
PASSAGGIO DI DUE LETTI
SCAMBIO DI LETTO E PERSONA LARGHEZZA DI NORMA
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
PERCORSI CON CAMBIO DI DIREZIONE DI 90°, COMPATIBILI CON LA MOVIMENTAZIONE DI LETTI MOBILI E LETTIGHE
180
180
240
240
240
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
180 180 LETTO MOBILE CAMBIO DI DIREZIONE A 90°
240 LETTO MOBILE IMMISSIONE A 90° CON PORTA
LETTO MOBILE IMMISSIONE A 90° CON SLARGO E PORTA
180 LETTIGA CAMBIO DI DIREZIONE/IMMISSIONE A 90°
. B.7.2IZIONE, E, DEFIN IFICAZIONALI DELLE CLASS ITI GENER ARIE IS IT REQU TURE SAN T STRU
B 231
B.7. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
➦ A. ATTIVITÀ DI ASSISTENZA IN REGIME DI RICOVERO
➦ A.1. GENERALITÀ ➦ A.1.2. REQUISITI ORGANIZZATIVI GENERALI
A.2.2.
REQUISITI TECNOLOGICI
A.2.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE b) uso degli standard per la calibrazione degli strumenti analitici, con frequenza dipendente dal numero di campioni analizzati nell’arco della giornata; c) uso dei materiali di controllo a titolo noto (almeno uno con valori nel campo normale e uno con valori nella regione immediatamente sovrastante il limite superiore del campo normale) per il controllo di accuratezza, con frequenza almeno settimanale; d) uso di materiali di controllo positivo o negativo per le indagini qualitative ivi comprese quelle microbiologiche e virologiche; e) allestimento e aggiornamento giornaliero delle carte di controllo con calcolo dei coefficienti di variazione giornaliero o per periodi diversi a seconda del carico di lavoro; • possibilità di trasferimento dei campioni tra laboratori generali di base con settori specializzati e laboratori specializzati e tra questi ultimi. Per l’attività di pronto soccorso: • collegamento funzionale con la centrale operativa 118; • collegamento funzionale con i servizi di: laboratorio; diagnostica per immagini; endoscopia (se presente); • collegamento funzionale con la struttura (servizio o centro) trasfusionale di riferimento; • la struttura sede di pronto soccorso deve assicurare, oltre agli interventi diagnostico-terapeutici di urgenza compatibili con le specialità di cui è dotata, almeno il primo accertamento diagnostico, clinico, strumentale e di laboratorio e gli interventi necessari alla stabilizzazione del paziente, nonché garantire il trasporto protetto; • la responsabilità delle attività di pronto soccorso e il collegamento con le specialità di cui è dotata la struttura sono attribuiti nominativamente, anche a rotazione non inferiore a sei mesi, a un medico con qualifica non inferiore al primo livello dirigenziale, con documentata esperienza nel settore; • presenza di guardia attiva in medicina; • presenza di guardia attiva in chirurgia; • presenza di guardia attiva o reperibilità in anestesia-rianimazione; • presenza di guardia attiva o reperibilità in cardiologia, pediatria, ostetricia; • la partecipazione degli ospedali sede di pronto soccorso attivo al sistema dell’emergenza-urgenza è limitata nell’arco temporale durante il quale la struttura assicura la compresenza delle condizioni minime sopradette.
A.2. A.2.1.
ACCETTAZIONE
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 200 lux per l’illuminazione generale. • 300 lux per l’illuminazione del locale visita. Fattore medio luce diurna • 0,02 generale. • 0,03 per locale visita. A.2.2.2 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale visita Attrezzature
Arredi Apparecchi igienico-sanitari
Servizi igienici Apparecchi igienico-sanitari
Obiettivi L’accettazione deve garantire spazi distinti per attività sanitaria e per attività amministrativa. In termini di collegamenti, deve essere gartantita area di smistamento dei percorsi per categorie di utenti, personale e ricoverandi. A.2.1.2 RELAZIONI FUNZIONALI GENERALI • Accessibilità diretta dall’esterno • Collegamento preferenziale con il Pronto Soccorso • Collegamento auspicabile con la Degenza A.2.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI Ambienti integrativi • Locale bonifica • Deposito sporco • Deposito pulito • Deposito attrezzature • Deposito barelle • Locali osservazione breve • Deposito materiali di pulizia
A.2.1.4 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI Il locale visita deve garantire l’accesso e il movimento della barella, lo spazio per la visita medica e l’area destinata allo spogliatoio e, comunque, la superficie minima deve essere non inferiore a 14 mq.
• Lampada visita. • Strumentario medico. • Carrello medicazione. • Lettino visita. • Armadi farmaci/strumenti. • Lavabo con rubinetti a comando non manuale.
• Vaso – Lavabo – Lavapadelle – Vuotatoio.
A.2.2.3 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale visita
A.3.1.
A.2.1.1 CARATTERISTICHE FUNZIONALI
B 232
• non inferiore a 20°C +1°C; • non inferiore a 22°C +1°C nelle sale visita. N. ricambi d’aria/ora • 2 volte/ora nelle zone comuni. Dotazione impiantistica integrativa • Illuminazione di emergenza. • Impianto di chiamata sanitari con segnalazione acustico luminosa. • Impianto di rilevazione incendi. • Impianto di gas medicali: prese vuoto, ossigeno, aria compressa.
A.3.
REQUISITI STRUTTURALI
Elenco ambienti • Spazio informazioni • Spazio attesa • Spazio registrazione/segreteria • Locale lavoro infermieri • Locale visita • Servizi igienici personale • Servizi igienici visitatori • Servizi igienici pazienti
Caratteristiche igrotermiche Temperatura interna invernale
• Pavimenti con superficie lavabile e disinfettabile. • Rivestimenti fino all’altezza min. di 2,00 m impermeabili lavabili e disinfettabili.
DEGENZA REQUISITI STRUTTURALI
A.3.1.1 CARATTERISTICHE FUNZIONALI Obiettivi L’articolazione funzionale interna deve garantire la presenza di spazi per lo svolgimento della funzione di supporto sanitario e di degenza. La funzione di degenza deve essere organizzata in modo tale da garantire il rispetto della privacy del paziente ospedalizzato e il comfort di tipo alberghiero. A.3.1.2 RELAZIONI FUNZIONALI GENERALI • Collegamento preferenziale con i servizi di Diagnosi e Cura. • Collegamento auspicabile con il Day Hospital. • Possibile aggregazione in un’unica area funzionale con il Day Hospital. A.3.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI Elenco ambienti • Camera di degenza con servizio igienico: almeno ogni 4 posti letto. • Dotazione camere a 1 posto letto: ~10% del totale. • Dotazione posti letto per camera: max.4 (per le strutture esistenti: max. 6). Per le degenze pediatriche è preferibile separazione tra I, II, II infanzia • Locale soggiorno pazienti (per le degenze pediatriche: spazi di soggiorno e svago coperti e scoperti, a uso esclusivo dei bambini, proporzionato al loro numero). • Bagno assistito ogni 30 posti letto. • Spazio lavoro infermieri. • Spazio caposala.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
B.7. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
➦ A. ATTIVITÀ DI ASSISTENZA IN REGIME DI RICOVERO
B.STAZIONI DILEGIZLII • • • • • • •
Locale medicheria. Locale cucinetta. Servizi igienici del personale. Deposito sporco. Deposito pulito. Deposito padelle con vuotatoio e lavapadelle. Studio medico (locale o box).
I ED PRE NISM ORGA
A.3.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTCHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Impianto elettrico
Impianti speciali e vari Ambienti integrativi • Spazio relax operatori. • Spazio attesa parenti. • Deposito attrezzature. • Locale sosta salme.
• Impianto di iIluminazione di emergenza. • Impianto forza motrice nelle camere con almeno 1 presa per alimentazione normale e 1 presa forza motrice per le apparecchiature portatili di radiologia. • Impianto di chiamata con segnalazione acustica e luminosa. • Impianto di rilevazione incendi. • Impianto di gas medicali: prese vuoto, ossigeno, aria compressa.
Le camere di degenza devono garantire: • lo spazio per il letto e lo spazio di soggiorno del paziente ospedalizzato; • l’accesso e il movimento della barella; comunque la superficie min. della camera deve essere non inferiore a 9 mq/p.l. per camere a più letti e 12 mq per le camere a un letto; • Per la degenza pediatrica deve essere previsto uno spazio per il letto dell’accompagnatore.
Apparecchi igienico-sanitari
Degenze infettivi Adeguamento alle disposizioni per reparti di malattie infettive previste dalla legge 135/1990 e successive modifiche e integrazioni e dalle Linee guida e standard di riferimento per le strutture ospedaliere destinate al trattamento delle malattie infettive.
A.3.2.
Supporti sanitari
REQUISITI TECNOLOGICI
Caratteristiche igrotermiche Temperatura interna invernale
Temperatura interna estiva
Umidità relativa
N. ricambi d’aria/ora
Velocità dell’aria Pressione
Classe di purezza dell’aria
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa
Fattore medio luce diurna
• Trave testaletto. • Letto mobile (preferibilmente a 3 snodi). • Comodino. • Armadio. • Tavolo soggiorno-pranzo. • Una sedia a braccioli per ogni posto letto. • Servizi igienici delle camere di degenza: • vaso lavabo e bidet – piatto doccia con box e sgabello. • Presidi medico-chirurgici relazionati alla tipologia dell’unità operativa. • Dotazione minima per pronto soccorso medico e chirurgico. • Unità di ventilazione manuale, maschere facciali e cannule di Guedel.
A.3.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI • non inferiore a 20°C ±1°C; • non inferiore a 22°C ±1°C per la medicheria; • non inferiore a 23°C ± 1°C per le degenze pediatriche; • non inferiore a 26°C ± 1°C per gli immaturi. • non superiore a 28°C generale, mediante raffrescamento aria di rinnovo non superiore a 26°C. • 50% ±5% in estate. • 45% ±5% in inverno • 55% ±5% estate e inverno solo per immaturi. • 2 volte/ora per camere di degenza normali; • 3 volte/ora per camere di degenza pediatriche; • 3 volte/ora per medicheria e visite; • 10 volte/ora per servizi igienici (prelevata da ambienti limitrofi); • 6 volte/ora nel nido; • 10 volte/ora per immaturi. • non superiore a 0,1 m/sec. • positiva o neutra per le camere di degenza; positiva nel reparto immaturi • negativa nei servizi igienici e nel deposito sporco. • filtrazione con filtri a media efficienza in generale con filtri ad alta efficienza nei locali per immaturi.
• 200 lux per l’illuminazione generale; • 300 lux per l’illuminazione del locale visita. • 0,02 generale; • 0,03 nelle degenze.
Camere di degenza e medicherie • Pavimenti con superficie lavabile e disinfettabile. • Rivestimenti verticali fino all’altezza min. di 2,00 m impermeabili lavabili e disinfettabili.
A.4.
LABORATORI DI ANALISI
A.4.1.
REQUISITI STRUTTURALI
A.4.1.1 CARATTERISTICHE FUNZIONALI Obiettivi Il servizio di laboratorio deve garantire spazi attrezzati per l’esecuzione di analisi di laboratori; l’articolazione interna deve consentire flessibilità di utilizzo degli spazi e riconvertibilità per le diverse tipologie di prestazioni. In termini di collegamenti interni devono essere garantiti senza interferenze i trasferimenti del materiale biologico dalle zone di prelievo. A.4.1.2 RELAZIONI FUNZIONALI GENERALI • Collegamento preferenziale con il Pronto Soccorso e con il Blocco Operatorio • Collegamento auspicabile con la Degenza A.4.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI Elenco ambienti • Locali di accettazione e conservazione campioni. • Locali per registrazione/segreteria/archivio (in ambienti unici o separati). • Locali laboratorio di analisi (separati in relazione alle prestazioni erogate). • Locale o spazio lavaggio e sterilizzazione vetrerie. • Servizi igienici personale. • Studio medico (locale o box). Ambienti integrativi • Spazio relax operatori. • Deposito attrezzature.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
CO NTALE AMBIE
Per le strutture di ostetricia e le neonatologie: Almeno due termoculle portatili.
A.3.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE
E ESE ESSIONAL PROF
E.NTROLLO
A.3.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI A.3.1.4 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI Camera di degenza Attrezzature Arredi
C.RCIZIO
➥
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. B.7.2IZIONE, E, DEFIN IFICAZIONALI DELLE CLASS ITI GENER ARIE IS IT REQU TURE SAN T STRU
B 233
B.7. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
FIG. B.7.2./5 DEGENZA – ACCESSIBILITÀ E DISTRIBUZIONE – CASISTICHE RICORRENTI
E
B
S
A
D
LEGENDA
B
S
A
D
DISTRIBUZIONE LUNGO UN UNICO CORRIDOIO D
S
E
S
D
B
D
B A
S
A
D
DISTRIBUZIONE A DOPPIO CORRIDOIO, CON SERVIZI CENTRALI
E
A - ACCESSO VISITATORI B - ACCESSO PAZIENTI E OPERATORI C - CORTE INTERNA O CHIOSTRINE D - CAMERE DI DEGENZA E SOGGIORNO PAZIENTI E - SCALE DI EMERGENZA
D
D B
D
S - SERVIZI DI REPARTO: 1 - BAGNI ASSISTITI 2 - SERVIZI PERSONALE 3 - DEPOSITO PADELLE E VUOTATOIO 4 - DEPOSITO SPORCO 5 - DEPOSITO PULITO 6 - CUCINETTA DI REPARTO 7 - LAVORO INFERMIERI 8 - CAPOSALA 9 - MEDICHERIA 10 - STUDIO MEDICO
S
C
S
S
C
A E
D
D
DISTRIBUZIONE INTORNO AD UNA CORTE CENTRALE
DISPOSIZIONE DELLE CAMERE DI DEGENZA E DEI SERVIZI GENERICI E CLINICI DI UN REPARTO DISTRIBUZIONE LUNGO UN UNICO CORRIDOIO
2
3
1
8
9
10
7
6
4
5
A-B
E
SOGGIORNO PAZIENTI
TESTATA
NUCLEO COLLEGAMENTI
DEGENZE E SERVIZI
ALTRO REPARTO
DISTRIBUZIONE CON CORRIDOIO DOPPIO E SERVIZI AL CENTRO
10
9
ACCESSO PAZIENTI
B
SPORCO 1
3
2
4 PULITO 7
1
3
C
8
2
6 5
ACCESSO VISITATORI
E
A
SOGGIORNO PAZIENTI
TESTATA
B 234
DEGENZE E SERVIZI
NUCLEO COLLEGAMENTI
ALTRO REPARTO
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
B.7. 2. A.ZIONI
FIG. B.7.2./6 DEGENZA – SCHEMI DI DISTRIBUZIONE E ARREDO DI CAMERE DI DEGENZA CON SERVIZI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA CORRIDOIO DI ACCESSO
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI, 100
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
LIMITE DELLA SUPERFICIE MINIMA DI 18 mq A - CAMERE A DUE LETTI CON PROPRIO BAGNO E SLARGO DI ACCESSO DAL CORRIDOIO
LIMITE DELLA SUPERFICIE MINIMA DI 12 mq C - CAMERE AD UN LETTO CON BAGNO IN COMUNE E SLARGO DI ACCESSO
DOTAZIONE MINIMA DI ARREDI DELLE CAMERE DI DEGENZA, PER POSTO LETTO
DIMENSIONI NORMATIVE MINIME DELLE CAMERE DI DEGENZA
- LETTO MOBILE (A TRE SNODI, MONTATO SU ROTELLE) - COMODINO - ARMADIO - TAVOLO UTILIZZABILE ANCHE PER IL PRANZO - SEDIA CON BRACCIOLI
- CAMERE AD UN LETTO 12,00 mq - CAMERE A PIÙ LETTI 9,00 mq x posto letto - ALTEZZA DELL'AMBIENTE CAMERA 2,70 m - ALTEZZA BAGNI E DISIMPEGNI 2,40 m
È CONSIGLIABILE CHE TUTTI GLI ELEMENTI DI ARREDO SIANO MOBILI, MONTATI SU ROTELLE O FACILMENTE SPOSTABILI, PER FACILITARE LE OPERAZIONI DI PULIZIA, DISINFEZIONE E PER FARE POSTO ALLA MANOVRA DELLE LETTIGHE
LE SUPERFICI INDICATE PER LE CAMERE DEVONO ESSERE COMPUTATE AL NETTO DAGLI EVENTUALI SERVIZI IGIENICI, DISIMPEGNI, SPOGLIATOI E SIMILI.
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
CORRIDOIO DI ACCESSO
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU 100
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
LIMITE DELLA SUPERFICIE MINIMA DI 18 mq B - CAMERE A DUE LETTI CON PROPRIO BAGNO
LIMITE DELLA SUPERFICIE MINIMA DI 12 mq D - CAMERE AD UN LETTO CON PROPRIO BAGNO
. B.7.2IZIONE, E, DEFIN IFICAZIONALI DELLE CLASS ITI GENER ARIE IS IT REQU TURE SAN T STRU
B 235
B.7. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
➦ A . ATTIVITÀ DI ASSISTENZA IN REGIME DI RICOVERO
➦ A.4. LABORATORI DI ANALISI
Per strutture non specialistiche
• Dotazione di attrezzature indispensabili per indagini diagnostiche di biochimica clinica, di ematologia, di microbiologia e sieroimmunologia con metodi chimici, chimico-fisici, biologici, immunologici, come per il laboratorio generale di base. Per strutture di ricovero monospecialistiche • Dotazione di attrezzature indispensabili per indagini diagnostiche di biochimica clinica di ematologia, di microbiologia con metodi chimici, chimico-fisici, biologici, immunologici, nonché attrezzature per eventuali indagini necessarie all’integrazione dell’esame clinico, in relazione alla specificità della tipologia della struttura di degenza. Arredi • Banchi di lavoro. Apparecchi igienico-sanitari • Un lavello resistente agli acidi, alcali e agenti organici per ciascun ambiente di lavoro analitico. • Vuotatoio.
➦ A.4.1. REQUISITI STRUTTURALI A.4.1.4 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale laboratorio di analisi • I locali devono essere articolati in spazi per esecuzioni analitiche distinti per tipologie di prestazioni e con superficie relativa al numero degli operatori, comunque non inferiore a 12 mq per ciascun posto di lavoro. • Se il laboratorio svolge attività esterna deve avere i requisiti minimi previsti per l’attività diagnostica di laboratorio.
A.4.2.
REQUISITI TECNOLOGICI
A.4.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Caratteristiche igrotermiche Temperatura interna invernale Temperatura interna estiva Umidità relativa N. ricambi d’aria/ora Velocità dell’aria Pressione Classe di purezza dell’aria
• non inferiore a 20°C ±1°C. • non superiore a 26°C. • 50% ±5%. • 6 volte/ora. • non superiore a 0,15 m/sec. • negativa. • filtrazione con filtri ad alta efficienza.
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 500÷600 lux per l’illuminazione dei laboratori; • 200 lux per l’illuminazione generale. Fattore medio luce diurna • 0,03. Climatizzazione • Ricambi aria a tutta aria esterna, senza ricircolo. • L’impianto deve essere coordinato con le cappe d’estrazione. • Il valore del ricambio d’aria esterna deve essere compatibile con l’aria espulsa attraverso le cappe. A.4.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Impianto elettrico
• Impianto di iIluminazione di emergenza. • L’impianto elettrico deve essere dotato delle misure protettive previste dalle norme CEI 64-4. • L’impianto di distribuzione forza motrice dovrà essere dotato di prese con alimentazione sotto continuità per ogni locale laboratorio, in quantità dipendente dalle tecnologie.
Impianto di estrazione
• Con cappe di laboratorio e canne di esalazione.
Impianti speciali e vari
• Impianto di rilevazione incendi. • Cappe a flusso laminare verticale per esami microbiologici. • Sistema rilevazione fughe gas.
Impianto idrico-sanitario
• Impianto di scarico dei lavelli e delle attrezzature di laboratorio indipendente da quello dei servizi igienici. • Gli scarichi di laboratorio devono fare capo a vasche per eventuali pretrattamenti o decantazione prima della immissione nella fogna esterna ed essere dotati di pozzetto per prelievo campioni.
A.4.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI Laboratorio Attrezzature
B 236
• Presidi e attrezzature idonei alla conservazione e al trattamento preanalitico dei campioni in condizioni di sicurezza dal rischio biologico e idonei al mantenimento della qualità dei dati analitici. • Presidi e attrezzature idonei alla conservazione ottimale dei reagenti e dei materiali d’uso.
A.4.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI Laboratorio
A.5. A.5.1.
• Pareti a superficie lavabile e disinfettabile a tutta altezza • Pavimentazione idonea a una efficace decontaminazione da inquinamenti biologici e/o radiattivi, resistente agli acidi, agli alcali, ai solventi organici e al calore. • Superfici di lavoro impermeabili e resistenti ad acidi, alcali, solventi organici e al calore.
DIAGNOSTICA PER IMMAGINI REQUISITI STRUTTURALI
A.5.1.1 CARATTERISTICHE FUNZIONALI Obiettivi La diagnostica per immagini deve garantire spazi per le attività che impiegano radiazioni ionizzanti e non ionizzanti e tecniche di formazione delle immagini ai fini diagnostici. In termini di collegamenti interni deve essere garantita l’accessibilità da parte dei pazienti ricoverati, autonoma senza interferenze rispetto al sistema dei percorsi interni della struttura. A.5.1.2 RELAZIONI FUNZIONALI GENERALI Collegamento preferenziale con il Pronto Soccorso con il Day Hospital e con la Degenza A.5.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI Elenco ambienti (dotazione minima: due locali) • Spazio per registrazione/segreteria. • Locale archivio. • Spazio attesa. • Locali diagnostica congrui con le attività. • Locale sviluppo e trattamento pellicole • Servizi igienici personale. • Locale referti. • Studio medico. Ambienti integrativi • Spazio relax operatori. • Deposito pulito. • Deposito sporco. • Deposito attrezzature. A.5.1.4 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI Locali di diagnostica • I locali devono consentire lo svolgimento di radiogrammi dei vari organi e apparati in ortoclino-statismo, con possibilità di esecuzione di stratigrafie ed ecotomografie.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
B.7. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
➦ A. ATTIVITÀ DI ASSISTENZA IN REGIME DI RICOVERO
B.STAZIONI DILEGIZLII • Deve essere garantita relazione di adiacenza con i locali di sviluppo e preparazione mezzi di contrasto e deve essere prevista, all’interno, area distinta per lo spogliatoio; comunque la superficie minima per lo svolgimento degli esami radiologici deve essere non inferiore a 30 mq; la superficie minima per lo svolgimento degli esami ecotomografici deve essere non inferiore a 17 mq. • Se il servizio di diagnostica per immagini svolge attività esterna deve avere i requisiti minimi previsti per l’attività diagnostica per immagini ambulatoriale.
A.5.2.
A.6. A.6.1.
I ED PRE NISM ORGA
SERVIZIO MORTUARIO
C.RCIZIO
REQUISITI STRUTTURALI
E ESE ESSIONAL PROF
A.6.1.1 CARATTERISTICHE FUNZIONALI Obiettivi: il servizio mortuario deve garantire spazi distinti per la sosta delle salme e per lo svolgimento delle indagini anatomopatologiche. In termini di accessibilità deve essere consentita entrata e uscita autonoma senza interferenze rispetto al sistema dei percorsi interni della struttura. Deve essere previsto un accesso dall’esterno per i parenti.
REQUISITI TECNOLOGICI
A.5.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE • Accessibilità diretta dall’esterno. • Collegamento preferenziale con il Pronto Soccorso e con la Degenza. • non inferiore a 20°C ±1°C. • non superiore a 28°C ±1°C. • 50% ±5%. • 6 volte/ora. • non superiore a 0,15 m/sec. • negativa. • filtrazione con filtri a media efficienza.
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
Elenco ambienti • Locale osservazione/sosta salme. • Celle frigorifere o locali climatizzati per salme. • Camera mortuaria. • Sala autoptica. • Locale preparazione personale. • Servizi igienici personale. • Servizi igienici parenti. • Deposito.
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
A.5.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE A.6.1.4 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI Impianto elettrico
Impianti speciali e vari
Impianto idrico-sanitario
• Impianto di iIluminazione di emergenza. • L’impianto elettrico deve essere dotato delle misure protettive previste dalle norme CEI 64-4. • L’impianto di distribuzione forza motrice dovrà essee dotato di prese con alimentazione sotto continuità per ogni locale laboratorio, in quantità dipendente dalle tecnologie. • Impianto di rilevazione incendi. • Impianto controllo accessi con segnalazione allarme. • Impianto di rilevazione radiazioni.
Sala autoptica • La sala autoptica deve essere attrezzata per il riscontro diagnostico e per l’eventuale prelievo delle parti anatomiche. • La superficie minima deve essere non inferiore a 20 mq. • Sala autoptica e camera mortuaria devono rispondere ai requisiti di cui al DPR 285/1990.
REQUISITI TECNOLOGICI
A6.2.1
RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE
• Sistema indipendente di raccolta scarichi del locale sviluppo pellicole facente capo a serbatoi esterni o contenitori interni.
Temperatura interna estiva: Umidità relativa:
A.5.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI Sala diagnosi Attrezzature
N. ricambi d’aria/ora: Velocità dell’aria: Pressione: Classe di purezza dell’aria:
Nelle strutture di degenza a indirizzo generale: • Attrezzature indispensabili per eseguire radiogrammi dei vari organi e apparati in ortoclinostatismo, anche con mezzi di contrasto, con possibilità di esecuzione di stratigrafie ed ecotomografie. Nelle strutture di ricovero monospecialistiche: • Dotazione di attrezzature indispensabili all’integrazione dell’esame clinico in relazione alla specificità della tipologia della struttura di degenza, nonché di apparecchio radiologico portatile con intensificatore di brillanza e catena TV.
A.6.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE
A6.2.3
• Impianto di iIluminazione di emergenza.
DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI Sala autoptica Attrezzature
A.5.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI Arredi Sale diagnostica e ambienti confinanti Gli elementi strutturali, gli elementi di partizione interna, i rivestimenti devono garantire la conformità alle prescrizioni previste dalle leggi in materia di protezione dalle radiazioni ionizzanti.
• non superiore a 18°C per locali con presenza di salme. • non superiore a 18°C per locali con presenza di salme. • 60% ±5% per locali con presenza di salme. • 15 volte/ora. • non superiore a 0,15 m/sec. • negativa. • filtrazione con filtri a media efficienza.
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 300 lux per l’illuminazione generale; • 2.000 lux zona autoptica. Fattore medio luce diurna • 0,02 nei locali con permanenza persone.
Impianto elettrico
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
A.6.2.
Caratteristiche igrotermiche Temperatura interna invernale:
E.NTROLLO F. TERIALI,
A.6.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa: • 300 lux per l’illuminazione generale. • 30÷150 lux locali area controllo comandi.
PRO TTURALE STRU
CO NTALE AMBIE
A.6.1.2 RELAZIONI FUNZIONALI GENERALI
Caratteristiche igrotermiche Temperatura interna invernale: Temperatura interna estiva: Umidità relativa: N. ricambi d’aria/ora: Velocità dell’aria: Pressione: Classe di purezza dell’aria:
D.GETTAZIONE
• Carrello portaferri. • Lampada scialitica. • Tavolo autoptico. • Barella portasalme. • Apparecchi igienico-sanitari • Lavello a comando non manuale in materiale tale da permettere la disinfezione.
➥
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. B.7.2IZIONE, E, DEFIN IFICAZIONALI DELLE CLASS ITI GENER ARIE IS IT REQU TURE SAN T STRU
B 237
B.7. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
FIG. B.7.2./7 DEGENZA – SCHEMI DI DISTRIBUZIONE E ARREDO DI CAMERE DI DEGENZA CON SERVIZI
CORRIDOIO DI ACCESSO
ARMADIETTI INDIVIDUALI
TAVOLO IDONEO AL PRANZO PER 2 PERSONE SEDIE CON BRACCIOLI
100
100
100
100
TESTATA ATTREZZATA
SPAZIO TRA I LETTI IDONEO ALLA MANOVRA DELLA LETTIGA LETTI A TRE SNODI COMODINO SU ROTELLE
E - CAMERE A QUATTRO LETTI CON PROPRIO BAGNO E SLARGO DI ACCESSO DAL CORRIDOIO
100
100
100
100
CORRIDOIO DI ACCESSO
LIMITE DELLA SUPERFICIE MINIMA DI 36 mq F - CAMERE A QUATTRO LETTI CON PROPRIO BAGNO ESTERNO
B 238
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
B.7. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
➦ A. ATTIVITÀ DI ASSISTENZA IN REGIME DI RICOVERO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
➦ A.6. SERVIZIO MORTUARIO
A.8.
➦ A.6.2.REQUISITI TECNOLOGICI
A.8.1.
A.6.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI
A.8.1.1 CARATTERISTICHE FUNZIONALI
Sala autoptica • Pavimenti con rivestimenti antisdrucciolo, senza soluzione di continuità, con angoli smussati e con adeguate pendenze, in modo da garantire i necessari scarichi delle acque di lavaggio con deflusso diretto nella fognatura interna. • Pareti con rivestimento impermeabile e lavabile fino all’altezza minima di 2,00 m. A.7.
A.7.1.
• Accessibilità diretta dall’esterno (attraverso “Camera calda”). • Collegamento preferenziale con: Accettazione, Laboratorio di analisi, Diagnostica per immagini, Emoteca, Blocco Operatorio, Degenza. • Collegamento funzionale con il Servizio 118. A.8.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI
Elenco ambienti Spazio ricezione materiale/registrazione. • Depositi per: - farmaci e presidi medico-chirurgici; - stupefacenti in vano blindato o armadio antiscasso • Studio del farmacista.
REQUISITI TECNOLOGICI
A.7.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE
• • • • • • •
non inferiore a 20°C ± 1°C. non superiore a 26°C± 1°C. 50% ±5%. 2 volte/ora. non superiore a 0,15 m/sec. positiva. filtrazione con filtri a media efficienza.
Ambienti integrativi Locale sosta salme. A.8.1.4 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI Box visita/trattamento Deve garantire lo svolgimento dell’assistenza per la prima rianimazione, per il primo accertamento diagnostico e per il trattamento terapeutico delle urgenze mediche; superficie minima di 12 mq.
Caratteristiche illuminotecniche: Intensità luminosa: • 200 lux per l’illuminazione generale. Fattore medio luce diurna: • 0,02 nei locali con presenza di persone.
Locale piccoli interventi Deve garantire l’esecuzione del primo trattamento chirurgico in condizioni di urgenza; superficie minima non inferiore a 17 mq.
A.7.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Impianto elettrico: Impianti speciali e vari:
• Impianto di iIluminazione di emergenza. • Sistema di rilevazione incendi.
A.7.2.3 DOTAZIONE DI ARREDI E ATTREZZATURE • Arredi e attrezzature per il deposito e conservazione dei medicinali, dei presidi medico-chirurgici, del materiale di medicazione e degli altri materiali di competenza. • Cappa di aspirazione forzata nel locale o spazio per preparazioni chimiche. A.7.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI • Pavimenti con superficie lavabile e disinfettabile. • Rivestimenti fino all’altezza minima di 2,00 m, impermeabili, lavabili e disinfettabili.
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
Elenco ambienti • “Camera calda” (area coperta riscaldata di accesso diretto per mezzi e pedoni). • Locale attesa pazienti non barellati e accompagnatori. • Box visita/trattamento. • Locale piccoli interventi. • Locale osservazione breve. • Sala gessi con spazi preparazione gessi (se presenti competenze ortopediche nella struttura). • Locale lavoro infermieri. • Spazio registrazione/segreteria/archivio. • Locale stazione Polizia di Stato. • Servizi igienici del personale. • Servizi igienici per utenti e accompagnatori. • Studio medico. • Deposito barelle e sedie a rotelle. • Deposito pulito. • Deposito sporco. • Deposito attrezzature.
Ambienti integrativi • Spazio relax operatori. • Spogliatoio personale. • Locale lavaggio vetrerie. • Locale o spazio per preparazioni
Caratteristiche igrotermiche Temperatura interna invernale: Temperatura interna estiva: Umidità relativa: N. ricambi d’aria/ora: Velocità dell’aria: Pressione: Classe di purezza dell’aria:
D.GETTAZIONE
• Almeno 1 locale visita/trattamento con 2 box. • Almeno 2 locali per piccoli interventi. • Almeno 2 locali osservazione breve con 2 posti letto ognuno.
A.7.1.2 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI
A.7.2.
E ESE ESSIONAL PROF
A.8.1.2 RELAZIONI FUNZIONALI GENERALI
A.7.1.1 CARATTERISTICHE FUNZIONALI Obiettivi Il servizio farmaceutico, se presente nella struttura, deve garantire spazi per il deposito dei medicinali, dei presidi medico-chirurgici, del materiale di medicazione e di specifici materiali di competenza. L’articolazione interna deve consentire percorsi distinti del materiale in entrata e in uscita, con accessibilità autonoma dall’esterno rispetto al sistema dei percorsi generali dell’ospedale.
C.RCIZIO
REQUISITI STRUTTURALI
Obiettivi: l’articolazione funzionale del pronto soccorso, qualora presente, deve assicurare oltre agli interventi diagnostico-terapeutici di urgenza compatibili con le specialità di cui è dotata la struttura su cui insiste, almeno il primo accertamento diagnostico, clinico, strumentale e di laboratorio e gli interventi necessari alla stabilizzazione del paziente, nonché a garantire il trasporto protetto. In termini di accessibilità devono essere consentite entrate distinte per i trasportati e gli ambulanti e deve essere garantita assenza di interferenze con i percorsi di accesso normali alla struttura di ricovero.
SERVIZIO FARMACEUTICO • Porte di accesso con comando non manuale. REQUISITI STRUTTURALI
PRONTO SOCCORSO
A.8.2.
A.8.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE
Temperatura interna estiva Umidità relativa N. ricambi d’aria/ora
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
REQUISITI TECNOLOGICI
Caratteristiche igrotermiche Temperatura interna invernale
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
• non inferiore a 20°C ±1°C. • non inferiore a 22°C±1°C per visita, trattamenti, piccoli interventi. • non superiore a 28°C ± 1°C. • 50% ±5%. • 2 volte/ora (generale); • 3 volte/ora per visite e trattamenti; • 6 volte/ora per piccoli interventi ed eventuali laboratori.
➥
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. B.7.2IZIONE, E, DEFIN IFICAZIONALI DELLE CLASS ITI GENER ARIE IS IT REQU TURE SAN T STRU
B 239
B.7. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
➦ A. ATTIVITÀ DI ASSISTENZA IN REGIME DI RICOVERO
➦ A.8. PRONTO SOCCORSO
A.9.
➦ A.8.2. REQUISITI TECNOLOGICI Velocità dell’aria
Pressione
Classe di purezza dell’aria
A.9.1. • non superiore a 0,15 m/sec. (generale). • non superiore a 0,10 m/sec. osservazione breve e piccoli interventi. • positiva o neutra; • negativa per servizi igienici e deposito sporco. • filtrazione con filtri a media efficienza.
BLOCCO PARTO REQUISITI STRUTTURALI
A.9.1.1 CARATTERISTICHE FUNZIONALI Obiettivi Il blocco parto, se presente, deve garantire spazi per lo svolgimento del parto (anche in regime di urgenza), la prima assistenza ai neonati, l’attività chirurgica di tipo ostetrico. L’articolazione interna deve garantire accessibilità immediata alla struttura. A.9.1.2 RELAZIONI FUNZIONALI GENERALI
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 200 lux per l’illuminazione generale. • 300 lux per l’illuminazione visita. • 1.000 lux per l’illuminazione zona piccoli interventi. Fattore medio luce diurna • 0,03.
• Collegamento preferenziale con: Degenza Ostetricia e Nido, Pronto Soccorso (se presente) Blocco operatorio, Sterilizzazione (se presente). • Accessibilità diretta dall’esterno. A.9.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI
A.8.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Impianto elettrico
Impianti speciali e vari
• Dotazione sale parto: n.2 sale parto per 40 posti letto di ostetricia.
• Impianto di iIluminazione di emergenza. • Impianto di distribuzione forza motrice nelle camere con almeno 1 presa per alimentazione normale e 1 presa per apparecchiature di radiologia. • Impianto di rilevazione incendi. • Impianto di gas medicali: prese vuoto, ossigeno, aria co mpressa per sala visite locale piccoli interventi e osservazione breve. • Impianto di chiamata dei sanitari con segnalazione acustica e luminosa nei locali di osservazione breve.
Elenco ambienti: • Zone filtro. • Sale parto. • Sala operatoria (in assenza di Blocco Operatorio). • Spogliatoio/preparazione personale. • Locale sterilizzazione materiale chirurgico. • Locale osservazione post-partum. • Locale preparazione pazienti. • Locale travaglio. • Spazio neonati prima assistenza. • Deposito strumentario. • Deposito materiali di medicazione sterili. • Servizi igienici del personale. • Servizi igienici per pazienti e accompagnatori. • Locale lavoro infermieri. • Deposito pulito. • Deposito sporco. • Locale visita.
A.8.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI Dotazione pronto soccorso (in generale) • Autoambulanze (in gestione diretta o in convenzione) di cui almeno una attrezzata per rianimazione e per trasporto di neonati in termoculle. • Presidi farmaceutici e strumentario medico-chirurgico. • Elettrocardiografo. • Cardiomonitor e defibrillatore. • Attrezzature per l’erogazione di ossigeno, unità di ventilazione manuale maschere facciali e cannule di Guedel (adulti e bambini). • Set per intubazione (laringoscopio, tubi endotracheali, pinza di Magyl). • Set per immobilizzazione segmenti ossei.
Ambienti integrativi: • Spazio registrazione/ segreteria • Spazio archivio. • Deposito attrezzature. • Locale relax operatori. A.9.1.4 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI
Dotazione locale piccoli interventi Attrezzature • Lampada scialitica mobile e/o lampada a braccio estendibile • Tavolo per chirurgia ambulatoriale. • Autoclave per sterilizzazione rapida. • Carrello di medicazione. Arredi • Tavolo per strumentario. Apparecchi igienico-sanitari • Lavabo con erogazione non manuale di acqua. Dotazione locale visita/trattamento Arredi • Lettini tecnici. • Armadi per materiale di medicazione, farmaci, strumentario. Apparecchi igienico-sanitari • Lavabo con erogazione non manuale di acqua. Servizi igienici
• Vaso. • Lavabo. • Lavapadelle. • Vuotatoio.
A.8.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale per piccoli interventi • Pavimenti con superficie lavabile e disinfettabile. • Rivestimenti fino all’altezza minima di 2,00 m, impermeabili, lavabili e disinfettabili.
B 240
Sala parto Deve garantire l’attività completa di assistenza al parto, con relazione di adiacenza con la sala travaglio e con il locale neonati prima assistenza; superficie minima non inferiore a 24 mq. Sala operatoria Deve garantire le stesse prestazioni richieste per il gruppo operatorio (V. Scheda A.10. seguente).
A.9.2.
REQUISITI TECNOLOGICI
A.9.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Caratteristiche igrotermiche Sala parto Temp. interna invernale/estiva:
Umidità relativa estiva: Umidità relativa invernale: N. ricambi d’aria/ora: Velocità dell’aria: Pressione:
Classe di purezza dell’aria:
• compresa tra 21°C ÷ 27°C; la temperatura deve essere regolabile da parte degli operatori agendo su apposito termostato. • 55% ± 5%. • 45% ± 5%. • 20 volte/ora. • non superiore a 0,10 m/sec. • positiva – gradiente minimo 10 Pascal con ambienti limitrofi, 15 Pascal con ambienti esterni. • filtrazione assoluta; la filtrazione deve garantire un tempo di decontaminazione pari a 20’.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
B.7. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII Preparazione pazienti Temp. interna invernale/estiva: Umidità relativa estiva: Umidità relativa invernale: N. ricambi d’aria/ora: Velocità dell’aria: Pressione: Classe di purezza dell’aria:
A.9.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI compresa tra 23° ÷ 25°C. 55% ± 5%. 45% ± 5%. 8 volte/ora. non superiore a 0,10 m/sec. positiva rispetto agli ambienti esterni; negativa rispetto alla sala operatoria. • filtrazione ad alta efficienza.
• • • • • •
Sala parto Attrezzature
Preparazione personale medico Temp. interna invernale/estiva: • Umidità relativa: • N. ricambi d’aria/ora: • Velocità dell’aria: • Pressione: • Classe di purezza dell’aria: Sterilizzazione Temp. interna invernale/estiva: Umidità relativa: N. ricambi d’aria/ora: Velocità dell’aria: Pressione zona non sterile: Pressione zona sterile: Classe di purezza dell’aria:
Sala travaglio Temp. interna invernale/estiva: Umidità relativa: N. ricambi d’aria/ora: Velocità dell’aria:
compresa tra 23° ÷ 25°C. 50% ± 5%. 6 volte/ora. non superiore a 0,15 m/sec. positiva rispetto agli ambienti esterni; negativa rispetto alla sala operatoria. • filtrazione ad alta efficienza.
Arredi Sala operatoria (se presente) Attrezzature
compresa tra 23° ÷ 25°C. 50% ± 5%. 10 volte/ora. non superiore a 0,15 m/sec. negativa. positiva rispetto agli ambienti limitrofi; neutra rispetto alla sala operatoria. • filtrazione ad alta efficienza nella zona non sterile; • filtrazione assoluta nella zona sterile.
• • • • • •
• • • •
compresa tra 24° ÷ 27°C. 55% ± 5%. 6 volte/ora. non superiore a 0,10 m/sec. Servizi igienici pazienti
Spazio neonati prima assistenza Temp. interna invernale/estiva: • compresa tra 24° ÷ 27°C. Umidità relativa: • 55% ± 5%. N. ricambi d’aria/ora: • 12 volte/ora. Velocità dell’aria: • non superiore a 0,10 m/sec. Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 300 lux per l’illuminazione generale. • 100.000 lux nel campo operatorio. • 10.000 lux area limitrofa campo operatorio. Fattore medio luce diurna • 0,02 zona travaglio e post-partum.
Impianto elettrico
Impianto idrico sanitario Impianti gas medicali
Impianti speciali e vari
• Impianto di iIluminazione di emergenza. • Impianto elettrico conforme norme CEI 64-4 fascicolo 32 e 62.5 fascicolo 50.7. • Ventilazione/condizionamento alimentato da gruppo elettrogeno. • Utilizzo di rubinetteria con comando non manuale. • Ossigeno, potassito di azoto, aria compressa, vuoto, aspiratore, gas anestetici; • la sala parto deve essere dotata di un impianto di aspirazione anestetici direttamente collegato alle apparecchiature di anestesia (se presenti). • Le stazioni di riduzione della pressione per il reparto operatorio devono essere doppie per ogni gas tecnico, in modo da garantire un adeguato livello di affidabilità. • Impianto di rilevazione incendi. • Impianto di rilevazione gas. • Impianto di controllo accessi con segnalazione allarme. • Impianto di controllo livello di pressione. • Impianto di chiamata dei sanitari con segnalazione acustica e luminosa nella sala travaglio.
C.RCIZIO
• Lampade scialitiche. • Aspiratori ed erogatori di ossigeno. • Ecocardiotocografi. • Amnioscopio. • Vasca per il neonato. • Culle termostatiche. • Lettino per rianimazione neonatale. • Carrello portastrumenti. • Strumentazione ostetrica adeguata. • Attrezzatura per eventuale trasporto • assistito del neonato in altro luogo di cura. • Letti tecnici.
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
• Tavolo operatorio. • Apparecchio per anestesia con sistema di evacuazione dei gas. • Apparecchio per monitoraggio dei gas anestetici. • Respiratore automatico. • Cardiomonitor con defibrillatore. • Apparecchiatura per gli altri parametri vitali. • Elettrobisturi. • Aspiratori. • Lampada scialitica. • Diafanoscopio a paretev • Carrello portaferri. • Strumentazione adeguata. • Frigoriferi per la conservazione dei farmaci e degli emoderivati. • Vaso. • Lavabo. • Lavapadelle. • Vuotatoio. • Bidet. • Piatto doccia.
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
Sala parto e sala operatoria (se presente) • Pareti lisce e raccordate tra loro. • Rivestimenti per pavimenti e pareti a tutta altezza di tipo lavabile, disinfettabile e impermeabile agli agenti contaminanti. • Pareti pavimenti e soffitti con angoli arrotondati. • Deve essere garantita l’antistaticità del pavimento. • Nel caso di controsoffittature è preferibile utilizzare elementi in acciaio con giunti sigillati. • Porte di accesso alla sala operatoria apribili con comando non manuale.
A.10.
F. TERIALI,
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
A.9.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI
A.9.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE
I ED PRE NISM ORGA
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
GRUPPO OPERATORIO
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
A.10.1. REQUISITI STRUTTURALI A.10.1.1 CARATTERISTICHE FUNZIONALI Obiettivi il gruppo operatorio, se presente nella struttura, deve garantire spazi articolati in zone progressivamente meno contaminate, dall’ingresso del complesso operatorio fino alle sale chirurgiche. Devono essere garantiti percorsi interni differenziati per sporco e pulito e zone filtrate di ingresso. Il numero minimo e la disposizione delle sale operatorie devono essere tali da consentire l’utilizzo a rotazione delle stesse.
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
A.10.1.2 RELAZIONI FUNZIONALI GENERALI • Collegamento preferenziale con: Degenza, Pronto Soccorso (se presente), Sterilizzazione (se presente), Emoteca. • Auspicabile prossimità con il Blocco Parto (se presente).
➥
. B.7.2IZIONE, E, DEFIN IFICAZIONALI DELLE CLASS ITI GENER ARIE IS IT REQU TURE SAN T STRU
B 241
B.7. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
➦ A. ATTIVITÀ DI ASSISTENZA IN REGIME DI RICOVERO
➦ A.10.GRUPPO OPERATORIO
Umidità relativa estiva Umidità relativa invernale N. ricambi d’aria/ora Velocità dell’aria Pressione
➦ A.10.1. REQUISITI STRUTTURALI A.10.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI
Classe di purezza dell’aria Dotazione sale operatorie • fino a 50 posti letto chirurgici: – n.1 sala chirurgica; – n.1 sala chirurgica per l’ostetricia se assente nel Blocco Parto; • fino a 100 posti letto chirurgici: – n.2 sale chirurgiche; – n.1 sala chirurgica per l’ostetricia se assente nel Blocco Parto; • incremento di una sala ogni ulteriori 50 posti letto chirurgici.
Preparazione chirurghi Temp. interna invernale/estiva Umidità relativa N. ricambi d’aria/ora Velocità dell’aria Pressione Classe di purezza dell’aria
Elenco ambienti • Spazio filtro entrata. • Sale operatorie. • Locale preparazione chirurghi. • Locale preparazione personale. • Locale sterilizzazione materiale chirurgico. • Locale preparazione pazienti. • Locale risveglio pazienti. • Deposito strumentario chirurgico. • Deposito materiali di medicazione sterili. • Spogliatoio personale. • Locale lavoro infermieri. • Locale relax operatori. • Servizi igienici del personale. • Deposito materiale sporco. • Locale per la diagnostica estemporanea. (può anche essere in altra zona purché raggiungibile in 5’).
Sterilizzazione Temp. interna invernale/estiva Umidità relativa N. ricambi d’aria/ora Velocità dell’aria Pressione zona non sterile Pressione zona sterile Classe di purezza dell’aria
• 55% ±5%. • 45% ±5%. • 8 volte/ora. • non superiore a 0,10 m/sec. • positiva rispetto agli ambienti esterni; • negativa rispetto alla sala operatoria. • filtrazione ad alta efficienza. • compresa tra 23°÷25°C. • 50% ±5%. • 6 volte/ora. • non superiore a 0,15 m/sec. • positiva rispetto agli ambienti esterni; • negativa rispetto alla sala operatoria. • filtrazione ad alta efficienza. • 25°C. • 50% ±5%. • 10 volte/ora. • non superiore a 0,15 m/sec. • negativa. • positiva rispetto agli ambienti limitrofi; • neutra rispetto alla sala operatoria. • filtraz. ad alta efficienza nella zona non sterile; filtrazione assoluta nella zona sterile.
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 300 lux per l’illuminazione generale; • 100.000 lux nel campo operatorio; • 10.000 lux area limitrofa campo operatorio. A.10.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE
Ambienti integrativi • Attesa parenti. • Servizi igienici accompagnatori. • Studio medico. • Locale endoscopia. A.10.1.4 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI
Impianto elettrico
Impianto idrico sanitario Impianti gas medicali
Sala operatoria Deve consentire l’attività chirurgica in riferimento alle diverse esigenze interventistiche, con relazione di adiacenza con locale di preparazione dei chirurghi, di sterilizzazione dello strumentario. Superficie minima non inferiore a 36 mq. Sono ammesse dimensioni minori per particolari specialità chirurgiche, in relazione alle esigenze degli interventi, e comunque non inferiori a 30 mq. Locale di endoscopia (se presente nella struttura) Deve garantire lo spazio per prestazioni endoscopiche (broncoscopia, endoscopia digestiva), per il lavaggio di endoscopi e l’area per spogliatoi dei pazienti; superficie complessiva non inferiore a 24 mq.
Impianti speciali e vari
• Impianto di iIluminazione di emergenza. • Ventilazione/condizionamento alimentato da gruppo elettrogeno. • Utilizzo di rubinetteria con comando non manuale. • Ossigeno, potassito di azoto, aria compressa, vuoto, aspirazione gas anestetici; il reparto operatorio deve essere dotata di impianto di aspirazione anestetici direttamente collegato alle apparecchiature di anestesia. Le stazioni di riduzione della pressione per il reparto operatorio devono essere doppie per ogni gas tecnico in modo da garantire un adeguato livello di affidabilità. • Impianto di rilevazione incendi. • Impianto di rilevazione gas. • Impianto di controllo accessi con segnalazione allarme. • Impianto di controllo livello di pressione.
A.10.2. REQUISITI TECNOLOGICI A.10.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI A.10.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Caratteristiche igrotermiche Sala operatoria Temp. interna invernale/estiva
Umidità relativa estiva Umidità relativa invernale N. ricambi d’aria/ora Velocità dell’aria Pressione
Classe di purezza dell’aria
Preparazione pazienti Temp. interna invernale/estiva
B 242
Sala operatoria Attrezzature • compresa tra 20° ÷ 24°C; la temperatura deve essere regolabile da parte degli operatori agendo su apposito termostato. • 55% ± 5%. • 45% ± 5%. • 20 volte/ora. • non superiore a 0,10 m/sec. • positiva – gradiente minimo 10 Pascal con ambienti limitrofi 15 Pascal con ambienti esterni. • filtrazione assoluta; la filtrazione deve garantire un tempo di decontaminazione pari a 14’ per sale a elevato rischio settico e a 20’ per le altre. Arredi • compresa tra 23° ÷ 25°C.
• Tavolo operatorio. • Apparecchio per anestesia con sistema di evacuazione dei gas • Apparecchio per monitoraggio dei gas anestetici. • Respiratore automatico. • Cardiomonitor con defibrillatore. • Apparecchiatura per gli altri parametri vitali. • Elettrobisturi. • Aspiratori. • Lampada scialitica. • Diafanoscopio a parete. • Carrello portaferri. • Strumentaz. adeguata per interventi chirurgici. • Frigoriferi per la conservazione dei farmaci e degli emoderivati. • Amplificatore di brillanza. • Tavolo per strumentario. • Cestelli per biancheria sterile.
➥
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
B.7. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.7.2./8 OSPEDALE – CHIRURGIE GENERALI – SCHEMI DISTRIBUTIVO DELLE ATTIVITA’ E DELLE RELAZIONI SCHEMA 1
B.STAZIONI DILEGIZLII
LEGENDA SCHEMI 1 E 2 CORRIDOIO OSPEDALE
B.2.
D.1.
C.2.
B.3.
A - AMBIENTI CHIRURGI E OPERATORI A.1.- FILTRO OPERATORI A.1.1. - SPOGLIATOIO UOMINI A.1.2. - SPOGLIATOIO DONNE A.1.3. - DEPOSITO CUFFIE, ZOCCOLI A.2.- DEPOSITO STRUMENTI A.3.- RIPOSO MEDICI
D.6.
C.1.1.
A.1. A.1.1.
A.1.2.
B.4.1
B - AMBIENTI INTERVENTI CHIRURGICI B.1.- PREPARAZIONE CHIRURGI B.2.- AMBIENTI DI SUBSTERILIZZAZIONE B.3.- SALE CHIRURGICHE B.4.- AMBIENTI ANESTESIA B.4.1. - ANESTESIA B.4.2. - RISVEGLIO B.5.- CABINA DI MONITORAGGIO
B.4. B.4. 2.
C.1. B.1.
D.3. B.1. B.3. A.1.3.
C B.4.1
B.2.
B.4.
B.4. 2.
A.2.
- CORRIDOI E LOCALI ANNESSI SCHEMA 1 C.1.- CORRIDOIO STERILE OPERATORI C.1.1. - ACCESSO INTERDETTO C.1.2. - ARRIVO MATERIALE STERILE C.2.- CORRIDOIO PAZIENTI E SPORCO C.2.2. - ALLONTANAMENTO SPORCO SCHEMA 2 C.3.- CORRIDOIO PULITO - STERILE C.4.- CORRIDOIO SPORCO C.4.1. - ALLONTANAMENTO SPORCO C.5.- LOCALI DI STERILIZZAZIONE DELLE SALE OPERATORIE C.5.1. - ARRIVO MATERIALE STERILE
D.2.
D.5.
B.1. B.3. D.4. A.3.
B.4.1 B.2.
B.4.
B.4. 2.
C.1.2. A - FILTRO E RELAX OPERATORI
C.2.2.
CORRIDOIO STERILE
CORRIDOIO PAZIENTI
B - SALE OPERATORIE
D - FILTRO PAZIENTI
D - AMBIENTI FILTRO PAZIENTI D.1.- ACCESSO, CON TRASFERIMENTO NEL LETTO OPERATORIO D.2.- POSTAZIONE INFERMIERA D.3.- SOSTA OPERANDI D.4.- SOSTA OPERATI D.5.- CAPOSALA D.6.- ATTESA PORTANTINI
D.1.
A.1. A.1.1.
C.5.
D.2.
A.1.3.
C.3. CORRIDOIO PULITO
B.4.
B.4.
B.4.1
B.4.2.
B.4.
B.4.1
B.4.2.
B.4.
B.4.1
B.4.2.
B.4.2.
B.4.1
B.1. B.3.
B.3.
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
B.3.
B.3.
E.NTROLLO
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
D.4.
D.3.
PRO TTURALE STRU
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
D.5.
A.1.2.
D.GETTAZIONE
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
STERILIZZAZIONE SALE OPERATORIE
A.2.
E ESE ESSIONAL PROF
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
CORRIDOIO OSPEDALE
A.3.
C.RCIZIO
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
PERCORSI OPERATORI PERCORSI PAZIENTI
SCHEMA 2
I ED PRE NISM ORGA
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST C.5.1. B.5.
B.5.
C.4. CORRIDOIO SPORCO
C.4.1.
➥
. B.7.2IZIONE, E, DEFIN IFICAZIONALI DELLE CLASS ITI GENER ARIE IS IT REQU TURE SAN T STRU
B 243
B.7. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
➦ A . ATTIVITÀ DI ASSISTENZA IN REGIME DI RICOVERO
➦ A.10.GRUPPO OPERATORIO
A.11.2. REQUISITI TECNOLOGICI A.11.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE
➦ A.10.2. REQUISITI TECNOLOGICI Preparazione chirurghi Apparecchiature igienico sanitarie
Caratteristiche igrotermiche Temp. interna invernale • Lavello con comando non manuale.
A.10.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI Temperatura interna estiva Umidità relativa N. ricambi d’aria/ora
Sala operatoria • Pareti lisce e raccordate tra loro. • Rivestimenti per pavimenti e pareti a tutta altezza di tipo lavabile disinfettabile e impermeabile agli agenti contaminanti. • Pareti pavimenti e soffitti con angoli arrotondati. • Deve essere garantita l’antistaticità del pavimento. • Nel caso di controsoffittature è preferibile utilizzare elementi in acciaio con giunti sigillati. • Porte di accesso alla sala operatoria apribili con comando non manuale.
A.11.
Velocità dell’aria Pressione
Classe di purezza dell’aria
• non inferiore a 20°C ±1°C per le camere di degenza. • non inferiore a 22°C±1°C per locale visita/trattamenti. • non superiore a 28°C. • 45% ±5%. • 2 volte/ora per camere di degenza. • 3 volte/ora per locale visita/trattamento. • non superiore a 0,10 m/sec. • neutra o positiva; negativa per servizi igienici e deposito sporco. • filtrazione con filtri a media efficienza.
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 300 lux per l’illuminazione dei locali visita/trattamento • 200 lux per l’illuminazione generale. Fattore medio luce diurna: • 0,03.
DAY HOSPITAL
A.11.1. REQUISITI STRUTTURALI A.11.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE A.11.1.1 CARATTERISTICHE FUNZIONALI Impianto elettrico Obiettivi Il Day Hospital se presente nella struttura deve garantire spazi per il trattamento diagnostico e terapeutico e il soggiorno dei pazienti in regime di ricovero a tempo parziale (di tipo diurno). I collegamenti interni devono essere consentiti in forma diretta per il personale con la degenza, pur garantendo una autonomia funzionale in termini di accessibilità degli utenti esterni.
Impianti speciali e vari
A.11.1.2 RELAZIONI FUNZIONALI GENERALI • • • •
Collegamento preferenziale con la Diagnostica per immagini. Collegamento auspicabile con il Laboratorio di analisi. Possibilità di aggregazione con la Degenza in un’unica area funzionale Accessibilità diretta dall’esterno.
A.11.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI Camere di degenza diurna Attrezzature
A.11.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI Elenco ambienti • Spazio registrazione/segreteria/ archivio. • Spazio attesa. • Locale visita/trattamento. • Locale lavoro infermieri. • Locale lavoro medici. • Ambienti di degenza diurna. • Servizi igienici personale. • Servizi igienici pazienti. • Cucinetta. • Deposito sporco. • Deposito pulito. Ambienti integrativi • Spazio relax operatori. • Deposito attrezzature. • Spazio soggiorno pazienti. • Servizi igienici visitatori. • Deposito medicinali e presidi medico-chirurgici.
• Impianto di iIluminazione di emergenza. • Impianto forza motrice nelle camere con almeno una presa per alimentazione normale. • Impianto di chiamata con segnalazione acustica e luminosa. • Impianto di rilevazione incendi. • Impianto di gas medicali: prese vuoto ossigeno aria compressa nei locali di trattamento.
Arredi Locale visita /trattamento Attrezzature
• Trave attrezzata con utenze medicali ed elettriche. • Lettini tecnici o poltrone reclinabili.
Apparecchi igienico-sanitari
• Attrezzature idonee secondo lo specifico trattamento • Lettino visita. • Armadi farmaci e presidi medico-chirurgici (in assenza di deposito) • Lavabo a comando non manuale.
Servizi igienici pazienti
• Vaso, lavabo, lavapadelle, vuotatoio.
Arredi
A.11.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale visita/trattamento e camere di degenza diurna • Pavimenti con superficie lavabile e disinfettabile. • Rivestimento delle pareti fino all’altezza di 2,00 m, impermeabile, lavabile disinfettabile.
A.12.
SERVIZIO DI STERILIZZAZIONE
A.11.1.4 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI A.12.1. REQUISITI STRUTTURALI Camera di degenza diurna Deve consentire il riposo del paziente in regime di day hospital e l’eventuale espletazione del piano di trattamento; è quindi auspicabile l’adiacenza con il locale visita/trattamento. La superficie minima deve essere non inferiore a 28 mq (per camere a 4 posti letto) e a 17 mq (per camere a 2 posti letto). Locale visita/trattamento Deve consentire lo svolgimento delle attività diagnostico-terapeutiche di carattere medico-chirurgico relative alle diverse unità operative di degenza specialistica. La superficie minima deve essere non inferiore a 17 mq.
B 244
A.12.1.1 CARATTERISTICHE FUNZIONALI Obiettivi Il servizio di sterilizzazione, se presente nella struttura, deve prevedere spazi articolati in zone nettamente separate di cui una destinata al ricevimento, trattamento e confezionamento del materiale, l’altra al deposito e alla distribuzione del materiale trattato. Il percorso deve essere a senso unico dalla zona sporca a quella pulita. Il servizio di sterilizzazione può essere centralizzato per più strutture o essere affidato in gestione all’esterno.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
B.7. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.7.2./9 OSPEDALE – REPARTO INFETTIVI
B.STAZIONI DILEGIZLII
FILTRO DI INGRESSO AL REPARTO INFETTIVI
I ED PRE NISM ORGA
ARRIVO AMBULANZA
SVESTIZIONE
ATRIO - ATTESA
BONIFICA
VESTIZIONE
VISITA MEDICA
CORRIDOIO DI DISTRIBUZIONE DEL REPARTO INFETTIVI
N.B.
È CONSIGLIABILE COLLOCARE IL REPARTO INFETTIVI AL PIANO TERRA, CON AMBITO ANTISTANTE L'ACCESSO ESTERNO SERVITO DIRETTAMENTE DALLE AMBULANZE: - PER EVITARE CHE I MALATI INFETTIVI ATTRAVERSINO ALTRI AMBIENTI, PERCORSI O ATTREZZATURE DEL PLESSO OSPEDALIERO - PER PREDISPORRE AGEVOLMENTE IL PERCORSO DEI VISITATORI VERSO LE «CABINE DI VISITA» NELLA FASCIA ESTERNA ADIACENTE AL PERIMETRO DEL REPARTO, IN MODO CHE SIA RIGIDAMENTE EVITATO OGNI CONTATTO CON LE STRUTTURE EI PERCORSI UTILIZZATI DA PAZIENTI E MEDICI.
IL REPARTO INFETTIVI DEVE DISPORRE DI UN «FILTRO DI ACCESSO» CHE CONSENTA LA VISITA, LA SVESTIZIONE, LA BONIFICA E LA VESTIZIONE DEI PAZIENTI COME SCHEMATIZZATO NELLA FIGURA ACCANTO.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
FILTRO DI ACCESSO ALLE CAMERE
G.ANISTICA
OGNI CAMERA DI DEGENZA DEVE ESSERE DOTATA DI UN FILTRO DI ACCESSO (PER IL PERSONALE E I PAZIENTI). IL FILTRO PUÒ DARE ACCESSO ANCHE A DUE CAMERE CONTIGUE, COME INDICATO NEGLI SCHEMI DI DISTRIBUZIONE DELLE CAMERE.
URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
I VISITATORI NON POSSONO AVERE ACCESSO DIRETTO ALLE CAMERE DI DEGENZA MA POSSONO COMUNICARE CON I PAZIENTI DA APPOSITA «CABINA DI VISITA» ISOLATA DALLA CAMERA E SERVITA DA PERCORSO VISITATORI ESTERNO AL REPARTO.
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
CAMERE DI DEGENZA DEL REPARTO INFETTIVI E DISPOSITIVO PER LE VISITE DEI PARENTI
FILTRO OPERATORI
E ESE ESSIONAL PROF
CO NTALE AMBIE
FILTRO DI ACCESSO AL REPARTO
CABINE DI VISITA
CORRIDOIO DI DISTRIBUZIONE DEL REPARTO INFETTIVI
C.RCIZIO
CORRIDOIO DISTRIBUZIONE REPARTO INFETTIVI
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
FILTRO
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CABINA VISITATORI
REPARTO INFETTIVI CAMERA SINGOLA DI ISOLAMENTO E/O OSSERVAZIONE
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
PERCORSO DEI VISITATORI
PERCORSO DEGENTI PERCORSO VISITATORI
➥
. B.7.2IZIONE, E, DEFIN IFICAZIONALI DELLE CLASS ITI GENER ARIE IS IT REQU TURE SAN T STRU
B 245
B.7. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
➦ A. ATTIVITÀ DI ASSISTENZA IN REGIME DI RICOVERO
➦ A.12.SERVIZIO DI STERILIZZAZIONE
A.13.
SERVIZIO DI DISINFEZIONE
➦ A.12.1. REQUISITI STRUTTURALI
A.13.1. REQUISITI STRUTTURALI
A.12.1.2 RELAZIONI FUNZIONALI GENERALI
A.13.1.1 CARATTERISTICHE FUNZIONALI
• Collegamento preferenziale con Blocco Operatorio e Blocco Parto. • Possibilità di aggregazione con la Disinfezione in un’unica area funzionale • Accessibilità diretta dall’esterno. A.12.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI Elenco ambienti • Filtro per il personale, con spogliatoi e servizi igienici • Servizi igienici personale. • Locale deposito per strumentario non sterile. • Locali per ricezione e cernita. • Locali per pulizia e preparazione. • Locale per il deposito materiale sterile. • Sosta personale.
Obiettivi Il servizio di disinfezione, se presente nella struttura, deve garantire spazi per il trattamento degli effetti personali e letterecci, della biancheria e in genere dei materiali infetti e degli ambienti. L’articolazione interna degli spazi deve consentire la netta separazione tra zone infette e non infette e comunque l’accesso nella zona infetta deve avvenire attraverso apposito filtro. Il percorso deve essere a senso unico dalla zona sporca alla zona pulita. Il servizio di disinfezione può essere affidato in gestione all’esterno. In alternativa al servizio va comunque assicurata la funzione di disinfezione ambientale con apposite apparecchiature e la disinfezione della biancheria nell’ambito del servizio di lavanderia per il deposito della quale è previsto un locale apposito (V. scheda seguente). A.13.1.2 RELAZIONI FUNZIONALI GENERALI
Ambienti integrativi • Locale relax operatori. A.12.1.4 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale per la sterilizzazione Deve consentire l’alloggiamento almeno di impianto di un’autoclave e degli elementi impiantistici di supporto.
A.12.2. REQUISITI TECNOLOGICI A.12.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Caratteristiche igrotermiche Temp. interna invernale Temperatura interna estiva Umidità relativa N. ricambi d’aria/ora Velocità dell’aria Pressione
Classe di purezza dell’aria:
• 20°C ±1°C. • non superiore a 27°C. • 45% ±5%. • 15 volte/ora. • non superiore a 0,20 m/sec. • zona sporco negativa rispetto alla pulita; • zona pulita positiva rispetto alla sporca, negativa rispetto alla sterile. • zona sterile positiva rispetto alle zone circostanti. • filtrazione con filtri ad alta efficienza nella zona pulita. • filtri a efficienza assoluta nella zona sterile.
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 200 lux per l’illuminazione generale. Fattore medio luce diurna • 0,02. A.12.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Impianto elettrico Impianti speciali e vari
• Impianto di iIluminazione di emergenza. • Impianto di rilevazione incendi. • Impianto di gas medicali e tecnici: aria compressa.
A.12.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale sterilizzazione Attrezzature Arredi
• Apparecchiature di sterilizzazione. • Bancone con lavello resistente agli acidi alcalini.
A.12.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI
• Collegamento preferenziale con Degenza Lavanderia (se presente) e Day Hospital (se presente). • Collegamento auspicabile con Blocco Operatorio (se presente). • PossIbile aggregazione con la Sterilizzazione in un’unica area funzionale. A.13.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI Elenco ambienti • Filtro per il personale, con spogliatoi e servizi igienici • Deposito letti e carrelli. • Deposito materiale infetto. • Deposito pulito. • Locale trattamento predisinfezione. • Locale disinfezione. Ambienti integrativi • Locale relax operatori. A.13.1.4 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale disinfezione Deve consentire l’alloggiamento delle apparecchiature specifiche; deve inoltre essere garantita adiacenza con il locale per trattamento di pre-disinfezione. La zona infetta deve comunicare con la zona non infetta tramite gli apparecchi di trattamento.
A.13.2. REQUISITI TECNOLOGICI A.13.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Caratteristiche igrotermiche Temp. interna invernale Temperatura interna estiva Umidità relativa N. ricambi d’aria/ora Velocità dell’aria Pressione Classe di purezza dell’aria
• 20°C ±1°C. • non superiore a 27°C. • 45% ±5%. • 15 volte/ora. • non superiore a 0,20 m/sec. • zona sporco negativa rispetto alla pulita. • zona pulita positiva. • filtrazione con filtri ad alta efficienza.
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 150 lux per l’illuminazione generale. Fattore medio luce diurna • 0,02. A.13.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Impianto elettrico • Impianto di iIluminazione di emergenza. Impianti speciali e vari • Impianto di rilevazione incendi. • Impianto di gas medicali e tecnici: aria compressa. A.13.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI
• Pavimenti con superficie antisdrucciolo nelle zone sporche, con adeguate pendenze in modo da garantire i necessari scarichi. • Rivestimento pareti a tutta altezza, impermeabile, lavabile disinfettabile.
B 246
Locale disinfezione Attrezzature
• Apparecchiature specifiche.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
B.7. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII A.13.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale disinfezione • Pavimenti con superficie antisdrucciolo nelle zone sporche con adeguate pendenze in modo da garantire i necessari scarichi. • Rivestimento delle pareti a tutta altezza, impermeabile, lavabile, disinfettabile. A.14.
SERVIZIO DI LAVANDERIA
Locale lavaggio/asciugatura • Pavimenti con superficie antisdrucciolo nelle zone sporche con adeguate pendenze in modo da garantire i necessari scarichi. • Rivestimento delle pareti a tutta altezza, impermeabile, lavabile, disinfettabile. A.15.
A.14.1.1 CARATTERISTICHE FUNZIONALI
A.15.1.1 CARATTERISTICHE FUNZIONALI
• Comunicazioni funzionali con Sterilizzazione (se presente) e con Disinfezione (se presente). • Possibilità di aggregazione con la Sterilizzazione e la Disinfezione in un’unica area funzionale. • Accessibilità diretta dall’esterno. A.14.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI Elenco ambienti • Locale ricezione biancheria infetta. • Locale disinfezione biancheria (se non è previsto servizio di disinfezione) • Locale ricezione biancheria e cernita • Locale filtro personale con spogliatoio e servizi igienici. • Locale lavaggio/asciugatura (macchine per lavanderia). • Locale stiratura. • Deposito sporco. • Deposito pulito e guardaroba. • Deposito detersivi e materiali.
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
Obiettivi La cucina, se presente nella struttura, deve garantire spazi distinti per la preparazione il deposito, la cottura, la distribuzione e il lavaggio, nonché la detenzione delle sostanze non destinate all’alimentazione. Nel caso di gestione affidata all’esterno deve comunque essere prevista un’area per l’arrivo e lo smistamento del cibo.
A.15.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
Elenco ambienti • Locale cucina – preparazioni e cottura. • Locale dispensa. • Spazio lavaggio e preparazione verdure. • Locale lavaggio carrelli, stoviglie, portavivande. • Locale magazzino con celle frigorifere. • Spazio preparazione e confezionamento pasti. • Spazio confezionamento carrelli • Spazio per diete speciali. • Deposito rifiuti. • Deposito detersivi e materiali per pulizia. • Servizi igienici per il personale con doccia. • Spazio di smistamento e registrazione.
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
A.15.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE
• non inferiore a 18°C ±1°C. • non controllata. • non controllata. • 10 volte/ora. • non superiore a 0,20 m/sec. • negativa negli ambienti ‘sporco’. • filtrazione con filtri a media efficienza.
Caratteristiche igrotermiche Temp. interna invernale Temperatura interna estiva Umidità relativa N. ricambi d’aria/ora
Velocità dell’aria Pressione Classe di purezza dell’aria
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa: • 200 lux per l’illuminazione generale. Fattore medio luce diurna: • 0,02. A.14.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Impianto elettrico • Impianto di iIluminazione di emergenza. • Prese elettriche installate a 1,50 m dal pavimento. Impianti speciali e vari • Impianto di rilevazione incendi. • Impianto di gas medicali e tecnici: • aria compressa. A.14.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale lavaggio/asciugatura Attrezzature
• Attrezzature e macchine per lavaggio e asciugatura biancheria.
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
URB
• Collegamenti preferenziali con la Degenza e con il Day Hospital. • Accessibilità diretta dall’esterno.
A.14.2. REQUISITI TECNOLOGICI
Caratteristiche igrotermiche Temp. interna invernale: Temperatura interna estiva: Umidità relativa: N. ricambi d’aria/ora: Velocità dell’aria: Pressione: Classe di purezza dell’aria:
F. TERIALI,
G.ANISTICA
A.15.1.2 RELAZIONI FUNZIONALI GENERALI
A.15.2. REQUISITI TECNOLOGICI
A.14.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
A.15.1. REQUISITI STRUTTURALI
A.14.1.2 RELAZIONI FUNZIONALI GENERALI
C.RCIZIO
D.GETTAZIONE
CUCINA
A.14.1. REQUISITI STRUTTURALI
Obiettivi Il servizio di disinfezione, se presente nella struttura, deve garantire spazi per la ricezione del materiale per il trattamento e per il deposito. Deve essere consentita l’accessibilità autonoma dall’esterno rispetto ai percorsi generali della struttura. Nel caso di assenza del servizio di disinfezione, questa funzione va comunque assicurata per la biancheria nell’ambito della stessa lavanderia. Il servizio di lavanderia può essere affidato in gestione all’esterno.
I ED PRE NISM ORGA
A.14.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI
non inferiore a 18°C ±1°C. non controllata. non controllata. 5 volte/ora generale; 30 volte/ora nella zona cottura; 10 volte/ora nella zona di deposito rifiuti. • non superiore a 0,20 m/sec. • negativa rispetto agli ambienti circostanti. • filtrazione con filtri a media efficienza. • • • • • •
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 200 lux per l’illuminazione generale. Fattore medio luce diurna • 0,02.
Impianti speciali e vari
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
A.15.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Impianto elettrico
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
• Impianto di iIluminazione di emergenza, grado di protezione IP54. • Prese elettriche installate a 1,50 m dal pavimento. • Impianto a esecuzione stagna. • Impianto di rilevazione incendi. • Impianto idrico con rubinetterie a comando non manuale. • Impianto di scarico indipendente con stazione di separazione grassi.
➥
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. B.7.2IZIONE, E, DEFIN IFICAZIONALI DELLE CLASS ITI GENER ARIE IS IT REQU TURE SAN T STRU
B 247
B.7. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
➦ A . ATTIVITÀ DI ASSISTENZA IN REGIME DI RICOVERO
➦ A.15.
CUCINA
➦ A.15.2. REQUISITI TECNOLOGICI A.15.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI
A.15.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI
• Arredi e attrezzature necessarie per il deposito, la conservazione, la preparazione la cottura e la distribuzione delle vivande in condizioni ottimali. • Devono essere attuati efficaci mezzi di lotta e precauzioni contro la penetrazione di insetti, di roditori e di altri animali nocivi. • Cappa sui fuochi dotata di sezione filtrante debordante di un valore pari a 0,4 per l’altezza tra il piano di cottura e il bordo cappa; – velocità aria ai bordi cappa tra 0,25 e 0,50 m/sec.; – capacità estrattiva della cappa non inferiore a 30 volte / ambiente / ora con reintegro tramite aria trattata termicamente nella misura del 70% di quella estratta. • Finestre realizzate con opportune protezioni per evitare l’intrusione di insetti.
• Spazi per preparazione, lavaggio carrelli, stoviglie, portavivande • Pavimenti con superficie antisdrucciolo, con adeguate pendenze in modo da garantire i necessari scarichi. • Rivestimento delle pareti a tutta altezza, impermeabile, lavabile, disinfettabile. • Il locale lavaggio carrelli, stoviglie e portavivande deve consentire l’alloggiamento delle attrezzature e degli elementi impiantistici di supporto; la superficie minima deve essere non inferiore a 36 mq.
FIG. B.7.2./10 DISTRIBUZIONE E FILTRI DI ACCESSO DELLE UNITÀ DI TERAPIA INTENSIVA (U.T.I.)
CAMERA STERILE
FILTRO
CAMERA STERILE
MEDICI
LABORATORIO
CAMERA IPERBARICA
CENTRO ANTIVELENI
ACCESSO PAZIENTI
VESTIZ. SVESTIZ.
CONTROLLO
CAPOSALA
BONIFICA FILTRO PAZIENTI
FILTRO OPERATORI SPOGLIATOI E SERVIZI
ACCESSO PERSONALE
DEPOSITO SPORCO USCITA SPORCO
TESTATE ATTREZZATE CON GAS MEDICALI E ILLUMINAZIONE DALL'ALTO PERCORSO PAZIENTI PERCORSO OPERATORI
B 248
DEPOSITO PULITO
BIANCH.
CUCINA
RIPOSO OPERATORI
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
B.7. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B. ATTIVITÀ DI ASSISTENZA AMBULATORIALE
B.STAZIONI DILEGIZLII Arredi
B.1. AMBULATORI Definizione Si definiscono “istituzioni sanitarie ambulatoriali” le strutture in cui si praticano attività sanitarie ai fini della prevenzione, diagnosi, terapia e riabilitazione di forme morbose la cui complessità non richiede ricovero.
B.1.1.
Attrezzature igienico-sanitarie
B.1.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale ambulatorio • Pavimenti con superficie lavabile e disinfettabile. • Rivestimento delle pareti fino all’altezza di 2,00 m, impermeabile, lavabile disinfettabile.
REQUISITI STRUTTURALI AMBIENTALI
B.1.1.1 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI Elenco ambienti • Spazio attesa. • Spazio registrazione/segreteria. • Spazio archivio. • Servizi igienici personale. • Servizi igienici pubblico. • Locale ambulatorio. • Locale osservazione breve nel caso. si prevedano interventi di piccola chirurgia). • Deposito pulito. • Deposito sporco.
• Tavolo/scrivania. • Armadio farmaci, medicazioni, strumentario. • Lavabo a comando non manuale.
• Personale in numero proporzionale alla capacità ricettiva e alla tipologia dell’attività svolta. • Presenza di personale medico durante l’orario di attività. • Possibilità di prenotazione preferibilmente per via telefonica, anche nelle ore pomeridiane.
B.2. ATTIVITÀ DI ASSISTENZA CONSULTORIALE FAMILIARE Definizione Si definiscono “consultori familiari” i servizi volti alla tutela della salute e all’assistenza psicologica e sociale della donna, della coppia e della famiglia, anche in ordine ai problemi dei minori.
Locale ambulatorio • Deve consentire lo svolgimento dell’attività diagnostico-terapeutica relazionata alla tipologia della specialità; all’interno deve essere prevista area per spogliatoio; superficie minima non inferiore a 17 mq. • Nel caso si utilizzino radiazioni ionizzanti, deve essere garantita conformità alle prescrizioni impartite dalla normativa in materia di impiego pacifico dell’energia nucleare. • Devono essere adottati provvedimenti per la profilassi delle malattie infettive.
B.1.2.
Elenco ambienti • Spazio attesa. • Spazio registrazione/segreteria. • Spazio archivio. • Servizi igienici personale. • Servizi igienici pubblico. • Locale consulenza psicologica. • Locale ambulatorio ostetrico ginecologico. • Locale ambulatorio pediatrico. • Locale assistente sociale. • Locale polifunzionale (preparazione al parto attività di gruppo). • Locale osservazione breve (se si effettuano interventi di piccola chirurgia).
B.1.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Caratteristiche igrotermiche Temperatura interna invernale Temperatura interna estiva Umidità relativa N. ricambi d’aria/ora Velocità dell’aria Pressione Classe di purezza dell’aria
• • • • • • •
REQUISITI STRUTTURALI AMBIENTALI
B.2.1.1 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI
REQUISITI TECNOLOGICI
20°C ±1°C. non controllata. non controllata. 3 volte/ora (non forzata). non controllata. negativa per il deposito sporco. non controllata.
Ambienti integrativi • Sala riunioni. • Deposito farmaci, strumentario. • Studio medico. B.2.1.2 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 200 lux per l’illuminazione generale; • 300 lux nella zona visita. Fattore medio luce diurna • 0 03.
Locale ambulatorio • Deve consentire lo svolgimento dell’attività diagnostico-terapeutica relazionata alla tipologia della specialità; all’interno deve essere prevista area per spogliatoio; superficie minima non inferiore a 17 mq.
B.1.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE B.2.2. Impianto elettrico Impianti speciali e vari
• • • •
Conforme alle norme CEI 64-4. Illuminazione di emergenza. Impianto di rilevazione incendi. Impianto telefono utenti.
B.1.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale ambulatorio Attrezzature e presidi medico-chirurgici in relazione alla specialità dell’attività svolta comprendente in ogni caso: • dotazione minima per pronto soccorso medico e chirurgico; • unità di ventilazione manuale; • maschere facciali; • cannule di Guedel; • sterilizzatrice (se si utilizza strumentazione riutilizzabile); • letto tecnico per visita ambulatoriale.
REQUISITI TECNOLOGICI
B.2.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Caratteristiche igrotermiche Temperatura interna invernale Temperatura interna estiva Umidità relativa N. ricambi d’aria/ora Velocità dell’aria Pressione Classe di purezza dell’aria
• • • • • • •
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
20°C ±1°C. non controllata. non controllata. 3 volte/ora (non forzata). non controllata. negativa per il deposito sporco. non controllata.
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 200 lux per l’illuminazione generale; • 300 lux nella zona visita. Fattore medio luce diurna • 0,03.
E ESE ESSIONAL PROF
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
B.1.1.2 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI B.2.1.
C.RCIZIO
E.NTROLLO
B.1.3. REQUISITI ORGANIZZATIVI GENERALI
Ambienti integrativi • Locale lavoro infermieri. • Deposito attrezzature. • Locale relax operatori. • Studio medico.
I ED PRE NISM ORGA
➥
. B.7.2IZIONE, E, DEFIN IFICAZIONALI DELLE CLASS ITI GENER ARIE IS IT REQU TURE SAN T STRU
B 249
B.7. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
FIG. B.7.2./11 POLIAMBULATORI – SCHEMA DELLA ACCESSIBILITÀ, DELLE RELAZIONI E DEI FLUSSI FUNZIONALI
DATI DI DIMENSIONAMENTO DEGLI SPAZI D'ATTIVITA'
PARCHEGGIO OPERATORI
CARICO SCARICO
SUBATTESE
ACCESSI: - ACCESSO PROTETTO, SERVITO DA AMBULANZE - ACCESSO GENERALE PAZIENTI E ACCOMPAGNATORI PROTETTO DALLE INTEMPERIE E ARRETRATO RISPETTO AL FILO STRADALE -ACCESSO SEPARATO PER GLI OPERATORI - ACCESSO SEPARATO PER RIFORNIMENTI (ANCHE IN COMUNE CON QUELLO DEGLI OPERATORI)
RIFORNIMENTI DEPOSITI
ATTESA CENTRALE
SPAZI DI ATTESA CIRCA 6÷8 mq PER IL NUMERO DEGLI AMBULATORI OPPURE, SE SI DISPONE DI DATI STATISTICI DI UTENZA: 1,5 mq PER IL NUMERO MASSIMO D'UTENTI PREVEDIBILE
ESAMI FUNZIONALI
SUBATTESE
ACCESSO OPERATORI SPOGLIATOI,SERVIZI
CENTRI PRELIEVI
PARCHEGGI: 5 POSTI AUTO PER OGNI AMBULATORIO (=~125 mq x N. AMBULATORI) PER CASE DI CURA PRIVATE: 1mq /10 mc FUORI TERRA
CONSULTAZIONI VISITE GENERICHE
SPAZI DI SUBATTESA 1 OGNI 2÷3 AMBULATORI, CONFIGURATI ANCHE COME DILATAZIONI O ARTICOLAZIONI DEI CORRIDOI DI DISTRIBUZIONE DEGLI AMBULATORI
CONSULTAZIONE VISITE SPECIALIS.
ARCHIVIO, STATISTICA
SERVIZI IGIENICI: PER PAZIENTI E ACCOMPAGNATORI 1 SERVIZIO UOMO OGNI 5 AMBULATORI 1 SERVIZIO DONNA OGNI 5 AMBULATORI 1 SERVIZIO PER HAND. OGNI PIANO
AMMINISTRAZIONE COORDINAMENTO
ACCETTAZIONE
SPAZI PER AMBULATORI DI TIPO GENERICO: SPAZIO DI CONSULTAZIONE =~12 mq SPAZIO PER VISITA =~9 mq LOCALI DI DEPOSITO 1 DEPOSITO PULITO (~12 mq) OGNI 12 AMBULATORI 1 DEPOSITO SPORCO (~10 mq) OGNI 12 AMBULATORI 1 LOCALE PULIZIA ATTREZZATURE OGNI 16 AMBULATORI
AMBULANZE
PARCHEGGIO AMBULANTI
PERCORSI CARRABILI PERCORSI OPERATORI PERCORSI AMBULANTI
FERMATA BUS
FIG. B.7.2./13 DISTRIBUZIONE SCHEMATICA DI UN POLIAMBULATORIO
14
13
12
9
12
15
14
10
10
10
12
12
11
13
12
12
12
16
4
8
9
6 5
16
9
12
12
11
12
12
9 10
6 12
10
10
9
11
12
12
16
3
2
7
9 10
16
12
12
12
9
10
10
10
1 AMBULATORI GENERICI
ACCOGLIENZA E DISTRIBUZIONE
AMBULATORI SPECIFICI
LEGENDA RELATIVA ALLO SCHEMA DI POLIAMBULATORIO
PERCORSI OPERATORI PERCORSI AMBULANTI
B 250
ACCOGLIENZA E DISTRIBUZIONE AMBULANTI
AMBULATORI
1 2 3 4 5 6 7 8
9 10 11 12 13 14 15 16
- ACCESSI PAZIENTI - ACCOGLIENZA E INFORMAZIONI - ARCHIVIO - STATISTICA - CASSE - PRENOTAZIONI VISITE - UFFICI AMMINISTRATIVI E DIREZIONE - ATTESA CENTRALE PAZIENTI - COLLEGAMENTI VERTICALI (EVENTUALI)
- PERCORSI PAZIENTI - SUBATTESE DEI SINGOLI AMBULATORI - PERCORSO OPERATORI - AMBIENTI DI CONSULTAZIONE E VISITA - SERVIZI PAZIENTI (IN ATTESA) - SERVIZI E SPOGLIATOI OPERATORI - ACCESSI OPERATORI - POSTO INFERMIERE O DEPOSITI
14 15
11
12
9
13
12
13
14
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
B.7. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
➦ B. ATTIVITÀ DI ASSISTENZA AMBULATORIALE
B.STAZIONI DILEGIZLII ➦ B.2. ATTIVITÀ DI ASSISTENZA CONSULTORIALE FAMILIARE
Locale prelievi Deve consentire l’attività di prelievo relativa alla specifica tipologia di prestazione; può essere organizzato in box con superficie minima preferibilmente non inferiore a 6 mq per operatore.
B.2.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Impianto elettrico Impianti speciali e vari
• • • •
Conforme alle norme CEI 64-4. Illuminazione di emergenza Impianto di rilevazione incendi. Impianto telefono utenti.
B.3.2.
B.3.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Caratteristiche igrotermiche Temp. interna invernale Temperatura interna estiva N. ricambi d’aria/ora Velocità dell’aria Pressione Classe di purezza dell’aria
Climatizzazione
Locale ambulatorio • Pavimenti con superficie lavabile e disinfettabile. • Rivestimento delle pareti fino all’altezza di 2,00 m, impermeabile, lavabile, disinfettabile. REQUISITI ORGANIZZATIVI GENERALI • Personale medico, sanitario, tecnico, amministrativo in numero proporzionale al carico di lavoro e alla tipologia dell’attività svolta. • Possibilità di prenotazione preferibilmente per via telefonica, anche nelle ore pomeridiane.
B.3.1.
Impianto elettrico
Impianto di estrazione Impianti speciali e vari
REQUISITI STRUTTURALI AMBIENTALI
B.3.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI Elenco ambienti • Spazio attesa. • Spazio registrazione/segreteria. • Spazio archivio. • Servizi igienici personale. • Servizi igienici pubblico. • Locali di accettazione e conservazione campioni. • Locali laboratorio di analisi (separati in relazione alle prestazioni erogate). • Locale prelievi. • Locale o spazio lavaggio e sterilizzazione vetrerie. • Locale deposito materiale per pulizie. • Servizi igienici personale. • Studio medico (locale o box). Ambienti integrativi • Spazio relax operatori. • Deposito attrezzature. B.3.1.4 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale laboratorio di analisi I locali devono essere articolati in spazi per esecuzioni analitiche distinti per tipologie di prestazioni e con superficie rapportata al numero degli operatori, comunque non inferiore a 12 mq per addetto presente. Locale per lavoro analitico Di superficie non inferiore a 20 mq per ciascun settore di attività.
non inferiore a 20°C ±1°C. non superiore a 26°C ±1°C. 6 volte/ora non superiore a 0,15 m/sec. negativa. filtrazione con filtri ad alta efficienza.
E ESE ESSIONAL PROF
Impianto idrico-sanitario
PRO TTURALE STRU
CO NTALE AMBIE
• Ricambi aria a tutta aria esterna, senza ricircolo. • L’impianto deve essere coordinato con le cappe d’estrazione. • Il valore del ricambio d’aria esterna deve essere compatibile con l’aria espulsa attraverso le cappe.
• Impianto di iIluminazione di emergenza. • L’impianto elettrico deve essere dotato delle misure protettive previste dalle norme CEI 64-4. • L’impianto di distribuzione forza motrice dovrà essere dotato di prese con alimentazione sotto continuità per ogni locale laboratorio, in quantità dipendente dalle apparecchiature presenti. • Con cappe di laboratorio e canne di esalazione. • Impianto di rilevazione incendi. • Impianto di rilevazione fughe gas. • Impianto gas medicali e tecnici: vuoto aria compressa gas metano. • Cappe a flusso laminare verticale per esami microbiologici. • Impianto di scarico dei lavelli e delle attrezzature di laboratorio indipendente da quello dei servizi igienici. • Gli scarichi di laboratorio devono fare capo a vasche per eventuali pretrattamenti o decantazione prima della immissione nella fogna esterna ed essere dotati di pozzetto per prelievo campioni. • All’interno dei laboratori deve essere previsto un vuotatoio.
B.3.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI Laboratorio Attrezzature
D.GETTAZIONE E.NTROLLO
B.3.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE
B.3. ATTIVITÀ DIAGNOSTICA DI LABORATORIO Definizione Si definiscono “laboratori di analisi” le istituzioni sanitarie che erogano prestazioni di diagnostica di laboratorio su materiali provenienti dal corpo umano, o direttamente su di esso a scopo diagnostico, prognostico, preventivo e di monitoraggio terapeutico.
• • • • • •
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 500÷600 lux per l’illuminazione dei laboratori; • 200 lux per l’illuminazione generale. Fattore medio luce diurna • 0,03.
B.2.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI
B.2.3.
C.RCIZIO
REQUISITI TECNOLOGICI
B.2.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale ambulatorio Attrezzature e presidi medico-chirurgici in relazione alla specialità dell’attività svolta, comprendente in ogni caso: • dotazione minima per pronto soccorso medico e chirurgico; • unità di ventilazione manuale. • maschere facciali. • cannule di Guedel; • sterilizzatrice (se si utilizza strumentazione riutilizzabile. • letto tecnico per visita ambulatoriale. Arredi • Tavolo/scrivania. • Armadio farmaci, medicazioni, strumentario. Attrezzature igienico sanitarie • Lavabo a comando non manuale.
I ED PRE NISM ORGA
• Presidi e attrezzature idonei alla conservazione e al trattamento preanalitico dei campioni in condizioni di sicurezza dal rischio biologico e idonei al mantenimento della qualità dei dati analitici. • Presidi e attrezzature idonei alla conservazione ottimale dei reagenti e dei materiali d’uso. • Arredi, presidi e attrezzature per la protezione degli operatori dai rischi chimici fisici e biologici, nelle diverse fasi di lavoro e in relazione alle procedure analitiche adottate.
➥
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. B.7.2IZIONE, E, DEFIN IFICAZIONALI DELLE CLASS ITI GENER ARIE IS IT REQU TURE SAN T STRU
B 251
B.7. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
➦ B. ATTIVITÀ DI ASSISTENZA AMBULATORIALE
➦ B.3. ATTIVITÀ DIAGNOSTICA DI LABORATORIO
REQUISITI TECNOLOGICI
B.4.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE
➦ B.3.2.REQUISITI TECNOLOGICI
Arredi Apparecchi igienico-sanitari
B.4.2.
• Microscopi, di cui almeno uno accessoriato per osservazione in immersione e in contrasto di fase. • Spettrofotometro UV visibile, con monocromatore a reticolo o filtri interferenziali con cellette termostate. • Apparecchio semiautomatico per la determinazione dei test emocoagulativi. • Contaglobuli elettronico ad almeno 7 parametri. • Sistemi idonei alla coltivazione batterica con identificazione di genere. • Attrezzatura per elettroforesi completa di densitometro. • Attrezzatura per la determinazione degli elettroliti. • Si richiamano i requisiti minimi di cui all’art.6 del DPCM 10 febbraio 1984. • Banchi di lavoro. • Un lavello resistente agli acidi, alcali e agenti organici per ciascun ambiente di lavoro analitico. • Vuotatoio.
Caratteristiche igrotermiche Temp. interna invernale Temp. interna estiva Umidità relativa N. ricambi d’aria/ora Velocità dell’aria Pressione Classe di purezza dell’aria
B.4.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Impianto elettrico
Impianti speciali e vari
Impianto idrico-sanitario
• Impianto di iIluminazione di emergenza. • L’impianto elettrico deve essere dotato delle misure protettive previste dalle norme CEI 64-4. • Impianto di rilevazione incendi. • Impianto controllo accessi con segnalazione allarme. • Impianto di rilevazione radiazioni ionizzanti. • Impianto telefonico per utenti. • Sistema indipendente di raccolta scarichi del locale sviluppo pellicole, facente capo a serbatoi esterni o contenitori interni.
B.4.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale radiodiagnostica Attrezzature
B.4. ATTIVITÀ DI DIAGNOSTICA PER IMMAGINI Locale trattamento pellicole Attrezzature
Definizione: Si definiscono istituzioni sanitarie di “diagnostica per immagini” quelle istituzioni che svolgono indagini strumentali ai fini diagnostici con utilizzo di sorgenti ionizzanti e non ionizzanti.
B.4.1.
non inferiore a 20°C ±1°C. non superiore a 28°C ±1°C. non superiore a 50% ±5%. 6 volte/ora. non superiore a 0,15 m/sec. negativa. filtrazione con filtri a media efficienza.
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 300 lux per l’illuminazione generale; • 30 ÷150 lux locali area controllo comandi.
B.3.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI Locali di laboratorio • Pareti a superficie lavabile e disinfettabile a tutta altezza. • Pavimentazione idonea a una efficace decontaminazione da inquinamenti biologici e/o radiattivi, resistente agli acidi, agli alcali, ai solventi organici e al calore. • Superfici di lavoro impermeabili e resistenti ad acidi, alcali, solventi organici e al calore.
• • • • • • •
Altri presidi
REQUISITI STRUTTURALI AMBIENTALI
• Generatore trifase da minimo 500 mA. • Ortoclinoscopio dotato di serigrafo e di amplificatore di immagini. • Accessori per termografia. • Teleradiografo con sistema antidiffondente a griglia fissa o mobile. • Attrezzatura per lo sviluppo e il fissaggio delle pellicole. • Dotazione minima per pronto soccorso medico e chirurgico. • Unità di ventilazione manuale, maschere facciali, cannule di Guedel. • Lavello.
B.4.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI B.4.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI Elenco ambienti • Spazio attesa. • Spazio registrazione/segreteria. • Spazio archivio. • Servizi igienici personale. • Servizi igienici pubblico. • Locali radiodiagnostica con spogliatoi utenti. • Locale sviluppo e trattamento pellicole. • Locale per ecografia (se presente). • Locale referti. Ambienti integrativi • Spazio relax operatori. • Deposito attrezzature. • Deposito sporco. • Deposito pulito. B.4.1.4 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI Locali di radiodiagnostica Deve essere garantita relazione di adiacenza con i locali di sviluppo e preparazione mezzi di contrasto e deve essere prevista, all’interno, area distinta per lo spogliatoio; comunque la superficie minima per lo svolgimento degli esami radiologici deve essere non inferiore a 30 mq.
B 252
Locali radiodiagnostica e ambienti confinanti Gli elementi strutturali, gli elementi di partizione interna, i rivestimenti devono garantire la conformità alle prescrizioni previste dalle leggi in materia di protezione dalle radiazioni ionizzanti.
B.4.3.
REQUISITI ORGANIZZATIVI GENERALI • Presenza di personale medico durante l’orario di attività. • Personale medico, sanitario, tecnico, amministrativo in numero proporzionale al carico di lavoro e alla tipologia dell’attività svolta. • Obbligo di rendere tempestivamente disponibili i documenti radiologici e i resoconti esistenti per esigenze mediche successive del paziente.
B.5. ATTIVITÀ DI MEDICINA NUCLEARE Definizione Si definiscono “ambulatori di medicina nucleare” quegli ambulatori che provvedono a effettuare indagini medico-nucleari con impiego di radionuclidi in forma non sigillata.
➥
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
B.7. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.7.2./12 FRUIBILITÀ DEGLI SPAZI PER ATTIVITÀ AMBULATORIALI
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
DIMENSIONI DI MASSIMA E CASISTICA DISTRIBUTIVA DEGLI SPAZI PER ATTIVITÀ AMBULATORIALI
SUBATTESA PAZIENTI
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
SUBATTESA PAZIENTI
D.GETTAZIONE
PERCORSO DI ACCESSO AGLI AMBULATORI
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CONSULTAZIONE
~600
~360
~360
CO NTALE AMBIE
CONSULTAZIONE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
VISITA
CONSULTAZIONE
G.ANISTICA URB SPOGL.
ATTREZZATURE DI SPECIALITÀ
~240
~240
VISITA
VISITA
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
5
~360
~120
AMBULATORIO GENERICO CONSULTAZIONE E VISITA IN UNICO AMBIENTE
~360
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
~480
AMBULATORIO DI SPECIALITÀ CONSULTAZIONE E VISITA IN UNICO AMBIENTE ATTREZZATURE DI SPECIALITÀ IN AMBIENTE CONTIGUO
AMBULATORIO GENERICO E/O DI SPECIALITÀ CONSULTAZIONE E VISITA IN AMBIENTI DISTINTI
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
DIMENSIONI DI MASSIMA, DISTRIBUZIONE INTERNA E ATTREZZATURA DI ALCUNE ATTIVITÀ AMBULATORIALI SPECIALISTICHE
5
5
1 ~360
~360
1
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
1 3
6 ~600
2
2
4
2
9
4
4
7
8
5
7 10
8
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
7
~240
3
~240
8
6
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
9
6 ~360
~120
~360
~120
ATTIVITÀ AMBULATORIALE DI ODONTOIATRIA DI UN PICCOLO CENTRO CONSULTAZIONE E VISITA IN UNICO AMBIENTE
ATTIVITÀ AMBULATORIALE DI CARDIOLOGIA CON CONSULTAZIONE E VISITA IN UNICO AMBIENTE E APPARECCHI DI SPECIALITÀ IN AMBIENTE CONTIGUO
ATTIVITÀ AMBULATORIALE DI AUDIOMETRIA CON CONSULTAZIONE E VISITA IN UNICO AMBIENTE E APPARECCHI DI SPECIALITÀ IN AMBIENTE CONTIGUO
1 - SCRIVANIA - CONSULTAZIONE 2 - LAVAMANI 3 - POLTRONA ODONTOIATRICA («RIUNITO») ATTREZZATA CON ACQUA CALDA E FREDDA, ARIA COMPRESSA, ASPIRATORE, ECC. 4 - LAMPADA ORIENTABILE 5 - ILLUMINAZIONE OPERATORIA SOSPESA 6 - CARRELLO DI SERVIZIO 7 - SGABELLO 8 - PIANO DI LAVORO 9 - LAVAGNA LUMINOSA
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
1 2 3 4 5 6 7 8
- SCRIVANIA - CONSULTAZIONE - LAVAMANO - LETTINO DI VISITA - ARMADIETTO STRUMENTI - CARRELLO DI SERVIZIO - SGABELLO - APPARECCHATURA ORTOSCOPICA - CICLOEGONOMETRO CON ELETTROCARDIOGRAFO - BILANCIA PESAPERSONE - SPOGLIATOIO CON SGABELLO E APPENDIABITI
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
~360
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
- SCRIVANIA - CONSULTAZIONE - LAVAMANO - POLTRONA PER VISITA - ARMADIETTO STRUMENTI - CARRELLO DI SERVIZIO - CABINA AUDIOMETRICA - CONSOLLE DI COMANDO DELLA CABINA - SGABELLO OPERATORE
➥
. B.7.2IZIONE, E, DEFIN IFICAZIONALI DELLE CLASS ITI GENER ARIE IS IT REQU TURE SAN T STRU
B 253
B.7. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
➦ B. ATTIVITÀ DI ASSISTENZA AMBULATORIALE
➦ B.5. ATTIVITÀ DI MEDICINA NUCLEARE B.5.1.
• Unità di ventilazione manuale, maschere facciali, cannule di Guedel.
REQUISITI STRUTTURALI AMBIENTALI
Apparecchiature igienico-sanitarie • Lavabo a comando non manuale. • Dispensatore sapone non manuale. • Dispensatore asciugamani di carta.
B.5.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI Elenco ambienti • Attesa pazienti (non portatori di radioattività). • Spazio registrazione/segreteria. • Spazio archivio. • Sosta pazienti (portatori di radioattività). • Locale somministrazione. • Locale manipolazione e stoccaggio sostanze radioattive • Locali visita/terapia. • Locale stoccaggio rifiuti radioattivi. • Spogliatoio pazienti. • Servizi igienici pazienti (non portatori di radioattività). • Servizi igienici pazienti (portatori di radioattività). • Servizi igienici personale. Ambienti integrativi • Locale piccolo laboratorio. • Studio medico.
B.5.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale visita/trattamento e ambienti confinanti • Gli elementi strutturali, gli elementi di partizione interna, i rivestimenti devono garantire la conformità alle prescrizioni previste dalle leggi in materia di protezione dalle radiazioni ionizzanti. • Le porte per il passaggio dei preparati devono essere provviste di apposite schermature e dotate di comando non manuale. B.5.3.
• Presenza di personale medico durante l’orario di attività • Personale medico, sanitario, tecnico, amministrativo in numero proporzionale al carico di lavoro e alla tipologia dell’attività svolta. B.6. FISIOCHINESITERAPIA E RIEDUCAZIONE FUNZIONALE Definizione Si definiscono “ambulatori di fisiochinesiterapia e rieducazione funzionale” quegli ambulatori in cui si erogano energie fisiche, trattamenti chinesiterapici e di rieducazione funzionale a scopo diagnostico, terapeutico, riabilitativo.
B.5.1.4 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI Locali visita/trattamento • Deve essere garantita protezione degli operatori per mezzo di zone distinte tra sorgente e operatore; superficie minima non inferiore a 17 mq. B.6.1. B.5.2.
REQUISITI ORGANIZZATIVI GENERALI
REQUISITI STRUTTURALI AMBIENTALI
REQUISITI TECNOLOGICI B.6.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI
B.5.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Caratteristiche igrotermiche Temp. interna invernale Temperatura interna estiva Umidità relativa N. ricambi d’aria/ora Velocità dell’aria Pressione Classe di purezza dell’aria
Elenco ambienti • Spazio attesa pazienti • Spazio registrazione/segreteria. • Spazio archivio. • Servizi igienici personale. • Servizi igienici pubblico. • Area per lo svolgimento attività specifiche. • Locale manipolazione e stoccaggio sostanze radioattive. • Locale personale. • Deposito pulito. • Deposito sporco.
• non inferiore a 20°C ±1°C. • non superiore a 27°C±1°C. • 50% ±5%. • 8 volte/ora. • non superiore a 0,15 m/sec. • negativa. • filtrazione con filtri ad alta efficienza.
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 300 lux per l’illuminazione generale; • 30÷150 lux locali area controllo comandi.
B.6.1.4 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI
B.5.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Impianto elettrico
Impianti speciali e vari
Impianto idrico-sanitario
• Impianto di iIluminazione di emergenza. • L’impianto elettrico deve essere dotato delle misure protettive previste dalle norme CEI 64-4. • Impianto di rilevazione incendi. • Impianto controllo accessi con segnalazione allarme. • Impianto di rilevazione radiazioni ionizzanti • Impianto telefonico per utenti. • Sistema indipendente di raccolta scarichi facente capo a serbatoi esterni per lo stoccaggio e il decadimento degli scarichi radioattivi.
Area per lo svolgimento attività specifiche Deve garantire, con le necessarie separazioni, un minimo di 6 mq per posto di cura e comunque una superficie complessiva non inferiore a 100 mq. B.6.2.
REQUISITI TECNOLOGICI
B.6.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Caratteristiche igrotermiche Temp. interna invernale Temperatura interna estiva Umidità relativa N. ricambi d’aria/ora Velocità dell’aria Pressione
• • • • • •
20°C ±1°C. non controllata. non controllata. 3 volte/ora (non forzata). non controllata. negativa per il deposito sporco.
B.5.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale visita/trattamento Attrezzature
• Sistema camera a scintillazione. • Calibratore di dosi. • Lettino visita.
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 200 lux per l’illuminazione generale. • 300 lux nella zona visita. • 0,03. Fattore medio luce diurna B.6.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE
Locale manipolazione e stoccaggio sostanze radioattive • Tavolo di manipolazione sostanze radioattive. Attrezzature Presidi accessori e integrativi Attrezzature • Dotazione minima per pronto soccorso medico e chirurgico.
B 254
Impianto elettrico
Impianti speciali e vari
• Impianto di iIluminazione di emergenza. • L’impianto elettrico deve essere conforme alle norme CEI 64-4. • Impianto di rilevazione incendi. • Impianto telefonico per utenti.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
B.7. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII B.6.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI Attrezzature
• Lettini di fisiochinesiterapia. • Materassini per fisiochinesiterapia. • Spalliere. • Parallele. • Specchio quadrettato. • Apparecchio per ultrasuonoterapia. • Apparecchio per marconiterapia. • Apparecchio per radarterapia. • Lampade a raggi rossi e ultravioletti • (fototerapia). • Apparecchio per elettrodiagnosi ed elettroterapia.
• Dotazione minima per pronto soccorso medico. • Ausili per fisiochinesiterapia.
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
B.6.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI • Pavimenti con superficie lavabile e disinfettabile. • Rivestimenti fino all’altezza di 2,00 m, impermeabili, lavabili disinfettabili. B.6.3.
I ED PRE NISM ORGA
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
REQUISITI ORGANIZZATIVI GENERALI • Personale medico, sanitario, tecnico, amministrativo in numero proporzionale al carico di lavoro e alla tipologia dell’attività svolta.
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
H. ATTIVITÀ DI TUTELA DELLA SALUTE MENTALE
URB H.1. GENERALITÀ
• Locale visita medica. • Locale visita psicologica.
Definizione L’attività di tutela della salute mentale si configura come il complesso di interventi preventivi, terapeutici e riabilitativi organizzati e coordinati dal Dipartimento di Salute Mentale (DSM).
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
H.2.1.4 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale visita medica Deve avere superficie minima non inferiore a 12 mq.
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
Ogni Dipartimento di Salute Mentale deve essere dotato di: H.2.2 • Centro di Salute Mentale (CSM) struttura territoriale sede organizzativa del dipartimento, con attività ambulatoriali e domiciliari. • Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) Struttura ospedaliera che provvede alla cura dei pazienti che necessitano di trattamenti medici con ricovero in ambiente ospedaliero. Accoglie trattamenti volontari e obbligatori. Nella dotazione degli ambienti da realizzare, nel rispetto della protezione del paziente va prevista una maggiorazione della percentuale di stanze singole per la tutela e il contenimento dei ricoverati. • Centro Diurno Psichiatrico e/o Day Hospital Psichiatrico Struttura semiresidenziale in cui vengono attuati processi terapeutici e riabilitativi a breve e medio termine programmati dal Centro di Salute Mentale, al fine di prevenire e contenere i ricoveri ospedalieri. Nella dotazione degli ambienti, realizzati nel rispetto della protezione del paziente vanno previsti locali adeguati in relazione alla specificità dell’attività terapeutico-riabilitativa svolta. • Residenze sanitarie assistenziali per pazienti psichiatrici per attività in regime residenziale.
REQUISITI TECNOLOGICI
Caratteristiche igrotermiche Temp. interna invernale Temperatura interna estiva Umidità relativa N. ricambi d’aria/ora Velocità dell’aria Pressione
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
• 20°C ±1°C. • non controllata. • non controllata. • 3 volte/ora (non forzata). • non controllata. • neutra; • negativa per il deposito sporco.
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 200 lux per l’illuminazione generale. • 300 lux nella zona visita. • 0,03. Fattore medio luce diurna H.2.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Impianto elettrico
Impianti speciali e vari
H.2. CENTRO DI SALUTE MENTALE
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
H.2.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE
• Impianto di iIluminazione di emergenza. • L’impianto elettrico deve essere conforme alle norme CEI 64-4. • Impianto di rilevazione incendi.
H.2.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI Definizione Si definisce “Centro di salute mentale” la struttura sanitaria che svolge attività di assistenza in regime ambulatoriale e domiciliare.
H.2.1.
Locale visita medica Attrezzature
REQUISITI STRUTTURALI AMBIENTALI
H.2.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI Elenco ambienti • Spazio attesa. • Spazio registrazione/segreteria. • Spazio archivio. • Servizi igienici personale. • Servizi igienici pubblico. • Locale assistente sociale.
Ambienti integrativi • Deposito pulito. • Deposito sporco. • Deposito sporco. • Deposito sporco. • Locale per il responsabile.
Arredi Apparecchi igienico-sanitari
• Presidi medico-chirurgici. • Lettino visita. • Armadio per farmaci e strumentario. • Dotazione minima per pronto soccorso medico. • Arredi e attrezzature in relazione ai programmi di trattamento. • Lavabo a comando manuale.
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
H.2.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale visita medica • Pavimenti con superficie lavabile e disinfettabile. • Rivestimenti fino all’altezza di 2,00 m, impermeabili, lavabili, disinfettabili.
➥
. B.7.2IZIONE, E, DEFIN IFICAZIONALI DELLE CLASS ITI GENER ARIE IS IT REQU TURE SAN T STRU
B 255
B.7. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
➦ H. ATTIVITÀ DI TUTELA DELLA SALUTE MENTALE
➦ H.2. CENTRO DI SALUTE MENTALE
H.3.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI Attrezzature
H.2.3.
REQUISITI ORGANIZZATIVI GENERALI Arredi • Attività psichiatrica ambulatoriale e domiciliare: visite specialistiche consulenza e filtro per i ricoveri, programmazione terapeutica. • Servizio specifico di informazione e di assistenza alle famiglie. • Apertura per almeno 12 ore al giorno, per sei giorni la settimana. • Operatori sanitari e altre professionalità in base alla particolare attività terapeutico-riabilitativa svolta.
Apparecchi igienico-sanitari
• Dotazione minima per pronto soccorso medico. • Arredi e attrezzature in relazione ai programmi di trattamento. • Arredi e attrezzature necessari all’attività di supporto e al comfort alberghiero. • Lavabo a comando manuale in medicheria e locale visita medica.
H.3.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI H.3. CENTRO DIURNO PSICHIATRICO Si definisce “Centro diurno” la struttura semiresidenziale con funzioni terapeutico-riabilitative (compreso l’intervento farmacologico) tese a prevenire e contenere il ricovero. H.3.1.
Locale medicheria • Pavimenti con superficie lavabile e disinfettabile. • Rivestimenti fino all’altezza di 2,00 m, impermeabili, lavabili, disinfettabili. H.3.3.
REQUISITI STRUTTURALI AMBIENTALI
• Finalità di prevenzione dei ricoveri e/o contenimento degli stessi • Apertura per almeno 6 ore al giorno, per sei giorni la settimana. • Operatori sanitari e altre professionalità in base alla particolare attività terapeutico-riabilitativa svolta.
H.3.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI Elenco ambienti • Spazio attesa. • Spazio registrazione/segreteria. • Spazio archivio. • Servizi igienici personale. • Servizi igienici pazienti. • Spogliatoio personale. • Locale medicheria. • Locale psicoterapia. • Locale attività socio-riabilitativa. • Spazio per attività motoria. • Locale relax pazienti. • Locale personale. • Cucinetta. • Deposito pulito. • Deposito sporco.
Ambienti integrativi • Deposito farmaci e strumentario • Deposito attrezzature. • Spazio pranzo (eventuale).
H.4. RESIDENZE SANITARIE ASSISTENZIALI PER PAZIENTI PSICHIATRICI Definizione Si definiscono “Residenze sanitarie assistenziali per pazienti psichiatrici” quelle strutture che ospitano pazienti con patologia mentale e che necessitano di interventi terapeutici e/o riabilitativi a medio e lungo termine in regime di residenzialità protetta. H.4.1.
Dotazione camere a 1 posto letto in numero pari al 50% dei posti letto totali. Elenco ambienti • Camera 1 posto letto con w.c. • Camera 2 posti letto con w.c. • Bagno assistito. • Servizi igienici personale e spogliatoio. • Servizi igienici visitatori. • Locale soggiorno. • Locale pranzo. • Locale medicheria. • Locale psicoterapia individuale e di gruppo • Locale attività socio-riabilitativa. • Spazio per attività motoria. • Locale personale. • Cucina. • Deposito pulito. • Deposito sporco. • Deposito farmaci e attrezzature. • Locali per i servizi accessori (dispensa, lavanderia, guardaroba).
Locale medicheria Deve consentire lo svolgimento dell’attività terapeutica specialistica del trattamento psichiatrico secondo le specificazioni richieste; superficie minima non inferiore a 17 mq. Locale visita La superficie minima non deve essere inferiore a 12 mq. REQUISITI TECNOLOGICI
H.3.2.1 RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Caratteristiche igrotermiche Temp. interna invernale Temperatura interna estiva Umidità relativa N. ricambi d’aria/ora
Velocità dell’aria Pressione
REQUISITI STRUTTURALI AMBIENTALI
H.4.1.3 DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI
H.3.1.4 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI
H.3.2.
REQUISITI ORGANIZZATIVI GENERALI
• 20°C ±1°C. • non controllata. • non controllata. • 2 volte/ora (non forzata). • Nel caso di areazione naturale superficie ventilata non inferiore a 1/8 della superficie del pavimento, con apertura a vasistas. • non controllata. • negativa per il deposito sporco.
Ambienti integrativi • Locale relax operatori. • Studio per medici e psicologi. H.4.1.4 RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 200 lux per l’illuminazione generale. Fattore medio luce diurna • 0,03 negli ambulatori, medicheria e simili; • 0,02 in generale in spazi con permanenza persone.
La camera deve garantire • Lo spazio per la sosta e lo spazio per il soggiorno individuale del paziente e la dotazione di servizi igienici annessi. • La superficie minima della camera non deve essere inferiore a 9 mq/posto letto per camere a più letti e 12 mq per camere singole. • Camere con illuminazione naturale.
H.3.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Impianto elettrico
Impianti speciali e vari
B 256
• Impianto di iIluminazione di emergenza. • L’impianto elettrico deve essere conforme alle norme CEI 64-4. • Impianto di rilevazione incendi. • Impianto TV. • Impianto telefono per gli utenti.
H.4.2.
REQUISITI TECNOLOGICI
H.4.2.1. RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Caratteristiche igrotermiche Temp. interna invernale:
• 20°C ±1°C.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
B.7. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII Temperatura interna estiva Umidità relativa N. ricambi d’aria/ora
Velocità dell’aria Pressione
• • • •
non controllata. non controllata. 2 volte/ora (non forzata) Nel caso di areazione naturale superficie ventilata non inferiore a 1/8 della superficie del pavimento, con apertura a vasistas. • non controllata. • negativa per il deposito sporco.
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 150 lux per l’illuminazione generale. Fattore medio luce diurna • 0,03 negli ambulatori, medicheria e simili; • 0,02 in generale in spazi con permanenza persone. H.4.2.2 DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Impianto elettrico
Impianti speciali e vari
H.4.2.3 DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI Locale medicheria Attrezzature e arredi • Arredi e attrezzature in relazione ai programmi di trattamento. • Arredi e attrezzature necessari all’attività di supporto e al comfort alberghiero.
C.RCIZIO
Apparecchi igienico-sanitari • Lavabo a comando manuale in medicheria e locale visita medica.
D.GETTAZIONE
Locale medicheria • Pavimenti con superficie lavabile e disinfettabile. • Rivestimenti fino all’altezza di 2,00 m, impermeabili, lavabili, disinfettabili.
• Impianto di iIluminazione di emergenza. • L’impianto elettrico deve essere conforme alle norme CEI 64-4. • Impianto di rilevazione incendi. • Impianto TV. • Impianto telefono per gli utenti.
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
H.4.2.4 CARATTERISTICHE DEI MATERIALI PER SPECIFICI AMBIENTI
H.4.3.
I ED PRE NISM ORGA
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
REQUISITI ORGANIZZATIVI GENERALI • Capacità ricettiva massima di 20 ospiti. • Per ogni paziente accolto nella RSA va formulato un programma terapeutico-riabilitativo personalizzato che evidenzi gli obiettivi sanitari da perseguire, da concordare possibilmente anche con il paziente e con i suoi familiari. • Operatori sanitari e altre professionalità in base alla particolare attività terapeutico-riabilitativa svolta.
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
I. ATTIVITÀ DI RECUPERO E RIABILITAZIONE FUNZIONALE
Definizione Si definiscono “Attività di recupero e riabilitazione funzionale” quelle svolte in strutture sanitarie che provvedono all’erogazione delle prestazioni dirette al recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali dipendenti da qualunque causa (ex art.26 legge 833/78).
I.1.
REQUISITI STRUTTURALI GENERALI
I.1.3
DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI
Ambienti supplementari per strutture a carattere semiresidenziale • Spazio soggiorno e tempo libero. • Sale pranzo. • Spazio attività didattica, qualificazione e riqualificazione professionale. • Cucinetta. • Locale infermeria. • Spazio guardaroba. • Bagno assistito. • Spogliatoio personale. • Deposito sporco. • Deposito pulito. • Deposito attrezzature.
• L’aggregazione delle residenze deve essere preordinata in unità o moduli operativi da un minimo di 10 posti letto a un massimo di 20 posti letto, per strutture con capienza complessiva fino a 120 posti letto.
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
Ambienti supplementari per strutture che erogano servizi di tipo residenziale • Camere da 1, 2, 3, 4 letti con servizi igienici (max. 6 letti per soggetti in età evolutiva). • Bagno assistito per ogni modulo. • Locali per il servizio religioso. • Cucina dispensa e locali accessori. • Lavanderia e stireria. • Spazi guardaroba. • Mensa personale. • Nel caso di alcuni servizi affidati all’esterno (cucina, lavanderia, mensa) la dotazione degli ambienti può essere ridimensionata. • Deve comunque essere assicurata la funzione di Disinfezione (effetti personali e letterecci) anche tramite gestione affidata all’esterno, e il Servizio farmaceutico, anche attraverso la dotazione minima di armadi/farmaci.
Ambienti comuni a tutte le strutture • Locali di attesa. • Ambulatori (visite specialistiche, valutazioni diagnostico-prognostiche e di verifica attinenti le patologie trattate). • Spazio registrazione/segreteria/archivio. • Servizi igienici pazienti. • Servizi igienici personale. Ambienti specifici attrezzati a seconda del trattamento riabilitativo svolto per: • Chinesiterapia e terapia fisica. • Psicomotricità. • Idrochinesiterapia. • Rieducazione logopedica, audiofonologica e neurolinguistica. • Rieducazione neurologica e neuropsicologica • Rieducazione occupazionale ed ergoterapia. • Rieducazione neurovisiva e ortottica. • Rieducazione cardio-respiratoria. • Rieducazione urologica. • Psicoterapia (individuale e/o di gruppo). • Orientamento psico-pedagogico. • Intervento sociale. • Prescrizione, collaudo e addestramento all’uso di ortesi protesi e ausili.
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
I.1.4.
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI Camere di degenza (per strutture di tipo residenziale) All’interno della camera devono essere garantiti l’accesso e il movimento delle barelle e delle sedie a ruote. Le superfici minime delle camere (bagno escluso) devono essere non inferiori a: • 12 mq per 1 persona. • 18 mq per 2 persone. • 26 mq per 3 persone.
➥
. B.7.2IZIONE, E, DEFIN IFICAZIONALI DELLE CLASS ITI GENER ARIE IS IT REQU TURE SAN T STRU
B 257
B.7. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
➦ I. ATTIVITÀ DI RECUPERO E RIABILITAZIONE FUNZIONALE
➦ I.1.
REQUISITI STRUTTURALI GENERALI
N. ricambi d’aria/ora
• • • • • • •
• 32 mq per 4 persone. • per soggetti fino a 5 anni sono da prevedere 6 mq a posto letto. Se la struttura prevede la permanenza di ospiti con accompagnatore, le camere devono essere adeguatamente predisposte. Tutti i servizi igienici dei pazienti sottoposti a trattamento di recupero e riabilitazione funzionale devono essere conformi ai requisiti della normativa sulle barriere architettoniche.
Velocità dell’aria
• Pressione
I.2.
REQUISITI TECNOLOGICI
I.2.1.
RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE
• • • •
Classe di purezza
Caratteristiche igrotermiche Temperatura interna invernale Temperatura interna estiva Umidità relativa
2 volte/ora per locali degenza. 3 volte/ora per locali ambulatoriali. 5 volte/ora per locale cucina. 4 volte/ora per locali attività motorie. 30 volumi/ora nella zona cottura. 30 mc/ora per locale refettorio. non superiore a 0,15 m/sec. per le degenze. non superiore a 0,20 m/sec. per altri locali. positiva nelle degenze. negativa nei locali di riabilitazione. negativa per i servizi igienici. filtrazione con filtri a media efficienza.
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 200 lux per l’illuminazione generale. • 300 lux locali visita. Fattore medio luce diurna • 0,03 nei locali di visita e trattamento. • 0,02 in generale in spazi con permanenza persone.
• 20°C ±1°C. • non superiore a 28°C per camere di degenza. • 45% ±5%.
FIG. B.7.2./14 CENTRO SOCIO-SANITARIO – SCHEMA DELLE RELAZIONI E DEI FLUSSI FUNZIONALI
A - CENTRO SOCIOSANITARIO - SCHEMA DISPOSITIVO DELLE ATTIVITA' E DELLE RELAZIONI
8
8
8
7
7
7
10B
10A
10B
9
9
9
7
7
7
4 5
5
5
5
3C
12
1 - ACCESSI DEL PUBBLICO (FILTRO) 2 - ACCETTAZIONE, REGISTRAZIONE 3 - AMMINISTRAZIONE: A. SPORTELLI ACCETTAZIONE B. UFFICIO C. ARCHIVIO 4 - ATTESA CENTRALE DEL PUBBLICO 5 - PERCORSO PAZIENTI 6 - SERVIZI IGIENICI PAZIENTI 7 - SUBATTESE 8 - CONSULTAZIONE E VISITA 9 - TRATTAMENTI 10 - ZONA PERSONALE MEDICO E OPERATORI A. ACCESSO OPERATORI B. SERVIZI OPERATORI 12 -CONSULTORIO, ASSISTENZA SOCIALE
6 2
3A
3B
6
1 B - CENTRO SOCIOSANITARIO - SCHEMA FUNZIONALE DI UNA UNITA' MINIMA
11
11
9
8
8
10
10
6
5
4
2
1
B 258
8
6
5
3
8
12
7
1 2 3 4 5 6 7
- ACCESSI DEL PUBBLICO E DEI PAZIENTI - ACCETTAZIONE, REGISTRAZIONE - UFFICIO: SEGRETERIA, ARCHIVIO - ATTESA CENTRALE - SUBATTESE - PERCORSO PAZIENTI - SERVIZI IGIENICI PAZIENTI
8
- CONSULTORI E AMBULATORI: CONSULTORIO MRDICO OSTETRICO E GINECOLOGICO PEDIATRICO CONSULENZA PSICOLOGICA
9 10 11 12
- ACCESSO OPERATORI - SPOGLIATOI OPERATORI - SERVIZI IGIENICI OPERATORI -CONSULTORIO, ASSISTENZA SOCIALE
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE SANITARIE DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE, REQUISITI GENERALI DELLE STRUTTURE SANITARIE
B.7. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I.2.2.
DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Impianto elettrico
Impianti speciali e vari
I.2.3.
Ambienti dei servizi sanitari • Sale visita (proporzionali al numero degli utenti). • Locale chinesiterapia e terapia fisica. • Locale con servizio di podologia. • Locale palestra. • Spogliatoi. • Depositi.
• Impianto di iIluminazione di emergenza. • L’impianto elettrico deve essere conforme alle norme CEI 64-4. • Impianto di rilevazione incendi. • Impianto TV. • Impianto telefono per gli utenti.
Ambienti dei servizi generali (per la struttura complessiva) • Cucina, dispensa, locali accessori. • Lavanderia e stireria. • Spogliatoio personale. • Deposito sporco. • Deposito pulito. • Deposito attrezzature. • Magazzini. • Camera ardente.
DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI Locali di trattamento Attrezzature
Locali di degenza Attrezzature e arredi
• Attrezzature e presidi medico-chirurgici, diagnostici, terapeutici e riabilitativi in relazione ai programmi di trattamento e alla tipologia della struttura. • Arredi e attrezzature necessari all’attività di supporto e al comfort alberghiero, considerate le specifiche esigenze determinate dalle attività di riabilitazione svolte nei diversi settori.
L.1.4.
Definizione Si definiscono “Residenze sanitarie assistenziali” quelle strutture extra-ospedaliere finalizzate a fornire accoglimento, prestazioni sanitarie, assistenziali e di recupero a soggetti non autosufficienti, non curabili a domicilio, con esiti di patologie invalidanti o degenerative.
L.2.1. L.1. L.1.3.
Articolazione della struttura per nuclei o moduli Unità di base • 20÷25 posti letto per anziani non autosufficienti. • 10÷15 posti letto per disabili fisici, psichici e sensoriali. • 3÷6 nuclei max. (con garanzia di idonea Aggregazione dei nuclei separazione) per 60÷120 posti residenziali per anziani non autosufficienti, con previsione interna di 1 modulo da 10÷15 posti letto per dementi. • 2÷3 nuclei max per 20÷45 posti letto complessivi per disabili fisici, psichici e sensoriali. Ambienti dell’area abitativa, per ogni nucleo • Camere da 1, 2, 3, 4 letti con servizi igienici. • Bagno assistito per ogni modulo. • Spazio soggiorno/ gioco/ TV. • Cucinetta. • Saletta pranzo (anche contigua al soggiorno). • Locale controllo personale con servizi igienici. • Sala medica. • Deposito (attrezzature, carrozzelle, materiale di consumo). • Deposito (biancheria sporca, lavapadelle). • Deposito/armadi biancheria pulita. Ambienti dell’area abitativa, ambienti dei servizi di vita collettiva • Ingresso con portineria, posta e telefono. • Ufficio amministrativo. • Spazio registrazione/segreteria/archivio. • Servizi igienici. • Soggiorno polivalente. • Spazio bar (angolo bar). • Mensa. • Locale per attività occupazionale. • Cappella per il culto. • Locale parrucchiere, barbiere, pedicure.
RICHIESTE PRESTAZIONALI GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE
20°C ±1°C. non controllata. non controllata. 2 volte/ora (non forzata).
DOTAZIONI IMPIANTISTICHE GENERALI E INDICAZIONI SPECIFICHE Impianto elettrico
Impianti speciali e vari
• Impianto di iIluminazione di emergenza. • L’impianto elettrico deve essere conforme alle norme CEI 64-4. • Impianto di rilevazione incendi. • Impianto TV. • Impianto telefono per gli utenti.
DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E ARREDI PER SPECIFICI AMBIENTI Apparecchiature igienicosanitarie
L.3.
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE ICHE TECN MA ONENTI, P COM
URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
REQUISITI TECNOLOGICI
Caratteristiche illuminotecniche Intensità luminosa • 200 lux per l’illuminazione generale. Fattore medio luce diurna • 0,03 nei locali ambulatoriali, medicheria e simili. • 0,02 in generale in spazi con permanenza persone.
L.2.3.
PRO TTURALE STRU
G.ANISTICA
Caratteristiche igrotermiche Temperatura interna invernale • Temperatura interna estiva • Umidità relativa • N. ricambi d’aria/ora •
L.2.2.
D.GETTAZIONE
Superficie totale utile funzionale Intera struttura • 40÷45 mq/ospiti. Camere di degenza, superficie minima bagno escluso • per 1 persona 12 mq • per 2 persone 18 mq • per 3 persone 26 mq • per 4 persone 32 mq Servizio igienico • 4 mq (almeno ogni 2 camere e/o ogni 4 ospiti).
REQUISITI STRUTTURALI DOTAZIONE MINIMA DI AMBIENTI
E ESE ESSIONAL PROF
F. TERIALI,
È consigliabile che i servizi igienici dei pazienti siano conformi ai requisiti della normativa sulle barriere architettoniche.
L.2.
C.RCIZIO
RICHIESTE PRESTAZIONALI PER SPECIFICI AMBIENTI
In base alle caratteristiche psicofisiche gli ospiti delle RSA sono: • anziani non autosufficienti; • disabili fisici, psichici, sensoriali.
L. RESIDENZE SANITARIE ASSISTENZIALI
I ED PRE NISM ORGA
• 1 locale con water e bidet. • 1 locale con 2 lavabi (servizio igienico delle camere).
REQUISITI ORGANIZZATIVI GENERALI • Collegamento funzionale con laboratorio di analisi e con servizio di diagnostica per immagini presenti nella struttura territoriale di riferimento. • Personale in termini qualitativi e quantitativi in relazione al livello assistenziale da garantire al grado di non autosufficienza, alla gravità delle patologie. • La presenza sanitaria va assicurata dai medici di medicina generale sotto forma di assistenza a persone non deambulati, con la consulenza dei medici geriatri e/o specialisti della struttura sanitaria di riferimento.
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. B.7.2IZIONE, E, DEFIN IFICAZIONALI DELLE CLASS ITI GENER ARIE IS IT REQU TURE SAN T STRU
B 259
B.8. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI EDILIZIA SCOLASTICA – REQUISITI GENERALI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
UBICAZIONE DELLE STRUTTURE SCOLASTICHE EDILIZIA SCOLASTICA RIFERIMENTI NORMATIVI Legge 26 gennaio 1963 n.47
Norme relative all’edilizia scolastica prefabbricata.
Circolare LLPP 22 maggio 1967 n.3150
Criteri di valutazione e collaudo dei requisiti acustici negli edifici scolastici
Circolare LLPP 22 maggio 1967 n.3151
Criteri di valutazione delle grandezze atte a rappresentare le proprietà termiche, igrometriche, di ventilazione e di illuminazione nelle costruzioni edilizie
Legge 28 luglio 1967 n.641
Nuove norme per l’edilizia scolastica e universitaria e piano finanziario dell’intervento per il quinquennio 1967—1971
1969
Legge 22 dicembre 1969 n.952
Conversione in legge con modificazioni del DL 24 ottobre 1969, n.701, concernente norme integrative e modificative della legge 28 luglio 1967, n.641, sulla edilizia scolastica e universitaria.
1971
Circolare LLPP 1 settembre 1971 n.8149
Criteri di valutazione e collaudo dei requisiti acustici negli edifici scolastici
DM 18 dicembre 1975
Norme tecniche aggiornate relative all’edilizia scolastica, ivi compresi gli indici minimi di funzionalità didattica, edilizia e urbanistica da osservarsi nella esecuzione di opere di edilizia scolastica
1963
1967
1975
1986
Circolare Sanità 10 luglio 1986 n.45
Piano di interventi e misure tecniche per la individuazione ed eliminazione del rischio connesso all’impiego di materiali contenenti amianto in edifici scolastici e ospedalieri pubblici e privati.
1988
Legge 29 ottobre 1988 n.464
Conversione in legge con modificazioni del DL 5 settembre 1988, n.390 concernente disposizioni urgenti in materia di edilizia scolastica.
1992
DM Interno 26 agosto 1992
Norme di prevenzione incendi per l’edilizia scolastica
1994
DLgs 16 aprile 1994 n.297
Approvazione del TU delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado.
Legge 11 gennaio 1996 n.23
Norme per l’edilizia scolastica
DM Pubblica Istruzione 18 aprile 1996
Istituzione dell’Osservatorio per l’edilizia scolastica.
Lettera Circolare Min. Interno 17 maggio 1996 n.P 954/4122 Sott. 32
Norme di prevenzione incendi per l’edilizia scolastica – Chiarimenti sulla larghezza delle porte delle aule didattiche e di esercitazione.
Legge 8 agosto 1996 n.431
Interventi urgenti per l’edilizia scolastica
1996
Lettera Circolare Min. Interno 30 ottobre 1996 n.P2244/4122 Sott. 32
B 260
In sede di pianificazione comunale (PRG, Piani particolareggiati, Piani di lottizzazione convenzionata, Piani di recupero ecc.) e in ogni altro atto rivolto alla individuazione di aree per la costruzione di strutture per l’istruzione di ogni ordine e grado, deve essere ricercata la massima integrazione tra la sede scolastica e il contesto urbano e sociale (la “comunità”) di riferimento. La materia è regolata dal DM 18 dicembre1975, integrato dalle disposizioni del DLgs 16 aprile 1994, n.297, dei quali si richiamano e specificano i contenuti essenziali in tema di integrazione con il contesto urbano e sociale, nel testo che segue e nello schema della pag. seguente. I nuovi edifici scolastici, comprensivi di palestre e di impianti sportivi, devono essere distribuiti sul territorio e progettati in modo da realizzare un sistema a dimensioni e localizzazioni ottimali. In particolare: • Ogni edificio scolastico deve essere configurato come struttura inserita in un contesto urbanistico e sociale che garantisca a tutti gli alunni di formarsi nelle migliori condizioni ambientali ed educative e, compatibilmente con la preminente attività didattica della scuola, consenta la fruibilità dei servizi scolastici, educativi, culturali e sportivi da parte della comunità, secondo il concetto dell’educazione permanente e consenta anche la piena attuazione della partecipazione alla gestione della scuola. • Nella realizzazione di nuove strutture scolastiche si deve tendere ad aggregare più scuole di uno stesso distretto, in modo da costituire “plessi scolastici” che consentano una più articolata e differenziata offerta di servizi e di impianti accessori, assicurando il coordinamento e la migliore utilizzazione delle attrezzature scolastiche e dei servizi, nonché l’interrelazione tra le diverse esperienze educative. • Nella progettazione e realizzazione degli edifici scolastici deve essere ricercata la massima adattabilità per l’attuazione del tempo pieno e lo svolgimento delle attività integrative, in relazione al rinnovamento e aggiornamento delle attività didattiche o di ogni altra attività di tempo prolungato. • Le unità scolastiche di diverso ordine e grado e le loro eventuali aggregazioni devono essere distribuite nel territorio in modo da essere agevolmente accessibili da parte degli scolari, in considerazione delle diverse età, delle diverse possibilità di trasporto e del relativo grado di autonomia di spostamento (v. Tab. B.8.1./1.).
TEMPI DI PERCORRENZA CASA-SCUOLA A norma del citato DM 18 dicembre 1975, per quanto riguarda i tempi e modi di percorrenza in relazione al tipo di scuola e all’età degli alunni, va considerato quanto segue: a) la scuola materna è strettamente collegata alla morfologia residenziale e gli alunni non sono autonomi nella percorrenza dalla residenza alla scuola e viceversa; b) la scuola elementare si riferisce a un ambito residenziale, che, nella normalità dei casi, consente di raggiungerla a piedi; per gli insediamenti sparsi, ove non sussistano condizioni di eccezionalità (mancanza di strade adeguate, insufficienza di mezzi di trasporto, condizioni climatiche stagionali avverse per lunghi periodi di tempo ecc.) gli alunni, per raggiungere la scuola, possono usufruire di mezzi di trasporto scolastico o di mezzi pubblici o privati; c) la scuola secondaria di primo grado (media), sia che si riferisca allo stesso ambito residenziale della scuola elementare o, come talora avviene, a zona più vasta, è frequentata da alunni più autonomi nel percorrere la distanza residenzascuola, e maggiormente adatti a usufruire di mezzi di trasporto;
DM Interno 17 dicembre 1996
Modalità per la definizione dei rapporti derivanti dal trasferimento dai comuni alle province, ai sensi della legge 11 gennaio 1996, n.23, di immobili di nuova costruzione o soggetti a interventi di ristrutturazione, ampliamento o adeguamento destinati a uso scolastico.
d) la scuola secondaria di secondo grado può essere raggiunta con mezzi di trasporto scolastici o autonomi, pubblici o privati, e, appartenendo a un ambito territoriale, deve essere localizzata in modo da permettere agli alunni, indipendentemente dalle loro condizioni economiche e sociali, la più ampia scelta tra i vari tipi che la differenziano; a tale scopo possono essere riunite in un unico centro scolastico scuole di diverso tipo, con servizi e attrezzature comuni, e, nei casi espressamente previsti, con annessa residenza per allievi e professori.
Direttiva N.133/1996
Regolamento emesso con DPR 567/1996
DPCM 5 dicembre 1997
Determinazione dei requisiti acustici passivi degli edifici.
Legge 2 ottobre 1997 n.340
Norme in materia di organizzazione scolastica e di edilizia scolastica.
DM Pubblica Istruzione 29 settembre 1998 n.382.
Regolamento recante norme per l’individuazione delle particolari esigenze negli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado, ai fini delle norme contenute nel DLgs 19 settembre 1994, n.626, e successive modifiche e integrazioni
Quando la scuola è raggiungibile a piedi, il percorso casa-scuola deve essere agevole ed effettuabile nelle condizioni di massima sicurezza e, possibilmente senza attraversamenti di linee di traffico (stradale, tranviario, ferroviario ecc.); quando gli alunni provengono da un più vasto ambito territoriale, l’ubicazione deve essere tale da garantire, nelle condizioni di massima sicurezza, un rapido collegamento tra la scuola e il territorio servito: si deve, pertanto, tener conto della vicinanza e della agevole raggiungibilità di nodi di traffico (stazioni ferroviarie, di metropolitana, di autobus, svincoli autostradali ecc.) e di linee di comunicazione. Le distanze e i tempi di percorrenza massimi, in relazione ai modi di percorrenza e ai tipi di scuola, sono prescritti nella Tab. B.8.1./1. Onde evitare un eccessivo frazionamento delle attrezzature scolastiche, inopportuno sotto il profilo didattico ed economico, si ammette la possibilità di deroga purché l’ente obbligato istituzionalizzi e gestisca un servizio di trasporto gratuito per gli alunni della scuola materna e della scuola dell’obbligo.
1997
1998
RELAZIONI CON IL CONTESTO
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE EDILIZIA SCOLASTICA – REQUISITI GENERALI
B.8. 1. A.ZIONI
INTEGRAZIONE DI STRUTTURE PER LA PRATICA DI ATTIVITÀ SPORTIVE E “COMPLESSI MULTIFUNZIONE” • Le singole unità scolastiche e/o loro aggregazioni devono essere integrate da strutture per la pratica di attività sportive polivalenti al chiuso (palestre) e all’aperto, secondo le Norme tecniche stabilite d’intesa dal Min. della pubblica istruzione e dal Ministero del turismo e dello spettacolo (1987); “sono privilegiati i progetti volti a realizzare impianti sportivi polivalenti di uso comune a più scuole e aperti alle attività sportive delle comunità locali e delle altre formazioni sociali operanti nel territorio”. • Si deve tendere, in generale, a costituire complessi multifunzione che aggreghino a quelle proprie dell’istruzione, altre attività “che realizzino la funzione della scuola come centro di promozione culturale, sociale e civile; il comune o la provincia hanno facoltà di disporne la temporanea concessione, previo assenso dei consigli di circolo o di istituto, nel rispetto dei criteri stabiliti dal consiglio scolastico provinciale”.
REQUISITI IGIENICI E AMBIENTALI RELATIVI ALL’UBICAZIONE DELLE STRUTTURE SCOLASTICHE Per quanto riguarda le condizioni ambientali, la scuola dovrà essere ubicatain località aperta, possibilmente alberata e ricca di verde, che consenta il massimo soleggiamento o che sia, comunque, una delle migliori in rapporto al luogo. Le aree sulle quali sorgono gli edifici scolastici devono essere ubicate a un’adeguata
distanza da attività e attrezzature che possano arrecare danno o disagio per l’ordinato svolgimento delle attività didattiche e per la salute degli utenti. In particolare, deve essere evitata: • la propinquità di aree insalubri, di acque stagnanti, di depositi e scoli di materie di rifiuto, di cimiteri; • la propinquità di attività che producono emissioni nocive o comunque sgradevoli, come fumi, esalazioni gassose e simili; • la propinquità di fonti di rumore (inquinamento acustico) come insediamenti industriali, strade di grande traffico, ferrovia, aereoporti e simili; per assicurare il tranquillo e sereno svolgimento delle attività scolastiche è buona norma disporre in ogni caso intorno all’edificio scolastico sistemi e formazioni vegetali (filari, boschetti) anche con funzione di barriera antirumore e frangivento.
Premesso che la scuola deve disporre di un minimo di servizi e di attrezzature affinché il processo educativo sia efficiente, la dimensione ottimale di un edificio scolastico è in funzione: a. di quanto detto nel punto 1.0; b. della necessità di assicurare che i raggruppamenti di alunni in relazione all’età, al grado e al tipo di scuola frequentata risultino socialmente educativi; c. dei programmi che, per ogni tipo di scuola, determinano la quantità e la qualità dei servizi e delle attrezzature necessarie; d. del grado di utilizzazione dei servizi e delle attrezzature, che deve tendere a essere massimo, compatibilmente con le esigenze di una razionale organizzazione dei movimenti degli alunni; e. della possibilità di disporre di locali utilizzabili anche per le funzioni degli organi previsti dai decreti delegati, per l’educazione permanente, per la sperimentazione didattica; f. all’opportunità, nella programmazione degli interventi, di porre particolare attenzione nella scelta delle dimensioni dei vari tipi di scuole, preferendo quelle che, a parità di altre condizioni, presentino il più basso rapporto superficie-alunno.
a) deve essere generalmente di forma regolare e possibilmente pianeggiante; qualora non siano disponibili suoli di tali caratteristiche l’ampiezza minima (di cui al punto seguente) dovrà essere congruamente aumentata; b) non deve insistere su terreni umidi o soggetti a infiltrazioni o ristagni e non deve ricadere in zone franose o potenzialmente tali; inoltre le caratteristiche meccaniche devono essere tali da non esigere fondazioni speciali che possano incidere eccessivamente sul costo totale della costruzione; c) quando non sia possibile reperire aree che presentino i requisiti e le caratteristiche di cui al punto precedente, la commissione provinciale prevista dall’art.10 della
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
• evitare l’incidenza diretta dell’irraggiamento solare e il verificarsi di fenomeni di abbagliamento;
F. TERIALI,
• evitare l’incidenza diretta dei venti dominanti.
I criteri e i dati limite di dimensionamento vengono specificati nei paragrafi dedicati alle singole tipologie relative ai diversi gradi di istruzione. Sinteticamente, le dimensioni minima e massima dell’edificio scolastico per ogni tipo di scuola sono così indicate: Scuola materna Tenuto conto dell’antieconomicità e dell’inopportunità degli edifici di una o due sezioni, si deve evitare, per quanto possibile, di realizzare edifici di dimensioni inferiori alle tre sezioni, assicurando contemporaneamente, ove necessario. Dal punto di vista didattico e logistico è opportuno prevedere, laddove possibile, edifici contigui per scuole materne ed elementari. La dimensione massima è fissata in nove sezioni. Scuola elementare Con criteri analoghi a quelli indicati per la scuola materna, la dimensione minima è fissata in 5 classi e quella massima in 25 classi. Scuola media La dimensione minima è fissata in 6 classi e quella massima in 24 classi. Scuole secondarie superiori Tenuto conto dell’entrata in vigore della riforma della scuola secondaria e dell’opportunità di concentrare istituti superiori di vario tipo in centri polivalenti, la cui dimensione massima globale va relazionata alle condizioni del traffico e alle reti di trasporti pubblici inerenti alle zone servite: la dimensione minima è di 10 classi (250 alunni) e quella massima di 60 classi (1500 alunni).
legge 5 agosto 1975, n.412, prima di pronunciarsi, potrà richiedere che siano svolte le necessarie indagini geologiche e geotecniche e che sia sentito, eventualmente, il parere di esperti, per la programmazione di necessarie opere di consolidamento, sistemazione e fondazione, da attuare nel rispetto delle istruzioni riportate nella circolare del Min. dei lavori pubblici n.3797 del 6 novembre 1967;
CARATTERISTICHE GENERALI DELL’AREA Oltre ad avere tutti i requisiti generali, di cui ai capitoli precedenti, l’area deve avere le seguenti caratteristiche specifiche:
I ED PRE NISM ORGA
E.NTROLLO
REQUISITI DELL’AREA DESTINATA ALLA COSTRUZIONE DI EDIFICI SCOLASTICI Le caratteristiche generali e l’ampiezza dell’area da destinare alla costruzione di edifici scolastici sono fissate al punto 2 delle “Norme Tecniche” specificate dal DM 18 dicembre 1975, che qui si richiamano.
B.STAZIONI DILEGIZLII
Per quanto attiene all’orientamento degli edifici scolastici, sono considerate ottimali le soluzioni che aprono verso nord-ovest e sud-est gli ambienti che contemplano una permanenza prolungata degli scolari, come le aule, i laboratori e simili; in ogni caso la disposizione degli ambienti destinati alle attività didattiche devono essere disposte e aperte verso l’esterno in modo da:
CRITERI GENERALI PER IL DIMENSIONAMENTO DELLE STRUTTURE SCOLASTICHE In riferimento al punto 1.2.1. delle “Norme tecniche” specificate dal DM 18 dicembre 1975, si richiamano i criteri generali di dimensionamento per l’edilizia scolastica.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
d) deve avere accessi sufficientemente comodi e ampi muniti di tutte le opere stradali che assicurino una perfetta viabilità; e) deve consentire, l’arretramento dell’ingresso principale rispetto al filo stradale in modo da offrire sufficiente sicurezza all’uscita degli alunni;
CO NTALE AMBIE ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
f) non deve avere accessi diretti da strade statali e provinciali. L’area non coperta dagli edifici deve essere congruamente alberata, sistemata a verde, e attrezzata per consentire un permanente svolgimento, anche all’aperto, delle attività educative e ginnico-sportive; la sistemazione, prevista in sede di progetto, dovrà essere tale da consentire una sua facile e idonea manutenzione. Le caratteristiche di ampiezza dovranno risultare da appositi atti istruttori in sede di approvazione dei piani urbanistici, mentre i requisiti geotecnici potranno risultare in sede di approvazione dei piani di esecuzione.
– . TICA B.8.1IA SCOLAS ALI R IZ E IL EN ED ISITI G REQU
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B.8. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI EDILIZIA SCOLASTICA – REQUISITI GENERALI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
➦ REQUISITI DELL’AREA DESTINATA ALLA COSTRUZIONE DI EDIFICI SCOLASTICI AMPIEZZA DELL’AREA L’ampiezza dell’area dovrà essere tale da garantire, per ogni tipo di scuola e in funzione dei programmi didattici: a) la costruzione dell’edificio nel rispetto delle esigenze espresse dal DM 18 dicembre 1975 (qui richiamato); b) le successive trasformazioni e ampliamenti dell’edificio che dovessero rendersi necessarie al fine di adeguarlo a ulteriori esigenze di ordine didattico; c) la realizzazione degli spazi all’aperto previsti dal DM 18 dicembre 1975 (qui richiamato).
L’ampiezza minima, che ogni area deve avere, è prescritta nella Tab. B.8.1./2., salvo che, qualora ricorrano eccezionali motivi, non sia diversamente prescritto in sede di approvazione dei piani urbanistici. L’area coperta dagli edifici non deve essere superiore alla terza parte dell’area totale. Il rapporto tra l’area dei parcheggi e il volume dell’edificio di cui all’art.18 della legge 6 agosto 1967, n.765, deve essere non inferiore a 1 mq su ogni 20 mc di costruzione. Il volume complessivo della costruzione si determina sommando, al netto delle murature, i volumi delle aule normali e speciali (esclusi i laboratori e gli uffici), dell’auditorio, della sala riunioni, della biblioteca, della palestra e dell’alloggio del custode.
REQUISITI GENERALI DELLE OPERE RELATIVE ALLA COSTRUZIONE DI EDIFICI Le caratteristiche e i requisiti generali che devono possedere le opere relative alla costruzione di edifici scolastici sono fissate al punto 3 delle “Norme Tecniche” specificate dal DM 18 dicembre 1975, che qui si richiamano.
CARATTERISTICHE DELL’OPERA IN GENERALE Ogni progetto dovrà prevedere la realizzazione dell’edificio o complesso scolastico, completo dell’indicazione di tutti gli impianti, servizi e arredi, nonché della sistemazione dell’area. In relazione al tipo di scuola e al numero di alunni e di servizi e di classi, e alle reciproche integrazioni, determinate in base ai capitoli precedenti, i progetti dovranno prevedere tutti i locali e spazi necessari: a) per lo svolgimento dei programmi didattici e delle attività parascolastiche; b) per lo svolgimento dei programmi di insegnamento della educazione fisica e sportiva; c) per le attività di medicina scolastica a norma del DPR 22 dicembre 1967, n.1518; d) per l’alloggio del custode quando sia riconosciuto necessario dall’ente obbligato, sentito il parere del provveditore agli studi; e) per la mensa scolastica, quando non sia possibile assicurare diversamente tale servizio se indispensabile. Per quanto riguarda la morfologia dell’edificio, si richiede quanto segue: a) l’edificio, qualunque sia l’età degli alunni e il programma didattico, sarà concepito come un organismo architettonico omogeneo e non come una semplice addizione di elementi spaziali, contribuendo così allo sviluppo della sensibilità dell’allievo e diventando esso stesso strumento di comunicazione e quindi di conoscenza per chi lo usa; b) la disposizione, la forma, la dimensione e le interrelazioni degli spazi scolastici saranno concepiti in funzione: • dell’età e del numero degli alunni che ne usufruiscono, nonché delle attività che ci si svolgono; • delle unità pedagogiche determinate dai tipi di insegnamento e dai metodi pedagogici, e formate sia dal singolo alunno, come unità fondamentale, che da gruppi più o meno numerosi, fino a comprendere l’intera comunità scolastica; • della utilizzazione ottimale degli spazi previsti (superfici costruite) e dei sussidi didattici, compresi gli audiovisivi; c) L’organismo architettonico della scuola, per l’introduzione nei metodi didattici di attività varie e variabili in un arco temporale definito (un giorno, una settimana ecc.), deve essere tale da consentire la massima flessibilità dei vari spazi scolastici, anche allo scopo di contenere i costi di costruzione;
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l’individuazione delle parti flessibili deve corrispondere, peraltro, alla individuazione di parti ben definite (fisse), quali, ad esempio, gli spazi per le attività speciali (scienze, fisica, chimica ecc.): auditorio, palestra ecc. Per realizzare la flessibilità, che interessa anche le differenti dimensioni dei gruppi di allievi durante la giornata si adotteranno i più moderni accorgimenti atti a suddividere lo spazio mediante pareti o porte scorrevoli e arredi trasportabili; d) inoltre, per il continuo aggiornarsi e trasformarsi dei metodi didattici, l’organismo architettonico deve essere trasformabile nel tempo senza costosi adattamenti. A tale scopo si dovrà prevedere, ad esempio, l’eventuale rimozione delle pareti interne delimitanti l’attuale spazio per l’unità pedagogica (aula), senza che debbano essere ripristinati pavimenti e soffitti e senza una complessa trasformazione degli impianti tecnici. L’edificio deve essere progettato in modo che gli allievi possano agevolmente usufruire, attraverso gli spazi per la distribuzione orizzontale e verticale, di tutti gli ambienti della scuola, nelle loro interazioni e articolazioni e, inoltre, raggiungere le zone all’aperto. Ciò comporta che le attività educative si svolgano: a) per la scuola materna, a diretto contatto con il terreno di gioco e di attività all’aperto; b) per la scuola elementare e media, normalmente, su uno o due piani e, qualora il comune, previo parere del provveditore agli studi, sentito il consiglio di distretto ove costituito, lo ritenga inevitabile, su più di due piani; c) per la scuola secondaria di secondo grado, normalmente su tre piani e, qualora l’ente obbligato, previo parere del provveditore agli studi, sentito il consiglio di distretto ove costituito, lo ritenga necessario, su più piani. In funzione delle caratteristiche morfologiche dell’insediamento, o quanto previsto in sede di piani regolatori generali e particolareggiati, o di altri definiti strumenti urbanistici, è consentito collocare l’organismo scolastico su strutture edilizie non di uso scolastico, o comunque sollevate dal suolo. In tal caso gli accessi alla scuola dovranno essere indipendenti e i collegamenti verticali, necessari per raggiungere i piani adibiti a scuola, dovranno essere meccanici a uso esclusivo della scuola ed essere dimensionati in funzione degli effettivi scolastici. Dovrà, in ogni caso, essere garantito lo svolgimento delle attività ginnico-sportive, anche in zone adiacenti, o limitrofe, e quelle relative alla vita all’aperto, in zone o terrazze praticabili opportunamente sistemate e protette, strettamente adiacenti alla scuola. Sarà consentito ubicare in piani seminterrati solamente locali di deposito e per la centrale termica o elettrica; non saranno considerati piani seminterrati quelli la cui metà del perimetro di base sia completamente fuori terra. L’edificio scolastico dovrà essere tale da assicurare una sua utilizzazione anche da parte degli alunni in stato di minorazione fisica.
A tale scopo saranno da osservarsi le norme emanate dal servizio tecnico centrale del Min. dei lavori pubblici, contenute nella circolare n.4809 del 19 giugno 1968, con gli adattamenti imposti dal particolare tipo di edificio cui le presenti norme si riferiscono e indicati nei capitoli che seguono, relativamente agli spazi per la e per i servizi igienico-sanitari. I valori di illuminamento dipendono anche dalla posizione dell’edificio scolastico rispetto ad altri circostanti o prospicienti che potrebbero limitare il flusso luminoso proveniente dalla volta celeste: per tale ragione non sono ammessi cortili chiusi o aperti nei quali si affacciano spazi a uso didattico senza una precisa e motivata ragione che giustifichi la loro funzione nella configurazione dell’organismo architettonico, e che dimostri, attraverso il calcolo, il rispetto delle presenti norme per la parte riguardante le condizioni dell’illuminazione. Sono invece consentiti piccoli patii, negli edifici a uno o a due piani. Per analoga ragione la distanza libera tra le pareti contenenti le finestre degli spazi a uso didattico e le pareti opposte di altri edifici, o di altre parti di edificio, dovrà essere almeno pari ai 4/3 dell’altezza del corpo di fabbrica prospiciente; tale distanza non dovrà, comunque, essere inferiore a 12 m. La distanza libera dovrà risultare anche se gli edifici prospicienti siano costruiti, o potranno essere costruiti, in osservanza di regolamenti edilizi locali all’esterno dell’area della scuola. I parametri dimensionali e di superficie, nonché il numero dei locali, dipendono dalle caratteristiche degli stessi, dai programmi e dal grado di utilizzazione dei servizi e delle attrezzature. Nella Tab. B.8.1./3, sono indicati i valori delle superfici globali lorde per i vari tipi di scuole. Tali valori, come del resto viene sottolineato in nota alla stessa tabella, sono orientativi e sono presentati allo scopo di facilitare una prima valutazione in sede di programmazione. Da tali valori risultano pertanto escluse le superfici relative a richieste eventuali quali: l’alloggio del custode, l’alloggio per l’insegnante o gli uffici per le direzioni didattiche (per determinati tipi di scuole elementari), le palestre del tipo B in scuole elementari o medie. Nella Tab. B.8.1./4, sono prescritte le altezze (nette) standard di piano. Nelle Tab. B.8.1./5-12, sono prescritti gli indici standard di superficie, e il loro eventuale grado di variabilità, articolati per categorie di attività: a. per attività didattiche (aule normali e, a seconda del grado della scuola, spazi per attività interciclo, aule speciali, laboratori ecc.); b. per attività collettive (biblioteca, mensa, spazi per attività integrative e parascolastiche); c. per attività complementari alle attività precedenti (uffici, servizi igienici, atrio, percorsi interni). Sono inoltre prescritti gli standard dimensionali relativi: • agli spazi per attività sportive, espressi in termini di valori unitari corrispondenti a unità funzionali ripetibili costituite da spazio palestra, spogliatoi, servizi, depositi e locali per la visita medica; • all’abitazione del custode ove richiesta; • alla direzione didattica per le scuole elementari ove richiesta.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE EDILIZIA SCOLASTICA – REQUISITI GENERALI
B.8. 1. A.ZIONI
REQUISITI DI SICUREZZA CONTRO GLI INCENDI DEGLI EDIFICI SCOLASTICI Le norme generali relative alla sicurezza contro il fuoco delle strutture scolastiche sono fissate dal DM Interno 26 agosto 1992, Norme di prevenzione incendi per l’edilizia scolastica, che si riporta integralmente nel seguente capitolo: “Prevenzione incendi per l’edilizia scolastica”.
CARATTERISTICHE DEGLI SPAZI RELATIVI ALL’UNITÀ PEDAGOGICA La classe costituisce il raggruppamento convenzionale previsto dai programmi vigenti per ogni tipo di scuola, a eccezione della scuola materna che è organizzata in sezioni. Tale raggruppamento convenzionale tende a trasformarsi in altri raggruppamenti, determinati non solo in base alla età, ma anche in funzione delle attitudini e degli interessi di ciascun alunno, sia per quanto concerne le attività programmate che quelle libere. Ne consegue che lo spazio tradizionalmente chiamato “aula", destinato oggi a ospitare la classe, già organizzata per attività, dovrà in futuro consentire l’applicarsi di nuove articolazioni di programmi e la formazione di nuove unità pedagogiche. Ciò premesso, lo spazio destinato all’unità pedagogica deve essere concepito in funzione del tipo di scuola (che determina quale parte di attività didattica vi si deve svolgere) e del conseguente grado di generalità o di specializzazione dell’insegnamento. Inoltre quale che sia il tipo di scuola: a) deve consentire lo svolgersi completo o parziale (ai livelli di informazione, di progetto, di verifica, di comunicazione) delle materie di programma da parte degli allievi, sia individualmente, sia organizzati in gruppi variamente articolati; b) deve poter accogliere nel suo ambito tutti quegli arredi e attrezzature per il lavoro individuale, o di gruppo, necessari oggi o prevedibili in futuro, in conseguenza di quanto detto (arredi mobili e combinabili, attrezzature audiovisive, lavagne luminose, laboratori linguistici o macchine per insegnare, impianti di televisione a circuito chiuso ecc.); c) lo spazio dell’aula è complementare rispetto all’intero spazio della scuola, in quanto esaurisce solo una parte delle attività scolastiche e parascolastiche. Esso, pertanto, non può costituire elemento base da ripetere in serie lungo un corridoio di disimpegno, ma dovrà, quanto più possibile, integrarsi spazialmente con gli altri ambienti, sia direttamente, sia attraverso gli spazi per la distribuzione. La specificazione dei requisiti prescritti per le unità pedagogiche relative alle scuole di diverso grado sono riportate nei capitoli a esse destinati: • • • •
B.8.2. Scuole materne; B.8.3. Scuole elementari; B.8.4. Scule superiori di primo grado (medie); B.8.5. Scuole superiori di secondo grado (Licei, Istituti tecnici).
CARATTERISTICHE DEGLI SPAZI RELATIVI ALL’INSEGNAMENTO SPECIALIZZATO Tenendo conto di quanto detto ai precedenti punti, occorre ulteriormente specificare che lo spazio per l’insegnamento specializzato, di esclusivo uso della scuola secondaria di primo e secondo grado, deve ospitare attività didattiche che sono ben caratterizzate e definite per tipi di scuole e di insegnamento, e che possono essere poste in correlazione sia per particolari esigenze didattiche, riguardanti singole operazioni, nell’ambito di singole attività, sia per esigenze di coordinamento tra le attività stesse.
Tali attività sono: • attività scientifiche; • attività tecniche; • attività artistiche. A tali attività corrispondono altrettanti spazi che, a seconda dei tipi di scuola, possono essere in correlazione tra loro o subire ulteriori specializzazioni per le singole attività. Inoltre gli spazi destinati all’insegnamento specializzato per ogni tipo di scuola debbono: a) essere tali da permettere, nel loro interno, un facile svolgimento di ogni materia di programma ai livelli di informazione, progettazione, verifica, comunicazione, ai quali corrispondono spazi particolari variamente specializzati, sia per il lavoro individualizzato, sia per l’attività di gruppo; b) essere tali da accogliere le attrezzature e gli arredi specializzati necessari per ogni attività, in modo da consentire una loro facile rimozione e sostituzione, qualora la evoluzione della tecnologia e dei metodi di insegnamento lo rendessero necessario; c) essere corredati di locali e spazi accessori (studi per gli insegnamenti, spazi di preparazione, magazzini, ripostigli ecc.), necessari per lo svolgimento dei programmi di insegnamento; ove la dimensione dell’istituto richieda, per lo stesso insegnamento, due aule speciali, tali spazi saranno comuni a entrambe le aule e avranno da queste uguale accesso diretto; d) essere corredati di necessari impianti di adduzione (gas, elettricità, acqua) e di scarico. La specificazione dei requisiti prescritti per gli spazi relativi all’insegnamento specializzato relativi alle scuole di diverso grado sono riportate nei capitoli a esse destinati: • B.8.3. Scuole Elementari; • B.8.4. Scuole superiori di primo grado (medie); • B.8.5. Scuole superiori di secondo grado (Licei, Istituti tecnici).
CARATTERISTICHE DEGLI SPAZI RELATIVI A LABORATORI E OFFICINE Nelle scuole secondarie di secondo grado, le caratteristiche dei laboratori o delle officine, qualora siano richiesti, saranno precisate di volta in volta dal capo dell’istituto.
CARATTERISTICHE DEGLI SPAZI RELATIVI ALLA COMUNICAZIONE, ALLA INFORMAZIONE E ALLE ATTIVITÀ PARASCOLASTICHE E INTEGRATIVE Questi spazi comprendono, come nuclei fondamentali, la biblioteca e l’auditorio, in cui tutte le attività della scuola, sia didattiche o parascolastiche, sia associative, trovano un momento di sintesi globale. Essi inoltre, pur garantendo lo svolgimento delle specifiche funzioni, debbono essere tali da integrarsi, visivamente e spazialmente, con tutto l’organismo scolastico. La specificazione dei requisiti prescritti per gli spazi relativi alla comunicazione e informazione e alle attività integrative e parascolastiche relativi alle scuole di diverso grado sono riportate nei capitoli a esse destinati: • B.8.3. Scuole elementari • B.8.4. Scule superiori di primo grado (medie) • B.8.5. Scuole superiori di secondo grado (Licei, Istituti tecnici).
CARATTERISTICHE DEGLI SPAZI PER L’EDUCAZIONE FISICA E SPORTIVA E PER IL SERVIZIO SANITARIO Tale categoria di spazi dovrà presentare caratteristiche e requisiti strettamente correlati al livello scolastico per cui vengono realizzate, anche al fine di evitare sotto-utilizzazioni.
La specificazione dei requisiti relativi agli spazi per l’educazione fisica e sportiva è riportata in:
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• B.8.7. Attività fisiche e sportive
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CARATTERISTICHE DEGLI SPAZI PER L’AMMINISTRAZIONE Il nucleo per la direzione e l’amministrazione della scuola, presente nelle scuole elementari, quando vi sia direzione didattica, e in ogni scuola secondaria, dovrà essere ubicato possibilmente al piano terreno e comprenderà: a) l’ufficio del preside (o del direttore), con annessa sala di aspetto, ubicato in posizione possibilmente baricentrica; b) uno o più locali per la segreteria e l’archivio; la segreteria dovrà permettere un contatto con il pubblico attraverso banconi od altro; c) sala per gli insegnanti, atta a contenere anche gli scaffali dei docenti, e a consentire le riunioni del consiglio d’istituto; d) servizi igienici e spogliatoio per la presidenza e per gli insegnanti.
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F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
CARATTERISTICHE DEGLI SPAZI PER LA MENSA La specificazione dei requisiti relativi agli spazi per la mensa è riportata in: • B.8.6. Attività complementari: Mense e cucine.
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
CARATTERISTICHE DEGLI SPAZI PER LA DISTRIBUZIONE In ogni tipo di scuola gli spazi per la distribuzione dovranno assumere la funzione sia di collegamento tra tutti quegli spazi e locali dell’edificio che, per la loro attività, non possono essere interdipendenti nei riguardi dell’accesso, che di tessuto connettivo e interattivo, visivo e spaziale, di tutto l’organismo architettonico (ad esempio: con l’affaccio continuo verso gli spazi posti a diverso livello, con l’integrazione di parti dell’organismo, con il considerare la scala non solamente come mezzo per passare da un piano all’altro, ma come strumento di mediazione spaziale ecc.); essi debbono consentire, nelle varie articolazioni, rapporti di scambio non formalizzati tra tutti i fruitori della scuola e permettere la collocazione di arredi e attrezzature particolari, quali vetrine, arredi per collezioni, arredi mobili, posti di lavoro individuali. La distribuzione verticale in edifici a più piani dovrà essere assicurata da almeno una scala normale e da una scala di sicurezza, posta all’esterno dell’edificio. Ai fini del flusso degli alunni, le scale devono: • essere in numero tale da consentire che ciascuna scala esclusa quella di sicurezza, serva di regola a non più di 10 aule per ogni piano al di sopra del piano terreno; • avere la larghezza della rampa pari a 0,5 cm per ogni allievo che ne usufruisce e comunque non inferiore a 1,20 m e non superiore a 2 m;
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
• avere i ripiani di larghezza pari a circa una volta e un quarto quella delle rampe medesime; • avere i gradini di forma rettangolare di altezza non superiore a 16 cm e di pedata non inferiore a 30 cm; • essere previste con ogni possibile accorgimento al fine di evitare incidenti.
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B.8. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI EDILIZIA SCOLASTICA – REQUISITI GENERALI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
➦ REQUISITI GENERALI DELLE OPERE RELATIVE ALLA COSTRUZIONE DI EDIFICI ➦ CARATTERISTICHE DEGLI SPAZI PER LA DISTRIBUZIONE Allo scopo di assicurare anche ai minorati fisici l’uso indiscriminato dei locali scolastici, le scuole con più di un piano dovranno essere munite di ascensore tale da poter contenere una sedia a ruote e un accompagnatore, nel rispetto delle norme ENPI. L’adozione di rampe prevista dalla circolare del Min. dei lavori pubblici n.4809 del 19 giugno 1968, è in tal caso, facoltativa. Qualora gli spazi per la distribuzione orizzontale assumano l’aspetto di corridoi di disimpegno di locali a uso degli allievi, essi dovranno avere larghezza non inferiore a 2 m; nel caso che in essi siano ubicati gli spogliatoi, la larghezza dovrà essere non inferiore a 2,50 m.
CARATTERISTICHE DEGLI SPAZI PER I SERVIZI IGIENICO-SANITARI E PER GLI SPOGLIATOI SERVIZI IGIENICO-SANITARI Debbono avere le seguenti caratteristiche: a) il numero di vasi per gli alunni dovrà essere di 3 per ogni sezione per le scuole materne e di 1 per classe per gli altri tipi di scuole, oltre alcuni vasi supplementari per servire gli spazi lontani dalle aule. Il locale che contiene le latrine e le antilatrine deve essere illuminato e aerato direttamente; possono essere installati efficienti impianti di aerazione e ventilazione in sostituzione dell’aerazione diretta nell’antilatrina;
b) le latrine debbono: • essere separate per sesso, salvo che per la scuola materna; • essere protette dai raggi diretti del sole, specie nelle regioni più calde; • essere costituite da box, le cui pareti divisorie siano alte, salvo che per la scuola materna, non meno di 2,10 m e non più di 2,30 m; • avere le porte apribili verso l’esterno della latrina, sollevate dal pavimento e munite di chiusura dall’interno, salvo che per la scuola materna, tale però che si possano aprire dall’esterno, in caso di emergenza; • avere impianti col sistema a caduta d’acqua con cassetta di lavaggio o altro tipo equivalente, purché dotato di scarico automatico o comandato; • avere le colonne di scarico munite di canne di ventilazione, prolungate al di sopra della copertura; • avere le colonne di scarichi dei servizi igienici dimensionati in relazione agli apparecchi utilizzati, con possibilità di ispezioni immediate; • avere, preferibilmente, vasi del tipo misto a tazza allungata (a barchetta) e con poggiapiedi per essere usati anche alla turca; e dotati, inoltre, al piede della colonna di scarico, di un pozzetto formante chiusura idraulica; c) nel locale che contiene le latrine, se destinato ai maschi, saranno di norma collocati anche gli orinatoi, con opportuna schermatura tra l’uno e l’altro. I lavabi e gli eventuali lavapiedi debbono essere ad acqua grondante.
Le fontanelle per bere, ubicate nei punti più accessibili, o nell’antilatrina, debbono essere dotati di acqua sicuramente potabile, erogata a getto parabolico; d) il locale latrine dovrà essere munito, sul pavimento, di un chiusino di scarico a sifone, ispezionabile e di una presa d’acqua con rubinetto portagomma per l’attacco di una lancia per l’effetto di acqua; e) le docce possono essere, tutte o in parte, ubicate nel nucleo dei servizi igienico-sanitari della palestra; esse debbono essere singole e munite di antidoccia singolo per i vestiti e per l’asciugamano. Esse debbono essere del tipo col piatto a vaschetta e inoltre l’erogazione dell’acqua deve avvenire, previa miscelazione automatica e regolabile, tra calda e fredda, attraverso un soffione inclinato collocato in modo da investire non la testa, ma le spalle dell’allievo, che possa servire anche per il solo lavaggio dei piedi. In relazione alla norma di cui al punto 2.3.3 (locali igienici) della circolare del Min. dei lavori pubblici n.4809 del 19 giugno 1968, ogni scuola dovrà essere dotata di un gabinetto per piano avente le dimensioni minime di 1,80 x 1,80 m, attrezzato come specificato dalla citata norma salvo che per i corrimani, che potranno essere installati qualora se ne presenti la necessità. SPOGLIATOI I locali scolastici adibiti a uso di spogliatoi, debbono avere la larghezza minima di 1,60 m.
CARATTERISTICHE DELL’ARREDAMENTO E DELLE ATTREZZATURE Tutti i locali o spazi della scuola dovranno essere dotati: • dell’arredamento e delle attrezzature necessarie e indispensabili per assicurare lo svolgimento delle attività didattiche (ai livelli di informazione, ricerca, progetto, comunicazione e verifica) e delle attività integrative o parascolastiche previste dai vari tipi di scuola;
• consentono l’esplicarsi delle funzioni di cui ai precedenti punti I) e II) e servono, al tempo stesso, per le funzioni di cui al precedente punto III) (banconi per fisica o chimica con cassetti e scaffali sottostanti, tavoli con cassetti o sottopiani, carrelli, pareti attrezzate ad armadi e lavagne ecc.); • servono per adoperare gli arredi di cui ai precedenti punti I), II) e IV) o per partecipare a un’attività didattica (sedie, sgabelli, poltroncine da auditorio ecc.).
• delle attrezzature per l’educazione fisica; • dei sussidi audiovisivi.
CARATTERISTICHE DEGLI ARREDI Le caratteristiche (tipo, forma e dimensioni) degli oggetti che costituiscono l’arredamento e le attrezzature dipendono: • dal tipo di scuola, dall’età e dalle esigenze psicobiologiche degli alunni; • dalle attività e dalle operazioni che essi debbono consentire; • dalle esigenze del lavoro individuale e di gruppo; • dalle esigenze della flessibilità, combinabilità e trasportabilità (o meno) cui gli arredi e le attrezzature debbono rispondere;
ARREDAMENTO DELL’UNITÀ PEDAGOGICA Per quanto riguarda l’arredamento necessario all’unità pedagogica negli spazi per insegnamenti non specializzati (aule normali) delle scuole elementari e secondarie di primo e secondo grado, e nello spazio per le attività ordinate della scuola materna, esso dovrà essere previsto di forma e di dimensioni adeguati alle varie classi di età degli alunni e al tipo di scuola: • tavoli e sedie per gli alunni; • tavoli e sedie per l’insegnante;
• dalle esigenze di una normalizzazione e standardizzazione tipologica e dimensionale. • lavagne; Sono da intendersi facenti parte dell’arredamento quegli oggetti (arredi) fissi o mobili che: • consentono, sul loro piano e sulla loro superficie, di esplicare una azione o una attività didattica, o amministrativa, o comunque a servizio dei frequentatori della scuola, con o senza attrezzature o sussidi didattici (tavoli, tavoli da disegno, di lettura o per la mensa ecc., cattedre, scrivanie, banconi semplici di chimica o fisica, banchi per lavori in legno o in ferro od altro, cavalletti per dipingere o per scolpire, lavagne, superfici per appendere disegni od altro, tavoli da cucina ecc.); • servono da appoggio a una normale o particolare attrezzatura, o sussidio didattico (banconi per piccole attrezzature meccaniche di lavorazione, banconi per bilance, per prove elettriche ecc., tavoli per macchine da scrivere, contabili ecc., tavoli per sussidi audiovisivi o per macchine per insegnare ecc.); • servono per conservare, a breve o a lungo termine, oggetti o materiali di proprietà, o in uso, degli alunni e degli insegnanti, o, in genere, di chi usufruisce dei locali della scuola (attaccapanni o armadietti spogliatoio, armadi, armadietti individuali per gli alunni, armadi per magazzini o dispense, scaffali per libri, vetrine per mostre ecc.);
B 264
• armadi (o pareti attrezzate contenenti armadi) per la biblioteca di classe (nella scuola elementare e secondaria di primo grado), per la custodia del materiale didattico di uso quotidiano; • schermo mobile per proiezioni; • eventuale lavagna luminosa; • apparecchi per proiezione di diapositive e filmine compreso il cavalletto e tavolo reggiproiettore. Le caratteristiche e le dimensioni da osservarsi per i tavoli rettangolari e per le sedie degli alunni e degli insegnanti, e per le lavagne, sono quelle di cui alle norme UNI. Non sono da escludersi, specie nella scuola materna ed elementare, forme del piano del tavolo per gli alunni diverse dal rettangolo o dal quadrato, sempre tenendo presente, però l’osservanza della norma relativa alla combinabilità di tali arredi per consentire attività di gruppo variamente articolate.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE EDILIZIA SCOLASTICA – REQUISITI GENERALI
B.8. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
1.SCHEMA DELLE STRUTTURE FRUIBILI E/O ACCESSIBILI DALLA COMUNITÀ (integrazione tra scuole e centro civico di riferimento, in attuazione del DLgs 16 aprile 1994, n.297)
B.STAZIONI DILEGIZLII LEGENDA 1. ATRIO
4
2. STRUTTURE DI USO PUBBLICO: UFFICI DIRETTIVI E AMMINISTRATIVI SALE DI INCONTRO
4
3. SERVIZI COMUNI DEL PLESSO SCOLASTICO: SANITARI E DI ASSISTENZA ALLA FAMIGLIA 4. ATTIVITÀ ALL'APERTO
2
3
6
SCUOLA B
5
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
5. PALESTRE
2
SCUOLA A 1
I ED PRE NISM ORGA
6. ATTREZZATURE SPORTIVE ALL'APERTO (FRUIBILI DAGLI ABITANTI DELLA ZONA) 7. STRUTTURE PER ATTIVITÀ CULTURALI: AUDITORIUM, TEATRO, ATTIVITÀ MULTIMEDIALI, MUSICA
1
8. ATTIVITÀ COLLETTIVE ALL'APERTO ACCESSIBILI ANCHE FUORI ORARIO E DAGLI ABITANTI DELLA ZONA (GIARDINO)
9
7
8
PARCHEGGIO
9. LA PIAZZA: LUOGO DI RELAZIONE SCUOLA-COMUNITÀ: ATTESA DEI GENITORI E DEGLI SCOLARI; INCONTRO TRA GENITORI, INCONTRO TRA ALUNNI DI DIVERSE SCUOLE O DIVERSE CLASSI, ECC.
PARCHEGGIO
FERMATA BUS
EDIFICI SCOLASTICI, PALESTRE E IMPIANTI SPORTIVI INSERIMENTO NEL CONTESTO URBANISTICO E SOCIALE (Art. 89 DLgs 16 aprile 1994, n.297) I NUOVI EDIFICI SCOLASTICI, COMPRENSIVI DI PALESTRE E DI IMPIANTI SPORTIVI, DEVONO ESSERE DISTRIBUITI SUL TERRITORIO E PROGETTATI IN MODO DA REALIZZARE UN SISTEMA A DIMENSIONI E LOCALIZZAZIONI OTTIMALI IL QUALE:
USO DELLE ATTREZZATURE DELLE SCUOLE PER ATTIVITÀ DIVERSE DA QUELLE SCOLASTICHE
A - CONFIGURI OGNI EDIFICIO SCOLASTICO COME STRUTTURA INSERITA IN UN CONTESTO URBANISTICO E SOCIALE CHE GARANTISCA A TUTTI GLI ALUNNI DI FORMARSI NELLE MIGLIORI CONDIZIONI AMBIENTALI ED EDUCATIVE E, COMPATIBILMENTE CON LA PREMINENTE ATTIVITÀ DIDATTICA DELLA SCUOLA, CONSENTA LA FRUIBILITÀ DEI SERVIZI SCOLASTICI, EDUCATIVI, CULTURALI E SPORTIVI DA PARTE DELLA COMUNITÀ, SECONDO IL CONCETTO DELL'EDUCAZIONE PERMANENTE E CONSENTA LA PIENA ATTUAZIONE DELLA PARTECIPAZIONE ALLA GESTIONE DELLA SCUOLA;
1.
PER LO SVOLGIMENTO DELLE ATTIVITÀ RIENTRANTI NELLE LORO ATTRIBUZIONI, È CONSENTITO ALLE REGIONI ED AGLI ENTI LOCALI TERRITORIALI L'USO DEI LOCALI E DELLE ATTREZZATURE DELLE SCUOLE E DEGLI ISTITUTI SCOLASTICI DIPENDENTI DAL MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, SECONDO I CRITERI GENERALI DELIBERATI DAI CONSIGLI SCOLASTICI PROVINCIALI.
2.
A TAL FINE SONO STIPULATE APPOSITE CONVENZIONI TRA LE REGIONI E GLI ENTI LOCALI TERRITORIALI CON I COMPETENTI ORGANI DELLO STATO.
B - FAVORISCA L'INTEGRAZIONE TRA PIÙ SCUOLE DI UNO STESSO DISTRETTO SCOLASTICO, ASSICURANDO IL COORDINAMENTO E LA MIGLIORE UTILIZZAZIONE DELLE ATTREZZATURE E DEI SERVIZI, NONCHÉ L'INTERRELAZIONE TRA LE DIVERSE ESPERIENZE EDUCATIVE;
3.
IN ESSE SONO STABILITI LE PROCEDURE PER L'UTILIZZAZIONE DEI LOCALI E DELLE ATTREZZATURE, I SOGGETTI RESPONSABILI E LE SPESE A CARICO DELLA REGIONE PER IL PERSONALE, LE PULIZIE, IL CONSUMO DEL MATERIALE E L'IMPIEGO DEI SERVIZI STRUMENTALI.
C - CONSENTA UNA FACILE ACCESSIBILITÀ ALLA SCUOLA PER LE VARIE ETÀ SCOLARI TENENDO CONTO DELLE DIVERSE POSSIBILITÀ DI TRASPORTO E PERMETTA LA SCELTA TRA I VARI INDIRIZZI DI STUDI INDIPENDENTEMENTE DALLE CONDIZIONI ECONOMICHE E SOCIALI;
4.
GLI EDIFICI E LE ATTREZZATURE SCOLASTICHE POSSONO ESSERE UTILIZZATI FUORI DELL'ORARIO DEL SERVIZIO SCOLASTICO PER ATTIVITÀ CHE REALIZZINO LA FUNZIONE DELLA SCUOLA COME CENTRO DI PROMOZIONE CULTURALE, SOCIALE E CIVILE; IL COMUNE O LA PROVINCIA HANNO FACOLTÀ DI DISPORNE LA TEMPORANEA CONCESSIONE, PREVIO ASSENSO DEI CONSIGLI DI CIRCOLO O DI ISTITUTO, NEL RISPETTO DEI CRITERI STABILITI DAL CONSIGLIO SCOLASTICO PROVINCIALE.
TUTTI GLI EDIFICI SCOLASTICI DEVONO COMPRENDERE UN'AREA PER ESERCITAZIONI ALL'APERTO. GLI EDIFICI PER LE SCUOLE E ISTITUTI DI ISTRUZIONE SECONDARIA E ARTISTICA DEVONO ESSERE DOTATI DI UNA PALESTRA COPERTA, QUANDO NON SUPERINO LE 20 CLASSI, E DI DUE PALESTRE QUANDO LE CLASSI SIANO PIÙ DI 20, CON ANNESSI I LOCALI PER I RELATIVI SERVIZI. SONO PRIVILEGIATI I PROGETTI VOLTI A REALIZZARE IMPIANTI SPORTIVI POLIVALENTI DI USO COMUNE A PIÙ SCUOLE E APERTI ALLE ATTIVITÀ SPORTIVE DELLE COMUNITÀ LOCALI E DELLE ALTRE FORMAZIONI SOCIALI OPERANTI NEL TERRITORIO. A TAL FINE IL MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE E IL DIPARTIMENTO PER IL TURISMO E LO SPETTACOLO DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DEFINISCONO D'INTESA I CRITERI TECNICI A CUI DEVONO CORRISPONDERE GLI IMPIANTI SPORTIVI POLIVALENTI, NONCHÉ LO SCHEMA DI CONVENZIONE DA STIPULARE TRA LE AUTORITÀ SCOLASTICHE COMPETENTI E GLI ENTI LOCALI INTERESSATI PER LA UTILIZZAZIONE INTEGRATA DEGLI IMPIANTI MEDESIMI.
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
STRADA O ALTRO SPAZIO PUBBLICO DI ACCESSO DAL CENTRO CIVICO
D - PERMETTA LA MASSIMA ADATTABILITÀ DEGLI EDIFICI PER L'ATTUAZIONE DEL TEMPO PIENO E LO SVOLGIMENTO DELLE ATTIVITÀ INTEGRATIVE, IN RELAZIONE AL RINNOVAMENTO E AGGIORNAMENTO DELLE ATTIVITÀ DIDATTICHE O DI OGNI ALTRA ATTIVITÀ DI TEMPO PROLUNGATO.
E.NTROLLO
5.
LE AUTORIZZAZIONI SONO TRASMESSE DI VOLTA IN VOLTA, PER ISCRITTO, AGLI INTERESSATI CHE HANNO INOLTRATO FORMALE ISTANZA E DEVONO STABILIRE LE MODALITÀ DELL'USO E LE CONSEGUENTI RESPONSABILITÀ IN ORDINE ALLA SICUREZZA, ALL'IGIENE ED ALLA SALVAGUARDIA DEL PATRIMONIO.
7.
NELL'AMBITO DELLE STRUTTURE SCOLASTICHE, IN ORARI NON DEDICATI ALL'ATTIVITÀ ISTITUZIONALE O NEL PERIODO ESTIVO, POSSONO ESSERE ATTUATE, A NORMA DELL'ARTICOLO 1 DELLA LEGGE 19 LUGLIO 1991 N. 216, INIZIATIVE VOLTE A TUTELARE E FAVORIRE LA CRESCITA, LA MATURAZIONE INDIVIDUALE E LA SOCIALIZZAZIONE DELLA PERSONA DI ETÀ MINORE AL FINE DI FRONTEGGIARE IL RISCHIO DI COINVOLGIMENTO DEI MINORI IN ATTIVITÀ CRIMINOSE.
N.B. A NORMA DELL'ARTICOLO 24 DELLA LEGGE 5 FEBBRAIO 1992 N. 104 GLI EDIFICI SCOLASTICI, E RELATIVE PALESTRE E IMPIANTI SPORTIVI, DEVONO ESSERE REALIZZATI IN CONFORMITÀ ALLE NORME DIRETTE ALLA ELIMINAZIONE E AL SUPERAMENTO DELLE BARRIERE ARCHITETTONICHE.
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
– . TICA B.8.1IA SCOLAS ALI R IZ E IL EN ED ISITI G REQU
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B.8. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI EDILIZIA SCOLASTICA – REQUISITI GENERALI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
PREVENZIONE INCENDI PER L’EDILIZIA SCOLASTICA (Allegato al DM dell’Interno 26 agosto 1992 e successive modificazioni e integrazioni) 1. GENERALITÀ 1.0. Scopo Le presenti norme hanno per oggetto i criteri di sicurezza antincendi da applicare negli edifici e nei locali adibiti a scuole, di qualsiasi tipo, ordine e grado, allo scopo di tutelare l’incolumità delle persone e salvaguardare i beni contro il rischio di incendio. Ai fini delle presenti norme si fa riferimento ai termini e definizioni generali di cui al DM 30 novembre 1983. 1.1. Campo di applicazione Le presenti norme si applicano agli edifici e ai locali di cui al punto 1.0 di nuova costruzione o agli edifici esistenti in caso di ristrutturazioni che comportino modifiche sostanziali, i cui progetti siano presentati agli organi competenti per le approvazioni previste dalle vigenti disposizioni, dopo l’entrata in vigore del presente decreto. Si intendono per modifiche sostanziali lavori che comportino il rifacimento di oltre il 50% dei solai o il rifacimento strutturale delle scale o l’aumento di altezza. Per gli edifici esistenti si applicano le disposizioni contenute nel successivo punto 13. 1.2. Classificazione Le scuole vengono suddivise, in relazione alle presenze effettive contemporanee in esse prevedibili di alunni e di personale docente e non docente, nei seguenti tipi: • tipo 0: scuole con numero di presenze contemporanee fino a: 100 persone; • tipo 1: scuole con numero di presenze contemporanee da 101 a 300 persone; • tipo 2: scuole con numero di presenze contemporanee da 301 a 500 persone; • tipo 3: scuole con numero di presenze contemporanee da 501 a 800 persone; • tipo 4: scuole con numero di presenze contemporanee da 801 a 1200 persone; • tipo 5: scuole con numero di presenze contemporanee oltre le 1200 persone. Alle scuole di tipo “0” si applicano le particolari norme di sicurezza di cui al successivo punto 11. Ogni edificio, facente parte di un complesso scolastico purchè non comunicante con altri edifici, rientra nella categoria riferita al proprio affollamento. 2. CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE 2.0. Scelta dell’area Gli edifici da adibire a scuole, non devono essere ubicati in prossimità di attività che comportino gravi rischi di incendio e/o di esplosione. Per quanto riguarda la scelta del sito, devono essere tenute presenti le disposizioni contenute nel DM dei LLPP 18 dicembre 1975. 2.1. Ubicazione I locali a uso scolastico possono essere ubicati: a) in edifici indipendenti costruiti per tale specifica destinazione e isolati da altri; b) in edifici o locali esistenti, anche adiacenti, sottostanti o sovrastanti ad altri aventi destinazione diversa, nel rispetto di quanto specificato al secondo comma del punto 2.0, purchè le norme di sicurezza relative alle specifiche attività non escludano la vicinanza e/o la contiguità di scuole. 2.2. Accesso all’area Per consentire l’intervento dei mezzi di soccorso dei Vigili del fuoco gli accessi all’area ove sorgono gli edifici oggetto delle presenti norme devono avere i seguenti requisiti minimi: • larghezza: 3,50 m; • altezza libera: 4 m; • raggio di volta: 13 m; • pendenza: non superiore al 10%; • resistenza al carico: almeno 20 tonn (8 sull’asse anteriore e 12 sull’asse posteriore; passo 4 m);
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2.3. Accostamento autoscale Per i locali siti ad altezza superiore a 12 m deve essere assicurata la possibilità di accostamento all’edificio delle autoscale dei Vigili del fuoco, sviluppate come da schema allegato (allegato 1), almeno a una qualsiasi finestra o balcone di ogni piano. ALLEGATO I DATI RELATIVI ALLO SVILUPPO AUTOSCALA 32 m rapp. 1.100 (riportare) Qualora tale requisito non sia soddisfatto gli edifici di altezza fino a 24 m devono essere dotati di scale protette e gli edifici di altezza superiore, di scale a prova di fumo. 2.4. Separazioni Le attività scolastiche ubicate negli edifici e nei locali di cui alla lettera b) del punto 2.1 devono essere separati dai locali a diversa destinazione, non pertinenti l’attività scolastica, mediante strutture di caratteristiche almeno REI 120 senza comunicazioni. Fanno eccezione le scuole particolari che per relazione diretta con altre attività necessitano della comunicazione con altri locali (es. scuole infermieri, scuole convitto ecc.) per le quali è ammesso che la comunicazione avvenga mediante filtro a prova di fumo. Tali attività devono, comunque, avere accessi e uscite indipendenti. È consentito che l’alloggio del custode, dotato di proprio accesso indipendente, possa comunicare con i locali pertinenti l’attività scolastica mediante porte di caratteristiche almeno REI 120. 3. COMPORTAMENTO AL FUOCO 3.0. Resistenza al fuoco delle strutture I requisiti di resistenza al fuoco degli elementi strutturali vanno valutati secondo le prescrizioni e le modalità di prova stabilite dalla circolare del Min. dell’interno n.91 del 14 settembre 1961, prescindendo dal tipo di materiale impiegato nella realizzazione degli elementi medesimi (calcestruzzo, laterizi, acciaio, legno massiccio, legno lamellare, elementi compositi). Il dimensionamento degli spessori e delle protezioni da adottare, per i vari tipi di materiali suddetti, nonché la classificazione degli edifici in funzione del carico di incendio, vanno determinati con le tabelle e con le modalità specificate nella circolare n.91 citata, tenendo conto delle disposizioni contenute nel DM 6 marzo 1986 per quanto attiene il calcolo del carico di incendio per locali aventi strutture portanti in legno. Le predette strutture dovranno comunque essere realizzate in modo da garantire una resistenza al fuoco di almeno R 60 (strutture portanti) e REI 60 (strutture separanti) per edifici con altezza antincendi fino a 24 m; per edifici di altezza superiore deve essere garantita una resistenza al fuoco almeno di R 90 (strutture portanti) e REI 90 (strutture separanti). Per le strutture di pertinenza delle aree a rischio specifico devono applicarsi le disposizioni emanate nelle relative normative. 3.1. Reazione al fuoco dei materiali Per la classificazione di reazione al fuoco dei materiali, si fa riferimento al DM 26 giugno 1984: a) negli atri, nei corridoi, nei disimpegni, nelle scale, nelle rampe, nei passaggi in genere, è consentito l’impiego dei materiali di classe 1 in ragione del 50% massimo della loro superficie totale (pavimento + pareti + soffitto + proiezioni orizzontali delle scale). Per le restanti parti debbono essere impiegati materiali di classe 0; b) in tutti gli altri ambienti è consentito che le pavimentazioni compresi i relativi rivestimenti siano di classe 2 e che gli altri materiali di rivestimento siano di classe 1; oppure di classe 2 se in presenza di impianti di spegnimento automatico asserviti a impianti di rivelazione incendi.
I rivestimenti lignei possono essere mantenuti in opera, tranne che nelle vie di esodo e nei laboratori, a condizione che vengano opportunamente trattati con prodotti vernicianti omologati di classe 1 di reazione al fuoco, secondo le modalità e le indicazioni contenute nel DM 6 marzo 1992; c) i materiali di rivestimento combustibili, ammessi nelle varie classi di reazione al fuoco debbono essere posti in opera in aderenza agli elementi costruttivi, di classe 0 escludendo spazi vuoti o intercapedini; d) i materiali suscettibili di prendere fuoco su entrambe le facce (tendaggi ecc.) devono essere di classe di reazione al fuoco non superiore a 1. 4. SEZIONAMENTI 4.0. Compartimentazione Gli edifici devono essere suddivisi in compartimenti anche costituiti da più piani, di superficie non eccedente quella indicata nella tabella A. Gli elementi costruttivi di suddivisione tra i compartimenti devono soddisfare i requisiti di resistenza al fuoco indicati al punto 3.0. TABELLA A Altezza antincendi
Massima superficie dei compart. (m)
fino a 12 m
6.000
da 12 m a 24 m
6.000
da oltre 24 m a 32 m
4.000
da oltre 32 m a 54 m
2.000
4.1. Scale Le caratteristiche di resistenza al fuoco dei vani scala devono essere congrue con quanto previsto al punto 3.0. La larghezza minima delle scale deve essere di 1,20 m. Le rampe devono essere rettilinee, non devono presentare restringimenti, devono avere non meno di tre gradini e non più di quindici; i gradini devono essere a pianta rettangolare, devono avere alzata e pedata costanti, rispettivamente non superiore a 17 cm e non inferiore a 30 cm; sono ammesse rampe non rettilinee a condizione che vi siano pianerottoli di riposo e che la pedata del gradino sia almeno 30 cm, misurata a 40 cm dal montante centrale o dal parapetto interno. Il vano scala, tranne quello a prova di fumo o a prova di fumo interno, deve avere superficie netta di aerazione permanente in sommità non inferiore a 1 m2. Nel vano di aerazione è consentita l’installazione di dispositivi per la protezione dagli agenti atmosferici. 4.2. Ascensori e montacarichi Le caratteristiche di resistenza al fuoco dei vani ascensori devono essere congrue con quanto previsto al punto 3.0. Gli ascensori e montacarichi di nuova installazione debbono rispettare le norme antincendio previste al punto 2.5 del DM dell’interno del 16 maggio 1987, n.246. 5. MISURE PER L’EVACUAZIONE IN CASO DI EMERGENZA 5.0. Affollamento Il massimo affollamento ipotizzabile è fissato in: • aule: 26 persone/aula. Qualora le persone effettivamente presenti siano numericamente diverse dal valore desunto dal calcolo effettuato sulla base della densità di affollamento, l’indicazione del numero di persone deve risultare da apposita dichiarazione rilasciata sotto la responsabilità del titolare dell’attività; • aree destinate a servizi: persone effettivamente presenti +20%; • refettori e palestre: densità di affollamento pari a 0,4 persone/m2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE EDILIZIA SCOLASTICA – REQUISITI GENERALI
B.8. 1. A.ZIONI
Nel caso di palestre e refettori, qualora le persone effettivamente presenti siano numericamente diverse dal valore desunto dal calcolo effettuato sulla base delle densità di affollamento indicate, l’indicazione del numero di persone deve risultare da apposita dichiarazione rilasciata sotto la responsabilità del titolare dell’attività. 5.1. Capacità di deflusso La capacità di deflusso per gli edifici scolastici deve essere non superiore a 60 per ogni piano. 5.2. Sistema di via di uscita Ogni scuola, deve essere provvista di un sistema organizzato di vie di uscita dimensionato in base al massimo affollamento ipotizzabile in funzione della capacità di deflusso ed essere dotata di almeno 2 uscite verso luogo sicuro. Gli spazi frequentati dagli alunni o dal personale docente e non docente, qualora distribuiti su più piani, devono essere dotati, oltre che della scala che serve al normale afflusso, almeno di una scala di sicurezza esterna o di una scala a prova di fumo o a prova di fumo interna. Limitatamente agli edifici a tre piani fuori terra è ammesso che, in luogo della scala esterna o a prova di fumo, sia realizzata una scala protetta a condizione che tutte le scale siano protette e che adducano, attraverso percorsi di esodo, all’esterno. Nella gestione dell’emergenza si deve tenere conto della realtà dei predetti percorsi. Ai fini del computo della lunghezza del percorso, non deve essere considerato il percorso interno ai vani scala protetti. Per gli edifici a due piani fuori terra è ammessa la realizzazione di una sola scala, protetta, alle seguenti condizioni: • il numero di persone complessivamente presenti al secondo piano sia commisurato alla larghezza della scala, considerando la capacità di deflusso non superiore a 50; • il percorso di piano non sia superiore a 15 m. Sono ammessi percorsi di lunghezza non superiore a 25 m se corridoi e scale sono provvisti di rivestimenti e arredi di classe 1 di reazione al fuoco in ragione di non più del 50% della loro superficie totale (pavimenti, pareti, soffitti e proiezione orizzontale delle scale) e di classe 0 per le restanti parti e ove ritenuto necessario, di impianto automatico di rivelazione e allarme incendio; • il percorso da ogni punto dell’edificio fino a luogo sicuro non superi i 45 m. 5.3. Larghezza delle vie di uscita La larghezza delle vie di uscita deve essere multipla del modulo di uscita e non inferiore a due moduli (1,20 m). La misurazione della larghezza delle singole uscite va eseguita nel punto più stretto della luce. Anche le porte dei locali frequentati dagli studenti devono avere, singolarmente, larghezza non inferiore a 1,20 m. 5.4. Lunghezza delle vie di uscita La lunghezza delle vie di uscita deve essere non superiore a 60 m e deve essere misurata dal luogo sicuro alla porta più vicina allo stesso di ogni locale frequentato dagli studenti o dal personale docente e non docente. 5.5. Larghezza totale delle uscite di ogni piano La larghezza totale delle uscite di ogni piano è determinata dal rapporto fra il massimo affollamento ipotizzabile e la capacità di deflusso. Per le scuole che occupano più di tre piani fuori terra, la larghezza totale delle vie di uscita che immettono all’aperto, viene calcolata sommando il massimo affollamento ipotizzabile di due piani consecutivi, con riferimento a quelli aventi maggiore affollamento. 5.6. Numero delle uscite Il numero delle uscite dai singoli piani dell’edificio non deve essere inferiore a due. Esse vanno poste in punti ragionevolmente contrapposti.
Per ogni tipo di scuola i locali destinati a uso collettivo (spazi per esercitazioni, spazi per l’informazione e attività parascolastiche, mense, dormitori) devono essere dotati, oltre che della normale porta di accesso, anche di almeno una uscita di larghezza non inferiore a due moduli, apribile nel senso del deflusso, con sistema a semplice spinta, che adduca in luogo sicuro. La realizzazione, sia dell’uscita che adduca direttamente in luogo sicuro che di strutture REI 60 è necessaria nel caso di spazi per esercitazioni nei quali il materiale presente costituisca rischio per carico di incendio o per caratteristiche di infiammabilità ed esplosività o per complessità degli impianti. Pertanto si chiarisce che non rientrano in tali fattispecie, ad esempio, le aule di disegno, informatiche, di linguistica, per esercitazioni musicali o similari. Nell’ambito delle strutture scolastiche costruite od utilizzate prima del 27 novembre 1994, i locali destinati ad aule didattiche ed esercitazioni, non dovranno essere adeguati al precedente comma per quanto attiene la larghezza delle porte; la larghezza delle porte dei suddetti locali deve in ogni caso essere conforme a quanto previsto dalla concessione edilizia ovvero dalla licenza di abitabilità. Le aule didattiche devono essere servite da una porta ogni 50 persone presenti; le porte devono avere larghezza almeno di 1,20 m e aprirsi nel senso dell’esodo quando il numero massimo di persone presenti nell’aula sia superiore a 25 e per le aule per esercitazione dove si depositano e/o manipolano sostanze infiammabili o esplosive quando il numero di persone presenti sia superiore a 5. Le porte che si aprono verso corridoi interni di deflusso devono essere realizzate in modo da non ridurre la larghezza utile dei corridoi stessi. 6. SPAZI A RISCHIO SPECIFICO 6.0. Classificazione Gli spazi a rischio specifico sono così classificati: • • • • • •
spazi per esercitazioni; servizi tecnologici; spazi per depositi; spazi per l’informazione e le attività parascolastiche; autorimesse; spazi per servizi logistici (mense, dormitori).
6.1. Spazi per esercitazioni Vengono definiti spazi per esercitazioni tutti quei locali ove si svolgano prove, esercitazioni, sperimentazioni, lavori ecc. connessi con l’attività scolastica. Gli spazi per le esercitazioni e i locali per depositi annessi devono essere ubicati ai piani fuori terra o al 1° interrato, fatta eccezione per i locali ove vengono utilizzati gas combustibili con densità superiore a 0,8 che devono essere ubicati ai piani fuori terra senza comunicazioni con i piani interrati. Indipendentemente dal tipo di materiale impiegato nella realizzazione, le strutture di separazione devono avere caratteristiche di resistenza al fuoco valutate secondo le prescrizioni e le modalità di prova stabilite nella circolare del Min. dell’interno n.91 del 14 settembre 1961. Il dimensionamento degli spessori e delle protezioni da adottare per i vari tipi di materiali nonché la classificazione dei locali in funzione del carico di incendio, vanno determinati con le tabelle e con le modalità specificate nella circolare n.91 citata. Le predette strutture dovranno comunque essere realizzate in modo da garantire una resistenza al fuoco di almeno REI 60. Le comunicazioni tra il locale per esercitazioni e il locale deposito annesso, devono essere munite di porte dotate di chiusura automatica aventi resistenza al fuoco almeno REI 60. La realizzazione, sia dell’uscita che adduca direttamente in luogo sicuro che di strutture REI 60 è necessaria nel caso di spazi per esercitazioni nei quali il materiale presente costituisca rischio per carico di incendio o per caratteristiche di infiammabilità ed esplosività o per complessità degli impianti.
Pertanto si chiarisce che non rientrano in tali fattispecie, ad esempio, le aule di disegno, informatiche, di linguistica, per esercitazioni musicali o similari. Nei locali dove vengono utilizzate e depositate sostanze radioattive e/o macchine radiogene è fatto divieto di usare o depositare materiali infiammabili. Detti locali debbono essere realizzati in modo da consentire la più agevole decontaminazione ed essere predisposti per la raccolta e il successivo allontanamento delle acque di lavaggio o di estinzione di principi di incendio. Gli spazi per le esercitazioni dove vengono manipolate sostanze esplosive e/o infiammabili devono essere provvisti di aperture di aerazione, permanente, ricavate su pareti attestate all’esterno di superficie pari a 1/20 della superficie in pianta del locale. Qualora vengano manipolati gas aventi densità superiore a 0,8 delle predette aperture di aerazione, almeno 1/3 della superficie complessiva deve essere costituito da aperture, protette con grigliatura metallica, situate nella parte inferiore della parete attestata all’esterno e poste a filo pavimento. Le apparecchiature di laboratorio alimentate a combustibile gassoso devono avere ciascun bruciatore dotato di dispositivo automatico di sicurezza totale che intercetti il flusso del gas in mancanza di fiamma. La realizzazione di aperture permanenti di aerazione pari a 1/20 della superficie in pianta dei locali è necessaria nei locali ove si manipolano sostanze esplosive e/o infiammabili. In proposito si chiarisce che l’utilizzazione di becchi bunsen o di altri bruciatori alimentati a gas naturale non ricade in tale fattispecie. Si ricorda peraltro che le apparecchiature e le relative aperture di aerazione devono essere conformi alle norme di buona tecnica in materia di sicurezza degli apparecchi a gas e si fa presente che i locali destinati a laboratori chimici didattici e di ricerca dove si utilizzano sostanze esplosive o infiammabili devono essere dotati di impianti di ventilazione idonei a evitare il ristagno e/o l’accumulo di gas e vapori (tossici e/o infiammabili) e di apposite cappe di aspirazione. 6.2. Spazi per depositi Vengono definiti “spazi per deposito o magazzino” tutti quegli ambienti destinati alla conservazione di materiali per uso didattico e per i servizi amministrativi. I depositi di materiali solidi combustibili possono essere ubicati ai piani fuori terra o ai piani 1º e 2º interrati. Indipendentemente dal tipo di materiale impiegato nella realizzazione le strutture di separazione devono avere caratteristiche di resistenza al fuoco valutate secondo le prescrizioni e le modalità di prova stabilite nella circolare del Min. dell’interno n.91 del 14 settembre 1961. Il dimensionamento degli spessori e delle protezioni da adottare per i vari tipi di materiali nonché la classificazione dei depositi in funzione del carico di incendio, vanno determinati secondo le tabelle e con le modalità specificate nella circolare n.91 citata. Le predette strutture dovranno comunque essere realizzate in modo da garantire una resistenza al fuoco di almeno REI 60. L’accesso al deposito deve avvenire tramite porte almeno REI 60 dotate di congedo di autochiusura. La superficie massima lorda di ogni singolo locale non può essere superiore a:
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
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D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
• 1.000 m per i piani fuori terra; • 500 m per i piani 1º e 2º interrato. I suddetti locali devono avere apertura di aerazione di superficie non inferiore a 1/40 della superficie in pianta, protette da robuste griglie a maglia fitta. Il carico di incendio di ogni singolo locale non deve superare i 30 kg/m2; qualora venga superato il suddetto valore, nel locale dovrà essere installato un impianto di spegnimento a funzionamento automatico. Ad uso di ogni locale dovrà essere previsto almeno un estintore, di tipo approvato, di capacità estinguente non inferiore a 21 A, ogni 200 m di superficie.
➥
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
– . TICA B.8.1IA SCOLAS ALI R IZ E IL EN ED ISITI G REQU
B 267
B.8. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI EDILIZIA SCOLASTICA – REQUISITI GENERALI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
➦ PREVENZIONE INCENDI PER L’EDILIZIA SCOLASTICA (Allegato al DM dell’Interno 26 agosto 1992 e successive modificazioni e integrazioni) I depositi di materiali infiammabili liquidi e gassosi devono essere ubicati al di fuori del volume del fabbricato; lo stoccaggio, la distribuzione e l’utilizzazione di tali materiali devono essere eseguiti in conformità delle norme e dei criteri tecnici di prevenzione incendi. Ogni deposito dovrà essere dotato di almeno un estintore di tipo approvato, di capacità estinguente non inferiore a 21 A, 89 B, C ogni 150 m di superficie. Per esigenze didattiche e igienico-sanitarie è consentito detenere complessivamente, all’interno del volume dell’edificio, in armadi metallici dotati di bacino di contenimento, 20 l di liquidi infiammabili. Per “deposito” devono essere intesi gli ambienti destinati alla conservazione dei materiali per uso didattico e per i servizi amministrativi, con l’esclusione degli archivi e delle biblioteche in cui sia prevista la presenza continuativa di personale durante l’orario di attività scolastica. Pertanto, solo nei locali con carico di incendio superiore a 30 kg/m2 in cui non sia prevista la presenza continuativa di personale dovranno essere realizzati gli impianti automatici di rivelazione di incendio (locali fuori terra) o di estinzione (locali interrati) come disposto dal punto 9.3. Nei depositi, inoltre, è fatto divieto di fumare o fare uso di fiamme libere. 6.3. Servizi tecnologici 6.3.0 Impianti di produzione di calore Per gli impianti di produzione di calore valgono le disposizioni di prevenzione incendi in vigore. È fatto divieto di utilizzare stufe funzionanti a combustibile liquido o gassoso, per il riscaldamento di ambienti. 6.3.1 Impianti di condizionamento e di ventilazione Gli eventuali impianti di condizionamento e di ventilazione possono essere centralizzati o localizzati. Nei gruppi frigoriferi devono essere utilizzati come fluidi frigorigeni prodotti non infiammabili. Negli impianti centralizzati di condizionamento aventi potenza superiore a 75 kW i gruppi frigoriferi devono essere installati in locali appositi, così come le centrali di trattamento aria superiori a 50.000 mc/h (portata volumetrica). Le strutture di separazione devono presentare resistenza al fuoco non inferiore a REI 60 e le eventuali comunicazioni in esse praticate devono avvenire tramite porte di caratteristiche almeno REI 60 dotate di congegno di autochiusura. Le condotte non devono attraversare: • luoghi sicuri, che non siano a cielo libero; • vie di uscita; • locali che presentino pericolo di incendio, di esplosione e di scoppio. L’attraversamento può tuttavia essere ammesso se le condotte sono racchiuse in strutture resistenti al fuoco di classe almeno pari a quella del vano attraversato. Qualora le condotte debbano attraversare strutture che delimitano i compartimenti, nelle condotte deve essere installata, in corrispondenza degli attraversamenti almeno una serranda resistente al fuoco REI 60. 6.3.1.1 Dispositivo di controllo. a) Comando manuale Ogni impianto deve essere dotato di un dispositivo di comando manuale, situato in un punto facilmente accessibile, per l’arresto dei ventilatori in caso di incendio. b) Dispositivi automatici termostatici Gli impianti, a ricircolo di aria, di potenzialità superiore a 20.000 mc/h devono essere provvisti di dispositivi termostatici di arresto automatico dei ventilatori in caso di aumento anormale della temperatura nelle condotte. Tali dispositivi, tarati a 70 ºC, devono essere installati in punti adatti, rispettivamente delle condotte dell’aria di ritorno (prima della miscelazione con l’aria esterna) e della condotta principale di immissione dell’aria. Inoltre l’intervento di tali dispositivi, non deve consentire la rimessa in moto dei ventilatori senza l’intervento manuale.
B 268
c) Dispositivi automatici di rilevazione dei fumi. Gli impianti, a ricircolo d’aria, di potenzialità superiore a 50.000 mc/h devono essere muniti di rilevatori di fumo, in sostituzione dei dispositivi termostatici previsti nel precedente comma, che comandino l’arresto dei ventilatori. L’intervento di tali dispositivi non deve consentire la rimessa in marcia dei ventilatori senza l’intervento manuale dell’operatore. 6.3.2 Condizionamento localizzato È consentito il condizionamento dell’aria a mezzo di armadi condizionatori a condizione che il fluido refrigerante non sia infiammabile. 6.3.3 Impianti centralizzati per la produzione di aria compressa Detti impianti, se di potenza superiore a 10 kW, devono essere installati in locali aventi almeno una parete attestata verso l’esterno ovvero su intercapedine grigliata, muniti di superficie di sfogo non inferiore a 1/15 della superficie in pianta del locale. 6.4. Spazi per l’informazione e le attività parascolastiche Vengono definiti “spazi destinati all’informazione e alle attività parascolastiche", i seguenti locali: • auditori; • aule magne; • sale per rappresentazioni. Detti spazi devono essere ubicati in locali fuori terra o al 1º interrato fino alla quota massima di -7,50 m; se la capienza supera le cento persone e vengono adibiti a manifestazioni non scolastiche, si applicano le norme di sicurezza per i locali di pubblico spettacolo. Qualora, per esigenze di carattere funzionale, non fosse possibile rispettare le disposizioni sull’isolamento previste dalle suddette norme, le manifestazioni in argomento potranno essere svolte a condizione che non si verifichi contemporaneità con l’attività scolastica; potranno essere ammesse comunicazioni unicamente nel rispetto delle disposizioni di cui al punto 2.4. 6.5. Autorimesse Detti locali devono rispondere ai requisiti di sicurezza stabiliti dalle specifiche norme tecniche in vigore. 6.6. Spazi per servizi logistici 6.6.1 Mense Locali destinati alla distribuzione e/o consumazione dei pasti. Nel caso in cui a tali locali sia annessa la cucina e/o il lavaggio delle stoviglie con apparecchiature a combustibile liquido o gassoso, agli stessi si applicano le specifiche normative di sicurezza vigenti. 6.6.2 Dormitori Locali destinati all’alloggiamento a esclusivo uso del complesso scolastico. Essi devono rispondere alle vigenti disposizioni di sicurezza emanate dal Ministero dell’interno per le attività alberghiere. 7. IMPIANTI ELETTRICI 7.0. Generalità Gli impianti elettrici del complesso scolastico devono essere realizzati in conformità ai disposti di cui alla legge 1 marzo 1968, n.186. Ogni scuola deve essere munita di interruttore generale, posto in posizione segnalata, che permetta di togliere tensione all’impianto elettrico dell’attività; tale interruttore deve essere munito di comando di sgancio a distanza, posto nelle vicinanze dell’ingresso o in posizione presidiata. 7.1. Impianto elettrico di sicurezza Le scuole devono essere dotate di un impianto di sicurezza alimentato da apposita sorgente, distinta da quella ordinaria. L’impianto elettrico di sicurezza deve alimentare le seguenti utilizzazioni, strettamente connesse con la sicurezza delle persone:
a) illuminazione di sicurezza, compresa quella indicante i passaggi, le uscite e i percorsi delle vie di esodo che garantisca un livello di illuminazione non inferiore a 5 lux; b) impianto di diffusione sonora e/o impianto di allarme. Nessun’altra apparecchiature può essere collegata all’impianto elettrico di sicurezza. L’alimentazione dell’impianto di sicurezza deve potersi inserire anche con comando a mano posto in posizione conosciuta dal personale. L’autonomia della sorgente di sicurezza non deve essere inferiore ai 30'. Sono ammesse singole lampade o gruppi di lampade con alimentazione autonoma. Il dispositivo di carica degli accumulatori, qualora impiegati, deve essere di tipo automatico e tale da consentire la ricarica completa entro 12 ore. 8. SISTEMI DI ALLARME 8.0. Generalità Le scuole devono essere munite di un sistema di allarme in grado di avvertire gli alunni e il personale presenti in caso di pericolo. Il sistema di allarme deve avere caratteristiche atte a segnalare il pericolo a tutti gli occupanti il complesso scolastico e il suo comando deve essere posto in locale costantemente presidiato durante il funzionamento della scuola. 8.1. Tipo di impianto Il sistema di allarme può essere costituito, per le scuole di tipo 0-1-2, dallo stesso impianto a campanelli usato normalmente per la scuola, purchè venga convenuto un particolare suono. Per le scuole degli altri tipi deve essere invece previsto anche un impianto di altoparlanti. 9. MEZZI E IMPIANTI FISSI DI PROTEZIONE ED ESTINZIONE DEGLI INCENDI 9.0. Generalità Ogni tipo di scuola deve essere dotato di idonei mezzi antincendio come di seguito precisato. 9.1. Rete idranti Le scuole di tipo 1-2-3-4-5, devono essere dotate di una rete idranti costituita da una rete di tubazioni realizzata preferibilmente ad anello e almeno una colonna montante in ciascun vano scala dell’edificio; da essa deve essere derivato a ogni piano, sia fuori terra che interrato, almeno un idrante con attacco UNI 45 a disposizione per eventuale collegamento di tubazione flessibile o attacco per naspo. Ai fini della realizzazione della rete possono essere installati naspi DN 25; l’alimentazione, in tale caso, deve garantire ai tre naspi idraulicamente più sfavoriti una pressione al bocchello di almeno 1,5 bar. Negli edifici di tipo 4 e 5 devono essere installati in ogni caso idranti DN 45. La tubazione flessibile deve essere costituita da un tratto di tubo, di tipo approvato, con caratteristiche di lunghezza tali da consentire di raggiungere col getto ogni punto dell’area protetta. Il naspo deve essere corredato di tubazione semirigida con diametro minimo di 25 mm e anch’esso di lunghezza idonea a consentire di raggiungere col getto ogni punto dell’area protetta. Tale idrante deve essere installato nel locale filtro, qualora la scala sia a prova di fumo interna. Al piede di ogni colonna montante, per edifici con oltre 3 piani fuori terra, deve essere installato un idoneo attacco di mandata per autopompa. Per gli altri edifici è sufficiente un solo attacco per autopompa per tutto l’impianto. L’impianto deve essere dimensionato per garantire una portata minima di 360 l/min per ogni colonna montante e, nel caso di più colonne, il funzionamento contemporaneo di almeno 2 colonne. L’alimentazione idrica deve essere in grado di assicurare l’erogazione ai 3 idranti idraulicamente più sfavoriti, di 120 l/min cad. con una pressione residua al bocchello di 1,5 bar per un tempo di almeno 60 min.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE EDILIZIA SCOLASTICA – REQUISITI GENERALI
B.8. 1. A.ZIONI
Qualora l’acquedotto non garantisca le condizioni di cui al punto precedente dovrà essere installata una idonea riserva idrica alimentata da acquedotto pubblico e/o da altre fonti. Tale riserva deve essere costantemente garantita. Le elettropompe di alimentazione della rete antincendio devono essere alimentate elettricamente da una propria linea preferenziale. Nelle scuole di tipo 4 e 5, i gruppi di pompaggio della rete antincendio devono essere costituiti da due pompe, una di riserva all’altra, alimentate da fonti di energia indipendenti (ad esempio elettropompa e motopompa o due elettropompe). L’avviamento dei gruppi di pompaggio deve essere automatico. Le tubazioni di alimentazione e quelle costituenti la rete devono essere protette dal gelo, da urti e dal fuoco. Le colonne montanti possono correre, a giorno o incassate, nei vani scale oppure in appositi alloggiamenti resistenti al fuoco REI 60. 9.2. Estintori Devono essere installati estintori portatili di capacità estinguente non inferiore 13 A, 89 B, C di tipo approvato dal Min. dell’interno in ragione di almeno un estintore per ogni 200 m2 di pavimento o frazione di detta superficie, con un minimo di due estintori per piano.
12. NORME DI ESERCIZIO A cura del titolare dell’attività dovrà essere predisposto un registro dei controlli periodici ove sono annotati tutti gli interventi e i controlli relativi all’efficienza degli impianti elettrici, dell’illuminazione di sicurezza, dei presidi antincendio, dei dispositivi di sicurezza e di controllo, delle aree a rischio specifico e dell’osservanza della limitazione dei carichi d’incendio nei vari ambienti dell’attività. Tale registro deve essere mantenuto costantemente aggiornato e disponibile per i controlli da parte dell’autorità competente. 12.0. Deve essere predisposto un piano di emergenza e devono essere fatte prove di evacuazione, almeno due volte nel corso dell’anno scolastico. 12.1. Le vie di uscita devono essere tenute costantemente sgombre da qualsiasi materiale. 12.2. È fatto divieto di compromettere la agevole apertura e funzionalità dei serramenti delle uscite di sicurezza, durante i periodi di attività della scuola, verificandone l’efficienza prima dell’inizio delle lezioni.
9.3. Impianti fissi di rilevazione e/o di estinzione degli incendi Limitatamente agli ambienti o locali il cui carico d’incendio superi i 30 kg/m2, deve essere installato un impianto di rilevazione automatica d’incendio, se fuori terra, o un impianto di estinzione ad attivazione automatica, se interrato.
12.3. Le attrezzature e gli impianti di sicurezza devono essere controllati periodicamente in modo da assicurarne la costante efficienza.
10. SEGNALETICA DI SICUREZZA
12.5. I travasi di liquidi infiammabili non possono essere effettuati se non in locali appositi e con recipienti e/o apparecchiature di tipo autorizzato.
Si applicano le vigenti disposizioni sulla segnaletica di sicurezza, espressamente finalizzata alla sicurezza antincendi, di cui al DPR 8 giugno 1982, n.524. 11. NORME DI SICUREZZA PER LE SCUOLE DI TIPO “0” Le strutture orizzontali e verticali devono avere resistenza al fuoco non inferiore a REI 30. Gli impianti elettrici devono essere realizzati a regola d’arte in conformità alla legge n.186 dell’1 marzo 1968. Deve essere assicurato, per ogni eventuale caso di emergenza, il sicuro esodo degli occupanti la scuola. Devono essere osservate le disposizioni contenute nei punti 3.1, 9.2, 10, 12.1, 12.2, 12.4, 12.6, 12.7, 12.8, 12.9.
12.4. Nei locali ove vengono depositate o utilizzate sostanze infiammabili o facilmente combustibili è fatto divieto di fumare o fare uso di fiamme libere.
12.6. Nei locali della scuola, non appositamente all’uopo destinati, non possono essere depositati e/o utilizzati recipienti contenenti gas compressi e/o liquefatti. I liquidi infiammabili o facilmente combustibili e/o le sostanze che possono comunque emettere vapori o gas infiammabili, possono essere tenuti in quantità strettamente necessarie per esigenze igienico-sanitarie e per l’attività didattica e di ricerca in corso come previsto al punto 6.2. 12.7. Al termine dell’attività didattica o di ricerca, l’alimentazione centralizzata di apparecchiature o utensili con combustibili liquidi o gassosi deve essere interrot-
ta azionando le saracinesche di intercettazione del combustibile, la cui ubicazione deve essere indicata mediante cartelli segnaletici facilmente visibili. 12.8. Negli archivi e depositi, i materiali devono essere depositati in modo da consentire una facile ispezionabilità, lasciando corridoi e passaggi di larghezza non inferiore a 0,90 m. 12.9. Eventuali scaffalature dovranno risultare a distanza non inferiore a 0,60 m dall’intradosso del solaio di copertura. 12.10. Il titolare dell’attività deve provvedere affinché nel corso della gestione non vengano alterate le condizioni di sicurezza. Egli può avvalersi per tale compito di un responsabile della sicurezza, in relazione alla complessità e capienza della struttura scolastica. 13. NORME TRANSITORIE Negli edifici esistenti, entro cinque anni dall’entrata in vigore del presente decreto, devono essere attuate le prescrizioni contenute negli articoli seguenti: • scuole realizzate successivamente all’entrata in vigore del DM 18 dicembre 1975: 2.4, 3, 4, 5, 6.1, 6.2, 6.3, 6.4, 6.5, 6.6, 7, 8, 9, 10, 12;
1. Il presente decreto, in attuazione dell’art.3, primo c., lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n.447, determina i requisiti acustici delle sorgenti sonore interne agli edifici e i requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti in opera, al fine di ridurre l’esposizione umana al rumore. 2. I requisiti acustici delle sorgenti sonore diverse da quelle di cui al primo comma sono determinati dai provvedimenti attuativi previsti dalla legge 26 ottobre 1995, n.447. Art.2. DEFINIZIONI 1. Ai fini dell’applicazione del presente decreto, gli ambienti abitativi di cui all’art.2, primo c., lettera b), della legge 26 ottobre 1995, n.447, sono distinti nella categorie indicate nella Tabella A allegata al presente decreto. 2. Sono componenti degli edifici le partizioni orizzontali e verticali. 3. Sono servizi a funzionamento discontinuo gli ascensori, gli scarichi idraulici, i bagni, i servizi igienici e la rubinetteria.
4. Sono servizi a funzionamento continuo gli impianti di riscaldamento, aerazione e condizionamento. 5. Le grandezze cui far riferimento per l’applicazione del presente decreto, sono definiti nell’allegato A che ne costituisce parte integrante. Art.3. VALORI LIMITE 1. Al fine di ridurre l’esposizione umana al rumore, sono riportati in tabella B i valori limite delle grandezze che determinano i requisiti acustici passivi dei componenti degli edifici e delle sorgenti sonore interne. Art.4. ENTRATA IN VIGORE (Il presente decreto è entrato in vigore il 21 febbraio 1998). ALLEGATO A GRANDEZZE DI RIFERIMENTO DEFINIZIONI, METODI DI CALCOLO E MISURE Le grandezze che caratterizzano i requisiti acustici passivi degli edifici sono: 1. il tempo di riverberazione (T), definito dalla norma ISO 3382:1975;
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
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• scuole preesistenti alla data di entrata in vigore del DM 18 dicembre 1975: 2.4, 3.1, 5 (5.5 larghezza totale riferita al solo piano di massimo affollamento), 6.1, 6.2, 6.3.0, 6.4, 6.5, 6.6, 7, 8, 9, 10, 12. 14. DEROGHE Nei casi in cui per particolari motivi tecnici o per speciali esigenze funzionali, non fosse possibile attuare qualcuna delle prescrizioni contenute nella presente normativa, il titolare della gestione della scuola può avanzare motivata richiesta di deroga in base all’art.21 del DPR n.577 del 29 luglio 1982 e secondo le procedure indicate nello stesso articolo. Le istanze devono essere redatte in carta legale e corredate di grafici e di relazione tecnica che illustri, sotto l’aspetto antincendio, le caratteristiche dell’edificio e le misure alternative proposte al fine di garantire un grado di sicurezza equivalente a quello previsto dalle norme a cui si intende derogare.
DETERMINAZIONE DEI REQUISITI ACUSTICI PASSIVI DEGLI EDIFICI (DPCM 5 dicembre 1997) Art.1. CAMPO DI APPLICAZIONE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
2. il potere fotoisolante apparente di elementi di separazione fra ambienti (R'), definito dalla norma EN ISO 140-5:1996; 3. l’isolamento acustico standardizzato di facciata (D2m,nT), definito da:
D2m,nT = D2m + 10 log T/To
dove: • D2m = L1,2 m - L2 è la differenza di livello; • L1,2 m è il livello di pressione sonora esterno a 2 m dalla facciata, prodotto da rumore da traffico se prevalente, o da altoparlante con incidenza del suono di 45° sulla facciata; • L2 è il livello di pressione sonora medio nell’ambiente ricevente, valutato a partire dai livelli misurati nell’ambiente ricevente mediante la seguente formula:
L2 = 10 log
(
1 n
n
Σ 10 i =1
Li 10
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
)
Le misure dei livelli Li devono essere eseguite in numero di n per ciascuna banda di terzi di ottava. Il numero n è il numero intero immediatamente superiore a un decimo del volume dell’ambiente; in ogni caso, il valore minimo di n è cinque;
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– . TICA B.8.1IA SCOLAS ALI R IZ E IL EN ED ISITI G REQU
B 269
B.8. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI EDILIZIA SCOLASTICA – REQUISITI GENERALI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
➦ DETERMINAZIONE DEI REQUISITI ACUSTICI PASSIVI DEGLI EDIFICI (DPCM 5 dicembre 1997) • T è il tempo di riverberazione nell’ambiente ricevente, in sec;
Gli indici di valutazione che caratterizzano i requisiti acustici passivi degli edifici sono:
• To è il tempo di riverberazione di riferimento assunto, pari a 0,5s;
a) indice del potere fonoisolante apparente di partizioni fra ambienti (Rw) da calcolare secondo la norma UNI 8270:1987, Parte 7ª, paragrafo 5.1.;
4. il livello di rumore di calpestio di solai normalizzato (Ln) definito dalla norma EN ISO 140-6:1996; 5. LASmax: livello massimo di pressione sonora ponderata A con costante di tempo slow; 6. LAeq: livello continuo equivalente di pressione sonora, ponderata A.
b) indice dell’isolamento acustico standardizzato di facciata (D2m,nT,w) da calcolare secondo le stesse procedure di cui al precedente punto a); c) indice del livello di rumore di calpestio di solai, normalizzato (Ln,w) da calcolare secondo la procedura descritta dalla norma UNI 8270:1987, parte 7ª, paragrafo 5.2.
TABELLA A – CLASSIFICAZIONE DEGLI AMBIENTI ABITATIVI (Art.2) CATEGORIE
Rumore prodotto dagli impianti tecnologici La rumorosità prodotta dagli impianti tecnologici non deve superare i seguenti limiti: a) 35 dB(A) LAmax con costante di tempo slow per i servizi a funzionamento discontinuo; b) 25 dB(A) LAeq per i servizi a funzionamento continuo. Le misure di livello sonoro devono essere eseguite nell’ambiente nel quale il livello di rumore è più elevato. Tale ambiente deve essere diverso da quello in cui il rumore si origina.
TABELLA B – REQUISITI ACUSTICI PASSIVI DEGLI EDIFICI, DEI LORO COMPONENTI E DEGLI IMPIANTI TECNOLOGICI CATEGORIE
A
Edifici adibiti a residenza o assimilabili
B
Edifici adibiti a uffici e assimilabili
C
Edifici adibiti ad alberghi, pensioni e attività assimilabili
D
Edifici adibiti a ospedali, cliniche, case cura e assimilabili
E
TAB.A
Parametri R’w (*)
D2m,nT,w
L’n,w
LASmax
LAeq
D
55
45
58
35
25
Edifici adibiti ad attività scolastiche a tutti i livelli e assimilabili
A, C
50
40
63
35
35
F
Edifici adibiti ad attività ricreative o culto o assimilabili
E
50
48
58
35
25
G
Edifici adibiti ad attività commerciali o assimilabili
B, F, G
50
42
55
35
35
(*) Valori di R’ w riferiti a elementi di separazione tra due distinte unità immobiliari
ELIMINAZIONE DELLE BARRIERE ARCHITETTONICHE (DPR 24 luglio 1996, n.503) 1. Gli edifici delle istituzioni prescolastiche, scolastiche, comprese le università, e delle altre istituzioni di interesse sociale nel settore della scuola devono assicurare la loro utilizzazione anche da parte di studenti non deambulanti o con difficoltà di deambulazione. 2. Le strutture interne devono avere le caratteristiche di cui agli artt. 7,15 e 17, del DPR 24 luglio 1996, n.503 (si veda par. B.1.4); le strutture esterne devono avere le caratteristiche di cui all’art.10 del DPR 24 luglio 1996, n.503 (si veda par. B.1.4)
3. L’arredamento, i sussidi didattici e le attrezzature necessarie per assicurare lo svolgimento delle attività didattiche devono avere caratteristiche particolari per ogni caso di invalidità (banchi, sedie, macchine da scrivere, materiale Braille, spogliatoi ecc.). 4. Nel caso di edifici scolastici a più piani senza ascensore, la classe frequentata da un alunno non deambulante deve essere situata in un aula al pianterreno raggiungibile mediante un percorso continuo orizzontale o raccordato con rampe.
EDUCAZIONE SCIENTIFICO-TECNOLOGICA Note estratte dal “Documento di base” del Progetto Se.T: Coordinamento del progetto speciale per l’educazione scientifico-tecnologica elaborato dal Min. della Pubblica Istruzione
scientifico e tecnologico. La scuola è forse più vittima che causa di queste carenze, ma non v’è dubbio che la formazione scientifico-tecnologica scolastica presenta diversi problemi:
Tecnologica” (Progetto Se.T), del quale si richiamano alcuni aspetti rilevanti.
PREMESSA
• la presenza discontinua e insufficiente delle discipline scientifiche sperimentali nei curricoli;
Il Progetto Se.T è finalizzato a favorire una crescita complessiva della cultura scientifico-tecnologica degli studenti migliorando la qualità dell’insegnamento. L’articolazione di obiettivi proposta ha lo scopo di creare un punto di riferimento per tutte le iniziative e per il controllo dei risultati:
Una adeguata cultura scientifica e tecnologica è parte importante della formazione di tutti i cittadini, per almeno tre ragioni: • la comprensione delle leggi del mondo naturale e delle logiche di quello costruito dall’uomo, così come la comprensione e il possesso dei metodi della matematica, delle scienze sperimentali e della tecnologia sono un aspetto essenziale nella formazione intellettuale di ogni persona; • la mancanza di conoscenze scientifico-tecnologiche impedisce di affrontare in modo maturo le decisioni pratiche e le scelte etiche che l’intreccio fra scienza, vita personale e società impongono a ogni cittadino; • i contenuti e i metodi della scienza e della tecnologia sono, anche se in modi diversi, una componente necessaria di qualsiasi professionalità. La cultura scientifica e tecnologica nel nostro paese, nonostante punte di eccellenza, è carente. Se ne hanno continue prove nelle indagini nazionali e internazionali sul rendimento scolastico e nelle difficoltà che gli studenti incontrano negli studi universitari nel settore
B 270
• la carenza di strumenti pratico-sperimentali adeguati in alcuni ordini di scuola; • la carente formazione dei docenti, in particolare per quanto riguarda gli aspetti pratici; • la scarsità di servizi (materiali, sostegni metodologici e informativi, diffusione dei risultati di ricerca, occasioni di formazione) capaci di aiutare i docenti nel loro lavoro. Vi sono tuttavia opportunità e risorse finora scarsamente utilizzate, come l’attività di ricerca nella didattica delle scienze, la recente diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, l’esistenza di istituzioni, enti, associazioni e imprese industriali, portatrici naturali di scienza, e applicazioni scientifiche. Appare possibile, quindi promuovere un miglioramento della pratica dell’insegnamento scientifico-tecnologico, a condizione che siano attivate iniziative strutturalmente nuove e risorse straordinarie. A questo scopo, il Min. della Pubblica Istruzione ha varato il “Progetto Speciale per l’Educazione Scientifico-
OBIETTIVI DEL PROGETTO Se.T
a) migliorare l’organizzazione dell’insegnamento scientifico-tecnologico • creando spazi per tale insegnamento, ove non vi siano, e razionalizzando quelli esistenti; • favorendo un facile accesso alle risorse esterne; • migliorando la gestione delle risorse interne ed esterne; b) migliorare la professionalità degli insegnanti • aumentando la loro consapevolezza metodologica; • migliorando la loro capacità di utilizzare e integrare una vasta gamma di strumenti e di risorse interne ed esterne nel loro insegnamento; • sviluppando la capacità di interagire, anche con l’aiuto delle reti telematiche, con la comunità della ricerca e dell’insegnamento scientifico-tecnologico, attraverso la ricerca di informazioni e materiali, la cooperazione, la documentazione del proprio lavoro.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE EDILIZIA SCOLASTICA – REQUISITI GENERALI
B.8. 1. A.ZIONI
c) migliorare la qualità dell’insegnamento scientificotecnologico: • promuovendo una forte integrazione fra elaborazione delle conoscenze e attività pratiche; • favorendo una didattica per problemi e per progetti; • affrontando in un quadro unitario gli aspetti scientifici e tecnologici; • creando collegamenti con la realtà che rendano evidenti le implicazioni culturali e sociali della scienza e della tecnologia. d) migliorare la cultura scientifico-tecnologica degli studenti: • innalzando il livello e la qualità delle conoscenze scientifiche e tecnologiche; • favorendo la padronanza e la consapevolezza dei metodi della scienza e della tecnologia; • saldando la riflessione teorica alla pratica della scienza e della tecnologia; • favorendo la comprensione del valore culturale e sociale della scienza e della tecnologia, anche nella dimensione storica.
La collocazione delle unità di lavoro in una o più discipline è di nuovo un compito delle singole scuole e dipende dagli specifici curricoli. Le unità di lavoro sono percorsi didattici di 10-20 ore definiti dalle singole scuole. Le unità di lavoro saranno definite dalle scuole con riferimento ad aree tematiche di particolare importanza culturale e sociale (vedi appendice). Le unità di lavoro troveranno collocazione in una o più discipline secondo la programmazione didattiche delle singole scuole
INIZIATIVE A LIVELLO TERRITORIALE La scelta di riferire le unità di lavoro a temi generali e non direttamente alle discipline dipende da almeno due ragioni: • la necessità di una impostazione flessibile e indipendente dagli specifici curricoli; • il fatto che le grandi tematiche di interesse culturale e sociale non sono sempre riconducibili a specifiche discipline, ma ne attraversano più di una. INIZIATIVE E RISORSE Linee di azione In coerenza con gli obbiettivi enunciati il Progetto Se.T si propone attivare le seguenti linee di azione:
ALCUNE OPZIONI DI BASE DEL PROGETTO Una visione unitaria di scienza e tecnologia La separazione fra discipline scientifiche e tecnologiche che prevale nella scuola appare artificiosa dal punto vista concettuale e funzionale. Scienza e tecnologia hanno finalità e metodi in parte distinti, ma non è possibile stabilire fra esse una separazione netta, poiché la storia di questi due saperi è una storia di scambi reciproci. Rispettare tale continuità nella formazione significa scegliere un modello culturale che unisce teoria e pratica, attitudini speculative e capacità di soluzione dei problemi. Per queste ragioni è necessario porre a base del progetto una visione unitaria di scienza e tecnologia.
a) fornire alle scuole risorse capaci di migliorare gli strumenti, le strutture e l’organizzazione didattica dell’insegnamento scientifico-tecnologico; b) creare servizi, materiali, azioni di sostegno e opportunità formative per i docenti; c) porre l’educazione scientifico-tecnologica come questione di interesse generale e coinvolgere nelle azioni di sostegno alle scuole le organizzazioni interessate alla scienza e alla tecnologia: istituti di ricerca, musei, enti e servizi destinati alla protezione dell’ambiente e della salute, imprese industriali.
Una nozione allargata del concetto di laboratorio e di sperimentazione Un buon insegnamento scientifico-tecnologico deve basarsi sull’interazione fra elaborazione delle conoscenze e attività pratico-sperimentali. La qualità dell’insegnamento scientifico ha bisogno di un recupero su entrambi i versanti, superando le carenze culturali e strutturali che impediscono le attività pratiche. Il “laboratorio” dell’educazione scientifico-tecnologica non è solo un ambiente attrezzato, in cui è possibile svolgere esperimenti e dimostrazioni, quanto, piuttosto, l’insieme delle opportunità, interne ed esterne alla scuola, utili per dare un contesto pratico all’osservazione, la sperimentazione, il progetto e la valutazione della rilevanza della scienza e della tecnologia.
INIZIATIVE DELLE SCUOLE
Le tecnologie informatiche, telematiche e multimediali come strumento La recente diffusione scolastica delle tecnologie informatiche, telematiche e multimediali, favorita dal Programma di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche, fornisce nuove occasioni per l’educazione scientifica e tecnologica. Sul versante della didattica l’uso del computer come strumento di laboratorio e come elaboratore dei dati è già acquisito in alcuni ordini di scuola, ma le tecnologie oggi disponibili offrono una gamma di strumenti ancora in parte da esplorare; occorre quindi dare grande rilevanza a questo aspetto, specialmente nella formazione di base. Più in generale le tecnologie a disposizione costituiscono strumenti straordinari per la comunicazione e la collaborazione a distanza, la ricerca delle informazioni e la gestione della didattica. L’uso di questi strumenti è una scelta strategica del Progetto Se.T.
d) la partecipazione ad alcune attività di collaborazione in rete e, in particolare, la fornitura delle informazioni che verranno richieste in fase di monitoraggio.
I contenuti: unità di lavoro, aree tematiche, discipline Per comodità di gestione del progetto e di confronto fra scuole si assume come segmento minimo di programmazione didattica l’unità di lavoro, intendendo con questo un insieme di attività didattiche di 10-20 ore. La scelta dei contenuti delle unità di lavoro è compito delle scuole, ma si raccomanda che tale scelta sia fatta riferendosi ad aree tematiche particolarmente importanti sia per la loro valenza concettuale sia per la loro rilevanza sociale.
Occorre infine ricordare l’importanza delle attrezzature informatiche e telematiche, di cui le scuole sono in buona misura già dotate, come strumento che, integrato con quelli specifici, può creare un contesto assai efficace di educazione scientifica. Per garantire una pratica sperimentale non necessariamente ci si deve limitare all’acquisto di attrezzature di laboratorio, ma si possono anche investire le risorse finanziarie nella creazione di opportunità esterne di formazione pratica.
Attività Le scuole sono invitate a formulare progetti per il miglioramento dell’educazione scientifica. I progetti delle scuole dovranno includere; a) la programmazione di almeno due unità di lavoro e la loro sperimentazione nel maggior numero di classi possibili; b) una attività di formazione dei docenti; c) l’acquisizione e la predisposizione di risorse sia permanenti sia necessarie per le unità prescelte;
Le scuole sono autonome nella formulazione dei progetti, ma potranno trarre vantaggio da informazioni, materiali didattici, assistenza, servizi, opportunità di formazione dei docenti che saranno offerti sia a livello locale sia in rete. In alcuni casi le scuole potranno aderire a iniziative di sperimentazione controllata e produzione di materiali promosse da istituzioni scientifiche qualificate. Risorse tecniche e strumentali Per quanto riguarda le risorse tecniche e strumentali la situazione delle scuole è molto diversa in relazione all’ordine cui appartengono e alla loro storia particolare. Poiché un punto fondamentale del progetto è la pratica sperimentale, sarà attivata una politica mirata e di finanziamenti alle scuole per migliorare tale situazione. In alcuni casi si tratterà di attivare ex novo ambienti attrezzati oggi inesistenti. Occorre, a questo proposito, collegare strettamente l’acquisizione di attrezzature con il progetto didattico, puntando a scelte essenziali, largamente basate su materiali e strumenti di normale uso e di facile reperibilità, evitando sovrastrutture costose e artificiali. Anche per questo l’offerta di servizi in rete, specialmente se proviene da esperienze di ricerca, può dare un aiuto essenziale.
Attività A livello locale saranno promosse alcune attività di supporto per: • destinare le risorse sulla base dei progetti delle scuole; • censire le risorse umane e organizzative disponibili a livello locale; • favorire la collaborazione delle scuole; • stimolare e orientare l’offerta di assistenza, coordinamento e servizi da parte di istituti qualificati a livello locale; • creare centri di risorse o migliorare quelli esistenti per dare visibilità alle risorse disponibili a livello locale; • favorire e organizzare la partecipazione ad attività nazionali come la utilizzazione di risorse e offerte formative a distanza e il monitoraggio. Risorse tecniche e strumentali L’organizzazione di risorse a livello locale, si deve inquadrare nella organizzazione complessiva può assumere varie forme, che possono includere, ad esempio: • centri di risorse; • reti telematiche; • strutture extra-scolatiche per l’educazione scientifica (musei, parchi ecc). INIZIATIVE A LIVELLO NAZIONALE Attività A livello nazionale saranno garantite alcune funzioni. • coordinamento generale; • governo delle procedure di distribuzione delle risorse alle scuole; • attivazione dei progetti nazionali per la produzione di materiali e servizi, come; • servizi di informazione e guida; • raccolta di esperienze e loro pubblicazione come banche multimediali; • proposte e materiali per le scuole; • strumenti per la formazione a distanza dei docenti; • coinvolgimento di istituzioni e associazioni scientifiche e imprese, anche tramite specifiche intese; • conduzione di progetti pilota; • monitoraggio del progetto. Risorse tecniche e strumentali Lo strumento fondamentale per i servizi alle scuole sarà però costituito dalle reti telematiche e in particolare da Internet. I siti del Min. della BDP e del CEDE sono un punto di riferimento, ma le diverse istituzioni potranno mettere a disposizione le loro strutture. ORGANIZZAZIONE E PUNTI DI RIFERIMENTO Scuole Il regolamento dell’autonomia fornisce il principale quadro di riferimento per gli aspetti organizzativi e per l’utilizzazione delle risorse umane interne alla scuola. Alle norme di tale regolamento si aggiungono quelle relative all’aggiornamento dei docenti. È comunque previsto che in ogni scuola coinvolta nel progetto vi sia un referente per l’educazione scientifico-tecnologica. Livello territoriale All’interno del sistema scolastico i punti di riferimento organizzativo sono due: • i provveditorati con i relativi nuclei operativi che hanno le funzioni fissate dalle direttive per l’autonomia e che possono attivare punti di servizio specifici; • gli IRRSAE, nell’ambito delle nuove funzioni di supporto che saranno conferite dalla riforma del Ministero.
➥
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
– . TICA B.8.1IA SCOLAS ALI R IZ E IL EN ED ISITI G REQU
B 271
B.8. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI EDILIZIA SCOLASTICA – REQUISITI GENERALI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
➦ EDUCAZIONE SCIENTIFICO-TECNOLOGICA Nell’ambito dei Provveditorati, è opportuno creare un Gruppo di Lavoro, strettamente collegato con il Nucleo per l’Autonomia,e di nominare un referente per il Progetto Se.T. Uno dei compiti di questi due punti di riferimento è quello di fare una ricognizione dei docenti che sono stati impegnati in progetti di ricerca didattica o altre attività qualificate per l’educazione scientifica e che possono costituire un importante punto di riferimento per le singole scuole e per le attività coordinate. All’esterno del sistema scolastico occorre fare riferimento soprattutto alle istituzioni impegnate nella ricerca di didattica delle scienze e di divulgazione scientifica (università, istituti e agenzie di ricerca, musei ecc.). Ma anche le agenzie di servizi e le imprese di produzione
possono fornire importanti sostegni mettendo a disposizione le loro conoscenze e le loro strutture.
14. Struttura: forma e funzione 15. Misura, elaborazione e rappresentazione: strumenti e tecnologie per conoscere 16. I materiali 17. Energia: trasformazioni, impieghi, fonti primarie 18. Informazione e comunicazione 19. Microcosmo e macrocosmo 10. Dimostrazioni e modelli 11. Metodo matematico, metodo sperimentale, tecnologie 12. La scienza del vivere quotidiano 13. Tecnologie e vita 14. Ambiente e tecnologia 15. I grandi fenomeni naturali
APPENDICE Aree tematiche proposte per il progetto Se.T Le aree tematiche elencate propongono nodi concettuali essenziali sia per una esplorazione interna della scienza e della tecnologia sia per rivelare il loro valore culturale generale. Si tratta di temi molto generali che possono attraversare diverse discipline. 1. Processi di cambiamento e trasformazione 2. Stabilità e instabilità dei sistemi 3. I linguaggi della Scienza e della Tecnologia
TAB. B.8.1./1 DISTANZE E TEMPI DI PERCORRENZA MASSIMI – DIMENSIONE MINIMA E MASSIMA DELL’EDIFICIO TIPO DI SCUOLA materne
elementari
medie
300
500
1000
–
–
15 min.
15 – 30 min
20 – 45 min.
Distanze massime (a piedi) ml
1
Tempi di percorrenza max (con mezzi di trasporto) N. alunni
massima
N. sezioni o classi
Dimensioni dell’edificio
2
270
625
720
1500
9 sezioni
25 classi
24 classi
60 classi
N. alunni
minima
N. sezioni o classi
second. super.
15
75
150
250
3 sezioni
5 classi
6 classi
10 class
TAB. B.8.1./2 AMPIEZZA MINIMA DELL’AREA NECESSARIA ALLA COSTRUZIONE DI UN EDIFICIO SCOLASTICO, PER TIPI DI SCUOLE E PER NUMERO DI CLASSI N.CLASSI O SEZIONI
SCUOLA MATERNA
per alunno sup. totale
per classe per alunno
SCUOLA MEDIA
1
1.500
1.500
50
2
1.500
750
25
3
2.250
750
25
4
3.000
750
25
5
3.750
750
25
2.295
459
18
6
4.500
750
25
2.755
459
18
4.050
675
27
7
5.250
750
25
3.215
459
18
4.375
625
25
8
6.000
750
25
3.675
459
18
4.960
620
25
9
6.750
750
25
4.130
459
18
5.490
610
24
10
5.670
567
23
5.870
587
24
6.620
662
27
11
6.140
558
22
6.490
590
24
7.227
657
26
12
6.590
549
22
6.840
570
23
7.800
650
26
13
7.060
543
22
7.215
555
22
8.190
630
25
14
7.520
537
21
7.840
560
22
8.568
612
25
15
7.965
531
21
8.175
545
22
9.000
600
24
16
8.430
527
21
8.640
540
22
9.840
615
25
17
8.875
522
21
8.925
525
21
10.200
600
24
18
9.340
519
21
9.306
517
21
10.656
592
24
19
9.805
516
21
9.728
512
21
11.058
582
23
20
10.260
513
21
10.100
505
20
11.500
575
23
21
10.710
510
20
11.500
550
22
13.545
645
26
22
11.155
507
20
11.990
545
22
13.904
632
25
23
11.615
505
20
12.351
537
22
14.375
625
25
24
12.095
504
20
12.095
504
21
14.760
615
25
25
12.550
502
20
15.125
605
24
30
17.850
595
24
35
21.175
605
24
40
23.800
595
24
50
29.000
580
23
60
33.900
565
23
unità minima 5 classi unità massima 25 classi modulo base 5classi
sup. tot.
SCUOLE SECONDARIE
per sez.
unità minima 3 sezioni unità massima 9 sezioni modulo base 3 sezioni
B 272
SCUOLA ELEMENTARE
sup. totale
per classe per alunno sup. totale
unità minima 9 classi unità massima 24 classi modulo base 3classi
per classe per alunno
unità minima 10 classi unità massima 60 classi modulo base 5classi
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE EDILIZIA SCOLASTICA – REQUISITI GENERALI
B.8. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. B.8.1./3 SUPERFICI LORDE PER SEZIONE, PER CLASSE, PER ALUNNO * Classi o sez. 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 50 60
SC. MATERNA SC. ELEMENT. SC. MEDIA LIC. CLASSICO LIC. SCIENTIF. IST. MAGISTR. IST. GEOMETRI IST. COMMERC. N. N. N. alunni mq/sez. mq./al. alunni mq/sez. mq./al. mq/sez. mq./al. alunni mq/sez. mq./al. mq/sez. mq./al. mq/sez. mq./al. mq/sez. mq./al. mq/sez. mq./al. 90 210 7 120 203 7 150 202 7 125 153 6 – – 180 200 7 150 – – 276 11 210 199 7 175 – – – – 240 199 7 200 – – – – 270 198 7 225 – – 240 10 250 189 8 – – 250 242 10 261 10 – – 269 11 307 12 275 – – – – 275 – – – – – – – – – – 300 – – 220 9 300 – – – – 241 10 – – – – 325 – – – – 325 – – – – – – – – – – 350 – – – – 350 – – – – – – – – – – 375 177 7 213 9 375 229 9 253 10 – – 270 11 294 12 400 – – – – 400 – – – – 240 10 – – – – 425 – – – – 425 – – – – – – – – – – 450 – – 203 8 450 – – – – – – – – – – 475 – – – – 475 – – – – – – – – – – 500 – – – – 500 215 9 255 10 227 9 231 9 257 10 525 – – 211 8 525 – – – – – – – – – – 550 – – – – 550 – – – – – – – – – – 575 – – – – 575 – – – – – – – – – – 600 – – 202 8 600 – – – – 220 9 – – – – 625 167 7 – – 625 206 8 239 10 – – 227 9 271 11 650 – – – – – – – – – – 675 – – – – – – – – – – 700 – – – – 211 9 – – – – 725 – – – – – – – – – – 750 195 8 219 9 – – 209 8 251 10 775 – – – – – – – – – – 800 – – – – 215 9 – – – – 825 – – – – – – – – – – 850 – – – – – – – – – – 875 197 8 215 9 – – 196 8 251 10 900 – – – – 204 8 – – – – 925 – – – – – – – – – – 950 – – – – – – – – – – 975 – – – – – – – – – – 1.000 187 7 209 8 195 8 190 8 250 10 1.250 176 7 221 8 – – 178 7 229 9 1.500 166 7 183 7 – – 168 7 215 9
* A seconda del tipo di scuola: per sezione fino a 30 alunni, per classe fino a 25 alunni, comprensive di tutti i locali dell’edificio e delle murature, considerate le palestre tipo A1 e A2 (secondo i casi) – esclusi: alloggio del custode, alloggio per l’insegnante, uffici per le direzioni didattiche e palestre tipo B.
TAB. B.8.1./4 NORME SULLE ALTEZZE DI PIANO (interne) TIPO DI SPAZIO 1
2 3
4
5 6 7 8
H. MIN. (cm)
Spazi per l’unità pedagogica (classe)
300
Parti per il lavoro di gruppo Spazi per l’insegnamento specializzato Se con gradinate: nella parte più bassa Spazi per laboratori e officine Spazi per comunicazione e informazione 1) Biblioteca zona per carrels 2) Auditorio e sala attività integrative: con gradinate: nella parte più bassa nella parte più alta senza gradinate. Spazi per l’educazione fisica palestra tipo A. palestra tipo B. Spazi per la distribuzione Spazi amministrativi e visita medica. Spazi per la mensa: a) in nicchia, fino a superficie 30/35 mq b) negli altri casi
240 300 240
NOTE Con soffitto piano Nel caso di soffitto inclinato altezza minima 270 cm
Con pavimento e soffitto piano. Secondo esigenze specifiche
300 210
240 300
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
240 420 420 540 720 240 300
B.STAZIONI DILEGIZLII
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
Nel caso d’installazione di un campo di pallavolo in una palestra tipo A2, l’altezza minima deve essere di 720 cm
– . TICA B.8.1IA SCOLAS ALI R IZ E IL EN ED ISITI G REQU
B 273
B.8. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI EDILIZIA SCOLASTICA – REQUISITI GENERALI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
TAB. B.8.1./.5. INDICI STANDARD DI SUPERFICI (delle unità ambientali) – SCUOLA MEDIA (DM Pubblica Istruzione del 18 dicembre 1975)
DESCRIZIONE DELLE ATTIVITÀ
1
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
6
9
12
15
18
21
N. CLASSI 24
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
150
225
300
375
450
525
600
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
attività normali
1,80
1,80
1,80
1,80
1,80
1,80
1,80
attività speciali
1,00
0,80
0,76
0,80
0,80
0,68
0,60
attività musicali
0,24
0,18
0,13
0,10
0,11
0,10
0,10
minimo
3,04
2,78
2,69
2,70
2,71
2,58
2,50
massimo
3,19
3,19
3,08
3,10
3,02
2,95
2,85
att. integrative e parascol.
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
biblioteca alunni
0,40
0,27
0,23
0,20
0,17
0,17
0,15
mensa e relativi servizi
0,50
0,50
0,50
0,50
0,50
0,50
0,50
atrio
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
uffici
0,90
0,60
0,45
0,42
0,37
0,31
0,28
minimo
5,64
4,95
4,67
4,62
4,55
4,36
4,23
massimo
5,79
5,36
5,06
5,02
4,86
4,73
4,58
minimo
2,26
1,98
1,87
1,85
massimo
2,32
2,14
2,02
2,01
Indice sup. netta globale
7,90
6,93
6,54
6,48
6,35
6,10
5,92
Indice sup. max. globale
8,11
7,50
7,08
7,03
6,80
6,62
6,41
Attività didattiche
Indice di sup. tot. attività did.
2
3
Attività collettive
Attività complementari
Somma indici parziale
Connettivo e serv. igienici (40%)
Altre attività, se richieste 4
Spazi per l’educazione fisica
Palestra tipo A1 = 330 mq netti
5
Alloggio del custode
80 mq netti
TAB. B.8.1./6 INDICI STANDARD DI SUPERFICI (delle unità ambientali) – LICEO CLASSICO (DM Pubblica Istruzione del 18 dicembre 1975)
DESCRIZIONE DELLE ATTIVITÀ
1
2
3
4
5
B 274
Attività didattiche attività normali attività speciali fisica chimica e scienze naturali Attività collettive att. integrative e parascol. biblioteca alunni mensa e relativi servizi Attività complementari atrio uffici Somma indici parziale Connettivo e serv. igienici (40%) Indice sup. netta globale Spazi per l’educazione fisica Palestra e servizi Altre attività, se richieste Alloggio del custode
N. CLASSI 10 n. alunni 250 mq/alun.
N. CLASSI 15 n. alunni 375 mq/alun.
N. CLASSI 20 n. alunni 500 mq/alun.
N. CLASSI 25 n. alunni 625 mq/alun.
N. CLASSI 30 n. alunni 750 mq/alun.
N. CLASSI 35 n. alunni 875 mq/alun.
N. CLASSI 40 n. alunni 1000 mq/alun.
N. CLASSI 50 n. alunni 1250 mq/alun.
N. CLASSI 60 n. alunni 1500 mq/alun.
1,96 1,36 180 mq 180 mq
1,96 0,96 180 mq 180 mq
1,96 0,88 180 mq 260 mq
1,96 0,70 180 mq 260 mq
1,96 0,59 180 mq 260 mq
1,96 0,86 180 mq 390 mq
1,96 0,75 180 mq 390 mq
1,96 0,70 360,00 520 mq
1,96 0,59 360,00 520 mq
0,60 0,40 0,50
0,60 0,35 0,50
0,60 0,32 0,50
0,60 0,27 0,50
0,60 0,27 375 mq
0,60 0,26 375 mq
0,60 0,26 375 mq
0,60 0,24 375 mq
0,60 0,24 375 mq
0,20 0,50 5,52 2,2 7,72
0,20 0,35 4,87 1,94 6,81
0,20 0,33 4,79 1,91 6,70
0,20 0,27 4,50 1,8 6,30
0,20 0,25 4,37 1,74 6,11
0,20 0,23 4,53 1,81 6,34
0,20 0,21 4,36 1,74 6,10
0,20 0,18 4,18 1,67 5,85
0,20 0,17 4,01 1,6 5,61
tipo A1 330 mq 80 mq netti
tipo A2 630 mq netti
tipo B1 830 mq netti
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE EDILIZIA SCOLASTICA – REQUISITI GENERALI
B.8. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. B.8.1./7 INDICI STANDARD DI SUPERFICI (delle unità ambientali) – LICEO SCIENTIFICO (DM Pubblica Istruzione del 18 dicembre 1975) N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
10
15
20
25
30
35
40
50
60
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
250
375
500
625
750
875
1000
1250
1500
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
attività normali
1,96
1,96
1,96
1,96
1,96
1,96
1,96
1,96
1,96
attività speciali
1,76
1,44
1,84
1,47
1,23
1,37
1,33
1,25
1,04
fisica
180 mq
180 mq
360 mq
360 mq
360 mq
540 mq
540 mq
540 mq
540 mq
chimica e scienze naturali
160 mq
160 mq
260 mq
260 mq
260 mq
260 mq
390 mq
520 mq
520 mq
disegno
100 mq
200 mq
200 mq
300 mq
300 mq
400 mq
400 mq
500 mq
500 mq
att. integrative e parascol.
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
biblioteca alunni
0,40
0,35
0,32
0,27
0,27
0,26
0,26
0,24
0,24
mensa e relativi servizi
0,60
0,60
0,60
0,60
375mq
375mq
375mq
375mq
375mq
atrio
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
uffici
0,50
0,35
0,33
0,27
0,25
0,23
0,21
0,18
0,17
Somma indici parziale
6,02
5,50
5,85
5,37
5,01
5,04
4,94
4,73
4,46
Connettivo e serv. igienici (40%)
2,40
2,20
2,34
2,15
2,00
2,00
1,97
1,89
1,78
Indice sup. netta globale
8,42
7,70
8,19
7,52
7,01
7,04
6,91
6,62
6,24
DESCRIZIONE DELLE ATTIVITÀ
1
2
3
4
Attività collettive
Spazi per l’educazione fisica
tipo A1 330 mq
tipo A2 630 mq netti
Alloggio del custode
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
12
16
20
24
28
32
36
40
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
300
400
500
600
700
800
900
1000
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
attività normali
1,96
1,96
1,96
1,96
1,96
1,96
1,96
1,96
attività speciali
1,50
1,13
1,10
0,92
1,04
1,21
1,08
0,97
fisica
180 mq
180 mq
180 mq
180 mq
360 mq
360 mq
360 mq
360 mq
chimica e scienze naturali
160 mq
160 mq
260 mq
260 mq
260 mq
390 mq
390 mq
390 mq
disegno
110 mq
110 mq
110 mq
110 mq
110 mq
220 mq
220 mq
220 mq
att. integrative e parascol.
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
biblioteca alunni
0,35
0,32
0,32
0,29
0,27
0,26
0,26
0,26
mensa e relativi servizi
0,60
0,60
0,60
0,60
375 mq
375 mq
375 mq
375 mq
atrio
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
uffici
0,43
0,41
0,33
0,28
0,27
0,25
0,23
0,21
Somma indici parziale
5,64
5,22
5,11
4,85
4,88
4,95
4,75
4,58
Connettivo e serv. igienici (40%)
2,25
2,09
2,04
1,93
1,95
1,98
1,90
1,83
Indice sup. netta globale
7,89
7,31
7,15
6,78
6,83
6,93
6,65
6,41
Attività didattiche
Attività collettive
Attività complementari
Spazi per l’educazione fisica Palestra e servizi
tipo A1 330 mq
Altre attività, se richieste 5
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
Alloggio del custode
80 mq netti
G.ANISTICA URB
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
n. alunni
DESCRIZIONE DELLE ATTIVITÀ
4
D.GETTAZIONE
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
80 mq netti
N. CLASSI
3
E ESE ESSIONAL PROF
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
tipo B1 830 mq netti
TAB. B.8.1./8 INDICI STANDARD DI SUPERFICI (delle unità ambientali) – ISTITUTO MAGISTRALE (DM Pubblica Istruzione del 18 dicembre 1975)
2
C.RCIZIO
Attività complementari
Altre attività, se richieste
1
I ED PRE NISM ORGA
Attività didattiche
Palestra e servizi 5
B.STAZIONI DILEGIZLII
tipo A2 630 mq netti
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
tipo B1 830 mq netti – . TICA B.8.1IA SCOLAS ALI R IZ E IL EN ED ISITI G REQU
B 275
B.8. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI EDILIZIA SCOLASTICA – REQUISITI GENERALI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
TAB. B.8.1./9 INDICI STANDARD DI SUPERFICI (delle unità ambientali) – ISTITUTO TECNICO COMMERCIALE (DM Pubblica Istruzione del 18 dicembre 1975)
DESCRIZIONE DELLE ATTIVITÀ
1
2
3
4
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
10
15
20
25
30
35
40
50
N. CLASSI 60
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
250
375
500
625
750
875
1000
1250
1500
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
attività normali
1,96
1,96
1,96
1,96
1,96
1,96
1,96
1,96
1,96
attività speciali
1,96
1,60
1,20
1,17
0,97
0,83
0,84
0,77
0,64
fisica, chimica, sc.nat., merceolog.
180 mq
290 mq
290 mq
420 mq
420 mq
420 mq
420 mq
550 mq
550 mq
dattilografia, stenografia
100 mq
100 mq
100 mq
100 mq
100 mq
100 mq
100 mq
100 mq
100 mq
ragioneria, macchine contabili
105 mq
105 mq
105 mq
105 mq
105 mq
105 mq
105 mq
105 mq
105 mq
tecnica commerc. o calcolatrici
105 mq
105 mq
105 mq
105 mq
105 mq
105 mq
210 mq
210 mq
210 mq
att. integrative e parascol.
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
biblioteca alunni
0,40
0,35
0,32
0,27
0,27
0,26
0,26
0,24
0,24
mensa e relativi servizi
0,60
0,60
0,60
0,60
375mq
375mq
375mq
375mq
375mq
atrio
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
uffici
0,50
0,35
0,33
0,27
0,25
0,23
0,21
0,18
0,17
Somma indici parziale
6,22
5,96
5,21
5,07
4,75
4,50
4,45
4,25
4,06
Connettivo e serv. igienici (40%)
2,49
2,38
2,08
2,03
1,90
1,80
1,78
1,70
1,62
Indice sup. netta globale
8,71
8,34
7,29
7,10
6,65
6,30
6,23
5,95
5,68
N. CLASSI
Attività didattiche
Attività collettive
Attività complementari
Spazi per l’educazione fisica Palestra e servizi
tipo A1 330 mq
tipo A2 630 mq netti
tipo B1 830 mq netti
Altre attività, se richieste 5
Alloggio del custode
80 mq netti
TAB. B.8.1./10 INDICI STANDARD DI SUPERFICI (delle unità ambientali) – ISTITUTO TECNICO PER GEOMETRI (DM Pubblica Istruzione del 18 dicembre 1975)
DESCRIZIONE DELLE ATTIVITÀ
1
2
3
4
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
N. CLASSI
10
15
20
25
30
35
40
50
60
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
n. alunni
250
375
500
625
750
875
1000
1250
1500
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
mq/alun.
attività normali
1,96
1,96
1,96
1,96
1,96
1,96
1,96
1,96
1,96
attività speciali
2,96
2,52
1,89
2,15
2,07
2,29
2,40
2,11
1,89
fisica
180 mq
180 mq
180 mq
360 mq
360 mq
360 mq
540 mq
540 mq
540 mq
chimica, scienze naturali
160 mq
160 mq
160 mq
160 mq
260 mq
390 mq
390mq
520 mq
520 mq
disegno tecnico e architettonico
125 mq
125 mq
125 mq
125 mq
230 mq
350 mq
350mq
450 mq
450 mq
costruzioni e disegno
125 mq
230 mq
230 mq
350 mq
350 mq
450 mq
550mq
550 mq
650 mq
topografia e disegno
150 mq
250 mq
250 mq
350 mq
350 mq
450 mq
575mq
575 mq
675 mq
att. integrative e parascol.
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
0,60
biblioteca alunni
0,40
0,35
0,32
0,27
0,27
0,26
0,26
0,24
0,24
mensa e relativi servizi
0,60
0,60
0,60
0,60
375 mq
375 mq
375 mq
375 mq
375 mq
atrio
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
0,20
uffici
0,50
0,35
0,33
0,27
0,25
0,23
0,21
0,18
0,17
Somma indici parziale
7,22
6,58
5,90
6,05
5,85
5,96
6,01
5,59
5,31
Connettivo e serv. igienici (40%)
2,89
2,63
2,36
2,42
2,34
2,38
2,40
2,24
2,12
Indice sup. netta globale
10,11
9,21
8,26
8,47
8,19
8,34
8,41
7,83
7,43
Attività didattiche
Attività collettive
Attività complementari
Spazi per l’educazione fisica Palestra e servizi
tipo A1 330 mq
Altre attività, se richieste 5
B 276
Alloggio del custode
80 mq netti
tipo A2 630 mq netti
tipo B1 830 mq netti
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE MATERNE
B.8. 2. A.ZIONI
sione può essere mobile per consentire un indifferenziato uso degli ambienti, a seconda delle necessità didattiche;
RELAZIONI CON IL CONTESTO E REQUISITI IGIENICI E AMBIENTALI RELATIVI ALL’UBICAZIONE DELLE SCUOLE MATERNE L’ordinamento didattico della scuola italiana affida alla scuola materna il ruolo di “luogo di integrazione e arricchimento dell’educazione familiare, in un quadro di gestione sociale e di ampia partecipazione della comunità”. Valgono pertanto anche per la scuola materna le indicazioni generali in tema di relazioni con il contesto urbano e territoriale impartite dalla normativa corrente e richiamate nel paragrafo 3.8.1. Altri requisiti relativi all’ubicazione delle scuole materne vengono richiamati di seguito. • La distanze scuola-residenza dovrebbe essere contenuta entro 300 ml (si veda Tab. B.8.1./1). Per quanto attiene all’accessibilità e ai percorsi casa-scuola, occorre considerare che gli alunni della materna non sono autonomi nella percorrenza dalla residenza alla scuola e viceversa e che pertanto la struttura scolastica deve essere strettamente collegata alla morfologia residenziale e raggiungibile a piedi, mediante un percorso casa-scuola agevole ed effettuabile nelle condizioni di massima sicurezza e, possibilmente, senza attraversamenti di linee di traffico (stradale, tranviario, ferroviario ecc.). • È consigliabil ubicare la scuola materna in contiguità con scuole elementari, preferibilmente configurando soluzioni integrate che ottimizzino l’utilizzazione di servizi tecnici e sociali comuni. In quanto ai requisiti igienici e ambientali relativi all’ubicazione delle scuole materne valgono le disposizioni generali fissate per l’edilizia scolastica, richiamati in B.8.1.
REQUISITI DELL’AREA DESTINATA ALLA COSTRUZIONE DI SCUOLE MATERNE L’ampiezza dell’area da destinare alla costruzione di scuole materne, in rapporto al numero degli alunni o delle sezioni, è fissata al punto 2 delle “Norme Tecniche” promulgate con DM 18 dicembre 1975, riportate in Tab. B.8./2. Per le aree destinate all’edificazione di scuole materne valgono in particolare modo le prescrizioni relative alla salubrità del luogo, all’assenza di fattori inquinanti e di rumori e alla disponibilità di ampi spazi all’aperto opportunamente contornati da alberature e da altre morfologie vegetali.
• lo spazio per le attività pratiche deve, compatibilmente con lo svolgimento delle sue funzioni, essere integrato con lo spazio totale della sezione per le sue funzioni pedagogiche ed educative. Esso deve essere previsto, possibilmente, in ciascuna sezione e deve comprendere lo spogliatoio, i locali d’igiene e i relativi servizi igienici; • la mensa può essere collocata in uno spazio a sé stante, comune a tutte le sezioni; deve anche essere prevista una adeguata cucina e una dispensa, opportunamente disimpegnata; lo spazio destinato alla mensa potrà essere previsto attiguo a quello delle attività libere ed essere da questo separato per mezzo di porte scorrevoli, allo scopo di consentire, eccezionalmente, una sua diversa utilizzazione; • gli spazi esterni affinché le attività ordinate o quelle libere possano svolgersi in parte al chiuso e in parte all’aperto, gli spazi relativi debbono essere in stretta relazione con lo spazio esterno organizzato all’uopo, anche per consentire l’esercizio dell’osservazione e della sperimentazione diretta a contatto con la natura; esso può essere comune a più sezioni; dovranno, inoltre, essere previsti spazi coperti, ma aperti, intesi ad assolvere un compito di mediazione tra l’aperto e il chiuso. • i servizi igienico-sanitari (v. Fig. B.8.2./5) per la scuola materna debbono avere le seguenti caratteristiche: Il numero di vasi per gli alunni dovrà essere di 3 per ogni sezione, oltre alcuni vasi supplementari per servire gli spazi lontani dalle sezioni. Il locale che contiene le latrine e le antilatrine deve essere illuminato e aerato direttamente. Le latrine non debbono essere separate per sesso né debbono essere costituite da box separati. Inoltre: - devono essere protette dai raggi diretti del sole, specie nelle regioni più calde; - devono avere impianti col sistema a caduta d’acqua con cassetta di lavaggio o altro tipo equivalente, purché dotato di scarico automatico o comandato; - devono avere le colonne di scarico munite di canne di ventilazione, prolungate al di sopra della copertura; - devono avere le colonne di scarico dei servizi igienici dimensionate in relazione agli apparecchi utilizzati, con possibilità di ispezioni immediate.
CRITERI DI DIMENSIONAMENTO DEGLI EDIFICI DESTINATI A OSPITARE SCUOLE MATERNE Le dimensioni minime e massime degli edifici destinati a ospitare scuole materne sono riportate in Fig. B.8.2./1. Le superfici minime di riferimento per il dimensionamento delle scuole materne in rapporto al numero presumibile degli alunni o delle sezioni sono riportate in Fig. B.8.2./2
Il locale latrine dovrà essere munito, sul pavimento, di un chiusino di scarico a sifone, ispezionabile e di una presa d’acqua con rubinetto portagomma per l’attacco di una lancia per l’effetto di acqua. I lavabi e gli eventuali lavapiedi debbono essere ad acqua grondante. Le fontanelle per bere, ubicate nei punti più accessibili, o nell’antilatrina, debbono essere dotate di acqua sicuramente potabile, erogata a getto parabolico.
REQUISITI DELLE OPERE RELATIVE ALLA COSTRUZIONE DI SCUOLE MATERNE Le caratteristiche e i requisiti generali che devono possedere le opere relative alla costruzione di scuole materne sono fissate al punto 3 delle “Norme Tecniche” specificate dal DM 18 dicembre 1975 (che qui si richiamano). Per la scuola materna in particolare, dove l’unità pedagogica è costituita dalla sezione, e dove tutte le attività assumono una funzione eminentemente educativa e globale, concentrata nella unità stessa, gli spazi principali destinati all’unità devono avere le seguenti caratteristiche: • essere raggruppati in modo che non più di tre sezioni usufruiscano degli stessi spazi comuni, salvo che per la mensa e la lavanderia. L’organismo architettonico relativo a un numero maggiore di sezioni o di edifici dovrà essere organizzato tenendo conto di quanto sopra; • dovranno consentire, pur nella integrazione spaziale, lo svolgimento separato delle attività seguenti, che, malgrado la molteplicità dei programmi e dei metodi educativi sono state individuate come comuni a ogni programma; • attività ordinate (attività che gli scolari svolgono a tavolino o su bancone); • attività libere (di carattere motorio o ludico o di carattere complementare ecc.); • attività pratiche (indossare o togliersi gli indumenti, piccole operazioni di toeletta personale uso dei servizi, mensa ecc.).
Per quanto riguarda la morfologia dell’edificio, questo deve essere progettato in modo che gli allievi possano agevolmente usufruire, attraverso gli spazi per la distribuzione orizzontale e verticale, di tutti gli ambienti della scuola, nelle loro interazioni e articolazioni e, inoltre, raggiungere le zone all’aperto. Ciò comporta che le attività educative per la scuola materna si svolgano a diretto contatto con il terreno di gioco e di attività all’aperto. Nella Tab. B.8.1./3 sono indicati i valori delle superfici globali lorde. Tali valori, come del resto viene sottolineato in nota alla stessa tabella, sono orientativi e sono presentati allo scopo di facilitare una prima valutazione in sede di programmazione. Nelle Tab. B.8.2./1 sono prescritti gli indici standard di superficie, e il loro eventuale grado di variabilità, articolati per categorie di attività.
Poiché la divisione in distinti ordini di attività scolastica comporta anche la necessità di separare le attività rumorose da quelle più silenziose, e allo scopo di consentire una più libera interpretazione del programma e un’organizzazione morfologica adeguata, per le attività prima indicate andranno previsti altrettanti gruppi di spazi, diversamente dimensionati e combinati tra loro:
• • • •
• lo spazio per le attività ordinate deve servire una sola sezione, o deve essere opportunamente studiato per consentire, nella sua forma, una serie di possibili variazioni dell’arredo; non sono da escludere soluzioni che prevedano forme diverse dal parallelepipedo nelle tre dimensioni. Si possono prevedere, nel suo ambito, spazi minori, adeguatamente attrezzati, per lo svolgimento di attività speciali; • lo spazio per le attività libere può servire una, due o tre sezioni; la sua forma non dipende dal metodo pedagogico, ma dalle attività di movimento o di partecipazione allo spettacolo che vi si possono svolgere; inoltre, qualora sia attiguo allo spazio per le attività ordinate, la divi-
REQUISITI DEGLI ARREDI DELL’UNITÀ PEDAGOGICA SCUOLA MATERNA Per quanto riguarda l’arredamento necessario nello spazio per le attività ordinate della scuola materna, esso dovrà essere previsto di forma e di dimensioni adeguate alla classe d’età degli alunni (3-6 anni): tavoli e sedie per gli alunni; tavolo e sedia per l’insegnante; lavagne; armadi (o pareti attrezzate con armadi) per la custodia del materiale didattico di uso quotidiano; • schermo mobile per proiezioni; • eventuale lavagna luminosa; • apparecchi per proiezione di diapositive e filmine compreso il cavalletto e tavolo reggiproiettore. Le caratteristiche e le dimensioni da osservarsi per i tavoli rettangolari e per le sedie degli alunni e degli insegnanti, e per le lavagne, sono quelle di cui alla UNI 7713/77, grandezza ‘1’ (v. Fig. B.8.2./6). Non sono da escludersi, specie nella scuola materna ed elementare, forme del piano del tavolo per gli alunni diverse dal rettangolo o dal quadrato, sempre tenendo presente, però l’osservanza della norma relativa alla combinabilità di tali arredi per consentire attività di gruppo variamente articolate.
➥
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
– . TICA B.8.1IA SCOLAS ALI R IZ E EDIL ITI GEN IS REQU . E B.8.2E MATERN L SCUO
B 277
B.8. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI SCUOLE MATERNE
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
FIG. B.8.2./1 UNITÀ PEDAGOGICA (sezione) – SCHEMI DI AGGREGAZIONE
Ao
Ao
As
As
240
DISTRIBUZ.
CON SOFFITTO PIANO
Ao
240
As
UNITÀ PEDAGOGICA (SEZIONE)
270
Al
C - SOLUZIONE AD ANGOLO - SERVIZI IGIENICI E SPOGLIATOIO CON ACCESSO DALLO SPAZIO ATTIVITÀ ORDINATE - POSSIBILE RIBALTAMENTO SECONDO X E Y - L'INTEGRAZIONE DEGLI "Al" PUÒ OSPITARE LA MENSA SEZIONE
Sv
SEZIONE
A - SOLUZIONE IN LINEA - SERVIZI IGIENICI E SPOGLIATOIO CON ACCESSO DALLO SPAZIO PER ATTIVITÀ LIBERE - INCREMENTANDO LA LARGHEZZA DI "Al" SI PUÒ OSPITARE ANCHE LO SPAZIO MENSA
300
ARTICOLAZIONE DEGLI SPAZI DELL'UNITÀ PEDAGOGICA (SEZIONE) Ao - SPAZI PER ATTIVITÀ ORDINATE - FRUIBILE DA UNA SOLA SEZIONE As - SPAZI PER ATTIVITÀ SPECIALI - FRUIBILE DA UNA SOLA SEZIONE Al - SPAZI PER ATTIVITÀ LIBERE INTEGRABILE CON QUELLO DI ALTRE SEZIONI, FINO A UN MASSIMO DI TRE Sp - SPOGLIATOI - FRUIBILE DA UNA SOLA SEZIONE Sv - LOCALE LAVABI E SERVIZI IGIENICI - FRUIBILE DA UNA SOLA SEZIONE D - DEPOSITO - PUÒ ESSERE COMUNE A PIÙ SEZIONI, FINO A UN MASSIMO DI TRE
UNITÀ PEDAGOGICA (SEZIONE)
Sp X
CON SOFFITTO INCLINATO
Sp Al
As
Sv
Ao
Sv
Sp
Al
Al
Sp
Sv
SCUOLA MATERNA NORME SULLE ALTEZZE NETTE DI PIANO (INTERNE)
X
Spazi per l'unità pedagogica (sezione)
X Sv
Sp
Al
As
Ao
Sv
Ao
ALTRE ATTIVITÀ (ASSISTENZA, SERVIZI CUCINE, MENSA, ECC.)
3,00 m
- nel caso di soffitti in piano - nel caso di soffitti inclinati - parti per il lavoro di gruppo
ALTRE ATTIVITÀ (ASSISTENZA E SERVIZI CUCINE, MENSA, ECC.)
Sp Al
DISTRIBUZ.
2,70 m min. 2,40 m
Spazi per la distribuzione
2,40 m
Spazi per la direzione - amministrazione
3,00 m
Spazi per la visita medica
3,00 m
Spazi per la mensa
As
- in nicchia (fino a 30÷35 mq) - negli altri casi
2,40 m 3,00 m
Y
As
As
SEZIONE
SEZIONE
B - SOLUZIONE IN DOPPIA LINEA - POSSIBILE RIBALTAMENTO SECONDO X E Y - ACCESSO ALLA SEZIONE ATTRAVERSO LO SPOGLIATOIO - L'INTEGRAZIONE DI "Al" DI PIÙ SEZIONI PUÒ OSPITARE ANCHE LO SPAZIO MENSA
D - SOLUZIONE AD ANGOLO - SERVIZI IGIENICI E SPOGLIATOIO CON ACCESSO DALLO SPAZIO ATTIVITÀ ORDINATE - POSSIBILE RIBALTAMENTO SECONDO X E Y - L'INTEGRAZIONE DI "Al" DI PIÙ SEZIONI PUÒ OSPITARE ANCHE LO SPAZIO MENSA
AMPIEZZA MINIMA DELL'AREA PER LA COSTRUZIONE DI UNA SCUOLA MATERNA, PER NUMERO DI SEZIONI
As
Ao
Ao
As
N. SEZIONI. MQ 1
Ao
Ao
Sp Sv
I DATI RIPORTATI NELLE TABELLE ALLEGATE SONO STATI COMPUTATI SULLA BASE DEI VALORI E DEGLI INDICI PRESCRITTI DAL DM 18.12.1975
Sp
Sp
Sv
Sv
Sp
Al
Al Sv X
Al
Al
Sv Al X
ALTRE ATTIVITÀ (ASSISTENZA, SERVIZI CUCINE, MENSA, ECC.)
Sp
Al
2
1.500
750
25
3
2.250
750
25
4
3.000
750
25
5
3.750
750
25
6
4.500
750
25
7
5.250
750
25
8
6.000
750
25
9
6.750
750
25
SCUOLA MATERNA SUPERFICIE LORDA PER SEZIONE, PER ALUNNO, TOTALE
Sp
Ao
As
B 278
ALTRE ATTIVITÀ (ASSISTENZA, SERVIZI CUCINE, MENSA, ECC.)
n.sezioni.
Sv
As
Ao
Y
SUP. TOTALE PER SEZIONE PER ALUNNO MQ MQ MQ 1.500 1.500 50
n. alunni
mq/sezione mq/alunno
Sup. totale
3
90
210 mq
7,00 mq
4
120
203 mq
6,77 mq
630 mq 812 mq
5
150
202 mq
6,73 mq
1.010 mq
6
180 210
200 mq 199 mq
6,67 mq
7
6,63 mq
1.200 mq 1.393 mq
8
240
199 mq
6,63 mq
1.592 mq
9
270
198 mq
6,60 mq
1.782 mq
N.B. - I VALORI SI RIFERISCONO A SEZIONI DA 30 ALUNNI E COMPRENDONO LE MURATURE E TUTTI I LOCALI DELL'EDIFICIO, COMPRESE LE PALESTRE TIPO A; SONO ESCLUSI L'ABITAZIONE DEL CUSTODE E GLI EVENTUALI UFFICI PER LA DIREZIONE DIDATTICA.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE MATERNE
B.8. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.8.2./2 SCHEMI DISTRIBUTIVI DI UNITÀ A TRE SEZIONI
Sv Sp Sp
As
Ao
Aa
Al
Al
As
Ao
Aa
As
Al
As
Ao
Aa
Ao
I ED PRE NISM ORGA
Al
M
As
Ao
Aa
CO NTALE AMBIE
Sp
Al
As
M
Ao
Aa
K+L
G.ANISTICA
D - DISTRIBUZIONE DELLE UNITÀ SU FRONTI OPPOSTI - UNITÀ PEDAGOGICHE "CHIUSE" - MENSA IN SPAZIO AUTONOMO MA INTEGRATO CON GLI SPAZI PER ATTIVITÀ LIBERE
Sv Aa
Ao Sp
As+Al
M
As
Ao As+Al
K+L
Ao
Ao
As+Al
Sp Aa
Aa
Aa
Ao M
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
U+Vm+S
C - DISTRIBUZIONE CENTRALE O LIBERA - UNITÀ PEDAGOGICHE "APERTE" - SPAZIO MENSA, ATTIVITÀ SPECIALI E ATTIVITÀ LIBERE INTEGRATE IN UNICO SPAZIO CENTRALE
Sp
F. TERIALI,
URB
K+L
Sv
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
H
Aa
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
Sp
Sv H
C.RCIZIO
Aa
Al
Sv
Sv U+Vm+S
Sv Sp
Sv Sp
B.STAZIONI DILEGIZLII
B - DISTRIBUZIONE IN LINEA - UNITÀ PEDAGOGICHE "CHIUSE" - SPAZIO MENSA INTEGRATO ALLE ATTIVITÀ LIBERE
A - DISTRIBUZIONE IN LINEA - UNITÀ PEDAGOGICHE "CHIUSE" - MENSA IN AMBIENTE AUTONOMO
Sv
Sv
Sp
H
Sp
Sv
Al
Al
Al
As Sp
Sv
K+L
U+Vm+S
- UNITÀ PEDAGOGICA Ao - SPAZI PER ATTIVITÀ ORDINATE As - SPAZI PER ATTIVITÀ SPECIALI Al - SPAZI PER ATTIVITÀ LIBERE Aa - SPAZI PER ATTIVITÀ ALL'APERTO Sp - SPOGLIATOI Sv - LOCALE LAVABI E SERVIZI IGIENICI D - DEPOSITO - SPAZI PER MENSA, CUCINA, ASSISTENZA E ANNESSI M - SPAZI PER LA MENSA K - CUCINA E ANNESSI S - SPOGLIATOIO E SERVIZI IGIENICI INSEGNANTI L - PICCOLA LAVANDERIA U - STANZA PER L'ASSISTENTE Vm - VISITA MEDICA E SERVIZI ANNESSI
As Ao
H
LEGENDA
U+Vm+S
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
Aa
. E B.8.2E MATERN L SCUO
B 279
B.8. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI SCUOLE MATERNE
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
FIG. B.8.2./3 SCHEMI DISTRIBUTIVI DI UNITÀ A SEI SEZIONI A - DISTRIBUZIONE IN LINEA - SPOGLIATOI E SERVIZI ESTERNI ALLE UNITÀ - MENSA IN SPAZIO AUTONOMO
Sv
As
Sp Sp
Ao
B - DISTRIBUZIONE IN LINEA - SPOGLIATOI E SERVIZI ESTERNI ALLE UNITÀ - SPAZIO MENSA INTEGRATO ALLE ATTIVITÀ LIBERE
Sv
Aa
Al
Al
As
Ao
Sp
Aa
Al
As
Ao
Al
Al
H
As
Ao
Aa
Sp Al
As
Ao
Aa
Ao
Descrizione delle attività
- per attività speciali Spazi per attività libere Spazi per attività pratiche - spogliatoioi
Ao
Aa
As
Ao
Aa
C - DISTRIBUZIONE DELLE UNITÀ SU FRONTI OPPOSTI - SERVIZI ANNESSI ALLE UNITÀ
3 SEZIONI (90 al.)
6 SEZIONI (180 AL)
Indici Superfici mq/alun. mq. totali
Indici Superfici mq/alun. mq. totali
1,80
162 mq
1,80
324 mq
0,40
36 mq
0,40
72 mq
0,90
81 mq
0,90
162 mq
0,50
45 mq
0,50
90 mq
0,67
60 mq
0,67
120 mq
0,13
12 mq
0,13
23mq
0,30 0,17
54 mq 30 mq
4
Spazi per la mensa 0,50 0,34
45 mq 30 mq
5
- mensa** - cucina e annessi Assistenza - stanza assistente - spogliatoi e servizi igien. ins. - lavanderia
0,17
15 mq
0,08
15 mq
0,07 0,04
6 mq 4 mq
0,035
6 mq 4 mq
Somma indici Connettivo e servizi
5,51 1,24
496 mq 110 mq
0,022 5,00 1,10
Sup. netta globale
6,75
606 mq
6,10
900 mq 198 mq 1.098 mq
Sv Ao
As
U+Vm
Sp
Sv Al
M
Al
Sp
Al
Sp
As
Ao
As
Ao
As
Ao
As
Ao
Sv H
- locale lavabi e servizi igien. - deposito
Aa
Aa
SCUOLA MATERNA DA TRE E DA SEI SEZIONI (90 -180 ALUNNI)
Spazi per attività ordinate - per attività a tavolino
Ao
As
Al
Sv As
As
Sp
Al
Sv
U+Vm+S
Sv
Sv
B 280
Al
Sp Al
K
D
Sv
3
Aa
Ao
M
Sv
2
As
L
U+Vm+S
L
M
1
Aa
Ao
Sv
H
Sp
As
Sp
Aa
Sv
Sp
Aa
Sv
Sp
Sp
Ao
Sp
Sv
K
As
Sv K
Ao
M
As
Sp Sv
Al
Al
Sp
Al
Sp Sv
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE MATERNE
B.8. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.8.2./4 SCHEMI DI DISTRIBUZIONE DI SPOGLIATOI E SERVIZI IGIENICI
A - ACCESSO AI SERVIZI IGIENICI DAGLI SPOGLIATOI - GRUPPO LAVABI INTERPOSTO COME FILTRO - LAVABI DEL TIPO CONTINUO, A TRE POSTI
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
LAVABI MULTIPLI AD ACQUA GRONDANTE
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF spogliatoi
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
B - ACCESSO AI SERVIZI IGIENICI DAGLI SPOGLIATOI - LAVABI DISPOSTI IN SPAZIO PROPRIO - LAVABI DEL TIPO SINGOLO
spogliatoi
CARATTERISTICHE DEI SERVIZI IGIENICO-SANITARI NELLE SCUOLE MATERNE - I VASI PER GLI ALUNNI DEVONO ESSERE TRE PER OGNI SEZIONE - IL LOCALE CHE CONTIENE LE LATRINE E LE ANTILATRINE DEVE ESSERE ILLUMINATO ED AERATO DIRETTAMENTE; NELL'ANTILATRINA, IN SOSTITUZIONE DELLA AERAZIONE DIRETTA POSSONO ESSERE INSTALLATI EFFICIENTI IMPIANTI DI AERAZIONE E VENTILAZIONE; - NELLA SCUOLA MATERNA LE LATRINE NON DEVONO ESSERE SEPARATE PER SESSO E NON E' NECESSARIO CHE SIANO COSTITUITE DA BOX CHIUSI; IL LOCALE LATRINE: - DEVE ESSERE PROTETTO DAI RAGGI DIRETTI DEL SOLE, SPECIE NELLE REGIONI PIÙ CALDE; - DEVE AVERE IMPIANTI COL SISTEMA A CADUTA D'ACQUA CON CASSETTA DI LAVAGGIO A CADUTA O ALTRO TIPO EQUIVALENTE, PURCHÉ DOTATO DI SCARICO AUTOMATICO O COMANDATO; - DEVE AVERE LE COLONNE DI SCARICO MUNITE DI CANNE DI VENTILAZIONE, PROLUNGATE AL DI SOPRA DELLA COPERTURA; - DEVE AVERE LE COLONNE DI SCARICHI DEI SERVIZI IGIENICI DIMENSIONATE IN RELAZIONE AGLI APPARECCHI UTILIZZATI, CON POSSIBILITÀ DI ISPEZIONI IMMEDIATE; - DEVE ESSERE MUNITO, SUL PAVIMENTO, DI UN CHIUSINO DI SCARICO A SIFONE, ISPEZIONABILE E DI UNA PRESA D'ACQUA CON RUBINETTO PORTAGOMMA PER L'ATTACCO DI UNA LANCIA PER L'EFFETTO DI ACQUA.
C - ACCESSO DIRETTO AI SERVIZI IGIENICI DALL'AULA - LAVABI E WATER IN UNICO SPAZIO - LAVABI DEL TIPO SINGOLO
LAVABI ED EVENTUALI LAVAPIEDI - DEBBONO ESSERE AD ACQUA GRONDANTE. FONTANELLE PER BERE (BEVERINI) - DEVONO ESSERE UBICATE IN PUNTI ACCESSIBILI O NELL'ANTILATRINA - DEVONO ESSERE DOTATI DI ACQUA EROGATA A GETTO PARABOLICO
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
spogliatoi
90 ÷ 100 cm
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
pannello sep. 28 ÷ 30 cm
30 90
90 ÷120
. E B.8.2E MATERN L SCUO
B 281
B.8. 3.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI SCUOLE ELEMENTARI
RELAZIONI CON IL CONTESTO E REQUISITI IGIENICI E AMBIENTALI RELATIVI ALL’UBICAZIONE DELLE SCUOLE ELEMENTARI Valgono le indicazioni generali in tema di relazioni con il contesto urbano e territoriale impartite dalla normativa corrente e richiamate nel paragrafo B.8.1. Altri requisiti relativi all’ubicazione delle scuole materne vengono richiamati di seguito. • La distanze scuola-residenza dovrebbe essere contenuta entro 500 m e 15÷30 min di percorrenza (v.Tab. B.8.1./1). • È consigliabil ubicare la scuola elementare in contiguità con scuole materne, preferibilmente configurando soluzioni integrate che ottimizzino l’utilizzazione di servizi tecnici e sociali comuni.
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
SPAZI PER LA COMUNICAZIONE E L’INFORMAZIONE Gli spazi per la comunicazione e l’informazione non assumono carattere specializzato, ma si configurano: • in uno spazio per le attività collettive di vario tipo, quali ginnastica ritmica, musica corale, attività ludiche in genere ecc.; tale spazio deve, pertanto, essere flessibile per adattarsi a tali esigenze, ed essere collegato, anche visivamente, con il resto della scuola, in modo da poter essere usato insieme ad altri spazi più specificamente didattici; • in un ambiente attrezzato a biblioteca, riservato agli insegnanti. Recenti orientamenti didattici, maturati a seguito della rivoluzione tecnologica e in particolare della TCI (tecnologia dell’informazione e della comunicazione), e ampiamente accolti e incentivati dal Ministero della pubblica istruzione, consigliano di dotare anche le scuole elementari quanto meno di uno spazio attrezzato per sperimentare l’uso dei computer, la navigazione in internet e la fruizione di forme di comunicazione multimediale.
REQUISITI DELL’AREA DESTINATA ALLA COSTRUZIONE DI SCUOLE ELEMENTARI
Si veda in proposito il Documento di coordinamento del progetto speciale per l’educazione scientifica e tecnologica (Progetto Se.T) emanato dal Min. della Pubblica Istruzione (si veda par. B.8.1./5).
L’ampiezza dell’area da destinare alla costruzione di scuole elementari, in rapporto al numero degli alunni o delle classi, è fissata al punto 2 delle “Norme Tecniche” promulgate con DM 18 dicembre 1975, riportate in Tab. B.8.1./2.
Nelle Tab. B.8.3/1 sono prescritti gli indici standard di superficie, e il loro eventuale grado di variabilità, articolati per categorie di attività.
Criteri di dimensionamento degli edifici destinati a ospitare scuole elementari Le dimensioni minime e massime degli edifici destinati a ospitare scuole elementari sono riportate in Tab. B.8.1./1. Le superfici minime di riferimento per il dimensionamento delle scuole elementari in rapporto al numero presumibile degli alunni o delle classi sono riportate nella Tab. di Fig. B.8.1./3
NUMERO DEI PIANI L’edificio deve essere progettato in modo che gli allievi possano agevolmente usufruire, attraverso gli spazi per la distribuzione orizzontale e verticale, di tutti gli ambienti della scuola, nelle loro interazioni e articolazioni ed, inoltre, raggiungere le zone all’aperto. Ciò comporta che le attività educative si svolgano normalmente, su uno o due piani. Solo nel caso che il comune lo ritenga inevitabile – previo parere del provveditore agli studi e sentito il consiglio di distretto ove costituito – è possibile che le attività didattiche ed educative si svolgano su più di due piani. TAB. B.8.3./1 INDICI STANDARD DI SUPERFICI (delle unità ambientali) (DM Pubblica Istruzione del 18 dicembre 1975) SCUOLE ELEMENTARI
UNITÀ PEDAGOGICHE Nella scuola elementare le unità pedagogiche sono raggruppate in due cicli:
mq/alun. min 1
Attività didattiche
2,44
attività normali
1,80
attività interciclo
0,64
Attività collettive
1,10
att. integrative e parascol.
0,40
mensa e relativi servizi
0,70
Attività complementari
0,13
Biblioteca
0,13
Somma indici parziali
3,67
3,93
• il maggior numero di aule e, comunque, in quantità tale da comprendere almeno il primo ciclo, deve essere a diretto contatto con lo spazio all’aperto, nel quale si svolgono le relative attività didattiche e ricreative;
Connettivi e servizi igienici
1,54
1,65
Indici di superficie netta globale
5,21
5,58
• gli spazi debbono essere tra loro in organica relazione, sia nell’ambito dell’intero ciclo, che con gli spazi di disimpegno e con lo spazio comune per le attività di interciclo;
Altre attività, se richieste
• il primo ciclo comprendente due classi (la prima e la seconda) • il secondo ciclo comprende tre classi (la terza, la quarta e la quinta). La maggior parte delle attività si svolge nell’aula; conseguentemente gli spazi debbono avere le seguenti caratteristiche:
2
• debbono essere idonei allo svolgimento delle diverse attività e adeguarsi alle possibilità di variazione degli arredi e delle attrezzature; 3 • può essere prevista una relazione diretta e una continuità spaziale tra unità dello stesso ciclo, anche mediante pareti mobili o porte scorrevoli, e attraverso lo spazio da destinarsi ad attività interciclo;
• lo spazio riservato alle unità pedagogiche costituenti i cicli, e quello dei disimpegni, debbono essere in organica e stretta relazione con gli spazi comuni dell’intera scuola, in modo visivo e spaziale e tale da eliminare al massimo disimpegni a corridoio.
B 282
mq/alun. max
4
Spazi per l’educazione fisica
320 mq
5
Alloggio del custode
80 mq
6
Direzione didattica
100 mq
2,70
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE ELEMENTARI
B.8. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.8.3./1 SPAZI RELATIVI ALL’UNITÀ PEDAGOGICA (I° e II° ciclo)
A - I° E II° CICLO INTEGRATI E POSTI ALLO STESSO PIANO -IN LINEA, CON AULE VERSO L'ORIENTAMENTO MIGLIORE
C - I° E II° CICLO INTEGRATI E POSTI ALLO STESSO PIANO - IN LINEA, CON AULE DEI DUE CICLI SU LATI OPPOSTI
B.STAZIONI DILEGIZLII
UNITÀ PEDAGOGICA (CLASSE)
240
I ED PRE NISM ORGA 300
SPAZI RELATIVI ALL'UNITÀ PEDAGOGICA (I° E II° CICLO) An - SPAZI PER ATTIVITÀ DIDATTICHE NORMALI - AnI°: DEL PRIMO CICLO - AnII°: DEL SECONDO CICLO Ai - SPAZI PER ATTIVITÀ DIDATTICHE INTERCICLO - AiI°: DEL PRIMO CICLO - AiII°: DEL SECONDO CICLO sa - SERVIZI IGIENICI ALUNNI sp - SERVIZI IGIENICI DOCENTI (POSSONO ESSERE ANCHE COMUNI A PIÙ CICLI O A PIÙ UNITÀ PEDAGOGICHE) SPAZI PER LA DISTRIBUZIONE Co - CONNETTIVO, CORRIDOI, DISIMPEGNI Cv - COLLEGAMENTI VERTICALI: SCALE E ASCENSORI SPAZI PER ATTIVITÀ COMPLEMENTARI B - BIBLIOTECA (MEDIATECA, SUPPORTI INFORMATICI E TELEMATICI), DEPOSITO
DISTRIBUZ.
CON SOFFITTO PIANO
PRO TTURALE STRU
UNITÀ PEDAGOGICA (CLASSE)
sa sp AiI°
Co
AnI°
sp Co
sa sa
sa
B+D
DISTRIBUZ.
CON SOFFITTO INCLINATO
AnII°
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
sa
II° CICLO AnII°
240
AiII°
270
AiI°
AnI°
sa
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
I° CICLO
sp
C.RCIZIO
SCUOLA ELEMENTARE NORME SULLE ALTEZZE NETTE DI PIANO (INTERNE) Spazi per l'unità pedagogica (sezione) - nel caso di soffitti in piano - nel caso di soffitti inclinati parti per il lavoro di gruppo
3,00 m
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
2,70 m min. 2,40 m
Spazi per comunicazione e informazione AiII°
- biblioteca
Co
AnII°
AnI°
Co
AnII°
3,00÷4,20 2,40 m
Spazi per la direzione - amministrazione
3,00 m
Spazi per la visita medica Spazi per la mensa
3,00 m
- in nicchia (fino a 30÷35 mq) - negli altri casi
sa AnII°
sa
AnI°
AnII°
sp
3,00 m
spazi per attivita' integrative Spazi per la distribuzione
Spazi per l'educazione fisica - palestra tipo A - palestra tipo B
2,40 m 3,00 m 5,40 m 7,20 m
C - I° E II° CICLO INTEGRATI E POSTI ALLO STESSO PIANO - DISPOSIZIONE AD ANGOLO (90°) - AULE DEI DUE CICLI DISPOSTE SU LATI ADIACENTI AMPIEZZA MINIMA DELL'AREA PER LA COSTRUZIONE DI UNA SCUOLA ELEMENTARE PER NUMERO DI CLASSI AnII°
sp
sa
sa
AnII°
Co
sp sa
II° CICLO
sa
AnI°
AnI°
AnII°
Co
AiII°
UNITÀ PEDAGOGICA E' COSTITUITA DALL'INSIEME DEI DUE CICLI (I°+II°) I° CICLO: COMPOSTO DA 2 AULE PER ATTIVITÀ NORMALI E 1 SPAZIO O AULA PER ATTIVITÀ INTERCICLO II° CICLO: COMPOSTO DA 3 AULE PER ATTIVITÀ NORMALI E 1 SPAZIO O AULA PER ATTIVITÀ INTERCICLO DIMENSIONI DEGLI SPAZI PER ATTIVITA' DIDATTICHE ATTIVITÀ NORMALI = 25 ALUNNI x 1,80 MQ/AL. =45 MQ ATTIV. I° INTERCICLO = 50 ALUNNI x 0,64 MQ/AL. = 32 MQ ATT. II° INTERCICLO = 75 ALUNNI x 064 MQ/AL. = 48 MQ RIF. DIMENSIONALI PER SERVIZI IGIENICI E CONNETTIVO SPAZI SERVIZI IGIENICI + CONNETTIVO = 1,54 ÷1,65 MQ/AL. ALUNNI DI UNA UNITÀ PEDAGOGICA (5 CLASSI): 125 MAX 125 ALUNNI x (1, 54 ÷1,65 MQ/AL.) = 192 ÷206 MQ
AiI° I° CICLO
L'AMPIEZZA DI CORRIDOI, PERCORSI, SCALE, E ALTRI VARCHI DEVE RISPETTARE LE NORME DI SICUREZZA CONTRO GLI INCENDI (V. IN B.8.1. DM 26.08.92). IN CONSIDERAZIONE DELLE MODALITÀ DI FRUIZIONE DI TALI SPAZI (USCITA IN FILA DALLE CLASSI, ECC.) SONO CONSIGLIATE LARGHEZZE NON INFERIORI A 2,40 ML
N. CLASSI MQ
SUP. TOTALE PER SEZIONE PER ALUNNO MQ MQ MQ
5
2.295
459
18,33
6
2.755
459
18,33
7
3.215
459
18,33
8
3.675
459
18,33
9
4.130
459
18,33
10 11
5.670
567
22,71
558 549
22,32
12
6.140 6.590
13 14
7.060 7.520
543 537
21,72
15
7.965
531
21,24
16
8.430
527
21,08
17 18
8.875
522
20,88
9.340
519
20,76
19 20
9.805
516
20,64
10.260 10.710
513 510
20,52
507
20,28
23
11.155 11.615
505
20,20
24
12.095
504
20,16
25
12.550
502
20,08
21 22
21,96 21,48
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
20,40
. TARI B.8.3E ELEMEN L O U SC
B 283
B.8. 3.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI SCUOLE ELEMENTARI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
FIG. B.8.3./2 SPAZI RELATIVI ALL’UNITÀ PEDAGOGICA (I° e II° ciclo)
LEGENDA
CRITERI DI UBICAZIONE DELLE CLASSI
SPAZI RELATIVI ALL'UNITÀ PEDAGOGICA (I° E II° CICLO) An - SPAZI PER ATTIVITÀ DIDATTICHE NORMALI - AnI°: DEL PRIMO CICLO - AnII°: DEL SECONDO CICLO Ai - SPAZI PER ATTIVITÀ DIDATTICHE INTERCICLO - AiI°: DEL PRIMO CICLO - AiII°: DEL SECONDO CICLO sa - SERVIZI IGIENICI ALUNNI sp - SERVIZI IGIENICI DOCENTI (POSSONO ESSERE ANCHE COMUNI A PIÙ CICLI O A PIÙ UNITÀ PEDAGOGICHE)
NELLE SCUOLE ELEMENTARI CON CLASSI DISPOSTE SU DUE O PIÙ PIANI, È BUONA NORMA UBICARE LE CLASSI DEL PRIMO CICLO AL PIANO TERRA, IN MODO TALE CHE POSSANO DISPORRE DI ACCESSO DIRETTO AGLI SPAZI PER ATTIVITÀ LIBERE ALL'APERTO ED AGLI EVENTUALI SPAZI APERTI MA COPERTI UTILIZZABILI ANCHE IN CASO DI CONDIZIONI METEOROLOGICHE SFAVOREVOLI.
SPAZI PER LA DISTRIBUZIONE Co - COLLEGAMENTI ORIZZONTALI: CONNETTIVO, CORRIDOI, DISIMPEGNI Cv - COLLEGAMENTI VERTICALI: SCALE E ASCENSORI Sc - SPAZI COPERTI: PORTICI (ATTIVITÀ LUDICHE AL COPERTO) SPAZI PER ATTIVITÀ COMPLEMENTARI
GLI SPAZI PER ATTIVITÀ INTERCICLO POSSONO ANCHE ESSERE APERTI VERSO IL CONNETTIVO, PURCHÉ QUESTO NON COMPORTI DEROGHE ALLE SUPERFICI MINIME PRESCRITTE DAL DM 18 DICEMBRE 1975 (RIPORTATE NELLA TABELLA "INDICI STANDARD" IN QUESTA PAGINA)
B - BIBLIOTECA (MEDIATECA, SUPPORTI INFORMATICI E TELEMATICI), DEPOSITO
D - AULE DEL I° CICLO DISPOSTE AL PIANO TERRA (CON ACCESSO DIRETTO AGLI SPAZI ALL'APERTO) - AULE DEL II° CICLO DISPOSTE AL PIANO PRIMO - DISPOSIZIONE IN LINEA, A ORIENTAMENTO PREVALENTE -SERVIZI DEI DUE CICLI POSTI IN COLONNA PIANO TERRA I° CICLO
sp AnI°
sa
AnII°
sa
C C
sa
PIANO PRIMO II° CICLO
sp
n.classi
CC
sa
AnI°
AnII°
AiII°
Co Co
AiI°
n. alunni
mq/classe
mq/alunno
Sup. totale
5
125
153 mq
6,11 mq
765 mq
10
250
189 mq
7,56 mq
1.890 mq
15
375
177 mq
7,08 mq
2.655 mq
20
500
172 mq
6,88 mq
3.440 mq
25
625
167 mq
6,68 mq
4.175 mq
N.B. - I VALORI SI RIFERISCONO A CLASSI DA 25 ALUNNI E COMPRENDONO LE MURATURE E TUTTI I LOCALI DELL'EDIFICIO, COMPRESE LE PALESTRE TIPO A; SONO ESCLUSI L'ABITAZIONE DEL CUSTODE E GLI EVENTUALI UFFICI PER LA DIREZIONE DIDATTICA.
AnII°
Cv Cv
SCUOLA ELEMENTARE SUPERFICIE LORDA PER CLASSE, PER ALUNNO, TOTALE
Cv Cv
E - AULE DEL I° CICLO DISPOSTE AL PIANO TERRA (CON ACCESSO DIRETTO AGLI SPAZI ALL'APERTO) - AULE DEL II° CICLO DISPOSTE AL PIANO PRIMO - DISPOSIZIONE IN LINEA, A ORIENTAMENTO PREVALENTE -SERVIZI DEI DUE CICLI POSTI IN COLONNA E DIMENSIONATI PER DUE UNITÀ PIANO TERRA I° CICLO AnI°
AiI°
PIANO PRIMO II° CICLO AnII°
Co Co
AiII°
AnII°
sa
Cv Cv
AnII°
sa
Cv Cv
sa
AnI°
Sc Sc
Descrizione delle attività 1
Co Co
Sc Sc
AnI°
SCUOLA ELEMENTARE INDICI STANDARD DI SUPERFICIE
2
3
sa
AnII°
AnII°
Indice min. Indice max. mq/alun. mq/alun.
Attività didattiche - attività normali
1,80
- attività interciclo
0,64
Indice sup. tot. attività didattiche
2,44
2,70
Attività collettive - att. integrative e parascol.
0,40
- mensa e relativi servizi (1)
0,70
Attività complementari - biblioteca insegnanti
0,13
Somma indici parziale
3,67
3,93
Connettivo e serv. igienici (40%) Indice superficie netta totale
1,54 5,21
1,65 5,58
Altre attività, se richieste Co Co AnI°
4
Spazi per l'educazione fisica Palestra e servizi da 10 a 25 classi)
5
Alloggio del custode
6
Spazi per la direzione didattica
Co Co AiI°
AnII°
AiII°
(1) - Con l'ipotesi del doppio turno di refezione
B 284
tipo A2 330 mq 80 mq netti 100 mq netti
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE ELEMENTARI
•
B.8. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.8.3./3 AGGREGAZIONI DI NUCLEI FUNZIONALI PER 5 E PER 10 CLASSI, SU UN SOLO PIANO
B.STAZIONI DILEGIZLII SPAZI PER ATTIVITÀ DIDATTICHE AI° - AULE DEL PRIMO CICLO AII° - AULE DEL SECONDO CICLO AiI° - AULE INTERCICLO DEL PRIMO CICLO AiII° - AULE INTERCICLO DEL SECONDO CICLO
I ED PRE NISM ORGA
E - SCUOLA A UN SOLO PIANO, CON DIECI CLASSI, - DISPOSIZIONE A CORTE APERTA -ACCESSO ATTIVITÀ COLLETTIVE: DALL'ESTERNO
S
- NUCLEI DI SERVIZI IGIENICI (ALUNNI, DOCENTI, PORTATORI DI HANDICAP)
B
SPAZI PER ATTIVITÀ COMPLEMENTARI - BIBLIOTECA (MEDIATECA, SUPPORTI INFORMATICI E TELEMATICI), DEPOSITO
AII°
AI°
S
AI°
B
C.RCIZIO
AI°
AI°
S
AII°
D.GETTAZIONE
SPAZI PER ATTIVITÀ COLLETTIVE IN - SPAZI PER ATTIVITÀ PARASCOLASTICHE E INTEGRATIVE M - MENSA E SERVIZI CONNESSI (CUCINA, SPOGLIATOI, DISPENSA)
AiII°
S
AiI°
AiI°
AiII°
AII°
SPAZI PER L'EDUCAZIONE FISICA, LO SPORT E IL SERVIZIO SANITARIO P - PALESTRA E SERVIZI Ss - SERVIZIO SANITARIO
S
AII°
AII°
COLLEGAMENTI VERTICALI (SCALE, ASCENSORI)
K
SPAZI COPERTI
AII°
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
IN
M
G.ANISTICA
ACCESSO E PERCORSI VERSO LE ATTIVITÀ FRUIBILI ANCHE DA ESTERNI
AiI°
AI° M
IN
SECONDO CICLO
F - SCUOLA A UN PIANO CON DIECI CLASSI - IN LINEA, CON AULE VERSO L'ORIENTAMENTO MIGLIORE -ACCESSO ATTIVITÀ COLLETTIVE: DALL'ATRIO
AI°
S
S
URB
C - SCUOLA A UN PIANO, CON CINQUE CLASSI, - DISPOSIZIONE A CORTE APERTA
AI°
AI°
PRIMO CICLO AiII°
AII°
AI°
S
AII°
M
SECONDO CICLO
S
PRIMO CICLO AiII°
AII°
AII° SECONDO CICLO
AiII°
S
AII° B - SCUOLA A UN PIANO, CON CINQUE CLASSI, - DISPOSIZIONE A PIASTRA AII°
AiII°
AiI°
D - SCUOLA A UN PIANO, CON CINQUE CLASSI, - IN LINEA, CON LE AULE SU UN SOLO LATO
M
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
IN
IN
AII°
B
B
M
AI° AiI
S
S
AiI°
AI°
S S
NELLE STRUTTURE SCOLASTICHE MINIME (CINQUE CLASSI) È RACCOMANDATA UN'AMPIA FLESSIBILITÀ FUNZIONALE. GLI SCHEMI A, B, D MOSTRANO ASSETTI CHE PERMETTONO L'INTEGRAZIONE DEGLI SPAZI PER ATTIVITÀ COLLETTIVE E PARASCOLASTICHE (SALA RIUNIONI, MENSA, ATRIO), IN MODO DA POTER FORMARE AMBIENTI MAGGIORI, IDONEI A OSPITARE EVENTI CHE RICHIAMANO LA PARTECIPAZIONE ANCHE DELLA COMUNITÀ DI RIFERIMENTO DELLA SCUOLA.
S
PRIMO CICLO AI°
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
AII°
AII°
SECONDO CICLO
S
AiI° AiII°
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
AI°
PRIMO CICLO
GIARDINO
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
PALESTRA A1
AI°
AII°
IN
M
AI°
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
AII°
AII°
AI°
AiI°
SECONDO CICLO
AII° S
HH
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
AII°
HH
AI°
IN
E.NTROLLO
PALESTRA A1
ACCESSO E PERCORSI DI ALUNNI, DOCENTI, PERSONALE
AiI°
PRO TTURALE STRU
CO NTALE AMBIE
SPAZI DI COLLEGAMENTO ORIZZONTALE - H ATRIO
A - SCUOLA A UN PIANO, CON CINQUE CLASSI, - IN LINEA, CON AULE DA UN SOLO LATO
E ESE ESSIONAL PROF
AII°
AI° PRIMO CICLO AI°
. TARI B.8.3E ELEMEN L O U SC
B 285
B.8. 3.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI SCUOLE ELEMENTARI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
FIG. B.8.3./4 AGGREGAZIONI DI NUCLEI FUNZIONALI PER 10 E 20 AULE, DISPOSTE SU DUE PIANI NOTE INTEGRATIVE DEGLI SCHEMI DISTRIBUTIVI
SCUOLE ELEMENTARI DA 10 E DA 20 CLASSI (250, 500 ALUNNI) INDICI DI SUP. NETTA E SUPERFICI NETTE TOTALI 10 classi 20 classi Indici Descrizione delle attività mq. totali mq. totali mq/alun.
CRITERI DI DISTRIBUZIONE LA DISTRIBUZIONE SU DUE PIANI È CONSIGLIABILE PER NUMERO DI CLASSI SUPERIORE A 5. IN TALI CASI LE ATTIVITÀ DI I° CICLO SONO POSTE AL PIANO TERRA, PER CONSENTIRE L'ACCESSO DIRETTO AGLI SPAZI PER ATTIVITÀ ALL'APERTO, COPERTE O SCOPERTE.
1
SPAZI PER ATTIVITÀ COLLETTIVE LA MENSA E LE ATTIVITÀ INTEGRATIVE E PARASCOLASTICHE SONO POSTE PRESSO LE SCALE E L'ATRIO PER AGEVOLARNE L'ACCESSO DA PARTE DEGLI ALUNNI DEI DUE CICLI. PREFERIBILMENTE DOVREBBERO AVERE ACCESSO DIRETTO ANCHE DALL'ESTERNO, IN MODO DA FAVORIRNE L'USO DA PARTE DELLA COMUNITÀ IN ORARI EXTRASCOLASTICI. 2
ORIENTAMENTO DELLE AULE LE AULE DEVONO ESSERE DISPOSTE SECONDO L'ORIENTAMENTO MIGLIORE, EVITANDO L'ESPOSIZIONE VERSO NORD E QUELLE CHE POTREBBERO PROVOCARE ABBAGLIAMENTO SUI PIANI DI LAVORO (BANCHI); I SERVIZI IGIENICI ED EVENTUALMENTE GLI SPAZI PER ATTIVITÀ INTERCICLO POSSONO TROVARE POSTO SUL LATO OPPOSTO O COMUNQUE VERSO ALTRO ORIENTAMENTO.
3
LE SCALE E I PERCORSI IN GENERE DEVONO ESSERE DIMENSIONATI NEL RISPETTO DEI REQUISITI DI SICUREZZA CONTRO IL FUOCO (DM 26.08.92), E IN BASE ALLE NORME TECNICHE DEL DM 18.12.75, COMPRESA LA PREVISIONE DI SCALE DI SICUREZZA E USCITE D'EMERGENZA.
Attività didattiche - attività normali
1,80
450 mq
900 mq
- attività interciclo Superficie tot. attività didattiche
0,64
160 mq
320 mq
- sup. attività did. minima
2,44
610 mq
1.220 mq
- sup. attività did. massima
2,70
675 mq
1.350 mq
- att. integrative e parascolastiche
0,40
100 mq
200 mq
- mensa e relativi servizi
0,70
175 mq
350 mq
- biblioteca insegnanti
0,13
33 mq
66 mq
Somma indici parziale minima
5,21
1.401 mq
Somma indici parziale massima
5,58
1.518 mq
- sup. connettivo minima
1,54
385 mq
- sup. connettivo massima
1,65
413 mq
6,75
1.688 mq
3.376 mq
7,23
1.808 mq
3.616 mq
Attività collettive
Connettivo e serv. igienici (40%)
Sup. netta totale minima Sup. netta totale massima 4 A - SCUOLA CON DIECI CLASSI SU DUE PIANI: I° CICLO AL P. TERRA, II° CICLO AL P. PRIMO - DISPOSIZIONE IN LINEA, A DOPPIO ORIENTAMENTO -ATTIVITÀ COLLETTIVE DIRETTAMENTE ACCESSIBILI ANCHE DALL'ESTERNO PIANO TERRA - I° CICLO
PIANO PRIMO - II° CICLO
AI°
AII°
AII°
AiI°
AII°
AiII°
S
tipo A2
Palestra e servizi
330 mq netti
5
Altre attività, se richieste Alloggio del custode
6
Direzione didattica
PIANO TERRA I° CICLO
AiI°
S
AI°
AII° S
S AiI°
AII°
AiII°
AII°
AII°
AI°
S
IN AI°
AII° AiII°
S
AI°
80 mq netti 100 mq netti
PIANO PRIMO II° CICLO
AI°
S
H H
S
AI°
AII°
AII° AiII° AII°
AiI° B - SCUOLA CON DIECI CLASSI, SU DUE PIANI: I° CICLO AL P. TERRA, II° CICLO AL P. PRIMO - DISPOSIZIONE IN LINEA CON AULE APERTE VERSO L'ORIENTAMENTO MIGLIORE - ATTIVITÀ COLLETTIVE E PALESTRA ACCESSIBILI DALL'ESTERNO ATTRAVERSO L'ATRIO PIANO TERRA - I° CICLO
S
IN
IN AII°
PIANO PRIMO - II° CICLO AI°
S
AII°
H H
P+Ss
AII°
AI°
AII°
AiII° AiI°
M AII°
AiI°
AII° AiII°
P+Ss
B
H H
AI° S
AII°
AiI°
S
AiII° AI°
M S
B 286
AI°
AII°
S
825 mq
C - SCUOLA CON VENTI CLASSI SU DUE PIANI (I° CICLI al P. TERRA, II° CICLI AL P. PRIMO) - IN LINEA, CON AULE VERSO L'ORIENTAMENTO MIGLIORE -ATTIVITÀ COLLETTIVE ACCESSIBILI DALL'ATRIO E DALL'ESTERNO
M AI°
Spazi per l'educazione fisica
770 mq
AII°
AII° S
AI°
AII° S
AI°
AII° AiII°
AiI°
AI°
AII°
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE ELEMENTARI
B.8. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.8.3./5 DIMENSIONAMENTO DEGLI ARREDI DI BASE DELLE CLASSI (UNI 7713/77) DIMENSIONE DEI TAVOLINI PER GLI ALUNNI DELLA SCUOLA ELEMENTARE (I° E II° CICLO) GRANDEZZA STATURA AL. B1 B2 H1 H2 H3 H4 H5 T1 T2 T3 TIPO 3 (I° CICLO) 4 (II° CICLO)
135 cm (127÷142) 150 cm (142÷157)
1 POSTO
60
2 POSTI
120
1 POSTO
60
2 POSTI
120
45
58
11
47
40
30
60
30
40
45
64
11
53
40
30
65
35
40
B.STAZIONI DILEGIZLII
680÷720
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
VETRINE E/O SCAFFALI
E ESE ESSIONAL PROF
B1 - LUNGHEZZA MINIMA DEL PIANO DI LAVORO (PUÒ ESSERE AUMENTATA CON INCREMENTI MULTIPLI DI 5 CM) B2 - LARGHEZZA MINIMA DELLO SPAZIO PER LE GAMBE H1 - ALTEZZA MASSIMA DEL PIANO DI LAVORO H2 - ALTEZZA MASSIMA DELLO SPESSORE DEL PIANO DI LAVORO E RELATIVE STRUTTURE H3 - ALTEZZA MINIMA DELLO SPAZIO PER LE GAMBE H4 - ALTEZZA MINIMA DELLA ZONA PER LA DISTENSIONE DELLE GAMBE H5 - ALTEZZA MINIMA DELLO SPAZIO PER LE TIBIE T1 - PROFONDITÀ MINIMA DEL PIANO DEL TAVOLINO (PUÒ ESSERE AUMENTATA CON INCREMENTI MULTIPLI DI 5 CM) T2 - PROFONDITÀ MINIMA DELLO SPAZIO PER LE GAMBE (ZONA GINOCCHIO) T3 - PROFONDITÀ MINIMA DELLO SPAZIO PER LE GAMBE (ZONA TIBIE) PER LE MISURE DEI TAVOLINI È AMMESSA UNA TOLLERANZA PARI A ± 0,2 CM PER L'ALTEZZA DEL PIANO DI LAVORO (H1) È AMMESSA TOLLERANZA PARI A ± 0,3 CM
D.GETTAZIONE 660÷700
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
33
95°÷106°
0°÷4°
4 (II° CICLO)
150 cm (142÷157)
35
32÷37
38
15
20
31÷35
36
95°÷106°
0°÷4°
V
LARGHEZZA DEL SEDILE LARGHEZZA DELLA SPALLIERA ALTEZZA DEL SEDILE (PIANO DI SEDUTA) MISURATA NEL PUNTO PIÙ ALTO ALTEZZA DAL PIANO DI SEDUTA DELLA PARTE INFERIORE DELLA SPALLIERA ALTEZZA DAL PIANO DI SEDUTA DELLA PARTE SUPERIORE DELLA SPALLIERA ALTEZZA DEL PUNTO X (SUPPORTO LOMBARE) DAL PIANO DI SEDUTA PROFONDITÀ EFFETTIVA DEL SEDILE ANGOLO TRA SEDIA E SPALLIERA EVENTUALE INCLINAZIONE DEL PIANO DI SEDUTA 60
DISPOSIZIONE DI TAVOLINI SINGOLI IN UN'AULA PER ATTIVITÀ NORMALI
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
65 40
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
35
40
T1
95÷106°
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
53 40 30
34
40 30
64
58
LAVAGNA 240 x 120 CM È RICHIESTA ANCHE UNA SECONDA LAVAGNA IN LAMINATO, DA 120 x 120 CM
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
0÷4°
0÷4°
33
15 20
15 19 28÷31
11
H7 H8
A"
X
36
95÷106°
H6
H4
H5
H3
A'
H9
X
47
H2
11
T2
31÷35
30
T3
H1
URB
38
B3 B4 H6 H7 H9 H8 T4 B D -
G.ANISTICA V
28÷31
V
19
V
15
V
34
V
30÷34
V
31
V
135 cm (127÷142)
V
3 (I° CICLO)
LAVAGNA
DIMENSIONE DELLE SEDIE PER GLI ALUNNI DELLA SCUOLA ELEMENTARE (I° E II° CICLO) GRANDEZZA STATURA AL. B3 A" B4 H6 H7 H8 H9 T4 A'
TAVOLINO E SEDILE PER ALUNNI DEL I° CICLO DIMENSIONI IN PIANTA E SEZIONE
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
TAVOLINO E SEDILE PER ALUNNI DEL II° CICLO DIMENSIONI IN PIANTA E SEZIONE
T4
B4
B3
B2
B4
120
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
130
B3
B2
B1
B1
120
T4
33÷37
35
45
65
30÷34
31
45
55÷65
60
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
36 60
40÷45
65
42÷48
. TARI B.8.3E ELEMEN L O U SC
B 287
B.8. 3.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI SCUOLE ELEMENTARI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
FIG. B.8.3./6 SCUOLE ELEMENTARI – SERVIZI IGIENICI PER GLI ALUNNI
DISPOSIZIONE DI UN NUCLEO SERVIZI IGIENICI PER SEI CLASSI (MASCHI E FEMMINE)
NUCLEO PER 6 CLASSI, CON ORINATOI NELL'UNITA' MASCHI E CON W.C. PER HANDICAPPATI
180
150
480
450
300
500
300
450
SERVIZI IGIENICO-SANITARI - CARATTERISTICHE E DATI DI DIMENSIONAMENTO IL NUMERO DI VASI PER GLI ALUNNI DOVRÀ ESSERE DI 1 PER CLASSE, OLTRE ALCUNI VASI SUPPLEMENTARI PER SERVIRE GLI SPAZI LONTANI DALLE AULE. IL LOCALE CHE CONTIENE LE LATRINE E LE ANTILATRINE DEVE ESSERE ILLUMINATO ED AERATO DIRETTAMENTE; IN SOSTITUZIONE DELL’AERAZIONE DIRETTA, NELL'ANTILATRINA; POSSONO ESSERE INSTALLATI IMPIANTI DI AERAZIONE E VENTILAZIONE IL LOCALE LATRINE DOVRÀ ESSERE MUNITO SUL PAVIMENTO DI CHIUSINO DI SCARICO A SIFONE, ISPEZIONABILE E DI UNA PRESA D'ACQUA CON RUBINETTO PORTAGOMMA NEL LOCALE CHE CONTIENE LE LATRINE DESTINATE AI MASCHI SARANNO DI NORMA COLLOCATI ANCHE GLI ORINATOI, CON SCHERMATURA TRA L'UNO E L'ALTRO. LE LATRINE DEBBONO: - ESSERE SEPARATE PER SESSO; - ESSERE PROTETTE DAI RAGGI DIRETTI DEL SOLE, SPECIE NELLE REGIONI PIÙ CALDE; - ESSERE COSTITUITE DA BOX, LE CUI PARETI DIVISORIE SIANO ALTE DI 2,10 ÷ 2,30 M; - AVERE PORTE APRIBILI VERSO L'ESTERNO, SOLLEVATE DAL PAVIMENTO , CON CHIUSURA DALL'INTERNO TALE DA POTER ESSERE APERTA DALL'ESTERNO IN CASO DI EMERGENZA; - AVERE IMPIANTI COL SISTEMA A CADUTA D'ACQUA CON CASSETTA DI LAVAGGIO - O ALTRO TIPO EQUIVALENTE - DOTATO DI SCARICO AUTOMATICO O COMANDATO; - AVERE COLONNE DI SCARICO DIMENSIONATE IN RELAZIONE AGLI APPARECCHI UTILIZZATI, FACILMENTE ISPEZIONABILI E MUNITE DI CANNE DI VENTILAZIONE I LAVABI E GLI EVENTUALI LAVAPIEDI DEBBONO ESSERE AD ACQUA GRONDANTE. LE FONTANELLE PER BERE, UBICATE IN PUNTI ACCESSIBILI, O NELL'ANTILATRINA, DEBBONO ESSERE DOTATI DI ACQUA POTABILE EROGATA A GETTO PARABOLICO; OGNI SCUOLA DOVRÀ ESSERE DOTATA DI UN GABINETTO PER PIANO AVENTE LE DIMENSIONI MINIME DI 1,80X1,80 M, ATTREZZATO PER L'USO DA PARTE DI PORTATORI DI HANDICAP, SALVO CHE PER I CORRIMANI, CHE POTRANNO ESSERE INSTALLATI QUALORA SE NE PRESENTI LA NECESSITÀ. NUCLEO PER SEI CLASSI, CON LATRINE ED ANTILATRINE ESTERNE (DIRETTAMENTE AREATE ED ILLUMINATE) 210 175 V V V V V V V V V V V V V V V V V V
~32
300
210÷230
175 210 V V V V V V V V V V V V V V V V V V
~32 90
52÷55
800
B 288
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE SUPERIORI DI PRIMO GRADO (MEDIE)
B.8. 4. A.ZIONI
RELAZIONI CON IL CONTESTO E REQUISITI IGIENICI E AMBIENTALI RELATIVI ALL’UBICAZIONE DELLE SCUOLE MEDIE Valgono le indicazioni generali in tema di relazioni con il contesto urbano e territoriale impartite dalla normativa corrente e richiamate nel paragrafo B.8.1.1. Nella ubicazione di scuole medie, la distanze scuola-residenza dovrebbe essere contenuta entro 1.000 ml e 15÷30 min di percorrenza a piedi o con mezzi di trasporto
REQUISITI DELL’AREA DESTINATA ALLA COSTRUZIONE DI SCUOLE MEDIE
d) per l’educazione musicale è necessario uno spazio acusticamente predisposto, che possa contenere pianoforte, pianole elettriche e altri strumenti musicali, e un podio che consenta lo svolgersi di attività libere e ritmiche. Tale attività, a seconda delle dimensioni della scuola, può essere localizzata o negli spazi per le attività integrative e parascolastiche o nel palcoscenico dell’auditorio o in ambiente proprio.
SPAZI E ATTREZZATURE RELATIVE ALL’USO DI TECNOLOGIE INFORMATICHE E MULTIMEDIALI
Criteri di dimensionamento degli edifici destinati a ospitare scuole medie Le dimensioni minime e massime degli edifici destinati a ospitare scuole medie sono riportate in Tab. B.8.1./1. Le superfici minime di riferimento per il dimensionamento delle scuole medie in rapporto al numero presumibile degli alunni o delle classi sono riportate in Tab. B.8.1./3
SPAZI PER LA COMUNICAZIONE E L’INFORMAZIONE
NUMERO DEI PIANI L’edificio deve essere progettato in modo che gli allievi possano agevolmente usufruire, attraverso gli spazi per la distribuzione orizzontale e verticale, di tutti gli ambienti della scuola, nelle loro interazioni e articolazioni e, inoltre, raggiungere le zone all’aperto. Ciò comporta che le attività educative si svolgano normalmente, su uno o due piani e, qualora il comune, previo parere del provveditore agli studi, sentito il consiglio di distretto ove costituito, lo ritenga inevitabile, su più di due piani.
SPAZI PER L’UNITÀ PEDAGOGICA In tale tipo di scuola, nello spazio dell’unità pedagogica si svolgono quelle attività che hanno carattere prevalentemente teorico e che attualmente non usufruiscono di attrezzature specializzate; poiché, però, per la maggiore complessità dei metodi d’insegnamento, l’arricchimento e l’ampliamento dei programmi con nuove materie e attività facoltative, e l’articolarsi dei gruppi di apprendimento, le unità pedagogiche presentano nuove necessità, gli spazi a esse riservati debbono avere le seguenti caratteristiche: • conseguire una flessibilità tale, nel loro interno e fra essi, da permettere lo svolgersi sia di attività individuali che di gruppi di media grandezza; • consentire una facile trasformazione da aula normale in aula speciale, qualora, in futuro, una materia di insegnamento necessiti di una attrezzatura specializzata (ad esempio: l’insegnamento delle lingue potrà richiedere domani un laboratorio linguistico, che, una volta installato, trasformerà l’aula da normale in speciale); • essere integrati, spazialmente e visivamente, con gli altri ambienti della scuola, in modo tale che siano evitati, per quanto possibile, disimpegni a corridoio e simili.
SPAZI RELATIVI ALL’INSEGNAMENTO SPECIALIZZATO Lo spazio per l’insegnamento specializzato, di esclusivo uso della scuola secondaria di primo e secondo grado, deve ospitare attività didattiche che sono ben caratterizzate e definite per tipi di scuole e di insegnamento, e che possono essere poste in correlazione sia per particolari esigenze didattiche, riguardanti singole operazioni, nell’ambito di singole attività, sia per esigenze di coordinamento tra le attività stesse. Tali attività sono: • attività scientifiche; • attività tecniche; • attività artistiche; cui corrispondono altrettanti spazi che, a seconda dei tipi di scuola, possono essere in correlazione tra loro o subire ulteriori specializzazioni per le singole attività. In particolare, nella scuola secondaria di primo grado (media) a) per le osservazioni scientifiche, è necessario predisporre uno spazio le cui articolazioni comprendano: • un ambiente per il deposito, mostre e museo e per la preparazione del materiale didattico; • un ambiente per l’insegnamento, sia teorico che pratico, dove le attività possano essere svolte individualmente e in gruppi; b) per le applicazioni tecniche, è necessario: • uno spazio di deposito; • uno spazio di insegnamento che, per le particolari esigenze della materia di programma, deve contenere arredi e attrezzature per il lavoro manuale e tecnico; c) per l’educazione artistica, è necessario un ambiente che permetta, nel suo interno, una facile variabilità nella disposizione degli elementi di arredo, in conformità alle caratteristiche delle materie di insegnamento, e che sia spazialmente concepito anche per potervi svolgere mostre ed esposizioni;
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
Nella programmazione e nella progettazione di nuove strutture scolastiche, tanto quanto nella ristrutturazione e adeguamento di quelle esistenti, si dovrà considerare l’esigenza di predisporre spazi e/o attrezzature specializzate per l’utilizzazione delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione (ICT) e per la comunicazione multimediale, sulla scorta delle indicazioni e delle provvidenze previste dai programmi internazionali, nazionali e regionali in materia di promozione della cultura scientifica e tecnologica. Si veda, in proposito, il “Documento di base” del Progetto Se.T, elaborato dal Coordinamento del progetto speciale per l’educazione scientifico-tecnologica del Min. della Pubblica Istruzione (si veda par. B.1.5.)
L’ampiezza dell’area da destinare alla costruzione di scuole medie, in rapporto al numero degli alunni o delle classi, è fissata al punto 2 delle “Norme Tecniche” promulgate con DM 18 dicembre 1975, riportate in Tab. B.8.1./2.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
Gli spazi per la comunicazione e l’informazione assumono un carattere complesso per le attività che vi si svolgono, di tipo non solo didattico, ma anche gestionale, parascolastico e associativo, per i rapporti, cioè, che possono stabilirsi con la comunità cui la scuola si riferisce. Ne deriva che: a) nell’edificio scolastico dovrà essere previsto uno spazio polivalente per attività didattiche a scala di grande gruppo, spettacoli, assemblee, riunioni di genitori ecc. Tale spazio deve essere estremamente flessibile, per consentire la sua più ampia utilizzazione: • può essere realizzato mediante aggregazioni di altri spazi per attività didattiche di dimensioni inferiori; • può essere definito come spazio autonomo. Ambedue le soluzioni possono essere compresenti: la prima soluzione ne assicura una migliore fruizione per le attività curricolari, alle quali offre uno spazio alternativo di immediata accessibilità; la seconda è consigliabile nei centri scolastici polivalenti; in questo secondo caso tale attrezzatura, che non dovrà per ragioni di funzionalità ed economia superare i 500 posti, può essere considerata comune alle varie scuole e si qualifica come un vero e proprio auditorio assumendo un carattere molto specializzato, tale da: • garantire le condizioni di sicurezza stabilite dalle vigenti norme per la protezione civile emanate dal Ministero dell’interno – Direzione generale della protezione civile e servizio antincendi; • garantire la massima flessibilità nel suo interno per permettere lo svolgimento, nelle forme più varie della vita associata, attraverso attrezzature mobili che dividano lo spazio secondo le necessità ecc.; • essere correlato con gli spazi necessari per lo svolgimento di attività parascolastiche e integrative qualora la dimensione della scuola lo renda necessario; • essere corredato da tutti quegli ambienti di servizio necessari per il suo funzionamento (cabina di proiezione depositi ecc.); • avere un rapido accesso dall’esterno della scuola per facilitarne l’uso da parte della comunità locale; • essere dotato di almeno un nucleo di servizi igienici; b) la biblioteca deve avere uno spazio tale da permettere lo svolgimento di tutte le attività individuali e di gruppo relative all’informazione, alla ricerca e allo scambio dei dati. Detto spazio, non necessariamente concentrato in un unico punto dell’edificio, può assumere un carattere complesso e articolato a seconda delle dimensioni della scuola o delle necessità derivanti dal contesto in cui si inserisce. La biblioteca è costituita da: • uno spazio per i cataloghi o bibliografie, arredato con classificatori, tavoli per la consultazione ecc.; • uno spazio per il personale della biblioteca addetto a svolgere attività di ausilio didattico, reperimento, conservazione e manutenzione dei materiali (audiovisivi, libri ecc.) e attività particolari, quali sviluppo di microfilms, registrazioni ecc. Tale spazio dovrà consentire anche i rapporti tra gli addetti alla biblioteca e gli insegnanti. Qualora la scuola sia dotata di un sistema televisivo a circuito chiuso i locali necessari per lo svolgimento dei programmi potranno essere previsti in tale ambito; • uno spazio variamente articolato che permetta la consultazione e la lettura dei testi; a tale scopo dovranno essere previsti; • arredi e posti per attività individuali, per attività di gruppo e discussioni, per lettura di filmine, ascolto di dischi e nastri ecc.; • scaffali per libri disposti in modo da essere facilmente accessibili da parte degli allievi e senza che si abbia un traffico fastidioso ai lettori. c) inoltre gli spazi per la comunicazione e l’informazione debbono essere progettati anche tenendo presenti le esigenze derivanti dai decreti delegati (riunioni di organi collegiali, di circolo o di istituto); tali spazi debbono essere integrati da alcuni locali nei quali possono aver luogo tutte quelle attività associative, ricreative e culturali che richiedono incontri o lavori di gruppo fra studenti, incontri scuola-famiglia ecc.
➥
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. TARI B.8.3E ELEMEN L SCUO . RI DI B.8.4E SUPERIO EDIE) L (M O O SCU GRAD O PRIM
B 289
B.8. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE SUPERIORI DI PRIMO GRADO (MEDIE)
FIG. B.8.4./1 SPAZI RELATIVI ALL’UNITÀ PEDAGOGICA – SCHEMI DI AGGREGAZIONE SEMPLICE ATTIVITÀ DIDATTICHE An - SPAZI PER ATTIVITÀ NORMALI As - SPAZI PER ATTIVITÀ DIDATTICHE SPECIALI (SCIENTIFICHE,TECNICHE, ARTISTICHE,MUSICALI) SPAZI PER I SERVIZI IGIENICI E LA DISTRIBUZIONE (CONNETTIVO) sa - SERVIZI IGIENICI ALUNNI sp - SERVIZI IGIENICI DOCENTI (ANCHE COMUNI A PIÙ UNITÀ PEDAGOGICHE) sh - SERVIZI IGIENICI HANDICAPPATI H - ATRIO Co - CONNETTIVO, CORRIDOI, DISIMPEGNI Cv - COLLEGAMENTI VERTICALI: SCALE E ASCENSORI SPAZI PER ATTIVITÀ COLLETTIVE E COMPLEMENTARI B - BIBLIOTECA (MEDIATECA, SUPPORTI INFORMATICI E TELEMATICI) IN - SALA COLLETTIVA (AUDITORIUM, TEATRO, ECC.) M - MENSA E RELATIVI SERVIZI U - UFFICI H - ATRIO A - UNITÀ PEDAGOGICA: MODULO BASE (3 AULE NORMALI) -IN LINEA, CON AULE VERSO L'ORIENTAMENTO MIGLIORE - ATTIVITÀ DIDATTICHE SPECIALI CONTIGUE
AMPIEZZA MINIMA DELL'AREA PER LA COSTRUZIONE DI SCUOLE SECONDARIE DI PRIMO GRADO (MEDIE) N. CLASSI MQ
C - UNITÀ PEDAGOGICHE: 2 MODULI (6 AULE NORMALI) - IN LINEA, CON AULE DISPOSTE SU LATI OPPOSTI (ATTIVITÀ DIDATTICHE SPECIALI UBICATE ALTROVE)
An
An
An
As
An
Co Co
An
An
sa
An
An
B - UNITÀ PEDAGOGICHE: 2 MODULI (6 AULE NORMALI) - IN LINEA, CON AULE NORMALI SULLO STESSO LATO ATTIVITÀ SPECIALI E SERVIZI SUL LATO OPPOSTO
sp Co Co
sa sa
An
675
27,00
4.375
625
25,00
8
4.960
620
24,80
9
5.490
610
24,40
10
5.870
587
23,50
11
6.490
590
23,60
12
6.840
570
13
7.215
555
22,80 22,20
14
7.840
560
22,40
15 16
8.175 8.640
545 540
21,80
17
8.925
525
21,00
18
9.306
517
20,70
19
9.728
512
20,50
20
10.100
505
20,20
21
11.500
550
22,00
22
11.990
545
21,80
23
12.351
537
21,50
24
12.095
504
21,00
21,60
sa
mq/alunno
Sup. totale
6
n. alunni 150
mq/classe 275,50 mq
11,02 mq
1.653 mq
9
225
240,25 mq
9,61 mq
2.163 mq
12
300
219,50 mq
8,78 mq
2.634 mq
15
375
212,50 mq
8,50 mq
3.188 mq
18
450
202,50 mq
8,10 mq
3.645 mq
21
525
211,25 mq
8,45 mq
4.436 mq
24
600
201,50 mq
8,06 mq
4.836 mq
N.B. - I VALORI SI RIFERISCONO A CLASSI DA 25 ALUNNI E COMPRENDONO LE MURATURE E TUTTI I LOCALI DELL'EDIFICIO, COMPRESE LE PALESTRE TIPO A; SONO ESCLUSI L'ABITAZIONE DEL CUSTODE E GLI EVENTUALI UFFICI PER LA DIREZIONE DIDATTICA.
D - UNITÀ PEDAGOGICHE: 2 MODULI (6 AULE NORMALI) - DISPOSIZIONE D'ANGOLO (90°) ATTIVITÀ SPECIALI INTEGRATE, SUL LATO OPPOSTO
sa
4.050
n.classi
sh
Am
6 7
SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO (MEDIA) SUPERFICIE LORDA PER CLASSE, PER ALUNNO, TOTALE
sa An
SUP. TOTALE PER CLASSE PER ALUNNO MQ MQ MQ
An An
An
An
An
sh sp Co Co
An
Co
sa
sh
Co
sa
sa
RIFERIMENTI DIMENSIONALI
sa
As
As
An An Co
Co
(D)
-
UNITÀ SCOLASTICA MINIMA E MASSIMA MIN.: 6 CLASSI (2 UNITÀ PEDAGOGICHE), MAX: 24 CLASSI (8 UNITÀ PEDAGOGICHE),
-
UNITÀ PEDAGOGICA FORMATA DA TRE CLASSI (CICLO DIDATTICO COMPLETO)
-
DIMENSIONI AULE PER ATTIVITÀ DIDATTICA NORMALE ALUNNI DI UNA CLASSE PER ATTIVITÀ NORMALI: 25 MAX ATTIVITÀ NORMALI = 25 x 1,80 MQ/ALUNNO = 45 MQ
-
PARAMETRO DI DIMENSIONAMENTO DEGLI SPAZI PER ATTIVITÀ DIDATTICHE SPECIALI VARIA CON IL NUMERO DELLE CLASSI E DEGLI ALUNNI, COME INDICATO IN TAB. B.8.4/1. LE ATTIVITÀ SPECIALI POSSONO NON AVERE RELAZIONE DIRETTA CON L'UNITÀ PEDAGOGICA, ED ESSERE UBICATI ANCHE IN UN PIANO DIVERSO (PIANO TERRA).
-
PARAMETRO DI DIMENSIONAMENTO DEGLI SPAZI PER SERVIZI IGIENICI E CONNETTIVO VARIA CON IL NUMERO DELLE CLASSI E DEGLI ALUNNI, COME INDICATO IN TAB. B.8.4./1.
D Co Co
An An
D
As
B 290
An
As
150 ALUNNI 600 ALUNNI
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE SUPERIORI DI PRIMO GRADO (MEDIE)
B.8. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.8.4./2 AGGREGAZIONE DI NUCLEI FUNZIONALI PER DODICI CLASSI
PIANO TERRA Am
As
As
An
As
C.RCIZIO
IN
IN
B
An
An
An
An
U An
I ED PRE NISM ORGA
PIANO PRIMO
A - SCUOLA DA 12 CLASSI, SU DUE PIANI (SCHEMA A CORTE APERTA) - CON AULE NORMALI SULLO STESSO PIANO ATTIVITÀ SPECIALI E SERVIZI GENERALI AL P. TERRA An
B.STAZIONI DILEGIZLII
C - SCUOLA DA 12 CLASSI, SU DUE PIANI (SCHEMA IN LINEA) - CON AULE NORMALI SU FRONTI OPPOSTI DELLO STESSO PIANO ATTIVITÀ SPECIALI E SERVIZI GENERALI AL PIANO TERRA
SPAZI RELATIVI ALL'UNITÀ PEDAGOGICA An - SPAZI PER ATTIVITÀ DIDATTICHE NORMALI As - SPAZI PER ATTIVITÀ DIDATTICHE SPECIALI sa - SERVIZI IGIENICI ALUNNI sp - SERVIZI IGIENICI DOCENTI (ANCHE COMUNI A PIÙ UNITÀ PEDAGOGICHE) sh - SERVIZI PER PORTATORI DI HANDICAP SPAZI PER ATTIVITÀ COLLETTIVE E COMPLEMENTARI B - BIBLIOTECA (MEDIATECA, SUPPORTI INFORMATICI E TELEMATICI), DEPOSITO IN - ATTIVITÀ PARASCOLASTICHE ED INTEGRATIVE (AUDITORIUM) M - MENSA SPAZI PER ATTIVITÀ COMPLEMENTARI H - ATRIO U - UFFICI (AMMINISTRATIVI, DIRETTIVI, ECC.) SPAZI PER LA DISTRIBUZIONE (CORRIDOI, SCALE, ECC.)
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
Co Co
Co Co
CO NTALE AMBIE
An
An
IN An
sa
As
sp/h
Am
sa
An
PIANO TERRA
sa
PIANO PRIMO
sa
As
H H
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
sp/h
sa
An
F. TERIALI,
sa H H
An
Co
Co Co M
An sa
B
An
G.ANISTICA URB
An
An
An
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
sa An
An
As As
M
U
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
An
An
An
PALESTRA A1 (330 MQ)
An
B - SCUOLA DA 12 CLASSI, SU DUE PIANI (SCHEMA COMPATTO) - CON AULE NORMALI SU DUE PIANI, CON ORIENTAMENTO OPPOSTO ATTIVITÀ SPECIALI AL PIANO PRIMO E SERVIZI GENERALI AL PIANO TERRA sa
An
sa
An
An
An Co
Co Co An
An Co Co
As
As
As
PIANO PRIMO
sa
sa
An
PIANO TERRA
INDICI E DIMENSIONI DEGLI SPAZI NECESSARI PER LE DIVERSE ATTIVIT À SONO RIPORTATI NELLE TABELLE DI FIG. B.8.4.3 DIMENSIONI E REQUISITI RELATIVI AGLI SPAZI PER L'EDUCAZIONE FISICA ED ALLE DIVERSE TIPOLOGIE DI PALESTRE E RELATIVI SERVIZI SONO TRATTATI IN PAR. B.8.7.
B
An
PIANO PRIMO
An
Co Co
Co Co
An
Co Co IN+Am
sa H H
sp/h
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
sp/h
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
sa
An
Co Co
An
An
An
An
D
HH M
As
Co Co
As
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
M
Co Co
An
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
As
An
sa
An
PIANO TERRA
An
U An
D An
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
D - SCUOLA DA 12 CLASSI, SU DUE PIANI (SCHEMA IN LINEA) - CON AULE NORMALI SU DUE PIANI, CON LO STESSO ORIENTAMENTO ATTIVITÀ SPECIALI AL PIANO PRIMO E SERVIZI GENERALI AL PIANO TERRA
sa
An
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
U+sp
PALESTRA A1 (330 MQ)
An
An
Am
IN
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST As
IN
. RI DI B.8.4E SUPERIO EDIE) L (M O O SCU GRAD O PRIM
B 291
B.8. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE SUPERIORI DI PRIMO GRADO (MEDIE)
FIG. B.8.4./3 AGGREGAZIONE DI NUCLEI FUNZIONALI PER 24 CLASSI
LE TABELLE MOSTRANO IL COMPUTO DELLE SUPERFICI NETTE TOTALI RELATIVE ALLE DIVERSE ATTIVITÀ, PER SCUOLE SECONDARIE DI PRIMO GRADO (MEDIE) DA 12 CLASSI (V. FIG. B.8.4./2.) E DA 24 CLASSI (V. FIG. B.8.4./3. E FIG. B.8.4./4.), ESEGUITO IN BASE AGLI INDICI PARAMETRICI INDICATI DAL DM DEL 18 DICEMBRE 1975
SCUOLA SECONDARIA DI I° GRADO (MEDIA) DA 12 CLASSI (300 ALUNNI) INDICI DI SUP. NETTA E SUPERFICI NETTE TOTALI
1 PIANO PRIMO
DIMENSIONI E REQUISITI RELATIVI ALLE DIVERSE TIPOLOGIE DI PALESTRE SONO TRATTATI IN B.8.7 PALESTRA A2 (2 x 200 MQ)
2
SPAZI PER EDUCAZIONE FISICA E SPORT ALL'APERTO
3
Superfici mq. totali
- attività normali (in 24 classi)
1,80
540 mq
- attività speciali
0,76
228 mq
- attività musicali Superficie tot. attività didattiche
0,13
39 mq
- sup. attività did. minima
2,69
807 mq
- sup. attività did. massima
3,08
924 mq
- att. integrative e parascolastiche
0,60
180 mq
- biblioteca alunni - mensa e relativi servizi
0,23
69 mq
0,50
150 mq
Attività didattiche
Attività collettive
Attività complementari - atrio
0,20
60 mq
- uffici Somma indici parziale
0,45
135 mq
- sup. parziale minima
4,6
1.401 mq
- sup. parziale massima
5,0
1.518 mq
- sup. connettivo minima
1,85
555 mq
- sup. connettivo massima
2,02
606 mq
Connettivo e serv. igienici (40%) An
Co Co
Sup. netta totale
As
An
An
An
An
Co Co
sa
sa An
Indici mq/alun.
Descrizione delle attività
B - SCUOLA DA 24 CLASSI, SU DUE PIANI (SCHEMA A PETTINE) - CON AULE NORMALI SU DUE PIANI, CON LO STESSO ORIENTAMENTO ATTIVITÀ SPECIALI AL PIANO PRIMO E SERVIZI GENERALI AL PIANO TERRA PIANO TERRA
IN (AUDITORIUM)
- superficie tot. minima
6,52
1.956 mq
- superficie tot. massima
7,08
2.124 mq
Spazi per l'educazione fisica Palestra e servizi Altre attività, se richieste Alloggio del custode
Descrizione delle attività
H H
1
sa+sp+h
An
Co Co An
An
An
Co Co An
2
As
3
Indici mq/alun.
Superfici mq totali
- attività normali (in 24 classi)
1,80
1.080 mq
- attività speciali
0,60 0,10
360 mq
- sup. attività did. minima
2,50
- sup. attività did. massima
2,85
1.500 mq 1.710 mq
- att. integrative e parascolastiche
0,60
360 mq
- biblioteca alunni - mensa e relativi servizi
0,15 0,50
300 mq
- atrio
0,20
120 mq
- uffici
0,28
168 mq
sa
sa An
80 mq netti
Attività didattiche
- attività musicali Superficie tot. attività didattiche
UFFICI
tipo A1 330 mq netti
SCUOLA SECONDARIA DI I° GRADO (MEDIA) DA 24 CLASSI (600 ALUNNI) INDICI DI SUP. NETTA E SUPERFICI NETTE TOTALI
sa+sp+h
An
An
BIBLIOTECA
An
An
Co Co An
An
5
Co Co
sa
sa
As
4
60 mq
Attività collettive 90 mq
Attività complementari
- sup. parziale minima
4,23
- sup. parziale massima
4,58
Connettivo e serv. igienici (40%) - sup. connettivo minima
An
As
Co Co An
An
An
An
Co Co
sa
MENSA
sa
Somma indici parziale
An
B
- sup. connettivo massima
1,69
1.014 mq
1,83
1.098 mq
5,92 6,41
3.552 mq 3.846 mq
Sup. netta totale - superficie tot. minima - superficie tot. massima 4
5
B 292
Spazi per l'educazione fisica Palestra e servizi Altre attività, se richieste Alloggio del custode
tipo A2 2 x 200 mq netti 80 mq netti
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE SUPERIORI DI PRIMO GRADO (MEDIE)
B.8. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.8.4./4 AGGREGAZIONE DI NUCLEI FUNZIONALI PER 24 CLASSI
B.STAZIONI DILEGIZLII
LEGENDA
I ED PRE NISM ORGA 420
SPAZI RELATIVI ALL'UNITÀ PEDAGOGICA An - SPAZI PER ATTIVITÀ DIDATTICHE NORMALI As - SPAZI PER ATTIVITÀ SPECIALI (SCIENTIFICHE, TECNICHE, ARTISTICHE, DI GRUPPO) Am - SPAZI PER ATTIVITÀ MUSICALI sa - SERVIZI IGIENICI ALUNNI sp - SERVIZI IGIENICI DOCENTI ( POSSONO ESSERE COMUNI A PIÙ UNITÀ PEDAGOGICHE) sh - SERVIZI IGIENICI PER PORTATORI DI HANDICAP
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF CON PAVIMENTO PIANO
SPAZI PER LA DISTRIBUZIONE Co - COLLEGAMENTI ORIZZONTALI: CONNETTIVO, CORRIDOI, DISIMPEGNI Cv - COLLEGAMENTI VERTICALI: SCALE E ASCENSORI
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
SPAZI DI COLLEGAMENTO ORIZZONTALE - H ATRIO
ATTIVITÀ INTEGRATIVE (AUDITORIUM)
240
SPAZI PER ATTIVITÀ COLLETTIVE E COMPLEMENTARI - BIBLIOTECA (MEDIATECA, SUPPORTI INFORMATICI E TELEMATICI), DEPOSITO - ATTIVITÀ PARASCOLASTICHE E INTEGRATIVE (AUDITORIUM) - MENSA SPAZI PER ATTIVITÀ COMPLEMENTARI - ATRIO - UFFICI (AMMINISTRATIVI, DIRETTIVI, ECC.)
420
B IN M H U
ATTIVITÀ INTEGRATIVE
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
CON GRADINATE
COLLEGAMENTI VERTICALI (SCALE, ASCENSORI) ACCESSO E PERCORSI DI ALUNNI, DOCENTI, PERSONALE
A - SCUOLA DA 24 CLASSI, SU DUE PIANI (SCHEMA A CORTE APERTA) - CON AULE NORMALI SU DUE PIANI, CON LO STESSO ORIENTAMENTO ATTIVITÀ SPECIALI AL PRIMO PIANO E SERVIZI GENERALI AL PIANO TERRA
Sa Ss
Ss Sa
An
An
Ss
Spazi per comunicazione e informazione
An
Spazi per l'unità pedagogica (sezione) - nel caso di soffitti in piano - nel caso di soffitti inclinati - parti per il lavoro di gruppo
An
An
An
sa
An
An
2,70 m min. 2,40 m
1. biblioteca alunni
3,00 m
2. spazi per attività integrative - con gradinate, nella parte bassa - con gradinate, nella parte alta - senza gradinate
2,40÷4,20 2,40 4,20 4,20 2,40 m
Spazi per la direzione - amministrazione
3,00 m
Spazi per la visita medica Spazi per la mensa
3,00 m
- in nicchia (fino a 30÷35 mq) - negli altri casi Spazi per l'educazione fisica - palestra tipo A - palestra tipo B
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
Ss Sa
PALESTRA TIPO A2 (2 x 200 MQ)
PALESTRA TIPO A2 (2 x 200 MQ)
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
2,40 m 3,00 m
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
5,40 m 7,20 m
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
Ss Sa
sa
sa
An
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
3,00 m
Spazi per la distribuzione
An
An
As
DISTRIBUZ.
SCUOLA SECONDARIA DI I° GRADO (MEDIA) NORME SULLE ALTEZZE NETTE DI PIANO (INTERNE)
An
An An An
As
MENSA
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
CON SOFFITTO INCLINATO
An
An
As
An
An
As
UNITÀ PEDAGOGICA (CLASSE)
240
270 An
IN (AUDITORIUM)
UFFICI
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
sa An
An
An An
BIBLIOTECA/MEDIATECA
URB
DISTRIBUZ.
CON SOFFITTO PIANO
PIANO PRIMO
sa
PIANO TERRA
UNITÀ PEDAGOGICA (CLASSE)
G.ANISTICA
240
300
ACCESSO E PERCORSI VERSO LE ATTIVITÀ FRUIBILI ANCHE DA ESTERNI
DIMENSIONI E REQUISITI RELATIVI AGLI SPAZI PER L'EDUCAZIONE FISICA ED ALLE DIVERSE TIPOLOGIE DI PALESTRE E RELATIVI SERVIZI SONO TRATTATI IN B.8.7.
➥
. RI DI B.8.4E SUPERIO EDIE) L (M O O SCU GRAD O PRIM
B 293
B.8. 4.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE SUPERIORI DI PRIMO GRADO (MEDIE)
FIG. B.8.4./5 DIMENSIONAMENTO DEGLI ARREDI DI BASE DELLE CLASSI
DIMENSIONAMENTO DEI TAVOLINI E DEI SEDILI PER GLI ALUNNI DELLE SCUOLE SECONDARIE DI I° GRADO (MEDIE) DIMENSIONE DEI TAVOLINI PER GLI ALUNNI DELLA SCUOLA SECONDARIA DI I° GRADO GRANDEZZA STATURA AL. 5
165 cm (157÷172)
B1
TIPO 1 POSTO
65
2 POSTI
130
B2
H1
H2
H3
H4
H5
T1
T2
T3
45
68
11
57
45
35
65
35
45
B1 - LUNGHEZZA MINIMA DEL PIANO DI LAVORO (PUÒ ESSERE AUMENTATA CON INCREMENTI MULTIPLI DI 5 CM) B2 - LARGHEZZA MINIMA DELLO SPAZIO PER LE GAMBE H1 - ALTEZZA MASSIMA DEL PIANO DI LAVORO H2 - ALTEZZA MASSIMA DELLO SPESSORE DEL PIANO DI LAVORO E RELATIVE STRUTTURE H3 - ALTEZZA MINIMA DELLO SPAZIO PER LE GAMBE H4 - ALTEZZA MINIMA DELLA ZONA PER LA DISTENSIONE DELLE GAMBE H5 - ALTEZZA MINIMA DELLO SPAZIO PER LE TIBIE T1 - PROFONDITÀ MINIMA DEL PIANO DEL TAVOLINO (PUÒ ESSERE AUMENTATA CON INCREMENTI MULTIPLI DI 5 CM) T2 - PROFONDITÀ MINIMA DELLO SPAZIO PER LE GAMBE (ZONA GINOCCHIO) T3 - PROFONDITÀ MINIMA DELLO SPAZIO PER LE GAMBE (ZONA TIBIE)
DIMENSIONE DELLE SEDIE PER GLI ALUNNI DELLA SCUOLA SECONDARIA DI I° GRADO A' GRANDEZZA STATURA AL. B3 B4 H6 H7 H8 H9 T4 A" 165 cm (157÷172)
5 B3 B4 H6 H7 H9 H8 T4 B D -
35
34÷41
41
16
21
32÷39
38 95°÷106°
LARGHEZZA DEL SEDILE LARGHEZZA DELLA SPALLIERA ALTEZZA DEL SEDILE (PIANO DI SEDUTA) MISURATA NEL PUNTO PIÙ ALTO ALTEZZA DAL PIANO DI SEDUTA DELLA PARTE INFERIORE DELLA SPALLIERA ALTEZZA DAL PIANO DI SEDUTA DELLA PARTE SUPERIORE DELLA SPALLIERA ALTEZZA DEL PUNTO X (SUPPORTO LOMBARE) DAL PIANO DI SEDUTA PROFONDITÀ EFFETTIVA DEL SEDILE ANGOLO TRA SEDIA E SPALLIERA EVENTUALE INCLINAZIONE DEL PIANO DI SEDUTA LAVAGNA 240 x 120 CM È RICHIESTA ANCHE UNA SECONDA LAVAGNA IN LAMINATO (120 x 120)
120
TOLLERANZE: PER LE MISURE DEI TAVOLINI È AMMESSA UNA TOLLERANZA PARI A ± 0,2 CM PER L'ALTEZZA DEL PIANO DI LAVORO (H1) È AMMESSA TOLLERANZA PARI A ± 0,3 CM PER LE MISURE DEI SEDILI È AMMESSA UNA TOLLERANZA PARI A ± 0,3 CM
65
T1 45
T3
A' A" H6
H4
H5
35
41
45
57
H3
60÷65
0÷4°
H1
68
95÷106° 38
X H9
T4
H7 H8
16 21 32÷39
H2
T2
11
35
DISPOSIZIONE DI TAVOLINI SINGOLI IN UN'AULA PER ATTIVITÀ NORMALI T1
690÷720
B3
B4
VETRINE E/O SCAFFALI
34÷41
LAVAGNA
35 42÷48
V
V
V
V
V
V
V
B 294
V
45
38
V
65
680÷700
130
B2
B1(1)
T4
65
0°÷4°
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE SUPERIORI DI SECONDO GRADO (LICEI, ISTITUTI TECNICI)
B.8. 5. A.ZIONI
RELAZIONI CON IL CONTESTO E REQUISITI AMBIENTALI RELATIVI ALL’UBICAZIONE DELLE SCUOLE SUPERIORI Valgono le indicazioni generali in tema di relazioni con il contesto urbano e territoriale impartite dalla normativa corrente e richiamate nel paragrafo B.8.1. Nella ubicazione di scuole secondarie superiori, la distanze scuola-residenza non è prescritta mentre i tempi di percorrenza dovrebbero essere contenuta entro 20÷45 min, a piedi o con mezzi di trasporto (si veda Tab. B.8.1./1).
REQUISITI DELL’AREA DESTINATA ALLA COSTRUZIONE DI SCUOLE SUPERIORI L’ampiezza dell’area da destinare alla costruzione di scuole medie, in rapporto al numero degli alunni o delle classi, è fissata al punto 2 delle “Norme Tecniche” promulgate con DM 18 dicembre 1975, riportate in Tab. B.8.1./2.
CRITERI DI DIMENSIONAMENTO DEGLI EDIFICI DESTINATI A OSPITARE SCUOLE SUPERIORI Le dimensioni minime e massime degli edifici destinati a ospitare scuole medie sono riportate in Tab. B.8.1./1. Le superfici minime di riferimento per il dimensionamento delle scuole medie in rapporto al numero presumibile degli alunni o delle classi sono riportate in Tab. B.8.1./3
SPAZI PER LA COMUNICAZIONE E L’INFORMAZIONE Gli spazi per la comunicazione e l’informazione assumono un carattere complesso per le attività che vi si svolgono, di tipo non solo didattico, ma anche gestionale, parascolastico e associativo, per i rapporti, cioè, che possono stabilirsi con la comunità cui la scuola si riferisce.
B.STAZIONI DILEGIZLII
Ne deriva che:
C.RCIZIO
a) nell’edificio scolastico dovrà essere previsto uno spazio polivalente per attività didattiche a scala di grande gruppo, spettacoli, assemblee, riunioni di genitori ecc.; Tale spazio deve essere estremamente flessibile, per consentire la sua più ampia utilizzazione; può essere realizzato mediante aggregazioni di altri spazi per attività didattiche di dimensioni inferiori o può essere definito come spazio autonomo. Ambedue le soluzioni possono essere compresenti: la prima soluzione ne assicura una migliore fruizione per le attività curricolari, alle quali offre uno spazio alternativo di immediata accessibilità; la seconda è consigliabile nei centri scolastici polivalenti; in questo secondo caso tale attrezzatura, che non dovrà per ragioni di funzionalità ed economia superare i 500 posti, può essere considerata comune alle varie scuole e si qualifica come un vero e proprio auditorio assumendo un carattere molto specializzato, tale da: • garantire le condizioni di sicurezza stabilite dalle vigenti norme per la protezione civile emanate dal Ministero dell’interno – Direzione generale della protezione civile e servizio antincendi;
SPAZI PER ATTIVITÀ SPECIALI
• garantire la massima flessibilità nel suo interno per permettere lo svolgimento, nelle forme più varie della vita associata, attraverso attrezzature mobili che dividano lo spazio secondo le necessità ecc.;
Data la ampia articolazione di specializzazioni e delle relative discipline, gli spazi minimi necessari alle attività speciali sono stati prescritti solo per alcuni tipi di scuola (v. Tabelle B.8.1./6, 7, 8, 9, 10).
• essere correlato con gli spazi necessari per lo svolgimento di attività parascolastiche e integrative qualora la dimensione della scuola lo renda necessario;
Per i tipi di scuola non indicati, gli spazi necessari saranno precisati dal capo dell’istituto che utilizzerà l’edificio, se già designato, ovvero dalle autorità competenti (direzione generale competente, provveditorato agli studi, capi di istituti similari). Inoltre gli spazi per le attività speciali:
• essere corredato da tutti quegli ambienti di servizio necessari per il suo funzionamento (cabina di proiezione depositi ecc.);
a) dovranno essere tali da servire, se possibile, sia per le lezioni teoriche che per le esercitazioni pratiche, e dovranno essere corredati dai seguenti ambienti, anche in comune, tra più aule di esercitazione: • • • •
ambiente per la preparazione (solo per le materie scientifiche); studio dell’insegnante; magazzino di deposito (bilance ecc.); musei, quando servono alle scienze naturali;
b) dovranno essere forniti di: • impianti flessibili e amovibili: di adduzione del gas, energia elettrica, acqua ecc., e di scarico; • cappe aspiranti, per le esercitazioni che le richiedano; • arredi sia fissi che amovibili, quali banconi attrezzati per gli insegnanti e per le esercitazioni degli allievi, banchi da lavoro, tavoli ecc.
SPAZI E ATTREZZATURE RELATIVE ALL’USO DI TECNOLOGIE INFORMATICHE E MULTIMEDIALI Nella programmazione e nella progettazione di nuove strutture scolastiche, tanto quanto nella ristrutturazione e adeguamento di quelle esistenti, si dovrà considerare l’esigenza di predisporre spazi e/o attrezzature specializzate per l’utilizzazione delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione (ICT) e per la comunicazione multimediale, sulla scorta delle indicazioni e delle provvidenze previste dai programmi internazionali, nazionali e regionali in materia di promozione della cultura scientifica e tecnologica. Si veda, in proposito, il “Documento di base” del Progetto SeT, elaborato dal Coordinamento del progetto speciale per l’educazione scientifico-tecnologica del Ministero della Pubblica Istruzione (si veda par. B.1.5.)
SPAZI RELATIVI A LABORATORI E OFFICINE Nelle scuole secondarie di secondo grado, le caratteristiche dei laboratori o delle officine, qualora siano richiesti, saranno precisate di volta in volta dal capo dell’istituto, in relazione alle specifiche esigenze formative del tipo di scola e alle particolari sperimentazioni didattiche programmate dall’istituto.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
• avere un rapido accesso dall’esterno della scuola per facilitarne l’uso da parte della comunità locale; • essere dotato di almeno un nucleo di servizi igienici; b) La biblioteca deve avere uno spazio tale da permettere lo svolgimento di tutte le attività individuali e di gruppo relative all’informazione, alla ricerca e allo scambio dei dati. Detto spazio, non necessariamente concentrato in un unico punto dell’edificio, può assumere un carattere complesso e articolato a seconda delle dimensioni della scuola o delle necessità derivanti dal contesto in cui si inserisce. A tale scopo la biblioteca è costituita da: • uno spazio per i cataloghi o bibliografie, arredato con classificatori, tavoli per la consultazione ecc.; • uno spazio per il personale della biblioteca addetto a svolgere attività di ausilio didattico, reperimento, conservazione e manutenzione dei materiali (audiovisivi, libri ecc.) e attività particolari, quali sviluppo di microfilms, registrazioni ecc. Tale spazio dovrà consentire anche i rapporti tra gli addetti alla biblioteca e gli insegnanti. Qualora la scuola sia dotata di un sistema televisivo a circuito chiuso i locali necessari per lo svolgimento dei programmi potranno essere previsti in tale ambito; • uno spazio variamente articolato che permetta la consultazione e la lettura dei testi; a tale scopo dovranno essere previsti: – arredi e posti per attività individuali, per attività di gruppo e discussioni, per lettura di filmine, ascolto di dischi e nastri ecc.; – scaffali per libri disposti in modo da essere facilmente accessibili da parte degli allievi e senza che si abbia un traffico fastidioso ai lettori; c) inoltre gli spazi per la comunicazione e l’informazione debbono essere progettati anche tenendo presenti le esigenze derivanti dai decreti delegati (riunioni di organi collegiali, di circolo o di istituto); tali spazi debbono essere integrati da alcuni locali nei quali possono aver luogo tutte quelle attività associative, ricreative e culturali che richiedono incontri o lavori di gruppo fra studenti, incontri scuola-famiglia ecc. Nelle Tab. B.8.3/1 sono prescritti gli indici standard di superficie, e il loro eventuale grado di variabilità, articolati per categorie di attività.
I ED PRE NISM ORGA
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. RI DI B.8.4E SUPERIO EDIE) L (M O SCU GRADO O PRIM . RI B.8.5E SUPERIOADO L SCUO ONDO GR CNICI) E C DI SE ISTITUTI T (LICEI,
B 295
B.8. 5.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE SUPERIORI DI SECONDO GRADO (LICEI, ISTITUTI TECNICI)
FIG. B.8.5./1 SCUOLE SECONDARIE DI II° GRADO – LICEO CLASSICO E SCIENTIFICO – AGGREGAZIONE DI NUCLEI FUNZIONALI PER 20 CLASSI
A - LICEO CLASSICO DA 20 CLASSI, SU DUE PIANI (SCHEMA A CORTE APERTA) - CON AULE NORMALI SU DUE PIANI - ATTIVITÀ SPECIALI AL PRIMO PIANO E ATTIVITÀ COLLETTIVE AL PIANO TERRA sa
An
An
An
Ss
An
D
As (FISICA)
An
BIBLIOTECA
An
As (I.C.T.)
An
Ss
B D IN M
As (SCIENZE)
An
An
SPAZI RELATIVI ALL'UNITÀ PEDAGOGICA An - ATTIVITÀ DIDATTICHE NORMALI As - ATTIVITÀ SPECIALI: FISICA, CHIMICA, SCIENZE NAT. Am - ATTIVITÀ MUSICALI sa - SERVIZI IGIENICI ALUNNI sp - SERVIZI IGIENICI DOCENTI sh - SERVIZI IGIENICI PER PORTATORI DI HANDICAP
sa
D
An
sa
An
LEGENDA
An
SPAZI PER ATTIVITÀ COLLETTIVE - BIBLIOTECA - MEDIATECA - DEPOSITI LIBRI E ATTREZZATURE - ATTIVITÀ PARASCOL. E INTEGRATIVE (AUDITORIUM) - MENSA
SPAZI PER ATTIVITÀ COMPLEMENTARI H - ATRIO U - UFFICI (AMMINISTRATIVI, DIRETTIVI, ECC.)
sa SPAZI DI COLLEGAMENTO ORIZZONTALE
PIANO PRIMO - TRIENNIO (12 CLASSI)
An
sa
An
An
COLLEGAMENTI VERTICALI: SCALE, ASCENSORI
An
Ss
An
An
An
An
ACCESSO AD ATTIVITÀ FRUIBILI DA ESTERNI
Ss
ATRIO
SALA PROF.
PERCORSI ALUNNI, DOCENTI, PERSONALE
sa
MENSA
UFFICI
IN (AUDITORIUM)
PALESTRA TIPO A2 (630 MQ)
DIMENSIONI E REQUISITI RELATIVI AGLI SPAZI PER L'EDUCAZIONE FISICA ED ALLE DIVERSE TIPOLOGIE DI PALESTRE E RELATIVI SERVIZI SONO TRATTATI IN B.8.7.
BIB. PROF.
PIANO TERRA - BIENNIO (8 CLASSI) LICEO CLASSICO DA 20 CLASSI (500 ALUNNI)
B - LICEO SCIENTIFICO DA 20 CLASSI, SU DUE PIANI (SCHEMA A CORTE APERTA) - CON AULE NORMALI SU DUE PIANI - ATTIVITÀ SPECIALI AL PRIMO PIANO E ATTIVITÀ COLLETTIVE AL PIANO TERRA
Descrizione delle attività 1
An
An
An
An
An
An
An
An
An
An
- attività normali (in 20 classi)
1,96
980 mq
- attività speciali
0,88
440 mq
- chimica e scien. naturali (1) D
An
sa
An
D
DISEGNO 2
DISEGNO 1
As (FISICA)
sa
As (SCIENZE)
3
PIANO PRIMO - TRIENNIO (12 CLASSI) 4 Sa+h
An
An
An
An
An
An
An
An
Sa+h
BIBLIOTECA -MEDIATECA
180 mq
260 mq
260 mq
Attività collettive - att. integrative e parascol.
0,60
300 mq
- biblioteca alunni
0,32
160 mq
- mensa e relativi servizi
0,50
500 mq
- atrio
0,20
100 mq
- uffici
0,33
Somma indici parziale
4,79
165 mq 2.395 mq
Connettivo e serv. igienici (40%)
1,91
955 mq
Sup. netta globale
6,81
3.405 mq
Attività complementari
Spazi per l'educazione fisica Palestra e servizi
tipo A2 630 mq netti
Alloggio del custode
80 mq
DATI VARIANTI PER LICEO SCIENTIFICO DA 20 CLASSI ATRIO
PIANO TERRA - BIENNIO (8 CLASSI)
B 296
180 mq
Altre attività, se richieste 5
MENSA
Superfici mq totali
Attività didattiche
di cui - fisica (1 unità) 2
Indici mq/alun.
- attività speciali 1 UFFICI
IN (AUDITORIUM)
PALESTRA
di cui - fisica (2 unità) - chimica e scien. naturali (1) - disegno (2 unità)
1,84 360 mq 260 mq 200 mq
920 mq 360 mq 260 mq 200 mq
Somma indici parziale
5,85
2.925 mq
Connettivo e serv. igienici (40%)
2,34
1.170 mq
Sup. netta globale
8,19
4.095 mq
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE SUPERIORI DI SECONDO GRADO (LICEI, ISTITUTI TECNICI)
B.8. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.8.5./2 LICEO CLASSICO – AGGREGAZIONE DI NUCLEI FUNZIONALI PER 30 CLASSI
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
A - LICEO CLASSICO DA 30 CLASSI, SU DUE PIANI (SCHEMA A CORTE) ATTIVITÀ SPECIALI AL PIANO PRIMO, SERVIZI GENERALI AL PIANO TERRA PIANO TERRA PIANO PRIMO ATTIVITÀ DI EDUCAZIONE FISICA ALL'APERTO
C.RCIZIO
ZONA SPETTATORI DELLA PALESTRA AL PRIMO PIANO
E ESE ESSIONAL PROF Indici mq/alun.
Superfici mq totali
- attività normali (in 30 classi)
1,96
1470 mq
- attività speciali
0,59
443 mq
180 mq 260 mq
180 mq
- att. integrative e parascol.
0,60
450 mq
- biblioteca alunni
0,27
203 mq
375mq
375 mq
- atrio
0,20
150 mq
- uffici
0,25
188 mq
Somma indici parziale
4,37
3.278 mq
Connettivo e serv. igienici (40%) Sup. netta globale
1,74 6,11
1.305 mq
Descrizione delle attività 1
ZONA PUBBLICO
SPOGLIATOI E SERVIZI PALESTRA
LICEO CLASSICO DA 30 CLASSI (750 ALUNNI)
PALESTRA B2
Attività didattiche
di cui - fisica (1 unità) - chimica e scien. naturali (1) 2
An
An
An
An
CORTE
tipo B1 830 mq
Altre attività, se richieste Alloggio del custode
80 mq
Sa Sa An
LICEO SCIENTIFICO DA 30 CLASSI (750 ALUNNI)
Sa Sa An An
AS. (SCIENZE)
2
An
An
4
CONNETTIVO
Superfici mq totali
- attività normali (in 30 classi)
1,96
1470 mq
- attività speciali
1,23
923 mq
360 mq
360 mq
- chimica e scien. naturali (2)
260 mq
260 mq
- disegno (2 unità)
300 mq
300 mq
- att. integrative e parascol.
0,60
450 mq
- biblioteca alunni
0,27
203 mq
375mq
375 mq
0,20
150 mq
Attività collettive
- mensa e relativi servizi
PERCORSI ALUNNI E DOCENTI
Indici mq/alun.
Attività didattiche
di cui - fisica (2 unità)
Sa Sa
AS. (FISICA) AS. (SCIENZE)
1
Attività complementari - atrio
COLLEGAMENTI VERTICALI (SCALE - ASCENSORI)
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
IL CONFRONTO EVIDENZIA CHE SUSSISTONO DIFFERENZE SOLO TRA I VALORI RELATIVI ALLE ATTIVITÀ SPECIALI E, DI CONSEGUENZA, TRA I VALORI DELLE SUPERFICI TOTALI RELATIVE AI DUE TIPI DI LICEO.
3
PERCORSI FRUITORI ESTERNI
F. TERIALI,
4.583 mq
LE TABELLE ALLEGATE RIPORTANO IL COMPUTO DELLE SUPERFICI NETTE RELATIVE ALLE DIVERSE ATTIVITÀ E DELLE SUPERFICI NETTE TOTALI, PER LICEI DA 30 CLASSI SCIENTIFICO (FIG. B.8.5./3.) E CLASSICO (FIG. B.8.5./2.) IN BASE AGLI INDICI FISSATI DAL DM DEL 18.12.1975.
Descrizione delle attività
An An
An
UFFICI
Spazi per l'educazione fisica Palestra e servizi
CORTE
Sa Sa
Sa Sa
Sa Sa An
IN (AUDITORIUM)
CO NTALE AMBIE
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
An
An
5
E.NTROLLO
Attività complementari
An
An
An
An An An Sa Sa
LABORATORIO ICT
ATRIO
An
CORTE
An
An
BIBLIOTECA ALUNNI
An
Sa Sa
SALA PROF.
An An An Sa Sa
MENSA
An
An
4
PRO TTURALE STRU
Attività collettive
- mensa e relativi servizi 3
260 mq
D.GETTAZIONE
- uffici
0,25
188 mq
Somma indici parziale
5,01
3.758 mq
Connettivo e serv. igienici (40%)
2,00
1.500 mq
Sup. netta globale
7,01
5.258 mq
Spazi per l'educazione fisica Palestra e servizi Alloggio del custode A
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
tipo B1 830 mq
Altre attività, se richieste 5
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
80 mq
➥
. RI B.8.5E SUPERIOADO L SCUO ONDO GR CNICI) E C DI SE ISTITUTI T (LICEI,
B 297
B.8. 5.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE SUPERIORI DI SECONDO GRADO (LICEI, ISTITUTI TECNICI)
Sa
An
An
Sa
An
- LICEO CLASSICO DA 40 CLASSI, SU DUE PIANI (SCHEMA A PETTINE)
An
An
FIG. B.8.5./3 – LICEO CLASSICO – AGGREGAZIONE DI NUCLEI FUNZIONALI PER 40 CLASSI
MENSA
An
An
An
An
Sa
AS. (SCIENZE) Sa
An An
UFFICI
AS. (SCIENZE)
AS. (SCIENZE)
An
An
An
Ap (PLURICLASSE)
CUCINE E SERVIZI
SALA PROF.
An An
An
An An
An
LEGENDA ATTIVITÀ DIDATTICHE An - SPAZI PER ATTIVITÀ NORMALI As - SPAZI PER ATTIVITÀ DIDATTICHE SPECIALI - FISICA - CHIMICA E SCIENZE NATURALI - DISEGNO E LAB. C.A.D. (SOLO NELLO SCIENTIFICO) SPAZI PER I SERVIZI IGIENICI E LA DISTRIBUZIONE sa - SERVIZI IGIENICI ALUNNI sp - SERVIZI IGIENICI DOCENTI sh - SERVIZI IGIENICI HANDICAPPATI H - ATRIO Co - CONNETTIVO, CORRIDOI, DISIMPEGNI Cv - COLLEGAMENTI VERTICALI: SCALE E ASCENSORI B IN M U H
SPAZI PER ATTIVITÀ COLLETTIVE E COMPLEMENTARI - BIBLIOTECA (MEDIATECA, SUPPORTI INFORMATICI) - SALA COLLETTIVA (AUDITORIUM, TEATRO, ECC.) - MENSA E RELATIVI SERVIZI - UFFICI - ATRIO
AS. I.C.T.
BIBLIOTECA ALUNNI
LICEO CLASSICO DA 40 CLASSI (1000 ALUNNI)
1 AS. I.C.T.
ATRIO
Indici mq/alun.
Descrizione delle attività Attività didattiche - attività normali (in 30 classi)
1,96
- attività speciali
0,75
di cui: - fisica (2 unità) - chimica e scien. naturali (3)
An
An
An
Sa AS. (FISICA)
IN (AUDITORIUM)
5
750 mq
360 mq
360 mq
390 mq
390 mq
- att. integrative e parascol.
0,60
600 mq
- biblioteca alunni
0,26
260 mq
375 mq
375 mq
Attività complementari 200 mq
- atrio
0,20
- uffici
0,21
210 mq
Somma indici parziale
4,36
4.360 mq
Connettivo e serv. igienici (40%)
1,74
1.740 mq
Sup. netta globale
6,01
6.100 mq
Spazi per l'educazione fisica Palestra e servizi
tipo B1 830 mq
Altre attività, se richieste Alloggio del custode
80 mq
An
An
An
AS. (FISICA)
Ap (PLURICLASSE)
An
An
4
1.960 mq
Attività collettive
- mensa e relativi servizi 3
An
An
An
AS. MULTIMEDIA
An
An
Sa
An
An
2
Superfici mq totali
PALESTRA B1 (830 MQ)
PIANO TERRA (BIENNIO, 16 CLASSI)
B 298
DIMENSIONI E REQUISITI RELATIVI ALLE DIVERSE TIPOLOGIE DI PALESTRE SONO TRATTATI IN B.8.7
PIANO PRIMO (TRIENNIO, 24 CLASSI)
Sa
An
An
An
Sa
V.MED
An
An
SCUOLA SECONDARIA DI II°GRADO: LICEO CLASSICO SUPERFICIE LORDA PER CLASSE, PER ALUNNO, TOTALE
PALESTRA B1 (830 MQ)
mq/alunno
Sup. totale
10
250
242 mq
9,70 mq
2.420 mq
15
375
229 mq
9,17 mq
3.435 mq
20
500
215 mq
8,60 mq
4.300 mq
25
625
206 mq
8,23 mq
5.150 mq
30
750
195 mq
7,80 mq
5.850 mq
35
875
197 mq
7,87 mq
6.895 mq
40
1.000
187 mq
7,48 mq
7.480 mq
50
1.250
176 mq
7,03 mq
8.800 mq
60
1.500
166 mq
6,65 mq
9.960 mq
n.classi
n. alunni
mq/classe
N.B. - I VALORI SI RIFERISCONO A CLASSI DA 25 ALUNNI E COMPRENDONO LE MURATURE E TUTTI I LOCALI DELL'EDIFICIO, COMPRESE LE PALESTRE TIPO A; SONO ESCLUSI L'ABITAZIONE DEL CUSTODE E GLI EVENTUALI UFFICI PER LA DIREZIONE DIDATTICA.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE SUPERIORI DI SECONDO GRADO (LICEI, ISTITUTI TECNICI)
B.8. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.8.5./4 LICEO SCIENTIFICO – AGGREGAZIONE DI NUCLEI FUNZIONALI PER 30 CLASSI
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
B - LICEO SCIENTIFICO DA 30 CLASSI, SU DUE PIANI (SCHEMA A CORTE) ATTIVITÀ SPECIALI AL PIANO PRIMO, SERVIZI GENERALI AL P. TERRA
ZONA SPETTATORI DELLA PALESTRA AL PRIMO PIANO
ATTIVITÀ DI EDUCAZIONE FISICA ALL'APERTO
C.RCIZIO
ATTIVITÀ INTEGRATIVE
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
CON PAVIMENTO PIANO
PRO TTURALE STRU ATTIVITÀ INTEGRATIVE (AUDITORIUM)
240
PALESTRA B2
420
ZONA PUBBLICO
SPOGLIATOI E SERVIZI PALESTRA
420
PIANO PRIMO
PIANO TERRA
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA An
COLLEGAMENTI VERTICALI (SCALE - ASCENSORI)
240 DISTRIBUZ.
CON SOFFITTO INCLINATO
CORTE
Spazi per l'unità pedagogica (sezione) - nel caso di soffitti in piano - nel caso di soffitti inclinati - parti per il lavoro di gruppo
CORTE
3,00 m 2,70 m min. 2,40 m
AS. DISEGNO
1. biblioteca alunni
3,00 m
2. spazi per attivita' integrative - con gradinate, nella parte bassa - con gradinate, nella parte alta - senza gradinate
2,40÷4,20 2,40 m 4,20 m 4,20 m
Spazi per la distribuzione
2,40 m
Spazi per la direzione - amministrazione
3,00 m
Spazi per la visita medica
3,00 m
Spazi per la mensa An
AS. (FISICA)
AS. (FISICA)
An
Sa Sa
AS. DISEGNO
Sa Sa
Spazi per comunicazione e informazione
An
Sa Sa
UNITÀ PEDAGOGICA (CLASSE)
SCUOLE SECONDARIE DI II° GRADO NORME SULLE ALTEZZE NETTE DI PIANO (INTERNE)
An An An
270
An An
AS. (SCIENZE)
Sa Sa An An
CONNETTIVO
CON SOFFITTO PIANO
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
An PERCORSI FRUITORI ESTERNI
DISTRIBUZ.
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
Sa Sa
AS. (SCIENZE)
An An
AS. DISEGNO
An
UFFICI
PERCORSI ALUNNI E DOCENTI
An
An
BIBLIOTECA ALUNNI
Sa Sa
Sa Sa
Sa Sa An
IN (AUDITORIUM)
An
An
AS. C.A.D.
ATRIO
CORTE
An
An
An
Sa Sa
Sa Sa
An
An
An
UNITÀ PEDAGOGICA (CLASSE)
240
CORTE
MENSA
URB
300
An
An
An
An
CON GRADINATE
- in nicchia (fino a 30÷35 mq) - negli altri casi Spazi per l'educazione fisica - palestra tipo A - palestra tipo B
2,40 m 3,00 m 5,40 m 7,20 m
N.B. - I DATI RELATIVI ALLE ALTEZZE NETTE DI PIANO RIPORTATI NELLA TABELLA E CHIARITI NEGLI SCHEMI ALLEGATI, SONO PRESCRITTI PER TUTTI GLI ISTITUTI SECONDARI DI II° GRADO (QUINDI ANCHE PER I LICEI CLASSICI E SCIENTIFICI DA 20, 30 E 40 CLASSI ESPOSTI NELLE FIGG. B.8.5./1 - 5), A MENO DELLE ALTEZZE DEI LABORATORI DI ALCUNI ISTITUTI TECNICI CHE DEVONO ESSERE VALUTATE IN BASE A SPECIFICHE ESIGENZE TECNICHE E FUNZIONALI.
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. RI B.8.5E SUPERIOADO L SCUO ONDO GR CNICI) E C DI SE ISTITUTI T (LICEI,
B 299
B.8. 5.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE SUPERIORI DI SECONDO GRADO (LICEI, ISTITUTI TECNICI)
B - LICEO SCIENTIFICO DA 40 CLASSI, SU DUE PIANI (SCHEMA A PETTINE)
Sa
An
An
An
Sa
An
An
FIG. B.8.5./5 LICEO SCIENTIFICO – AGGREGAZIONE DI NUCLEI FUNZIONALI PER 40 CLASSI
AS. (SCIENZE)
An
AS. (SCIENZE) AS. (SCIENZE)
An
An
An
An
I DUE TIPI DI LICEO ESPRIMONO ESIGENZE SIMILI PER QUANTO ATTIENE GLI INDICI UNITARI RELATIVI ALLE DIVERSE ATTIVIT À E ALLE CARATTERISTICHE DEI RELATIVI SPAZI, A MENO DELLE ATTIVITÀ SPECIALI CHE NEI LICEI SCIENTIFICI RICHIEDONO SUPERFICI PIÙ AMPIE ED UN MAGGIORE NUMERO DI UNITÀ E CONTEMPLANO LA PRESENZA DI AULE SPECIALI DI DISEGNO, NON PREVISTE NEI LICEI CLASSICI. SI CONFRONTINO LA TABELLA DI DIMENSIONAMENTO E GLI SCHEMI DI AGGREGAZIONE DI UN LICEO SCIENTIFICO DA 40 CLASSI - RIPORTATI NELLA PRESENTE SCHEDA CON I DATI ED I GRAFICI CORRISPONDENTI DI UN LICEO CLASSICO DA 40 CLASSI, DISPOSTO SECONDO UNA DISTRIBUZIONE SIMILE - ILLUSTRATA NELLA PAGINA PRECEDENTE - IN MODO CHE SI POSSANO RILEVARE LE IDENTITÀ E LE DIFFERENZE SEGNALATE.
Sa
An
UFFICI
An
An An
An
MENSA
Sa
An An
An
Ap (PLURICLASSE)
CUCINE E SERVIZI
SALA PROF.
An
An
LICEO CLASSICO E SCIENTIFICO
LICEO SCIENTIFICO DA 40 CLASSI (1000 ALUNNI)
BIBLIOTECA ALUNNI
AS. DISEGNO
1
ATRIO
AS. C.A.D.
An
An
An
1.960 mq
1,33
1.330 mq
540 mq
540 mq
Sa
3
AS. (FISICA)
4
390 mq
390 mq
- disegno (4 unità)
400 mq
400 mq
Attività collettive 0,60
600 mq
0,26 375mq
260 mq
- atrio
0,20
200 mq
- uffici
0,21
210 mq
Somma indici parziale
4,94
4.935 mq
Connettivo e serv. igienici (40%) Sup. netta globale
1,97 6,91
1.970 mq
375 mq
Attività complementari
Spazi per l'educazione fisica Palestra e servizi
tipo B1 830 mq
Altre attività, se richieste Alloggio del custode
80 mq
6.910 mq
AS. (FISICA)
An
An
5
An
- chimica e scien. naturali (3)
- biblioteca alunni - mensa e relativi servizi
AS. (FISICA)
An
An
An
AS. MULTIMEDIA
1,96
- attività speciali
- att. integrative e parascol.
IN (AUDITORIUM)
Ap (PLURICLASSE)
An An
- attività normali (in 30 classi)
Attività didattiche
AS. DISEGNO
Sa
An
An An
Superfici mq totali
di cui: - fisica (3 unità)
2
An
Indici mq/alun.
Descrizione delle attività
PALESTRA B1 (830 MQ)
PIANO TERRA (BIENNIO, 16 CLASSI)
B 300
DIMENSIONI E REQUISITI RELATIVI ALLE DIVERSE TIPOLOGIE DI PALESTRE SONO TRATTATI IN B.8.7
PIANO PRIMO (TRIENNIO, 24 CLASSI)
Sa
An
An
An
Sa
V.MED
An
An
SCUOLA SECONDARIA DI II°GRADO : LICEO SCIENTIFICO SUPERFICIE LORDA PER CLASSE, PER ALUNNO, TOTALE
PALESTRA B1 (830 MQ)
n.classi
mq/classe
mq/alunno
Sup. totale
10
n. alunni 250
261 mq
10,45 mq
2.611 mq
15
375
253 mq
10,13 mq
3.798 mq
20
500
255 mq
10,20 mq
5.100 mq
25
625
239 mq
9,56 mq
5.975 mq
30
750
219 mq
8,76 mq
6.570 mq
35
875
215 mq
8,63 mq
7.550 mq
40
1.000
209 mq
8,36 mq
8.360 mq
50
1.250
196 mq
7,86 mq
9.825 mq
60
1.500
183 mq
7,33 mq
11.000 mq
N.B. - I VALORI SI RIFERISCONO A CLASSI DA 25 ALUNNI E COMPRENDONO LE MURATURE E TUTTI I LOCALI DELL'EDIFICIO, COMPRESE LE PALESTRE TIPO A; SONO ESCLUSI L'ABITAZIONE DEL CUSTODE E GLI EVENTUALI UFFICI PER LA DIREZIONE DIDATTICA.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE SUPERIORI DI SECONDO GRADO (LICEI, ISTITUTI TECNICI)
B.8. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.8.5./6 ATTIVITÀ SPECIALI E LABORATORI
B.STAZIONI DILEGIZLII
A - ATTIVITÀ SPECIALI SCIENTIFICHE (FISICA, CHIMICA, SCIENZE NATURALI)
B - ATTIVITÀ SPECIALI SCIENTIFICHE (FISICA, CHIMICA, SCIENZE NATURALI)
>
>
I ED PRE NISM ORGA
>
C.RCIZIO
DEPOSITO
>
>
>
DISIMPEGNO (MUSEO)
>
>
E ESE ESSIONAL PROF
PREPARAZIONI
PREPARAZIONI
>
ATTIVITÀ PRATICHE
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
DEPOSITO
CO NTALE AMBIE
>
F. TERIALI,
>
>
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
>
>
G.ANISTICA URB
ATTIVITÀ PRATICHE
>
>
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
ATTIVITÀ TEORICHE
>
>
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
ATTIVITÀ TEORICHE
>
>
>
>
>
>
>
>
5
1
> SCHEMA 'B' BASE
INTEGRAZIONE DI 2 UNITÀ AFFIANCATE 3
INTEGRAZIONE DI DUE UNITÀ IN LINEA
1
>
>
>
>
>
>
1
2
>
1 - ATTIVITÀ TEORICHE (LEZIONI) 2 - ATTIVITÀ PRATICHE (ESERCITAZIONI) 3 - PREPARAZIONI E DEPOSITO 4 - DISIMPEGNO (MUSEO) 5 - STANZA PROFESSORI
1
>
>
2
>
>
>
>
>
>
>
3
2
3
4
4
1
1
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
2
INTEGRAZIONE DI DUE UNITÀ IN LINEA
>
INTEGRAZIONE DI 2 UNITÀ AFFIANCATE
1
>
SCHEMA 'A' BASE
>
>
>
>
>
2
4
>
4
>
>
1
3
>
1
>
2
>
>
1
>
>
>
>
>
>
3
>
>
>
>
2
>
2
>
4
2
>
>
>
>
>
4
2 >
>
>
>
>
>
>
SCHEMA 'B' - UNITÀ INTEGRATE (DUE), IN DIVERSE CONDIZIONI DI ILLUMINAMENTO
>
>
3
>
3
>
>
3
>
>
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
>
SCHEMA 'A' - UNITÀ (DUE) INTEGRATE, IN DIVERSE CONDIZIONI DI ILLUMINAMENTO
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP PROFESSORI
>
. RI B.8.5E SUPERIOADO L SCUO ONDO GR CNICI) E C DI SE ISTITUTI T (LICEI,
B 301
B.8. 5.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE SUPERIORI DI SECONDO GRADO (LICEI, ISTITUTI TECNICI)
FIG. B.8.5./7 ATTIVITÀ SPECIALI E LABORATORI: AULE DA DISEGNO E LABORATORI CAD A - AULE DA DISEGNO (LICEO SCIENTIFICO)
B - LABORATORIO CAD (LICEO SCIENTIFICO)
4
> 3
>
>
1
>
2
LA PARTE SUPERIORE DELLO SCHERMO DEVE ESSERE APPENA AL DI SOPRA DELL'ALTEZZA DELL'OCCHIO NON DEVONO ESSERE PRESENTI RIFLESSI DI LUCE SULLO SCHERMO LA DISTANZA DELL'OCCHIO DALLO SCHERMO DEVE ESSERE DI 45÷70 CM
1
>
>
1
>
2
>
45÷70
2
1
2
1
1
1
63÷65
2
>
113÷132
>
2
4
3
5
39÷46
>
>
6
1
>
> 2 1
>
>
BRACCIO E AVAMBRACCIO DEVONO FORMARE UN ANGOLO RETTO
DEPOSITO
9 8
8
7
LE COSCE DEVONO ESSERE IN POSIZIONE ORIZZONTALE
7
LO SCHIENALE DELLA SEDIA DEVE ESSERE INCLINATO ALL'INDIETRO
2
>
6
5
AULE DA DISEGNO 1 - PIANO DI LAVORO RECLINABILE 2 - SPAZIO PER PERCORSO DOCENTI 3 - SCRIVANIA INSEGNANTE 4 - LAVAGNA E SCHERMO PER PROIEZIONI 5 - LAVELLO PER PULIZIA STRUMENTI 6 - PIANO LUMINOSO PER LUCIDI
80
1
10
INNOVAZIONE TECNOLOGICA NELLE SCUOLE
LABORATORI C.A.D.
IN CONSIDERAZIONE DELLA RECENTE IRRUZIONE DELLA INNOVAZIONE TECNOLOGICA NELL'UNIVERSO DELLA FORMAZIONE, E ACCOGLIENDO LE RIPETUTE RACCOMANDAZIONI DELLA COMUNITA' EUROPEA E DEL MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, AGLI SPAZI DESTINATI ALLE ATTIVITÀ PREVISTE DAL DEC.18. 12. 75, SONO STATI AGGIUNTI O INTEGRATI QUELLI RELATIVI ALLA SPERIMENTAZIONE DELLE TECNOLOGIE INFORMATICHE (I.C.T.), E MULTIMEDIALI:
1 - BANCO PER POSTAZIONI AL COMPUTER a - MONITOR b - TASTIERA c - MANOVRA DEL MOUSE d -TAVOLETTA GRAFICA 2 - PERCORSO DOCENTI (ASSISTENZA) 3 - PLOTTER 4 - STAMPANTI 5 - POSTAZIONE SERVER 6 - SCANNER 7 - CONTENITORI PROGRAMMI, MANUALI 8 - MATERIALI DI CONSUMO 9 - BANCO DI ASSISTENZA TECNICA
- PREVEDENDO, TRA LE ATTIVITÀ SPECIALI, SPAZI A DESTINAZIONE SPECIFICA OPPORTUNAMENTE ATTREZZATI (AD ESEMPIO: AULE PER DISEGNO AL COMPUTER C.A.D.; LABORATORI DI INFORMATICA) - INTEGRANDO NELLA "BIBLIOTECA" O ASSOCIANDO A ESSA SPAZI E ATTREZZATURE PER LA VISIONE, LA REALIZZAZIONE E LA CUSTODIA DI MATERIALI MULTIMEDIALI (VIDEOCASSETTE, DVD, CD-ROM,ECC.) 80
90÷120 1
a
a
MONITOR DA 17 POLLICI
75÷90
70
1
90÷120
LIMITE VISIONE COLORI (30°÷60° ) TASTIERA - 20 x 48 x 5 CM DIM. MIN. 15 x 40 x 3 CM
b
d 45÷70
d
c
40÷45
40
AMBITO MANOVRA MOUSE
b c
45÷70
2 SPAZI PER PERCORSO DOCENZA- ASSISTENZA
60
60
2
1 1
B 302
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE SUPERIORI DI SECONDO GRADO (LICEI, ISTITUTI TECNICI)
B.8. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.8.5./8 ISTITUTI TECNICI: ATTIVITÀ SPECIALI E LABORATORI
D.GETTAZIONE E.NTROLLO F. TERIALI,
> >
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
> >
>
>
> 1
3
1
3
2
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
AULE-LABORATORIO (INFORMATICA, CONTABILITÀ, DATTILOGRAFIA, LINGUE, DISEGNO) OSPITANO ATTIVITÀ TEORICHE E PRATICHE (ESERCITAZIONI); LE ATTREZZATURE SONO COLLEGATE ALLE RETI DEGLI IMPIANTI. POSSONO ESSERE AGGREGATE IN NUCLEI OMOGENEI O ANCHE DISTRIBUITE TRA LE AULE NORMALI.
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
>
>
1
>
1
>
1
> >
3
>
3 >
> 3
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
>
SPOGLIATOIO
>
>
4
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
>
>
> ATTIVITÀ DIDATTICHE PRATICHE (OFFICINE, LABORATORI) ATTIVITÀ DI SUPPORTO (ATTIVITÀ DI GRUPPO, SEMINARI) ATTREZZERIA, PREPARAZIONI, MAGAZZINO, STANZA DOCENTE SPOGLIATOI E/O SERVIZI IGIENICI
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
>
1
G.ANISTICA
>
>
>
> PREPARAZIONI - ATTREZZERIA
LABORATORI -OFFICINE PER INSEGNAMENTO SPECIALIZZATO AGGREGAZIONE IN NUCLEI AUTONOMI DI ATTIVITÀ OMOGENEE 1234-
1
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
>
>
3
>
>
>
>
>
>
>
>
1
CO NTALE AMBIE
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
PREPARAZIONI - ATTREZZERIA
AULE - LABORATORIO AGGREGAZIONE IN NUCLEI AUTONOMI DI ATTIVITÀ OMOGENEE ATTIVITÀ DIDATTICHE PRATICHE (ESERCITAZIONI) ATTIVITÀ TEORICHE (LEZIONI) ATTREZZERIA, PREPARAZIONI, STANZA DOCENTE SPOGLIATOI E/O SERVIZI IGIENICI
PRO TTURALE STRU
URB
ESERCITAZIONI
1234-
E ESE ESSIONAL PROF
>
>
> ESERCITAZIONI
C.RCIZIO
>
>
DOCENTE E ATTREZZI
>
ATTIVITÀ TEORICHE
ATTIVITÀ DI SUPPORTO
I ED PRE NISM ORGA
>
>
> ATTIVITÀ DI SUPPORTO
>
ATTIVITÀ PRATICHE
B.STAZIONI DILEGIZLII
B - LABORATORI E OFFICINE PER INSEGNAMENTI SPECIALIZZATI
A - AULA-LABORATORIO PER INSEGNAMENTI DEL BIENNIO
LABORATORI SPECIALISTICI E OFFICINE (MECCANICI, ELETTROTECNICI, ELETTRONICI, INFORMATICI) OSPITANO ATTIVITÀ PRATICHE (ESERCITAZIONI) CHE COMPORTANO L'USO DI ATTREZZATURE E MACCHINARI ; SONO INTEGRATI DA LOCALI DI SERVIZIO (PREPARAZIONI, MAGAZZINI), E DA SPAZI MINORI DI SUPPORTO PER LEZIONI, SEMINARI, LAVORO DI GRUPPO, ECC. LABORATORI E OFFICINE SONO DI NORMA AGGREGATI IN NUCLEI OMOGENEI UBICATI AL PIANO TERRA, CON ACCESSO DIRETTO DALL'ESTERNO, A RAGIONE DEL PESO E DELLE DIMENSIONI DELLE ATTREZZATURE.
. RI B.8.5E SUPERIOADO L SCUO ONDO GR CNICI) E C DI SE ISTITUTI T (LICEI,
B 303
B.8. 5.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE SCUOLE SUPERIORI DI SECONDO GRADO (LICEI, ISTITUTI TECNICI)
FIG. B.8.5./9 DIMENSIONAMENTO DEGLI ARREDI DI BASE DELLE CLASSI DIMENSIONAMENTO DEI TAVOLINI E DEI SEDILI PER GLI ALUNNI DELLE SCUOLE SECONDARIE DI II° GRADO (UNI 7713/77 ) DIMENSIONE DEI TAVOLINI PER GLI ALUNNI DELLA SCUOLA SECONDARIA DI II° GRADO GRANDEZZA STATURA AL. 6*
180 cm (>172)
B1
TIPO 1 POSTO
70
2 POSTI
140
DIMENSIONE DELLE SEDIE PER GLI ALUNNI DELLA SCUOLA SECONDARIA DI II° GRADO
B2
H1
H2
H3
H4
H5
T1
T2
T3
47
76
11
65
50
35
70
40
45
B1 - LUNGHEZZA MINIMA DEL PIANO DI LAVORO (PUÒ ESSERE AUMENTATA CON INCREMENTI MULTIPLI DI 5 CM) B2 - LARGHEZZA MINIMA DELLO SPAZIO PER LE GAMBE H1 - ALTEZZA MASSIMA DEL PIANO DI LAVORO H2 - ALTEZZA MASSIMA DELLO SPESSORE DEL PIANO DI LAVORO E RELATIVE STRUTTURE H3 - ALTEZZA MINIMA DELLO SPAZIO PER LE GAMBE H4 - ALTEZZA MINIMA DELLA ZONA PER LA DISTENSIONE DELLE GAMBE H5 - ALTEZZA MINIMA DELLO SPAZIO PER LE TIBIE T1 - PROFONDITÀ MINIMA DEL PIANO DEL TAVOLINO (PUÒ ESSERE AUMENTATA CON INCREMENTI MULTIPLI DI 5 CM) T2 - PROFONDITÀ MINIMA DELLO SPAZIO PER LE GAMBE (ZONA GINOCCHIO) T3 - PROFONDITÀ MINIMA DELLO SPAZIO PER LE GAMBE (ZONA TIBIE)
GRANDEZZA STATURA AL. B3 180 cm (>172)
6* B3 B4 H6 H7 H9 H8 T4 B D -
40
B4
H6
H7
H8
H9
36÷41
46
17
22
35÷43
A'
T4
40 95°÷106°
LARGHEZZA DEL SEDILE LARGHEZZA DELLA SPALLIERA ALTEZZA DEL SEDILE (PIANO DI SEDUTA) MISURATA NEL PUNTO PIÙ ALTO ALTEZZA DAL PIANO DI SEDUTA DELLA PARTE INFERIORE DELLA SPALLIERA ALTEZZA DAL PIANO DI SEDUTA DELLA PARTE SUPERIORE DELLA SPALLIERA ALTEZZA DEL PUNTO X (SUPPORTO LOMBARE) DAL PIANO DI SEDUTA PROFONDITÀ EFFETTIVA DEL SEDILE ANGOLO TRA SEDIA E SPALLIERA EVENTUALE INCLINAZIONE DEL PIANO DI SEDUTA
LAVAGNA 240 x 120 CM
TOLLERANZE: PER LE MISURE IDEI TAVOLINI È AMMESSA UNA TOLLERANZA PARI A ± 0,2 CM PER L'ALTEZZA DEL PIANO DI LAVORO (H1) È AMMESSA TOLLERANZA PARI A ± 0,3 CM PER LE MISURE DEI SEDILI È AMMESSA UNA TOLLERANZA PARI A ± 0,3 CM
120
(*) N.B. - PER LE CLASSI DEL PRIMO BIENNIO DELLE SCUOLE SECONDARIE SUPERIORI È PREFERIBILE ADOTTARE ARREDI DELLA CLASSE 5 (ILLUSTRATI IN FIG. B.8.4./5.)
70
T1 45
T3
17 22 95÷106°
A' 60÷70
H6
H4
T4
35
H5
45
50
A"
H1
65
76
0÷4° 40
H9
X H7 H8
35÷43
H2
T2
11
40
DISPOSIZIONE DI TAVOLINI DOPPI IN UN'AULA PER ATTIVITÀ NORMALI T1
690÷720
T4
B4
115÷125
36÷41
LAVAGNA
47
70
140
680÷700
B3
B2
B1
VETRINE E/O SCAFFALI
V
V
V
V
V
V
V
V
B 304
50÷55
V
70
A" 0°÷4°
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE ATTIVITÀ COLLETTIVE E COMPLEMENTARI
A.ZIONI
CARATTERISTICHE DEGLI SPAZI PER LA DIREZIONE E L’AMMINISTRAZIONE Il nucleo per la direzione e l’amministrazione della scuola, presente nelle scuole elementari quando vi sia direzione didattica, e in ogni tipo e grado di scuola secondaria, dovrà essere ubicato possibilmente al piano terreno, e comunque in posizione tale da risultare agevolmente accessibile da parte del pubblico interessato (allievi, genitori ecc.).
a) l’ufficio del preside (o del direttore), con annessa la sala di aspetto per il pubblico, ubicato in posizione possibilmente baricentrica; b) • uno o più locali per la segreteria e l’archivio; • la segreteria dovrà permettere un contatto con il pubblico attraverso banconi, sportelli o altro; • la segreteria dovrà essere dotata di archivio informatizzato, con banca dati, terminali e stampanti per il reperimento rapido delle informazioni e per il rilascio di moduli, certificati e simili; c) la sala per gli insegnanti, atta a consentire le riunioni del consiglio d’istituto e a contenere gli scaffali personali e l’eventuale biblioteca dei docenti; d) servizi igienici e spogliatoio per la presidenza e per gli insegnanti.
Sempre in tema di accessibilità ai locali destinati alla direzione e amministrazione dell’istituto, si consideri che tali attività, così come il ricevimento del pubblico, possono svolgersi anche in ore e in periodi diversi da quelli stabiliti dal calendario didattico e dall’orario delle lezioni. Il nucleo comprenderà:
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
FIG. B.8.6./1 ATTIVITÀ AMMINISTRATIVE E DIREZIONALI
PRO TTURALE STRU
SCHEMA DELLE ATTIVITA' E DELLE RELAZIONI DEL SETTORE AMMINISTRATIVO IN ISTITUTI DA 24 A 40 CLASSI (170÷210 MQ)
2
E.NTROLLO
2
CO NTALE AMBIE
1
6A
B.8. 6.
4B
6D
4A
3C
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
TERMINALI
3A
G.ANISTICA URB
6C
6B
6C
7
5B
5A
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
3B
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
SCHEMA DELLE ATTIVITA' E DELLE RELAZIONI DEL SETTORE AMMINISTRATIVO IN ISTITUTI DA 10 A 20 CLASSI (130÷160 MQ)
2
2
1
1 - ZONA DI ACCESSO DEL PUBBLICO
2 - CONNETTIVO SCUOLA
6A
6D
4A
3C
4B
3 - SEGRETERIA: A. SPORTELLI B. SALA DI LAVORO C. ARCHIVIO
TERMINALI
3A
4 - RICEVIMENTO PUBBLICO A. INGRESSO B. SALETTA D'ATTESA
6C
6B
6C
7
5A
5 - PRESIDENZA (O DIREZIONE) A. SALA PRESIDENZA B. SEGRETARIA (OPZIONALE)
3B
6 - ZONA PROFESSORI A. SALA PROFESSORI B. TAVOLO DEL CONSIGLIO C. BIBLIOTECA DOCENTI D. SPOGLIATOI, CON ARMADIETTI DOCENTI 7 - SERVIZI IGIENICI DOCENTI PERCORSO DOCENTI PERCORSO PUBBLICO
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. RI B.8.5E SUPERIOADO L SCUO ONDO GR CNICI) E C DI SE ISTITUTI T (LICEI, . TIVE B.8.6 À COLLET RI IT ATTIV PLEMENTA E COM
B 305
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
B.8. 6.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI ATTIVITÀ COLLETTIVE E COMPLEMENTARI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
CARATTERISTICHE DEGLI SPAZI PER LA REFEZIONE (MENSA) La refezione scolastica dovrà svolgersi in uno spazio dimensionato in funzione del numero dei commensali (alunni e docenti), calcolato tenendo presente che i pasti potranno essere consumati anche in più turni, convenientemente compresi nell’arco di tempo disponibile e che la sua dimensione, compresi i relativi servizi, non dovrà superare i 375 mq. Nei ‘complessi scolastici’ che concentrano più istituti d’istruzione di diverso grado in un sistema ambientale unitario, è possibile prevedere un unico servizio di mensa; in tal caso: • se lo spazio destinato a ospitare tale mensa comune costituisce un ambiente autonomo e isolato, la relativa superficie afferente viene dedotta dal globale delle singole scuole; • se invece lo spazio per la refezione non costituirà un ambiente isolato, la superficie afferente, con le relative funzioni, verrà ridistribuita all’interno dell’organizzazione degli spazi didattici con un criterio di polifunzionalità. A servizio dello spazio per la mensa si deve prevedere: a) un locale cucina di dimensioni e forma tale da permettere lo svolgimento in modo razionale delle funzioni cui è destinata (preparazione, cottura del cibo, allestimento dei piatti ecc.) e di poter accogliere le attrezzature necessarie all’uopo;
b) una dispensa per la conservazione delle derrate, anche in frigorifero, possibilmente con accesso proprio dall’interno; c) un’anticucina e un locale per il ciclo di lavaggio delle stoviglie; d) uno spogliatoio, doccia e servizi igienici per il personale addetto, separati con idonei disimpegni dai locali precedenti; e) uno spazio per la pulizia degli allievi, corredato di lavabi. Le amministrazioni competenti potranno comunque prevedere un servizio centralizzato, proprio o convenzionato, per la preparazione dei cibi e in tal caso i locali di cui ai punti a), b) e d) potranno essere ridotti o totalmente eliminati, mentre il locale di cui al punto c) dovrà avere un accesso diretto dall’esterno. Data la natura dei locali richiesti, particolare cura dovrà essere posta nella scelta dei materiali e degli impianti tecnologici atti a garantire, in stretta relazione con i requisiti dell’igiene, l’osservanza delle norme relative alle condizioni di abitabilità e di sicurezza.
FIG. B.8.6./2 ATTIVITÀ COLLETTIVE: MENSE E CUCINE PER ISTITUTI FINO A 20 CLASSI A - MENSA E CUCINE PER ISTITUTI CON 10 CLASSI (125 ÷150 MQ) - (100 ALUNNI PER DUE TURNI) CORSIA DI SERVIZIO E DI DISTRIBUZIONE LONGITUDINALE B - MENSA E CUCINE PER ISTITUTI CON 20 CLASSI (250 MQ) - (200 ALUNNI PER DUE TURNI) CORSIE DI SERVIZIO E DI DISTRIBUZIONE TRASVERSALI 1
1
6 7 5
4
6
2
3
1
7 3
4
5 2
2
5 3
7
4
C - MENSA E CUCINE PER ISTITUTI CON 10 CLASSI (125 ÷150 MQ) - (100 ALUNNI PER DUE TURNI) CORSIA DI SERVIZIO E DI DISTRIBUZIONE TRASVERSALE
6
1
D - MENSA E CUCINE PER ISTITUTI CON 20 CLASSI (250 MQ) - (200 ALUNNI PER DUE TURNI) CORSIA DI SERVIZIO E DI DISTRIBUZIONE LONGITUDINALE 1
1
5
LEGENDA
7 1234567-
6
4 2
B 306
3
ACCESSO ALUNNI ACCESSO PERSONALE SPOGLIATOI PERSONALE DISPENSA LAVAGGIO STOVIGLIE ZONA PREPARAZIONI VARCHI CUCINA-SALA
PERCORSI DI SERVIZIO PERCORSI ALUNNI
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE ATTIVITÀ COLLETTIVE E COMPLEMENTARI
B.8. 6. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.8.6./3 MENSE E CUCINE PER ISTITUTI CON TRENTA O PIÙ CLASSI
B.STAZIONI DILEGIZLII
MENSA E CUCINE PER ISTITUTI CON 30 O PIU' CLASSI (300 POSTI MINIMO) – SCHEMI DI DISPOSIZIONE DEI POSTI A - SCHEMA B: SCHEMA COMPATTO, CON ANELLO DI DISTRIBUZIONE
B - SCHEMA A SVILUPPO LONGITUDINALE CON CORSIA CENTRALE
1
I ED PRE NISM ORGA
C - SCHEMA A: COMPATTO, CON CORSIA CENTRALE
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
1
1
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
7
4
5
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
6
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
3 2 LEGENDA 1234567-
7 2
3
1 4 7
5
6
7
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
ENTRATA/USCITA DEGLI ALUNNI ACCESSO DEL PERSONALE SPOGLIATOI DEL PERSONALE DISPENSA CICLO DI LAVAGGIO STOVIGLIE ZONA PREPARAZIONI CIBI VARCO DI SERVIZIO CUCINA-SALA
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
PERCORSI DI SERVIZIO PERCORSI DEGLI ALUNNI 4
5
6 DIMENSIONI E FRUIBILITA' DEGLI ARREDI E DEI PERCORSI A - ATTIVITA' ALUNNI B - ATTIVITA' DI SERVIZIO
3 2
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
ACCESSO DIRETTO DALL'ESTERNO
180
120 180
PER IL CICLO DI LAVORO NELLE CUCINE E PER I DATI DI INGOMBRO E DI DISPOSIZIONE DEI RELATIVI SERVIZI ED ATTREZZATURE SI VEDANO LE SPECIFICAZIONI RIPORTATE IN CAP. B.6.2. "PUBBLICI ESERCIZI" E IN FIG. B.6.2./3. E B.6.2./4.
120
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
ATTIVITA', DIMENSIONI E DISTRIBUZIONE DELLA ZONA DELLE CUCINE POSSONO VARIARE SENSIBILMENTE NEL CASO CHE I PASTI SIANO FORNITI DA AZIENDE DI SERVIZIO ESTERNE E SE SI UTILIZZANO STOVIGLIE 'USA E GETTA'
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
PER I REQUISITI DI AGIBILITA' DEI PERCORSI, IN FUNZIONE DELL'ACCESSO AI POSTI DEGLI ALUNNI E DELLE ATTIVITA' DI SERVIZIO E DI DISTRIBUZIONE DEI PASTI (CON CARRELLO) SI VEDA LA FIG. PRECEDENTE (B.8.6./1) PER LE DIMENSIONI DI INGOMBRO DEI POSTI, DEI TAVOLI E DELLE CORSIE, NONCHE' PER I DATI RELATIVI AL SERVIZIO DI MENSA TIPO 'SELF-SERVICE SI VEDA FIG. B.8.6./4.
70
160
70
70
160
70
. TIVE B.8.6 À COLLET RI IT ATTIV PLEMENTA E COM
B 307
B.8. 6.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI ATTIVITÀ COLLETTIVE E COMPLEMENTARI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
ASSE SALA
FIG. B.8.6./4 CUCINE PER ISTITUTI CON VENTI O PIÙ CLASSI
A - SCHEMA DI CUCINA CON ZONA LAVAGGIO POSTO AL CENTRO
16
160
11
11
10
10
12
9
2 4
120
4
620
1
B 15
5
13
B
A
6
9 E
C
C
320
D
8 3 7 F
360
8 F
270
G
600
ASSE SALA
N.B. LO SCHEMA 'A' (CON ZONA LAVAGGIO AL CENTRO) CONSENTE UN ACCESSO PIÙ DIRETTO ALLA CORSIA CENTRALE DI DISTRIBUZIONE DELLA MENSA MA COMPORTA INTERSEZIONE TRA I PERCORSI DEL 'PULITO' (TRASPORTO PIETANZE) E DELLO 'SPORCO' (TRASPORTO PIATTI SPORCHI AL LAVAGGIO). LO SCHEMA 'B' (CON ZONA LAVAGGIO DI LATO) NON COMPORTA INTERSEZIONI TRA I PERCORSI DEL 'PULITO' E DELLO 'SPORCO', MA IMPLICA SPESSO PERCORSI DI SERVIZIO MENO DIRETTI, IN QUANTO IL VARCO D'ACCESSO ALLA SALA RISULTA DECENTRATO RISPETTO ALLA CORSIA DI DISTRIBUZIONE B - SCHEMA DI CUCINA CON ZONA LAVAGGIO POSTO DI LATO
LEGENDA
200
4
4
12
16
9
1 2 3 4 5 -
10
2
10
INGRESSO PERSONALE SERVIZI PERSONALE DISPENSA FRIGORIFERI PREPARAZIONE CIBI
6 - ISOLA COTTURA A - FUOCHI B - BAGNO MARIA C - FRIGGITRICE D - GRIGLIA E - BRASERIA
11
11
7 - ALTRE COTTURE F - PENTOLONI A GAS G - FORNO A CONVEZIONE
1
740
C A C E 3
5
6
9
B
15 13
400
D B
8 - PROIEZIONE CAPPE 9 10 11 12 13 14 15 16 -
ALLESTIMENTO PIATI CARRELLI PULITO CARRELLI SPORCO PASSAVIVANDE LAVAGGIO MACCHINA LAVAGGIO ARMADIO STOVIGLIE VARCO DI SERVIZIO
8 CICLO DI LAVORAZIONE DERRATE-PIETANZE
7 F
F
G
14
CICLO DILAVAGGIO PERCORSO 'PULITO' CICLO DILAVAGGIO PERCORSO 'SPORCO'
300
B 308
540
270
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE ATTIVITÀ COLLETTIVE E COMPLEMENTARI
B.8. 6. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG BANCONE SELF-SERVICE: DIMENSIONI E ARTICOLAZIONE
SOLUZIONE ADOTTATA FREQUENTEMENTE NEL CASO DI ISTITUTI SCOLASTICI CON ALTO NUMERO DI CLASSI (OLTRE 30) IN QUANTO, ABBREVIA IL TEMPO DI PERMANENZA IN MENSA, CONSENTENDO DI EFFETTUARE PIU' TURNI E/O UN RICAMBIO CONTINUO DEI FRUITORI DELLA MENSA
SPORCO B2
B3 B1
PULITO
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
C1 C2 C3
URB
150÷180
BANCO CALDO BAGNOMARIA - PRIMI
B4
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
D1
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
90
BANCHI NEUTRI ANTIPASTI, INSALATE
D2
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
110÷120
85
30
SALA MENSA - CRITERI DI DISPOSIZIONE DEI TAVOLI ED INGOMBRI DISPOSIZIONE A TAVOLI SEPARATI, DA QUATTRO COMMENSALI
A - AREA DEL PERSONALE A1 - ACCESSO MERCI, PERSONALE A2 - SPOGLIATOI E SERVIZI IGIENICI A3 - UFFICIO AMMINISTRAZIONE
143
143
60
215
143
215
B - AREA DELLE CUCINE B1 - MAGAZZINO B2 - CELLE FRIGORIFERE B3 - LAVAGGIO STOVIGLIE B4 - AREA COTTURA E PREPARAZIONI
436
90 CORSIA DI SERVIZIO
143
45
CORSIA DI SERVIZIO
215
90
C - AREA SELF SERVICE C1 - SPAZIO DI ATTIVITA' DEGLI OPERATORI C2 - LINEA DEI BANCHI SELF SERVICE C3 - CORSIA ALUNNI: SCELTA E PRELEVAMENTO PIETANZE
180
475
135
90
LEGENDA
120
B2
D - AREA DI ACCESSO ALUNNI D1 - ACCESSO ALUNNI D2 - SERVIZI IGIENICI
120
180
90
45 240
80
45 135
45
45 150
CORSIA SERVIZIO
80
80 60
b - 16 POSTI - 17,70 mq TAVOLI CON COMMENSALI DISPOSTI SUI QUATTRO LATI DEL TAVOLO (LA SOLUZIONE A QUATTRO POSTI E' DISAGEVOLE NEL CASO DI USO DI VASSOI)
CORSIA SERVIZIO
SALA MENSA - CRITERI DI DISPOSIZIONE DEI TAVOLI ED INGOMBRI TAVOLI DISPOSTI IN LINEA (CON COMMENSALI LUNGO LATI OPPOSTI)
90
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
406 430 a - 16 POSTI - 20,40 mq
I ED PRE NISM ORGA
E ESE ESSIONAL PROF
90÷120÷150
A3 A1
B.STAZIONI DILEGIZLII C.RCIZIO
150÷180
A2
90÷120÷150
MENSA E CUCINE PER ISTITUTI CON 30 O PIU' CLASSI (375 MQ) CON DISTRIBUZIONE CIBI DI TIPO SELF-SERVICE
BANCO CALDO BANCHI FREDDI BANCHI FREDDI BAGNOMARIA - SECONDI FRUTTA - DESSER BEVANDE
FIG. B.8.6./5 MENSA E CUCINE CON DISTRIBUZIONE CIBI TIPO SELF-SERVICE
45 210
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. TIVE B.8.6 À COLLET RI IT ATTIV PLEMENTA E COM
B 309
B.8. 7.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI ATTIVITÀ FISICHE E SPORTIVE
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
GENERALITÀ (Estratto dal DLgs 16 aprile 1994, n.297 TU delle disposizioni legislative in materia di istruzione) • Tutti gli edifici scolastici devono comprendere un’area per le esercitazioni all’aperto. • Gli edifici per le scuole e istituti di istruzione secondaria e artistica devono essere dotati di una palestra coperta, quando non superino le 20 classi, e di due palestre quando le classi siano più di 20. Alla palestra devono essere annessi i locali per i relativi servizi. • Le aree e le palestre sono considerate locali scolastici agli effetti della manutenzione, della illuminazione, della custodia, della somministrazione del riscaldamento e della provvista di acqua da parte degli enti locali. • Le attrezzature delle palestre fanno parte integrante dell’arredamento scolastico.
• Sono privilegiati i progetti volti a realizzare impianti sportivi polivalenti di uso comune a più scuole e aperti alle attività sportive delle comunità locali e delle altre formazioni sociali operanti nel territorio. A tal fine il Ministero della pubblica istruzione e il Dipartimento per il turismo e lo spettacolo della presidenza del Consiglio dei Ministri definiscono d’intesa i criteri tecnici cui devono corrispondere gli impianti sportivi polivalenti, nonché lo schema di convenzione da stipulare tra le autorità scolastiche competenti e gli enti locali interessati per la utilizzazione integrata degli impianti medesimi. • A norma dell’articolo 24 della legge 5 febbraio 1992 n.104 gli edifici scolastici, e relative palestre e impianti sportivi, devono essere realizzati in conformità alle norme dirette alla eliminazione e al superamento delle barriere architettoniche.
PALESTRE Tipo A1 Unità da 200 m quadri più i relativi servizi • per scuole elementari da 10 a 25 classi; • per scuole medie da 6 a 20 classi; • per scuole secondarie da 10 a 14 classi. Tipo A2 Due unità da 200 m quadri più i relativi servizi • per scuole medie da 21 a 24 classi; • per scuole secondarie da 15 a 23 classi. Tipo B1 Palestre regolamentari da 600 m quadri più i relativi servizi, aperte anche alla comunità extra-scolastica, • per scuole secondarie di secondo grado (da 24 a 60 classi) (divisibili in tre settori ma utilizzabili da non più di due squadre contemporaneamente) (1). (1) Così rettificato dal DM 13 dicembre 1977.
Tipo B2 Palestre come le precedenti con incremento di 150 mq per spazio per pubblico e relativi servizi igienici. Qualora le amministrazioni competenti rilevino gravi carenze nel settore delle attrezzature per l’educazione fisica e sportiva nelle scuole degli ambiti interessati dai nuovi interventi di edilizia scolastica si prevede la realizzazione di palestre di tipo B anche per scuole elementari da 10 a 25 classi e per scuole medie da 9 a 24 classi e per scuole secondarie da 10 a 23 classi. Più precisamente le palestre per i vari tipi di scuole presenteranno: • una zona destinata agli insegnanti costituita da uno o più ambienti e corredata dai servizi igienico-sanitari e da una doccia; • una zona di servizi per gli allievi costituita da spogliatoi, locali per servizi igienici e per le docce; l’accesso degli allievi alla palestra dovrà sempre avvenire dagli spogliatoi; • una zona per il servizio sanitario e per la visita medica ubicata in modo da poter usufruire degli spogliatoi e degli altri locali disponibili anche per questa funzione; • una zona destinata a depositi per attrezzi e materiali vari necessari per la pratica addestrativa e per la manutenzione.
Per quanto attiene più specificatamente le attività e gli spazi destinati al gioco e alle attività ginniche e sportive nei vari tipi di palestre si avrà: a) per la scuola elementare la palestra, obbligatoria negli edifici da 10 a 25 classi, può essere di forma non collegata a dimensioni di campi per giochi agonistici, in quanto l’attività ginnica che vi si svolge è di carattere ludico; nelle scuole da 5 a 9 classi l’attività ginnica si svolge nella sala per attività collettive opportunamente attrezzata;
b) per la scuola media le dimensioni e le caratteristiche sono analoghe mentre si avrà un raddoppio della unità prevista (tipo A2) per le scuole da 21 a 24 classi, con la possibilità sia di poter creare su tale superficie di 400 m quadri un campo regolamentare di pallavolo o di minibasket, sia di dividere la palestra in due unità da 200 m quadri per consentire l’uso contemporaneo a due gruppi diversi; sempre per la scuola media, in alternativa all’unità da 200 m quadri raddoppiata è consentita la realizzazione di una unità A1 e una unità con vasca di almeno 12,50x6x0,80 m per l’apprendimento e la pratica del nuoto elementare; c) nelle scuole secondarie di secondo grado le dimensioni e le caratteristiche della palestra dovranno essere tali da poter contenere un campo regolamentare di pallacanestro, secondo le norme CONI-FIP. Poiché la palestra potrebbe essere disponibile all’uso della comunità extra-scolastica (oltre naturalmente, a quello delle altre scuole) è importante che la sua relazione con l’organismo scolastico sia tale da consentire un accesso praticamente indipendente, anche in previsione di uso in orario non scolastico, e con la possibilità di escludere l’accesso agli spazi più propriamente didattici; sempre a tale scopo i vari impianti relativi a questa parte dell’edificio dovranno poter funzionare indipendentemente dal resto della scuola. Gli spazi suddetti dovranno presentare la disponibilità alla installazione sulle pareti di attrezzi quali il palco di salita, il quadro svedese ecc. Le sorgenti d’illuminazione e aerazione naturale dovranno essere distribuite in modo da consentire tale installazione senza alterare gli indici di illuminazione previsti (riguardo le finestrature si dovranno sempre prevedere materiali trasparenti con resistenza agli urti o con adeguate protezioni). In ogni scuola insieme agli spazi per l’educazione fisica dovranno essere previsti adeguati locali per il servizio sanitario e per la visita medica e di dimensioni tali da consentire, nella scuola secondaria, ricerche e studi psicotecnici, e che siano forniti dei servizi necessari. In ogni caso, laddove siano previsti gli ambulatori, dovranno essere osservate le norme di cui agli artt.4, 6 e 7 del DPR 22 dicembre 1967, n.1518.
AREE DI GIOCO ALL’APERTO
B 310
Esse dovranno avere le seguenti superfici per le attività all’aperto:
b) per le scuole secondarie di secondo grado
a) per la scuola media
• pista da 4 a 6 corsie di almeno 100 m oltre gli spazi per partenze e arrivi;
• pista da 4 a 6 corsie di almeno 100 m, oltre gli spazi partenze e arrivi;
• impianti per il salto in alto, in lungo e con l’asta;
• pedana per il lancio del disco;
• pedana per il lancio del peso e del disco;
• impianti per il salto in alto e in lungo;
• campo sportivo polivalente (pallacanestro, pallavolo, pallamano, possibilmente tennis).
• campo sportivo polivalente (pallacanestro, pallavolo, pallamano, possibilmente tennis);
Nella progettazione e realizzazione delle suddette aree dovranno essere tenuti presenti i migliori materiali al fine di rendere la manutenzione agevole ed economica. Per quanto riguarda i campi sportivi polivalenti, la pavimentazione dovrà essere tale da ridurre al minimo i danni conseguenti a cadute.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE ATTIVITÀ FISICHE E SPORTIVE
B.8. 7. A.ZIONI
TAB. B.8.7./1 AGGREGAZIONE DI TIPOLOGIE DI IMPIANTI SPORTIVI A SERVIZIO DI UNO O PIÙ PLESSI SCOLASTICI (Circ. Min. Pubblica Istruzione n.222 del 16 febbraio 1987)
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG TAB. B.8.7./2 CARATTERISTICHE TIPOLOGICHE DELLE PALESTRE
E. SCUOLE ELEMENTARI
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
SPAZI DI ATTIVITÀ
Palestra di tipo P2 da 10 a 25 classi
Tipologia
Spazio di tipo SA1
Dimensioni unità
Spazio verde attrezzato (minimo 5 soste) Palestra di tipo P2 + tipo P1 da 26 a 35 classi
1.
Tipo P1
m 15 x 15 x 4(h)
ginnastica (parziale), pesi, lotta, judo
Tipo P2
m 24 x 18 x 7(h)
come P1; inoltre: pallavolo, scherma
Tipo P3
m 32 x 24 x 7(h)
come P2; inoltre: pallacanestro
Tipo P4
m 45 x 27 x 7(h)
come P3; inoltre: pallamano, tennis
Spazio di tipo SA2 Spazio verde attrezzato (minimo 5 soste) Palestra di tipo P3
da 36 a 50 classi
Spazio di tipo SA2 e A1
Attività consentite
Spazio verde attrezzato (minimo 5 soste) M. SCUOLE SECONDARIE DI I GRADO (medie) Palestra di tipo P2 fino a 24 classi
Spazio di tipo SA1 Attrezzature per A.L. tipo AL1 Palestra di tipo P2 + tipo P1
2.
Spazio di tipo SA2 Attrezzature per A.L. tipo AL1
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
Le dimensioni indicate si riferiscono allo spazio netto interno al vano palestra; per le tipologie P2, P3, P4 sono comprensive dello spazio per la zona spettatori.
F. TERIALI,
Atrio utenti L’unità minima ha superficie di 15 mq; deve comunicare con l’esterno e, tramite corridoi, con il pronto soccorso, con gli spogliatoi per gli utenti, per gli istruttori e per il personale, con i locali di direzione e amministrazione.
G.ANISTICA
Spazio verde attrezzato (minimo 8 soste) (o 5 soste e una pista ciclabile)
fino a 36 classi
C.RCIZIO
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
URB
Spazio verde attrezzato (minimo 8 soste) (o 5 soste e una pista ciclabile) Palestra di tipo P3 fino a 48 classi
Spazio di tipo SA3
3.
Attrezzature per A.L. tipo AL2
Corridoi e disimpegni Dovranno essere dimensionati in base alle esigenze funzionali e di sicurezza (vie d’esodo); in ogni caso dovranno avere larghezza non minore di 1,80 m
Spazio verde attrezzato (minimo 8 soste) (o 5 soste e una pista ciclabile) Palestra di tipo P3 + tipo P1 fino a 72 classi
4.
Spazio di tipo SA3 e di tipo SA2 Attrezzature per A.L. tipo AL2
• un locale con n.6 docce da 0,90 x 0,90 m ognuna; • n. 2 wc con accesso da un disimpegno con 2 orinatoi; • un locale filtro d’accesso a docce e wc, con 3 lavabi;
Spazio verde attrezzato (minimo 8 soste) (o 5 soste e una pista ciclabile) Palestra di tipo P4 + tipo P1 fino a 96 classi
Spazio di tipo SA3 e di tipo A2 Attrezzature per A.L. tipo AL2
5.
Spazio verde attrezzato (minimo 8 soste) (o 5 soste e una pista ciclabile) S. SCUOLE SECONDARIE DI II GRADO (superiori) Spazio di tipo SA2 Attrezzature per AL tipo AL4
6.
Spazio verde attrezzato (minimo 8 soste) più una pista ciclabile Palestra di tipo P3 fino a 50 classi
Spogliatoi istruttori L’unità base ha superficie di 18 mq, comprendenti: • spogliatoio di 10,20 mq minimi; • doccia da 0,90 x 0,90 m; • un WC e un lavabo;
Palestra di tipo P2 fino a 35 classi
Spogliatoi utenti L’unità base (unità doppia spogliatoio) è costituita da n.2 locali spogliatoio di 30 mq minimo ognuno a servizio di ogni spogliatoio dovranno essere previsti:
Pronto soccorso L’unità minima ha superficie di 15 mq, comprendenti: • locale di visita di 12 mq; • doccia da 0,90 x 0,90 m; • un WC con lavabo;
Spazio di tipo SA2 Attrezzature per A.L. tipo AL4 Spazio verde attrezzato (8 soste) Palestra di tipo P3 + tipo P1
fino a 60 classi
7.
Spazio di tipo SA2 Attrezzature per A.L. tipo AL4
Magazzino L’unità base ha superficie di 15 mq e deve comunicare con l’esterno e con lo spazio d’attività tramite porte di dimensioni adeguate al trasporto delle attrezzature.
Spazio verde attrezzato (minimo 8 soste) più una pista ciclabile Palestra di tipo P3 + tipo P1 fino a 75 classi
8.
Spazio di tipo SA3 Attrezzature per A.L. tipo AL4
• tribune (anche mobili retrattili) dimensionate in base al numero di spettatori, secondo la normativa vigente, esterne al perimetro della zona delle attività sportive; • atrio, di superficie pari al 10% del numero di spettatori; • servizi igienici proporzionati al numero di spettatori, costituita comunque almeno da 1 WC con antiWC e lavabo, distinti per sesso.
Spazio verde attrezzato (minimo 8 soste) più una pista ciclabile Palestra di tipo P4 + tipo P1 (minimo) Spazio di tipo SA3 e di tipo A2 fino a 90 classi
Zona spettatori Nei casi in cui è prevista, sarà costituita da:
Attrezzature per A.L. tipo AL5
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
(o tipo AL4 + campo 100 x 60 m) Spazio verde attrezzato (minimo 8 soste) più una pista ciclabile Le caratteristiche delle diverse tipologie di impianti (qui richiamati dalle sigle) sono specificate di seguito, nelle Tab. B.8.7./3 e B.8.7./4
9.
Direzione e amministrazione L’unità minima è di 18 mq comprendenti 1 WC e 1 lavabo.
. E B.8.7 À FISICH IT ATTIV RTIVE E SPO
B 311
B.8. 7.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI ATTIVITÀ FISICHE E SPORTIVE
TAB. B.8.7./3 DOTAZIONE DI SERVIZI PER TIPOLOGIE DI PALESTRE POLIVALENTI NELLE SCUOLE PALESTRA TIPO P1 Atrio
1
unità base
Spogliatoi fruitori
1
unità doppia
Spogliatoi istruttori
2
unità base
Pronto soccorso
1
unità base
Direzione,amministraz.
1
unità base
Magazzino
1
unità base
Centrale termica
1
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
TAB. B.8.7./4 SPAZI ALL’APERTO PER ATTIVITÀ SPORTIVE POLIVALENTI – NORME TECNICHE (Circ. Min. Pubblica Istruzione n.222 del 16 febbraio 1987) per la realizzazione di impianti sportivi polivalenti nelle scuole)
1. SPAZI ALL’APERTO (O SEMPLICEMENTE COPERTI) PAVIMENTATI PER ATTIVITÀ POLIVALENTI Tipologia
Dimensioni unità
Tipo SA1
24 x 18 m
Tipo SA2
32 x 2 m
Tipo SA3
45 x 2 m
PALESTRA TIPO P2 Atrio
1
unità base
Spogliatoi fruitori
2
unità doppie
Spogliatoi istruttori
2
unità base
Spogliatoi personale
1
unità base
Pronto soccorso
1
unità base
Direzione e amministrazione
1
unità base
Magazzino
1
pari a tre unità base
Centrale termica
1
Spettatori
1
Atrio spettatori
1
Servizi spettatori
1
(per ogni sesso)
Atrio
1
pari a due unità base
Spogliatoi fruitori
2
unità doppie
Spogliatoi istruttori
2
due unità base
Spogliatoi personale
1
unità base
Pronto soccorso
1
una unità base
Direzione e amministrazione
1
una unità base
Magazzino
1
pari a quattro unità base
Centrale termica
1
Spettatori
1
Atrio spettatori
1
Servizi spettatori
1
(per ogni sesso)
Atrio
1
pari a tre unità base
Spogliatoi fruitori
3
unità doppie
Spogliatoi istruttori
2
unità base
Spogliatoi personale
1
unità base
Pronto soccorso
1
unità base
Direzione e amministrazione
1
pari a due unità base
Magazzino
1
pari a otto unità base
Centrale termica
1
Spettatori
1
Atrio spettatori
1
Servizi spettatori
1
2. SPAZI ALL’APERTO IN TERRE STABILIZZATE PER ATTIVITÀ POLIVALENTI Tipologia
Dimensioni unità
Tipo A1
32 x 24 m
Tipo A2
45 x 27 m
Le tipologie di spazi indicate consentono le stesse attività ospitate dalle tipologie di spazi chiusi (palestre) di cui alle tabelle B.8.7./1 e 2
3. SPAZI ATTREZZATI PER ATLETICA LEGGERA CON LE SEGUENTI ATTREZZATURE
PALESTRA TIPO P3 Tipo AL1
formato da: • pista rettilinea da min. 60 m e 4 corsie (meglio lunghezze da 80÷110 m oltre spazi di partenza e di arrivo) • pedana per lancio del peso e del disco • pedana per salto in alto, in lungo e triplo
Tipo AL2
Come AL1, con pista da 110 m e 6 corsie
Tipo AL3
Come AL1, e inoltre: • pedana per il salto con l’asta • pedana per il lancio del giavellotto
Tipo AL4
Come AL2, e inoltre: • pedana per il salto con l’asta • pedana per il lancio del giavellotto
Tipo AL5
Come AL3, con pista ad anello da 400 m e 6 corsie • pedana per il lancio del giavellotto
PALESTRA TIPO P4
B 312
(per ogni sesso)
4. SPAZI VERDI CON PERCORSI ATTREZZATI
Superficie variabile in relazione al numero di classi servite e alla disponibilità dell’area, con un minimo di: • 50 mq per classe • 600 mq complessivi. Il percorso attrezzato dovrà comprendere: Scuola Elementare:
• minimo 5 stazioni per l’esecuzione di esercizi.
Scuola Media:
• minimo 8 stazioni o 5 stazioni e una pista ciclabile.
Scuola Secondaria:
• 306minimo 8 stazioni e una pista ciclabile.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE ATTIVITÀ FISICHE E SPORTIVE
B.8. 7. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.8.7./1 STRUTTURE PER L’EDUCAZIONE FISICA E SPORTIVA – PALESTRE TIPO A1, A2 RIFERIMENTI NORMATIVI I REQUISITI DEGLI SPAZI PER L'EDUCAZIONE FISICA E L'ATTIVITÀ SPORTIVA NELLE SCUOLE, COMPRESE LE PALESTRE, 1SONO REGOLATI DALLE "NORME TECNICHE" EMANATE CON DM 18.12.1975, CAPO 3.5. (PALESTRE: PUNTO 3.5.1.). IN SEGUITO, IN ATTUAZIONE DELLA LEGGE 9.8.1986, D'INTESA TRA I MINISTERI DEL TURISMO E DELLO SPETTACOLO (CONI) E DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, SONO STATI SPECIFICATI I REQUISITI ED I CRITERI PER LE STRUTTURE DESTINATE A OSPITARE ATTIVITÀ SPORTIVE POLIVALENTI (CIRC. MIN. DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE N. 222 DEL 16.02.1987). 2I DATI RELATIVI ALLE PALESTRE ESTRATTI DALLE DUE NORMATIVE SONO RIPORTATI E COMPARATI: - DI SEGUITO (TIPOLOGIE MINORI: A1, A2 CONFRONTA TE CON P1, P2) - NELLA PAGINA SEGUENTE (TIPOLOGIE MAGGIORI: B1, B2 CONFRONTATE CON P3, P4) 3PALESTRE (CIRC. N. 222 DEL 16.02.1987) PALESTRE (PRESCRIZIONI DEL D.M. 18.12.1975) TIPO A1 - UNITÀ DA 200 MQ PIÙ I SERVIZI - PER SCUOLE ELEMENTARI DA 10 A 25 CLASSI, - PER SCUOLE MEDIE DA 6 A 20 CLASSI, - PER SCUOLE SECONDARIE DA 10 A 14 CLASSI.
TIPO P1 - UNITÀ DI DIMENSIONI MIN. 15x15x H4 - ATTIVITÀ CONSENTITE: GINNASTICA (PARZIALE), JUDO, PESI, LOTTA
TIPO A2 - DUE UNITÀ DA 200 METRI QUADRI PIÙ I SERVIZI - PER SCUOLE MEDIE DA 21 A 24 CLASSI, - PER SCUOLE SECONDARIE DA 15 A 23 CLASSI.
TIPO P2 - UNITÀ DI DIMENSIONI 24x18xH7 (MIN. 24x15x7) - ATTIVITÀ CONSENTITE COME IN P1, E INOLTRE: GINNASTICA, PALLAVOLO,SCHERMA
TIPO A1 (COMPATIBILE CON UNITÀ POLIVALENTE TIPO P1)
PERTICHE E FUNI
I ED PRE NISM ORGA
ZONA DEGLI ALLIEVI SPOGLIATOI, LOCALI PER I SERVIZI IGIENICI E PER LE DOCCE
C.RCIZIO
SERVIZIO SANITARIO (VISITA MEDICA) DEVE ESSERE UBICATO IN MODO CHE POSSA FRUIRE DEGLI SPOGLIATOI E DEGLI ALTRI LOCALI DI SERVIZIO
4 - DEPOSITI ATTREZZI PER I MATERIALI NECESSARI PER LA PRATICA ADDESTRATIVA E PER LA MANUTENZIONE. N.B. SPOGLIATOI E SERVIZI SONO UTILIZZATI ANCHE PER LE ATTIVITÀ ALL'APERTO E DA EVENTUALI FRUITORI ESTERNI (SQUADRE 'OSPITI', SAGGI INTERSCUOLA)
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
TIPO A1 - CASO NON COMPATIBILE CON UNITÀ P1
SCUOLA
F. TERIALI,
SPALLIERE A MURO
3
2
4
B.STAZIONI DILEGIZLII
LEGENDA E SPECIFICAZIONI ZONA DEGLI INSEGNANTI UNO O PIU AMBIENTI SERVIZI IGIENICO-SANITARI CON DOCCIA
2
1
1
2
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
4 ATTIVITÀ ALL'APERTO
G.ANISTICA URB
SALTO IN ALTO
1
1
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
TIPO A2 - VARIANTE B TAPPETI PER GINNASTICA
3
2
1
2
2
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
1 ATTIVITÀ ALL'APERTO
TRAVI D'EQUILIBRIO 4
ATTIVITÀ ALL'APERTO
3
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
TIPO A2 (COMPATIBILE CON UNITÀ POLIVALENTE P2)
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
3
UNITÀ DA 200 MQ
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
1
2
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
EVENTUALE STRUTTURA MOBILE DI SEPARAZIONE PER CONSENTIRE L'UTILIZZAZIONE CONTEMPORANEA DELLE DUE UNITÀ
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
TIPO A2 - VARIANTE C 3
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
2 1 UNITÀ DA 200 MQ 1
4
1
ATTIVITÀ ALL'APERTO
2
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
2 4
. E B.8.7 À FISICH IT ATTIV RTIVE E SPO
B 313
B.8. 7.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI ATTIVITÀ FISICHE E SPORTIVE
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
FIG. B.8.7./2 STRUTTURE PER L’EDUCAZIONE FISICA E SPORTIVA – PALESTRE TIPO B TIPO B (COMPATIBILE CON UNITÀ P3) - SCHEMA DELLE RELAZIONI TRA LE DIVERSE 'ZONE' 1b
H
3
2b
2a
SPAZI PER L'EDUCAZIONE FISICA E SPORTIVA PALESTRE TIPO B NELLE SCUOLE SECONDARIE SUP. LE DIMENSIONI DELLA PALESTRA DEBBONO ESSERE TALI DA CONTENERE UN CAMPO REGOLAMENTARE DI PALLACANESTRO SECONDO LE NORME CONI-FIP. QUALORA NELLE SCUOLE ESISTENTI NEGLI AMBITI DI INTERVENTO DI EDILIZIA SCOLASTICA SIANO RILEVABILI GRAVI CARENZE DI ATTREZZATURE PER L'EDUCAZIONE FISICA E SPORTIVA, SI PREVEDE LA REALIZZAZIONE DI PALESTRE DI TIPO 'B' ANCHE PER LE SCUOLE ELEMENTARI DA 10 A 25 CLASSI, PER LE SCUOLE MEDIE DA 9 A 24 CLASSI E PER LE SCUOLE SUPERIORI DA 10 A 23 CLASSI.
1b
1a
1a
2a
2b
4
600 cm
625 cm
TIPO B1 PALESTRE REGOLAMENTARI DA 600 MQ,OLTRE AI RELATIVI SERVIZI, APERTE ANCHE ALLA COMUNITÀ EXTRA-SCOLASTICA, PER SCUOLE SECONDARIE DI SECONDO GRADO (24 A÷60 CLASSI) (DIVISIBILI IN TRE SETTORI MA UTILIZZABILI DA NON PIU DI DUE SQUADRE CONTEMPORANEAMENTE) TIPO B2 PALESTRE COME IL TIPO B1, CON INCREMENTO DI 150 MQ PER SPAZIO PER IL PUBBLICO E RELATIVI SERVIZI IGIENICI. IMPIANTI SPORTIVI POLIVALENTI (NORME TEC. CIRC. MIN. PUB. ISTR. N.222, 16.02.87)
625 cm
PALESTRE TIPO P3 UNITÀ DI 32 x 24 x 7H (MIN. 32 x 21 x 7) GINNASTICA, LOTTA, PALLAVOLO, PALLACANESTRO PALESTRA TIPO P4 UNITÀ DI METRI 45 x 27 x 7H (MIN. 45 x 24 x 7H) ATTIVITÀ COME P3, PIÙ PALLAMANO E TENNIS) 1 - ZONA DEGLI INSEGNANTI - UNO O PIU AMBIENTI (GENERALMENTE 2) - SERVIZI IGIENICO-SANITARI CON DOCCIA 2 - ZONA DEGLI ALLIEVI - SPOGLIATOI, - LOCALI PER I SERVIZI IGIENICI E PER LE DOCCE L'ACCESSO DEGLI ALLIEVI ALLA PALESTRA DEVE AVVENIRE SEMPRE DAGLI SPOGLIATOI 3 - SERVIZIO SANITARIO (VISITA MEDICA) UBICATO IN MODO CHE POSSA FRUIREDEGLI SPOGLIATOI E DEGLI ALTRI LOCALI DI SERVIZIO
200 TIPO B1, B2 - VARIANTI DI DISPOSIZIONE DELLE 'ZONE' IN FUNZIONE DELLE RELAZIONI CON LA SCUOLA E CON L'ESTERNO
2
1
1
4 - DEPOSITI ATTREZZI PER I MATERIALI NECESSARI PER LA PRATICA ADDESTRATIVA E PER LA MANUTENZIONE.
2 4
3
2
1
1
2
5 - ZONA PER IL PUBBLICO - GRADONATA - SERVIZI IGIENICI
3
4 3
1
1
2
5
5 PALESTRA TIPO B1
B 314
PALESTRA TIPO B2
PALESTRA TIPO B2
2
4
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE ATTIVITÀ FISICHE E SPORTIVE
B.8. 7. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.8.7./3 STRUTTURE PER L’EDUCAZIONE FISICA E SPORTIVA – PALESTRE TIPO P4
B.STAZIONI DILEGIZLII PALESTRA POLIVALENTE TIPO P4 (GRANDI PLESSI SCOLASTICI) - SCHEMA DELLE RELAZIONI TRA LE DIVERSE 'ZONE' NEL CASO ILLUSTRATO VENGONO ADOTTATI SPOGLIATOI ACCOPPIATI PER GLI ALLIEVI-ATLETI
>
5b 6
>
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
3 - PRONTO SOCCORSO
7 5b
>
4 - DEPOSITI ATTREZZI PARI A 4 UNITÀ BASE (~120 MQ) 5 5a 5b 5c -
2a
>
C.RCIZIO
1 - ZONA DEGLI ISTRUTTORI 1a - SPOGLIATOIO CON SCRIVANIA 1b - SERVIZI IGIENICI CON DOCCIA 2 - ZONA DEGLI ALLIEVI 2a - SPOGLIATOIO DOPPIO 2b - SERVIZI IGIENICI E DOCCE
5a
4
I ED PRE NISM ORGA
LEGENDA E SPECIFICAZIONI
ZONA PER IL PUBBLICO ATRIO (1 MQ/10 SPETTATORI) GRADINATA (0,48 M x SPETTATORE) SERVIZI IGIENICI SPETTATORI
H
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
7 - SPOGLIATOI PERSONALE
2b 625 cm
625 cm 600 cm
5c
2a
> 2a
LOCALE DOCCE DA 2 A 5, IN RAPPORTO AL N. POSTI DELLO SPOGLIATOIO, DI DIMENSIONI 90 x 90 CM.
2b
>
>
9m
28 m
40 m
SPOGLIATOI ISTRUTTORI 5c
DEVE CONTENERE DA 4 A 6 POSTI, CON RELATIVE PANCHE E ARMADIETTI.
È SERVITO DA LOCALE WC (ALMENO 1) E DOCCIA (ALMENO UNA DA 90 x 90 CM)
> 2a
PRONTO SOCCORSO
H
2b
ACCESSO E DISPOSIZIONE DEVONO PERMETTERE L'USO DELLA BARELLA. ELEMENTI DI ARREDO: - LETTINO VISITA 0,60 x 2 E SGABELLO - LAMPADA A BRACCIO MOBILE - BARELLA RIPIEGABILE - ARMADIO A VETRI 0,45 x 0,60 x 1,30 - SCRIVANIA DA 0,90 x 1,60 MIN. - POLTRONCINA. - ATTACCAPANNI A TRE POSTI - BOMBOLA D'OSSIGENO. DEVE ESSERE PREVISTO LOCALE DI SERVIZIO CON VASO E LAVABO
1,80
>
>
9m
2a
> 1b
1a
15 m
5c
GRADINATE PER IL PUBBLICO LA CAPIENZA DEI GRADONI È PARI ALLO SVILUPPO DIVISO O,48 M.
1b
1a
18 m
I GRADONI DEVONO AVERE PEDATA NON INFERIORE A 0,60 M E ALTEZZA COMPRESA TRA 0,40 E 0,50 M.
20 m
LE SCALE DI SMISTAMENTO DEVONO AVERE LARGHEZZA ≥ 1,20 M E NON POSSONO SERVIRE PIÙ DI 20 POSTI PER PARTE E PER FILA.
> 3
>
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
LOCALE WC ALMENO 2 WC: -1 PER HANDICAPPATI (1,80 x 1,80) -1 NORMALE (1,80 x 1,00)
2a
>
>
URB
COMUNICA CON I LOCALI DOCCE E WC MEDIANTE DISIMPEGNO ATTREZZATO CON 2 LAVABI (50 x 60 CM), BEVERINO, 2 ORINATOI E ASCIUGACAPELLI.
> H
G.ANISTICA
SPOGLIATOI ATLETI DEVE CONTENERE DA 10 A 20 ATLETI. ELEMENTI DI ARREDO: - PANCHE (0,80 M x ATLETA) - ARMADIETTI (30 x 50 x 90 CM) O APPENDIABITI (2 GANCI PER POSTO) - ASCIUGACAPELLI (NEL DISIMPEGNO)
9m
>
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
6 - AMMINISTRAZIONE - DIREZIONE
>
E.NTROLLO
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. E B.8.7 À FISICH IT ATTIV RTIVE E SPO
B 315
B.8. 7.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI ATTIVITÀ FISICHE E SPORTIVE
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
FIG. B.8.7./4 STRUTTURE PER L’EDUCAZIONE FISICA E SPORTIVA – PALESTRE – ATTREZZI PER LA GINNASTICA
CAVALLO CON MANIGLIE 40÷45
PEDANA ELASTICA
DISPOSIZIONE ATTREZZI E RINCORSA PER IL SALTO DEL CAVALLO
MANTO ANTISDRUCCIOLO
SALTO DEL CAVALLO PER LUNGO 190 cm 75
60 cm
122 cm
PEDANA
120 cm
160
15+10
110 cm
SALTO DEL CAVALLO TRAVERSO 120 cm
75 cm
75 cm
PERIMETRO DI INGOMBRO
TOLLERANZE DIMENSIONALI ± 10 mm - LUNGHEZZA DEL CAVALLO: ± 5 mm - ALTEZZA DEL CAVALLO: ± 5 mm - ALTEZZA LORDA DELLE MANIGLIE: - DISTANZA TRA LE MANIGLIE: 40÷45 cm ± 3 mm - DISTANZA LORDA TRA I PIEDI
160 cm
PISTA DI RINCORSA
2500 cm (per competizioni)
320 cm
190 cm
100 cm
320 cm
TAPPETO
PEDANA
1
PISTA DI RINCORSA
GUIDE DI REGOLAZIONE 75
2500 cm (per competizioni)
PRATICA DELLA GINNASTICA NELLE SCUOLE DI DIVERSO GRADO REGOLAZIONE DELLE DIMENSIONI DEGLI ATTREZZI.
BARRE PARALLELE 350 cm
ATTREZZI AL SUOLO RICORRENTI: - CAVALLO CON MANIGLIE - CAVALLO PER IL SALTO - BARRE PARALLELE - ASSE DI EQUILIBRIO
175 cm (regolamentare)
42÷52
(elementari e medie) 122 cm minimo
230 cm
DIMENSIONI E CARATTERISTICHE RIPORTATE IN FIGURA SONO QUELLE REGOLAMENTARI FISSATE DALLA FEDERAZIONE, QUINDI RICORRENTI PER GLI ATTREZZI IN PRODUZIONE E IN COMMERCIO. NELLE SCUOLE, TUTTAVIA, LE DIMENSIONI POSSONO ESSERE REGOLATE, DI VOLTA IN VOLTA, ANCHE AL DISOTTO DEI LIMITI INFERIORI DI TOLLERANZA INDICATI, IN MODO DA ADEGUARLE ALL'ETÀ DEGLI ALUNNI PRATICANTI E ALLE DIMENSIONI DELLA ZONA DISPONIBILE DELLA PALESTRA. IN PARTICOLARE: BARRE PARALLELE - L'ALTEZZA PUÒ ESSERE ABBASSATA FINO A 122 cm - LA DISTANZA TRA LE BARRE PUÒ ESSERE RIDOTTA A 42 cm
TOLLERANZE DIMENSIONALI 42÷52
- LUNGHEZZA DELLE BARRE: ± 10 mm ± 5 mm - ALTEZZA DELLE BARRE : 42÷52 cm - DISTANZA DELLE BARRE: - DISTANZA TRA I MONTANTI: ± 3 mm
CAVALLO - L'ALTEZZA PUÒ ESSERE ABBASSATA FINO A 100 cm - LA DISTANZA TRA LE MANIGLIE PUÒ ESSERE RIDOTTA A 40 cm - LA RINCORSA PUÒ ESSERE RIDOTTA A 12 m ASSE D'EQUILIBRIO - L'ALTEZZA PUÒ ESSERE RIDOTTA A 70 cm DAL SUOLO
230 cm 350 cm
ASSE DI EQUILIBRIO 500 cm 70 cm 120 cm (regolam.)
10
16 cm
(ALTEZZA DELL'ASSE SCUOLE ELEMENTARI E MEDIE)
13
120 cm SUPERFICIE DI INGOMBRO
120 cm
SEZIONE
DETTAGLIO DELLA TRAVE
TOLLERANZE DIMENSIONALI - LUNGHEZZA DELLA TRAVE: - ALTEZZA DELLA TRAVE DAL SUOLO: - AMPIEZZA DEGLI APPOGGI (O ANCORAGGI):
500 cm
B 316
± 5 mm 70÷120 cm ± 50 mm
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE ATTIVITÀ FISICHE E SPORTIVE
B.8. 7. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.8.7./5 STRUTTURE PER L’EDUCAZIONE FISICA E SPORTIVA – AREE DI GIOCO ALL’APERTO: CORSA, SALTI, LANCI I REQUISITI DEGLI SPAZI PER L'EDUCAZIONE FISICA E L'ATTIVITÀ SPORTIVA NELLE SCUOLE SONO REGOLATI DALLE "NORME TECNICHE" EMANATE CON DM 18.12.1975, CAPO 3.5. IN SEGUITO, IN ATTUAZIONE DELLA L. 9.8.1986, D'INTESA TRA I MINISTERI DEL TURISMO E DELLO SPETTACOLO (CONI) E DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, SONO STATI SPECIFICATI I REQUISITI E I CRITERI PER LE STRUTTURE DESTINA TE A OSPITARE ATTIVITÀ SPORTIVE POLIVALENTI (CIRC. MIN. DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE N. 222 DEL 16.02.1987). I DATI RELATIVI ALLE AREE DI GIOCO ALL'APERTO ESTRATTI DALLE DUE NORMATIVE SONO RIPORTATI NEGLI SCHEMI ALLEGATI. AREE DI GIOCO ALL'APERTO PER LA SCUOLA MEDIA (DM 18.12.1975) - PISTA DA 4 A 6 CORSIE DI ALMENO 100 M, OLTRE GLI SPAZI PARTENZE E ARRIVI; - PEDANA PER IL LANCIO DEL DISCO; - IMPIANTI PER IL SALTO IN ALTO E IN LUNGO; - CAMPO SPORTIVO POLIVALENTE (PALLACANESTRO, PALLAVOLO, PALLAMANO, TENNIS)
SALTO IN ALTO 6,00 m
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
9m
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
5,00 m
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
122
75 cm
RINCORSA 40÷45 m
RINCORSA 40÷45 m
40°
75 cm
RINCORSA 45 m
513 cm (quattro corsie)
5
767 cm (sei corsie) 122 cm 122 cm
4
3
122 cm
2
10,00 m
6
122 cm
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
min.200
PISTA A 4 ÷ 6 CORSIE DA 122 + 5
122 cm
5
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
122
213,3 cm
122 cm
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE 11, 13 m SALTO TRIPLO
SALTO IN LUNGO
2,50 m
BUCA
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
1, 2, 4 m
2,00 m
120 LINEA BIANCA 5 CM
ANELLO DI ACCIAIO
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
75
ASSE DEI DRITTI FERMAPIEDE IN LEGNO
URB
BASE DI CEMENTO PER ZONA CADUTA
PEDANA PER IL LANCIO DEL PESO
100,00 m
G.ANISTICA
6,00 m
50
PEDANA DISCO
PEDANA MARTELLO
SALTO CON L'ASTA
75
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
VASCA DI SABBIA
250 cm
C.RCIZIO
E.NTROLLO
3,50 m 4,00 m
213,5 cm
I ED PRE NISM ORGA
D.GETTAZIONE
2,67 m 1,83 m
10 m
LINEA BIANCA 5 CM.
ANELLO DI ACCIAIO
40°
ZONA D'ARRIVO
SALTO IN LUNGO E SALTO TRIPLO
3,10 m
PEDANA PER IL LANCIO DEL DISCO
3,50 m
PISTA DA 4 A 6 CORSIE DI 100 M
AREE DI GIOCO ALL'APERTO SCUOLE SECONDARIE DI II° GRADO (DM 18.12.1975) - PISTA DA 4 A 6 CORSIE DI ALMENO 100 METRI, OLTRE GLI SPAZI PARTENZE E ARRIVI; - PEDANA PER IL LANCIO DEL PESO E DEL DISCO; - IMPIANTI PER IL SALTO IN ALTO, IN LUNGO E CON L'ASTA; - CAMPO SPORTIVO POLIVALENTE (PALLACANESTRO, PALLAVOLO, PALLAMANO, TENNIS)
B.STAZIONI DILEGIZLII
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
1 122 min.130
30 CM CORDOLO INTERNO
LINEA DI MISURAZIONE
. E B.8.7 À FISICH IT ATTIV RTIVE E SPO
B 317
B.8. 7.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI ATTIVITÀ FISICHE E SPORTIVE
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
FIG. B.8.7./6 STRUTTURE PER L’EDUCAZIONE FISICA E SPORTIVA – TIPOLOGIE DI AREE DI GIOCO ALL’APERTO
SPAZI PER IMPIANTI SPORTIVI POLIVALENTI ALL'APERTO TIPO SA - SPAZI ALL'APERTO, O SEMPLICEMENTE COPERTI, PAVIMENTATI TIPO A - SPAZI ALL'APERTO SU TERRA STABILIZZATA O SU ERBA
SPAZIO VERDE ATTREZZATO AD OTTO STAZIONI 6
24 m 5 6m
6m
4 9m
18 m
6m
7
2 TIPO SA1 GINNASTICA (PARZIALE), PALLAVOLO
1 3
32 m 8
15 m
24 m
28 m SPAZI VERDI ATTREZZATI: DOTAZIONE PER I DIVERSI TIPI DI SCUOLE
ESEMPI DI ATTIVITÀ DA ESEGUIRE NELLE "STAZIONI"
SCUOLE ELEMENTARI: MINIMO 5 STAZIONI PER L'ESECUZIONE DI ESERCIZI ADATTI ALL'ETÀ, IN CONFORMITA' CON I PROGRAMMI VIGENTI
ARRAMPICARSI: - PERTICHE - FUNI - SCALE DI LEGNO O DI FUNI SOSPENDERSI - GRIGLIA DI SOSPENSIONE - BARRA DI SOSPENSIONE SALTARE - OSTACOLI E BARRIERE - DI PIETRA IN PIETRA GINNASTICA - A CORPO LIBERO
PER LA SCUOLA MEDIA: MINIMO 8 STAZIONI PER L'ESECUZIONE DI ESERCIZI O 5 STAZIONI + PISTA CICLABILE PER LA SCUOLA SUPERIORE: 8 STAZIONI PER L'ESECUZIONE DI ESERCIZI E UNA PISTA CICLABILE TIPO SA2 (E TIPO A1) GINNASTICA (COMPLETA), PALLAVOLO, PALLACANESTRO
SPAZIO VERDE ATTREZZATO A CINQUE STAZIONI E PISTA CICLABILE
N.B. - GLI SPAZI D'ATTIVITÀ DELLE TIPOLOGIE 'SA' E 'A' DIFFERISCONO SOLO PER LE CARATTERISTICHE DELLE SUPERFICI DI SUPPORTO: - I TIPI SA1, SA2, SA3 SONO PAVIMENTATI E POSSONO ESSERE ANCHE SEMPLICEMENTE COPERTI; - I TIPI A1, A2 INSISTONO SU TERRA STABILIZZATA O MANTO D'ERBA
5
PER IL RESTO: - I TIPI SA2 E A1 HANNO LE STESSE DIMENSIONI (24 x 18 M) E CONSENTONO LE STESSE ATTIVITÀ (GINNASTICA, PALLAVOLO, PALLACANESTRO). - I TIPI SA3 E A2 PRESENTANO LE STESSE DIMENSIONI (45 x 27 M) E CONSENTONO LA PRATICA DELLE STESSE ATTIVITÀ (GINNASTICA, PALLAVOLO, PALLACANESTRO, PALLAMANO,TENNIS).
4
1
45 m
20 m
27 m
40 m
3 2
TIPO SA3 (E TIPO A2) GINNASTICA (COMPLETA), PALLAVOLO, PALLACANESTRO, PALLAMANO
B 318
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE ATTIVITÀ FISICHE E SPORTIVE
B.8. 7. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.8.7./7 STRUTTURE PER L’EDUCAZIONE FISICA E SPORTIVA – AREE DI GIOCO ALL’APERTO: CAMPO POLIVALENTE DISPOSIZIONE DEI GIOCHI IN UN CAMPO SPORTIVO POLIVALENTE SA3 , A2 (COME PALESTRA TIPO P4) ATTIVITÀ CONSENTITE: GINNASTICA ALL'APERTO, PALLACANESTRO, PALLAVOLO, PALLAMANO, TENNIS
PALLAMANO 2,0
2,0
2,0
FASCIA DI RISPETTO CAMPO DI PALLAMANO
20 m
24,00 m
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
CAMPO DI PALLAMANO
E ESE ESSIONAL PROF
20,00 m CAMPO DI PALLAVOLO 1
B.STAZIONI DILEGIZLII
18,00 m
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
40 m
CAMPO DI PALLACANESTRO 15,00 m
9,00 m
FASCIA DI RISPETTO CAMPO DI PALLACANESTRO 19,00 m
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
2,5 PALLACANESTRO 2
18,00 m
3
6
15 m 6,0
2,5 2
6,25
580 cm
9,00 m
2800,00 cm
40,00 m 80,00 m
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
28 m
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
2
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
18,00 m 9m
2,5,8
PALLAVOLO 2,3,5
24,00 m
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
6m 6m
2,3,5
RETE
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
6m
18 m 20,00 m 2,5,8
CAMPO DI PALLAVOLO 3
9,00 m
44,00 m
6
6,25
2
CAMPO DI PALLAVOLO 2
2,0
URB
. E B.8.7 À FISICH IT ATTIV RTIVE E SPO
B 319
B.8. 7.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI ATTIVITÀ FISICHE E SPORTIVE
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
FIG. B.8.7./8 EDUCAZIONE FISICA E SPORTIVA – SERVIZI DI SUPPORTO SPOGLIATOIO STUDENTI - SCHEMA BASE LA DOTAZIONE DI ARREDI, ATTREZZATURE E SERVIZI DEI DIVERSI TIPI DI LOCALI È SPECIFICATA IN LEGENDA DI FIG. B.8.7./3.
3.C
3.D
7.C 6
3.A
2
SPOGLIATOIO STUDENTI - SCHEMA A DOPPIA UNITÀ CON SERVIZI COMUNI
3.C
3.A
3.D
3.A
ATTIVITÀ SPORTIVE AL CHIUSO ( PALESTRE)
3
ATTIVITÀ SPORTIVE ALL'APERTO
3.B
3
2
4
7.A
4
3.B
1 5 SPOGLIATOIO INSEGNANTI
SPOGLIATOIO INSEGNANTI
MAGAZZINO (ATTREZZI) 1. PORTA VERSO LA PALESTRA
4.A 2.
4.A 4.B
4.C
6
3.
4.B PORTA VERSO L'ESTERNO
4.C
PRONTO SOCCORSO
5.B
5.A
IL LOCALE DEL PRONTO SOCCORSO PUÒ ESSERE UTILIZZATO DALL'ISTITUTO SCOLASTICO ANCHE PER PER LA VISITA MEDICA. IN TAL CASO È OPPORTUNO PREVEDERE UNO SPAZIO D'ATTESA CON RELATIVI POSTI A SEDERE
ATRIO UTENTI (ALUNNI) L'UNITÀ MINIMA HA SUPERFICIE DI 15 MQ; DEVE COMUNICARE CON L'ESTERNO E, TRAMITE CORRIDOI, CON IL PRONTO SOCCORSO,CON GLI SPOGLIATOI PER GLI UTENTI, PER GLI ISTRUTTORI E PER IL PERSONALE, CON I LOCALI DI DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE. CORRIDOI E DISIMPEGNI DOVRANNO ESSERE DIMENSIONATI IN BASE ALLE ESIGENZE FUNZIONALI E DI SICUREZZA (VIE D'ESODO); IN OGNI CASO DOVRANNO AVERE LARGHEZZA NON MINORE DI 1,80 M SPOGLIATOI UTENTI (ALUNNI) L'UNITÀ BASE (UNITÀ DOPPIA SPOGLIATOIO) È COSTITUITA DA: A - N.2 LOCALI SPOGLIATOIO DI 30 MQ MINIMO OGNUNO A SERVIZIO DI OGNI SPOGLIATOIO DOVRANNO ESSERE PREVISTI: B - UN LOCALE CON N.6 DOCCE DA 0,90 X 0,90 M OGNUNA; C - N. 2 WC CON ACCESSO DA UN DISIMPEGNO CON 2 ORINATOI; D - UN LOCALE FILTRO D'ACCESSO A DOCCE E WC, CON 3 LAVABI;
4.
SPOGLIATOI ISTRUTTORI (DOCENTI) L'UNITÀ BASE HA SUPERFICIE DI 18 MQ, COMPRENDENTI: A - SPOGLIATOIO DI 10,20 MQ MINIMI; B - DOCCIA DA 0,90 X 0,90 M; C - UN WC ED UN LAVABO;
5.
PRONTO SOCCORSO L'UNITÀ MINIMA HA SUPERFICIE DI 15 MQ, COMPRENDENTI: A - LOCALE DI VISITA DI 12 MQ; B - DOCCIA DA 0,90 X 0,90 M; C - UN WC CON LAVABO;
PRONTO SOCCORSO (VISITA MEDICA) CON SPAZIO DI ATTESA
5.C
6.
7.
5.A 8.
MAGAZZINO L'UNITÀ BASE HA SUPERFICIE DI 15 MQ E DEVE COMUNICARE CON L'ESTERNO E CON LO SPAZIO D'ATTIVITÀ TRAMITE PORTE DI DIMENSIONI ADEGUATE AL TRASPORTO DELLE ATTREZZATURE. ZONA SPETTATORI NEI CASI IN CUI È PREVISTA, SARÀ COSTITUITA DA: A - TRIBUNE (ANCHE MOBILI RETRATTILI) DIMENSIONATE IN BASE AL NUMERO DI SPETTATORI, SECONDO LA NORMATIVA VIGENTE, ESTERNE AL PERIMETRO DELLA ZONA DELLE ATTIVITÀ SPORTIVE; B - ATRIO, DI SUPERFICIE PARI AL 10% DEL NUMERO DI SPETTATORI; C - SERVIZI IGIENICI PROPORZIONATI AL NUMERO DI SPETTATORI, COSTITUITA COMUNQUE ALMENO DA 1 WC CON ANTIWC E LAVABO, DISTINTI PER SESSO. DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE L'UNITÀ MINIMA E DI 18 MQ COMPRENDENTI 1 WC E 1 LAVABO
B 320
7.C
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE ATTIVITÀ FISICHE E SPORTIVE
B.8. 7. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.8.7./9 SCHEMI DI AGGREGAZIONE DI IMPIANTI SPORTIVI PER PLESSI SCOLASTICI SCUOLE ELEMENTARI
SCUOLE SECONDARIE DI I° GRADO (MEDIE)
SCUOLE SECONDARIE DI II° GRADO (SUPERIORI)
DA 10 A 25 CLASSI PALESTRA DI TIPO P2 SPAZIO DI TIPO SA1 SPAZIO VERDE ATTREZZATO (5 SOSTE) DA 26 A 35 CLASSI PALESTRA DI TIPO P2 + TIPO P1 SPAZIO DI TIPO SA2 SPAZIO VERDE ATTREZZATO (5 SOSTE)
FINO A 24 CLASSI
FINO A 35 CLASSI PALESTRA DI TIPO P2 SPAZIO DI TIPO SA2 ATTREZZATURE PER A.L. TIPO AL4 SPAZIO VERDE ATTREZZATO (8 SOSTE) FINO A 50 CLASSI PALESTRA DI TIPO P3 SPAZIO DI TIPO SA2 ATTREZZATURE PER A.L. TIPO AL4 SPAZIO VERDE ATTREZZATO (8 SOSTE) FINO A 60 CLASSI PALESTRA DI TIPO P3 + TIPO P1 SPAZIO DI TIPO SA2 ATTREZZATURE PER A.L. TIPO AL4 SPAZIO VERDE ATTREZZATO (8 SOSTE) FINO A 75 CLASSI PALESTRA DI TIPO P3 + TIPO P1 SPAZIO DI TIPO SA3 ATTREZZATURE PER A.L. TIPO AL4 SPAZIO VERDE ATTREZZATO (8 SOSTE) FINO A 90 CLASSI PALESTRA DI TIPO P4 + TIPO P1 CAMPO POLIVALENTE SA3 + CAMPO A2 SPAZI A.L. AL5 (O AL4 + CAMPO 100x60) SPAZIO VERDE ATTREZZATO (8 SOSTE)
DA 36 A 50 CLASSI PALESTRA DI TIPO P3 SPAZIO DI TIPO SA2 E A1 SPAZIO VERDE ATTREZZATO (5 SOSTE)
FINO A 36 CLASSI
FINO A 48 CLASSI
FINO A 72 CLASSI
FINO A 96 CLASSI
PALESTRA DI TIPO P2 SPAZIO DI TIPO SA1 ATTREZZATURE PER A.L. TIPO AL1 SPAZIO VERDE ATTREZZATO (8 SOSTE) PALESTRA DI TIPO P2 + TIPO P1 SPAZIO DI TIPO SA2 ATTREZZATURE PER A.L. TIPO AL1 SPAZIO VERDE ATTREZZATO (8 SOSTE) PALESTRA DI TIPO P3 SPAZIO DI TIPO SA3 ATTREZZATURE PER A.L. TIPO AL2 SPAZIO VERDE ATTREZZATO (8 SOSTE) PALESTRA DI TIPO P3 + TIPO P1 SPAZIO DI TIPO SA3 E DI TIPO SA2 ATTREZZATURE PER A.L. TIPO AL2 SPAZIO VERDE ATTREZZATO (8 SOSTE) PALESTRA DI TIPO P4 + TIPO P1 SPAZIO DI TIPO SA3 E DI TIPO A2 ATTREZZATURE PER A.L. TIPO AL2 SPAZIO VERDE ATTREZZATO (8 SOSTE)
4
LANCIO DEL PESO. 20 m
R. MIN. 75 m.
LANCIO DEL DISCO
8
SV1 - PERCORSO GINNICO
2
CO NTALE AMBIE
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
AL2 - ATLETICA LEGGERA - CORSA, SALTI, LANCI
SPETTATORI
40 m
SALTO IN ALTO
E.NTROLLO
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
SA3 CAMPO POLIVALENTE ALL'APERTO
36 m
PRO TTURALE STRU
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
3
1
SALTO CON L'ASTA
D.GETTAZIONE
URB
5
40°
40°
40 m
E ESE ESSIONAL PROF
G.ANISTICA
6
SALTO IN LUNGO E SALTO TRIPLO
C.RCIZIO
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
7 ZONA D'ARRIVO
I ED PRE NISM ORGA
F. TERIALI,
AGGREGAZIONE DI IMPIANTI SPORTIVI PER UN PLESSO DA 40÷50 CLASSI
80,00 m
B.STAZIONI DILEGIZLII
16÷20 m P3 - PALESTRA TIPO B2
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
8,00 m
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
ISTITUTO SCOLASTICO
. E B.8.7 À FISICH IT ATTIV RTIVE E SPO
B 321
B.8. 7.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI ATTIVITÀ FISICHE E SPORTIVE
•
STRUTTURE PER L’ISTRUZIONE
FIG. B.8.7./10 IMPIANTI SPORTIVI PER GRANDI PLESSI SCOLASTICI – AGGREGAZIONE DI IMPIANTI SPORTIVI PER UN PLESSO SCOLASTICO DA OLTRE 100 CLASSI NORME TECNICHE PER LA REALIZZAZIONE DI IMPIANTI SPORTIVI NELLE SCUOLE (CIRCOLARE DEL MIN. PUB. ISTRUZIONE N.222 DEL 16.02 1987) SPAZI ALL'APERTO PER ATTIVITÀ SPORTIVE POLIVALENTI
SALTO IN ALTO.
1.
MART EL
TIPOLOGIA TIPO SA1
DIMENSIONI UNITÀ 24 X 18
TIPO SA2
32 X 24
TIPO SA3
45 X 27
SPAZI ALL'APERTO IN TERRE STABILIZZATE PER ATTIVITÀ POLIVALENTI TIPOLOGIA DIMENSIONI UNITÀ TIPO A1 32 X 24 TIPO A2 45 X 27 LE TIPOLOGIE DI SPAZI INDICATE CONSENTONO LE STESSE ATTIVITÀ OSPITATE DALLE TIPOLOGIE DI SPAZI CHIUSI (PALESTRE) DI CUI ALLE TABELLE B.8.7./1 E B.8.7./2
IO DE L DIS CO E
LANCIO DEL GIAVELLOTTO
3.
SPAZI ATTREZZATI PER ATLETICA LEGGERA CON LE SEGUENTI ATTREZZATURE TIPO AL1
LANC
SO. L PE IO DE C N A L CAMPO DI CALCIO - 100 x 60÷70 M.
29°
SALTO IN LUNGO E TRIPLO.
2.
LO.
c
SPAZI ALL'APERTO (O SEMPLICEMENTE COPERTI) PAVIMENTATI PER ATTIVITÀ POLIVALENTI
ATLETICA LEGGERA - AL.5
FORMATO DA: - PISTA RETTILINEA DA MIN. 60 M E 4 CORSIE (MEGLIO LUNGHEZZE DA 80÷110 M OLTRE SPAZI DI PARTENZA E DI ARRIVO) - PEDANA PER LANCIO DEL PESO E DEL DISCO - PEDANA PER SALTO IN ALTO, IN LUNGO, TRIPLO
TIPO AL2
COME AL1, CON PISTA DA 110 M E 6 CORSIE
TIPO AL3
COME AL1, E INOLTRE: - PEDANA PER IL SALTO CON L'ASTA - PEDANA PER IL LANCIO DEL GIAVELLOTTO
TIPO AL4
COME AL2, E INOLTRE: - PEDANA PER IL SALTO CON L'ASTA - PEDANA PER IL LANCIO DEL GIAVELLOTTO
40°
TIPO AL5
4.
COME AL3, CON PISTA AD ANELLO DA 400 M E 6 CORSIE PEDANA PER IL LANCIO DEL GIAVELLOTTO
SPAZI VERDI CON PERCORSI ATTREZZATI SUPERFICIE VARIABILE IN RELAZIONE AL NUMERO DI CLASSI SERVITE E ALLA DISPONIBILITÀ DELL'AREA, CON UN MINIMO DI: - 50 MQ PER CLASSE - 600 MQ COMPLESSIVI
SETTORE SPETTATORI
SALTO CON L'ASTA
IL PERCORSO ATTREZZATO DOVRÀ COMPRENDERE: SC. ELEMENTARE: MINIMO 5 STAZIONI PER L'ESECUZIONE DI ESERCIZI SC. MEDIA:
MINIMO 8 STAZIONI O 5 STAZIONI E UNA PISTA CICLABILE
SC. SECONDARIA: MINIMO 8 STAZIONI E UNA PISTA CICLABILE 1 SA3 CAMPO POLIVALENTE ALL'APERTO
4 2 3
8
SV2 - PERCORSO GINNICO
40 m
5
6
7
PERCORSO ALUNNI PRATICANTI PERCORSO SPETTATORI
B 322
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE BIBLIOTECHE EVOLUZIONE DELLE ATTIVITÀ DI UNA BIBLIOTECA E CRITERI DI CLASSIFICAZIONE
• spazi destinati al deposito dei supporti dell’informazione (volumi, documenti); • spazi destinati all’ordinamento delle informazioni e alla localizzazione delle stesse (ufficio del catalogo); • spazi destinati alla consultazione delle informazioni (sale di lettura). Con il notevole incremento dei processi di alfabetizzazione e scolarizzazione avvenuto nella prima metà del XX sec., la funzione di consultazione dei testi – negli spazi della biblioteca o nella forma del prestito – ha assunto crescente rilievo rispetto a quella della conservazione dei volumi, comportando la diffusione territoriale e l’articolazione tipologica delle biblioteche: accanto alle “biblioteche centrali” (o nazionali) e alle biblioteche specializzate (delle università, degli enti e istituti di ricerca) sono comparse le biblioteche popolari, quelle di quartiere, delle scuole di vario ordine e grado ecc.). Nel corso della seconda metà del XX sec., le nuove tecnologie di riproduzione dei testi prima, la rivoluzione informatica e multimediale poi, hanno impresso una nuova e radicale trasformazione del modello ottocentesco, smaterializzando l’informazione e rendendo inessenziale la contiguità spaziale delle strutture destinate alla consultazione delle informazioni con quelle destinate alla classificazione e al reperimento delle stesse e quelle dedicate alla conservazione dei testi: • la consultazione di un testo (in una sala di lettura o in prestito) non implica più necessariamente contiguità con il luogo ove è conservato l’originale, dal momento che è possibile averne in visione o portarsene a casa una copia (mediante fotocopia, microfilm, scanner ecc.); • già oggi, da un terminale collocato in qualsiasi sede (compresa la propria abitazione o il proprio posto di lavoro), si può accedere alle più importanti biblioteche del mondo, consultare gran parte delle informazioni conservate e, spesso, ‘scaricarne’ copie (gratis o a basso costo) sul proprio computer; • sempre più spesso i testi – soprattutto quelli a carattere scientifico, tecnico, manualistico ed enciclopedico – sono prodotti anche su supporto informatico (CD) e talvolta solo su supporto informatico.
A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
ATTIVITÀ DI UNA BIBLIOTECA Biblioteca significa raccogliere e custodire libri. Il tema della biblioteca, quindi, pone al centro inizialmente la funzione di deposito per la conservazione dei libri e di altri documenti di cultura e d’informazione prodotti su supporto cartaceo o simile. Ben presto, tuttavia, all’attività di conservazione di testi e documenti si affiancano e integrano quella di consultazione degli stessi e quella correlata di ordinamento e catalogazione che agevoli la ricerca e l’accesso alle informazioni. Il modello ottocentesco di biblioteca si specifica appunto nell’articolazione in tre nuclei funzionali rivolti a queste attività essenziali:
B.9. 1.
Allo stato attuale, convivono uno accanto all’altro – spesso uno nell’altro – diversi assetti di biblioteche prodotti dal sovrapporsi delle fasi evolutive del tipo e caratterizzati dall’incidenza relativa che rivestono, volta per volta, i seguenti aspetti: • • • • • •
modalità di raccolta e conservazione dei supporti d’informazione (originali); modalità di ordinamento e localizzazione delle informazioni; possibilità di consultazione diretta dei supporti d’informazione (originali); grado di utilizzazione di tecnologie di replicazione e copia dei documenti; grado di utilizzazione di terminali ICT di consultazione di informazioni residenti; grado di utilizzazione di terminali ICT di consultazione di informazioni in rete.
Ad esempio, si consideri che in una biblioteca specializzata di un’istituzione universitaria è frequente riscontrare la presenza contemporanea delle attività e servizi seguenti: • spazi di deposito di libri, periodici e documenti dell’area scientifica di competenza (documenti residenti); • spazi di deposito temporaneo e catalogazione dei documenti in entrata; • spazio di consultazione del catalogo manuale (a schede) delle pubblicazioni residenti; • spazio e terminali di consultazione del catalogo informatico delle pubblicazioni residenti, integrato o associato alla consultazione del catalogo informatico (connesso in rete) delle pubblicazioni dell’intero settore scientifico-disciplinare; • spazi di lettura dei supporti d’informazione (originali); • spazi di studio singoli e/o per piccoli gruppi; • spazi di lettura e di connessione alla rete mediante terminale informatico; • servizio di prestito dei libri; • servizio di riproduzione dei testi (parziale, per la legge sul diritto d’autore); • mediateca, per la raccolta di materiali multimediali inerenti il settore scientifico (film, videocassette, registrazioni, diapositive, CD ecc.); • spazi per la visione-consultazione-audizione di materiali multimediali; • spazi attrezzati per videoconferenze; • laboratori per la produzione di materiali multimediali d’informazione (se non presenti in altre strutture dell’istituzione – dipartimenti, istituti, laboratori ecc.). Si può constatare come spazi e servizi tradizionali della biblioteca (deposito libri, catalogo a schede, sale di lettura) convivono con attrezzature e servizi innovativi (terminali del catalogo informatizzato, terminali per la consultazione di informazioni residenti e/o in rete, mediateca, servizi di riproduzione di testi e informazioni ecc.).
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
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D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
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ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
CRITERI DI CLASSIFICAZIONE La rapida evoluzione del tipo biblioteca e la conseguente sovrapposizione e integrazione di assetti e strumentazioni tradizionali con le continue trasformazioni indotte dal processo di innovazione tecnologica in atto, comportano qualche difficoltà per chi tenti di ordinare la materia in classificazioni. Si possono tuttavia individuare schemi di parziale classificazione, sulla scorta di alcuni parametri ordinatori ricorrenti, avvertendo che comunque la vasta casistica di biblioteche operanti può essere interpetrata solo intrecciando tra loro tali schemi. Adottando il criterio dimensionale possiamo distinguere: • piccole biblioteche locali (biblioteche popolari, di piccoli comuni, di quartiere, scolastiche); • biblioteche di media dimensione (popolari di grandi comuni, biblioteche centralizzate di plessi scolastici, biblioteche di facoltà universitarie, di enti di ricerca); • grandi biblioteche (popolari di città, di Ateneo, di grandi enti di ricerca); • biblioteche centrali (nazionali), con ruolo di distribuzione e diffusione delle informazioni anche verso altre strutture del territorio nazionale. Adottando il criterio della specificità del fruitore –destinatario privilegiato delle informazioni – si possono distinguere: • biblioteche generiche (biblioteche popolari, di prestito ecc.); • biblioteche specialistiche e di ricerca (biblioteche scolastiche, universitarie, di enti di ricerca); • biblioteche fortemente specializzate (biblioteche tematiche, di fondazioni). Adottando il criterio del tasso di informatizzazione, si può distinguere: • biblioteche tradizionali non informatizzate: (alcune biblioteche minori popolari e di prestito); • biblioteche a basso tasso di informatizzazione: (sono informatizzati solo il catalogo e la sua consultazione); • biblioteche a medio tasso di informatizzazione:
oltre al catalogo, è possibile consultare mediante terminali o supporti informatici una parte dei testi e delle informazioni custodite; contempla la presenza almeno di una sala di consultazione informatica attrezzata con i necessari terminali; • biblioteche ad alto tasso di informatizzazione: la maggior parte dei testi e delle informazioni sono sono stati replicati in una memoria centrale e la consultazione può avvenire sia mediante escussione del supporto cartaceo che mediante terminale o supporto magnetico; • biblioteche totalmente informatizzate: i supporti cartacei (volumi) non sono più consultabili (salvo casi particolari) e tutta l’attività di lettura-consultazione avviene mediante terminale o stampa da supporto informatico. Adottando il criterio della modalità di disposizione e custodia dei libri, si può distinguere: • biblioteche con libri tutti custoditi in scaffali distribuiti nelle stesse sale di lettura (piccole biblioteche popolari e scolastiche, fondazioni, librerie fortemente specializzate); • biblioteche con parte dei libri custoditi negli scaffali distribuiti nelle sale di lettura e parte raccolti nel deposito libri; • biblioteche con deposito libri nettamente separato dalle sale di lettura e consultazione. Per quanto riguarda infine il deposito libri: si possono distinguere strutture caratterizzate da diverso tasso di compattezza delle scaffalature e da diverso grado di automazione delle procedure di accesso ai libri: • depositi con scaffalature disposte in modo che tutti i libri risultino ‘a vista’ e prelevabili manualmente; • depositi con scaffalature compatte e mobili, con l’accesso ai libri reso possibile dalla traslazione manuale dei moduli-scaffale; • depositi come sopra, ma con traslazione degli scaffali comandata elettricamente; • depositi automatizzati, con collocazione ed estrazione dei libri operata mediante apparato meccanico automatizzato.
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
. E B.8.7 À FISICH IT ATTIV RTIVE E SPO . B.9.1TECHE BIBLIO
B 323
B.9. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI BIBLIOTECHE
•
STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE
CRITERI DI DISTRIBUZIONE TERRITORIALE E DI DIMENSIONAMENTO DELLE BIBLIOTECHE Criteri aggiornati di distribuzione territoriale delle biblioteche, in funzione del numero potenziale dei fruitori e delle distanze di accesso, sono stati elaborati e diffusi dall’IFLA in Standard per le biblioteche, dal quale sono tratte “raccomandazioni” che seguono.
Incremento annuale del patrimonio • in generale, ogni 1000 abitanti: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 250 volumi per anno • nelle unità amministrative minori: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 300 volumi per anno
Diffusione di sistemi di biblioteche pubbliche • popolazione di riferimento consigliata:. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 150.000 abitanti • popolazione minima di riferimento: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50.000 abitanti • unità amministrative (comuni) minime: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.000 abitanti
Dotazione di periodici e quotidiani (comprese le copie, i periodici per ragazzi e quelli in lingue straniere) • unità amministrative fino a 50.000 abitanti:. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 periodici • unità amministrative di 50.000÷100.000 abitanti: . . 10 periodici ogni 1.000 abitanti
Distribuzione consigliata delle biblioteche nelle aree urbane • biblioteca minore o succursale – raggio di influenza rispetto ai residenti: . . 1,5 km • biblioteca medio-grande – raggio di influenza rispetto ai residenti: . . . . . . 3÷4 km
Registrazioni sonore di tutti i tipi • per uso interno alla biblioteca: . . . . . . . . . . . . . 2.000 registrazioni ogni 20.000 ab • aggiornamento della raccolta: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 200 registrazioni all’anno
Patrimonio librario • dotazione minima di libri: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 volumi per abitante • dotazione nelle unità amministrative minori: . . . . . . . . . . . . . 3 volumi per abitante • dotazione libri per ragazzi fino a 14 anni (se raggiungono il 25÷30% della popolazione): . . . . . . . . 1/3 del patrimonio totale
Collezioni nelle lingue d’origine per minoranze nazionali e immigrati • per gruppi oltre 2.000 persone: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 volume ogni 10 persone • per gruppi di 500÷2.000 persone: . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 volume ogni 5 persone • per gruppi di meno di 500 persone: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100 volumi minimo
Libri di consultazione Del patrimonio librario di cui sopra, deve essere disponibile per la consultazione: • in generale: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10% del patrimonio • nelle unità amministrative minori: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100 volumi minimo
Incremento annuale • per gruppi oltre 2.000 persone: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 volume ogni 50 persone • per gruppi fino a 2.000 persone: . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 volume ogni 25 persone • periodici e quotidiani: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 copia ogni 500 persone
RIFERIMENTI PER LA DISTRIBUZIONE, IL DIMENSIONAMENTO E LE CONDIZIONI AMBIENTALI I fattori che intervengono nella costruzione e nella ristrutturazione delle biblioteche sono numerosi. Appare quindi opportuno adottare il criterio di redigere elenchi sintetici delle caratteritiche comuni riscontrabili tra gli edifici destinati a ospitare biblioteche, sia che si tratti di biblioteche universitarie o di centri di ricerca, sia di associazioni storiche e culturali e di fondazioni, sia di biblioteche di stato (o nazionali). A fronte di questi caratteri comuni, sussistono tuttavia tra le diverse categorie di biblioteche differenze rilevanti per quanto attiene la filosofia di gestione, l’attività pratica di che ne fruisce e le politiche culturali che le orientano. I dati e le notizie che seguono fanno riferimento ai “Design criteria for large librery buildings” elaborati per il World Information Report 1997/98 dell’UNESCO.
dei problemi da risolvere, degli obiettivi da perseguire, dell’organizzazione del cantiere, del funzionamento della futura biblioteca, delle esigenze tecniche e del piano di assetto interno.
1. Funzioni dell’edificio (secondo Keyes Metcalf 1965-1986)
Tuttavia, nelle strutture destinate a custodire notevoli volumi di libri e di altri documenti – depositi, ai quali l’accesso al pubblico non è consentito – molte funzioni sono rimaste immutabili, anche quando altre strutture della biblioteca mutavano e si ristrutturavano in funzione delle nuove esigenze intervenute.
Le missioni alle quali deve rispondere una biblioteca sono le seguenti: • Proteggere i libri e le collezioni contro le azioni dell’ambiente e del degrado; • Disporre i libri e le collezioni in maniera differenziata, in modo da permettere al pubblico e al personale di accedervi agevolmente; • Accogliere i diversi cataloghi e le bibliografie connesse in modo da permettere al lettore di trovare ciò che cerca nella raccolta custodita, ma anche nelle raccolte custodite in altre sedi; • Accogliere i lettori, e altri fruitori che intendono accedere nell’immediato o periodicamente alle raccolte e ai servizi; • Accogliere il personale incaricato di scegliere, acquisire, organizzare e gestire le collezioni e di assistere il lettore a reperire le informazioni ricercate; • Attrezzare spazi per le funzioni complementari, come i servizi di fotocopia, le bibliografie, i materiali audiovisivi, le informazioni ecc.; • Predisporre locali per l’amministrazione e per le altre funzioni connesse alla gestione del personale, dell’amministrazione, delle pubblicazioni di competenza, della segnaletica, dell’allestimento, della sicurezza ecc.; • Configurare una struttura che rappresenti un simbolo dell’istituzione di appartenenza. 2. Programma Il programma della biblioteca deve essere formulato in modo da facilitare la chiarezza di comunicazione. Il programma deve contenere una lista esaustiva di tutte le esigenze alle quali l’edificio dovrà rispondere. Potrà essere definito come una concisa comunicazione
B 324
3. Strutture a organizzazione costante Fino al 1945 le biblioteche erano concepite come istituzioni a organizzazione costante, con funzioni specifiche e definite. Successivamente le biblioteche – in particolare quelle maggiori – hanno cessato di avere un assetto costante, per l’intervento di tre nuovi fattori: • l’evoluzione e l’espansione del ruolo dell’educazione; • le nuove forme di comunicazione e di accesso all’informazione; • la proliferazione e la rapida evoluzione delle tecnologie.
4. Fattori qualitativi Nonostante la disposizione interna e l’erogazione di servizi al pubblico cambino da un caso all’altro e da un tipo di biblioteca all’altro, tuttavia le biblioteche recenti di tutte le dimensioni presentano molti caratteri comuni, che sono stati tradotti in un insieme di “qualità sostenibili” (i “dieci comandamenti” di Faulkner-Brown). Un edificio biblioteca deve possedere le seguenti qualità: • Flessibilità: struttura e servizi devono essere facilmente modificabili; • Compattezza: per facilitare la circolazione dei lettori, del personale e dei libri; • Accessibilità: dall’esterno all’entrata fino a tutte la parti dell’edificio, mediante un piano facile da comprendere che richieda solo un minimo di informazioni; • Estensibilità: per permettere la crescita dell’edificio e degli spazi con un minimo di disagi; • Varietà: nella gamma delle modalità di presentazione e disposizione dei libri e dei servizi al lettore e per offrire una grande libertà di scelta; • Organizzazione: per facilitare il contatto tra libri e lettore; • Comfort: per promuovere una fruizione efficace; • Costanza dei dati ambientali: nell’interesse della protezione del contenuto della biblioteca; • Sicurezza: per agevolare la sorveglianza degli utenti ed evitare la perdita dei libri; • Economia: per consentire la costruzione, la gestione e la manutenzione con un minimo di risorse finanziarie e umane.
Flessibilità La distribuzione della biblioteca deve consentire flessibilità d’utilizzazione in termini di strutture, di riscaldamento, di ventilazione, d’illuminazione, in modo da prestarsi agevolmente a eventuali trasformazioni degli spazi o delle destinazioni: • ponendo i pali a intervalli regolari o riducendone gli intervalli per aumentarne la portata; • curando che i pavimenti possano sopportare carichi di 7,2 kN/mq per le scaffalature, in modo che si possa facilmente scambiare il posto dei differenti servizi, del banco di prestito o d’informazione, degli scaffali, dei posti di lettura e delle altre attività; • curando che i percorsi siano piani e privi di rampe di scale; • curando che riscaldamento, ventilazione e illuminazione siano uniformi e suscettibili di ridistribuzione senza che ciò comporti opere impegnative; • curando che i muri portanti interni e le tramezzature siano concentrati in determinate zone della biblioteca, costituendo dei “noccioli” o degli “assi” che contengano gli elementi fissi e inamovibili, come scale, ascensori, servizi igienici, colonne montanti degli impianti. • curando che le altre tramezzature necessarie siano di tipo facilmente amovibile o smontabili e rimontabili altrove; • Adottando assetti del tipo “open-space”, utilizzando come elementi di suddivisione le attrezzature mobili d’arredo o gli stessi scaffali e ricorrendo a soluzioni tecnologiche per assicurare il comfort acustico e visivo dei fruitori. Compattezza La compattezza del volume dell’edificio agisce positivamente su due fattori essenziali: • la riduzione dei percorsi da effettuare da parte dei fruitori e del personale; • il risparmio energetico dovuto alla riduzione di combustibile e di energia in generale. Accessibilità La facilità d’accesso alla biblioteca e ai libri è requisito essenziale: • occorre prevedere un accesso alla biblioteca comodo e accogliente; • una volta entrato, l’utente deve poter individuare e raggiugere agevolmente le parti principali dell’edificio, vale a dire: le informazioni, gli uffici principali, i cataloghi, le scale e gli ascensori ecc.; • gli itinerari devono essere ben segnalati, senza dover ricorrere a un eccesso di pannelli indicatori. Estensibilità Ogni edificio-biblioteca deve poter essere ampliato nel tempo. Le modalità costruttive e i materiali adottati devono facilitare tali futuri ampliamenti, in modo che a ogni fase si dia luogo a una struttura comunque completa e armonicamente definita.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE BIBLIOTECHE
B.9. 1. A.ZIONI
Organizzazione Qualità essenziale di una biblioteca è quella di organizzare la presentazione del suo contenuto in maniera chiara e facilmente accessibile. Comfort • Una temperatura fresca e costante e un tasso di umidità costante rappresentano fattori ergonomicamente importanti per i frequentatori della biblioteca. • A secondo delle condizioni climatiche e ambientali, potrà risultare conveniente ricorrere o meno a modalità di climatizzazione artificiale: si dovrà considerare il tasso di calore, di rumore, di polvere che l’apertura di finestre può comportare e la conseguente integrazione o sostituzione totale delle prestazioni naturali mediante il ricorso a soluzioni impiantistiche. • In tutte le biblioteche è necessario un buon livello d’illuminazione; si ritiene che un buon livello d’illuminazione da mantenere permanentemente in tutti gli spazi aperti al pubblico sia pari a 400 lux minimo. Costanza dei dati ambientali Ricerche specifiche condotte sulla conservazione del patrimonio documentario delle biblioteche indicano l’esigenza di assicurare un livello costante dei dati ambientali. A tale scopo: • le pareti di chiusura dell’edificio devono funzionare come un regolatore termico, limitando la dispersione di calore in inverno e l’irraggiamento solare in estate; • occorre predisporre barriere acustiche nei riguardi dei rumori esterni, pur assicurando ai lettori di guardare verso l’esterno. Le norme in materia di temperatura e umidità relativa considerano accettabili nelle biblioteche: • temperatura: .................18°C÷21°C • umidità relativa: ............50%÷60% (mai oltre il 65%) Sicurezza dalla sottrazione di libri La sicurezza del patrimonio della biblioteca deve essere assicurato: • limitando l’entrata e l’uscita del pubblico a un solo varco, equipaggiato da sistemi di controllo elettronici; • prevedendo ovunque possibile spazi aperti e non interrotti da tramezzature, che ne facilitino la sorveglianza. Economia I principali fattori di risparmio nella costruzione, gestione e manutenzione delle biblioteche possono essere riassunti come segue:
• riduzione delle superfici esterne di chiusura dell’edificio; • ridurre all’essenziale la dimensione delle finestre e vetrate (non oltre il 25% della sup. esterna totale); • prevedere apparati che riducano l’irraggiamento solare in estate; • prevedere un adeguato isolamento termico delle chiusure esterne dell’edificio (soprattutto contro il calore estivo) in modo da contenere i consumi energetici per riscaldamento, ventilazione e raffrescamento.
Faulkner-Brown, sulla base delle esperienze condotte, segnala i seguenti dati per biblioteche pubbliche.
5. Superfici richieste per una biblioteca universitaria Secondo le cosidette “norme Atkinson” (SCONUL: Standing Conference of National & University Libraries), la superficie utile di una biblioteca centrale universitaria deve essere valutata secondo la seguente formula basata sul numero totale di studenti previsti: • 1,25 mq/studente EPT (equivalente a tempo pieno) + 0,2 mq/studente EPT + valutazione della riserva per collezioni speciali + integrazioni per casi particolari; • il dato di 1,25 mq/studente corrisponde a: 0,40 mq per il posto di lavoro 0,62 mq per le scaffalature 0,20 mq per l’amministrazione (pari al 20% del totale). Si è valutato che le biblioteche universitarie dovrebbero essere dimensionate sulla base dei seguenti dati: • 1 posto di lettura ogni 6 studenti; • 2,40 mq lordi per posto di lettura (compresi i percorsi di distribuzione); • 0,90x0,60 m minimo per spazio di lettura (superficie tavolo). Tali dati appaiono ormai inadeguati, considerato l’uso di computer, terminali e simili; pertanto si consiglia: • 2,50 ÷ 4,00 mq per posto di lavoro lordo; • 1,20 x 0,80 m per posto di lavoro netto (superficie di tavolo con terminale o computer). La superficie lorda totale della biblioteca si può ottenere aggiungendo le quote relative a servizi igienici, scale ecc. che in genere rappresentano il 25% del totale. 6. Comparazione tra biblioteche universitarie e biblioteche pubbliche Esistono naturalmente delle differenze tra le esigenze in termini di spazio di una biblioteca pubblica rispetto ai dati indicati per le biblioteche universitarie.
B.STAZIONI DILEGIZLII
Superfici richieste (America – Gedenkbibliothek) • Spazi aperti al pubblico: ..........................8.718 • Spazi per il personale: ............................1.600 • Uffici del personale:.................................1.660 • Scaffalature in magazzino:......................1.550 • Superficie netta totale utile:...................12.528 • Circolazione, servizi ecc. (30%): .............3.758 • Superficie lorda totale: ..........................16.286 • Posto di lettura: .........................................2.50 • Posto di studio, apprendimento lingue, • consultazione cataloghi, microfiche: .........3.00
mq mq mq mq mq mq mq mq mq
A titolo esemplificativo si riportano alcuni dati tecnici relativi alle condizioni ambientali e di comfort nelle biblioteche, estratti da casistiche recenti. (programma della Biblioteca di Alessandria, Biblioteca della International School of Information Science – ISIS). Spazi aperti al pubblico – Sale di lettura • Fattore di riduzione acustica:....................45÷55 dB (finiture progettate per assorbimento acustico) • Illuminazione artificiale: ..500 lux sul piano di lettura • Temperatura: ..............................................21÷24°C • Umidità relativa: ...........................................55÷60% • Ricambi d’aria:...............................................10V/hr Deposto libri, chiuso al pubblico • Illuminazione artificiale:.................................300 lux • Temperatura: ..............................................18÷20°C • Umidità relativa: ...........................................45÷55% • Ricambi d’aria: .................................................2V/hr • Portanza del pavimento:.......................1.300 kg/mq Laboratori • Fattore di riduzione acustica (finiture progettate per assorbimento acustico) • Illuminazione artificiale:.................................500 lux • Temperatura: ..............................................18÷21°C • Umidità relativa: ...........................................45÷55% • Ricambi d’aria: .................................................2V/hr • Impianto di continuità d’energia (per i computer) • Sorgente elettrica d’emergenza
POPOLAZIONE DI RIFERIMENTO 3.000
5.000
10.000
20.000
40.000
60.000
80.000
100.000
DOTAZIONE DI LIBRI E SPAZI DELLA BIBLIOTECA (ADULTI + RAGAZZI) Volumi in scaffali aperti Ingombro a terra Patrimonio della biblioteca Libri di consultazione Posti a sedere:
quantità per 1000 abitanti
1.333
800
600
600
600
600
550
500
capacità totale
4.000
4.000
6.000
12.000
24.000
36.000
44.000
50.000
100 minimo
100 minimo
100 minimo 180
360
540
660
750
minimo pari a 100 mq. sup. (15 mq/1000 volumi) dotaz. unitaria (vol./abit.)
3
3
3
3
2,5
2
2
2
9.000
15.000
30.000
60.000
100.000
120.000
160.000
200.000
percentuale del patrimonio
1%
2%
3%
5%
7%
10%
10%
10%
numero volumi consultabili
min. 100
300
900
3.000
7.000
12.000
16.000
20.000
5
8
15
30
60
75
120
150
15
24
45
90
180
225
360
450 1000
dotazione totale
numero posti superficie richiesta (mq)
DOTAZIONE DI PERIODICI E RELATIVI SPAZI Dotazione di periodici
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
7. Requisti tecnici
TAB. B.9.1./1. BIBLIOTECHE – SERVIZIO DI PRESTITO E CONSULTAZIONE PATRIMONIO LIBRARIO, LIBRI CONSULTABILI, DIMENSIONI DI INGOMBRO (secondo le raccomandazioni dell’IFLA)
n. abitanti serviti
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
50 minimo
50
100
200
400
600
800
Spazi per consultazione periodici
numero posti
1
1
1
1
2
2
3
4
superficie richiesta (mq)
3
3
3
3
6
6
9
12
Dotazione libri per ragazzi
libri dedicati (1/3 patrimonio)
Spazio prestito per i ragazzi
prestito (16 mq/1000 vol)
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
DOTAZIONE DI LIBRI E SPAZI PER I RAGAZZI
Spazio attività per i ragazzi
2970
4950
9900
19800
33000
39600
52800
66000
64
64
96
192
384
576
704
800
attività (come pubblico)
1,5 mq per posto di lettura
attività di elaborazione
3,0 mq per posto di attività
. B.9.1TECHE BIBLIO
B 325
B.9. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI BIBLIOTECHE
•
STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE
RIFERIMENTI PER IL PROGETTO DI ILLUMINAZIONE Il progetto d’illuminazione dei posti di lettura delle biblioteche deve essere impostato in modo da soddisfare i seguenti parametri: • • • •
qualità della luce; livello d’illuminamento; uniformità d’illuminamento; prevenzione dell’abbagliamento.
Uniformità dell’illuminamento Il rapporto tra valore minimo e valore medio degli illuminamenti orizzontali sul piano di lettura non deve risultare minore di 0.8., in considerazione del fatto che la percezione degli oggetti che si trovano nel campo visivo si basa sui contrasti di luminanza e che la facilità di lettura di un testo è correlata all’entità del rapporto di luminanza tra i caratteri tipografici e il foglio. Il rapporto di luminanza può essere espresso mediante la formula:
Qualità della luce Per l’illuminazione dei posti di lettura è importante che la luce prescelta sia caratterizzata da un indice di resa cromatica assai elevato, in modo da assicurare ai lettori la possibilità di apprezzare tutta la gamma delle sfumature cromatiche delle illustrazioni dei volumi in consultazione. Altra condizione rilevante è che lo spettro della luce adottata sia privo di radiazioni ultraviolette, poiché la carta, e soprattutto la pergamena, possono essere danneggiate da tali radiazioni. La gravità dell’eventuale danneggiamento dipende dal tipo di carta ed è direttamente proporzionale all’entità del valore dell’illuminamento e al tempo di esposizione. Livello d’illuminamento Di norma ci si riferisce all’illuminamento orizzontale medio d’esercizio sul piano di lettura; tale valore è costituito dalla media aritmetica degli illuminamenti orizzontali, in riferimento allo stadio medio d’invecchiamento e d’insudiciamento dei centri luce. La scelta del valore da adottare deve essere effettuata tenendo conto dell’entità dei contrasti.
R=L x a/L x b, dove:
L x a è il valore della luminanza più elevata in cd/mq; L x b è il valore della luminanza meno elevata. Al fine di evitare l’affaticamento visivo, il rapporto di luminanza tra libro e piano circostante dovrebbe essere 1:1/3 (equilibrio delle luminanze). Prevenzione abbagliamento Nell’ambito di ciascun posto di lettura si possono distinguere due tipi di abbagliamento: quello prodotto direttamente dalla sorgente di luce e quello provocato dalla luce riflessa dal libro o dalla superficie del piano a esso circostante. Al fine di eliminare o ridurre entrambi gli abbagliamenti sono essenziali: • la scelta del tipo di sorgente luminosa; • la corretta individuazione della posizione di allocamento della sorgente.
LINEE GUIDA DEL CONSIGLIO D’EUROPA – LINEE GUIDA PER LA LEGISLAZIONE E LE POLITICHE IN MATERIA DI BIBLIOTECHE IN EUROPA Il Consiglio d’Europa ha deciso di prendere in esame il campo delle biblioteche, al fine di delineare una serie di principi nella prospettiva di rafforzare e, dove opportuno, armonizzare la legislazione nazionale attinente e le politiche degli stati membri.
• cercare di ottenere l’accesso elettronico a fonti di informazioni nell’interesse degli utenti e fornire inoltre punti di accesso pubblico con livelli appropriati di supporto e guida che consentano l’uso indipendente dell’informazione in rete;
A tale scopo, il Council for cultural cooperation, Commissione cultura, ha elaborato ed emanato “Linee guida per la legislazione e le politiche in materia di biblioteche in europa” (Strasburgo, 20 gennaio 2000), dalle quali si stralciano le “raccomandazioni “ in materia di:
• non consentire scientemente l’accesso a materiale su Internet che sia illegale sul territorio di accesso; riguardo ad altri materiali è facoltà degli utenti determinare a quale informazione vogliono accedere;
• principi per lo sviluppo delle collezioni; • principi per l’accesso alle reti elettroniche; • tipi di biblioteche, livello di servizio, indicatori di prestazioni.
PRINCIPI PER LO SVILUPPO DELLE COLLEZIONI • Lo sviluppo delle collezioni della biblioteca dovrebbe essere basato sulla valutazione professionale indipendente del bibliotecario, senza essere influenzato da alcun interesse politico, settoriale, commerciale o di altro tipo, sentite le associazioni rappresentative degli utenti, comunità e altre istituzioni educative, di informazione e culturali. • Le politiche di sviluppo delle collezioni dovrebbero essere costantemente riviste al fine di riflettere il cambiamento nei bisogni e nelle opportunità. Lo sviluppo delle collezioni dovrebbe essere un processo trasparente e dovrebbero essere rese pubbliche le politiche su cui questo processo si basa. • Le minoranze dovrebbero avere a disposizione materiale nelle loro lingue, relativo tanto alle loro proprie culture, quanto alla cultura della comunità maggioritaria. Inoltre le raccolte librarie dovrebbero testimoniare alla comunità maggioritaria le culture delle minoranze. • Le biblioteche dovrebbero essere parte di uno o più sistemi all’interno di un paese, cooperando in materia di acquisizione ed esportazione (intendasi: temporanea) di raccolte, e formando una stretta relazione di lavoro con altre istituzioni culturali, educative e di informazione. • Le biblioteche dovrebbero fornire l’accesso a materiali che non fanno parte delle collezioni della biblioteca attraverso sistemi quali servizi di prestito nazionale e internazionale e di document delivery, compreso l’uso dei servizi di informazione elettronica e di informazione in rete.
PRINCIPI PER L’ACCESSO ALLE RETI ELETTRONICHE
• formulare politiche sull’uso di Internet per definire gli obiettivi e i metodi dell’offerta di accesso pubblico all’informazione in rete; • rispettare i diritti dell’utente, compreso il diritto alla riservatezza e alla privacy; • rivedere costantemente le loro politiche riguardanti i punti di accesso pubblico e la messa in pratica delle stesse politiche, sentiti gli enti e le associazioni della società civile, per assicurare che i compiti e gli obiettivi del servizio siano raggiunti.
SERVIZI BIBLIOTECARI. TIPI DI BIBLIOTECHE, LIVELLO DI SERVIZIO, INDICATORI DI PRESTAZIONI • Gli standard tecnici e gli standard relativi alle telecomunicazioni, alle reti elettroniche e alle attrezzature collegate, dovrebbero, per quanto possibile, essere applicati per facilitare lo scambio dell’informazione nazionale e internazionale. • La crescente produzione e distribuzione di contenuti in forma digitale sta facendo svanire le tradizionali categorie di biblioteche. Biblioteche e reti bibliotecarie, indipendentemente dall’ente finanziatore, dovrebbero avere la responsabilità di servire l’intera comunità bibliotecaria e la società nel suo insieme. • Si dovrebbero insegnare ad alunni e studenti le appropriate procedure di recupero e di gestione dell’informazione per poter fare miglior uso delle fonti di informazioni disponibili tanto nel sistema scolastico quanto nella società nel suo insieme e questo dovrebbe essere incorporato nelle linee guida e nei curricula a ogni livello di istruzione. • I servizi bibliotecari indirizzati a gruppi speciali di utenti dovrebbero essere specificati nella legislazione e/o regolamenti, e forniti in parte attraverso servizi regolati/compresi nelle disposizioni ordinarie delle biblioteche, in parte attraverso biblioteche speciali e in parte attraverso servizi centralizzati. • Dovrebbero essere intrapresi studi per individuare come nuovi evoluzioni nell’uso della tecnologia delle informazioni applicata ad altri settori della società, ad esempio “servizi smart cards”, potrebbero essere applicati nello sviluppare servizi bibliotecari digitali.
Le biblioteche dovrebbero: • sfruttare a pieno il potenziale dell’informazione in rete, in particolare di Internet, che consente un accesso all’informazione impossibile con le collezioni di materiale cartaceo;
B 326
• Le autorità bibliotecarie a livello nazionale dovrebbero considerare lo sviluppo di servizi bibliotecari nell’ambito di una politica nazionale e internazionale dell’informazione destinata alla convergenza di istituzioni nei settori ABM (Archivi Biblioteche Musei).
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE BIBLIOTECHE
B.9. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.9.1./1 SCHEMA GENERALE DI DISTRIBUZIONE SCHEMA DISTRIBUTIVO PLANIMETRICO ADIMENSIONALE DI UNA BIBLIOTECA MEDIO-GRANDE AD ALTO TASSO DI INFORMATIZZAZIONE E CON LA POSSIBILE INTEGRAZIONE DI ATTIVITÀ COMPLEMENTARI (MEDIATECA, SALA CONFERENZE )
PARCHEGGIO
C1
C12
C11
C2
C3
C5
C7
D.GETTAZIONE
C1 C2 C3 C4 C5 C6 C7 C8
- ACCESSO PUBBLICO - ATRIO - CATALOGO MANUALE (A SCHEDE) - CATALOGO INFORMATICO (TERMINALI) - SERVIZI IGIENICI PER IL PUBBLICO - FILTRO DI ACCESSO ALLA CONSULTAZIONE - CONSULTAZIONE RAPIDA - CONSULTAZIONE INFORMATICA (SALE ATTREZZATE CON TERMINALI) C9 - SALE DI LETTURA E/O LOCALI PER STUDIO, SEMINARI, ECC. C10 - BANCO INFORMAZIONI
C9
D13
D12
ATTIVITÀ COMPLEMENTARI (OPZIONALI) TRASFERIMENTO SCHEDE AL CATALOGO MANUALE
C9
TRASFERIMENTO INFORMAZIONI AL CATALOGO INFORMATICO
C9
D14 SEZIONE DEL DEPOSITO E RELATIVI SERVIZI
SI PRECISA, TUTTAVIA, CHE I DIVERSI SETTORI DI ATTIVITÀ (DEPOSITO, CONSULTAZIONE, ATTIVITÀ COMPLEMENTARI OPZIONALI) RARAMENTE SONO DISPOSTI SULLO STESSO PIANO. PIÙ SPESSO I DIVERSI SETTORI APPAIONO COLLOCATI SU PIANI DIVERSI E, NEI CASI DI DIMENSIONI MAGGIORI, GLI STESSI SINGOLI SETTORI POSSONO ARTICOLARSI SU PIÙ PIANI. IN TALI CASI VARIA EVIDENTEMENTE IL TIPO E LA DISLOCAZIONE DEL "CANALE DI TRASFERIMENTO DEI LIBRI" CHE UTILIZZERÀ MECCANISMI ANCHE DI SOLLEVAMENTO (PIÙ O MENO AUTOMATIZZATI).
SETTORE DEL PUBBLICO (CONSULTAZIONE)
C8
C9
LIBRI A DESTINAZIONE ESTERNA
C.RCIZIO
LEGENDA C6
C6
C11 - MEDIATECA (OPZIONALE) ATTREZZATA PER VIDEO VISIONI, PROIEZIONI, TELECONFERENZE, ECC. (CON RELATIVO DEPOSITO SUPPORTI) C12 - SALA CONFERENZE (OPZIONALE)
SETTORE DEL DEPOSITO LIBRI E SERVIZI D1 D2 D3 D4 D5 D6 D7 D8
D11
D10
D6
D9
D5
D8
D4
D7
D9 D10 D11 D12 D13 D14
- ACCESSO LIBRI E DOCUMENTI - RICEZIONE, ACCETTAZIONE - DEPOSITO LIBRI IN ARRIVO (PROVVISORIO) - LABORATORIO DI RILEGATURA - LABORATORIO DI RESTAURO - LABORATORIO DI MANUTENZIONE - UFFICIO DEL CATALOGO CATALOGAZIONE INFORMATICA STAMPA SCHEDE PER CONSULT. MANUALE - RIPRODUZIONE LIBRI E DOCUMENTI (FOTOCOPIE, MICROFILMATI, SCANSIONE) - MEMORIA INFORMATICA CENTRALE - UFFICI DELLA DIREZIONE - SERVIZI IGIENICI DEL PERSONALE - DEPOSITO LIBRI E DOCUMENTI - INVIO LIBRI AL SETTORE CONSULTAZIONE RITORNO LIBRI DALLA CONSULTAZIONE - CANALE DI TRASFERIMENTO DEI LIBRI ALLA E DALLA CONSULTAZIONE CON BANCHI DI DISTRIBUZIONE E RITIRO
D3
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
PERCORSI DEI LIBRI PERCORSO DELLE INFORMAZIONI (CAVO)
D1
E ESE ESSIONAL PROF
PERCORSI DEL PUBBLICO (UTENTI)
D2 D3
I ED PRE NISM ORGA
LA FIGURA ACCANTO MOSTRA LA DISTRIBUZIONE DELLE DIVERSE ATTIVITÀ DI UNA BIBLIOTECA DI DIMENSIONI MEDIO-GRANDI E LE RECIPROCHE RELAZIONI, SCHEMATIZZATE IN UN DIAGRAMMA PLANIMETRICO ADIMENSIONALE.
C4
C10
D14
SEZIONE DELLA CONSULTAZIONE E SERVIZI DI SUPPORTO
C5
TRASFERIMENTO INFORMAZIONI ALLA CONSULTAZIONE INFORMATICA
ATTIVITÀ OPZIONALI
PARCHEGGIO
B.STAZIONI DILEGIZLII
. B.9.1TECHE BIBLIO
B 327
B.9. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI BIBLIOTECHE
STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE
•
FIG. B.9.1./2 SCHEMI DISTRIBUTIVI RELATIVI A CASISTICHE RICORRENTI DI DIVERSE DIMENSIONI A - PICCOLA BIBLIOTECA "POPOLARE", CON LIBRI CUSTODITI NELLA SALA DI LETTURA D1 C1 - ATRIO C2 - INFORMAZIONI PRESTITO LIBRI C3 - CATALOGO C4 - SERVIZI IGIENICI C5 - SALA DI LETTURA C6 - SALA RAGAZZI: LETTURA, GIOCHI, INTERNET, ECC.
C3
C4
D1 - ACCESSO LIBRI D2 - DIREZIONE CATALOGAZIONE D3 - DEPOSITO LIBRI (SCAFFALI NELLA SALA LETTURA)
C5 D3
B - BIBLIOTECA DI MEDIA DIMENSIONE, INFORMATIZZATA (SPECIALIZZATA) LIVELLO DELLE ATTIVITÀ APERTE AL PUBBLICO (CONSULTAZIONE) (MEDIATECA)
C3
C6
(CONFERENZE)
C1
C2
C3 C4
C5 C7 C8
C10 C6
C3
C5
C4
C5
C8
C7
C9
C9
C9
C9
DEPOSITO LIBRI - LIVELLO INFERIORE - SERVIZI DI SUPPORTO
C9
C9
C1
C6
DAL SERVER AI TERMINALI INFORMATICI
C2
C2 C11
DAL SERVER AL CATALOGO INFORMATICO
D2
TRASFERIMENTO SCHEDE AL CATALOGO MANUALE
C1 C6
C - GRANDE BIBLIOTECA INFORMATIZZATA, CON DEPOSITO LIBRI MULTIPIANO (A TORRE)
D8 D9 D7
D6
D5
D4
C10 D2 SETTORE DEL PUBBLICO (CONSULTAZIONE)
SETTORE DEL DEPOSITO LIBRI
C1 - ACCESSO PUBBLICO ED ATRIO C2 - INFORMAZIONI C3 - FILTRI D'INGRESSO E DI USCITA C4 - CATALOGO MANUALE E INFORMATICO C5 - CONSULTAZIONE INFORMATICA C6 - CONSULTAZIONE RAPIDA, FOTOCOPIE C7 - SERVIZI IGIENICI C8 - BANCO CONSEGNA E RITIRO LIBRI C9 - SALE DI LETTURA C10 - LOCALI PER STUDIO, SEMINARI, ECC.
D1 D2 D3 D4 D5 D6 D7 D8 D9
D3
- ACCESSO LIBRI - ACCETTAZIONE - DEPOSITO LIBRI IN ARRIVO - LAB. DI RILEGATURA E RESTAURO - LAB. INFORMATICO, CATALOGO, SCANSIONE, MEMORIA CENTRALE - UFFICI DELLA DIREZIONE - SERVIZI IGIENICI PERSONALE - DEPOSITO LIBRI - INVIO E RITORNO LIBRI
D3 D1
DEPOSITO LIBRI - LIVELLI SUPERIORI D9
D10
LIVELLO DEL DEPOSITO E RELATIVI SERVIZI DI SUPPORTO D1 D3
D2
D3
D5
D4
D6
D7 D8 D9
SETTORE DEL PUBBLICO (CONSULTAZIONE)
SETTORE DEL DEPOSITO LIBRI E SERVIZI
C1 C2 C3 C4 C5 C6 C7 C8
D1 D2 D3 D4 D5
- ACCESSO PUBBLICO ED ATRIO - INFORMAZIONI - CATALOGO MANUALE (A SCHEDE) - CATALOGO INFORMATICO (TERMINALI) - SERVIZI IGIENICI PER IL PUBBLICO - FILTRI DI ENTRATA E USCITA - CONSULTAZIONE RAPIDA, FOTOCOPIE - CONSULTAZIONE INFORMATICA (SALE ATTREZZATE CON TERMINALI) C9 - SALE LETTURA, LOCALI PER STUDIO
- ACCESSO LIBRI E DOCUMENTI - RICEZIONE, ACCETTAZIONE - LIBRI IN ENTRATA - LAB. RILEGATURA E RESTAURO - LAB. INFORMATICO: CATALOGAZIONE, RIPRODUZIONE, DIGITALIZZAZIONE DEI TESTI D6 - MEMORIA CENTRALE (SERVER) D7 - DIREZIONE, AMMINISTRAZIONE D8 - SERVIZI IGIENICI PERSONALE D9 - TRASPORTO AUTOMATIZZATO LIBRI: AL DEPOSITO, AL BANCO DI CONSEGNA E RITIRO D10 - DEPOSITO (SU PIÙ PIANI)
ATTIVITÀ COMPLEMENTARI (OPZIONALI) C10 - MEDIATECA (VIDEO, PROIEZIONI, ECC.) C11 - SALA CONFERENZE PERCORSI DEL PUBBLICO (UTENTI) PERCORSI DEI LIBRI PERCORSO DELLE INFORMAZIONI (CAVO)
B 328
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE BIBLIOTECHE
B.9. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.9.1./3 SETTORI DI CONSULTAZIONE: RIFERIMENTI DIMENSIONALI E INGOMBRI
B.STAZIONI DILEGIZLII
SALE DI LETTURA POSTI DI LETTURA: DATI DI INGOMBRO E DI DISTRIBUZIONE (IN SALE CON O SENZA SCAFFALI DIRETTAMENTE ACCESSIBILI) 130÷150
130÷150
60
160÷200 40
80
180÷200 120÷140
60
360÷400 60
120÷140
120
120÷140
D.GETTAZIONE
90
90
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
90
65÷75 65÷75 90
70÷90
I ED PRE NISM ORGA
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
H. MAX. RIPIANI ACCESSIBILI
197
F. TERIALI,
POSTI DI LETTURA CONTRAPPOSTI CON ACCESSO AGLI SCAFFALI ALLE SPALLE
G.ANISTICA
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
70÷75
70÷75
197
CO NTALE AMBIE
POSTO DI LETTURA MODULO BASE
POSTI DI LETTURA DISPOSTI DI SCHIENA
POSTI DI LETTURA CON SCAFFALATURA ALLE SPALLE
POSTI DI LETTURA DI SCHIENA SEPARATI DA PERCORSO
URB
SPAZIO PER LA CONSULTAZIONE DEI CATALOGHI CATALOGHI MANUALI (A SCHEDE): DATI DI INGOMBRO E DI DISTRIBUZIONE 150÷180 90÷120 60 48
240 60
60
360÷400
180÷200
60
60
480÷520
240÷280
60
60
240
100÷120
75÷90
90 5 MOD.
180
300÷320
106 6 MOD.
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
43 50
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
72
72
CASSETTO
90÷120 40÷60
180
VISURA CATALOGO MODULO BASE
40÷60
VISURA CATALOGO CON PERCORSO PASSANTE
40÷60
180÷200
40÷60
VISURA CATALOGHI POSTI SU FRONTI OPPOSTI
40÷60
240÷280
40÷60
VISURA CATALOGHI SU FRONTI OPPOSTI, CON PERCORSO CENTRALE
40÷60
340÷360 180
180 90
90
90
180
80
60
100÷120
75÷90
BORDO DELLO SCHERMO APPENA PIÙ ALTO DELL'ALTEZZA D'OCCHIO NON DEVONO ESSERVI RIFLESSI DI LUCE SULLO SCHERMO
360 90
DISTANZA DELL'OCCHIO DALLO SCHERMO: TRA 45 E 70 CM
90
COSCE DEVONO ESSERE IN POSIZIONE ORIZZONTALE
1
1
90
160÷180 70÷90 90÷110
100
VISURA CATALOGHI SU DI UN FRONTE, CON PIANO DI CONSULTAZIONE E PERCORSO
SPAZI PER LA CONSULTAZIONE INFORMATICA POSTAZIONI DEL CATALOGO INFORMATICO, SALE CONSULTAZIONE TESTI INFORMATIZZATA: DATI DI INGOMBRO E DI DISTRIBUZIONE
90
1
SCHIENALE DELLA SEDIA INCLINATO ALL'INDIETRO BRACCIO E AVAMBRACCIO DEVONO RISULTARE A 90° 45÷70
POSTO DI VISIONE MODULO BASE
POSTI DI VISIONE CONTRAPPOSTI
POSTI DI VISIONE IN SERIE NON SEPARATI DA PERCORSO
POSTI DI VISIONE DI SCHIENA SEPARATI DA PERCORSO
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
39÷46
113÷132
RETE ELETTRICA E TELEMATICA
63÷65
PAVIMENTO FLOTTANTE
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
POSTO DI CONSULTAZIONE INFORMATICA SPECIFICHE ERGONOMICHE-SANITARIE
. B.9.1TECHE BIBLIO
B 329
B.9. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI BIBLIOTECHE
•
STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE
FIG. B.9.1./4 SALE DI LETTURA: RIFERIMENTI DIMENSIONALI E DISTRIBUTIVI A - TAVOLI SERVITI DA ILLUMINAZIONE NATURALE DIRETTA POSTI DI LETTURA AFFRONTATI (ILLUMINAMENTO DA DESTRA E SINISTRA)
V
V
V
V
V
V
V
160
V
V
V
120
V
V
V
160
V
V
V
V
120
ACCESSO AI POSTI
120
0
PERCORSO DI ACCESSO AI POSTI
180
CORSIA DI DISTRIBUZIONE
ACCESSO AI POSTI
0
PERCORSO DI ACCESSO AI POSTI
0
120
V
160
V
V
V
V
120
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
280 280 280 B - DISPOSIZIONE DEI TAVOLI CON ILLUMINAZIONE NATURALE DIRETTA POSTI DI LETTURA CON ILLUMINAMENTO SOLO DA SINISTRA
V
180
V
V
V
V
180
V
V
V
V
V
V
V
160
360
120÷180
450
180
V
90
SCHEMA PER LA DETERMINAZIONE DELLA LUNGHEZZA DEI TAVOLI (NUMERO POSTI LETTURA) RISPETTO ALL'ALTEZZA DELLA FINESTRA ALTEZZA DELLA FINESTRA DAL PIANO DI LETTURA
V
ACCESSO AI POSTI
V
360
300
180
V
V
160
V
120
CORSIA DI DISTRIBUZIONE
V
240 180
V
C - TAVOLI CON ILLUMINAZIONE NATURALE ASSENTE O DIFFUSA DALL'ALTO CON POSSIBILITA' DI ADOTTARE TAVOLI DI MAGGIORE LUNGHEZZA (8, 10, 12 POSTI)
PIANO DI LETTURA 20
270
CORSIA DI DISTRIBUZIONE
270 (3 POSTI) 360 (4 POSTI)
ACCESSO AI POSTI
450 (5 POSTI) 35
50
V
V
V
V
180
V
V
V
V
180
V
V
V
V
V
180
180
PROFONDITÀ CON BUON ILLUMINAMENTO
360
450
SPAZI DI CONSULTAZIONE E DI RICERCA DI PICCOLI GRUPPI 280
POSTO DI LETTURA
B 330
POSTAZIONE TERMINALE
120 360
120
360
120
POSTO DI LETTURA E TERMINALE
120
120
120
210
90 120
210
180
120
180 90
90
60
90
120
SPAZI DI CONSULTAZIONE E DI RICERCA SINGOLI
400
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE BIBLIOTECHE
B.9. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.9.1./5 SETTORE DI DEPOSITO LIBRI: RIFERIMENTI DIMENSIONALI E INGOMBRI
B.STAZIONI DILEGIZLII
DEPOSITO LIBRI IN SCAFFALI FISSI, CON PRELIEVO MANUALE LARGHEZZE DEI PERCORSI DI ACCESSO AGLI SCAFFALI (PRELIEVO E RICOLLOCAZIONE) IN DIVERSE CONDIZIONI DI ESERCIZIO
I ED PRE NISM ORGA
LIBRI: MISURE STANDARD
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
FORMATI TRADIZIONALI: IN "OTTAVO" 15 x 22 CM IN "QUARTO" 22 x 30 CM IN "FOLIO" 30 x 45 CM FORMATI DIN: A5 14,8 x 21,0 CM A4 21,0 x 29,7 CM A3 29,7 x 42,0 CM
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU 40
60
80
100
120
150
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
197
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
197
227
166
H. MASSIMA OPERATIVA
H. PRELIEVO AGEVOLE
SPAZIO OPERATIVO
MODULO SEMPLICE (MODULO BASE)
MODULO CARRELLO (MOD. HANDICAPPATO)
MOD. PASSAGGIO + MOD. ACCOSTAMENTO
MOD. CARRELLO+ MOD. ACCOSTAMENTO
MOD. CARRELLO+ MOD. PASSAGGIO
G.ANISTICA URB
DISPOSIZIONE DEGLI SCAFFALI - DEPOSITO A PRELIEVO MANUALE, CON USO DI CARRELLI B - DISPOSIZIONE A PETTINE DOPPIO (SCAFFALI CON MODULO 80) 35
45
A - DISPOSIZIONE A PETTINE SEMPLICE (SCAFFALI CON MODULO 90)
VOLUMI DI GRANDE FORMATO 120
0
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
0
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
90
0
90
0
0
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
0
90
0
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
0
90
0
70
80 150
70
80 150
70
80 150
70
80 150
70
80 150
70
80
80
80
80
160
80
80
80
80
DISPOSIZIONE DEGLI SCAFFALI - DISTRIBUITI NELLA SALA DI LETTURA SCAFFALI PARALLELI AI TAVOLI DI LETTURA (DA 6 POSTI) 430÷480
100÷120
120÷140
180
100÷120
90
90 90 270 90
DIMENSIONI RICORRENTI DI SCAFFALI PER IL PUBBLICO
90 270
120
90
120÷140
SCAFFALI ORTOGONALI AI TAVOLI DI LETTURA (DA 4 POSTI) 450÷490
LUNGHEZZA:
ALTEZZA:
60 CM 80 CM 90 CM 100 CM 120 CM
(15÷20 LIBRI PER RIPIANO) (20÷25 LIBRI PER RIPIANO) (25÷30 LIBRI PER RIPIANO) (30÷35 LIBRI PER RIPIANO) (35÷40 LIBRI PER RIPIANO)
4° RIPIANO = 92 CM + 10÷15 5° RIPIANO = 122 CM + 10÷15 6° RIPIANO = 166 CM + 10÷15 7° RIPIANO = 185 CM + 10÷15
(BAMBINI) (BAMBINI) (ISOLE) (FREQUENTE)
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
PROFONDITA' 30 CM (ORDINARIO, APERTO) 35 CM (ORDINARIO, APERTO) 40 CM (GRANDI LIBRI, APERTO) 40 CM (ORDINARIO, CHIUSO) 45 CM (GRANDI LIBRI, CHIUSO)
. B.9.1TECHE BIBLIO
B 331
B.9. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI BIBLIOTECHE
•
STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE
FIG. B.9.1./6 SALE CHE INTEGRANO POSTAZIONI DI LETTURA E DEPOSITO LIBRI B - DISPOSIZIONE A PETTINE - ILLUMINAZIONE NATURALE DA UNO DEI DUE LATI MAGGIORI TAVOLI DA 8 POSTI, CON SCAFFALI DI TESTA A RIPARO DEI POSTI DI LETTURA
TAVOLI DA 10 POSTI, SENZA SCAFFALI DI TESTA
450÷480
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
300
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
300
450÷480
V
450÷480
V
V
V
V
V
V
V
V
C - DISPOSIZIONE A PETTINE - ILLUMINAZIONE NATURALE DA SINISTRA PER TUTTI I POSTI DI LETTURA TAVOLI DA 3 POSTI IN LINEA, CON SCAFFALI DI TESTA TAVOLI DA 4 POSTI SENZA SCAFFALI DI TESTA
D - DISPOSIZIONE GENERICA (ILLUMINAZIONE DALL’ALTO) TAVOLI DA 4 POSTI, ORTOGONALI AGLI SCAFFALI
300
410÷420
80÷85
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
B 332
V
V
V
450÷480
300
V
180
V
V
V
SCAFFALI DI TESTA (H. œ165 CM + 32) 450÷480
V
TAVOLI DA 10 POSTI, SENZA SCAFFALI DI TESTA
V
180
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
V
B - DISPOSIZIONE A DOPPIO PETTINE - ILLUMINAZIONE NATURALE DAI DUE LATI MAGGIORI TAVOLI DA 8 POSTI, CON SCAFFALI DI TESTA A RIPARO DEI POSTI DI LETTURA
450÷480
V
450÷480
V
SCAFFALI DI TESTA (H. œ165 CM + 32) 450÷480
180
180
SCAFFALI A MURO (H. 198 + 32)
180
80÷85
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE BIBLIOTECHE
B.9. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.9.1./7 SETTORE DEPOSITO LIBRI – SCAFFALATURE COMPATTE MOBILI
MODULO
PERCORSO DI CARICO
PERCORSI DI CARICO
MOD.
PERCORSI DI CARICO
A - SCAFFALATURA MOBILE, A TRAZIONE MANUALE - SCORRIMENTO LOGITUDINALE DI UN DOPPIO SCAFFALE
MODULO
-
GLI SCAFFALI VENGONO ESTRATTI A MANO PER TUTTA LA LORO LUNGHEZZA, RENDENDO ACCESSIBILI I LIBRI. E' PREFERIBILE ADOTTARE MODULI DI ESTRAZIONE COSTITUITI DA DUE SCAFFALI UNITI DI SCHIENA. IL PERCORSO DI CARICO E SCARICO DEVE AVERE LARGHEZZA NON INFERIORE ALLA LUNGHEZZA DEGLI SCAFFALI DA ESTRARRE, IN MODO CHE TUTTI I LIBRI RISULTINO A VISTA E AGEVOLMENTE RAGGIUNGIBILI.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
MODULO
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
PERCORSO DI DISTRIBUZIONE
G.ANISTICA URB B - SCAFFALATURA MOBILE A TRAZIONE MANUALE - SCORRIMENTO LONGITUDINALE DI UNO SCAFFALE
M
-
-
MODULO PERCORSO DI CARICO PERCORSO DI DISTRIBUZIONE
-
DISPOSIZIONE FORMATA DA QUATTRO FILE COMPATTE DI SCAFFALI: DUE INTERNE FISSE E DUE ESTERNE MOBILI. GLI SCAFFALI ESTERNI,SCORRENDO LUNGO L'ASSE LONGITUDINALE SCOPRONO QUELLI FISSI RETROSTANTI. LUNGO LE FILE ESTERNE DI OGNI GRUPPO DI SCAFFALI, DEVE ESSERE LASCIATO LIBERO UN MODULO, IN MODO DA CONSENTIRE LA MOVIMENTAZIONE DEGLI SCAFFALI. I PERCORSI DI CARICO HANNO LARGHEZZA ORDINARIA, TALE COMUNQUE DA PERMETTERE IL PASSAGGIO DI UN OPERATORE CON CARRELLO PORTALIBRI.
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
PERCORSO DI CARICO
C - SCAFFALATURA MOBILE, A MANOVRA MANUALE O AUTOMATICA - SCORRIMENTO TRASVERSALE DEGLI SCAFFALI PERCORSO DI CARICO
-
PERCORSO DI CARICO
-
M
PERCORSO DI CARICO
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
MODULO
-
DISPOSIZIONE FORMATA DA FILE SEMPLICI O DOPPIE DI SCAFFALI COMPATTATI IN SERIE CHE ESPONGONO I LATI MINORI (CHIUSI) LUNGO IL PERCORSO DI CARICO. I MODULI SCORRONO IN GRUPPO, FINO A LIBERARE DUE MODULI TRASVERSALI (70÷80 CM) CHE DANNO ACCESSO AL FRONTE SCAFFALE AL QUALE SI VUOLE ACCEDERE. ANCHE IN QUESTO CASO DEVONO ESSERE LASCIATI LIBERI DUE MODULI PER OGNI SERIE COMPATTA, IN MODO DA CONSENTIRE LA TRASLAZIONE DEGLI SCAFFALI. LA TRASLAZIONE DEGLI SCAFFALI SI PUÒ EFFETTUARE A MANO (MA RISULTA GRAVOSA PER L'ALTO NUMERO DI TRASLAZIONI NECESSARIE), O MEDIANTE SISTEMA AUTOMATICO (A COMANDO DIRETTO O CENTRALIZZATO).
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
PERCORSO DI DISTRIBUZIONE
. B.9.1TECHE BIBLIO
B 333
B.9. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI BIBLIOTECHE
•
STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE
FIG. B.9.1./8 DEPOSITO LIBRI – SCAFFALATURE COMPATTE AUTOMATIZZATE SCAFFALATURA AUTOMATIZZATA SISTEMA CON CONTENITORI FISSI E PIATTO DI PRELIEVO MOBILE, A TRASLAZIONE ORIZZONTALE E VERTICALE D - SCAFFALATURA AUTOMATIZZATA
SCHEMA DI MANOVRA VERTICALE
PIATTO MOBILE DI CARICO/SCARICO STRUTTURA DEI CONTENITORI CONTENITORI DEI LIBRI
SCHEMA ASSONOMETRICO DI MANOVRA ORIZZONTALE E VERTICALE
M.2
M.1
TRASLAZIONE VERTICALE
- SISTEMA COMPATTO DI STIVAGGIO DEI LIBRI,TOTALMENTE AUTOMATIZZATO E COMANDATO DIGITALMENTE A DISTANZA, COSTITUITO DA: - COPPIE AFFRONTATE DI STRUTTURE VERTICALI DI CONTENIMENTO CON LATO APERTO VERSO UN VANO CENTRALE (MODULO 2) - APPARECCHIO DI PRELIEVO (PIATTO): CORRE,CON MOVIMENTO DI TRASLAZIONE LONGITUDINALE E VERTICALE, ALL'INTERNO DEL VANO CENTRALE, SECONDO I COMANDI IMPARTITI DA UNA TASTIERA CENTRALE, PROVVEDENDO AL CARICO E SCARICO DEI CONTENITORI; - CONTENITORI: CASSETTE METALLICHE CON COPERCHIO CHE CUSTODISCONO I LIBRI (MODULO 1) - BANCO DI PRELIEVO E DI INVIO: IL PERSONALE RICEVE I CONTENITORI DAL PIATTO E PRELEVA I LIBRI RICHIESTI O LI RINVIA ALLA LORO COLLOCAZIONE
M.1
SCHEMA DI MANOVRA ORIZZONTALE
M.2
B
BANCO DI PRELIEVO E DI INVIO
PIATTO MOBILE DI CARICO/SCARICO POSTAZIONE DI SOSTA NEL BANCO SCHERMO DI PROTEZIONE DEGLI OPERATORI MOD. 1 = MODULO STRUTTURA MOD. 2 = MODULO CONTENITORE DEI LIBRI
B 334
SCHERMI DI PROTEZIONE DEGLI OPERATORI BANCO DI PRELIEVO E DI INVIO CONTENITORE DEI LIBRI
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE BIBLIOTECHE
B.9. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.9.1./9 ATTIVITÀ INTEGRATIVE E COMPLEMENTARI ATTIVITÀ INTEGRATIVE E COMPLEMENTARI DI UNA BIBLIOTECA INFORMATIZZATA DI DIMENSIONI MEDIO-GRANDI A - SPAZI PER LA CONSULTAZIONE E IL DEPOSITO DI MATERIALI MULTIMEDIALI
B - SPAZI PER LA CONNESSIONE ALLA RETE INTERNET E SERVIZI ACCESSORI
B3 A8
A7
B4
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
B5
A6
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU A2
A1
B1
B2
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
B6 A5
A
A4
B8
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
A3
- MEDIATECA
A1 A2 A3 A4 A5 A6 A7 A8 -
B7
B
ACCESSO DALL'ATRIO BIBLIOTECA SALA POSTAZIONI TERMINALI DEPOSITO MATERIALI MULTIMEDIALI STAMPA E RIPRODUZIONI LABORATORIO TECNICO SALETTA VISORI (FILMATI, VIDEO, DIAPOSITIVE) SALETTA AUDIZIONE (CASSETTE, REGISTRAZIONI) SERVIZI IGIENICI
- SALA INTERNET
B1 B2 B3 B4 B5 B6 B7 B8 -
C
ACCESSO DALL'ATRIO BIBLIOTECA SALA PROIEZIONI MULTIMEDIALI DEPOSITO PROGRAMMI, CD ROM, ECC. STAMPA E RIPRODUZIONI LABORATORIO TECNICO SALETTA TELECONFERENZE SALETTA TELECONFERENZE (VIDEOCONFERENZE) SERVIZI IGIENICI
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
- SALA CONFERENZE
C1 C2 C3 C4 C5 C7 C8 -
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
ACCESSO DALL'ATRIO BIBLIOTECA SETTORI DEL PUBBLICO ACCESSO CABINA DI PROIEZIONE PALCO CONFERENZE SCHERMI PER PROIEZIONI MULTIMEDIALI USCITE DI SICUREZZA SERVIZI IGIENICI
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
C - DISTRIBUZIONE DI UN COMPLESSO DI ATTIVITÀ COMPLEMENTARI (MEDIATECA, SALA INTERNET, SALA CONFERENZE) INTORNO ALL'ATRIO DELLA BIBLIOTECA C7 A6 - A7
A3 - B3
C8
A5 - B5 C2 C5 A2
A1
ATRIO BIBLIOTECA
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E SALA CONFERENZE
C4
C5
INFORMAZIONI
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
C1
B1
SALA INTERNET
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
C1
MEDIATECA
B2
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
C3
C2
C5
A8 - B8 B6
B7
C8
C7
. B.9.1TECHE BIBLIO
B 335
B.9. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI MUSEI, GALLERIE D’ARTE, PINACOTECHE
•
STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE
EVOLUZIONE DELLE ATTIVITÀ DEL MUSEO E CRITERI DI CLASSIFICAZIONE L’essenza del “museo” è definibile nel raccogliere e custodire testimonianze (artistiche, storiche, culturali, scientifiche) e nell’esporle al pubblico e agli studiosi al fine di accrescere la conoscenza della natura e dell’opera dell’uomo. Anche il tema del museo (come già la biblioteca) pone al centro l’esigenza di custodire e preservare i documenti di cultura, l’esigenza di promuovere l’accesso e la consultazione di questo “patrimonio” da parte di un crescente numero di fruitori e quella connessa dell’ordinamento dei materiali e delle informazioni. Il modello classico di museo si specifica appunto nell’articolazione in due nuclei funzionali rivolti a queste attività essenziali: • spazi destinati alla custodia (riserva) delle testimonianze (opere d’arte, reperti archeologici, opere della tecnica, prodotti della cosidetta “cultura materiale”, ecc); • spazi destinati all’esposizione. Con la diffusione dei processi di alfabetizzazione, la funzione espositiva ha assunto crescente rilievo rispetto a quella della conservazione delle testimonianze, comportando una estesa articolazione di fattispecie di musei, fino a configurare casistiche rivolte alla sola esposizione di opere e documenti provenienti da raccolte esterne, che non contemplano attività anche di deposito e custodia: i palazzi delle esposizioni. L’estensione dell’ambito di pertinenza di ciò che chiamiamo “cultura” ha poi promosso la proliferazione di un’ampia casistica di beni ritenuti degni di essere conservati, di essere mostrati ed essere trasmessi alle generazioni future come testimonianza di storia e di civiltà: accanto alle opere d’arte, ai reperti archeologici, alle meraviglie naturali e alle scoperte scientifiche – patrimonio tradizionale dei primi musei – si sono raccolti gli oggetti significativamente ordinari, testimonianza della “cultura materiale” e del costume: strumenti dell’attività agricola, prodotti industriali, del design, della moda, ricostruzione di ambienti della vita quotidiana ecc. Si comprende, pertanto, quanto risulti difficile proporre tipizzazioni e classificazioni in ambito del tema del museo. Tenteremo comunque di elencare alcuni parametri che possano, a vario titolo, orientare l’ordinamento dei musei. Adottando il criterio dimensionale possiamo distinguere: • piccoli musei a carattere locale (opere di artisti locali, musei delle tradizioni popolari, musei scientifici scolastici); • musei di media dimensione (di grandi comuni, di plessi scolastici, di ateneo, di enti di ricerca); • grandi musei (di città, archeologici, di grandi enti di ricerca); • musei nazionali, con ruolo di distribuzione e diffusione delle informazioni e delle opere anche verso altre strutture del territorio nazionale. Adottando il criterio della specificità del fruitore – destinatario privilegiato delle informazioni – si possono distinguere: • musei d’arte (pinacoteca, calcografia, gabinetto delle stampe ecc.); • musei archeologici; • musei scientifici (tematici, di fondazioni, di enti di ricerca e università); • musei delle tradizioni popolari e della “cultura materiale”; • musei del costume.
Adottando il criterio del tasso di informatizzazione, si può distinguere: • musei tradizionali non informatizzati (alcuni musei minori, popolari, di scuole di grado inferiore); • musei a basso tasso di informatizzazione: sono informatizzati solo il catalogo e la sua consultazione; • musei a medio tasso di informatizzazione: oltre al catalogo, è possibile consultare mediante terminali o supporti informatici riproduzioni, diapositive, filmati di una parte dei documenti e delle informazioni custodite; contempla la presenza almeno di una sala di consultazione informatica attrezzata con i necessari terminali; • musei ad alto tasso di informatizzazione: la maggior parte delle testimonianze e delle informazioni sono sono stati riprodotti e archiviati in una memoria centrale e la consultazione può avvenire sia mediante visione dell’oggetto che mediante terminale o supporto magnetico; • musei virtuali: gli originali (documenti e opere) non sono consultabili (salvo casi particolari) e tutta l’attività di fruizione e di studio si svolge sulla base di riproduzioni, mediante terminali, supporti magnetici o stampa da supporto informatico. Adottando il criterio della presenzae consistenza del “patrimonio”, si può distinguere: • musei privi di una propria collezione, che espongono opere e oggetti provenienti da raccolte esterne (gallerie, palazzi delle esposizioni ecc.); • musei con proprie raccolte di opere, oggetti o documenti, ma che espongono anche, periodicamente, raccolte tematiche di provenienza esterna; • musei che espongono esclusivamente il proprio patrimonio. Adottando infine il criterio delle caratteristiche degli edifici o spazi che ospitano le opere, si può distinguere: • musei ospitati in spazi di complessi edilizi con altra destinazione (piccoli musei scolastici, universitari, comunali, di enti); • musei ospitati in spazi o edifici originariamente realizzati per altre destinazioni: si tratta del caso molto frequente di “palazzi” storici, ma anche di complessi di archeologia industriale, di edifici significativi dell’architettura moderna ecc.; in questi casi la collocazione di un museo costituisce anche strategia di salvaguardia e conservazione dell’edificio ospitante; • musei ospitati in spazi o edifici specificamente progettati e destinati; • musei ambiente: contesto urbano o territoriale perimetrato e preservato – spesso integrato dalla collocazione, negli edifici o all’aperto,di oggetti e opere storicamente omogenee – per consentire l’esperienza continua e integrata di un’ambiente storico o culturale. Nella costituzione di un museo, i criteri appena elencati intervengono spesso intrecciati tra di loro nella definizione del ruolo e delle finalità istitutive, ed è questo che rende arduo un ordinamento operato secondo schemi tipologici di classificazione. Più utile e agibile si è mostrata l’individuazione delle diverse classi di esigenze chiamate in causa dalla realizzazione di un museo e la specificazione dei corrispondenti requisiti, riportata nel paragrafo seguente.
RIFERIMENTI NORMATIVI E PRESTAZIONALI Il Ministero per i Beni e le Attività culturali, accogliendo le raccomandazioni dell’ICOM (International Council of Museums), ha emanato specifici “Criteri tecnico-scientifici e standard per i musei” (art.150, c.6, DL n.112/1998). Si tratta di disposizioni e indicazioni di carattere generale (statutario, organizzativo, gestionale), con limitate prescrizioni esplicitamente rivolte agli assetti edilizi e architettonici. Tuttavia il testo propone un esaustivo schema di ordinamento degli adempimenti necessari per la programmazione e la gestione dei musei e una chiara elencazione delle molteplici attività connesse al loro funzionamento, con specificazioni di rilevante importanza per la progettazione sia degli spazi museali che degli allestimenti delle esposizioni.
Successivamente (con DM 25 luglio 2000), lo stesso ministero ha emanato un “Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei” – elaborato da un gruppo tecnico di lavoro – che riprende e specifica le indicazioni generali dei “Criteri”, corredandole di dati tecnici essenziali per la corretta progettazione dei musei. Si è ritenuto, pertanto, utile stralciare, integrare e sintetizzare di seguito le parti dei due documenti che possono offrire risposte significative alle domande di chi si accinge a progettare un museo, in una nuova struttura o in un edificio esistente, e di chi è chiamato a curare un allestimento museale o espositivo.
CRITERI TECNICO-SCIENTIFICI E STANDARD PER I MUSEI
nizione di finalità e funzioni, compiti e attività, diritti e doveri, ordinamento e assetto finanziario, organizzazione interna e risorse umane, nonché mediante principi e norme di gestione amministrativa e patrimoniale, di gestione e cura delle collezioni e di erogazione dei servizi al pubblico. È responsabilità primaria degli enti proprietari o delle amministrazioni responsabili dotare di uno statuto o di un regolamento i musei da loro dipendenti, che in armonia con le linee guida generali previste per la loro redazione, individui chiaramente: • la sua natura di organismo permanente e senza scopo di lucro; • la missione e le finalità del museo; • le forme di governo e di gestione; • l’assetto finanziario e l’ordinamento contabile; • le norme e le dotazioni di personale; • il patrimonio; • i principi generali per la gestione e cura delle collezioni; • i principi generali di erogazione dei servizi al pubblico; • le modalità di raccolta dei dati sull’attività e la gestione del museo, a fini statistici e di programmazione.
STATUS GIURIDICO In Italia il museo si caratterizza come un istituto scarsamente “tipizzato”: tanto nel caso dei musei pubblici, quanto dei musei privati esso non è regolato da norme specifiche. Dotare i musei – indipendentemente dalla loro condizione, pubblica o privata, autonoma o integrata all’interno di un ente – di statuti e regolamenti consente di riconoscere loro uno status giuridico proprio e di assicurare a ciascun museo un complesso di norme correlato alla sua specifica missione. L’esistenza di uno statuto e/o di un regolamento, coerente con una comune definizione di museo e caratterizzato da alcuni requisiti minimi, quanto a struttura e contenuti, costituisce il primo degli standard minimi previsti dal Codice deontologico dell’ICOM. Statuti e regolamenti costituiscono punto di riferimento per l’organizzazione e il funzionamento di ogni museo e lo strumento per orientarne l’attività, mediante la defi-
B 336
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE MUSEI, GALLERIE D’ARTE, PINACOTECHE
B.9. 2. A.ZIONI
STRUTTURE DEL MUSEO Le istituzioni museali presenti sul territorio nazionale sono entità che, pur con caratteristiche tipologiche e dimensionali assai differenti le une dalle altre, forniscono un “servizio” di carattere culturale. La “qualità” dell’istituzione museale deve essere valutata non in relazione al suo livello di merito – in relazione alle collezioni possedute o all’attrazione sul pubblico o alla dimensione fisica – bensì in relazione alla capacità di fornire il servizio che ne costituisce la finalità, cioè alla capacità di soddisfare le esigenze connesse: • alla gestione del museo; • alla cura delle collezioni; • al servizio al pubblico. In questa ottica le istituzioni museali sono chiamate non tanto a perseguire obiettivi corrispondenti a teoriche condizioni ottimali quanto a operare in “garanzia di qualità”, cioè a prevedere e attuare un insieme di azioni pianificate e sistematiche necessarie a dare adeguata confidenza che il servizio reso soddisfi determinati “obiettivi di qualità”, e sia dotato di strutture organizzative, procedure e risorse per il mantenimento di tale qualità (sistema qualità). Il museo è tenuto a garantire che le sue strutture siano adeguate alle funzioni cui sono adibite, in conformità alla politica e agli obiettivi educativi e con riferimento alle esigenze delle collezioni, del personale e del pubblico: • Il museo deve rendere esplicito il quadro esigenziale cui intende riferirsi, dettagliando le esigenze che riguardano l’esposizione, la conservazione nel tempo, la registrazione, la documentazione e il restauro delle collezioni, nonché i servizi per il pubblico in termini di conoscenza, educazione, ricerca e studio e quelli per il personale; • Indipendentemente dalla determinazione di standard minimi qualitativi e quantitativi, il museo deve garantire che le sue strutture abbiano le proprietà e le caratteristiche che conferiscono ai servizi forniti la capacità di soddisfare le esigenze delle sue collezioni, del suo personale e del suo pubblico: siano cioè in grado di conseguire specifici obiettivi di qualità; • Il museo deve garantire la disponibilità di strutture: - adeguate in termini sia tipologici che dimensionali; - flessibili (capaci di mutare nel tempo in relazione al mutare delle esigenze); - attrezzabili (capaci di soddisfare esigenze diverse); - funzionali (efficaci nel garantire il raggiungimento degli obiettivi); - controllabili (con prestazioni modulabili in relazione alle effettive esigenze); - manutenibili (tali da poter essere mantenute efficienti nel tempo); - accessibili e riconoscibili; • Il museo è tenuto ad assicurare che le strutture siano conformi alle disposizioni di carattere cogente (standard legislativi), ad attuare interventi finalizzati a rendere le strutture atte a conseguire predeterminati obiettivi di qualità (standard normativi) e a prevedere tutte le azioni necessarie per dare adeguata confidenza che i servizi forniti soddisfino nel tempo gli obiettivi di qualità (standard procedurali). SICUREZZA DEL MUSEO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. B.9.2./1 OBIETTIVI DI QUALITÀ Le proprietà e le caratteristiche che conferiscono al servizio fornito dagli elementi strutturali la capacità di soddisfare le esigenze sono elencate e definite nella seguente tabella.
I ED PRE NISM ORGA
DISPONIBILITÀ
proprietà che contempla la presenza dell’elemento strutturale in termini sia tipologici che quantitativi
FLESSIBILITÀ
proprietà che conferisce al servizio fornito dall’elemento strutturale la capacità di mutare nel tempo in relazione al mutare delle esigenze
ATTREZZABILITÀ
proprietà che conferisce al servizio fornito dall’elemento strutturale la capacità di soddisfare esigenze diverse appartenenti alla stessa classe
FUNZIONALITÀ
proprietà che conferisce al servizio fornito dall’elemento strutturale la capacità di essere efficace, cioè garantire l’obiettivo per il quale è stato concepito
E.NTROLLO
CONTROLLABILITÀ
proprietà che conferisce al servizio fornito dall’elemento strutturale la capacità di essere modulato in relazione alle effettive esigenze
F. TERIALI,
MANUTENIBILITÀ
proprietà che conferisce al servizio fornito dall’elemento strutturale la capacità di essere mantenuto efficiente nel tempo
ACCESSIBILITÀ
proprietà che conferisce al servizio fornito dall’elemento strutturale la capacità di essere accessibile
RICONOSCIBILITÀ
proprietà che conferisce al servizio fornito dall’elemento strutturale la capacità di essere riconoscibile
TAB. B.9.2./2 ELEMENTI STRUTTURALI E CLASSI DI ESIGENZE ELEMENTI STRUTTURALI CARATTERISTICI
CLASSI DI ESIGENZE DELLA COLLEZIONE
CLASSI DI ESIGENZE DEL PERSONALE
CLASSI DI ESIGENZE DEL PUBBLICO
1.
Esposizione
Esercizio
Fruizione
Spazi esterni
Esposizione Nell’ambito dei beni culturali sono presenti diverse problematiche inerenti la salvaguardia degli edifici, del loro contenuto, degli occupanti (frequentatori e addetti): ciò che è individuato con security e safety. Tali problematiche assumono di volta in volta la denominazione di conservazione, tutela, restauro, sicurezza sul lavoro, sicurezza antincendio ecc., e coinvolgono aspetti di ordine ambientale, strutturale, di uso, anticrimine e antincendio. Quando si tratta di insediamenti ed edifici realizzati in un arco temporale misurabile in secoli, non modificabili con interventi strutturali e impiantistici invasivi, non si possono dettare prescrizioni valide per tutti i casi. L’analisi del rischio parte dalla raccolta organica e uniforme dei dati relativi ai singoli pericoli, alle corrispondenti vulnerabilità e ai relativi fattori di esposizione che concorrono alla determinazione del rischio. La definizione della strategia di sicurezza parte dalla conoscenza di tali dati e delle singole realtà costruite. Il museo deve garantire: • la sicurezza ambientale; • la sicurezza strutturale; • la sicurezza nell’uso; • la sicurezza anticrimine; • la sicurezza in caso di incendio.
B.STAZIONI DILEGIZLII
2.
Fruizione
Conservazione Spazi interni
Educazione Esercizio
Documentazione Consultazione Restauro Esposizione 3.
Sistema d’allestimento
Fruizione Esercizio
Educazione
Conservazione Consultazione Esposizione
4.
Sistema d’illuminazione
Conservazione
Il museo è tenuto ad assicurare che le strutture siano conformi alle disposizioni di carattere cogente (standard legislativi), ad attuare interventi finalizzati a rendere le strutture atte a soddisfare i requisiti essenziali (standard normativi) e a prevedere tutte le misure preventive, di protezione attiva e passiva e organizzative per dare adeguata confidenza sul mantenimento nel tempo delle condizioni di sicurezza.
7.
Sistema di controllo ambientale
Conservazione
6.
8.
Sistema di trasporto
PRO TTURALE STRU
CO NTALE AMBIE ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
Documentazione Restauro
Sistema di comunicazione e trasmissione dati
D.GETTAZIONE
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
Esposizione 5.
E ESE ESSIONAL PROF
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
Documentazione Restauro
Il museo deve tendere a: • mitigare le azioni dell’ecosistema territoriale, attraverso interventi di analisi, monitoraggio e bonifica; • tutelare, conservare e consolidare il contenitore delle collezioni nei confronti delle suddette azioni; • tutelare e conservare le sue collezioni, anche in condizioni di emergenza; • garantire la sicurezza del personale e dei visitatori, anche in condizioni di emergenza; • garantire la sicurezza dei soccorritori in condizioni di emergenza.
C.RCIZIO
Esposizione
Fruizione Esercizio
Educazione
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
Documentazione Consultazione Esposizione Esercizio
Fruizione
Conservazione Esposizione
Servizi elettrici Conservazione
E, . D’ART B.9.2 GALLERIE I, E S MU OTECHE C PINA
B 337
B.9. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI MUSEI, GALLERIE D’ARTE, PINACOTECHE
•
STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE
➦ RIFERIMENTI NORMATIVI E PRESTAZIONALI SCHEDA TECNICA – SISTEMI DI SICUREZZA E ADEMPIMENTI 1. FINALITÀ DI UN SISTEMA DI SICUREZZA Le finalità che ogni intervento finalizzato alla sicurezza deve assumere e integrare sono: a) Mitigazione delle “azioni” presenti nel contesto dell’ecosistema territoriale nel quale si trovano gli insediamenti e gli edifici, anche attraverso interventi di analisi, monitoraggio e bonifica; b) Tutela, conservazione, consolidamento degli insediamenti e degli edifici (“contenitori”) anche nei confronti delle “azioni” di cui al punto precedente; c) Tutela, conservazione del “contenuto” degli insediamenti e degli edifici anche in condizioni di emergenza; d) Sicurezza degli “occupanti” (frequentatori e addetti) anche in condizioni di emergenza; e) Sicurezza dei soccorritori in condizioni di emergenza. 2. REQUISITI ESSENZIALI DI UN INSEDIAMENTO (EDIFICIO) I requisiti essenziali che gli insediamenti e gli edifici, contenitori di “beni e attività culturali” devono garantire, possono essere così schematizzati: • Sicurezza ambientale; • Sicurezza strutturale; • Sicurezza nell’uso; • Sicurezza anticrimine; • Sicurezza in caso d’incendio; Sicurezza ambientale Nell’ambito della sicurezza ambientale si considerano le “azioni” che l’ecosistema può esercitare sull’insediamento, sugli edifici e sulle sovrastrutture del sistema considerato. Tra queste si segnalano: • Sismicità; • Subsidenza; • Vulcanesimo; • Bradisismo; • Dissesti idrogeologici; • Presenza di falde superficiali; • Agenti meteo–marini; • Ceraunicità; • Inquinamento atmosferico; • Inquinamento elettromagnetico; • Degrado urbanistico; • Effetti “domino” dovuti a insediamenti e infrastrutture al contorno; • Traffico. A fronte dei suddetti rischi, occorrerà verificare l’adeguatezza dell’insediamento e delle strutture a esso connesse e, ove necessario, predisporre adeguati piani di intervento per la messa in sicurezza, il consolidamento, la protezione ecc. In ogni caso occorrerà che per ognuna delle “azioni” prese in considerazione sia garantita l’esistenza di un capitolo dedicato alla pianificazione delle emergenze per la messa in sicurezza dei beni culturali mobili presenti nell’insediamento anche in condizioni di emergenza. Sicurezza strutturale Con l’espressione sicurezza strutturale si vuole intendere la stabilità degli edifici e delle strutture nei confronti di qualsivoglia “azione”, comprese quelle ambientali di cui al precedente punto. Tra queste si segnalano: • Vetustà; • Deficienze strutturali; • Deficienze nella manutenzione; • Azioni conseguenti al sisma; • Azioni conseguenti a dissesti idrogeologici; • Azioni conseguenti a dissesti meteorologici; • Sovraccarichi statici e dinamici; • Cantieri, sbancamenti e simili; • Vibrazioni. A fronte delle suddette azioni, occorrerà verificare l’idoneità statica delle strutture e, ove necessario, predisporre un progetto di adeguamento e/o miglioramento. Sicurezza nell’uso Questo requisito investe tutti quegli aspetti della sicurezza
B 338
che sono in genere regolamentati da Direttive europee e da disposizioni legislative nazionali. Le problematiche emergenti sono: • Compatibilità delle destinazione d’uso generali e specifiche; • Fruibilità da parte di grandi masse (affollamento, gestione dei flussi ecc.); • Barriere architettoniche; • Infortuni sul lavoro e malattie professionali; • Agenti nocivi (fisici, chimici, biologici); • Microclima; • Illuminazione; • Rumore; • Contenimento energetico; • Impianti tecnologici di servizio: – impianti elettrici; – impianti termici; – impianti per la movimentazione interna (elevatori ecc.); – impianti distribuzione gas combustibili e gas tecnici; – impianti condizionamento; – impianti idrico – sanitari; • Impianti e sistemi di protezione attiva; • Impianti per le comunicazioni interne; • Impianti e sistemi bus; • Macchine, apparecchiature, attrezzature; • Lavorazioni; • Cantieri; • Servizi aggiuntivi: – cucine; – ristoranti; – bar; – rivendita di libri; – guardaroba; • Manifestazioni occasionali; • Aree a rischio specifico; • Rifiuti solidi urbani e tossico–nocivi; • Inquinamento acqua, aria, suolo. Particolare attenzione andrà rivolta all’eliminazione delle barriere architettoniche, oltre che per ovvi motivi di fruibilità, anche per l’importante aspetto legato alla eventuale evacuazione in caso di emergenza. Sicurezza anticrimine Con l’espressione sicurezza anticrimine si vuole intendere la tutela del patrimonio culturale con particolare riguardo ai beni mobili nei confronti di “azioni” dolose. Tra queste si segnalano: • Effrazione; • Intrusione; • Vandalismi; • Taccheggi; • Furti; • Rapine; • Attentati; Gli strumenti disponibili sul piano tecnico per poter perseguire gli obiettivi di sicurezza sono essenzialmente: • Sbarramenti alla azione dolosa: si tratta delle barriere di protezione passiva (sbarramenti fisici) e a uomo presente (vigilanza) tra loro integrate; • Contrasto alla azione dolosa: strumento che si affida ai sistemi di protezione attiva basati sulla tecnologia e a tempestivi interventi di repressione a uomo presente tra loro sinergici. Sicurezza in caso di incendio Gli obiettivi della sicurezza in caso di incendio, da prendere a riferimento in modo mirato e soprattutto integrato, in ambito dei beni culturali sono: • Sicurezza degli insediamenti e degli edifici anche in caso di incendio; • Sicurezza del “contenuto” anche in caso di incendio; • Sicurezza degli “occupanti” (frequentatori e addetti) anche in caso di incendio; • Sicurezza dei soccorritori.
L’espressione “sicurezza in caso d’incendio” indica qualcosa in più rispetto alla “sicurezza antincendio”, inquanto implica che la sicurezza deve essere garantita anche nel caso di un incendio che non si è potuto evitare. È quindi necessario un “progetto sicurezza” che deve fare riferimento a un percorso costituito da diversi momenti, tra i quali si segnalano: • definire l’incendio (focolaio) di progetto che si vuole affrontare e risolvere; • provvedere al suo rilevamento tempestivo; • provvedere all’invio di allarmi mirati; • provvedere al controllo e/o allo spegnimento con sostanze idonee; • provvedere all’intervento a uomo presente per verifiche e/o azioni mirate. 3. STRATEGIA DI SICUREZZA La strategia di sicurezza rimanda alle misure preventive, di protezione attiva e passiva, e a quelle organizzative cui il progettista della sicurezza deve fare riferimento. Le misure preventive interagiscono con la frequenza di accadimento degli eventi riducendo le occasioni di rischio. Le misure di protezione passiva mitigano le conseguenze di un’azione o di un evento dannosi che non si sia potuto evitare. Appartengono a questa categoria di misure: • le recinzioni; • le chiusure d’ambito esterno; • la resistenza al fuoco delle strutture e delle sovrastrutture; • la reazione al fuoco dei materiali e degli arredi; • le compartimentazioni; • le vie di esodo. Le misure di protezione attiva riguardano i sistemi di protezione integrati (tecnologia e vigilanza a uomo presente) che dovranno essere contemplati nei “progetti di sicurezza” e soddisfare il requisito della “affidabilità” intendendo con questo termine che siano soddisfatte le seguenti condizioni: • Idoneità: il sistema non deve creare danni aggiuntivi a quelli dell’evento dal quale ci si vuol proteggere sia con riguardo alla sicurezza delle persone che a quella degli edifici e del loro contenuto; • Tempestività: il sistema deve consentire il rilevamento precoce dell’evento e l’intervento immediato; • Efficacia: il sistema deve garantire il raggiungimento dell’obiettivo di progetto; al riguardo si deve segnalare la odierna disponibilità di una ampia modellistica di riferimento per gli eventi che consente di superare le approssimazioni empiriche che fino a oggi hanno guidato la progettazione in materia; • Disponibilità: il sistema deve essere in grado di intervenire quando ciò sia richiesto; • Protezione contro il sabotaggio: i sistemi di protezione attiva devono essere protetti contro il sabotaggio; • Grado di automazione: si deve sottolineare che i sistemi di protezione attiva si diversificano anche per il loro grado di automazione, in quanto l’uomo e la tecnologia possono essere deputati al loro funzionamento in diversa misura. Per gestire un elevato grado di automazione, occorre essere certi di una buona ingegneria di progetto, di una accurata costruzione, di una competente installazione e infine di una costante e scrupolosa manutenzione programmabile fin dalla fase di progetto; • Falsi allarmi: il sistema deve essere esente o deve ridurre al minimo la possibilità di falsi allarmi; • Facilità di manutenzione: il sistema deve essere facilmente “testabile” per una diagnosi precoce dei guasti che devono essere del tipo “fail–safe” (devono mettere in sicurezza i luoghi e/o quantomeno autosegnalarsi); ogni guasto deve poter essere riparato in tempo breve e sul posto. Infine, le misure organizzative per la gestione della sicurezza afferiscono alla gestione del rischio in ogni sua fase (risk management).
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE MUSEI, GALLERIE D’ARTE, PINACOTECHE
B.9. 2. A.ZIONI
Risk management Il risk management riguarda l’organizzazione che ciascuna struttura si deve dare per la sicurezza, vale a dire gli adempimenti progettuali e organizzativi necessari per il perseguimento degli obiettivi prefissati, la predisposizione di risorse, il controllo sistematico, le azioni correttive, la formazione e l’addestramento degli addetti e dei gestori delle emergenze. Il risk management riguarda anche la pianificazione e la gestione di quelle emergenze che non si sia potuto prevenire, controllandone l’evoluzione per minimizzarne le conseguenze. Pianificare l’emergenza significa formulare un piano operativo per la sua gestione. Il piano di emergenza si deve qualificare per il dettaglio della progettazione organizzativa: non può consistere solo nella individuazione degli scenari attesi, nella predisposizione delle risorse, nella determinazione delle linee di flusso per la loro attivazione e di chi e che cosa deve fare, ma deve caratterizzarsi anche per la coerenza e fattualità delle azioni da attivare in ragione di detti scenari. Si deve valutarne l’operabilità, sia attraverso simulazioni, realizzate mediante modelli matematici implementati su calcolatori, sia attraverso concrete sperimentazioni. La gestione delle emergenze sarà tanto più efficace quanto più gli scenari di progetto saranno realistici e conservativi. Il piano di emergenza deve prendere in considerazione anche i rapporti con entità esterne: soccorritori professionali e le forze dell’ordine. L’affidabilità dell’intervento loro richiesta potrà essere garantita attraverso un lavoro congiunto di pianificazione e di verifica mediante esercitazioni congiunte. 4. STANDARD LEGISLATIVI E NORMATIVI Gli standard legislativi e normativi in materia di sicurezza si sostanziano in un quadro di riferimento costituito da Direttive europee, Regole Tecniche e da Norme tecniche di prodotto e di impianto. Le Direttive europee si discostano dalla tradizionale metodologia deterministico–prescittiva per privilegiare la progettazione di sicurezza caso per caso, basata su di una virtuale griglia che individua i suoi nodi fondamentali nei Requisiti essenziali, negli Obiettivi di sicurezza per ciascun requisito, nella Strategia, ma anche nelle Regole Tecniche e nelle Norme Tecniche. • Con Regole Tecniche si intende il quadro di riferimento di disposizioni legislative nazionali che fino a un recente passato veniva brevemente individuato come “Norme”. Con l’avvento della UE si è reso necessario distinguere le disposizioni legislative nazionali “cogenti” dal novero delle “Norme Tecniche” di “impianto” e di “prodotto” che, pur se “volontarie”, hanno assunto esclusività nella caratterizzazione tecnica di tali materie.
Nelle relative materie, gli Stati membri possono regolamentare con proprie Regole Tecniche, – ad esempio quali e quanti presidi di sicurezza devono essere adottati a fronte di questo o quel rischio – ma non possono definire come tali presidi devono essere realizzati, rimandando tale compito alle Norme Tecniche. • Per Norme Tecniche si intendono le norme di buona tecnica di natura formalmente volontarie, ma di fatto obbligatorie in quanto conferiscono ope legis agli impianti e ai prodotti la presunzione di essere conformi alle regole dell’arte. Le Norme Tecniche sono emanate da organismi comunitari (CEN, CENELEC, EOTA) e recepite dai corrispondenti organismi nazionali (UNI, CEI, Organismi nazionali legittimati a rilasciare ETA). 5. STANDARD PROCEDURALI: IL PROGETTO SICUREZZA Gli insediamenti costituenti “beni culturali” per le loro specifiche caratteristiche storico–artistiche appartengono a quella realtà costruita che male ammette un approccio deterministico–prescrittivo e ciò almeno per i seguenti motivi: • esigenze affatto diverse della security e della safety; • destinazione non prevedibile e non prevista in fase di progetto che risale spesso a epoche storicamente lontane dalla nostra civiltà tecnologica; • inammissibilità di interventi strutturali e impiantistici invasivi che andrebbero a snaturare la realtà artistica e storica dell’edificio. Fermi restando i requisiti essenziali da soddisfare, è necessario fare ricorso a un approccio che commisuri di volta in volta la strategia di sicurezza alle specifiche realtà, anche attraverso un ampio ricorso a misure di sicurezza equivalenti – approccio comunemente noto come analisi dei rischi –. Analisi dei rischi In ambito “beni culturali” essa riguarda in particolare gli impianti tecnologici di servizio, i sistemi di protezione attiva e i comportamenti degli addetti. L’analisi dei rischi ha l’obiettivo di fornire una rappresentazione formale della probabilità di danno di un sistema, nella fattispecie di un insediamento culturale, e di fornire le informazioni necessarie per la verifica della rispondenza delle scelte di progetto ai requisiti essenziali che detti insediamenti devono garantire e per il raggiungimento degli obiettivi di sicurezza postulati da ciascun requisito. L’analisi di rischio implica l’individuazione dell’insieme dei pericoli (tecnologici) e delle azioni (naturali e antropiche) possibili , ma anche della vulnerabilità del sistema considerato e del fattore di esposizione nei confronti di detti pericoli e azioni.
GESTIONE E CURA DELLE COLLEZIONI Le collezioni rappresentano l’elemento costitutivo e la ragion d’essere di ogni museo. La loro gestione e la loro cura costituiscono un compito di primaria importanza che ogni museo deve attendere al fine di garantirne: a) l’incremento, se questo è previsto dalla sua missione, in base a linee d’indirizzo; b) l’inalienabilità, salvo casi eccezionali, previsti dalla legislazione vigente; c) la conservazione, la gestione e la cura del patrimonio: • assicurando a esso un’adeguata collocazione in spazi sufficienti, idonei e sicuri; • dotandosi di personale qualificato e sufficiente in relazione alle dimensioni e alla tipologie di beni conservati; • preservandone l’integrità, mediante misure di prevenzione dai rischi a cui esse possono trovarsi sottoposte e adeguate modalità di intervento in casi di emergenza; • curando in via permanente l’inventariazione, la catalogazione e la documentazione dei beni; • promuovendone la conoscenza, l’ordinamento, l’interpretazione; • sviluppando, a partire dalle collezioni e dal mandato del museo, lo studio e la ricerca; d) la piena accessibilità, fisica e intellettuale: soprattutto attraverso la loro pubblica esposizione, in via permanente o temporanea, ma anche assicurando la consultazione dei beni non esposti, e la comunicazione delle collezioni e delle conoscenze con i mezzi più opportuni.
Le fasi di una compiuta analisi del rischio sono: • l’individuazione e l’analisi dei “pericoli” e delle “azioni”; • l’individuazione e l’analisi delle corrispondenti vulnerabilità; • l’individuazione e l’analisi dei fattori di esposizione a ciascun pericolo; • la valutazione dei rischi; • la “compensazione” dei rischi; • la “valutazione” dei rischi residui; • l’individuazione degli eventi e dei relativi scenari connessi con i rischi residui; • la mitigazione degli eventi connessi con i rischi residui: i sistemi di protezione attiva; • la pianificazione e la gestione delle emergenze; • gli interventi correttivi della strategia.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
6. PROCEDURE DI VALUTAZIONE Le procedure di valutazione di un progetto di sicurezza devono essere fondate su: a) Primo livello (Adempimento) Verifica osservanza regole e norme tecniche • Conformità alle “Regole Tecniche”: il progetto deve essere conforme alle Regole Tecniche nazionali (disposti legislativi cogenti) pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale nazionale; • Conformità alle “Regole dell’Arte”: il progetto deve essere conforme alle norme tecniche di “impianto” e di “prodotto” internazionali, comunitarie e nazionali in quanto applicabili (ISO, IEC, CEN, CENELEC, UNI, CEI). b) Secondo livello (Efficacia): Ricognizione dello “stato dell’arte” Schede di rilevazione (check-list) – Analisi di dettaglio • Liste di controllo (check-list); – Analisi di operabilità (Hazop); – Modi di guasto e loro effetti; – Cosa succede se? (What if); – Alberi di guasto; – Alberi degli eventi; – Modelli vulnerabilità; – Modelli conseguenze; – Modelli “fattore umano”. • Compensazione dei rischi; • Qualificazione-quantificazione dei rischi residui metodi a indici; • Mitigazione dei rischi residui; • Verifica praticabilità manuali operativi e piani emergenze. Si propone una possibile matrice nella quale nelle ordinate sono elencati i più comuni sistemi di protezione attiva.
Gli atti di indirizzo, le misure e le procedure operative di gestione delle collezioni devono essere definiti e attuati nel rispetto della normativa vigente e sulla base dei criteri tecnico scientifici, degli standard e delle linee-guida previsti di seguito. Ogni museo deve adottare un documento di carattere generale che individui gli indirizzi relativi alla gestione e cura delle collezioni e che: • assuma in via preliminare l’impegno a conservare e rendere accessibili al pubblico le collezioni, assicurando a esse un’adeguata e permanente cura; • individui, in conformità con la missione e il mandato del museo, l’ambito o gli ambiti della collezione, indicandone limiti cronologici, estensione territoriale, tipologia/e e le peculiari caratteristiche; • stabilisca, su queste basi, l’ambito o gli ambiti di sviluppo, le linee guida per il loro incremento, i criteri generali e le modalità di acquisizione, esposizione, prestito; • definisca le responsabilità in ordine alla gestione e cura delle collezioni, attribuendole in via generale al direttore o al conservatore/responsabile; • individui gli atti (regolamenti interni, procedure scritte, ordini di servizio ecc.) cui demandare l’articolazione degli indirizzi di carattere generale. Nella gestione delle collezioni museali vanno armonizzate le due esigenze primarie di conservazione e di fruizione dei beni. In questa ottica, acquisiscono particolare rilevanza alcune linee di riferimento generali: • realizzazione di una struttura museale organizzata in modo da soddisfare e suscitare la domanda di cultura del pubblico, stimolandone il coinvolgimento in processi multidirezionali;
➥
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
E, . D’ART B.9.2 GALLERIE I, E S MU OTECHE C PINA
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B.9. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI MUSEI, GALLERIE D’ARTE, PINACOTECHE
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STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE
➦ RIFERIMENTI NORMATIVI E PRESTAZIONALI • ideazione di percorsi che si inseriscano in una rete di relazioni capaci di contestualizzare i manufatti in un complesso di dati e di informazioni fruibili dal pubblico; • catalogazione che mira alla restituzione di un contesto, mediante la georeferenziazione attuale e storica di ogni bene e mediante l’individuazione di relazioni tra i beni, i loro contenitori e l’ambito territoriale.
Vengono altresì individuate alcune linee guida con lo scopo di indicare obiettivi per una migliore gestione delle collezioni e di fornire gli orientamenti per raggiungerli. La definizione degli standard viene proposta per ciascun settore; si rimanda quindi alle specifiche normative indicate nei paragrafi che seguono e articolate nei documenti delle Linee guida.
La gestione delle collezioni museali deve prevedere come elemento essenziale il perseguimento di obiettivi di qualità in merito a:
NORME PER LA CONSERVAZIONE E IL RESTAURO COMPRENDENTI L’ESPOSIZIONE E LA MOVIMENTAZIONE
1. Conservazione e restauro Devono essere osservati precisi criteri di conservazione preventiva, attraverso il monitoraggio delle condizioni ambientali, e secondo principi di di restauro e di manutenzione, al fine di garantire la sicurezza e la piena fruibilità dei manufatti. Tali operazioni devono prevedere una scheda conservativa e la presenza di personale altamente specializzato, l’esistenza di un laboratorio di restauro o comunque la possibilità di accedere a laboratori esterni alla struttura museale. Andranno inoltre stabilite precise modalità per le condizioni di esposizione, immagazzinaggio e movimentazione.
La gestione delle collezioni museali deve fondarsi su idonee politiche volte a garantire la prevenzione dei rischi di degrado che possono interessare le collezioni stesse, affinché esse possano essere trasmesse alle future generazioni. Il museo deve essere dotato di un idoneo piano di prevenzione nei confronti dei fattori umani, ambientali e strutturali che possono generare rischi per la conservazione dei manufatti. Tale piano deve riguardare tutte le possibili situazioni in cui le opere vengono esposte temporaneamente o permanentemente al pubblico, conservate nei depositi, soggette a interventi di restauro o movimentate all’interno e all’esterno del museo. Ai fini della programmazione degli interventi di restauro e della definizione delle modalità di esposizione, immagazzinaggio e movimentazione è opportuno che il museo si doti di una scheda conservativa contenente informazioni specifiche su materiali costitutivi, procedimenti esecutivi e stato di conservazione dei manufatti, periodicamente aggiornata e compilata da restauratori professionisti, specializzati per classi di manufatti; e di una scheda tecnica ambientale, compilata da esperti scientifici, contenente informazioni sulle condizioni ambientali rilevate e sulle misure da adottare per il raggiungimento delle condizioni ritenute ottimali per la conservazione. Data l’importanza dei fattori ambientali ai fini della conservazione dei manufatti, il museo deve procedere al periodico rilevamento delle condizioni termoigrometriche, luminose e di qualità dell’aria degli ambienti in cui si trovano i manufatti stessi, dotandosi di strumentazioni di misura fisse o mobili oppure affidando il servizio a terzi responsabili. Il responsabile della conservazione deve inoltre redigere, ricorrendo a competenze professionali specifiche, un rapporto tecnico finalizzato a evidenziare l’influenza dell’ambiente sullo stato di conservazione dei manufatti e contenente indicazioni circa i provvedimenti necessari al raggiungimento delle condizioni ottimali per la conservazione. In occasione di mostre, aperture prolungate e altri eventi particolari con elevato afflusso di pubblico, in considerazione delle prevedibili consistenti instabilità delle condizioni ambientali, il museo deve sempre prevedere il rilevamento con apparecchiature di registrazione continua dei parametri ambientali significativi per la conservazione dei manufatti esposti. Il museo deve programmare gli interventi di manutenzione, conservazione e restauro sulla base degli elementi conoscitivi e delle priorità emerse dalla schedatura conservativa. Gli interventi devono essere eseguiti da restauratori professionisti con l’apporto di ben definite competenze storico-artistiche e scientifiche, e secondo procedure scritte in conformità con la normativa vigente. Essi dovranno essere condotti nel rispetto dei valori materici, storici ed estetici dei manufatti, ed essere corredati da una adeguata documentazione fotografica e grafica, nonché da una relazione tecnica delle operazioni effettuate contenente i risultati delle indagini scientifiche eseguite. In caso di movimentazione dei manufatti, il museo deve adottare imballaggi idonei alla tipologia degli stessi e atti a soddisfare le esigenze di stabilità dimensionale e resistenza meccanica, di impermeabilità all’acqua, al vapore acqueo e agli inquinanti gassosi, di protezione dalla polvere e di inerzia e coibenza termica. Gli imballaggi devono essere tali da consentire l’introduzione di sonde per il monitoraggio delle condizioni di trasporto e su di essi devono essere riportate indicazioni e avvertenze chiare circa le modalità di trasporto e di assemblaggio/disassemblaggio del sistema. Il museo deve inoltre assicurarsi che il trasporto avvenga su mezzi idonei, con ancoraggi stabili e in assenza di significative variazioni del microclima dei manufatti.
2. Incremento e inalienabilità Vanno previste forme e modalità di controllo in merito ai programmi e alle procedure di incremento, inalienabilità, esposizione, nel rispetto della normativa vigente, secondo gli accordi e i codici di comportamento internazionale per effettuare campagne di scavo e raccolta di esemplari e specimen naturali. Ciò al fine di garantire la legittima provenienza di beni e le migliori condizioni di esposizione e leggibilità dei manufatti e di accessibilità fisica e intellettuale. L’alienazione o la cessione delle collezioni deve essere esclusa in via generale ed esplicitamente all’interno dello statuto o del regolamento del museo. 3. Registrazione e documentazione Con questi due termini si intendono tutte le attività sottese all’acquisizione delle informazioni sui beni conservati nel museo. Vanno previste come indispensabili le attività di acquisizione e registrazione nell’inventario, catalogazione integrata di dati alfanumerici, iconografici e cartografici, documentazione grafica e fotografica, auspicabile gestione di sistemi informativi, al fine di garantire consultabilità, conoscenza integrata e contestualizzazione storica e territoriale dei beni. Andranno pertanto previsti: l’istituzione di un ufficio del catalogo con responsabile di comprovata competenza, la disponibilità di laboratori fotografici, la disponibilità e/o l’accesso a laboratori di fotogrammetria e cartografia presenti nelle competenti istituzioni territoriali, la disponibilità di strumentazione e programmi informatici, la possibilità di stipulare collaborazioni esterne con catalogatori esperti e in possesso adeguato di titolo di studio (laurea). 4. Esposizioni permanenti e temporanee e prestiti Nella regolamentazione dell’ esposizione permanente e temporanea e dei prestiti, vanno previsti i criteri in base ai quali selezionare e ordinare gli oggetti destinati alle sale espositive; immagazzinare gli oggetti destinati ai depositi e renderli consultabili con le dovute garanzie; programmare e organizzare le mostre; decidere e gestire i prestiti da concedere o ricevere. Questi criteri devono tendere a conseguire la massima fruibilità da parte del pubblico con il minimo rischio per le opere e devono essere coerenti con le caratteristiche e la missione del museo. 5. Politiche di ricerca e studio Prevedono la normalizzazione delle dinamiche di ricerca e di studio all’interno del museo, la cura delle pubblicazioni e dei rapporti con Università, Enti di ricerca, studiosi sulla base di specifici accordi, l’accessibilità e la consultabilità per ragioni di studio, le modalità di divulgazione dei risultati della ricerca, la definizione di procedure e programmi di consultazione diretta, indiretta e dei risultati prodotti dalla ricerca. Per ciascuno di tali ambiti sono stati definiti standard che costituiscano principi e criteri generali cui attenersi e norme e procedure da seguire, al fine di assicurare integrità, sicurezza, approfondimento della conoscenza e della divulgazione, piena valorizzazione delle collezioni, nel rispetto della normativa vigente.
SCHEDA TECNICA: PARAMETRI AMBIENTALI La complessità e la varietà degli oggetti che costituiscono i beni culturali rendono particolarmente difficile l’individuazione e la definizione assoluta degli intervalli e dei limiti dei parametri ambientali, intesi come valori critici e ottimali, per la buona conservazione delle opere. Pertanto la corretta utilizzazione delle tabelle relative a tali intervalli e limiti riportate in appendice deve essere accompagnata da una specifica metodologia d’ interpretazione basata sui seguenti punti: • valutazione dello stato di conservazione del manufatto; • studio degli andamenti dei parametri microclimatici, di illuminazione e della qualità dell’aria dell’ambiente in cui il manufatto si trova; • studio dei parametri microclimatici, di illuminazione e della qualità dell’aria dell’ambiente in cui il manufatto si troverà;
B 340
• giudizio complessivo di valutazione “stato di conservazione/ambiente”; • conoscenza dell’interazione del manufatto con l’ambiente.
la funzione di organizzare le attività di gestione dei manufatti nel museo; comprendono quindi l’esposizione, la conservazione in deposito e il trasporto delle opere. Gli standard procedurali devono:
1. Obiettivi di qualità Gli obiettivi di qualità si prefiggono di:
• definire il procedimento o l’operazione tecnica essenziale; • esporre sinteticamente la serie di attività connesse; • indicare le modalità di espletamento.
• indicare valori soglia e intervalli di riferimento per quanto riguarda il microclima, le condizioni di illuminazione e la qualità dell’aria; • sintetizzare le raccomandazioni (standard procedurali) e le linee guida (criteri generali) per programmare e garantire una corretta conservazione. 2. Standard procedurali Sono rappresentati da una serie di raccomandazioni con
3. Le linee guida Queste devono: • indicare gli standard ambientali da perseguire per una corretta conservazione; • fornire conseguentemente gli orientamenti e i provvedimenti gestionali da adottare.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE MUSEI, GALLERIE D’ARTE, PINACOTECHE
B.9. 2. A.ZIONI
4. Standard legislativi e deontologici I parametri biologici, chimici e fisici vanno misurati utilizzando procedure standardizzate e normalizzate. 5. Analisi di valutazione delle condizioni ambientali di esposizione e dello stato di conservazione Ha lo scopo di verificare se la gestione degli ambienti, e quindi le condizioni di conservazione, corrisponde agli standard procedurali. L’analisi si realizza mediante le seguenti procedure di controllo: • redazione di una scheda conservativa per le opere; • redazione di una scheda relativa all’ambiente per quanto riguarda il microclima, l’illuminazione, la qualità dell’aria e le condizioni operative di gestione. Tali schede devono essere compilate a cura rispettivamente di un restauratore e di un team costituito da un biologo, un chimico e un fisico. Esse rappresentano inoltre la check list del sistema manufatto–ambiente. A questo primo livello deve essere associato un giudizio di valutazione complessivo. Ove necessario per particolari situazioni e problemi espositivi si dovrà procedere ad ampliare le informazioni relative alle due schede, con analisi e misure sia sull’opera che sull’ambiente per la redazione di un dettagliato rapporto. Inoltre in alcuni casi potrà essere non solo utile ma anche necessario consultare e concordare azioni comuni con l’esperto di impiantistica. Le due schede sopraindicate non prevedono analisi e misure biologiche, chimiche e fisiche.
Il rapporto tecnico dettagliato deve invece richiedere procedure scientifiche di analisi e controllo finalizzate a evidenziare l’influenza dell’ambiente sullo stato di conservazione dei manufatti. Andranno misurati in concreto i seguenti parametri: q min q max q med • T aria (°C) • T sup. (°C) q min q max q med • UR (%) Urmin URmax URmed • Illuminamento (lux) Emax Emed • Radianza UV (watt/mq) • Radianza totale (watt/mq) • Luminanza (cd/mq) • Temperatura di colore (°K) • Velocità/aria (m/sec) • Carica microbica totale nell’aria (UFC/m3) • Concentrazione batterica (UFC/m3) • Concentrazione fungina (UFC/m3) • Concentrazione del PTS (µg/m3) • Concentrazione del PM10 (µg/m3) • Ioni solubili nel particellato (%) • Concentrazione di O3, SO2, NO2, CO2 (µg/m3) Tali procedure comprenderanno anche la definizione, sulla base dei problemi emergenti, delle modalità spaziali e temporali di prelievo e di acquisizione dei dati sperimentali. 6. Valori di riferimento per assicurare le condizioni ottimali di conservazione dei manufatti I valori (cfr. Tab. B.9.2./3 e B.9.2./4.) vanno intesi come termini di riferimento ai quali sarebbe opportuno mantenere i manufatti; ciò significa che nell’ambiente pos-
TAB. B.9.2./3 VALORI TERMOIGROMETRICI CONSIGLIATI CONDIZIONI OTTIMALI DI CONSERVAZIONE CHIMICO–FISICA DEI MANUFATTI MANUFATTI Armature in ferro, armi Avori, ossa Bronzo Carta, cartapesta Collezioni anatomiche Collezioni mineralogiche, marmi pietre Cuoio, pelli, pergamena Dischi, nastri magnetici Erbari e collezioni botaniche Film Fotografie (b/n ) Insetti e scatole entomologiche Lacche orientali Legno Legno dipinto, sculture policrome Libri, manoscritti Materiale etnografico Materiale organico in genere Materie plastiche Metalli e leghe levigati Ottone, argento, peltro, piombo, rame Mobili con intarsi e lacche Mosaici e pitture murali Oro Papiri Pastelli, acquerelli, disegni, stampe Pellicce, piume Pitture su tela Porcellane, ceramiche, gres, terracotta Seta Tessuti, tappeti, arazzi, tappezzeria Vetri e vetrate stabili
UMIDITÀ RELATIVA (%) <40 45–65 <55 50–60 40–60 45–60 50–60 40–60 40–60 30–50 20–30 40–60 50–60 40–65 45–65 50–60 40–60 50–65 30–50
TEMPERATURA (°C)
19–24 19–24 19–24 <30 10–21 –5 – +15* 2–20** 19–24 19–24 19–24 19–24 19–24 19–24 19–24
sono essere consentiti modesti scostamenti dai valori termoigrometrici consigliati, con l’attenzione però di evitare, ove possibile, mediante semplici provvedimenti di gestione museale e di tipo passivo, sia brusche variazioni giornaliere che variazioni cicliche giorno–notte, dovute soprattutto all’accensione e allo spegnimento degli impianti di illuminazione, di riscaldamento, di refrigerazione e alla apertura e chiusura non programmata delle finestre. In tal senso, per redigere una scaletta delle operazioni di gestione degli ambienti espositivi, può essere utile disporre di una scheda relativa all’ambiente, da compilare e verificare periodicamente a cura dell’esperto scientifico. È opportuno in fase di compilazione della scheda e della sua periodica verifica corredarla anche di dati sperimentali. Condizioni rigorosamente controllate con apparecchiature che rilevino in continuo i parametri ambientali sono richieste in casi di mostre, aperture prolungate e altri eventi particolari che possano determinare elevato afflusso di pubblico. Di seguito vengono riportate alcune tabelle con lo scopo di indicare i valori dei parametri ambientali entro cui è possibile realizzare condizioni di conservazione dei manufatti idonee dal punto di vista chimico–fisico e utili a prevenire gli attacchi microbiologici su materiali organici favoriti in determinati intervalli dei parametri microclimatici. Per quanto riguarda invece gli attacchi entomatici, risultano del tutto insufficienti interventi sui parametri microclimatici, a meno che non si raggiungano valori di temperatura e umidità relativa incompatibili con il benessere sia della maggior parte dei materiali sia dell’uomo.
Dipinti su tela Dipinti su tavola Legno legno archeologico legno bagnato Carta pastelli, acquarelli libri e manoscritti materiale grafico Cuoi, pelli e pergamene Tessuti di natura cellulosica Tessuti di natura proteica Collezioni etnografiche Materiali instabili
Umidità relativa (%) 40–55 50–60 50–60 50–60
max. variazione giornaliera (V.UR) 6 2 2 2
40–55 < 65 45–55 45–55 40–55 30–50 >50–55 20–35 35–65
19–24 min 6 (inverno), max 25 (estate) 19–24 19–24 15–21 19–24 20–60***
50–60 40–60 25–60
* In funzione della sensibilità delle pellicole. ** L’intervallo è valido per fotografie con supporti in carta, materiale plastico, vetro. Per supporti di nitrato e vetri con emulsione al collodio si adottino temperature più basse. *** Per manufatti ceramici cotti a temperatura bassa il valore dell’UR deve essere <45%.
5 5 5 6 5
19–24 19–24 19–24 19–24 – <4* 18–22 < 10 < 21 < 21 4–10 19–24 19–24 15–23 –30
max variazione giornaliera (V.T) 1,5 1,5 1,5 1,5 1,5
Bronzi archeologici con corrosione da cloruri Ferri archeologici con corrosione da cloruri Vetri instabili Legno bagnato*
UMIDITÀ RELATIVA (%) <42 <20 40 – 45 100
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
3 3 1,5 1,5 1,5 2
TAB. B.9.2./5. VALORI TERMOIGROMETRICI CRITICI PER LA CONSERVAZIONE DI ALCUNI MANUFATTI MANUFATTI
<45 50–60 45–60 <45 35–50 50–60 45–60 35–50
6
Temperatura (°C)
B.STAZIONI DILEGIZLII
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
TAB. B.9.2./4. CONDIZIONI MICROCLIMATICHE PER LA PREVENZIONE DI ATTACCHI MICROBIOLOGICI SU MATERIALI ORGANICI
MANUFATTI ORGANICI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TEMPERATURA (°C)
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
<4**
* I dati indicati per il legno bagnato valgono anche per i materiali organici di scavo. ** La temperatura non deve raggiungere 0°C. La classificazione dei materiali, i valori di temperatura e di umidità tabulati sono quelli segnalati dalla letteratura specializzata riassunti nel lavoro di C. Aghemo et al. (1994) Esistono alcune categorie di manufatti che richiedono condizioni termoigrometriche di conservazione particolarmente controllate. I valori indicati in tabella vanno intesi come valori di riferimento tassativi: ciò vuol dire che il manufatto deve essere conservato mantenendo sempre temperatura e umidità relativa all’interno degli intervalli stabiliti. Inoltre va osservato che all’interno degli intervalli indicati le variazioni giornaliere devono essere comunque ridotte al minimo, fermo restando che le variazioni stagionali devono comunque essere all’interno degli intervall prefissati. Le condizioni sopraindicate potranno essere assicurate con due diverse procedure, secondo il tipo di manufatto, conservando l’oggetto: a) in un contenitore in presenza di un assorbitore di umidità (bronzi, ferri, vetri); b) in ambienti o contenitori nei quali possa essere assicurato il controllo e la stabilità di tutti i parametri ambientali
➥
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
E, . D’ART B.9.2 GALLERIE I, E S MU OTECHE C PINA
B 341
B.9. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI MUSEI, GALLERIE D’ARTE, PINACOTECHE
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STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE
➦ RIFERIMENTI NORMATIVI E PRESTAZIONALI ➦ SCHEDA TECNICA: PARAMETRI AMBIENTALI 7. Valori limite raccomandati di concentrazione degli inquinanti aerodispersi Le condizioni necessarie a ottenere una corretta conservazione dei manufatti deve tener conto anche dei valori limite raccomandati per gli inquinanti chimici aerodispersi di seguito riportati. INQUINANTE
• per la carica batterica totale: 750 UFC/m3; • per la carica fungina 150 UFC/m3 e allergeni assenti.
ARCHIVI (NISO–TR01/95)
MUSEO (BRIMBLECOMBE)
UNI 10586/97
Biossido di zolfo
5–10 ppb (vol)
<0.4 ppb (vol)
≤10 µg/m3
Biossido di azoto
5–10 ppb (vol)
<2.5 ppb (vol)
≤2 µg/m3 (NOx)
Ozono
5–10 ppb (vol)
1 ppb (vol)
<2 µg/m3
rimoz. >95%
rimoz. >95% (>2µm)
<50 µg/m3
PS (fine)
Tali valori, derivati dai pochi riferimenti bibliografici disponibili, richiedono alcune precisazioni: • Il valore limite NISO per il biossido di zolfo appare il più rispondente alla casistica reale. • Per quanto riguarda i valori limiti per gli ossidi di azoto e l’ozono, i dati di Brimblecombe sono quelli da ritenersi più adeguati. • I valori relativi al particellato andrebbero relazionati alla frazione fine (PM10); il valore limite più opportuno, sulla base dei dati sperimentali disponibili sembrerebbe essere intorno ai 20–30 µg/m3. • I valori riportati vanno intesi come valori limiti da non superare. • Anche nel caso di monitoraggi in continuo i valori istantanei devono essere al di sotto di tali limiti. Per ottimizzare la qualità dell’aria è opportuno, partendo dalla compilazione della scheda ambiente, mettere in essere tutti quei presidi e interventi di tipo passivo e di gestione atti ad abbattere la concentrazione degli inquinanti aerodispersi. Ogni volta che viene progettato un impianto per il condizionamento fisico ambientale, questo deve sempre prevedere un sistema di filtraggio degli inquinanti aerodispersi gassosi e particellari, sia dell’aria esterna immessa all’interno, sia dell’aria interna riciclata, per evitare il possibile conseguente incremento della concentrazione degli inquinanti indoor. In casi di mostre, aperture prolungate e altri eventi particolari che possano determinare elevato afflusso di pubblico sono richieste condizioni rigorosamente controllate, monitorando in continuo la concentrazione degli inquinanti aerodispersi, con particolare attenzione al biossido di carbonio e al particellato sospeso. 8. Valori limite per gli inquinanti biologici atmosferici La concentrazione di inquinanti biologici si determina mediante analisi aerobiologiche. Tali indagini, di tipo quantitativo e qualitativo, consentono di individuare i microrganismi presenti nell’aria e di definire i livelli di rischio di biodeterioramento per i manufatti e di rischio igienico–sanitario per i visitatori. Le metodologie d’analisi da adottare per tali indagini sono riportate nel Doc. Normal 39/93 (1994). La concentrazione di inquinanti microbici è espressa in Unità Formanti Colonia per metro cubo d’aria (UFC/m3). È necessario tenere presente che elevate concentrazioni di microrganismi nell’aria non sono sempre indice di rischio per i manufatti in quanto non tutte le specie aerodiffuse hanno potenzialità biodeteriogene; sarebbe perciò necessario conoscere la concentrazione relativa delle diverse specie individuando quelle in grado di danneggiare i materiali conservati negli ambienti analizzati. La colonizzazione dei materiali e il loro conseguente danneggiamento si realizza inoltre solo se a elevate concentrazioni di inquinanti biologici si affiancano condizioni microclimatiche favorevoli al loro sviluppo quali UR >65% e T>20°C. A livello igienico, elevate concentrazioni di funghi e batteri possono essere considerate indice di ambiente malsano; stabilire dei livelli limite è però difficile in quanto questi sono in relazione alla capacità infettante dei microrganismi presenti e alle capacità di difesa del soggetto umano, a loro volta condizionate da diversi stati fisiologici o patologici.
B 342
Organizzazioni sanitarie americane considerano come valori limite:
9. Vincoli conservativi relativi all’esposizione a fonti luminose Le raccomandazioni riportate sono frutto di raccomandazioni e di proposte normative emesse, fin dall’inizio degli anni ‘70, dagli organismi internazionali (principalmente ICOM e IES e CIBS), successivamente sviluppati dal gruppo di lavoro del Comitato Termotecnico Italiano–UNI (progetto di norma CTI E02.01.304.0), dalla proposta CT 3–22 CIE e dal Manuale di illuminotecnica AIDI (1999). Nei documenti citati sono inserite indicazioni nate in ambiente ICR, sulla base di una casistica molto differenziata di controlli eseguiti in laboratorio e in diverse sedi museali. Ciò ha permesso di individuare, definire e verificare vincoli espositivi che, oltre a tutelare la conservazione delle opere esposte, risultassero praticabili da parte dei progettisti e compatibili con le esigenze di fruizione e di salvaguardia del contesto espositivo. Il criterio adottato è stato quello di indirizzare verso la realizzazione di apparati e impianti concepiti al meglio dello stato dell’arte, senza approssimazioni, elusioni o
stravolgimenti delle esigenze conservative. Le norme sono state, al contempo, espresse in modo da lasciare spazio alla adattabilità delle soluzioni, specie in un contesto come quello italiano caratterizzato da architetture museali e contenitori che costituiscono essi stessi delle opere da proteggere. 10. Controlli fotometrici – Illuminamenti raccomandati Nella Tab. B.9.2./6 vengono recepite lerecenti raccomandazioni internazionali, che classificano in quattro categorie di fotosensibilità i reperti e i manufatti e ne stabiliscono i livelli massimi di illuminamento. Per quanto concerne gli studi sperimentali sui pigmenti e sui coloranti, che per il momento sono stati condotti in modo sistematico solo per i prodotti industriali moderni (standard ISO blue–wool), è prevedibile che in futuro essi siano ulteriormente sviluppati per definire in modo più dettagliato le classi di fotosensibilità. La linea di tendenza è quella di associare questi studi a quelli condotti con il criterio del coefficiente di danno, cioè tenendo conto della diversa capacità di produrre effetti fotochimici delle varie tipologie di sorgenti, a parità di illuminamento prodotto. Gli illuminamenti previsti sono da considerare come condizione media di esercizio. Con sorgenti appena installate sono ammessi valori di misura superiori del 10% per tenere conto del fattore di decadimento medio delle sorgenti dopo il primo periodo di attivazione. Nel caso di presenza di più materiali e/o tecniche, deve essere posto il limite corrispondente alla classe più protetta. Particolari precauzioni sulla componente termica della radiazione andranno adottate nel caso di manufatti polimaterici, in tutti quei casi in cui siano vincolati materiali con coefficienti di dilatazione diversi, per evitare distacchi o crettature (esempio smalti su metallo).
TAB. B.9.2./6 CLASSI DI FOTOSENSIBILITÀ E ILLUMINAMENTO MASSIMO CONSIGLIATO FOTOSENSIBILITÀ
ILLUMINAMENTO MASSIMO
1. Molto bassa
Reperti e manufatti relativamente poco sensibili alla luce: metalli, materiali lapidei e stucchi senza strato di finitura, ceramiche, gioielleria, smalti, vetri, vetrate policrome, reperti fossili.
2. Media
Reperti e manufatti moderatamente sensibili alla luce: pitture a olio e a tempera verniciate, affreschi materiali organici non compresi nei gruppi 3 e 4 quali quelli in corno, osso, avorio, legno
3. Alta
Reperti e manufatti altamente sensibili alla luce: tessili, costumi, arazzi, tappeti, tappezzeria; acquerelli, pastelli, stampe, libri, cuoio tinto; pitture e tempere non verniciate, pittura a guazzo, pitture realizzate con tecniche miste o “moderne”
4. Molto alta
Superiore a 300 ma con limitazioni sugli effetti termici in particolare per stucchi, smalti, vetrate e fossili.
con materiali instabili, disegni a pennarello; piume, pelli e reperti botanici, materiali etnografici e di storianaturale di origine organica o tinti con prodotti vegetali; carta, pergamena, legni bagnati
50
Reperti e manufatti estremamente sensibili alla luce: mummie; sete, inchiostri, coloranti e pigmenti a maggior rischio di scoloritura come lacche ecc.
50
TAB. B.9.2./7 COMPONENTE ULTRAVIOLETTA Fotosensibilità
Componente UV max associata al flusso luminoso
Radianza UV max. (valore assoluto)
Densità di energia totale Radianza totale max. (banda di misura 400 ÷4000nm)
2. Media
75 mW/lm
> 1,2 mW/cmq
10 W/mq
3. Alta
75 mW/lm
> 0,4 mW/cmq
3 W/mq
4. Molto alta
10 mW/lm
> 0,05 mW/cmq
1 W/mq
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B.9. 2. A.ZIONI
11. Uniformità di illuminamento Al fine di soddisfare sia le esigenze di conservazione che quelle di fruizione complessiva dei manufatti piani, devono essere applicati i seguenti criteri di uniformità:
Emin/Emedio > 0,5 Emax/Emin < 5 Nel caso di esposizione di tavole dipinte, per prevenire l’insorgenza di effetti di tensionamento, quest’ultimo rapporto assumerà il seguente valore massimo:
Emax/Emin < 2 Per quanto riguarda oggetti tridimensionali, bassorilievi ecc., questi rapporti devono essere valutati caso per caso, fermo restando il criterio di mantenere la leggibilità complessiva dell’opera. Particolare attenzione, in questo caso, dovrà essere prestata a evitare la produzione di ombre multiple che alterano in modo sostanziale la capacità di percezione delle forme. 12. Esposizione energetica – Dose di luce annuale L’intensità dell’azione fotochimica è legata in modo diretto alla radiazione cumulata nel tempo. Nella tabella seguente sono riportati i valori annuali massimi raccomandati, espressi in lux per ora/anno (LO), per le categorie di manufatti sensibili alla luce. Occorre evidenziare che, per la categoria di fotosensibilità 4 (v. Tab. B.9.2./11), i valori indicati implicano forti limitazioni all’esposizione continuativa dei manufatti. Ciò consiglia di perseguire soluzioni espositive caratterizzate da apparati illuminotecnici particolarmente curati, che consentano le fruizione a livelli molto bassi di illuminamento (percorsi con adattamento progressivo, eliminazione di fenomeni di abbagliamento sia primario che secondario, impiego di sorgenti con tonalità calda ecc.). Altre alternative praticabili sono costituite dalla rotazione degli oggetti esposti o dall’impiego di sistemi di accensione temporizzata in presenza di pubblico. Categoria fotosensibilità 2. Media 3. Alta 4. Molto alta
Lux ora/anno (LO)
500.000 150.000 50.000
13. Esposizione energetica – Componente UV e radianza totale Nella Tab. B.9.2./7 sono riportati i livelli massimi di densità di energia accettati per la banda ultravioletta. Essi sono espressi sia in valore assoluto che in forma relativa al flusso luminoso visibile, al fine di permettere la valutazione con le due tipologie di strumentazione più diffuse.
La terza colonna (radianza totale) si riferisce ai soli manufatti igroscopici delle relative classi e definisce limitazioni all’energia totale prodotta, per irraggiamento, sulle superfici; quest’ultima può essere molto diversa a parità di illuminamento. Gli effetti termici indotti sono largamente dipendenti dall’entità della componente infrarossa associata al flusso luminoso, che varia in dipendenza del tipo di sorgente, della tipologia di parabola o di filtro eventualmente impiegati. 14. Orientamenti gestionali illuminotecnici – Sistemi di esposizione temporizzati Le leggi di reciprocità sugli effetti fotochimici sono solo in parte applicabili a causa in particolare degli effetti termoigrometrici che l’irraggiamento produce sui manufatti igroscopici. A causa di queste considerazioni non sono da ritenere accettabili apparati espositivi che, pur rispettando i limiti previsti di dose di luce annuale (LO), pratichino livelli massimi di illuminamento difformi dalle raccomandazioni. Al fine di limitare gli effetti di shock termici frequenti e prolungati nel tempo, viene richiesta esplicitamente l’adozione, per le categorie 2, 3 e 4, di sistemi progressivi di accensione (convenzionalmente denominati circuiti soft-start) in tutti quegli impianti che prevedano l’accensione automatica in presenza di pubblico o con comando manuale e a gettoniera. In generale l’accensione della sorgente deve essere regolata in modo che avvenga progressivamente nell’arco di almeno 3 secondi. 15. Ambienti espositivi confinati Negli ambienti espositivi confinati deve essere prevista la collocazione esterna delle sorgenti1 e degli apparati di alimentazione; ciò vale, in particolare, quando manufatti igroscopici appartenenti alle categorie 2, 3 e 4 sono esposti all’interno di climabox, teche, vetrine ecc. Il calore dissipato dalle sorgenti, sia per conduzione, sia attraverso l’aria di raffreddamento, dovrà essere smaltito in modo da non alterare la stabilità termica dell’ambiente confinato. Occorrerà in ogni caso porre attenzione alla depurazione infrarossa delle sorgenti impiegate, per evitare la produzione di fenomeni legati all’effetto serra (incremento termico e deumidificazione). Possono essere previste, in casi particolari (per esempio vetrine antiche), altre soluzioni che prevedano il confinamento termico della fonte di illuminazione e lo smaltimento all’esterno del calore generato: in questo caso si richiede una validazione della soluzione adottata attraverso il monitoraggio interno alla vetrina.
16. Opere e apparati decorativi posti nelle adiacenze di componenti illuminotecniche Gli apparecchi di illuminazione dovranno essere collocati in modo tale da non produrre effetti termici dannosi su opere o decorazioni adiacenti. In particolare deve essere posta attenzione a non produrre dissipazioni termiche in grado di determinare gradienti superiori ai 3°C (rispetto alla temperatura ambiente) su superfici circostanti che siano anch’esse oggetto di cautele conservative. In particolare andrà posta attenzione ai moti convettivi e alla colonna d’aria calda ascendente prodotta, al fine di prevenire fenomeni di deposizione accelerata del particellato, nelle zone poste immediatamente sopra l’apparecchio e i suoi componenti. Nel caso di sorgenti munite di parabola selettiva per l’infrarosso, il controllo si intende esteso alla componente IR eventualmente trasmessa per irraggiamento nella parte posteriore. 17. Indicazioni gestionali Il dimensionamento dell’impianto, in termini di potenza termica dissipata nelle sale, non dovrà alterare la stabilità dell’ambiente espositivo oltre i valori indicati nella sezione dedicata alle condizioni microclimatiche di esposizione. Sono inoltre da privilegiare tutti gli apparati automatici gestionali e di controllo che permettano di ottimizzare le prestazione dell’impianto illuminotecnico. Particolare attenzione deve essere posta, inoltre, all’illuminazione di servizio notturna e per i sistemi di vigilanza che dovrà essere computata nella valutazione della dose di luce annuale a cui sono esposte le opere. 18. Controllo della luce naturale Nella scheda vanno annotati anche i dati relativi agli accorgimenti adottati per il controllo della luce naturale, rilevando condizioni temporanee o stagionali di irraggiamento solare diretto sulle opere. Andranno adottati tutti quei dispositivi, quali filtri, pellicole, tende, deflettori, diffusori, rifrattori, vetri a densità variabile ecc. che lo sviluppo tecnologico rende disponibili sia per l’abbattimento della componente UV, sia per il controllo della componente visibile e infrarossa. Nella individuazione delle soluzioni da adottare si dovrà tenere conto anche dei bilanci energetici rispetto all’ambiente espositivo differenziando la quota di energia riflessa e smaltita dai dispositivi all’esterno di finestre, lucernari ecc. rispetto a quella abbattuta ma smaltita all’interno delle sale. Per esempio, nell’uso di pellicole termoriflettenti, sono da ritenere più efficaci quelle progettate per applicazione esterna. Occorrerà inoltre tenere conto degli effetti di abbagliamento e produzione di riflessi che hanno ripercussioni conservative indirette, in quanto costringono a praticare sulle opere livelli di illuminamento superiore a quanto altrimenti necessario.
SCHEDA TECNICA – CONTENITORI ESPOSITIVI (vetrine, climabox e simili) L’aspetto estetico di un contenitore espositivo deve essere, all’atto della progettazione, subordinato a quello prioritario della conservazione del manufatto, secondo le specificazioni riportate nella seguente scheda tecnica. La preoccupazione primaria dei conservatori era ed è ancora oggi quella della protezione dai furti e dai danneggiamenti; preoccupazione che, sommata a quella dei progettisti per l’aspetto estetico delle vetrine, fa sì che il problema primario non sia tanto quello della conservazione delle opere – che si presuppone risolto con l’averle messe sotto vetro –quanto quello di creare un arredo la cui funzione si esaurisce nell’essere a prova di furto. Di fatto, l’aspetto conservativo delle opere è stato assunto come referente prioritario dagli specialisti e dai costruttori di contenitori soltanto nel corso degli ultimi anni: le vetrine non debbono essere intese come semplici contenitori ma devono essere concepite come vere e proprie opere o presidi che, realizzate a completamento della
manutenzione o del restauro di un manufatto, intervengono a pieno titolo all’intero processo conservativo. 1. Obiettivi di qualità I principali fattori che determinano la qualità dello stato di conservazione di un manufatto collocato in ambiente confinato sono: a) la sua conservazione ottimale in atmosfera controllata e il facile monitoraggio di quest’ultima; b) la prevenzione e il controllo delle sollecitazioni fisiche esterne dovute a eventi antropici o naturali quali, ad esempio, urti accidentali o volontari, sollecitazioni da trasporto, terremoti; c) la facile accessibilità in relazione al controllo diretto del manufatto, alle manutenzioni ordinarie e alle eventuali operazioni di pronto intervento conservativo.
2. Linee guida Le istanze che riguardano la migliore visibilità e fruizione degli oggetti esposti – anche dal punto di vista didattico – in quanto contribuiscono a definire la forma e le caratteristiche funzionali della costruzione –, devono essere considerate alla stregua stessa dei parametri ambientali e dei materiali costitutivi dei manufatti stessi, che tali caratteristiche funzionali e forma in principal modo determinano sotto l’aspetto conservativo. Gli obiettivi enunciati vengono realizzati mediante criteri, accorgimenti e dispositivi di tipo ingegneristico da prevedersi in sede progettuale; questi fanno sì che il sistema vetrina diventi un organismo funzionale unico col sistema degli oggetti conservati. Nel caso della conservazione ottimale in atmosfera controllata questi presidi tecnici devono condizionare gli scambi tra atmosfera esterna e quella interna e tra questa e gli oggetti conservati, secondo i valori consigliati per quella specifica classe di materiali. In particolare è necessario che venga effettuato il massimo contenimento:
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STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE
➦ RIFERIMENTI NORMATIVI E PRESTAZIONALI ➦ SCHEDA TECNICA – CONTENITORI ESPOSITIVI (vetrine, climabox e simili) 1. del damping termico (capacità di contenimento delle oscillazioni della temperatura); 2. delle oscillazioni dell’umidità relativa (capacità di tampone igrometrico); 3. degli scambi d’aria con l’ambiente esterno (compresi gli inquinanti gassosi, il vapore acqueo e il particellato). Nel campo delle sollecitazioni meccaniche esterne i dispositivi previsti, oltre quelli che riguardano la prevenzione del rischio antropico (barriere, allarmi ecc.) devono essere in grado di assorbire sia le sollecitazioni meccaniche che si possono prevedere nello specifico contesto museale della vetrina, sia quelle naturali attese in quel particolare territorio secondo le previsioni delle carte del rischio sismico. La movimentazione o la manipolazione delle opere all’interno delle vetrine, finalizzate al loro controllo diretto, alle manutenzioni ordinarie e alle eventuali operazioni di pronto intervento conservativo, devono essere risolte con semplici soluzioni di tipo funzionale. Inoltre deve essere garantita una semplice manutenzione degli impianti di condizionamento, sia passivi che attivi, che vengono installati all’interno o all’esterno delle vetrine per tutti gli specifici scopi conservativi anzidetti. I materiali costitutivi delle vetrine e delle apparecchiature installate a loro interno non devono produrre vapori organici acidi che possono causare corrosioni a una larga gamma di manufatti.
In futuro ci si potrà riferire alla normativa UNI “Beni Culturali-Normal” che verrà prodotta dalla Commissione GL22 “Museotecnica”. 3. Valutazione del funzionamento di contenitori e specifiche di progettazione e/o modifica Per un corretto dimensionamento di una vetrina finalizzata alla protezione e alla esposizione di manufatti costituiti da materiale igroscopico (idrofilo), o per una verifica dell’efficienza di una vetrina esistente, occorre effettuare una serie di calcoli e di prove atte a individuare le caratteristiche del sistema manufatto-contenitore che entrano in gioco e determinano l’andamento e l’entità degli scambi igrometrici all’interno di questo sistema e tra il sistema stesso e l’ambiente circostante. Si indicano qui di seguito le fasi in cui si deve articolare la verifica. a) Calcolo della capacità igroscopica del manufatto: consiste nel valutare la quantità di acqua, sotto forma di vapore, contenuta nel materiale igroscopico in equilibrio con l’ambiente circostante a determinati valori di temperatura e di umidità relativa dell’aria; se l’oggetto è di legno avremo: a(legno) W(legno). Questo valore, in genere riferito all’unità di peso del manufatto, dipende essenzialmente dalla natura del materiale (legno, tela, carta, cuoio, avorio, ecc); per manufatti compositi viene presa in considerazione la somma delle capacità igroscopiche dei costituenti considerati singolarmente; b) Calcolo sperimentale del tempo di dimezzamento a vuoto (t 1/2 vuoto: tempo di dimezzamento necessario
INDIVIDUAZIONE DI CLASSI DI MANUFATTI CON ESIGENZE ESPOSITIVE ANALOGHE Criteri secondo la geometria dell’oggetto: • Manufatti piani; • Manufatti con superfici geometricamente complesse; • Manufatti a trama e ordito. Criteri secondo la tipologia • Manufatti metallici; • Manufatti lapidei; • Manufatti ceramici non smaltati e invetriati; • Manufatti tessili, tinti e stampati; • Manufatti con policromie tipiche dei dipinti (tele, tavole, stampe, disegni, acquerelli, miniature ecc.); • Manufatti vetrosi, musivi e maiolicati (ceramiche smaltate); • Manufatti cartacei; • Manufatti complessi (più tipologie sopracitate presenti contemporaneamente; • Manufatti vari (cere, avorio, osso ecc.). MISURE DI PROTEZIONE DEI MANUFATTI ALL’ESTERNO DI CONTENITORI Oltre ai normali sistemi di protezione dei manufatti, quali barriere, schermi protettivi, vetrine, climabox, nel caso di lavori saranno necessarie protezioni e adeguamenti temporanei e limitati ad altre parti dello spazio espositivo non interessate ai lavori stessi. Nel caso di opere ancorate a muro, saranno valutate dimensioni e peso dello oggetto per indirizzare la scelta delle modalità di fissaggio, che devono garantire sicurezza e stabilità nel tempo. Un adeguato isolamento tra spazio interno ed esterno al locale di conservazione dovrà essere necessario per garantire la stabilità dei parametri microclimatici. INCREMENTO E INALIENABILITÀ DELLE COLLEZIONI Incremento 1. Ogni museo deve adottare e rendere pubblici gli indirizzi e i criteri di incremento delle collezioni, impegnandosi a rivederle periodicamente. 2. Gli oggetti devono essere acquisiti coerentemente con le linee stabilite dal museo e deve essere sempre documentata la loro provenienza legittima. 3. I musei devono evitare di acquisire opere che non siano in grado di conservare ed esporre in maniera adeguata o di legittimo interesse di altri musei, senza informarli preventivamente. 4. Ogni condizione particolare o clausola restrittiva riguardante un’acquisizione – a qualunque titolo sia effettuata – deve essere chiaramente definita nell’atto di cessione di proprietà o in altro documento scritto.
B 344
a ridurre della metà la differenza fra UR esterna e UR interna) caratteristico della struttura della vetrina vuota. Questo valore dipende solo dalle caratteristiche costruttive e dai materiali con cui essa è realizzata, e per aumentarlo si deve migliorare la tenuta della vetrina; c) Calcolo della quantità di materiale tampone (ad es. gel di silice) necessaria per aumentare il tempo di dimezzamento della vetrina fino ai valori consigliati per i quali la vetrina risulta essere sufficientemente isolata igrometricamente dall’ambiente che la circonda in base alla formula:
k = k(0)qV / qV + a(j)a(j)w(j); d) Confronto tra la capacità igroscopica del manufatto a(opera) W(opera) e quella del materiale tampone a(gel) W(gel); quest’ultima deve essere molto maggiore di quella del manufatto. Se ciò non si verifica la stabilizzazione del microclima, in particolare dell’umidità relativa all’interno del contenitore, avviene a spese soprattutto del manufatto piuttosto che del materiale tampone. In conclusione non è possibile valutare e accertare il corretto funzionamento di una vetrina se prima non si sono eseguite le operazioni sopra descritte e non si sono verificati i calcoli sopra indicati. Porre un’opera all’interno di una vetrina che non funziona correttamente significa correre il rischio di sottoporre l’opera a processi di deterioramento e di invecchiamento accelerati.
5. I musei, salvo circostanze del tutto eccezionali, non devono acquisire oggetti che hanno poche probabilità di poter catalogare, conservare, sistemare in depositi o esporre, in condizioni adeguate. 6. Le acquisizioni che non rientrano nel quadro della politica in corso al museo, nei termini in cui essa è stata definita, non possono avvenire che in circostanze del tutto eccezionali e solo dopo un esame da parte dell’amministrazione responsabile del museo, che tenga conto dell’interesse degli oggetti in questione, di quello del patrimonio culturale nazionale o di altro, nonché degli interessi specifici di altri musei. 7. Norme particolari devono essere adottate, nel rispetto della normativa vigente e degli accordi e codici di comportamento internazionali, per l’effettuazione di campagne di scavo e per la raccolta di esemplari e specimen naturali. Inalienabilità L’alienazione o la cessione delle collezioni deve essere esclusa in via generale ed esplicitamente richiamata all’interno dello statuto o del regolamento del museo. Nei casi in cui essa sia giuridicamente possibile, l’alienazione e/o cessione di opere del museo deve essere stabilita sulla base di rigorose procedure che ne assicurino la legittimità, ne confermino la necessità e l’opportunità e ne garantiscano la trasparenza e la pubblicità. Permute e scambi fra musei possono essere attuati sulla base di definiti protocolli, in conformità con la normativa vigente, attuati sulla base di motivazioni che ne assicurino la legittimità e l’opportunità. Ogni forma di cessione, avvenga essa attraverso donazione, scambio, vendita o distruzione, esige l’esercizio di una valutazione rigorosa e non può essere approvata se non dopo un circostanziato parere di esperti e giuristi. REGISTRAZIONE E DOCUMENTAZIONE FINALIZZATA ALLA CONOSCENZA DEL PATRIMONIO Nella gestione delle collezioni museali le attività di registrazione e documentazione confluiscono nella catalogazione intesa come organizzazione sistematizzata delle conoscenze scientifiche e dello status amministrativo relativi a un bene culturale. Nella gestione delle collezioni museali la catalogazione, opportunamente modulata e inserita in piani di collaborazione tra musei e istituzioni territoriali, deve rientrare nelle attività ordinarie e si articola nelle seguenti indispensabili funzioni: Acquisizione e registrazione: all’ingresso in un museo gli oggetti devono essere registrati e documentati a fini patrimoniali e di sicurezza, predisponendo la compilazione di un registro inventariale con l’obiettivo qualitativo di monitorare la consistenza del patrimonio museale. Catalogazione: sarebbe auspicabile che tutti i beni fossero catalogati. Quando ciò avvenga, essi devono essere identificati e descritti attraverso una scheda tecnico scientifica, utilizzando gli standard nazionali ICCD sia catalografici (alfanumerici, iconografici e cartografici) che terminologici.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE MUSEI, GALLERIE D’ARTE, PINACOTECHE
B.9. 2. A.ZIONI
Nell’ambito dell’attività di catalogazione è necessario predisporre: a) l’aggiornamento e la revisione periodica delle schede al fine della conoscenza del patrimonio museale; b) la definizione di linee procedurali di valutazione dei tempi e dei programmi; c) la verifica scientifica a cura di un responsabile interno o delegato di comprovata affidabilità scientifica.
Al fine di garantire una miglior comprensione delle collezioni, migliorare lo stato della loro conoscenza, sviluppare la ricerca scientifica, ogni museo stabilisce rapporti con gli altri musei, gli istituti di ricerca, le università, enti e fondazioni, esperti e studiosi, avvalendosi delle loro competenze e risorse per conseguire risultati di comune interesse.
Tali attività permettono di programmare gli interventi conservativi, di conoscere la storia delle collezioni e la movimentazione dei manufatti, di coadiuvare i programmi relativi agli allestimenti espositivi e ai percorsi didattici e formativi. Con la catalogazione si acquisiscono l’analisi contestualizzata e topografica dei beni finalizzata alla loro connessione al tessuto territoriale e la loro georeferenziazione e quindi la loro reciproca integrazione.
Ogni museo affianca al dovere della conservazione del proprio patrimonio la missione, rivolta a varie e diversificate fasce di utenti, di renderne possibile la fruizione a scopo educativo, culturale, ricreativo e altro ancora. Interpretare il suo patrimonio e renderlo fruibile da parte dei visitatori, specialmente esponendolo, è dunque parte integrante della sua ragion d’essere. In linea generale, il museo è sollecitato a sviluppare, nel rispetto della propria tradizione e cultura, quegli aspetti di orientamento verso il visitatore che mettano quest’ultimo in grado di godere l’accostamento al museo stesso come un evento particolarmente appagante non solo in quanto fattore di crescita culturale, ma anche in quanto momento privilegiato della fruizione del tempo libero, e valido complemento delle più consuete attività ricreative. I punti di seguito indicati hanno valore: • di norma obbligatoria, riguardo ai livelli di base di servizi e comunicazione; • di norma volontaria, laddove aprono prospettive di incremento e sviluppo del rapporto con pubblico al di sopra dei livelli di base.
Documentazione allegata: tutti i beni devono essere fotografati utilizzando standard nazionali ICCD elaborati in collaborazione con le Regioni. Il museo deve quindi produrre e conservare gli allegati fotografici e/o grafici, cartacei, in digitale o in formato multimediale. Sistemi informativi: è auspicabile la definizione di un sistema informativo unitario per l’acquisizione e la gestione del materiale catalografico che permetta la possibilità di scambiare i dati tra i vari enti territoriali. A tal fine è necessario: • l’uso di programmi informatici compatibili con il Sistema Informativo Generale del Catalogo secondo quanto espresso nel protocollo d’intesa tra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e le Regioni; • il riferimento a metodologie, l’uso di procedure normative e tecnico-operative formulate dall’ICCD; • l’adozione di standard e protocolli tecnologici al fine di garantire l’integrazione delle reti sia nazionali che regionali. ESPOSIZIONE PERMANENTE E TEMPORANEA – PRESTITO Ogni museo è tenuto a definire e verificare periodicamente i criteri che regolano sia l’esposizione permanente e temporanea degli oggetti sia la loro conservazione e consultazione nei depositi, in rapporto alle esigenze di: d. disponibilità e sicurezza degli spazi e. conservazione e fruizione delle collezioni; f. rispetto della storia e missione del museo. La selezione, l’ordinamento e la presentazione degli oggetti destinati all’esposizione permanente devono rispondere a un progetto, preceduto da un approfondito studio storico-critico, che motivi le scelte adottate e giustifichi le eventuali modifiche alla situazione preesistente, che va comunque documentata. Nel progetto vanno perseguiti i seguenti obiettivi: • la selezione deve conciliare l’esigenza di rendere accessibile al pubblico il maggior numero possibile di oggetti con quella di far emergere le caratteristiche essenziali del museo; • l’ordinamento deve essere logico, comprensibile e coordinato con il progetto di allestimento degli spazi; • la presentazione deve garantire la leggibilità e la valorizzazione degli oggetti, riducendo al minimo i rischi di danno. L’ordinamento e l’immagazzinaggio degli oggetti destinati ai depositi devono essere progettati in modo da privilegiare lo sfruttamento razionale degli spazi e il controllo delle condizioni di conservazione e sicurezza delle opere. L’accesso ai depositi da parte del pubblico e del personale non direttamente addetto deve essere regolamentato e controllato. La consultazione degli oggetti non esposti va comunque garantita, nel rispetto delle condizioni di sicurezza, secondo criteri definiti e resi pubblici. Le esposizioni temporanee, soprattutto quelle che comprendono opere in prestito, devono rientrare in una programmazione pluriennale ed essere accuratamente progettate sotto il profilo scientifico e organizzativo. Nell’ambito dell’attività espositiva, va prevista la rotazione degli oggetti in deposito, al fine di estendere l’accessibilità delle collezioni. Ogni museo è tenuto ad assicurare la corretta gestione dei prestiti: • in uscita, attraverso la registrazione dei movimenti esterni degli oggetti, la verifica preventiva e consuntiva del loro stato di conservazione, la stipula delle condizioni di prestito, il servizio di accompagnamento delle opere quando necessario; • in entrata, garantendo agli oggetti che ospita temporaneamente idonee condizioni di sicurezza e conservazione durante l’imballaggio, il trasporto e l’esposizione, stipulando una polizza assicurativa adeguata e rispettando le condizioni fissate dal prestatore. POLITICHE DI RICERCA E STUDIO La ricerca che ogni museo compie a partire dalle sue collezioni costituisce una sua finalità primaria, cui devono essere dedicate risorse – umane e finanziarie – interne od esterne al museo, assicurando l’accessibilità per motivi di studio delle collezioni, della documentazione e delle conoscenze acquisite e curandone la comunicazione, per renderne partecipe il più largo numero di persone interessate.
RAPPORTI DEL MUSEO CON IL PUBBLICO E RELATIVI SERVIZI
Ogni museo è tenuto a garantire adeguati livelli di servizi al pubblico e l’accesso a tutte le categorie di visitatori/utenti, rimuovendo barriere architettoniche e ostacoli di ogni genere che possano impedirne o limitarne la fruizione. In particolare dovranno essere assicurati: • l’accesso agli spazi espositivi; • la consultazione della documentazione esistente presso il museo; • la fruizione delle attività scientifiche e culturali del museo; • l’informazione per la miglior fruizione dei servizi stessi. Ogni museo è tenuto a esporre le collezioni permanenti secondo un ordinamento scientificamente corretto, che interpreti e valorizzi gli aspetti di volta in volta ritenuti caratterizzanti. L’ordinamento e l’allestimento dovranno offrire al visitatore gli elementi conoscitivi indispensabili, ma anche, attraverso gli strumenti sotto descritti, informazioni orientative (di tipo storico, antropologico, storico-artistico, iconografico e quant’altro si renda utile) così da inserire nel percorso o nei percorsi di visita occasioni di arricchimento e di esperienza culturale in senso lato. Per tutti gli aspetti comunicativi e informativi è da tenere presente la rilevanza progressivamente assunta dalla comunicazione remota, specialmente tramite Internet, atta a rendere disponibili informazioni scientifiche e pratiche di ogni genere in anticipo e successivamente rispetto alla visita effettiva. Nelle tabelle che seguono sono riportati per ogni elemento strutturale caratteristico (da 1 a 8) le classi di esigenze interessate, gli obiettivi di qualità e i parametri da controllare. RAPPORTI CON IL TERRITORIO È caratteristica peculiare del patrimonio culturale italiano presentarsi come fenomeno di grande diffusione e pervasività nel territorio; una caratteristica che ha dato luogo alla metafora di “museo Italia”. Gli istituti museali che, indipendentemente dall’appartenenza giuridica e dalla dimensione, ospitano collezioni provenienti dal territorio viciniore assumono in molti casi l’inevitabile funzione di centri di interpretazione del territorio stesso. Questi musei, anche indipendentemente dal pregio e dalla rarità del patrimonio custodito, possono fornire un essenziale supporto a ogni azione modificatrice degli assetti e degli usi del territorio, fornendo elementi di conoscenza utili a sostenere il perseguimento o la salvaguardia del pubblico interesse per la tutela di tutti i fattori identitari del territorio e delle popolazioni ivi residenti, ivi compreso il paesaggio. In presenza di adeguate risorse umane e strumentali, oltre che delle eventuali autorizzazioni necessarie, il museo può inoltre garantire lo svolgimento di attività di indagine, rilievo, ricerca, documentazione, pronto intervento, conservazione preventiva e ricovero per ragioni di sicurezza estese al territorio di riferimento da svolgere in conformità con i relativi standard. È pertanto evidente che l’assunzione di responsabilità estese al territorio costituisce una scelta e non un obbligo, anche se resta peraltro vivamente raccomandato che i musei locali italiani siano adeguatamente attrezzati per svolgere funzioni di presidi territoriali idonei a facilitare localmente il lavoro degli organi preposti alla ricerca, alla tutela, alla valorizzazione, alla pianificazione territoriale e alla didattica in tema di storia e culture locali. Nell’indicazione delle proprie finalità e caratteristiche, ogni museo è tenuto a dichiarare le proprie responsabilità e vocazioni in relazione al territorio di appartenenza e riferimento. L’esercizio di un ruolo attivo nei confronti del territorio di appartenenza da parte del museo si configura quale azione sussidiaria nei confronti delle istituzioni competenti, favorendo nelle forme più opportune lo sviluppo di logiche e di strutture di sistema. Lo sviluppo di una funzione territoriale attiva deve mirare a implementare e rendere accessibile, in armonia con il regolamento del museo, raccolte documentarie (se possedute) e banche dati (ove disponibili, anche per via infotelematica) pertinenti al patrimonio culturale e paesaggistico del territorio di riferimento ed esplicarsi in una presentazione atta a fornire al visitatore le chiavi di lettura più idonee per una comprensione dei valori identitari del territorio, anche in prospettiva diacronica e favorendo lo sviluppo.
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ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
E, . D’ART B.9.2 GALLERIE I, E S MU OTECHE C PINA
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B.9. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI MUSEI, GALLERIE D’ARTE, PINACOTECHE
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STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE
➦ RIFERIMENTI NORMATIVI E PRESTAZIONALI TAB. B.9.2./8 SPAZI ESTERNI ESIGENZE
OBIETTIVI DI QUALITÀ
TAB. B.9.2./9 SPAZI INTERNI PARAMETRI DA CONTROLLARE
Accessibilità
Aree riservate per scarico e carico merci
Disponibilità
Spazi all’aperto per esposizione delle opere (giardini, cortili ecc.) Aree archeologiche recintate
Personale Disponibilità Esercizio
Accessibilità
Corpo di guardia, portineria parcheggi riservati (veicoli a motore e non) Accesso riservato per il personale
Esposizione
Pubblico Esercizio
Riconoscibilità Segnaletica indicante l’accesso al museo Accessibilità
area di parcheggio (veicoli a motore e non)
TAB. B.9.2./10 SISTEMI DI ALLESTIMENTO ESIGENZE
OBIETTIVI DI QUALITÀ
OBIETTIVI DI QUALITÀ
PARAMETRI DA CONTROLLARE
Collezione
Conservazione Pannelli: autoportanti, scorrevoli, girevoli, su piede Disponibilità
Pareti attrezzate Vetrine: addossate, in parete, verticali, a tavolo ecc. Piedistalli, mensole, pedane ecc. Lettura degli oggetti esposti Valorizzazione degli oggetti esposti
Funzionalità
Documentazione Restauro Personale
Aree per esposizione permanente delle opere Aree per esposizione temporanea delle opere Aree di servizio alle aree espositive: Disponibilità laboratori di preparazione degli allestimenti aree di movimentazione delle opere magazzini materiali di allestimento Spazi adattabili a modifiche dell’ordin. museografico Flessibilità Spazi per opere di grandi dimensioni Possibilità d’incremento degli spazi utilizzati Flussi di visita unidirezionali, circolari, a isola,ecc. Percorsi chiaramente riconoscibili Funzionalità Percorsi atti a evitare affollamenti Percorsi atti a evitare affaticamento Pavimentazioni e vetrature di facile pulizia Manutenibilità Pareti di facile riparazione Pareti attrezzabili Attrezzabilità Soffitti attrezzabili Aree per il deposito: • a condizioni ambientali controllate Disponibilità • a condizioni ambientali non controllate Caveau Manutenibilità Pavimentazioni di facile pulizia Attrezzabilità Possibilità di collocare scaffali, armadi ecc. Aree per la registrazione delle opere Disponibilità Laboratorio fotografico Disponibilità Laboratorio di restauro
Assenza di danno per gli oggetti esposti Visione per adulti, bambini, handicappati Visione dall’alto, frontale, da uno o più lati
Esposizione
Dall’alto, frontale, laterale, dal basso ecc.
Accessibilità
Esercizio
Disponibilità
Dispositivi di ostensione, fissaggio, sostegno degli oggetti in posizione orizzontale, verticale, su più piani, inclinata Sistemi di appensione puntuali, a griglie, a barre orizzontali o verticali, a rulli ecc.
Pannelli di facile pulizia Manutenibilità Vetrine con superfici trasparenti e telai di facile pulizia sia all’interno che all’esterno Disponibilità
Armadi, armadi blindati, cassettiere scaffalature semplici o meccanizzate ecc.
Accessibilità
Dall’alto, frontale, laterale, dal basso ecc.
Fruizione
Manutenibilità Facile pulizia interna e esterna dei contenitori Documentazione
Disponibilità
Tavoli, banchi per consultazione, sedie Cassettiere, armadi
Personale Esercizio
Disponibilità
Scrivanie, cassettiere, armadi, sedie
Educazione
Pubblico Tavoli, banchi per consultazione Fruizione
Disponibilità
Sedie, poltrone, divani Armadietti personali, per gruppi ecc.
Educazione
Disponibilità
Attrezzature didattiche Tavoli di lavoro, sedie Tavoli, banchi per consultazione
Consultazione
Disponibilità
Sedie, poltrone, divani Scaffali, cassettiere, armadi
B 346
Spazi di circolazione non aperti al pubblico Uffici amministrativi Locali per addetti alla vigilanza Abitazione custode Sala di controllo Mensa Aree di riposo Spogliatoi e servizi igienici
Pubblico
Dispositivi antivibrazioni
Conservazione
PARAMETRI DA CONTROLLARE
Collezione
Collezione
Esposizione
ESIGENZE
Consultazione
Disponibilità
Aree di accoglienza: • Biglietteria, sosta, area gruppi ecc. • Guardaroba e deposito oggetti • Servizi igienici, servizi igienici per disabili • Nursery • Aree per informazione audio e video • Sala conferenze • Servizi commerciali
Servizi di ristorazione: • bar, cafeteria, ristorante • Spazi per rifiuti Manutenibilità Pavimentazioni e vetrature di facile pulizia Aree per attività didattica Disponibilità Aule Manutenibilità Pavimentazioni e vetrature di facile pulizia Pareti attrezzabili Attrezzabilità Soffitti attrezzabili Possibilità di collocare pannelli verticali, attrezzature didattiche ecc. Aree per servizi informatici Biblioteca Sale multimedia Disponibilità Sale studio Fototeca Archivio cartaceo Archivio informatico Flessibilità Possibilità d’incremento degli spazi utilizzati
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B.9. 2. A.ZIONI
TAB. B.9.2./11 SISTEMI DI ILLUMINAZIONE ESIGENZE
OBIETTIVI DI QUALITÀ
PARAMETRI DA CONTROLLARE
Collezione
Funzionalità
Controllabilità
Flessibilità
Manutenibilità
Illuminazione di aree esterne Illuminazione di interni naturale: diretta, indiretta, condotta ecc. Illuminazione di interni artificiale: generale, puntuale di accento, su vetrina ecc. Filtri anti UV per la luce naturale Apparecchi a incandescenza (alogene), a scarica nei gas (ioduri metall., fluorescenti) Apparecchi con filtri anti UV o anti IR Apparecchi riflettori a fascio largo o stretto, rifrattore, sagomatore ecc. Dispositivi schermanti, manuali o automatici, per il controllo della luce naturale e della radiaz. solare Dispositivi di controllo della luce artificiale manuali, automatici, on/off, modulanti Accensioni distinte per illuminazione generale, puntuale ecc. Apparecchi illuminanti fissi, su binari, su griglie, in controsoffitti ecc. Apparecchi illuminanti di facile accessibilità (per sostituzione periodica sorgenti luminose) Apparecchi illuminanti di facile pulizia
TAB. B.9.2./12 SISTEMI DI CONTROLLO AMBIENTALE ESIGENZE
ESIGENZE
OBIETTIVI DI QUALITÀ
PARAMETRI DA CONTROLLARE
OBIETTIVI DI QUALITÀ
PARAMETRI DA CONTROLLARE
Percorsi preferenziali Targhette identif. delle opere (in italiano, multilingue) Disponibilità Esposizione
Audioguide in lingua italiana, multilingue Audiovisivi, videoproiez. ecc.,(in italiano, multilingue) Terminali per connessione informatica Monitor “touch screen” Edificio cablato
Flessibilità
Pavimento sopraelevato Canaline a pavimento, a zoccolo
Conservazione
Disponibilità
Terminali per connessione informatica
Esercizio
Disponibilità
Terminali per connessione informatica Telefonia interna, esterna
Pubblico Segnaletica Fruizione
Disponibilità
Terminali per connessione informatica Posto telefonico pubblico
Educazione
Disponibilità
Esposizione Conservazione Documentazione Restauro
Consultazione
Disponibilità
Terminali per connessione informatica Data base di consultazione
TAB. B.9.2./14 SISTEMI DI TRASPORTO ESIGENZE Collezione
Impianti di deumidificazione (controllo umidità relativa) centralizzati, locali, per vetrine ecc.
Esposizione Conservazione
Impianti di condizionamento dell’aria (controllo della temperatura, dell’umidità relativa e della purezza dell’aria) centralizzati, locali, per vetrina ecc.
Personale
Regolazione centralizzata, su locale pilota, su unità terminale, a intelligenza distribuita (DDC) Rilevazione delle grandezze ambientali: Controllabilità puntuale, istantanea, continua Archiviazione dei dati raccolti e analisi di scostamento rispetto agli intervalli di tolleranza delle grandezze su periodo giornaliero, settimanale, mensile, annuale Unità terminali diversamente collocabili in ambiente in relazione a modifiche di allestimento
OBIETTIVI DI QUALITÀ
Disponibilità
Carrelli elevatori Carri ponte, argani, paranchi
Esercizio
Disponibilità
Ascensori riservati
Pubblico Ascensori Fruizione
Disponibilità
Scale mobili Marciapiedi mobili Elevatori per superam. barriere architettoniche
TAB. B.9.2./15 SERVIZI ELETTRICI ESIGENZE
OBIETTIVI DI QUALITÀ
PARAMETRI DA CONTROLLARE
Collezione
Esposizione Conservazione
Disponibilità
Prese per alimentazione elettrica di aree interne: a parete, su zoccolo, a pavimento, su blindosbarra ecc.
Flessibilità
Predisposizione per impianti elettrici temporanei
Filtri dell’aria facilmente accessibili e sostituibili Centrali di trattamento aria di facile pulizia
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
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ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
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CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
Prese per alimentazione elettrica di aree esterne
Unità terminali ad acqua o ad aria di facile pulizia Canalizzazioni d’aria predisposte per la pulizia Manutenibilità interna
PARAMETRI DA CONTROLLARE
Montacarichi
Flessibilità Unità terminali con zone di influenza modificabili: manualmente, con servomotori, automaticamente
PRO TTURALE STRU
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
Impianti di umidificazione (controllo umidità relativa) centralizzati, locali, per vetrine ecc.
Vetrine, armadi, caveau di piccole dimensioni climatizzati con sistemi passivi
D.GETTAZIONE
Sistemi audiovisivi, videoproiezioni ecc.
Sistemi di disinfestazione, disinfezione
Disponibilità
E ESE ESSIONAL PROF
Terminali per connessione informatica
Impianti di ventilazione (controllo purezza dell’aria) centralizzati, locali ecc.
Impianti di raffrescamento (controllo temperatura estiva) centralizzati, locali, per vetrine ecc.
C.RCIZIO
Personale
Collezione
Impianti di riscaldamento (controllo temper. invernale) centralizzati, locali, per vetrine ecc.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
Collezione
Disponibilità
Esposizione Conservazione Documentazione Restauro
TAB. B.9.2./13 SISTEMA DI COMUNICAZIONE E TRASMISSIONE DATI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
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B.9. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI MUSEI, GALLERIE D’ARTE, PINACOTECHE
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STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE
FIG. B.9.2./1 SCHEMA GENERALE DI DISTRIBUZIONE SCHEMA DISTRIBUTIVO PLANIMETRICO ADIMENSIONALE DI UN MUSEO MEDIO-GRANDE CON LA POSSIBILE INTEGRAZIONE DI ATTIVITÀ COMPLEMENTARI (MEDIATECA, SALA CONFERENZE )
PARCHEGGIO
C12
C11
C2
C3 C7
C9
C9
C10
C10
D11
D7
D12 D6 D10
D5
D9
D4
D8
TRASFERIMENTO INFORMAZIONI (SUPPORTI MAGNETICI, FILMATI) ALLA MEDIATECA
SEZIONE DEGLI SPAZI ESPOSITIVI
C8
TRASFERIMENTO INFORMAZIONI AL CATALOGO
C5
C8
SEZIONE DEL DEPOSITO DI RISERVA E RELATIVI SERVIZI
IN ALCUNI CASI, I SERVIZI DI RISTORO HANNO UN ACCESSO DIRETTO ANCHE DALL'ESTERNO DEL MUSEO, IN MODO DA CONSENTIRNE L'ESERCIZIO FUORI DEGLI ORARI DI APERTURA DEL MUSEO; IN ALTRI CASI SONO COLLOCATI ALL'INTERNO DEL SETTORE ESPOSITIVO E SONO FRUIBILI SOLO DAI VISITATORI DEL MUSEO.
C4
C6
C11
LEGENDA SETTORE DEL PUBBLICO (ESPOSIZIONE) C1 C2 C3 C4 C5 C6 C7 C8 C9 C10 C11
- ACCESSO PUBBLICO - ATRIO - INFORMAZIONI - CATALOGO - LIBRERIA - SERVIZI IGIENICI PER IL PUBBLICO - SERVIZI DI RISTORO - SPAZI DIDATTICI E DI RICERCA - ESPOSIZIONI TEMPORANEE - ESPOSIZIONI PERMANENTI - FILTRI DI ACCESSO AGLI SPAZI ESPOSITIVI (EVENTUALI)
ATTIVITÀ COMPLEMENTARI (OPZIONALI) C11 - MEDIATECA (OPZIONALE) ATTREZZATA PER VIDEO VISIONI, PROIEZIONI, TELECONFERENZE, ECC. C12 - SALA CONFERENZE (OPZIONALE)
SETTORE DEI DEPOSITI DI RISERVA E RELATIVE ATTIVITÀ DI SERVIZIO D1 D2 D3 D4 D5 D6 D7 D8 D9 D10 D11 D12 D13
- ACCESSO MATERIALI MUSEALI - RICEZIONE, ACCETTAZIONE - DEPOSITO TEMPORANEO ENTRATA/USCITA - SERVZI IGIENICI PERSONALE - LABORATORIO DI ANALISI - LABORATORIO DI RESTAURO - LABORATORIO ALLESTIMENTI - UFFICIO DEL CATALOGO - LABORATORIO FOTOGRAFICO - ARCHIVIO - MEMORIA INFORMATICA - UFFICI DELLA DIREZIONE - DEPOSITO, RISERVA, COLLEZIONI - INVIO MATERIALI ALL'ESPOSIZIONE
PERCORSI DEL PUBBLICO (UTENTI) PERCORSI DEI LIBRI
D2 D3
D3 D1
B 348
SI PRECISA, TUTTAVIA, CHE I DIVERSI SETTORI DI ATTIVITÀ (DEPOSITO, SPAZI ESPOSITIVI, ATTIVITÀ COMPLEMENTARI OPZIONALI) NON SEMPRE SONO DISPOSTI SULLO STESSO PIANO. PIÙ SPESSO I DIVERSI SETTORI APPAIONO COLLOCATI SU PIANI DIVERSI E, NEI CASI DI DIMENSIONI MAGGIORI, GLI STESSI SINGOLI SETTORI POSSONO ARTICOLARSI SU PIÙ PIANI. IN TALI CASI I PERCORSI DI TRASFERIMENTO DEGLI OGGETTI DA ESPORRE UTILIZZERANNO ANCHE MECCANISMI DI SOLLEVAMENTO.
C1
TRASFERIMENTO INFORMAZIONI (IMMAGINI, FILMATI) AGLI SPAZI DIDATTICI E DI RICERCA
SERVIZI DI SUPPORTO
ATTIVITA' OPZIONALI
PARCHEGGIO
LA FIGURA ACCANTO MOSTRA LA DISTRIBUZIONE DELLE ATTIVITÀ DI UN MUSEO DI DIMENSIONI MEDIO-GRANDI E LE RECIPROCHE RELAZIONI, SCHEMATIZZATE IN UN GRAFICO ADIMENSIONALE.
PERCORSO DELLE INFORMAZIONI (CAVO) PERCORSO MATERIALI D'ALLESTIMENTO
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE MUSEI, GALLERIE D’ARTE, PINACOTECHE
B.9. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.9.2./2 SCHEMI DISTRIBUTIVI DI CASISTICHE RICORRENTI SCHEMA DISTRIBUTIVO ADIMENSIONALE DI UN PICCOLO MUSEO
SCHEMA DISTRIBUTIVO ADIMENSIONALE DI UN MUSEO SCIENTIFICO E DIDATTICO CON PROPRIA COLLEZIONE ESPOSTA O CUSTODITA IN DEPOSITO - LABORATORIO SETTORE DEL PUBBLICO
C1 C3
C4
C1 - ACCESSO PUBBLICO C2 - ATRIO C3 - BANCO INFORMAZIONI C4 - DIREZIONE C5 - SERVIZI IGIENICI PUBBLICO C6 - SERVIZI IGIENICI UFFICI C7 - SPAZI ESPOSITIVI C8 - SALA CONFERENZE
C8 C2 C5
C6
C1 C8
C3
C4
E ESE ESSIONAL PROF C5
C2
C6
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
D1 - LABORATORIO ALLESTIMENTI D2 - ACCESSO RICERCATORI D3 - LABORATORIO: CONSERVAZIONE E RICERCA D4 - AMBIENTI DI RICERCA D5 - SERVIZI IG. RICERCATORI
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
C7
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
SETTORE DEL PUBBLICO
D2
D5
D4
C1 - ACCESSO DEL PUBBLICO C2 - ATRIO C3 - BANCO INFORMAZIONI C4 - UFFICI DIREZIONE, CATALOGAZIONE C5 - SERVIZI IGIENICI PER IL PUBBLICO C6 - DEPOSITO OGGETTI E MATERIALI D'ALLESTIMENTO C7 - SPAZI ESPOSITIVI C8 - SALA MULTIUSO: CATALOGHI, LIBRERIA, INCONTRI, ECC.
D3
D5
D4
D4
D1
D4
D4
PERCORSO DEL PUBBLICO (UTENTI)
D4
PERCORSO DEI MATERIALI D'ALLESTIMENTO
C11
C2
C4
C6
C3 C7
C5
C8
C8
ATTIVITA' OPZIONALI
C12
SPECIFICAZIONI
SPAZI ESPOSITIVI E SERVIZI DI SUPPORTO
C1
GLI SPAZI PER ESPOSIZIONI (PALAZZI, GALLERIE, ECC.) SONO DESTINATI AD ALLESTIRE E OSPITARE MOSTRE TEMPORANEE DI OPERE D'ARTE PROVENIENTI DA RACCOLTE ESTERNE (FONDI, COLLEZIONI, MUSEI, ECC.). NON COMPORTANO QUINDI LA CUSTODIA DI RISERVE D'OPERE E RELATIVI SERVIZI (LABORATORI DI ANALISI E DI RESTAURO). NON È NEANCHE ESSENZIALE LA PRESENZA DI SPAZI PER LA DIDATTICA E LA RICERCA, DATA L'ASSENZA DI UNA RACCOLTA RESIDENTE DI OPERE. POSSONO INVECE SVOLGERE UN RUOLO SIGNIFICATIVO GLI SPAZI PER ATTIVITÀ CULTURALI COMPLEMENTARI - COME LE SALE PER CONFERENZE, LA MEDIATECA, LA LIBRERIA - CHE INTERVENGONO UTILMENTE A INTEGRARE LA PROMOZIONE CULTURALE VEICOLATA DALLE DIVERSE "MOSTRE". LEGENDA SETTORE DEL PUBBLICO (SPAZI ESPOSITIVI E SERVIZI) C1 C2 C3 C4 C5 C6 C7 C8
- ACCESSO DEL PUBBLICO - ATRIO - BANCO DELLE INFORMAZIONI - CATALOGO - ATTIVITÀ COMMERCIALI (LIBRI, MANIFESTI, MEDIA) - SERVIZI IGIENICI PER IL PUBBLICO - SERVIZI DI RISTORO (BAR, SELF SERVICE) - SPAZI ESPOSITIVI
D3
D5
D6
D9
D8
D2
D7
SEZIONE DEL DEPOSITO
D4
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
SETTORE DEI DEPOSITI D1 D2 D3 D4 D5 D6 D7 D8 D9
URB
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
ATTIVITÀ COMPLEMENTARI (OPZIONALI) C11 - MEDIATECA ATTREZZATA PER VIDEO VISIONI, PROIEZIONI, FILMATI, TELECONFERENZE, ECC. C12 - SALA CONFERENZE
G.ANISTICA
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
PERCORSI PERSONALE, RICERCATORI, OPERE
SCHEMA DISTRIBUTIVO ADIMENSIONALE DI UNA STRUTTURA ESPOSITIVA PER MOSTRE D'ARTE PRIVA DI PROPRIA COLLEZIONE (SOLO DEPOSITO TEMPORANEO PER COLLEZIONI ESTERNE)
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
DEPOSITO E RICERCA C7
B.STAZIONI DILEGIZLII
- ACCESSO DELLE OPERE DA ESPORRE - RICEZIONE, ACCETTAZIONE, REGISTRAZIONE - DEPOSITO TEMPORANEO OPERE IN ENTRATA E USCITA - LABORATORIO ALLESTIMENTI - LABORATORIO RIPRODUZIONE OPERE (FOTO, FILMATI) - ARCHIVIO DOCUMENTAZIONE DELLE MOSTRE - SERVZI IGIENICI DEL PERSONALE - ELABORAZIONE CATALOGO E MATERIALI INFORMATIVI - UFFICI DELLA DIREZIONE
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
E, . D’ART B.9.2 GALLERIE I, E S MU OTECHE C PINA
B 349
B.9. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI MUSEI, GALLERIE D’ARTE, PINACOTECHE
•
STRUTTURE PER CULTURA E INFORMAZIONE
FIG. B.9.2./3 MUSEI, GALLERIE D’ARTE, PINACOTECHE – SCHEMI DI ARTICOLAZIONE E ALLESTIMENTO DEGLI SPAZI ESPOSITIVI SCHEMI DI ARTICOLAZIONE DEGLI ALLESTIMENTI IN GRANDI SPAZI ESPOSITIVI DISPOSIZIONE DEI PERCORSI E DEGLI AMBITI TEMATICI
SCHEMI DI ESPOSIZIONE IN SPAZI OBBLIGATI (EDIFICI STORICI) PERCORSI E AMBITI TEMATICI F - PERCORSO OBBLIGATO, INTEGRATO NELL'ESPOSIZIONE - "STANZE" AD AMBITO TEMATICO CHIUSO
A - PERCORSO LIBERO (CON INTERSEZIONI) - AMBITI TEMATICI CHIUSI O IN SEQUENZA 1
4
3
2
5
4
1
6
7 2
1
B - PERCORSO OBBLIGATO E UNIDIREZIONALE (SENZA INTERSEZIONI) - AMBITI TEMATICI IN SEQUENZA APERTA 8
6
4
7
2
5
3
1 3
C - PERCORSO OBBLIGATO PER "ANELLI" SUCCESSIVI - AMBITI TEMATICI CHIUSI, CON ESPOSIZIONE AD "ISOLA"
4
3
2
1
1
4
G - PERCORSO LIBERO TEMA CENTRALE E AMBITI PARTICOLARI ("STANZE")
D - PERCORSO "ANULARE" OBBLIGATO (SENZA INTERSEZIONI) - AMBITI TEMATICI APERTI O CHIUSI, IN SEQUENZA
C 3
4
2
B
1
A
E - PERCORSO AD "ANELLI" CONCENTRICI (CON INTERSEZIONI) - AMBITI TEMATICI IN SEQUENZA, CON "STANZA" A TEMA D
E
QUADRI, ARAZZI, STAMPE, OGGETTI PIANI A PARETE 3
2
1
SCAFFALI APERTI O CHIUSI A VETRO OGGETTI IN EVIDENZA: SCULTURE, ESPOSITORI, ECC. "ISOLE": GRUPPI DI OGGETTI POSTI AL CENTRO (CON O SENZA PIATTAFORME) INTORNO AI QUALI SCORRONO I VISITATORI N.B. -
B 350
OGGETTI E RELATIVE DISPOSIZIONI SONO CASUALI: INDICANO SOLO LE DIREZIONI DI INTERESSE VISIVO
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER IL CULTO CHIESE CATTOLICHE
B.10. 1. A.ZIONI
Allo scopo di costituire un riferimento unitario che orienti il dialogo tra committenti e progettisti delle nuove chiese parrocchiali e di definire termini normativi e requisiti per la valutazione dei progetti (anche in vista della erogazione dei relativi finanziamenti da parte della CEI), la Commissione Episcopale per la liturgia, in collaborazione con la Commissione della CEI per l’edilizia di culto e la Consulta nazionale per i beni culturali ecclesiastici, ha elaborato la Nota pastorale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) “La progettazione di nuove chiese” del 18 febbraio 1993.
La Nota si riferisce in particolare alla progettazione delle nuove chiese parrocchiali, ma la Premessa precisa che le indicazioni e prescrizioni impartite…”possono rivestire una loro esemplarità di fondo anche per le chiese non parrocchiali, quali i santuari, le chiese conventuali, le cappelle di ospedali, di case di esercizi, di cimiteri ecc.
La trattazione, ampia e articolata, partendo dalla sintesi dei significati liturgici della chiesa e delle specificazioni introdotte dal Concilio Vaticano II, perviene a definire requisiti relativi all’intera estensione delle questioni tecniche che si pongono nella concezione-progettazione dell’edificio-chiesa, seppure con alcune formula-
Di seguito si riporta una estesa sintesi delle indicazioni della Nota, ordinate per paragrafi secondo la numerazione originale. Le figure e gli schemi allegati sono stati anch’essi elaborati in base ai dati e alle indicazioni tecniche e liturgiche contenute nella Nota della CEI.
zioni generiche e con un linguaggio “colto”, non usuale agli altri repertori normativi correnti.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
SIGNIFICATO LITURGICO DELLA CHIESA 1. Spazio architettonico e celebrazione cristiana La Chiesa è il luogo nel quale si riunisce la comunità cristiana per ascoltare la parola di Dio, per innalzare a Lui preghiere di intercessione e di lode e soprattutto per celebrare i santi misteri. L’edificio di culto cristiano corrisponde alla comprensione che la Chiesa ha di se stessa nel tempo: le sue forme concrete, nel variare delle epoche, sono immagine relativa di questa autocomprensione. Pertanto, la progettazione e la costruzione di una nuova chiesa richiedono, innanzitutto, che la comunità locale si sforzi di attuare il progetto ecclesiologico liturgico scaturito dal Concilio Vaticano Il che, in sintesi, esprime due convinzioni: • la Chiesa è mistero di comunione e popolo di Dio pellegrinante verso la Gerusalemme celeste; • la liturgia è azione salvifica di Gesù Cristo, celebrata nello Spirito, dall’assemblea ecclesiale, ministerialmente strutturata, attraverso l’efficacia di segni sensibili. 2. La chiesa come edificio, immagine della chiesa, popolo di Dio La realtà della Chiesa si manifesta in modo speciale nell’assemblea liturgica, soggetto della celebrazione cristiana. 3. La promozione di una nuova comunità ecclesiale locale Costruire una chiesa “di pietre” esprime una sorta di radicamento della Chiesa “di persone” nel territorio (plantatio Ecclesiae) il che esige un discernimento della comunità cui il nuovo edificio è destinato. Questo discernimento, a partire dai problemi della nostra società complessa e dall’attenzione alla cultura locale, procede per gradi al fine di approdare a un sito maturo.
Costruire una nuova chiesa è operazione pastorale articolata, nei suoi attori, ma ancor prima nel processo che la giustifica come immagine di una comunità, guidata nel suo cammino storico da profonde leggi teologiche e culturali. 4. Un progetto culturale, pastorale ed ecclesiale Non si può partire dalla chiesa considerata solo come opera muraria. Prima ci si deve porre di fronte ai soggetti per i quali sarà edificata e al Soggetto divino cui è riferita. II che vuole dire individuare un gruppo umano che abbia una sua autonomia “territoriale”, farsi carico delle sue attese, corrispondere alle sue istanze, condividere la sua crescita di fede. 5. La nuova chiesa e la comunità diocesana La costruzione di una nuova chiesa per una parrocchia presuppone la sensibilità di una “Chiesa madre”. È la comunità diocesana che, sotto la guida del Vescovo, si incarna nella realtà locale, per crearvi uno spazio di accoglienza. Ne deriva un profondo legame spirituale tra l’edificio parrocchiale di culto e la chiesa cattedrale, sede del magistero episcopale e segno di unità della diocesi. 6. La chiesa nel contesto urbano Lo spazio interno di una chiesa ha certamente un’importanza prioritaria, dal momento che esso trascrive architettonicamente il mistero della Chiesa-Popolo di Dio. D’altra parte, la concreta interpretazione dei rapporti interno-esterno ed edificio-contesto costituisce una delle acquisizioni più importanti dell’architettura contemporanea. Il rapporto tra chiesa e quartiere ha valore qualificante rispetto a un ambiente urbano non di rado anonimo, che acquista fisionomia (e spesso anche denominazione) tramite questa presenza, capace di orientare e organizzare gli spazi esterni circostanti. Ciò significa che il complesso parrocchiale deve essere messo in relazione ed entrare in dialogo con il resto del territorio, deve anzi arricchirlo.
PROGETTO DEGLI SPAZI INTERNI E DEI LUOGHI SUSSIDIARI ANNESSI ALLA CHIESA 7. Unità e articolazione dell’aula liturgica La disposizione generale di una chiesa deve rendere l’immagine di un’assemblea riunita per la celebrazione dei santi misteri, gerarchicamente ordinata e articolata nei diversi ministeri, in modo da favorire il regolare svolgimento dei riti e l’attiva partecipazione di tutto il popolo di Dio. Lo spazio interno della chiesa è dunque studiato per esprimere e favorire in tutto la comunione dell’assemblea, che è il soggetto celebrante. L’ambiente interno, dal quale deve sempre partire la progettazione, sarà orientato verso il centro dell’azione liturgica e scandito secondo una dinamica che parte dall’atrio, si sviluppa nell’aula e si conclude nel presbiterio, quali spazi articolati ma non separati. Tale spazio è in primo luogo progettato per la celebrazione dell’Eucarestia; per questo è richiesta una centralità non tanto geometrica, quanto focale dell’area presbiteriale, adeguatamente elevata, o comunque distinta, rispetto all’aula. Del resto, lo spazio deve rendere possibile l’organico e ordinato sviluppo, oltre che della Messa, anche degli altri Sacramenti (Battesimo, Confermazione, Penitenza, Unzione degli infermi, Ordinazione, Matrimonio) e sacramentali (funerali, Liturgia delle Ore, benedizione ecc.), con il margine di adattabilità che la prassi pastorale può esigere. I sistemi fissi di accesso e i percorsi per la circolazione interna, come pure la disposizione dell’arredo e della suppellettile mobile (banchi, sedie) della zona dei fedeli devono facilitare i vari movimenti processionali e gli spostamenti previsti dalle celebrazioni liturgiche nonché l’agevole superamento delle barriere architettoniche. Per prima cosa, nella chiesa vanno sottolineate le grandi presenze simboliche permanenti: l’altare, l’ambone, il battistero e il fonte battesimale; seguono poi il luogo della Penitenza, la custodia eucaristica e la sede del Presidente. Unitamente a queste, sono da progettare gli spazi per i fedeli, per il coro e l’organo e la collocazione delle immagini.
8. L’altare L’altare è il punto centrale per tutti i fedeli, è il polo della comunità che celebra. Dovrà pertanto essere ben visibile e degno; a partire da esso dovranno essere pensati e disposti i diversi spazi significativi. Sia unico e collocato nell’aria presbiteriale, rivolto al popolo e praticabile tutto all’intorno. Si ricordi che, pur proporzionato all’area presbiteriale in cui è situato, l’altare assicura la funzione di “focalità” dello spazio liturgico solo se è di dimensioni contenute. L’altezza del piano della mensa sia di circa 90 cm rispetto al pavimento, per facilitare il compito dei ministri che vi devono svolgere i propri ruoli celebrativi. Sull’altare non si devono collocare né statue né immagini di santi. Durante la dedicazione si può riporre un cofano con reliquie autentiche di martiri o altri santi, non inserendole nella mensa, ma sotto di essa. Secondo l’uso tradizionale e il simbolismo biblico, la mensa dell’altare fisso sia preferibilmente di pietra naturale. Tuttavia, per la mensa, come pure per gli stipiti e la base che la sostiene, si possono usare anche altri materiali, a patto che siano convenienti per la qualità e la funzionalità dell’uso liturgico. 9. L’ambone È il luogo proprio della parola di Dio. La sua forma sia correlata all’altare, senza tuttavia interferire con la priorità di esso. La sua ubicazione sia pensata in prossimità all’assemblea (anche non all’interno del presbiterio, come testimonia la tradizione liturgica) e renda possibile la processione con I’Evangeliario e la proclamazione pasquale della Parola. Sia conveniente per dignità e funzionalità, disposto in modo tale che i ministri che lo usano possono essere visti e ascoltati dall’assemblea. Un leggio qualunque non basta: si richiede una nobile ed elevata tribuna, possibilmente fissa, che costituisca una presenza eloquente. Accanto all’ambone può essere collocato il grande candelabro per il cero pasquale.
➥
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
E, . D’ART B.9.2 GALLERIE I, E MUS OTECHE C PINA HE .1. B.10 CATTOLIC E CHIES
B 351
B.10. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI CHIESE CATTOLICHE
•
STRUTTURE PER IL CULTO
➦ PROGETTO DEGLI SPAZI INTERNI E DEI LUOGHI SUSSIDIARI ANNESSI ALLA CHIESA 10. La sede del Presidente La sede esprime la distinzione del ministero di colui che guida e presiede la celebrazione. Per collocazione sia ben visibile a tutti, in modo da consentire la guida della preghiera, il dialogo e l’animazione. Essa deve designare il presidente non solo come capo, ma anche come parte integrante dell’assemblea: per questo dovrà essere in diretta comunicazione con l’assemblea dei fedeli, pur restando abitualmente collocata in presbiterio. Si ricordi però che non è la cattedra del Vescovo, e che comunque non è un trono. La sede è unica e può essere dotata di un apposito leggio a servizio di chi presiede. Si preveda inoltre la disponibilità di altri posti destinati ai concelebranti, al diacono e agli altri ministri e ai ministranti. Non si trascuri di progettare un luogo accessibile e discreto per la credenza. 11. Il battistero e il fonte battesimale Nel progetto di una chiesa parrocchiale è indispensabile prevedere il luogo del Battesimo (battistero distinto dall’aula o semplice fonte collegato all’aula). Sia decoroso e significativo, riservato esclusivamente alla celebrazione del sacramento, visibile dall’assemblea, di capienza adeguata. Il fonte sia concepito in modo che vi si possa svolgere anche la celebrazione del Battesimo per immersione. Si ricordi che il Rito del Battesimo si articola in luoghi distinti, con i relativi “percorsi”, che devono essere tutti agevolmente praticabili. Non è possibile accettare l’identificazione dello spazio e del fonte battesimale con l’area presbiteriale o con parte di essa, né con un sito riservato ai posti dei fedeli. 12. Il luogo e la sede per la celebrazione del sacramento della Penitenza La celebrazione del sacramento della Penitenza richiede un luogo specifico (penitenzieria) o una sede che metta in evidenza il valore del sacramento per la sua dimensione comunitaria e per la connessione con l’aula della celebrazione dell’Eucarestia; deve inoltre favorire la dinamica dialogica tra penitente e ministro, con il necessario riserbo richiesto dalla celebrazione in forma individuale. 13. La custodia eucaristica Il Santissimo Sacramento venga custodito in un luogo architettonico importante, normalmente distinto dalla navata della chiesa, adatto all’adorazione e alla preghiera soprattutto personale. Ciò è motivato dalla necessità di non proporre simultaneamente il segno della presenza sacramentale e la celebrazione eucaristica. Il tabernacolo sia unico, inamovibile e solido, non trasparente e inviolabile. Non si trascuri di collocarvi accanto il luogo per la lampada dalla fiamma perenne, quale segno di onore reso al Signore. 14. I posti dei fedeli La collocazione dei posti per i fedeli sia curata in modo particolare mettendo a disposizione banchi e sedie perché ciascuno possa partecipare con l’atteggiamento, con lo sguardo, con l’ascolto e con lo spirito alle diverse parti della celebrazione.
15. Il posto del coro e dell’organo Il coro fa parte dell’assemblea e deve essere collocato nell’aula dei fedeli; deve trovarsi in posizione e con arredo tale da permettere ai suoi membri l’adempimento del compito proprio, la partecipazione alle azioni liturgiche e la guida del canto dell’assemblea. Per ragioni foniche e funzionali, la collocazione dell’organo a canne sia studiata e progettata attentamente fin dall’inizio, tenendo conto del suo naturale collegamento con il coro e con l’assemblea. 16. Il programma iconografico Il programma iconografico, che descrive il mistero celebrato in relazione alla storia della salvezza e all’assemblea, deve essere adeguatamente previsto fin dall’inizio della progettazione. Va pertanto ideato secondo le esigenze liturgiche e culturali locali, e in collaborazione organica con il progettista, l’artigiano e l’arredatore. Anche la croce, l’immagine della beata Vergine Maria, del patrono e altre eventuali immagini (ad esempio, il percorso della via crucis normalmente situato in luogo distinto dall’aula) devono essere pensate fin dall’inizio nella loro collocazione. È bene conservare l’antica consuetudine di collocare dodici o almeno quattro croci di pietra, di bronzo o di altra materia adatta sulle pareti in corrispondenza con il luogo delle unzioni di dedicazione. 17. La cappella feriale Si preveda di norma una cappella distinta dalla navata centrale, arredata per la celebrazione con i piccoli gruppi di fedeli. Essa può identificarsi con la cappella per la custodia del Santissimo Sacramento, nella quale l’altare deve comunque essere distinto dal tabernacolo. 18. L’arredo Circa l’arredo della chiesa, occorre ricordare innanzitutto che non si tratta di un generico abbellimento estrinseco né di oggetti di carattere puramente utilitaristico, ma di suppellettili pienamente funzionali che vanno attentamente progettate perché siano armonicamente connesse con l’insieme dell’edificio. Nella scelta degli elementi per l’arredamento si persegua una nobile semplicità piuttosto che il fasto, si curi la verità delle cose e si tenda alla educazione dei fedeli e alla dignità del luogo sacro. L’orientamento di base per la cura dell’arredo è dunque quello dell’autenticità delle forme, dei materiali e della destinazione di mobili e oggetti. Quanto all’arredo floreale, può essere opportuno progettare una o più fioriere nell’area presbiteriale, non solo per l’effetto di ordine, ma per l’uso liturgico nei tempi e nei modi consentiti. Al primario criterio della verità, sia unito il criterio della sobrietà, quello della coerenza estetica con l’insieme dell’edificio e il criterio della valorizzazione della creazione artistica, ricordando che è pure consentito il ricorso a nuovi materiali, oltre a quelli tradizionali. Nell’utilizzo di suppellettili antiche si rispetti l’identità culturale, storica e artistica, evitando arbitrarie e incongrue modifiche.
LUOGHI SUSSIDIARI ANNESSI ALLA CHIESA 19. La sacrestia La sacrestia deve essere un ambiente sufficientemente ampio, arredato non solo per accogliere celebranti e ministri, ma anche per la conservazione dei libri, delle vesti e dell’arredo liturgico e dotato di altri supporti necessari (servizi igienici, anche per i fedeli). Si preveda un deposito per gli oggetti e strumenti vari e un locale attrezzato per la preparazione dell’addobbo floreale. Accanto alla sacrestia può essere previsto un luogo per il “colloquio” fra sacerdoti e fedeli che favorisca la necessaria riservatezza. La porta d’accesso sia possibilmente duplice: una direttamente verso l’area presbiteriale e l’altra verso l’aula assembleare, per favorire in particolare lo svolgimento delle processioni d’ingresso e di rientro dalla celebrazione. 20. Il sagrato Area molto importante che deve esprimere i valori di “soglia”, dell’accoglienza e del rinvio; si può prevedere che sia dotato di un porticato o di elementi similari. Talvolta può essere anche luogo di celebrazione, il che richiede che il sagrato sia riservato a uso esclusivamente pedonale. Deve tuttavia mantenere la sua funzione di tramite e di filtro (non di barriera) nel rapporto con il contesto urbano.
21. L’atrio e la porta All’aula liturgica si accede attraverso un atrio e una porta d’ingresso. Mentre l’atrio è spazio significativo dell’accoglienza della Chiesa, la porta è l’elemento significativo del Cristo, “porta” del gregge. È a questi valori che va ricondotto l’eventuale programma iconografico della porta centrale. Le dimensioni dell’ingresso siano proporzionate non solo alla capienza dell’aula, ma anche alle esigenze di passaggio delle processioni solenni. Si conservi l’uso di collocare le acquasantiere battesimali per chi entra. Essendo questi spazi usati spesso anche per esporre informazioni murali (manifesti), occorre studiare in essi i relativi arredi mobili. 22. Campanile e campane Il campanile, come elemento architettonico e non solo come supporto per le campane, può costituire un qualificante componente di riconoscibilità dell’edificio religioso. Per dimensioni e per struttura sia tale da non richiedere un troppo forte investimento finanziario. Nella progettazione, si prevedano la collocazione e l’uso delle campane per la loro tradizionale funzione di richiamo, di feste e comunicazione sonora; si escludano invece le “trombe” acustiche.
EDIFICI PER IL SERVIZIO PASTORALE E CASA PARROCCHIALE Questi ambienti siano dignitosi, di stile sobrio ed essenziale, capaci di assolvere la loro funzione di abitazione, accoglienza e ospitalità per la missione della Chiesa. Si abbia cura che le attività in esse previste non costituiscano fattore di intralcio visivo o acustico per l’aula liturgica.
B 352
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER IL CULTO CHIESE CATTOLICHE
A.ZIONI
CANTIERE DELLA CHIESA CONDIZIONI DEL PROGETTO 24. La riconoscibilità della chiesa Nella fase di ideazione di una chiesa e delle costruzioni a essa collegate (ad es. le opere pastorali), emergono due esigenze prioritarie: • la progettazione globale dell’area in cui la chiesa, pur dialogando con essi, non si deve confondere con gli altri edifici; • la riconoscibilità dell’edificio per il culto, che va assicurata non tanto attraverso segni aggiuntivi (insegne, luci, scritte), ma, nei limiti del possibile, attraverso adeguate pause architettoniche (sagrato, giardino, cortile), contenenti elementi evocativi che orientino tematicamente e plasticamente allo spazio ecclesiale, senza attardarsi dietro scenografie o allegorismi discutibili. Al riguardo un’attenta ricognizione storica-architettonica può offrire spunti e suggestioni da tener presenti, senza limitare la ricerca creativa di nuove soluzioni. 25. Committenti e progettisti Si assicuri un effettivo dialogo dei committenti con i progettisti in modo che da questa stretta collaborazione, nel rispetto delle competenze di ciascuno, il progetto possa valorizzare pienamente la tradizione architettonica ecclesiale e locale. 26. Il dimensionamento della chiesa Si eviti la ricerca forzata della monumentalità e il ricorso alla mera esibizione strutturale. La capienza dell’aula liturgica, più che alla popolazione parrocchiale, deve essere commisurata alle esigenze della celebrazione. Un’assemblea celebra in modo adeguato se non supera una dimensione funzionale (500 persone circa).
COMUNITÀ E PROGETTAZIONE 27. Soggetti, modi e tempi della progettazione Diversi sono i soggetti, il modo di partecipazione e i tempi dell’iter progettuale. • La Diocesi opera tramite l’Ufficio liturgico (per la consulenza specifica), la Commissione per l’arte sacra (per la valutazione del progetto), il Comitato nuove chiese (con i necessari supporti di indole diversa), il Consiglio per gli affari economici (per la verifica dei piani finanziari), i tecnici. • La Parrocchia opera tramite il Parroco, il Consiglio pastorale, il Consiglio per gli affari economici, i fedeli, i tecnici. • Il progettista è persona di particolare qualificazione già a livello di pratica professionale, ma deve mostrare specifica sensibilità ai valori teologico liturgici che l’edificio dovrà rappresentare. L’incarico è dato dal Vescovo, sentita la comunità locale. • L’iter progettuale prevede che il progetto sia approvato dal Vescovo, tramite la commissione diocesana, nella formulazione di massima, e poi di progettazione completa. Le osservazioni e indicazioni al progettista sono date, tramite l’Ufficio liturgico, dal Vescovo, in contatto e interazione con il Parroco. • I tempi dell’iter: è previsto il tempo della sensibilizzazione e della consultazione dei fedeli, e quello dell’elaborazione e della discussione del progetto (in linea di massima e poi in fase esecutiva), anche in rapporto al piano di finanziamento intermedio e consuntivo.
PROBLEMI TECNICI E GESTIONALI 28. Attenzione di carattere generale Dal momento che nella progettazione dell’edificio ecclesiale si tende spesso a privilegiare l’aspetto estetico nei confronti delle componenti tecnologiche, si auspica l’interdisciplinarità già nella fase progettuale. È bene ricordare che i problemi tecnici dei grandi spazi sono più ardui da affrontare di quegli di spazi minori. Il progetto deve essere completo in ogni parte, in modo che l’edificio-chiesa comprenda già tutto nella sua struttura. In particolare, il progetto di una nuova chiesa deve contenere indicazioni complete anche per quanto riguarda gli impianti. Occorre rispettare la normativa civile prevista per gli edifici pubblici (l’abbattimento delle barriere architettoniche con l’inserimento di rampe adeguate, la sicurezza impiantistica, il sistema di allontanamento delle acque meteoriche ecc.) assicurando il contenimento del consumo energetico, la semplicità gestionale e il ridotto costo manutentivo. È fattore di capitale importanza l’attenta valutazione dei preventivi di spesa e la scelta dell’impresa a cui affidare l’esecuzione del progetto, evitando pericolosi giochi al ribasso. È necessaria una approfondita analisi dell’aspetto tecnico-economico dell’opera, con particolare riferimento alla valutazione dei singoli lavori con relativi oneri, anche per giungere a una corretta ed esauriente individuazione del costo dell’opera ed evitare sgradevoli sorprese in fase esecutiva.
B.10. 1.
29. La scelta dei materiali AI fine di garantire la durata dell’edificio, si scelgano materiali tradizionali, sperimentati, durevoli, noti per le loro caratteristiche, evitando tecniche inedite che comportano rilevanti spese di manutenzione nel breve periodo. In proposito, si ricorda che il cemento armato a vista crea seri problemi se non viene eseguito con particolare cura. 30. Illuminazione La luce naturale concorre ad assicurare rilevanti effetti estetici, ma deve consentire anche i giusti livelli di luminosità funzionale, sia per l’assemblea sia per lo spazio presbiteriale e altri spazi, in modo che nelle ore diurne non si debba fare che un limitato uso di altre fonti di luce. La luce artificiale dovrebbe rispecchiare il più possibile le funzioni della luce naturale. Fatta salva l’esigenza delle luci di emergenza, delle spie luminose per le norme di sicurezza, il quadro elettrico deve essere ubicato in sacrestia dove faranno capo i comandi di tutti i circuiti della chiesa. Per assicurare le esigenze fondamentali di luminosità (come anche quelle termiche e di aerazione), occorre che vengano soddisfatte le esigenze liturgiche più frequenti (liturgie eucaristiche, momenti dell’anno liturgico ecc.), ma anche che siano garantite le condizioni per affrontare eventi più rari e straordinari (ad es.: veglie di preghiera, rappresentazioni sacre ecc.). 31. Climatizzazione Per l’aula liturgica e i locali annessi è necessario assicurare un ricambio naturale d’aria, facilitando l’apertura e la chiusura degli infissi. Devono comunque essere evitate fonti localizzate di condensa. Pur non essendo necessari impianti di riscaldamento sofisticati, data la breve permanenza dell’assemblea, tuttavia è bene assicurare una soddisfacente climatizzazione, evitando correnti d’aria, rumorosità e negativi impatti estetici. A tal fine, si cureranno le apposite bussole per le porte d’ingresso. Per tutto il complesso vanno previste non solo le parzializzazioni a circuiti separati, a seconda dei periodi di funzionamento, ma anche l’isolamento tra le singole parti parcellizzate. Per la tempestiva utilizzazione dell’impianto termico occorrono comandi centralizzati, con possibilità di comando a distanza. 32. Acustica Nella progettazione di una nuova chiesa a livello strutturale, di forma e di qualità di materiali si tengano presenti le regole che assicurano un risultato acustico accettabile. Si consideri che eventuali vizi d’origine sono difficilmente rimediabili con l’impianto di amplificazione. È da evitare la costruzione di una nuova chiesa in zone acusticamente disturbate. In presenza di rumorosità esterna persistente, occorre provvedere a opere di isolamento acustico dall’esterno (doppie porte, doppi vetri ecc.). Gli impianti di diffusione acustica dovrebbero essere a servizio delle aree celebrative sia come sorgente che come apparati diffusori; pertanto gli altoparlanti siano collocati con cura, in modo da servire tutti gli spazi dell’edificio. La resa dell’organo a canne è condizionata dall’ubicazione e dal tipo di struttura che racchiude il complesso delle canne (cappella o nicchia); una buona sonorità dipende da una struttura che faccia da cassa di risonanza e nello stesso tempo permetta al suono di espandersi. Lo spazio ideale per l’organo e gli altri strumenti musicali, come pure quello del coro è una postazione intermedia fra l’assemblea e il presbiterio. Le soluzioni concrete andranno cercate in rapporto sia al tipo di organo scelto sia alla configurazione dell’aula. Particolare cura deve essere rivolta alla sonorizzazione del coro, provvedendo ai microfoni e relativi attacchi. 33. Esigenze di sicurezza e di regolare manutenzione Pur essendo le chiese esonerate dalla approvazione dei vigili del fuoco, esiste un obbligo morale di garantire la sicurezza, adeguando ad es. gli accessi per numero, dimensione, posizione e senso di apertura delle porte di fuga. Nel progetto devono essere previsti tutti gli accorgimenti che garantiscono la regolare e agevole manutenzione della chiesa e dei suoi impianti. In particolare, deve essere assicurata l’accessibilità alle parti alte dell’edificio, l’ispezionabilità delle condutture e delle canalizzazioni, che devono essere poste in cunicoli o in vani completamente controllabili. Per il parroco, il sacrestano e i loro collaboratori è opportuno predisporre una guida di “istruzioni per l’uso e la conduzione” di tutti gli impianti, con le date di verifica e manutenzione periodica sia ordinaria che straordinaria. 34. Incarico di progettazione Per la progettazione e realizzazione degli impianti (termici, elettrici, fonici e di aerazione) e per la progettazione strutturale ci si affidi a professionisti e a imprese di provata qualificazione. È bene che presso gli uffici di Curia si trovino puntuali riferimenti al riguardo. La progettazione degli impianti sia eseguita contemporaneamente a quella edilizioarchitettonica e strutturale. Quest’ultima in particolare non è da sottovalutare, visto che ambienti di dimensioni fuori dell’ordinario comportano difficoltà di calcolo ed esecutive, che conducono a scelte talvolta contrastanti con le linee architettoniche. Se ciò viene fatto a cura dell’impresa e quindi solo prima dell’inizio dei lavori, ne deriva la necessità di effettuare varianti in corso d’opera, con conseguenze compromissione nelle linee architettoniche, e in genere con una forte lievitazione dei costi. L’affidamento dell’incarico deve prevedere un responsabile-coordinatore, ma contestualmente anche i relativi tecnici-specialisti che devono partecipare fin dall’inizio alla redazione progettuale.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
HE .1. B.10 CATTOLIC E CHIES
B 353
B.10. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI CHIESE CATTOLICHE
•
STRUTTURE PER IL CULTO
FIG. B.10.1./1 SCHEMA DI CHIESA PARROCCHIALE
ABITAZIONE CLERO
EDIFICI PER IL SERVIZIO PASTORALE E CASA PARROCCHIALE SIANO DI STILE SOBRIO ED ESSENZIALE, IDONEI AD ASSOLVERE LA FUNZIONE DI ABITAZIONE, ACCOGLIENZA E OSPITALITÀ . SI ABBIA CURA CHE LE ATTIVITÀ IN ESSE PREVISTE NON COSTITUISCANO FATTORE DI INTRALCIO VISIVO O ACUSTICO PER L'AULA LITURGICA.
UFFICI PARROCCHIALI
DEPOSITI
SACRESTIA DEVE ESSERE UN AMBIENTE SUFFICIENTEMENTE AMPIO, ARREDATO PER ACCOGLIERE CELEBRANTI E MINISTRI, PER LA CONSERVAZIONE DEI LIBRI, DELLE VESTI E DELL'ARREDO LITURGICO E DOTATO DI ALTRI SUPPORTI NECESSARI (SERVIZI IGIENICI, ANCHE PER I FEDELI). SI PREVEDA UN DEPOSITO PER OGGETTI E STRUMENTI VARI E UN LOCALE PER LA PREPARAZIONE DELL'ADDOBBO FLOREALE. ACCANTO ALLA SACRESTIA PUO ESSERE PREVISTO UN LUOGO PER IL "COLLOQUIO" FRA SACERDOTI E FEDELI CHE FAVORISCA LA NECESSARIA RISERVATEZZA.
VESTIBOLO SACRESTIA
CORO
SERVIZI
CAMPANILE PRESBITERIO PRESBITERIO
2
3
6
5
1
LATO EPISTOLA
LATO EVANGELO
8
4
1 - ALTARE 2 - SEDE 3 - CROCE 4 - AMBONE 5 - CREDENZA 6 - CERO 7 - AMBONE IN CORNU EPIS. 8 - TABERNACOLO 9 - LAMPADA PERENNE 9 8
BATTISTERO
SCHOLA CANTORUM
PERCORSO CERIMONIALE
CAPPELLE
CAPPELLE
AULA PENITENZIALE
CAPPELLE
CRYING ROOM
ATRIO O BUSSOLA
SAGRATO (AREA PEDONALE)
PARCHEGGI
PARCHEGGI
UNITÀ SPAZIALI COMPLEMENTARI (NON SEMPRE PRESENTI) PERCORSI DEI FEDELI (DI DISTRIBUZIONE) PERCORSI DEL CLERO E DEGLI ADDETTI (CERIMONIALI E DI SERVIZIO)
B 354
PRESBITERIO SI VEDA FIG. B.10.1./3 SEGUENTE
CUSTODIA EUCARISTICA IL SANTISSIMO SACRAMENTO VENGA CUSTODITO IN LUOGO DISTINTO DALLA NAVATA DELLA CHIESA, ADATTO ALL'ADORAZIONE E ALLA PREGHIERA PERSONALE. NON SI TRASCURI DI COLLOCARVI ACCANTO LA LAMPADA DALLA FIAMMA PERENNE. BATTISTERO E FONTE BATTESIMALE IL LUOGO DEL BATTESIMO PUÒ ESSERE COSTITUITO DA BATTISTERO DISTINTO DALL'AULA O DA SEMPLICE FONTE COLLEGATA ALL'AULA. SIA RISERVATO ALLA CELEBRAZIONE DEL SACRAMENTO, VISIBILE DALL'AULA E DI CAPIENZA TALE CHE VI SI POSSA CELEBRARE ANCHE IL BATTESIMO PER IMMERSIONE. LO SPAZIO DEL FONTE BATTESIMALE NON PUÒ ESSERE UBICATO NELL'AREA PRESBITERIALE NE' IN UN SITO RISERVATO AI POSTI DEI FEDELI. CELEBRAZIONE DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA RICHIEDE UN LUOGO SPECIFICO (PENITENZIERIA) O UNA SEDE CONNESSA CON L'AULA DELLA CELEBRAZIONE DELL'EUCARESTIA E DEVE FAVORIRE IL DIALOGO TRA PENITENTE E MINISTRO CON IL NECESSARIO RISERBO. POSTO DEL CORO E DELL'ORGANO IL CORO FA PARTE DELL'ASSEMBLEA E DEVE ESSERE COLLOCATO NELL'AULA DEI FEDELI; DEVE PERMETTERE AI SUOI MEMBRI L'ADEMPIMENTO DEL COMPITO PROPRIO, LA PARTECIPAZIONE ALLE AZIONI LITURGICHE E LA GUIDA DEL CANTO DELL'ASSEMBLEA.
ACQUA SANTA AVVISI
CAMPANILE E CAMPANE POSSONO COSTITUIRE ELEMENTI QUALIFICATI DI RICONOSCIBILITÀ DELLA CHIESA. SI PREVEDA L'USO DELLE CAMPANE PER LA FUNZIONE DI RICHIAMO, DI FESTE E COMUNICAZIONE SONORA; SI ESCLUDANO INVECE LE "TROMBE" ACUSTICHE.
POSTI DEI FEDELI LA COLLOCAZIONE DEI POSTI PER I FEDELI (BANCHI E/O SEDIE) SIA DISPOSTA IN MODO CHE CIASCUNO POSSA PARTECIPARE CON L'ATTEGGIAMENTO, CON LO SGUARDO, CON L'ASCOLTO E CON LO SPIRITO ALLE DIVERSE PARTI DELLA CELEBRAZIONE. L 'ATRIO E LA PORTA ALL'AULA LITURGICA SI ACCEDE ATTRAVERSO UN ATRIO E UNA PORTA D'INGRESSO. MENTRE L'ATRIO È SPAZIO SIGNIFICATIVO DELL'ACCOGLIENZA DELLA CHIESA, LA PORTA È L'ELEMENTO SIGNIFICATIVO DEL CRISTO, "PORTA" DEL GREGGE. LE DIMENSIONI DELL'INGRESSO SIANO PROPORZIONATE ALLA CAPIENZA DELL'AULA E ALLE ESIGENZE DI PASSAGGIO DELLE PROCESSIONI SOLENNI. SI CONSERVI L'USO DI COLLOCARE LE ACQUASANTIERE PER CHI ENTRA. ESSENDO QUESTI SPAZI USATI SPESSO ANCHE PER ESPORRE INFORMAZIONI MURALI (MANIFESTI), OCCORRE STUDIARE IN ESSI I RELATIVI ARREDI MOBILI. SAGRATO DEVE ESPRIMERE I VALORI DI "SOGLIA", DELL'ACCOGLIENZA E DEL RINVIO; PUÒ ESSERE DOTATO DI PORTICATO O DI ELEMENTI SIMILARI. SI RICHIEDE CHE IL SAGRATO SIA RISERVATO A USO ESCLUSIVAMENTE PEDONALE, PUR MANTENENDO LA FUNZIONE DI TRAMITE E DI FILTRO (NON DI BARRIERA) CON IL CONTESTO URBANO.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER IL CULTO CHIESE CATTOLICHE
B.10. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.9.1./2 CHIESE CATTOLICHE – L’AULA (DEI FEDELI)
m MIN. 200.
AULA DI CHIESA PARROCCHIALE MINORE (120÷150 POSTI) SCHEMA DI DISTRIBUZIONE DEI POSTI E DEI PERCORSI
B.STAZIONI DILEGIZLII
AULA DI UNA CHIESA PARROCCHIALE MAGGIORE (400÷480 POSTI A SEDERE) SCHEMA DI DISTRIBUZIONE DEI POSTI E DEI PERCORSI
LIMITE DEL PRESBITERIO
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
PRESBITERIO (V. FIG. B.10.1./3.)
500
SPAZIO PER CERIMONIE
m
LIMITE DEL PRESBITERIO
MIN. 200.
m
SOMMINISTRAZIONE DELL'EUCARESTIA
m
m
F. TERIALI,
m m m
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
m
m
m
m m m m m
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB
m m
m
m m m
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE
m
m
m
DIMENSIONI DELLE PANCHE CON INGINOCCHIATOIO
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
PERCORSO CERIMONIALE
m m m m
NELLE AULE CON ELEVATA CAPIENZA È PREFERIBILE ASSEGNARE AL PERCORSO CENTRALE UNA LARGHEZZA ADEGUATA ALL'ESPLETAMENTO DELLE CERIMONIE E DEI RITI (FUNERALI, MATRIMONI, PROCESSIONI) LASCIANDO FISSO L'ALLINEAMENTO DELLE PANCHE (LARGHEZZA ≥ 3,00 M).
240.
180÷240
m
220÷330
m
240
m
220÷330
NELLE AULE CON CAPIENZA RIDOTTA DI POSTI, LO SPAZIO PER LE CERIMONIE PRESSO IL PRESBITERIO È OTTENUTO RIDUCENDO L'ESTENSIONE DELLE PANCHE LATERALI, IN MODO DA DILATARE LA LARGHEZZA DEL PERCORSO CENTRALE.
240
275÷330
130
275÷330
300÷360
275÷330
130
275÷330
240
0,80
0,15
70
18 22 30 70
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
320
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
85÷90
55
85÷90
20
I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
0,38
240
340÷360
PORTE ORDINARIE
240
PORTA RITUALE
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
PORTONE 55
20
PRO TTURALE STRU
CO NTALE AMBIE
m 180÷240
D.GETTAZIONE E.NTROLLO
m
m
m
300
E ESE ESSIONAL PROF
BUSSOLA D'INGRESSO SAGRATO m. = 85÷90 cm
85÷90
85÷90
85÷90
DEFLUSSO (PORTE DI SICUREZZA)
MODULO DI INGOMBRO TRASVERSALE DEI BANCHI PERCORSI DEI FEDELI (DI DISTRIBUZIONE) PERCORSI DEL CLERO E DEGLI ADDETTI (CERIMONIALI E DI SERVIZIO)
HE .1. B.10 CATTOLIC E CHIES
B 355
B.10. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI CHIESE CATTOLICHE
•
STRUTTURE PER IL CULTO
FIG. B.10.1./3 CHIESE CATTOLICHE – IL PRESBITERIO
ALTARE POSTO NELL'AREA PRESBITERIALE, SIA BEN VISIBILE, UNICO, RIVOLTO AL POPOLO, AGIBILE ALL'INTORNO. L'ALTEZZA DEL PIANO DELLA MENSA SULLA BASE (DAL PAVIMENTO) SIA DI CIRCA 90 CM. SULL'ALTARE NON SI DEVONO COLLOCARE STATUE E IMMAGINI DI SANTI. LA "MENSA" DELL'ALTARE SIA PREFERIBILMENTE DI PIETRA. TUTTAVIA, PER LA MENSA, PER GLI STIPITI E LA BASE SI POSSONO USARE ANCHE ALTRI MATERIALI.
150÷180
280÷330 SEDE (TRONO)
SEDE 500÷700
210÷320
450÷550.
ALTARE
110. 100. 130
LAMPADA
AMBONE È IL LUOGO PROPRIO DELLA PAROLA DI DIO. LA SUA FORMA SIA CORRELATA ALL'ALTARE, SENZA INTERFERIRE CON LA PRIORITÀ DI ESSO. SIA UBICATO IN PROSSIMITÀ ALL'ASSEMBLEA (ANCHE NON ALL'INTERNO DEL PRESBITERIO); SIA DISPOSTO IN MODO CHE I MINISTRI CHE LO USANO POSSANO ESSERE VISTI E ASCOLTATI DALL'ASSEMBLEA; SI RICHIEDE PERTANTO UNA TRIBUNA ELEVATA, POSSIBILMENTE FISSA, CHE COSTITUISCA UNA PRESENZA ELOQUENTE.
CREDENZA
CROCE
CANDELABRO ACCANTO ALL'AMBONE PUÒ ESSERE COLLOCATO IL GRANDE CANDELABRO PER IL CERO PASQUALE.
150
150 80.
AMBONE (PULPITO)
AMBONE
LATO EVANGELO
LATO EPISTOLA
LIMITE DELL'AULA ECCLESIAE LAMPADA
TABERNACOLO
SEDE DEL PRESIDENTE LA SEDE ESPRIME LA DISTINZIONE DEL MINISTERO DI COLUI CHE GUIDA E PRESIEDE LA CELEBRAZIONE. SIA BEN VISIBILE A TUTTI, IN MODO DA CONSENTIRE LA GUIDA DELLA PREGHIERA, IL DIALOGO E L'ANIMAZIONE. SIA IN DIRETTA COMUNICAZIONE CON L'ASSEMBLEA DEI FEDELI, PUR RESTANDO ABITUALMENTE COLLOCATA IN PRESBITERIO. LA SEDE È UNICA E PUO ESSERE DOTATA DI UN LEGGIO A SERVIZIO DI CHI PRESIEDE. SI PREVEDA INOLTRE LA DISPONIBILITÀ DI ALTRI POSTI DESTINATI AI CONCELEBRANTI, AL DIACONO E AGLI ALTRI MINISTRI E AI MINISTRANTI. CREDENZA SIA PREVISTA IN LUOGO ACCESSIBILE E DISCRETO.
PRESBITERIO DI CHIESA MAGGIORE (200÷300 MQ)
CUSTODIA EUCARISTICA (TABERNACOLO) IL SANTISSIMO SACRAMENTO VENGA CUSTODITO IN UN LUOGO IMPORTANTE, NORMALMENTE DISTINTO DALLA NAVATA DELLA CHIESA, ADATTO ALL'ADORAZIONE E ALLA PREGHIERA PERSONALE. IL TABERNACOLO SIA UNICO, INAMOVIBILE E SOLIDO, NON TRASPARENTE E INVIOLABILE.
500÷700
130.
LAMPADA DALLA FIAMMA PERENNE SIA COLLOCATA ACCANTO AL TABERNACOLO QUALE SEGNO DI ONORE RESO AL SIGNORE.
150
450÷550.
CROCE
150 150
ALTARE - VISTA DALL'ALTO
110. 100. 130.
SEDE
ALTARE
L'ALTEZZA DEL PIANO DELLA MENSA SIA DI CIRCA 90 CM RISPETTO AL PAVIMENTO, PER FACILITARE IL COMPITO DEI MINISTRI CHE VI SVOLGONO I RUOLI CELEBRATIVI.
LAMPADA
280÷330
110.
100.
210÷320
210÷320
TABERNACOLO
CREDENZA
80. AMBONE
90
PIANO DELLA "MENSA"
ALTARE - SEZIONE LONGITUDINALE
B 356
PRESBITERIO DI CHIESA MINORE (50÷80 MQ)
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER IL CULTO SINAGOGHE
A.ZIONI
EDIFICI DI CULTO PER GLI EBREI – LA SINAGOGA Il progetto delle opere per la costruzione di sinagoghe deve essere sottoposto all’approvazione della Consulta Rabbinica Italiana. Per avvicinare l’essenza della sinagoga è necessario premettere alcune notizie storiche in merito alle sue origini e al ruolo che ha svolto, e ancora svolge, nella religione e nella cultura ebraica.
SINAGOGA – ORIGINI Synagoghè è la traduzione greca dell’espressione ebraica beth ha-kenèset, casa dell’adunanza, in cui si riunisce appunto la kehillà, la comunità dei fedeli. L’istituzione della sinagoga viene correntemente collocata in periodo di “tardo giudaismo”, vale a dire a un’epoca di transizione tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. La carenza di dati storico-archeologici impedisce d’ipotizzare un’origine attendibilmente più lontana nel tempo. Tuttavia diversi studiosi osservano che al tempo di Gesù, parallelamente al tempio di Gerusalemme, che comunque continuava a rappresentare il centro assoluto di riferimento del culto, le sinagoghe già apparivano come strutture religiose e sociali mature e con un’identità ben definita, tale da lasciare immaginare un precedente e lungo periodo di vita e di consolidamento di queste istituzioni. Di fatto, prima dell’esilio babilonese (587 a.C.) la presenza del tempio di Gerusalemme aveva assorbito ogni forma di culto pubblico ed è probabile che centri minori di culto, quali erano gli antichi santuari israeliti, avessero via via perso di importanza. Ma in seguito all’esilio il quadro cambiò radicalmente: la distruzione del Tempio di Gerusalemme – seppure mai accettata come un evento definitivo – aveva dilatato un vuoto dal quale scaturì l’esigenza degli israeliti di dotarsi di istituzioni di riferimento culturale che in qualche modo assicurassero e tramandassero l’identità religiosa della comunità. Le storie narrano che, per scongiurare il pericolo dell’estinzione del popolo ebreo costretto in condizione di schiavitù tra una popolazione ostile, Ezechiele intuisce che l’unica strada di sopravvivenza deve essere ricercata nella saldezza della religione: riunisce gli anziani in casa sua per tre volte e concordano che sarà lo studio sistematico della Torà a tenere unito Israele. Di Torà – termine tradotto più propriamente col significato di “insegnamento” piuttosto che di “legge” – si parlerà in luoghi appositamente scelti, nei quali lo studio del Pentateuco e la preghiera prenderanno il posto degli antichi sacrifici. È, dunque, in Babilonia che prende forma un servizio di culto basato sulla ‘parola’, come preghiera: la sinagoga si fonda sulla necessità di istituire un legame con il divino, testimoniato dalle tradizioni raccolte e tramandate nel corso del processo che avrebbe portato alla attuale ‘forma’ dell’Antico Testamento. Nasce la “religione del Libro” e sorgono così le prime sinagoghe, nient’altro che aule o piccole sale, ospitate spesso nelle case private. Anche quando, tornati nella loro terra, gli ebrei ricostruiranno il Tempio, il carattere di questa “nuova” religiosità continuerà a svilupparsi e l’uso di sinagoghe dislocate nei centri minori, ormai radicato nell’animo e nella consuetudine, non potrà essere abolito. Nulla avrebbe potuto sostituire il Tempio come luogo centrale di celebrazione sacrificale, ma anche nulla avrebbe impedito che le sinagoghe si diffondessero nei vari paesi mediterranei nei quali vivevano comunità ebraiche, seppure con quel carattere surrogatorio che conserveranno nel tempo e che ne chiarisce alcuni caratteri essenziali, come quello di guardare e rivolgere la preghiera costantemente verso Gerusalemme, la città del Tempio.
ELEMENTI RITUALI ESSENZIALI DELLA SINAGOGA Synagoghè, casa dell’adunanza (beth ha-kenèset) è qualcosa di più di un luogo di preghiera: è anche “casa di studio” in cui trovano risposta i bisogni spirituali e culturali della comunità, tant’è che frequentemente è chiamata anche “Scola”. La sinagoga è il luogo di culto ebraico ove si tiene la preghiera collettiva con formule stabilite. In quanto espressione dell’unità del popolo ebraico, la preghiera esige la presenza di un numero minimo di dieci uomini (minian). Non esiste un’architettura sinagogale, ovvero un corpus stilistico e normativo che si sia incarnato in un vero e proprio tipo. L’unità istituzionale della sinagoga risiede nella presenza di una serie di elementi ricorrenti, comuni alle varie sinagoghe, indispensabili all’adempimento delle mizwot (dei precetti), dei quali, tuttavia, cambiano di volta in volta la disposizione, l’importanza e le relazioni spaziali reciproche, secondo le diverse modalità di celebrazione dei riti (rito sefardita, askenatzita, italiano…). Gli elementi rituali essenziali possono essere sintetizzati come segue. BET HATEFILA (sala di preghiera) È sempre al primo piano o comunque a un livello rialzato, in modo che la copertura o volta della sala raggiunga il tetto per evitare che qualcuno possa trovarsi materialmente al di sopra del sacro Aròn (Arca santa) conservato nella sala sottostante. Nessun locale praticabile può essere collocato sopra la “sala”. È generalmente a pianta rettangolare, con l’ingresso posto al centro di uno dei lati lunghi e, di fronte, un’altra porta che apre sul cortile retrostante. Alle pareti non figurano immagini, né statue, in ottemperanza a quanto prescritto dal secondo comandamento che vieta di raffigurare l’uomo creato a immagine di Dio e per scongiurare il grave peccato dell’idolatria: attribuire a un’immagine il culto dovuto solo al Creatore.
B.10. 2.
EZRAT NASCIM (matroneo) Nella sala di preghiera si affaccia il matroneo, balconata schermata da grate, riservata alla preghiera delle donne, al quale si accede mediante scala e portone d’ingresso separati da quello degli uomini. ARÒN L’Aron, o Arca santa è una specie di credenza o nicchia velata in cui si conservano i sacri testi (sifré-Torà), lunghe strisce di pergamena arrotolata sulle quali è trascritto il Pentateuco. I rotoli (sifré-Torà) e l’Aròn che li custodisce meritano l’appellativo di “sacro “ perché in essi è scritto il nome di Dio. L’Aròn è sempre addossato alla parete volta a mizrach (al sorgere del sole) in modo che i fedeli, guardandolo, abbiano gli occhi volti verso Gerusalemme. Davanti all’Aron è sempre accesa una lampada (ner tamid) simbolo della luce eterna della Torà. TEVÀH Pulpito o podio con ampio leggio. Sul ripiano della tevàh l’officiante apre il sefer-Torà (rotolo della Legge) e procede alla lettura del passo biblico del giorno. La posizione della tevàh all’interno della sala (bet hatefila) varia in base ai diversi riti e tradizioni propri della comunità: • nel rito “italiano antico” (tradizione askenazita) la tevà, è situata al centro della sala; • nel rito sefardita la tevàh è posta generalmente più vicina all’Aròn; • in alcuni casi si pone dI fronte alla parete in cui è collocato l’Aròn ed è costituita non da un semplice leggio, ma da una vera e propria galleria sopraelevata, in cui trovavano posto l’officiante e il numeroso coro, alla quale si accede mediante scala (o scale) addossata alle pareti laterali. PANCHE Le panche per i fedeli sono semplici e prive di inginocchiatoio. Sono disposte di fronte e/o di lato all’Aròn, in file che non superano quasi mai il numero di otto. È consuetudine ricavare sedili in pietra lungo le pareti perimetrali. Nei casi di Tevah posta su di una balconata di fronte all’Aròn, le panche venivano disposte parallelamente ai lati maggiori della sala (ai lati dell’Aròn), poiché questa sistemazione permetteva ai fedeli di rivolgere lo sguardo sia all’Aròn, dal quale l’officiante estrae il sefer-Torà, sia alla Tevàh ove viene effettuata la lettura e nello stesso tempo, permetteva all’officiante di rivolgere lo sguardo al pubblico dall’alto della balconata della Tevah e dirigere il canto dei fedeli, secondo l’uso sefardita.
ULTERIORI STRUTTURE ED ELEMENTI TRADIZIONALI AGGREGATI ALLA SINAGOGA Segue la specificazione di altre strutture ed elementi più o meno direttamente connessi alla tradizione religiosa o destinati alle attività sociali e comunitarie, non sempre presenti nel complesso della sinagoga e comunque non essenziali. STRUTTURE DI ACCESSO ALLA SALA Alla sala si accede attraverso un atrio, corridoio o altro vano che contiene una fontanella per il lavaggio delle mani (l’acqua di sorgente, elemento purificatore, ricorre spesso nella ritualistica ebraica). Dall’atrio, oltre che alla sala, si può avere accesso alla scala che conduce al matroneo, ad altri locali destinati alle attività comunitarie (scuola, uffici ecc.), a un eventuale spazio-guardaroba. Rispetto alla configurazione della sala, le porte di accesso possono aprirsi sia su uno dei lati maggiori (accesso trasversale), sia sul lato minore opposto all’Aròn, soluzione adottata nel caso di Tevah posta su balconata di fronte all’Aròn, che viene a trovarsi direttamente sovrapposta alla porta d’accesso. Dalla sala frequentemente si apre anche la porta che dà accesso al cortile. CORTILE Elemento presente ogni volta che lo spazio disponibile lo consente, destinato al raccoglimento e alla meditazione. Può essere sostituito o integrato da un piccolo giardino. Nel cortile, all’inizio dell’autunno, viene celebrata la festa di Sukkot (festa delle capanne) e si costruisce una capanna di frasche con palme, mirto, salice e cedri. Nel cortile o giardino è sempre presente un “pozzo” per assicurare la presenza dell’acqua, elemento rituale di purificazione; in genere collocato nel cortile o nel giardino. TALMUD-TORÀ (insegnamento del Talmud) La scuola che tutti sono tenuti a frequentare: i più piccoli per apprendere la lingua ebraica e le storie della Bibbia, i più grandi per approfondire la conoscenza della Bibbia e l’interpretazione contenuta nel Talmud. MIKVÈH (BAGNO RITUALE) Profonda vasca in cui si scende per il bagno purificatore, posta in genere in un proprio spazio (spesso presente nelle sinagoghe antiche, oggi meno frequente). FORNO RITUALE Adibito esclusivamente alla cottura dei pani azzimi, situato un tempo all’interno della sinagoga per controllare che non vi fossero mai stati cotti cibi lievitati.
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NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
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D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
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ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
HE .1. B.10 CATTOLIC E CHIES .2. B.10 OGHE G SINA
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B.10. 2.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI SINAGOGHE
FIG. B.10.2./1 STRUTTURE PER IL CULTO DELLA RELIGIONE EBRAICA – SINAGOGA
B 358
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STRUTTURE PER IL CULTO
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI
•
STRUTTURE PER IL CULTO MOSCHEE
A.ZIONI
EDIFICI PER IL CULTO DEI MUSULMANI – LA MOSCHEA La fede islamica impone al musulmano cinque doveri (arkan) essenziali per stabilire il rapporto fra Dio e l’uomo. • La testimonianza di fede (shahada); • La preghiera (salat); • L’imposta coranica (zakat); • Il digiuno del mese di Ramada; • Il pellegrinaggio alla Mecca (hajj).
B.10. 3.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
MIRHAB Rappresenta, in qualche modo, il sancta sanctorum della Moschea È costituito da una nicchia aperta nel muro perimetrale in posizione tale da indicare la Kibla (la direzione della Mecca), verso la quale devono rivolgersi gli oranti. È generalmente di piccole dimensioni, intensamente decorato (spesso con piastrelle policrome) e si chiude in alto con una mezza cupola. È dal mirhab che l’Imam (colui che guida) conduce la preghiera congregazionale (salat)
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
I riti e gli atti di culto, che ogni fedele deve compiere e che costituiscono l’insieme delle pratiche liturgiche e devozionali dell’Islam, sono la parte più importante della Shari’a (la legge sacra), che deriva la sua autorità dal libro sacro dell’Islam, il Corano e dalla Sunna (il comportamento e i detti del Profeta Muhammad). Il luogo di culto collettivo dei musulmani è la Moschea. Masgid (moschea) viene dalla radice araba Sa-gia-da, che vuole dire prostrarsi, quindi in senso etimologico la moschea è il luogo della prostrazione, ovvero della preghiera.
Rappresenta una specie di pulpito per la predicazione. È disposto nella sala, in prossimità del mihrab e sulla destra di chi prega. Il minbar tradizionale è costituito da una ripida scala, in pietra o legno, che conduce a un elevato seggio.
D.GETTAZIONE
ORIGINI DELLA MOSCHEA
CUPOLA
La storia tramanda che il Profeta Mohammed , giunto a Medina dalla Mecca, diede inizio alla costruzione della prima moschea. Dell’ edificio non si ha più alcuna traccia, ma fonti narrative riportano che fosse costruito con mattoni d’argilla e coperto con un tetto in foglie di palma. Il modello originario della moschea ha dunque origine in Arabia ed è costituito da una struttura molto semplice: una sala di preghiera, priva di oggetti di culto, alla quale si accede da una corte aperta; ma gli elementi essenziali perché si possa svolgere la preghiera collettiva potrebbero essere ulteriormente ridotti e limitarsi a un semplice recinto con un muro che permetta l’apertura dello haran, la nicchia che orienta la preghiera verso la Mecca. Subito dopo nella struttura fisica e rituale della moschea si integra il minareto, la torre dall’alto della quale il Muezzin chiama i fedeli alla preghiera.
Molte delle soluzioni architettoniche delle moschee sono dettate insieme da ragioni simboliche e da esigenze costruttive:
E.NTROLLO
KÜLLIYE (complesso religioso e sociale) Nel corso del tempo la moschea diviene il centro dell’attività sociale, politica e religiosa della comunità islamica, tant’è che a essa frequentemente si affiancano la madresa – che è insieme scuola, convento e università per l’insegnamento e l’interpretazione del Corano, oltre che per lo studio delle scienze – e altre strutture comunitarie come la mensa dei poveri, l’ospedale, il manicomio, i bagni pubblici (hamam), dando vita a un complesso religioso e comunitario (külliye).
MINARETO
MINBAR
• la cupola, con il suo convergere di tutto lo spazio in un unico punto, simbolizza l’anelito dei fedeli verso l’unità divina (tawhid); • sul versante tettonico, la carenza di legname nell’ambiente semidesertico originario dell’Arabia ha impedito la realizzazione di strutture di copertura lignee, costringendo gli architetti islamici alla ricerca di soluzioni lapidee alternative. Alla base della cupola spesso è presente un tamburo con iscrizioni calligrafiche tratte dalle Sure del Corano.
La tradizione narra che una notte un compagno del Profeta fu visitato in sogno da due personaggi vestiti di verde (colore simbolo dell’Islam e del Sufismo), che gli insegnarono cosa recitare per la chiamata alla preghiera dei fedeli (adhan). Si rese quindi necessario un luogo elevato, dal quale la salmodia dell’adhan – che tutti oggi conosciamo come il canto del muezzin – potesse raggiungere ogni angolo della contrada della moschea.
COME SI COMPIE LA PREGHIERA ISLAMICA HARAM (cortile) Dopo aver effettuato i necessari riti di purificazione (abluzione o abluzione parziale) ed essersi liberati delle calzature e di eventuali indumenti impolverati o impropri, da alcune porte si accede all’interno della Moschea dove si prega assisi su tappeti e rivolti verso la Mecca (luogo di nascita del Profeta). In ogni moschea c’è una nicchia (Mihrab) che indica esattamente la direzione (Kibla) della Mecca. La preghiera viene guidata dall’Imam dall’alto di un podio o pulpito (Minbar) e segue un rigido rituale, articolato in cicli (raka’at) che comportano frequenti variazioni di postura del fedele: eretto, inchinato in avanti, inginocchiato, assiso sui talloni, prostrato.
ELEMENTI ESSENZIALI DELLA MOSCHEA Ricapitolando, costituiscono elementi rituali e architettonici essenziali delle moschee i seguenti. SALA DELLA PREGHIERA COLLETTIVA Il luogo della preghiera comune, essenza della moschea, può essere costituito da un volume estremamente semplice ovvero risultare dalla aggregazione, anche complessa, di diversi solidi elementari: si passa da un unico spazio continuo (un cubo o un prisma, come nel caso della moschea di Bayazit a Edirne) alla aggregazione di un certo numero di ambienti identici, per giungere allo spazio centrale a due cupole integrato da ambienti laterali (le moschee Yescil e Yildirim a Bursa) e infine alla configurazione ‘classica’ (le grandi moschee di Istanbul progettate da Sinan) costituita da una cupola centrale circondata da semicupole e da ulteriori navate laterali coperte anch’esse da cupole o volte. Gli elementi architettonici della sala spesso portano iscritte – dipinte, incise o in rilievo – le Sure (capitoli) del Corano: la scrittura araba costituisce elemento essenziale dell’apparato decorativo della moschea, dal momento che la religione islamica vieta l’uso di immagini antropomorfe e scoraggia qualsiasi forma di rappresentazione figurativa. All’interno della sala di preghiera si trova il mihrab, la nicchia che indica la direzione della Mecca, verso la quale ci si deve rivolgere per la preghiera e il minbar, il pulpito per la predicazione. Non sono presenti panche e altri elementi di arredo, poiché la preghiera, richiedendo la frequente alternanza di posture diverse, si svolge su una distesa continua di tappeti. MATRONEO Sulla sala affaccia, mediante aperture protette da grigliati, lo spazio di preghiera riservato alle donne, al quale si accede mediante porte, scale e percorsi separati da quelli destinati all’accesso degli uomini.
Ampio spazio definito da un alto recinto al quale si addossa frequentemente un portico, destinato al raccoglimento che predispone alla preghiera e alla necessaria purificazione del corpo che avviene mediante l’abluzione. In alcuni casi, in luogo del portico, lo spazio per sostare protetti dai raggi del sole è assicurato da un gazebo o da altro tipo di tettoia, disposto in un angolo del cortile. Si consideri che il cortile rappresenta uno spazio strettamente integrato nella struttura della moschea, sia in termini compositivi che rituali, tant’è che in molti casi vi si accede mediante un “percorso di preparazione”: non solo vi si svolge l’abluzione purificatrice, ma anche, nel caso di grande affluenza di fedeli, vi si può adempiere alla preghiera. Il carattere di luogo che partecipa del culto sconsiglia di dare accesso direttamente dal cortile ad altre attività, seppure aggregate alla moschea in una külliye, come la madresa o altre strutture comunitarie. A questo ruolo di ‘connettivo’ rispondono altri spazi esterni del tipo del ‘giardino’ (si veda Fig. B.10.3./1.) FONTANA RITUALE Nel cortile si colloca – spesso in posizione centrale – la fontana rituale per l’abluzione parziale (wudu’). Per eseguire l’orazione, quindi anche per accedere alla sala delle preghiere della moschea, bisogna essere in condizioni di purezza rituale; è quindi necessario lavare quelle parti del corpo che sono generalmente esposte allo sporco, alla polvere o al fumo; di conseguenza, la fontana deve essere configurata in modo da consentire agevolmente anche l’abluzione dei piedi. La dimensione della fontana e il numero delle cannelle che erogano l’acqua deve essere rapportato all’importanza della moschea e al numero dei fedeli. GUARDAROBA Locale o spazio annesso al vestibolo nel quale vengono depositate le calzature ed eventuali indumenti impolverati o comunque impropri. Minareto, cortile e fontana, benché rappresentino elementi strettamente integrati nel ciclo rituale della preghiera, tuttavia, in caso di carenza di spazio – come avviene oggi frequentemente nei luoghi di culto d’emergenza approntati dalle consistenti comunità islamiche immigrate in paesi occidentali – possono essere contratti e ospitati in strutture o spazi non specificamente destinati e configurati.
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E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
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CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
.2. B.10 OGHE G SINA .3. B.10 HEE MOSC
B 359
B.10. 3.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI MOSCHEE
•
STRUTTURE PER IL CULTO
FIG. B.10.3./1 STRUTTURE PER IL CULTO DELLA RELIGIONE ISLAMICA: LA MOSCHEA SCHEMA DEGLI ELEMENTI E DELLE RELAZIONI DI UNA KÜLLIYE (COMPLESSO RELIGIOSO E COMUNITARIO) KÜLLIYE (COMPLESSO RELIGIOSO) COMPLESSO NEL QUALE ALLA MOSCHEA SI AFFIANCANO ANCHE STRUTTURE DESTINATE AD ATTIVITÀ DIDATTICHE, SOCIALI E COMUNITARIE
A'
A'
G
D
G
F
E
C
G
A -
ACCESSO PRINCIPALE AL COMPLESSO (IN GENERE ESCLUSIVAMENTE PEDONALE
A' -
VARCHI SECONDARI E DI SICUREZZA (EVENTUALMENTE ANCHE CARRABILI)
B -
PERCORSO DI PREPARAZIONE ALL'ACCESSO ALLA MOSCHEA E ALLA PREGHIERA
C -
CORTILE DELLA MOSCHEA, CON FONTANA DELL'ABLUZIONE 'PARZIALE'
D -
MOSCHEA - SALA DELLA PREGHIERA COMUNE
E -
STRUTTURE SOCIALI E COMUNITARIE TRA QUELLE RICORRENTI SI POSSONO CITARE: - SALE PER ASSEMBLEE - SALE PER ATTIVITÀ CULTURALI - MENSA E/O CUCINA PER I POVERI - PRESIDI SANITARI - BAGNI PUBBLICI (ANCHE PER L'ABLUZIONE RITUALE 'TOTALE') - RESIDENZA PER I RELIGIOSI ADDETTI ALLA MOSCHEA
F -
MADRASA E' INSIEME SCUOLA, CONVENTO E UNIVERSITÀ, PER L’INSEGNAMENTO E L’INTERPRETAZIONE DEL CORANO E PER LO STUDIO DELLE SCIENZE.
G -
GIARDINO
H -
MINARETO (ANCHE PIÙ DI UNO)
E
B
G
A MOSCHEA - SPAZI, ELEMENTI RITUALI E RELAZIONI ESSENZIALI
8
9
7
12
11
6
12
5
6
3
2 -
HARAM (CORTILE ) AMPIO SPAZIO RACCHIUSO DA UN ALTO RECINTO AL QUALE SI ADDOSSA FREQUENTEMENTE UN PORTICO, DESTINATO AL RACCOGLIMENTO E ALLA PURIFICAZIONE DEL CORPO CHE AVVIENE MEDIANTE L’ABLUZIONE.
3 -
FONTANA RITUALE PER L’ABLUZIONE PARZIALE (WUDU'): LA DIMENSIONE DELLA FONTANA E IL NUMERO DELLE CANNELLE È RIFERITO AL NUMERO DEI FEDELI.
4 -
PORTICO (PUÒ ESSERE SOSTITUITO DA GAZEBO O DA ALTRO TIPO DI SPAZIO COPERTO)
5 -
VESTIBOLO
6 -
GUARDAROBA SPAZIO ACCESSIBILE DAL VESTIBOLO NEL QUALE DEVONO ESSERE LASCIATE LE CALZATURE ED EVENTUALI INDUMENTI IMPOLVERATI (SOPRABITI, ECC.)
7 -
SALA DELLA PREGHIERA COLLETTIVA L’AMBIENTE DELLA PREGHIERA PUÒ ESSERE COSTITUITO DA UN UNICO SPAZIO ESTREMAMENTE SEMPLICE O ARTICOLARSI IN STRUTTURE PIÙ COMPLESSE, CHE COMPONGONO PIÙ ORDINI DI NAVATE DISPOSTE INTORNO A UNO SPAZIO CENTRALE MAGGIORE. NON SONO PRESENTI PANCHE E ALTRI ELEMENTI DI ARREDO: LA PREGHIERA SI SVOLGE SU UNA DISTESA DI TAPPETI.
8 -
MIRHAB RAPPRESENTA, IN QUALCHE MODO, IL SANCTA SANCTORUM DELLA MOSCHEA È COSTITUITO DA UNA NICCHIA ORIENTATA VERSO LA QIBLA (LA DIREZIONE DELLA MECCA). È DAL MIRHAB CHE L'IMAM (COLUI CHE GUIDA) CONDUCE LA PREGHIERA CONGREGAZIONALE (SALAT)
9 -
MINBAR, IL PULPITO PER LE PREDICAZIONI GENERALMENTE DISPOSTO PRESSO IL MIHRAB , SULLA DESTRA DI CHI PREGA.
10 -
MINARETO TORRE (O LUOGO ELEVATO) DAL QUALE L’ADHAN (IL CANTO DEL MUEZZIN) RAGGIUNGE I FEDELI ANCHE NELLE LOCALITÀ PIÙ LONTANE
11 -
ACCESSI E SCALE AL LOGGIATO-MATRONEO
12 -
MATRONEO LO SPAZIO DI PREGHIERA RISERVATO ALLE DONNE VI SI ACCEDE MEDIANTE PORTE E SCALE SEPARATE DA QUELLE PER L’ACCESSO DEGLI UOMINI. GUARDA NELLA SALA MEDIANTE APERTURE PROTETTE DA GRIGLIATI.
13 -
USCITE DI SICUREZZA (SE NECESSARIE)
4
2
B 360
ACCESSO RITUALE AL CORTILE E ALLA MOSCHEA
11
10
4
1 -
13
ORIENTAMENTO VERSO LA MECCA
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LA MOSCHEA: STRUTTURE ED ELEMENTI ESSENZIALI PER IL CULTO
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE CIMITERIALI REQUISITI DELLE STRUTTURE CIMITERIALI
B.11. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
COSTRUZIONE DEI CIMITERI. PIANI CIMITERIALI. DISPOSIZIONI TECNICHE GENERALI (capo X NRPM) Il Nuovo regolamento di polizia mortuaria (NRPM), al Capo X “Costruzione dei cimiteri, Piani cimiteriali. Disposizioni tecniche generali” stabilisce i requisiti essenziali ai quali deve rispondere la pianificazione e la progettazione dei cimiteri. Se ne richiamano di seguito le disposizioni di maggiore rilievo progettuale, raccolte per argomenti e, ove occorre, corredate da grafici esplicativi. PIANI REGOLATORI CIMITERIALI (art.54 NRPM) Gli uffici comunali o consorziali competenti devono essere dotati di una planimetria in scala 1:500 dei cimiteri esistenti nel territorio del comune, estesa anche alle zone circostanti comprendendo le relative zone di rispetto cimiteriale. Tali planimetrie devono essere aggiornate ogni cinque anni o quando siano creati nuovi cimiteri o siano soppressi quelli vecchi o quando a quelli esistenti siano state apportate modifiche e ampliamenti. UBICAZIONE DEI CIMITERI, STUDIO TECNICO DELLA LOCALITÀ (art.55 NRPM) I progetti di ampliamento dei cimiteri esistenti e quelli di costruzione dei nuovi devono essere preceduti da uno studio tecnico delle località, specialmente per quanto riguarda: • ubicazione • orografia • estensione dell’area • natura fisico-chimica del terreno • profondità e direzione della falda idrica I progetti dei cimiteri e degli ampliamenti devono essere deliberati dal consiglio comunale. All’approvazione dei progetti si procede a norma delle leggi sanitarie. RELAZIONE TECNICO-SANITARIA: CONTENUTI (art.56 NRPM) I progetti di ampliamento e di costruzione di cimiteri devono essere accompagnati da una relazione che illustri i criteri in base ai quali l’Amministrazione comunale ha programmato la distribuzione dei lotti destinati ai diversi tipi di sepoltura. Tale relazione deve contenere: • descrizione dell’area; • descrizione delle vie d’accesso e delle zone di parcheggio; • descrizione degli spazi e viali destinati al traffico interno; • descrizione delle eventuali costruzioni accessorie previste, quali: – deposito di osservazione; – camera mortuaria; – sale di autopsia;
– – – – – –
cappelle; forno crematorio; servizi destinati al pubblico; servizi destinati agli operatori cimiteriali; alloggio del custode; impianti tecnici.
ELABORATI GRAFICI Gli elaborati grafici devono rappresentare, in scala adeguata, sia le varie zone del complesso cimiteriale, sia gli edifici dei servizi generali, sia gli impianti tecnici. ZONA DI RISPETTO (art.57 NRPM) I cimiteri devono essere isolati dall’abitato mediante la zona di rispetto prevista dall’art.338 del TU delle leggi sanitarie (legge1265/1934) e successive modificazioni. È vietato costruire entro la fascia di rispetto, nuovi edifici o ampliare quelli preesistenti. Nell’ampliamento dei cimiteri esistenti, l’ampiezza della fascia di rispetto dai centri abitati non può in nessun caso essere inferiore a: • 100 m, nei comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti; • 50 m, negli altri comuni. TERRENO E FALDE IDRICHE Il terreno dell’area cimiteriale deve essere sciolto sino alla profondità di 2,50 m o capace di essere reso tale con facili opere di scasso. Deve essere asciutto e dotato di un adatto grado di porosità e di capacità per l’acqua per favorire il processo di mineralizzazione dei cadaveri. Nel caso che i terreni relativi all’area prescelta non soddisfino i requisiti sopra indicati, è possibile ottenere artificialmente le condizioni richieste mediante riporto di terreni prelevati altrove. La falda idrica deve trovarsi a conveniente distanza dal piano di campagna e avere altezza tale da essere in piena o comunque con il più alto livello della zona di assorbimento capillare almeno alla distanza di 0,50 m dal fondo della fossa per inumazione. SMALTIMENTO DELLE ACQUE METEORICHE E DRENAGGI (art.60 NRPM) Il terreno del cimitero deve essere sufficientemente provvisto di scoli superficiali per il pronto smaltimento
delle acque meteoriche e, ove sia necessario, di opportuno drenaggio, purché questo non provochi una eccessiva privazione dell’umidità del terreno destinato a campo di inumazione tale da nuocere al regolare andamento del processo di mineralizzazione dei cadaveri. SERVIZI IGIENICI (art.60 NRPM) Il cimitero deve essere approvvigionato di acqua potabile (distribuita mediante fontanelle e beverini) e dotato di servizi igienici a disposizione del pubblico e degli addetti al cimitero. RECINZIONI (art.61 NRPM) Il cimitero deve essere recintato lungo il perimetro da un muro o altra idonea recinzione avente un’altezza non inferiore a 2,50 m dal piano esterno di campagna. DATI DI DIMENSIONAMENTO DEI LOTTI (art.58 NRPM) La superficie (lorda) dei lotti di terreno destinati ai campi di inumazione deve superare di almeno la metà la superficie netta: Sl ≥ 1,5 Sn. La superficie netta, destinata ad accogliere le salme per il normale periodo di rotazione di dieci anni, deve essere calcolata sulla base dei dati statistici dell’ultimo decennio. Se il tempo di rotazione è fissato per un periodo diverso dal decennio il calcolo viene basato su tale periodo. Nella determinazione della superficie dei lotti di terreno destinati ai campi di inumazione, occorre tenere presenti anche le inumazioni effettuate a seguito delle estumulazioni (di cui all’art.86). Nel dimensionamento dei cimiteri occorre tenere conto anche di eventi straordinari che possono richiedere un gran numero di inumazioni. Nel calcolo dell’area non devono essere compresi gli spazi eventualmente riservati: a) alla costruzione di manufatti destinati alla tumulazione oppure alla conservazione di ossa o di ceneri, di ossari comuni, o di sepolture private; b) a strade, viali, piazzali e zone di parcheggio; c) alla costruzione di tutti gli edifici, compresa la cappella, adibiti ai servizi cimiteriali o a disposizione del pubblico e degli addetti al cimitero; d) a qualsiasi altra finalità diversa dalla inumazione.
REQUISITI DELLE DIVERSE PARTI ED EDIFICI DEL CIMITERO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
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ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
CAMERA MORTUARIA (Capo XI NRPM)
OSSARIO COMUNE (Capo XIII NRPM)
Ogni cimitero deve avere una camera mortuaria per l’eventuale sosta dei feretri prima del seppellimento. Essa deve essere costruita in prossimità dell’alloggio del custode ove esista e deve essere provveduta di arredi per la deposizione dei feretri. Nei casi in cui il cimitero non abbia il “deposito di osservazione” (previsto dall’art.12 NRPM), funzione come tale la camera mortuaria. La camera mortuaria deve essere illuminata e ventilata mediante ampie finestre aperte direttamente verso la superficie scoperta del cimitero e deve essere dotata di acqua corrente. Le pareti della camera mortuaria, fino all’altezza di 2 m devono essere rivestite di lastre di marmo o di altra pietra naturale o artificiale ben levigata, ovvero essere intonacate a cemento ricoperto di vernice a smalto o da altro materiale facilmente lavabile. Il pavimento, costituito anch’esso da materiale liscio, impermeabile, ben unito e lavabile, deve essere inoltre disposto in modo da assicurare il facile scolo delle acque di lavaggio, delle quali deve essere anche assicurato il facile e innocuo smaltimento.
Ogni cimitero deve avere un ossario comune, consistente in un manufatto destinato a raccogliere le ossa provenienti dalle esumazioni, o che si trovino nelle condizioni previste dal c.5 dell’art.86 (qualora le salme estumulate si trovino in condizione di completa mineralizzazione può provvedersi alla immediata raccolta dei resti mortali in cassette ossario) e non richieste dai familiari per altra destinazione nel cimitero. L’ossario deve essere costruito in modo che le ossa siano sottratte alla vista del pubblico.
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
INUMAZIONE (Capo XIV NRPM) (v. Fig. B.10.2./1)
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
SALA PER AUTOPSIE (Capo XII NRPM)
Campi di inumazione (art.68, 69 NRPM) I campi destinati all’inumazione, all’aperto e al coperto, devono essere ubicati in suolo idoneo per struttura geologica e mineralogica, per proprietà meccaniche e fisiche e per livello della falda idrica. I campi di inumazione sono divisi in riquadri e l’utilizzazione delle fosse deve farsi cominciando da un’estremità di ciascun riquadro e successivamente fila per fila procedendo senza soluzione di continuità.
La sala per autopsie deve rispondere ai medesimi requisiti prescritti per la camera mortuaria, di cui al paragrafo precedente. Nella sala deve essere collocato un tavolo anatomico, in grés, in ceramica, in marmo, in ardesia, in pietra naturale o artificiale ben levigata o in metallo, che deve essere provvisto di adatta canalizzazione per l’allontanamento dei liquidi cadaverici e delle acque di lavaggio nonché di mezzi per il loro rapido e innocuo smaltimento. Il tavolo anatomico deve essere munito anche di sistema di aspirazione dei gas e loro innocuizzazione e di idonea illuminazione.
Fosse di inumazione (artt.71-73 NRPM) Ogni fossa nei campi di inumazione deve essere contraddistinta, a cura del comune, da un cippo costituito da materiale resistente all’azione disgregatrice degli agenti atmosferici e portante un numero progressivo. Sul cippo, a cura del comune, verrà applicata una targhetta di materiale inalterabile con indicazione del nome, del cognome e delle date di nascita e di morte del defunto. Ciascuna fossa per inumazione deve essere scavata a 2 m di profondità dal piano di superficie del cimitero e, dopo che vi sia stato deposto il feretro,
➥
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
.3. B.10 HEE MOSC .1. B.11 ITI DELLE ERIALI IS REQU TURE CIMIT T STRU
B 361
B.11. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI REQUISITI DELLE STRUTTURE CIMITERIALI
•
STRUTTURE CIMITERIALI
➦ REQUISITI DELLE DIVERSE PARTI ED EDIFICI DEL CIMITERO ➦ INUMAZIONE (Capo XIV NRPM) (v. Fig. B.10.2./1) deve essere colmata in modo che la terra scavata alla superficie sia messa attorno al feretro e quella affiorata dalla profondità venga alla superficie. Le fosse per inumazione di cadaveri di persone di oltre dieci anni di età devono avere una profondità non inferiore a 2 m. Nella parte più profonda devono avere la lunghezza di 2,20 m e la larghezza di 0,80 m e devono distare l’una dall’altra almeno 0,50 m da ogni lato. Le fosse per inumazione di cadaveri di bambini di età inferiore a 10 anni devono avere una profondità non inferiore a 2 m. Nella parte più profonda devono avere una lunghezza di 1,50 m e una larghezza di 0,50 m e devono distare l’una dall’altra non meno di 0,50 m da ogni lato. I vialetti fra le fosse non possono invadere lo spazio destinato all’accoglimento delle salme, ma devono essere tracciati lungo il percorso delle spalle di 0,50 m che separano fossa da fossa e devono essere provvisti di sistemi fognanti destinati a convogliare le acque meteoriche lontano dalle fosse di inumazione.
FIG. B.11.1/1 CIMITERI – SCHEMA DI AGGREGAZIONE DEI SETTORI
C 15
14
13
12
11
11
10
9
TUMULAZIONE (Capo XV NRPM) (v. Fig. B.10.3./1) Nella tumulazione ogni feretro deve essere posto in loculo o tumulo o nicchia separati. I loculi possono essere a più piani sovrapposti. Ogni loculo deve avere uno spazio (un lato) esterno libero per il diretto accesso al feretro. La struttura del loculo e del manufatto, sia che venga costruita interamente in opera o che sia costituita da elementi prefabbricati, deve rispondere ai requisiti richiesti per la resistenza delle strutture edilizie, con particolare riferimento alle disposizioni per la realizzazione delle costruzioni in zone sismiche. Le solette orizzontali devono essere dimensionate per un sovraccarico di almeno 250 Kg/m2. Le pareti dei loculi, sia orizzontali che verticali, devono avere caratteristiche di impermeabilità ai liquidi e ai gas ed essere in grado di mantenere nel tempo tali proprietà. I piani di appoggio del feretro devono essere inclinati verso l’interno in modo da evitare l’eventuale fuoruscita di liquidi. La chiusura del tumulo deve essere realizzata con muratura di mattoni pieni a una testa, intonacata nella parte esterna. È consentita altresì la chiusura con elemento in pietra naturale o con lastra in cemento armato vibrato o altro materiale avente le stesse caratteristiche di stabilità, di spessori atti ad assicurare la dovuta resistenza meccanica e sigillati in modo da rendere la chiusura stessa a tenuta ermetica.
B
B
CREMAZIONE (Capo XVI NRPM) Crematori (art.78 NRPM) I crematori devono essere costruiti entro i recinti dei cimiteri e sono soggetti alla vigilanza del sindaco. Il progetto di realizzazione di un crematorio deve essere corredato da una relazione nella quale vengono illustrate le caratteristiche ambientali del sito, le caratteristiche tecnico-sanitarie dell’impianto e i sistemi di tutela dell’aria dagli inquinamenti sulla base delle norme vigenti in materia. I progetti di costruzione dei crematori sono deliberati dal consiglio comunale. Urne e cinerari (art.80 NRPM) Le ceneri derivanti dalla cremazione di ciascun cadavere devono essere raccolti in apposita urna cineraria portante all’esterno il nome, cognome e data di nascita e di morte del defunto. Nel cimitero deve essere predisposto un edificio per raccogliere queste urne; le urne possono essere collocate anche in spazi dati in concessione a enti morali o privati. Le dimensioni limite delle urne e le caratteristiche edilizie di questi edifici vengono stabilite dai regolamenti comunali. Ogni cimitero deve avere un cinerario comune per la raccolta e la conservazione in perpetuo e collettiva delle ceneri provenienti dalla cremazione delle salme, per le quali sia stata espressa la volontà del defunto di scegliere tale forma di dispersione dopo la cremazione oppure per le quali i familiari del defunto non abbiano provveduto ad altra destinazione. SEPOLTURE PRIVATE NEI CIMITERI (Capo XVIII NRPM) (v. Fig. B.11.1./4) Tumulazione e inumazione nelle aree per sepolture private Il comune può concedere a privati e a enti l’uso di aree per la costruzione di sepolture a sistema di tumulazione individuale, per famiglie e collettività. Nelle aree avute in concessione, i privati e gli enti possono impiantare, in luogo di sepolture a sistema di tumulazione, campi di inumazione per famiglie e collettività, purché tali campi siano dotati ciascuno di adeguato ossario. Alle sepolture private si applicano, a seconda che siano a sistema di tumulazione o a sistema di inumazione, le disposizioni generali stabilite dal presente Regolamento. Previsione dei Piani regolatori cimiteriali e concessioni (artt.91-94 NRPM) Le aree destinate alla costruzione di sepolture private debbono essere previste nei Piani regolatori cimiteriali comunali. Le concessioni a privati ed enti per l’uso di aree per la costruzione di sepolture sono a tempo determinato e di durata non superiore a 99 anni, salvo rinnovo. Con l’atto della concessione il comune può imporre ai concessionari determinati obblighi, tra cui quello di costruire la sepoltura entro un tempo determinato pena la decadenza della concessione. Non può essere fatta concessione di aree per sepolture private a persone o a enti che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione. I singoli progetti di costruzione di sepolture private debbono essere approvati dal sindaco su conforme parere della commissione edilizia e del coordinatore sanitario della Azienda sanitaria locale (ASL) competente. Nell’atto di approvazione del progetto viene definito il numero di salme che possono essere accolte nel sepolcro. Le sepolture private non debbono avere il diretto accesso con l’esterno del cimitero. REPARTI SPECIALI ENTRO I CIMITERI (Capo XX NRPM) I Piani regolatori cimiteriali possono prevedere reparti speciali e separati per la sepoltura di cadaveri di persone professanti un culto diverso da quello cattolico. Alle comunità straniere che fanno domanda di avere un reparto proprio per la sepoltura delle salme dei loro connazionali, può parimenti essere data dal sindaco in concessione un’area adeguata nel cimitero.
B 362
4
2
6
A
A
7
8 3
5 1
PARCHEGGIO
16 D
2
16
PARCHEGGIO
STRADA O ALTRO SPAZIO PUBBLICO DI ACCESSO LEGENDA A - SETTORE DEI SERVIZI GENERALI 1. INGRESSO, MUNITO DI CANCELLI 2. RECINZIONE (H. MIN. 2,50 M) 3. ALLOGGIO DEL CUSTODE ED EVENTUALE GUARDIOLA D'ACCESSO 4. CAMERA MORTUARIA ED EVENTUALE SALA AUTOPSIE 5. SERVIZI IGIENICI PER IL PUBBLICO 6. CHIESA O CAPPELLA 7. UFFICI TECNICI E AMMINISTRATIVI 8. LOCALI TECNICI, MAGAZZINI, INCENERITORE B - SETTORE DELLE SEPOLTURE 9. STRUTTURE PER LA TUMULAZIONE 10. OSSARIO 11. CAMPI DI INUMAZIONE PUBBLICA 12. CAMPI DI INUMAZIONE PRIVATA 13. EDICOLE E CAPPELLE PRIVATE C - REPARTI E STRUTTURE SPECIALI 14. CREMATORIO 15. REPARTI SPECIALI (DEFUNTI DI RELIGIONE DIVERSA DALLA CATTOLICA) D - LARGO DI ACCESSO E SERVIZI ACCESSORI (NON SEMPRE PRESENTI) 16. BANCHI MOBILI DI VENDITA FIORI
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE CIMITERIALI REQUISITI DELLE STRUTTURE CIMITERIALI
B.11. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.11.1/2 CIMITERI – CAMPI DI INUMAZIONE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E . B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
➥
.1. B.11 ITI DELLE ERIALI IS REQU TURE CIMIT T STRU
B 363
B.11. 1.
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI REQUISITI DELLE STRUTTURE CIMITERIALI
•
STRUTTURE CIMITERIALI
➦ REQUISITI DELLE DIVERSE PARTI ED EDIFICI DEL CIMITERO FIG. B.11.1./3 CIMITERI – STRUTTURE PER LA TUMULAZIONE
LOCULI - CARATTERISTICHE TECNICHE
SCHEMA DI TUMULAZIONE ALL'INTERNO DI SPECIFICO EDIFICIO A UNO O PIÙ PIANI - DISPOSIZIONE "DI TESTA" 150
250
250
220
220
300
250 220 80
0
NELLA TUMULAZIONE OGNI FERETRO DEVE ESSERE POSTO IN LOCULO (O TUMULO O NICCHIA) SEPARATO. I LOCULI POSSONO ESSERE A PIÙ PIANI SOVRAPPOSTI. OGNI LOCULO DEVE AVERE UN LATO ESTERNO LIBERO PER IL DIRETTO ACCESSO AL FERETRO.
80
LE SOLETTE ORIZZONTALI DEVONO ESSERE DIMENSIONATE PER SOVRACCARICO DI 250 KG/MQ
LA CHIUSURA DEL TUMULO PUÒ ESSERE REALIZZATA: - CON MURATURA DI MATTONI PIENI A UNA TESTA, INTONACATA SULLA FACCIA ESTERNA; - CON ELEMENTO IN PIETRA NATURALE; - CON LASTRA IN CEMENTO ARMATO VIBRATO O CON ALTRO MATERIALE DI PARI SPESSORE E STABILITÀ. - LA CHIUSURA DEVE ESSERE SIGILLATA IN MODO DA ASSICURARE UNA TENUTA ERMETICA. 80
80
80
220
220
80 220
65 65 65
65
65
65
65
80
DISPOSIZIONE IN PIANTA
65
80
80
CORSIA DI VISITA E TUMULAZIONE
I PIANI DI APPOGGIO DEL FERETRO DEVONO ESSERE INCLINATI VERSO L’INTERNO, IN MODO DA EVITARE L’EVENTUALE FUORIUSCITA DI LIQUIDI.
CORSIA DI VISITA E TUMULAZIONE
80
LE PARETI DEI LOCULI, SIA ORIZZONTALI CHE VERTICALI, DEVONO AVERE CARATTERISTICHE DI IMPERMEABILITÀ A LIQUIDI E GAS ED ESSERE IN GRADO DI MANTENERE NEL TEMPO TALI PROPRIETÀ.
SEZIONE TRASVERSALE DI UN PIANO
PROSPETTO INTERNO DISPOSIZIONE DI TESTA CON FRONTE A CANTERE
DISPOSIZIONE SEMPLICE DI TESTA SERVITA DA PORTICO
DISPOSIZIONE DI LATO (CANTERE)
300 MIN. 220
80
240
80
80
65 65
65 SEZIONE TRASVERSALE DI UN PIANO
SEZIONE TRASVERSALE
65
65
65 65
B 364
80
PIANTA
PORTICATO SEZIONE TRASVERSALE DI UN PIANO
80
PORTICATO DI VISITA E TUMULAZIONE
220
PIANTA
65
PIANTA
CORSIA DI VISITA E TUMULAZIONE
CORSIA DI VISITA E TUMULAZIONE
80
80
220
80
0
300
PRESTAZIONI DEGLI ORGANISMI EDILIZI • STRUTTURE CIMITERIALI REQUISITI DELLE STRUTTURE CIMITERIALI
B.11. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. B.11.1./4 CIMITERI – CAMPI DI INUMAZIONE
B.STAZIONI DILEGIZLII
A - CAPPELLA PRIVATA A QUATTRO POSTI, A CANTERA
I ED PRE NISM ORGA
65 65
65
65
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
PIANTA
220
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
65
80
65
120
65
65
PICCOLA CAPPELLA, NON FREQUENTE ACCESSO DELLE SALME DAI LATI MINORI
210
E.NTROLLO
220
SEZIONE LONGITUDINALE
CO NTALE AMBIE
SEZIONE TRASVERSALE
B - CAPPELLA PRIVATA A OTTO POSTI, DI TESTA
F. TERIALI,
TIPOLOGIA RICORRENTE ACCESSO DELLE SALME POSSIBILE SOLO DAL LATO MINORE OPPOSTO AI LOCULI 65
65
65
65
65
220
220
170
URB
ZI I SPA B.1. ILITÀ DEGL FRUIB 220
SEZIONE LONGITUDINALE
PIANTA
G.ANISTICA
65
80 80
65
65
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
220
SEZIONE TRASVERSALE
C - CAPPELLA PRIVATA A OTTO POSTI, A CANTERA
B.3. TURE PER T STRU ETTACOLO LO SP
TIPOLOGIA RICORRENTE ACCESSO DELLE SALME SOLO DAI LATI MAGGIORI
ZZAB.4. TI E ATTRERT N IMPIA ER LO SPO P TURE I B.5. TURE UFFIC STRUT ERCIALI E M M O C E TTIVE B.6. TURE RICE IONE Z T STRU RISTORA A PER L ITARIE B.7. TURE SAN T U R T S
65
65
65
65
65
65
65
65
80 160 80
220
340 SEZIONE LONGITUDINALE
PIANTA
220 SEZIONE TRASVERSALE
D - CAPPELLA PRIVATA A SEDICI POSTI, A CANTERA
. B.10 TURE PER T STRU TO L IL CU
65
65
65
65 65 220
I ERIAL . B.11 TURE CIMIT T U R ST
65
65
65
80 160 80
220
B.8. TURE PER T STRU ZIONE U L’ISTR
CULTU B.9. TURE PER IONE T Z U STR RMA INFO RA E
TIPO NON FREQUENTE ACCESSO DELLE SALME DAI LATI MINORI
PIANTA
B.2. TURE PER T STRU BILITÀ O LA M
340 SEZIONE LONGITUDINALE
220 SEZIONE TRASVERSALE
220
.1. B.11 ITI DELLE ERIALI IS REQU TURE CIMIT T STRU
B 365
ESERCIZIO PROFESSIONALE • PRESTAZIONE PRESTAZIONE PROFESSIONALE
C.1. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
C. ESERCIZIO PROFESSIONALE
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
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. C.1.1AZIONE PREST SSIONALE E PROF
C1
C.1. 1.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • PRESTAZIONE PRESTAZIONE PROFESSIONALE CARATTERISTICHE DELLA PROFESSIONE I servizi professionali nei campi dell’edilizia, delle infrastrutture urbane e territoriali e dell’urbanistica, possono essere prestati solo da determinate categorie di persone munite di titolo di studio specifico e iscritte in albi tenuti da Ordini o Collegi professionali. Tali categorie sono costituite in primo luogo dagli architetti e dagli ingegneri che possono operare ampiamente nel settore salvo alcune limitazioni, descritte al sottocapitolo C.2.4 sulle competenze, e in secondo luogo da dottori agronomi, geometri, periti edili che possono operare su campi ristretti che sono precisati al sottocapitolo C.2.4. Le suddette professioni sono state istituite mediante apposite leggi (per architetti e ingegneri il RD 2537/1925) che hanno delimitato per ciascuna professione il relativo campo di attività. Conseguenza dell’intervento legislativo è che nel campo di pertinenza di ciascuna professione possono operare solo le persone iscritte all’Ordine o Collegio di quella determinata professione, pena la configurazione del reato penale di esercizio abusivo della professione. L’istituzione delle professioni è avvenuta lungo tutto l’arco di questo secolo; gli ordinamenti delle professioni tecniche risalgono prevalentemente agli anni ’20. L’obiettivo principale risulta essere quello di regolare l’attività di libera professione, tuttavia ogni ordinamento, sia pure con modalità diverse, prevede la iscrizione all’Albo di dipendenti da aziende private e/o da pubbliche amministrazioni statali o locali. L’architetto, l’ingegnere e le altre professioni dell’edilizia fanno parte del più ampio campo delle professioni intellettuali: si possono definire come tali le professioni che forniscono prestazioni di carattere prevalentemente intellettuale in settori di interesse pubblico o per servizi alla persona che lo Stato ha ritenuto degni di particolare tutela. Lo svolgimento di tali prestazioni richiede il possesso di specifici requisiti di formazione culturale e tecnica ed è caratterizzato da autonomia nella scelta delle modalità per il raggiungimento dello scopo della prestazione con conseguente assunzione di responsabilità personali. Le professioni di architetto e di ingegnere, nell’edilizia, stanno svolgendo un ruolo
ARCHITETTI NELLA MINIRIFORMA DELLE PROFESSIONI DEL 2001 Con DPR 5 giugno 2001 n.328 sono state riordinate le professioni nel campo dell’edilizia e della pianificazione del territorio, facenti capo all’Ordine degli architetti, che assume la nuova denominazione di Ordine degli architetti, dei pianificatori, dei paesaggisti, dei conservatori. Sono state definite, tra esse, le seguenti professioni alle quali si accede previo apposito esame di Stato, dopo aver conseguito la laurea specialistica di 5 anni: architetto, pianificatore territoriale, paesaggista, conservatore dei beni architettonici e ambientali. Le professioni con laurea di 3 anni inserite nell’Albo degli architetti sono: architetto junior e pianificatore junior. Analogamente sono state riordinate le professioni raggruppate nell’Albo degli ingegneri. Il DPR stabilisce che non vengono modificati i campi di attività delle esistenti professioni di architetto e ingegnere (RD 2537/1925), di agronomo ecc. ma ciononostante li ridefinisce. Inoltre stabilisce i campi di attività delle nuove professioni e precisa che il professionista iscritto in un settore non può esercitare le competenze di natura riservata attribuite agli iscritti in un altro settore. Non è chiaro se i campi di attività definiti per ciascuna professione sono coperti dalla norma penale sull’esercizio abusivo della professioni, anche perché nella legislazione sulle professioni normalmente quando si tratta di competenze professionali non viene usata l’espressione “competenza riservata”. La necessità della miniriforma è derivata dalla riforma universitaria (legge 127/1997 e DM 509/1999) che ha istituito la laurea triennale nel sistema generale della istruzione universitaria, con la sola eccezione di medici, avvocati, commercialisti, ragionieri, consulenti del lavoro. La riforma universitaria ha stabilito anche gli insegnamenti dei corsi di laurea specialistica, includendo nella stessa classe le lauree in architettura e ingegneria edile.
INGEGNERI In base al RD 2537/1925 la laurea in ingegneria consente di svolgere attività nell’intero campo disciplinare dell’ingegneria, inteso in senso lato. Qualunque sia stato il corso di laurea frequentato, dall’ingegneria edile a quella mineraria, dall’ingegneria informatica a quella nucleare, il laureato, una volta iscritto all’Ordine, può svolgere attività senza limiti in tutto il campo dell’ingegneria.
C2
importante il cui peso cresce man mano che aumentano le richieste di prestazioni qualificate e specialistiche in conseguenza dello sviluppo della tecnologia e del miglioramento del tenore di vita della popolazione. I professionisti sono detentori di capacità tecniche esclusive e pubblicamente riconosciute; la produzione normativa degli ultimi anni ha più volte inteso utilizzare in senso pubblicistico tali capacità delegando in alcuni casi a essi i poteri della Pubblica Amministrazione di certificare la rispondenza a legge di progetti o di asseverare la effettiva consistenza e la esistente condizione di aree e di stabili esistenti. Ad esempio la legge per il nulla-osta provvisorio di prevenzione incendi ha attribuito rilevanza giuridica autonoma al certificato di rispondenza a norma rilasciato dal professionista a seguito di sopralluogo su un edificio o impianto; in tal modo è stata superata la esigenza di sopralluogo da parte del funzionario del corpo dei vigili del fuoco. Altro esempio è nella legge 662/1996 art.2 comma 60 che ha introdotto la Denuncia di Inizio Attività, che consente la realizzazione di lavori edili, senza necessità di controllo da parte del Comune, a condizione che il professionista dichiari che il progetto è conforme agli strumenti urbanistici e rispetta le norme di sicurezza e quelle igienico-sanitarie. Si può affermare, in sintesi, che le caratteristiche fondamentali distintive delle professioni intellettuali riconosciute per legge, come quelle di architetto e di ingegnere, sono: • capacità a operare in uno specifico campo di attività; essa viene stabilita attraverso il requisito del titolo di studio e dell’abilitazione all’esercizio professionale; • osservanza di norme di comportamento che includono il rispetto delle leggi, ma vanno oltre, entrando nella sfera dell’etica; • appartenenza all’Ordine professionale; questo ha il compito primario di accertare che il professionista abbia le due caratteristiche sopra indicate, verificandone la competenza nella fase di iscrizione all’Albo e di gestione dello stesso, e controllandone il comportamento attraverso i poteri disciplinari che gli sono attribuiti dalla legge; • esecuzione personale dell’incarico o comunque sotto la propria diretta responsabilità.
Il DPR 328/2001 invece suddivide gli ingegneri, a seconda del corso di laurea svolto, in 3 settori: ingegneria civile e ambientale, ingegneria industriale, ingegneria dell’informazione. Il primo settore coincide per larga parte con il settore architettura dell’Ordine degli architetti, con l’eccezione degli interventi su immobili storico-artistici. Il DPR stabilisce da un lato che le competenze delle professioni restano immodificate, ma dall’altro stabilisce competenze specifiche per ogni settore e precisa che gli appartenenti a un settore non possono esercitare attività di natura riservata attribuite ad altri settori. La formulazione non è chiara, perché resta indefinito il concetto di “attività riservata”. Comunque appare logico interpretare nel senso che finalmente gli ingegneri industriali e informatici non potranno progettare e dirigere costruzioni civili. Resterà loro la possibilità di accedere agli altri due settori sostenendo e superando l’esame di Stato relativo. Inoltre la norma è applicabile solo agli ingegneri iscritti all’Ordine dopo l’entrata in vigore del DPR (agosto 2001), mentre i 140.000 ingegneri già iscritti possono optare per iscriversi a tutte e tre le sezioni (art.49) e quindi operare su tutti i campi dell’ingegneria.
CORSI DI LAUREA SPECIALISTICA (3 + 2 ANNI) RELATIVI ALLE ATTIVITÀ DELL’ARCHITETTO Il DM 28 novembre 2000 (GU 23 gennaio 2001) “Determinazione delle classi di lauree specialistiche” ha definito 104 classi di corsi di laurea. Almeno 6 tra esse riguardano settori di attività dell’architetto, le classi 3/S, 4/S, 10/S, 38/S, 54/S e 103/S: • Classe 3/S, lauree specialistiche in architettura del paesaggio; • Classe 4/S, lauree specialistiche in architettura e ingegneria edile; • Classe 10/S, lauree specialistiche in conservazione dei beni architettonici e ambientali; • Classe 38/S, lauree specialistiche in ingegneria per l’ambiente e il territorio; • Classe 54/S, lauree specialistiche in pianificazione territoriale urbanistica e ambientale; • Classe 103/S, lauree specialistiche in teorie e metodi del disegno industriale. I corsi di laurea in architettura di cui al DM 24 febbraio1993, continueranno, a esaurimento, a laureare architetti secondo la precedente disciplina.
CORSI DI LAUREA (3 ANNI) RELATIVI ALL’ATTIVITÀ DELL’ARCHITETTO I Corsi di laurea triennali relativi ad attività che rientrano nel campo di attività dell’architetto sono stati stabiliti dal DM 4 agosto 2000 (GU 19 ottobre 2000), che ha determinato le classi delle lauree universitarie, di durata 3 anni, definendo 42 classi di corsi di laurea. Quattro tra esse riguardano settori di attività dell’architetto, le classi 4, 7, 41 e 42: • Classe 4, lauree in scienze dell’architettura e dell’ingegneria edile; • Classe 7, lauree in “Urbanistica e scienze della pianificazione territoriale e ambientale”; • Classe 41, lauree in tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali; • Classe 42, lauree in disegno industriale.
ORDINE DEGLI ARCHITETTI L’Ordine degli architetti deve iscrivere, previo superamento di esame di Stato, laureati specialistici (laurea di 5 anni) in Architettura e ingegneria edile, in Pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale, in Architettura del paesaggio, in Conservazione dei beni architettonici e ambientali. Inoltre deve iscrivere, previo superamento di esame di Stato, laureati triennali in Scienze dell’architettura e dell’Ingegneria edile, in Ingegneria civile e ambientale, in Urbanistica e scienze della pianificazione territoriale e ambientale, in Scienze e tecnologie per l’ambiente e la natura. L’Ordine assume la nuova denominazione: ORDINE DEGLI ARCHITETTI, PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI. L’Albo professionale è unico ma è suddiviso in: Sezione A per i laureati specialistici, ripartita in 4 settori con i titoli: a) architettura (architetto); b) pianificazione territoriale (pianificatore territoriale); c) paesaggistica (paesaggista); d) conservazione dei beni architettonici e ambientali (conservatore dei beni architettonici e ambientali). Sezione B per i laureati triennali, ripartita in 2 settori con i titoli: a) architettura (architetto junior); b) pianificazione (pianificatore junior).
Il dilemma è tra la realtà spaziale e rappresentazione bidimensionale, implica il ruolo del disegno, del graficismo
ESERCIZIO PROFESSIONALE • PRESTAZIONE PRESTAZIONE PROFESSIONALE
A.ZIONI
ORGANIZZAZIONE DELLA PROFESSIONE PROFESSIONISTI LIBERI E DIPENDENTI
ORDINI E COLLEGI PROFESSIONALI
Il codice civile tratta delle professioni intellettuali nell’ambito del Titolo III sul lavoro autonomo: ciò rende evidente come l’impostazione originaria sia riferita alle libere professioni. La concezione di professione in regime di lavoro dipendente è nata inizialmente come ipotesi marginale e ha ricevuto successivamente impulso negli ultimi 30 anni soprattutto nel settore pubblico, attraverso la crescita di funzioni degli enti pubblici (Comuni, Province, Regioni) che ha determinato la necessità di rafforzare in qualità e in quantità gli uffici tecnici. D’altronde occorre considerare che l’art.2238 dello stesso Titolo III del codice civile sul lavoro autonomo, stabilisce in sostanza che ai professionisti dipendenti si applicano “anche” le norme sul lavoro nell’impresa. Ciò significa che per essi si applicano in primo luogo le norme sulle professioni intellettuali, e solo in secondo luogo quelle del lavoro dipendente. Ulteriore possibile considerazione è che il codice civile intenda la libertà della professione per riferirsi non tanto al lavoro autonomo, quanto piuttosto alla libertà di espressione nell’attività intellettuale, libertà che può verificarsi sia in regime di lavoro autonomo che dipendente.
Il codice civile, all’art.2229, stabilisce che “La legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi”. Sono professioni istituite per legge quelle di architetto, ingegnere, agronomo, geologo, avvocato, medico ecc. che presuppongono il possesso di titolo di laurea, ma esistono anche professioni istituite per legge riguardanti diplomi di scuola media, come quelle di geometra, perito industriale, perito agrario, ragioniere, ostetrica ecc. Professioni intellettuali non istituite per legge, e quindi non protette, sono, ad esempio, quelle di laureato in urbanistica o pianificazione territoriale, di laureato in fisica, in informatica, in matematica, quella di scrittore. L’iscrizione all’Ordine professionale conferisce validità giuridica alla prestazione; per questo motivo, in base al disposto dell’art.2231, in caso di mancanza di iscrizione all’Albo cessa il diritto al pagamento della parcella.
PERSONALITÀ DELLA PRESTAZIONE In base all’art.2232 “Il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto. Può tuttavia valersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione”. La personalità della prestazione è collegata al fatto che il rapporto tra cliente e professionista è di tipo fiduciario, pertanto la prestazione non può essere delegata ad altri. Da questo articolo derivano i motivi per i limiti all’attività professionale in forma societaria, posti dalla legge 1815/1939, ma parzialmente superati dalla legge sui lavori pubblici 109/1994.
C.1. 1.
RESPONSABILITÀ E ASSICURAZIONE La legge quadro sui lavori pubblici 109/1994, nello stabilire l’obbligo di assicurazione del progettista (libero professionista o dipendente), presuppone chiaramente la responsabilità del progettista nel caso di errori o di insufficienze nella progettazione che comportino varianti al progetto e quindi al contratto di appalto dei lavori.
TARIFFA L’art.2233 tratta dei compensi, facendo riferimento sia alla tariffa professionale, sia al fatto che, in caso di contenzioso, il giudice deve sentire il parere dell’Ordine. La tariffa degli architetti e degli ingegneri è stata approvata con legge 143/1949 e aggiornata più volte (vedi sottocapitolo C.3.4).
OBBLIGO DI MEZZO E OBBLIGO DI RISULTATO L’art.2236 stabilisce i limiti della responsabilità del professionista: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o di colpa grave”. Lo stesso argomento è trattato nell’art.1176; da esso si deduce che il professionista deve usare una diligenza commisurata alla natura dell’attività esercitata, ma non è tenuto a garantire un risultato utile. Infatti, ad esempio, un medico è tenuto a impiegare nella propria opera tutti i mezzi e le conoscenze che normalmente sono disponibili ai fini della cura del malato, ma non è obbligato a garantirne la guarigione. Esiste quindi obbligo di mezzo (cioè di saper utilizzare tutti i mezzi disponibili) ma non di risultato. Nelle attività di impresa invece esiste sempre obbligo di risultato. Infatti l’imprenditore si impegna non a fornire una prestazione intellettuale, ma un prodotto che deve rispondere a caratteristiche previste nel contratto e che deve poter essere utilizzato dal committente. Nel caso degli architetti e degli ingegneri esiste un orientamento della giurisprudenza secondo cui non vi è obbligo di risultato nella direzione lavori e nella consulenza in genere, mentre per la progettazione occorre distinguere: non vi è obbligo di risultato nel caso che il progetto non venga approvato dal Comune, nonostante che esso sia del tutto rispondente alle vigenti normative, ma sussiste l’obbligo nel caso il progetto abbia carenze sotto detto profilo. Infatti, quando un progetto deve essere sottoposto a una approvazione dell’autorità amministrativa come condizione per la sua realizzazione, l’opera professionale non è da sola sufficiente a conseguire l’obiettivo del committente, ma necessita di altrui attività o approvazioni, che il professionista non è in grado di influenzare. In tale caso il progettista è responsabile solo se ha “colpa”, cioè se non ha rispettato le prescrizioni urbanistiche e non ha applicato le normali nozioni che costituiscono il bagaglio tecnico del professionista.
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C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E
NORME ORDINAMENTALI L’ordinamento delle professioni di architetto e di ingegnere è stato definito, ai sensi del citato art.2229 c.c., dalla legge 24 giugno 1923 n.1395 e dal relativo regolamento RD 23 ottobre 1925 n.2537. La legge tutela il titolo di architetto e di ingegnere e istituisce l’Ordine per ogni provincia. Viene stabilito che le pubbliche amministrazioni possono affidare incarichi liberoprofessionali solo agli iscritti all’Albo. Le funzioni del Consiglio dell’Ordine sono: gestione dell’Albo, pareri sulle controversie professionali e sulla liquidazione di onorari e spese, vigilanza sull’esercizio della professione, uso del potere disciplinare per reprimere le mancanze degli iscritti. Il regolamento RD 2537/1925 istituisce la commissione centrale (successivamente trasformata in Consiglio Nazionale) per decidere sulle impugnazioni avverso delibere del Consiglio dell’Ordine in tema di iscrizione all’Albo e di disciplina; inoltre stabilisce le modalità di elezione e di funzionamento dell’Ordine, le procedure per i giudizi disciplinari, l’oggetto e i limiti delle due professioni, i limiti per l’esercizio libero-professionale da parte dei pubblici dipendenti iscritti nell’Albo. La legge 25 aprile 1938 n.897 stabilisce l’obbligo dell’iscrizione dell’Albo per coloro che intendono esercitare la professione. La legge 23 novembre 1939 n.1815 regola le associazioni tra professionisti e (art.2) vieta qualsiasi diversa forma di esercizio in ambito societario. Sono esclusi dal divieto (art.3) gli enti pubblici nonché le ditte private che costituiscono uffici tecnici per la propria organizzazione interna. Con legge 7 agosto 1997 n.266, art.24, è stato abrogato l’art.2 che stabiliva il divieto di forme societarie. Il DLLgt 23 novembre 1944 n.382 ricostituisce gli Ordini che durante il periodo fascista erano stati sostituiti dai sindacati. Determina nuove regole per l’elezione del Consiglio dell’Ordine e ricostituisce la commissione centrale (Consiglio Nazionale) attribuendole le funzioni e definendo il sistema di elezione.
Con decreti del Ministero di grazia e giustizia DM 1° ottobre 1948 e 10 novembre 1948 sono definite le procedure per la trattazione dei ricorsi dinanzi al Consiglio Nazionale degli Ingegneri e al Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori. Il DLgs 27 gennaio 1992 n.129, attuazione delle direttive CEE nel settore dell’architettura, stabilisce criteri unici per tutti i paesi dell’UE al fine del riconoscimento della validità dei titoli di studio necessari per esercitare la professione di architetto. Detta, inoltre, condizioni e procedure per regolare l’esercizio temporaneo di architetti dell’UE in Italia e la eventuale loro iscrizione agli Ordini degli architetti italiani. I laureati in ingegneria di paesi terzi ammessi dalla direttiva CEE a esercitare come architetti in Italia, nel caso di stabilimento devono iscriversi a un Ordine degli architetti. La direttiva CEE 85/384 aveva precedentemente stabilito nella norma transitoria che solo i laureati in ingegneria civile che fossero stati iscritti a corsi di laurea italiani prima dell’anno 1987-88 potevano esercitare come architetti nei paesi UE terzi.
C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
Il decreto del Ministero dell’Università DM 10 giugno 1994 n.776, norme integrative del DLgs 129/1992, definisce le procedure per l’esercizio in Italia di architetti dei paesi UE terzi. Il DPR 5 giugno 2001 n.328 riordina molte professioni, tra le quali quelle del settore dell’edilizia e della pianificazione del territorio. Istituisce le professioni di architetto, di pianificatore, di paesaggista, di conservatore dei beni architettonici e ambientali, che sono gestite dall’Ordine degli architetti. A esse si accede previo superamento di apposito esame di Stato, dopo aver conseguito la laurea specialistica di 5 anni. Istituisce, inoltre, le professioni di architetto junior e di pianificatore junior, per i possessori di laurea di 3 anni, che hanno accesso all’Ordine degli architetti previo superamento di esame di Stato. L’Ordine degli architetti assume la denominazione di Ordine degli architetti, dei pianificatori, dei paesaggisti, dei conservatori. Analogamente sono state riordinate le professioni raggruppate nell’Albo degli ingegneri.
progettuale e della riduzione geometrica. Da quando fu scoperta la prospettiva, gli architetti si sono interessati
. C.1.1AZIONE PREST SSIONALE E PROF
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C.1. 2.
ESERCIZIO PROFESSIONALE LIBERA PROFESSIONE
•
PRESTAZIONE
LIBERA PROFESSIONE INDIVIDUALE È ancorata ai modelli tradizionali di più antico riferimento che sono quelli del medico e dell’avvocato. Il codice civile e le altre leggi base degli ordinamenti delle professioni sono improntati ai concetti guida di fiduciarietà del rapporto col committente e di esecuzione personale della prestazione. La legge 1815/1939, coerentemente con tale quadro, stabiliva il divieto di esercizio in ambito societario, consentendo una elementare forma associativa all’interno dello “studio tecnico”, la cui denominazione deve contenere il nome e il titolo professionale dei componenti. Tuttavia lo studio tecnico non è un soggetto giuridico, il rapporto del committente si sviluppa con i singoli professionisti e la relativa responsabilità è personale. La legge 266 del 7 agosto 1997 ha eliminato il divieto di esercizio societario, rinviando a un decreto ministeriale la fissazione dei requisiti per l’esercizio delle attività di cui all’art.1 della 1815/1939, vale a dire delle professioni in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria. Il decreto non è stato ancora emanato; esso potrebbe distinguere professioni come l’ingegneria, meno caratterizzate da rapporto fiduciario, per le quali pertanto sarebbero consentite società di capitali, da professioni più legate alla personalità della prestazione, come quelle di avvocato e di medico, da regolare mediante società di persone. In questo quadro sembra incerta la colloca-
zione delle società di architettura, valutate in posizione intermedia tra i due gruppi citati. La legge 109/1994 ha anticipato la 266/1997 consentendo l’affidamento di incarichi di progettazione di lavori pubblici anche a società di ingegneria costituite nelle forme di cui ai capi V, VI e VII del titolo V e al capo I del titolo VI del codice civile. La maggiore complessità dell’attività professionale allo stato attuale impone spesso una dimensione della struttura tale da comprendere professionisti specializzati in specifici campi di attività, a volte anche di altre categorie, come il legale o l’economista, nonché investimenti di capitali per l’acquisto e la gestione di locali di pregio e di apparecchiature informatiche o tecniche in genere. Da ciò nasce l’esigenza di regolare per legge le società tra professionisti, anche di tipo interprofessionale, cioè al di là dell’art.1 della legge 1815/1939, al fine di conseguire i maggiori livelli di professionalità che spesso sono subordinati alla utilizzazione di strutture societarie. L’organizzazione della professione di architetto in Italia è particolarmente caratterizzata dagli studi individuali. Una indagine CENSIS del 1987 rileva che il 59% dei professionisti opera da solo. Spesso gli studi composti da più professionisti rappresentano in realtà una sommatoria di studi individuali, riunitisi solo per economizzare sui costi dei locali e di segreteria, e per formare sporadicamente gruppi di lavoro per affrontare insieme un singolo
intervento professionale, come la partecipazione a un concorso di progettazione. Nel centro e nord dell’Europa, in Scandinavia e nei paesi anglosassoni extra-europei (USA, Canada, Australia ecc.) la presenza di vere associazioni professionali di media e grande dimensione è certamente maggiore che in Italia, ma la presenza degli studi individuali è comunque elevatissima. La presenza di dipendenti negli studi, individuali o associati che siano, è assai limitata. La stessa indagine CENSIS ha messo in rilievo che la metà degli studi non ha alcun dipendente, il 16% ne ha uno, il 13% ne ha da due a quattro, il 2,5% ne ha da 5 a 10. Non esiste una presenza percentualmente significativa di studi con oltre 10 dipendenti. Negli studi composti da più titolari è più diffusa la presenza di un dipendente con mansioni di segreteria, sia per esigenze funzionali che per la possibilità di ripartire la spesa. Tuttavia, specialmente nel lavoro di progettazione, il professionista non può assolutamente fare a meno di collaboratori, sia per risolvere problemi di natura interdisciplinare, strutturali, impiantistici, tecnico-amministrativi, tecnico-giuridici, sia per il materiale sviluppo dei disegni di progetto e degli altri elaborati tecnici. Perciò è normale il ricorso alla collaborazione e alla consulenza di altri liberi professionisti e all’utilizzo di disegnatori o tecnici diplomati come coadiuvanti saltuari che operano come lavoratori autonomi retribuiti su fattura, presso lo studio dell’architetto o in propri locali.
PROFESSIONE ASSOCIATA Nonostante sia viva l’esigenza di regolare per legge la associazione tra professionisti, le norme di riferimento sono ancora quelle contenute nell’art.1 della legge 1815/1939, essendo stato abrogato l’art.2 che vietava le forme societarie. L’associazione deve essere denominata “esclusivamente” studio tecnico (o legale, commerciale ecc.) con la specificazione del nome e del titolo professionale dei singoli associati. La costituzione dello studio deve essere notificata all’Ordine di appartenenza degli associati. Fino alla emanazione del decreto ministeriale di esecuzione della legge 266/1997 nel settore privato, le cooperative di progettazione o le società di ingegneria possono esercitare attività di pertinenza delle professioni di architetto e di ingegnere, solo nel settore dei lavori pubblici, ove è applicabile la legge 109/1994. Occorre comunque ricordare che in base alla sentenza della Corte costituzionale 17/1976 le società di ingegneria possono svolgere prestazioni professionali in ogni settore, sia pubblico che privato, qualora la prestazione professionale non rappresenti una attività autonoma, ma costituisca solo un momento di una prestazione più ampia e complessa, che preveda ad esempio ricerche di mercato, studi di fattibilità, sperimentazioni, prove di gestione, formazione del personale e così via. Nelle more della emanazione del detto decreto e del regolamento, la società semplice, a detta di molti esperti, è la forma societaria che meno contrasta con la legge 1815/1939. Un’altra soluzione possibile è la associazione civile non riconosciuta prevista dall’art.36 del codice civile. Sia nel caso di società semplice che di associazione civile non riconosciuta, sotto il profilo fiscale i redditi sono imputati a ciascun socio proporzionalmente alla sua partecipazione agli utili. Le fatture possono essere intestate all’associazione che può avere di conseguenza una propria partita IVA. La ritenuta fiscale di acconto alla fonte è operata nei confronti dell’associazione. Così come per i redditi anche la ritenuta d’acconto deve essere ripartita tra gli associati per poi essere scomputata dalle dichiarazioni dei redditi individuali di ciascuno. La legge 18 novembre 1998 n.415, di modifica della legge 109/1994 sui lavori pubblici, introduce nell’art.17, commi 6-9, i seguenti requisiti per le società di professionisti e per le società di ingegneria: 6. Si intendono per: a) società di professionisti le società costituite esclusivamente tra professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali, nelle forme delle società di persone di cui ai capi II, III e IV del titolo V del libro quinto del codice civile ovvero nella forma di società cooperativa di cui al capo I del titolo VI del libro quinto del codice civile, che eseguono studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni dei lavori, valutazioni di congruità
tecnico-economica o studi di impatto ambientale. I soci delle società agli effetti previdenziali sono assimilati ai professionisti che svolgono l’attività in forma associata ai sensi dell’art.1 della legge 23 novembre 1939, n.1815. Ai corrispettivi delle società si applica il contributo integrativo previsto dalle norme che disciplinano le rispettive Casse di previdenza; b) società di ingegneria le società di capitali di cui ai capi V, VI e VII del titolo V del libro quinto del codice civile, che eseguono studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni dei lavori, valutazioni di congruità tecnicoeconomica o studi di impatto ambientale. Ai corrispettivi relativi alle predette attività professionali si applica il contributo integrativo qualora previsto dalle norme legislative che regolano la Cassa di previdenza di ciascun professionista firmatario del progetto. 7. Il regolamento stabilisce i requisiti organizzativi e tecnici che devono possedere le società di cui al comma 6 del presente articolo. Fino all’entrata in vigore del regolamento, le società di cui al predetto comma 6, lett. b, devono disporre di uno o piú direttori tecnici, aventi titolo professionale di ingegnere o di architetto o laureato in una disciplina tecnica attinente alla attività prevalente svolta dalla società, iscritti al relativo Albo da almeno 10 anni con funzioni di collaborazione alla definizione degli indirizzi strategici della società, di collaborazione e controllo sulle prestazioni svolte dai tecnici incaricati della progettazione, in relazione alle quali controfirmano gli elaborati. 8. Indipendentemente dalla natura giuridica del soggetto affidatario dell’incarico di cui ai commi 4 e 14, lo stesso deve essere espletato da professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali, personalmente responsabili e nominativamente indicati già in sede di presentazione dell’offerta, con la specificazione delle rispettive qualificazioni professionali. Deve inoltre essere indicata, sempre nell’offerta, la persona fisica incaricata dell’integrazione tra le varie prestazioni specialistiche. Il regolamento definisce le modalità per promuovere la presenza anche di giovani professionisti nei gruppi concorrenti ai bandi per l’aggiudicazione”. 9. All’articolo 17, comma 9, della legge n.109, è aggiunto, infine, il seguente periodo: “I divieti di cui al presente comma sono estesi ai dipendenti dell’affidatario dell’incarico di progettazione, ai suoi collaboratori nello svolgimento dell’incarico e ai loro dipendenti, nonché agli affidatari di attività di supporto alla progettazione e ai loro dipendenti”.
ASSOCIAZIONE PER L’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE Normalmente chi si associa ad altri per esercitare deve dedicare la sua attività esclusivamente alla associazione. Anche se ciò non è stabilito per legge, sembra logico, oltre che deontologicamente corretto, che il professionista dia certezza al cliente e ai colleghi del modo di esercizio da lui stesso scelto, e non entri in concorrenza con la associazione alla quale appartiene. Tale esigenza risponde al quadro pubblicistico che definisce le libere professioni, che comporta il rispetto della fede pubblica di cui fruisce il professionista per essere iscritto all’Ordine e
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assoggettato alla relativa disciplina. Pertanto gli incarichi professionali dovrebbero essere trasferiti nell’ambito dell’associazione anche quando sono derivati da rapporti personali del socio. Tuttavia se si intende tenere conto di tali situazioni, nulla impedisce che nello statuto dell’associazione venga stabilita una suddivisione dei proventi proporzionale al contributo che ciascuno ha portato alla attività associativa. Non esistono comunque norme di legge che impediscano a un associato di affiancare una attività individuale a
quella societaria. Il divieto di concorrenza dell’art.2301 del codice civile si riferisce alle società in accomandita semplice s.a.s. e alle società in nome collettivo s.n.c., e non sembra applicabile alle associazioni. A evitare controversie sarebbe però opportuno che lo statuto dell’associazione precisi la inesistenza di obbligo di esclusività. Una società semplice può essere costituita di fatto, anche in mancanza di un atto formale, nel caso che più professionisti esercitino insieme, nello stesso studio, dividendo le spese e i guadagni.
più all’immagine visuale che all’esperienza quadridimensionale. La prospettiva ha staticizzato il modo di vedere,
ESERCIZIO PROFESSIONALE • PRESTAZIONE LIBERA PROFESSIONE ATTO COSTITUTIVO E STATUTO DI ASSOCIAZIONE TRA PROFESSIONISTI (Schema di massima) L’arch. A.B., l’arch. C.D., l’ing. E.F., iscritti ai rispettivi Ordini ed esercitanti individualmente la libera professione, con il presente atto si associano per esercitare in comune la professione, costituendo la Associazione professionale “Studio tecnico associato dell’arch. A.B., dell’arch. C.D. e dell’ing. E.F.”, con sede in ...................... . Le norme sull’ordinamento, sul patrimonio e sull’amministrazione, i diritti e gli obblighi degli associati, sono stabiliti negli articoli seguenti. Il fondo iniziale dello Studio tecnico associato è di € ....... che viene versato nei seguenti importi: • arch. A.B. : € ................ • arch. C.D.: € ................ • ing. E.F. : € ................ art.1 (Costituzione) È costituita una associazione tra professionisti denominata “Studio tecnico associato dell’arch. A.B., dell’arch. C.D. e dell’ing. E.F.” art.2 (Sede) L’associazione ha sede in .................... . L’indirizzo può essere variato con delibera unanime degli associati e potranno essere istituiti uffici in Italia e all’estero. art.3 (Oggetto) Oggetto dell’associazione sono lo svolgimento in forma associata della professione e delle attività di lavoro autonomo a essa connesse. L’associazione può svolgere ogni attività utile al raggiungimento dello scopo sociale e quindi: • acquisire e gestire beni mobili e immobili ed eseguire operazioni mobiliari, immobiliari e finanziarie; • aprire conti correnti bancari, contrarre mutui e compiere ogni operazione finanziaria per procurarsi i mezzi per lo svolgimento della propria attività. Sono escluse le attività di impresa e ogni altra attività vietata agli associati per legge, quali credito e assicurazione. L’associazione può aprire conti correnti bancari, contrarre mutui e compiere ogni operazione finanziaria per procurarsi i mezzi per lo svolgimento della propria attività. art.4 (Associati) Possono essere associate le persone che sono iscritte all’Ordine degli architetti o degli ingegneri o al Collegio dei geometri o a Ordini e Collegi di altre professioni tecniche e che hanno ottenuto il gradimento di tutti gli associati. art.5 (Attività) Gli associati svolgono la loro attività professionale esclusivamente nell’ambito dell’associazione, salvo quanto previsto nell’art.8. L’associato assolve personalmente, nell’ambito della associazione, la prestazione professionale. Durante lo svolgimento dell’incarico può farsi rappresentare e coadiuvare da collaboratori, ausiliari o dipendenti dell’associazione, comunque sempre sotto la propria responsabilità e direzione e nei casi in cui ciò sia compatibile con la natura dell’incarico. Gli onorari sono fatturati direttamente all’associazione e sono acquisiti alla stessa. Tutti i costi relativi ad attività nell’ambito associativo sono a carico dell’associazione e vengono rimborsati ai soci che li hanno sostenuti. Gli associati sono tenuti al segreto, alla riservatezza sulle attività professionali e al rispetto delle norme di deontologia; essi devono adoperarsi perché tali doveri siano rispettati anche da collaboratori, ausiliari e dipendenti dell’associazione. art.6 (Incarichi) All’atto dell’ingresso nell’associazione, l’associato deve conferire alla stessa tutti gli incarchi e mandati professionali dei quali è titolare. Deve inoltre dare notizia a tutti i propri committenti dell’avvenuto ingresso nell’associazione. art.7 (Regolamento) Lo statuto può essere integrato da un regolamento che disciplini aspetti non trattati dallo stesso. Il regolamento è approvato dall’assemblea ai sensi dell’art.13. art.8 (Attività escluse) Gli associati non possono svolgere attività professionale al di fuori dell’associazione, con le seguenti eccezioni: • attività didattica e pubblicazioni; • .................................................................................. • attività che saranno determinate di volta in volta con il consenso unanime degli associati.
Le attività così escluse sono riferibili al singolo associato che ne è individualmente responsabile; i relativi compensi sono fatturati e gestiti individualmente. art.9 (Beni e servizi) I beni e i servizi destinati all’attività professionale acquisiti dall’associazione sono a disposizione degli associati per l’attività comune. L’associato non può servirsi, senza il consenso degli altri associati, dei beni e servizi dell’associazione per fini estranei a quelli dell’associazione. art.10 (Rapporti con i terzi) Il rapporto professionale intercorre direttamente tra il committente e il singolo socio, che di persona è professionalmente responsabile della propria attività. Tuttavia agli effetti patrimoniali l’attività fa capo all’associazione che se ne assume la responsabilità diretta, mentre la responsabilità personale e solidale degli associati ai sensi dell’art.2267 del codice civile si verifica solo in via sussidiaria. In caso di controversia con il committente, le conseguenze economiche, comprese le spese di difesa e il risarcimento dei danni per illeciti civili e penali, sono a carico dell’associazione, che potrà esercitare il diritto di rivalsa sul socio. L’associazione stipula a proprie spese il contratto di assicurazione per la copertura dei rischi professionali per l’attività svolta dai soci nell’ambito dell’associazione. Gli associati devono rendere nota la loro appartenenza alla associazione, nello svolgimento di incarichi; nei rapporti professionali svolti a titolo individuale ai sensi dell’art.8, devono comunicare al committente a estraneità del rapporto rispetto all’associazione. Ogni associato deve segnalare tempestivamente agli altri soci e ai terzi interessati le situazioni di incompatibilità o di conflitto di interessi che eventualmente dovessero verificarsi per l’assunzione o l’espletamento di un incarico. art.11 (Tariffe) Le prestazioni eseguite dall’associazione devono essere fatturate al committente in relazione alla attività svolta dall’associato o dagli associati che hanno eseguito la prestazione, sulla base delle tariffe a loro applicabili. art.12 (Amministrazione e rappresentanza) L’amministrazione e la rappresentanza dell’associazione spettano disgiuntamente a ciascuno degli associati, salvo diversa decisone dell’assemblea. In caso di opposizione da parte di un associato a operazioni degli amministratori, decide l’assemblea con il voto favorevole di almeno i due terzi, ai sensi dell’art.2257, secondo comma, del codice civile. art.13 (Assemblea) Compiti dell’assemblea sono: • approvazione del rendiconto; • nomina e sostituzione di amministratori; • ammissione di nuovi associati; • esclusione e recesso di associati; • approvazione del regolamento; • modifiche dello statuto e del regolamento. L’assemblea delibera con il voto favorevole degli associati che rappresentino i due terzi sia per numero che per quote di partecipazione agli utili, tranne che per le materie in cui è prevista l’unanimità ai sensi del presente statuto. art.14 (Utili e perdite) Gli utili risultanti dal rendiconto annuale predisposto a cura degli amministratori, i costi e le eventuali perdite, vengono attribuiti annualmente tra gli associati nelle seguenti proporzioni: • arch. A.B. ..... ; • arch. C.D. ..... ; • ing. E.F. ..... . Le quote potranno variare di anno in anno anche a consuntivo, in base all’attività effettivamente svolta nell’anno, con apposito atto di modifica sotto forma di scrittura privata autenticata che, approvata all’unanimità, deve essere formata entro il termine per la dichiarazione dei redditi. In sede di approvazione del rendiconto vengono determinati gli utili da distribuire e quelli da riportare a nuovo, tenuto conto della situazione finanziaria e dei programmi dell’associazione. Nel corso dell’esercizio possono essere distribuiti acconti di utili, sulla base degli incassi e della situazione finanziaria. art.15 (Patrimonio netto e finanziamenti) Il patrimonio netto è costituito dagli apporti degli associati e dagli utili maturati e non ancora distribuiti. Gli asso-
ciati provvedono ai fabbisogni dell’associazione mediante apporti di denaro e mezzi, proporzionalmente alle loro quote di partecipazione stabilite nelle seguenti misure: • arch. A.B. ..... ; • arch. C.D. ..... ; • ing. E.F. ..... . Gli apporti degli associati sono effettuati a titolo di capitale e sono infruttiferi di interessi, salvo diversa delibera. In caso di scioglimento del rapporto sociale limitatamente a un associato, ovvero di scioglimento dell’associazione, la liquidazione delle quote spettanti ai singoli associati tiene conto delle diverse quote di partecipazione al patrimonio netto. Le quote di partecipazione all’associazione hanno carattere personale e non sono trasferibili in tutto o in parte. art.16 (Imposte e ritenute) Imposte, tasse e contributi sono a carico dell’associazione se riferiti all’attività professionale associata. Imposte e contributi personali degli associati restano a loro carico. Le ritenute vengono imputate ai singoli associati in proporzione alle rispettive quote di partecipazione agli utili. art.17 (Modifiche allo statuto) Il presente accordo è stipulato a tempo indeterminato. I patti sociali possono essere variati e l’associazione può essere sciolta con il consenso di tutti gli associati. Ogni variazione della compagine sociale deve essere resa nota ai terzi contraenti. art.18 (Esclusione dall’associazione) La qualità di associato si perde: • per scioglimento dell’associazione; • per inadempienza agli obblighi statutari; • per inosservanza dell’etica professionale; • per cancellazione dall’Albo professionale; • per dimissioni da comunicarsi almeno 6 mesi prima con lettera raccomandata e con decorrenza dalla data di ricevimento; • per morte, escluso ogni diritto di subentro da parte degli eredi; • per sanzione disciplinare di sospensione o cancellazione, comminata dall’Ordine o Collegio, e divenuta definitiva; • per impossibilità di svolgere prestazioni a causa di malattia o altra incolpevole causa, protrattasi ininterrottamente per oltre 1 anno. Le prestazioni in corso da parte dell’associato al momento del recesso o della esclusione restano affidate all’associazione, salva la facoltà per il cliente di revocare il mandato e salva la facoltà di rinunziare all’incarico da parte degli altri associati. art.19 (Liquidazione) L’associato che perde la qualità di socio ha diritto alla liquidazione delle sue spettanze sulla base della sua quota di partecipazione al patrimonio. Una situazione patrimoniale ed economica dell’associazione verrà redatta e sottoscritta immediatamente, con effetto alla data di scioglimento del rapporto; in caso di mancanza di accordo sui valori, questi saranno determinati mediante arbitrato ai sensi dell’art.20. I beni e i diritti di cui è titolare l’associazione sono da valutare in base al valore corrente. Nessun altro diritto, per clientela, avviamento, o altro, spetterà al socio uscente. La liquidazione della quota dell’associato è a carico dell’associazione che provvederà al pagamento del proprio debito nei confronti dell’associato o dei suoi eredi entro 6 mesi dalla data di scioglimento. Per le responsabilità dell’associato uscente, si applica l’art.2290 del codice civile. art.20 (Arbitrato) Le controversie tra le parti, che insorgano nella applicazione del presente statuto, saranno decise da un arbitro, amichevole compositore, scelto di comune accordo. In caso di disaccordo, l’arbitro sarà nominato, su richiesta della parte più diligente, dal Presidente del Tribunale di ........... . Questi deciderà inappellabilmente regolando lo svolgimento del giudizio a norma degli articoli 816 e seguenti del codice di procedura civile. art.21 (Ordine professionale) Il presente atto costitutivo viene notificato a mezzo raccomandata agli Ordini professionali di appartenenza degli associati. art.22 (Norme finali) Per quanto non espressamente previsto dal presente statuto valgono le vigenti norme di legge in materia e le disposizioni dei rispettivi ordinamenti professionali.
privilegiando un solo punto di osservazione e quindi impoverendo la dinamica dei percorsi. Inoltre, poiché gli spazi
C.1. 2. A.ZIONI
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C.1. 2./3.
ESERCIZIO PROFESSIONALE LIBERA PROFESSIONE
•
PRESTAZIONE
ASSOCIAZIONE PER RIPARTIRE LE SPESE Molto spesso i professionisti tecnici formano raggruppamenti che non hanno tanto l’obiettivo di esercitare la professione in comune, quanto lo scopo di coabitare in una sede, all’interno della quale ogni professionista utilizza un proprio spazio (uno o più vani), mentre alcuni servizi sono di utilizzazione comune, come la sala riunioni e il servizio di segreteria. Alla suddivisione delle spese comuni come l’affitto e il riscaldamento, la energia elettrica, il servizio di segreteria ecc. generalmente si provvede con accordi verbali. Tuttavia un contratto scritto può ridurre il rischio di incomprensioni e regolare correttamente la deducibilità delle spese sostenute sotto il profilo fiscale.
CONTRATTO DI ASSOCIAZIONE PER LA RIPARTIZIONE DELLE SPESE Con la presente scrittura privata, premesso: • che i sottoscritti esercenti la libera professione, arch. A.B., arch. C.D., ing. E.F., svolgono l’attività professionale nello stesso studio sito in via ...................... , occupando ciascuno un vano (ovvero n°..... vani) per la propria attività e utilizzando in comune i restanti vani; • che l’arch. A.B. ha stipulato i seguenti contratti: 1. contratto di locazione dell’appartamento; 2. contratto di lavoro subordinato con la segretaria G.H.; 3. contratto di fornitura di energia elettrica; 4. ............................................................................ ; • che l’arch. C.D. ha stipulato i seguenti contratti: ................................................................................ ; • che l’ing. E.F. ha stipulato i seguenti contratti: ................................................................................ ; • che i contraenti intendono utilizzare congiuntamente i servizi relativi ai contratti indicati in premessa. Tutto ciò premesso si conviene e si stipula quanto segue:
Art.1 I professionisti intestatari dei contratti indicati nella premessa si obbligano a consentire che i servizi relativi ai contratti stessi siano utilizzati anche dagli altri contraenti ai fini dello svolgimento delle rispettive attività professionali. Art.2 Il costo complessivo dei contratti indicati in premessa dovrà essere ripartito fra tutti i partecipanti e sostenuto dagli stessi nelle seguenti misure: • arch. A.B. : 50% • arch. C.D.: 20% • ing. E.F. : 30% La quota di costo dei servizi come sopra determinata verrà rimborsata dai fruitori non intestatari al professionista intestatario nel termine di scadenza di pagamento al fornitore del servizio. A tal fine il professionista intestatario provvederà a emettere una nota di addebito o fattura, assoggettata a IVA limitatamente ai
contratti soggetti a IVA, agli altri contraenti non intestatari. Art.3 Il contratto ha durata annuale a partire dalla data della presente scrittura e sarà rinnovabile tacitamente di anno in anno, salvo disdetta da comunicare alle altre parti con un preavviso di almeno 3 mesi. Art.4 Ciascuna parte potrà recedere dal presente contratto dando un preavviso di almeno 4 mesi agli altri contraenti mediante lettera raccomandata a mano. L’esercizio del diritto di recesso è a titolo gratuito. Art.5 Il presente contratto non verrà registrato se non in caso d’uso, non essendovi l’obbligo di legge; tuttavia verrà spedito da ciascun contraente agli altri mediante raccomandata. Art.6 Le spese del contratto sono a carico di ciascuno in base alle quote di ripartizione stabilite all’art.2.
RAGGRUPPAMENTO TEMPORANEO DI PROFESSIONISTI
SOCIETÀ DI INGEGNERIA
La espressione “liberi professionisti singoli, associati o raggruppati temporaneamente” compare nell’art.17 comma 1 g), della legge 109/1994, legge quadro sui lavori pubblici. Il Regolamento di attuazione della legge DPR 554/1999, non fornisce i requisiti del raggruppamento temporaneo di professionisti. Comunque si tratta evidentemente di una associazione “a termine” tra professionisti o tra associazioni professionali avente lo scopo di svolgere una singola prestazione professionale o una serie di prestazioni tra loro interconnesse. Ciascun professionista del raggruppamento può continuare il contemporaneo espletamento presso il proprio studio di altri incarichi dei quali è titolare, con il solo limite di non poter entrare in concorrenza con il raggruppamento temporaneo. Il raggruppamento viene creato mediante un contratto che deve rispettare le condizioni stabilite dall’art.1 della legge 1815/1939; pertanto la denominazione del raggruppamento deve contenere i nomi e il titolo professionale degli associati e il contratto deve essere notificato all’Ordine di appartenenza. La legge quadro sui lavori pubblici, nella procedura di affidamento dei lavori, consente alle imprese di creare una associazione temporanea a condizione che sia costituita prima della presentazione dell’offerta e che i componenti abbiano conferito mandato di rappresentanza a uno di essi, qualificato capogruppo. Tale norma appare applicabile anche ai raggruppamenti di professionisti. I professionisti raggruppati sono solidalmente responsabili nei confronti dell’amministrazione. In assenza di disposizioni legislative o regolamentari, i requisiti del raggruppamento temporaneo di professionisti possono essere stabiliti da ciascuna amministrazione nel singolo bando di gara per l’affidamento della prestazione professionale. Il regime fiscale non è diverso da quello delle associazioni tra professionisti, visto che sotto il profilo tributario è ammessa la coesistenza di redditi derivanti da associazione professionale con redditi prodotti da esercizio professionale individuale.
Le società di ingegneria sono state legittimate a eseguire prestazioni professionali nel settore dei lavori pubblici dall’art.17 della legge 109/1994. Il comma 6 stabilisce i requisiti delle società ed è stato riportato al paragrafo precedente “Professione associata”. I tipi di società citati dalla legge sono le società in accomandita per azioni, le società per azioni e le società a responsabilità limitata. Sono queste pertanto le forme societarie che possono configurarsi come società di ingegneria, sempre che rispondano ai requisiti organizzativi, professionali e tecnici definiti nell’art.53 del DPR 554/1999 regolamento di attuazione della legge quadro sui lavori pubblici, 109/1994. In particolare tali società devono disporre di un direttore tecnico che sia ingegnere o architetto o laureato in una disciplina tecnica attinente all’attività prevalente svolta dalla società (geologo, agronomo). Deve essere abilitato all’esercizio della professione da almeno 10 anni e deve essere iscritto all’Ordine al momento dell’assunzione dell’incarico. Il divieto di esercizio professionale in ambito societario stabilito dall’art.2 della legge 1815/1939 è stato rimosso con l’abrogazione di tale articolo stabilita dalla legge 266 del 7 agosto 1997. Il divieto era stato già rimosso per il settore dei lavori pubblici dalla legge 109/1994. Già prima della entrata in vigore della legge 109/1994, l’attività professionale delle società di ingegneria è stato consentita (giusta sentenza 17/1976 della Corte costituzionale) nei casi in cui la prestazione di opera professionale costituisca non una attività autonoma ma solo un aspetto di un più vasto programma realizzativo complesso affidato alla società. La legge n.166 del 1° agosto 2002 ha abrogato il comma 4 dell’art.17 della legge 109/1994, che escludeva le società di ingegneria dagli incarichi sotto 200.000 euro. Pertanto ora queste possono essere affidatarie di incarichi di qualunque importo. Nel nuovo testo dell’art.17 è anche stata eliminata la espressione che legava la definizione delle società alla legge 109, per cui si ritiene che le società possono operare anche nel settore privato.
INCOMPATIBILITÀ INCOMPATIBILITÀ PER I LIBERI PROFESSIONISTI Le norme di incompatibilità per l’esercizio della professione sono stabilite in alcuni casi da leggi, ma la normativa organica sulla materia trova sede nel codice deontologico di ciascuna professione. Qui di seguito vengono evidenziate alcune delle più rilevanti situazioni di incompatibilità, con particolare riguardo alle norme di etica professionale degli architetti. Il collaudatore di una opera con struttura in cemento armato o ferro non può aver preso parte alla progettazione, direzione o esecuzione dell’opera, ai sensi dell’art.7 della legge 1086/1971. Inoltre deve essere iscritto all’Ordine da oltre 10 anni. In campo urbanistico esiste, come norma fondamentale di incompatibilità, l’art.14 della legge 765/1967 inserita nell’art.41 bis della legge 1150/1942, il quale stabilisce che i professionisti incaricati della redazione di un piano regolatore generale o di un programma di fabbricazione possono, fino all’approvazione di detti strumenti, assumere nell’ambito del Comune interessato, soltanto incarichi di progettazione di opere e di impianti pubblici. Questa disposizione è stata estesa dal codice deon-
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tologico degli architetti ai piani di attuazione del PRG, cioè ai piani particolareggiati, ai piani ex lege 167/1962, ai piani di insediamenti produttivi ecc. La Corte di cassazione a sezioni unite con sentenza del 25 maggio 1989 ha stabilito che anche il programma pluriennale di attuazione rientra nella casistica di questa incompatibilità. Secondo le dette norme di deontologia la incompatibilità è estesa ai professionisti che hanno rapporti di collaborazione con il progettista del piano. Il Direttore dei lavori, in caso di difformità delle opere rispetto alla concessione edilizia, deve contestare la violazione al titolare della concessione, al committente, al costruttore e ne deve dare comunicazione al sindaco; in caso di totale difformità o variazione essenziale deve contestualmente rinunciare all’incarico (art.6 legge 47/1985). Il professionista non può ricevere un incarico da parte di una Pubblica Amministrazione qualora nei suoi confronti esistano misure di prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di pericolosità sociale (art.7 legge 55/1990).
Il progettista o Direttore dei lavori di una opera non può essere compartecipe nell’impresa costruttrice o nelle ditte fornitrici dell’opera. La incompatibilità non sussiste nel caso che il committente sia messo a conoscenza della compartecipazione e la accetti esplicitamente. Tale incompatibilità è assoluta in caso di lavori pubblici. Tanto è stabilito nell’art.21 delle norme di deontologia. Il consulente di una Pubblica Amministrazione (e chi con lui collabora) non può assumere incarichi privati o pubblici aventi oggetto attinente alla consulenza. Norme di deontologia, art.30. Il professionista che ha svolto una prestazione non può abbinare la propria firma a quella di un altro professionista (o persona) non autorizzato dalla legge a svolgere detta prestazione, art.31 delle norme di deontologia. Non è consentito essere componente di una commissione giudicatrice di un concorso al quale partecipino come concorrenti altri professionisti che abbiano con lui rapporti di collaborazione in atto o di parentela. Art.51 delle norme di deontologia.
complessi non si prestavano ad essere meccanicamente rappresentati, sono stati sminuiti a figure stereometriche
ESERCIZIO PROFESSIONALE • PRESTAZIONE INCOMPATIBILITÀ
A.ZIONI
INCOMPATIBILITÀ PER I PROFESSIONISTI DIPENDENTI Gli architetti e gli ingegneri che operano in edilizia svolgono, in maggioranza, la loro attività in regime di lavoro dipendente, cioè in condizione subordinata a un datore di lavoro privato individuale (anche un libero professionista), privato societario (impresa di costruzione o società di servizi o industria produttrice di componenti o oggetti per l’edilizia), o come pubblico funzionario. Questi tecnici sono abilitati a svolgere le stesse mansioni (progettazione, direzione lavori, collaudi, istruttorie, verifiche e consulenze tecniche) che sono riservate dalla legge alle professioni di architetto e di ingegnere. Pertanto sono considerati professionisti dipendenti, specialmente qualora effettivamente svolgano tali attività. È significativo in proposito che generalmente la legge impone l’iscrizione obbligatoria all’Ordine per tutti i dipendenti che svolgono atti professionali per conto del datore di lavoro, sia nel settore privato, che nel settore pubblico. In controtendenza è la legge 415/1998, di modifica della legge 109/1994, che ha variato l’art.17 stabilendo che “i progetti ...sono firmati da dipendenti delle amministrazioni abilitati all’esercizio della professione”, mentre nel testo originario era precisato il requisito dell’iscrizione all’Albo. L’obbligo di iscrizione è di pubblico interesse, dato che i dipendenti svolgono attività professionali per conto della amministrazione di appartenenza, e dato che il controllo dell’Ordine sulla formazione professionale e sul comportamento deontologico del singolo professionista non può essere ristretto a coloro che esercitano la libera professione, pena il vanificare la tutela di interessi collettivi che ha determinato la creazione degli Ordini stessi. Infatti tali interessi sono riferiti alla qualità di tutti gli interventi edilizi e non solo a quelli attuati nel settore privato. Norme di legge, di regolamento o di contratto generalmente non consentono il pieno esercizio della libera professione; singoli atti libero-professionali sono spesso ammessi nel settore privato, mentre sono soggetti ad autorizzazioni e a drastiche limitazioni nel settore pubblico. Qualora i tecnici dipendenti svolgano per conto del datore di lavoro attività non relazionate con la professione, pur avendone l’abilitazione, non possono
DIRITTO DI ISCRIZIONE ALL’ORDINE Il regolamento delle professioni di architetto e di ingegnere (RD 2537/1925) non pone alcun divieto all’iscrizione all’Ordine dei dipendenti, anzi all’art.62 prende atto della loro esistenza nell’Albo e ne regola le attività liberoprofessionali. Successivamente la legge 897/1938 ha stabilito l’obbligo dell’iscrizione ai fini dell’esercizio della professione, senza escludere da tale obbligo i dipendenti. Tuttavia altre norme, come la legge 1086/1971, hanno escluso dall’obbligo di iscrizione i dipendenti dello Stato. Come si dirà più avanti, successivamente con il DPR 1219/1984 anche per questi ultimi è stato introdotto l’obbligo di iscrizione all’Ordine. Facendo leva su una non completa chiarezza della normativa, in tema di legittimità dell’iscrizione si è sviluppato negli anni passati un certo contenzioso, basato sul fatto che l’iscrizione è finalizzata all’esercizio della libera professione e che pertanto ne debbano essere esclusi i pubblici dipendenti non essendo facoltati a tale attività. La Corte di Cassazione a sezioni riunite, con sentenza 8899/1987, ha risolto definitivamente la questione stabilendo che “...l’ordinamento delle professioni di ingegnere e di architetto, a differenza di quanto prescrivono gli ordinamenti di altre professioni intellettuali, consente ai predetti professionisti che siano impiegati dello Stato o di altre pubbliche amministrazioni, di iscriversi all’Albo del loro Ordine; benché sia a essi inibito, in base agli ordinamenti loro applicabili, l’esercizio della libera professione”. Occorre infine precisare che la legge 382/1980 impone agli Ordini la istituzione di un elenco speciale dei professori universitari che hanno scelto il tempo pieno. L’elenco è generalmente allegato all’Albo. La inclusione di tali docenti di fatto implica la loro estromissione dall’Albo degli iscritti all’Ordine, anche se il procedimento non risulta dalla legge. Nello stesso elenco devono essere inseriti anche i ricercatori a tempo pieno e gli assistenti del ruolo a esaurimento. Queste sono pertanto le uniche categorie di architetti e ingegneri che non possono far valere il diritto di iscrizione all’Albo.
OBBLIGO DI ISCRIZIONE ALL’ORDINE L’obbligo di iscrizione è di pubblico interesse, visto che i dipendenti svolgono attività professionali per conto della amministrazione di appartenenza, e che il controllo dell’Ordine sulla formazione professionale e sul comportamento deontologico del singolo professionista non può essere ristretto a coloro che esercitano la libera professione, pena il vanificare la tutela di interessi collettivi che ha determinato la creazione degli Ordini stessi. Infatti tali interessi sono riferiti alla qualità di tutti gli interventi edilizi e non solo a quelli attuati nel settore privato. La legge 897/1938 nello stabilire l’obbligo di iscrizione all’Ordine ai fini dell’esercizio della professione, non ha fatto esclusione per i dipendenti. Quindi un dipendente che
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invece essere considerati a pieno titolo dipendenti professionisti. Essi non hanno l’obbligo dell’iscrizione all’Ordine, ma ne hanno piena facoltà. Tra questi sono compresi gli insegnanti delle scuole statali medie e superiori, che sono pubblici dipendenti aventi diritto, se autorizzati, a esercitare la libera professione. Gli insegnanti universitari statali sono pubblici dipendenti facoltati per legge al completo esercizio della libera professione se hanno optato per il tempo parziale, mentre non possono esercitarla se hanno optato per il tempo pieno. Secondo alcuni una legge successiva, la 118/1989, consente ai docenti a tempo pieno di accettare, solo se autorizzati, determinati incarichi libero-professionali; tuttavia il Consiglio di Stato, nelle tre pronunce n.1074/1990, 408/1992 e n.1010/1994, ha espresso il parere che l’incompatibilità all’esercizio professionale è assoluta e che pertanto le autorizzazioni non possono essere rilasciate. Gli architetti e gli ingegneri che operano in regime di lavoro dipendente sono in continuo aumento. Si stima che siano dipendenti il 56% dei 68.000 architetti iscritti agli Ordini nel 1995 e l’80% degli ingegneri alla stessa data; il numero dei dipendenti aumenta come numero assoluto e come percentuale se si considerano i laureati che non si iscrivono agli Ordini, che sono stati stimati rispettivamente nel 31% degli architetti e nel 58% degli ingegneri. Infatti coloro che non si iscrivono all’Ordine sono in parte dipendenti e in parte in cerca di occupazione ed evidentemente non possono esercitare la libera professione. I professionisti dipendenti a tempo parziale sono una nuova categoria del pubblico impiego, regolata principalmente dall’art.1 commi 56-65 della legge 662/1996. Qualora l’orario prescelto sia più della metà di quello normale si applicano le stesse norme di incompatibilità del personale a tempo pieno. Qualora l’orario sia inferiore alla metà, è consentito svolgere una altra attività dipendente, o una attività di lavoro autonomo. È possibile espletare incarichi professionali per altre pubbliche amministrazioni, ma non nell’ambito territoriale dell’ufficio di appartenenza (legge 109/1994, art.18).
compie atti professionali in assenza di iscrizione all’Ordine è soggetto a essere perseguito per esercizio abusivo. La sola eccezione è prevista dalla legge 1086/1971 sulle opere strutturali, che esenta dall’iscrizione gli architetti e gli ingegneri dello Stato. Tuttavia tenuto conto delle obiezioni di fondo che sono state sollevate in passato sulla iscrivibilità all’Ordine dei dipendenti pubblici e che tuttora sono valide per molte altre professioni anche tecniche come i geometri e i periti industriali, non vi è dubbio che la questione potrà essere risolta per tutte le pubbliche amministrazioni soltanto con una legge che stabilisca l’obbligo non tanto in negativo, come sembra evincersi dalla legge 897/1938, ma piuttosto in positivo con una esplicita asserzione. In effetti esiste un orientamento legislativo teso a rendere obbligatoria l’iscrizione all’Ordine in tutto il pubblico impiego, come si evince dal DLgs 129/1992 art.73 c.2. Tale tendenza è però contrastata dall’art.17 legge 109/1994-415/1998, che, mentre originariamente richiedeva l’iscrizione all’Albo professionale per i progettisti funzionari degli uffici tecnici e poneva l’onere della iscrizione a carico della Amministrazione, nel testo modificato prevede semplicemente il possesso dell’abilitazione all’esercizio della professione. Norme esplicite sull’obbligo di iscrizione sono già state emanate per quasi tutti i settori del pubblico impiego, a cominciare dal settore del parastato con la legge 70/1975 e a finire con gli impiegati dei Ministeri per i quali l’obbligo di iscrizione è imposto dal DPR 1219/1984. L’obbligo di iscrizione non è stato ancora esplicitamente normato, nei seguenti comparti: • aziende e amministrazioni statali a ordinamento autonomo, come l’azienda telefoni e l’ANAS che fanno capo rispettivamente al Ministero delle Poste e al Ministero dei Lavori Pubblici, il cui personale non è considerato equiparabile al personale dei Ministeri e pertanto non è soggetto all’obbligo di iscrizione stabilito dal DPR 1219/1984; • enti locali, cioè Comuni, Province, Regioni, IACP ecc. per i quali solo ai fini della corresponsione di una indennità fissa è richiesta (DPR 268/1987) l’iscrizione all’Ordine. Le norme già in vigore da tempo per il parastato e per i Ministeri attribuiscono l’obbligo di iscrizione a tutto il personale con qualifica di architetto e di ingegnere, senza limitarlo a coloro che svolgono atti professionali, tant’è che la partecipazione ai concorsi per coprire posti vacanti in organico è condizionata alla già conseguita iscrizione all’Ordine. Da ciò deriva anche che l’appartenenza all’Ordine costituisce uno dei caratteri fondamentali del rapporto di lavoro, per cui la perdita dell’iscrizione per dimissioni o per cancellazione può determinare la perdita del posto di lavoro. Da ultimo occorre citare la sentenza 527 del 23 maggio 1997 del Consiglio di Stato, quinta Sezione, che, ignorando tutto il processo normativo sopra indicato riguardante architetti e ingegneri, ha affermato che l’iscrizione all’Albo professionale di un progettista pubblico funzio-
nario sarebbe in contrasto con tutta la legislazione sulle libere professioni e sul pubblico impiego. Tale sentenza probabilmente ha influenzato la decisione di cambiare il testo dell’art.17 della legge 109/1994 cancellando il requisito dell’iscrizione all’Ordine.
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INCOMPATIBILITÀ ALL’ESERCIZIO DELLA LIBERA PROFESSIONE Il codice civile all’art.2105, stabilisce che “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, ...”. Nel settore privato non esistono pertanto impedimenti di legge che in linea di principio vietano l’esercizio della libera professione. Tuttavia generalmente nei contratti sono previste clausole che limitano o vietano lo svolgimento di altre attività di lavoro. Nel pubblico impiego invece esiste un principio generale di incompatibilità con l’esercizio professionale, stabilito dall’art.60 dello statuto degli impiegati dello Stato (DPR 3/1957) “l’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fini di lucro”. Il DLgs 29/1993, con l’art.58, estende la suddetta norma di incompatibilità a tutto il pubblico impiego. Tuttavia mantiene ferme le disposizioni, contenute in numerose leggi speciali, che consentono a particolari categorie (insegnanti medi, insegnanti universitari ecc.) l’esercizio della libera professione anche in presenza del rapporto di dipendenza. Lo stesso art.58 regola il conferimento di incarichi “extra officio” ai funzionari, affidati sia dall’esterno (enti, società, privati), sia dalla stessa amministrazione di appartenenza, con retribuzione extra stipendio. Condizioni perché gli incarichi siano consentiti sono: • l’attività da svolgere non deve essere compresa nei normali compiti d’ufficio; • il conferimento dell’incarico deve essere previsto o disciplinato da leggi o regolamenti; • l’incarico deve essere espressamente autorizzato. Inoltre l’incarico conferito o autorizzato deve essere svolto fuori dall’orario e dalla sede di lavoro, in ossequio alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, ma anche in considerazione che lo stesso art.58 vieta gli incarichi incompatibili con il buon andamento della Pubblica Amministrazione. Le fattispecie ammesse sono: • che l’incarico sia conferito dalla amministrazione a un proprio dipendente; • che la amministrazione autorizzi il proprio dipendente a eseguire incarichi proposti da una altra Pubblica Amministrazione ovvero da società private o da persone fisiche che svolgono attività di impresa o commerciale. Risultano implicitamente esclusi e quindi non autorizzabili gli incarichi conferiti da un soggetto privato in senso stretto.
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elementari, a prismi, a scatole. Oggi il computer consente una pluralità di vedute attraverso gli ambienti da
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ESERCIZIO PROFESSIONALE INCOMPATIBILITÀ
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PRESTAZIONE
➦ INCOMPATIBILITÀ PER I PROFESSIONISTI DIPENDENTI ➦ INCOMPATIBILITÀ ALL’ESERCIZIO DELLA LIBERA PROFESSIONE In ogni caso l’amministrazione, nel conferire l’incarico o nel rilasciare l’autorizzazione, deve avvalersi di “criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell’interesse del buon andamento della Pubblica Amministrazione”. La fissazione di tali criteri deve essere decisa autonomamente da ciascuna singola amministrazione. La normativa sulle incompatibilità del DLgs 29/1993 prevale su tutte le precedenti leggi che regolavano la materia e sulle disposizioni regolamentari dei singoli enti. Essa copre enti che avevano proprie normative come le Forze Armate per le quali il divieto all’esercizio professionale è imposto dalle leggi 113/1954 per gli ufficiali e 599/1954 per i sottufficiali, come gli enti pubblici di cui alla legge 70/1975 che con l’art.8 rende applicabile il già citato statuto degli impiegati dello Stato, come i Comuni e le Province che non avevano normativa di legge sull’incompatibilità a seguito della abrogazione del relativo articolo della legge 241/1949, come gli IACP, le Regioni, le Unità sanitarie locali che fanno riferimento allo statuto degli impiegati dello Stato. Si intende che le norme previgenti al DLgs 29/1993, contenute nei regolamenti interni degli enti o nei DPR dei contratti per i vari comparti del pubblico impiego (per gli enti di cui alla legge 70/1975 l’art.20 del DPR 509/1979), sono ancora applicabili se non sono in contrasto con l’art.58 del 29/1993.
PARERE DELL’AUTORITÀ DEI LAVORI PUBBLICI L’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici ha emanato un provvedimento in merito alle incompatibilità dei dipendenti pubblici, che è stato pubblicato sulla GU del 15 novembre 1999, sotto il titolo: “Regolazione degli incarichi di progettazione e direzione lavori ex art.17 legge 11 febbraio 1994 n.109”. Se ne fornisce una sintesi. PROGETTAZIONE INTERNA In merito alla prestazione professionale dei dipendenti dell’amministrazione, viene affermato che essa costituisce una attività professionalmente qualificata, ma non di libera professione. La prestazione viene resa “ratione offici” e non “intuitu personae” come per i liberi professionisti e si risolve “in una modalità di svolgimento del rapporto di pubblico impiego” (Cass.Civ.Sez.Un. 2 aprile 1998 n.3386). Il che significa che la prestazione è retribuita secondo il contratto di lavoro, che include l’incentivazione di cui all’art.18 della legge 109/1994, aumentata dall’1% all’1,5% dell’importo a base di gara dalla legge 144 del 17 maggio 1999. La stessa norma stabilisce che, nel caso di progettazione di strumenti urbanistici di qualsiasi tipo, l’incentivazione è commisurata al 30% della tariffa professionale. Contestualmente sono stati abrogati i commi 4 e 5 dell’art.62 del RD 2537/1925 che stabilivano l’applicazione della parcella professionale, ridotta, nel caso di incarichi professionali affidati da amministrazioni a propri dipendenti. AFFIDAMENTO ESTERNO A DIPENDENTE A TEMPO PIENO La materia è regolata dall’art.58 del DLgs 29/1993, in base al quale le pubbliche amministrazioni non possono conferire a dipendenti incarichi che non siano espressamente previsti da legge “o che non siano espressamente autorizzati”. La disgiunzione “o” sembra consentire l’affidare incarichi anche se non previsti da legge, purché siano autorizzati, ma resta il fatto che comunque deve trattarsi di incarichi saltuari. Tuttavia, ai sensi dell’art.17 legge 109/1994, la progettazione esterna può essere affidata solo a soggetti che esercitano professionalmente e che non possono identificarsi, tranne espresse eccezioni normative come quelle relative al tempo definito, con coloro che hanno la qualità di pubblico dipendente. Pertanto si può dedurre che le autorizzazioni occasionali possono riguardare solo incarichi da privati.
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E, aggiungiamo noi, l’incarico può essere espletato solo se il dipendente è iscritto all’Ordine, pena il configurarsi di esercizio abusivo, e sono rispettate le norme etiche, come detto per i dipendenti a part time.
DIPENDENTI A TEMPO PARZIALE Le incompatibilità dei professionisti pubblici dipendenti a tempo parziale sono regolati dall’art.1 commi 56-65 della legge 662/1996. Qualora l’orario prescelto sia meno della metà di quello normale si applicano le stesse norme di incompatibilità del personale a tempo pieno. Qualora l’orario sia inferiore alla metà, è consentito svolgere una altra attività dipendente (ma non per un altro ente pubblico) o autonoma, purché non sia in conflitto con gli interessi dell’amministrazione. Il Dipartimento della Funzione Pubblica ha emesso due circolari esplicative: in base alla prima, n.3 del 19 febbraio 1997, nei Comuni con meno di cinque dipendenti non è autorizzabile il regime a tempo parziale; in base alla seconda, n.6 del 18 luglio 1997, una Pubblica Amministrazione non può conferire un incarico professionale a un pubblico dipendente a part-time a meno che all’affidamento si pervenga attraverso una procedura concorsuale di scelta. In base all’art.17 legge 109/1994, un dipendente a tempo parziale non può espletare, nell’ambito territoriale dell’ufficio di appartenenza, incarichi professionali per pubbliche amministrazioni, se non conseguenti al rapporto di pubblico impiego. I dipendenti pubblici a part-time esercitano la libera professione, perciò possono ricevere incarichi di libera professione da privati senza particolari limiti. In merito occorre tuttavia rilevare che le norme deontologiche vietano l’espletamento di incarichi in condizioni di controllore-controllato: tipico il caso del funzionario comunale a part-time, che non deve accettare incarichi da privati nel territorio del Comune dal quale dipende. Inoltre l’Autorità sui lavori pubblici, nel parere sotto riportato, ha stabilito che possono essere affidati incarichi soggetti a gara o a concorso, come quelli al di sopra di 40.000 euro, mentre sono vietati incarichi affidati fiduciariamente, cioè senza gara, come quelli al disotto dei 40.000 euro. Tali principi sono stati ribaditi dalla Corte costituzionale con sentenza 4-11 giugno 2001 n.189.
DOCENTI UNIVERSITARI I professori universitari ordinari, straordinari e associati che hanno optato per il tempo definito, in base all’art.11 del DPR 382/1980, possono svolgere pienamente l’esercizio della professione, ma è loro inibito l’esercizio del commercio e dell’industria. Invece i professori che hanno scelto il tempo pieno, in base alla stessa norma, non possono svolgere alcuna attività professionale e di consulenza con l’eccezione solo delle perizie giudiziarie. Tuttavia successivamente la legge 118/1989 ha stabilito che il regime a tempo pieno non è incompatibile con le “attività, comunque svolte per conto di amministrazioni dello Stato, enti pubblici e organismi a prevalente partecipazione statale purché prestate in quanto esperti nel proprio campo disciplinare e compatibilmente con l’assolvimento dei propri compiti istituzionali”. Secondo una prima interpretazione, la norma consente lo svolgimento di singole prestazioni professionali per enti pubblici (ma non di esercizio professionale), a condizione di due limitazioni, che devono essere esaminate dall’organo accademico che deve rilasciare l’autorizzazione ad accettare l’incarico, ai sensi dell’art.58 del DLgs 29/1993, come precisato dal Ministero dell’Università con nota del 12 aprile 1995. Tuttavia il Consiglio di Stato, seconda sezione, con i tre pareri n.1074/1990, n.408/1992 e n.1010/1994 ha ritenuto che è esclusa ogni prestazione professionale. Di conseguenza la autorizzazione di cui alla nota del Ministero dell’Università non è legittima. L’Autorità per i lavori pubblici si è espressa sulla stessa linea del Consiglio di Stato. Occorre anche tenere conto che i docenti a tempo pieno non sono iscritti all’Albo, ma a un elenco speciale, e pertanto non possiedono il requisito per svolgere attività professionale. Inoltre, a differenza dai funzionari pubblici che possono essere iscritti all’Albo, i docenti universitari a tempo pieno non possono neanche svolgere occasionali prestazioni per privati.
RICERCATORI E ASSISTENTI DEL RUOLO A ESAURIMENTO La legge 158/1987 introduce il diritto di opzione tra tempo pieno e tempo definito, ma non prevede alcuna incompatibilità all’esercizio della professione né la collocazione in un elenco speciale per coloro che optano per il tempo pieno. Ciò nonostante il Ministero di grazia e giustizia ha espresso il parere che i ricercatori a tempo pieno debbano essere inseriti nell’elenco speciale previsto per i professori a tempo pieno, in base a una interpretazione estensiva dell’art.11 della legge 382/1980, e sottoposti allo stesso regime di incompatibilità. Per i ricercatori non confermati la stessa legge all’art.1, comma 3, stabilisce il divieto di svolgere attività libero-professionali esterne alla struttura di appartenenza. Logica conseguenza dovrebbe essere il loro inserimento nell’elenco speciale per gli stessi motivi di analogia considerati validi per i ricercatori a tempo pieno.
DOCENTI DELLA SCUOLA STATALE I docenti delle scuole dello Stato materna, elementare, secondaria e artistica sono regolati dall’art.92, comma 6, del DPR 417/1974, che consente il libero esercizio della professione, previa autorizzazione del preside o del direttore didattico. Il permesso viene rilasciato a condizione che non vi sia pregiudizio per l’assolvimento delle funzioni di docente e sia compatibile con l’orario di insegnamento e di servizio. L’autorizzazione non è limitata nel tempo, ma essendo vincolata al rispetto dell’orario, dovrebbe essere riconfermata ogni qualvolta vi siano cambiamenti significativi nell’orario delle lezioni. Il personale direttivo e ispettivo delle scuole di cui si tratta, tra il quale sono compresi i presidi, è escluso dal regime dell’autorizzazione, applicandosi l’art.92, comma 1, che vieta l’attività libero-professionale.
PENSIONATI Diverso è il caso di coloro che, avendo chiuso il rapporto di dipendenza, fruiscono di una pensione e sono iscritti all’Ordine; essi non sono dipendenti, ma normali liberi professionisti. Tuttavia per coloro che vanno in pensione in anticipo, le norme tendono a limitare le possibilità di lavoro. Da molti anni esiste la totale non cumulabilità della pensione anticipata con il reddito di lavoro dipendente, ma non vi sono impedimenti allo svolgimento di lavoro autonomo, salvo per i casi particolari indicati di seguito. Tuttavia l’art.11 della legge 537/1993, facendo seguito all’art.10 del DLgs 503/1992, ha stabilito che coloro che vanno in pensione anticipata dal 1° gennaio 1995, e quindi con esclusione di quelli andati in pensione precedentemente, nel caso esercitino un lavoro autonomo devono subire una decurtazione della pensione fino al momento del raggiungimento del limite di età pensionabile. La norma si applica sia ai pensionati pubblici che a quelli privati. Fattispecie particolare è quella dei pensionati che hanno fruito dei benefici previsti per gli ex combattenti; essi in base alla legge 355/1974, non possono “avere incarichi... alle dipendenze dello Stato, degli altri enti pubblici...”. Tale norma impedisce di assumere incarichi di prestazione continuativa anche di tipo professionale, di lavoro autonomo; tuttavia, secondo una sentenza della sesta sezione del Consiglio di Stato (707/1983) il divieto riguarda qualsiasi prestazione di lavoro autonomo e quindi anche gli incarichi di libera professione. Altra incompatibilità per i pensionati è stabilita dalla legge 70/1975 art.6, che vieta agli enti rientranti nella stessa legge di affidare incarichi professionali agli ex dipendenti statali che siano pensionati ai sensi del DPR 748/1972 e ai dirigenti di enti pubblici collocati a riposo. Tuttavia per questi ultimi va precisato che il divieto non riguarda gli architetti e ingegneri del ruolo professionale, visto che non hanno la qualifica di dirigente. La legge 388/2000, finanziaria per il 2001, all’art.72 sul cumulo tra pensione e redditi da lavoro, stabilisce che le pensioni di vecchiaia con anzianità contributiva di oltre 40 anni, anche se liquidate prima della legge stessa, sono interamente cumulabili con i redditi di lavoro sia autonomo che dipendente. Dal 1° gennaio 2001, le pensioni di anzianità per la parte eccedente il trattamento minimo del fondo pensioni, sono cumulabili con i redditi di lavoro autonomo nella misura del 70%. Per le pensioni rilasciate prima del 1° gennaio 2001 si applica la disciplina previgente se più favorevole.
costruire. Il problema di fondo, però, resta lo stesso. Le cavità entro le quali gli uomini vivono devono essere
ESERCIZIO PROFESSIONALE • PRESTAZIONE USO DEL TITOLO – ESERCIZIO ABUSIVO
C.1. 4./5.
5
A.ZIONI
USO DEL TITOLO PROFESSIONALE “Il titolo di ingegnere e quello di architetto spettano esclusivamente a coloro che hanno conseguito i relativi diplomi degli istituti di istruzione superiore autorizzati per legge a conferirli”. Così stabilisce l’art.1 della legge 1395/1923, istitutiva delle professioni di architetto e di ingegnere. Il regolamento della professione, RD 2537/1925, impone il possesso dell’abilitazione all’esercizio della professione come requisito necessario all’iscrizione nell’Albo tenuto dall’Ordine. Tra i compiti del Consiglio dell’Ordine vi è quello di reprimere l’uso abusivo del titolo di architetto (o di ingegnere) tramite presentazione di denuncia all’autorità giudiziaria. L’applicazione letterale della norma può indurre a ritenere che sola condizione per l’uso del titolo di architetto o di ingegnere sia il possesso della laurea corrispondente. Tuttavia occorre considerare che il codice penale art.498 descrive il delitto di usurpazione di titolo come l’uso abusivo del titolo di una professione per la quale è richiesta una speciale
abilitazione dello Stato. Protegge cioè il titolo solo in quanto attraverso esso è consentito esercitare una professione. Ma ciò è possibile per un architetto o ingegnere solo se è iscritto nell’Albo. Si può dedurre che il titolo di architetto o ingegnere può essere usato solo da chi è iscritto all’Albo. Conseguentemente il laureato in architettura o ingegneria che non sia iscritto all’Albo ha diritto al titolo accademico di dottore in architettura o ingegneria che gli consente di operare nel campo teorico delle dottrine e della scienza, ma non di esercitare la professione. L’uso indebito e l’usurpazione di titolo accademico o professionale sono puniti rispettivamente con ammenda e con multa. Il conferimento di titoli accademici, professionali e simili è regolato dalla legge 262/1958, che vieta a privati, enti, istituti, di conferire titoli se non sulla base di apposite leggi. I trasgressori sono puniti con la reclusione da 3 mesi a 1 anno e con pene pecuniarie.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
ESERCIZIO ABUSIVO DELLA PROFESSIONE Il reato penale di esercizio abusivo della professione (art.348 c.p.) si verifica quando qualcuno, senza averne titolo, svolge mansioni che la legge assegna a coloro che hanno conseguito una speciale abilitazione dello Stato. È prevista la pena di 6 mesi di reclusione o una multa. La norma tutela l’interesse generale al corretto funzionamento di alcune professioni di particolare rilevanza sociale, come quelle di architetto e di ingegnere, e intende salvaguardare la collettività da pericoli di attività professionali incontrollate. In tale ottica il possesso della laurea e l’aver superato l’esame per l’abilitazione all’eser-
cizio della professione non sono sufficienti per svolgere attività professionale, senza che si configuri il reato di esercizio abusivo. Infatti la condizione essenziale per il legittimo operare è l’iscrizione all’Albo tenuto dall’Ordine. Pertanto, nel campo dell’edilizia, esercita abusivamente chi opera senza essere iscritto all’Albo, ovvero chi, pur essendovi iscritto, risulta sospeso dall’esercizio per motivi disciplinari o per altre ragioni. Può anche essere imputato di esercizio abusivo un professionista che, pur essendo iscritto all’Albo, svolga mansioni riservate a un’altra professione.
CONSEGUENZE DELL’ESERCIZIO ABUSIVO • sul piano penale la reclusione fino a 6 mesi o una multa; • sul piano amministrativo l’annullamento degli atti di conferimento dell’incarico professionale, nonché dei provvedimenti amministrativi di concessione o autorizzazione inerenti le opere progettate dall’esercente abusivo; • sul piano civile l’insussistenza del titolo che dà diritto al compenso professionale.
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
COMPITI E RESPONSABILITÀ C.1. AZIONE PREST
RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA La responsabilità amministrativa per un professionista riguarda la inosservanza di norme che stabiliscono obblighi del professionista nei confronti della Pubblica Amministrazione. Nel campo delle professioni tecniche, tipica è la inosservanza delle norme edilizie che, essendo punite con sanzioni amministrative, qualificano come amministrativa
C.2. AMENTO ORDIN
la responsabilità, più con riferimento al tipo di sanzione che non al fatto che il professionista (Direttore dei lavori o progettista) sia pubblico funzionario ovvero libero professionista. Altra fattispecie tipica della responsabilità amministrativa è quella relativa al funzionario pubblico che commette illeciti in occasione dell’esercizio delle sue funzioni,
illeciti che producono anche responsabilità della amministrazione di appartenenza nei confronti di terzi che hanno subito un danno. Essa può riguardare architetti, ingegneri, geometri dipendenti di uffici tecnici pubblici, che svolgano attività di progettazione, direzione lavori, istruttoria progetti, procedure di esproprio ecc.
RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE Il professionista iscritto all’Ordine deve rispettare non solo la legge, così come ogni cittadino, ma anche regole particolari che riguardano una professione intellettuale riconosciuta dallo Stato. Queste regole sono di carattere extra-giuridico in quanto sono fissate dalla categoria, cioè dagli Ordini e dal Consiglio Nazionale, e hanno un contenuto essenzialmente etico. Il professionista è soggetto alle sanzioni che possono essere comminate dal Consiglio dell’Ordine di appartenenza, qualora trasgredisca a determinate regole di com-
portamento fissate dalla legge o dal codice deontologico del quale l’Ordine si è dotato. Il codice deontologico costituisce il regolamento interno di ciascun Ordine. Gli architetti hanno un codice deontologico nazionale che è stato adottato da quasi tutti gli Ordini provinciali. Anche gli ingegneri hanno un codice deontologico nazionale, in uso presso gli Ordini, che è diverso da quello degli architetti ma riferito agli stessi principi. Il Consiglio può infliggere le seguenti pene disciplinari: • avvertimento;
• censura; • sospensione dall’esercizio professionale fino a 6 mesi (2 anni per trasgressioni all’art.6 della legge 47/1985); • cancellazione dall’Albo.
citamente previsto come reato dalla legge e se le pene specificamente previste dalla legge. Elementi fondamentali per l’accertamento della colpevolezza sono: • il verificarsi di un fatto previsto dalla legge come reato; • la individuazione del soggetto che lo ha determinato; • la prova che il fatto sia stato commesso con dolo o colpa. Nel caso degli infortuni sul lavoro, la giurisprudenza ha affermato che “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Ciò può avere rilievo per l’attività del direttore del cantiere
e del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori e, in casi particolari come i lavori in economia, per l’attività del Direttore dei lavori. Nel caso di un professionista tecnico esiste il concetto di colpa professionale per la quale la Cassazione ha stabilito che “l’indagine sulla colpa non può essere effettuata con riferimento al criterio della prevedibilità dell’uomo medio comune, ma va operata sulla base di cognizioni tecnicoscientifiche rapportate al medio grado di cultura e di professionalità che bisogna presumere nelle persone chiamate a disimpegnare quelle funzioni”.
L’iscritto oggetto di un provvedimento disciplinare dell’Ordine può fare ricorso al Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, (o degli Ingegneri). Avverso la sentenza del Consiglio Nazionale è ammesso il ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione.
C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
RESPONSABILITÀ PENALE Il diritto penale ha il fine di impedire il verificarsi di fatti gravemente contrastanti con la civile convivenza, pertanto la punizione normalmente prevista è la più grave, cioè la perdita della libertà, tramite arresto o reclusione, anche se in taluni casi è prevista la multa o l’ammenda. La responsabilità penale: • può derivare solo dall’aver commesso un fatto; • è strettamente personale, quindi non può derivare da un fatto commesso da un altro, (cosa invece possibile nel diritto civile); • può comportare la punizione solo se il fatto è espli-
inventate, plasmate, manipolate con fantasia. Altrimenti si rappresenta il nulla geometrizzato.
. À C.1.3 PATIBILIT M INCO . – C.1.4EL TITOLO O IV D USO IZIO ABUS ESER.C C.1.5ITI E COMP N5S.ABILITÀ 1. RESCP.O ITI E COMP NSABILITÀ O P S E R
C9
C.1. 5.
ESERCIZIO PROFESSIONALE COMPITI E RESPONSABILITÀ
•
PRESTAZIONE
RESPONSABILITÀ CIVILE In linea generale, prescindendo dal caso particolare della prestazione professionale, chi, commettendo un fatto doloso o colposo, cagiona un danno ad altri, deve risarcire il danno. La responsabilità civile è quella situazione di vincolo in cui viene a trovarsi il patrimonio di una persona che ha violato un obbligo giuridico, cagionando un danno ad altri. Il rischio cui è soggetto il patrimonio può essere coperto da garanzia assicurativa. Anche nel caso del professionista che si impegna a dare una prestazione a un cliente, il mancato adempimento può generare un danno per il quale il committente può far valere il diritto al risarcimento. Tuttavia in tale caso, trattandosi di attività di professione intellettuale, la responsabilità è spesso attenuata nel senso che il professionista ha obbligazione “di mezzi” e non “di risultato” (art.2236 c.c.). Egli cioè è responsabile solo per omesso o negligente svolgimento della sua attività e non anche per mancato raggiungimento del risultato finale. Su questo punto, peraltro, la dottrina e la giurisprudenza non sono pervenute a un risultato definitivo, visto che per il committente il raggiungimento del risultato costituisce normalmente l’obiettivo del contratto. Secondo una ampia giurisprudenza, nel caso del Direttore dei lavori, eventuali difetti riscontrati nell’opera possono essere a lui addebitati solo se causati da insufficiente sorveglianza. Tale responsabilità è però esclusa se la mancata sorveglianza riguarda operazioni elementari – per le quali l’onere ricade sull’assistente ai lavori o su altra figura avente obbligo di presenza in cantiere in rappresentanza del committente – ovvero se la prestazione riguarda problemi di speciale difficoltà tecnica. In tale ultimo caso il professionista risponde dei danni solo in caso di dolo o di colpa grave. Costituisce colpa grave non aver consultato uno specialista, a meno che si tratti di difficoltà occulta, ovvero che non sia possibile ricorrere allo specialista per ragioni obiettive. Analogamente è configurata la responsabilità in altre professioni: l’avvocato non può ga-
rantire al cliente di vincere la causa, né il medico può garantire al paziente la guarigione. Diverso è invece l’impegno dell’imprenditore, che ha obbligazione di risultato, cioè risponde di eventuali difetti dell’oggetto del contratto, a prescindere dall’impegno e dalla capacità messa in atto nel corso della realizzazione dell’opera. Ma questa minore responsabilità del Direttore dei lavori non deve essere fraintesa con la mancanza di responsabilità. Infatti ogni mancato raggiungimento del risultato costituisce un inadempimento del contratto che il professionista ha stabilito con il cliente; è vero che non è detto che il risultato negativo sia automaticamente addebitabile al professionista. Tuttavia la situazione, creatasi facilmente, determina un contenzioso nel corso del quale il professionista per sottrarsi alla responsabilità deve fornire la prova della diligenza impiegata e della ricorrenza di una causa a lui non imputabile. Nel caso della progettazione una ampia giurisprudenza sostiene esservi obbligazione di risultato, pur trattandosi di prestazione professionale. Infatti la redazione del progetto si traduce nella fornitura al cliente di un prodotto materiale, del quale è verificabile la validità, mentre la direzione lavori costituisce una consulenza nella quale il risultato dipende dal progetto e per la quale il professionista risponde non del risultato, ma dell’avere o meno impiegato nella prestazione tutte le cognizioni che ci si può attendere da un soggetto dotato di un medio grado di cultura e professionalità. Nel campo dei lavori pubblici, l’art.25 della legge 109/1994 stabilisce la responsabilità del progettista per i danni causati da errori od omissioni nel progetto esecutivo che pregiudicano la realizzazione dell’opera ovvero la sua utilizzazione. La stessa legge impone l’obbligo di assicurazione per la copertura della responsabilità civile dell’incaricato del progetto esecutivo. L’obbligo riguarda il progettista, sia funzionario che libero professionista.
DIRETTORE DEI LAVORI NORMATIVA GENERALE RIFERITA A LAVORI SIA PRIVATI CHE PUBBLICI Tariffa professionale, legge 143/1949 L’architetto o ingegnere Direttore dei lavori svolge la direzione e alta sorveglianza dei lavori con visite periodiche nel numero necessario a proprio esclusivo giudizio, emanando le disposizioni e gli ordini per l’attuazione dell’opera progettata nelle sue varie fasi esecutive e sorvegliandone la buona riuscita (art.19). La tutela della fedele esecuzione artistica o tecnica dei progetti approvati dal committente e il loro sviluppo nella esecuzione, spetta esclusivamente al progettista (art.11). Legge 1086/1971 Per le opere in cemento armato, precompresso e a struttura metallica, è necessaria la presenza del Direttore dei lavori (art.2). Il Direttore dei lavori ha i seguenti compiti e responsabilità: • controllo della rispondenza delle opere al progetto e della qualità dei materiali (art.4 b); • firma della relazione sui materiali da consegnare al Genio civile prima dell’inizio dei lavori; tale adempimento non è previsto in caso di lavori per conto dello Stato o di Regioni, Province, Comuni, aventi ufficio tecnico condotto da un ingegnere (art.4); • documenti di cantiere (art.5) Nei cantieri, dal giorno di inizio delle opere a quello di ultimazione dei lavori, devono essere conservati gli atti indicati nell’art.4, datati e firmati anche dal costruttore e dal Direttore dei lavori, nonché un apposito giornale dei lavori. Della conservazione e regolare tenuta di tali documenti è responsabile il Direttore dei lavori. Il Direttore dei lavori è anche tenuto a vistare periodicamente, e in particolare nelle fasi più importanti dell’esecuzione, il giornale dei lavori. • relazione a struttura ultimata (art.6) A struttura ultimata il Direttore dei lavori depositerà al Genio civile una relazione, in duplice copia, sull’adempimento degli obblighi di cui all’art.4, esponendo: a) i certificati delle prove sui materiali impiegati emessi da laboratori di cui all’art.20; b) per le opere in conglomerato armato precompresso, ogni indicazione inerente alla tesatura dei cavi e ai sistemi di messa in coazione; c) l’esito delle eventuali prove di carico, allegando le copie dei relativi verbali firmate per copia conforme. Delle due copie della relazione, una sarà conservata agli atti del Genio civile e l’altra, con l’attestazione dell’avvenuto deposito, sarà restituita al Direttore dei lavori che provvederà a consegnarla al collaudatore unitamente agli atti indicati nell’art.4 comma 4. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle opere costruite per conto dello Stato e degli altri enti di all’ultimo comma dell’art.4. L’inottemperanza alle disposizioni degli articoli 5 e 6 è punita con ammenda (art.15). Incombenze alla ultimazione di lavori privati • Per lavori non ultimati entro 3 anni occorre chiedere al Comune la proroga del permesso di costruire DPR 380/2001 art.15. • Nel caso di D.I.A. è richiesto un certificato di collaudo finale che attesti la conformità dell’opera al progetto DPR 380/2001 art.23. • Entro 60 giorni dalla ultimazione delle strutture, il Direttore lavori consegna allo sportello unico una relazione sulle opere strutturali, con i risultati delle prove sui materiali. • Il Direttore lavori comunica la ultimazione delle strutture al collaudatore che entro 60 giorni deve collaudare.
C 10
• Agibilità DPR 425/1994 Il Direttore lavori certifica la conformità al progetto, la prosciugatura dei muri, la salubrità degli ambienti. • Catasto DPR 425/1994 Il Direttore lavori deve presentare al Comune la dichiarazione per l’iscrizione al catasto entro 30 giorni dalla installazione degli infissi. • Impianti tecnologici Al termine della installazione l’impresa rilascia al committente la dichiarazione di conformità DPR 380/2001 art.113. Per alcuni impianti la legge richiede il certificato di collaudo. • Consumi energetici Al termine dei lavori il Direttore lavori certifica la conformità delle opere eseguite al progetto e alle norme. Norme urbanistico-edilizie La legge 47/1985, con l’art.6 definisce la responsabilità amministrativa e penale del Direttore dei lavori in relazione al rispetto delle prescrizioni della concessione edilizia; ne consegue anche responsabilità civile verso il committente e verso i terzi (per altre informazioni vedere il paragrafo “Responsabilità del Direttore dei lavori e del progettista negli abusi edilizi”). Barriere architettoniche La legge 104/1992, art.24 c.7 stabilisce la diretta responsabilità di progettista, Direttore dei lavori, responsabile per gli accertamenti e collaudatore in caso di disapplicazione delle norme tale da rendere le opere non utilizzabili da parte di persone handicappate. Essi sono puniti con l’ammenda da 40 a 50 milioni di lire (da € 20.658,28 a € 25.822,84) e con la sospensione dall’Albo professionale per un periodo da 1 a 6 mesi. Abitabilità e accatastamento Il DPR 425/1994 impone al Direttore dei lavori di: • comunicare al Comune, al Genio civile, al collaudatore che la struttura è stata completata (art.2); • presentare dichiarazione per l’iscrizione in catasto dell’immobile appena ultimato e comunque entro 60 giorni dalla installazione degli infissi (art.3); • certificare, ai fini dell’abitabilità, la conformità al progetto e la salubrità degli ambienti (art.4). Normativa specifica dei lavori pubblici Valgono le disposizioni della legge 109/1994 e del regolamento dei lavori pubblici DPR 554/1999. L’argomento è trattato diffusamente al paragrafo C.6. Nel campo delle norme antimafia la legge 646/1982 all’art.22 stabilisce che l’eventuale custodia del cantiere deve essere affidata a persone provviste della qualifica di guardia particolare giurata. In caso di inosservanza, l’appaltatore e il Direttore dei lavori sono puniti con l’arresto fino a 3 mesi o con l’ammenda da lire 100.000 a 1.000.000 (da € 61,65 a € 516,46). Il DLgs 494/1996 e l’art.31 della legge 109/1994 escludono la responsabilità diretta del Direttore lavori nel campo della sicurezza dei lavoratori nel cantiere, in quanto affidano i relativi compiti al coordinatore per l’esecuzione dei lavori e al direttore di cantiere, che devono vigilare sulla osservanza dei piani di sicurezza e coordinamento.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • PRESTAZIONE COMPITI E RESPONSABILITÀ
A.ZIONI
COORDINATORI PER LA PROGETTAZIONE E PER L’ESECUZIONE DEI LAVORI Ai sensi dell’art.3 del DLgs 494/1996, sulla sicurezza dei lavoratori nei cantieri temporanei e mobili, il Coordinatore per la progettazione ai fini della sicurezza deve essere nominato dal committente dell’opera contestualmente all’affidamento dell’incarico della progettazione, qualora nel cantiere siano previste più imprese anche in momenti diversi, nei seguenti casi: • entità presunta dei lavori da 200 uomini-giorno in su; • lavori che comportino rischi particolari di cui all’allegato II.
• • • • • • •
Compito del Coordinatore per la progettazione è di redigere, prima della richiesta di presentazione delle offerte per l’appalto: • il piano di sicurezza e di coordinamento; • un fascicolo ai fini dei lavori successivi alla esecuzione dell’opera.
• •
Il Coordinatore per l’esecuzione dei lavori deve essere nominato dal committente dell’opera prima di affidare i lavori di costruzione. Egli: • assicura l’applicazione del piano di sicurezza;
•
verifica l’idoneità del piano operativo e la coerenza col piano di sicurezza; adegua il piano di sicurezza e il fascicolo all’evoluzione dei lavori; valuta le proposte delle imprese per migliorare la sicurezza; verifica che le imprese adeguino i piani operativi; organizza il coordinamento tra le imprese e la reciproca informazione; verifica gli accordi tra le parti sociali per realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza; contesta alle imprese le inosservanze al piano di sicurezza e agli artt.7, 8, 9 DLgs 494/1996 e propone al committente la sospensione dei lavori, l’allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi o la risoluzione del contratto; in caso di mancati provvedimenti del committente, ne dà comunicazione alla ASL e alla Direzione provinciale del lavoro; sospende le singole lavorazioni, in caso di pericolo grave e imminente direttamente riscontrato, fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti; redige il piano di sicurezza e il fascicolo nel caso che i lavori, iniziati con una impresa, vengano proseguiti da più imprese.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
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CO NTALE AMBIE
COLLAUDATORI
F. TERIALI,
NORMATIVA GENERALE, RIFERITA A LAVORI SIA PRIVATI CHE PUBBLICI Collaudo di lavori e forniture Comprende l’esame, le verifiche e le prove necessarie ad accertare la rispondenza tecnica delle opere e forniture eseguite alle prescrizioni di progetto e di contratto, i riscontri di misure e di applicazione di prezzi, l’esame di eventuali riserve e relativo parere e, infine, il rilascio del certificato di collaudo (legge 143/1949, art.19-a).
C.1. 5.
Collaudo statico Deve essere eseguito da un ingegnere o architetto iscritto all’Albo da almeno 10 anni, che non sia intervenuto in alcun modo nella progettazione, direzione ed esecuzione dell’opera. Il collaudatore deve redigere due copie del certificato di collaudo e trasmetterle al Genio civile il quale ne resti-
tuisce una copia da consegnare al committente; tale adempimento non è previsto per gli enti di cui all’art.4 (legge 1086/1971, art.7). Il collaudo deve essere effettuato entro 60 giorni dalla comunicazione del Direttore dei lavori della avvenuta ultimazione delle opere strutturali (DPR 425/1994, art.2).
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
NORMATIVA SPECIFICA DEI LAVORI PUBBLICI Argomento trattato anche al paragrafo C.6. Il collaudo di lavori pubblici è normato dalla legge 109/1994 e dal relativo Regolamento DPR 554/1999. La legge all’art.28 stabilisce che il collaudo finale deve aver luogo non oltre 6 mesi dall’ultimazione dei lavori.
È vietato affidare il collaudo a magistrati ordinari, amministrativi e contabili. Per effettuare il collaudo l’amministrazione nomina da uno a tre tecnici, scelti nell’ambito dei propri uffici, con possibilità di incaricare tecnici esterni in caso di carenza di organico. Il collaudatore non deve avere svolto alcuna funzione
di controllo, progettazione, direzione e di esecuzione dei lavori sottoposti a collaudo e non deve avere avuto nell’ultimo triennio rapporti di lavoro o consulenza con il soggetto che ha eseguito i lavori, né deve comunque fare parte di organismi che abbiano funzioni di vigilanza, di controllo o giurisdizionali.
Inoltre assume il ruolo di responsabile dei lavori ai fini delle norme sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, salvo il committente non intenda adempiere direttamente agli obblighi.
C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E
FUNZIONARIO TECNICO Responsabile del procedimento Figura istituita dalla legge quadro sui lavori pubblici 109/1994, art.7, e definita ulteriormente nel Regolamento DPR 554/1999 artt.7 e 8. Il responsabile del procedimento deve essere nominato dall’amministrazione nell’ambito del proprio organico, per ogni singolo intervento, con il compito di sovrintendere a tutte le fasi di realizzazione dell’opera dall’inserimento della stessa nel programma triennale alla progettazione, all’appalto, all’esecuzione dei lavori, fino al collaudo. Nel corso dell’attuazione degli interventi controlla i livelli di prestazione, di qualità e di prezzo determinati in coerenza alla copertura finanziaria e ai tempi di realizzazione del programma; segnala disfunzioni e ritardi; accerta la disponibilità delle aree e degli immobili necessari; informa l’amministrazione delle fasi di realizzazione dell’intervento. Le funzioni del Responsabile del procedimento sono descritte analiticamente dall’art.8 del DPR 554/1999. Sintetizzando, egli deve: • promuovere le indagini preliminari per verificare la fattibilità degli interventi; • verificare la conformità ambientale e urbanistica; • redigere il documento preliminare alla progettazione; • accertare l’esistenza delle condizioni per affidare all’esterno incarichi di progettazione, direzione, collaudo; • motivare la scelta del metodo di affidamento degli incarichi e coordinare le attività necessarie ai progetti preliminare, definitivo ed esecutivo e al piano di sicurezza; • proporre alla amministrazione i sistemi di affidamento dei lavori; • promuovere l’istituzione dell’ufficio di direzione lavori; • curare le attività necessarie alla conferenza di servizi; • trasmettere all’Osservatorio del lavori pubblici gli elementi relativi agli interventi; • accertare l’ammissibilità delle varianti in corso d’opera; • irrogare penali all’impresa e proporre la risoluzione del contratto e la definizione bonaria delle controversie quando necessario.
C.1. AZIONE PREST
In tale ruolo, tra l’altro: • determina la durata dei lavori; • designa i due coordinatori per la sicurezza, vigila sulla loro attività e valuta il piano di sicurezza; • comunica alle imprese esecutrici i nominativi dei coordinatori e si accerta che siano indicati nel cartello di cantiere; • assicura la messa a disposizione dei concorrenti alla gara del piano di sicurezza e trasmette la notifica all’organo sanitario.
Il Responsabile opera con il supporto del personale dell’amministrazione. In caso di inadeguatezza dell’organico propone l’affidamento delle attività di supporto a professionisti singoli o associati, a società di professionisti o a società di ingegneria.
C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
Il Responsabile del procedimento deve essere un tecnico, con anzianità di servizio minima di 5 anni, con titolo di studio adeguato al lavoro da realizzare, abilitato alla professione quando previsto dalla legge. In pratica, per lavori edilizi, normalmente deve essere architetto o ingegnere, secondo il campo di competenza professionale. Può essere un geometra o perito industriale se possiede l’abilitazione professionale e si tratti di lavori di modesto impegno. Può coincidere con il progettista e il Direttore dei lavori eccetto che per interventi di oltre 500.000 euro e per lavori di cui all’art.2 c.1 lettere h) e i) DPR 554/1999, cioè opere e impianti di speciale complessità e progetti integrali, completi sotto gli aspetti architettonico, strutturale, impiantistico. Nel caso di Comuni con meno di 3.000 abitanti e per opere sotto 300.000 euro le sue funzioni possono essere demandate (a prescindere dal titolo di studio e abilitazione professionale) al responsabile dell’ufficio tecnico, e in sua mancanza al responsabile del servizio competente per il lavoro da eseguire.
➥
. C.1.5ITI E COMP NSABILITÀ RESPO
C 11
C.1. 5.
ESERCIZIO PROFESSIONALE COMPITI E RESPONSABILITÀ
•
PRESTAZIONE
➦ FUNZIONARIO TECNICO In tema di responsabilità il Responsabile del procedimento è tenuto a impedire il verificarsi di danni, irregolarità o ritardi nell’esecuzione del programma. Viene così sottolineato come i funzionari siano impegnati non solo al rispetto delle procedure, ma anche e, principalmente, al conseguimento del risultato. Ciò conferma la recente tendenza, sia della Corte dei conti che della giustizia civile, a sanzionare più le omissioni che gli errori. Giurisprudenza sulle responsabilità del funzionario tecnico In merito alle responsabilità dei funzionari in tema di lavori pubblici esiste una ampia giurisprudenza, tra cui sono state scelte alcune pronunce della Corte dei conti. In un complesso procedimento tecnico-amministrativo, in cui operano svariati organi e soggetti, l’acclaramento delle responsabilità è condizionato dalla possibilità di enucleare i precisi elementi di responsabilità dei singoli soggetti il cui comportamento si ponga in diretto e immediato nesso causale col danno. (Sez. Giur. Reg. Sic. 1967/821) Nell’espletamento dei propri compiti il funzionario deve agire con particolare solerzia, riferendo immediatamente ai superiori organi ogni ragione d’impedimento che possa produrre danno, come nel caso di insufficienza del personale tecnico. (Sez. Giur. Reg. Sic. 1968/835) Responsabilità legata alla progettazione è la omessa verifica del progetto, che se fosse stata eseguita, avrebbe consentito di accertare l’impossibilità, per lo stato dei luoghi, di eseguire l’opera ed evitato le conseguenze dannose poi verificatesi. (Sez. Giur. Reg. Sic. 1966/797) Se il funzionario progettista non verifica la rispondenza del progetto alla situazione reale dei luoghi e non verifica la esistenza di ostacoli o variazioni di intralcio alle opere, egli è responsabile per i danni che la amministrazione ha dovuto risarcire al terzo, in seguito all’azione giudiziaria da questo intentata per la lesione di diritti patrimoniali derivanti dal fermo dei lavori, a causa degli ostacoli non valutati in sede di progettazione. (Sez. Riun. 1988/593) L’affidamento, in presenza di un Collegio di progettisti, di incarichi particolari di progettazione a tecnici estranei al Collegio, in mancanza di uno specifico obbligo di legge di doversi avvalere unicamente dell’opera del Collegio, non può essere ritenuta di per sè produttiva di danno, dovendosi dimostrare l’inutilità della progettazione del tecnico esterno. (Sez. II 1986/101) In un caso di redazione di perizia, la Corte dei conti ha deciso che non sussiste responsabilità dell’ingegnere capo dell’UTE per infedele perizia di un geometra del proprio ufficio,
non avendo egli alcun obbligo giuridico di revisionare la stima da questi compiuta, ma il limitato compito di accertare, prima di apporvi la firma, che siano state rispettate le direttive di carattere generale da lui date in applicazione delle norme contenute nel regolamento di servizio e che, invece, sussiste, al riguardo, la responsabilità del capo sezione cui incombe l’obbligo di assoggettare a diligente revisione le risultanze dell’operato dei propri dipendenti prima di sottoporle alla firma dell’ingegnere capo. (Sez. Giur. Reg. Sic. 1979/1222) L’ingegnere del Genio civile, Direttore dei lavori per la costruzione di un edificio pubblico, è responsabile per il danno derivato alla amministrazione da dissesti statici cagionati da cattiva esecuzione del calcestruzzo delle strutture portanti. A lui infatti incombe l’obbligo di verificare i materiali e l’esecuzione a regola d’arte dei lavori in conformità del contratto. (Sez. I 1975/46) Il Direttore dei lavori risponde per la mancata adozione delle cautele volte a evitare danni a terzi in sede di esecuzione di una opera pubblica. (Sez. II 1978/209) Il Direttore dei lavori è responsabile per aver omesso, nell’impossibilità di completare un’opera per il sopravvenuto inizio di un’altra opera, di procedere alla chiusura della contabilità e al rinvio della conclusione dei lavori a nuova perizia, optando invece per la sospensione dei lavori, fatto questo che ha dato luogo a richieste di risarcimento dell’appaltatore, fondate sull’ingiustificato e prolungato fermo del cantiere. (Sez. I 1984/202) L’ingegnere capo di sezione del Genio civile risponde del danno cagionato all’amministrazione a seguito della liquidazione di interessi legali per il ritardato pagamento all’impresa di rate di saldo, imputabile alla intempestiva redazione dei conti finali. (Sez. Giur. Reg. Sic. 1967/823) Il Direttore dei lavori è responsabile in via amministrativa per i maggiori oneri dovuti alla ritardata definizione delle riserve scritte dell’appaltatore quando il ritardo sia dovuto al mancato tempestivo approntamento della contabilità finale ai fini del collaudo. La medesima responsabilità incombe sull’ingegnere capo per omessa vigilanza sull’attività del Direttore dei lavori che quel ritardo ha provocato. (Sez. II 1988/143) In tema di espropriazione di aree la Corte dei conti ha ripetutamente ritenuto che il maggiore esborso effettuato dallo Stato a causa di ritardi e omissioni imputabili a pubblici funzionari nella procedura di occupazione e di espropriazione di immobili per l’esecuzione di opere pubbliche, costituisce titolo per l’azione nei confronti dei funzionari stessi.
RESPONSABILITÀ DEL DIRETTORE LAVORI E DEL PROGETTISTA NEGLI ABUSI EDILIZI In campo amministrativo e penale sono fondamentali le disposizioni dell’art.6 della legge 47/1985, nel testo modificato dal DL 146/1985 che si trascrive di seguito: “Il titolare della concessione, il committente e il costruttore sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché – unitamente al Direttore dei lavori – a quelle della concessione a edificare e alle modalità esecutive stabilite dalla medesima. Essi sono altresì tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per l’esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell’abuso”.
“Il Direttore dei lavori non è responsabile qualora abbia contestato agli altri soggetti la violazione delle prescrizioni della concessione edilizia, con esclusione delle varianti in corso d’opera di cui all’art.15, fornendo al sindaco contemporanea e motivata comunicazione della violazione stessa. Nei casi di totale difformità o di variazione essenziale rispetto alla concessione, il Direttore dei lavori deve inoltre rinunziare all’incarico contestualmente alla comunicazione resa al sindaco. In caso contrario il sindaco segnala al Consiglio dell’Ordine professionale la violazione in cui è incorso il Direttore dei lavori, che è passibile di sospensione dall’Albo professionale da 3 mesi a 2 anni”.
In base alla norma si individua una responsabilità amministrativa del Direttore dei lavori se l’opera è eseguita: • in assenza di concessione a edificare; • con concessione edilizia scaduta per decorso termine di validità, se i lavori vengono proseguiti senza avere ottenuto una proroga della validità; • in contrasto con il progetto approvato; • in contrasto con le modalità esecutive indicate nella concessione a edificare.
inosservanza delle prescrizioni della concessione. Arresto fino a 2 anni e ammenda da 10 a 100 milioni di lire (da € 5.164,57 a € 51.645,69) sono comminabili in caso di opere prive di concessione o eseguite in totale difformità. Nel caso di lottizzazione abusiva e di interventi edilizi in zone sottoposte a vincoli paesistici o storico-artistici eseguiti in assenza di concessione, in totale difformità o in variazione essenziale, fermo restando l’arresto fino a 2 anni, l’ammenda è stabilita da 30 a 100 milioni di lire (da € 15.493,71 a € 51.645,69). Come sopra accennato, esiste una responsabilità ai sensi del 1° comma dell’art.6 anche nel caso di prosecuzione dei lavori oltre il termine per l’ultimazione dei lavori stabilito nella concessione edilizia, in osservanza dell’art.4 della legge 10/1977 (durata di validità non oltre 3 anni, salvo che per le opere pubbliche e per casi particolari). Infatti superata tale scadenza la concessione non è più valida (almeno che non sia stata prorogata) e i lavori successivamente eseguiti sono da considerarsi abusivi. Il progettista è soggetto a responsabilità civile (solidale col committente) per l’eventuale esecuzione in danno conseguente a mancata demolizione delle opere da parte del committente (legge 1150/1942 art.27). In base all’art.13 della stessa legge il progettista è punito con una sanzione amministrativa (solidalmente con il committente) se non è possibile la demolizione delle opere in caso di annullamento della concessione edilizia. Ai sensi dell’art.41 bis il progettista del piano regolatore è soggetto a sanzione disciplinare da parte dell’Ordine se assume incarichi da privati prima dell’approvazione del piano.
Non è invece responsabile in caso di annullamento della concessione perché rilasciata illegittimamente. Sono sanzioni amministrative la demolizione delle opere o il ripristino e la sanzione pecuniaria. La demolizione è prevista in caso di mancanza di concessione o di totale difformità (art.7) e di variazioni essenziali (art.8). Negli altri casi sono previste sanzioni pecuniarie. Il Direttore dei lavori è destinatario delle sanzioni pecuniarie, che vengono irrogate personalmente a ciascuno dei soggetti indicati dall’art.6, ed è solidalmente tenuto al pagamento delle spese in caso di demolizione eseguita in danno delle opere. L’art.6 individua responsabilità per le quali l’art.20 della legge 47/1985 stabilisce anche sanzioni di tipo penale. Esse sono riferite esclusivamente alla concessione edilizia essendo state depenalizzate le altre violazioni, tra le quali la esecuzione di opere in assenza di autorizzazione edilizia (art.10). È prevista una ammenda fino a 20 milioni di lire (€ 10.329,14)per la violazione di disposizioni della legge 47/1985, di regolamento edilizio e piani urbanistici, nonché per
C 12
ESERCIZIO PROFESSIONALE • ORDINAMENTO ORDINAMENTO DELLA PROFESSIONE
C.2. 1. A.ZIONI
ACCESSO ALLA PROFESSIONE L’esercizio della professione sia per gli architetti che per gli ingegneri è subordinato in primo luogo al superamento dell’esame di Stato per l’abilitazione professionale, ai sensi dell’art.33 della Costituzione. Una ulteriore condizione è la iscrizione all’Ordine, ai sensi della legge 897/1938. Non è previsto invece il tirocinio o praticantato (obbligatorio in altre professioni come l’avvocato, il geometra) cioè un periodo di pratica professionale, in genere di 2 anni, frapposto tra la laurea e l’esame di abilitazione. Nell’Unione Europea il tirocinio è obbligatorio per gli architetti in Austria, Germania e Belgio; è in via di introduzione in Olanda e Portogallo. Uno degli ostacoli alla attuazione del tirocinio in Italia è costituito dalla scarsità di posti di tirocinante che si prevede saranno disponibili, a fronte di un
numero annuale di laureati in architettura che dal 1998 supera i 7.000, dato piuttosto elevato nel confronto europeo. Inoltre l’Autorità per la concorrenza si è espressa negativamente sul tirocinio, perché lo considera un modo per ritardare l’inserimento dei giovani laureati nel mercato del lavoro e quindi un ostacolo alla concorrenza. Ad avviso di chi scrive tale opinione non è convincente, in quanto il tirocinio, se condotto in modo serio e se la prestazione è retribuita, migliora le capacità professionali dei giovani laureati e quindi garantisce meglio il pubblico, cioè gli utenti dei sevizi professionali. Il numero annuale dei laureati in architettura che superano l’esame di abilitazione è stato di 5.317 nel 1997. Nel decennio ’80 è stato di 3.000-3.400; nello stesso periodo i nuovi iscritti agli ordini degli architetti hanno oscillato tra 2.800 e 3.200.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
TAB. C.2.1./1 STUDENTI, LAUREATI E ISCRITTI ALL’ORDINE ARCHITETTI
INGEGNERI
ARCHITETTI
ANNO
D.GETTAZIONE
INGEGNERI
ANNO Iscritti Albo
(1)
Studenti
Laureati
Laureati
Iscritti Albo
1975
42.380
3.334
11.326
6.898
52.868
1976
48.885
3.852
13.572
6.949
54.323
1977
53.857
4.137
15.914
7.107
1978
54.492
4.001
18.524
1979
56.671
4.482
1980
56.996
1981
56.402
1982
(1)
Laureati
1989
77.238
4.911
50.626
6.944
92.445
1990
80.940
4.474
53.800
7.252
95.733
59.058
1991
85.711
4.537
57.490
7.505
99.850
6.932
60.273
1992
90.910
4.728
60.652
7.747
103.000
21.407
6.837
64.227
1993
93.847
4.668
64.500
8.031
106.700
4.711
25.087
6.733
68.014
1994
87.941
5.149
66.522
9.043
109.000
4.374
28.225
6.324
70.619
1995
86.546
5.629
68.502
10.159
114.702
57.278
4.267
30.143
6.607
75.224
1996
81.019
6.618
72.407
12.462
119.752
1983
58.494
3.916
32.131
6.346
78.323
1997
83.476
7.439
76.734
–
125.336
1984
61.073
4.205
35.750
6.103
80.201
1998
82.707
7.150
78.388
13.606
129.917
1985
63.947
3.929
38.100
5.959
81.493
1999
76.041
7.602
87.885
–
133.774
1986
66.297
4.374
43.510
5.901
84.575
2000
–
–
95.000
–
139.486
1987
66.300
4.052
44.855
5.770
88.006
2001
–
–
99.500
–
145.000
1988
72.124
4.380
47.795
6.107
90.148
2002
–
–
* 105.000
–
** 150.000
(1) Totale iscritti a fine anno;
Iscritti Albo
(1)
Studenti
Laureati
Iscritti Albo
(1)
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
C.1. AZIONE PREST
* Dato in stima, di cui circa il 30% sono donne; ** Dato in stima, circa il 3% sono donne.
ORDINI PROVINCIALI DEGLI ARCHITETTI E DEGLI INGEGNERI
C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM
ISTITUZIONE E NATURA GIURIDICA Gli Ordini provinciali degli architetti e degli ingegneri sono stati istituiti con legge 1395 del 1923 e con regolamento RD 2537/1924. Sono stati successivamente sospesi nelle loro funzioni durante il periodo fascista e ricostituiti nel dopoguerra con DLLgt 382/1944. Compiti principali degli Ordini sono la tenuta dell’Albo e la disciplina degli iscritti. Tali compiti durante il periodo 1927-1944 furono affidati ai sindacati interprovinciali fascisti degli architetti e degli ingegneri. Gli Ordini sono soggetti alla vigilanza del Ministero di grazia e giustizia e gestiti da Consigli eletti dagli iscritti. Le spese per il funzionamento degli Ordini (e del Consiglio Nazionale) sono a carico degli iscritti che contribuiscono mediante una quota annuale che ciascun Consiglio dell’Ordine stabilisce in funzione delle proprie esigenze. Pertanto non vi è alcun gravame sul bilancio dello Stato né, conseguentemente, alcun controllo da parte della Corte dei conti. Non si rinviene nell’ordinamento una specifica definizione della natura giuridica dell’Ordine. Tuttavia è opinione condivisa che l’Ordine sia un organismo dotato di propria personalità giuridica e che rientri nel genere degli enti pubblici cosiddetti associativi. Alla natura pubblicistica dell’Ordine, si affiancano però anche aspetti di natura privatistica. Infatti, appaiono di tale natura i compiti di rappresentanza della categoria che normalmente essi svolgono sia nella prassi che in forza di norme di legge o di sollecitazioni che vengono dalla Pubblica Amministrazione. Anche l’atteggiamento dei mezzi di comunicazione di massa contribuisce a formare l’opinione che il sistema Ordini-Consiglio Nazionale ha la funzione di rappresentare la
PRO TTURALE STRU
categoria, e svolge pertanto un ruolo sindacale, intervenendo con sollecitazioni e proposte presso gli enti locali e il Parlamento nell’interesse dei propri iscritti. Una interpretazione corretta dei poteri di rappresentanza dell’Ordine è che essi debbano essere esercitati nell’interesse non tanto degli iscritti, quanto della professione intesa come entità volta al conseguimento dell’interesse dei singoli cittadini e della società nel suo complesso. Infatti l’istituzione per legge di una professione presuppone un interesse generale al controllo di coloro che svolgono la relativa attività. Nel caso dell’architettura la stessa direttiva 1985/384/CEE, recepita in Italia con il DLgs 129/1992, afferma il ruolo sociale dell’architettura con le seguenti parole “la creazione architettonica, la qualità edilizia, il loro inserimento armonico nell’ambiente circostante e il rispetto del paesaggio e dell’assetto urbano, nonché del patrimonio collettivo e privato, rivestono un interesse pubblico”. D’altronde l’Ordine non può svolgere compiti strettamente sindacali, visto che in base alla Costituzione l’adesione ai sindacati è libera mentre la iscrizione all’Ordine è obbligatoria per coloro che intendono esercitare la professione. Ad esempio l’Ordine non può stipulare contratti collettivi di lavoro né proclamare scioperi, compiti che sono prerogativa precipua dei sindacati. Il controllo delle parcelle dei professionisti costituisce uno dei compiti che con maggiore chiarezza lascia intendere come l’azione dell’Ordine sia non di mera tutela dell’iscritto ma piuttosto super partes, tanto che il parere di congruità è considerato necessario e sufficiente per la emissione del decreto ingiuntivo del Tribunale nelle vertenze tra professionista e committente per mancato pagamento dell’onorario.
C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
MINIRIFORMA DEGLI ORDINI – DPR 328/2001 La miniriforma è stata approvata con il DPR 5 giugno 2001 n.328 “Modifiche e integrazione della disciplina dei requisiti per l’ammissione all’esame di Stato e delle relative prove delle professioni di dottore agronomo e dottore forestale, agrotecnico, architetto, assistente sociale, attuario, biologo, chimico, geologo, geometra, ingegnere, perito agrario, perito industriale, psicologo, nonché della disciplina del relativo ordinamento”. Il titolo del DPR lascia intendere che l’oggetto principale è l’esame di Stato per le professioni esistenti, mentre in realtà il decreto istituisce anche nuove professioni (sia
per le lauree triennali che per le lauree specialistiche), modifica le competenze delle esistenti professioni e innova profondamente la struttura degli Ordini. Non rientrano nel campo di applicazione del DPR categorie importanti come gli avvocati, i medici e le altre professioni sanitarie, i commercialisti, i ragionieri e i consulenti del lavoro. Nell’autunno 2001 l’Ordine architetti di Roma e il CNI hanno fatto ricorso al TAR per l’annullamento del DPR per eccesso di delega e per altri motivi fra i quali la definizione dei campi di attività. Anche il CNAPPC ha fatto ricorso contro la denominazione dell’architetto junior.
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. C.1.5ITI E COMP NSABILITÀ RESPO . C.2.1 AMENTO NE ORDINPROFESSIO DELLA
C 13
C.2. 1.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • ORDINAMENTO ORDINAMENTO DELLA PROFESSIONE ➦ MINIRIFORMA DEGLI ORDINI – DPR 328/2001 Ordine degli architetti, Albo e titolo professionale In base al nuovo DPR l’Ordine degli architetti deve iscrivere, previo superamento di esame di Stato, laureati specialistici (laurea di 5 anni) in Architettura e ingegneria edile, in Pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale, in Architettura del paesaggio, in Conservazione dei beni architettonici e ambientali. Inoltre deve iscrivere, previo superamento di esame di Stato, laureati triennali in Scienze dell’architettura e dell’ingegneria edile, in Ingegneria civile e ambientale, in Urbanistica e scienze della pianificazione territoriale e ambientale, in Scienze e tecnologie per l’ambiente e la natura. L’Ordine assume la nuova denominazione: ORDINE DEGLI ARCHITETTI, PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI. L’Albo professionale è unico ma è suddiviso in sezione A per i laureati specialistici e sezione B per i laureati triennali. La sezione A è ripartita in 4 settori: a) architettura; b) pianificazione territoriale; c) paesaggistica; d) conservazione dei beni architettonici e ambientali. La sezione B è ripartita in 2 settori: a) architettura; b) pianificazione. Agli iscritti alla sezione A spettano i seguenti titoli a seconda del settore: a) architetto; b) pianificatore territoriale; c) paesaggista; d) conservatore dei beni architettonici e ambientali. Agli iscritti alla sezione B, spettano per il settore a) il titolo di architetto junior, per il settore b) il titolo di pianificatore junior. Competenze Questo argomento è sviluppato nel paragrafo C.2.4, Campi di attività. Per quanto riguarda gli architetti, ai sensi dell’art.1 comma 2, restano valide le competenze stabilite dalla normativa previgente (RD 2537/1925 artt.51, 52, 53, 54). Per gli altri tre settori sono attribuite le competenze per le attività rispettivamente di: b) pianificazione del territorio, del paesaggio, dell’ambiente e della città; c) redazione di piani paesistici e progettazione e direzione lavori di giardini e parchi; d) diagnosi dei processi di degrado dei beni architettonici e ambientali e individuazione degli interventi per la conservazione. Il DPR crea il problema della competenza degli architetti in urbanistica, materia nella quale essi attualmente operano normalmente in base a costante giurisprudenza, ma senza che vi sia norma di legge che attribuisca loro la competenza. Visto che la competenza in urbanistica è attribuita dal DPR agli iscritti alla sezione pianificatori dell’“Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori” esiste il pericolo di una interpretazione del DPR che escluda gli iscritti alla sezione architetti. In base al DPR, l’unica possibilità offerta a un architetto per operare in urbanistica con certezza della legittimità della competenza, è che si iscriva oltre che al settore a),
anche al settore b), il che è possibile con la laurea in architettura, ma a condizione di sottoporsi all’esame di Stato per urbanisti. Per evitare ciò almeno agli architetti attualmente iscritti agli Ordini, basterebbe che l’art.19, norma transitoria, venga modificato per consentire agli attuali architetti di accedere di diritto al settore pianificazione oltre che al settore architettura. Ciò in analogia con quanto stabilito dall’art.49 per gli ingegneri, che possono optare per iscriversi a tutti i tre settori nei quali è suddivisa la sezione A dell’Albo. Nel campo degli immobili di carattere storico-artistico gli architetti hanno una riserva di legge per gli interventi restauro e ripristino (art.52 RD 2537/1925). Tale riserva non consente che altre professioni possano intervenire in tale campo. Ma ciò sembra contraddetto dal DPR 328/2001, art.16 comma 4, che attribuisce ai conservatori dei beni architettonici e ambientali “la individuazione degli interventi e delle tecniche miranti alla loro conservazione”, il che può far pensare che anche ai conservatori sia consentito di progettare gli interventi di restauro e di ripristino. Un altro problema riguarda i limiti di attività dell’architetto junior così stabiliti dall’art.16 “la progettazione, la direzione dei lavori ... relative a costruzioni civili semplici, con l’uso di metodologie standardizzate”. Il DPR non precisa cosa si intenda per costruzione civile semplice, né chiarisce se l’architetto junior può progettare una costruzione civile semplice solo se vengono usate metodologie standardizzate. In ogni caso è evidente che la norma crea le condizioni per ripetere la conflittualità tra architetti e geometri dovuta ai decreti del decennio ’20. Esame di stato L’iscrizione all’Ordine è subordinata al superamento dell’esame di Stato, consistente in due prove scritte, una prova pratica (per gli architetti un progetto) e una prova orale. L’esame diventa più difficile di quello attuale, che consiste solo di una prova grafica e di una prova orale. La maggiore selettività diventa necessaria perché il DPR consente agli architetti, (laureati in architettura e ingegneria edile) di poter accedere a 6 diversi esami di Stato per l’esercizio delle seguenti professioni: • architetto, pianificatore territoriale, paesaggista, conservatore dei beni architettonici e ambientali, che sono 4 professioni differenti, tutelate dall’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori; • ingegnere civile e ambientale, settore a) dell’Ordine degli Ingegneri; • dottore agronomo e forestale. Naturalmente, ogni esame di Stato ha per oggetto temi relativi all’attività della specifica professione. Consiglio dell’Ordine Non cambia il numero dei componenti del Consiglio Provinciale dell’Ordine e del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori. Tuttavia esso viene ripartito in proporzione al numero degli iscritti alla sezione A (laureati specialistici) e alla sezione B (laureati triennali). In ogni caso il numero dei consiglieri iscritti alla sezione A non può essere inferiore a quello degli iscritti alla sezione B, il che significa che nel caso di Ordini con 15 consiglieri, almeno 8 sono della sezione A. Il Presidente del Consiglio deve essere sempre un iscritto alla sezione A. Nell’ipotesi di provvedimento disciplinare possono partecipare al giudizio solo i componenti appartenenti alla sezione cui appartiene il professionista sottoposto al procedimento. Con successivo regolamento verranno definite le procedure elettorali e il funzionamento degli Organi in sede disciplinare.
FINANZIAMENTO DELL’ORDINE
La legge 1395/1923 all’art.5 affida i seguenti compiti al Consiglio: “stabilisce il contributo annuo dovuto dagli iscritti per sopperire alle spese di funzionamento dell’Ordine; amministra i proventi e provvede alle spese,
compilando il bilancio preventivo e il conto consuntivo annuale”. Il RD 2537/1925 all’art.37 stabilisce il contributo per il funzionamento del Consiglio Nazionale. Il DLLgt 382/1944 aggiunge alle precedenti attribuzioni,
una tassa per l’iscrizione nell’Albo e tasse per il rilascio dei certificati di iscrizione e dei pareri sulle parcelle, precisando che nessun altro pagamento può essere imposto a carico degli iscritti per l’esercizio della professione.
da eleggere. Le schede contenenti un numero di nomi inferiore o superiore devono essere considerate nulle (Cass. Sez. Un. 13714/1991). Una volta raggiunto il quorum del 25% dei votanti, viene effettuato lo scrutinio, a seguito del quale vengono proclamati eletti coloro che hanno conseguito “... la maggioranza di voti segreti per mezzo di schede...”. Si dovrebbe intendere che la maggioranza vada computata sul numero delle schede valide e non dei votanti, perché in quest’ultimo caso sarebbero conteggiate anche le schede non valide, tra le quali sono comprese le schede bianche. Se il numero degli eletti è inferiore al numero dei consiglieri da eleggere, per i posti ancora da coprire vengono effettuate le votazioni di ballottaggio.
In tale sede non è richiesto alcun quorum né per la validità dell’assemblea, né per il numero dei voti ricevuti dal singolo candidato, pertanto vengono eletti coloro che ricevono più voti. A conclusione dello scrutinio, la proclamazione degli eletti viene effettuata immediatamente dal presidente del Consiglio uscente, che presiede il seggio elettorale. Contro il risultato delle elezioni ogni iscritto può opporre reclamo al Consiglio Nazionale nel termine di 10 giorni dalla proclamazione. In caso di dimissioni o decesso di un consigliere si procede alla sostituzione con la stessa procedura della elezione del Consiglio. Il nuovo eletto dura in carica fino alla scadenza del Consiglio.
ELEZIONE DEL CONSIGLIO Il Consiglio dell’Ordine è costituito da un numero di componenti variabile in relazione al numero degli iscritti da un minimo di 5 a un massimo di 15. Dura in carica 2 anni. Alla elezione tutti gli iscritti hanno diritto di voto e sono eleggibili senza necessità di presentazione preventiva di candidatura. Per l’elezione del Consiglio occorre convocare l’Assemblea, che è valida in seconda convocazione se sono presenti oltre il 25% degli iscritti. Vista la difficoltà presso gli Ordini più numerosi di raggiungere detto quorum, è consentito di prolungare le votazioni per più giorni, sempreché gli iscritti siano messi al corrente della apertura prolungata del seggio elettorale. Si vota mediante schede contenenti un numero di nomi pari al numero dei componenti
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ESERCIZIO PROFESSIONALE • ORDINAMENTO ORDINAMENTO DELLA PROFESSIONE
A.ZIONI
COMPITI DELL’ORDINE DEFINITI PER LEGGE Tenuta dell’Albo Ciascun laureato in architettura o ingegneria, che abbia anche superato l’esame di Stato per l’abilitazione alla professione, ha diritto ad essere iscritto nell’Albo dell’Ordine della provincia di residenza. I dipendenti pubblici e quelli privati hanno pieno diritto all’iscrizione all’Ordine, ma l’esercizio alla libera professione è, a seconda dei casi, vietato o limitato da leggi, regolamenti o da norme deontologiche (vedi argomento “professionisti dipendenti”). Il Consiglio dell’Ordine deve deliberare in merito all’iscrizione entro 3 mesi dalla presentazione della domanda. La iscrizione all’Ordine comporta anche l’iscrizione obbligatoria alla Cassa di previdenza ingegneri e architetti, con i conseguenti obblighi contributivi, qualora il soggetto abbia anche posizione IVA come libero professionista e non sia iscritto ad altre forme di previdenza obbligatoria (cioè non sia dipendente o lavoratore autonomo iscritto ad altra Cassa). La iscrizione comporta due versamenti una-tantum: uno allo Stato, per tassa di concessione governativa (L. 250.000 nel 1996) e l’altro all’Ordine. Annualmente sono dovuti un contributo per l’Ordine (stabilito autonomamente da ogni Ordine e perciò differenziato per le varie provincie) e uno per il Consiglio Nazionale (L. 65.000 per il 1996) che lo riscuote per il tramite dell’Ordine. La cancellazione dall’Albo può essere decisa dal Consiglio a seguito di procedimento disciplinare, ovvero nel caso di perdita della cittadinanza italiana o del godimento dei diritti civili o di condanna che costituisca impedimento all’iscrizione. Contro la delibera del Consiglio dell’Ordine l’interessato può fare ricorso al Consiglio Nazionale. Contro la decisione del Consiglio Nazionale non è dato alcun mezzo di impugnazione né in via amministrativa né in via giudiziaria, salvo il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione nei casi di incompetenza o di eccesso di potere. I dati anagrafici e il codice fiscale di ciascun iscritto devono essere trasmessi dall’Ordine al Ministero delle finanze ai sensi della legge 605/1973. L’Ordine gestisce l’elenco dei professionisti abilitati in materia di prevenzione incendi, ai sensi della legge 818/1985. L’iscrizione all’Ordine di cittadini di Paesi dell’Unione Europea è regolata dal DLgs 27 gennaio 1992 n.129 e dal DM Università 10 giugno 1994 n.776. Per i cittadini di paesi extra comunitari si applica la legge 28 febbraio 1990 n.39 (Martelli): dopo la sentenza della Corte di cassazione a sezioni unite, n.9655 del 3 ottobre 1997, un cittadino straniero che si è laureato in Italia può iscriversi all’Ordine anche se con il Paese di appartenenza non vige un trattato di reciproco riconoscimento del titolo di studio.
C.2. 1.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
della legge 47/1985. Il procedimento disciplinare si svolge mediante una procedura, stabilita nel RD 2537/1925, alla cui conclusione possono essere comminate le seguenti pene: avvertimento, censura, sospensione dall’esercizio della professione per un periodo fino a sei mesi (2 anni nel caso di abusivismo edilizio di cui all’art.6 della legge 47/1985), cancellazione dall’Albo. Sia la citazione a comparire per l’audizione nel Consiglio dell’Ordine sia la notifica della condanna sono fatte mediante ufficiale giudiziario, con esclusione dell’avvertimento che viene trasmesso con lettera del Presidente dell’Ordine. Contro la deliberazione del Consiglio dell’Ordine è ammesso ricorso al Consiglio Nazionale. Il ricorso non interrompe la applicazione della pena, a meno che nel ricorso non sia esplicitamente richiesta la sospensione e la richiesta sia accettata dal Consiglio Nazionale. Contro la delibera del Consiglio Nazionale è ammesso ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione.
D.GETTAZIONE
Repressione dell’esercizio abusivo della professione e dell’uso abusivo del titolo di architetto o di ingegnere, presentando, ove occorra, denuncia all’autorità giudiziaria.
E.NTROLLO
Formulazione di pareri alle pubbliche amministrazioni su argomenti attinenti alla professione: anche in questo caso le amministrazioni di riferimento sono quelle regionali e locali.
F. TERIALI,
Rilascio di pareri sulle parcelle Ai sensi dell’art.7 del DLLgt 382/1944 il Consiglio stabilisce una tassa per tale servizio, che in genere non supera il 2% dell’importo della parcella. La legge non prevede possibilità per l’iscritto di ricorrere al Consiglio Nazionale avverso la decisione dell’Ordine in merito alla liquidazione della parcella. È comunque generalmente ammesso avanzare all’Ordine richiesta di riesaminare la parcella, qualora l’iscritto possa far valere nuovi elementi di valutazione.
Nomina di rappresentanti ed esperti in commissioni presso enti locali ed enti pubblici. Le leggi 1378/1956 e 1086/1971 assegnano all’Ordine il compito di formulare le terne rispettivamente per le commissioni giudicatrici degli esami di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale e per il collaudo di strutture portanti di edifici costruiti “in economia”. Inoltre il DPR 1930/1962, norme per i concorsi di progettazione di opere pubbliche, prevede la possibilità di inserire rappresentanti degli Ordini nelle commissioni giudicatrici. La nomina di rappresentanti o di esperti nelle commissioni edilizie comunali costituisce un compito importante dell’Ordine, anche se non deriva da legge nazionale, ma da norme che sono contenute in moltissimi regolamenti edilizi comunali, a volte in forza di legge regionale. Alcuni ritengono che il professionista segnalato dall’Ordine operi in rappresentanza dello stesso; tenuto però conto che l’Ordine non ha competenze nel campo dell’edilizia e dell’urbanistica, ciò comporterebbe che il professionista debba intervenire solo su temi di esercizio professionale, come la repressione dell’esercizio abusivo della professione. Ma tale compito appare limitativo, per cui, pur restando la questione controversa, appare più logico considerare che l’Ordine offre all’ente locale il proprio contributo di conoscenza della qualificazione dei propri iscritti, segnalando nominativi di persone esperte nella materia edilizia e urbanistica, che costituisce il campo di attività istituzionale della commissione.
Disciplina degli iscritti Il Consiglio dell’Ordine è chiamato a reprimere gli abusi e le mancanze commesse dagli iscritti nell’esercizio della professione. Le regole di comportamento degli iscritti sono contenute nel codice deontologico che ciascun Ordine ha adottato sulla base di un codice predisposto dal Consiglio Nazionale. Altre regole derivano direttamente da disposizioni di legge, come l’art.41 bis della legge urbanistica 1150/1942 e l’art.6
Altri compiti importanti, ma non definiti per legge, sono: • pubblicazione di bollettino di informazione delle attività dell’Ordine e di problematiche della professione; • organizzazione di convegni e dibattiti sui problemi della professione e sulla materia oggetto della professione; • attività di aggiornamento professionale per mezzo di corsi e seminari.
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COMPITI E FUNZIONI DEI CONSIGLI NAZIONALI Il CNAPPC e il CNI sono stati istituiti con DLLgt 382/1944. È costituito di undici membri eletti dai Consigli degli Ordini ogni 3 anni. Ciascun Ordine dispone di un numero di voti proporzionato, per fasce, al numero degli iscritti. Svolge i seguenti compiti: • decisione in merito ai ricorsi contro le delibere dell’Ordine concernenti: – il movimento degli iscritti all’Albo, cioè le nuove iscrizioni, le cancellazioni, i trasferimenti di iscritti da o per un altro Ordine; – le sentenze dei provvedimenti disciplinari; – i risultati delle elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine; • emissione di pareri sui progetti di legge e di regolamento che riguardano la professione di architetto (di
ingegnere nel caso del CNI) e sulla loro interpretazione, quando ne fa richiesta il Ministero di grazia e giustizia. Nonostante tale limite, quasi tutti i Consigli nazionali delle professioni si rivolgono, anche senza esserne richiesti, al Governo, al Parlamento, alle forze politiche ecc. per presentare proposte od osservazioni in materia attinente, anche in senso lato, l’esercizio della professione; • rappresentanza della professione a livello nazionale; trattasi di attività non esplicitamente prevista dall’ordinamento, ma che deriva dal compito di emettere pareri sui disegni di legge, di nominare rappresentanti in pubbliche istituzioni (CNEL) e in commissioni ministeriali ecc. Tale funzione è comunque limitata dal fatto che il Consiglio Nazionale non può svolgere attività sindacali;
• coordinamento dell’attività degli Ordini provinciali come conseguenza della funzione di rappresentanza della professione; ciò tuttavia deve considerarsi come servizio e supporto alla attività degli Ordini e come risposta a una esigenza di omogeneità dell’esercizio professionale nelle varie province del Paese; non può invece concretarsi nella istituzione di un rapporto di sovraordinamento visto che gli Ordini sono enti autonomi soggetti solo alla vigilanza del Ministero di grazia e giustizia; occorre anche tenere presente che il Consiglio Nazionale, svolgendo funzioni di magistratura di secondo grado, non deve influire sulle decisioni degli Ordini che possono diventare oggetto di ricorsi allo stesso Consiglio Nazionale.
. C.2.1 AMENTO NE ORDINPROFESSIO DELLA
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C.2. 2.
ESERCIZIO PROFESSIONALE DEONTOLOGIA
•
ORDINAMENTO
DISCIPLINA DEONTOLOGICA Gli esercenti una professione intellettuale che comporta l’iscrizione all’Ordine sono tenuti a mantenere un comportamento appropriato. Ai sensi dell’art.2229 c.c. spetta all’Ordine il potere disciplinare sugli iscritti. Il regolamento degli architetti e degli ingegneri, RD 2537/1925, stabilisce che il Consiglio dell’Ordine “vigila alla tutela dell’esercizio professionale e alla conservazione del decoro dell’Ordine, reprimendo gli abusi e le mancanze di cui gli iscritti si rendessero colpevoli nell’esercizio della professione...”. Contro la decisione dell’Ordine è ammesso il ricorso al Consiglio Nazionale, secondo la procedura prevista dal DM 1° ottobre 1948 per gli ingegneri e dal DM 10 novembre 1948 per gli architetti. Contro la decisione del Consiglio Nazionale è ammesso il ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione. Le regole di comportamento sono contenute nel codice deontologico di ciascuna professione. Esse hanno un carattere extra-giuridico: includono il rispetto delle norme di legge, ma vanno oltre, entrando nella sfera dell’etica dei comportamenti morali. La definizione di tali regole è rimessa alle singole categorie professionali, quale tipica espressione del loro autogoverno, con autonoma valutazione, senza possibilità di sindacato di legittimità, trattandosi di precetti extra giuridici, non di attività normativa (Cass. Sez. Un., 375/1965). Cardine della deontologia è il principio della correttezza professionale che non va inteso in senso restrittivo, nel senso cioè che sia professionalmente corretto l’atto che non comporti l’inosservanza della norma giuridica, potendo invece sussistere atti che, per quanto conformi alle disposizioni di legge, sono da considerare non onesti né corretti, perché ispirati da frode od astuzia (Corte di cassazione 1710/1963).
Tra le norme di etica sono rilevanti il divieto di farsi pubblicità, di accettare incarichi che non si è in grado di svolgere con cura e con impegno personale (divieto di eccessivo cumulo di incarichi) nonché di prestare ausilio a chi esercita abusivamente la professione. L’architetto cui sia demandata qualsiasi forma di autorità da organismi pubblici, sia in quanto componente eletto, sia in quanto consulente, sia in quanto funzionario, non può avvalersi della sua posizione per trarne un vantaggio professionale. Fondamentale è il rispetto delle norme di incompatibilità, che sono illustrate ai sottocapitoli C.1.2 per i liberi professionisti e C.1.3 per i dipendenti. Altre regole di comportamento derivano da leggi. Tra le più importanti: • il progettista di un piano regolatore non può assumere incarichi da privati nell’ambito del territorio comunale fino all’approvazione del piano (art.6, legge 47/1985). Il codice deontologico ha esteso tale incompatibilità a tutti gli strumenti urbanistici. La Corte di cassazione a sezioni unite (25 maggio 1989) ha ritenuto che nella norma deontologica vada incluso anche il programma pluriennale di attuazione; • il Direttore dei lavori, in caso di opere non conformi alla concessione edilizia, deve contestare la violazione al titolare della concessione, al committente e al costruttore nonché darne comunicazione al sindaco; nei casi di totale difformità o di variazione essenziale deve contestualmente rinunciare all’incarico (art.6, legge 47/1985); • il collaudatore di opere strutturali ai sensi della legge 1086/1971 non deve aver partecipato alla progettazione, alla direzione o alla esecuzione dell’opera; inoltre deve essere iscritto all’Ordine da più di 10 anni.
TESTO UNIFICATO DELLE NORME DI DEONTOLOGIA PER L’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE DI ARCHITETTO (approvato dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori il 15 maggio 1993 e dall’Assemblea dei Presidenti degli Ordini il 16 luglio 1993)
CAPO I – Principi generali Art.1 Nell’esercizio della professione, l’architetto deve uniformare il proprio comportamento ai principi deontologici di tutela della dignità e del decoro della professione e dell’Ordine. Art.2 Le presenti norme valgono in qualunque forma venga esercitata la professione sia libera che dipendente, pubblica o privata. Art.3 L’architetto esercita la professione in conformità alle leggi vigenti ed opera nel rispetto dell’interesse generale della società che riconosce prevalente su quello del committente e personale. Art.4 Il comportamento professionale dell’architetto deve basarsi sull’assunzione di responsabilità dei propri atti, sull’autonomia culturale, sull’indipendenza del giudizio, sulla preparazione tecnica e professionale, sull’adempimento degli impegni assunti e sul rispetto del segreto professionale. Art.5 L’architetto svolge le sue prestazioni professionali solo quando non sussistano condizioni di incompatibilità e quando il proprio interesse o quello del committente non siano in contrasto con i suoi doveri professionali.
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Art.8 Per l’architetto qualsiasi forma di libera e leale competizione si basa esclusivamente sulla qualità del suo lavoro nel rispetto dei diritti dei colleghi. Art.9 Il rapporto con il committente è di natura fiduciaria e deve essere improntato alla lealtà, correttezza e chiarezza. L’incarico professionale si configura come contratto di prestazione d’opera intellettuale. Art.10 Il rapporto con i colleghi deve essere improntato a correttezza, lealtà e chiarezza.
CAPO II – Norme relative alle modalità di esercizio della professione di architetto Art.11 L’architetto esercita la sua professione sia in qualità di libero professionista (singolo o associato), sia in qualità di dipendente che di funzionario pubblico. Qualunque sia il suo stato professionale, l’architetto deve disporre dell’indipendenza necessaria, che gli permetta di esercitare la professione in conformità all’interesse generale e alle regole deontologiche, e di assumersi così la responsabilità delle proprie azioni. Egli informa immediatamente l’Ordine di ogni modifica che intervenga nel suo stato professionale.
Art.6 L’architetto nel promuovere la sua attività professionale deve attribuirsi solo capacità o titoli pertinenti alla professione o riconosciuti dalla legge, senza qualificarsi in modo equivoco, esercitare pressioni o vantare influenze di qualsiasi tipo.
Art.12 L’architetto che voglia esercitare la professione in forma diversa da quella singola, deve accertarsi che gli altri componenti non si trovino in condizioni di incompatibilità, che i patti consociativi non siano in contrasto con le leggi che regolano la professione e con le presenti norme deontologiche e siano depositati presso l’Ordine di appartenenza.
Art.7 L’architetto sottoscrive solo le prestazioni professionali che abbia personalmente svolto o diretto; non sottoscrive prestazioni, in forma paritaria, con persone fisiche o giuridiche che per norme vigenti non possono svolgerle. Nel sottoscrivere e svolgere prestazioni professionali in forma collegiale o interdisciplinare deve assicurarsi che siano sempre esplicitate le singole competenze e responsabilità.
Art.13 L’architetto dipendente o pubblico funzionario, cui sia consentito per legge o per contratto svolgere in via eccezionale atti di libera professione, fatte salve le specifiche condizioni di incompatibilità fissate dalle vigenti norme, deve preventivamente inviare a mezzo di raccomandata al proprio Ordine copia della necessaria autorizzazione ottenuta per ogni singolo incarico.
CAPO III – Rapporti con i committenti Art.14 L’architetto nell’accettazione dell’incarico deve definire preventivamente ed esplicitamente con il committente, nel rispetto delle leggi vigenti e delle presenti norme, i contenuti e i termini della propria prestazione professionale e i relativi compensi. L’architetto svolgerà il proprio mandato in conformità agli impegni assunti e redigerà la parcella nel rispetto delle tariffe vigenti, secondo i criteri concordati per la valutazione dell’onorario. L’architetto deve rapportare alle sue effettive possibilità d’intervento ed ai mezzi di cui può disporre la quantità e la qualità degli incarichi e deve rifiutare quelli che non può espletare con sufficiente cura e specifica competenza. Art.15 L’architetto è tenuto a comunicare al committente ogni variazione di condizioni che possano modificare le originarie pattuizioni dell’incarico. Art.16 La rinuncia totale o parziale del compenso è ammissibile solo in casi eccezionali e per comprovate ragioni atte a giustificarla, dandone tempestiva comunicazione all’Ordine. Art.17 L’architetto deve evitare ogni forma di accaparramento della clientela mediante espedienti di qualsiasi tipo contrari alla dignità professionale. Art.18 L’architetto non deve subire passivamente la volontà del committente quando questa contrasti con la sua autonomia e con il suo prestigio. Art.19 L’architetto assolve, personalmente, nell’ambito della propria organizzazione, l’incarico conferitogli. Durante lo svolgimento può farsi rappresentare e coadiuvare da persona competente e gradita al committente, comunque sempre sotto la propria responsabilità e direzione e nei casi in cui ciò sia compatibile con la natura dell’incarico. Art.20 La collaborazione con altro professionista, indicato dal committente durante lo svolgimento dell’incarico, è subordinata al reciproco gradimento e può essere rifiutata.
ESERCIZIO PROFESSIONALE
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ORDINAMENTO DEONTOLOGIA
C.2. 2. A.ZIONI
Art.21 L’architetto non può, senza esplicito assenso del committente, essere compartecipe nelle Imprese costruttrici o nelle Ditte fornitrici dell’opera progettata o diretta per conto del committente. Nel caso abbia ideato o brevettato procedimenti costruttivi, materiali, componenti ed arredi proposti per lavori da lui progettati o diretti, è tenuto ad informarne il committente. Art.22 L’architetto, nello svolgere la propria attività, non deve accettare o sollecitare premi o compensi da terzi interessati, al fine di percepire illeciti guadagni. Art.23 Qualora il professionista intenda recedere dall’incarico a prestazione non ultimata, potrà farlo a condizione di prendere provvedimenti idonei a non danneggiare né il committente, né i colleghi in caso di incarico di gruppo, né i colleghi che lo sostituiranno e dovrà darne comunicazione al proprio Ordine. Art.24 L’architetto proposto quale consulente tecnico, anche in vertenze stragiudiziali, dovrà astenersi dall’assumere il relativo incarico nel caso in cui si sia già pronunciato in precedenza. Art.25 L’architetto, se richiesto come consulente dall’Autorità giudiziaria o dalle parti per dare un proprio parere formale sulla congruità di parcelle professionali è tenuto ad assumere presso l’Ordine di competenza informazioni sui criteri seguiti dall’Ordine. Art.26 L’architetto, nell’espletamento delle varie fasi progettuali, è tenuto a produrre tutti gli elaborati necessari e sufficienti per la definizione o realizzazione dell’opera nei limiti di quanto stabilito nell’incarico. La carenza, l’imprecisione o l’indeterminatezza degli elaborati, anche se non contestate dal committente, costituiscono motivo di inadempienza deontologica. CAPO IV – Rapporti con gli Enti pubblici Art.27 L’architetto cui sia demandata qualsiasi forma di autorità, sia per appartenenza ad Amministrazioni ed organismi pubblici di qualunque tipo e/o Commissioni presso Enti pubblici, sia per incarico degli stessi, non può avvalersi direttamente o per interposta persona, dei poteri o del prestigio inerenti alla carica pubblica o all’ufficio pubblico esercitato per trarne un vantaggio professionale per sé o per gli altri. Art.28 L’architetto non deve mai assumere incarichi in condizioni di incompatibilità ai sensi delle leggi vigenti e delle presenti norme. Art.29 L’architetto che esegue per incarico di Pubbliche Amministrazioni strumenti urbanistici e loro varianti deve astenersi dal momento dell’incarico e fino alla loro approvazione definitiva dall’assumere incarichi privati di progettazione nell’area oggetto dello strumento urbanistico. Tale norma è estesa anche a quei professionisti che abbiano collaborato alla stesura del piano o che con il piano abbiano rapporti di collaborazione in atto. Art.30 L’architetto che svolge l’incarico di consulenza per una Amministrazione Pubblica in forma occasionale o continuativa, non può assumere incarichi professionali privati e pubblici aventi oggetto attinente la consulenza. Tale divieto è esteso anche a quei professionisti che con il piano abbiano rapporti di collaborazione in atto. Art.31 Nell’esercizio professionale l’architetto non potrà abbi-
nare la propria firma come architetto incaricato di svolgere mansioni professionali, anche parziali, a quelle di altri professionisti o persone, non autorizzate dalla legge, ad assumere identiche mansioni o responsabilità.
precedente incarico e che esso sia stato formalmente revocato. Prima dell’accettazione dovrà altresì verificare le prestazioni già svolte al fine di salvaguardare i compensi maturati. Sono fatti salvi i diritti d’autore.
Art.32 È competenza del Consiglio dell’Ordine dirimere i casi dubbi in merito all’applicazione delle norme del presente capitolo.
Art.38 L’architetto deve astenersi da apprezzamenti denigratori nei confronti di un collega, ed in particolare quando ne prosegue l’opera iniziata ed interrotta. Dovrà astenersi, altresì, da qualsiasi giudizio inerente gli onorari maturati dal collega sostituito.
CAPO V – Rapporti con i colleghi Art.33 I rapporti di collaborazione tra colleghi dovranno essere preventivamente concordati in modo che risulti, anche pubblicamente, il preciso apporto professionale di ciascuno e dovranno essere improntati alla massima lealtà, correttezza e chiarezza. Art.34 L’architetto deve evitare ogni forma di scorretta concorrenza nei riguardi di altri colleghi e non può partecipare a competizioni basate unicamente su parametri economici relativi ai compensi stabiliti dalla Tariffa professionale vigente. Art.35 (nuovo testo, delibera CNAPPC 1998) Il ruolo dell’architetto sottende al primato culturale rispetto all’aspetto mercantile e il mezzo informatico (cartaceo, televisivo, e/o radiofonico, informatico) può rappresentare il fine della pubblicità. 1. L’architetto potrà offrire i suoi servizi professionali mediante messaggi pubblicitari emessi sotto qualunque forma di comunicazione dentro i limiti delle condizioni generali imposte dalla legge e dalle seguenti disposizioni speciali; a) la pubblicità può essere solo di carattere informativo e non persuasivo; b) in nessun caso potranno essere fatti paragoni con altri professionisti, siano o meno architetti, né permettere che altri li inseriscano nel messaggio pubblicitario; c) se si divulgano le proprie opere professionali non si può citare l’identità dei clienti, a meno che siano chiaramente pubblici e notori, né dati differenti da quelli puramente tecnici e artistici; d) quando il messaggio non viene diffuso tramite spazi e supporti specificamente pubblicitari, deve identificarsi chiaramente il suo carattere, inserendo in modo visibile la legenda “inserzione pubblicitaria”, “messaggio pubblicitario”, “pubblicità”; 2. L’architetto deve inviare ogni messaggio pubblicitario che intende emettere ala previa autorizzazione dell’Ordine provinciale o all’organo da questo delegato. L’autorizzazione si intende concessa trascorso un mese senza che vi sia stata risposta. 3. Non si considera pubblicità commerciale e conseguentemente non è richiesta l’autorizzazione, dell’Ordine nei seguenti casi: a) divulgazione delle proprie opere e realizzazioni in libri, studi, riviste e articoli di carattere tecnico, scientifico, artistico, professionale, sempre che non siano a pagamento e che sia assicurata la veridicità di quanto pubblicato e il rispetto della normativa deontologica e statutaria della professione; b) inserzione dei dati obiettivi dell’architetto che si riferiscono ai suoi titoli e specializzazioni accademiche, domicilio, telefono, e dati obiettivi similari, che possono figurare in guide, o sezioni specializzate di altre pubblicazioni, anche se la pubblicazione è a pagamento”. Art.36 L’architetto non deve compiere atti tendenti alla sostituzione di colleghi che stiano per avere od abbiano ricevuto incarichi professionali. Art.37 L’architetto chiamato ad assumere un incarico già affidato ad altro collega, deve preventivamente informare, per iscritto, il collega stesso, accertarsi del contenuto del
Art.39 Nel caso di un’opera progettata o di una prestazione professionale svolta in associazione, anche temporanea, con altri soggetti, l’architetto nel citarla deve indicarne sempre i nominativi e gli specifici apporti. Tale forma di lealtà e correttezza deve essere estesa e pretesa anche nei confronti degli altri colleghi che esercitino le professioni intellettuali ed in particolar modo di quelle che hanno connessioni con la professione di architetto. Art.40 L’architetto deve qualificarsi in modo tale che sia evitato ogni possibile equivoco, precisando nella carta intestata, nella targa di studio, nell’elenco telefonico, nelle guide specializzate, nei timbri o nelle dizioni apposte sugli elaborati e in ogni altra indicazione, soltanto i titoli che gli competono e la forma in cui svolge la professione. Non è permesso abbinare il titolo di dottore architetto a quello di professore se non specificando l’esatto valore di quest’ultimo titolo (professore di scuola media; professore incaricato presso l’Università; professore libero docente; professore ordinario; professor emerito ecc.). Non è altresì permesso indicare l’attività professionale sotto dizioni generiche se non seguite dalla indicazione dei componenti lo studio, con relative precise qualifiche professionali. Art.41 L’architetto, quando sia collaudatore di un’opera, non può accettare nessun altro tipo di incarico per la stessa opera.
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CAPO VI – Rapporti con l’Ordine professionale Art.42 L’architetto è tenuto ad osservare le deliberazioni assunte dal Consiglio dell’Ordine nell’ambito delle proprie competenze istituzionali. Art.43 L’appartenenza all’Ordine comporta per l’architetto il dovere di collaborare col Consiglio dell’Ordine per il pieno rispetto delle norme deontologiche. Art.44 L’architetto ha l’obbligo di fornire i chiarimenti e le documentazioni che gli venissero richiesti dall’Ordine e di comunicare lo stato della sua condizione di esercizio professionale. Art.45 L’architetto che abbia motivate riserve sul comportamento professionale di un collega deve informare per iscritto il Presidente dell’Ordine.
C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
Art.46 L’architetto che ha accettato mandati o collaborazioni per conto del Consiglio dell’Ordine, deve adempiere a tutti gli obblighi conseguenti. Art.47 L’architetto che non partecipa senza motivazione alle votazioni elettive previste dalle leggi, viene meno ad un preciso dovere deontologico. Art.48 L’architetto che si trovi in condizioni di incompatibilità per l’esercizio della libera professione, cui sia concesso di svolgere atti di libera professione, deve preventivamente inviare a mezzo raccomandata la copia della autorizzazione al proprio Ordine. Quest’ultimo, nel caso in cui la prestazione venga svolta al di fuori del proprio territorio, darà comunicazione all’Ordine territorialmente competente.
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C.2. 2./3.
ESERCIZIO PROFESSIONALE DEONTOLOGIA
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ORDINAMENTO
➦ TESTO UNIFICATO DELLE NORME DI DEONTOLOGIA PER L’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE DI ARCHITETTO Art.49 L’architetto che sia a qualunque titolo componente di qualsivoglia commissione presso Enti pubblici è tenuto al rigoroso rispetto dei seguenti doveri: • informa tempestivamente il Consiglio dell’Ordine dell’avvenuta nomina od elezione;
citato, nominativi di colleghi per l’affidamento di incarichi comunque connessi con il tema del lavoro per il quale la Commissione è stata costituita; d) nel caso in cui per qualsiasi motivo il concorso non abbia avuto alcun esito, deve rifiutare qualunque incarico inerente l’oggetto di detto concorso.
Art.50 L’architetto che intende partecipare a un concorso deve preventivamente assicurarsi che il relativo bando sia stato approvato dall’Ordine professionale o dal CNAPPC. L’architetto che per diretto incarico dell’ente banditore ha predisposto la stesura del bando ed ha contribuito alla definizione del tema del concorso non può parteciparvi. La partecipazione a un concorso, in qualità di concorrente o membro della giuria, per il quale sia stata emanata diffida dall’Ordine di appartenenza o dal CNAPPC non è consentita.
Art.53 Fatto salvo quanto disposto dalla legge i componenti del Consiglio o delle Commissioni dell’Ordine nonché gli architetti nominati in rappresentanza del Consiglio stesso, sono tenuti alla riservatezza su ogni argomento o circostanza inerente la carica o il mandato ricevuto.
Art.51 L’architetto non può essere componente di una Commissione giudicatrice di un concorso al quale partecipino, come concorrenti, altri professionisti che con lui abbiano rapporti di parentela o di collaborazione professionale in atto anche se informali. Art.52 L’architetto nominato quale membro di Commissione giudicatrice di un concorso: a) esprime un giudizio di merito sugli elaborati del concorso dopo aver verificato che siano state osservate le norme del bando da parte dei concorrenti e da parte della commissione giudicatrice; b) segnala al proprio Consiglio dell’Ordine e al CNAPPC le eventuali infrazioni ed ogni atto lesivo alla categoria compiuti da architetti, siano essi concorrenti o componenti la giuria o da altri membri della giuria; c) rifiuta incarichi, da parte di terzi o dallo stesso Ente presso il quale la Commissione giudicatrice è costituita, che gli derivino dalla sua veste di Commissario. Dovrà altresì astenersi dall’indicare, anche se solle-
Art.58 Nei casi di recidività relativi ad infrazioni previste ai precedenti articoli sono comminabili sanzioni corrispondenti alla categoria di infrazione immediatamente superiore e, comunque, nei limiti della sospensione di mesi sei. Art.59 La sospensione per un periodo superiore ai sei mesi e la cancellazione saranno disposte nei casi previsti dalle Leggi e nei casi di recidività, o di perdita dei diritti necessari per l’iscrizione all’Albo.
CAPO VIII – Disposizioni finali CAPO VII – Sanzioni Art.54 La vigilanza del rispetto delle vigenti norme deontologiche e l’applicazione scrupolosa e tempestiva di quanto in esse previsto costituisce obbligo inderogabile per i componenti del Consiglio dell’Ordine. Art.55 Le sanzioni previste per le violazioni alle presenti norme sono: l’avvertimento, la censura, la sospensione e la cancellazione ai sensi dell’art.45 del RD 23 ottobre 1925, n.2537. Sono fatte salve, comunque, le sanzioni disposte dalle leggi dello Stato. Art.56 Ogni infrazione relativa ad incompatibilità, concorrenza sleale, partecipazione a concorsi diffidati, mancato rispetto dei principi generali di cui al Cap. I, e comunque in grado di arrecare danno materiale o morale a terzi, comporta la sanzione della sospensione fino a 3 mesi. Art.57 Le violazioni non previste all’articolo precedente comportano la sanzione dell’avvertimento o della censura.
Art.60 Le presenti norme integrano e completano le norme legislative e regolamentari che disciplinano la professione di architetto. La loro inosservanza costituisce infrazione disciplinare ed attiva la funzione di magistratura dell’Ordine professionale a tutela del valore e della dignità della professione. Art.61 Le presenti norme sono comuni a tutti gli architetti, italiani e stranieri autorizzati ad esercitare la professione in Italia, i quali devono rispettarle e farle rispettare. In conformità a quanto previsto dall’art.42 del RD 23 ottobre 1925, n.2537 i singoli Ordini professionali possono integrare, acquisito il parere favorevole del CNAPPC, con un proprio regolamento, le presenti norme. Art.62 Le presenti norme sostituiscono quelle attualmente in vigore, vengono pubblicate sull’organo ufficiale della categoria “L’Architetto” e sono depositate presso il Ministero di grazia e giustizia, il CNAPPC, gli Ordini Provinciali, gli Uffici giudiziari e amministrativi interessati della Repubblica Italiana. Esse sono entrate in vigore dal 1° gennaio 1994.
DIRITTO D’AUTORE E TUTELA DELL’ARCHITETTURA PATERNITÀ DELL’OPERA E CREATIVITÀ I disegni e le opere di architettura, in quanto opere di ingegno di carattere creativo, sono protette dal diritto d’autore. Ciò è stabilito dalla legge 633/1941 sul diritto d’autore. Analoga formulazione è nell’art.2575 del Codice civile. I disegni di architettura sono oggetto di tutela come creazioni autonome, indipendentemente dalla loro realizzazione in opere costruite. Il titolo originario dell’acquisto del diritto di autore è costituito dalla creazione dell’opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale (art.6 legge 633/1941). Il diritto d’autore spetta al creatore dell’opera cioè, per i disegni e le opere di architettura, al progettista. Pertanto ogni progetto di architettura dovrebbe ricadere nella tutela. Tuttavia l’espressione “creazione dell’opera” è considerata tale da costituire un requisito ai fini della applicabilità della tutela, nel senso che non tutte le opere sono creative. Il concetto di creazione presuppone che sia posto in essere qualcosa di nuovo. Tuttavia l’autore non è tenuto a produrre una novità assoluta nel senso che l’opera
progettata debba essere priva di ogni relazione con esempi precedenti. È considerato sufficiente che l’invenzione costituisca una rielaborazione di opere preesistenti, tale da poter esprimere la specifica personalità del progettista stesso. In caso di vertenza giudiziaria, nella valutazione del carattere creativo non dovrebbe essere considerato il valore estetico, in quanto la legge stessa all’art.20 attribuisce non alla magistratura, ma alla autorità statale il potere di riconoscere il carattere artistico di un’opera di architettura. Anche la progettazione urbanistica di un insieme urbano può rientrare nella protezione, qualora rappresenti realmente l’originale sviluppo di una concezione artistica (Cassazione civile 13 maggio 1943). La legge 95/2001 ha aggiunto all’art.2 tra le attività rientranti nel diritto d’autore anche “le opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico”.
DIRITTO MORALE E DIRITTO DI UTILIZZAZIONE ECONOMICA La tutela del diritto dell’autore è articolata su due aspetti: il diritto morale e il diritto di utilizzazione economica. Il primo si fonda sul riconoscimento di paternità dell’opera e non è alienabile. In nessun caso un progettista perde il diritto a essere riconosciuto come l’ideatore dell’opera. Analogamente egli ha il diritto di opporsi alle modificazioni che attentino all’integrità dell’opera, anche se nel caso delle opere di architettura questa tutela è molto attenuata, come viene illustrato più avanti. Il diritto di utilizzazione economica per l’architettura consiste nel diritto di consentire la realizzazione del progetto e nel diritto di usare i disegni pubblicandoli e riproducendoli. Tale diritto è cedible per un corrispettivo. Il diritto dura per tutta la vita dell’autore e si prolunga, a favore degli eredi, per 70 anni dopo la sua morte (il periodo, originariamente di 50 anni, è stato prolungato a 70 anni dalla legge 52/1996). Nel caso di opera pubblica, l’art.11 stabilisce che “Alle Amministrazioni dello Stato, alle Province e ai Comuni spetta il diritto di autore sulle opere create e pubblicate sotto il loro nome e a loro conto e spese”. Anche se l’art.11 non lo precisa, si ritiene che la norma non impedisce il riconoscimento della paternità dell’opera, come diritto morale, che comunque spetta alla persona che ha creato l’opera. Nel caso di opera progettata da un soggetto nell’ambito di un lavoro dipendente i diritti di utilizzazione economica spettano al datore di lavoro, ma il diritto morale appartiene al progettista.
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La legge 95/2001 all’art.23 stabilisce che “Salvo patto contrario, qualora un’opera di disegno industriale sia creata dal lavoratore dipendente nell’esercizio delle sue mansioni, il datore di lavoro è titolare dei diritti esclusivi di utilizzazione economica dell’opera”. Estendendo per analogia tale disposizione anche alle opere e ai disegni di architettura, si può dedurre che nel settore privato appartengono al datore di lavoro i diritti economici sull’opera creata dal dipendente, se tale opera rientra nelle mansioni per lo stesso previste dal contratto di lavoro. Si può dedurre che, nel caso che le mansioni non prevedano prestazioni di carattere creativo, il dipendente può far valere il diritto a un compenso al di fuori del trattamento salariale. In ogni caso resta di spettanza dell’autore il diritto morale connesso alla paternità dell’opera. L’art.11 della tariffa degli architetti e degli ingegneri (legge 143/1949) stabilisce che “malgrado l’avvenuto pagamento della specifica e salvi gli eventuali accordi speciali fra le parti per la proprietà dei lavori originali, dei disegni, dei progetti, e di quanto altro rappresenta l’opera dell’ingegnere e dell’architetto, restano sempre riservati a questi ultimi i diritti di autore conformemente alle leggi”. Il committente, in sostanza, con l’acquisto (tramite pagamento della parcella) del diritto a realizzare l’opera, non acquisisce automaticamente anche il diritto a reiterare più volte la realizzazione dello stesso progetto.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • ORDINAMENTO DIRITTO D’AUTORE E TUTELA DELL’ARCHITETTURA
La tutela della legge 633/1941 sulle opere e disegni di architettura è riferita al carattere artistico e ai relativi valori estetici, ma non copre aspetti di innovazione tecnica presenti nelle opere di architettura. Questi possono essere protetti mediante le disposizioni dell’art.99 sulle opere di ingegneria: “All’autore di progetti di lavori di ingegneria, o di altri lavori analoghi, che costituiscono soluzioni originali di problemi tecnici, compete, oltre al diritto esclusivo di riproduzione dei piani e disegni dei progetti medesimi, il diritto a un equo compenso a carico di coloro che realizzano il progetto tecnico a scopo di lucro senza il suo consenso. Per esercitare il diritto al compenso l’autore deve inserire sopra il piano o disegno una dichiarazione di riserva ad eseguire il deposito del piano o disegno presso il Ministero della cultura popolare, secondo le norme stabilite dal regolamento. Il diritto a compenso previsto in questo articolo dura 20 anni dal giorno del deposito prescritto nel secondo comma”. L’art.99 protegge i progetti che costituiscono soluzioni originali, anche se non geniali, di problemi tecnici, secondo la sentenza della Cassazione 773/1980. Le soluzioni originali di problemi tecnici, per godere della tutela attenuata dell’art.99, comportano l’applicazione di regole tecniche nuove a problemi già noti, ovvero l’applicazione di regole già note a settori nuovi, con il risultato oggettivo della estensione delle conoscenze tecnologiche (Cassazione civile 4625/1977).
DEPOSITO DELLA RELAZIONE DI RISERVA (di cui al 2° comma dell’art.99) ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI UFFICIO DELLA PROPRIETÀ LETTERARIA ARTISTICA E SCIENTIFICA modulo E (art.11 del RD 18 maggio 1942, n.1369, regolamento della legge 22 aprile 1941, n.633)
Il sottoscritto Dr. Arch. ..... cittadino italiano, domiciliato in .... via .......... nella sua qualità di autore dell’allegato progetto di ........... in n. ..... tavole in scala 1: ...... , dichiara di voler riservare il diritto al compenso per la realizzazione spettante all’autore di progetti di lavori di ingegneria (ai sensi del secondo comma dell’art.99 della legge sul diritto d’autore) sul progetto medesimo. Unisce, a norma dell’art.11 del regolamento, un esemplare del progetto stesso, sul quale è apposta l’indicazione “diritto al compenso per la realizzazione riservato” 1, una breve relazione tecnico-illustrativa, nonché la ricevuta di avvenuto pagamento della prescritta tassa di concessione governativa. ........ 19.....
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arch. .................................
allegati: n. .... tavole di progetto e una relazione/ricevuta originale del versamento. (1) Qualora il progetto sia stato già depositato in via normale, aggiungere qui: “già depositat..., ai sensi dell’art.105 della legge, col numero di registrazione .... anno .......”
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MODIFICHE ALL’EDIFICIO Legge 633/1941 art.20. “Indipendentemente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica dell’opera, ...e anche dopo la cessione dei diritti stessi, l’autore conserva il diritto a rivendicare la paternità dell’opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione e a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possa essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione. Tuttavia nelle opere di architettura l’autore non può opporsi alle modificazioni che si rendessero necessarie nel corso della realizzazione. Del pari non potrà opporsi a quelle altre modificazioni che si rendesse necessario apportare all’opera già realizzata. Però, se all’opera è riconosciuto dalla competente autorità statale importante carattere artistico, spetteranno all’autore lo studio e l’attuazione di tali modifiche”. La legge stablisce una tutela di minor forza per l’architettura, evidentemente per tenere conto che un edificio è una opera destinata allo svolgimento di attività che possono subire cambiamenti e determinare necessità di interventi volti a modificarne la struttura. La sola condizione posta a tutela dell’integrità dell’edificio è che le modifiche siano “necessarie”, cioè siano tali da giustificarne l’imposizione a danno di un’opera a carattere creativo (sempre che l’edificio abbia tale requisito) e con pregiudizio della reputazione dell’architetto, sempre che essa esista e possa essere pregiudicata dalla modifica. Sono certamente da considerare necessarie le modifiche per l’adeguamento a nuove norme sulla illuminazione e areazione degli ambienti, nonché sulla sicurezza antincendi e degli impianti elettrici.
Potrebbero invece non essere considerate necessarie le modifiche imposte unicamente per rispondere a esigenze funzionali discrezionalmente proposte dal proprietario. Altro problema è la progettazione delle modifiche. La legge 143/1949 all’art.11 stabilisce che “La tutela della fedele esecuzione artistica o tecnica dei progetti approvati dal committente e il loro sviluppo nella esecuzione, spetta esclusivamente al progettista”. Pertanto in caso di modifiche nel corso della realizzazione, a prescindere dai requisiti della legge 633/1941, spetta allo stesso architetto di progettarle. Nel caso invece di modifiche all’edificio già costruito, la relativa progettazione spetta allo stesso professionista solo nel caso che l’opera sia riconosciuta di importante carattere artistico (art.20 legge 633/1941). La procedura per l’ottenimento del riconoscimento del carattere artistico di un edificio può essere avviata dal progettista o dai suoi eredi, con domanda al Ministro per i beni e le attività culturali. La procedura viene svolta presso l’Ufficio centrale per i beni ambientali, architettonici, archeologici, artistici e storici. Il decreto viene emanato, sentito il parere del Consiglio Nazionale per i beni culturali e ambientali competente a norma dell’art.3, lett. e, del DPR 3 dicembre 1975 n.805. La dichiarazione di artisticità ha effetti pratici solo ai fini del diritto a progettare le modifiche, diritto che può essere fatto valere solo se l’architetto è in vita. Tuttavia se il progettista è morto e sono passati 50 anni dalla costruzione, la dichiarazione può costituire una valida base per l’apposizione del vincolo ai sensi della legge 1089/1939 per la salvaguardia degli edifici di carattere storico e artistico.
La individuazione degli immobili è fatta dal Ministero per i beni e le attività culturali. Non sono assoggettabili a tutela gli immobili costruiti da meno di 50 anni e il cui progettista sia ancora in vita. La legge 1497/1939, che riguarda non singoli edifici ma complessi edilizi, è
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TUTELA DI EDIFICI DI CARATTERE STORICO E ARTISTICO normalmente usata per la protezione dei centri storici. Essa non esclude gli immobili di recente costruzione o quelli il cui progettista sia ancora in vita. Tuttavia non risulta sia stata mai usata specificamente per tutelare edifici moderni.
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CAMPI DI ATTIVITÀ CAMPI DI ATTIVITÀ DELL’ARCHITETTO E DELL’INGEGNERE La legge 1395/1923, istitutiva delle professioni di architetto e di ingegnere, mediante il proprio regolamento di attuazione (RD 2537/1925), ha definito i campi di attività delle due professioni. In tali campi, che come vedremo sono in parte diversi, possono operare solo gli iscritti agli ordini degli architetti e degli ingegneri, restando salva la possibilità che possano parzialmente operarvi anche tecnici iscritti a altri ordini (agronomi, geometri ecc.), qualora ciò sia stabilito dai rispettivi ordinamenti. I soggetti che svolgono attività nel campo di qualsiasi professione istituita per legge, senza avere il requisito dell’iscrizione all’Albo, compiono il reato penale di esercizio abusivo della professione.
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A.ZIONI
TUTELA DI SOLUZIONI TECNICHE
La legge 1089/1939 (ora DLgs 490/1999), tutela le architetture di carattere artistico e storico, stabilendo agli artt.11 e 12 che esse non possono essere demolite o modificate o destinate a usi incompatibili, senza l’autorizzazione della soprintendenza ai monumenti.
C.2. 3./4.
L’art.348 del codice penale per tale caso prevede una punizione fino a sei mesi di reclusione o una multa. Tale articolo in effetti fa riferimento solo a coloro che sono privi di abilitazione dello Stato all’esercizio professionale, tuttavia nel caso di architetti e ingegneri l’esercizio della professione è subordinato anche alla iscrizione all’Albo (legge 897/1938), per cui il titolo di abilitazione statale all’esercizio professionale non è sufficiente a legittimare l’attività. Infatti il requisito essenziale è l’appartenenza all’Ordine o al Collegio. L’art.2231 del Codice civile stabilisce che la prestazione eseguita da chi non è iscritto all’Albo non dà diritto al pagamento del compenso. Il reato di esercizio abusivo
si può verificare anche qualora un professionista, pur essendo abilitato e iscritto a un Ordine o Collegio, svolga attività non comprese nel proprio campo e appartenenti ad altre professioni protette per legge. L’esercizio abusivo può avere le seguenti conseguenze: • sul piano penale l’applicazione dell’art.348 c.p., comportante reclusione fino a 6 mesi o multa; • dal punto di vista civile la insussistenza del titolo che dà diritto al pagamento del compenso; • per l’aspetto amministrativo la nullità degli atti di conferimento dell’incarico nonché dei provvedimenti di concessione o autorizzazione a eseguire le opere progettate o i lavori da dirigere.
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C.2. 4.
ESERCIZIO PROFESSIONALE CAMPI DI ATTIVITÀ
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➦ CAMPI DI ATTIVITÀ DELL’ARCHITETTO E DELL’INGEGNERE CAMPI DI ATTIVITÀ NELL’UNIONE EUROPEA All’interno dell’Unione Europea esiste una specifica “direttiva per il settore dell’architettura” 1985/384/CEE, nella quale trovano accoglienza i laureati nelle facoltà di architettura italiane. La direttiva stabilisce solo i criteri per il reciproco riconoscimento dei titoli universitari di architetto, senza definire i campi di attività. Obiettivo della direttiva è infatti omogeneizzare la formazione degli architetti in tutti i paesi membri e non fissare campi di competenza riservati per legge; ciò in quanto l’attività dell’architetto è protetta solo in alcuni dei paesi, mentre in altri chiunque può progettare un edificio da costruire. Tuttavia gli undici punti dell’art.3 della direttiva, ripresi dall’art.2 del DLgs 129/1992 di recepimento in Italia, individuano con precisione il campo di attività dell’architetto europeo, anche senza costituire un campo riservato. L’organo comunitario competente per l’ammissione di altre lauree ha respinto, nell’anno 1993, una richiesta del Governo italiano volta al riconoscimento, per operare nel settore dell’architettura, dei corsi di laurea in ingegneria edile italiani; infatti il programma di studio è stato ritenuto non corrispondente all’art.3 della direttiva architetti. Tuttavia nel 1997-98 la UE ha espresso parere favorevole in merito ai corsi di laurea in ingegneria di tre università, tra le quali Roma e L’Aquila. In base a una norma transitoria della stessa direttiva volta al riconoscimento di diritti acquisiti, sono ammessi gli ingegneri civili italiani già laureati alla data di emanazione della direttiva o che abbiano iniziato il corso di studi entro 3 anni dalla stessa data. I campi di competenza degli architetti sono fissati per legge oltre che in Italia, in Belgio, Francia, e Spagna. Nel Regno Unito, in Germania e in Olanda è protetto per legge il titolo di architetto, ma non la attività; ciò comporta che nessuno può chiamarsi architetto se non è iscritto a un organo pubblico di controllo della professione (Ordine, Collegio, registro o camera), ma chiunque può firmare un progetto di un edificio e dirigerne i lavori. In Germania, tuttavia, le leggi delle Regioni (lander) stabiliscono che la presentazione di progetti per ottenere permessi di costruzione è consentita solo a persone con una particolare qualifica; tra esse sono compresi gli architetti. In Danimarca, Finlandia, Irlanda e Svezia non sono protetti né il titolo né l’attività di architetto. All’esterno dell’Unione Europea, in Svizzera, Svezia, Norvegia e Finlandia non vi è protezione legale né per il titolo né per l’attività dell’architetto. Per gli ingegneri non esiste nella UE una direttiva analoga a quella degli architetti, pertanto non è in corso alcun processo di omogeneizzazione della formazione universitaria né del campo di attività. Nel settore edilizio esiste una sostanziale fungibilità con gli architetti in Italia, Portogallo, Grecia. In Germania la situazione è differenziata territorialmente: il diritto di presentare un progetto per concessione edilizia è riservato agli architetti nei lander Bade Wurttenberg, nord Renania, Sarre e Westfalia Breme, mentre negli altri lander spetta sia agli architetti che agli ingegneri. In Francia il titolo di ingegnere è protetto dalla legge, ma non l’attività professionale. Negli altri Paesi non è protetto né il titolo né l’attività.
FONTI NORMATIVE Fonte normativa di base è il Codice civile che all’art.2229 stabilisce che con apposite leggi vengono individuate le prfessioni intellettuali per l’esercizio delle quali è richiesta la iscrizione agli albi tenuti da Ordini o Collegi. Le professioni abilitate a operare nel campo dell’edilizia sono molte: le principali, quelle di architetto e di ingegnere, sono regolate dalla stessa legge istitutiva, legge 1395/1923, e dallo stesso regolamento, RD 2537/1925. I campi di competenza sono stati stabiliti dagli artt.51, 52 e 54 del regolamento. La legge 897/1938 ha stabilito che per esercitare la professione, cioè per svolgere le attività descritte nel campo di competenza di ciascuna professione, è obbligatoria la iscrizione all’Albo. Di conseguenza compie esercizio abusivo chi svolge le dette attività senza esser iscritto all’Albo tenuto dall’Ordine. L’obbligo di iscrizione riguarda chi esercita la professione sia in regime libero che in regime di dipendenza da privati e da enti pubblici. Per i dipendenti dello Stato l’obbligatorietà dell’iscrizione all’Ordine, non chiaramente definita nella legge 897/1938, è stata esplicitamente prevista dal DPR 1219/1984.
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In caso di contenzioso legale sulle competenze degli architetti e degli ingegneri, gli artt.51 e 52 del RD 2537/1925 costituiscono il primario riferimento, nonostante che in 70 anni di vita della norma siano talmente cambiati i corsi di studio universitari, che ormai non esiste più una corrispondenza tra formazione e competenza professionale. Si riporta il testo dei due articoli: Art.51 Sono di spettanza della professione dell’ingegnere, il progetto, la condotta e la stima dei lavori per estrarre, trasformare e utilizzare i materiali direttamente o indirettamente occorrenti per le costruzioni e per le industrie, dei lavori relativi alle vie e ai mezzi di trasporto, di deflusso e di comunicazione, alle costruzioni di ogni specie, alle macchine e agli impianti industriali, nonché in generale alle applicazioni della fisica, i rilievi geometrici e le operazioni di estimo. Art.52 Formano oggetto tanto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonché i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad esse relative. Tuttavia le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico, il restauro ed il ripristino degli edifici contemplati dalla legge 20 giugno 1909 n.364, per l’antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto: ma la parte tecnica può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere. Il testo dell’art.54 inoltre consente una interpretazione attraverso la quale gli architetti possono svolgere tutte le attività descritte nell’art.51, a eccezione delle applicazioni industriali. Tuttavia generalmente la magistratura fa riferimento solo agli artt.51 e 52. Altro riferimento legislativo è il DPR 1219/1984 sui profili professionali del personale dei ministeri, che fornisce una dettagliata descrizione delle attività dell’architetto, individuando un campo d’azione molto più ampio, e ovviamente più aggiornato, di quello stabilito nell’art.52 del RD 2537/1925. Non risulta che decisioni della magistratura abbiano tenuto conto di tale normativa in occasione di vertenze sulle competenze dell’architetto. I campi di attività delle due professioni non hanno limiti verticali nel senso che le attività ammesse possono essere svolte a prescindere dal grado di difficoltà che si possa presentare. Per le professioni relative a titoli di studio intermedi, come quello di geometra e di perito industriale sono previsti dai rispettivi ordinamenti limiti in senso verticale come le “modeste” costruzioni civili. Il campo d’azione dell’ingegnere appare eccessivamente dilatato in senso orizzontale, dato che l’art.51 accomuna gli ingegneri di tutti i 14 corsi di laurea oggi esistenti. La norma naturalmente è riferita al tipo di formazione generalizzante fornita dall’università nel 1925; la formazione attuale è invece molto differenziata tra i vari corsi di laurea, molti dei quali non forniscono alcun insegnamento nel campo dell’edilizia. Il DLgs 129/1992 di recepimento della direttiva CEE tiene conto di questa situazione e consente, con norma transitoria, l’accesso alle attività nel settore dell’architettura ai soli ingegneri civili, mentre nella prospettiva del funzionamento a regime sarà possibile consentire l’accesso ai soli ingegneri edili. Il DLgs 129/1992 tuttavia non modifica gli artt.51 e 52 del regolamento che, nonostante tutto, continuano a definire il campo di attività degli ingegneri nel nostro paese. GIURISPRUDENZA • Se un professionista svolge attività non compresa nelle proprie competenze e rientrante nelle competenze di altra professione, il contratto è nullo e il professionista perde il diritto al compenso. Corte di cassazione, sezione 2, sentenza 2182 del 28 luglio 1962 - sezione 1 sentenza 1116 del 7 maggio 1963 - sezione 2, sentenza 2546 del 2 agosto 1971 - sezione 2, sentenza 3794 del 22 giugno 1982; Corte di cassazione, sezione 2, sentenza 1388 del 6 maggio 1972, è aggiunto che il professionista non può avvalersi dell’azione di indebito arricchimento; Corte di cassazione, sezione 2, sentenza 1570 del 22 maggio 1972, è aggiunto che il professionista non può invocare l’azione di indebito arricchimento;
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Corte di cassazione, sezione 2, sentenza 3558 del 5 agosto 1977 - sezione 2, sentenza 267 del 13 gennaio 1979 - sezione 2, sentenza 3794 del 22 giugno 1982 - sezione 2, sentenza 7428 del 16 dicembre 1983 - sezione 2, sentenza 286 del 13 gennaio 1984. La mancata iscrizione ad un Albo, necessaria per espletare un’attività professionale, comporta la nullità del rapporto tra cliente e professionista e il mancato diritto al compenso. Il professionista non può neppure avvalersi dell’azione di indebito arricchimento. Corte di cassazione, sezione 2, sentenza 2526 del 27 giugno 1975 - sezione 2, sentenza 467 del 13 febbraio 1976. È legittimo il ricorso di un Ordine professionale contro una licenza edilizia per presunta violazione delle norme relative alle competenze. Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 2327 del 12 giugno 1975. Il Sindaco può adottare provvedimenti che rimedino all’errore commesso in merito alla valutazione della competenza professionale dei geometri anche successivamente al rilascio di una licenza di costruzione. Consiglio di Stato, sezione 5, decisione 364 del 10 marzo 1973. Spetta all’amministrazione comunale valutare la competenza nella redazione di un progetto. Il diniego di licenza per eccedenza dalla sfera professionale deve essere motivato. Consiglio di Stato, sezione 5, decisioni 293 del 19 aprile 1974 e 323 del 17 marzo 1978. L’Ordine professionale è legittimato a ricorrere contro il provvedimento concessivo di licenza di costruzione emesso in base a progetto sottoscritto da geometra al di fuori della propria competenza professionale. Consiglio di Stato, sezione 5, decisione 821 del 29 luglio 1977. Gli Ordini sono legittimati ad agire in giudizio anche per far valere gli interessi del gruppo (tutela della categoria). Consiglio di Stato, sezione 6, decisioni 1187 del 10 novembre 1978 e 1208 del 17 novembre 1978, sezione 5, sentenza 390 del 12 novembre 1985 - sezione 4, sentenza 675 del 23 ottobre 1986. È legittimo l’addebito, da parte dell’Ordine professionale, titolare del potere disciplinare, nei confronti di un ingegnere che non ha specificato la ripartizione dei rispettivi compiti con un geometra per la progettazione di opere edilizie. Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 5932 dell’11 novembre 1982. Sussiste la responsabilità disciplinare di un ingegnere per aver sottoscritto e presentato come proprio un progetto di costruzione redatto da un geometra oltre i limiti delle sue competenze, anche se voluto dal cliente. Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 3081 del 5 maggio 1983. Il progetto integrativo di variante proposto dalle imprese concorrenti per un’opera pubblica in appalto mediante licitazione privata deve essere sottoscritto da un ingegnere (o da un architetto). Consiglio di Stato, sezione 6, sentenza 1083 del 14 dicembre 1991.
CAMPI DI ATTIVITÀ NELLA MINIRIFORMA 2001 La miniriforma delle professioni, DPR 328 del 5 giugno 2001, ha introdotto la professione di architetto junior (laurea di 3 anni) e le professioni di pianificatore, di paesaggista e di conservatore, sia a livello di laurea specialistica che a livello di laurea di 3 anni, tutte da riunire nell’ambito dell’attuale Ordine degli architetti, che cambia il nome in quello di Ordine degli architetti, dei pianificatori, dei paesaggisti, dei conservatori. Il DPR stabilisce per ciascuna professione il campo di attività. Contro il DPR sono stati presentati vari ricorsi al TAR, tra i quali quelli dei Consigli nazionali degli architetti e degli ingegneri e dall’Ordine architetti di Roma. Nell’applicazione del DPR sono insorte notevoli incertezze la cui soluzione richiederebbe una circolare ministeriale non ancora emanata. Inoltre non è ancora noto l’esito dei ricorsi, alcuni dei quali chiedono la completa abrogazione del DPR.
ESERCIZIO PROFESSIONALE
ORDINAMENTO CAMPI DI ATTIVITÀ •
C.2. 4. A.ZIONI
Pertanto in questo volume si tratta questo argomento alla luce della precedente normativa, dando anche informazione sui contenuti innovativi del DPR 328/2001. Il DPR stabilisce da un lato che le competenze delle professioni preesistenti restano immodificate, ma dall’altro stabilisce competenze specifiche sia per le vecchie che per le nuove professioni, e precisa che gli appartenenti a una professione non possono esercitare attività di natura riservata attribuite ad altre professioni. La formulazione non è chiara, perché resta indefinito il concetto di “attività riservata”. In ogni caso un professionista può iscriversi a più settori della stessa sezione, previo superamento del relativo esame di Stato. Per quanto riguarda gli architetti, ai sensi dell’art.1 comma 2, restano valide le competenze stabilite dalla normativa previgente (RD 2537/1925 artt.51, 52, 53, 54). L’Albo professionale è suddiviso in sezione A per i laureati specialistici e sezione B per i laureati triennali. La sezione A è ripartita in 4 settori: a) architettura; b) pianificazione territoriale; c) paesaggistica; d) conservazione dei beni architettonici e ambientali. La sezione B è ripartita in 2 settori: a) architettura; b) pianificazione. Agli iscritti alla sezione A, settore: a) architettura; sono attribuite le attività già stabilite per la professione di architetto dalle vigenti normative nazionali ed europee. Per gli altri tre settori sono attribuite le competenze per le attività rispettivamente di: b) pianificazione del territorio, del paesaggio, dell’ambiente e della città; c) redazione di piani paesistici e progettazione e direzione lavori di giardini e parchi; d) diagnosi dei processi di degrado dei beni architettonici e ambientali e individuazione degli interventi per la conservazione. Il DPR 328/2001 crea problemi agli attuali architetti in relazione ai seguenti 3 argomenti: • Urbanistica Gli architetti attualmente operano normalmente nel campo della pianificazione territoriale, dell’urbanistica e dei piani paesistici e la giurisprudenza ha costantemente considerato gli architetti competenti in materia urbanistica. Tuttavia le leggi nazionali non assegnano esplicitamente la competenza degli architetti in tale campo. D’altronde la direttiva CEE sull’architettura stabilisce i contenuti dei corsi di studio ai fini della formazione dell’architetto, includendo l’urbanistica, ma non individua campi di attività professionale. Alcuni ritengono che per l’urbanistica non esiste alcuna categoria detentrice di riserva di legge a operare nel campo; pertanto l’attività professionale sarebbe libera per tutti e quindi anche per gli architetti. Non ritengo che ciò possa tranquillizzare gli architetti. In primo luogo gli agronomi, in base alla legge 152/1992, sono competenti per i piani territoriali, urbanistici e paesistici per gli aspetti agricoli e i rapporti città-campagna. In secondo luogo è proprio il DPR 328 del 5 giugno 2001 che stabilisce la competenza in urbanistica per gli iscritti ai settori pianificazione e paesaggistica. Tenuto inoltre conto che l’art.3 del DPR stabilisce che il professionista iscritto in un settore non può esercitare competenze di natura riservata attribuite agli iscritti agli altri settori della stessa sezione, potrebbero trovare credito interpretazioni negative del DPR secondo le quali l’architetto non possa progettare piani territoriali, urbanistici e paesistici in quanto essi sarebbero di spettanza solo degli iscritti alle sezioni b) e c). Allo stato dei fatti l’unica possibilità offerta a un architetto per operare in urbanistica con certezza della legittimità della competenza, è che si iscriva oltre che al settore a), anche ai settori b) e c). Ciò è consentito, in base all’art.17 del DPR, in quanto il laureato in “Architettura e ingegneria edile” è ammesso all’esame di Stato dei quattro settori che compongono la sezione A. Ma questo significa che l’architetto
deve assoggettarsi a sostenere e a superare l’esame di Stato per l’accesso ai settori b) e c). Ai fini di una immediata e urgente correzione del DPR è doveroso mettere in rilievo che gli attuali iscritti agli Ordini degli architetti, ai sensi dell’art.19 (norma transitoria), sono iscritti solo al settore a), architettura, mentre l’art.49 stabilisce che gli ingegneri sono iscritti nei settori per i quali ciascuno dichiara di optare e quindi anche in tutti i settori. È assolutamente necessario che anche agli architetti sia consentito di optare per tutti i settori della sezione A. • Restauro È noto che gli architetti hanno una riserva di legge per gli interventi restauro e ripristino su edifici tutelati per valore storico-artistico. (art.52 RD 2537/1925). Tale riserva non consente che altre professioni possano intervenire in tale campo. Ma ciò sembra contraddetto dal DPR 328/2001, art.16 comma 4, che attribuisce ai conservatori dei beni architettonici e ambientali “la individuazione degli interventi e delle tecniche miranti alla loro conservazione”, il che può far pensare che anche ai conservatori sia consentito di progettare gli interventi di restauro e di ripristino. • Architetto junior Un problema posto dal DPR risiede nell’art.16 che stabilisce, tra le competenze degli architetti juniores, “la progettazione, la direzione dei lavori... relative a costruzioni civili semplici, con l’uso di metodologie standardizzate”. Ciò significa che l’architetto junior, può assumere la responsabilità di progettista, cosa che nella stesura iniziale del decreto era stata esclusa. In un testo normativo ben fatto le espressioni “costruzioni civili semplici” e “metodologie standardizzate” dovrebbero essere definite, ma qui non lo sono. Come pure dovrebbe essere chiarito se l’architetto junior può progettare una costruzione civile semplice solo se vengono usate metodologie standardizzate. L’interpretazione letterale della norma sarebbe questa, anche se appare illogica. In ogni caso è evidente che la norma crea le condizioni per ripetere la conflittualità tra architetti e geometri dovuta ai decreti del decennio ’20.
il che consentirebbe di risolvere a vantaggio degli architetti la questione della competenza nel campo delle strade e delle fognature urbane. Tuttavia la magistratura ha sempre fatto riferimento ai soli artt.51 e 52, con esito alterno a livello di TAR, ma negando la competenza a livello di Consiglio di Stato. La Corte di cassazione con sentenza 8348/1993 ha stabilito una sostanziale equivalenza tra le professioni di architetto e di ingegnere, che sono state definite “promiscue e indifferenziate stante l’equiparazione tra le due categorie e che solo in linea eccezionale sussistono attribuzioni riservate all’una o all’altra professione, quali impianti industriali per gli ingegneri e edilizia civile di rilevante carattere artistico per gli architetti”. Inoltre, le argomentazioni contenute nella sentenza confermano il principio che nella legislazione vigente, il titolo di ingegnere quando compaia da solo, deve essere inteso nel suo originario e ampio significato, comprensivo delle categorie degli ingegneri e degli architetti. Il DPR 328/2001 di fatto modifica tale norma, perché suddivide gli ingegneri, a seconda del corso di laurea svolto, in tre settori: ingegneria civile e ambientale, ingegneria industriale, ingegneria dell’informazione. Il primo settore coincide per larga parte con il settore architettura dell’Ordine degli architetti, con l’eccezione degli interventi su immobili storico-artistici. Il DPR stabilisce da un lato che le competenze delle professioni restano immodificate, ma dall’altro stabilisce competenze specifiche per ogni settore e precisa che gli appartenenti a un settore non possono esercitare attività di natura riservata attribuite ad altri settori. Come prima detto, la formulazione non è chiara, perché resta indefinito il concetto di “attività riservata”. Comunque appare logico interpretare nel senso che finalmente gli ingegneri industriali e informatici non potranno progettare e dirigere costruzioni civili. Resterà loro la possibilità di accedere agli altri due settori sostenendo e superando l’esame di Stato relativo. Inoltre la norma è applicabile solo agli ingegneri iscritti all’Ordine dopo l’entrata in vigore del DPR (agosto 2001), mentre i 140.000 ingegneri già iscritti possono optare per iscriversi a tutte e tre le sezioni (art.49) e quindi continuare a operare su tutti i campi dell’ingegneria.
EDILIZIA CIVILE DELIMITAZIONE DEL CAMPO TRA ARCHITETTI E INGEGNERI In base all’art.51 del RD 2537/1925 l’ingegnere fruisce di un campo di attività privo di limiti in senso orizzontale, salvo il parziale impedimento alle opere di carattere artistico di cui al secondo comma dell’art.52. Un ulteriore problema da sottolineare è che la definizione di ingegnere, che nel 1925 era univoca, ora non è più indicativa di una specifica figura professionale. Infatti esistono ben 14 diversi corsi di laurea in ingegneria, ciascuno dei quali dà diritto al titolo di ingegnere, ma in molti dei quali non vengono impartite nozioni relative all’edilizia (ingegneria elettronica, chimica, nucleare ecc.). La definizione del campo di attività di una professione dovrebbe tenere conto della formazione universitaria, tuttavia fino a oggi nel contenzioso legale che si è verificato sulle competenze degli ingegneri non risulta che sia mai stato discusso il problema della profonda diversità dei vari corsi di laurea. Pertanto nelle pronunce giudiziarie è sempre stato fatto riferimento all’ingegnere come unica figura professionale. L’art.52 del RD 2537/1925, al primo comma stabilisce il campo dell’architetto limitandolo all’edilizia civile, ma precisando che esso è in comune con gli ingegneri. Il secondo comma individua come esclusivo dell’architetto il campo delle opere di edilizia civile con rilevante carattere artistico, ma specifica che la “parte tecnica” può essere eseguita anche dall’ingegnere. Vertenze sono sorte tra architetti e ingegneri principalmente, come vedremo di seguito, nei campi delle opere di urbanizzazione (strade, fogne, pubblica illuminazione), degli impianti tecnologici degli edifici e delle opere di carattere artistico. L’art.54 attribuisce a una figura ormai non più esistente, l’ingegnere-architetto, tutte le mansioni indicate all’art.51 con la sola esclusione delle “applicazioni industriali”. È stato sostenuto che la formazione dell’architetto dei nostri giorni sia più vicina a quella dell’ingegnere-architetto che a quella dell’architetto del 1925 (che era un tecnico diplomato alla scuola di belle arti) al quale si riferisce l’art.52. Pertanto agli attuali architetti potrebbe applicarsi l’art.54,
L’edilizia costituisce il principale campo di attività per gli architetti e gli ingegneri edili. Tuttavia, ai sensi degli artt.51 e 52 del RD 2537/1925 vi possono operare anche gli ingegneri degli altri 13 corsi di laurea, dall’aeronautica all’informatica, con la sola limitazione di non poter esercitare nel settore dell’architettura negli altri paesi dell’UE. Il campo di attività dei geometri è analiticamente descritto dall’art.16 del RD 274/1929. Comprende, tra l’altro, modeste costruzioni civili, nonché costruzioni rurali ed edifici per industrie agricole, di limitata importanza, comprese piccole costruzioni accessorie in cemento armato che per la loro destinazione non possono comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone. In merito alla struttura portante, è applicabile la sentenza della Corte di cassazione 4562/1979, confermata da altre sentenze di analogo contenuto (1570/1972, 3622/1979, 1182/1986), che ha stabilito che il contratto d’opera professionale è nullo anche se i calcoli di stabilità sono stati eseguiti da un architetto o da un ingegnere. Per quanto riguarda la competenza in “modeste costruzioni civili”, la Cassazione con sentenza 3952/1974 ha deciso che se la struttura è in cemento armato la costruzione civile, anche se è modesta, non rientra nelle competenze del geometra perché interessa l’incolumità delle persone. Concordano su questo punto molte sentenze, con l’unica eccezione importante della sentenza 159/1993 della VI sezione penale della Cassazione. Sulla definizione di modesta costruzione vi sono molte sentenze di Cassazione e Consiglio di Stato, non sempre convergenti, che lasciano il problema nella sua originaria indeterminatezza, poiché affermano che la modestia dipende dalla presenza o meno di difficoltà tecniche, mentre il costo dell’opera e le sue dimensioni hanno solo un valore sintomatico. Anche la Corte costituzionale si è espressa sul tema, con sentenza n.199/1993 nei seguenti termini: “il criterio basilare è quello tecnicoqualitativo fondato sulla valutazione della struttura dell’edificio e delle relative modalità costruttive, che non devono implicare la soluzione di problemi particolari devoluti esclusivamente ai professionisti di rango superiore,
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ESERCIZIO PROFESSIONALE CAMPI DI ATTIVITÀ
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ORDINAMENTO
➦ CAMPI DI ATTIVITÀ DELL’ARCHITETTO E DELL’INGEGNERE ➦ EDILIZIA CIVILE mentre il criterio quantitativo e quello economico possono soccorrere quali elementi complementari di valutazione...”. I periti industriali hanno competenze differenziate per ciascuna delle specializzazioni nelle quali sono suddivisi; solo quelli della sezione edile hanno competenza in edilizia. Il campo d’azione è limitato alle modeste costruzioni civili. Sono in larga misura applicabili a essi le considerazioni esposte per i geometri. I laureati in agraria possono operare in edilizia, ma limitatamente alle costruzioni rurali o per industrie agricole. Tuttavia dette costruzioni, così come per i geometri, non possono essere dotate di strutture in cemento armato o ferro, se interessano la incolumità delle persone. In tale caso il contratto d’opera professionale è nullo, anche se i calcoli di stabilità sono stati eseguiti da un architetto o da un ingegnere (Corte di cassazione, sentenza 4562/1979).
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GIURISPRUDENZA • I contenuti di una professione possono desumersi anche dalle particolari conoscenze tecniche attestate dal titolo di studio. Cass. Sez. Un., sentenza n.8239 del 23 luglio 1993. • Per valutare se una costruzione sia “modesta” e rientri nelle competenze dei geometri, occorre considerarne le difficoltà tecniche che la progettazione e l’esecuzione comportano e le capacità di superarle. La possibilità per i geometri di impiegare il c.a. è limitata alle sole piccole costruzioni rurali e ad edifici destinati ad industrie agricole, la cui destinazione non implichi l’incolumità delle persone, e non è estendibile alle modeste costruzioni civili. Corte di Cassazione, sezione 2, sentenze 2698 del 19 luglio 1969, 239 dell’11 gennaio 1997 e 2861 del 22 aprile 1997. • Un perito industriale può firmare il progetto di un edificio “modesto”. Per qualificare la “modestia” occorre determinare la complessità dei problemi tecnici costruttivi, alla luce della preparazione professionale. Un provvedimento di diniego per incompetenza deve essere motivato. Consiglio di Stato, sezione 5, sentenza 593 del 16 giugno 1970. • Il criterio per la determinazione di “modesta costruzione” è quello della valutazione tecnico-qualitativa, non tanto del costo, della cubatura e del numero dei piani, quanto delle difficoltà tecniche... La progettazione di opere in c.a. è vietata ai geometri per ogni tipo di costruzione con l’esclusione delle sole espressamente consentite.
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Corte di cassazione, sezione 2, sentenza 1388 del 6 maggio 1972. Non è sufficiente che un ingegnere esegua i calcoli del cemento armato per consentire la progettazione dell’edificio ad un geometra. Corte di cassazione, sezione 2, sentenze 1570 del 22 maggio 1972 e 1182 del 17 ottobre 1986. Per valutare se una costruzione sia “modesta” e rientri nella competenza dei geometri, occorre considerarne le difficoltà tecniche che la progettazione, l’esecuzione e le capacità per superarle comportano. Il costo e la cubatura e il numero dei piani hanno solo valore sintomatico. Ai fini della determinazione se un manufatto rientra nell’ambito delle modeste costruzioni civili, criterio fondamentale è il basarsi sulle norme del RD 16 novembre 1933 n.2229, che riservano alle competenze degli ingegneri ed architetti ogni opera la cui struttura in c.a. interessi l’incolumità delle persone. Corte di cassazione, sezione 2, sentenza 2952 del 19 ottobre 1974. I geometri possono progettare solo “modeste costruzioni civili”, la possibilità di progettare opere che comportano l’impiego di cemento armato è limitata alle piccole costruzioni accessorie che non possono implicare pericolo per l’incolumità delle persone. Corte di cassazione, sezione 2, sentenza 1347 del 15 aprile 1976. La legge n.1086 del 1971 non incide sulla competenza professionale del geometra, quale risulta dal relativo ordinamento professionale. Corte di cassazione, sezione 2, sentenze 4 del 3 gennaio 1977 e 2572 del 28 aprile 1981; Corte di cassazione, sezione 2, sentenza 5113 del 17 ottobre 1985: è sostanzialmente equivalente; Corte di cassazione, sezione 2, sentenza 7628 del 5 agosto 1987: l’art.2 della legge 1086/1971 non amplia la competenza dei geometri per le opere in c.a. La progettazione di opere con impiego di c.a. è vietata ai geometri quando il suo uso interessi strutture portanti. Corte di cassazione, sezione 2, sentenza 3558 del 5 agosto 1977. I geometri possono progettare modeste costruzioni, a condizione che non comportino l’impiego di c.a. in strutture che possano arrecare pericolo per le persone. L’indagine sul carattere “modesto” deve essere condotta in base a criteri tecnico-qualitativi; può avvalersi in via complementare di una valutazione economicoquantitativa (costo, cubatura, numero dei piani ecc.). Corte di cassazione, sezione 1, sentenza 4461 del 19 ottobre 1977; Corte di cassazione, sezione 2, sentenza 3262 del
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8 giugno 1979, con l’aggiunta che “non è sufficiente che un ingegnere esegua i calcoli”. I geometri sono competenti per ciò che concerne le costruzioni in c.a. relativamente ad opere con destinazione agricola che non implicano pericolo per l’incolumità delle persone. La legge 5 novembre 1971 n.1086 non modifica tali competenze, anzi, l’art.2 le ribadisce. Corte di cassazione, sezione 2, sentenza 2572 del 28 aprile 1981. La legge 5 novembre 1971 n.1086 non contiene alcuna deroga all’art.16, lett. m, del RD 11 febbraio 1929 n.274 in merito alle competenze professionali dei geometri relativamente alla progettazione, esecuzione di opere in conglomerato cementizio semplice ed armato, che, pertanto, non sono abilitati all’espletamento di tali attività professionali. Corte di cassazione, sezione 2, sentenza 3232 del 25 maggio 1984. Commette reato di esercizio abusivo della professione il geometra che esegue la progettazione e la costruzione di fabbricato non di uso agricolo, in c.a. Corte di cassazione penale, sezione 6, sentenza 11029 del 22 dicembre 1983. Il criterio fondamentale per definire se la costruzione civile è “modesta” riguarda la struttura e le modalità costruttive, che non devono implicare la soluzione di particolari problemi. Numero dei piani, cubatura, costo della costruzione, sono elementi complementari di valutazione. Corte di cassazione, sezione 2, sentenza 0736 del 27 gennaio 1988. L’accertamento per definire se la costruzione è “modesta” consiste nel valutare le difficoltà tecniche che la progettazione comporta in relazione alle cognizioni tecniche occorrenti per superarle e se la sua realizzazione mediante conglomerati cementizi semplici o armati portanti, sia potenzialmente pericolosa per la pubblica incolumità. Corte di cassazione, sezione 2, sentenza 4781 del 27 luglio 1988. Si esclude che i geometri siano abilitati a progettare costruzioni in c.a. ove le strutture e le armature abbiano una funzione statica dell’opera, eccezione fatta per le piccole costruzioni rurali. Corte di cassazione, sezione 2, sentenza 9044 del 28 luglio 1992. I geometri possono progettare modeste costruzioni civili in cemento armato, se trattasi di strutture normali, in forza della legge 1086/1971. Corte di cassazione, sezione VI penale, sentenza 159 del 2 febbraio 1993.
RESTAURO E COSTRUZIONI CIVILI DI CARATTERE ARTISTICO Dal punto di vista della competenza professionale, gli interventi su edifici esistenti privi di carattere artistico rientrano nella categoria dell’edilizia civile, anche se vengono denominati “interventi di restauro” dagli strumenti urbanistici o dal regolamento edilizio. Gli interventi veri e propri di restauro, invece, sono riservati solo agli architetti, ai sensi del secondo comma dell’art.52 del RD 2537/1925: “...le opere di edilizia civile che presentino rilevante carattere artistico ed il restauro ed il ripristino degli edifici contemplati dalla legge 364/1909 [ora DLgs 490/1999] per l’antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere”. Di conseguenza l’architetto ha competenza esclusiva per: • il restauro e il ripristino degli edifici vincolati dalla legge 1089/1939 che ha sostituito la originaria legge 364/1909; • le opere di edilizia che presentino carattere artistico. Il campo del primo gruppo è sicuramente definito in quanto gli edifici sono analiticamente indicati in appositi elenchi. Nello stesso gruppo sono da considerare inclusi tutti gli edifici pubblici che hanno superato i 50 anni di età, anche se non compresi negli elenchi, visto che la giurisprudenza li considera assoggettati a vincolo di fatto,
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con la sola maturazione dell’età, anche in assenza di esplicita dichiarazione di vincolo, fermi restando gli altri requisiti di legge, cioè che si tratti di opere creative e che il progettista non sia ancora in vita. Per le opere comprese nel secondo gruppo, invece, occorre formulare per ciascun caso un giudizio discrezionale sulla artisticità o meno dell’opera stessa. La casistica può comprendere sia un edificio esistente che uno da costruire su una data area. In quest’ultimo caso la artisticità può essere individuata dallo stesso programma dell’opera se si tratta di un’opera pubblica da costruire secondo criteri di monumentalità o può derivare dal valore artistico dell’ambiente costruito o naturale nel quale l’opera deve essere inserita. Altri requisiti che possono concorrere a definire il carattere artistico sono determinati dalla qualità del contesto nel quale è ubicato l’edificio esistente o l’area sulla quale deve essere costruito: tali requisiti possono considerarsi automaticamente verificati nel caso di ubicazione all’interno del perimetro del centro storico (zone di tipo A del DM 1444 del 2 aprile 1968) ovvero nell’ambito di aree sottoposte al vincolo paesaggistico e ambientale ai sensi delle leggi 431/1985 e 1497/1939. Nel caso di edifici da costruire si può ulteriormente precisare che il carattere artistico può riscontrarsi quando abbia-
no la funzione di essere rappresentativi della memoria collettiva, celebrativa e, comunque, di rispondere a esigenze di correlazione fisica, funzionale ed estetica con fatti, manufatti e contesti di particolare carattere artistico e ambientale. Anche gli ingegneri possono operare sugli edifici di carattere artistico e vincolati, ma solo per la “parte tecnica”, alla pari con gli architetti. Per parte tecnica non può che intendersi fondamentalmente gli aspetti strutturali e impiantistici. Nel campo non vi è competenza dei tecnici diplomati come geometri e periti industriali edili. Il TAR Emilia con sentenza 28 novembre 1991 ha annullato una delibera comunale di incarico a tre ingegneri per la ristrutturazione di un edificio vincolato, per il motivo che un ingegnere può adempiere a un simile incarico solo qualora affianchi un architetto. Il TAR Lombardia, con sentenza del 14 giugno 1994, ha annullato una concessione edilizia di un progetto eseguito da un ingegnere, relativo a opere su un edificio classificato di interesse storico e monumentale dal Piano Territoriale di coordinamento, con la motivazione che il progetto è di competenza esclusiva della professione di architetto. La competenza esclusiva dell’architetto è da riferirsi specificamente agli immobili vincolati dalla Pubblica Amministrazione. Consiglio di Stato, sezione SI, decisione 395 del 17 ottobre 1974.
ESERCIZIO PROFESSIONALE
ORDINAMENTO CAMPI DI ATTIVITÀ •
C.2. 4. A.ZIONI
URBANISTICA
STRUTTURE PORTANTI
Il regolamento per le professioni di architetto e di ingegnere, del 1925, non include nel campo di attività la materia urbanistica, vista la modesta importanza della disciplina all’epoca. Pertanto il campo è attribuito di fatto agli architetti e agli ingegneri, principalmente in relazione alla formazione universitaria e alla stretta interrelazione col campo delle infrastrutture e dell’edilizia. Unica esplicita fonte normativa di sostegno è la tariffa professionale per architetti e ingegneri (legge 143/1949). Le pronunce giurisprudenziali hanno sempre confermato la competenza di architetti e ingegneri. I geometri non hanno competenza in strumenti urbanistici, come i piani regolatori e i piani particolareggiati. In materia di piani di lottizzazione, anche di modesta entità, la magistratura si è espressa prevalentemente contro la competenza dei geometri; da segnalare in particolare la sentenza 129/1977 del Consiglio di Stato. Gli agronomi (legge 152/1992) sono abilitati a elaborare studi di assetto territoriale e piani zonali, urbanistici e paesaggistici, principalmente per quanto attiene il territorio rurale e il rapporto città-campagna, nonché a valutare l’impatto ambientale. La norma non assegna competenza per i piani regolatori e piani particolareggiati. Fino al DPR 328/2001, i laureati in urbanistica delle facoltà di Reggio Calabria e di Venezia non avevano uno status da professionisti, dato che non esisteva per loro la abilitazione statale all’esercizio della professione, né un Ordine delegato a tenere un Albo professionale. Pertanto il TAR Veneto, con sentenza 213/1993, ha stabilito la illegittimità di uno strumento urbanistico redatto da un laureato in urbanistica, in quanto soggetto non abilitato all’esercizio della professione e non iscritto a un Albo professionale, precisando che “fino a quando non sarà istituito per legge l’Albo degli urbanisti, questi potranno, all’interno di strutture e uffici tecnici di Comuni e altri enti, collaborare alla stesura di piani urbanistici”. Di diverso avviso è stato il Consiglio di Stato, IV sezione, che, con sentenza 1087 dell’8 ottobre 1996, ha deciso che un laureato in urbanistica non iscritto all’Ordine può essere incaricato di redigere una variante a un programma di fabbricazione. Il TAR di Trento invece conferma la linea del TAR Veneto, con sentenza 510 del 10 dicembre 1996, escludendo i laureati in urbanistica dalla redazione di piani urbanistici. La entrata a regime del DPR 328/2001 renderà possibile ai laureati specialistici in pianificazione territoriale e materie affini di esercitare attività urbanistica legittimamente, dopo che avranno superato il prescritto esame di Stato e dopo che saranno stati iscritti al settore pianificazione territoriale dell’Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori.
Legge fondamentale è la 1086/1971 che, per i campi di attività delle professioni, rimanda alle norme degli ordinamenti delle singole professioni. Per strutture in cemento armato e ferro in edifici civili la competenza piena è degli architetti e degli ingegneri. I geometri non sono ammessi (in base al RD 274/1929 sono escluse le costruzioni in cemento armato che per la loro destinazione possono mettere in pericolo l’incolumità delle persone, come è il caso degli edifici civili che, per definizione, sono fatti per essere utilizzati dalle persone). Essi possono progettare e dirigere strutture portanti ordinarie in muratura qualora si tratti di costruzioni modeste. In alcuni casi, risulta dalla giurisprudenza che è stata ammessa la costruzione di edifici con struttura orizzontale in solai prefabbricati di luce normale poggianti su muri, se calcolati da architetti e da ingegneri. Analoghi limiti sono stabiliti per le professioni di perito industriale e di agronomo.
GIURISPRUDENZA • È legittima la norma che riconosce soltanto agli architetti e agli ingegneri la facoltà di redigere piani di lottizzazione. Consiglio di Stato, sezione 5, decisione 129 del 25 febbraio 1977. • Esula dalla competenza dei geometri la progettazione urbanistica; in materia di piani di lottizzazione la competenza è limitata alle sole operazioni topografiche. Consiglio di Stato, sezione 2, parere del 19 giugno 1973. • In materia urbanistica non ci si può riferire al concetto di modestia delle opere. Nel titolo professionale di geometra non è riscontrabile un’adeguata cultura urbanistica; pertanto non rientrano nelle competenze dei geometri le operazioni di natura urbanistica. Consiglio di Stato, sezione 5, decisione 1147 del 6 dicembre 1977. • Non rientra nella competenza dei geometri la redazione di piani di lottizzazione. Consiglio di Stato, sezione 6, decisione 1208 del 17 novembre 1978. • Un laureato in urbanistica non iscritto all’Ordine può essere incaricato di redigere una variante ad un programma di fabbricazione. Consiglio di Stato, sezione 4, decisione 1087 dell’8 ottobre 1996.
GIURISPRUDENZA • È riservata agli ingegneri e agli architetti la progettazione delle opere che impiegano cemento armato, che possano incidere sulla stabilità della costruzione in rapporto alla funzione. Corte di cassazione, sezione 2, sentenza 885 del 3 aprile 1970. • È riservata alla competenza degli ingegneri ed architetti la progettazione di costruzioni in cemento armato (RD 16 novembre 1933 n.2229). La nullità di un contratto di progettazione in c.a. da parte di un dottore in agraria non è sanato per il fatto che un ingegnere ha eseguito e firmato i calcoli del c.a. Corte di cassazione, sezione 2, sentenza 4562 del 7 agosto 1979. • Per l’incompetenza dei geometri in campo di edifici con struttura in cemento armato consultare la giurisprudenza riportata al paragrafo sull’edilizia civile.
IMPIANTI TECNOLOGICI NEGLI EDIFICI In base all’art.51 del RD 2537/1925 la competenza di impianti industriali e di servizi tecnologici urbani è dell’ingegnere, mentre per gli impianti tecnologici negli edifici o a essi connessi (secondo comma dell’art.52) “la parte tecnica può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere”. Quindi gli architetti sono abilitati a intervenire nel campo degli impianti negli edifici. Nonostante ciò, il Ministero dell’industria, con decreto 17 febbraio 1993, ha affermato l’incompetenza degli architetti a eseguire verifiche e collaudi degli impianti di cui alla legge 46/1990, poiché essi non sono competenti per la progettazione degli impianti stessi, e ciò pur riconoscendo la validità della laurea in architettura ai fini della qualifica dell’imprenditore impiantista. Il TAR Lazio, con decisione n.360 del 1995, ha giudicato legittimo il DM. Il ricorso contro la sentenza del TAR è stato accolto dal Consiglio di Stato che, con decisione del 12 dicembre 1997, ha annullato il decreto del Ministero dell’industria che stabiliva l’incompetenza degli architetti. Conseguentemente il Ministero ha emanato il DM 6 aprile 2000, per aprire gli elenchi a tutti gli iscritti agli Albi (quindi anche agli architetti) che, nell’ambito delle proprie competenze professionali ritengono di poter assumere incarichi di verifica e collaudo di impianti, sulla base della propria esperienza. Il TAR Piemonte, II sezione, con decisione n.100 del 25 febbraio 1989 ha stabilito che “rientrano nella competenza di un architetto tutte le opere poste a diretto servizio dei singoli fabbricati, ivi compresa la progettazione dell’adeguamento alle norme di sicurezza di una centrale termica di un fabbricato”. Orientamento confermato dalla Cassazione (sent. 3814/2000) che ha stabilito la competenza dell’architetto per la progettazione di tutti gli impianti affini o connessi con i progetti di opere di edilizia civile, quale è un impianto di illuminazione. Infatti, l’art.52 del RD 2537/1925, ha equiparato le professioni di architetto e di ingegnere, per le materie ivi previste. I geometri e i periti industriali edili non possono operare nel campo degli impianti tecnologici. Sono invece abilitati i periti industriali iscritti nelle sezioni dell’Albo professionale che corrispondono allo specifico tipo di impianto.
GIURISPRUDENZA • Non rientra nelle competenze dell’architetto la progettazione e la direzione dei lavori di opere igieniche che non siano strettamente connesse con singoli fabbricati. Consiglio di Stato, sezione 4, sentenza 92 del 19 febbraio 1990. • I geometri non sono competenti a progettare impianti tecnologici per mancata specifica preparazione. Consiglio di Stato, sezione 6, decisione 1187 del 10 novembre 1978. • È illegittimo il decreto del Ministero dell’industria 22 aprile 1992 che stabilisce che solo gli ingegneri e i periti industriali hanno competenza per i collaudi degli impianti. Consiglio di Stato, sentenza 1876/1997. • L’architetto ha competenza per la progettazione di tutti gli impianti affini o connessi con i progetti di opere di edilizia civile. Corte di cassazione, sezione II, sentenza 3814 del 29 marzo 2000.
OPERE DI URBANIZZAZIONE PRIMARIA In assenza di una precisa indicazione di legge, esiste un orientamento giurisprudenziale a ritenere che tali opere siano di competenza dell’ingegnere e non dell’architetto. Tuttavia non risulta sia stato mai messo in dubbio che tali materie siano di competenza degli architetti nel quadro della progettazione urbanistica, cioè non esecutiva, sia a livello di piano regolatore generale che di piano particolareggiato. In molte sentenze di TAR ormai passate in giudicato è stato affermato che questa materia è di competenza dell’architetto, sulla scorta di una accezione estensiva del concetto di edilizia civile. Il Consiglio di Stato, sezione 4, con sentenza 92/1990, ha ritenuto però illegittimo l’incarico conferito a architetti di dirigere lavori di fognatura e rete viaria urbana, precisando che gli architetti possono intervenire in tali campi solo se si tratta di opere strettamente connesse a un edificio. La materia resta controversa viste le sentenze di TAR (alcune delle quali passate in giudicato) che affermano la competenza degli architetti (TAR Calabria 351/1981, TAR Sicilia 686/1986, TAR Sardegna 410/1986, TAR Piemonte 547/1987). Sulla base del RD 274/1929 i geometri hanno competenza per le strade vicinali senza rilevanti opere d’arte, e possono svolgere mansioni di perito comunale nei Comuni con meno di 10.000 abitanti, escluse opere pubbliche importanti o che implichino la soluzione di rilevanti problemi tecnici. I dottori agronomi e forestali sono abilitati a occuparsi di opere stradali e fognarie in zone rurali, ma non hanno competenza per le opere con struttura portante in cemento armato e in ferro. GIURISPRUDENZA • Non rientra nelle competenze dell’architetto la progettazione e la direzione dei lavori di opere igieniche che non siano strettamente connesse con singoli fabbricati. Consiglio di Stato, sezione 4, sentenza 92 del 19 febbraio 1990. • I geometri degli uffici tecnici comunali sono competenti a progettare fognature urbane che non implichino risoluzione di rilevanti problemi tecnici. Consiglio di Stato, sez.4, sent.675 del 23 ottobre 1986. • Rientrano nelle competenze del geometra la progettazione e la direzione lavori di opere igieniche di importanza assolutamente modesta. Consiglio di Stato, sezione 4, sentenza 93 del 19 febbraio 1990. • Le opere di provvista, condotte e distribuzione di acque rientrano nella competenza dei geometri ai sensi della legge 2 marzo 1949 n.144. Consiglio di Stato, sezione 5, sentenza 164 del 20 febbraio 1990. • Rientra nella competenza dei geometri la progettazione dell’allargamento di una strada che non presenti problemi tecnici di particolare difficoltà. Consiglio di Stato, sezione 4, sentenza 767 del 15 ottobre 1990.
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C.2. 4./5.
ESERCIZIO PROFESSIONALE CAMPI DI ATTIVITÀ
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ORDINAMENTO
CAMPI DI ATTIVITÀ DI ALTRE PROFESSIONI TECNICHE GEOMETRI Le competenze sono descritte nel Regolamento della professione di geometra RD 274/1929, art.16, del quale si riporta uno stralcio: l) progetto, direzione, sorveglianza e liquidazione di costruzioni rurali e di edifici per uso d’industrie agricole, di limitata importanza, di struttura ordinaria, comprese piccole costruzioni accessorie in cemento armato, che non richiedono particolari operazioni di calcolo e per la loro destinazione non possono comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone; nonché di piccole opere inerenti alle aziende agrarie, come strade vicinali senza rilevanti opere d’arte, lavori d’irrigazione e di bonifica, provvista d’acqua per le stesse aziende e riparto della spesa per opere consorziali relative, esclusa, comunque, la redazione di progetti generali di bonifica idraulica ed agraria e relativa direzione; m) progetto, direzione, vigilanza di modeste costruzioni civili; n) misura, contabilità e liquidazione delle costruzioni civili indicate nella lettera m); o) misura, contabilità e liquidazione di lavori di costruzioni rurali sopra specificate;
p) funzioni peritali e arbitramentali in ordine alle attribuzioni innanzi menzionate; q) mansioni di perito comunale per le funzioni tecniche ordinarie nei Comuni con popolazione fino a 10.000 abitanti, esclusi i progetti di opere pubbliche d’importanza o che implichino la risoluzione di rilevanti problemi tecnici.
DOTTORI AGRONOMI E FORESTALI La legge 152/1992 abilita a progettare, dirigere e collaudare costruzioni rurali o per industrie agricole, nonché opere idrauliche e stradali in zone rurali (salvo le opere con struttura in cemento armato e ferro). È ammessa anche la redazione di piani urbanistici in zona agricola ed altre attività di pianificazione.
PERITI INDUSTRIALI GEOLOGI Professione istituita con RD 275/1929. I periti sono differenziati secondo il ramo di studi, in meccanici, elettrici, edili, tessili, chimici ecc. Ciascuno può operare soltanto nel ramo nel quale ha conseguito il titolo di studio. Il perito del ramo edile è il solo abilitato a operare in edilizia, limitatamente alle modeste costruzioni civili.
PERITI AGRARI Le competenze sono stabilite dalla legge 434/1968. Nel campo dell’edilizia i periti agrari possono operare solo su edifici, all’interno di piccole aziende agrarie, che non abbiano strutture in cemento armato e ferro.
Non hanno competenze nel campo delle costruzioni edilizie. Sono competenti per le rilevazioni e le consulenze geologiche che riguardano il suolo e il sottosuolo ai fini delle opere concernenti dighe, strade, gallerie, acquedotti, ponti, canali, aeroporti, cimiteri, porti, ferrovie, edifici. In particolare il geologo ha competenza per la redazione della relazione geologica finalizzata alla valutazione della stabilità delle fondazioni di una costruzione, fermo restando che la competenza per la relazione geotecnica non è di competenza del geologo, bensì del progettista dell’edificio, architetto o ingegnere.
ISTITUTI CULTURALI E SINDACATI PRINCIPALI ORGANIZZAZIONI OPERANTI NEL CAMPO DELL’ARCHITETTURA ACCADEMIA DI S. LUCA, piazza dell’Accademia di S. Luca, 77 – 00187 Roma Istituita nel 1577 con autorizzazione del Papa Gregorio XII, raggruppa le arti figurative in tre classi, architettura, pittura e scultura, con la finalità di valorizzare la tradizione artistica italiana e la conservazione delle opere d’arte. Lo statuto (DPR 1004/1959) prevede la presenza in ciascuna delle tre classi di 18 accademici nazionali, di 30 corrispondenti italiani e 10 stranieri, di accademici cultori e benemeriti. L’elezione degli accademici nazionali ha luogo su proposta della rispettiva classe, se esistono posti vacanti. La proposta viene approvata con decreto del Presidente della Repubblica. Architetti nominati presidenti dell’Accademia dal 1814: Andrea Vici, Girolamo Scaccia, Giulio Camporese, Gaspare Salvi, Clemente Folchi, Luigi Poletti di Modena, Antonio Sarti di Budrio, Virginio Vespignani, Francesco Azzurri, Andrea Busiri Vici, Enrico Guj, Carlo Tenerani, Giovan Battista Giovenale, Pio Piacentini, Manfredo Manfredini di Cortemaggiore, Tullio Passarelli, Gustavo Giovannoni, Alberto Calzabini, Arnaldo Foschini, Carlo Alberto Petrucci, Giovanni Muzio di Milano, Mario Ridolfi, Ludovico Quaroni, Ignazio Gardella, Carlo Aymonino. Accademici nazionali della classe degli architetti, attualmente in carica: Ignazio Gardella, Ludovico Barbiano di Belgioioso, Gino Valle, Lucio Passarelli, Giancarlo De Carlo, Carlo Aymonino, Vittorio Gregotti, Paolo Portoghesi, Roberto Gabetti, Marco Zanuso, Gaetana Aulenti, Aimaro Oreglia d’Isola, Luigi Caccia Dominioni.
ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA – INU via S. Caterina da Siena, 46 – 00186 Roma Fondato nel 1930, è costituito dalla associazione dei principali specialisti del settore nonché dagli enti pubblici e privati che si occupano di problemi inerenti il governo dell’assetto e della trasformazione del territorio e delle città. Dal 1932 pubblica la rivista Urbanistica. Dal 1972 pubblica anche la rivista Urbanistica Informazioni. Nel 1943 è stato eretto in ente morale. Nel 1949 viene approvato, con DPR, il nuovo statuto, che lo definisce come ente di diritto pubblico che promuove e coordina gli studi di urbanistica e di edilizia e ne favorisce la diffusione e l’applicazione. Presta la consulenza e collabora con le pubbliche amministrazioni. Nel dopoguerra, con la presenza di Adriano Olivetti, contribuisce attivamente all’impostazione di una nuova politica urbanistica, adeguata alle mutate condizioni economiche, sociali e politiche.
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Dalla seconda metà degli anni ’70 a oggi, l’INU concentra la sua attenzione su due tematiche parallele: il problema del rinnovamento degli strumenti e dei metodi di pianificazione e il perfezionamento della riforma delle autonomie locali in funzione di un assetto equilibrato del territorio. Presidenti dell’INU sono stati: arch. Alberto Calzabini, Domenico Delli Santi, come commissario dal 1944 al 1948, on. Leone Cattani, on. Adriano Olivetti, on. Camillo Ripamonti, avv. Paolo Barile, arch. Edoardo Detti, arch. Alessandro Tutino, ing. Edoardo Salzano, arch. Gianluigi Nigro, arch. Giuseppe Campos Venuti, arch. Stefano Stanghellini.
Fanno capo all’ANIAI sindacati nazionali di architetti e ingegneri liberi professionisti, di ingegneri dello Stato, di ingegneri docenti.
ISTITUTO NAZIONALE DI ARCHITETTURA – IN/ARCH corso Vittorio Emanuele, 287 – 00186 Roma
UNIONE INTERNAZIONALE ARCHITETTI rue Raynouard, 51 – 75016 Paris, Francia
Fondato nel 1959 su iniziativa di Bruno Zevi, quale luogo di incontro tra le forze economiche e culturali che partecipano al processo edilizio. Ne fanno parte architetti, ingegneri, costruttori, industrie di materiali edili, istituti di credito edilizio, enti della Pubblica Amministrazione. Istituito in ente morale con DPR 236/1972. Organizza dibattiti sull’architettura e sull’urbanistica. Da oltre 30 anni indice settimanalmente i “lunedì dell’architettura”. Ha organizzato un gran numero di convegni e conferenze sotto l’egida del Ministero dei lavori pubblici e di altre pubbliche amministrazioni. Ha curato la stesura del rapporto italiano alle Conferenze delle Nazioni Unite sugli insediamenti umani di Vancouver nel 1976 e di Istambul nel 1996. Ha organizzato e assegnato in più riprese i Premi nazionali e regionali IN/Arch sull’architettura e sull’urbanistica. L’IN/Arch è articolato mediante una struttura centrale e sezioni regionali. Presidenti dell’IN/Arch sono stati: sen. Emilio Battista, on. Ugo La Malfa, dott. Aurelio Peccei, prof. Paolo Savona, ing. Paolo Baratta, prof. Domenico De Masi, Adolfo Guzzini. Dal 1997 Bruno Zevi è Presidente onorario.
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ARCHITETTI E INGEGNERI ITALIANI via Flavia, 104 – 00187 Roma Nata nel 1921 come associazione per la rappresentanza degli architetti e degli ingegneri, con finalità di “sindacalismo ad alto livello”. Disciolta nel 1925 per disposizione del regime, è stata ricostituita nel 1944. Nel 1946 assunse forma di federazione di associazioni e di sindacati.
CONSIGLIO D’EUROPA DEGLI ARCHITETTI avenue Louise, 207 – 1050 Bruxelles, Belgio Costituito nel 1990, riunisce gli organismi professionali e sindacali che rappresentano gli architetti dei paesi membri dell’Unione Europea, con l’eccezione dell’Olanda e del Regno Unito. Per l’Italia è presente il Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori.
Costituita nel 1948, è formata da sezioni nazionali, rappresentanti più di 1 milione di architetti di oltre 100 paesi. È riconosciuta dall’UNESCO e dall’ONU (UNCHS e UNDP) e dal Consiglio d’Europa. Tra l’altro, è in contatto con il WTO per l’accordo GATT sullo scambio dei servizi d’architettura ed esercita la delega dell’UNESCO per l’approvazione dei bandi dei concorsi internazionali di progetti d’architettura. La sezione italiana è retta dal CNAPPC.
SINDACATI E ASSOCIAZIONI CON FUNZIONI SINDACALI • Confedertecnica Confederazione dei Sindacati delle Professioni tecniche via Salaria 292, 00198 Roma • ALPI Associazione Liberi Professionisti Italiani via XX Settembre 21/10, 16121 Genova • Federarchitetti Sindacato Nazionale Architetti Liberi Professionisti via della Braida 4, 20122 Milano • SNILPI Sindacato Ingegneri Liberi Professionisti Italiani via Salaria 292, 00198 Roma • USPPI Unione Sindacati Professionisti del Pubblico e privato Impiego via Cesare Baronio 187, 00179 Roma
ESERCIZIO PROFESSIONALE • ORDINAMENTO SISTEMA PENSIONISTICO
A.ZIONI
ISCRIZIONE ALLA INARCASSA La Cassa nazionale di previdenza e assistenza per ingegneri e architetti liberi professionisti (Inarcassa) è stata istituita con legge 179/1958. Dal 28 novembre 1995 la Cassa è stata trasformata in ente associativo di diritto privato. È soggetta alla vigilanza del Ministero del lavoro e al controllo della Corte dei conti. La sede è in via Salaria 229, Roma. Scopo della Cassa è di dare agli iscritti un trattamento pensionistico di invalidità, di anzianità, di vecchiaia, utilizzando contributi sia degli iscritti alla Cassa che dei committenti degli iscritti alla Cassa e degli altri iscritti agli Ordini. Alla data del 1° gennaio 2000 risultano iscritti alla Cassa 44.714 architetti e 36.356 ingegneri. La Cassa è retta da un Consiglio di amministrazione di 9 membri che viene eletto dal comitato nazionale dei delegati. Quest’ultimo è composto da un architetto e da un ingegnere per ogni provincia, che vengono eletti dagli iscritti alla Cassa residenti nella provincia. Sono iscritti obbligatoriamente alla Cassa, in base all’art.21 della legge 3 gennaio 1981 n.6, gli architetti e gli ingegneri per i quali si verificano tutte le tre condizioni seguenti: 1. iscrizione all’Ordine; 2. non assoggettamento ad altra forma di previdenza obbligatoria sia in conseguenza di un rapporto di lavoro subordinato, sia di altra attività di lavoro autonomo, come ad esempio artigiani, commercianti, coltivatori diretti o altre libere professioni come l’ingegnere o il geometra; 3. continuità nell’esercizio della professione. La decorrenza dell’iscrizione sarà fatta risalire sempre alla data in cui sussistano le tre condizioni, indipendentemente dal periodo in cui è stata fatta la domanda di iscrizione. In merito al requisito n.2, la Cassa ha stabilito che sono obbligati a iscriversi alla Cassa i pensionati di altri enti che rispondono agli altri due requisiti. Il Comitato nazionale dei delegati della Cassa, che ogni 5 anni deve stabilire i criteri per verificare il terzo
requisito, ha deciso, per il momento, che la continuità si verifica con il semplice possesso della partita IVA, come architetto, secondo un primo orientamento e, attualmente,invece, dopo l’entrata in vigore del contributo all’INPS del 10%, qualunque sia la codifica di attività. In futuro il Comitato potrebbe stabilire criteri organici per definire la continuità dell’esercizio della professione. In tale caso la Cassa può procedere alla revisione dell’esercizio professionale nell’ultimo quinquennio, e rendere inefficaci i periodi per i quali la continuità non risulti sulla base dei nuovi criteri. In effetti il solo possesso di partita IVA non dimostra la attività professionale. Visto che la Cassa stessa ha stabilito il contributo minimo, prendendo come esempio l’anno 1995, in L. 1.710.000 (€ 833,14) che corrispondono a un reddito professionale annuo di L. 28.500.000 (€ 14.719,02) – o L. 26.500.000 (€ 13.686,11) se si fa riferimento al minimo del contributo integrativo – apparirebbe logico considerare il conseguimento effettivo di tale reddito come condizione per la continuità dell’esercizio professionale. Si sottolinea in proposito che per i neo-iscritti il reddito minimo, è ridotto a un terzo. Tuttavia esistono problemi per moltissimi iscritti a conseguire tutti gli anni tale reddito, pertanto occorrerebbe almeno considerare la continuità non anno per anno, ma come media quinquennale. E per molti neanche questa facilitazione basterebbe. Resta il fatto anomalo che con l’attuale sistema, molti architetti che non fanno la libera professione, ma sono imprenditori o casalinghe, prendono la posizione IVA e, versando i contributi minimi, fanno valere il diritto alle varie forma di pensione a alla indennità di maternità. In conclusione esistono architetti iscritti all’Ordine e alla Cassa e architetti iscritti all’Ordine ma non alla Cassa. Questi ultimi sono, in linea di massima, in gran parte dipendenti pubblici e privati, compresi i docenti muniti o meno di partita IVA, pensionati di altri enti privi di partita IVA, ovvero giovani laureati privi di partita IVA; in quantità marginale sono artigiani e commercianti muniti o meno di partita IVA.
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G.ANISTICA
CONTRIBUTI DOVUTI ISCRITTI ALLA CASSA Gli iscritti alla Cassa pagano un contributo soggettivo, un contributo integrativo e un contributo per la maternità. Il contributo soggettivo (art.5, legge 6/1981, modificato con legge 290/1990) è commisurato a un valore percentuale che può variare a seconda della situazione finanziaria della Cassa. Esso è applicato al reddito da libera professione prodotto nell’anno dall’iscritto, fino a una soglia che varia annualmente (nel 2002 € 71.600). Oltre tale soglia il contributo scende al 3%. Inizialmente, il contributo soggettivo, era del 10%. Dal 1988 al 1998 è stato pari al 6%, dal 1999 è tornato al 10%. È comunque dovuto un contributo minimo che per l’anno 2002 è di € 1.065 (tale importo subisce annualmente delle modifiche sulla base di quanto viene stabilito dalla Cassa). Per gli iscritti che beneficiano della riduzione del contributo (coloro che si iscrivono a meno di 35 anni di età, per l’anno di iscrizione e 2 anni successivi) le percentuali sono ridotte del 50%. Il contributo minimo è ridotto a un terzo. Sono esentati dal contributo minimo gli iscritti che sono pensionati della Cassa, ma non gli iscritti che sono pensionati di altri enti. Il contributo soggettivo è deducibile ai fini dell’IRPEF. Il contributo integrativo (art.10 legge 6/1981) è a carico del committente e può variare come quello soggettivo, ma sin dalla sua istituzione l’importo è rimasto fisso al 2%.
C.2. 6.
ISCRITTI ALL’ORDINE MA NON ALLA CASSA Il contributo viene calcolato come maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel volume annuale di affari ai fini dell’IVA. Il versamento alla Cassa dell’ammontare va fatto indipendentemente dall’effettivo pagamento che ne abbia eseguito il debitore. La maggiorazione è ripetibile nei confronti di quest’ultimo. È comunque dovuto dall’iscritto un contributo minimo, che per l’anno 2002 è di € 320. Per coloro che beneficiano della riduzione del contributo soggettivo, l’importo è ridotto a un terzo. Sono esentati dal contributo minimo gli iscritti che sono pensionati della Cassa, ma non gli iscritti che sono pensionati di altri enti. Il contributo integrativo non è dovuto per le prestazioni effettuate nei rapporti di collaborazione tra iscritti agli Ordini degli architetti e degli ingegneri. Il contributo integrativo è soggetto a IVA. Il contributo per la maternità, istituito nel 1999, è nel 2002 di € 50. Gli iscritti devono comunicare alla Cassa, entro il 30 giugno di ogni anno, il reddito professionale IRPEF e il volume di affari IVA prodotto nell’anno precedente. Sono previste sanzioni pecuniarie per omesso, ritardato o infedele versamento dei contributi. Sanzioni contributive e disciplinari sono previste per omessa, ritardata o infedele comunicazione del reddito prodotto. La seconda infrazione comporta la sospensione dall’Albo professionale fino all’adempimento.
Gli iscritti all’Ordine, ma non alla Cassa, che esercitando la libera professione hanno posizione IVA come architetti, pagano il contributo integrativo del 2% come gli iscritti, ma non devono il contributo minimo. Il contributo deve essere versato in unica soluzione il 5 aprile di ogni anno a mezzo di bollettini forniti dalla Cassa. Sono previste sanzioni contributive per gli inadempienti. Il contributo soggettivo si applica solo agli iscritti alla Cassa. La legge 395/1995 ha istituto un contributo previdenziale del 10% da versare all’INPS, una parte del quale è a carico del committente. Tale contributo non si applica agli iscritti alla Cassa. La legge non chiarisce se, per gli iscritti all’Ordine ma non alla Cassa, muniti di posizione IVA, il 10% debba essere applicato in aggiunta al 2%. La Cassa comunque in attesa di chiarimenti del Governo, ha deciso che il 2% debba continuare a essere applicato. Gli iscritti all’Ordine ma non alla Cassa sono tenuti a fornire alla Cassa la comunicazione già descritta al punto precedente, con le stesse sanzioni contributive e disciplinari. Sono esonerati dalla comunicazione coloro che per l’anno precedente non sono stati tenuti a presentare dichiarazione fiscale agli effetti dell’IRPEF e dell’IVA relativamente a attività professionale.
PENSIONE DI VECCHIAIA
PENSIONE DI ANZIANITÀ
PENSIONE DI INABILITÀ
Il diritto matura al compimento del 65° anno di età purché sussistano almeno 30 anni di iscrizione e contribuzione (comprese quelle maturate con i riscatti e con le ricongiunzioni), fatte salve le anzianità contributive minori previste dalle norme transitorie (15 anni se il professionista risultava iscritto al 5 agosto 1975 e comunque se aveva compiuto 15 anni di iscrizione entro il 1° gennaio 1983; 20 anni se l’iscrizione era già in corso al 29 gennaio 1981). Il diritto è reversibile. Si può continuare a esercitare atti di libera professione, con assoggettamento al pagamento dei contributi e, in conseguenza agli importi versati, ogni 2 anni verrà riconosciuto un supplemento di pensione.
Il diritto matura a qualsiasi anno purché sussistano almeno 35 anni di iscrizione e contribuzione, ivi comprese quelle maturate con i riscatti o le ricongiunzioni. Per gli iscritti al 1° gennaio 1961 sono utili, al solo fine della maturazione del diritto, anche gli anni di anteriore effettivo esercizio professionale. Il diritto è reversibile. Non è consentito continuare nell’esercizio della libera professione. La corresponsione della pensione è subordinata alla cancellazione dall’Albo professionale ed è incompatibile con l’iscrizione a qualsiasi Albo o elenco di lavoratori autonomi e con ogni attività di lavoro dipendente.
Spetta per sopravvenuta incapacità permanente e totale all’esercizio della professione se questa si è verificata dopo almeno 5 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa (10 anni se l’incapacità sia insorta prima del 2 novembre 1990) e purché l’iscrizione risulti in atto alla data in cui è insorta l’inabilità. In caso di inabilità per infortunio si prescinde dalla anzianità minima. Il diritto è reversibile. La liquidazione della pensione è subordinata alla cancellazione dall’Albo professionale. Se il professionista gode di pensione a carico di un istituto diverso dalla Cassa, pensione la cui decorrenza sia antecedente all’iscrizione alla Cassa, non matura il diritto a pensione ma solo al supplemento di quella già in atto, da attuarsi tramite ricongiunzione dei periodi assicurativi presso l’istituto erogatore.
PENSIONI DELLA CASSA
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URB
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
. ITÀ C.2.4I DI ATTIV CAMP . ALI C.2.5TI CULTUR ISTITU ACATI D E SIN . C.2.6 A M SISTE NISTICO IO PENS
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C.2. 6./7.
ESERCIZIO PROFESSIONALE SISTEMA PENSIONISTICO
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ORDINAMENTO
➦ PENSIONI DELLA CASSA PENSIONE DI INVALIDITÀ
PENSIONE INDIRETTA AI SUPERSTITI
PENSIONE DI REVERSIBILITÀ
Spetta nel caso di riduzione a meno del 70% della capacità lavorativa, alle stesse condizioni previste per la pensione di inabilità. Il diritto viene riconosciuto anche se l’infermità che ne ha dato origine preesisteva all’iscrizione, purché vi sia stato successivo aggravamento che abbia provocato ulteriore riduzione, sino a superare la soglia del 70%, della capacità lavorativa. Se il professionista gode di pensione a carico di un istituto diverso dalla Cassa, non matura il diritto a pensione ma solo al supplemento di quella già in atto da attuarsi tramite ricongiunzione dei periodi assicurativi presso l’istituto erogatore.
Il diritto matura al verificarsi del decesso, sempreché a tale momento siano maturati 5 anni, anche non consecutivi, di iscrizione e contribuzione. Si prescinde dall’anzianità minima quando il decesso è causato da infortunio. Sono soggetti del diritto il coniuge, i figli minorenni, i figli maggiorenni qualora inabili a proficuo lavoro, i figli maggiorenni che proseguano gli studi sino alla durata minima del corso di studi e comunque non oltre il 26° anno di età nel caso di studi universitari. Se il professionista godeva di pensione a carico di un istituto diverso dalla Cassa, non matura il diritto a pensione ma solo al supplemento di quella già in atto da attuarsi tramite ricongiunzione dei periodi assicurativi. Il diritto sussiste se il professionista risultava iscritto alla Cassa in data anteriore al pensionamento da altro istituto.
Il diritto matura al verificarsi del decesso del professionista già pensionato. Sono reversibili tutte le pensioni dirette erogate dalla Cassa (vecchiaia, anzianità, inabilità, invalidità) nonché il trattamento previdenziale di cui all’art.6 della 1046/1971. Agli aventi diritto spettano nel caso di un superstite, il 60% della pensione diretta, per ogni ulteriore superstite il 20% della stessa, fino a un massimo complessivo del 100% della pensione diretta.
L’INDENNITÀ DI MATERNITÀ
CONTRIBUTO PREVIDENZIALE ALL’INPS SUL LAVORO AUTONOMO
Istituita dalla legge 379/1990, spetta alle iscritte alla Cassa per i casi di: • gravidanza e puerperio; • interruzione di gravidanza, per motivi spontanei o terapeutici, dopo il compimento del sesto mese; • adozione o affidamento di preadozione, a condizione che il bambino non abbia superato i 6 anni; • aborto spontaneo o terapeutico, verificatosi non prima del terzo mese di gravidanza.
La legge 335/1995 ha istituito un contributo previdenziale sul lavoro autonomo, da versare all’INPS. La misura, inizialmente del 10% del reddito netto, è stata elevata al 12% con la legge finanziaria 1998, limitatamente ai professionisti privi di copertura assicurativa (non dipendenti né iscritti alla Inarcassa). I professionisti soggetti al contributo possono maggiorare le fatture del 4% a titolo di rivalsa sul committente. Tale maggiorazione è soggetta a IVA e (diversamente dal contributo del 2% spettante alla Cassa) anche a IRPEF, perciò rientra nella somma sulla quale calcolare la ritenuta fiscale d’acconto. Il contributo è dovuto per i redditi non assoggettati al contributo soggettivo obbligatorio dovuto all’Inarcassa. Gli iscritti alla Inarcassa sono soggetti al contributo INPS solo per i redditi di lavoro autonomo non assoggettati alla Inarcassa, quali i compensi per collaborazione coordinata e continuativa (attività di amministratore di società o sindaco o docenza per corsi di aggiornamento o simili). Per tali redditi il contributo viene versato direttamente dal committente all’INPS, trattenendo un terzo della somma da corrispondere. Gli architetti e gli ingegneri iscritti all’Ordine e dotati di partita IVA, ma non iscritti alla Inarcassa essendo dipendenti, pagano alla Inarcassa il contributo integrativo del 2% sulle fatture emesse, da rivalere sul committente. Pagano inoltre il 10% all’INPS sul reddito netto di lavoro autonomo con facoltà di rivalsa sul committente del 4% sulle fatture. Pagano quindi sulla stessa fattura il 2% alla Inarcassa e il 4% all’INPS. L’assoggettamento al contri-
L’indennità spetta per 5 mesi (2 mesi antecedenti e 3 successivi all’evento) nei primi tre casi e per un mese nel quarto caso. L’ammontare è pari all’80% di cinque dodicesimi o di un dodicesimo del reddito percepito e dichiarato ai fini fiscali dalla iscritta nel secondo anno precedente a quello della domanda. L’indennità minima spettante per l’anno 2001 è stata di € 3.777,69, parametrata alle giornate lavorative comprese nei 5 mesi di tutela. Il contributo, istituito nel 1999, è dovuto da tutti gli iscritti. Per l’anno 2002 è di € 50.
buto INPS decorre dal 1° luglio 1996. Il contributo deve essere versato all’INPS con le seguenti scadenze: • entro il 31 maggio un acconto pari al 40% dell’importo dovuto risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’anno precedente; • entro il 30 novembre un secondo acconto del 40%; • entro il 31 maggio il saldo del contributo dovuto per l’anno precedente. I professionisti iscritti all’Ordine, privi di rapporto di dipendenza e di partita IVA e quindi non iscritti alla Inarcassa, né ad altre forme previdenziali, se svolgono solo lavoro occasionale non sono soggetti a contribuzione nè all’INPS nè alla Inarcassa. In posizione analoga sono i professionisti dipendenti, iscritti all’Ordine ma privi di partita IVA: essi non sono soggetti al contributo per eventuale lavoro autonomo, visto che in assenza di partita IVA non possono esercitare la professione, ma possono solo compiere atti occasionali (vedi sottocapitolo C.2.7 – Sistema tributario). Tali redditi sono da dichiarare nel quadro L del Mod. Unico. I compensi riscossi da dipendenti pubblici per incarichi dell’ente o comunque derivanti dal ruolo che svolgono all’ente, non sono assoggettati al contributo e sono assimilati al reddito di lavoro dipendente. Rientrano invece nel regime del contributo all’INPS i redditi percepiti da professionisti dipendenti per collaborazione coordinata e continuativa. In ogni caso non sono soggetti al contributo coloro che hanno superato i 65 anni. Non sono assoggettabili i redditi derivanti da diritto d’autore.
SISTEMA TRIBUTARIO ADEMPIMENTI PER L’INIZIO DELL’ATTIVITÀ PROFESSIONALE Il professionista che, superato l’esame di abilitazione ha richiesto e ottenuto l’iscrizione all’Albo professionale, e intende svolgere in modo abituale, ancorché non esclusivo, la libera professione è tenuto a curare una serie di atti e formalità prescritti dalle norme fiscali. In base a considerazioni di Ordine professionale e situazioni personali può scegliere fra tre modalità di esercizio della professione, tra l’altro non escludenti l’una l’altra, ma autonomamente regolamentate dalle norme fiscali: • l’esercizio in forma individuale; • l’esercizio in forma associata;
• l’esercizio in forma societaria, avendo la legge 7 agosto 1997, n.266 (art.24, n.1), abolito il divieto di costituire società tra professionisti sancito dall’art.2 della legge 1815/1939, senza tuttavia eliminare l’obbligo della denominazione di studio associato previsto all’art.1 della legge citata. La stessa legge 266/1997 ha rinviato a un decreto del Ministro di grazia e giustizia, di concerto con quello dell’industria e per la competenza, con quello della sanità, per dettare disposizioni che consentano la nascita di
una società specializzata con norme proprie tra professionisti. Il decreto seppure in uno stato avanzato di concertazione, a tutt’oggi non è stato pubblicato. Ma cosa deve intendersi per esercizio della libera professione rilevante ai fini fiscali e quale è esattamente il momento dell’inizio dell’attività professionale in tutti quei casi in cui questa non è esercitata in via esclusiva? La risposta al quesito non può essere immediata e univoca, anche se nella legge sull’IVA è contemplata una definizione compiuta di esercizio dell’attività professionale.
ATTIVITÀ ABITUALE O OCCASIONALE: PRESUPPOSTO PER L’IVA L’art.5, comma 1, del DPR n.633/1972 stabilisce che per l’esercizio di arti e professioni debba intendersi l’esercizio per professione “abituale” ancorché non esclusiva di qualsiasi attività di lavoro autonomo, attribuendo quindi soggettività IVA a quei soggetti che svolgono attività di lavoro autonomo in modo “abituale”. La stessa definizione di lavoro autonomo si ritrova ai fini delle imposte sui redditi nell’art.49 del DPR n.917/1986. Entrambe le norme tributarie citate si riferiscono, quindi, esclusivamente al concetto di abitualità e non fanno
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dipendere tale circostanza da elementi di fatto oggettivamente riscontrabili, quali l’iscrizione all’Albo professionale, un determinato ammontare dei compensi percepiti o la durata della prestazione effettuata. La giurisprudenza tributaria di merito e di legittimità ha accentuato poi questa indeterminatezza affidando di volta in volta al solo requisito dell’abitualità la soluzione di casi specifici (Comm. Trib. Centrale sez. VI, n.1338 del 13 febbraio 1986 e sez. XII n.6443 del 10 ottobre 1990).
Perché si possa configurare esercizio di attività professionale occorre che il professionista abbia posto in essere atti specificamente orientati in tal senso e quindi che abbia adottato una serie di comportamenti concludenti; pertanto è necessaria l’organizzazione di un minimo di mezzi, quali l’acquisto di attrezzature specifiche e adeguate, l’allestimento di un locale idoneo per lo svolgimento di attività professionale, la predisposizione del soggetto a rivolgersi alla generalità della clientela; questi indici potrebbero già essere sufficienti per la prova
ESERCIZIO PROFESSIONALE • ORDINAMENTO SISTEMA TRIBUTARIO
C.2. 7. A.ZIONI
dell’esercizio stesso, qualora siano oggettivamente ravvisabili. Di conseguenza, la prima prestazione eseguita in tale ambito, potrebbe essere sufficiente per stabilire la data d’inizio. La mancanza assoluta di questi indizi, in presenza poi di una attività di lavoro dipendente principale, riteniamo possa senz’altro escludere l’esercizio di una attività professionale abituale. Va comunque rilevato che in materia l’Ordine può intervenire sotto il profilo discipli-
nare qualora il non assoggettamento a IVA costituisca elemento per mettere in posizione più favorevole un iscritto rispetto a un altro in occasione del conferimento di un incarico di un certo rilievo. L’amministrazione finanziaria, nei suoi scarsi interventi sull’argomento, ha ritenuto sussistere, salvo rarissime eccezioni, il requisito dell’abitualità e quindi l’obbligo della posizione IVA per il professionista iscritto all’Albo professionale che svolge anche un solo atto professionale
ripetuto in ogni periodo di imposta, ravvisando per questo solo atto l’abitualità professionale. Da parte dell’amministrazione finanziaria sembra però ormai acquisito il concetto che la nozione di “abitualità” per un iscritto a un Albo debba intendersi piuttosto come professionalità e quindi idoneità a svolgere autonomamente un atto professionale, che come eventuale ricorrenza significativa di singoli atti professionali.
sionista abilitato, (dottore commercialista, ragioniere collegiato) oppure dichiarare di tenere e conservare a propria cura nel proprio domicilio o nel proprio studio le suddette scritture. La comunicazione è rilevante ai fini dell’individuazione del luogo ove l’ufficio potrà effettuare l’ispezione delle scritture contabili. È bene rammentare che sono previste sanzioni nel caso di omessa, ritardata o erronea indicazione del luogo e del soggetto depositario. Nessuna opzione preventiva si rende necessaria per la scelta del regime contabile (semplificato od ordinario) da adottare né per la scelta del regime di determinazione del reddito (forfettario od ordinario) per i contribuenti minimi e che, ove consentito, può essere scelto con comportamenti effettivi seguiti da una semplice comunicazione da effettuarsi nella dichiarazione dei redditi dell’anno di riferimento, anche in
mancanza della comunicazione verrà confermato il regime contabile prescelto in base ai comportamenti concludenti. Anche l’opzione per la liquidazione dell’IVA trimestrale, anziché quella mensile naturale, se si dichiara un volume di affari inferiore a € 185.924,48 annui o ragguagliati ad anno in caso di inizio attività e può essere esercitata nella prima dichiarazione annuale. Qualsiasi variazione di uno degli elementi richiesti al momento dell’inizio attività, compresa la cessazione della stessa, deve essere comunicata all’Ufficio sempre con l’apposito modello entro 30 giorni dal suo verificarsi. Dal 1° aprile 1998 le sanzioni amministrative per la ritardata od omessa comunicazione sono state elevate dal minimo di € 516,46 a € 2.065,83. È prevista la non applicazione delle sanzioni se si effettua, con ravvedimento spontaneo, la comunicazione entro 90 giorni.
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B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
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ESERCIZIO IN FORMA INDIVIDUALE Il professionista che intende svolgere la propria attività professionale, deve farne dichiarazione all’Ufficio provinciale delle entrate nel cui ambito si trova il proprio domicilio fiscale entro 30 giorni dall’effettivo inizio. Tale iscrizione vale anche come comunicazione di inizio attività ai fini delle imposte dirette e comunali. L’Ufficio attribuisce al professionista un numero di partita IVA che deve essere indicato nelle dichiarazioni e in ogni altro documento emesso o ricevuto rilevante ai fini IVA (art.35, DPR n.633/1972). L’attribuzione del numero avviene contestualmente alla presentazione di un apposito modello ufficiale e i dati risultanti, attraverso appositi terminali, vengono immessi direttamente nell’Anagrafe tributaria. Il professionista ha due possibilità: indicare un soggetto depositario qualora abbia inteso affidarsi a un profes-
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
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F. TERIALI,
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ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE IN FORMA ASSOCIATA L’atto associativo è, nella sostanza, una scrittura privata tra professionisti partecipanti i quali con l’atto stesso esprimono la volontà di esercitare in comune la professione e ne stabiliscono contestualmente le condizioni di attuazione. Ai fini fiscali, è inoltre richiesto, che l’atto assuma la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata nelle firme da un notaio, il quale ha anche l’obbligo della successiva registrazione entro 20 giorni con il pagamento della relativa imposta fissa di registro di € 129,11. L’atto costitutivo dell’associazione di regola non prevede, salvo diverso accordo dei partecipanti, la costituzione di un patrimonio iniziale, ma occorre comunque indicarne un valore ai fini fiscali. È prevista, inoltre, salvo diverso accordo, la partecipazione in parti uguali alla formazione del successivo patrimonio dell’associazione che sarà costituito da tutti i futuri beni mobili e immobili dell’associazione acquistati con i mezzi finanziari dell’associazione stessa. La costituzione dell’associazione deve essere comunicata all’Ordine provinciale al quale sono iscritti i singoli associati. La nuova legge sugli appalti pubblici come modificata dalla legge 216/1995 ha introdotto una nuova figura di associazione qualificata come raggruppamento temporaneo di professionisti. In attesa di una migliore specificazione di tale soggetto che potrebbe venire dal regolamento, si ritiene che il raggruppamento temporaneo di professionisti, mutuato dal raggruppamento temporaneo di imprese, non possa che assumere la veste di una associazione professionale di scopo e limitata nel tempo e quindi pienamente assimilabile dal punto di vista del trattamento fiscale alle associazioni tra professionisti. Dal punto di vista fiscale, l’associazione professionale assume autonoma rilevanza rispetto agli associati, per cui, ai sensi dell’art.35 del DPR n.633/1972, entro 30 giorni dalla costituzione deve essere presentata regolare denuncia e richiesta di attribuzione del numero di partita IVA, all’ufficio territorialmente competente con le modalità descritte
in premessa. L’Ufficio delle entrate assegna quindi la partita IVA propria dell’associazione e, pertanto, i singoli soci qualora non esercitino alcuna attività professionale al di fuori dell’associazione dovranno provvedere, sempre entro 30 giorni a chiudere la propria partita IVA per cessazione di attività. Infatti il professionista che intraprende l’esercizio della professione esclusivamente in forma associata, per aver costituito con dei colleghi una nuova associazione professionale o per essere entrato a far parte di una già costituita non ha obblighi tributari, personali, immediati e diretti. Tutti gli obblighi e le opzioni, connessi all’inizio dell’attività già descritti per il singolo professionista vengono trasferiti all’associazione professionale e in modo particolare l’adempimento degli stessi viene demandato ai suoi rappresentanti legali. Anche l’Associazione professionale una volta costituita ex novo e modificata sempre con atto autenticato nelle firme da notaio e avviato dallo stesso alla registrazione, deve denunciare, entro 30 giorni, l’inizio dell’attività all’Ufficio delle entrate territorialmente competente e chiedere l’attribuzione di un numero di partita. Ferme restando le modalità e i tempi di presentazione dell’apposito modello all’Ufficio già descritti per i professionisti individuali, occorre aggiungere alcune particolarità: • alla domanda va allegata una copia autentica dell’atto costitutivo o modificativo dell’associazione rilasciata dal notaio rogante; • oltre l’indicazione del rappresentante legale della Associazione, nel modello vanno riportate le generalità e i dati fiscali di tutti gli associati. Anche per l’associazione la variazione di alcuni degli elementi indicanti comporta l’obbligo della presentazione della denuncia di variazione dati, compreso il regresso o l’ingresso di nuovi associati. Tutte le variazioni che comportano modifica dell’atto costitutivo devono però essere presentate allegando al modello copia autentica dell’atto di modifica autenticato nella firma e in corso di registrazione.
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO (IVA) TASSA DI ATTRIBUZIONE DELLA PARTITA IVA E ANNUALE DI MANTENIMENTO Con l’entrata in vigore dell’IRAP, a partire dal 1° gennaio 1998, la tassa di concessione governativa per l’attribuzione e il mantenimento della partita IVA è stata abolita.
OPERAZIONI SOGGETTE A IVA Il DPR 26 ottobre 1972 n.633 stabilisce che sono soggette a IVA le prestazioni professionali che presentano i seguenti requisiti: 1. sono eseguite nell’ambito di una qualsiasi attività di lavoro autonomo abituale, anche se non esclusiva, nei confronti di chiunque. Rimane da risolvere, caso per caso, la qualificazione delle prestazioni occasionali o meno per la loro assoggettabilità a IVA; 2. sono retribuite.
Fanno eccezione i casi particolari di prestazioni rese all’estero, come vedremo in seguito. Da quanto esposto, salvo casi particolari, si evince che non sono soggette a IVA le prestazioni professionali: • eseguite occasionalmente; queste operazioni sono però rilevanti per le imposte dirette: i relativi compensi rientrano nella categoria dei redditi diversi, che devono essere inclusi nel reddito complessivo dell’anno in cui sono stati percepiti; • gratuite. I diritti d’autore, compresa la cessione degli stessi, continuano a essere esclusi da IVA, con l’eccezione di opere di: • ingegneria e architettura; • cinematografia; • pubblicità commerciale. Resta quindi esclusa da IVA, con le eccezioni dette sopra, l’attività del soggetto che come professione abituale scrive libri, musica, soggetti teatrali.
OBBLIGHI DOPO L’APERTURA DELLA POSIZIONE IVA Sono i seguenti: 1. obbligo di tenuta e conservazione delle scritture contabili appositamente redatte; 2. obbligo di richiedere fattura e altra idonea documentazione in casi specifici, per tutti gli acquisti e le spese sostenute nell’esercizio dell’attività professionale, nonché obbligo di rilasciare parcella per tutti gli onorari percepiti e di conservare ordinatamente i documenti ricevuti e copia di quelli rilasciati; 3. obbligo di presentare le dichiarazioni periodiche annuali ai fini IVA e dei redditi e obbligo di assolvere a qualsiasi altro tributo prescritto dalla legge agli esercenti arti e professioni. È opportuno che contestualmente alla richiesta di attribuzione del numero di partita IVA si proceda a far bollare
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. C.2.6 A M SISTE NISTICO IO PENS . ARIO C.2.7 A TRIBUT M SISTE
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C.2. 7.
ESERCIZIO PROFESSIONALE SISTEMA TRIBUTARIO
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ORDINAMENTO
➦ IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO (IVA) ➦ OBBLIGHI DOPO L’APERTURA DELLA POSIZIONE IVA dall’Ufficio delle entrate i registri IVA degli acquisti e degli onorari. Oltre a tali registri occorrerà poi far vidimare all’Ufficio delle entrate o da un notaio il registro degli incassi e pagamenti valido ai fini delle imposte dirette ai sensi dell’art.19 del DPR 600/1973 oppure il registro cronologico in caso di contabilità ordinaria. Il registro degli incassi e pagamenti può anche non essere tenuto se il registro tenuto ai fini IVA, è integrato con i dati richiesti ai fini delle imposte dirette.
PRESTAZIONI RESE ALL’ESTERO O DA PROFESSIONISTI ESTERI Ai fini di valutare l’assoggettabilità o meno all’IVA della prestazione professionale di un professionista occorre distinguere: • se la prestazione è utilizzata interamente fuori i Paesi UE; in ogni caso essa non è soggetta a IVA; • se la prestazione è resa a un soggetto domiciliato o residente in uno stato UE essa è: 1. imponibile IVA 20% se il soggetto è un privato (consumatore finale); 2. non imponibile IVA ai sensi dell’art.7 DPR 633/1972 se il soggetto estero è un soggetto IVA nel suo stato di residenza (impresa, Ente pubblico o privato). La prestazione professionale in Italia di un professionista residente in uno Stato estero è sempre imponibile IVA, che il committente risieda in Italia e sia un privato o che sia un soggetto IVA. In tal caso dovrà essere osservato l’art.17 del DPR 633/1972. Se il committente italiano è un privato cittadino il professionista estero dovrà nominare necessariamente prima dell’inizio della prestazione un rappresentante legale in Italia che provvederà alle formalità di registrazione e versamento dell’IVA. Se il committente italiano è un soggetto IVA, impresa, ente o professionista, in alternativa alla prassi di cui al punto precedente lo stesso committente può provvedere attraverso emissioni di “autofattura” alle formalità di registrazione e versamento della relativa imposta.
Diverso è il caso delle prestazioni di servizi relativi a immobili comprese le perizie, per le quali vale ai fini dell’imponibilità l’ubicazione dell’immobile. Le nuove regole dell’IVA sugli scambi extracomunitari di beni non hanno cambiato tali regole.
IVA DOVUTA E IVA DETRAIBILE Sono considerati imponibili ai fini IVA: • i compensi incassati a fronte di prestazioni professionali, compreso il contributo del 2% CNPAIA e il contributo INPS 4% addebitato a titolo di rivalsa, oppure quelli regolarmente fatturati anche se non ancora incassati, eccetto il caso delle fatture in sospeso emesse nei confronti di Enti pubblici per le quali è prevista la esigibilità dell’IVA, e quindi il momento di liquidazione a debito nei confronti dell’Erario, solo all’atto del pagamento da parte dell’Ente. Le prestazioni professionali sono soggette a IVA con aliquota ordinaria del 20%; • le cessioni di beni strumentali o di altri beni inerenti la professione. Tali cessioni, non concorrono a formare il “volume d’affari”. Esiste poi un particolare regime cosiddetto del margine per le cessioni di beni acquistati da privati o usati. L’IVA si applica solo sul margine (di utile).
DETRAIBILITÀ DELL’IVA È detraibile l’IVA addebitata ai professionisti dai fornitori nelle fatture per gli acquisti effettuati “nell’esercizio dell’attività professionale”. Il requisito della detraibilità risiede, quindi, nella “inerenza” delle spese rispetto all’attività professionale. È quindi detraibile in unica soluzione e al 100%, anche se soggetto ad ammortamento perché superiore a € 516,46, l’IVA addebitata nelle fatture per acquisto di beni strumentali; di spese generali di studio (luce, telefono, cancelleria, libri); di collaborazioni di altri professionisti. Esistono, tuttavia, le seguenti eccezioni: 1. è indetraibile, per il 90% del suo ammontare, l’IVA sull’acquisto, leasing o noleggio di autovetture, motocicli e ciclomotori, o di veicoli a uso promiscuo qualsiasi sia la cilindrata; il 10% dell’IVA è detraibile;
2. è indetraibile l’IVA sugli acquisti per omaggi e spese di rappresentanza, se il valore dell’omaggio supera € 25,82; 3. è indetraibile l’IVA relativa all’acquisto di carburanti, di lubrificanti e per la manutenzione e riparazione dei veicoli; 4. è indetraibile l’IVA esposta sulle fatture degli alberghi, ristoranti, pubblici esercizi, trasporti di persone e pedaggi autostradali; 5. è indetraibile il 50% dell’IVA relativa all’acquisto di telefoni cellulari e alle loro spese di servizio. È utile evidenziare che mentre ai fini IRPEF le spese sostenute possono essere dedotte dai compensi secondo il criterio di “cassa”, salvo alcune eccezioni, ai fini IVA è rilevante il criterio di esigibilità, ovvero di ricevimento della fattura da parte del fornitore, indipendentemente dal pagamento e dalla registrazione che devono avvenire entro l’anno in cui si esercita il diritto alla detrazione. La possibilità della detrazione è prevista fino a 2 anni successivi alla data in cui è avvenuta l’operazione.
OPERAZIONI PROMISCUE AI FINI IVA E SPESE DELLO STUDIO-ABITAZIONE Ai sensi del nuovo art.19.4 del DPR 633/1972, in caso di acquisto di beni e servizi utilizzati in parte per effettuare operazioni imponibili e in parte operazioni non soggette all’imposta, per fini privati o comunque estranei alla professione, la detrazione non è ammessa per la quota imputabile a tali ultime operazioni. L’ammontare indetraibile deve essere determinato dal professionista secondo criteri oggettivi “coerenti con la natura dei beni o servizi acquistati”. Quindi, a partire dal 1° gennaio 1998, l’IVA pagata per beni e servizi utilizzati promiscuamente è detraibile per la parte riferibile all’attività secondo criteri oggettivi, coerenti con la natura dei beni e servizi acquistati (ad es. un professionista che utilizza promiscuamente un immobile destinando per il 70% della superficie a studio professionale, al netto di corridoi, disimpegni e servizi, e per la restante parte ad abitazione, potrà detrarre il 70% dell’IVA sulla bolletta del metano usato per il riscaldamento dell’immobile).
FATTURAZIONE E ANNOTAZIONE DELLE OPERAZIONI PARCELLE Le norme IVA impongono l’obbligo della fatturazione per tutti i professionisti, all’atto del pagamento dell’onorario. Il documento (parcella, fattura o notula professionale) deve essere emesso in duplice copia, una delle quali deve essere consegnata o spedita al cliente nello stesso giorno. Quindi, se il cliente non paga subito, non converrà emettere fattura al momento della prestazione, per evitare che, con la consegna della copia, datata e numerata progressivamente, scattino gli obblighi di registrazione e versamento di un’IVA ancora non incassata. Al posto della fattura, in attesa del pagamento, può essere invece emesso un avviso di pagamento o nota professionale che è consigliabile assoggettare a bollo di € 1,29 se la somma supera € 77,47: è consigliabile che l’avviso rechi la dicitura “IVA 20% dovuta all’incasso” o simile. Ciò eviterebbe il versamento di una imposta non incassata, mentre si ritiene che l’avviso di pagamento possa costituire titolo per promuovere azioni di recupero di credito nei confronti del cliente che non paga. Una volta ricevuto il corrispettivo, verrà emessa la fattura, con la data dell’incasso, e una copia verrà consegnata o spedita al cliente: da questo momento decorre l’obbligo di annotazione nel registro delle fatture emesse (IVA), che deve avvenire entro i 15 giorni successivi all’emissione, ma con riferimento a detta data. Le parcelle registrate devono però essere considerate nella liquidazione IVA del periodo di competenza determinato dalla data della parcella. Se, ad esempio, una parcella ha data 31 marzo potrà essere registrata entro il 15 aprile ma dovrà essere considerata nella liquidazione IVA del primo trimestre. La fattura deve essere datata, numerata progressivamente e deve contenere le seguenti indicazioni: a) denominazione del professionista e del cliente, loro domicilio e residenza; b) natura, qualità e quantità dei servizi che sono oggetto dell’operazione; c) altri corrispettivi entranti a far parte della base imponibile; d) aliquota e ammontare dell’imposta; e) codice fiscale del professionista e numero di partita IVA. È consigliabile, perché utile ai fini delle altre annotazioni, riportare anche il codice fiscale e/o partita IVA del cliente. Deve assoggettarsi a IVA il corrispettivo dovuto al professionista compresi gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione, ed escluse soltanto
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le somme dovute a titolo di rimborso delle anticipazioni fatte in nome e per conto della controparte, purché regolarmente documentate. Si ricorda che il contributo integrativo 2% dovuto alla Cassa di previdenza, che prima era escluso dall’IVA, dal 24 febbraio 1995 (DL n.41 del 23 febbraio 1995 convertito nella legge 22 marzo 1995 n.85) deve essere assoggettato a IVA, mentre continua a non essere considerato reddito e a essere pertanto escluso dall’IRPEF e conseguentemente dalla ritenuta di acconto. È soggetto sia a IVA che a ritenuta d’acconto il contributo del 4% INPS addebitato a titolo di rivalsa per l’iscrizione del professionista nella gestione speciale INPS “lavoratori autonomi”.
FATTURAZIONE CON IL BOLLETTARIO Il DM 31 ottobre 1974 prevede per esercenti arti e professioni, la possibilità di utilizzare per la fatturazione e la registrazione appositi bollettari a ricalco “a madre e figlia” vidimati dall’ufficio IVA prima di essere posti in uso, il cui modello è stato approvato con il decreto stesso. Di questo bollettario, la sezione figlia, compilata al momento del pagamento, costituisce la fattura da consegnare al cliente; con la compilazione contemporanea della “sezione madre” viene effettuata la registrazione e l’insieme delle sezioni “madre” costituisce il registro delle fatture emesse; con un’unica operazione, quindi, è possibile adempiere tutti gli obblighi relativi alla fatturazione e registrazione. Tuttavia l’uso di tale bollettario è comunque sconsigliabile in quanto la preventiva vidimazione di tutti i fogli e la conseguente necessità di conservazione di tutte le copie impone una certa rigidità formale nella compilazione materiale delle singole parcelle e inoltre non sostituisce il libro degli incassi ai fini delle imposte dirette.
ACQUISTI I beni e i servizi acquistati nell’esercizio della professione devono essere rappresentati da documenti soggetti a IVA e annotati nel registro degli acquisti. Alla fattura ricevuta deve essere attribuito il numero progressivo nell’anno e l’annotazione deve essere eseguita entro l’anno di ricevimento della fattura stessa.
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I commercianti al minuto e assimilati rilasciano la fattura solo su richiesta del cliente all’atto della conclusione dell’operazione (consegna dei beni o pagamento, se questo avviene prima). Pertanto occorrerà richiederla. Ricordiamo le aliquote che interessano particolarmente il professionista: • 10%: alberghi, ristoranti; • 20%: trasporti extraurbani, aerei e treni; cancelleria e stampati, mobili e macchine d’ufficio; autorimesse e servizi relativi, alberghi di lusso (IVA non recuperabile dal 1° aprile 1979); • sono esenti: affitti di privati, trasporti urbani anche coi veicoli di piazza (taxi). Per le operazioni sopra illustrate il prezzo è comprensivo di IVA, quindi se la fattura viene emessa su richiesta, il corrispettivo deve essere scorporato con formula matematica). Ad esempio: Importo lordo parcella 120 (con IVA al 20%) Operazione da eseguire (120 x 100) : (100 + 20) = 100 che costituisce l’imponibile scorporato x 20% = IVA Una volta in possesso della fattura, questa deve essere annotata sul registro degli acquisti: verranno quindi annotate le fatture dei fornitori (cancelleria, stampati, mobili e macchine d’ufficio, libri ecc.), le fatture d’acqua, luce, telefono relative allo studio, le fatture delle assicurazioni, dei servizi prestati dai centri meccanografici e di elaborazione di dati; le fatture per l’acquisto, riadattamento e modifica dei locali, degli arredi e impianti dello studio. Separatamente dalle spese per cui è emessa la fattura, vanno annotate le spese non soggette a IVA ma rilevanti ai fini delle imposte sul reddito (se i registri IVA valgono anche a tal fine): ad esempio le note di acquisto dei valori bollati e postali. Le ricevute della locazione, di trasporti urbani, devono essere annotate nella colonna “operazioni esenti”. Le fatture di importo inferiore a € 154,94 possono non essere annotate singolarmente: in luogo di ciascuna di esse può essere annotato un documento di riepilogo che riporti il numero delle fatture cui si riferisce, l’ammontare imponibile e l’imposta relativi alle operazioni che riepiloga, distinti secondo l’aliquota applicabile. Dalla registrazione devono risultare la data della fattura, il numero progressivo a essa attribuito, la ditta, denominazione o ragione sociale. Gli importi con IVA indetraibile devono essere annotati in apposita colonnina, anche se non esiste obbligo di registrazione ai fini IVA. È ovvio che sarà interesse del professionista richiedere fattura anche per le spese con IVA indetraibile in quanto le stesse, compresa IVA, possono essere dedotte ai fini IRPEF. Le fatture relative ai beni e servizi acquistati, numerate progressivamente, debbano essere annotate in apposito registro entro l’anno nella cui dichiarazione viene esercitato il diritto alla detrazione dell’imposta.
LIQUIDAZIONE PERIODICA DELL’IVA In base alle nuove regole sulla esigibilità introdotte dal DLgs 2 settembre 1997, n.313, l’IVA da versare è la differenza tra l’IVA addebitata ai clienti nelle parcelle emesse nel periodo (ancorché non registrate) e l’IVA detraibile esposta sulle fatture ricevute nel periodo, anche se non registrate. Ad esempio: DOCUMENTO
IVA
REGISTRAZIONE
• Parcella emessa il 30 maggio
€ 20
entro il 14 giugno
• Fattura d’acquisto datata 21 maggio
€ 10
entro il 31 dicembre
IVA da versare entro il 15 giugno: € 10 (per professionisti con IVA mensile). Ai fini della periodicità delle liquidazioni e dei versamenti vengono individuati due scaglioni commisurati al volume di affari IVA dell’anno precedente: sino a € 185.924,48 e oltre € 185.924,48. Le liquidazioni periodiche vanno effettuate considerando per quanto riguarda la fattura emessa, quelle riportanti data cadente nel periodo anche se per effetto dei 15 giorni, sono state registrate in un periodo successivo e per le fatture di acquisto quelle effettivamente ricevute nel periodo anche se riportanti date antecedenti e se ancora non registrate. La periodicità naturale per le liquidazioni e i versamenti è quella mensile. I professionisti che nell’anno precedente o per il primo anno di attività non hanno realizzato un volume d’affari superiore a € 185.924,48, possono optare, senza darne preventiva comunicazione, per la liquidazione dell’IVA trimestrale con un aggravio dell’1% da versarsi a titolo di interessi sull’IVA dovuta. Il versamento va effettuato sulla delega del conto fiscale con gli appositi codici, presso un istituto bancario della circoscrizione di competenza del concessionario della riscossione individuato rispetto al proprio domicilio fiscale. Il mancato o ritardato pagamento dell’IVA periodica comporta l’applicazione di una somma del 30%, come stabilito dalla riforma del sistema sanzionatorio in vigore dal 1° aprile 1998. I termini di versamento che cadono in giorni festivi, compreso il sabato, sono prorogati al primo giorno feriale successivo. A partire dal mese di maggio 1998, sono previsti termini di versamento unificati per le imposte IVA, IRPEF, IRAP e i contributi previdenziali. Il versamento va effettuato entro il giorno 16 del mese successivo a quello della liquidazione. Rimane fermo il termine per il versamento dell’acconto IVA.
SCADENZE DELLE LIQUIDAZIONI E DEI VERSAMENTI UNIFICATI SULLA BASE DI SCAGLIONI COMMISURATI AL VOLUME D’AFFARI IVA DELL’ANNO PRECEDENTE Sino a € 185.924,48 (volume d’affari dell’anno precedente) Liquidazioni e versamenti trimestrali per coloro che hanno optato per il regime trimestrale con aggravio del versamento dovuto dell’interesse dell’1%: • 16 maggio: versamento 1° trimestre e annotazione; • 16 agosto: versamento 2° trimestre e annotazione; • 16 novembre: versamento 3° trimestre e annotazione; • 16 marzo dell’anno successivo: versamento 4° trimestre a saldo; dichiarazione annuale da presentarsi entro il termine di presentazione della dichiarazione unificata. I saldi a debito di maggio, agosto o novembre, di importo sino a € 25,82 si riportano al periodo successivo o alla dichiarazione annuale. Per quest’ultima il limite è di 10,33. Oltre € 185.924,48 Liquidazione e versamenti mensili unificati: entro il giorno 16 del mese successivo a quello di competenza.
ACCONTO IVA DI DICEMBRE L’art.6, comma 2 della legge 29 dicembre 1990, n.405, ha introdotto, a decorrere dall’anno 1991, il versamento per l’acconto anche per l’IVA relativa all’ultimo mese o all’ultimo trimestre dell’anno, rispettivamente per i professionisti “mensili” o “trimestrali”. I professionisti devono versare entro il giorno 27 dicembre (legge 26 gennaio 1994 n.55), a titolo di acconto, un importo IVA pari all’88% del versamento effettuato o che avrebbero dovuto effettuare per il mese di dicembre dell’anno precedente. Come per l’acconto IRPEF, qualora però si ritenga che il versamento per l’anno in corso, relativo ai suddetti periodi, risulti poi inferiore a quello dell’anno precedente, si può versare una minore somma rapportando la percentuale dell’88% al versamento da effettuare per l’anno corrente. L’ultima disposizione dell’acconto è nell’art.3 comma 1 del DL 250/1995 convertito nella legge 349/1995. Essa, oltre a confermare al 27 dicembre il termine per il versamento, dà facoltà di calcolare l’acconto anche mediante il versamento di un importo determinato, tenendo conto dell’imposta relativa alle operazioni annotate o che avrebbero dovuto essere annotate per il periodo dal 1° al 20 dicembre ovvero dal 1° ottobre al 20 dicembre per i trimestrali; in sostanza è consentito effettuare un’apposita liquidazione al 20 dicembre e versare tale importo. Pertanto allo stato attuale si possono scegliere tre metodi di calcolo dell’acconto a seconda di quello più conveniente per il professionista: 1. metodo storico (88% dell’IVA versata per lo stesso periodo dell’anno precedente); 2. metodo previsionale (88% dell’IVA che si riterrà di dover versare per l’ultima liquidazione dell’anno); 3. metodo alternativo (importo risultante dalla liquidazione effettiva al 20 dicembre dell’anno). La soprattassa per il mancato o insufficiente pagamento dell’acconto è pari al 30% e non si applica se il minore acconto versato si discosta non oltre quello dovuto. L’acconto non va versato se inferiore a € 103,29.
VERSAMENTO IVA IN BASE ALLA DICHIARAZIONE ANNUALE Con l’entrata in vigore della dichiarazione unificata il termine di versamento dell’IVA, in base alla dichiarazione annuale, è stato anticipato rispetto al momento di presentazione della dichiarazione. La differenza tra l’ammontare dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale e l’ammontare delle somme già versate mensilmente o trimestralmente per i primi tre trimestri deve essere versata in unica soluzione entro il 16 marzo di ogni anno. In definitiva il quarto trimestre per i contribuenti trimestrali va versato entro il 15 marzo dell’anno successivo al netto dell’acconto già versato nel mese di dicembre. Lo stesso importo può essere versato entro il termine previsto per la dichiarazione unificata annuale (entro il 31 maggio) maggiorando le somme da versare degli interessi nella misura dello 0,50% per ogni mese o frazione di mese successivo al 16 marzo.
DICHIARAZIONE UNIFICATA
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La dichiarazione annuale deve essere presentata da tutti i contribuenti, anche se in un anno non hanno effettuato operazioni. Con l’entrata in vigore, a partire dal 1° gennaio 1998, delle nuove norme sulla semplificazione, scompare la denuncia IVA che viene inglobata nella nuova dichiarazione unificata (IVA, redditi, Mod.770, IRAP). Il prospetto IVA della nuova dichiarazione unificata che dovrà essere approvato ufficialmente, deve indicare: • l’ammontare degli onorari imponibili registrati nell’anno solare precedente e l’ammontare della relativa imposta; • l’ammontare degli acquisti registrati nello stesso anno, di cui è ammessa la detrazione, distinto per aliquote e imposta relativa; • la differenza fra IVA incassata e IVA pagata e detraibile; • l’ammontare delle somme versate contestualmente alle dichiarazioni periodiche, con gli estremi delle relative quietanze rilasciate dagli istituti di credito. In sede di dichiarazione annuale devono essere operate le detrazioni che non sono state fatte nei rispettivi periodi di competenza. Se dalla dichiarazione risulta un credito a favore del professionista, questo deve essere portato in detrazione per l’anno successivo, annotando il credito di imposta nel registro degli acquisti. Se il credito risulta superiore a € 2.582,28 e anche le dichiarazioni dei 2 anni precedenti risultano a credito, il professionista può chiedere il rimborso per l’importo minore tra
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. ARIO C.2.7 A TRIBUT M SISTE
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ESERCIZIO PROFESSIONALE SISTEMA TRIBUTARIO
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ORDINAMENTO
➦ FATTURAZIONE E ANNOTAZIONE DELLE OPERAZIONI ➦ DICHIARAZIONE UNIFICATA quello che risulta in dichiarazione e quello dei 2 anni precedenti. Il rimborso va richiesto direttamente al Concessionario della riscossione e la richiesta può essere effettuata a partire dal 1° febbraio anche prima della presentazione della dichiarazione. Il Concessionario, dopo aver ottenuto una fidejussione, pagherà il rimborso entro 60 giorni. Il sistema è alternativo: o si anticipa all’erario una somma che poi verrà calcolata in detrazione nelle dichiarazioni successive (al limite nella dichiarazione dell’anno successivo) o si sceglie il rimborso totale. Esiste anche un’altra possibilità: chiedere un rimborso parziale e portare in detrazione il residuo nell’anno successivo. Per i contribuenti che in un anno non hanno effettuato operazioni imponibili il rimborso è limitato alla sola imposta relativa all’acquisto di beni ammortizzabili.
Il rimborso può essere chiesto a condizione che dalle dichiarazioni dei 2 anni precedenti risultino “eccedenze detraibili” e in tal caso il rimborso può essere chiesto per un importo pari al minore di dette eccedenze. Quindi nel caso in cui non sono stati registrati onorari imponibili e quindi l’eventuale IVA pagata non può essere detratta, il professionista deve presentare la dichiarazione e riportare questo credito all’anno successivo. L’art.28.1 del DPR 633/1972 è stato riscritto per tenere conto delle nuove disposizioni previste dal DLgs 241/1997 in materia di presentazione della dichiarazione unificata annuale. Questa dichiarazione si presenta dal 1° maggio al 30 giugno. In base a tale disposto, i professionisti obbligati anche alla presentazione della dichiarazione dei redditi e di quella dei sostituti d’imposta (ritenute effettuate nei confronti di non più di 20 soggetti), devono presentare la dichiarazione unificata annuale. Unitamente a questa sarà presentata anche la denuncia IRAP e quella dei contributi e premi previdenziali.
IMPOSTE DIRETTE REGIME NORMALE (Semplificato o ordinario) Il reddito professionale, ai sensi dell’art.50, è sempre costituito dai compensi incassati nel periodo di imposta meno le spese sostenute sempre nel periodo per l’attività professionale, con alcune eccezioni per particolari spese, che vedremo avanti. A partire dal 1° gennaio 1997 è stata inoltre introdotto un regime forfettario di determinazione del reddito detto dei contribuenti minimi, del quale parleremo più avanti.
e)
COMPENSI Per compenso del periodo d’imposta si deve intendere qualsiasi compenso, in denaro o in natura, percepito anche sotto forma di partecipazione agli utili al netto dei contributi previdenziali e assistenziali stabiliti eventualmente dalla legge a carico del soggetto che corrisponde il compenso al professionista. A tale proposito vale la pena ricordare che con l’entrata in vigore della suddetta disposizione nei confronti di tutti i professionisti a partire dal 1° gennaio 1989, il contributo integrativo del 2% dovuto alla Cassa Nazionale di Previdenza è rimasto definitivamente escluso dal compenso e quindi non più considerato reddito, anche se dal 24 febbraio 1995 esso è ridivenuto imponibile IVA (legge 85/1995). È invece considerato compenso e soggetto quindi a ritenuta IRPEF, il contributo INPS 4% che i professionisti, non iscritti alla Cassa di previdenza e soggetti alla gestione INPS 10-13%, addebitano ai propri clienti a titolo di rivalsa.
SPESE DEDUCIBILI Le spese deducibili sono tutte quelle effettivamente sostenute e quindi pagate per l’esercizio dell’attività professionale, purché documentate con la sola eccezione per i canoni di leasing che sono deducibili nel periodo in cui maturano, indipendentemente dall’effettivo pagamento così come per le quote TFR. Per alcune di esse la deducibilità è limitata o condizionata. Per altre è integrale.
SPESE E AMMORTAMENTI A DEDUCIBILITÀ LIMITATA O CONDIZIONATA a) le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande in pubblici esercizi sono deducibili per un importo complessivamente non superiore al 2% dell’ammontare dei compensi percepiti; b) le spese di rappresentanza sono deducibili nei limiti dell’1% dei compensi percepiti. Sono comprese nelle spese di rappresentanza anche le spese di acquisto per omaggi ai clienti e regalie varie e quelle per oggetti d’arte, di antiquariato e di collezione; c) spese di aggiornamento professionale, ivi comprese le quote di iscrizione a convegni, e le spese di pubblicazioni sono deducibili, al 50%, comprese quelle di vitto e alloggio che però non cumulano con quelle di cui al punto a); d) i canoni di locazione finanziaria relativi a beni mobili strumentali, con le precisazioni riportate al successivo punto f) sono deducibili nel periodo in cui maturano (anziché al momento del pagamento), purché la durata dei relativi contratti non sia inferiore alla metà del periodo di ammortamento del bene determinato con i coefficienti ministeriali riportati in seguito. In pratica, se la quota di ammortamento, in base alla tabella ministeriale riportata, è del 20% (in 5 anni), la
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f)
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durata del contratto di leasing non può essere inferiore a 2 anni e mezzo; per gli immobili utilizzati promiscuamente è deducibile una somma pari al 50% della rendita catastale nel caso di proprietà o del canone di locazione non finanziaria, a condizione che il contribuente non disponga di altro immobile adibito esclusivamente all’esercizio dell’arte o della professione. Nella stessa misura sono deducibili le spese per i servizi relativi a tali immobili. Le istruzioni ministeriali relative alla compilazione della dichiarazione dei redditi fino al 1994 avvertivano che per gli immobili posseduti in proprietà dopo il 15 giugno 1990, le spese condominiali sono indeducibili essendo deducibile esclusivamente la rendita catastale. Allo stesso modo si ritenevano indeducibili le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria in quanto si riteneva che sia le une che le altre entrassero già nella rendita catastale. Ma con l’entrata in vigore della Manovra varata dal governo Dini (legge 85/1995) che ha modificato l’art.50 del TU delle imposte dirette a partire dal 1995, i costi di ristrutturazione ammodernamento e manutenzione straordinaria degli immobili adibiti all’esercizio della professione, ancorché di proprietà sono state inserite tra le spese interamente deducibili con la sola limitazione che tale deduzione deve avvenire in quote costanti ripartite in 5 anni a partire dall’esercizio in cui sono state sostenute, sempre al 50% in caso di studio-abitazione; le spese relative all’acquisto, alla locazione anche finanziaria o al noleggio di altri beni strumentali adibiti promiscuamente all’esercizio dell’arte o professione e all’uso personale o familiare del professionista sono deducibili o ammortizzabili nella misura del 50%; per le spese di manutenzione e impiego relative ad autovetture, motocicli e ciclomotori, qualunque sia la cilindrata, la deduzione è ammessa al 50% limitatamente a un solo automezzo e nel caso di associazioni professionali un automezzo per ciascun associato; la quota di ammortamento di autovetture, motocicli e ciclomotori, qualunque sia la cilindrata (è stato abolito il limite di 2000 cc benzina e 2500 diesel), è deducibile al 50% con le seguenti limitazioni: • fino a un costo fiscalmente riconosciuto di € 18.075,99 per le autovetture; ciò equivale a dire che la parte ammortizzabile è pari a € 9.038,00, ovvero il 50% di € 18.075,99 ancorché la spesa per l’acquisto dell’autovettura sia stata superiore; • fino a un costo fiscalmente riconosciuto di € 4.131,66 per i motocicli (€ 2.065,83 la parte ammortizzabile) e € 2.065,83 per i ciclomotori (€ 1.032,91 la parte ammortizzabile).
Allo stesso modo è indeducibile la quota di costo dei canoni di locazione finanziaria che proporzionalmente eccede i limiti del costo fiscalmente riconosciuto; i) le spese di noleggio di autovetture sono deducibili nel limite massimo di € 3.615,20, quelle per motocicli di € 774,69 e per i ciclomotori di € 413,17. I criteri di deduzione sopraindicati trovano applicazione anche per le residue quote di ammortamento relative ai veicoli acquistati prima del 31 dicembre 1997 e pertanto l’importo delle quote di ammortamento andrà rapportato al costo di acquisto di € 18.075,99. Ad esempio: se il costo di acquisto dell’auto è di € 36.151,98 (già ammortizzato per € 27.113,99) l’ammortamento sarà: 25% di € 36.151,98 = € 9.038,00 9.038,00 : (36.151,98 : 18.075,99) = € 4.519,00 50% di € 4.519,00 = € 2.259,50
j) sono indeducibili i compensi corrisposti al coniuge, ai figli minori e inabilitati e agli ascendenti del professionista o dell’associato, in caso di associazioni. Per tali soggetti le somme ricevute non costituiscono reddito. Continuano a essere deducibili le somme corrisposte ai figli maggiorenni anche se non titolari di partita IVA, e quelle corrisposte al coniuge professionista ovvero titolare di partita IVA per le prestazioni da questo eseguite a favore dell’altro coniuge purchè inerenti all’attività professionale di chi sostiene la spesa.
ALTRE SPESE DEDUCIBILI Le spese del professionista sono deducibili per cassa ovvero nell’anno in cui vengono pagate indipendentemente dalla data dei documenti. Spese relative allo studio: spese di affitto, luce, telefono, riscaldamento deducibili per “cassa” cancelleria, vigilanza, assicurazione ecc. come risultato dalle fatture e documenti in possesso del professionista. Se lo studio è nello stesso appartamento di abitazione, le spese relative all’uso, quale affitto, riscaldamento, condominio, luce, telefono, gas sono deducibili nella misura del 50%. Per gli immobili posseduti in proprietà o in locazione finanziaria dopo il 15 giugno 1990 le spese condominiali sono indeducibili. Spese di personale: addetti alle pulizie, personale, tecnico, impiegati, collaboratori. I compensi corrisposti comprese le quote di TFR maturate (e relativi contributi), pagate durante l’anno, sono deducibili come costi solo se il professionista è in regola con tutti gli obblighi che competono al datore di lavoro. Il personale addetto alla casa e alla famiglia non può essere utilizzato per lo studio e gli eventuali compensi corrisposti non sono deducibili dal reddito professionale a meno che non sia stipulato apposito contratto (dipendenti da studi professionali). Interessi passivi: quando sono relativi all’attività professionale (finanziamenti, dilatazione di pagamento di beni strumentali) e risultano da c/c bancari intestati allo studio, devono essere dedotti in sede di determinazione del singolo reddito netto. Altri oneri passivi possono, invece, essere detratti fra gli oneri personali se ammessi. Premi assicurativi per rischi inerenti all’attività: nessuna limitazione esiste per le spese di viaggio inerenti alla professione. Per tutti gli acquisti di beni e servizi gravati da IVA oggettivamente indeducibile (benzina, ristoranti, alberghi ecc.) l’IVA dev’essere considerata elemento di costo ed è deducibile integralmente dal reddito professionale.
SPESE PROMISCUE Ai fini delle imposte dirette, l’art.50 del TUIR disciplina la deduzione delle spese relative ai beni promiscui (e non anche ai servizi), per i quali la deducibilità è prevista nella misura del 50% e delle spese per i servizi relativi agli immobili promiscui (sole spese condominiali), per i quali la deducibilità è prevista nella misura del 50%. Per quanto concerne gli altri servizi utilizzati promiscuamente (riscaldamento, energia elettrica, telefono ecc.), il citato art.50 non prevede disposizioni specifiche. Alcuni autori, partendo dalla considerazione che nessuna norma giuridica imponeva un limite alla misura della deducibilità delle spese in questione, hanno sostenuto che queste potevano essere dedotte nella misura in cui erano riferibili all’attività esercitata.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • ORDINAMENTO SISTEMA TRIBUTARIO
C.2. 7. A.ZIONI
COME SI DOCUMENTANO LE SPESE Tutte le spese devono essere, documentate, certe, e inerenti all’attività professionale. In generale, documentazione valida per la deducibilità delle spese è costituita dalle fatture da richiedersi anche ai fini IVA a colui che ha ceduto il bene, effettuato il servizio o la prestazione professionale. Gli acquisti effettuati dai commercianti al minuto possono essere documentati dal cosiddetto scontrino parlante, ovvero dallo scontrino fiscale integrato con il codice fiscale del professionista e con la descrizione dei beni. Nell’ipotesi di acquisto di beni trasportati, insieme alla fattura di acquisto va conservato il documento di trasporto (DDT) eventualmente emesso dal cedente in caso di fatturazione differita. Alcune particolari spese per le quali non è obbligatoriamente prevista l’emissione della fattura possono essere documentate da altri documenti ritenuti validi. Le spese per il personale dipendente devono essere documentate con i documenti obbligatori ai fini della legislazione sul lavoro, (buste paga, versamenti IRPEF, INPS, libri paga e matricola). Le spese per l’acquisto di autovetture devono essere documentate nel seguente modo. Se l’auto viene acquistata da un commerciante d’auto, rivenditore o concessionario e l’auto è nuova, va sempre richiesta la fattura; se invece l’auto è usata si potranno verificare due casi: • se l’auto è di proprietà del commerciante questi sarà comunque obbligato a emettere fattura e pertanto la stessa va richiesta e annotata sui registri; • se invece l’auto è di proprietà di un privato e il commerciante ha solo una “procura a vendere” occorrerà comportarsi come nel caso di “acquisto da privati”. Nel caso di acquisto di auto usata “da privato” occorrerà aver cura di indicare nella dichiarazione di vendita, con firma del venditore autenticata da notaio, il prezzo di acquisto dell’auto e richiedere poi al notaio oltre alle consuete due copie dell’atto di vendita necessarie per il PRA, una terza copia autenticata, da conservare fra i documenti contabili. Il valore indicato nell’atto di vendita potrà essere ammortizzato secondo le regole normali dell’ammortamento. Le spese per l’acquisto di carburante devono essere documentate secondo le nuove modalità introdotte dal DPR 444/1997 che ha semplificato, a partire dal 2 marzo 1998, la compilazione e l’annotazione delle schede carburanti prevedendo un nuovo modello che tra l’altro può essere redatto in carta libera. In virtù di tale semplificazione è possibile istituire una scheda carburante mensile oppure trimestrale. La scheda deve contenere, oltre i dati identificativi del veicolo (numero di targa o telaio) dati fiscali del professionista e il periodo di riferimento (mese o trimestre). Sulla scheda, l’addetto al distributore dovrà apporre per ogni rifornimento il timbro contenente i dati fiscali dell’impianto, l’ammontare del corrispettivo pagato, la data e la firma di convalida. Non è richiesto al professionista, come all’imprenditore, l’annotazione del numero dei chilometri risultanti dal
tachimetro del veicolo a fine periodo. La scheda può essere registrata nei termini previsti per le altre fatture ovvero entro l’anno di riferimento. Le spese per ristoranti sono considerate documentate anche con la ricevuta fiscale integrata con i dati anagrafici del professionista. I biglietti aerei rilasciati sono documenti validi come fatture. I biglietti ferroviari devono essere appositamente richiesti negli sportelli dell’emissione dei “biglietti-fatture con IVA” generalmente diversi dagli sportelli ordinari. Per i pedaggi autostradali è consigliabile conservare gli scontrini e poi inviarli a mezzo posta, alla società Autostrade, al fine di richiederne fattura. Le tasse comunali e gli altri oneri sono documentati con le relative cartelle e ricevute di pagamento.
AMMORTAMENTO DEI BENI STRUMENTALI Categorie a parte di spese sono quelle relative a beni strumentali ammortizzabili, cioè le attrezzature suscettibili di utilizzazione pluriennale (quali mobili, immobili, macchine d’ufficio, automezzi ecc.). Tali spese sono detraibili nei seguenti termini e modi: a) le spese per l’acquisto dei beni di costo unitario non superiore a € 516,46 (limite elevato per effetto del DPR n.917/1986 in vigore dal 1° gennaio 1988) possono essere detratte per intero nell’anno in cui avviene il pagamento; b) le spese di importo superiore a € 516,46 relative a questi beni, devono essere tenute in evidenza ma non detratte interamente: dal reddito può essere dedotta una quota annuale di ammortamento calcolata applicando al costo del bene (aumentato degli oneri accessori) attraverso i coefficienti ministeriali la cui misura massima è indicata nell’apposita tabella approvata con DM 31 dicembre 1988. La quota di ammortamento è interamente deducibile a partire dall’anno di acquisto del bene, a prescindere dalla data di acquisto del bene durante l’anno. Le modalità di pagamento (a rate, con dilazione) non sono rilevanti, agli effetti della deducibilità dell’ammortamento essendo invece essenziale il momento in cui il bene entra in funzione. Non sono mai ammesse in deduzione quote di ammortamento relative a oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione che vengono sempre considerate spese di rappresentanza. Anche gli immobili non possono essere ammortizzati se acquistati dopo il 14 giugno 1990. I beni strumentali utilizzati promiscuamente per l’attività professionale e per l’uso personale, sono deducibili al 50%. Il valore del bene da ammortizzare deve essere indicato nell’anno di acquisto, nel registro in cui si annotano acquisti e pagamenti. Come visto in precedenza, per le autovetture, motocicli e ciclomotori ammortizzabili al 50% esiste un tetto massimo di quota ammortizzabile, a questa andrà applicata la percentuale di ammortamento pari al 25%. È da ritenere che siano da immettere nel costo anche gli oneri accessori di diretta imputazione, cioè i costi di installazione, di allaccio e simili, compresa l’IVA non
TAB. C.2.7./1 COEFFICIENTI DI AMMORTAMENTO PER GLI ARCHITETTI SPESE
% DI AMMORTAMENTO
Mobili e macchine ordinarie di ufficio
12%
Macchine d’ufficio elettroniche computers, centralino telefonico
20%
Macchine, apparecchi e attrezzature varie (compresi impianti di condizionamento)
15%
Impianti di allarme, di ripresa fotografica, cinematografica e televisiva
30%
Impianti interni speciali di comunicazione e telesegnalazione
25%
Automezzi
25%
eventualmente recuperabile poiché indeducibile (ex art.19 DPR n.633/1972). La manovra Dini ha introdotto a partire dal 1995, come ricordato, la deducibilità per quote (5 anni) delle spese di ristrutturazione, ammodernamento e manutenzione straordinaria degli immobili adibiti all’esercizio professionale anche di proprietà. La quota di ammortamento va annotata sul libro dei beni ammortizzabili se istituito, ovvero nel registro degli acquisti qualora si sia nella facoltà di non istituire il predetto libro dei beni ammortizzabili (regime semplificato), ovvero si sia scelto di non istituirlo nel regime ordinario.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
LEASING E BENI STRUMENTALI: CONVENIENZA Il ricorso allo strumento del leasing per l’acquisto di beni strumentali, compresa l’autovettura, è stato molto frequente da parte di imprese e professionisti negli anni passati, in virtù soprattutto dei vantaggi fiscali che tale strumento indirettamente ha procurato. Infatti, essendo allora rimessa alla mera volontà dell’utilizzatore la durata del contratto, attraverso lo strumento del leasing venivano “spesati” in un periodo molto breve, beni strumentali anche di notevole importo, aggirando così le norme dell’ammortamento. Ora con la nuova disposizione dell’art.50 del testo unico tale vantaggio è notevolmente diminuito in quanto ai fini della deducibilità dei canoni occorre che il contratto abbia una durata minima non inferiore alla metà del periodo di ammortamento del bene. Per i professionisti che non sono ammessi a effettuare l’ammortamento anticipato, la disposizione potrebbe procurare ancora qualche vantaggio fiscale in quanto con il leasing pur sempre si dimezza il periodo di ammortamento del bene. In più, considerando che la successiva rivendita non genera comunque per il professionista plusvalenza, ciò può comportare indubbi vantaggi. Se, per esempio, si acquista un’autovettura in leasing, il costo della stessa (fino a € 18.075,99 e al 50% per uso promiscuo) viene completamente recuperato in 2 anni anziché in 4. Visti, però, i ridotti vantaggi fiscali rispetto ad altre forme di acquisto, occorre valutare correttamente, nella scelta di un contratto di leasing, anche gli oneri finanziari ai quali si va incontro e confrontarli con altre forme di acquisto. È noto, infatti, che per il leasing auto gli oneri finanziari sono abbastanza elevati. Pertanto in assenza di utili elevati e di un veloce rinnovo dei beni strumentali, occorre valutare attentamente il costo finanziario delle varie modalità di acquisto. La deduzione dei canoni di locazione dei beni mobili è ammessa a condizione che la durata del relativo contratto non sia inferiore alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito del DM 31 dicembre 1988. In pratica, se per il tipo di bene utilizzato in base a contratto di locazione finanziaria, la quota di ammortamento prevista è del 20% (se cioè è ammortizzabile in 5 anni), con il contratto di leasing non può essere inferiore a 2 anni e mezzo. In merito ai beni immobili, si prendono in esame i seguenti casi: • contratti stipulati fino al 14 giugno 1990: uso esclusivo: i canoni sono deducibili secondo il criterio di maturazione, a condizione che la durata del contratto non sia inferiore a 8 anni; uso promiscuo: i canoni sono deducibili al 50% (a condizione che il professionista non disponga nel medesimo Comune di altro immobile adibito esclusivamente all’esercizio dell’arte o professione). • contratti stipulati dal 15 giugno 1990: uso esclusivo: è deducibile un importo pari al 50% della rendita catastale; uso promiscuo: è deducibile un importo pari al 50% della rendita catastale (a condizione che il professionista non disponga nel medesimo Comune di altro immobile adibito esclusivamente all’esercizio dell’arte o professione).
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E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
. ARIO C.2.7 A TRIBUT M SISTE
C 31
C.2. 7.
ESERCIZIO PROFESSIONALE SISTEMA TRIBUTARIO
•
ORDINAMENTO
➦ IMPOSTE DIRETTE ➦ LEASING E BENI STRUMENTALI: CONVENIENZA TAB. C.2.7./2 DURATA DEL LEASING
TAB. C.2.7./3 IL LEASING IMMOBILIARE DURATA MINIMA LEASING (mesi)
CATEGORIE DI BENI Macchinari, apparecchi e attrezzature varie (compreso frigorifero e impianto di condizionamento)
40
Arredamento
40
Impianti di allarme, di ripresa fotografica, cinematografica e televisiva
20
Impianti interni speciali di comunicazione e telecomunicazione
24
Mobili e macchine ordinarie d’ufficio
50
Macchine di ufficio elettromeccaniche ed elettroniche compresi i computer e i sistemi telefonici elettronici
30
Autovetture, motoveicoli
24
MOMENTO DI STIPULAZIONE DEL CONTRATTO
TRATTAMENTO FISCALE DEI CANONI LEASING
Contratti stipulati anteriormente al 2 marzo 1989
Canoni leasing deducibili incondizionatamente
Contratti stipulati dal 2 marzo 1989 al 14 giugno 1990
Canoni leasing se durata contratto non inferiore a 8 anni
Contratti stipulati a partire dal 15 giugno 1990
Canoni leasing indeducibili
QUADRO RIASSUNTIVO DELLE NORME RELATIVE ALLA DETERMINAZIONE DEL REDDITO PROFESSIONALE AI FINI IRPEF Il reddito professionale si determina come differenza tra i compensi e le spese sostenute nell’anno determinati secondo i seguenti criteri. COMPENSI Tutti gli incassi per onorari corrisposti al netto degli eventuali contributi previdenziali addebitati al cliente per rivalsa (2% CNPAIA) compreso il contributo INPS 4% addebitato ai clienti dai professionisti non iscritti alla Cassa di previdenza (dipendenti). SPESE TAB. C.2.7./4 SPESE DEDUCIBILI SPESA
DEDUZIONE AMMESSA
DEDUZIONE AMMESSA
Ammortamento e/o canoni di locazione (esclusi auto e immobili) Spese di vitto e alloggio
SI – max 2% compensi
Beni immobili di proprietà (uso promiscuo studio-abitazione)
SI – 50% (rendita catastale)
Spese di rappresentanza
SI – max 1% compensi (con limitazioni)
Ammortamento auto e motocicli (qualunque sia la cilindrata)
SI – 50% fino a un tetto massimo di spesa
Spese di locomozione, carburante, bollo, assicurazione, manutenzione automezzi
SI – 50% (relative a un solo automezzo)
Spese per altri professionisti che collaborano con il professionista
Spese per convegni e formazione professionale
SI – 50%
SI – esclusi i compensi corrisposti al coniuge, ai figli minori e agli ascendenti
Minusvalenze e/o plusvalenze patrimoniali derivanti da cessioni di beni strumentali
NO
Stipendi, contributi, quote di indennità e anzianità SI
Condominio di immobili in proprietà studio/abitazione
NO
Spese residuali (tasse, rifiuti e varie)
SI
Spese di impiego e manutenzione telefoni cellulari SI – 50%
Canoni di locazione e condominio di immobili adibiti a esclusivo uso ufficio
SI – (se studio/abitazione la deduzione è ammessa per il 50%)
Spese di ristrutturazione, manutenzione straordinaria di immobili adibiti a studio
Spese generali di studio (cancelleria, telefono, SI luce, libri, riviste, viaggi per attività professionale)
Leasing beni immobili strumentali (contratti stipulati NO – deducibile la sola rendita dopo il 15 giugno 1990) contr. min.: 8 anni catastale
REGIME DEI CONTRIBUENTI MINIMI MODALITÀ FORFETTARIA DI DETERMINAZIONE DEL REDDITO In questo regime rientrano i soggetti che nell’anno precedente hanno realizzato un volume d’affari non superiore a € 10.329,14 (nel computo di questo importo deve tenersi conto anche di eventuali compensi non rilevanti ai fini IVA); ma hanno utilizzato beni strumentali di costo complessivo, al netto degli ammortamenti, non superiore a € 10.329,14; hanno sostenuto costi del lavoro per dipendenti e/o per stabili collaboratori, per un importo non superiore al 70% del volume d’affari. Il regime dei contribuenti minimi è un regime naturale in cui affluiscono automaticamente tutti i soggetti che si trovino in possesso dei requisiti sopra previsti. Ne consegue che in assenza di una specifica opzione per il regime normale dell’imposta il contribuente minimo: • deve rispettare i normali obblighi di fatturazione; • deve effettuare una registrazione cumulativa delle operazioni attive, suddivise per aliquota, entro il 15° giorno del mese successivo a quello di fatturazione; • non è obbligato a conservare la documentazione degli acquisti (resta, comunque, l’obbligo di richiedere e conservare la documentazione oggetto dell’attività propria dell’arte o professione); • deve presentare la chiusura annuale IVA su un apposito modello indicante il volume d’affari, il codice di attività, le caratteristiche dell’attività svolta e gli altri
C 32
SPESA
SI – leasing durata minima finanziaria di beni strumentali metà periodo ammortamento
Beni immobili (uso esclusivo professionale di pro- NO – neanche la rendita prietà; non hanno dichiarati tra i redditi da fabbricati) catastale con il DL n.469/1993
SI – in 5 quote annuali costanti
Spese di ristrutturazione, manutenzione SI – 50% straordinaria di immobili adibiti a studio/abitazione in 5 quote annuali costanti
elementi richiesti da un apposito modello che doveva essere approvato con decreto ministeriale. L’introduzione delle dichiarazioni unificate IVA-IRPEF-IRAP, a partire dal 1° gennaio 1998, renderà superflua l’approvazione del modello a tutt’oggi non avvenuta; • deve determinare, sulla base della percentuale dell’84%, applicata all’imposta corrispondente alle operazioni imponibili; • deve determinare il reddito di lavoro autonomo, nella misura forfettaria del 78% del volume d’affari aumentato dei corrispettivi non rilevanti ai fini IVA.
IRPEF: REDDITI PRODOTTI ALL’ESTERO DA PROFESSIONISTI ITALIANI E COMPENSI PERCEPITI IN ITALIA DA PROFESSIONISTI STRANIERI I redditi professionali prodotti all’estero dai professionisti residenti in Italia, vengono tassati in Italia e pertanto devono essere ricompresi nel reddito complessivo annuo. Se sullo stesso reddito all’estero si sono già pagate imposte, il reddito va computato al lordo dell’imposta assolta e, dall’imposta netta che risulta, dopo aver scomputato anche le ritenute d’acconto subite, si possono detrarre le imposte pagate all’estero. Per evitare però la doppia imposizione lo Stato italiano ha stipulato con molti Stati esteri apposite convenzioni a condizione di reciprocità. In tali convenzioni viene generalmente stabilito che il reddito da attività professionale è
imponibile soltanto nello Stato in cui il professionista risiede, a meno che il professionista stesso non disponga abitualmente nell’altro Stato di una base fissa per l’esercizio della sua attività. Allo stesso modo quindi il compenso corrisposto in Italia a un professionista estero residente in uno Stato con il quale esiste la convenzione bilaterale per evitare la doppia imposizione, non dovrà essere assoggettato da parte della committente impresa o Ente italiano, alla ritenuta d’acconto a titolo d’imposta prevista invece dall’art.25 DPR 600/1973 nella misura del 30% per i professionisti non residenti, appartenenti a Stati non in regime di convenzione con l’Italia. A solo titolo esemplificativo si fa presente che attualmente sono in atto convenzioni per evitare le doppie imposizioni, tutte pressappoco di analogo contenuto, con Germania, Olanda, Belgio, Francia, Gran Bretagna e Spagna. Pertanto ogni professionista residente in uno dei citati Stati, può effettuare prestazioni professionali in Italia, senza pagare imposte sul reddito in Italia, e quindi senza essere assoggettato a ritenute, e ogni professionista italiano può effettuare prestazioni professionali in uno dei suddetti Stati e pagare imposte esclusivamente in Italia, sommando i compensi esteri ai compensi italiani. Un caso particolare di convenzione è quella con gli Stati Uniti in virtù della quale al fine di stabilire la imponibilità della prestazione nel Paese del soggetto che la riceve, si rileva sia il periodo di permanenza nel corso dell’anno che deve essere superiore a 91 giorni, sia l’entità del compenso.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • ORDINAMENTO SISTEMA TRIBUTARIO
A.ZIONI
OBBLIGHI CONTABILI REGIMI DI CONTABILITÀ A partire dal 1° gennaio 1997 una corposa semplificazione è stata introdotta per i professionisti, sul presupposto che per questi ultimi, l’adozione di una vera e propria contabilità costituisce una pura e semplice imposizione di carattere fiscale. In definitiva, attualmente, i professionisti sono soggetti a un duplice regime: uno ordinario e uno semplificato, che può essere anche supersemplificato (DPR 9 dicembre 1996, n.695, in GU 6 febbraio 1997, n.30). Regime semplificato – il regime contabile naturale, adottabile in tutti i casi, cioè indipendentemente dall’ammontare dei compensi realizzati. Il professionista che si trova in questo regime deve tenere: • il registro IVA delle fatture di acquisto; • il registro IVA delle fatture emesse; • il registro degli incassi e dei pagamenti, qualora non scelga di tenere i soli libri IVA, con le modalità di seguito illustrate; • il libro paga e il libro matricola se ne sussistono le condizioni. Regime ordinario – questo regime contabile può essere adottato con una semplice comunicazione da effettuarsi nella dichiarazione dell’anno successivo. Il soggetto che si trova in questo regime deve tenere: • il registro cronologico dei componenti di reddito e dei movimenti finanziari; • il registro IVA delle fatture di acquisto; • il registro IVA delle fatture emesse; • il registro dei beni ammortizzabili (in alternativa le annotazioni degli ammortamenti possono anche essere effettuate nel registro IVA delle fatture di acquisto); • il libro paga e il libro matricola se ne sussistono le condizioni. Regime supersemplificato – vi rientrano i soggetti che nell’anno solare precedente hanno realizzato un volume d’affari (ragguagliato ad anno) non superiore a € 15.493,71; hanno sostenuto acquisti al netto dell’IVA per un importo non superiore € 10.329,14; hanno sostenuto costi del lavoro per dipendenti e/o per stabili collaboratori, per un importo non superiore al 70% del volume di affari; hanno utilizzato beni strumentali di costo complessivo, al netto degli ammortamenti, non superiore a € 25.822,84. Il soggetto che si trova in questo regime deve: • rispettare i normali obblighi di fatturazione; • effettuare una registrazione cumulativa delle operazioni attive, suddivise per aliquota, entro il 15° giorno del mese successivo a quello di fatturazione; • annotare l’importo complessivo degli acquisti e delle importazioni rilevanti ai fini IVA, entro il termine previsto per le liquidazioni trimestrali, ovvero entro l’anno in base alle nuove regole sulle registrazioni IVA.
LIBRI OBBLIGATORI NEL REGIME SEMPLIFICATO Il regime che illustreremo – e questa è probabilmente la semplificazione di maggiore portata – costituisce il regime naturale per gli esercenti arti o professioni, indipendentemente dal superamento della soglia dei € 185.924,48 di compensi, che invece in passato comportava l’adozione del regime contabile analitico. Le norme che prevedono tale regime sono infatti abrogate dal comma 3 dell’art.3 del DPR 696/1995 (Regolamento). I professionisti che nel regime naturale semplificato devono tenere i seguenti registri: a) il registro degli incassi e pagamenti; b) i registri IVA. Il registro degli incassi e dei pagamenti prima di essere posto in uso, deve essere sottoposto a vidimazione iniziale e bollato in ogni foglio. La vidimazione è eseguita in esenzione di bollo e di tassa sulle concessioni governative, dall’Ufficio del Registro o dal notaio. La vidimazione non è annuale e pertanto il registro può essere utilizzato fino a esaurimento. Il registro degli incassi e pagamenti non può essere vidimato dall’Ufficio IVA il quale è competente alle vidimazioni solo per i registri tenuti esclusivamente ai fini IVA previsti al punto b) pena la non validità della contabilità ai fini delle imposte dirette.
MODALITÀ DI TENUTA DEL REGISTRO DEGLI INCASSI E PAGAMENTI Nel registro devono essere annotate, per ciascuna riscossione: a) il relativo importo, al lordo e al netto della parte che costituisce rimborso di spese anticipate in nome e per conto del cliente che ha effettuato il pagamento e l’ammontare della ritenuta d’acconto subita; b) le generalità, il Comune di residenza anagrafica e l’indirizzo del soggetto che ha effettuato il pagamento; c) gli estremi della fattura o parcella. Nello stesso registro devono essere annotate cronologicamente le spese sostenute nell’esercizio della professione, indicando quanto richiesto alla lettere b) e c) nonché, entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione, il valore dei beni ammortizzabili raggruppati in categorie omogenee e distinti per anno di acquisizione. In base all’art.22, primo comma del DPR 600/1973, le annotazioni degli incassi e delle spese devono essere effettuate cronologicamente entro 60 giorni. Precedentemente all’entrata in vigore del DPR 695/1996 (1° gennaio 1997) vi era la possibilità, da molti utilizzata, di non tenere i registri IVA sostituendoli con distinti registri per gli incassi e per i pagamenti e integrati con i dati richiesti ai fini IVA.
C.2. 7.
A partire dalla data suddetta, con le richiamate norme sulla semplificazione, vi è stata una radicale inversione di tendenza, per cui i registri IVA, integrati con le annotazioni rilevanti ai fini della determinazione del reddito, sostituiscono il registro degli incassi e pagamenti che non può più essere tenuto con distinti registri. I registri IVA, anche se integrati ai fini delle imposte dirette, come prevede la norma di semplificazione, possono essere vidimati dall’Ufficio IVA; è naturalmente consentita la vidimazione anche all’Ufficio del Registro o presso un Notaio. In sostanza, il Fisco rinuncia, almeno nell’ambito del singolo periodo d’imposta, alle indicazioni relative alla successione cronologica degli incassi e dei pagamenti, “accontentandosi” delle indicazioni richieste dalla disciplina dell’IVA. Naturalmente, vigendo nella determinazione del reddito di lavoro autonomo il principio di cassa, sarà necessario evidenziare, come disposto nel comma 1 dell’art.3 del Regolamento, gli incassi o i pagamenti non avvenuti nell’anno di registrazione della relativa operazione ai fini IVA; gli stessi incassi e pagamenti dovranno invece essere singolarmente annotati nel diverso periodo d’imposta in cui verranno ricevuti o effettuati. Negli stessi registri, ai sensi dell’art.4 del Regolamento, è poi consentito annotare in forma riepilogativa le spese per prestazioni di lavoro dipendente sostenute nell’anno che devono trovare riscontro nelle annotazioni sul libro paga.
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MODALITÀ DI TENUTA DEI REGISTRI IVA Qualora si adotti il sistema più comunemente usato, dei registri integrati con i dati ai fini dei redditi IVA, le annotazioni devono specificare quanto segue: nel registro delle fatture emesse: • il numero progressivo della parcella; • la data di emissione della parcella; • il nome, cognome (o ragione sociale) e indirizzo del cliente; • l’imponibile distinto per aliquota e l’IVA addebitata specificando, in caso di importi senza IVA, il titolo di esenzione (ad esempio: art.15, DPR 633/1972 per le spese anticipate); • il numero, la data e l’importo di eventuali note di credito. Le annotazioni delle parcelle devono essere effettuate entro 15 giorni dall’emissione con riferimento, comunque, al mese della data di emissione: e a fine anno: • la distinta delle parcelle non incassate con i relativi importi; • le parcelle relative ad anni precedenti incassate nell’anno; nel libro degli acquisti: • la data in cui si effettua la registrazione (ad esempio: procedendo all’annotazione ogni fine mese), anche se la nuova legge IVA consente l’annotazione entro l’anno in cui è esercitato il diritto di detrazione; • il numero progressivo attribuito a ciascun documento: in sostanza, su ogni documento deve apporsi un numero progressivo di identificazione, a eccezione di quei documenti che risultino fuori del campo di applicazione IVA (ad esempio le retribuzioni, gli oneri previdenziali, le assicurazioni, l’Ordine); • la data di emissione della fattura passiva o del documento di spesa; • il nome e cognome del fornitore, o denominazione sociale se trattasi di imprese o società; • l’importo delle fatture, e in una apposita casella dell’imponibile, dell’IVA, degli importi non soggetti ed esenti IVA con il titolo di esenzione; • ogni altra spesa inerente l’esercizio della professione deducibile ai fini delle imposte dirette, ma non soggetta a registrazione IVA (tasse comunali, Ordine) da registrarsi in apposita colonna separata; e a fine anno: • l’importo delle retribuzioni corrisposte, delle quote di TFR maturate e degli oneri previdenziali a carico del professionista versati all’INPS risultanti dai libri paga; • la distinta delle spese registrate e non pagate che non costituiscono spesa del periodo; • le spese dettagliate pagate nell’anno e relative a documenti di anni precedenti. Le annotazioni cronologiche debbono essere effettuate entro l’anno di ricevimento della fattura o della ricevuta se trattasi di spesa non soggetta a IVA. Se la fattura viene ricevuta con notevole ritardo rispetto alla data di emissione del documento e comunque oltre l’anno, è opportuno conservare anche la busta che evidenzia il timbro postale, ovvero annotare sulla fattura stessa la data di ricevimento per la detraibilità ai fini IVA, mentre il pagamento eventualmente effettuato dovrà essere contabilizzato con il criterio di cassa. A ciascuna fattura deve essere allegato il documento di trasporto (DDT) se si tratta di fatture di acquisto di beni, differito.
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C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
REGIME ORDINARIO Il regime ordinario potrà comunque essere scelto dal contribuente, mediante opzione da comunicarsi nella dichiarazione annuale ai fini dell’IVA dell’anno in cui si esercita, non essendo più necessaria una preventiva opzione. La disciplina di tale regime opzionale di contabilità ordinaria, prevista nel comma 2 dell’art.3 del Regolamento, è identica a quella in vigore fino al 1996, con la sola aggiunta della facoltà, di cui si è detto sopra, di riportare le annotazioni relative ai beni ammortizzabili sul registro IVA degli acquisti, invece che sul registro dei beni ammortizzabili. L’opzione per il regime ordinario ha garantito, in passato, una difesa dall’accertamento automatico effettuato con coefficienti e parametri, a condizione che la contabilità non venisse dichiarata inattendibile in base ai criteri previsti dal DPR 570/1996. Con l’entrata in vigore degli studi di settore tale garanzia perde efficacia in quanto questi si applicano a tutti i professionisti con compensi inferiori a € 5.164.568,99 annui. Per i professionisti in regime ordinario il Ministero delle finanze si trova di fronte a un bivio: far partire l’accertamento nel caso di contabilità infedele sulla base delle dispo-
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ORDINAMENTO
➦ OBBLIGHI CONTABILI ➦ REGIME ORDINARIO sizioni del DPR 570/1996 oppure far partire lo stesso l’accertamento nel caso in cui, in almeno due periodi di imposta su tre, vi sia scostamento tra i compensi dichiarati e quelli determinabili sulla base degli studi di settore. Le considerazioni suesposte, che potranno essere risolte solo da un provvedimento normativo, possono essere alla base dell’opzione per la tenuta della contabilità ordinaria che costituisce pur sempre l’unica arma di difesa per il professionista che non dovesse rispettare gli studi di settore.
LIBRI OBBLIGATORI NEL REGIME ORDINARIO Tutti i professionisti che hanno esercitato l’opzione per la contabilità ordinaria devono tenere: a) il registro nel quale annotare cronologicamente: • le operazioni produttive di componenti positivi o negativi di reddito; • le movimentazioni finanziarie inerenti l’esercizio della professione, nonché gli estremi dei conti correnti bancari utilizzati per le movimentazioni predette; b) i registri obbligatori ai fini IVA; c) il registro dei “beni ammortizzabili”, ferma restando la facoltà di eseguire le annotazioni esclusivamente nel registro degli acquisti tenuto ai fini IVA.
REGISTRO CRONOLOGICO La tenuta di tale registro è prevista in partita semplice e prevede un elenco cronologico e analitico, in apposite colonne, con un minimo di 25, di tutte le operazioni effettuate, sia reddituali (emissione e ricevimento di fatture) sia finanziarie inerenti la professione (incassi, pagamenti), “prelievi” e “versamenti in studio” del titolare, e infine le movimentazioni di somme c/terzi. Qualora si adotti invece una contabilità effettuata con PC o meccanizzata, la forma del registro è quella del “libro giornale” tenuto con il metodo classico della partita doppia. Per quanto riguarda le spese, il registro prevede inoltre una classificazione minima che è la stessa del Mod. Unico, quadro RE e che pertanto, anche se laboriosa, risulta utile per la preparazione della dichiarazione dei redditi. Prima di essere messo in uso, tale registro deve essere vidimato da un notaio oppure dall’Ufficio del Registro. Il registro deve essere aggiornato ogni 60 giorni. Non è soggetto a vidimazione annuale. Il registro cronologico deve contenere: a) la rilevazione dei singoli componenti positivi di reddito da effettuarsi attraverso le somme incassate opportunamente scomposte in: • IVA addebitata; • R/A subita; • eventuali rimborsi a carico del cliente; b) la rilevazione dei singoli componenti negativi di reddito: • pagamenti effettuati nell’anno per acquisti di beni e servizi e altre spese deducibili;
• pagamenti effettuati a dipendenti o ad altri collaboratori autonomi e i relativi versamenti di contributi o ritenute fiscali conseguenti; • ricevimento di fatture di beni strumentali; • canoni di locazione finanziaria e di manutenzione da pagare; • interessi passivi da pagare; • quote di ammortamento di beni strumentali; • quote di trattamento di fine rapporto; • ogni altro onere e spesa inerente l’esercizio dell’attività professionale; c) le movimentazioni finanziarie. Le operazioni che danno luogo a “componenti positivi di reddito” e la maggior parte di quelle che danno luogo ai componenti negativi di reddito costituiscono anche movimentazioni finanziarie da rilevare distintamente, per la parte relativa all’effettivo incasso e all’effettivo pagamento. Altre movimentazioni finanziarie invece non influenzano il reddito e di regola sono le seguenti: • pagamenti di IVA e di altre imposte indeducibili; • movimenti di somme per operazioni di finanziamento; • cessione di beni strumentali; • utilizzi o prelievi personali; d) gli estremi dei conto correnti bancari. Il nuovo regime tributario non impone l’obbligo al professionista che lo sceglie di aprire e utilizzare un c/c bancario per lo studio distinto da quello che serve quale “conto di famiglia”. Esso prevede, però, con formulazione non troppo chiara, che vadano comunque indicati gli estremi dei c/c bancari utilizzati per movimentazioni e che vadano registrati anche gli utilizzi e i prelievi personali delle somme percepite. Tuttavia l’apertura di un conto corrente bancario per le sole operazioni di studio è oggettivamente utile ai fini della chiarezza e del controllo prima che per il fisco, per il professionista stesso, senza considerare poi che per poter ottenere la deducibilità degli interessi passivi inerenti a spese effettuate per lo studio esso diventa indispensabile.
LIBRO DEI CESPITI AMMORTIZZABILI Nel registro dei cespiti ammortizzabili vanno annotati i beni strumentali impiegati, classificati per categorie omogenee secondo la tabella dei coefficienti di ammortamento illustrata e suddivisi per anno di acquisizione. I beni mobili registrati, come le autovetture, vanno registrati in schede distinte per ogni cespite, riportando la matricola. Su ogni scheda va poi calcolata annualmente la quota di ammortamento secondo la percentuale relativa e quindi il valore residuo. Il registro dei beni ammortizzabili va vidimato prima di essere messo in uso da un notaio o dall’Ufficio del Registro. È possibile però evitare l’istituzione del libro dei cespiti, eseguendo le stesse annotazioni sul libro IVA degli acquisti.
CONTABILITÀ INATTENDIBILE Il DPR 570/1996 dichiara la grave irregolarità delle scritture obbligatorie, nei seguenti casi: 1. scostamento tra i valori rilevati in occasione di ispezioni o verifiche anche parziali e i valori contabili. Lo scostamento rilevato deve essere superiore al 10% del valore complessivo delle voci interessate e non rileva quando esso risulta riconducibile a un’errata applicazione dei criteri d’imputazione temporale e sempreché le annotazioni risultino dalle scritture contabili obbligatorie e l’erroneità dell’applicazione dei criteri d’imputazione derivino dall’adozione di metodi costanti di impostazione contabile; 2. omessa indicazione di uno o più beni strumentali nelle scritture contabili, ovvero in mancanza dell’obbligo di indicazione nelle scritture contabili, omissione dell’indicazione in altra documentazione probante; 3. lavoratori dipendenti o altri addetti. Omessa iscrizione nei libri contabili, da tenere ai fini della vigente legislazione sul lavoro, di lavoratori dipendenti impiegati nell’attività artistica o professionale; omessa rilevazione nelle scritture contabili di compensi di altri addetti, esclusi il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado, di natura occasionale il cui rapporto non risulta dalle scritture contabili o da altra documentazione probante, ritrovata nel luogo in cui sono conservate le scritture contabili.
Lo stesso provvedimento prevede che il contribuente può presentare o trasmettere una relazione tecnica, entro il 30° giorno successivo alla notifica del verbale di ispezione, dal quale risulti l’inattendibilità della contabilità ordinaria all’Ufficio competente. La relazione tecnica deve essere redatta da uno dei soggetti abilitati ad apporre il visto di conformità, previsto dall’art.78, comma 4, della legge 413/1991: • dottori commercialisti; • ragionieri liberi professionisti; • consulenti del lavoro; • consulenti tributari. La relazione tecnica deve analizzare i rilievi, presenti nel verbale di ispezione dell’Ufficio, onde ricondurre le irregolarità rilevate, come prevede la disposizione normativa, a meri errori formali dovuti anche all’utilizzo di procedure meccanografiche standardizzate, che non pregiudicano l’idoneità delle scritture contabili a rappresentare l’effettiva realtà aziendale. Le norme sulla inattendibilità delle scritture contabili sembrano ormai superate dall’abbandono dell’accertamento in base ai parametri, con l’entrata in vigore degli studi di settore. Tuttavia i criteri da essa stabiliti potranno essere utili in sede di difesa dall’accertamento sia analitico sia in base agli stessi studi.
NORME COMUNI PER LA TENUTA DEI REGISTRI E DELLA DOCUMENTAZIONE CONTABILE La vidimazione non è annuale, per cui i libri possono essere usati fino a esaurimento. Qualora si abbandoni il libro prima del suo esaurimento per porre in uso un altro registro, occorre provvedere ad annullare, con una riga trasversale, tutte le pagine in bianco fino all’ultima del registro. Le annotazioni sui registri debbono essere effettuate in modo chiaro, senza cancellature o abrasioni: eventuali errori possono essere corretti esclusivamente apponendo una riga sulla scrittura errata relativa alla operazione in modo che possa leggersi quanto già scritto.
I registri debbono essere usati senza lasciare spazi in bianco o interlinee. Tutta la documentazione di studio (parcelle, fatture, documenti di spesa, libri contabili, copie delle dichiarazioni IVA e IRPEF, libri paga) deve essere conservata per 5 anni dall’anno in cui è stata presentata la dichiarazione dei redditi (4 anni per l’IVA) sempre che non intervenga accertamento in rettifica di un dato periodo di imposta. In tale caso la documentazione deve essere conservata fino a quando non sia divenuto definitivo l’accertamento.
IMPOSTA COMUNALE SULL’ESERCIZIO D’IMPRESA ARTI E PROFESSIONI (ICIAP) Con l’entrata in vigore dell’IRAP, a partire dal 1° gennaio 1998, l’ICIAP è stata abolita.
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ESERCIZIO PROFESSIONALE • ORDINAMENTO SISTEMA TRIBUTARIO
C.2. 7. A.ZIONI
DICHIARAZIONE ANNUALE DEI REDDITI L’IRPEF ha introdotto il concetto di prelievo fiscale sul reddito complessivo e la necessità di denunciare annualmente tutti i redditi posseduti determinandoli secondo le regole proprie di ognuno, per poi pervenire al calcolo definitivo dell’IRPEF dovuta dal soggetto (Mod.Unico, Persone fisiche). A tal fine anche le associazioni professionali sono tenute alla presentazione di una dichiarazione annuale dei redditi dalla quale si evidenzi il reddito prodotto, determinato secondo le regole proprie del lavoro autonomo, per poi determinare la quota attribuibile ai singoli professionisti associati (Mod.Unico, Società di persone), i quali dovranno poi provvedere alla propria dichiarazione annuale dei redditi. Mentre quindi per le persone fisiche alla dichiarazione dei redditi consegue generalmente l’obbligo del versamento, per le associazioni professionali alla dichiarazione dei redditi (Mod.Unico, Società di persone) non consegue alcun obbligo di versamento, trasferendosi questo in capo ai singoli professionisti associati.
Il professionista possessore di partita IVA, tenuto alle scritture contabili, ha sempre l’obbligo della dichiarazione e deve dichiarare il suo reddito in un apposito quadro (quadro RE). Insieme ai modelli ufficiali per la presentazione delle dichiarazioni, l’Amministrazione Finanziaria annualmente pubblica le istruzioni per la loro compilazione, che sebbene siano diventate nel corso degli anni voluminose e talvolta possano essere di non facile comprensione, sono comunque una lettura indispensabile per la corretta compilazione della dichiarazione. Ma vediamo i forti elementi di semplificazione introdotti a partire dal 1° gennaio 1998. Da questa data, infatti, il vecchio Mod.740, simbolo della vessazione del fisco italiano nei confronti di milioni di contribuenti, è andato in soffitta. I redditi delle persone fisiche, da maggio 1998, saranno dichiarati al Fisco con un nuovo modello “unificato” attraverso cui potrà essere calcolata l’IVA e indicata la ritenuta operata come sostituti d’imposta, nel caso ci si avvalga di un massimo di 20 dipendenti o collaboratori. Insieme a questa dichiarazione sarà presentata la nuova denuncia per l’IRAP.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
COMPILAZIONE DEL QUADRO RE DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI Il quadro RE (Sez. 1) va utilizzato per la determinazione del reddito dei liberi professionisti in regime di contabilità semplificata o anche ordinaria. Le regole per la determinazione del reddito sono quelle che abbiamo esaminate nell’apposita sezione. I compensi e le spese sostenute da indicare riassuntivamente nel quadro E debbono essere desunte “normalmente” dai libri contabili.
È prevista inoltre la possibilità di dichiarare incassi non dichiarati negli anni precedenti, annotandoli nell’apposito rigo, al solo fine della non applicabilità delle sanzioni penali, di cui alla legge n.516/1992, fermo restando l’assoggettamento a tutte le altre sanzioni, multe e pene pecuniarie. Eccetto tali casi particolari, la concordanza con le scritture contabili è quindi fondamentale.
Nella Sezione 2 vanno dichiarati compensi ricevuti quale cessione dei diritti d’autore per opere dell’ingegno. Per tali redditi è prevista una riduzione forfettaria del 25% e pertanto solo il 75% dell’importo corrisposto concorre al reddito complessivo del quadro N, sempre entro il limite di € 51645,69. Dovranno essere considerate e riportate nel quadro N le ritenute d’acconto subite.
Il decreto prevede che: • i versamenti relativi alle ritenute fiscali, all’IVA e ai contributi INPS vengano effettuati tutti il giorno 16 del mese; • il versamento dei saldi e degli acconti risultanti dalle dichiarazioni presentate ai fini delle imposte dirette e degli acconti relativi alle predette imposte e a quella sul valore aggiunto resti fermo alle date attualmente previste del 27 dicembre (acconto IVA), 31 maggio (saldo e primo acconto imposte dirette), 30 novem-
bre (secondo e primo acconto imposte dirette). Il saldo dell’IVA è, invece, spostato al 15 marzo; • il versamento in acconto o saldo dei contributi dovuti agli enti previdenziali dai titolari di una posizione assicurativa sia effettuato entro gli stessi termini previsti per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi. Le scadenze di versamento che cadono di sabato o di giorno festivo sono prorogate al primo giorno lavorativo successivo.
La delega deve contenere anche le somme che sono state oggetto di compensazione e deve essere presentata anche quando, per effetto della compensazione, il professionista risulta ancora creditore di imposte o contributi o la delega risulti a “zero”. L’Erario ha infatti necessità di conoscere con tempestività quali importi sono stati compensati per effettuare le dovute regolazioni contabili.
Se, ad esempio, non sono stati versati contributi INPS pari a 50 euro perché si vantava un credito IVA di pari importo, solo la presentazione della delega consente di accreditare all’INPS i 50 euro che gli spettano prelevandoli dalle casse erariali. Le disposizioni prevedono la sanzione di € 154,94 in caso di omessa presentazione del modello contenente i dati relativi alla eseguita compensazione.
DELEGA UNICA DI PAGAMENTO I versamenti unitari di imposte, contributi e premi assicurativi devono essere eseguiti mediante delega a una banca convenzionata. Al momento di presentazione della delega di pagamento la banca deve rilasciare al professionista un’attestazione contenente una serie di dati tra i quali l’impegno della banca a effettuare il versamento ai vari enti interessati per conto del contribuente.
COMPENSAZIONE È possibile compensare situazioni debitorie e creditorie con i diversi enti destinatari dei versamenti. È consentito ai titolari di partita IVA di operare compensazioni non solo fra le diverse imposte sui redditi, ma anche fra ciascuna di esse, l’IVA, l’IRAP, le somme dovute agli enti previdenziali. Dal punto di vista soggettivo i titolari di partita IVA possono effettuare il versamento unitario e la compensazione dei soli crediti e debiti relativi:
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
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G.ANISTICA
VERSAMENTI UNIFICATI E COMPENSAZIONI Il DLgs 9 luglio 1997, n.241 ha introdotto per i professionisti: • i versamenti unificati con possibilità di compensazione e rateazione; • nuove modalità di pagamento; • la dichiarazione unificata; • nuove modalità di presentazione e trasmissione delle dichiarazioni; • nuove modalità di controllo.
E.NTROLLO
a) alle imposte sui redditi e ritenute alla fonte; b) all’imposta sul valore aggiunto dovuta per le liquidazioni periodiche, mensili o trimestrali; c) all’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP); d) ai contributi previdenziali e assistenziali dovuti dai datori di lavoro e dai committenti di prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art.49, comma 2, lett. a, del TUIR;
e) ai premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali per i dipendenti; f) agli interessi previsti in caso di pagamento rateale ai sensi dell’art.20, DLgs 241/9; g) ogni altro contributo e imposta che viene pagato con la delega unificata Mod.F24.
Non è, pertanto, possibile rateizzare il versamento della seconda rata di acconto che ordinariamente si effettua in novembre. Va evidenziato che: • il contribuente può scegliere il numero delle rate; • l’opzione vincola per la rateazione di tutte le imposte risultanti dalla dichiarazione: non è possibile effettuare separate opzioni per ciascuna imposta dovuta; non è consentito, in pratica, di rateizzare, ad esempio, l’IRPEF e non l’IRAP; • all’interno delle imposte che si rateizzano non si possono effettuare scelte diverse per le somme dovute a saldo e in acconto; in pratica non si può rateizzare l’acconto e non il saldo (e viceversa); • in sede di dichiarazione il contribuente dovrà indicare il numero di rate prescelto.
La richiesta di rateazione non dovrebbe far venire meno il diritto del contribuente a pagare le imposte risultanti dalla dichiarazione nel periodo 1° giugno-20 giugno con la maggiorazione dello 0,50%. In caso di pagamento rateale si ritiene, pertanto, possibile versare la prima rata entro il 20 giugno con la maggiorazione dello 0,50% ma senza interessi e la seconda rata entro il 30 giugno gravata degli interessi dovuti per la rateazione. Il versamento rateale va effettuato: • entro il 16 del mese dai titolari di partita IVA; • entro la fine di ciascun mese dagli altri contribuenti.
URB
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
RATEIZZAZIONE DEI VERSAMENTI È data facoltà al professionista di chiedere la rateazione delle somme dovute a titolo di saldo e di acconto delle imposte sul reddito e l’IRAP. Possono avvalersi della rateizzazione anche i soggetti che non risultano titolari di partita IVA. Non è possibile rateizzare il versamento delle ritenute alla fonte dovute ai sostituti d’imposta né i versamenti relativi alle liquidazioni periodiche dell’IVA. L’opzione per la rateazione va esercitata in sede di dichiarazione annuale, ma la mancata opzione per la rateazione in sede di dichiarazione non impedisce di avvalersi dell’istituto. Non si applicherà alcuna sanzione per la mancata opzione. I professionisti che si avvalgono della rateazione devono completare l’intero pagamento entro il mese di novembre dello stesso anno di presentazione della dichiarazione o della denuncia.
Attualmente sugli importi rateizzati è dovuto un interesse pari al 6% annuo (0,5% mensile).
. ARIO C.2.7 A TRIBUT M SISTE
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C.2. 7.
ESERCIZIO PROFESSIONALE SISTEMA TRIBUTARIO
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ORDINAMENTO
➦ DICHIARAZIONE ANNUALE DEI REDDITI NUOVE MODALITÀ DI PAGAMENTO È prevista la possibilità di utilizzare per i versamenti fiscali e previdenziali strumenti di pagamento alternativi al contante o all’addebito in conto corrente. Sarà possibile procedere al pagamento delle imposte mediante:
• bancomat o carte di debito; • carte di credito e prepagate; • assegni bancari e circolari. In riferimento agli assegni è stato, ovviamente, precisato che se gli assegni risultano scoperti o comunque, anche
in parte, non pagabili il conferimento della delega si considera non effettuato e il versamento omesso. Occorrerà attendere le concrete modalità operative di attuazione della norma in questione per avvalersi dei nuovi strumenti.
a) il contribuente è obbligato alla presentazione della dichiarazione dei redditi, dell’IVA e del sostituto d’imposta; b) sono state effettuate, nel corso dell’anno per il quale si presenta la dichiarazione, ritenute alla fonte (a titolo di imposto e/o di acconto) nei confronti di non più di 20 soggetti.
dei presupposti è comunque obbligato alla presentazione della dichiarazione unificata ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA. La dichiarazione unificata ha una struttura modulare. Il modello è strutturato, cioè, in modo che ciascun contribuente possa comporlo secondo le proprie specifiche esigenze. Un lavoratore dipendente con redditi di fabbricati non dovrà utilizzare un diverso modello, ma si avvarrà di quello unificato senza compilare, ovviamente, nessuno dei quadri destinati alla dichiarazione dell’IVA o del sostituto d’imposta. In relazione al numero dei soggetti nei cui confronti sono state operate ritenute nel corso dell’anno, che deve essere non superiore a 20, va evidenziato che il riferimento ai soggetti va inteso nel senso più generico di sostituiti, indipendentemente dalla qualifica dei percettori (dipendenti o collaboratori).
DICHIARAZIONE UNIFICATA ANNUALE L’art.12 del DPR 600/1973, come sostituito dall’art.7 del DLgs 9 luglio 1997, n.241, ha introdotto la dichiarazione unificata annuale (Modello Unico). La presentazione della dichiarazione unificata annuale ha l’obiettivo di concentrare gli adempimenti dei contribuenti e di razionalizzare l’attività dell’amministrazione finanziaria. L’unificazione delle dichiarazioni fiscali viene perseguita prevedendo la presentazione di un unico modello che comprenderà la dichiarazione dei redditi, la dichiarazione annuale IVA e la dichiarazione dei sostituti d’imposta allorché il numero dei sostituti non sia superiore a 20. La stessa dichiarazione sarà anche utilizzata ai fini della dichiarazione IRAP. L’obbligo di presentazione della dichiarazione unificata sussiste qualora si verifichino congiuntamente le seguenti condizioni:
Il Ministero delle finanze ha chiarito che anche un professionista non tenuto alla presentazione della dichiarazione IVA perché, ad esempio, effettua esclusivamente operazioni esenti è obbligato alla presentazione della dichiarazione unificata annuale. In questo caso tale dichiarazione comprenderà soltanto la dichiarazione dei redditi e quella di sostituto d’imposta (sempre che abbia effettuato ritenute nei confronti di non più di 20 percettori). Un soggetto non tenuto alla presentazione del Mod.770 perché non ha effettuato alcuna ritenuta per mancanza
COME SI PRESENTANO LE DICHIARAZIONI A decorrere dal 1999 le dichiarazioni devono essere: • presentate alla banca o all’ufficio postale, che cureranno, successivamente, la rilevazione dei dati delle dichiarazioni e la loro trasmissione, in via telematica, all’amministrazione finanziaria entro 5 mesi dalla scadenza della data di presentazione delle dichiarazioni; • trasmesse in via telematica per il tramite degli intermediari abilitati ovvero:
a) iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali e dei consulenti del lavoro; b) soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio per la subcategoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o di diploma di ragioneria;
• trasmesse direttamente in via telematica dalle società di maggiori dimensioni. Non è più prevista la possibilità di predisporre le dichiarazioni in formato sintetico PC. È entrato quindi a regime, a partire dal 1999, per tutti gli intermediari il sistema di trasmissione telematico delle dichiarazioni.
DICHIARAZIONE ANNUALE DEI REDDITI DELLE ASSOCIAZIONI Abbiamo già visto che l’associazione professionale, anche ai fini fiscali non è altro che il mezzo attraverso il quale il singolo associato professionista concorre a formare la sua parte di reddito di lavoro autonomo. I risultati conseguiti dall’associazione professionale devono quindi risultare prima unitariamente per poi essere attribuiti ai singoli associati. Lo strumento è la dichiarazione annuale dei redditi da
presentarsi da parte del legale rappresentante, entro lo stesso termine previsto per le persone fisiche, 31 maggio di ogni anno, utilizzando il Modello Unico, Società di persone UNISP. L’associazione dovrà quindi compilare il quadro, secondo le stesse regole dei singoli professionisti. Determinato il reddito netto, l’associazione nello stesso modello provvederà a ripartirlo tra gli associati risultanti
dal contratto associativo nelle quote che possono essere stabilite con scritture autenticate fino al giorno di presentazione della dichiarazione. Di tale ripartizione l’associazione consegnerà poi una attestazione al professionista, insieme all’indicazione della quota, della parte delle ritenute d’acconto subite allo scopo di consentirgli di predisporre il proprio quadro H da allegare alla propria dichiarazione.
REDDITO DELLE ASSOCIAZIONI TRA PROFESSIONISTI Come si è visto in premessa, sembra destinata ad avere sempre più spazio la forma di esercizio dell’attività professionale in forma associata. L’associazione professionale è prevista dall’art.5 del DPR n.917/1986 il quale equipara le associazioni tra professionisti alle società semplici. È da tenere presente però che l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata di costituzione può essere redatta, ai fini della ripartizione del reddito, fino al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi: pertanto anche dopo la chiusura del periodo d’imposta. L’associazione nel corso della propria attività consegue dei compensi e sostiene delle spese proprio come farebbe il singolo professionista. Anche se i singoli incarichi ricevuti dall’associazione sono svolti solo da alcuni dei professionisti partecipanti, l’associazione è tenuta a emettere una parcella a proprio nome e quindi a redigere una propria contabilità seguendo tutte le regole proprie della contabilità per i professionisti. Unica particolarità è costituita dall’ammortamento e dalla deducibilità delle spese relative alle automobili intestate all’associazione, consentita nei limiti del 50% per tante auto quant’è il numero dei professionisti associati. L’associazione ha quindi un obbligo autonomo di presentazione delle dichiarazioni sia IVA sia dei redditi (Mod. Unico, Società di persone) ma tale obbligo è solo formale in quanto, come vedremo, ai fini dei redditi l’as-
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sociazione non è un soggetto passivo dell’imposta dovendo i singoli associati dichiarare nella propria individuale dichiarazione dei redditi, la quota di utile spettante. L’atto costitutivo, avente data certa, stabilisce tra l’altro la quota di ripartizione dell’utile netto determinato secondo le regole del reddito di lavoro autonomo. Se l’atto costitutivo non stabilisce delle quote, la ripartizione degli utili viene presunta in parti uguali, e infatti tale è la regola più diffusa. A tale riguardo però il DPR n.917/1986 ha introdotto una innovazione molto interessante. Il nuovo art.5 lett. c, prevede infatti che le quote possano essere determinate con scrittura privata autenticata e registrata, fino alla data di presentazione della dichiarazione dei redditi, e quindi oltre la data di chiusura del periodo d’imposta. Nella stessa misura si ripartiscono le eventuali perdite determinate magari da forti ammortamenti in fase di inizio dell’attività, per costose apparecchiature o altre immobilizzazioni. Per quanto riguarda le ritenute subite dall’Associazione, in sede di riparto degli utili netti tra i professionisti si procede alla suddivisione e alla certificazione per singolo associato delle ritenute d’acconto subite dall’associazione nella stessa misura in cui vengono suddivisi gli utili onde consentire a ciascun associato lo scomputo delle stesse dalla propria imposta personale lorda dovuta.
L’associazione quindi, sulla base della contabilità dovrà curare i seguenti adempimenti: • presentare la dichiarazione annuale IVA; • presentare la dichiarazione annuale dei redditi (Mod.UNISP); • compilare e consegnare agli associati la dichiarazione di riparto degli utili e delle ritenute subite; • presentare la dichiarazione di sostituto d’imposta (Mod.770) e versare nei termini le ritenute effettuate; • presentare la dichiarazione dell’IRAP. L’atto costitutivo d’associazione stabilisce anche la durata. Ma nel corso del tempo può accadere che alcuni professionisti vogliano recedere dall’associazione oppure che altri vogliano entrare a farne parte. In tali casi il rappresentante legale dell’associazione provvede a convocare tutti gli associati presso un notaio in modo da modificare, con il consenso di tutti, l’originario atto costitutivo, regolando al contempo ogni rapporto di dare e avere con l’associato uscente o con quello entrante secondo le regole dell’atto costitutivo. Il nuovo atto va comunicato all’Ufficio delle entrate entro 30 giorni dall’avvenuta variazione. Per l’associato uscente la liquidazione della quota costituisce reddito assoggettabile a tassazione separata se la permanenza nell’associazione durava da almeno 5 anni.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • ORDINAMENTO SISTEMA TRIBUTARIO
C.2. 7. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
CONTO FISCALE E RIMBORSO Il “conto fiscale” è attribuito ai titolari di partita IVA. Il relativo numero è composto dal codice fiscale dell’intestatario, preceduto dal codice del Concessionario. Su di esso devono essere effettuati tutti i versamenti del titolare (IVA, IRPEF, R/A dipendenti ecc.). Attraverso il conto fiscale transitano anche i rimborsi di imposta richiesti al Concessionario: ciò avverrà mediante l’accredito sul conto stesso. Una volta presentata la dichiarazione dei redditi/IVA, la richiesta di rimborso va presentata allo sportello del Concessionario corredata di una fidejussione assicura-
tiva della durata di 5 anni rilasciata da una Compagnia di assicurazioni accreditata presso l’amministrazione finanziaria, se l’importo del rimborso supera € 5.164,57. Decorsi 40 giorni dalla richiesta, il Concessionario, rispettando l’ordine cronologico di presentazione e per ciascuna giornata in ordine decrescente di importo dispone l’erogazione del rimborso tramite accreditamento sul conto corrente bancario comunicato dall’intestatario. Gli estremi del conto corrente bancario personale sul quale eventualmente accreditare i rimborsi disposti, possono essere comunicati una volta ricevuta la comu-
nicazione di apertura del conto fiscale, o successivamente, con il modello a esso allegato da inoltrarsi al Concessionario attraverso la banca di fiducia del professionista in cui risulta aperto il conto corrente stesso. Il Concessionario ogni anno, entro il 20 marzo, invia a ciascun titolare un estratto conto dei versamenti registrati e degli eventuali rimborsi eseguiti. I titolari del conto fiscale possono richiedere sempre anche un estratto conto.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
RITENUTE D’ACCONTO SUBITE ED EFFETTUATE Il sistema di prelievo fiscale attraverso i sostituti di imposta ha un ambito di applicazione molto vasto sia per quanto riguarda i compensi su cui è applicabile la ritenuta (tutti i compensi di lavoro autonomo anche se occasionali) sia per quanto riguarda le categorie di soggetti obbligati a effettuarla, fra cui sono compresi gli stessi professionisti, a partire dal 1° gennaio 1998, e le amministrazioni dello Stato. La ritenuta è in sostanza un anticipo dell’imposta che poi sarà dovuta dal professionista sul complesso dei propri redditi; la sua riscossione avviene all’atto del paga-
mento tramite il soggetto che effettua il pagamento stesso e che versa allo Stato, per conto del professionista, la somma a titolo d’acconto. I soggetti obbligati a effettuarla, devono effettivamente trattenere la somma dal compenso versato al percipiente; la legge parla infatti di rivalsa obbligatoria. Chi effettua la ritenuta deve registrare i compensi e le somme relative nella propria contabilità e presentare una dichiarazione unica per tutti i percipienti con allegati gli attestati dei versamenti effettuati (Mod.770 quadro D). Queste registrazioni sono parallele a quello che il profes-
SOGGETTI OBBLIGATI A EFFETTUARE LE RITENUTE D’ACCONTO Devono operare la ritenuta d’acconto le società di qualsiasi tipo comprese le cooperative e le società di mutua assicurazione; gli enti pubblici e privati diversi dalle società e le associazioni senza personalità giuridica aventi per oggetto l’esercizio di attività commerciale e le imprese agricole, le associazioni tra professionisti e, a partire dal 1° gennaio 1998, anche i singoli professionisti quando corrispondono compensi ad altri professionisti per prestazioni da questi rese loro nell’ambito dell’esercizio della professione. Non sono tenuti a operare la ritenuta gli imprenditori individuali che richiedono le prestazioni professionali a titolo privato, fuori cioè dall’ambito della propria attività commerciale o agricola. I privati (persone fisiche) non sono mai tenuti a effettuare la ritenuta.
OGGETTO DELLA RITENUTA Tutti i compensi di lavoro autonomo, derivanti sia da attività abituale sia occasionale per la quale sia richiesta o meno l’iscrizione ad albi, ruoli ecc. resa nell’interesse dell’erogante o anche nell’interesse di terzi, comprese le prestazioni eseguite da associazioni tra professionisti. Le prestazioni eseguite all’estero non sono soggette a ritenuta.
BASE IMPONIBILE E ALIQUOTE • Nel caso di: redditi derivanti dall’esercizio di arti e professioni, la ritenuta nella misura del 20% va operata sull’intero onorario esclusi solo i rimborsi di spese anticipate in nome e per conto del cliente, analiticamente documentate (l’importo relativo con la causale deve essere separatamente indicato in fattura o in altro documento e nei registri obbligatori; la documentazione può essere allegata al documento stesso). Queste spese non costituiscono reddito imponibile (a differenza delle spese inerenti alla produzione del reddito che vanno incluse nell’onorario e sono detraibili in altra sede), come detto sopra, su di esse non viene effettuata la ritenuta a condizione che siano documentate e risultino, come tale, anche dalle scritture obbligatorie del sostituto d’imposta (es. pagamento di tasse, diritti di cancelleria, di visura ecc.); sono escluse altresì dalla ritenuta le somme dovute al professionista per contribuzioni e oneri previdenziali quali il contributo integrativo del 2% previsto dalla Cassa di previdenza, mentre è soggetto a ritenuta anche il contributo INPS 4% che i professionisti non iscritti alle Casse (dipendenti) devono addebitare al cliente a titolo di rivalsa. • Nel caso di: compensi per l’utilizzazione di opere dell’ingegno, l’art.49 DPR 22 dicembre 1986, n.917, lett. a, considera redditi di lavoro autonomo, soggetti quindi alla relativa disciplina, anche quelli derivanti dall’utilizzazione economica di marchi di fabbrica e di commercio, dall’utilizzazione economica di opere dell’ingegno, invenzioni industriali e simili, esclusa la progettazione e le opere di architettura. Tale disposizione per il professionista può riguardare il caso della cessione del diritto d’autore per opere letterarie. Il corrispettivo va assoggettato a ritenuta del 20% da applicare sulla parte costituita dal compenso diminuito del 25% a titolo di deduzione forfettaria delle spese; in pratica la ritenuta viene fatta sul 75% del compenso totale.
sionista deve effettuare sui propri libri obbligatori. Le ritenute subite possono essere detratte dall’imposta personale sul reddito a condizione che risultino dal certificato che il sostituto di imposta ha l’obbligo di fornire al professionista e in cui risultano l’ammontare delle somme corrisposte, la causale e le ritenute effettuate, sottoscritte dal rappresentante legale o negoziale o dal sostituto stesso. Chi effettua la ritenuta deve trasmettere al professionista una certificazione del versamento effettuato, entro il 28 febbraio dell’anno successivo.
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RITENUTE D’ACCONTO OPERATE AI DIPENDENTI DELLO STUDIO E AD ALTRI PROFESSIONISTI O LAVORATORI AUTONOMI (e ritenute INPS ai collaboratori) Quando i professionisti corrispondono compensi per prestazioni di lavoro dipendente a una segretaria, personale tecnico dipendente ecc., deducibili ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo, questi compensi sono soggetti a ritenuta fiscale. Questa ritenuta non fissata, ma variabile in base all’entità dei compensi corrisposti deve tenere conto delle detrazioni soggettive applicabili al percipiente. Deve essere tenuto un libro matricola e un libro paga. I suddetti libri devono essere tenuti anche ai fini assicurativi e contributivi, oltre che contabili. Per la rilevanza e i continui aggiornamenti che assume la gestione del personale consigliamo quindi, senza approfondire, di rivolgersi alla consulenza mensile di un consulente del lavoro abilitato. In ogni caso sulle retribuzioni erogate, comprensive, come vedremo meglio parlando del reddito di lavoro dipendente, di qualsiasi emolumento in denaro o in natura, ma al netto dei contributi a carico del lavoratore, vanno effettuate le trattenute applicando alle aliquote IRPEF vigenti e relative agli scaglioni rapportati a base mensile, le detrazioni spettanti ai fini IRPEF per carichi di famiglia. Il professionista deve operare, la ritenuta d’acconto del 20% anche ai pagamenti effettuati ad altri lavoratori autonomi, siano essi professionisti, collaboratori occasionali o associazioni fra professionisti. Nei confronti dei collaboratori coordinati e continuativi, devono essere effettuate le stesse ritenute fiscali dei lavoratori dipendenti. A essi dovrà essere consegnato un cedolino paga. Questi, ai fini INPS, rimangono soggetti al contributo che a seconda dei casi è del 10% o di una percentuale che per l’anno 2003 è del 14%, e che aumenterà negli anni successivi fino al 20%. Il professionista è anche “sostituto di contributo” ovvero deve versare il contributo all’INPS per la quota a suo carico e per quella a carico del committente. Non deve operare ritenute quando agisce come privato: ad esempio quando corrisponde compensi ai dipendenti che attendono alla casa e alla famiglia (camerieri, autisti, governanti, precettori, marinai) o compensi per lavoro autonomo che utilizza come privato (ad esempio il medico, il notaio ecc.). Chi non esegue le ritenute alla fonte, essendovi obbligato è soggetto a una sanzione del 20% dell’ammontare non trattenuto salva l’applicazione della sanzione per omesso versamento.
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
VERSAMENTO DELLE RITENUTE Il versamento delle ritenute effettuate su pagamenti del mese precedente va effettuato entro il 16 del mese successivo su apposta delega “conto fiscale” conferita a una banca. L’obbligo del pagamento della ritenuta scatta dal mese di pagamento del professionista indipendentemente dalla data di emissione della relativa fattura. I codici di versamento da utilizzare sono attualmente: 1040 – ritenute per redditi di lavoro autonomo (professionali od occasionali); 1041 – ritenute per redditi di diritto d’autore; 1001 – ritenute su retribuzioni corrisposte a dipendenti; 1017 – ritenute per i collaboratori coordinati e continuativi. In caso di ritardo al contribuente si applica l’interesse legale annuo (3% nel 2002) oltre alla soprattassa del 30%, salvo il caso del ravvedimento. Mentre è facoltà del professionista di versare gli interessi insieme all’importo principale, la soprattassa non può essere mai versata contestualmente, salvo il ravvedimento.
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ESERCIZIO PROFESSIONALE SISTEMA TRIBUTARIO
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ORDINAMENTO
IMPOSTA REGIONALE SULLE ATTIVITÀ PROFESSIONALI (IRAP) Il DLgs 15 dicembre 1997, n.446 ha dato attuazione a tre grandi deleghe: l’istituzione dell’IRAP, la revisione degli scaglioni e delle aliquote IRPEF, il riordino dei tributi locali. L’introduzione dell’IRAP costituisce la novità più rilevante della riforma e determina l’effetto più forte sul reddito di lavoro autonomo in generale e su quello dei professionisti in particolare. L’IRAP è una nuova imposta di carattere reale in quanto colpisce la “produzione” e non la persona fisica o giuridica con la propria capacità contributiva. Da alcuni è definita una imposta “rivoluzionaria” per il nostro sistema fiscale e una vera propria novità in quanto seppur consona a sistemi impositivi nord-americani, non esiste, così come è stata strutturata, in nessun altra parte del mondo. L’IRAP è infatti una imposta che si applica su una base imponibile “virtuale”, costruita a tavolino, slegata dai risultati economici d’esercizio, che colpisce anche attività in perdita. Con l’introduzione dell’IRAP vengono contemporaneamente abolite sette tra imposte e tasse, in sostanza, però, gli oneri che effettivamente scompaiono per i professionisti sono solamente quattro: 1. la tassa sulla salute, che però veniva applicata solo fino a € 77.468,53 di reddito e inoltre determinava anche un onere deducibile dal reddito complessivo; 2. la tassa sulla partita IVA, che però aveva un costo limitato; 3. il contributo al Servizio sanitario nazionale che grava sul reddito di lavoro dipendente. Tuttavia questo risparmio coinvolgerà solo i professionisti che svolgono l’attività con dipendenti: questi potranno risparmiare i contributi sanitari a fronte del pagamento dell’IRAP.
Viceversa i professionisti che utilizzano collaboratori coordinati e continuativi non avranno alcun risparmio a fronte del nuovo onere in termini di IRAP; 4. l’imposta comunale per imprese, arti e professioni (ICIAP). L’imposta è dovuta alla Regione nel cui territorio è realizzato dal soggetto passivo il valore della “produzione netta”. L’imposta è determinata dal decreto legislativo nell’aliquota del 4,25% (massimo consentito dalla delega: 4,5%) applicato al valore della produzione netta che costituisce la base imponibile. Dal 2001 le Regioni hanno la facoltà di maggiorare l’imposta fino a un punto percentuale. La base imponibile ovvero il valore della produzione netta viene definito dal decreto legislativo per ogni categoria di contribuente. Essa è costituita dall’utile netto (o la perdita) alla quale vanno aggiunti i costi sostenuti per lavoro dipendente (ad eccezione di quelli relativi ad apprendistati e per il 70% di quelli relativi a contratti di formazione e lavoro) o di collaborazione coordinata e continuativa e per interessi passivi. In sostanza l’IRAP grava sull’utile netto definito come differenza tra ricavi e costi, sul costo del lavoro e per collaborazioni. L’IRAP colpisce, quindi, coloro che impiegano personale e sono costretti a ricorrere all’indebitamento. Per queste sue caratteristiche l’IRAP è stata anche definita come l’imposta sulle imprese e sui soggetti più deboli.
CALCOLO DELL’IRAP Per quanto riguarda i professionisti e le associazioni professionali il valore della produzione netta (ovvero la base imponibile dell’imposta) è definito dall’art.8 del decreto legislativo nel seguente modo: la base imponibile è determinata dalla differenza tra i compensi percepiti nel periodo d’imposta e l’ammontare dei costi sostenuti. I compensi, in denaro o in natura, devono essere considerati al netto dei contributi previdenziali e assistenziali rimasti a carico del soggetto erogante e devono essere assunti in base al criterio di cassa. Tra i costi dell’esercizio devono essere inclusi anche gli ammortamenti dei beni materiali e immateriali. I valori da prendere in considerazione devono comunque essere assunti in conformità alla disciplina prevista ai fini delle imposte sui redditi. Analogamente a quanto previsto per le imprese, anche per i professionisti sono indeducibili dalla base imponibile IRAP: gli interessi passivi; le spese di lavoro dipendente
(a eccezione di quelli relativi ad apprendistati e per il 70% di quelli relativi a contratti di formazione e lavoro); i compensi erogati in esecuzione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa; i compensi pagati a lavoratori autonomi occasionali; la parte relativa a interessi compresa nei canoni di locazione finanziaria. Dalle regole illustrate si riassumono, di seguito, i criteri di deduzione per i compensi pagati ai collaboratori dei professionisti. Questi compensi possono essere relativi a: collaborazione coordinata e continuativa; lavoro autonomo occasionale; lavoro autonomo professionale. Nelle prime due ipotesi il compenso erogato è indeducibile dalla base imponibile IRAP, mentre nel caso in cui il collaboratore sia a sua volta un professionista autonomo, il costo del servizio da questi fornito è invece interamente deducibile nella determinazione del valore della produzione netta degli esercenti arti e professioni.
VERSAMENTO DELL’IMPOSTA Il decreto che ha istituito l’IRAP tratta, agli articoli da 30 a 34, del versamento dell’imposta e delle violazioni in cui può incorrere il contribuente. Il pagamento deve avvenire mediante autotassazione, ovvero tramite versamento diretto da parte del professionista. L’imposta dovuta è quantificabile solamente a consuntivo e perciò sono dovute due rate di acconto calcolate in base all’imposta pagata per il periodo precedente e un eventuale versamento a saldo. L’acconto complessivo è stabilito nella misura del 98% dell’imposta dovuta per il periodo precedente e deve essere versato in due rate: 1. la prima rata di acconto è pari al 40% dell’acconto complessivo ed è dovuta solamente se superiore a € 103,29;
2. la seconda rata è invece pari al 60% dell’acconto complessivo; nel caso in cui non sia dovuta la prima rata, l’intero acconto deve essere versato nella seconda. I soggetti tenuti al pagamento dell’IRPEF devono versare: • la prima rata di acconto entro il 31 maggio e fino al 20 giugno è possibile versare con una maggiorazione dello 0,5%; • la seconda rata di acconto entro il 30 novembre; • il saldo entro il 31 maggio dell’anno successivo e fino al 20 giugno è possibile versare con una maggiorazione dello 0,5%.
DICHIARAZIONE IRAP L’imposta regionale per attività produttive è dovuta per ogni periodo d’imposta. Ogni soggetto passivo deve dichiarare i componenti del valore della produzione netta anche nel caso in cui non risulti un debito IRAP. Non si tratta di un’integrazione alla dichiarazione dei redditi, bensì di una dichiarazione autonoma. Nel caso in cui il professionista non sia tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi deve comunque presentare la dichiarazione IRAP.
I termini e le modalità di presentazione della dichiarazione IRAP sono gli stessi previsti per le dichiarazioni dei redditi: • le persone fisiche e le associazioni tra professionisti devono presentare la dichiarazione tra il 1° maggio e il 30 giugno; • le società tra professionisti devono presentare la dichiarazione entro un mese dalla data di approvazione del bilancio.
CONTROLLI E SANZIONI Fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 1999 il potere di controllo spetta all’amministrazione finanziaria e cioè agli uffici unici o agli uffici delle imposte dirette. Successivamente si potranno presentare due diverse possibilità: 1. se le singole Regioni stabiliscono regole autonome e speciali per effettuare i controlli e gli accertamenti verranno applicate tali regole; 2. se invece le singole regioni non vi provvedono, in materia di controlli continuerà a essere competente l’amministrazione finanziaria. Il DLgs 446/1997 prevede sanzioni diverse a seconda della violazione commessa. L’omessa presentazione della dichiarazione è punita con la sanzione amministrativa dal 120 al 240% dell’imposta che risulta dovuta, con un limite minimo di € 258,23. Se non è dovuta imposta si applica la sanzione da € 258,23 a € 1.032,91.
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La presentazione di una dichiarazione infedele è punita con una sanzione da una a due volte la maggiore imposta dovuta. Per le seguenti violazioni si applica la sanzione da € 258,23 a € 2.065,83: • redazione della dichiarazione in difformità al modello ministeriale; • omissione di dati rilevanti per l’individuazione del contribuente; • inesatta indicazione dei dati relativi al contribuente; • omessa o inesatta indicazione di dati rilevanti per la determinazione del tributo; • omissione o incompleta indicazione di ogni altro elemento richiesto; • mancanza o incompletezza degli allegati; • mancanza o incompletezza dei documenti richiesti in esibizione. Nel caso in cui venga omesso il versamento dell’imposta oppure venga effettuato in ritardo si applica la sanzione amministrativa pari al 30%.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • ORDINAMENTO SISTEMA TRIBUTARIO
A.ZIONI
DICHIARAZIONE ANNUALE DEI SOSTITUTI D’IMPOSTA A partire dal 1998 è prevista la dichiarazione unificata e dal 1999 semplificazioni anche nel rilascio delle certificazioni. Il modello 770 contiene, pertanto, anche le informazioni attualmente richieste nei modelli O1/M e O3/M concernenti le retribuzioni corrisposte e i contributi assolti per i dipendenti, nonché quelle presenti nella denuncia annuale INAIL (modello 10/SM).
I modelli O1/M e O3/M non dovranno più essere compilati e trasmessi all’INPS a partire da quelli di competenza 1998. Il modello O1/M, che aveva valenza sia di certificazione per il lavoratore che di dichiarazione per l’INPS, viene sdoppiato in una certificazione per il lavoratore (in cui sono indicati i dati fiscali e alcuni dati contributivi – ex modello 101) e in una dichiarazione unificata (modello 770 contenente dati previdenziali e dati fiscali).
legge n.656/1994 e ben diverso dal cosiddetto concordato di massa ormai passato. Il concordato a regime si dovrà svolgere in contraddittorio diretto con l’Ufficio nel quale sarà possibile concordare il maggior reddito professionale e di conseguenza la maggiore IVA dovuta sui compensi. Sarà pertanto possibile in sede di concordato addurre tutte quelle motivazioni di carattere straordinario circa anche lo stato soggettivo od oggettivo della propria posizione fiscale nell’anno, non rilevato dai parametri o dallo studio di settore, tali da giustificare lo scostamento dal compenso congruo, secondo la procedura che vedremo in altro paragrafo. L’istituto del concordato a regime può rappresentare quindi uno strumento per aumentare il livello di maturità e di trasparenza nel rapporto fisco-cittadino. Tuttavia occorrerà attendere un provvedimento legislativo che stabilisca le modalità di utilizzo degli studi di settore ai fini dell’accertamento, per esempio in presenza di contabilità ordinaria.
ESIBIZIONE DEI DOCUMENTI Il contribuente è invitato a esibire tutti i documenti, registri, libri inerenti l’attività professionale ed è tenuto a conservare e a esibire a richiesta tutta la documentazione relativa agli anni ancora accertabili (fatture, lettere, registri, libri ecc., fino a 5 anni dalla
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VERIFICHE E ACCERTAMENTI ORDINARI
Nei locali adibiti a studio i verificatori accedono d’iniziativa muniti di ordine di accesso firmato dal Comandante del Reparto, recante il giorno della verifica, il grado e il nome dei verificatori e l’indicazione del professionista da verificare. Il contribuente deve prenderne visione e può chiederne una copia. I verificatori devono esibire le tessere di riconoscimento. Nelle abitazioni private occorre l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica ed è necessario che ricorrano gravi indizi di violazioni. Può essere chiesta l’assistenza di un legale o di una persona di fiducia. Al termine dell’attività della prima giornata viene redatto un verbale di accesso consegnando una copia alla parte.
B.STAZIONI DILEGIZLII
E ESE ESSIONAL PROF
introdotto i parametri che servono all’amministrazione finanziaria per l’accertamento 1995, 1996 e 1997, mentre il loro rispetto serve al professionista per evitarlo. L’amministrazione finanziaria, stabilisce l’art.3 comma 181 della legge 549/1995, potrà utilizzare i parametri per effettuare gli accertamenti induttivi di cui all’art.39, primo comma, lett. d, del DPR 600/1973 o meglio in un unico atto, senza pregiudizio per l’ulteriore azione accertatrice, l’Ufficio potrà attribuire al professionista, il compenso risultante dai parametri dando così agli stessi forza di presunzioni gravi, precise e concordanti, così come in via generale l’art.62 sexies della legge 427/1993 ha stabilito per gli stessi studi di settore. A partire dall’anno 1998 entrano in vigore gli studi di settore, che costituiscono il definitivo superamento di coefficienti e parametri applicati invece per gli anni 1995, 1996 e 1997. L’eventuale accertamento dell’ufficio in base ai parametri ed agli studi di settore può essere sempre definito con le regole del “concordato a regime” istituito dalla
Gli uffici, entro il quarto anno successivo a quello in cui si è presentata la dichiarazione IVA ed entro il quinto anno successivo a quello in cui si è presentata la dichiarazione ai fini IRPEF, possono rettificare le dichiarazioni presentate, ed effettuare accertamenti analitici o induttivi, se non si sono tenute regolarmente le scritture contabili, sulla situazione del professionista. Gli accertamenti e le verifiche possono essere effettuate sia da funzionari degli uffici IVA e delle imposte dirette sia dalla Guardia di Finanza. La verifica fiscale può essere: • generale: quando riguarda tutti i tributi e per un periodo che di norma è di 5 anni. Di norma è svolta dalla Guardia di Finanza, l’unica ad avere la capacità giuridica per eseguire accertamenti su tutti i tributi; • parziale: di norma è quella eseguita dai Funzionari degli Uffici IVA, Imposte Dirette ecc.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
C.RCIZIO
STUDI DI SETTORE QUALI STRUMENTI DI ACCERTAMENTO Gli studi di settore sono stati previsti dall’art.62 bis della legge 427/1993 e dovranno costituire il superamento dell’indiscriminato uso delle presunzioni e dei modelli statistico-matematici nell’accertamento del reddito del singolo professionista che avevano portato a strumenti fortemente osteggianti quali coefficienti e minimum tax. Tali studi predisposti anche con l’ausilio delle categorie interessate e soggetti a continuo aggiornamento, dovrebbero individuare elementi caratterizzanti dell’attività svolta in relazione alla localizzazione, ai beni strumentali utilizzati, alle rese orarie, alle tariffe ecc., e da tali elementi individuare un reddito normale atteso. Il terzo comma dell’art.62 sexies della legge 427/1993 consente poi agli Uffici delle imposte dirette e dell’IVA di intervenire, a seguito di gravi incongruenze tra i compensi dichiarati e gli studi di settore. Gli studi di settore si applicheranno a tutti i professionisti indipendentemente dal regime contabile prescelto. La legge 549/1995, in attesa degli studi di settore, ha
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presentazione della dichiarazione). La normativa fiscale stabilisce che dopo la verifica subita le scritture devono essere conservate finché non siano stati definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo d’imposta, anche oltre il periodo di 10 anni stabilito dal Codice civile. Questo vale anche per le lettere, fatture ecc.
RICERCHE I libri, registri, documenti non esibiti o non reperiti non saranno presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento. Lo stesso vale per le scritture detenute presso terzi (commercialista) per le quali la parte non è in grado di esibire ai verificatori l’attestazione prevista dall’art.52, DPR n.633/1972. Nel caso di scritture presso terzi alcuni verificatori si recheranno subito presso il soggetto che ha rilasciato l’attestazione (commercialista). Per il ritiro dei documenti presso il commercialista i verificatori rilasciano una copia del processo verbale. In caso di rifiuto dell’apertura di casseforti, armadi, borse, i verificatori possono farsi rilasciare una autorizzazione dell’autorità giudiziaria più vicina. Stessa procedura per le perquisizioni da eseguire sulla persona del contribuente (quando ciò sia necessario in caso di ricerca di documenti). L’ispezione documentale si svolge in due fasi: • controllo formale che tende ad accertare se il contribuente ha tenuto e conservato correttamente le scritture contabili obbligatorie (controllo molto importante perché può portare all’accertamento induttivo); • controllo sostanziale che costituisce la parte più vitale della verifica. Si sviluppa attraverso l’esame del contenuto della documentazione dei rilievi e successiva verbalizzazione.
C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
METODOLOGIE DELLA VERIFICA La verifica può comportare anche indagini bancarie sui conti correnti del professionista. Durante la verifica al professionista verrà richiesta l’indicazione dei conti intrattenuti con banche e istituti finanziari e verrà acquisita copia dei conti segnalati. I verificatori, se dal controllo emergessero elementi che lo richiedono, potranno richiedere, su autorizzazione dei responsabili degli Uffici preposti, copie dei conti a istituti di crediti diversi dal quelli indicati, anche fuori della località di residenza e se necessario potranno estendere le indagini bancarie ad altri soggetti diversi dal professionista. L’amministrazione finanziaria dall’entrata in vigore della riforma tributaria ha fornito con circolari che costituiscono una guida nel lavoro dei verificatori.
Recentemente, per la categoria dei lavoratori autonomi (professionisti e imprese minori), ove l’amministrazione ha incontrato maggiori difficoltà nell’espletamento dei controlli, il Dipartimento delle entrate ha messo a punto una metodologia operativa ad hoc finalizzata ad aumentare l’efficacia dei controlli orientandoli sugli aspetti sostanziali anziché su quelli formali. Con la circolare n.199/E del 10 luglio 1997 è stata individuata la metodologia per architetti, ingegneri, geometri e altri professionisti. La novità consiste nella creazione di una check-list da compilarsi a cura del verificatore nella quale vengono descritte, per ciascuna categoria, le caratteristiche e le modalità di esercizio e le linee guida da seguire nei controlli.
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ESERCIZIO PROFESSIONALE SISTEMA TRIBUTARIO
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ORDINAMENTO
➦ METODOLOGIE DELLA VERIFICA TAB. C.2.7./5 STUDI DI INGEGNERIA, STUDI DI ARCHITETTURA, ATTIVITÀ TECNICHE SVOLTE DA GEOMETRI Codici attività: 74.20.2 – 74.20.1 – 74.20.A CONTROLLO
SI
NO Nota Cod.
ATTIVITÀ PREPARATORIA AL CONTROLLO Attraverso il Sistema Informativo dell’A.T.:
CONTROLLO
NO Nota Cod.
• Uffici tecnici erariali delle province che rientrano nel raggio d’azione territoriale del professionista?
30
• Provveditorati alle opere pubbliche?
31
• Altri enti pubblici che presumibilmente possono avere conferito incarichi specifici?
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• Si è accertato se i dati rilevati dalla documentazione extracontabile (fascicoli dei clienti, corrispondenze, agende ecc.) trovano riscontro nella contabilità e nei documenti emessi?
33
34
35
• È stata effettuata un’interrogazione contabile completa?
01
• Sono stati rilevati i dati relativi alle ultime dichiarazioni?
02
• Sono stati rilevati il numero e l’ubicazione dei locali adibiti a studio?
03
• Sono stati individuati gli elementi indicatori di capacità contributiva (compresi gli atti del Registro)?
04
• È stato individuato il luogo di conservazione delle scritture contabili e l’eventuale soggetto depositato?
05
• Si è proceduto alla lettura dei dati contenuti nei supporti magnetici e al loro riscontro con le scritture e la documentazione contabile?
• Sono state acquisite le ultime dichiarazioni disponibili?
06
• È stata controllata la congruità degli importi fatturati sulla scorta delle tariffe professionali?
• È stata riscontrata l’esistenza di precedenti controlli e l’inclusione nelle liste selettive di anni precedenti?
07
• Sono stati inviati questionari ai clienti?
• Sono stati acquisiti tutti gli elementi d’accertamento in possesso dell’ufficio?
08
ACCESSO
*
36
• È stato esaminato il registro dei movimenti finanziari?
37
• È stata controllata l’asserzione di gratuità dei compensi?
38
• Si è proceduto alla scomposizione per aggregati omogenei dei compensi dichiarati?
39 40
• È stata effettuata la ricerca della documentazione extracontabile (agende, rubriche, corrispondenza, relazioni tecniche, elaborati ecc.)?
09
• Dalla scomposizione sono emerse situazioni inverosimili sotto l’aspetto economico?
• Sono stati acquisiti i fascicoli relativi ai clienti?
10
CONTROLLO DELLE SPESE
• È stato rilevato il numero e il tipo dei dipendenti?
11
• È stato verificato se il contribuente utilizza società di servizi?
41
• È stato rilevato il numero e il tipo dei collaboratori non dipendenti e praticanti e degli associati all’attività professionale?
12
• Sono stati riscontrati trasferimenti di costi propri dell’attività professionale a società di servizi collegate?
42
• Sono state inventariate le attrezzature tecniche possedute?
13
Sono stati rilevati i costi per:
• È stato rilevato il livello di automazione dello studio (software utilizzato, servizi di banche dati ecc.)?
14
• Acquisti di personal computer?
43
• Programmi di grafica?
44
• Utenze telefoniche, (fax, modem ecc.)?
45
• Sono state rilevate le spese sostenute per assicurazioni professionali, consumi energetici, utenze telefoniche e collegamenti con banche dati?
15
• Sono stati acquisiti i floppy-disk e gli altri supporti magnetici rinvenuti nello studio?
16
• Potenza e il costo dei programmi e il numero e gli importi fatturati per le prestazioni conseguenti?
46
• Sono stati acquisiti i dati presenti nell’hard-disk dei PC rinvenuti?
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• Ampiezza del rischio professionale assicurato e volume d’affari dichiarato?
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• È stata richiesta una stampa dei clienti dall’archivio clienti del programma di gestione?
18
ALTRI CONTROLLI E RISCONTRI
È stata rilevata la congruenza fra:
Sono state acquisite informazioni relativamente a: • Docenze?
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• Collaborazione a giornali e riviste specializzate?
20
• Rapporti con enti pubblici (Comuni, Tribunali ecc.)?
21
• Altri incarichi ricoperti?
22
• Anzianità professionale?
23
• Eventuale rilevamento dello studio da genitori o parenti?
24
• Iscrizione a circoli privati? • È stata controllata l’esistenza, la bollatura e l’aggiornamento dei libri contabili obbligatori?
• È stata rilevata la specializzazione professionale e la tipologia delle principali prestazioni rese?
• È stato accertato il titolo di possesso dei locali utilizzati per l’esercizio della professione?
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• È stato calcolato il capitale investito nello studio (arredi, attrezzature ecc.)?
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È stato valutato il reddito figurativo relativo a: 51 52
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• Retribuzione similare da lavoratore dipendente?
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INDAGINI BANCARIE • È stata richiesta al contribuente l’indicazione dei conti intrattenuta con banche e istituti finanziari?
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• È stata acquisita ed esaminata la copia dei conti segnalati?
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• Sono state richieste copie dei conti agli istituti di credito e finanziari diversi da quelli indicati? *
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• Sono stati interessati istituti bancari operanti in località diverse da quelle di residenza? *
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• Le indagini bancarie sono state estese ad altri soggetti? *
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Sono stati acquisiti elementi informativi dell’attività professionale mediante ricerche presso: • Uffici tecnici dei Comuni che rientrano nel raggio d’azione territoriale del professionista?
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• Fitto dei locali di proprietà utilizzati per l’esercizio della professione?
CONTROLLO DEL VOLUME D’AFFARI • È stata rilevata la tipologia della clientela assistita?
• È stato calcolato il reddito accertabile in via sintetica (al professionista e agli associati) sulla base delle manifestazioni di capacità contributiva individuate?
• Impiego alternativo del capitale investito?
Sono state acquisite informazioni relativamente a:
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* Controllo non obbligatorio, la cui utilità deve essere valutata caso per caso sulla base della prevedibile proficuità.
C 40
SI
ESERCIZIO PROFESSIONALE • ORDINAMENTO SISTEMA TRIBUTARIO
C.2. 7. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
SEQUESTRO
PROCESSO VERBALE
Possono essere sequestrati i libri e i registri solo quando la violazione rilevata costituisce delitto o quando è previsto dalla singola legge tributaria. È previsto il sequestro nel caso di fatture false (considerate corpo del reato). Luogo di verifica e assistenza è la sede dello studio che può essere spostata presso gli uffici dei verificatori in caso di mancanza di spazio. In tal caso il materiale viene sigillato e asportato. Il professionista ha diritto ad assistere non solo presso la sede ma anche presso i verificatori. Il contribuente può delegare una persona di fiducia per assistere alla verifica. Non c’è una norma che autorizzi la nomina di consulenti esterni, ma nemmeno una che la vieti. La verifica presso lo studio professionale deve avvenire comunque in presenza del titolare o di un suo delegato.
Viene redatto un processo verbale di verifica dove vengono trascritte tutte le operazioni compiute con un elenco dei documenti esibiti e verificati. Una copia viene consegnata alla parte. Ogni giorno il processo verbale viene chiuso e riaperto. Il verbale è nullo se vi è incertezza assoluta sulle persone intervenute o se manca la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto. Viene redatto, alla fine, un processo verbale di constatazione in più copie. Riporta i vari processi verbali esaminati, le violazioni constatate, le pene pecuniarie irrogabili.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
CONSEGUENZE DELLA VERIFICA E DELL’ACCERTAMENTO ACCERTAMENTO CON ADESIONE (Concordato) Il DLgs 19 giugno 1997, n.218 (in GU 17 luglio 1997, n.165) ha reso finalmente operativo l’istituto dell’accertamento con adesione (cd. concordato a regime) e il concordato giudiziale esperibile fino al secondo grado di giudizio a lite avviata. L’attuazione della delega ha allargato l’ambito di applicazione dello strumento concordatario: le nuove norme ampliano, infatti, la platea dei soggetti interessati, delle categorie di reddito e delle tipologie di accertamento concordabili. La materia concordabile diventa più ampia, in quanto si prescinde dalla natura del reddito che ha formato oggetto di verifica o di accertamento. Saranno concordabili anche gli accertamenti sintetici sul reddito complessivo (redditometro) nei confronti delle persone fisiche. Un elenco delle applicazioni tipiche del concordato è contenuto nella circolare 235/E dell’8 agosto 1997: • accertamento analitico ai fini delle imposte dirette con valutazione induttiva di certe poste (maggiori ricavi, minori costi); • accertamento analitico IVA con poste induttive; • accertamento induttivo imposte dirette; • accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti; • redditometro; • accertamenti d’ufficio in caso di omessa dichiarazione; • accertamenti basati su coefficienti; • accertamenti basati su parametri o studi di settore; • accertamenti basati su valutazioni dell’UTE; • accertamenti riguardanti la qualificazione del reddito (d’impresa, di lavoro autonomo, di capitale ecc.); • accertamenti riguardanti la qualificazione di certe spese (pluriennali e no, promozionali o di rappresentanza ecc.); • accertamenti per i sostituti d’imposta in ordine all’ammontare degli imponibili o alla quantificazione dei redditi in natura; • problemi relativi all’inerenza o meno di una certa spesa. Rispetto alla versione precedente del concordato vengono rimosse tutte le cause ostative al concordato. Questo significa che sarà possibile perfezionare l’adesione anche nelle ipotesi di presenza di reato penale oppure di omessa presentazione della dichiarazione. La procedura si articola in quattro momenti: 1. l’avvio dell’accertamento con adesione; 2. lo sviluppo del contraddittorio tra Ufficio e contribuente; 3. la redazione dell’atto di adesione, cioè del documento che contiene l’accordo delle parti; 4. gli adempimenti successivi. Analizziamo questi aspetti nel caso dell’accertamento con adesione ai fini delle imposte dirette e dell’IVA. Per quanto riguarda l’avvio della procedura, ricordiamo che il concordato può essere innescato sia dall’amministrazione finanziaria sia dal contribuente. Nella prima ipotesi sarà l’Ufficio imposte che dovrà inviare al contribuente un invito a comparire nel quale devono essere indicati il giorno e il luogo della comparizione e i periodi d’imposta che sono suscettibili di accertamento. L’attivazione della procedura da parte del contribuente è invece possibile in due casi: • quando questi è stato oggetto di accessi, ispezioni e verifiche da parte dell’amministrazione finanziaria, anche se questa attività istruttoria non si è ancora tradotta in un atto di imposizione ovvero quando ha subito una verifica della Guardia di Finanza e gli è stato notificato un processo verbale di constatazione; • quando ha ricevuto un avviso di accertamento o di rettifica. Il contribuente in questi casi avrà la possibilità di presentare un’istanza in carta libera con la quale mostrare la propria disponibilità a un confronto per definire la propria posizione con lo strumento dell’accertamento con adesione. Analizziamo i due casi che si possono verificare. ISTANZA DOPO LA VERIFICA In questa situazione, l’istanza che viene avanzata dal contribuente rappresenta solo una richiesta di formulazione della proposta di accertamento ai fini dell’eventuale adesione. In sostanza, il contribuente stimola l’Ufficio a formalizzare le sue richieste e propone una proposta di adesione, in base a considerazioni e situazioni soggettive ed oggettive, degli imponibili relativi ai singoli rilievi effettuati sia ai fini IRPEF che IVA.
L’esito di questa richiesta non è automatica; l’amministrazione finanziaria non ha alcun obbligo di accettare la richiesta del contribuente. Al contrario, se dalla verifica non scaturiscono elementi validi ai fini di un possibile accertamento, l’Ufficio potrebbe non procedere mai all’accertamento e quindi non verrebbe mai proposto al contribuente alcun invito a comparire. Si deve però ritenere che, nel caso contrario, se l’Ufficio ritenesse che l’attività istruttoria abbia avuto esito positivo, prima di emanare un avviso di accertamento dovrà inviare un invito a comparire al contribuente.
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
ISTANZA DOPO L’ACCERTAMENTO Il secondo caso che si può presentare è quello in cui il contribuente viene raggiunto da un avviso di accertamento. Si deve trattare di un avviso non preceduto da invito a comparire, altrimenti il contribuente non ha più possibilità di innescare la procedura di concordato. L’istanza dopo l’accertamento ha due effetti: • quello di obbligare l’Ufficio entro 15 giorni dal ricevimento dell’istanza a formulare un invito a comparire al contribuente; • quello di sospendere per 90 giorni dalla data di presentazione dell’istanza i termini per impugnare l’avviso di accertamento. Si tratta di due aspetti rilevanti della procedura. In primo luogo, osserviamo che all’Ufficio non rimangono possibilità alternative: esso non potrà respingere la proposta di concordato, ma dovrà limitarsi a valutare la congruità delle offerte del contribuente in fase di contraddittorio. Per quanto riguarda invece la sospensione, essa deriva dalla regola secondo la quale la strada del contenzioso è alternativa a quella del concordato. L’azione di impugnativa dell’atto di accertamento, infatti, significherebbe la rinuncia all’accertamento con adesione. I maggiori termini che vengono concessi consentono invece di tentare la strada del concordato e solo in secondo battuta presentare l’eventuale ricorso. L’iniziativa per l’avvio della procedura di concordato spetta all’Ufficio quando si è in presenza di periodi d’imposta non accertati né oggetto di verifica. L’Ufficio che intende procedere verso il concordato deve inviare al contribuente un invito a comparire nel quale devono essere indicati: • i periodi d’imposta interessati; • l’invito a presentarsi per definire l’accertamento con adesione; • il giorno, il luogo e l’ora della comparizione. Si tratta di una comunicazione che non provoca alcun obbligo per il contribuente, il quale potrà decidere liberamente il proprio comportamento. Le scelte possibili sono di fatto tre: non comparire; recarsi all’Ufficio senza concludere il concordato; giungere all’accordo. La definizione dell’accertamento avviene in contraddittorio. Questo significa che sia l’Ufficio sia il contribuente faranno valere le proprie ragioni e produrranno i propri argomenti prima di giungere a un accordo che soddisfi entrambi. È evidente che diventa particolarmente importante capire quali sono gli elementi che potranno essere utilizzati da ambo le parti. Il decreto legislativo che disciplina il nuovo concordato non contiene indicazioni specifiche. Le ragioni del professionista, qualora sia raggiunto da accertamento su parametri o studi di settore dovranno riguardare essenzialmente fatti oggettivi (interruzione dell’attività per malattia o altre cause di forza maggiore ecc.) oppure riguardare particolari condizioni di svolgimento dell’attività. Il concordato si concretizza in un semplice documento redatto in due esemplari che deve essere sottoscritto dal professionista e dal capo dell’ufficio competente oppure da un suo delegato. L’atto dovrà contenere la liquidazione delle maggiori imposte e sanzioni ma anche quali sono stati i motivi e le variabili che hanno portato al raggiungimento dell’accordo tra le parti. Entro 20 giorni dalla redazione dell’atto di adesione il contribuente dovrà provvedere al versamento della somme dovute a seguito del concordato. Il pagamento potrà avvenire nei seguenti modi: • in unica soluzione; • in forma rateale, fino a un massimo di 8 rate trimestrali (2 anni) per le somme fino a € 51.645,69; • in forma rateale, fino a un massimo di 12 rate trimestrali (3 anni) per gli importi superiori a € 51.645,69.
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URB
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
. ARIO C.2.7 A TRIBUT M SISTE
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C.2. 7.
ESERCIZIO PROFESSIONALE SISTEMA TRIBUTARIO
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ORDINAMENTO
➦ CONSEGUENZE DELLA VERIFICA E DELL’ACCERTAMENTO ➦ ISTANZA DOPO L’ACCERTAMENTO Per gli importi rateizzati il contribuente dovrà corrispondere gli interessi al saggio legale e fornire apposite garanzie. La convenienza per il professionista a concordare sono le seguenti: a) possibilità di riduzione delle pretese erariali per i vari rilievi contestati; b) riduzione delle sanzioni al 25% del minimo; c) depenalizzazione dei reati tributari previsti dalla legge 516/1982 a eccezione della frode fiscale e dei mancati versamenti delle ritenute da parte del sostituto; d) possibilità di definire in anticipo il periodo d’imposta controllato.
RICORSO ALLE COMMISSIONI TRIBUTARIE E DIFESA – RISCOSSIONE Con l’introduzione della legge n.516/1982, cosiddetta delle “manette agli evasori”, gravi e pesanti possono essere le conseguenze e i riflessi dell’azione accertatrice degli Uffici, aggiungendo alle sanzioni di natura amministrativa anche quelle di natura penale con il superamento di determinati limiti o con l’adozione di eventuali mezzi di evasione fraudolenti. È comunque all’esame del Parlamento un disegno di legge governativo per la revisione di questa legge e per la depenalizzazione in generale di numerose fattispecie di violazione di norme fiscali. Inoltre recentemente, sono state fortemente inasprite, raddoppiate e quadruplicate, le sanzioni e pene pecuniarie. Pertanto qualora, nonostante un corretto comportamento nella tenuta delle scritture contabili, si incorra nell’azione accertatrice dell’Ufficio, occorre valutare attentamente, anche ai fini dell’eventuale sanzione, l’opportunità di impugnare l’atto. Non è possibile impugnare il semplice processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza o dall’Ufficio in sede di verifica, ma già dal processo verbale si può attivare la procedura della richiesta di accertamento con adesione ovvero di concordato con l’Ufficio se ritenuto conveniente.
Il provvedimento amministrativo di accertamento o rettifica viene regolarmente notificato dall’Ufficio al professionista; da quel momento decorrono i termini di 60 giorni per poter proporre ricorso avanti alle Commissioni Tributarie competenti oppure, se del caso, esperire la via del concordato a regime attraverso una sorta di patteggiamento con l’ufficio. I decreti legislativi 31 dicembre 1992, nn.545 e 546, (in GU 13 gennaio 1993, n.9, s.o.) hanno dato attuazione alla delega al Governo contenuta nell’art.30 della legge 30 dicembre 1991, n.413 per la revisione e riorganizzazione dell’intera materia del contenzioso tributario. Alle nuove Commissioni tributarie, che si sono insediate il 1° aprile 1996 il decreto delegato ha devoluto l’intera giurisdizione in materia di contenzioso tributario concernente le seguenti imposte: redditi, IVA, INVIM, successioni e donazioni, registro, imposte ipotecarie e catastali, assicurazioni, tributi locali e varie. La Commissione tributaria provinciale è prevista come giudice di primo grado, mentre la Commissione tributaria regionale costituisce il Giudice d’appello. Contro le sentenze della Commissione tributaria regionale è possibile proporre ricorso in Cassazione. Con il nuovo contenzioso è stato previsto che le parti del giudizio, diverse dall’amministrazione, devono essere assistite in giudizio da un difensore abilitato, tranne nei casi in cui, se il ricorso è stato presentato personalmente dal contribuente, il tenue valore della controversia e la semplicità delle questioni, consentono di partecipare all’udienza senza l’assistenza tecnica, dopo essere stato a ciò autorizzato dal Presidente della Commissione tributaria. Sono abilitati all’assistenza tecnica dinanzi alle Commissioni tributarie gli avvocati, i procuratori legali, i dottori commercialisti, i ragionieri e i periti commerciali iscritti nei relativi albi professionali. Per la proposizione del ricorso è consigliabile quindi rivolgersi a uno dei suddetti professionisti subito dopo la notifica dell’avviso di accertamento. Nel corso del giudizio si può proporre la conciliazione giudiziale. Con questo istituto è previsto il pagamento rateale dell’imposta concordata e la riduzione delle sanzioni a un terzo.
SISTEMA SANZIONATORIO Il sistema delle sanzioni è soggetto a una continua e ulteriore evoluzione. Le sanzioni applicabili per la violazione delle norme in materia di imposte dirette e di IVA sono di due tipi: • sanzioni amministrative che hanno in genere carattere pecuniario che sono applicate dagli uffici fiscali contro le quali è quindi ammesso ricorso alle Commissioni Tributarie secondo le norme del contenzioso fiscale; • sanzioni penali applicabili per quelle violazioni che costituiscono reato e che possono riferirsi sia a contravvenzioni, punite con l’arresto e/o l’ammenda sia a delitti, puniti con la reclusione e la multa.
Le sanzioni sono applicate dal Tribunale Penale dopo un procedimento disciplinato dal Codice di Procedura penale e per esse gli uffici fiscali o gli altri organi di verifica come la Guardia di Finanza hanno l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria, del contribuente che ha violato la norma. L’evoluzione della normativa in tema di sanzioni, in questi ultimi anni, è stata caratterizzata da due aspetti fondamentali: a) ampliamento della gamma di violazioni che danno luogo all’applicazione di sanzioni penali che comprendono anche violazioni di norme che non si traducono in una evasione d’imposta;
b) abolizione della cosiddetta “pregiudiziale tributaria”, per cui non si poteva iniziare un procedimento penale a carico di un contribuente che si è sottratto ai suoi obblighi senza prima avere una pronuncia definitiva circa l’esistenza della violazione da parte degli organi del contenzioso tributario. Tale pregiudiziale rendeva in pratica impossibile perseguire personalmente il contribuente, se non dopo anni dall’accertamento della violazione.
SANZIONI TRIBUTARIE NON PENALI Il DLgs 18 dicembre 1997, n.471 ha riformato radicalmente il sistema delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi. Oltre ad abolire la distinzione tra soprattassa e pena pecuniaria riferendo alla violazione un’unica sanzione amministrativa, la riforma ha ridotto il numero delle fattispecie di violazione assegnando per la maggior parte di queste una sanzione in percentuale graduata sull’imponibile relativo all’operazione oggetto della violazione. La riforma ha inoltre introdotto nel sistema sanzionatorio tributario alcuni importanti principi. Il principio del favor rei ovvero nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una espressa disposizione di legge che entrata in vigore prima che la violazione stessa sia stata commessa. Altra conseguenza del principio del favor rei si ha nell’ipotesi in cui la legge sopravvenuta commina per la
violazione una sanzione più lieve di quella prevista al momento in cui la violazione stessa è stata commessa. In questa ipotesi si applica la più lieve e nuova sanzione a meno che non sia già divenuto definitivo il provvedimento di irrogazione delle sanzioni. Viene poi recepito un altro importante principio ovvero quello della continuazione. Nel caso di violazione di più obblighi inerente alla documentazione e alla registrazione di una medesima operazione, la sanzione è applicata una sola volta. Le principali sanzioni previste per le imposte dirette sono: • omessa tenuta e conservazione dei registri e dei documenti contabili previsti ai fini delle imposte dirette: da € 1.032,91 a € 7.746,85; • irregolare tenuta delle scritture contabili: stessa sanzione non applicabile se le irregolarità sono di scarsa rilevanza; • omessa presentazione della dichiarazione dei redditi
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Mod. Unico, Persone fisiche: dal 120 al 240% dell’imposta dovuta con un minimo di € 258,23. Se non sono dovute imposte si applica la sanzione da € 258,23 a € 1.032,91. Per gli obbligati alla tenuta delle scritture contabili essa può essere aumentata fino al doppio; omessa emissione della parcella e/o della relativa registrazione in contabilità: sanzione tra il 10 e il 15% dell’imponibile; emissione di parcella che non consenta di identificare il cliente: sanzione tra il 10 e il 15% dell’imponibile; omessa presentazione della dichiarazione IVA: dal 120 al 240% dell’IVA dovuta; omessa presentazione della dichiarazione di inizio, variazione o cessazione di attività (art.35, DPR 633/1972) da € 516,46 a € 2.065,83, ridotta a un quinto del massimo se si regolarizza entro 30 giorni dall’invito dell’Ufficio.
RITARDATI OD OMESSI VERSAMENTI (IVA/Redditi) Per chi non esegue, in tutto o in parte, i versamenti delle imposte o dell’IVA alle dovute scadenze, si applica la sanzione del 30% dell’importo non versato. È possibile il ravvedimento operoso se la violazione viene sanata spontaneamente entro un mese dalla effettua-
C 42
zione o, al più tardi, entro il termine della presentazione della dichiarazione relativa all’anno solare in cui la violazione è stata commessa. Naturalmente è possibile accedere al ravvedimento operoso qualora non siano state già iniziate ispezioni o verifiche.
Se il ravvedimento è effettuato entro un mese la sanzione è ridotta al 3,75%; se lo stesso è effettuato oltre il mese, ma entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale, la sanzione è ridotta al 6%. Si applicano in ogni caso gli interessi del 3,5% annuo.
ESERCIZIO PROFESSIONALE
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INCARICHI E COMPENSI INCARICHI
A.ZIONI
INCARICO PROFESSIONALE L’architetto può ricevere incarichi da committenza privata, persone fisiche o giuridiche, e da enti pubblici. Nel campo dell’urbanistica prevale la committenza pubblica, mentre in campo edilizio sono importanti ambo i due tipi di committenza, essendo pubbliche le commesse di edifici per servizi pubblici e a prevalenza privata gli incarichi per edifici residenziali e per il terziario privato. Nel campo dell’arredamento e del design la committenza è sostanzialmente privata. Criterio generale, comune a tutte le professioni, è che il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico (art.2232 c.c.). Tuttavia può valersi di sostituti e ausiliari se operano sotto la sua direzione e responsabilità e se ciò è consentito dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione.
RECESSO DALL’INCARICO Il contratto di incarico (art.2237 c.c.) può essere rescisso dal cliente in qualsiasi momento e senza motivazioni, pagando al professionista solo l’opera svolta fino al momento. La legge 143/1949 sulla tariffa, all’art.10 aggiunge che deve essere pagato anche il lavoro predisposto, nonché il risarcimento di maggiori danni quando la sospensione non sia dovuta a cause dipendenti dal professionista. Inoltre, ai sensi dell’art.18, deve essere applicata la maggiorazione del 25%. Il professionista, invece, può recedere dall’incarico solo per giusta causa e in modo da limitare il pregiudizio al cliente, con diritto al rimborso delle spese e a un compenso per l’opera svolta riferito al risultato utile che ne sia derivato al cliente. Costituisce motivo di giusta causa una situazione che renda impossibile il rapporto fiduciario come la condanna del cliente per gravi reati e la disistima espressa ripetutamente sulle capacità del professionista. Qualora il giudice non riconosca come giusta la causa, il recesso rimane valido, ma il professionista dovrà risarcire i danni al cliente.
DIRITTO AL COMPENSO Se il professionista non è iscritto all’Ordine, non ha diritto al compenso per la prestazione, in quanto il contratto è nullo. La disposizione si applica anche nel caso di chi, pur essendo iscritto a un Albo professionale, svolge mansioni riservate per legge ad altre professioni. La cancellazione dall’Albo risolve il contratto in corso, salvo il diritto a un compenso adeguato all’utilità per il cliente del lavoro eseguito (art.2231 c.c.).
RINUNCIA AL COMPENSO La rinuncia parziale o totale al compenso non è ammessa in primo luogo perché costituisce inosservanza della legge sull’inderogabilità dei minimi e in secondo luogo perché può concretarsi in concorrenza sleale verso altri colleghi. Sono fatte salve particolari situazioni, che devono comunque essere sottoposte al vaglio dell’Ordine.
CLAUSOLE VESSATORIE PER IL CLIENTE La legge 6 febbraio 1996 n.52, attuazione della direttiva 1993/13/CEE, aggiunge al Codice civile gli articoli da 1469 bis a 1469 sexies “clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore”. Tali articoli hanno l’obiettivo esclusivo di tutelare il consumatore. Le clausole vessatorie sono prive di efficacia, a meno che non siano state oggetto di trattativa individuale. Tre tipi di clausole sono inefficaci in ogni caso. Esse riguardano i danni alla persona del consumatore, le limitazioni alla sue possibilità di azione nei confronti del professionista e la sua adesione a clausole non conoscibili prima della conclusione del contratto. La inefficacia opera solo a vantaggio del consumatore.
INCARICO IN GRUPPO O COLLEGIALE L’incarico è collegiale quando è affidato a più professionisti riuniti in Collegio. In tal caso ciascuno ha diritto all’intero compenso, secondo l’art.7 della Tariffa. Nel caso di professionisti in gruppo o comunque non riuniti in Collegio, il compenso è calcolato una sola volta e suddiviso fra i componenti in parti uguali o secondo gli accordi. Ai sensi dell’art.6 della legge 404/1977, nel caso di lavori pubblici, qualora il gruppo sia costituito da almeno tre professionisti, il compenso può essere maggiorato del 20%, che viene attribuito al capogruppo.
C.3. 1.
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CORRETTEZZA NELLA RICERCA DELL’INCARICO Le norme deontologiche degli architetti e degli ingegneri, che in linea di principio sono analoghe, danno disposizioni affinché la concorrenza tra professionisti nella ricerca dell’incarico sia svolta nell’ambito della correttezza. Con riferimento in particolare alle norme degli architetti, esiste, tra l’altro, il divieto per il professionista di far uso della pubblicità commerciale, e la disposizione per cui qualsiasi forma di competizione debba essere basata sulla qualità del lavoro e nel rispetto dei diritti dei colleghi, verso i quali deve essere evitato ogni apprezzamento denigratorio. È vietato l’accaparramento della clientela. Non è consentito accettare incarichi in misura superiore alle proprie capacità d’intervento e ai mezzi di cui si dispone. Il professionista che eserciti una autorità per conto di una pubblica amministrazione non può avvalersene per trarre un vantaggio professionale per sé o per altri. Il professionista chiamato a sostituire un collega in un incarico, deve preventivamente informare il collega per iscritto e verificare le prestazioni già svolte al fine di salvaguardare i compensi maturati.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
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D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
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CO NTALE AMBIE
INCARICO SOGGETTO A RISCHIO In alcuni casi il committente, nell’affidare l’incarico di progettazione, subordina il pagamento dell’onorario al verificarsi di una condizione come, ad esempio, che l’opera venga realizzata. Il caso si verifica spesso tra gli enti locali, che nel caso di incarichi privi di copertura finanziaria pongono come condizione del pagamento l’ottenimento del finanziamento dell’opera da progettare. Gli Ordini degli architetti vietano agli iscritti di accettare incarichi siffatti, per motivi deontologici. Occorre anche tenere conto che l’art.53 c.5 della legge 142/1990 stabilisce che la delibera deve essere completa della copertura finanziaria. In assenza di questa la delibera di incarico è nulla, pertanto in caso di mancato pagamento dell’onorario, l’architetto non può valersene per esigere il credito. La legge del novembre 1998, di modifica della legge 109/1994, ha inserito nell’art.17 il comma 12 bis che stabilisce che le pubbliche amministrazioni non possono subordinare la corresponsione dei compensi per la progettazione all’ottenimento del finanziamento dell’opera.
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN
CARATTERISTICHE SPECIFICHE DELL’INCARICO PRIVATO E DELL’INCARICO PUBBLICO Nei due casi di committenza privata o pubblica esistono consistenti differenze sui seguenti aspetti: • esercizio della professione; • scelta del professionista da parte del committente; • contratto di incarico; • minimi di tariffa. COMMITTENZA PRIVATA
Esercizio della professione L’esercizio associato è consentito, nel rispetto della legge 1815/1939, solo sotto la forma di studio tecnico. Secondo alcuni sarebbero consentite anche la società semplice e l’associazione civile non riconosciuta (vedi la voce C1.4). Non è del tutto chiarito se nel settore privato possano operare le società di ingegneria.
C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
Scelta del professionista Il committente sceglie discrezionalmente su base fiduciaria. Contratto di incarico Con il privato è frequente, specie per incarichi di piccola entità, il semplice accordo verbale. In casi di maggior rilievo spesso è ritenuta sufficiente una lettera contenente elementi minimi come l’oggetto dell’incarico sommariamente indicato, l’onorario a volte forfettario e privo di riferimenti con la tariffa, nonché le modalità di pagamento. Occorre invece tenere presente che l’art.14 delle norme di deontologia impone che vengano definiti preventivamente ed esplicitamente i contenuti e i compensi della prestazione, nel rispetto della tariffa professionale. È quindi consigliabile in ogni caso un accordo scritto, secondo lo schema di lettera d’incarico riportato nella pagina C44. Minimi di tariffa I minimi sono inderogabili a seguito della legge 340/1976; la successiva legge 404/1977 ha stabilito che la inderogabilità riguarda solo i rapporti tra privati. La legge 415/1998, nel modificare la 109/1994, ha reintrodotto la inderogabilità dei minimi per i lavori pubblici.
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. ARIO C.2.7 A TRIBUT M SISTE
. C.3.1ICHI R INCA
C 43
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ESERCIZIO PROFESSIONALE INCARICHI
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INCARICHI E COMPENSI
➦ INCARICO PROFESSIONALE ➦ CARATTERISTICHE SPECIFICHE DELL’INCARICO PRIVATO E DELL’INCARICO PUBBLICO COMMITTENZA PUBBLICA Esercizio della professione È consentito affidare incarichi a professionisti singoli, associati o raggruppati temporaneamente, oltre che a società di ingegneria, anche se la legge non fornisce alcuna spiegazione su cosa siano gli associati e i raggruppati temporanei. Scelta del professionista Deve rispondere a precise procedure che garantiscano la pubblicità della decisione e la oggettività della selezione. La decisione di affidamento dell’incarico (delibera) deve prevedere la copertura finanziaria, ai sensi dell’art.53 c.5 della legge 142/1990 e dell’art.17 della legge 109/1994. Contratto di incarico Chiamato anche convenzione d’incarico, è l’atto conclusivo della procedura di affidamento dell’incarico e consegue a specifiche delibere o determinazioni assunte dall’ente.
TAB. C.3.1./1 INCARICHI PROFESSIONALI PRIVATI E PUBBLICI INCARICO DA COMMITTENTE PRIVATO Esercizio associato della professione
Esercizio associato consentito Art.17 legge 109/1994: come studio tecnico • consentite società tra professionisti art.1 legge 1815/1939: e società cooperative; • consentite società semplici; • consentite società di ingegneria • in attesa di DPR. (di capitali); • in attesa di DPR.
Selezione del professionista
Scelta discrezionale su base fiduciaria.
• Concorso di idee – Concorso di progettazione: • per parcelle sotto 100.000 euro incarico fiduciario con scelta motivata; • tra 100.000 e 200.000 euro* sarà stabilito nel regolamento; • oltre 200.000 euro* licitazione privata o pubblico incanto ai sensi del DLgs 157/1995.
Contratto di incarico
Semplice accordo verbale: • lettera con oggetto dell’incarico, onorario e modalità di pagamento.
Convenzione di incarico come atto conclusivo della procedura di affidamento.
Tariffa
Legge 143/1949: • minimi inderogabili legge 340/1976; • rimborsi spese forfait fino al 60%.
Legge 143/1949 e DM 2 aprile 2001: • minimi inderogabili art.17 legge 109/1994-415/1998; • fatta salva la riduzione del 20% legge 155/1989; • no maggiorazione per incarico parziale; • rimborsi spese forfait tra 30% e 15%.
Minimi di tariffa La legge 415/1998, nel modificare la 109/1994, ha reintrodotto la inderogabilità dei minimi per i lavori pubblici, nel senso che la tariffa è riducibile fino e non oltre il 20% di ribasso, ai sensi della legge 155/1989 art.4. Onorari per i lavori pubblici Con DM 4 aprile 2001 (legge 109/1994, art.17, comma 12 ter introdotto dalla legge 1° agosto 2002 n.166) è stato approvato un aggiornamento della Tariffa (legge 143/1949) che introduce nuove norme e tabelle per onorari di progettazione e direzione lavori, valide solo per i lavori pubblici. Viene abolita la maggiorazione per incarico parziale e viene stabilito che il conglobamento delle spese e compensi accessori deve essere nella misura minima del 30% per lavori pari a € 25.822,84 e della misura minima del 15% per importi pari o superiori a € 51.645.689,91. Per importi intermedi si calcola mediante l’interpolazione lineare. Nel caso l’entità del rimborso superi gli importi minimi devono essere prodotti i giustificativi di spesa. Il DM introduce nuove tabelle per i lavori pubblici, che prevedono compensi anche per nuove prestazioni, come il coordinamento per la sicurezza nel cantiere, gli studi di impatto ambientale, i rilievi ecc.
INCARICO DA COMMITTENTE PUBBLICO
* Il valore di 200.000 è riferito al controvalore in euro di 200.000 DSP diritti speciali di prelievo – per lavori dei Ministeri il valore scende a 130.000. I valori sono periodicamente aggiornati.
AFFIDAMENTO DI INCARICO PUBBLICO È disciplinato dall’art.17 della legge 109/1994, modificato dalla legge 1° agosto 2002 n.166, e dal relativo regolamento di attuazione DPR 554/1999. L’argomento è trattato al capitolo C.5. Qui vengono sintetizzati i principi fissati dalla legge con l’art.17: • l’affidatario della progettazione non può partecipare alla realizzazione dell’opera; • l’affidamento di incarichi di importo superiore a 200.000 euro è regolato dal DLgs 157/1995; la procedura di selezione del progettista deve essere aperta ai paesi dell’Unione Europea. La scelta del progettista può essere operata mediante gara da aggiudicare all’offerta economicamente più vantaggiosa (da valutare in base a molteplici elementi tra i quali il prezzo della progettazione) ovvero mediante concorso di progettazione;
• per l’affidamento di incarichi tra 200.000 euro e 100.000 euro le stazioni appaltanti devono dare adeguata pubblicità; la procedura sarà stabilita dal regolamento; • per incarichi al di sotto di 100.000 euro l’amministrazione può direttamente affidare l’incarico a un professionista di fiducia, motivando la scelta, ma senza esperire alcuna procedura di pubblicità e di confronto tra curricula; • in caso di opere di rilevanza architettonica, ambientale ecc. deve essere valutata prioritariamente la opportunità di esperire un concorso di progettazione o un concorso di idee; • nel caso di affidamento della progettazione all’esterno, la direzione lavori deve essere affidata, con priorità rispetto ad altri professionisti esterni, al progettista stesso.
LETTERA DI INCARICO PROFESSIONALE DI PROGETTAZIONE E DIREZIONE LAVORI PER COMMITTENTE PRIVATO 1. PARTI INTERESSATE Committente ............................................................................................domiciliato in ....................... via.......................................................................................................... Architetto..................................................................................................domiciliato in ....................... via ......................................................................................................... iscritto all’Albo Professionale di....................................... con il n.................................. • in proprio • quale titolare dello studio .......................................................................................... • di cui fanno parte ...................................................................................................... • quale rappresentante-coordinatore del gruppo professionale composto da ...................................................................................................................................... oppure Architetti ........................................................................... riuniti in Collegio (art.7 della Tariffa professionale) domiciliati in ....................... via..................................................................................... iscritti all’Albo professionale di ........................................ con i nn. ............................... parte che in seguito sarà chiamata: Professionista. 2. OGGETTO DELL’INCARICO Il committente affida al professionista – che accetta – l’incarico ................................... La prestazione: • è richiesta con speciale urgenza; • non è richiesta con speciale urgenza. 3. PRESTAZIONI DEL PROFESSIONISTA Le prestazioni del professionista saranno le seguenti: a) compilazione del progetto sommario o di massima;
C 44
b) c) d) e) f) g)
compilazione del preventivo sommario; compilazione del progetto esecutivo; compilazione del preventivo particolareggiato; esecuzione dei particolari costruttivi e decorativi; assistenza alle trattative per i contratti e eventuale compilazione dei capitolati; direzione e alta sorveglianza dei lavori, con visite periodiche nel numero necessario, a esclusivo giudizio dell’Architetto, emanando le disposizioni e gli ordini per l’attuazione dell’opera progettata nelle sue varie fasi esecutive e sorvegliandone la buona riuscita; h) accertamento dell’esecuzione dei lavori e assistenza al collaudo nelle successive fasi di avanzamento dei lavori e fino al loro compimento; i) liquidazione dei lavori, ossia verifica dei quantitativi e delle misure delle forniture e delle misure delle opere eseguite e liquidazione dei conti parziali e finali. Il committente richiede inoltre al professionista le seguenti prestazioni supplementari: l) coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione; m)coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori. n) rilievo del sito dell’opera da eseguire; o) calcolo e progettazione esecutiva delle strutture portanti; p) dimensionamento e progettazione esecutiva degli impianti; q) assistenza giornaliera ai lavori di costruzione. Le prestazioni “a” e “b” saranno completate entro ..................................................... ; le prestazioni ....................... saranno completate entro il ........, giorni dal ................ . 4. COMPENSI E RIMBORSI SPESE Per le prestazioni di cui sopra il compenso spettante al professionista è stabilito in base al Testo Unico della Tariffa degli Onorari per le prestazioni professionali dell’ingegnere e dell’architetto (legge 2 marzo 1949, n.143 e successivi aggiornamenti, modificazioni e integrazioni). I compensi stabiliti dalla citata Tariffa costituiscono per le parti contraenti e per l’Ordine competente minimi inderogabili.
ESERCIZIO PROFESSIONALE
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INCARICHI E COMPENSI INCARICHI
C.3. 1. A.ZIONI
Le prestazioni di coordinatore per la sicurezza sono compensate secondo le direttive emanate dal Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori. Il presente incarico si riferisce alla classe ..................... categoria ............................ ; le prestazioni supplementari si riferiscono alla classe ............. categoria .................. ; e alla classe .................. categoria .......................... . L’onorario comprende quanto è dovuto al professionista per l’assolvimento dell’incarico, incluse le spese di studio strettamente necessarie a esso. Le maggiori spese sostenute dal professionista e i compensi accessori (di cui agli artt.4 e 6 della Tariffa professionale) saranno rimborsati a parte: • su presentazione della relativa documentazione; • con loro conglobamento in una cifra forfettaria pari al ......% degli onorari dovuti. I maggiori oneri per il personale di cantiere saranno a carico del Committente.
7. DIRITTI D’AUTORE La proprietà e i diritti di autore sono riservati all’architetto a norma di legge (artt. da 2575 a 2578 del Codice civile). L’architetto ha diritto di pubblicare tipi e fotografie dell’opera progettata e, in ogni caso, la pubblicazione o la divulgazione dell’opera dovrà avvenire con il consenso dell’architetto.
5. PAGAMENTI Il pagamento dei compensi e dei rimborsi – oltre all’IVA se dovuta e al contributo integrativo spettante alla CNPAIA ai sensi della legge 3 gennaio 1981, n.6 – avverrà alle seguenti scadenze, a seguito di apposite, successive notule presentate dal professionista nel corso delle sue prestazioni: ......% alla firma della presente lettera; ......% alla presentazione del progetto di massima; ......% .......................................................... ; ed il residuo dare entro .............. mesi dall’ultima prestazione richiesta e comunque non oltre ............. mesi dal conferimento del presente incarico. I versamenti verranno effettuati a ................................ mediante .............................. .
9. VARIE Il professionista dichiara di non trovarsi per l’espletamento dell’incarico, in alcuna condizione di incompatibilità ai sensi delle disposizioni di legge o contrattuali e si impegna espressamente all’osservanza dell’art.14 della legge 6 agosto 1967, n.765. I termini di cui al n.3 sono congruamente prorogati in caso di forza maggiore (o altri motivi ritenuti validi dal committente) o di entrata in vigore di norme di legge posteriormente alla firma della presente lettera. In caso che uno o più dei professionisti componenti il gruppo incaricato non svolgano – in tutto o in parte e per qualsiasi causa – l’incarico ricevuto, ciò non avrà alcun effetto giuridico sulla presente lettera, salvi comunque i rapporti interni tra gli stessi professionisti ............................................................................................... . Per quanto non espressamente convenuto, le parti fanno riferimento alla Tariffa professionale. Redatto e sottoscritto in doppio originale il ............................... a .............................. .
6. CONVALIDA Le parti concordano che la parcella, prima del saldo finale, venga sottoposta all’Ordine di appartenenza del professionista, per la convalida che sarà in funzione del lavoro svolto dal professionista. L’onere di tale convalida sarà suddiviso al ......% fra le parti.
8. DIVERGENZE Eventuali divergenze sorte fra le due parti circa l’interpretazione del presente disciplinare e della sua applicazione, saranno deferite al giudizio di tre arbitri, dei quali due scelti rispettivamente da ciascuna parte, e il terzo – con funzione di presidente – scelto d’accordo tra le parti o, in caso di disaccordo, dall’Ordine di appartenenza del professionista.
Il Committente ..........................................
Il Professionista ..........................................
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SCHEMA DI CONVENZIONE DI INCARICO PROFESSIONALE PER PROGETTAZIONE E DIREZIONE LAVORI DI OPERE PUBBLICHE La legge 109/1994 ha introdotto profonde innovazioni sia sui contenuti della progettazione che sulle modalità di svolgimento della prestazione e sugli oneri accessori quali l’assicurazione. Un aggiornamento del sistema tariffario, limitato alle opere pubbliche, è stato emanato con DM 4 aprile 2001 (GU 26 aprile 2001), ai sensi dell’art.17 comma 14 bis della legge. Al momento mancano interpretazioni ufficiali di tale DM, che chiariscano l’inserimento delle nuove norme e tabelle all’interno della Tariffa di cui alla legge 143/1949, che resta in vigore. Pertanto, nel predisporre il seguente schema di convenzione, abbiamo preso a base uno schema già elaborato sulla scorta delle norme previgenti, apportando solo gli adeguamenti indispensabili. Art.1 – L’amministrazione ............................................ in persona del ........................................................ protempore sopraindicato, conferisce al professionista l’incarico seguente ...................................................... . Le prestazioni professionali per l’espletamento dell’incarico, ai sensi dell’art.19 della Tariffa nazionale degli ingegneri e architetti (legge 2 marzo 1949, n.143 e DM 4 aprile 2001) sono le seguenti: a) progetto preliminare di cui all’art.16 legge 109/1994; b) progetto definitivo di cui all’art.16 legge 109/1994; c) progetto esecutivo di cui all’art.16 legge 109/1994; d) direzione lavori: • direzione e alta sorveglianza dei lavori, con visite periodiche nel numero necessario, a esclusivo giudizio dell’architetto, emanando le disposizioni e gli ordini per l’attuazione delle opere progettate; • coordinamento per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori (°); e) assistenza al collaudo: • operazioni di accertamento della regolare esecuzione dei lavori e assistenza al collaudo dei lavori nelle successive fasi di avanzamento e fino al loro compimento; f) liquidazione dei lavori: • verifica dei quantitativi e delle misure delle forniture e delle opere eseguite e liquidazione dei conti parziali e finali. L’Amministrazione richiede al professionista, oltre a quanto fin qui precisato, le seguenti prestazioni aggiuntive:
• compilazione di progetto di stralcio del progetto esecutivo generale, secondo i disposti del primo comma dell’art.10 del DM 15 dicembre 1955, n.22608, per un compenso pari al 25% della percentuale complessiva dell’importo del progetto di stralcio, applicato sull’importo dello stralcio stesso. Nel caso al professionista venga affidato il progetto esecutivo di uno stralcio dell’opera previsto dal progetto definitivo, esso verrà compensato applicando la percentuale di Tabella B relativa alla prestazione del progetto esecutivo all’aliquota tariffaria della Tabella A corrispondente all’importo dei lavori dello stralcio; le tabelle A e B sono allegate al DM 4 aprile 2001; • ripartizione del progetto esecutivo in più lotti, anche per appalti separati, ai sensi del secondo comma dell’art.10 del DM 15 dicembre 1955, n.22608 per un compenso suppletivo pari al 15% dell’onorario; • progettazione esecutiva limitata ad alcuni lotti ai sensi del terzo comma dell’art.10 del DM 15 dicembre 1955, n.22608, con corresponsione totale dell’onorario per il progetto preliminare e con onorario per la progettazione esecutiva calcolato sull’importo dei singoli progetti con l’aumento del 15%; • esecuzione di più opere complete ripetute, di tipo e caratteristiche costruttive identiche e senza che il complesso d’insieme richieda speciali cure di concezione per un compenso fissato secondo l’art.1 del DM 21 agosto 1958, pubblicato dalla GU, n.2111 del 2 settembre 1958. L’Amministrazione riconosce al professionista le seguenti speciali condizioni, contemplate dalla Tariffa professionale: • speciale urgenza della progettazione ai sensi del terzo comma dell’art.2 della citata Tariffa professionale, valutato nella maggiorazione del 15%; • speciale prestazione di cui all’art.17 primo comma, occorrente per l’assistenza giornaliera dei lavori o la tenuta dei libri di misura e registri di contabilità, da affidare a persona di comune fiducia e sotto il diretto controllo del professionista, da valutarsi nella maggiorazione dell’onorario della Direzione lavori nella misura del ....% (1); • diritto a un maggiore compenso dovuto alla mancanza di personale di sorveglianza in cantiere o per essere i
lavori eseguiti in economia, da valutarsi nella misura del ...% (1) della quota spettante per la Direzione lavori, ai sensi dell’art.17, comma 2, della Tariffa professionale; • ai sensi del secondo comma dell’art.21 della Tariffa professionale, speciali difficoltà di progetto ed esecuzione, ovvero particolari e aggiuntive prescrizioni della legge che richiedono uno sviluppo di elaborati tecnici e contabili superiore al normale, da valutarsi nella maggiorazione alle voci a) e b) della Tabella B (allegata al DM 4 aprile 2001) nella misura del ...% (2); • speciali difficoltà ai sensi del terzo comma dello stesso art.21, dovute a lavori di trasformazione, da valutarsi a preventivo nella maggiorazione delle voci della Tabella B allegata al DM 4 aprile 2001, nella misura del ...% (2); • diritto alla maggiorazione del 10%, dell’onorario relativo alla Direzione lavori dell’opera completa, in applicazione dell’art.19 del DM 15 dicembre 1955, n.22608, nel caso che l’opera sia attuata in lotti formanti oggetto di appalti separati o distinti. L’Amministrazione si impegna a fornire la documentazione di base occorrente per la redazione degli elaborati e per lo svolgimento dell’incarico, nonché gli studi e le indagini occorrenti, quali quelli di tipo geognostico, idrologico, sismico ecc., i rilievi e i sondaggi.
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
Art.2 – Il professionista si impegna a rispettare i seguenti tempi: • i termini di consegna verranno congruamente prorogati in caso di forza maggiore, per giustificati motivi; • le prestazioni professionali relative alla Direzione lavori, di cui al precedente art.2, si svolgeranno dall’inizio dei lavori fino alla loro ultimazione, compresi liquidazione e collaudo. Art.3 – Gli onorari professionali sono riferiti alla vigente Tariffa nazionale per ingegneri e architetti (legge 2 marzo 1949, n.143 e DM 4 aprile 2001 per i lavori pubblici). I compensi saranno determinati a percentuale sull’importo consuntivo lordo dell’opera o, in mancanza, al suo attendibile preventivo, ai sensi degli artt.15 e 18, comma 3° della stessa Tariffa.
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. C.3.1ICHI R INCA
C 45
C.3. 1.
ESERCIZIO PROFESSIONALE INCARICHI
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INCARICHI E COMPENSI
➦ SCHEMA DI CONVENZIONE DI INCARICO PROFESSIONALE PER PROGETTAZIONE E DIREZIONE LAVORI DI OPERE PUBBLICHE Per la determinazione dei compensi a percentuale l’opera viene classificata: Classe ...................... Categoria .................................. . Le prestazioni di coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e in fase di esecuzione dei lavori sono compensate secondo la Tabella B2 del DM 4 aprile 2001. Le prestazioni previste dall’art.16 della legge 109/1994 e non comprese nella tariffa professionale tra le prestazioni compensabili a percentuale saranno compensate a discrezione nel seguente modo: ..................................................................................... . Il rimborso delle spese e dei compensi accessori relativi agli onorari a percentuale determinati a seguito dell’applicazione delle tabelle A, B, B1, B2, B4, e B6 del DM 4 aprile 2001, deve essere riconosciuto forfettariamente nelle misura minima del 30% del medesimo per importo di lavori pari a € 25.822,84 e nella misura minima del 15% per importi di lavori pari o superiori a € 51.645.689,91. Per importi di lavori intermedi le percentuali si calcolano per interpolazione lineare. Nel caso l’entità dei rimborsi spese e dei compensi accessori superi gli importi minimi, devono essere prodotti i giustificativi di spesa per l’intero ammontare del rimborso e degli oneri accessori. Ai sensi del terzo comma dell’art.6 della legge 1° luglio 1977, n.404 nel caso l’Amministrazione conferisca l’incarico a tre o più professionisti, il compenso relativo alla progettazione sarà maggiorato del 20%; tale maggiorazione compete al professionista capogruppo. Saranno compensate a parte e secondo Tariffa le eventuali prestazioni rese necessarie nel corso dei lavori, per cause non imputabili al professionista, qui elencate: • modifiche e aggiunte in corso d’opera, in applicazione dell’art.22 della Tariffa professionale; • misurazione e contabilità dei lavori, in applicazione dell’art.23-a della Tariffa professionale; • aggiornamento dei prezzi di progetto in applicazione dell’art.23-b della Tariffa professionale; • redazione di perizia di variante e/o suppletiva;
• redazione del certificato di regolare esecuzione da parte del Direttore dei lavori, ai sensi dell’art.5, comma 3, della legge 10 dicembre 1981, n.741. Agli importi dei compensi professionali si dovrà aggiungere: 1. il contributo previdenziale del 2%, ai sensi dell’art.10 della legge 3 gennaio 1981, n.6; 2. l’IVA; 3. l’onere per vidimazione parcella, se richiesta e se l’incarico non rientra nel 5° comma dell’art.13 del DL 28 febbraio 1983, n.55, convertito dalla legge 26 aprile 1983, n.131. Ai sensi dell’art.9 della Tariffa il professionista ha diritto al pagamento di acconti stabiliti come segue (3): • 10% entro 30 giorni dall’esecuzione della presente convenzione; • 30% entro 30 giorni dalla consegna dei seguenti elaborati; • 50% entro 30 giorni dalla consegna dei seguenti elaborati. Per le prestazioni relative alla Direzione lavori e contabilità gli acconti verranno corrisposti nella misura del 90% dell’onorario maturato contestualmente agli stati di avanzamento dei lavori contabilizzati dall’impresa appaltatrice. Il 10% a saldo e il conguaglio saranno corrisposti entro i 60 giorni dalla conclusione della prestazione professionale. Art.4 – Nel caso in cui il professionista non consegni gli elaborati nei termini previsti dal precedente art.2 verrà applicata una penale computata nell’1% dell’onorario complessivo per ogni mese (o frazione superiore a 15 giorni) di ritardo. Nel caso in cui il ritardo superi la durata di ................. mesi l’Amministrazione potrà, con deliberazione motivata, stabilire la revoca dell’incarico: in tal caso compete al professionista il compenso per la prestazione fornita fino alla data della deliberazione, decurtato della penale maturata secondo i disposti del precedente comma.
Nel caso in cui l’Amministrazione non rispetti i termini dei pagamenti, di cui al predetto art.3, dalle scadenze previste, sulle somme non pagate decorrono a favore del professionista gli interessi legali ragguagliati al tasso ufficiale di sconto stabilito dalla Banca d’Italia, ai sensi dell’art.9 della Tariffa professionale. Nel caso in cui l’Amministrazione, di sua iniziativa e senza giusta causa, proceda alla revoca del presente incarico, al professionista dovranno essere corrisposti gli onorari e il rimborso spese per il lavoro fatto o predisposto sino alla data di comunicazione della revoca, con la maggiorazione del 25% sugli onorari dovuti, salvo il diritto al risarcimento degli eventuali danni di cui dovrà essere data dimostrazione, ai sensi dell’art.10 della Tariffa. Nel caso in cui sia il professionista a recedere dall’incarico senza giusta causa, l’Amministrazione avrà diritto al risarcimento degli eventuali danni subiti, di cui dovrà essere data dimostrazione, tenuto conto della natura dell’incarico. Art.5 – Gli elaborati resteranno di proprietà dell’Amministrazione, salvo il disposto dell’art.11 della Tariffa professionale. Eventuali divergenze sorte tra l’Amministrazione e il professionista circa l’interpretazione della presente convenzione e della sua applicazione, saranno deferite al giudizio di tre arbitri, dei quali due scelti rispettivamente da ciascuna parte, e il terzo – con funzione di presidente – scelto d’accordo tra le parti o, in caso di disaccordo, dal presidente del tribunale nella cui giurisdizione ha sede l’Amministrazione. Per quanto non esplicitamente previsto nella presente convenzione si fa riferimento alla Tariffa professionale degli ingegneri e architetti (legge 2 marzo 1949, n.143 e successivi aggiornamenti, modifiche o integrazioni e DM 4 aprile 2001). La presente convenzione è impegnativa per il professionista dopo la sua sottoscrizione, mentre per l’Amministrazione lo diverrà solo dopo l’esecutività di legge del provvedimento d’incarico.
(°) Il DPR 554/1999 art.127 stabilisce che, di norma, il Direttore lavori svolge anche la funzione di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori. (1) Da valutare a discrezione fino al 50%. (2) Da valutare a discrezione fino al 100%. (3) Il numero degli acconti e le percentuali possono variare in relazione alle caratteristiche dell’opera.
SCHEMA DI CONVENZIONE DI INCARICO PROFESSIONALE PER COLLAUDO DI OPERE PUBBLICHE Art.1 – L’amministrazione .......................... in persona del ..................................... pro-tempore sopraindicato, conferisce al professionista ........................................... l’incarico seguente ........................................................ Le prestazioni professionali per l’espletamento dell’incarico, ai sensi dell’art.19-a della Tariffa nazionale degli ingegneri e architetti (legge 2 marzo 1949, n.143), della legge 109/1994 e del DPR 554/1999, sono le seguenti: • collaudo dei lavori e verifiche; • verifiche e prove necessarie per accertare le rispondenze tecniche delle opere e forniture eseguite alle prescrizioni di progetto e di contratto; • riscontri di misure e di applicazione di prezzi; • di eventuali riserve e relativo parere; • rilascio del certificato di collaudo. Il collaudo deve essere eseguito in conformità delle norme e delle prescrizioni stabilite per la collaudazione delle opere statali, con la compilazione del verbale di visita dei lavori, della relazione di collaudo, del certificato di collaudo e della relazione sulle riserve o questioni sorte durante l’esecuzione dei lavori. Il collaudo prevede, inoltre, la revisione dei calcoli di stabilità (1). Art.2 – I compensi professionali sono riferiti alla Tariffa già citata all’art.1. In particolare, ai sensi dell’art.19-b, 19-d, 19-e, 19-f della citata Tariffa, in applicazione della
Tabella C, l’onorario viene così stabilito: a) importo delle opere = € .......................................... ; b) percentuale di tariffa – Tabella C = .........%; c) eventuale maggiorazione di tariffa = .........%; € ............. a) x ........% b) + ..........% c) = € ............... . I compensi accessori, di cui agli artt.4 e 6 della Tariffa, saranno conglobati, ai sensi dell’art.13 della stessa Tariffa, nella misura del ...% dell’onorario (2). Agli importi suddetti si dovrà aggiungere: 1. il contributo previdenziale del 2%, ai sensi dell’art.10 della Legge 3 gennaio 1981, n.6; 2. l’IVA; 3. l’onere per vidimazione parcella, se richiesta e se l’incarico non rientra nel 5° comma dell’art.13 del DL 28 febbraio 1983, n.55, convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 1983, n.131. I compensi professionali dovranno essere versati come segue: a) acconto di € ...................................... entro 30 giorni dall’esecutività della presente convenzione; b) saldo e conguaglio entro 60 giorni dalla conclusione della prestazione professionale. Art.3 – Ai sensi dell’art.210 del DPR 554/1999: • l’importo da prendere a base del compenso è quello risultante dallo stato finale dei lavori, al lordo di eventuali ribassi e maggiorato dell’importo delle eventuali
riserve dell’appaltatore diverse da quelle iscritte a titolo risarcitorio; • nel caso di commissione di collaudo, detto compenso, aumentato del 25% per ogni componente oltre il primo, viene calcolato una sola volta e diviso tra tutti i componenti della commissione; • per i collaudi in corso d’opera il compenso determinato come sopra è aumentato del 20%; • il rimborso delle spese accessorie previsto dalla tariffa professionale può essere determinato forfettariamente, per ogni singolo componente, in misura del 30% del compenso spettante a ciascuno. Per i collaudi in corso d’opera detta percentuale può essere elevata fino al 60%. Art.4 – Eventuali divergenze sorte tra l’Amministrazione e il professionista saranno deferite al giudizio di tre arbitri, dei quali due scelti rispettivamente da ciascuna parte e il terzo – con funzione di presidente – scelto d’accordo tra le parti o, in caso di disaccordo, dal presidente del tribunale nella cui giurisdizione ha sede l’Amministrazione. Per quanto non esplicitamente previsto nella presente convenzione si fa riferimento alla Tariffa professionale degli ingegneri e architetti (legge 2 marzo 1949, n.143). La presente convenzione è impegnativa per il professionista dopo la sua sottoscrizione, mentre per l’Amministrazione lo diverrà solo dopo l’esecutività di legge del provvedimento di incarico.
(1) Comma da inserire solo se tale prescrizione viene richiesta. (2) Percentuale da concordare in base alle direttive dei rispettivi Ordini professionali, in considerazione del tipo di incarico o del luogo dove viene svolta la prestazione, comunque mai superiore al 60%.
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ESERCIZIO PROFESSIONALE
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INCARICHI E COMPENSI INCARICHI
CONVENZIONE PER L’INCARICO DELLA REDAZIONE DI PIANO REGOLATORE GENERALE COMUNALE (o di variante al PRG) Tra l’Arch. ................... iscritto all’Albo degli Architetti di .............. n. ...... e residente in ............ via .......... n. ...... • in proprio ................................................................... • quale titolare dello studio .................... di cui fanno parte ......................................................................... • quale rappresentante-coordinatore del gruppo professionale composto da ....................................... parte che in seguito sarà chiamata: professionista e il Sig. .......................... nella sua qualità di ................. in esecuzione della delibera ..................... del .............. (di cui si allega copia conforme) – parte che in seguito sarà chiamata: Ente committente si conviene quanto segue: Art.1 – La premessa è parte integrante del presente atto. Art.2 – L’Ente committente affida al professionista, che accetta, l’incarico di redigere il .............................. che dovrà risultare in ottemperanza alle leggi vigenti o comunque alla normativa emanata dalle Autorità competenti entro la data di formale consegna del piano agli Uffici dell’Ente stesso. L’incarico deve essere inoltre svolto considerando le indicazioni fornite al professionista in data ........ da parte del committente e tenendo conto delle eventuali, ulteriori precisazioni fornite su richiesta del professionista medesimo. La prestazione in oggetto: ❒ è richiesta con speciale urgenza; ❒ non è richiesta con speciale urgenza. Art.3 – Le prestazioni dovute dal professionista sono le seguenti: a) l’analisi dello stato di fatto, individuando il sistema delle infrastrutture, degli impianti e delle attrezzature di uso pubblico, nonché i caratteri geologici, idrologici, paesistici e naturali del territorio interessato dal piano, tenendo anche conto della situazione riscontrata nel territorio circostante; b) le previsioni degli insediamenti, lo sviluppo e la trasformazione degli insediamenti abitativi e produttivi, stabilendone le destinazioni d’uso, le relative norme tecniche di attuazione del piano e le eventuali indicazioni per la stesura del regolamento edilizio; c) le previsioni delle infrastrutture, degli impianti e delle attrezzature pubbliche e d’uso pubblico; d) i perimetri delle zone di interesse paesistico e storico artistico, le relative modalità di utilizzazione e le eventuali prescrizioni speciali d’uso; e) i programmi e le fasi di attuazione; f) ................................................................................. ; g) ................................................................................. . Art.4 – In riferimento alle prestazioni di cui all’art.3, il professionista dovrà fornire (in numero di ............ copie ciascuno) gli elaborati tipici che seguono: 1. relazione preliminare sulle scelte fondamentali e sugli indirizzi che sono stati assunti per la redazione del piano; 2. relazione generale analitica dello stato di fatto; 3. relazione illustrativa con l’indicazione dei problemi e delle esigenze conseguenziali all’analisi delle soluzioni proposte riferite a un congruo periodo di tempo e dei relativi criteri di scelte; 4. planimetria in scala non inferiore a 1:10.000 del territorio sottoposto a pianificazione con indicazione dello stato di fatto; 5. planimetria in scala non inferiore a 1:10.000 con indicazione sintetica delle destinazioni e con designazione della rete viaria e delle principali infrastrutture; 6. planimetria in scala non inferiore a 1:5.000 con la chiara indicazione di tutte le previsioni oggetto del piano; 7. eventuali prescrizioni per il regolamento edilizio; 8. programma e fasi di attuazione con particolare riferimento alle priorità per i piani urbanistici esecutivi e le opere di pubblico interesse; 9. quant’altro occorra a consentire la corretta interpretazione del piano; 10.relazione contenente le proposte dei progettisti in merito alle osservazioni presentate al PRG; 11. ................................................................................. ; 12.................................................................................. .
Art.5 – L’Ente committente: ❒ ha fornito al professionista; ❒ fornirà al professionista entro il ....... quanto in appresso: a) il seguente materiale topografico: ....................... ; b) la documentazione relativa ai caratteri geologici, idrologici e naturali del territorio del Comune interessato; c) i dati statistici relativi: alla demografia; alla produzione e distribuzione, alla consistenza e all’attività edilizia relativa all’ultimo decennio; alle condizioni economiche e sociali della popolazione, ai mezzi di locomozione e all’intensità del traffico interno; d) l’elenco degli edifici storici e artistici, nonché i dati relativi a tutti gli elementi normativi, vincolistici e programmatici, che interessano il territorio oggetto del piano; e) gli studi socio-economici atti a determinare le previsioni di sviluppo del territorio da pianificare; f) ............................................................................ . Art.6 – A parte quanto stabilito dall’art.12, gli elaborati di cui all’art.4 dovranno essere consegnati rispettivamente nei seguenti termini: • quanto agli elaborati di cui all ... lettera ... entro ..... giorni dal ................................................................. ; • quanto ..................................................................... . Art.7 – Il professionista si impegna ad apportare agli elaborati del ................................... tutte le modifiche e/o integrazioni richieste dall’Ente committente o dalle Autorità competenti purché non ne snaturino l’impostazione progettuale e/o i sostanziali criteri informatori. Art.8 – Il professionista si impegna a prestare la propria opera per l’eventuale esame delle osservazioni e delle opposizioni e la eventuale stesura delle controdeduzioni, sempre alle condizioni di cui al precedente articolo. Art.9 – In caso di sospensione dell’incarico da parte dell’Ente committente, il professionista ha diritto a ottenere la corresponsione dell’onorario e delle spese per il lavoro fatto e/o predisposto fino alla data della sospensione, con la maggiorazione del 25% ai sensi dell’art.10 della legge 2 marzo 1949, n.143 (e successive modificazioni e integrazioni) e con salvezza del risarcimento dell’eventuale maggiore danno qualora la sospensione stessa non sia dipesa da cause attinenti al comportamento del professionista. Art.10 – Onorario professionale 1. L’onorario che l’Amministrazione dovrà corrispondere al professionista è stabilito in base alla Tariffa professionale per le prestazioni urbanistiche (circolari del Ministero dei LLPP n.6679 del 1° dicembre 1969 e n.22 del 10 febbraio 1976) con gli aggiornamenti in base agli indici ISTAT, in applicazione dell’art.5 della Tariffa nazionale per ingegneri e architetti (legge 2 marzo 1949, n.143). L’Amministrazione riconosce l’integrazione dell’onorario base ai sensi dell’ottavo e nono comma dell’art.5 della circolare 6679/1969 come di seguito specificato: a) aumento del ...% per il particolare carattere storicoartistico o l’importanza della zona ai fini del soggiorno e del turismo, ovvero per le zone soggette alle leggi sulle bellezze naturali o comunque particolarmente interessanti paesisticamente; b) aumento del ...% per la complessità di problemi derivanti dalle caratteristiche orografiche, geologiche e idrologiche del territorio; c) aumento del ...% per la complessità di problemi derivanti dalla particolare struttura economica, produttiva e di traffico; d) aumento del ...% per la previsione di incremento di popolazione superiore al 50% in anni 20. La somma delle percentuali di aumento non può superare il 50%. 2. L’onorario viene così determinato: • numero degli abitanti: n. ........ nel territorio comunale alla data della presente convenzione. a) onorario base = .................... € .......................... ; b) integrazione dell’onorario base per le condizioni previste nel precedente punto: onorario base € ............ x .... % = € ................. ; c) rimborso spese (artt.2 e 11 della citata circolare
6679/1969) conglobate secondo la Tab. B nel ....% onorario base € ............. x .... % = € ................... importo complessivo € ....................................... . Adeguamento ISTAT alla data della presente convenzione: € .................... x .............../100 = € ................... . In aggiunta all’importo di cui sopra spettano anche i compensi per le eventuali prestazioni accessorie o successive al completamento del presente incarico: • per elaborati diversi o in aggiunta (art.2 comma 3 della circolare 6679/1969); • per le pratiche amministrative esterne e per la partecipazione a riunioni o incontri con enti, commissioni consultive o gruppi convocati dall’Amministrazione comunale; • per eventuali rielaborazioni delle tavole di PRG, varianti o modifiche, richieste dall’Amministrazione comunale prima della loro adozione; • per l’esame delle osservazioni od opposizioni al PRG e la stesura delle controdeduzioni ed eventuali modifiche degli elaborati. Per le prestazioni di cui sopra, le parti determineranno concordemente i compensi relativi. In caso di disaccordo sarà richiesto il parere dell’Ordine. 3. All’importo dell’onorario si dovrà aggiungere: a) il contributo previdenziale di cui all’art.10 della legge 3 gennaio 1981, n.6, pari al 2%; b) l’IVA; c) l’onere per vidimazione parcella, se richiesta. L’onorario suddetto sarà corrisposto nei seguenti modi: • 30% entro 30 giorni dall’esecutività della presente convenzione; • 30% entro 30 giorni dalla presentazione del progetto di massima; • 30% entro 30 giorni dalla consegna del progetto definitivo; • 10% entro 30 giorni dall’approvazione dell’Ente Committente. Le prestazioni di cui agli artt.7 e 8 saranno compensate a discrezione (in caso di mancato accordo sull’ammontare varrà il parere del competente Ordine professionale) e corrisposte non oltre ............. mesi dal rispettivo termine di espletamento. Art.11 – Il professionista dichiara di non trovarsi per l’espletamento dell’incarico in alcuna condizione di incompatibilità ai sensi delle disposizioni di legge o contrattuali, si impegna espressamente all’osservanza dell’art.14 della legge 6 agosto 1967, n.765. Nel caso che l’Ente committente e/o altra Autorità non rispettino i termini previsti dalla medesima legge, il divieto de quo sarà ritenuto inoperante previo parere del competente Ordine professionale. Art.12 – I termini di cui all’art.6 sono congruamente prorogati in caso di forza maggiore (o altri motivi ritenuti validi dall’Ente committente) o di entrata in vigore di norme di legge posteriormente alla firma della presente convenzione. Art.12 bis – In caso che uno o più dei professionisti incaricati non svolgano – in tutto o in parte e per qualsiasi causa – l’incarico ricevuto, ciò non avrà alcun effetto giuridico sulla presente convenzione, salvi comunque i rapporti interni tra gli stessi professionisti.
C.3. 1. A.ZIONI
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B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
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Art.13 – Eventuali controversie derivanti dalla presente convenzione saranno deferite a un Collegio di tre arbitri (due scelti rispettivamente da ciascuna parte e il terzo d’accordo o, in difetto, dal presidente del Tribunale di ...) che giudicherà secondo le norme di diritto, ivi compreso il ricorso all’equità. In pendenza del giudizio, sono sospesi gli obblighi della presente convenzione. Art.14 – Per quanto non espressamente convenuto, le parti fanno riferimento alla Tariffa professionale. Art.15 – Tutte le spese fiscali attinenti alla presente convenzione sono a carico: • dell’Ente committente; oppure • del professionista (escluse le tasse e imposte di bollo e registrazione).
. C.3.1ICHI R INCA
C 47
C.3. 1.
ESERCIZIO PROFESSIONALE INCARICHI
•
INCARICHI E COMPENSI
CONVENZIONE PER L’INCARICO DELLA REDAZIONE DI PIANO PARTICOLAREGGIATO (o simili) DI ATTUAZIONE DEL PRG Tra l’Arch. .................... iscritto all’Albo degli Architetti di ........... n. ..... e residente in ........... via ............ n. ..... • in proprio ................................................................. ; • quale titolare dello studio .................... di cui fanno parte ....................................................................... ; • quale rappresentante-coordinatore del gruppo professionale composto da ...........................................
Art.5 – L’Ente committente: ❒ ha fornito al professionista; ❒ fornirà al professionista entro il .................. quanto in appresso: a) ............................................................................ ; b) ............................................................................ ; c) ............................................................................ ; d) ............................................................................ .
parte che in seguito sarà chiamata: professionista, e il Sig. .......................... nella sua qualità di ................. in esecuzione della delibera .................... del ............... (di cui si allega copia conforme) parte che in seguito sarà chiamata: Ente committente, si conviene quanto segue:
Art.6 – A parte quanto stabilito dall’art.12 gli elaborati di cui all’art.4 dovranno essere consegnati rispettivamente nei seguenti termini: • quanto agli elaborati di cui all .... lettera ...... entro .... giorni dal ................................................................. ; • quanto ..................................................................... ; • quanto ..................................................................... .
Art.1 – La premessa è parte integrante del presente atto.
Art.2 – L’Ente committente affida al professionista, che accetta, l’incarico di redigere il .............................. che dovrà risultare in ottemperanza alle leggi vigenti o comunque alla normativa emanata dalle Autorità competenti entro la data di formale consegna del piano agli Uffici dell’Ente stesso. L’incarico deve essere inoltre svolto considerando le indicazioni fornite al professionista in data .................. da parte del committente e tenendo conto delle eventuali, ulteriori precisazioni fornite su richiesta del professionista medesimo. La prestazione in oggetto: ❒ è richiesta con speciale urgenza; ❒ non è richiesta con speciale urgenza.
Art.3 – Le prestazioni dovute dal professionista sono: a) la delimitazione del perimetro delle aree interessate; b) la precisazione tecnica degli interventi e delle trasformazioni; c) i progetti di massima delle infrastrutture comprese le sezioni stradali quotate sia longitudinali sia trasversali; d) l’indicazione planivolumetrica degli insediamenti, la progettazione schematica delle relative opere di urbanizzazione primaria e la specificazione delle attrezzature; e) l’indicazione delle utilizzazioni delle opere da convenzionare o soggette a espropriazione; f) le norme tecniche di attuazione ed eventuali prescrizioni speciali; g) programmi e fasi di attuazione; h) dati sommari di costo.
Art.4 – In riferimento alle prestazioni di cui all’art.3, il professionista dovrà fornire (in numero di ....... copie ciascuno) gli elaborati tipici che seguono: 1. relazione illustrativa dei criteri di impostazione del piano; 2. una o più planimetrie del piano particolareggiato disegnate sulla mappa catastale contenente tutti gli elementi delle previsioni sopra descritte; 3. grafici in scala compresa tra 1:500 e 1:200 indicanti i profili altimetrici, i tipi architettonici degli edifici, le sezioni delle sedi stradali e le sistemazioni a verde o a zone speciali; 4. le norme tecniche di attuazione ed eventuali prescrizioni speciali; 5. piano dei comparti edilizi ed elenchi catastali delle proprietà da espropriare o da vincolare; 6. programmi e fasi di attuazione; 7. relazione sulle spese necessarie alla esecuzione delle opere pubbliche e degli espropri nei limiti indicati dal Committente; 8. quanto altro occorra a consentire la corretta interpretazione del piano.
C 48
Art.7 – Il professionista si impegna ad apportare agli elaborati del ....................................... tutte le modifiche e/o integrazioni richieste dall’Ente committente o dalle Autorità competenti purché non ne snaturino l’impostazione progettuale e/o i sostanziali criteri informatori.
Art.8 – Il professionista si impegna a prestare la propria opera per l’eventuale esame delle osservazioni e delle opposizioni e la eventuale stesura delle controdeduzioni, sempre alle condizioni di cui al precedente articolo.
Art.9 – In caso di sospensione dell’incarico da parte dell’Ente committente, il professionista ha diritto a ottenere la corresponsione dell’onorario e delle spese per il lavoro fatto e/o predisposto fino alla data della sospensione, con la maggiorazione del 25% ai sensi dell’art.10 della legge 2 marzo 1949, n.143 (e successive modifiche e integrazioni) e con salvezza del risarcimento dell’eventuale maggiore danno qualora la sospensione stessa non sia dipesa da cause attinenti al comportamento del professionista.
Art.10 – Onorario professionale 1. L’onorario che l’Amministrazione dovrà corrispondere al professionista è stabilito in base alla Tariffa professionale per le prestazioni urbanistiche (circolari del Ministero dei LLPP n.6679 del 1° dicembre 1969 e n.22 del 10 febbraio 1976) con gli aggiornamenti in base agli indici ISTAT, in applicazione dell’art.5 della Tariffa nazionale per ingegneri e architetti (legge 2 marzo 1949, n.143). 2. L’onorario viene così determinato: a) elementi base di calcolo: • superficie del comparto = ha ......... • volumetria prevista = m3 ......... b) onorario base: ha ......... x €/ha 77,47 = € ...................... = € ...................... m3 ......... x €/m3 0,01 sommano € ...................... Adeguamento del compenso di cui sopra in base ai coefficienti della tabella dell’art.8 comma 6/b: € ............. x coeff. ......... = ....... € ...................... c) maggiorazione e/o riduzione dell’onorario ai sensi dell’art.8 commi 7 e 8, per ..................................... € ............. x ......... % = ............. € ...................... d) rimborso spese ai sensi degli artt.2 e 11, conglobate secondo la Tab. B sull’onorario di cui sopra: € ............. x ......... % = ............. € ...................... importo complessivo € ...................... Adeguamento ISTAT alla data della presente convenzione: € .............. x ......./100 = ........... € ...................... In aggiunta all’importo di cui sopra spettano anche i compensi per le eventuali prestazioni qui sotto elencate:
• • • •
calcoli delle aree o frazionamenti; formazioni dei piani particellari di esproprio; preventivi occorrenti per il piano finanziario; eventuali prestazioni occorrenti qualora l’Amministrazione comunale non dovesse fornire la documentazione di base. Per le prestazioni di cui sopra, le parti determineranno concordemente i compensi relativi. 3. All’importo dell’onorario si dovrà aggiungere: a) il contributo previdenziale di cui all’art.10 della legge 3 gennaio 1981, n.6, pari al 2%; b) l’IVA; c) l’onere per vidimazione parcella, se richiesta. L’onorario suddetto sarà corrisposto nei seguenti modi: • 30% entro 30 giorni dall’esecutività della presente convenzione; • 30% entro 30 giorni dalla presentazione del progetto di massima; • 30% entro 30 giorni dalla consegna del progetto definitivo; • 10% entro 30 giorni dall’approvazione dell’Ente committente. Le prestazioni di cui agli artt.7 e 8 saranno compensate a discrezione (in caso di mancato accordo sull’ammontare varrà il parere del competente Ordine professionale) e corrisposte non oltre ............. mesi dal rispettivo termine di espletamento.
Art.11 – Il professionista dichiara di non trovarsi per l’espletamento dell’incarico in alcuna condizione di incompatibilità ai sensi delle disposizioni di legge o contrattuali, si impegna espressamente all’osservanza dell’art.14 della legge 6 agosto 1967, n.765. Nel caso che l’Ente committente e/o altra Autorità non rispettino i termini previsti dalla medesima legge, il divieto de quo sarà ritenuto inoperante previo parere del competente Ordine professionale.
Art.12 – I termini di cui all’art.6 sono congruamente prorogati in caso di forza maggiore (o altri motivi ritenuti validi dall’Ente committente) o di entrata in vigore di norme di legge posteriormente alla firma della presente convenzione.
Art.12 bis – In caso che uno o più dei professionisti incaricati non svolgano – in tutto o in parte e per qualsiasi causa – l’incarico ricevuto, ciò non avrà alcun effetto giuridico sulla presente convenzione, salvi comunque i rapporti interni tra gli stessi professionisti.
Art.13 – Eventuali controversie derivanti dalla presente convenzione saranno deferite a un Collegio di tre arbitri (due scelti rispettivamente da ciascuna parte e il terzo d’accordo o, in difetto, dal presidente del Tribunale di ...) che giudicherà secondo le norme di diritto, ivi compreso il ricorso all’equità. In pendenza del giudizio, sono sospesi gli obblighi della presente convenzione.
Art.14 – Per quanto non espressamente convenuto, le parti fanno riferimento alla Tariffa professionale.
Art.15 – Tutte le spese fiscali attinenti alla presente convenzione sono a carico: • dell’Ente committente; oppure • del professionista (escluse le tasse e imposte bollo e registrazione).
ESERCIZIO PROFESSIONALE
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INCARICHI E COMPENSI CURRICULUM
A.ZIONI
CURRICULUM PROFESSIONALE Il curriculum professionale è considerato generalmente l’elenco delle qualifiche accademiche, dei riconoscimenti conseguiti, dei concorsi effettuati e degli incarichi espletati da un professionista nel corso della sua vita lavorativa. Ad esso possono essere allegati documenti grafici e fotografici volti a illustrare sinteticamente i lavori progettati e diretti. Lo scopo del documento è fornire al possibile committente elementi per valutare la capacità del professionista e le esperienze svolte. Il curriculum professionale è stato introdotto nella normativa dei lavori pubblici dall’art.17 della legge 109/1994: “Fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui all’art.3, l’affidamento degli incarichi di progettazione avviene sulla base dei curricula presentati dai progettisti”. Anche dopo la emanazione del Regolamento il curriculum continua a essere usato, tra l’altro per gli affidamenti di incarichi di importo inferiore a 40.000 euro. Il DLgs 157/1995 che regola gli incarichi professionali di importo superiore a 200.000 euro, all’art.14 (capacità tecniche) pur non usando la parola curriculum fornisce gli elementi che possono dimostrare le capacità tecniche di concorrenti a una gara per l’affidamento di un incarico: • principali incarichi espletati negli ultimi 3 anni con l’indicazione degli importi; nel caso di incarichi pubblici gli incarichi devono essere certificati dalle amministrazioni, mentre per incarichi da privati la prova è fornita dagli stessi committenti o a mezzo di autodichiarazione del concorrente; • titoli di studio o professionali; • numero di tecnici disponibili e, in particolare, di quelli incaricati dei controlli di qualità; • numero medio annuo di dipendenti del concorrente e di dirigenti impiegati negli ultimi 3 anni; • attrezzature tecniche utilizzate per la prestazione del servizio; • parti del servizio che il concorrente intende subappaltare. Il DPR 554/1999 fornisce l’allegato G all’art.64, da compilare per ogni opera e che costituisce il curriculum da allegare all’offerta per partecipare alle gare per incarichi compresi tra € 100.000 e € 200.000. Il curriculum va completato con la scheda allegato H, per la classificazione dei servizi. Il CNAPPC, con circolari 1° agosto 1995 e 14 novembre 1995, ha predisposto uno schema di curriculum certificato dall’Ordine, che è riferito all’art.17 della legge 109/1994, ma che costituisce un valido riferimento anche qualora il curriculum è predisposto per fini diversi o per committenza privata. Il rispetto dello schema e in particolare della veridicità del contenuto costituisce obbligo sotto il profilo della deontologia professionale.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
CARATTERISTICHE DEL CURRICULUM
STRUTTURA DEL CURRICULUM
• Dichiarazione di veridicità tramite autocertificazione resa presso l’Ordine; • indicazione del ruolo svolto in ogni incarico: • progettista incaricato: titolare o co-titolare del contratto di prestazione d’opera; • progettista: firmatario della prestazione indipendentemente dalla titolarità del contratto; • progettista coordinatore o capogruppo: chi ha funzioni di coordinamento e di rappresentanza di un gruppo di professionisti, nei confronti della committenza; • consulente collaboratore: laureato e abilitato che partecipa alla progettazione senza assunzione di responsabilità; • aiuto-tirocinante: laureato che coadiuva la progettazione; • altre figure professionali: direttore lavori, direttore artistico ecc. (la prestazione del tirocinante deve essere dimostrata mediante certificazione del progettista incaricato; tutte le altre prestazioni devono risultare dal contratto di prestazione professionale o da documenti e atti ufficiali del progetto); • elementi grafici o fotografici illustrativi delle opere più significative eseguite con funzione di progettista; • indicazione dei dati dimensionali più significativi delle opere, escludendo tassativamente ogni riferimento al fatturato e alle capacità finanziarie dello studio; • distinzione dal curriculum vitae che, se richiesto, va allegato a parte; • nel caso di Associazione professionale il curriculum è costituito dalla sommatoria delle attività professionali degli associati, svolte sia singolarmente che in associazione. È fatto divieto di presentare documentazione inerente soci non facenti più parte della Associazione stessa.
1. Studi eseguiti, titolo di abilitazione, specializzazioni e corsi di aggiornamento (data, luogo, tipo). 2. Lavori progettati, indicazione del ruolo e delle responsabilità effettivamente assunti dal professionista con riferimento alle fasi progettuali, indicazione della tipologia e delle dimensioni. 2.1 – Edilizia; 2.2 – Urbanistica; 2.3 – Architettura degli interni; 2.4 – altro. 3. Lavori diretti, con espressa indicazione del ruolo effettivamente ricoperto dal professionista, indicazione della tipologia e delle dimensioni. 3.1 – Edilizia; 3.2 – Urbanistica; 3.3 – Architettura degli interni; 3.4 – altro. 4. Lavori collaudati con espressa indicazione del ruolo effettivamente ricoperto dal professionista, indicazione della tipologia e delle dimensioni. 4.1 – Edilizia; 4.2 – Urbanistica; 4.3 – Architettura degli interni; 4.4 – altro. 5. Partecipazione a concorsi di progettazione e/o di idee, con espressa indicazione del ruolo effettivamente ricoperto dal professionista e del risultato conseguito. 6. Partecipazione ad appalti-concorsi, con espressa indicazione del ruolo effettivamente ricoperto dal professionista e del risultato conseguito. 7. Altre notizie ritenute utili al fine del completamento del curriculum con indicazione del ruolo effettivamente ricoperto dal professionista (partecipazione a commissioni e comitati, consulenze, attività di regolamentazione normativa, pubblicazioni, studi e ricerche nell’ambito della attività professionale, partecipazione a conferenze e convegni in qualità di relatore. 8. Documentazione grafico-fotografica in un massimo di 10 cartelle in formato massimo A3 (ripiegate A4).
TAB. C.3.2./1 GARE PER L’AFFIDAMENTO DI INCARICHI DI IMPORTO TRA € 100.000 E € 200.000 (Scheda per referenze professionali – Allegato G all’art.64 del DPR 554/1999) SCHEDA PER REFERENZE
(1)
Importo globale dell’investimento in €
Certificato di conformità n. ......................
Società o studio che ha svolto la/le prestazioni
Si certifica, a richiesta, che il curriculum dell’architetto ....................................................... composto di ....... pagine numerate e siglate è conforme ai requisiti richiesti per gli scopi di cui alla dichiarazione presentata.
Professionisti responsabili (nome e cognome)
Data del rilascio ............................. Data di scadenza ............................. Visto dell’Ordine .............................
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN
C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP
Periodo di esecuzione del servizio
Ordine degli Architetti della Provincia di ..............
Si attesta che il professionista ha/non ha procedimenti disciplinari in corso.
I ED PRE NISM ORGA
C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E
Opera
Il presente certificato di conformità è soggetto al rispetto dei requisiti del curriculum professionale approvato con delibera n. ...... del .......... da parte del Consiglio dell’Ordine su direttiva del Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori.
B.STAZIONI DILEGIZLII
C.3. ICHI R INCA PENSI E COM
Committente MOD. C.3.2./1 FAC-SIMILE DI CERTIFICAZIONE DA RILASCIARE DA PARTE DELL’ORDINE
C.3. 2.
C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
(2)
Ruolo nella Ordine N° di Anno di Il professionista Società o professionale iscrizione iscrizione fa ancora parte nello Studio all’Albo all’Albo della Società o dello Studio (3)
Prestazioni svolte (4)
Autocertificazione dei prestatori dei servizi: Nome e Cognome
Firma
Ruolo
Data
(1) Questo allegato deve essere compilato per ogni prestazione svolta. Per servizi si intendono le prestazioni professionali svolte. Esso ha validità per ogni professionista indicato indipendentemente dalla posizione del medesimo in altra organizzazione o in altro ruolo al momento della valutazione. (2) L’importo globale dell’investimento può essere approssimativo. (3) Indicare con un si o con un no, se il professionista fa parte dello Studio o della Società alla data del bando di gara. È inteso che le specifica referenza vale soltanto se il professionista è ancora inscritto nell’organizzazione al momento della valutazione. (4) Le prestazioni svolte vengono indicate con la sigla della matrice dei servizi totali o parziali riportate nella tabella “Descrizione dei servizi” – Allegato “D”.
. C.3.1ICHI R INCA . C.3.2 ULUM IC CURR
C 49
C.3. 3./4.
ESERCIZIO PROFESSIONALE CERTIFICAZIONE
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INCARICHI E COMPENSI
CERTIFICAZIONE DI QUALITÀ DELLO STUDIO La legge 109/1994 con l’art.8 ha introdotto l’obbligo di qualificazione per i soggetti operanti nell’ambito dei lavori pubblici e l’obbligo di certificazioni di qualità definiti dalle norme europee delle serie UNI EN 29000 e UNI EN 29004 per prodotti, processi, servizi e sistemi di qualità aziendali. Gli organismi abilitati al rilascio delle certificazioni devono essere accreditati ai sensi delle norme europee della serie UNI EN 45000 e, in particolare, delle UNI EN 45012. L’ente che emana le norme internazionali è denominato International Standard Organization (ISO). In Europa le stesse norme sono recepite dal Comitato Europeo Normalizzazione (CEN). In Italia opera l’Ente nazionale italiano di unificazione (UNI) che recepisce le norme a livello nazionale. L’art.30 della stessa legge 109/1994 al comma 6 stabilisce che le amministrazioni devono verificare la qualità degli elaborati prima di procedere all’aggiudicazione dei lavori. Tale verifica può essere effettuata dagli organismi sopra detti ovvero dagli uffici tecnici dell’ente stesso. La verifica di qualità degli elaborati ha l’obiettivo di controllare la rispondenza del progetto alle varie normative vigenti. (L’argomento è sviluppato al capitolo C.5). L’art.8 riferisce l’obbligo di certificazione solo ai soggetti che eseguono lavori pubblici, cioè agli imprenditori, per cui si ritiene che siano esclusi i prestatori di servizi, cioè i professionisti progettisti o direttori di lavori. Anche il DLgs 157/1995 sulle prestazioni di servizi, all’art.14, che abbiamo esaminato nel paragrafo precedente riguardante il curriculum, nello stabilire i requisiti dello studio professionale non pone l’obbligo di certificazione di qualità, ma si limita a precisare che le dichiarazioni sui lavori effettuati devono essere controfirmate dalle amministrazioni affidatrici. Occorre però considerare che lo stesso art.14 al comma 4 ammette la richiesta di certificazione di qualità, laddove precisa che, qualora le amministrazioni richiedano la presentazione di certificati di qualità rilasciati da organismi indipendenti, essi devono fare riferimento alla serie di norme europee EN 29000 (UNI EN ISO 9000), mentre gli organismi certificatori devono rispondere alla serie di norme europee EN 45000. Conseguentemente l’allegato D al Regolamento dei lavori pubblici, DPR 554/1999 stabilisce che, nel caso di gara per affidamento di incarichi professionali fino a 200.000 euro, nel calcolare il punteggio dei vari concorrenti ai fini della formazione della graduatoria, può essere
attribuito un aumento del 10% al gruppo professionale avente almeno un componente in possesso del certificato di qualità aziendale. Nonostante manchi un obbligo per legge, molte strutture professionali organizzate (studi, associazioni professionali o società di ingegneria) sono interessate a conseguire una certificazione di qualità che, può comunque accrescere la capacità di concorrenza rispetto alle altre organizzazioni professionali, nella fetta di mercato di incarichi non soggetti alla legge sui lavori pubblici. Tali incarichi sono relativi all’edilizia privata in Italia e all’edilizia sia pubblica che privata in altri paesi all’interno e all’esterno della Unione Europea. La norma UNI EN ISO 9004/2 riguarda la gestione dei servizi (non ai fini della certificazione) e quindi è applicabile agli studi professionali. Ai fini della certificazione di qualità degli studi professionali occorre fare riferimento alla norma UNI EN ISO 9001, “Sistemi qualità. Criteri per la garanzia della qualità nella progettazione, sviluppo, fabbricazione, installazione e assistenza”. Appare ovvio che uno studio professionale ha maggiore interesse a ottenere la certificazione di qualità se ha una certa dimensione e dispone di un numero adeguato di soci o di dipendenti. Ciò anche perché la certificazione costa. Recentemente sono state rilasciate certificazioni per organizzazioni composte di almeno 10 sociconsulenti-dipendenti. La certificazione ha validità di 3 anni, durante i quali l’organismo che ha certificato controlla l’attività dello studio mediante ispezioni. La certificazione può essere fatta da organismi di certificazione che sono stati accreditati dal Sincert (www.sincert.it), che al momento è l’unica organizzazione, in Italia, che può accreditare gli organismi di certificazione nel campo dei servizi di architettura. Informazioni in merito possono essere attinte dalla “Guida per l’applicazione delle norme ISO 9000”, dell’arch. Leopoldo Freyrie (Ed. Pirola) e dalle “Linee guida per l’applicazione della norma ISO 9001: 2000 in organizzazioni che forniscono servizi di ingegneria e di architettura” elaborata dal gruppo di lavoro Oice “Qualità e certificazione” coordinato dall’arch. Manuela Tasso, testo pubblicato su Edilizia e Territorio, dossier n.1/2002. Nel dibattito che si va sviluppando su questo tema nella prospettiva futura di un ampio ricorso alla certificazione, occorre tenere presente che la serie di norme ISO 9000 è stata predisposta per il settore manifatturiero e per-
tanto richiede forti adattamenti per essere applicata alle attività professionali. Infatti alcune norme premiano la dimensione dell’organizzazione, che di per sé non produce affatto quella qualità della progettazione che dovrebbe essere l’obiettivo finale del “sistema qualità”. Questa può invece essere garantita meglio se si tiene conto anche della qualità dei progetti redatti e della esperienza professionale dei titolari e dei collaboratori dello studio, testimoniata dal loro curriculum. In sostanza occorre evitare il pericolo della marginalizzazione di progettisti dotati di elevata capacità dimostrata dai fatti, ma operanti in studi piccoli, di fronte a strutture complesse e organizzate ma carenti di creatività. Le norme della serie UNI EN 29000/1987 sono state sostituite con la serie UNI EN ISO 9000/1994:
Diverso è il caso della responsabilità penale, che riguarda infrazioni alla legge penale ed è perseguita non nell’interesse di una parte al risarcimento del danno, ma in nome di un pubblico interesse al rispetto della norma. Tale responsabilità, sanzionata normalmente con limitazioni alla libertà personale, non è copribile da parte di una assicurazione, se non per aspetti marginali, come ad esempio le spese di difesa nel processo. In linea generale se un soggetto si impegna a dare una prestazione a un altro, il mancato adempimento può generare un danno per il quale il committente può far valere il diritto al risarcimento.
Tuttavia nel caso della attività di professione intellettuale la responsabilità è spesso attenuata nel senso che il professionista ha obbligazione “di mezzi” e non “di risultato” (art.2236 c.c.). Egli cioè è responsabile solo per omesso o negligente svolgimento della sua attività e non anche per mancato raggiungimento del risultato finale. Su questo punto, peraltro, la dottrina e la giurisprudenza non sono pervenute a un risultato definitivo, visto che per il committente il raggiungimento del risultato costituisce normalmente l’obiettivo del contratto. Di conseguenza la copertura assicurativa per la responsabilità civile è opportuna in tutti i tipi di prestazione professionale.
UNI EN ISO 9000 – Norme di gestione per la qualità e di assicurazione della qualità. Guida per la scelta e la utilizzazione. UNI EN ISO 9001 – Sistemi qualità. Criteri per la garanzia della qualità nella progettazione, sviluppo, fabbricazione, installazione, assistenza. UNI EN ISO 9002 – Sistemi qualità. Criteri per la garanzia della qualità nella fabbricazione, installazione, assistenza. UNI EN ISO 9003 – Sistemi qualità. Criteri per la garanzia della qualità nei controlli e collaudi finali. UNI EN ISO 9004 – Criteri relativi alla conduzione aziendale per la qualità e per i sistemi della qualità aziendale. Guida generale. UNI EN ISO 8042 – Termini e definizioni. Nel dicembre 2000 sono state emesse le nuove norme: • 9000 che sostituisce la 8042 Termini e definizioni; • 9001 che sostituisce le 9001-2-3/1994 ai fini della certificazione; • 9004 che dà ulteriori spiegazioni della 9001 in merito all’organizzazione-gestione aziendale.
ASSICURAZIONE ASSICURAZIONE DELL’ATTIVITÀ Nel paragrafo C.1.5 sono state trattate le responsabilità civili, penali e disciplinari nell’esercizio della professione di architetto e di ingegnere. La responsabilità civile si verifica quando una persona, commettendo un fatto doloso o colposo, cagiona un danno ad altri e conseguentemente deve risarcire il danno. In altri termini la responsabilità civile è quella situazione di vincolo in cui viene a trovarsi il patrimonio di una persona che ha violato un obbligo giuridico, cagionando un danno ad altri. Il rischio cui è soggetto il patrimonio può essere coperto da garanzia assicurativa.
POLIZZA DI RESPONSABILITÀ CIVILE PER LAVORI PUBBLICI La legge 109/1994, art.30 comma 5, ha introdotto l’obbligo di assicurazione per responsabilità civile per il professionista incaricato del progetto esecutivo di lavori pubblici. La polizza deve coprire le eventuali nuove spese di progettazione e i maggiori costi di costruzione, dovuti a varianti al progetto esecutivo, nel caso che queste siano derivate da errori od omissioni che pregiudicano in tutto o in parte la realizzazione dell’opera
C 50
ovvero la sua utilizzazione. La copertura assicurativa deve iniziare con la data di approvazione del progetto e deve durare fino alla emissione del certificato di collaudo provvisorio. Per nuove spese di progettazione si intendono gli oneri di riprogettazione che l’amministrazione deve sostenere per rimediare agli errori o omissioni del progetto esecutivo. Tali oneri non sussistono nel caso che la riprogettazione
sia affidata, senza oneri per l’amministrazione, al professionista originariamente incaricato. Per errori o omissioni della progettazione si intendono la inadeguata valutazione dello stato di fatto, il mancato rispetto della normativa tecnica riferita ai lavori da progettare, la inosservanza delle indicazioni del documento preliminare, la violazione delle norme di ordinaria diligenza nella predisposizione degli elaborati progettuali.
ESERCIZIO PROFESSIONALE
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INCARICHI E COMPENSI ASSICURAZIONE
C.3. 4. A.ZIONI
Per maggiori costi di costruzione si intendono la differenza tra i costi e gli oneri che l’amministrazione deve sopportare a causa dell’errore del progetto esecutivo e i costi e gli oneri che essa avrebbe dovuto affrontare se il progetto fosse stato esente da errori. In base alla legge “La garanzia è prestata per un massimale non inferiore al 10% dell’importo dei lavori progettati, con il limite di 1 milione di euro, per lavori di importo inferiore a 5 milioni di euro, IVA esclusa, e per un massimale non inferiore al 20% dell’importo dei lavori progettati, con il limite di 2 milioni e 500 mila euro, per lavori di importo superiore a 5 milioni di euro, IVA esclusa. La mancata presentazione da parte dei progettisti della polizza di garanzia esonera le amministrazioni pubbliche dal pagamento della parcella professionale”. Il regolamento dei lavori pubblici prevede all’art.105 che il progettista, all’atto della firma del contratto di incarico, debba produrre, pena la decadenza dall’incarico, una dichiarazione di una compagnia assicuratrice contenente l’impegno a rilasciare la polizza di responsabilità
civile professionale con specifico riferimento ai lavori progettati. Solitamente le società di assicurazione rilasciano, anche gratuitamente, tale dichiarazione a condizione che il progettista sia coperto da una polizza sull’intera attività professionale. Le normali polizze antecedenti la legge 109/1994 coprono l’attività professionale nel suo complesso, per lavori privati e pubblici e il premio pagato tiene conto del totale degli introiti percepiti nell’anno. A differenza di queste, la polizza relativa alla nuova legge-quadro sui lavori pubblici è riferita al progetto di una specifica opera pubblica e la durata è costituita dal periodo intercorrente tra la approvazione del progetto esecutivo e l’emissione del certificato di collaudo provvisorio. In base al Codice civile la responsabilità del progettista dura 10 anni, ben oltre il collaudo; la relativa copertura assicurative può essere contenuta in detta polizza o in quella generale dell’attività professionale che dovrà tenere conto della assicurazione sui lavori pubblici a evi-
tare costose sovrapposizioni. La legge 109/1994 prevede anche la copertura assicurativa del professionista dipendente dell’amministrazione qualora venga incaricato di redigere il progetto esecutivo. La stipula della polizza è a carico della stessa amministrazione. In base agli artt.17 e 30 della legge 109/1994, il Governo deve emanare un decreto contenente gli schemi di polizza tipo per lavori pubblici. Il decreto, predisposto in bozza dal Ministero dei lavori pubblici dal giugno 2001, nella passata legislatura, non è stato ancora emanato. Nell’attesa del decreto ministeriale, la Cassa di previdenza ingegneri e architetti ha stipulato una polizza di responsabilità civile Rischio Professionale con la UNIPOL. Un estratto della polizza è stato pubblicato sul bollettino trimestrale Inarcassa n.4/2001. Di seguito se ne forniscono solo alcuni elementi, omettendo di pubblicarla per intero, data la lunghezza del testo e tenuto conto che si tratta di un documento che tutti gli iscritti agli Ordini hanno ricevuto.
• LETTERA DI IMPEGNO (art.105, 4° comma del regolamento) Il progettista incaricato della progettazione esecutiva, contestualmente alla sottoscrizione del contratto di progettazione, deve produrre una dichiarazione di una Compagnia di assicurazione contenente l’impegno a rilasciare la polizza di responsabilità professionale, richiesta dalla legge, per “Maggiori costi per varianti” e “Nuove spese di riprogettazione“, con specifico riferimento ai lavori progettati.
La lettera di impegno deve quindi essere presentata alla pubblica amministrazione nel momento in cui il progettista, che si è aggiudicato la gara di progettazione esecutiva, stipula il relativo contratto con l’amministrazione stessa. • POLIZZA ASSICURATIVA (art.30, 5° comma della legge e art.105, 1° comma del regolamento) La polizza assicurativa va emessa nel momento in cui la pubblica amministrazione approva il progetto e richiede l’emissione del documento contrattuale di polizza, nel rispetto della lettera di impegno. I progettisti incaricati della progettazione esecutiva devono essere muniti, a far data dall’approvazione del progetto (momento in cui la stazione appaltante approva il progetto e liquida la parcella al professionista) di polizza di responsabilità civile professionale per i rischi derivanti dallo svolgimento delle attività di propria competenza.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
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F. TERIALI,
ADEMPIMENTI PREVISTI DALL’OBBLIGO ASSICURATIVO – GARANZIE ASSICURATIVE La garanzia assicurativa trae origine dalla volontà del legislatore in merito alla copertura obbligatoria di cui all’art.30, comma 5 e si riferisce all’ipotesi di perdite patrimoniali subite dalla Pubblica amministrazione aggiudicatrice, consistenti in “nuove spese di progettazione” e “maggiori costi per varianti” determinate da errori imputabili a colpa professionale del progettista esecutivo. L’obbligo assicurativo si esplica in due fasi temporalmente distinte ma collegate tra loro:
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
Il professionista consegna il progetto alla stazione appaltante la quale lo controlla e lo verifica (art.47 del regolamento) e al momento della sua approvazione richiede la polizza assicurativa nel rispetto della lettera di impegno. La polizza deve coprire, oltre alle nuove spese di progettazione, anche i maggiori costi che l’amministrazione deve sopportare per le varianti di cui all’art.25, 1° comma, lettera d) resesi necessarie in corso di esecuzione dei lavori. È necessaria una singola polizza per ogni opera, con l’intero premio pagato all’atto dell’emissione del contratto, per garantire alla stazione appaltante la certezza della validità della garanzia per l’intera durata dei lavori. Per opportuna informazione va ricordato che all’atto della partecipazione alla gara per l’aggiudicazione dei lavori di progettazione non deve essere presentata né la lettera di impegno, né tanto meno la polizza.
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM
Non occorre presentare lettera di impegno né polizza.
Il progettista vince la gara e deve stipulare con la stazione appaltante il contratto di incarico.
Contestualmente alla sottoscrizione del contratto il professionista deve presentare la lettera di impegno.
Il progettista consegna il progetto: • la stazione appaltante lo verifica, l’approva (art.47 regolamento) liquida la parcella e chiede la polizza.
Inizio lavori.
Emissione della polizza. Al momento dell’approvazione del progetto il professionista deve presentare la polizza, nel rispetto della lettera di impegno.
La polizza viene emessa con una data presunta di inizio lavori. Il progettista dovrà comunicare in seguito alla Compagnia la data effettiva di inizio lavori.
Fine lavori.
Collaudo provvisorio.
Tempo massimo 6 mesi
Partecipazione alla gara di progettazione.
Redazione del progetto
SCHEDA DI SINTESI C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP
La garanzia è operante dalla data di inizio dei lavori e scade alla data di collaudo dell’opera.
C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
RIEPILOGO IN ORDINE CRONOLOGICO DEGLI ADEMPIMENTI DEL PROFESSIONISTA • Il professionista partecipa alla gara di progettazione. In questa fase il professionista deve presentare nell’offerta la documentazione richiesta dall’Ente nonché indicare l’importo del suo onorario per l’esecuzione del progetto. Non deve essere presentata né la lettera d’impegno né tantomeno la polizza. • Il professionista che ha vinto la gara stipula con la stazione appaltante il contratto di progettazione. Deve presentare la lettera di impegno. • Nel contratto di progettazione è indicata la data di consegna del progetto. • Il professionista redige il progetto. • Il professionista consegna il progetto; la stazione appaltante lo controlla, lo approva (validazione del progetto – art.47 del regolamento) e liquida la parcella al professionista. Viene richiesta la polizza come conseguenza della lettera di impegno.
. C.3.3ICAZIONE CERTIF . C.3.4URAZIONE ASSIC
C 51
C.3. 4.
ESERCIZIO PROFESSIONALE ASSICURAZIONE
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INCARICHI E COMPENSI
POLIZZA DI RESPONSABILITÀ CIVILE SCHEMA DI POLIZZA DI RESPONSABILITÀ CIVILE, ESCLUSI RISCHI SPECIFICI DEI LAVORI PUBBLICI Schema di polizza di Responsabilità Civile riferita a tutta l’attività professionale, con l’eccezione dei costi di variante e delle spese di riprogettazione di opere pubbliche, per le quali è prevista una specifica assicurazione per lavori pubblici come illustrato al paragrafo precedente. Art.1 – Assicurato Per “Assicurato” si intende l’architetto o tecnico equivalente, ai sensi della Direttiva 1985/364 CEE, lo studio associato e la società tra professionisti. (Nel caso in cui contraente sia uno studio associato, dovranno essere indicati i singoli componenti i quali si intenderanno assicurati per l’intero massimale indicato in contratto purché iscritti all’Albo professionale). Art.2 – Descrizione del rischio La Compagnia risponde delle somme che l’Assicurato sia tenuto a pagare quale civilmente responsabile ai sensi di legge a titolo di risarcimento, per capitale interessi e spese, per danni involontariamente cagionati all’opera progettata, a cose diverse da quelle progettate o a terzi (compreso il committente), in conseguenza di qualsiasi atto od omissione commessi dall’Assicurato stesso nello svolgimento della propria attività (progettazione anche esecutiva, direzione dei lavori e di cantiere, contabilità, collaudo, perizie, consulenze, ricerche, funzioni di ingegnere capo o responsabile del procedimento, coordinatore per la progettazione o per l’esecuzione dei lavori ai fini della sicurezza) o da qualsiasi altra persona della quale l’Assicurato è responsabile. Art.3 – Limiti di operatività della garanzia La presente assicurazione è riferita esclusivamente alle prestazioni professionali dell’Assicurato in relazione alle seguenti opere, quali definite dall’art.14 capo secondo della legge 143 del 1949: a) costruzioni rurali, industriali civili, artistiche e decorative (classe I della legge richiamata); b) opere di cui alla lettera precedente, anche se in tutto o in parte con struttura in legno o metallo; c) impianti di servizi generali (classe III della legge richiamata); d) raccordi ferroviari, solo se facenti parte delle opere individuate nei precedenti paragrafi (classe VI della legge citata) con esclusione di stazioni di tipo speciale, impianti teleferici, strade ferrate e ferrovie; e) impianti per provvista, condotta, distribuzione d’acqua; fognature urbane (classe VIII della legge 143/1949) con esclusione di bacini e dighe; f) gallerie, ponti e viadotti (classe IX della legge richiamata) con esclusione di bacini e dighe; sono inoltre comprese le attività professionali relative a: • urbanistica e piani regolatori in genere; • prevenzione incendi purché l’assicurato sia in possesso dei requisiti richiesti dalle leggi vigenti. L’assicurazione inoltre comprende sino a concorrenza del massimale di € ................................... per sinistro e per anno assicurativo, i danni derivanti da interruzioni o sospensioni, anche parziali, di attività industriali, commerciali, agricole o di servizi, purché conseguenti a sinistro indennizzabile a sensi di polizza. Art.4 – Clausole opzionali Previa corresponsione di un supplemento di premio, potranno essere assicurati anche i rischi incombenti sull’Assicurato in conseguenza dello svolgimento della propria attività professionale relativamente a: • opere civili, industriali o reti tecnologiche di cui all’art.14 della legge 2 marzo 1949 n.143 ulteriori rispetto a quelle indicate nell’articolo che precede; • perdite patrimoniali cagionate a terzi, compreso il committente, per gravi difetti delle opere progettate e/o dirette riscontrati dopo la loro ultimazione, ma prima del collaudo, che rendano l’opera inidonea all’uso cui è destinata, esclusi comunque tutti i costi per le migliorie: in tale caso, la garanzia viene prestata sino a concorrenza del ....% del massimale di polizza, con un massimo di € ................................ per sinistro e per anno assicurativo.
C 52
Art.5 – Dichiarazione del contraente Ai sensi e per gli effetti degli artt.1892 e 1893 del Codice civile l’Assicurato dichiara di non essere a conoscenza di circostanze o situazioni che possano determinare durante il periodo di validità del contratto richieste di risarcimento occasionate da fatti già verificatisi prima della data di effetto della presente polizza. Art.6 – Pluralità di assicurati Qualora la garanzia venga prevista per una pluralità di assicurati, il massimale stabilito in polizza resta a ogni effetto unico. Art.7 – Responsabilità in solido Resta stabilito tra le parti che in caso di responsabilità solidale dell’Assicurato con altri soggetti la Compagnia risponderà soltanto per la quota di pertinenza dell’Assicurato stesso. Art.8 – Validità e cessazione della garanzia L’assicurazione vale esclusivamente per i sinistri denunciati nel corso della validità del contratto anche se derivanti da comportamenti colposi posti in essere anteriormente alla sua stipulazione. La garanzia viene a cessare con il decesso dell’Assicurato, in caso di cessazione da parte di questi dell’esercizio della professione o in caso di sua radiazione o sospensione (per oltre 6 mesi) per qualsiasi motivo dall’Albo Professionale. In caso di cessazione del rapporto assicurativo, saranno coperte soltanto le richieste di risarcimento pervenute entro il 30° giorno dalla data di cessazione di detto rapporto. Art.9 – Esclusioni L’assicurazione non vale: a) per i costi di varianti e le spese di riprogettazione per i quali sono previsti specifici obblighi assicurativi dalle leggi 109/1994 e 216/1995; b) per le richieste di risarcimento determinate in tutto o in parte da fatti dolosi o penalmente rilevanti compiuti dall’Assicurato o da persone delle quali debba rispondere; c) se al tempo dell’esplicazione dell’attività esplicativa in polizza, l’Assicurato non era iscritto al relativo Albo Professionale; d) se i lavori progettati o diretti non rientrano nelle competenze professionali stabilite dalle leggi e dai Regolamenti; e) se i lavori vengono eseguiti da imprese dell’Assicurato o di cui l’Assicurato stesso sia socio a responsabilità illimitata, amministratore o dipendente; f) per i danni e le perdite patrimoniali da furto e a cose altrui derivanti da incendio di cose dell’Assicurato o da lui detenute; g) per i danni da circolazione su strade di uso pubblico o su aree a questa equiparate di veicoli a motore, nonché da navigazione di natanti a motore o da impegno di aeromobili; i) per i danni verificatisi in occasione di maremoti o movimenti tellurici in genere e simili; l) per danni e le perdite patrimoniali conseguenti al mancato rispetto di vincoli urbanistici, di norme edilizie e di altri vincoli imposti dalle pubbliche Autorità; m)per i danni all’ambiente e/o conseguenti a inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo. Art.10 – Garanzia postuma decennale La presente garanzia opera per i danni verificatisi entro 10 anni dalla data di compimento delle opere o delle prestazioni professionali, anche se la polizza è stata disdetta da una delle parti prima del verificarsi del danno e/o della richiesta di risarcimento. Si precisa che per data di compimento dell’opera si deve intendere la data in cui si è verificata una delle seguenti circostanze: • sottoscrizione del verbale di ultimazione dei lavori o rilascio del certificato provvisorio di collaudo; • consegna anche provvisoria delle opere al committente; • uso delle opere secondo destinazione. Art.11 – Estensione territoriale • Italia; • Paesi comunitari;
(Predisposta a cura dell’avv.Claudio Russo)
• Altri paesi esteri (da specificare); • Tutto il mondo con esclusione degli Stati Uniti d’America e del Canada. Art.12 – Altre assicurazioni Il contraente deve dichiarare per iscritto alla Compagnia l’esistenza o la successiva stipulazione di altre assicurazioni per lo stesso rischio. In caso di sinistro, deve darne avviso a tutti gli assicuratori, indicando a ciascuno il nominativo degli altri (art.1910 c.c.). Art.13 – Pagamento del premio L’assicurazione ha effetto, sempreché sia stato pagato il premio o la prima rata del premio, dalla data di stipulazione della polizza; altrimenti ha effetto dalle ore 24 del giorno del pagamento, ferme le successive scadenze. Art.14 – Obbligo di avviso In caso di sinistro, il Contraente o l’Assicurato devono darne avviso scritto all’Agenzia cui è affidata la polizza oppure alla Compagnia, entro 3 giorni da quando ne ha avuto conoscenza. L’inadempimento a tale obbligo potrà comportare la perdita del diritto all’indennizzo (art.1915 c.c.). Art.15 – Gestione delle vertenze di sinistro – Spese legali L’Assicuratore assume la gestione delle vertenze dei sinistri sia in sede stragiudiziale che giudiziale, sia civile che penale, a nome dell’Assicurato, salvo che questi sia di contrario avviso, designando, ove occorra, tecnici o legali designati concordemente con l’Assicurato, e avvalendosi di tutti i diritti e azioni spettanti all’Assicurato stesso. Sono a carico dell’Assicuratore le spese sostenute per resistere all’azione promossa contro l’Assicurato, entro il limite di un importo pari al quarto del massimale stabilito in polizza per il danno cui si riferisce la domanda. Qualora la somma dovuta al danneggiato superi detto massimale, le spese vengono ripartite tra la Compagnia e l’Assicurato in proporzione all’8% e 20%, rispettivamente. La Compagnia non riconosce spese incontrate dall’Assicurato per i legali che non siano anche da essa designati e non risponde di multe o ammende né delle spese di giustizia penale. Qualora la lite debba essere condotta attraverso un arbitrato, rituale o irrituale, per le perizie saranno facoltativamente nominati uno o più tecnici su indicazione dell’Ordine locale oppure, a richiesta anche di una sola parte, del CNAPPC. Salvo diverso accordo, le spese per arbitrato saranno divise in misura paritetica tra le parti (la clausola deve essere approvata espressamente per iscritto ai sensi dell’art.1341 c.c.). Art.16 – Limiti di indennizzo – Franchigia La presente assicurazione è prestata sino a concorrenza di un importo pari al massimale indicato in polizza per ogni sinistro, qualunque sia il numero delle persone o delle cose danneggiate. Per ogni sinistro l’Assicurato terrà a proprio carico a titolo di franchigia assoluta l’importo di € ...................... mentre la Compagnia risarcirà la somma eccedente tale franchigia fino alla concorrenza del massimale assicurato. Art.17 – Diritto di rivalsa Dopo il pagamento del risarcimento, la Compagnia subentra nei diritti e nelle azioni spettanti all’Assicurato per il recupero di quanto versato nei confronti di chiunque non sia un impiegato e/o dirigente e/o collaboratore dell’Assicurato e l’Assicurato dovrà cedere alla Compagnia atti, diritti e fare quant’altro necessario per tutelare tali diritti. Art.18 – Foro competente Foro competente è quello del luogo di residenza o sede del convenuto. Art.19 – Rinvio Per quanto non espressamente previsto nella presente polizza, vale la disciplina dettata dal Codice civile per il contratto di assicurazione.
ESERCIZIO PROFESSIONALE
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INCARICHI E COMPENSI COMPENSI E ONORARI
C.3. 5. A.ZIONI
ONORARI E TARIFFE L’art.2225 del Codice civile, denomina come “corrispettivo” la retribuzione del lavoratore autonomo in genere, e precisa che esso può essere convenuto tra le parti o determinato secondo le tariffe e gli usi, ovvero può essere deciso dal giudice in relazione al risultato ottenuto o al lavoro normalmente necessario per ottenerlo. L’art.2232 del Codice civile trattando delle professioni intellettuali, che costituiscono una particolare fattispecie di lavoro autonomo, stabilisce che “Il compenso se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale alla quale il professionista appartiene. In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”. I due testi spiegano significativamente la differenza tra il lavoratore autonomo in genere e il libero professionista. Una prima differenza è nel riferimento alla associazione professionale, cioè all’Ordine, che esiste solo per le professioni intellettuali.
Ma la diversità sostanziale è nel diverso titolo per cui spetta la retribuzione. Infatti il “corrispettivo” del lavoratore autonomo è legato al risultato ottenuto (come per l’imprenditore) e alla quantità di lavoro occorrente per ottenerlo (come per il lavoratore dipendente). Invece il “compenso” del libero professionista è relazionato all’importanza dell’opera, in senso qualitativo, e al decoro della professione, cioè a un parametro completamente estraneo alla prestazione fornita. Ciò conferma l’idea del lavoro professionale come prestazione molto particolare, sia perché il rapporto tra cliente e professionista è istituito su base fiduciaria, con le conseguenze contrattuali sia sul recesso e diritto al compenso descritte al primo paragrafo di questo capitolo, sia sulle responsabilità (obbligo di mezzi e inesistente o limitato obbligo di risultato) descritte all’ultimo paragrafo del capitolo C.1. Tale peculiarità costituisce la ragione per cui il compenso è in certa misura indipendente dalla prestazione fornita e dal risultato conseguito o ottenibile.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
INDEROGABILITÀ NEI MINIMI DI TARIFFA La legge 340/1976 ha definito la inderogabilità dei minimi della tariffa professionale degli architetti e degli ingegneri, approvata con legge 143/1949. La legge 404/1977, art.6 ha limitato ai soli rapporti tra privati la inderogabilità dei minimi, con la conseguenza di abolire il minimo di tariffa per gli incarichi pubblici. La legge 155/1989 ha reintrodotto il minimo per gli incarichi pubblici, fissandolo come riduzione massima del 20% della tariffa, con l’art.12bis “Per le prestazioni rese dai professionisti allo Stato e agli altri enti pubblici o comunque di interesse pubblico, il cui onere è in tutto o in parte a carico dello Stato e degli altri enti pubblici, la riduzione dei minimi di tariffa non può superare il 20%”. Come si evince dal testo la riduzione è consentita ma non è obbligatoria. Inoltre appare opportuno che la possibile graduazione del ribasso da zero fino al 20% venga motivata in funzione della complessità della prestazione richiesta. Il Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, con delibera del 16 giugno 1989 ha stabilito i seguenti criteri di applicazione della riduzione del 20% prevista dalla legge 155/1989: • dal 20% al 15% per opere di urbanizzazione primaria;
• dal 15% al 10% per opere di adeguamento alle normative di sicurezza ed eliminazione delle barriere architettoniche; • dal 10% al 5% per opere di urbanizzazione secondaria e di nuova edilizia pubblica; • al di sotto del 5% per interventi rivolti al recupero del patrimonio edilizio esistente.
E.NTROLLO
Le riduzioni non possono essere applicate alla direzione dei lavori. Il DLgs 157/1994, recepimento della direttiva CEE sugli appalti pubblici di servizi, con l’art.23 stabilisce che gli incarichi professionali di importo superiore a € 200.000 devono essere affidati tramite gara da aggiudicare al professionista (persona fisica o giuridica) che ha formulato l’offerta economicamente più vantaggiosa. Tra gli elementi che concorrono all’offerta vi è il prezzo del servizio, cioè l’onorario professionale. In base all’art.17 legge della 109/1994, i minimi di tariffa sono inderogabili, salvo la riduzione del 20% prevista dalla legge 155/1989. Tuttavia ribassi possono essere applicati ai rimborsi spese e alle prestazioni accessorie, in analogia a quanto previsto dall’art.64 del DPR 554/1999 per le gare per l’affidamento di incarichi di importo non superiore a € 200.000.
F. TERIALI,
CO NTALE AMBIE ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TARIFFA PROFESSIONALE La tariffa degli onorari per le prestazioni professionali dell’architetto e dell’ingegnere è stata approvata con legge 2 marzo 1949, n.143. Con successiva legge 4 marzo 1958, n.143 è stato stabilito che la tariffa è determinata mediante decreto del Ministro di grazia e giustizia, di concerto col Ministro del lavori pubblici, su proposta del Consigli Nazionali degli Architetti e degli Ingegneri, sentite, da parte dei Consigli stessi, le organizzazioni a carattere sindacale delle due categorie. Le leggi 340/1976, 404/1977 e 155/1989 illustrate al punto precedente, hanno trattato della inderogabilità dei minimi di tariffa. Con una serie di decreti ministeriali sono stati aumentati i compensi a percentuale e a vacazione: DM 21 agosto 1958, DM 25 febbraio 1965, DM 18 novembre 1971, DM 13 aprile 1976, DM 29 giugno 1981, DM 11 giugno 1987. Mediante due circolari sono stati fissati i compensi per prestazioni urbanistiche, che nella tariffa professionale di cui alla legge 143/1949 sono comprese nell’art.5 c), tra le prestazioni da compensare “a discrezione”, non essendo state incluse nelle tabelle degli onorari a percentuale: • Circolare Ministero LLPP 1° dicembre 1969, n.6679.
Tariffa professionale per le prestazioni urbanistiche; • Circolare Ministero LLPP 10 febbraio 1976, n.22. Adeguamento della tariffa professionale riguardante prestazioni urbanistiche. Altre circolari sono state emanate per fornire interpretazioni delle norme sulla tariffa: • Circolare Ministero LLPP 22 luglio 1977, n.5350/61. Criteri di liquidazione delle competenze professionali degli ingegneri e architetti; • Circolare Ministero LLPP 13 febbraio 1981, n.211. Interpretazione art.6, legge 404/1977 in merito ai rimborsi spese; • Circolare Ministero LLPP 21 luglio 1989, n.1590. Interpretazione art.6, legge 404/1977. Nel campo dei compensi per prestazioni professionali per opere pubbliche sono stati emanati: • DM 15 dicembre 1955, n.22608. Disciplinare tipo del Ministero dei LLPP per il conferimento di incarichi a liberi professionisti per la progettazione e direzione di opere pubbliche;
• Circolare Ministero LLPP 21 gennaio 1957, n.1565. Applicazione della tariffa per incarichi di progettazione di opere di edilizia popolare e economica; • Circolare Ministero LLPP 21 agosto 1962, n.14174. Parcelle collaudatori di opere eseguite con il contributo dello Stato; • DM 18 settembre 1967, n.17321. Onorari per prestazioni professionali relative alla costruzione di opere di edilizia popolare ed economica sovvenzionata dallo Stato; • Circolare Ministero LLPP 15 febbraio 1968, n.2942/3415. Illustrativa del DM 18 settembre 1967; • Circolare Ministero LLPP 13 agosto 1989, n.2461/153. Compensi per collaudi di opere dello Stato; • DM 4 aprile 2001 (GU n.96 del 26 aprile 2001). Nuove tabelle dei compensi per prestazioni professionali relative a opere pubbliche; • Legge 166/1999, modifica all’art.17 della legge 109/1994; • Determinazione 16 ottobre 2002 n.27 della Autorità per la vigilanza dei lavori pubblici.
MODALITÀ DI CALCOLO DEGLI ONORARI La tariffa prevede 4 diversi sistemi di calcolo dell’onorario. • onorario a percentuale, ossia in ragione dell’importo dell’opera; costituisce (insieme a quello “a misura”) il criterio prevalente, come precisa l’art.3 della Tariffa; viene applicato normalmente per le prestazioni di progettazione, direzione lavori, collaudo, stima ecc. di lavori edilizi di ogni tipo; • onorario a misura, fissato in relazione all’estensione o alla quantità del lavoro compiuto; ha scarse applicazioni (ad esempio lavori di topografia); • onorario a vacazione, per quelle prestazioni che non sono misurabili a percentuale o a misura e per le quali il tempo concorre come elemento precipuo di valutazione;
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
• onorario a discrezione, stabilito a giudizio del professionista con l’accordo del committente. Tra le prestazioni a discrezione, elencate all’art.5, sono comprese quelle urbanistiche: la discrezionalità è stata regolata mediante una tariffa urbanistica, proposta dai Consigli nazionali degli architetti e degli ingegneri, approvata dal Ministero dei lavori pubblici e da questo diffusa mediante la circolare 1° dicembre 1969, n.6679. La tariffa urbanistica viene adeguata alla svalutazione della lira secondo i criteri stabiliti nella successiva circolare 10 febbraio 1976, n.22.
ONORARIO A PERCENTUALE Per le prestazioni professionali relative a lavori edilizi, nonché per la stima di un’opera esistente, si applica normalmente l’onorario a percentuale, salvo il ricorso ai sistemi a vacazione e a discrezione qualora non sia possibile, neanche per analogia, applicare il sistema a percentuale. L’onorario a percentuale comprende tutte le spese che il professionista sostiene per espletare l’incarico: locali dell’ufficio, personale, collaboratori, cancelleria, copisteria disegni.
A parte sono dovuti i compensi a rimborso di cui all’art.4 (vacazioni per eseguire rilievi, trattative con terzi e con autorità, pratiche per espropri e convegni informativi, varianti a progetti di massima o preliminari), all’art.6 (spese per attività fuori dell’ufficio, postali e telefoniche, riproduzione disegni eccedenti la prima copia ecc.), e all’art.17 (spese relative alla direzione lavori, come la assistenza giornaliera dei lavori e la tenuta dei libretti di misura e registri di contabilità).
➥
. C.3.4URAZIONE ASSIC . C.3.5ENSI E COMP ARI R ONO
C 53
C.3. 5.
ESERCIZIO PROFESSIONALE COMPENSI E ONORARI
•
INCARICHI E COMPENSI
➦ ONORARIO A PERCENTUALE In base all’art.14 le opere sono divise in nove classi (vedi schema a fianco). Per le costruzioni edilizie, le classi di uso normale sono la I per gli aspetti architettonici e strutturali, e la III per la parte impiantistica. Una volta individuata la classe e categoria dell’opera, e conoscendo l’importo dei lavori, si individua, sulla Tabella A di cui all’art.15, la percentuale sull’importo delle opere che rappresenta l’onorario della prestazione professionale completa, che va dalla progettazione di massima (o preliminare) fino alla assistenza al collaudo e alla liquidazione. Per i progetti eseguiti ai sensi della legge 109/1994 la progettazione delle strutture portanti e degli impianti è di norma inclusa nell’incarico, pertanto agli importi delle opere strutturali deve essere applicata la categoria f) o g) della classe Ia e agli importi delle opere impiantistiche devono essere applicate le categorie a), b), c) della classe IIIa. Vedere anche l’esempio di parcella di seguito riportato. Nel caso, peraltro frequente, che l’incarico non sia completo, la Tabella B di cui all’art.18 stabilisce la parte dell’onorario completo che spetta per lo specifico incarico parziale. La Tabella B suddivide la prestazione in 10 parti. A ogni parte corrisponde una percentuale dell’onorario completo, che differisce a seconda della classe e della categoria. Per quanto riguarda i lavori pubblici, l’art.17 della legge 109/1994, tenendo conto che le prestazioni da A a F previste dalla Tabella B della Tariffa sono state ripartite in progetto preliminare, progetto definitivo e progetto esecutivo, ha stabilito la nuova corrispondenza ai fini della Tariffa, come segue:
TAB. C.3.5./1 PRESTAZIONI – (Confronto opere private con opere pubbliche) TAB. B TARIFFA LEGGE 143/1949
TAB. B ADEGUATA LEGGE 109/1994
a) Progetto di massima
a) Progetto preliminare
b) Preventivo sommario
b) Progetto preliminare
c) Progetto esecutivo
c) Progetto definitivo
d) Preventivo particolareggiato
d) Progetto esecutivo
e) Particolari costruttivi e decorativi
e) Progetto esecutivo
f) Capitolati e contratti
f) Progetto esecutivo
g) Direzione lavori
g) Direzione lavori
h) Prove di officina (solo per la classe V) h) Prove di officina (solo per la classe V) i) Assistenza al collaudo
i) Assistenza al collaudo
l) Liquidazione
l) Liquidazione
SUDDIVISIONE IN CLASSI DELLE OPERE Classe I: costruzioni rurali, industriali, civili, artistiche, decorative. Costituisce la classe in cui rientrano quasi tutte le opere di edilizia e di architettura. È articolata in sette categorie, sinteticamente, così individuabili: a) costruzioni improntate a grande semplicità, fabbricati rurali, magazzini, capannoni, baracche; b) edifici industriali, edifici rurali importanti, edifici pubblici di media importanza, quali scuole, piccoli ospedali, case popolari, caserme; c) edifici di cui alla lettera b) quando siano di importanza maggiore, edifici di abitazione civile, e di commercio, villini; d) edifici di rilevante importanza tecnica e architettonica, palazzi e case signorili, giardini, palazzi pubblici importanti, teatri, chiese, banche, alberghi, costruzioni industriali speciali, restauri artistici.
Classe II: impianti industriali completi, compresi i fabbricati quando siano parte integrante del macchinario e dei dispositivi industriali.
Classe IV: impianti elettrici non rientranti negli impianti degli edifici. Classe V: macchine isolate e loro parti.
Classe III: impianti di servizi generali interni a costruzioni civili o industriali. Costituisce la classe in cui rientrano gli impianti tecnologici degli edifici. È suddivisa in tre categorie così sintetizzabili: a) impianti per produzione e distribuzione di vapore e di energia elettrica, per la distribuzione dell’acqua all’interno degli edifici, impianti sanitari, impianti di fognatura domestica; b) impianti di riscaldamento, condizionamento, e ventilazione; c) impianti di illuminazione, telefoni, segnalazioni, controlli.
Classe VI: ferrovie e strade. Classe VII: bonifiche, irrigazioni, impianti idraulici per produzione di energia elettrica, opere portuali e di navigazione interna, sistemi di corsi d’acqua e di bacini montani, opere analoghe, escluse le opere d’arte di importanza da computarsi a parte. Classe VIII: impianti per provvista, condotta e distribuzione di acqua, fognature urbane. Classe IX: ponti, manufatti isolati, strutture speciali.
TAB. C.3.5./2 TABELLA A – ART.15 – ONORARI A PERCENTUALE DOVUTI A PROFESSIONISTI PER OGNI € 0,05 DI IMPORTO DELL’OPERA IMPORTO DELLE OPERE (1) (euro) 129,71 258,23 516,46 1.291,14 2.582,28 5.164,57 7.746,85 10.329,14 15.493,71 20.658,28 25.822,84 51.645,69 77.468,53 103.291,38 129.114,22 154.937,07 206.582,76 258.228,45 309.874,14 361.519,83 413.165,52 464.871,21 516.469,91 774.685,35 1.032.913,80 1.549.370,70 2.065.827,60 2.582.284,50 > 2.582.284,50 (2)
C 54
CLASSI E CATEGORIE DELLE OPERE SECONDO L’ELENCAZIONE DELL’ART.14 (v. art.15) Costruzioni edilizie
Impianti industriali completi
Impianti di servizi generali
I–a
I–b
I–c
I–d
I–e
I–f
I–g
II – a
II – b
II – c
III – a
III – b
III – c
21,46259 19,92954 18,39650 15,33042 13,18416 11,03790 10,73129 9,96476 9,65816 9,19825 8,89164 7,66520 6,74538 6,13217 5,82556 5,51894 5,21233 5,05903 4,83346 4,66482 4,53780 4,41516 4,36916 4,03189 3,83260 3,52600 3,36174 3,21938 2,68282
26,36832 24,98860 22,68901 18,85642 15,33042 13,18416 13,03085 12,72428 12,26434 11,49781 10,73129 9,19825 7,97182 7,35859 6,74538 6,43877 6,13217 5,82556 5,79928 5,59998 5,44448 5,29778 5,24299 4,83784 4,59912 4,23119 4,03627 3,86326 3,21938
30,96744 29,58770 27,44144 23,60884 19,92954 17,17007 16,86358 16,09693 15,33042 14,56390 13,79737 12,26434 11,03790 9,96476 9,04494 8,27842 7,20529 6,43877 6,16283 5,94820 5,76862 5,61968 5,55398 5,12911 4,87945 4,52466 4,27937 4,10197 3,41831
35,56657 33,88022 31,73396 27,59476 24,52867 22,07580 21,46259 20,69606 19,31633 19,00976 18,39656 15,33042 13,33746 11,80441 10,57799 9,65816 8,58503 7,97182 7,61921 7,36297 7,13959 6,96000 6,87898 6,35117 6,04018 5,60436 5,29775 5,07655 4,23046
67,45385 58,25560 52,12343 44,45821 39,85909 35,25995 32,19388 30,66084 27,59476 26,06171 24,52867 21,46259 19,00972 16,86346 15,02381 13,49075 11,65111 10,42468 9,96476 9,63188 9,33841 9,09970 8,99458 8,30908 7,89954 7,32793 6,93156 6,64026 5,53355
24,52867 22,99562 22,07580 19,92954 17,78328 15,63702 14,56390 13,79737 13,03085 12,26434 11,49781 9,96476 8,73833 7,81850 7,20529 6,59208 5,97886 5,51894 5,27366 5,09845 4,45155 4,81594 4,76118 4,39544 4,18082 3,87859 3,66834 3,51286 2,92738
33,42031 32,19388 29,74100 25,44850 21,46259 18,39650 16,86346 16,09693 15,33042 14,56390 13,79737 12,26434 11,03790 9,96476 9,04494 8,27842 7,05199 6,43877 6,15625 5,94820 5,76642 5,61968 5,55398 5,13131 4,87945 4,52466 4,27937 4,10197 3,41831
38,32604 30,66084 26,36832 19,92954 15,33042 12,26434 11,49781 10,73129 9,96475 9,19825 8,73833 7,66520 6,74538 5,97886 5,36564 4,90573 4,29251 3,83260 3,66395 3,54132 3,43400 3,34422 3,30698 3,05293 2,90183 2,69377 2,54704 2,43972 2,03310
53,65646 42,92518 36,79301 27,90136 22,07580 17,17007 16,09693 15,02381 13,95067 12,87755 12,26434 9,19825 7,66520 6,43877 6,28547 5,67224 4,90573 4,59912 4,39544 4,24871 4,11949 4,01219 3,96619 3,66396 3,48438 3,23033 3,05513 2,92811 2,44009
68,98688 55,18951 49,05734 36,79301 29,43440 22,68901 20,69606 19,31633 17,93658 16,55684 15,79033 13,79737 11,95772 10,11808 8,58503 7,35859 6,13217 5,21233 4,98238 4,81595 4,66920 4,54874 4,49618 4,15453 3,95087 3,66396 3,46466 3,32012 2,76677
53,65646 42,92518 36,79301 27,90136 21,46259 17,17007 16,09693 15,02381 13,95067 12,87755 12,26434 10,73128 9,35155 8,12512 7,20529 6,59208 5,67224 5,05903 4,83346 4,66483 4,53880 4,41516 4,36916 4,03189 3,83259 3,52599 3,36174 3,21938 2,68282
57,48907 45,99126 39,24587 29,89431 22,99562 18,39650 17,32337 16,09693 15,02380 13,79737 13,18416 11,49781 9,96476 8,73833 7,81850 7,20529 6,28549 5,67224 5,44258 5,23861 5,07874 4,95172 4,89259 4,51809 4,29689 3,98591 3,77128 3,61140 3,00950
76,65210 61,32168 52,12343 40,77892 31,88726 24,52867 23,30224 21,46259 19,92954 18,39650 17,47667 15,33042 13,49076 11,95772 10,73129 9,81146 8,58503 7,66520 7,32793 7,08265 6,86802 6,68844 6,61118 6,10588 5,81022 5,38535 5,09407 4,87945 4,06621
ESERCIZIO PROFESSIONALE
•
INCARICHI E COMPENSI COMPENSI E ONORARI
C.3. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. C.3.5./3 TABELLA A – ART.15 – TARIFFA ARCHITETTI/INGEGNERI, LEGGE 143/1949 CLASSI E CATEGORIE DELLE OPERE SECONDO L’ELENCAZIONE DELL’ART.14 (v. art.15) IMPORTO DELLE OPERE (1) (euro)
Macchine isolate
Impianti elettrici
Ferrovie o strade
Acquedotti fognature
Opere idrauliche
B.STAZIONI DILEGIZLII
Ponti, manufatti isolati strutture speciali
I ED PRE NISM ORGA
IV – a
IV – b
IV – c
V
VI – a
VI – b
VII – a
VII – b
VII – c
VIII
IX – a
IX – b
IX – c
129,71
45,99125
38,32604
30,66084
61,32168
18,70310
23,60884
21,46259
24,52867
26,36832
26,36832
24,52867
30,96744
35,75053
258,23
36,79301
30,66084
24,52867
45,99126
17,63000
22,68901
19,92954
23,45554
24,98858
24,98858
23,45554
29,43440
33,88022
516,46
30,66084
25,75510
20,84936
38,32604
15,79033
20,69606
17,78328
19,92954
22,68901
22,68901
19,92954
27,44144
31,73396
1.291,14
23,91545
19,92954
15,94363
30,04762
12,41764
17,32337
14,25728
15,63702
18,85642
18,85642
15,63702
22,99562
27,13483
2.582,28
18,39650
15,33042
12,26434
21,15598
10,27138
14,41058
11,03790
13,49076
15,94363
15,17711
12,26434
19,00972
22,68901
5.164,57
14,71710
12,26434
9,81146
15,33042
9,19825
13,33750
9,19825
10,42468
13,18416
13,18416
10,27138
17,17007
20,23615
7.746,85
13,79737
11,49781
9,19825
12,87755
8,73833
12,72425
8,73833
9,65816
12,57094
12,57094
9,65816
15,63702
19,31633
10.329,14
12,87755
10,73129
8,58503
12,26434
8,43173
12,26434
8,43173
9,19825
11,95772
11,95772
9,19825
15,33042
18,70310
15.493,71
11,95772
9,96476
7,97182
11,34450
7,66520
11,65111
7,66520
8,58503
10,88459
10,88459
8,58503
14,71720
17,47667
20.658,28
11,03790
9,19825
7,35859
–
6,89868
11,03790
6,89868
7,97182
9,96476
9,96476
7,97182
14,10398
16,40354
25.822,84
10,42467
8,73833
7,05199
9,50485
6,13217
10,42468
6,13217
7,35859
9,19825
9,19825
7,35859
13,49075
15,33042
51.645,69
9,19825
7,66520
6,13217
6,89868
4,59912
8,43173
4,59912
5,36564
6,13217
7,66520
5,82556
10,42468
12,26434
77.468,53
8,43173
6,74538
5,51894
–
4,29251
7,66520
4,29251
–
–
6,43877
5,21233
8,89164
10,27138
103.291,38
7,81850
6,13217
5,05903
4,59912
4,13921
7,35859
4,13921
–
–
6,13217
4,90573
8,27842
9,65816
129.114,22
7,35859
5,82556
4,75242
–
3,98591
7,05199
3,98591
–
–
5,82556
4,59912
7,81850
9,04494
154.937,07
7,05199
5,51894
4,44582
–
3,83260
6,74538
3,83260
4,59912
5,21233
5,51894
4,29251
7,35859
8,73833
206.582,76
6,74538
5,51233
4,29251
–
3,67930
6,43877
3,67930
–
–
5,21233
3,98591
7,05199
8,43173
258.228,45
6,43877
4,90573
4,13921
–
3,52600
6,13217
3,52600
4,44582
5,05903
5,05903
3,67930
6,74539
8,12511
309.874,14
6,15625
4,69110
3,95525
–
3,48438
5,96572
3,43400
4,38450
5,00866
4,83346
3,58074
6,41030
7,91050
361.519,83
5,94810
4,53122
3,82165
–
3,46686
5,85622
3,40334
4,32317
4,94077
4,67140
3,46466
6,19787
7,54256
413.165,52
5,76642
4,39544
3,70558
–
3,45372
5,74452
3,25004
4,26185
4,86850
4,53342
3,34640
5,98981
7,29727
464.871,21
5,61968
4,28156
3,61140
–
3,41430
5,63064
3,21938
4,20053
4,80060
4,41734
3,20843
5,75109
7,05199
516.469,91
5,55398
4,23338
3,57198
–
3,39896
5,47295
3,18872
4,13921
4,72614
4,36478
3,16244
5,65692
6,75632
774.685,35
5,13131
3,90925
3,29822
–
3,23033
4,80936
3,03541
4,04723
4,62322
4,03189
2,77699
4,97143
6,65778
1.032.913,80
4,87945
3,71872
3,13616
–
3,11645
4,44800
2,88211
3,92458
4,48085
3,83260
2,52294
4,51152
5,84964
1.549.370,70
4,52466
3,44934
2,90839
–
3,08141
4,34945
2,72881
3,74062
4,27280
3,55666
2,40686
4,31003
5,30870
2.065.827,60
4,27937
3,26099
2,74852
–
3,00475
4,29251
2,63683
3,55666
4,06475
3,36174
2,39372
4,29251
5,06341
2.582.284,50
4,10197
3,12302
2,63683
–
2,94781
4,23557
2,51418
3,37269
3,85012
3,22157
2,36964
4,24214
5,02837
> 2.582.284,50 (2)
3,41831
2,60252
2,19736
3,83260
2,45651
3,52964
2,09515
2,81058
3,20843
2,68464
1,97470
3,53512
4,19038
(1) Per importi delle opere intermedi le relative percentuali vengono calcolate mediante interpolazione lineare, con la seguente formula: pA – pB P = pA – x (C – A) B–A P = percentuale da applicare (incognita) C = costo delle opere a base dell’onorario A = importo di Tabella A immediatamente inferiore a C B = importo di Tabella A immediatamente superiore a C pA = percentuale di Tabella A corrispondente ad A pB = percentuale di Tabella B corrispondente a B
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP
(2) Nota al DM 11 luglio 1987, n.233. Per opere di importo superiore a € 2.582.284,50 è interpretazione del Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori che il compenso sia valutato per la parte fino a € 2.582.284,50 con la percentuale corrispondente all’importo di € 2.582.284,50 e per la parte eccedente € 2.582.284,50 con la percentuale indicata nella tabella (che è pari all’importo per € 2.582.284,50 e oltre, stabilito dal DM giugno 1981).
C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
TAB. C.3.5./4 TABELLA B – ART.18 – TARIFFA ARCHITETTI/ INGEGNERI, LEGGE 143/1949 PRESTAZIONI PARZIALI
I – a-b-c-d
I–e
I – f-g
II – III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
a) Progetto di massima
0,10
0,12
0,08
0,12
0,08
0,12
0,07
0,04-0,07
0,10
0,07
b) Preventivo sommario
0,02
0,02
0,02
0,03
0,02
0,03
0,03
0,01-0,02
0,03
0,03
c) Progetto esecutivo
0,25
0,28
0,28
0,22
0,18
0,30
0,15
0,15-0,12
0,15
0,20
d) Preventivo particolareggiato
0,10
0,08
0,08
0,10
0,07
0,07
0,12
0,05-0,04
0,05
0,05
e) Particolari costruttivi e decorativi
0,15
0,20
0,04
0,08
0,05
0,08
0,10
0,15
0,12
0,20
f) Capitolati e contratti
0,03
0,03
0,05
0,10
0,10
–
0,08
0,10
0,10
0,10
g) Direzione lavori
0,25
0,20
0,35
0,15
0,20
0,15
0,25
0,30
0,25
0,20
h) Prove di officina
–
–
–
–
–
0,12
–
–
–
–
i) Assistenza al collaudo
0,03
0,02
0,03
0,15
0,20
0,13
0,05
0,05
0,05
0,10
l) Liquidazione
0,07
0,05
0,07
0,05
0,10
–
0,15
0,15
0,15
0,05
➥
. C.3.5ENSI E COMP ARI R ONO
C 55
C.3. 5.
ESERCIZIO PROFESSIONALE COMPENSI E ONORARI
•
INCARICHI E COMPENSI
➦ SUDDIVISIONE IN CLASSI DELLE OPERE TAB. C.3.5./5 CONGLOBAMENTO DELLE SPESE E VACAZIONI Tabella orientativa del Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori.
PROGETTAZIONE
DIREZIONE LAVORI
INCARICO COMPLETO
Nel Comune di residenza del professionista
30% - 40%
45% - 55%
30% - 45%
Fuori residenza ed entro 100 km
40% - 50%
50% - 60%
45% - 55%
Oltre 100 km
45% - 55%
55% - 60%
50% - 60%
LAVORI
essere forfettizzate; restano tuttavia forfettizzabili le vacazioni (circolare Ministero LLPP 211/1981). La legge 404/1977 non si applica al caso di incarico a un solo progettista o a una associazione di professionisti, né agli incarichi di direzione lavori; in tali casi è consentito il conglobamento sia delle spese che delle vacazioni, ed è applicabile la Tabella del CNAPPC. Il DM 4 aprile 2001 ha modificato la materia, pur restando il dubbio che con DM si possa cambiare una norma di legge, stabilendo che il rimborso delle spese e dei compensi accessori “deve essere riconosciuto forfettariamente nella misura minima del 30% del medesimo per importi di lavori pari o superiori a € 25.822,84 e nella misura del 15% per importi di lavori pari o superiori a € 51.645.689,91. Per importi intermedi le percentuali si calcolano per interpolazione lineare”.
PROGETTO A BASE DEL PERMESSO EDILIZIO MAGGIORAZIONI DEL COMPENSO A PERCENTUALE Si segnalano le più frequenti maggiorazioni delle quali la Tariffa prevede l’applicazione agli importi a percentuale: • nel caso di incarico parziale, cioè comprendente prestazioni che comportano una percentuale complessiva inferiore all’80% dell’importo della Tabella B, aumento del 25% sull’onorario (artt.15 e 18); la maggiorazione spetta sia se l’incarico è limitato fin dall’inizio, sia se la limitazione sopravviene successivamente; la maggiorazione non spetta nel caso sia il professionista a recedere dall’incarico, anche se per giusta causa; • nel caso di sospensione di incarico, aumento del 25% dell’onorario spettante in base al lavoro progettato o eseguito; l’aumento è cumulabile con quello per prestazione parziale (art.18); • nel caso di urgenza della prestazione esplicitamente menzionata dal committente nella lettera di incarico, aumento del 15% dell’onorario (art.2); • nel caso la direzione lavori richieda un impegno personale maggiore del normale a causa della mancanza di personale di sorveglianza o perché i lavori sono eseguiti in economia, aumento del 50% dell’onorario (art.17); • conglobamento delle spese e vacazioni in una percentuale dell’onorario che non può superare il 60% e che va concordata con il committente, salvo determinazione dell’Ordine in caso di mancato accordo (art.13 Tariffa e art.5, DM 21 agosto 1958); il CNAPPC ha deliberato che l’aumento percentuale per conglobamento spese deve essere applicato sull’onorario già incrementato del 25% di incarico parziale; l’art.8 del DM 15 dicembre 1955, n.22608 riguardante incarichi del Ministero dei LLPP, stabilisce un massimo del 30% di spese conglobabili se il lavoro è nel Comune di residenza del professionista, mentre in caso di lavoro fuori Comune di residenza il massimo è 45% per edilizia e 60% per tutti gli altri lavori; detto DM è stato parzialmente superato dall’art.6 della legge 404/1977; • nel caso di incarico pubblico di progettazione a tre o più professionisti, il compenso massimo non può essere superiore a quello della Tariffa, riconosciuto per una sola volta, ma al capogruppo può essere riconosciuta una maggiorazione di non oltre il 20% (art.6, legge 404/1977); • se per il progetto sommario o di massima il committente richiede soluzioni distinte e diverse il compenso può arrivare fino al doppio delle aliquote di Tabella B relative al progetto di massima e del preventivo sommario (art.21); • se l’opera richiede uno sviluppo di elaborati tecnici superiore al normale, per speciali situazioni o per prescrizioni di legge, il compenso può essere aumentato fino al doppio delle rispettive aliquote parziali di Tabella B (art.21); • nel caso di lavori di ristrutturazione edilizia, trasformazione di fabbricati e impianti (sempre che non si tratti di restauri artistici, previsti nella classe I d), le aliquote della Tabella B relative al progetto di massima, al progetto esecutivo e alla direzione lavori possono essere aumentate sino al doppio (art.21). Ai sensi dell’art.6 della legge 404/1977 nel caso di incarico pubblico di progettazione a più di un professionista le spese sono rimborsabili a piè di lista e non possono
Si tratta di un progetto che solitamente ha un livello di approfondimento intermedio tra il progetto di massima e il progetto esecutivo. Nel campo dei lavori pubblici corrisponde alla nuova tipologia del progetto definitivo, che tuttavia comporta un grado di specificazione superiore a quello richiesto per il rilascio del permesso edilizio comunale, tant’è che nel regolamento ex legge 109/1994 il progetto definitivo è assimilato, ai fini dell’onorario, al progetto esecutivo di cui alla Tariffa professionale. Generalmente gli Ordini compensano il progetto di permesso edilizio con le aliquote spettanti al progetto di massima e al preventivo sommario (se redatto) e con la metà della aliquota spettante per il progetto esecutivo. Tale ultima operazione deve essere giustificata come valutazione a discrezione per “predisposizione per il progetto esecutivo” visto che la Cassazione sez. II, con sentenza 1990/1985, ha rimarcato che la Tariffa non consente di configurare una prestazione intermedia tra progetto di massima e progetto esecutivo. Naturalmente all’importo vengono applicate le maggiorazioni per il conglobamento di spese e vacazioni e per l’incarico parziale, se del caso.
PROGETTI STRALCIO, RIPARTIZIONE IN LOTTI Il DM 15 dicembre 1955, n.22608, all’art.10 fissa i compensi per le seguenti prestazioni: • progetto stralcio del progetto esecutivo: 25% della percentuale complessiva dell’importo del progetto di stralcio (aliquote c), d), f) della Tabella B) applicata sull’importo dello stralcio; • ripartizione in lotti di un progetto completo (di massima ed esecutivo): maggiorazione del 15% dell’onorario del progetto completo; • progetto di massima dell’opera completa e progetto esecutivo limitato ad alcuni lotti: onorario per il progetto di massima totale e onorario per il progetto esecutivo calcolato applicando la percentuale che risulta dalla tabella in corrispondenza dell’importo dei singoli progetti dei lotti esecutivi, con l’aumento del 15% di cui sopra.
IMPORTO DELLE OPERE A BASE DELL’ONORARIO La Tabella A determina l’onorario come percentuale dell’importo delle opere. • Nel caso di sola progettazione l’importo è quello definito dal preventivo sommario, o da quello particolareggiato (a base d’asta), a seconda del livello della progettazione eseguita; • nel caso di progettazione e direzione lavori o nel caso di progettazione proseguita durante la esecuzione dei lavori, l’importo è quello del costo consuntivo finale dell’opera, al lordo del ribasso d’asta; • nel caso di direzione lavori l’importo è quello del costo consuntivo finale dell’opera, al lordo del ribasso d’asta; • non sono compresi nell’importo delle opere da porre a base dell’onorario le spese per l’acquisto dell’area, le spese generali, le spese per impianti e opere scorporate che non hanno fatto parte della prestazione professionale.
ESEMPIO DI PARCELLA PER PROGETTAZIONE L’incarico di progettazione di un edificio di abitazione, è completo dal progetto di massima a quello esecutivo e comprende, ai sensi della legge 109/1994 sugli appalti pubblici, anche la progettazione esecutiva delle strutture portanti (Tabella A, classe I g) e degli impianti tecnici dell’edificio (Tabella A, classe III b). a) Progettazione generale edilizia importo complessivo delle opere, comprensivo delle strutture e degli impianti: € 516.469,91 Tabella A, classe I c, aliquota 5,55398; Tabella B, voci a), b), c), d), e), f), per un totale di 0,65; € 516.469,91 x 5,55398% x 0,65 = € ....................... b) Progettazione strutture portanti importo delle sole strutture (comprensivo degli scavi): € 154.937,07 Tabella A, classe I g, aliquota 8,2784; Tabella B, voci c), e), per un totale di 0,32;
C 56
progetto di massima, preventivo sommario, preventivo particolareggiato e capitolati per le opere strutturali sono già compresi nel progetto generale edilizio; € 154.937,07 x 8,2784% x 0,32 = € ......................... c) Progettazione impianti importo degli impianti dei quali è stata redatta la progettazione specialistica, al netto delle opere murarie relative: € 103.291,38 Tabella A, classe III b, aliquota 8,7383; Tabella B, voci a), b), c), e), per un totale di 0,45; a differenza delle strutture, vengono compensati progetto di massima e preventivo sommario in quanto prestazioni con connotati diversi da quelle analoghe già compensate nel progetto generale edilizio; € 103.291,38 x 8,7383 x 0,45 = € ............................ d) Maggiorazioni al totale a) + b) + c) è applicabile la maggiorazione
del 25% per incarico parziale nel caso l’incarico non comprenda la direzione lavori. Alla somma, così incrementata, viene applicata la maggiorazione fino al 60% per conglobamento di spese e vacazioni o solo delle vacazioni nel caso di incarico pubblico (vedi le due tabelle sul conglobamento). N.B. Lo schema di parcella risponde alle disposizioni del CNAPPC. Diverso è l’orientamento del CNI, che nel caso di incarico completo, come quello prima riportato, per la progettazione generale edilizia assume come importo base dell’onorario un importo minore, cioè l’importo complessivo delle opere diminuito del costo delle strutture e degli impianti, applicando tutte le voci della Tabella B dalla a) alla f), per un totale di 0,65. Gli onorari relativi alle strutture portanti e agli impianti sono calcolati rispettivamente sugli importi di costo delle strutture e degli impianti, applicando tutte le voci della Tabella B dalla a) alla f), per un totale di 0,65.
ESERCIZIO PROFESSIONALE
•
INCARICHI E COMPENSI COMPENSI E ONORARI
A.ZIONI
PARCELLA PER DIREZIONE LAVORI Nel caso di emissione di parcella parziale in corrispondenza di stato di avanzamento dei lavori, il metodo più usato è applicare all’importo del singolo stato di avanzamento (depurato degli importi dei SAL precedenti) la percentuale relativa al totale dei lavori messi a base d’asta. In tal modo si applica sempre la stessa percentuale e la rateizzazione dei compensi avviene in modo omogeneo in relazione alla quantità di lavori diretti. L’altro metodo, meno usato, prevede di utilizzare la percentuale corrispondente alla somma degli stati di avanzamento emessi, cioè dei lavori diretti, detraendo gli acconti di onorario già percepiti.
In tal modo la percentuale decresce man mano che lo stato dei lavori procede. Classe e categoria dei lavori sono le stesse applicate per l’onorario della progettazione. L’importo dei lavori è, come per la progettazione, al lordo del ribasso d’asta e comprensivo dell’eventuale aumento. Fanno parte dell’importo dei lavori anche le ritenute a garanzia. Le prestazioni parziali spettanti alla direzione lavori secondo la Tabella B sono pari a 0,35, così ripartite: g) direzione lavori 0,25 + i) assistenza al collaudo 0,03 + 1) liquidazione 0,07. Le tre prestazioni sono complementari (art.19 bis della Tariffa).
Qualora si verifichi il caso, sono applicabili le maggiorazioni prima descritte nell’apposito paragrafo; si segnala in particolare che ai sensi dell’art.17 della Tariffa, per lavori eseguiti in economia o in caso di mancanza di personale di sorveglianza e controllo del cantiere, l’onorario è maggiorabile discrezionalmente fino al 50%. In caso di incarico esteso anche alla misura e contabilità dei lavori (art.23-a della Tariffa), l’onorario relativo è da calcolare in base alla Tabella E della Tariffa. Alla parcella devono essere applicate, se del caso, le maggiorazioni per incarico parziale e per il conglobamento di spese e vacazioni.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
Viene applicato per le prestazioni previste al Capo III della Tariffa, relativo a inventari e consegne di beni stabili urbani e rustici e di impianti industriali, nonché al Capo IV relativo a lavori topografici. Questi ultimi vengono compensati in maniera irrisoria, tanto che spesso tali lavori sono compensati a discrezione.
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
ONORARIO A VACAZIONE incontri per trattative, pratiche per espropri, viaggi quando i lavori da compensare a percentuale sono eseguiti fuori dello studio, varianti ai progetti di massima ecc. L’importo è di € 56,81 (DM 3 settembre 1997 n.417) all’ora per il professionista, € 37,96 per aiuto iscritto al-
l’Ordine degli architetti o degli ingegneri e € 28,41 per aiuto di concetto. Si può calcolare un massimo di 10 ore su 24, salvo casi di effettiva maggiore prestazione. Per operazioni compiute in condizioni di particolare disagio il compenso può essere maggiorato fino al 50%.
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
ONORARIO A DISCREZIONE Riguardano prestazioni di consulenza e tutti i casi nei quali non è possibile applicare per analogia la tariffa a percentuale. L’art.5 della Tariffa descrive gli altri casi di applicabilità: a) ricerche industriali, commerciali, economiche, confronti di sistemi di produzione, di costruzione e di impianti; b) esperienze, prove, studi di processi di fabbricazione, misure di portate di corsi d’acqua; c) studi di piani regolatori di viabilità e di edilizia urbana e dei problemi della circolazione e del traffico; d) studi di piani regolatori idraulici di bacini fluviali e per la scelta della migliore soluzione di impianti idroelettrici;
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
D.GETTAZIONE
ONORARIO A QUANTITÀ
Sono valutati in ragione del tempo e applicati per quelle prestazioni nelle quali il tempo concorre come elemento precipuo di valutazione e alle quali pertanto non può essere applicata la tariffa a percentuale. L’art.4 della Tariffa stabilisce dette prestazioni nei rilievi, studi preliminari,
C.3. 5.
URB e) organizzazione razionale del lavoro; f) perizie estimative di beni in forma verbale o di lettera, memorie e perizie stragiudiziali, in tema di responsabilità civile e penale, consulenza su brevetti, interpretazione di leggi e regolamenti, sentenze, contratti, certificati di autorità marittime o consolari o di registri di classificazione di navi; g) giudizi arbitrali, amichevoli componimenti, convenzioni per servitù, diritti di acqua, riconfinazioni; h) collaudi di strutture complessive in cemento armato; i) opere di consolidamento, restauri architettonici;
l) pareri comunicati oralmente o per corrispondenza; m) prestazioni professionali riguardanti opere di importo inferiore a € 129,71; n) per ogni certificato che rilascia, a richiesta, il professionista ha diritto al compenso minimo di € 1,58.
Con decreto del Ministro della giustizia d’intesa con il Ministro dei lavori pubblici, datato 4 aprile 2001, pubblicato sulla GU del 26 aprile 2001, è stato varato un “aggiornamento degli onorari” per le prestazioni professionali relative alle opere pubbliche, ai sensi dell’art.17 della legge 109/1994. Il decreto è entrato in vigore il 27 aprile 2001. L’aggiornamento costituisce di fatto una nuova tariffa che è applicabile solo ai lavori pubblici. Il decreto non ha efficacia per i lavori privati, per i quali resta pienamente in vigore la tariffa approvata con legge 143/1949, adeguata successivamente più volte, ultimamente con decreto ministeriale dell’11 giugno 1987. Il DM è stato annullato dal TAR Lazio in data 23 luglio 2002. Tuttavia la legge 166 del 1° agosto 2002 con l’art.7,
comma 1, ha confermato come validi i contenuti del DM 4 aprile 2001, che pertanto anche secondo l’avviso del Ministero della giustizia continua a essere applicabile, fino all’approvazione di un nuovo decreto. Diverso avviso ha espresso l’Autorità per la vigilanza dei lavori pubblici, con determinazione n.27 del 16 ottobre 2002, nella quale si sostiene che è possibile interpretare la norma nel senso che il DM 4 aprile 2001 sia ancora applicabile, ma che sia più valida la diversa interpretazione che il DM non sia applicabile, dopo l’annullamento da parte del TAR. Pertanto l’Autorità ha invitato le stazioni appaltanti a chiarire nei contratti di incarico professionale che la tariffa da applicare è quella di cui alla legge 143/1949, almeno fino a quando sarà emanato il nuovo decreto.
Il decreto sostituisce le principali tabelle percentuali per il calcolo degli onorari e detta norme, alcune specifiche, importanti come: a) la limitazione dei rimborsi forfettari di spese e compensi accessori al 15% dell’importo dei lavori (30% per lavori fino € 25.822,24), mentre la tariffa 143/1949 stabilisce un massimo del 60%; b) la non applicabilità della maggiorazione per incarico parziale, prevista nel 25% dalla tariffa 143/1949.
Si trascrive il testo del decreto e le principali Tab. A, B, B2: Art.1 1. I corrispettivi per le attività di progettazione e per le altre attività previste dall’art.17, comma 14-bis, della legge 11 febbraio 1994, n.109, e successive modificazioni e integrazioni, sono quelli di cui alle Tabelle A, B, B1, B2, B3, B5 e B6 allegate al presente decreto di cui costituiscono parte integrante. Art.2 1. Gli onorari di cui alla Tabella A del presente decreto, per importi inferiori a € 25.822,24, sono stabiliti a discrezione entro il limite massimo dell’onorario corrispondente a € 25.822,24. 2. Per importi di lavori superiori a € 51.645.689,91 si applica la percentuale relativa all’importo di € 51.645.689,91. Art.3 1. Il rimborso delle spese e dei compensi accessori relativi agli onorari a percentuale determinati a seguito dell’applicazione delle tabelle A, B, B1, B2, B4, e B6 limitatamente ai supporti esterni alla amministrazione, allegate al presente decreto, deve essere riconosciuto forfettariamente nella misura minima del 30% del
medesimo per importi di lavori pari a € 25.822,24 e nella misura minima del 15% per importi di lavori pari o superiori a € 51.645.689,91. Per importi di lavori intermedi le percentuali si calcolano per interpolazione lineare; 2. nel caso l’entità dei rimborsi spese e dei compensi accessori superi gli importi minimi di cui al precedente comma, devono essere prodotti i giustificativi di spesa per l’intero ammontare del rimborso e degli oneri accessori. Art.4 1. Nel caso di affidamento parziale delle fasi di progettazione e della attività di direzione lavori non è dovuta alcuna maggiorazione delle tariffe di cui al presente decreto. Art.5 1. Il metodo di calcolo relativo alla progettazione integrale e coordinata di cui all’art.2, lettera i), del DPR n.554/1999 è il seguente: a) progettazione preliminare: 1. per la ideazione e il coordinamento generale si ap-
Occorre notare che in merito ai piani regolatori viene applicata la Tariffa urbanistica di cui alla circolare Ministero LLPP n.6679 del 1° dicembre 1969, e in merito agli arbitrati per lavori pubblici ai sensi della legge 109/1994-216/1995 si applica la Tariffa forense.
TARIFFA PER OPERE PUBBLICHE
Tutte le norme della tariffa 143/1949 che non sono in contrasto con il nuovo decreto si applicano anche ai lavori pubblici. Ciò vale anche per quelle tabelle che non sono state sostituite dal nuovo decreto. plicano, sull’intero ammontare dell’opera, la percentuale relativa e le aliquote della elaborazione grafica e delle prestazioni che attengono all’opera nel suo insieme; 2. alle prestazioni specialistiche, escluse le opere edili, si applicano le aliquote delle prestazioni corrispondenti, computate sull’ammontare di ciascuna opera con la relativa percentuale; b) progettazione definitiva e progettazione esecutiva: 1. per la ideazione e il coordinamento generale si applicano, sull’intero ammontare dell’opera, la percentuale relativa e le aliquote della elaborazione grafica e delle prestazioni che attengono all’opera nel suo insieme; 2. sulle opere edili e complementari si applicano le aliquote dalle prestazioni non comprese nella fase di ideazione e attinenti la prestazione specialistica, applicandole sull’ammontare delle opere, con la relativa percentuale; 3. alle prestazioni specialistiche si applicano le aliquote delle prestazioni corrispondenti, applicandole sull’ammontare di ciascuna opera, con
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
. C.3.5ENSI E COMP ARI R ONO
C 57
C.3. 5.
ESERCIZIO PROFESSIONALE COMPENSI E ONORARI
•
INCARICHI E COMPENSI
➦ TARIFFA PER OPERE PUBBLICHE TAB. C.3.5./6 TABELLA A – CORRISPETTIVI A PERCENTUALI RELATIVE ALLE VARIE CLASSI E CATEGORIE DI LAVORI CLASSE E CATEGORIA
IMPORTI (euro)
PERCENTUALI %
PARAMETRO
COEFFICIENTI
Primo I1
Secondo I2
Prima X1
Seconda X2
Tendenza X3
n
q
I–a
25,82
51.645,69
12,4559
2,9741
2,3301
– 0,362475797
3,796119632
I–b
25,82
51.645,69
14,7270
3,6426
2,7961
– 0,348087186
3,756586012
I–c
25,82
51.645,69
18,9434
3,8575
2,9689
– 0,380099837
4,129804521
I–d
25,82
51.645,69
24,9135
4,7702
3,6743
– 0,389989558
4,329656060
I–e
25,82
51.645,69
32,6375
6,0967
4,8060
– 0,404028835
4,555142495
I–f
25,82
51.645,69
15,3963
3,2347
2,5425
– 0,384364863
4,068245092
I–g
25,82
51.645,69
20,1015
3,7664
2,9689
– 0,403538467
4,340653828
II – a
25,82
51.645,69
11,7778
2,2410
1,7658
– 0,400979213
4,087647772
II – b
25,82
51.645,69
14,3803
2,6884
2,1193
– 0,403915538
4,198259504
II – c
25,82
51.645,69
21,2001
3,0291
2,4030
– 0,447571561
4,719930875
III – a
25,82
51.645,69
16,4889
2,9528
2,3301
– 0,411007347
4,315359685
III – b
25,82
51.645,69
17,7554
3,3157
2,6138
– 0,404084946
4,291209646
III – c
25,82
51.645,69
23,5555
4,4820
3,5316
– 0,400978556
4,388670541
IV – a
25,82
51.645,69
14,1333
3,8014
2,9689
– 0,341545259
3,677382095
IV – b
25,82
51.645,69
11,7778
2,8870
2,2603
– 0,357907439
3,734041520
IV – c
25,82
51.645,69
9,4222
2,4412
1,9085
– 0,348185613
3,556524445
V
25,82
51.645,69
12,4690
4,7082
2,0000
– 0,451353518
4,494862399
VI – a
25,82
51.645,69
7,9619
2,7513
2,1335
– 0,295271914
3,038838960
VI – b
25,82
51.645,69
13,7643
3,9316
3,0655
– 0,330735265
3,575655954
VII – a
25,82
51.645,69
8,1897
2,3337
1,8197
– 0,331162187
3,353747178
VII – b
25,82
51.645,69
9,5883
3,1431
2,4411
– 0,305298293
3,204618336
VII – c
25,82
51.645,69
11,9985
3,5782
2,7866
– 0,322882079
3,450208659
VIII
25,82
51.645,69
12,8705
2,9736
2,3316
– 0,368145778
3,857138585
IX – a
25,82
51.645,69
10,1459
2,1833
1,7151
– 0,380316864
3,853916919
IX – b
25,82
51.645,69
17,3828
3,9130
3,0703
– 0,372623850
4,024535343
IX – c
25,82
51.645,69
20,6537
4,6379
3,6394
– 0,373055082
4,102953975
Le percentuali della Tabella A sono definite da una serie di curve rispondenti alla formula sotto riportata: p = I n * 10q + x 3 dove p = percentuale ricercata I = Importo opere X3 = parametro di tendenza della curva e i due parametri n e q sono determinati, come di seguito riportato, dai valori di due importi (I1 e I2) e dalle rispettive percentuali (x1 e x2) assunti per la determinazione della curva e riportati, unitamente al parametro X 3, nella Tabella A a fianco riportata. n = log ((X1 - X 3) / (X2 - X 3)) / log (I1 / I2) q = log ((X1 - X 3) / I1n)
TAB. C.3.5./7 TABELLA A – ESEMPLIFICAZIONE PER SCAGLIONI DI IMPORTO LAVORI IMPORTO (euro)
C 58
I–a
I–b
I–c
I–d
I–e
I–f
I–g
II – a
II – b
II – c
III – a
III – b
III – c
25.822,84
12,4559
14,7270
18,9434
24,9135
32,6375
15,3963
20,1015
11,7778
14,3803
21,2001
16,4889
17,7554
23,5555
51.645,69
10,2062
12,1693
15,2434
19,8827
25,8394
12,3900
15,9212
9,3483
11,3863
16,1866
12,9788
14,0566
18,6966
77.468,53
9,1297
10,9355
13,4903
17,5120
22,6612
10,9689
13,9662
8,2104
9,9864
13,8991
11,3442
12,3273
16,4210
103.291,38
8,4563
10,1600
12,4004
16,0434
20,7019
10,0868
12,7609
7,5083
9,1233
12,5102
10,3389
11,2613
15,0167
129.114,22
7,9803
9,6096
11,6335
15,0125
19,3314
9,4667
11,9177
7,0168
8,5197
11,5496
9,6371
10,5157
14,0337
154.937,07
7,6190
9,1907
11,0533
14,2343
18,2999
8,9981
11,2829
6,6466
8,0653
10,8329
9,1095
9,9544
13,2933
206.582,76
7,0952
8,5813
10,2159
13,1136
16,8192
8,3223
10,3717
6,1148
7,4130
9,8144
8,3535
9,1488
12,2298
258.228,45
6,7250
8,1490
9,6266
12,3268
15,7835
7,8472
9,7342
5,7426
6,9567
9,1100
7,8256
8,5854
11,4853
309.874,14
6,4439
7,8198
9,1808
11,7330
15,0039
7,4882
9,2543
5,4622
6,6133
8,5845
7,4289
8,1612
10,9246
361.519,83
6,2203
7,5574
8,8273
11,2628
14,3881
7,2037
8,8752
5,2406
6,3420
8,1724
7,1158
7,8262
10,4814
413.165,52
6,0365
7,3411
8,5374
10,8777
13,8849
6,9705
8,5654
5,0595
6,1203
7,8377
6,8603
7,5524
10,1191
464.871,21
5,8816
7,1585
8,2936
10,5543
13,4629
6,7745
8,3056
4,9075
5,9344
7,5586
6,6462
7,3229
9,8152
516.469,91
5,7485
7,0015
8,0846
10,2773
13,1022
6,6065
8,0835
4,7775
5,7755
7,3211
6,4633
7,1266
9,5553
774.685,35
5,2813
6,4479
7,3539
9,3116
11,8486
6,0201
7,3115
4,3256
5,2232
6,5049
5,8288
6,4446
8,6514
1.032.913,80
4,9890
6,0999
6,8997
8,7133
11,0758
5,6560
6,8355
4,0467
4,8827
6,0094
5,4386
6,0242
8,0936
1.549.370,70
4,6256
5,6650
6,3383
7,9763
10,1284
5,2067
6,2519
3,7044
4,4652
5,4109
4,9614
5,5088
7,4090
2.065.827,60
4,3983
5,3917
5,9893
7,5197
9,5443
4,9278
5,8921
3,4932
4,2079
5,0475
4,6680
5,1911
6,9866
2.582.284,50
4,2376
5,1977
5,7436
7,1992
9,1358
4,7318
5,6404
3,3454
4,0279
4,7961
4,4631
4,9689
6,6909
5.164.568,99
3,8138
4,6829
5,1010
6,3643
8,0782
4,2197
4,9885
2,9621
3,5618
4,1578
3,9343
4,3936
5,9243
7.746.853,49
3,6110
4,4345
4,7964
5,9708
7,5838
3,9777
4,6837
2,7826
3,3439
3,8666
3,6881
4,1246
5,5652
10.329.137,98
3,4842
4,2784
4,6071
5,7271
7,2790
3,8274
4,4957
2,6718
3,2096
3,6898
3,5366
3,9588
5,3437
15.493.706,97
3,3264
4,0833
4,3732
5,4269
6,9053
3,6420
4,2653
2,5358
3,0449
3,4762
3,3514
3,7555
5,0718
20.658.275,96
3,2277
3,9606
4,2277
5,2409
6,6749
3,5269
4,1232
2,4519
2,9433
3,3466
3,2375
3,6302
4,9040
25.822.844,95
3,1580
3,8736
4,1253
5,1103
6,5138
3,4460
4,0238
2,3932
2,8723
3,2569
3,1580
3,5426
4,7865
36.151.982,94
3,0629
3,7545
3,9865
4,9337
6,2967
3,3364
3,8899
2,3140
2,7766
3,1375
3,0511
3,4245
4,6281
51.645.689,91
2,9741
3,6426
3,8575
4,7702
6,0967
3,2347
3,7664
2,2410
2,6884
3,0291
2,9528
3,3157
4,4820
ESERCIZIO PROFESSIONALE
•
INCARICHI E COMPENSI COMPENSI E ONORARI
C.3. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
➦ TAB. C.3.5./7 TABELLA A – ESEMPLIFICAZIONE PER SCAGLIONI DI IMPORTO LAVORI IMPORTO (euro)
IV – a
IV – b
IV – c
V
VI – a
VI – b
VII – a
VII – b
VII – c
VIII
IX – a
IX – b
IX – c
25.822,84
14,1333
11,7778
9,4222
12,4690
7,9619
13,7643
8,1897
9,5883
11,9985
12,8705
10,1459
17,3828
20,6537
51.645,69
11,7798
9,6868
7,8110
9,6566
6,8832
11,5725
6,8832
8,2251
10,1512
10,4969
8,1922
14,1249
16,7770
77.468,53
10,6404
8,6836
7,0339
8,3761
6,3473
10,5049
6,2470
7,5516
9,2475
9,3646
7,2666
12,5747
14,9328
103.291,38
9,9225
8,0552
6,5454
7,5997
6,0041
9,8297
5,8446
7,1219
8,6744
8,6579
6,6912
11,6086
13,7836
129.114,22
9,4122
7,6104
6,1987
7,0632
5,7573
9,3485
5,5579
6,8137
8,2651
8,1589
6,2864
10,9273
12,9733
154.937,07
9,0232
7,2724
5,9349
6,6632
5,5674
8,9808
5,3389
6,5769
7,9519
7,7806
5,9801
10,4113
12,3596
206.582,76
8,4566
6,7821
5,5511
6,0954
5,2877
8,4439
5,0191
6,2292
7,4937
7,2330
5,5381
9,6650
11,4722
258.228,45
8,0539
6,4350
5,2788
5,7030
5,0866
8,0613
4,7912
5,9797
7,1664
6,8465
5,2270
9,1389
10,8466
309.874,14
7,7469
6,1713
5,0715
5,4105
4,9318
7,7690
4,6171
5,7881
6,9160
6,5534
4,9918
8,7403
10,3727
361.519,83
7,5019
5,9613
4,9062
5,1812
4,8073
7,5352
4,4779
5,6342
6,7155
6,3205
4,8052
8,4237
9,9964
413.165,52
7,2998
5,1886
4,7700
4,9952
4,7039
7,3421
4,3629
5,5067
6,5497
6,1291
4,6522
8,1639
9,6875
464.871,21
7,1290
5,6430
4,6550
4,8401
4,6161
7,1787
4,2656
5,3984
6,4093
5,9680
4,5235
7,9452
9,4275
516.469,91
6,9820
5,5178
4,5561
4,7082
4,5400
7,0378
4,1817
5,3048
6,2881
5,8296
4,4132
7,7575
9,2044
774.685,35
6,4630
5,0778
4,2075
4,2685
6,5393
3,8849
4,9713
5,8585
5,3446
4,0276
7,1002
8,4232
1.032.913,80
6,1360
4,8021
3,9884
4,0946
6,2240
3,6972
4,7586
5,5860
5,0418
3,7880
6,6906
7,9364
1.549.370,70
5,7264
4,4588
3,7145
3,8733
5,8277
3,4613
4,4888
5,2424
4,6660
3,4917
6,1829
7,3332
2.065.827,60
5,4684
4,2437
3,5424
3,7316
5,5770
3,3121
4,3166
5,0246
4,4314
3,3076
5,8665
6,9573
2.582.284,50
5,2850
4,0914
3,4203
3,6297
5,3983
3,2058
4,1931
4,8690
4,2658
3,1780
5,6434
6,6923
5.164.568,99
4,7967
3,6891
3,0961
3,3528
4,9204
2,9215
3,8589
4,4514
3,8301
2,8390
5,0577
5,9967
7.746.853,49
4,5604
3,4961
2,9397
3,2152
4,6876
2,7831
3,6938
4,2471
3,6224
2,6784
4,7790
5,6658
10.329.137,98
4,4114
3,3752
2,8414
3,1271
4,5404
2,6955
3,5885
4,1176
3,4926
2,5786
4,6053
5,4596
15.493.706,97
4,2249
3,2246
2,7186
3,0150
4,3553
2,5855
3,4549
3,9542
3,3316
2,4552
4,3901
5,2041
20.658.275,96
4,1073
3,1303
2,6414
2,9432
4,2382
2,5159
3,3697
3,8507
3,2311
2,3785
4,2559
5,0449
25.822.844,95
4,0238
3,0635
2,5866
2,8916
4,1548
2,4663
3,3085
3,7767
3,1602
2,3245
4,1613
4,9326
36.151.982,94
3,9093
2,9724
2,5116
2,8199
4,0401
2,3981
3,2238
3,6748
3,0637
2,2513
4,0327
4,7801
51.645.689,91
3,8014
2,8870
2,4412
2,7513
3,9316
2,3337
3,1431
3,5782
2,9736
2,1833
3,9130
4,6379
NB: Il foglio elettronico di calcolo per la determinazione delle percentuali relative a importi intermedi è disponibile gratuitamente presso i siti internet del Ministero della giustizia, del Ministero dei lavori pubblici e dei Consigli nazionali ingegneri e architetti.
TAB. C.3.5./8 TABELLA B – ALIQUOTE BASE RELATIVE ALLA PROGETTAZIONE E DIREZIONE LAVORI. CLASSI E CATEGORIE SECONDO L’ELENCAZIONE DELL’ART.14 DELLA LEGGE 143/1949 I – a-b-c-d FASI PROGETTO PRELIMINARE
I–e
I–f
I–g
II
DESCRIZIONE PRESTAZIONI PARZIALI
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
ALIQUOTE
a) relazioni, planimetrie, schemi grafici
0,09
0,10
0,07
0,07
0,11
0,11
0,07
0,11
0,08
0,07
0,07
0,10
b) calcolo sommario spesa
0,01
0,01
0,01
0,01
0,01
0,01
0,01
0,01
0,01
0,01
0,01
0,01
0,10
0,11
0,08
0,08
0,12
0,12
0,08
0,12
0,09
0,08
0,08
0,11
c) relazione illustrativa, elaborati grafici per ottenimento autorizzazioni
0,23
0,27
0,16
0,16
0,26
0,16
0,20
0,22
0,22
0,20
0,15
0,24
d) disciplinare elementi tecnici
0,01
0,01
0,01
0,01
0,01
0,02
0,01
0,01
0,01
0,01
0,02
0,01
e) computo metrico estimativo, quadro economico
0,07
0,07
0,04
0,04
0,07
0,08
0,06
0,04
0,06
0,05
0,06
0,06
0,31
0,35
0,21
0,21
0,34
0,26
0,27
0,27
0,29
0,26
0,23
0,31
0,05
0,06
0,16
0,16
0,04
0,15
0,04
0,06
0,04
0,04
0,10
0,06
g) particolari costruttivi e decorativi
0,13
0,15
0,05
0,05
0,10
0,05
0,06
0,10
0,08
0,07
0,05
0,12
h) computo metrico estimativo definitivo, quadro economico, elenco prezzi e eventuale analisi, quadro dell’incidenza percentuale della quantità di manodopera
0,04
0,04
0,04
0,04
0,03
0,05
0,03
0,03
0,03
0,03
0,06
0,03
0,02
0,02
0,01
0,01
0,02
0,02
0,02
0,02
0,02
0,02
0,03
0,02
0,24
0,27
0,26
0,26
0,19
0,27
0,15
0,21
0,17
0,16
0,24
0,23
0,32
0,24
0,42
0,42
0,32
0,32
0,45
0,38
0,42
0,45
0,42
0,32
0,03
0,03
0,03
0,03
0,03
0,03
0,05
0,02
0,03
0,05
0,03
0,03
Totale parziale
0,35
0,27
0,45
0,45
0,35
0,35
0,50
0,40
0,45
0,50
0,45
0,35
Totale complessivo
1,00
1,00
1,00
1,00
1,00
1,00
1,00
1,00
1,00
1,00
1,00
1,00
Totale parziale PROGETTO DEFINITIVO
Totale parziale PROGETTO ESECUTIVO
f)
relazione generale e specialistiche, elaborati grafici, calcoli esecutivi
i)
schema di contratto, capitolato speciale d’appalto, cronoprogramma
l)
direzione lavori, assistenza al collaudo, prove d’officina
Totale parziale DIREZIONE DEI LAVORI
l1) liquidazione
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
. C.3.5ENSI E COMP ARI R ONO
C 59
C 60 15%
15%
25%
adeguamento del Piano e del Fascicolo art.5/1/b
15%
per coordinamento, organizzazione attività e informazione art.5/1/c
5%
5%
5%
5%
5%
comportanti rischio di seppellimento o sprofondamento, di caduta dall’alto se aggravati dalla natura dell’attività e dei procedimenti o dalle condizioni ambientali in essere
5%
5%
5%
5%
5%
esposizione dei lavoratori a sostanze chimiche o biologiche con particolari rischi per la sicurezza e che richiedano specifiche misure e interventi dei coordinatori
5%
5%
5%
5%
5%
in presenza di radiazioni ionizzanti che esigono designazione di zone controllate o sorvegliate e che richiedono specifiche misure e interventi dei coordinatori
5%
5%
5%
5%
5%
in prossimità di linee elettriche a conduttori nudi in tensione
5%
5%
5%
5%
5%
5%
5%
5%
5%
5%
5%
5%
5%
5%
5%
esposizione sotterranei subacquei al rischio di annegamento
LAVORI – Maggiorazioni per fattori di rischio
(*) Da applicarsi alle percentuali di Tabella A NB Gli incrementi si applicano alle aliquote base e non si moltiplicano fra loro. Le maggiorazioni si applicano singolarmente sull’onorario base eventualmente incrementato.
0,4700
0,2500
COORDINATORE PER LA ESECUZIONE
Totale complessivo aliquote
0,1500
0,0175
0,0325
COORDINATORE PER PROGETTAZIONE
RESPONSABILE DEI LAVORI IN FASE DI ESECUZIONE
RESPONSABILE DEI LAVORI IN FASE DI PROGETTO
edifici soggetti a vincolo
Incrementi
5%
5%
5%
5%
5%
in cassoni
5%
5%
5%
5%
5%
5%
5%
5%
5%
5%
comportanti di l’impiego montaggio di esplosivi o smontaggio di elementi prefabbricati pesanti
1.291,14
774,69
258,23
258,23
206,58
Onorario minimo (euro)
•
0,0200
Aliquote di base (*)
ESERCIZIO PROFESSIONALE COMPENSI E ONORARI
PRIME INDICAZIONI E PRESCRIZIONI
FASI
TAB. C.3.5./9 TABELLA B2 – ONORARIO RELATIVO ALLE PRESTAZIONI DEL RESPONSABILE E DEI COORDINATORI IN MATERIA DI SICUREZZA NEI CANTIERI
C.3. 5. INCARICHI E COMPENSI
➦ TARIFFA PER OPERE PUBBLICHE
ESERCIZIO PROFESSIONALE
•
INCARICHI E COMPENSI COMPENSI E ONORARI
A.ZIONI
COLLAUDO OPERE STRUTTURALI La Tariffa non prevede il collaudo delle opere strutturali in cemento armato o ferro, che è stato introdotto successivamente dalla legge 1086/1971. Il Consiglio superiore dei lavori pubblici in data 25 marzo 1971 ha espresso il parere che debba essere applicata la Tabella
C della Tariffa (relativa ai collaudi tecnico-amministrativi di opere) ai sensi dell’art.19-b, con riferimento al solo importo delle strutture. Devono inoltre essere applicate, se del caso, le integrazioni di cui agli artt.19-d (incarico in corso d’opera) e 19-f (revisione dei calcoli).
L’art.11 della Tariffa stabilisce che “La tutela della fedele esecuzione artistica o tecnica dei progetti approvati dal committente e il loro sviluppo nell’esecuzione, spetta esclusivamente al progettista”. Pertanto è normale che la direzione lavori sia affidata allo stesso progettista. Qualora tuttavia il committente affidi la direzione lavori ad altro professionista, è opportuno che
il progettista venga incaricato della “direzione artistica”, cioè di seguire i lavori sia ai fini della corretta interpretazione degli elaborati progettuali, sia ai fini di eventuali adeguamenti del progetto stesso. In assenza di previsioni di tariffa per la prestazione, il CNAPPC ha consigliato un importo di onorario pari al 50% dell’onorario base spettante per la direzione lavori.
B.STAZIONI DILEGIZLII C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
TARIFFA URBANISTICA La Tariffa per le prestazioni urbanistiche, non è stata emanata per legge, ma con la circolare 1° dicembre 1969, n.6679 del Ministero dei lavori pubblici. Sotto il profilo legale essa rappresenta una specificazione del sistema a discrezione di cui all’art.5 della Tariffa approvata con legge 143/1949. Essa prevede per i piani regolatori un onorario commisurato al numero degli abitanti presenti nel territorio comunale. Per i piani particolareggiati e assimilati (piani di edilizia residenziale pubblica, piani industriali ecc.) l’onorario è dato dalla somma di due termini, il primo relativo alla
estensione del terreno oggetto del piano, il secondo riferito alla volumetria esistente e progettata all’interno del perimetro del piano stesso. La tariffa contiene una tabella per la determinazione della percentuale di conglobamento delle spese rimborsabili, da un minimo del 10% fino a un massimo del 55%. Con successiva circolare del 10 febbraio 1976, n.22, è stato definito l’adeguamento dei compensi alla svalutazione monetaria, da calcolare dal 1° dicembre 1969 alla data del conferimento dell’incarico, sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi.
CIRCOLARE MINISTERO LAVORI PUBBLICI 1° DICEMBRE 1969 n.6679, TARIFFA URBANISTICA
Art.2 – Norme generali Sono da compensare con la presente tariffa tutte le operazioni afferenti la pianificazione fisica del territorio: ai vari livelli le prestazioni con i relativi onorari sono indicate e specificate nei successivi articoli. Gli onorari per prestazioni non espressamente previste dalla presente tariffa saranno valutati a discrezione derivandoli, per analogia, dai compensi per prestazioni similari; essi devono essere concordati preventivamente o, in difetto, stabiliti dai Consigli degli Ordini: devono anche essere preventivamente concordate le maggiorazioni indicate nei singoli articoli che le prevedono. Gli elaborati sono di massima descritti nei successivi articoli per ogni categoria di prestazione. Quando per legge o per Regolamento o per necessità del Committente siano richiesti tipi diversi di elaborati o altri in aggiunta, detti elaborati saranno precisati nel numero, nelle caratteristiche e nelle scale più opportune dalle modalità di incarico, che ne prevederà anche il particolare compenso suppletivo da concordare sulle basi della presente tariffa. Nel caso che l’incarico sia affidato dal Committente a più Professionisti non si verificano gli estremi di incarico collegiale.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG I ED PRE NISM ORGA
DIREZIONE ARTISTICA
Art.1 – Premessa La presente tariffa ha carattere nazionale. Essa stabilisce gli onorari e dispone circa il rimborso delle spese per le prestazioni professionali degli ingegneri e degli architetti iscritti nei rispettivi Albi ed è valida e vincolante nei confronti sia dei privati che nello Stato e degli Enti Pubblici. Gli onorari stabiliti nella presente tariffa costituiscono minimi inderogabili e ogni patto contrario è nullo. Ogni maggiorazione dei predetti minimi dovrà essere preventivamente concordata con il Committente. Qualsiasi integrazione, modifica o aggiornamento alla presente tariffa deve essere proposto dai Consigli nazionali riuniti degli ingegneri e degli architetti, sentite, da parte dei Consigli stessi, le organizzazioni sindacali a carattere nazionale delle due categorie. Gli adeguamenti dei compensi a tempo e a quantità stabiliti dalla presente tariffa saranno proposti congiuntamente dai Consigli Nazionali con riferimento alle variazioni dell’indice generale dei prezzi stabiliti dall’Istituto Centrale di Statistica ogni qualvolta le variazioni di detto indice, rispetto a quelle corrispondenti alla data di approvazione della tariffa e ai successivi scatti, superi il 10%. I Consigli degli Ordini sono gli organi competenti e qualificati a esprimere parere sia sulla applicazione e interpretazione della presente tariffa, sia sulla idoneità degli elaborati a configurare l’entità della prestazione sia, infine, a esprimere giudizio di congruità sulla misura del criterio di discrezionalità adottato dal Professionista.
C.3. 5.
Nessun aumento spetta invece ai gruppi di professionisti spontaneamente costituiti. In aggiunta agli onorari come sopra indicati spettano in ogni caso i compensi a tempo e i rimborsi spese previsti dagli artt.10 e 11 della presenza Tariffa. Tali compensi e rimborsi possono essere conglobati, previo accordo fra le parti, nella misura risultante dalla Tabella B allegata. Art.3 – Prestazioni Le prestazioni professionali riferentesi all’urbanistica hanno per oggetto: 1. Piani generali: 1/A – piano territoriale di coordinamento; 1/B – piano regolatore a livello comprensoriale (intercomunale) e comunale; 1/C – piano di settore: (paesistico, infrastrutturale, di sviluppo turistico, di sviluppo industriale e simili); 1/D – programma di fabbricazione e regolamento edilizio. 2. Piani di esecuzione: 2/A – piano particolareggiato e di zona (lottizzazione); 2/B – piano particolareggiato di risanamento e conservazione. Art.4 – Piano territoriale di coordinamento – 1/A I compiti del Professionista o del gruppo professionale e gli elaborati da presentare per il piano territoriale di coordinamento all’Ente committente, saranno concordati fra l’Ente medesimo e il Professionista o gruppo professionale incaricato, in quanto tale piano stabilisce l’indirizzo di sviluppo urbanistico di un territorio la cui area, definita in sede politico amministrativa, supera i limiti di un piano a livello intercomunale e può raggiungere anche l’area di una Provincia o di più Province fino a interessare una intera Regione e i cui confini non coincidono necessariamente con quelli amministrativi. Gli onorari, stante l’ampiezza e la variabilità del tipo d’incarico, saranno stabiliti a discrezione, sulla base di un preciso programma di lavoro. Art.5 – Piano regolatore a livello comprensoriale (intercomunale) e comunale – 1/B Le prestazioni del professionista per la formazione dei piani regolatori comprensoriali (intercomunali) e i piani regolatori comunali i quali definiscono le destinazioni d’uso del territorio e le relative norme di attuazione comprenderanno di norma: a) l’analisi dello stato di fatto, individuando il sistema delle infrastrutture, degli impianti e delle attrezzature di uso pubblico, nonché i caratteri geologici, idrologici, paesistici e naturali del territorio interessato dal piano, tenendo anche conto della situazione riscontrata nel territorio circostante;
b) le previsioni degli insediamenti, lo sviluppo e la trasformazione degli insediamenti abitativi e produttivi stabilendone le destinazioni d’uso, le relative norme tecniche di attuazione del piano e le eventuali indicazioni per la stesura del regolamento edilizio; c) le previsioni delle infrastrutture; degli impianti e delle attrezzature pubbliche e d’uso pubblico; d) i perimetri delle zone di interesse paesistico e storico artistico, le relative modalità di utilizzazione e le eventuali prescrizioni speciali d’uso; e) i programmi e le fasi di attuazione. Gli elaborati tipici relativi alle prestazioni del presente articolo devono essere almeno i seguenti: 1. relazione preliminare sulle scelte fondamentali e sugli indirizzi che sono stati assunti per la redazione del piano; 2. relazione generale analitica dello stato di fatto; 3. relazione illustrativa con l’indicazione dei problemi e delle esigenze conseguenziali alla analisi delle soluzioni proposte riferite a un congruo periodo di tempo e dei relativi criteri di scelte; 4. planimetria in scala non inferiore a 1:10.000 del territorio sottoposto a pianificazione con indicazione dello stato di fatto; 5. planimetria in scala non inferiore a 1:10.000 con indicazione sintetica delle destinazioni e con designazione della rete viaria e delle principali infrastrutture; 6. planimetria in scala non inferiore a 1:5.000 con la chiara indicazione di tutte le previsioni oggetto del piano; 7. norme tecniche di attuazione ed eventuali prescrizioni d’uso, con particolare riferimenti alla normativa generale da adottare per i piani urbanistici esecutivi; 8. eventuali prescrizioni per il regolamento edilizio; 9. programma e fasi di attuazione con particolare riferimento alle priorità per i piani urbanistici esecutivi e le opere di pubblico interesse; 10. quant’altro occorra a consentire la corretta interpretazione del piano; 11. relazione contenente le proposte dei progettisti in merito alle osservazioni presentate al PRG. L’Ente committente ha il compito di fornire tutto il materiale topografico necessario, definito d’accordo con il Professionista e con la sua assistenza e consulenza compreso lo stato di fatto aggiornato dell’intero aggregato urbano; la documentazione relativa ai caratteri geologici, idrologici e naturali del territorio interessato; tutti i dati statistici relativi alla demografia; alla produzione e distribuzione; alla consistenza e alla attività edilizia relativa all’ultimo decennio; alle condizioni economiche e sociali della popolazione, ai mezzi di locomozione e all’intensità del traffico interno. Fornirà inoltre l’elenco
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C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
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ESERCIZIO PROFESSIONALE COMPENSI E ONORARI
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INCARICHI E COMPENSI
➦ TARIFFA URBANISTICA ➦ CIRCOLARE MINISTERO LAVORI PUBBLICI 1° DICEMBRE 1969 N.6679, TARIFFA URBANISTICA degli edifici storici e artistici, nonché i dati relativi a tutti gli elementi normativi, vincolistici e programmatici, che interessano il territorio oggetto del piano. L’Ente committente dovrà inoltre fornire gli studi socioeconomici atti a determinare le previsioni di sviluppo del territorio da pianificare. Il materiale cartografico analitico e statistico di cui sopra costituirà l’oggetto della “relazione generale analitica dello stato di fatto” di cui al punto 2) e della “planimetria dello stato di fatto” di cui al punto 4). Gli onorari da corrispondere per il piano regolatore comunale vengono determinati in funzione del numero degli abitanti nel territorio comunale alla data dell’incarico secondo le aliquote della allegata Tabella A e interpolando linearmente per i valori intermedi. Per i piani regolatori comprensoriali, quando gli elaborati richiesti siano quelli previsti per i piani regolatori comunali, il compenso verrà calcolato come media tra l’importo relativo al comprensorio nel suo insieme e quello calcolato come somma degli importi relativi ai singoli Comuni inclusi nel comprensorio. Per i centri di nuova formazione gli onorari devono essere determinati in base alla popolazione prevista per i centri medesimi entro un periodo massimo di 20 anni. Per le stazioni di cura, soggiorno e turismo, la popolazione va calcolata in base alla punta di massima affluenza dell’ultimo triennio. Oltre all’onorario stabilito come sopra, sono da applicare le seguenti integrazioni da determinare col committente all’atto dell’incarico: a) per il particolare carattere storico artistico o l’importanza della zona ai fini del soggiorno e del turismo, per le zone soggette alle leggi sulle bellezze naturali o comunque particolarmente interessanti paesisticamente: aumento dal 10 fino al 30%; b) per la complessità di problemi derivanti dalle caratteristiche orografiche geologiche, e idrologiche del territorio: aumento dal 5 fino al 20%; c) per la complessità di problemi derivanti dalla particolare struttura economica, produttiva e di traffico: aumento dal 10 al 30%; d) per la previsione di incremento di popolazione superiore al 50% in anni 20, aumento dal 10 fino al 30%. Dette integrazioni vanno applicate tenendo conto delle elaborazioni specifiche effettivamente svolte dal professionista in relazione ai temi suddetti secondo l’entità delle caratteristiche cui si riferiscono: esse sono cumulabili fino a una integrazione massima complessiva del 50%. Quando il Committente non fornisce la documentazione di cui al precedente 3° comma o la fornisca soltanto in parte, al Professionista è dovuto il rimborso delle spese necessarie per il reperimento e l’approntamento di detto materiale. Costituisce incarico a sé stante lo studio e l’elaborazione del regolamento edilizio o la consulenza a detta elaborazione. Gli onorari per le suddette prestazioni saranno determinati con criterio discrezionale preventivamente concordato. Art.6 – Piani generali di settore – 1/C I piani generali di settore comprendono i piani paesistici, i piani delle infrastrutture, i piani di sviluppo turistico, i piani di sviluppo industriale e simili. Il contenuto di questi piani urbanistici, alla dimensione territoriale, comprensoriale o comunale, che disciplinano lo sviluppo del territorio in funzione di problemi settoriali, come la tutela e la valorizzazione del paesaggio, l’individuazione e lo sviluppo di zone turistiche o industriali, la pianificazione della edilizia scolastica e ospedaliera, quella delle autostrade, acquedotti, infrastrutture elettriche ecc., sarà quello dalle specifiche leggi vigenti all’atto del conferimento dell’incarico o in assenza dal disciplinare d’incarico. Gli elaborati previsti per questi piani saranno analoghi a quelli già descritti per il piano regolatore territoriale comprensoriale o comunale, a eccezione della scala delle planimetrie che sarà adottata nella misura più conveniente alla chiara indicazione delle previsioni del settore considerato.
C 62
È compito del committente di fornire al Professionista tutto il materiale cartografico, analitico, statistico e i relativi elaborati conclusivi, come indicato all’art.5 per il piano regolatore. Quando il committente non fornisca il suddetto materiale, vale quanto già detto all’art.5. Gli onorari da corrispondere per l’elaborazione di questi piani dovranno essere valutati come un compenso discrezionale da determinarsi tra le parti sulla base di un preciso programma di lavoro: per i piani infrastrutturali che comportano anche lo studio di alcune delle infrastrutture previste nei piani stessi, vanno, in aggiunta, applicate le tariffe afferenti alle prestazioni richieste. Art.7 – Programma di fabbricazione e regolamento edilizio – 1/D Il programma di fabbricazione da redigersi a cura dei Comuni sprovvisti di piano regolatore, ai sensi della vigente legislazione a corredo del regolamento edilizio dovrà contenere l’indicazione dei limiti di zona; dei tipi edilizi in essa consentiti e l’analisi dello stato di fatto, individuando il sistema delle infrastrutture degli impianti e delle attrezzature di uso pubblico, nonché i caratteri geologici, idrologici, paesistici e naturali del territorio interessato dal piano tenendo conto anche della situazione riscontrata nel territorio circostante. Gli elaborati saranno costituiti da: 1. planimetria in scala non inferiore a 1:10.000 del territorio sottoposto a pianificazione con indicazione dello stato di fatto; 2. una planimetria in scala non inferiore a 1:5.000 con la indicazione delle zone e delle destinazioni, delle direttrici di espansione e la designazione della rete viaria; delle infrastrutture e dei servizi pubblici con particolare riguardo a quelli a livello di insediamento; 3. una tabella o una descrizione delle tipologie edilizie; 4. una relazione nella quale siano illustrati i criteri in base ai quali è stato compilato il programma; 5. quant’altro occorra a consentire la corretta interpretazione del programma. L’onorario per la redazione del programma di fabbricazione e relative norme è fissato per la misura del 40%, dai compensi base stabiliti per i piani regolatori corrispondenti. L’eventuale redazione del regolamento edilizio verrà compensata con criterio discrezionale concordato preventivamente. È compito del Committente di fornire al Professionista tutto il materiale cartografico, analitico, statistico e i relativi elaboratori conclusivi con indicato all’art.5 per il piano regolatore. Quando il Committente non fornisca il detto materiale vale quanto già detto all’art.5. Art.8 – Piani particolareggiati e di zona (lottizzazioni) – 2/A Il piano particolareggiato che sviluppa le direttive e i criteri tecnici stabiliti dai piani di cui costituisce l’attuazione conterrà di norma i seguenti elementi: a) la delimitazione del perimetro delle aree interessate; b) la precisazione tecnica degli interventi e delle trasformazioni; c) i progetti di massima delle infrastrutture comprese le sezioni stradali quotate sia longitudinali sia trasversali; d) la indicazione planivolumetrica degli insediamenti, la progettazione schematica delle relative opere di urbanizzazione primaria e la specificazione delle attrezzature; e) la indicazione delle utilizzazioni delle opere da convenzionare o soggette a espropriazione; f) le norme tecniche di attuazione ed eventuali prescrizioni speciali; g) programmi e fasi di attuazione; h) dati sommari di costo. Sono assimilabili ai piani particolareggiati e pertanto compensabili con gli stessi criteri stabiliti nel presente articolo tutti quei piani che, anche se non derivano da una committenza pubblica e se non rivestono un carattere ufficiale, comportano lo stesso impegno di studio e di elaborazione come per esempio i piani particolareggiati di nuovi insediamenti o di quartieri, i piani di lottiz-
zazione da convenzionare, i piani di ricostruzione; nel caso di piano di lottizzazione spetta al professionista incaricato, ove richiesto, la consulenza nella redazione della convenzione. Gli elaborati tipici relativi alle prestazioni del presente articolo sono di norma: 1. relazione illustrativa dei criteri di impostazione del piano; 2. una o più planimetrie del piano particolareggiato disegnate sulla mappa catastale contenente tutti gli elementi delle previsioni sopra descritte; 3. grafici in scala compresa tra 1:500 e 1:200 indicanti i profili altimetrici, i tipi architettonici degli edifici, le sezioni delle sedi stradali e le sistemazioni a verde o a zone speciali: 4. le norme tecniche di attuazione ed eventuali prescrizioni speciali; 5. piano dei comparti edilizi ed elenchi catastali delle proprietà da espropriare o da vincolare; 6. programmi e fasi di attuazione; 7. relazione sulle spese necessarie alla esecuzione delle opere pubbliche e degli espropri nei limiti indicati dal committente; 8. quanto altro occorra a consentire la corretta interpretazione del piano. È compito del Committente di fornire in accordo con il Professionista tutto il materiale cartografico, topografico, o catastale necessario e aggiornato, nonché i rilievi e dati statistici relativi alla demografia, all’industria, ai commerci, agli impianti, alle attrezzature e alle infrastrutture della zona considerata: in particolare quanto necessario per la redazione degli elaborati di cui alle voci 5), 6), 7). Quando il committente non fornisca il suddetto materiale, vale quanto già detto per il caso analogo dell’art.5. Per la eventuale stesura degli elaborati non compresi nelle prestazioni del professionista il compenso sarà concordato a discrezione. L’onorario da corrispondere al Professionista va determinato come segue: a) sommatoria di due termini il primo riferito alla superficie del terreno considerato dal Piano particolareggiato e il secondo al complesso delle volumetrie esistenti e di progetto della superficie considerata in base alla prescrizioni del Piano Regolatore. I coefficienti relativi sono così stabiliti: € 77,47 per ettaro di superficie del territorio e € 0,01 in ogni mc. di costruzione; b) adeguamento del compenso come sopra determinato in base ai coefficienti indicanti dalla seguente tabella: per superficie fino a • • • • • • • •
Ha uno due tre cinque dieci venticinque cinquanta cento
coeff. 2,8 1,8 1,5 1,3 1,0 0,9 0,8 0,7
Per i valori intermedi si opera per interpolazione lineare. Per superfici superiori a Ha 100 il compenso sarà determinato con criterio discrezionale preventivamente concordato. Oltre agli onorari di cui sopra spettano al Professionista le seguenti maggiorazioni da concordarsi preventivamente: a) per difficoltà dovute all’andamento altimetrico del terreno o alla presenza di elementi particolarmente vincolanti (attrezzature infrastrutture prevalenti rispetto all’edilizia, edifici monumentali, servizi ecc.) aumento fino al 20%; b) per i piani comprendenti zone di ristrutturazione viaria ed edilizia aumento fino al 50%. Quando l’incarico del piano particolareggiato è affidato allo stesso compilatore del PRG l’onorario previsto viene ridotto del 10%. Le eventuali prestazioni per calcoli delle
ESERCIZIO PROFESSIONALE
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INCARICHI E COMPENSI COMPENSI E ONORARI
C.3. 5. A.ZIONI
aree, frazionamenti, formazione dei piani parcellari di esproprio e degli elenchi di espropriazione e per i preventivi occorrenti alla compilazione del piano finanziario vanno compensate a parte, a tempo o a discrezione a seconda delle particolari caratteristiche delle prestazioni. Parimenti vanno compensate a norma della presente tariffa tutte le prestazioni che il Professionista dovesse compiere qualora l’Ente committente non dovesse fornire la documentazione indicata dagli articoli.
Sono in particolare da computarsi a vacazione: a) i rilievi di qualunque natura; b) le pratiche amministrative presso uffici pubblici, i convegni informativi con il Committente, o con altri nel di lui interesse; c) il tempo diurno e notturno impiegato nei viaggi di andata e ritorno; d) le pratiche catastali come indagini, ricerche, identificazioni, confronti tra il vecchio e il nuovo catasto ecc.
Art.9 – Piani particolareggiati di risanamento e conservazione – 2/B I piani particolareggiati esecutivi dei centri storicoartistici e ambientali che attuano la conservazione degli edifici e degli spazi pubblici e privati aventi caratteristiche storico-artistiche e ambientali e la sistemazione degli edifici stessi mediante opere di restauro architettonico e di risanamento interno devono essere basati su un rilievo particolareggiato di ogni singolo edificio e di ogni elemento che presenti pregi architettonici o artistici e su rilevamenti socio-economici. I rilevamenti particolareggiati necessari e i dati informativi e statistici saranno forniti dal committente, o saranno compensati mediante corresponsione degli onorari previsti dalla Tariffa professionale, oltre al rimborso delle spese sostenute. Nei piani suddetti devono essere indicati gli edifici da restaurare e da risanare, la destinazione di uso degli edifici, l’eventuale rifusione particellare, la sistemazione degli spazi. L’onorario da corrispondersi per i piani particolareggiati di risanamento e comparti di ristrutturazione è valutato con le norme previste dalla presente tariffa per i piani particolareggiati (art.8), elevando il coefficiente volumetrico a € 0,02 per mc di costruzione, applicato sia agli edifici esistenti che a quelli di progetto. Saranno compensati a parte, con gli onorari previsti dalla presente Tariffa le prestazioni relative ai calcoli delle aree, frazionamenti, formazione di piani parcellari di esproprio ed elenchi di espropriazioni, preventivi inerenti alla compilazione del piano finanziario.
Gli onorari a vacazione spettano al professionista incaricato per ogni ora o frazione di ora. Qualora egli debba avvalersi di aiuti, avrà diritto inoltre a un compenso per ogni aiuto. Gli onorari a vacazione sono stabiliti nelle misure: a) di € 1,55 ora per il Professionista; b) di € 0,93 ora per i suoi aiuti laureati; c) di € 0,56 per ogni altro aiuto di concetto.
Art.10 – Compensi a tempo In aggiunta agli onorari indicati dalla presente tariffa, e nei casi previsti dalla stessa, al Professionista spettano i compensi valutati in ragione di tempo, e computati a vacazione oraria, per tutte quelle prestazioni nelle quali il tempo concorre come elemento precipuo di valutazione. TAB. C.3.5./10 TABELLA A – REDAZIONE DEL PRG COMUNALE O INTERCOMUNALE COMUNE FINO ABITANTI 1.000
EURO 774,69
Salvo i casi di effettiva maggiore prestazione professionale e salvo le ore effettivamente impiegate nei viaggi, non si possono calcolare più di 10 ore sulle 24. Per operazioni compiute in condizioni di particolare disagio, i compensi di cui al presente articolo possono essere aumentati sino al 50%. Art.11 – Spese da rimborsare Il Committente deve sempre rimborsare al Professionista le seguenti spese: a) di viaggio, di vitto e di alloggio fuori residenza nonché di trasporto fuori studio professionale sostenute da lui e dal personale di aiuto e le spese accessorie; b) di bollo, di registri del contratto professionale, dei diritti di uffici pubblici o privati, dell’imposta generale sull’entrata, del rimborso delle tasse di liquidazione da parte degli Ordini professionali; c) di scritturazione, di dattilografia, di riproduzione di elaborati e disegni eccedenti la prima copia, di traduzioni di lingue estere, di fotografie, di documenti, di rilegazioni fascicoli, di spese postali, telefoniche e telegrafiche; d) di autenticazione delle copie di atti, relazioni, disegni ecc.; e) di personale occorrente per rilievi, saggi, indagini tecniche, amministrative, legali e simili.
per vagone letto nei viaggi notturni in ferrovia) per il Professionista incaricato e i suoi sostituti, e della classe immediatamente inferiore per il personale di aiuto. Le spese per percorrenza su strade tanto con mezzi propri, quanto con mezzi noleggiati, sono rimborsate integralmente secondo le ordinarie tariffe chilometriche. Art.12 – Disposizioni varie Tutti gli onorari afferenti alle prestazioni urbanistiche possono essere parzializzati come segue: • progetto di massima costituito dagli elaborati tipici di cui agli artt.5, 7, 8 redatti in stesura sommaria ma sufficiente a identificare i criteri generali informatori del piano cui spetta il 40% del compenso complessivo; • progetto definitivo costituito dagli elaborati necessari al completamento dell’incarico professionale cui spetta il 60% del compenso medesimo. Le successive eventuali prestazioni, compreso l’esame delle osservazioni od opposizioni e la stesura delle controdeduzioni, saranno compensate a parte con criterio discrezionale o a vacazione. Le varianti o modifiche richieste dal Committente saranno compensate a discrezione previo accordo con il Committente stesso. Gli acconti relativi alle prestazioni professionali effettuate saranno commisurati al compenso e versati in corso di studio proporzionalmente alle effettive prestazioni fornite. Per una rateizzazione dei compensi, sia per il progetto di massima che per il progetto definitivo, si possono considerare le seguenti percentuali: • 10% all’incarico; • 30% al termine del progetto di massima; • 30% alla consegna del progetto definitivo; • 20% all’approvazione del committente; • 10% e conguagli a saldo non oltre un anno dalla consegna del progetto definitivo.
Le spese di viaggio su ferrovie, piroscafi, aerei ecc. vengono rimborsate sulla base della tariffa di prima classe (con eventuali aggiunte di supplementi vari e di quelle
I compensi per le prestazioni accessorie e rimborsi saranno versati periodicamente durante il lavoro di progettazione. Eventuali rifacimenti dopo gli esami delle Autorità, per particolari prescrizioni di queste, saranno compensati a parte con criteri discrezionali o di analogia al tipo di prestazione o a vacazione, secondo intese da stipulare con il Committente.
TAB. C.3.5./11 TABELLA B – URBANISTICA
TAB. C.3.5./12 ADEGUAMENTO TARIFFA URBANISTICA
ONORARI FINO A EURO 258,23
SPESE PARI AL % DELL’ONORARIO (1) 55%
MESE
ANNO
VARIAZIONI ISTAT (*)
Dicembre
1969
–
Maggio
1979
210 260
2.000
1.239,50
516,46
50%
Febbraio
1980
3.000
1.652,66
1.291,14
45%
Febbraio
1990
850
4.000
1.962,54
2.582,28
41%
Gennaio
1995
1.110
Aprile
1996
1.190
Marzo
1997
1.220
Febbraio
1998
1.240
5.000
2.324,06
3.873,43
38%
10.000
3.615,20
5.164,57
35%
25.000
6.713,94
7.746,85
31%
Marzo
1999
1.260
50.000
9.812,68
10.329,14
28%
Marzo
2000
1.290
Giugno
2000
1.300
Agosto
2000
1.310
100.000
13.427,88
12.911,42
25%
200.000
19.108,91
15.493,71
22%
Dicembre
2000
1.320
300.000
23.757,02
20.658,28
19%
Febbraio
2001
1.330
25.822,84
17%
Maggio
2001
1.340
Novembre
2001
1.350
Febbraio
2002
1.360
Onorari base da applicarsi secondo le norme degli artt.4 e 6 ai Piani Regolatori comprensoriali e comunali e ai programmi di fabbricazione. Per i Comuni con popolazioni superiori gli onorari saranno determinati a discrezione. Per i valori intermedi si opera per interpolazione lineare.
(1) Percentuali per la determinazione delle spese rimborsabili conglobate in relazione agli onorari base della Tabella. Per gli importi superiori il rimborso. Spese sarà pari al 10% dell’onorario. Per gli onorari intermedi si opera per interpolazione lineare.
30.987,41
15%
36.151,98
13%
Aprile
2002
1.370
41.316,55
12%
Luglio
2002
1.380
Novembre
2002
1.390
46.481,12
11%
51.645,69
10%
(*) Alla percentuale occorre aggiungere il valore fisso di 100. Per esempio, dovendo adeguare € 1.000 al giugno 2000: 1.000 x (100 + 1.300) : 100 = € 14.000
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
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D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
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C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
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PRESTAZIONE PROFESSIONALE GRATUITA
DECRETO INGIUNTIVO PER IL PAGAMENTO DEGLI ONORARI
Non è consentita normalmente, visto che i minimi di tariffa sono inderogabili e visto il codice deontologico, che all’art.16 precisa che la rinuncia al compenso è ammissibile soltanto in casi eccezionali e per comprovate ragioni atte a giustificarla, dandone tempestiva comunicazione all’Ordine.
Ai sensi degli artt.633 e 636 del codice di procedura civile, il parere di congruità sull’importo di una parcella, rilasciato dall’Ordine, costituisce la condizione perché sia ammessa l’emanazione del decreto ingiuntivo. Il parere dell’Ordine attesta la rispondenza della parcella alla tariffa, ma non è vincolante per il giudice. Comunque il giudice, sia in pretura che in tribunale, generalmente concede il decreto ingiuntivo. Nella prima udienza della causa o in una successiva, il magistrato può concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, a meno che la controparte non contesti che l’incarico sia stato realmente affidato o eseguito.
RITARDATO PAGAMENTO DELLA PARCELLA E RIVALUTAZIONE MONETARIA L’art.9 della Tariffa stabilisce che, passati inutilmente 60 giorni dalla consegna della parcella, decorrono a favore del professionista gli interessi legali ragguagliati al tasso ufficiale di sconto della Banca d’Italia. Tuttavia non è prevista dall’art.9 la rivalutazione monetaria del credito. Ne consegue che, mentre l’interesse viene applicato automaticamente, la rivalutazione può essere fatta valere solo se è dimostrabile che il ritardo ha procurato danni che vanno al di là dei mancati frutti del capitale. Il calcolo della rivalutazione può essere effettuato in base agli indici per la scala mobile elaborati dall’ISTAT. Gli interessi sul credito non devono essere oggetto di rivalutazione.
PRESCRIZIONE DEL DIRITTO AL COMPENSO La ordinaria prescrizione di un credito è decennale, ma l’art.2956 c.c. stabilisce che si prescrive in soli 3 anni il diritto del professionista per il compenso dell’opera prestata. Nel caso di un credito professionale relativo a prestazioni tra loro differenziate, i 3 anni del periodo di prescrizione decorrono per ciascuna delle diverse prestazioni dal giorno del relativo espletamento.
CONSULENZA TECNICA CONSULENZA TECNICA NEL PROCESSO CIVILE CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO (CTU) Il giudice nello svolgimento delle sue mansioni può trovarsi dinanzi a determinate controversie che non possono essere risolte in base all’esperienza comune, ma che richiedono una specifica competenza tecnica. In questi casi egli ricorre alla nomina del CTU, esperto in un settore particolare della scienza o della tecnica, che il Codice di Procedura Civile (c.p.c.) classifica tra gli ausiliari dell’autorità giudiziaria, in quanto aiuta il magistrato nell’accertamento dei fatti necessari ai fini della decisione nel merito. Il giudice comunque rimane libero di disattendere il parere del consulente, a cui non delega alcun potere decisionale. Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione (sent. 18 ottobre 1988, n.5665) il giudice può dissentire dal parere del perito nel caso in cui ritiene che le conclusioni dell’ausiliare non sono sorrette da adeguata motivazione o per altre convincenti ragioni. La consulenza tecnica non costituisce un mezzo di prova, ma ha la funzione di analizzare e controllare i fatti già provati dalle parti, senza essere volta a supplire all’inerzia delle stesse nel fornire elementi di prova. Il CTU infatti in quanto ausiliario del giudice è organo imparziale. Albo dei consulenti tecnici – Presso ogni tribunale viene istituito un Albo dei consulenti tecnici (art.13 disposizioni di attuazione del c.p.c.). L’albo è tenuto dal Presidente del tribunale e deve essere formato da un comitato che egli stesso presiede e “composto dal procuratore della Repubblica e da un professionista, iscritto nell’albo professionale designato dal Consiglio dell’Ordine o dal Collegio della categoria a cui appartiene il richiedente la iscrizione nell’albo dei consulenti tecnici” (art.14 disp.att. c.p.c.). Può essere iscritto all’albo chi dimostri di essere in possesso di una speciale competenza tecnica con l’invio di un curriculum e di relazioni scritte sulla precedente pratica peritale. Nessuno può essere iscritto a più di un Albo (art.15 disp. att. c.p.c.). La nomina del CTU – La nomina del consulente tecnico è regolata dall’art.191 c.p.c.. Il CTU viene nominato dal giudice d’ufficio o su istanza di parte quando l’autorità giudiziaria lo ritenga necessario (art.61 c.p.c.). Secondo la giurisprudenza il provvedimento di nomina in quanto rimesso alla discrezionalità del giudice non è sindacabile in Cassazione e così anche quando la nomina venga omessa in seguito a richiesta di parte, ma in questo caso il giudice dovrà fornire congrua motivazione. L’ultimo comma dell’art.191 c.p.c. prevede anche la possibilità di nominare più di un consulente “in caso di grave necessità o quando la legge espressamente lo dispone”. Secondo la dottrina non occorre che i consulenti siano in numero dispari, in quanto non sono giudici e possono avere opinioni anche diverse. Normalmente il giudice deve affidare le funzioni di consulente tecnico agli iscritti all’albo della circoscrizione in cui si trova il tribunale. Qualora l’autorità giudiziaria intenda nominare un consulente iscritto all’albo di altro tribunale o un consulente non facente parte di alcun Albo deve sentire il Presidente e fornire i motivi della sua scelta. Le nomine dei CTU nei giudizi presso la corte d’appello vengono di norma conferite agli iscritti agli Albi dei tribunali del distretto (art.22 disp. att. c.p.c.). Obbligo di assumere l’incarico, astensione, ricusazione e sostituzione – Il giudice conferisce la nomina con ordinanza che viene notificata al consulente tecnico. Il consulente iscritto all’albo è obbligato ad assumere l’incarico a meno che non ricorra un giusto motivo di astensione accertato dal giudice (art.63 c.p.c.). ll consulente non iscritto all’albo può rifiutarsi liberamente di prestare il suo ufficio senza obbligo di motivare. L’art.192 c.p.c. stabilisce che il CTU che non ritiene di accettare l’incarico o quello che – obbligato a prestare il suo ufficio – intende astenersi “deve farne denuncia o istanza al giudice che l’ha nominato almeno 3 giorni prima dell’udienza di comparizione”. Nello stesso termine il consulente può essere ricusato dalle parti con istanza in presenza dei motivi previsti dal codice di procedura civile e cioè nel caso in cui il consulente abbia interesse nella causa o in altra vertente su analoga questione di diritto o abbia un vincolo di parentela oppure una causa pendente o grave inimicizia con una delle parti o con alcuno dei difensori e in altri casi ex art.51 c.p.c. Il termine per astenersi o ricusare non è perentorio, ma ordinatorio per cui può aversi ricusazione e astensione anche in udienza fino al giuramento del consulente. Successivamente si può avere unicamente la sostituzione del consulente per gravi motivi ex art.196 c.p.c.
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Accettazione dell’incarico. Udienza di comparizione – Secondo l’art.193 c.p.c. all’udienza di comparizione il giudice riceve il giuramento del consulente che si impegna ad adempiere bene e fedelmente il suo ufficio al fine di “far conoscere al giudice la verità”. La mancata prestazione del giuramento non determina la nullità della consulenza tecnica. Nella stessa udienza di comparizione il giudice fissa su domanda delle parti i quesiti da rivolgere al consulente, il termine entro cui egli dovrà depositare la consulenza tecnica e la misura dell’acconto da conferire al CTU. Inoltre il consulente, nel caso in cui venga autorizzato a compiere le indagini senza la presenza del giudice, dovrà “dare comunicazione alle parti del giorno, dell’ora, del luogo di inizio delle operazioni peritali con dichiarazione inserita nel processo verbale di udienza o con biglietto a mezzo del cancelliere” (art.90 disp. att. c.p.c.) Attività del consulente – L’attività del consulente come già sottolineato non è finalizzata alla formazione della prova, ma è di ausilio al giudice, che non è fornito di specifiche competenze tecniche nella valutazione della prova già acquisita. Il consulente può svolgere le indagini con il giudice o può essere autorizzato a compiere le indagini senza la presenza del giudice, cosa che accade normalmente. In quest’ ultimo caso egli dovrà dare comunicazione alle parti del giorno, dell’ora, del luogo in cui avranno inizio le operazioni peritali (art.90 disp.att. c.p.c.), a garanzia del principio di difesa, perché avvenga la piena attuazione del contraddittorio. È compito invece delle parti accertare la data delle singole operazioni successive. Le parti possono intervenire a mezzo dei propri difensori o consulenti di parte e presentare osservazioni e istanze al consulente. Quest’ultimo può anche assistere alle udienze e “può essere autorizzato a domandare chiarimenti alle parti, ad assumere informazioni da terzi e a eseguire piante, calchi, rilievi” (art.194 c.p.c.). Il consulente può servirsi della collaborazione di un esperto che abbia una particolare specializzazione professionale. Il CTU assume ogni responsabilità relativamente alle conclusioni del collaboratore che vengono richiamate nella relazione peritale. Processo verbale e relazione. Termine per il deposito – Se le indagini sono compiute senza l’intervento del giudice, come accade normalmente, “il consulente deve farne relazione nella quale inserisce anche le osservazioni e le istanze delle parti” (art.195 c.p.c.). Delle indagini del consulente si redige processo verbale se svolte alla presenza del giudice, che anche in questo caso può stabilire che il CTU formi una relazione scritta. Il termine entro cui il consulente tecnico deve depositare la relazione viene fissato dal giudice ed è di tipo ordinatorio, così il suo mancato rispetto non comporta la nullità della consulenza. La relazione va depositata in cancelleria. La conciliazione della lite – Il consulente può assumere il ruolo di conciliatore di una lite e redigere processo verbale della conciliazione che viene sottoscritto dalle parti e dal consulente tecnico. Il giudice attribuisce al verbale efficacia di titolo esecutivo (art.199 c.p.c.). La dottrina ritiene che il verbale di conciliazione abbia l’efficacia di una scrittura privata non autenticata, anche nel caso in cui intervenga il decreto del g.i. (l’eventuale invalidità della conciliazione potrà essere fatta valere in sede di opposizione all’esecuzione promossa sulla base del verbale). Responsabilità del CTU – Con riferimento alla responsabilità penale l’art.64 c.p.c. stabilisce che al consulente tecnico si applicano le disposizioni del codice penale relative ai periti: artt.314 (Peculato), 366 (Rifiuto di uffici legalmente dovuti), 373 (Falsa perizia o interpretazione), 376 (Ritrattazione), 377 (Subornazione), 384 (che prevede alcuni casi di non punibilità). L’art.64 c.p.c. prevede inoltre per il consulente che incorre in colpa grave una pena pecuniaria fino a € 10.329,14 o l’arresto fino a un anno. L’articolo in questione fa anche cenno alla responsabilità civile del consulente: questi è tenuto infatti in ogni caso al risarcimento dei danni causati alle parti. Gli artt.19-21 disp. att. c.p.c. regolano infine la responsabilità disciplinare del CTU iscritto all’albo professionale.
ESERCIZIO PROFESSIONALE
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INCARICHI E COMPENSI CONSULENZA TECNICA
C.3. 6. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
DOCUMENTI PER L’ISCRIZIONE ALL’ALBO DEI CONSULENTI TECNICI DEL TRIBUNALE CIVILE 1. Marca da € ... per diritti di cancelleria e varie; 2. Domanda di iscrizione all’Albo, diretta al Presidente del Tribunale, redatta su carta da bollo da € ...; 3. Attestazione comprovante l’avvenuto pagamento della tassa di Concessione Governativa da € ... sul c/c postale intestato a “Ufficio Registro tasse di Roma Concessioni Governative”. (Usare gli appositi moduli reperibili presso gli uffici postali e indicare sul re0tro del modulo, con precisione, il motivo del versamento); 4. Certificato di nascita (carta libera); 5. Certificato di residenza nel circondario del Tribunale (bollo da € ...); 6. Certificato di iscrizione all’Ordine o Collegio professionale da almeno 3 anni (bollo da € ...);
7. Curriculum professionale documentato eventualmente anche sotto il profilo fiscale, corredato con titoli e documenti dimostranti la speciale capacità tecnica acquisita dall’aspirante (carta libera). I requisiti personali relativi alla data e luogo di nascita e alla residenza dell’aspirante possono essere comprovati, anziché con la produzione dei documenti di cui ai precedenti nn.4) e 5) mediante esibizione di documento di identità personale rilasciato ai sensi delle norme vigenti o di altro documento rilasciato dalla Pubblica Amministrazione che contenga l’attestazione dei dati o requisiti medesimi. Il versamento al punto 3) può essere effettuato anche immediatamente dopo l’avvenuta iscrizione. (Modello in uso presso il Tribunale Civile di Roma)
Il CTP fa una relazione in tempo utile perché il CTU possa tenerne conto. La consulenza di parte ha la funzione di integrare l’operato dell’avvocato, a cui mancano determinate competenze tecniche, ma non è un mezzo di prova. Il CTP quando non partecipa alle attività del consulente tecnico d’ufficio è un perito stragiudiziale.
NOMINA DEL PERITO A norma dell’art.221, il giudice nomina il perito tra gli iscritti all’albo o tra le persone con speciale competenza tecnica nella disciplina. Il giudice provvede alla nomina del perito con ordinanza motivata che contiene inoltre “la sommaria enunciazione dell’oggetto delle indagini, l’indicazione del giorno, dell’ora e del luogo fissati per la comparizione del perito” (art.224 c.p.p.). Il conferimento dell’incarico avviene a norma dell’art.226 c.p.p. Il perito può astenersi dall’incarico quando ricorra un motivo di astensione e può essere ricusato nei casi previsti dall’art.36 c.p.p. e cioè qualora egli abbia interesse nel procedimento o abbia già dato parere sull’oggetto del procedimento al di fuori dell’esercizio delle funzioni giudiziarie, o quando vi sia inimicizia grave fra lui e una parte privata ecc. L’art.222 c.p.p. regola inoltre i casi di incapacità e incompatibilità del perito. ISCRIZIONE ALL’ALBO DEI PERITI DEL TRIBUNALE PENALE DI ....................... 1. 2. 3. 4. 5. 6.
Domanda in carta da bollo diretta al Presidente del Tribunale Penale di .............; estratto dell’atto di nascita; certificato di residenza in bollo; certificato del casellario giudiziale generale; iscrizione all’Ordine professionale in bollo da oltre 3 anni; curriculum con allegata documentazione che attesti l’esperienza maturata (planimetrie, progetti). Ricevuta di versamento di € ... sul bollettino di c/c postale ..................... intestato all’Ufficio del Registro di ............................... (entro 15 giorni dall’iscrizione).
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE ICHE TECN MA ONENTI, P COM
La relazione orale può essere immediata o differita qualora il perito richieda un termine al giudice per la complessità dei quesiti (art.227 c.p.p.). Il magistrato può autorizzare che venga redatta una relazione scritta, nel caso in cui “sia indispensabile illustrare con note scritte il parere”. Successivamente all’esposizione della relazione orale si procede all’esame del perito in dibattimento a opera delle parti. Secondo l’art.501 si applicano all’esame dei periti le norme previste per l’esame dei testimoni. L’esame dei testimoni, come quello dei periti avviene con un interrogatorio incrociato (cross examination) posto in essere dalle parti, a differenza di quanto accadeva nel sistema previgente, dove all’esame dei periti procedeva esclusivamente il giudice. Con il nuovo codice di procedura penale invece al perito e al consulente tecnico di parte vengono poste delle domande in sede di esame e controesame da parte del pubblico ministero e dell’avvocato. Il perito e il consulente tecnico di parte “hanno in ogni caso facoltà di consultare documenti, note scritte e pubblicazioni, che possono essere acquisite anche d’ufficio” (art.501 c.p.p.). NOMINA DEL CONSULENTE TECNICO DI PARTE
G.ANISTICA URB
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN
Il CTP esprime un giudizio volto a perseguire l’interesse di parte, finalizzato a integrare il lavoro del difensore. L’art.225 c.p.p. stabilisce che, una volta disposta la perizia le parti e il PM possono nominare i propri consulenti tecnici. Il CTP può prendere parte alle operazioni del perito proponendo a quest’ultimo “specifiche indagini e formulando osservazioni e riserve, delle quali deve darsi atto nella relazione” (art.230 c.p.p.). Le parti possono nominare i propri consulenti tecnici anche nel caso in cui non venga disposta la perizia da parte del giudice. In questo caso, regolato dall’art.233 c.p.p., i CTP possono esprimere il proprio parere, depositando delle memorie. Si dà così la possibilità alle parti di attuare il diritto alla prova anche nel caso in cui il giudice non ritenga di nominare un perito d’ufficio. Qualora poi il magistrato decidesse di far ricorso alla perizia, ai CTP già nominati vengono riconosciuti i diritti e le facoltà previsti dall’art.230 c.p.p. Il CTP viene sottoposto all’esame incrociato a opera della parte che lo ha nominato e delle altre parti, secondo le disposizioni sull’esame dei testimoni in quanto applicabili (art.501 c.p.p.).
C.3. ICHI R INCA PENSI E COM
COMPENSI SPETTANTI AL CTU E AL PERITO
C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
ATTIVITÀ DEL PERITO Il perito procede quindi alle operazioni necessarie a rispondere ai quesiti, prendendo visione di atti, documenti e cose prodotte dalle parti, assistendo all’esame delle parti e all’assunzione delle prove (art.228 c.p.p.). Il perito può essere autorizzato a servirsi di ausiliari per lo svolgimento di attività materiali. Il perito risponde oralmente ai quesiti.
C.RCIZIO
F. TERIALI,
CONSULENZA TECNICA NEL PROCESSO PENALE Nel processo penale la consulenza tecnica d’ufficio assume il nome di perizia. L’art.220 del nuovo codice di procedura penale (c.p.p.) stabilisce che la perizia “è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche scientifiche o artistiche”, limitando così il margine di discrezionalità del giudice nel farvi ricorso. Il codice di procedura penale colloca la perizia tra i mezzi di prova.
I ED PRE NISM ORGA
PRO TTURALE STRU
CONSULENTE TECNICO DI PARTE (CTP) Il c.p.c. fa riferimento al consulente tecnico di parte (CTP) agli artt.87 e 201 c.p.c.. Il giudice istruttore assegna alle parti, con l’ordinanza con cui nomina il CTU un termine per nominare i consulenti di parte. Il CTP assiste alle operazioni del CTU, sia quando questi prende parte alle udienze in Camera di Consiglio o assiste alle ispezioni del giudice, sia quando svolge le indagini senza il giudice.
B.STAZIONI DILEGIZLII
I compensi che spettano ai consulenti tecnici e ai periti sono regolati dalla legge 8 luglio 1980, n.319 e dal DPR 27 luglio 1988, n.352. L’onorario così definito deve essere approvato dal giudice con un decreto di liquidazione che ha valore di titolo esecutivo. Nel provvedimento il giudice stabilisce se l’onere del pagamento è a carico di una delle parti o di entrambe, a titolo provvisorio in attesa della sentenza.
C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP
ARBITRATO L’arbitrato rappresenta una sorta di giustizia privata in quanto con esso le parti decidono di affidare la decisione sulla controversia insorta a uno o più privati anziché al giudice. Si distingue l’arbitrato irrituale dall’arbitrato rituale. Quest’ultimo è regolato dalle norme del codice di procedura civile (c.p.c.) ed è istituto alternativo rispetto al processo giurisdizionale civile. L’arbitrato rituale infatti si conclude con il cosiddetto lodo che, una volta omologato, acquista efficacia di sentenza e può essere impugnato nei soli modi previsti con riferimento alle sentenze dei giudici. L’arbitrato irrituale invece non è disciplinato dalle norme del c.p.c. e la decisione arbitrale che ne sortisce non può essere assimilata alla sentenza. Con esso le parti pongono in essere un contratto il cui contenuto verrà stabilito in tutto o in parte dall’arbitro. Gli architetti e gli ingegneri possono far parte di collegi arbitrali (nell’ambito sia di arbitrati rituali che di arbitrati irrituali) qualora sia richiesta una particolare competenza tecnica per la risoluzione di determinate controversie.
ARBITRATO RITUALE All’arbitrato rituale fanno riferimento la nuova legge sugli appalti di opere pubbliche, legge 11 febbraio 1994, n.109, il relativo Regolamento DPR 554/1999 artt.150 e 151, e in genere i contratti per il conferimento di incarichi pubblici professionali (es. DM 15 dicembre 1955, n.22608). È frequente il ricorso all’arbitrato anche nei contratti di appalto privati. L’art.32 della legge 109/1994 modificato dalla legge 415/1998, dispone il deferimento agli arbitri delle controversie in materia di appalti e concessioni di opere pubbliche ove non si proceda all’accordo bonario previsto dall’art.31 bis della stessa legge. Quest’ultimo si riferisce alle ipotesi di variazione dell’importo economico dell’opera in misura non inferiore al 10% dell’importo contrattuale. Ove sussista la competenza arbitrale, il giudizio è demandato a un Collegio arbitrale costituito presso la Camera Arbitrale per i lavori pubblici, istituita presso la “Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici”.
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. C.3.5ENSI E COMP ARI R ONO . C.3.6ULENZA CONS A IC TECN
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C.3. 6.
ESERCIZIO PROFESSIONALE CONSULENZA TECNICA
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INCARICHI E COMPENSI
➦ ARBITRATO ➦ ARBITRATO RITUALE L’art.32 prevede inoltre al secondo comma che le procedure del giudizio e le tariffe per i corrispettivi degli arbitri sono fissate con decreto del Ministero dei lavori pubblici di concerto con quello della giustizia. Ai sensi dell’art.150 del DPR 554/1999, ciascuna delle parti nomina l’arbitro di propria competenza tra professionisti di particolare esperienza nella materia dei lavori pubblici. Se la parte omette di provvedervi, alla nomina procede il presidente del Tribunale. La Camera Arbitrale per i lavori pubblici nomina il terzo arbitro con funzioni di presidente del Collegio, sciegliendolo nell’ambito dell’albo camerale sulla base di criteri oggettivi e predeterminati. L’arbitrato è attualmente regolato dagli artt.806 ss. del codice di procedura civile (c.p.c.), disposizioni che sono state modificate dalla recente legge del 5 gennaio 1994 n.25, in vigore dal 17 aprile 1994. Ai lodi pronunciati precedentemente all’entrata in vigore della legge n.25/94 si applica la disciplina precedente anche per quanto riguarda le impugnazioni. Tuttavia si applica la disciplina ex art.830 c.p.c. (“Decisione sull’impugnazione per nullità”), come sostituito dalla legge n.25/94 ai procedimenti impugnatori in corso nella data di entrata in vigore della legge in questione. L’instaurazione. Compromesso e clausola compromissoria L’arbitrato è instaurato da due o più soggetti che vogliono far decidere ad altri soggetti privati, gli arbitri, la controversia tra loro insorta. L’art.806 c.p.c. stabilisce che non possono essere decise da arbitri le controversie di cui agli artt.429 e 459 c.p.c. e quelle riguardanti le questioni di stato e di separazione personale dei coniugi e le altre controversie che non possono essere oggetto di transazione. La controversia viene devoluta agli arbitri con un contratto che deve essere fatto per iscritto pena la nullità e viene definito dal c.p.c. compromesso se è stipulato una volta insorta la controversia, oppure clausola compromissoria, qualora le parti stabiliscano che le controversie che potranno eventualmente derivare da un contratto da esse concluso, siano decise da arbitri anziché dall’autorità giudiziaria. L’art.808 c.p.c. così come modificato dalla legge n.25/94 prevede che la validità della clausola compromissoria va valutata in modo autonomo rispetto al contratto cui si riferisce. La nomina degli arbitri. Accettazione dell’incarico Secondo l’art.809 c.p.c. “il compromesso o la clausola compromissoria deve contenere la nomina degli arbitri oppure stabilire il numero di essi e il modo di nominarli”. Gli arbitri possono essere anche più di uno, purché in numero dispari. Nel caso in cui le parti indichino gli arbitri in numero pari il tribunale provvede a nominare l’arbitro ulteriore. Qualora le parti non provvedano alla determinazione del numero degli arbitri essi sono tre “e in mancanza di nomina provvede il tribunale” (art.809 c.p.c.). La parte deve notificare all’altra parte, a mezzo di ufficiale giudiziario, l’arbitro o gli arbitri che essa nomina “con invito a procedere alla designazione dei propri” (art.810 c.p.c.). La parte a cui è stata notificata la nomina provvede entro 20 giorni a notificare le generalità dell’arbitro o degli arbitri da essa nominati. Non possono esercitare la funzione di arbitro i minori, gli interdetti, gli inabilitati, i falliti e gli interdetti dai pubblici uffici. L’accettazione deve essere fatta per iscritto e può risultare dalla sottoscrizione del compromesso (art.813 c.p.c.). Se dopo l’accettazione gli arbitri rinunciano all’incarico senza giustificato motivo, sono tenuti al risarcimento del danno. L’arbitro può essere ricusato dalla parte che non l’ha nominato nel caso in cui l’arbitro abbia interesse nella causa o in altra vertente su analoga questione di diritto o abbia un vincolo di parentela oppure una causa pendente o grave inimicizia con una delle parti o con alcuno dei difensori e in altri casi ex art.51 c.p.c. La ricusazione viene proposta con ricorso al Presidente del tribunale entro 10 giorni dalla notifica della nomina o dalla sopravvenuta conoscenza della causa di ricusazione. Obblighi e diritti degli arbitri L’obbligo principale degli arbitri consiste nel pronunciare il lodo entro il termine che viene stabilito dalle parti o dalla legge, “in mancanza, nel caso di annullamento del lodo per questo motivo, sono tenuti al risarcimento dei danni” (art.813 c.p.c.). L’arbitro può anche essere sostituito nel caso in cui omette o ritarda un atto del suo ufficio, se le parti non hanno previsto diversamente. Stabilisce l’art.814 che gli arbitri hanno diritto al rimborso spese e all’onorario per la prestazione eseguita, se non vi hanno rinunciato al momento dell’accettazione o successivamente con atto scritto. Le parti sono tenute solidalmente al pagamento. Nel caso in cui gli arbitri provvedano direttamente a liquidare le spese e l’onorario, questa liquidazione non vincola le parti se esse non l’accettano. In questo caso l’ammontare delle spese e dell’onorario viene determinato con ordinanza non impugnabile dal Presidente del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato, su ricorso proposto dagli arbitri sentite le parti. Svolgimento del procedimento Secondo l’art.816 c.p.c. le parti possono stabilire le regole del procedimento arbitrale nel compromesso o nella clausola compromissoria purché prima dell’inizio dell’arbitrato. Altrimenti gli arbitri provvederanno a regolare il processo nel modo che essi ritengono più opportuno. Va comunque rispettato il principio del contraddittorio, in questo senso gli arbitri devono sempre dare la possibilità alle parti di presentare documenti e memorie. Gli arbitri possono delegare a uno di essi il compimento degli atti istruttori. Stabilisce l’art.818 c.p.c. che gli arbitri non possono concedere sequestri né altri provvedimenti cautelari, ma hanno la facoltà di assumere la testimonianza presso di sé o anche nell’abitazione o ufficio del testimone e disporre la deposizione “richiedendo al testimone di rispondere per iscritto ai quesiti nel termine da essi stessi stabilito”. Se nel corso del procedimento insorge una questione su cui gli arbitri non possono decidere (ex art.806 c.p.c.), questi sospenderanno il procedimento stesso fino al passaggio in giudicato della sentenza che ha deciso la causa incidentale.
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Il lodo Gli arbitri, se le parti non hanno disposto altrimenti, devono pronunciare il lodo entro 180 giorni dall’accettazione della nomina. Se essi sono più di uno il termine decorre dall’ultima accettazione. Si ha sospensione di tale termine quando venga proposta ricusazione, mentre viene interrotto in caso di sostituzione degli arbitri. Gli arbitri possono prorogare detto termine solo una volta e non per più di 180 giorni quando devono essere assunti mezzi di prova o in caso di pronuncia di lodo non definitivo. Il termine è inoltre prorogato di 30 giorni per morte di una delle parti. La proroga può comunque essere concessa dall’accordo delle parti esteso per iscritto. In ogni caso il decorso del termine per la decisione produce la nullità dell’arbitrato solo quando la parte prima della deliberazione del lodo abbia “notificato alle altre parti e agli arbitri che intende far valere la loro decadenza” (art.821 c.p.c.). Gli arbitri procedono alla decisione della controversia in base alle prove fornite dalle parti, seguendo le norme di diritto vigenti o secondo equità (secondo valori che vanno spesso oltre la norma di legge). Il lodo viene deliberato a maggioranza in conferenza personale degli arbitri e viene redatto per iscritto. Esso a norma dell’art.823 c.p.c. deve contenere: 1. l’indicazione delle parti; 2. l’indicazione dell’atto di compromesso o della clausola compromissoria e dei quesiti relativi; 3. l’esposizione sommaria dei motivi; 4. il dispositivo; 5. l’indicazione della sede dell’arbitrato e del luogo o del modo in cui è stato deliberato; 6. la sottoscrizione di tutti gli arbitri che può avvenire anche in luogo differente da quello della deliberazione e anche all’estero con l’indicazione del giorno, mese e anno in cui è apposta; se gli arbitri sono più di uno, le varie sottoscrizioni possono avvenire in luoghi diversi senza la necessità di ulteriore conferenza personale. “Tuttavia è valido il lodo quando è sottoscritto dalla maggioranza degli arbitri, purché si dia atto che è stato deliberato in conferenza personale di tutti, con la dichiarazione che gli altri non hanno voluto o potuto sottoscriverlo”. Successivamente gli arbitri redigono il lodo in tanti originali quante sono le parti a cui viene comunicato con consegna di un originale, che può avvenire anche con spedizione in plico raccomandata, nel termine di 10 giorni dall’ultima sottoscrizione. L’art.823 stabilisce che il lodo ha efficacia vincolante tra le parti dalla data dell’ultima sottoscrizione. La parte che intende far eseguire il lodo deve depositarlo in originale o in copia conforme insieme all’atto di compromesso o con l’atto che contiene la clausola compromissoria, nella cancelleria tribunale nella cui circoscrizione si trova la sede dell’arbitrato. Successivamente il tribunale, una volta accertata la regolarità formale del lodo, lo dichiara esecutivo con decreto. Il lodo reso così esecutivo è soggetto a trascrizione nei casi in cui si procede a trascrizione di sentenza con medesimo contenuto. È ammesso ricorso in tribunale contro il decreto che nega l’esecutività del lodo. Il lodo può anche essere corretto su istanza di parte a opera degli arbitri in caso di omissioni, errori materiali o di calcolo degli stessi. Mezzi di impugnazione. Nullità del lodo Ai sensi dell’art.827 c.p.c. il lodo è soggetto solamente all’impugnazione per nullità, per revocazione e per opposizione di terzo, mezzi di impugnazione che possono essere proposti indipendentemente dal deposito del lodo. L’impugnazione per nullità va proposta entro 90 giorni dalla notificazione del lodo “davanti alla Corte d’appello nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. L’impugnazione non è più proponibile decorso un anno dalla data dell’ultima sottoscrizione” (art.828 c.p.c.). A norma dell’art.829 il lodo è soggetto a impugnazione per nullità quando: 1. il compromesso è nullo; 2. gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi prescritti, purché la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale; 3. il lodo viene pronunciato da un soggetto interdetto, inabilitato, fallito o sottoposto a interdizione dai pubblici uffici; 4. il lodo ha pronunciato fuori dei limiti del compromesso o non ha pronunciato su alcuno dei soggetti del compromesso o contiene disposizioni contraddittorie, salvo quanto dispone l’art.817 c.p.c.; 5. se il lodo non contiene l’esposizione sommaria dei motivi, il dispositivo, l’indicazione della sede dell’arbitrato e del luogo o del modo in cui è stato deliberato, la sottoscrizione di tutti gli arbitri, con l’indicazione del giorno, mese, anno in cui viene apposta (è valido tuttavia il lodo sottoscritto dalla maggioranza degli arbitri deliberato in conferenza personale di tutti); 6. il lodo viene pronunciato dopo il termine di 180 giorni dall’accettazione della nomina; 7. nel procedimento non sono state osservate le forme previste per i giudizi sotto pena di nullità, quando le parti ne avevano stabilito la nullità ex art.816 c.p.c. e la nullità non è stata sanata; 8. il lodo è contrario a un precedente lodo che non è più impugnabile o a sentenza passata in giudicato tra le parti, purché sia stata dedotta la relativa eccezione nel giudizio arbitrale; 9. non è stato osservato il principio del contraddittorio. Si può avere anche impugnazione per nullità nel caso in cui gli arbitri non abbiano osservato le regole di diritto, a meno che le parti non li avessero autorizzati a giudicare secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile. La Corte d’appello, se accoglie l’impugnazione dichiara la nullità del lodo con sentenza. Il giudice può anche dichiarare la nullità parziale del lodo quando il vizio incida solo su una parte di esso che sia scindibile dalle altre. La Corte d’appello può decidere anche sul merito, a meno che le parti abbiano manifestato volontà contraria.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • ESERCIZIO ALL’ESTERO PROFESSIONE IN EUROPA
A.ZIONI
PROFESSIONE IN EUROPA I campi di competenza degli architetti sono fissati per legge oltre che in Italia, in Belgio, Francia, e Spagna. Nel Regno Unito, in Germania e in Olanda è protetto per legge il titolo di architetto, ma non l’attività; ciò comporta che nessuno può chiamarsi architetto se non è iscritto a un organo pubblico di controllo della professione (Ordine, Collegio, Registro o Camera), ma chiunque può firmare un progetto di un edificio e dirigerne i lavori. In Germania, tuttavia, le leggi delle Regioni (lander) stabiliscono che la presentazione di progetti per ottenere permessi di costruzione è consentita solo a persone con una particolare qualifica; tra esse sono compresi gli architetti. In Danimarca, Finlandia, Svezia e in Irlanda non sono protetti né il titolo né l’attività di architetto. Chiunque può svolgere progettare edifici e chiamarsi architetto senza necessità di particolari autorizzazioni
statali né di licenze. All’esterno dell’Unione Europea, in Svizzera e Norvegia non vi è protezione legale né per il titolo né per l’attività dell’architetto. Nei Paesi dell’Europa orientale ex comunista sono state da poco approvate nuove leggi che in genere stabiliscono la necessità di una licenza per esercitare l’attività, ma non l’obbligo di appartenere a una Camera o Unione di architetti. La licenza viene rilasciata dalla Camera degli architetti o dallo Stato congiuntamente alla Camera o Unione. Ciò avviene in Russia, Polonia, Lituania, Slovacchia, Ungheria, Bulgaria. In Polonia è in corso di approvazione dal Parlamento una legge che stabilisce l’obbligo di iscrizione alla Camera degli architetti ai fini dell’esercizio della professione. In Estonia occorre licenza del governo per esercitare l’attività di architetto, ma essa viene rilasciata solo a
imprese di costruzione; sembra imminente l’emanazione di una legge per il rilascio della licenza anche agli architetti. Per gli ingegneri non esiste nella UE una direttiva analoga a quella degli architetti, pertanto non è in corso alcun processo di omogeneizzazione della formazione universitaria né del campo di attività. Nel settore edilizio esiste una sostanziale fungibilità degli ingegneri con gli architetti in Italia, Portogallo, Grecia. In Germania la situazione è differenziata territorialmente: il diritto di presentare un progetto per avere un permesso edilizio è riservato agli architetti nei lander Bade Wurttenberg, nord Renania, Sarre e Westfalia Breme, mentre negli altri lander spetta sia agli architetti che agli ingegneri. In Francia il titolo di ingegnere è protetto dalla legge, ma non l’attività professionale. Negli altri Paesi in genere non è protetto né il titolo né l’attività.
INGEGNERI – L’organo comunitario competente per l’ammissione di altre lauree ha respinto, nel 1993, una richiesta del Governo italiano volta al riconoscimento, per operare nel settore dell’architettura, dei corsi di laurea in ingegneria edile italiani; infatti il programma di studio è stato ritenuto non corrispondente ai requisiti della UE (vedi riquadro a fianco). Tuttavia nel 1997-98 la UE ha espresso parere favorevole in merito ai corsi di laurea di tre università, tra le quali Roma e L’Aquila. In base a una norma transitoria della stessa direttiva volta al riconoscimento di diritti acquisiti, sono ammessi gli ingegneri civili italiani già laureati alla data di emanazione della direttiva o che abbiano iniziato il corso di studi entro 3 anni dalla stessa data. Gli ingegneri non hanno una specifica direttiva, a parte gli ingegneri civili suddetti, tuttavia la loro mobilità nella UE è resa possibile nell’ambito della Direttiva 1989/48/CEE per le professioni non coperte da specifico provvedimento, che è stata recepita in Italia con il DLgs 115/1992. TIROCINIO – La Direttiva architetti, all’art.23, considera che il tirocinio esiste solo in alcuni Stati (non esiste in Italia) e, visto che non vi è accordo per estenderlo a tutti gli Stati, gli Stati che lo richiedono devono considerare come sufficiente una esperienza pratica adeguata, di uguale durata, svolta dall’architetto dello Stato estero. Ad esempio un architetto italiano che vuole operare in
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REGOLAMENTAZIONE NELL’UNIONE EUROPEA All’interno dell’Unione Europea esiste una specifica “direttiva per il settore dell’architettura” 1985/384/CEE, nella quale trovano accoglienza i laureati nelle facoltà di architettura italiane. La direttiva stabilisce solo i criteri per il reciproco riconoscimento dei titoli universitari di architetto, senza definire corrispondentemente i campi di attività. Obiettivo della direttiva è infatti quello di omogeneizzare la formazione degli architetti in tutti i paesi membri e non di fissare campi di competenza riservati per legge; ciò in quanto l’attività dell’architetto è protetta solo in alcuni paesi, mentre in altri chiunque può progettare un edificio da costruire. Tuttavia gli undici punti dell’art.3 della direttiva, ripresi dall’art.2 del DLgs 129/1992 di recepimento in Italia, individuano con precisione il campo di attività dell’architetto europeo, anche senza costituire un campo riservato.
C.4. 1.
Germania, dove esiste l’obbligo del praticantato, deve dimostrare di avere svolto attività professionale per essere riconosciuto. In vista di questo problema, il DM 776 del 10 giugno 1994, regolamento attuativo del DLgs 129/1992, all’art.11 prevede che l’Ordine degli architetti può rilasciare un certificato attestante l’attività professionale effettivamente svolta per la durata richiesta dallo Stato estero.
DOCUMENTAZIONE DA PRESENTARE ALL’ORDINE PER LA CERTIFICAZIONE DELL’ATTIVITÀ (circolare 7 dicembre 1995 del Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori) • Certificazioni o attestazioni rilasciate da amministrazioni ed enti pubblici o privati; • copie autentiche di progetti elaborati e presentati o di atti comprovanti l’affidamento di un incarico e il suo effettivo espletamento; • attestazioni rilasciate, con firma autenticata, dal titolare dello studio di architettura nell’ambito del quale l’interessato ha svolto l’attività, purché in esse siano specificati gli atti professionali espletati e siano forniti elementi di riscontro tali da consentire eventuali verifiche da parte dell’Ordine; • dichiarazioni sostitutive di atto notorio rese e sottoscritte dal professionista nel modo previsto dall’art.4 della legge n.15 del 4 gennaio 1968.
REQUISITI DELL’UNIONE EUROPEA PER IL RICONOSCIMENTO DELLA LAUREA IN ARCHITETTURA (art.2 DLgs 129/1992) 1. Sono riconosciuti i diplomi, certificati e altri titoli rilasciati a conclusione di un corso di studi di livello universitario che presenti i seguenti requisiti: a) la formazione deve riguardare principalmente l’architettura ed essere equilibratamente ripartita tra gli aspetti tecnici e pratici; b) la durata della formazione deve comprendere almeno 4 anni di studio a tempo pieno presso un’uni-
versità o un istituto di istruzione analogo, ovvero almeno 6 anni di studio presso un’università o analogo istituto, di cui non meno di 3 a tempo pieno, ed essere sancita, a conclusione del corso di studi, dal superamento di un esame di livello universitario. 2. La formazione data dal corso di studi deve assicurare: a) la capacità di creare progetti architettonici che soddisfino le esigenze estetiche e tecniche; b) un’adeguata conoscenza della storia e delle teorie dell’architettura nonché delle arti, tecnologie e scienze umane a esse attinenti; c) una conoscenza delle belle arti in quanto fattori che possono influire sulla qualità della concezione architettonica; d) un’adeguata conoscenza in materia urbanistica, pianificazione e tecniche applicate nel processo di pianificazione; e) la capacità di cogliere i rapporti tra uomo e creazioni architettoniche e tra queste e il loro ambiente, nonché la capacità di cogliere la necessità di adeguare tra loro creazioni architettoniche e spazi in funzione dei bisogni e della misura dell’uomo; f) la capacità di capire l’importanza della professione e delle funzioni dell’architetto nella società, in particolare elaborando progetti che tengano conto dei fattori sociali; g) una conoscenza di metodi d’indagine e di preparazione del progetto di costruzione; h) la conoscenza dei problemi di concezione strutturale, di costruzione e di ingegneria civile connessi con la progettazione degli edifici; i) una conoscenza adeguata dei problemi fisici e delle tecnologie nonché della funzione degli edifici, in modo da renderli internamente confortevoli e proteggerli dai fattori climatici; l) una capacità tecnica, che consenta di progettare edifici che rispondano alle esigenze degli utenti, nei limiti imposti dal fattore costo e dai regolamenti in materia di costruzione; m) una conoscenza adeguata delle industrie, organizzazioni, regolamentazioni, e procedure necessarie per realizzare progetti di edifici e per l’integrazione dei piani nella pianificazione.
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C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
PROCEDURA PER OPERARE IN ALTRO PAESE DELL’UNIONE EUROPEA La direttiva 1985/384/CEE, il DLgs 129/1992 e il DM 776 del 10 giugno 1994 stabiliscono la possibilità di svolgere attività nel settore dell’architettura in altro Paese UE in due diversi modi. Il primo consiste nello stabilire uno studio professionale per esercitare permanentemente (diritto di stabilimento) con obbligo di iscriversi all’Ordine o altro organismo equivalente, il secondo modo consiste nello svolgere una singola prestazione (prestazione di servizi). In questo secondo caso, ai sensi della direttiva, è sufficiente che l’architetto notifichi il ricevimento dell’incarico alla “autorità competente dello Stato membro ospite”, che normalmente è l’organismo professionale (Ordine, Registro, Camera ecc.). La normativa italiana di recepimento stabilisce che anche nel caso di prestazione di servizi è necessaria la iscrizione all’Ordine degli architetti, ma in uno speciale registro. La procedura prevede che per ambo i casi l’architetto di altro Paese UE che intende operare in Italia deve preliminarmente chiedere al Ministero dell’università il riconoscimento del titolo di laurea. Per i già laureati al 5 agosto 1985. o alla stessa data iscritti al terzo anno di studi, ai sensi di una norma transitoria non è
richiesto il riconoscimento ministeriale del titolo, pertanto è compito dell’Ordine (che riceve la domanda di iscrizione o la notifica di prestazione) verificare la validità del titolo di studio. L’architetto italiano che intende operare in altro Paese UE deve svolgere la procedura per il riconoscimento della laurea, a meno che non rientri nella norma transitoria, e successivamente fare domanda di iscrizione (nel caso di stabilimento) o semplice notifica (nel caso di singola prestazione) all’organismo professionale estero. Occorre tenere presente che così come l’Italia ha complicato la procedura al di là di quanto stabilito nella direttiva, anche altri Paesi possono avere fatto altrettanto. Al contrario la procedura dovrebbe essere molto più semplice per i diversi Paesi nei quali non vi è obbligo di iscrizione a un organismo professionale (Paesi Scandinavi e Irlanda) e non vi è protezione legale del titolo e dell’attività dell’architetto. Occorre in ogni caso munirsi di istruzioni sulla procedura prevista nel singolo Paese, facendone richiesta all’organismo nazionale della professione, indicato nel paragrafo seguente. Per il regime fiscale relativo ad attività svolte all’estero, vedere il capitolo C.2 “Sistema tributario”.
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. C.3.6ULENZA CONS A IC TECN . C.4.1SSIONE E PROF OPA R IN EU
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ESERCIZIO PROFESSIONALE PROFESSIONE IN EUROPA
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ESERCIZIO ALL’ESTERO
NORMATIVE NEI PAESI DELL’UNIONE EUROPEA AUSTRIA • Il titolo di architetto è protetto per legge, dopo il conseguimento al termine degli studi; anche l’attività è protetta dalla legge; • presso l’Università tecnica e presso l’Accademia è richiesto un periodo di 3 anni di pratica professionale e a conclusione un esame davanti alla Camera degli architetti; successivamente occorre l’iscrizione all’Albo della Camera; • organismo nazionale: Bundeskammer der Architekten und Ingenieurkonsulenten, 9 Karlsgasse, 1040 Wien tel. 43.1.5055807, fax 43.1.5053211 – e-mail: [email protected] Iscritti: 2.800 architetti e 2.800 ingegneri.
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• BELGIO • Il titolo di architetto spetta ai laureati in architettura; per esercitare la attività è obbligatorio sia un periodo di tirocinio di 2-3 anni che la iscrizione all’Ordine; l’esercizio professionale è consentito in forma libero professionale, in forma di dipendenza da enti pubblici, da un architetto, da una impresa privata che non sia impresa di costruzioni, e in forma societaria; la professione è incompatibile con attività imprenditoriali: eventuali eccezioni sono soggette al controllo dell’Ordine; • tutte le opere che necessitano di concessione edilizia devono essere firmate da un architetto; • esiste un tariffario per gli onorari relativi a committenza privata, deciso dal Consiglio Nazionale dell’Ordine, con minimo obbligatorio; nel caso di incarichi per lavori pubblici, le amministrazioni impongono le loro condizioni, che comunque non sono inferiori a quelle del tariffario per i privati; • esiste obbligo di assicurazione per la responsabilità professionale; non vi è obbligo di copertura previdenziale-pensionistica; • organismo nazionale: Conseil National de l’Ordre des Architectes 160 rue de Livourne – Bte 2, 1050 Bruxelles tel. 32.2.6470669, fax 32.2.6463818 – e-mail: [email protected] Iscritti: 10.000 architetti. DANIMARCA • Non vi è obbligo di legge né per il tirocinio né per l’iscrizione a un organismo professionale; non esiste protezione legale per il titolo di architetto; ne consegue che la libera circolazione degli architetti di Paesi terzi dell’Unione Europea è possibile a prescindere dalla applicazione della direttiva architetti; • il DAL è l’organismo al quale sono iscritti l’80% degli architetti; esso impone ai propri iscritti l’obbligo di assicurazione per la responsabilità professionale, nonché il rispetto del codice deontologico; • non esistono tariffari di legge; tuttavia il tariffario del DAL è normalmente assunto come base per la contrattazione dell’onorario; • organismo nazionale: Danske Architekters Landsforbund Strandgade 27A, 1401 Copenaghen tel. 45.32.836900, fax 45.32.836901 – e-mail: [email protected] Iscritti: circa 7.000 architetti. FINLANDIA • Non vi è obbligo di legge né per il tirocinio né per l’iscrizione a un organismo professionale; non esiste protezione legale per il titolo di architetto, come per gli altri Paesi Scandinavi; ne consegue che la libera circolazione degli architetti non è soggetta a restrizioni di legge; • il SAFA è l’organismo al quale sono iscritti la gran maggioranza degli architetti; esso impone ai propri iscritti l’obbligo di assicurazione per la responsabilità professionale, nonché il rispetto del codice deontologico; • esistono tariffari di legge; tuttavia il tariffario del SAFA è normalmente assunto come base per la contrattazione dell’onorario; • dal 2000 è stato creato il Registro degli architetti e il registro dei planner. L’iscrizione non è obbligatoria, ma contribuisce a dimostrare la competenza a sottoscrivere le prestazioni professionali. Il Registro è gestito da un Consiglio composto da rappresentanti del Governo, dell’Università e degli architetti; • organismo nazionale: SAFA – Finnish Association of Architects, Yrjönkatu 11A, 00120 Helsinki tel. 358.9.584448, fax 358.9.601123 – e-mail: [email protected] Iscritti: 2.700 architetti. FRANCIA • Il titolo di architetto spetta ai laureati in architettura; per l’esercizio professionale è obbligatoria l’iscrizione all’Ordine; possono esercitare la professione ed essere iscritti all’Ordine anche le società di architettura e le persone non laureate che ricevano un riconoscimento dal Governo; l’esercizio professionale è consentito come libero professionista, come società di architettura, come dipendente del settore pubblico, come dipendente di persone fisiche o aziende che costruiscono per uso proprio esclusivo; • vi è obbligo di ricorrere all’architetto per la elaborazione di un progetto architettonico da sottoporre a concessione edilizia; l’obbligo non sussiste nel caso di persona fisica che intenda costruire un edificio di minore importanza (costruzione di superficie inferiore a mq 170 o, in caso di edificio agricolo, non superiore a mq 800); • gli onorari sono liberamente negoziati in caso di incarichi da privati; in caso di appalti pubblici dello Stato l’onorario è stato fissato da un decreto del 1973, che
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tuttavia non è più considerato applicabile; la direttiva europea sui servizi di architettura ha introdotto la libera negoziazione sull’onorario per appalti pubblici oltre € 200.000; l’assicurazione per la responsabilità professionale è obbligatoria per legge; la garanzia ha durata di 10 anni dal collaudo dell’opera; l’assegnazione degli incarichi pubblici è regolata secondo tre fasce di onorario; sotto € 68.597,56 le formalità sono minime; tra € 68.597,56 e € 137.195,12 si raccolgono le candidature a seguito di un pubblico bando e si selezionano i dossier pervenuti tramite una commissione che opera la scelta del progettista; la decisione finale è del committente che negozia le condizioni dell’incarico; oltre € 137.195,12 è obbligatorio il concorso di progettazione con la seguente procedura: si emette un pubblico bando con richiesta di candidature, tra i facenti domanda una commissione sceglie alcuni da invitare a presentare un progetto preliminare, ai quali è corrisposto un rimborso spese; la commissione esprime il giudizio sui progetti presentati; il committente sceglie il progettista da incaricare; organismo nazionale: Conseil National de l’Ordre des Architectes, 25 rue du Petit Musc, 75004 Paris tel. 33.1.53019555, fax 33.1.53019569 – e-mail: [email protected] Iscritti: 27.000, non iscritti: 10.000.
GERMANIA • Il titolo di architetto spetta solo dopo l’iscrizione alla Camera degli architetti che dipende dal Lander; condizioni per l’iscrizione sono un titolo universitario nel campo dell’architettura unitamente a un periodo di tirocinio che varia da due a 3 anni a seconda dei Lander; non è previsto esame a conclusione del periodo di tirocinio; l’iscrizione alla Camera regionale degli architetti è necessaria ai fini dell’esercizio della professione; • in alcuni Lander (Bade Wurttenberg, Renania del nord, Westfalia Breme, Sarra) vi è l’obbligo di ricorrere a un architetto per la richiesta di una concessione edilizia; negli altri Lander l’obbligo riguarda sia gli architetti che gli ingegneri civili; • gli onorari sono regolati per legge con un minimo e un massimo, tra i quali è libera la negoziazione; • è vietata la partecipazione di un architetto a una società di costruzione; • esiste l’obbligo per legge di assicurazione per le responsabilità professionali; vi è una tendenza a che il contratto di incarico non possa essere stipulato in mancanza di copertura assicurativa; la garanzia è di 5 anni dal collaudo dell’opera; • concorsi di architettura per edifici pubblici sono quasi generalizzati, ma non sono obbligatori per legge; essi si svolgono similmente alla Francia, mediante autocandidature su dossier, tra le quali l’amministrazione sceglie quelli da invitare a presentare un progetto; una commissione seleziona i progetti, ma la decisione finale spetta al committente; tutti coloro che sono invitati a presentare un progetto ricevono un rimborso spese; • organismo nazionale: Bundesarchitektenkammer, 709 Konigswinterer Strasse, 53227 Bonn tel. 49.228.970820, fax 49.228.442760 – e-mail: [email protected] Iscritti: 95.000, non iscritti: 65.000.
GRECIA • La legge consente l’esercizio dell’architettura agli architetti e agli ingegneri civili; solo gli architetti e gli ingegneri possono richiedere un permesso di costruzione edilizia; • gli onorari sono stabiliti dal Ministero dei lavori pubblici, in proporzione all’importo delle opere, sulla base di tabelle che fissano costi minimi delle opere che tuttavia non corrispondono ai costi effettivi; • la responsabilità professionale ha durata di 10 anni dalla consegna dell’opera; non esiste obbligo di assicurazione per l’architetto; • organismo nazionale: Chambre Technique de Grèce, 4 Karageorgi Servias, 10248 Atene tel. 30.1.3254591, fax 30.1.3222832 – e-mail: [email protected] Iscritti: 12.000.
IRLANDA • Non vi è obbligo di legge né per il tirocinio né per l’iscrizione a un organismo professionale; non esiste protezione legale né per il titolo né per la attività dell’architetto, ne consegue che la libera circolazione degli architetti degli altri Paesi della UE non è soggetta a restrizioni di legge nè all’iscrizione ad Albi; • il RIAI è la sola organizzazione che rappresenta gli architetti ed è riconosciuta dallo Stato pur non essendovi obbligo di iscrizione; esso impone ai propri iscritti la copertura assicurativa per la responsabilità professionale nonché il rispetto del codice deontologico, vietando cointeressenze tra architetto e imprese di costruzione; • non esistono tariffari di legge; in genere i committenti, pubblici e privati, assumono il tariffario del RIAI come riferimento per la contrattazione dell’onorario; • non vi è obbligo di legge per la copertura assicurativa dell’attività professionale, tuttavia generalmente gli architetti sono assicurati presso lo stesso RIAI, viste le ampie responsabilità connesse alla professione; • organismo nazionale: RIAI – Royal Institute of Architects of Ireland, 8 Marrion Square, Dublin 2, Ireland tel. 353.1.6761703, fax 353.1.6610948 – e-mail: [email protected] Iscritti: 1.500.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • ESERCIZIO ALL’ESTERO PROFESSIONE IN EUROPA
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ITALIA • Il titolo e l’attività di architetto sono protetti dalla legge; per l’esercizio della professione, sia in regime libero che dipendente privato o pubblico, è obbligatoria l’iscrizione all’Ordine; non è richiesto il tirocinio; • un architetto di altro Paese UE che intenda operare in Italia deve ottenere prima il riconoscimento della laurea da parte del Ministero dell’università (o da parte dell’Ordine per coloro che ricadono nella normativa transitoria della 1985/384/CEE), e successivamente deve iscriversi all’Albo dell’Ordine se intende stabilirsi ovvero iscriversi a un registro speciale presso l’Ordine nel caso di singola prestazione professionale; • il progetto e la direzione di tutti i lavori edilizi, come anche i progetti urbanistici, richiedono la presenza di un architetto, ma sono ammessi anche gli ingegneri di ogni specializzazione e, per lavori edilizi di modesta entità, i geometri e i periti industriali edili, nonché i dottori agronomi per opere edilizie e urbanistiche in materia agricola; le società di ingegneria possono operare professionalmente solo nel settore pubblico e nel rispetto di norme che sono in corso di definizione; • gli onorari sono definiti per legge e sono validi sia per il settore privato che per quello pubblico; per gli incarichi pubblici di edilizia è consentita una riduzione della tariffa non superiore al 20%; nel caso di gare per l’affidamento d’incarichi pubblici oltre € 200.000 la riduzione di tariffa può essere maggiore; • l’assicurazione professionale è obbligatoria solo per gli incarichi pubblici; • l’affidamento di incarichi pubblici è regolato secondo le procedure della direttiva 1992/50/CEE; nel caso di importi di onorario superiori a € 200.000 sono previste gare di appalto di servizi senza limite di riduzione di tariffa; per affidamenti sotto la soglia CEE la normativa è in corso di definizione e per il momento devono essere espletate gare pubbliche basate sul confronto dei curricula professonali; il concorso di progettazione non è obbligatorio, è limitato a opere di particolare pregio e di fatto è poco praticato; • organismo nazionale: Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, via S. Maria dell’Anima 10, 00186 Roma tel. 39.06.6889901, fax 39.06.6879520 – e-mail: [email protected] Iscritti agli Ordini: 99.500, laureati non iscritti: stimati in 35.000.
REGNO UNITO (GRAN BRETAGNA) • Il titolo di architetto è protetto, mentre chiunque può esercitare l’attività di architetto; è obbligatoria l’iscrizione all’ARB (The Architects Registration Board), che è retto da un Consiglio composto di 17 membri, 9 nominati dal Governo e 8 eletti dagli architetti. L’ARB, con unica sede in Londra e 8 impiegati, tiene il registro nazionale degli architetti, cura la disciplina e accredita i corsi universitari di architettura. Il 90% degli iscritti all’ARB sono anche iscritti al RIBA; l’appartenenza al RIBA non è richiesta per legge, ma è di fatto necessaria in quanto qualifica l’architetto che vuole esercitare la professione; • sia l’ARB che il RIBA obbligano i propri iscritti al rispetto di un contratto tipo; non esiste un tariffario degli onorari, che possono essere calcolati come percentuale del costo delle opere, a vacazione oraria o a forfait; l’Office of Fair Trading proibisce persino i tariffari consigliati predisposti dal RIBA; • non esiste obbligo di assicurazione professionale, ma in pratica tutti gli architetti sono assicurati; la garanzia è valida 15 anni dal collaudo delle opere; la compagnia principale è gestita dal RIBA; • in materia deontologica sia l’ARB che il RIBA esercitano un controllo sugli iscritti; la pubblicità è permessa, ma in concreto non utilizzata; è consentito svolgere attività commerciale a titolo secondario, ma essa deve essere dichiarata al RIBA; • i concorsi di progettazione sono poco numerosi perché non sono obbligatori e perché il RIBA generalmente vi si oppone; il RIBA controlla sempre quelli che vengono banditi e fa in modo che siano riservati a cittadini britannici propri associati; • organismi nazionali: • ARB – The Architects Registration Board, 8 Weymouth Street, London W1W 5BU tel. 44.020.75805861, fax 44.020.74365269 – e-mail: [email protected] Iscritti: 31.000, pochissimi i non iscritti, alta la percentuale di dipendenti. • RIBA – Royal Institute of British Architects, 66 Portland Place, London W1B 1AD tel. 44.020.75805533, fax 44.020.72511541 – e-mail: [email protected] Iscritti: 30.000
LUSSEMBURGO • La legge protegge il titolo e l’attività professionale di architetto; il ricorso all’architetto è obbligatorio per la progettazione di opere soggette a permesso di costruzione e per piani urbanistici; esiste obbligo di iscrizione all’Ordine: 45% degli iscritti all’Ordine sono stranieri; • esiste una tariffa per gli incarichi pubblici che l’Ordine contratta con lo Stato; per il settore privato esistono raccomandazioni dell’Ordine; • l’assicurazione professionale è obbligatoria; • organismo nazionale: Ordre des Architectes de Luxembourg, 8 rue Jean Engling, 1466 Luxembourg tel. 352.422406, fax 352.422407 – e-mail: [email protected]
OLANDA • Il titolo di architetto è protetto dal 1988, quando il Ministero per gli alloggi ha istituito un registro ufficiale degli architetti, al quale possono iscriversi tutti coloro che hanno il titolo di studio, senza obbligo di tirocinio; gli architetti sono in maggioranza iscritti al BNA, organismo privato, che condiziona l’iscrizione all’aver svolto un tirocinio di 2 anni; • l’attività non è protetta e per i permessi di costruzione non è obbligatorio ricorrere all’architetto, tuttavia l’ufficio comunale può chiedere il parere di un architetto o di un ingegnere in relazione a problemi di stabilità dell’edificio; • la remunerazione è stabilita per decreto ministeriale mediante un tariffario ufficiale che prevede il calcolo dell’onorario in tre modi: sulla base del costo dei lavori, del tempo impiegato o in base a un forfait; il primo è il più usato; il BNA ha adottato un contratto-tipo di cui raccomanda l’uso ai propri membri; • il concorso di progettazione non è obbligatorio, ma vi si ricorre frequentemente, dietro raccomandazione del BNA; • organismo nazionale: BNA – Bond van Nederlandse Architekten, 321 Keizergracht, 1016 EE Amsterdam (Post Bus 19606, 1000 GP Amsterdam) tel. 31.20.5553666, fax 31.20.5553699 – e-mail: [email protected] Iscritti: 3.200.
SPAGNA • L’attività di architetto è riservata per legge agli iscritti ai 17 Collegi ufficiali degli architetti; forme di esercizio sono la libera professione, individuale e associata, e la professione dipendente nel settore privato e in quello pubblico; non è richiesto il tirocinio; • l’intervento dell’architetto è obbligatorio per la progettazione di opere che richiedono il permesso di costruzione, l’incarico comprende il progetto e il controllo dell’esecuzione dei lavori nel cantiere; sono esclusi gli edifici industriali e le infrastrutture (ponti, autostrade) che spettano agli ingegneri; gli ingegneri non possono progettare le strutture degli edifici, essendo di spettanza dagli architetti; tra i documenti del progetto deve essere incluso il visto del Collegio degli architetti; • l’assicurazione professionale non è obbligatoria, ma in genere gli architetti sono assicurati; la garanzia ha una durata di 10 anni dal collaudo delle opere; • la previdenza sociale degli architetti è affidata alla Hermandad National de Prevision Social de Arquitectos Superiores alla quale sono automaticamente iscritti tutti gli architetti; i contributi sono raccolti dai Collegi mediante una ritenuta del 4% sugli onorari e sugli stipendi; • gli onorari sono calcolati in percentuale sul costo delle opere, rispettando una tariffa minima fissata dal Collegio; fatta eccezione per gli incarichi pubblici, il committente versa l’onorario al Collegio che, detratte le quote per la previdenza sociale e per lo stesso Collegio, versa all’architetto quanto di sua spettanza; • esercitare una attività commerciale a titolo secondario; la pubblicità è vietata; • l’affidamento di incarichi pubblici sta subendo profonde trasformazioni, a seguito del processo di unificazione europea; si va estendendo il sistema della gara di appalto di servizi con ribassi di onorario ammessi fino al 20%; i ribassi sono esclusi solo nel caso di edilizia residenziale pubblica; i concorsi di progettazione non sono obbligatori; • organismo nazionale: Consejo Superior de los Colegios de Arquitectos de España, Paseo de la Castellana 12, 28046 Madrid tel. 34.1.4352200, fax 34.1.5753839 – e-mail: [email protected] Iscritti: 25.000.
PORTOGALLO • Nel settore dell’architettura sono ammessi per legge a operare non solo gli architetti, ma anche gli ingegneri e i tecnici minori come i geometri e i periti edili; l’esercizio della professione è condizionato all’appartenenza all’Associacao dos Arquitectos Portugueses; • i progetti soggetti a permesso di costruzione devono essere elaborati da architetti o ingegneri, tuttavia una volta ottenuta la licenza generalmente l’architetto non va oltre visto che la presenza sua o di un ingegnere nella fase di controllo dei lavori è obbligatoria solo per i lavori pubblici e che per tale fase è normalmente scelto un ingegnere; • gli onorari sono valutati in base a tariffari validi solo per opere pubbliche, che comunque non sono rispettati; • gli incarichi pubblici vengono affidati mediante gara d’appalto qualora l’onorario superi una certa soglia; gli altri incarichi vengono affidati con criteri del tutto discrezionali o sulla base del minor costo dell’onorario; • organismo nazionale: Ordem dos Arquitectos, Edifício Banhos São Paulo, Trav. do Carvalho 21-25, 1200 Lisboa tel. 351.1.3432454/9, fax 351.1.3432450 – e-mail: [email protected] Iscritti: 5.000.
SVEZIA • Non vi è obbligo di legge né per il tirocinio né per l’iscrizione a un organismo professionale; non esiste protezione legale per il titolo di architetto, come per gli altri Paesi Scandinavi; ne consegue che la libera circolazione degli architetti non è soggetta a restrizioni di legge; • il SAR è l’organismo al quale sono iscritti il 90% degli architetti; esso impone ai propri iscritti il tirocinio, l’obbligo di assicurazione per la responsabilità professionale nonché il rispetto del codice deontologico; • non esistono tariffari di legge, la legge proibisce le limitazioni alla libera concorrenza sul costo dell’onorario; tuttavia esistono raccomandazioni del SAR sulla quantificazione degli onorari; • ai fini dell’accesso in Svezia di architetti di Paese terzo UE si può fare riferimento allo statale Institute of Higher Education; • organismo nazionale: Svenska Arkitekters Riksforbund, Norrlandsgatan 18, 11143 Stockholm tel. 46.8.6792760, fax 46.8.6114930 – e-mail: [email protected] Iscritti: circa 6.000.
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ESERCIZIO PROFESSIONALE PROFESSIONE IN EUROPA
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ESERCIZIO ALL’ESTERO
PROFESSIONE NEI PAESI ESTERNI ALL’UNIONE EUROPEA In linea generale esistono in ogni Paese norme volte a impedire o limitare l’accesso di persone che intendono svolgere attività di lavoro dipendente o autonomo. Pertanto solo con il consenso delle autorità dello Stato è possibile operare. Tra l’Italia e diversi Paesi esistono accordi bilaterali che prevedono reciprocità nel riconoscimento dei titoli di studio, nel diritto di espatrio al fine di lavorare e di iscrizione all’organismo professionale estero; questi accordi sono gestiti dal nostro Ministero degli affari esteri. Quando il professionista collabora con una impresa che ha vinto un appalto all’estero, generalmente l’apporto professionale è considerato parte del contratto di appalto, per cui le responsabilità gravano sull’impresa che ha titolo per chiedere e ottenere permessi e autorizzazioni. In tali casi qualora occorra una figura professionale di lavoratore autonomo che si assuma la responsabilità di un progetto o di altri atti necessari allo svolgimento dei lavori, tale figura deve essere scelta tra i professionisti dello Stato ospitante. Nel caso di un architetto che riceve un incarico di progettazione da un
committente di un Paese estero per un concorso vinto o per altra forma di affidamento, qualora non gli venga riconosciuta la capacità di firma e di assunzione di responsabilità, la soluzione normalmente praticata è che l’architetto italiano si faccia affiancare da un architetto locale abilitato a esercitare la professione. Questi si assume tutte le responsabilità di fronte agli enti che rilasciano permessi e autorizzazioni e riceve un compenso concordato per tale prestazione, mentre all’architetto italiano spettano le responsabilità nei confronti del committente dell’opera, legate al rispetto del contratto di incarico sotto il profilo tecnico ed economico. Naturalmente, qualora in base al contratto di incarico l’architetto locale partecipa alla progettazione, tutti gli oneri e i compensi potranno essere ripartiti nella misura indicata nel contratto. In ogni caso appare necessario che prima di iniziare rapporti di lavoro all’estero vengano assunte presso il Ministero degli esteri italiano e presso le ambasciate dei Paesi interessati tutte le informazioni sulla normativa vigente per l’esercizio della professione.
PROFESSIONE NEL MONDO: ACCORDO GATT PROFESSIONE NEL MONDO: ACCORDO GATT Il “General Agreement on Tariffs and Trade” (GATT), cioè l’accordo generale su tariffe e commercio, è nato alllo scopo di ridurre le barriere tariffarie nel commercio mondiale dei beni. Il GATT che inizialmente aveva l’adesione di 23 paesi, oggi raccoglie 116 Stati, coprendo circa il 90% del commercio internazionale del mondo. Nel 1986 l’ottava serie di negoziati, chiamata Uruguay Round, ha posto come nuovi obiettivi, tra l’altro, la protezione dei diritti della proprietà intellettuale, nonchè la fissazione di regole per il commercio dei servizi e il miglioramento dell’accesso al mercato estero dei prestatori di servizi. In tale occasione è stato approvato l’accordo quadro per lo scambio dei servizi, tra i quali i servizi di architettura, denominato General Agreement on Trade in Services (GATS). È stato anche decisa l’istituzione dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) con operatività dal 1° luglio 1995, che è gestita da una conferenza dei Ministri appartenenti a tutti i Paesi che hanno sottoscritto il GATT, tra i quali vi è l’Italia. Come è noto alla carica di direttore generale è stato nominato l’italiano Ruggero. Il GATS si applica anche ai servizi di architettura. L’inizio di applicazione dell’accordo è subordinato a una fase di approfondimento dei problemi connessi a ciascun settore di servizi. Il primo settore affrontato è stato quello dei servizi di contabilità. È imminente l’avvio dell’esame del settore dei servizi di architettura; l’Unione Internazionale Architetti, che è l’organismo che ha titolo per colloquiare con il WTO sulla materia, sta curando i necessari approfondimenti. Obiettivo primario del GATS è il libero accesso al mercato dei servizi. Di conseguenza dovranno essere eliminate le barriere non giustificate che impediscono a un prestatore di servizi di operare in un paese diverse dal proprio. L’accesso al mercato dei servizi deve essere basato sui seguenti fattori:
• selezione dei prestatori in base a criteri obiettivi e trasparenti, come la competenza e la capacità di eseguire la prestazione; • non imporre gravami, oltre quelli strettamente necessari, nel fine di assicurare la qualità del servizio; • nel caso siano previste abilitazioni o appartenenza a organismi professionali, queste limitazioni non devono costituire in sè un impedimento alla prestazione del servizio. In pratica, da un lato sarà più facile accedere al mercato del lavoro all’estero, ma dall’altro sarà maggiore la concorrenza degli stranieri nel nostro Paese. I principi su cui è basato il GATT per i servizi sono gli stessi sui quali è impostata la direttiva servizi dell’Unione Europea. I due sistemi di relazioni sovranazionali portano la prestazione dei servizi di architettura nella stessa direzione di ampia concorrenza tra operatori con riduzione al minimo della protezione legale che in alcuni Paesi tra i quali l’Italia copre la prestazione professionale. Sono perciò da attendere forti novità nella nostra legislazione sulle professioni, sia per consentire l’esercizio professionale anche di persone giuridiche come le società tra professionisti, sia per rendere possibile la libera concorrenza sui compensi per le prestazioni professionali, tenuto conto che la tariffa stabilita per legge come minimo inderogabile, vigente in Italia, esiste solo in pochi altri Paesi. Principali problemi da affrontare sono la definizione del significato di “servizio di architettura” e la individuazione della figura dell’architetto, attraverso i contenuti della formazione universitaria e i requisiti della prestazione professionale. Si tratta in sostanza di concordare definizioni sull’architettura che abbiano validità per tutti gli architetti del mondo. Una volta definiti i termini sarà possibile stabilire le regole per lo scambio delle prestazioni professionali da un Paese all’altro.
CODICE DEONTOLOGICO INTERNAZIONALE Nel 1987 l’Unione internazionale architetti ha approvato il Codice internazionale di etica sui servizi di consulenza, quale comune standard di condotta per tutti i professionisti che svolgono servizi di consulenza in tutte le nazioni. Art.1 In tutte le prestazioni professionali è essenziale tenere conto del sistema di valori e della cultura prevalente in ogni paese, e gli standards devono essere determinati secondo un criterio nazionale. Ciò è dettato dalla considerazione che gli standards che sono validi per i paesi industriali più sviluppati possono non essere appropriati o comportare costi sociali non affrontabili nei paesi in via di sviluppo. Non devono verificarsi tentativi di imporre soluzioni di una società ad altre società. Art.2 Il locale consulente o professionista ha primariamente il diritto di interpretare le esigenze del suo popolo, e deve essere rispettata la sua concezione di come l’ambiente del suo paese può essere costruito, pianificato, migliorato o valorizzato. Ciò si basa sul principio che la responsabilità per lo sviluppo di ogni paese resta primariamente allo stesso paese. Art.3 L’ambiente che i professionisti sono incaricati di rendere gradevole deve essere espressivo del genius del popolo e deve riflettere la sostanza della sua cultura. Art.4 A corollario dei precedenti principi, ogni consulente di un paese straniero, sia che il suo lavoro discenda da un accordo tra i due Governi, sia da una richiesta di istitu-
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zione finanziaria, sia da un progetto del settore privato, si assocerà e lavorerà in armonia con consulenti o professionisti del paese ove il progetto è dislocato. Art.5 Per accelerare il trasferimento di tecnologie appropriate, i consulenti dei paesi in via di sviluppo e di quelli sviluppati, mediante la loro interazione, estenderanno gli uni agli altri, massimamente, l’assistenza e l’accesso all’informazione. Art.6 I servizi di consulenza saranno prestati da individui, professionisti o consulenti, in possesso della necessaria qualificazione, formazione, esperienza, registrazione secondo legge e abilitazione alla pratica professionale, ovvero da studi professionali i cui titolari e dirigenti sono professionisti qualificati per prestare i servizi richiesti e sono responsabili per le prestazioni dei dipendenti degli studi stessi. Art.7 La qualificazione professionale del consulente e la sua integrità costituiscono la sua garanzia sul massimo rispetto dell’interesse del pubblico e del paese dove i servizi sono prestati. Art.8 Il consulente è impegnato in una professione che porta con sè responsabilità verso il cliente, il pubblico e i colleghi professionisti; siano tali responsabilità il naturale
risultato di un positivo spirito civico, ovvero dell’impegno professionale. Egli potrà far fronte ai suoi doveri e responsabilità a condizione che il suo comportamento, i suoi valori morali, la sua competenza siano tali da imporre rispetto e fiducia. Art.9 Ogni paese ha leggi di normazione della professione la cui funzione primaria è la protezione legale del pubblico. Dato che vi sono delle differenze in queste leggi tra un paese e l’altro, il consulente professionista terrà fede alle leggi di normazione professionale del governo e onorerà il Codice deontologico della professione nel paese dove i servizi devono essere prestati. Art.10 Gli obiettivi comuni di tutte le organizzazioni professionali sono di stabilire e promuovere i livelli più elevati di condotta etica e di eccellenza nella pratica delle professioni, di regolare la condotta professionale dei professionisti, e di cooperare con le organizzazioni professionali affini. In linea con i precedenti obiettivi, costituirà impegno per una organizzazione professionale assumere azioni appropriate a seguito di ogni formale protesta per condotta scorretta, contro qualsiasi membro della propria organizzazione, avanzata da un altro professionista, da un cliente, da una organizzazione professionale o da un governo, indipendentemente dalla cittadinanza del denunciante.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • ESECUZIONE DEI LAVORI – APPALTI DI OPERE PUBBLICHE PROGRAMMAZIONE E ATTUAZIONE DEI LAVORI PUBBLICI
C.5. 1./2.
PROGRAMMAZIONE
A.ZIONI
Legge 109/1994 art.14 e DPR 554/1999 artt.11-14. La legge stabilisce che ogni pubblica amministrazione che aggiudichi lavori è tenuta ad approvare un programma triennale dei lavori da eseguire e suoi aggiornamenti annuali, unitamente all’elenco dei lavori da realizzare nell’anno stesso. Il programma deve rispettare gli altri strumenti di programmazione e i piani urbanistici. Sono esclusi dal programma i lavori di importo pari o inferiore a € 100.000 (legge 166/2002). Il programma triennale costituisce momento attuativo di studi di fattibilità. Questi individuano le caratteristiche, funzionali, tecniche, gestionali ed economico-finanziarie degli interventi e contengono l’analisi dello stato di fatto nelle sue eventuali componenti storico-artistiche, architettoniche, paesaggistiche, di sostenibilità ambientale, socio-economiche, amministrative e tecniche nel triennio con l’indicazione dei mezzi finanziari disponibili. Le amministrazioni individuano con priorità i bisogni che possono essere soddisfatti tramite la realizzazione di lavori finanziabili con capitali privati, in quanto suscettibili di gestione economica. Lo schema di programma triennale e i suoi aggiornamenti annuali sono resi pubblici, prima della loro approvazione, per almeno 60 giorni consecutivi. Il programma triennale deve prevedere un ordine di priorità tra le categorie di lavori e all’interno di ogni categoria. Sono comunque prioritari i lavori di manutenzione, di recupero del patrimonio esistente, di completamento dei lavori già iniziati, i progetti esecutivi già approvati, nonché gli interventi per i quali ricorra la possibilità di finanziamento con capitale privato maggioritario. Nel programma triennale sono altresì indicati i beni immobili pubblici che, al fine di quanto previsto all’art.19, comma 5ter, possono essere oggetto di diretta alienazione anche del solo diritto di superficie, previo esperimento di una gara; tali beni sono classificati e valutati anche rispetto a eventuali caratteri di rilevanza storicoartistica, architettonica, paesaggistica e ambientale e ne viene acquisita la documentazione catastale e ipotecaria.
L’inclusione di un lavoro nell’elenco annuale è subordinata per i lavori d’importo inferiore a € 100.000, alla previa approvazione di uno studio di fattibilità (legge 166/2002) e, per i lavori d’importo pari o superiore a € 100.000 alla previa approvazione della progettazione preliminare, salvo che per i lavori di manutenzione, per i quali è sufficiente l’indicazione degli interventi accompagnata dalla stima sommaria dei costi. I progetti dei lavori degli enti locali ricompresi nell’elenco annuale devono essere conformi agli strumenti urbanistici vigenti o adottati. Ove gli enti locali siano sprovvisti di tali strumenti urbanistici sono esclusi da qualsiasi contributo dello Stato. I lavori non ricompresi nell’elenco annuale o non ricadenti nelle ipotesi di cui al comma 5, (interventi imprevedibili o derivanti da nuove norme ecc.), non possono ricevere alcuna forma di finanziamento da parte di pubbliche amministrazioni. L’approvazione del progetto definitivo da parte di una amministrazione aggiudicatrice equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dei lavori. Il programma triennale e gli elenchi annuali vanno redatti sulla base degli schemi-tipo definiti con decreto del Ministero dei lavori pubblici del 21 giugno 2000 (GU 27 giugno 2000). Un lavoro non inserito nel programma può essere realizzato solo sulla base di un autonomo piano finanziario che non utilizzi risorse finanziarie comprese nel programma e non sia incompatibile con le finalità del programma stesso. Gli studi di fattibilità tecnica ed economica di ciascun intervento consentono di effettuare una ricognizione generale sulle opere che si intende includere nel programma, escludendo preliminarmente quelle non mature, effettuando così una prima cernita che consente di limitare i costi elevati che la complessità della programmazione comporta. Le indagini stesse costituiscono anche studi specifici che dovranno essere riverificati e approfonditi nel progetto preliminare.
OGGETTO DELLE INDAGINI • Conformità urbanistica dell’area sulla quale dovrà essere realizzata l’opera, nonché la esistenza di vincoli archeologici, paesistici, idrogeologici, di usi civici ecc.; • altri condizionamenti risultanti dal territorio quali la sismicità, le condizioni climatiche e l’esigenza di verifica d’impatto ambientale; • situazione proprietaria dell’area con verifiche catastali e modalità di acquisizione dell’area; • esigenza di effettuare indagini geologiche e geotecniche e rilievi plano-altimetrici; • situazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
CONTENUTI DEL PROGRAMMA TRIENNALE, PER CIASCUN INTERVENTO • Normative che disciplinano la scelta, la progettazione e l’esecuzione dell’intervento; • grado di soddisfacimento della domanda per la quale l’intervento è proposto; • stima di massima dei costi, e le risorse finanziarie disponibili o conseguibili; • sistemi scelti per l’affidamento dei lavori; • modalità di esecuzione della progettazione e della direzione dei lavori; • sistemi di affidamento nel caso di ricorso all’esterno dell’amministrazione; • tempi di attuazione, attraverso lo sviluppo temporale delle procedure attuative.
PROGETTAZIONE DEI LAVORI PUBBLICI TIPI DI LAVORI E DI OPERE
PROGETTAZIONE Legge 109/1994 art.16 e DPR 554/1999 artt. da 15 a 49. Il progetto va redatto secondo tre progressivi livelli di definizione: preliminare, definitivo, esecutivo. La legge e il regolamento stabiliscono, per ciascuno dei tre livelli, gli elaborati grafici e descrittivi richiesti. Tuttavia il Responsabile del procedimento, qualora ritenga che alcuni elaborati dei progetti definitivo ed esecutivo siano insufficienti o eccessivi in relazione alla natura, alla specifica tipologia e alla dimensione dei lavori da progettare, provvede a disporre che gli elaborati di base siano opportunamente integrati o ridotti. Affinché tale integrazione o riduzione di elaborati possa avere luogo è necessario che si verifichino le dette tre condizioni, cioè che i lavori rivestano carattere particolare sia per la loro natura che per tipologia e dimensione. Le caratteristiche e gli specifici contenuti degli elaborati dipendono dal livello di definizione necessaria, di volta in volta, in rapporto alla natura e alla tipologia dei lavori. Il Responsabile del procedimento deve predisporre un documento preliminare all’avvio della progettazione nel quale sono indicate le esigenze da soddisfare, le norme tecniche da rispettare, i limiti economici; a esso sono allegati tutti i documenti utili alla redazione del progetto. I progetti sono redatti nel rispetto degli standards dimensionali e di costo; devono rispettare il contesto in cui le opere sono situate, ed essere con esso compatibili. Tali condizioni di rispetto devono verificarsi anche durante i lavori di costruzione. La progettazione deve anche attenersi ai seguenti criteri: • massimo riutilizzo delle risorse naturali impegnate nell’intervento; • economico riutilizzo dei prodotti degli scavi; • minimizzazione degli effetti sull’ambiente delle attività operative;
• massima manutenibilità, durabilità e compatibilità dei materiali, sostituibilità degli elementi, controllabilità del comportamento dell’opera nel tempo. Il cantiere e le attività di costruzione devono essere progettate in modo da evitare effetti negativi sull’ambiente, sul paesaggio e sul patrimonio storico-artistico. A tal fine il progetto deve prevedere: • viabilità di accesso ai cantieri, in modo tale da limitare sia l’interferenza con il traffico locale, sia i pericoli per persone e cose; • accorgimenti atti a evitare inquinamenti acustici, atmosferici, idrici e del suolo, nonché alterazione del regime idrogeologico; • la localizzazione delle cave necessarie e le eventuali necessità di ripristino ambientale a opere eseguite; • i movimenti di terra e dei materiali da riutilizzare o portare alle discariche autorizzate; • lo studio e copertura finanziaria delle opere per il ripristino e per la eliminazione di eventuali danni all’ambiente e al paesaggio derivati dall’attuazione dell’intervento; • lo studio e la copertura finanziaria degli interventi per la conservazione, protezione e restauro del patrimonio artistico e storico. I progetti sono redatti in modo da non pregiudicare l’accessibilità, l’utilizzo e la manutenzione degli impianti e servizi esistenti. I progetti devono essere redatti secondo criteri diretti a limitare i fattori di rischio per la sicurezza e la salute degli operai, degli utenti e della popolazione, sia durante la fase di costruzione, che nell’uso dell’opera eseguita. Tutti gli elaborati devono essere sottoscritti dal progettista o dai progettisti responsabili degli stessi.
DPR 554/1999 art.2. Ai fini del sistema di appalto si distinguono vari tipi di opere. Opere puntuali quelle che interessano una limitata area di terreno, quali residenze scuole, ospedali, chiese, teatri, stazioni ferroviarie, ponti e simili. Per esse è possibile eseguire una progettazione esecutiva completa e attendibile, pertanto i contratti di appalto vanno stipulati “a corpo” sulla base di un progetto esecutivo, completo di strutture, impianti, computo metrico-estimativo e capitolato speciale. Opere a rete quelle che, destinate allo svolgimento di flussi, presentano sviluppo unidimensionale e investono vaste estensioni di territorio, quali: strade, ferrovie, acquedotti, fognature, metanodotti, linee elettriche, telegrafiche, fibre ottiche e simili. La impossibilità di eseguire una progettazione delle opere completa sin dall’inizio non consente un appalto a corpo, pertanto si impone il sistema dell’appalto a misura o misto, a corpo e a misura, in relazione al fatto che alcune parti dell’opera siano definibili mediante progetto esecutivo. Lavori di presidio e difesa ambientale, opere puntuali o a rete destinate al risanamento o alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio. Opere e impianti di speciale complessità o di particolare rilevanza tecnologica, per le quali è consentita la progettazione da parte di società di ingegneria anche per importi inferiori a € 200.000 e per le quali è consentito l’appalto concorso (legge 109/1994 art.17 c.4 e 13, art.20 c.4, art.28 c.7) sono quelli caratterizzati da almeno due dei seguenti elementi: • utilizzo di materiali e componenti innovativi; • processi produttivi innovativi o di alta precisione dimensionale e qualitativa; • esecuzione in luoghi che presentano elevata difficoltà logistica o geotecnica, idraulica, geologica, ambientale; • complessità di funzionamento d’uso; • esecuzione in ambienti aggressivi; • dotazioni impiantistiche non usuali.
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ESERCIZIO PROFESSIONALE • ESECUZIONE DEI LAVORI – APPALTI DI OPERE PUBBLICHE PROGETTAZIONE DEI LAVORI PUBBLICI NORME TECNICHE
PROGETTO DEFINITIVO
DPR 554/1999 art.16. I progetti sono redatti in conformità alle regole e norme tecniche vigenti, tenendo conto anche delle normative europee. I prodotti devono rispondere alle regole tecniche di cui all’art.1 c) della legge 317/1986, alle norme di cui all’art.1 c.4 b) e di cui all’art.5 c.1 del DPR 246/1993. Non sono consentite (DLgs 406/1991 art.11) prescrizioni progettuali riguardanti prodotti di una determinata fabbricazione, o provenienza oppure procedimenti particolari che abbiano l’effetto di favorire determinate imprese o escludere altre. Qualora tali prescrizioni siano inevitabili al fine di una descrizione precisa del progetto, l’indicazione deve essere accompagnata dalla espressione “o equivalente”.
DPR 554/1999, articoli da 25 a 34. Contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio del permesso di costruzione o dell’accertamento di conformità ambientale, paesaggistica, urbanistica ed edilizia. Esso è soggetto a una prima verifica, interna all’amministrazione stessa, per accertarne la rispondenza al progetto preliminare e per autorizzare la presentazione agli organi che rilasciano nulla-osta e permessi di costruzione (il Comune se l’opera richiede permesso edilizio o denuncia d’inizio attività e per le opere di interesse statale il Ministero dei lavori pubblici-direzione del coordinamento territoriale, d’intesa con la Regione, secondo la procedura del DPR 383/1994). Deve essere redatto sulla base delle indicazioni del progetto preliminare e di quanto eventualmente prescritto in sede di conferenza dei servizi. In deroga al principio per cui un lavoro può essere posto a base di gara solo qualora sia stato redatto il progetto esecutivo, il progetto definitivo costituisce base di gara negli appalti di cui all’art.19 c.1 b) della legge 109/1994, cioè nel caso i lavori la cui componente impiantistica o tecnologica incida per più del 50% sul valore dell’opera ovvero riguardino manutenzione, restauro e scavi archeologici. In tali casi la progettazione esecutiva è eseguita dall’impresa costruttrice. I grafici e i calcoli preliminari devono essere sviluppati a un livello tale che nella successiva progettazione esecutiva non si verifichino apprezzabili differenze tecniche e di costo.
QUADRI ECONOMICI DPR 554/1999 art.17. I quadri economici degli interventi sono predisposti per ciascun livello di progettazione, con approfondimento progressivo; sono differenziati a seconda della tipologia e categoria dell’intervento. L’importo dei lavori a misura, a corpo, in economia, deve essere suddiviso in importo per l’esecuzione delle lavorazioni e importo per l’attuazione dei piani di sicurezza. ARTICOLAZIONE DEL QUADRO ECONOMICO a) Lavori a misura, lavori a corpo, lavori in economia; b) somme a disposizione dell’amministrazione aggiudicatrice per: • rilievi, accertamenti, indagini; • allacciamenti ai pubblici servizi; • imprevisti; • acquisizione aree e immobili; • prezzo chiuso di cui all’art.26 c.4, legge 109/1994; • spese tecniche di progettazione, coordinamento della sicurezza, conferenza di servizi, direzione lavori, assistenza giornaliera, contabilità, assicurazione dei dipendenti; • spese per attività di consulenza o di supporto; • spese per commissioni giudicatrici; • spese per pubblicità e, ove previsto, per opere d’arte; • spese per analisi di laboratorio, collaudo statico, collaudo tecnico-amministrativo, altri collaudi; • imposte varie e IVA.
DOCUMENTO PRELIMINARE ALLA PROGETTAZIONE DPR 554/1999 art.15. È redatto dal Responsabile del procedimento prima dell’affidamento del progetto preliminare e dell’approvazione dell’elenco annuale. Contiene ogni atto necessario alla redazione del progetto, tra cui la situazione iniziale dei luoghi, gli obiettivi generali da perseguire e le esigenze da soddisfare, vincoli e regole da rispettare, impatti sull’ambiente, fasi e tempi della progettazione, livelli di progettazione e degli elaborati da redigere, limiti finanziari, stima dei costi e fonti di finanziamento, sistema di realizzazione dei lavori.
PROGETTO PRELIMINARE DPR 554/1999, articoli da 18 a 24. Costituisce parte essenziale dell’elenco annuale per i lavori da € 1.000.000 in su, è soggetto all’approvazione della amministrazione appaltante una prima volta al fine di autorizzarne la pubblicazione e una seconda volta, alla luce delle osservazioni pervenute, nell’ambito dell’approvazione del programma. Definisce le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire e consiste in una relazione illustrativa delle ragioni della scelta della soluzione prospettata in base alla valutazione delle eventuali soluzioni possibili, della sua fattibilità amministrativa e tecnica, dei costi, nonché in schemi grafici per l’individuazione delle caratteristiche speciali tipologiche, funzionali e tecnologiche dei lavori. Il progetto preliminare stabilisce le caratteristiche dei progetti definitivo ed esecutivo, in funzione del tipo di opera. ELABORATI DEL PROGETTO PRELIMINARE • Relazione generale; • studio di inserimento ambientale e paesistico; • planimetria generale e schemi grafici; • calcolo sommario della spesa; • elementi per l’avvio della procedura espropriativa. Qualora il progetto preliminare è posto a base di un appalto-concorso devono essere redatti anche: • relazioni e grafici relativi alle indagini geologica, geotecnica, idrologica, idraulica, sismica; • capitolato speciale descrittivo e prestazionale, con indicazione delle condizioni e dei requisiti tecnici inderogabili. I contenuti degli elaborati sono descritti al sottocapitolo A.2.1
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ELABORATI DEL PROGETTO DEFINITIVO • • • • • • • • • • •
Relazione descrittiva; relazioni geologica, geotecnica, idrologica, idraulica, sismica; relazioni tecniche specialistiche; rilievi planoaltimetrici e studio di inserimento urbanistico; elaborati grafici a varie scale; studio di impatto ambientale ove previsto dalle norme ovvero studio di fattibilità ambientale; preliminari delle strutture e degli impianti; disciplinare descrittivo e prestazionale degli elementi tecnici; piano particellare di esproprio; computo metrico-estimativo; quadro economico.
Se il progetto definitivo è posto a base di gara (art.19, c.1 b legge 109/1994), al posto del disciplinare va prodotto lo schema di contratto con il capitolato speciale d’appalto. I contenuti degli elaborati sono descritti al sottocapitolo A.2.1
PROGETTO ESECUTIVO DPR 554/1999, articoli da 35 a 45. Definisce in ogni particolare architettonico, strutturale e impiantistico, l’intervento da realizzare. Restano esclusi solamente i piani operativi di cantiere, i piani degli approvvigionamenti, i calcoli e i grafici relativi alle opere provvisionali. Deve essere redatto nel rispetto del progetto definitivo, delle prescrizioni del permesso di costruire, della conferenza di servizi, della pronuncia di compatibilità ambientale. Deve essere approvato dalla stessa amministrazione appaltante, successivamente alla approvazione del progetto definitivo, come atto propedeutico all’avvio della procedura per l’affidamento dei lavori di costruzione. Inoltre, alla luce delle norme che condizionano l’inizio dei lavori, necessita di essere semplicemente trasmesso, per alcuni aspetti, ovvero approvato, per altri aspetti, da parte degli organi competenti per la vigilanza sulle opere in cemento armato, per le opere in zona sismica, per la prevenzioni incendi, per il contenimento dei consumi energetici ecc. ELABORATI DEL PROGETTO ESECUTIVO • • • • • • • • • • • •
Relazione generale; relazioni geologica, geotecnica, idrologica, idraulica; relazioni tecniche specialistiche ove necessario; elaborati grafici alle varie scale, compresi quelli delle strutture, degli impianti e di ripristino ambientale; calcoli esecutivi delle strutture e degli impianti; elenco dei prezzi unitari ed eventuali analisi; computo metrico-estimativo definitivo e quadro economico; piani di manutenzione dell’opera; cronoprogramma; piani di sicurezza e coordinamento (vedi sottocapitolo C.6.14); quadro dell’incidenza percentuale della quantità di mano d’opera per le diverse categorie di cui si compone l’opera; schema di contratto e capitolato speciale d’appalto.
I contenuti degli elaborati sono descritti al sottocapitolo A.2.1
ESERCIZIO PROFESSIONALE
•
ESECUZIONE DEI LAVORI – APPALTI DI OPERE PUBBLICHE PROGETTAZIONE DEI LAVORI PUBBLICI
C.5. 2.
PRINCIPALI NORME SULLA PROGETTAZIONE
A.ZIONI
CAPITOLATO GENERALE DM 145/2000. Contiene le prescrizioni da applicarsi a tutti i contratti di lavori affidati da pubbliche amministrazioni di cui all’art.2 comma 2 lettera a) della legge 109/1994. Le prescrizioni formano parte integrante del contratto, indipendentemente dalla loro allegazione, ma possono essere convenzionalmente derogate. Il nuovo Capitolato generale è stato approvato con DM 19 aprile 2000 n.145, pubblicato sulla GU n.131 del 7 giugno 2000. Esso tratta della condotta dei lavori da parte dell’appaltatore, della disciplina dei cantieri, degli obblighi generali dell’appaltatore, del trattamento e della tutela dei lavoratori, dell’accettazione, provvista e impiego dei materiali e di altri problemi di cantiere. Con altro decreto sarà adottato uno o più capitolati speciali per i lavori su beni sottoposti alla legge 1089/1939. I lavori connessi a esigenze del Genio militare saranno disciplinati da un apposito regolamento che sostituirà quello ancora vigente.
TARIFFA INGEGNERI E ARCHITETTI • Legge 3 marzo 1949 n.143 – in particolare l’art.19.
OPERE PUBBLICHE • DM 29 maggio 1895 – Regolamento progetti opere dello Stato – Ora abrogato dal DPR 554/1999; • Legge 109/1994 art.16 e altri – Legge quadro; • DPR 21 dicembre 1999 n.554 – Regolamento generale; • DM 19 aprile 2000 n.145 – Capitolato generale d’appalto; • Legge 166/2002 art.7 – Modifiche alla legge 109/1994.
• Legge 17 agosto 1942 n.1150; • DM LLPP 2 aprile 1968 n.1444 – Standard edilizi e urbanistici; • circolare Min. LLPP 1° dicembre 1969 n.6697 – Tariffa.
STRADE
Lo schema di contratto contiene le clausole dirette a regolare il rapporto tra stazione appaltante e impresa con riferimento a: • termini di esecuzione e penali; • programma di esecuzione dei lavori; • oneri a carico dell’appaltatore; • contabilizzazione dei lavori a misura e a corpo; • liquidazione dei corrispettivi; • controlli; • specifiche modalità e termini di collaudo; • modalità di soluzione delle controversie.
• • • •
DM LLPP 1° aprile 1968 n.1404; DLgs 30 aprile 1992 n.285; DPR 16 dicembre 1992 n.495; DPR 26 aprile 1993 n.147.
L’art.45 del regolamento stabilisce che il Capitolato speciale è allegato allo schema di contratto e stabilisce le prescrizioni tecniche da applicare ai lavori in oggetto. Il capitolato speciale di appalto fa parte, insieme allo schema di contratto, del progetto esecutivo e può essere di tipo descrittivo o di tipo prestazionale: tale formulazione consente il passaggio da un approccio “descrittivo” di materiali e componenti, a un approccio “prestazionale”, teso cioè a specificare quali siano le prestazioni che il materiale deve fornire per rispondere alle esigenze che deve soddisfare. Tuttavia il sistema prestazionale non è ancora applicabile a una vasta gamma di materiali e componenti, visto che mancano ancora normative cogenti che definiscano le prestazioni e i sistemi di verifica della rispondenza del materiale alla prestazione richiesta. Esistono comunque normative di prodotto elaborate dall’UNI e norme o benestare tecnici riferiti alla direttiva 1989/106/CEE.
• Legge 5 novembre 1971 n.1086 e successivi DM LLPP, su c.a. e ferro; • DM LLPP 20 novembre1987 sulle murature; • DM LLPP 9 gennaio 1996, 16 gennaio 1996, 16 gennaio 1996 zone sismiche, 14 febbraio 1996.
• Legge 2 febbraio 1974 n.64 – Costruzioni nelle zone sismiche; • DM LLPP 16 gennaio 1996.
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Parte seconda contenente le prescrizioni tecniche, come: modalità di esecuzione e le norme per misurare i lavori; requisiti di accettazione di materiali e componenti; specifiche di prestazione; modalità di prove; ordine da tenersi nella esecuzione di specifiche lavorazioni, se necessario; caratteristiche descrittive e prestazionali dei componenti prefabbricati; documentazione per le prove di laboratorio; piano di qualità di costruzione e di installazione, DPR 554/1999 art.45 c.4, nel caso di interventi complessi; per gli interventi a corpo, l’importo e la percentuale di ciascuno dei gruppi delle lavorazioni omogenee; per gli interventi a misura, l’importo di ciascuno dei gruppi delle lavorazioni omogenee; per gli interventi a corpo e a misura; obbligo dell’impresa di fare il programma esecutivo.
D.GETTAZIONE E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM
BARRIERE ARCHITETTONICHE • • • •
Legge 30 marzo 1971 n.118; Legge 9 gennaio 1989 n.13; DM LLPP 14 giugno 1989 n.236; DPR 24 luglio 1996 n.503.
SICUREZZA SUL LAVORO • DLgs 626/1994 – Sicurezza e salute nei luoghi di lavoro; • DPR 7 gennaio 1956 n.164 – Sicurezza nei cantieri edili; • DLgs 14 agosto 1996 n.494 – Sicurezza nei cantieri edili.
STRUTTURA DEL CAPITOLATO SPECIALE • Parte prima con la descrizione delle lavorazioni, contenente tutti gli elementi necessari per una completa individuazione tecnica ed economica dei lavori da eseguire, anche a integrazione delle parti non del tutto desumibili dalla lettura dei disegni.
E ESE ESSIONAL PROF
STRUTTURE PORTANTI
ZONE SISMICHE
CAPITOLATO SPECIALE
C.RCIZIO
PRO TTURALE STRU
Legge 109/1994 art.16, DPR 554/1999 art.45.
SCHEMA DI CONTRATTO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
URBANISTICA
SCHEMA DI CONTRATTO E CAPITOLATO SPECIALE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
CONSUMI ENERGETICI • Legge 9 gennaio 1991 n.10; • DPR 26 agosto 1993 n.412; • DM industria 6 agosto 1994.
IMPIANTI NEGLI EDIFICI • • • • •
Legge 1 marzo 1968 n.186 – Impianti elettrici; Legge 5 marzo 1990 n.46 – Impianti negli edifici; DPR 6 dicembre 1991 n.447; DPR 26 agosto 1993 n.412 – Impianti termici; DM industria 6 agosto 1994.
ANTINCENDI Numerose circolari e decreti del Ministero dell’interno, non sintetizzabili in questa sede.
. E C.5.2ETTAZION LICI B PROG VORI PUB DEI LA
C 73
C.5. 3./4.
ESERCIZIO PROFESSIONALE LOCALIZZAZIONE DELLE AREE
•
ESECUZIONE DEI LAVORI – APPALTI DI OPERE PUBBLICHE
LOCALIZZAZIONE DELLE AREE PER OPERE PUBBLICHE La legge quadro sui lavori pubblici, n.109/1994, stabilisce agli articoli 14 e 16 che, sin dal momento della programmazione e della progettazione, la realizzazione di una opera pubblica debba essere conforme alle norme urbanistiche. Ai sensi della legge 1/1978, è essenziale che l’opera pubblica comunale da realizzare venga localizzata su una area destinata a servizio pubblico, mentre non costituisce impedimento il fatto che il piano regolatore preveda sull’area la realizzazione di una opera diversa (ad esempio poliambulatorio costruito su area destinata a mercato). Pertanto in tale caso l’approvazione del progetto dell’opera da parte del Consiglio comunale non comporta necessità di approvare una variante al piano regolatore. Nel caso invece che l’opera pubblica debba essere costruita su una area non destinata a servizio pubblico, occorre l’approvazione di una variante al piano regolatore. A tal fine la delibera comunale di approvazione del progetto costituisce adozione di variante al PRG. Essa viene approvata con le modalità previste dalla legge 167/1962; la Regione emana il decreto di approvazione della variante entro 60 giorni dal ricevimento degli atti. In caso di infrastrutture per trasporto, viabilità e parcheggi, tese a migliorare la qualità dell’aria e dell’ambiente nelle città, l’approvazione dei progetti definitivi da parte del Consiglio comunale costituisce variante urbanistica a tutti gli effetti (legge 166/2002 art.38 bis). Per le opere di interesse statale, si applica la procedura dettata dal DPR 383/1994, modificata ai sensi dell’art.17 della legge 127/1997 (Bassanini bis), recepita dalla legge 415/1998 di modifica della legge 109/1994. Tali sono le opere da eseguirsi da amministrazioni statali o comunque insistenti su aree del demanio statale e le opere pubbliche di interesse statale da realizzarsi dagli enti istituzionalmente competenti. In tali casi l’accertamento di conformità alle prescrizioni delle norme e dei piani urbanistici è fatta dallo Stato di intesa con la Regione interessata, entro 60 giorni dalla richiesta della amministrazione statale competente. Nel caso di opere destinate alla difesa militare l’accertamento è fatto solo dallo Stato. Qualora l’opera sia difforme dallo strumento urbanistico e l’accertamento di conformità dia esito negativo, oppure non venga rispettato il termine di 60 giorni, viene convocata una conferenza di servizi alla quale partecipa la Regione interessata e, previa
deliberazione degli organi rappresentativi, il Comune interessato nonché le altre amministrazioni dello Stato e gli enti tenuti ad adottare atti di intesa, o a rilasciare pareri, autorizzazioni, approvazioni, nulla osta, previsti da leggi statali e regionali. La conferenza è indetta dal Provveditore alle OOPP. Essa valuta il progetto definitivo, nel rispetto delle disposizioni relative ai vincoli archeologici, storici, artistici e ambientali, e inoltre apporta ai progetti le opportune modifiche, senza che ciò comporti necessità di ulteriori deliberazioni della amministrazione che ha proposto il progetto. Se il progetto è approvato all’unanimità dalla conferenza di servizi, l’approvazione sostituisce a ogni effetto gli atti d’intesa, i pareri, i nulla osta, previsti da leggi statali e regionali. In mancanza di unanimità, cioè nel caso una amministrazione abbia espresso il proprio motivato dissenso, l’amministrazione che ha proposto il progetto può assumere la determinazione di conclusione positiva del procedimento, dandone comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri ove l’amministrazione procedente o quella dissenziente sia statale; negli altri casi la comunicazione è data al Presidente della Regione e ai sindaci. Detti organi entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione possono sospendere la determinazione inviata, altrimenti la determinazione diventa esecutiva, cioè scatta il silenzio-assenso (art.17 c.2, legge 127/1997, inserito nell’art.14 della legge 241/1990). Tuttavia il Consiglio di Stato con decisione 1622 del 5 novembre 1997, ha espresso il parere che tale procedura non è applicabile ai casi di localizzazione in difformità dallo strumento urbanistico e che pertanto debba essere seguita la procedura dell’art.81 c.4 del DPR 616/1977: se il Consiglio dei ministri ritiene che si debba procedere in difformità dalla previsione degli strumenti urbanistici, si provvede con DPR, sentita la Commissione interparlamentare per le questioni regionali, previa deliberazione del Consiglio dei ministri su proposta del ministro competente per materia. Qualora il motivato dissenso sia stato espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistica, del patrimonio storico-artistico, ovvero della tutela della salute, l’amministrazione che ha proposto il progetto può richiedere (sempre che non vi sia stato una precedente valutazione negativa di impatto ambientale) al Presidente del Consiglio dei ministri la determinazione di conclusione positiva del procedimento.
ATTIVITÀ LIBERA, PERMESSO DI COSTRUIRE E DENUNCIA DI INIZIO ATTIVITÀ ATTIVITÀ LIBERA, PERMESSO DI COSTRUIRE E DENUNCIA DI INIZIO ATTIVITÀ Il Testo Unico dell’Edilizia, DPR 6 giugno 2001 n.380, sulla GU del 20 ottobre 2001, ha riordinato tutta la precedente legislazione sul diritto di costruire. La sua entrata in vigore, più volte differita, è stata definitivamente fissata al 30 giugno 2003. Prima dell’entrata in vigore il TU è stato aggiornato per alcune parti, con riguardo in particolare alle correzioni delle norme per la DIA approvate con legge 443/2001 art.1 comma 6. La modifica al TU è stata approvata con DLgs 301 del 27 dicembre 2002, pubblicato sulla GU del 21 gennaio 2003.
DEFINIZIONI DEGLI INTERVENTI Il TU, all’art.3 comma 1, riproduce parzialmente e sostituisce l’art.31 della legge 457/1978: a) “interventi di manutenzione ordinaria”, gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie a integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti; b) “interventi di manutenzione straordinaria”, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare e integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso; c) “interventi di restauro e di risanamento conservativo”, gli interventi edilizi rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio;
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d) “interventi di ristrutturazione edilizia”, gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi e impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica; e) “interventi di nuova costruzione”, quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali: 1. la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto al n.6); 2. gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune; 3. la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato; 4. l’installazione di torri e tralicci per impianti radioricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione; 5. l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee; 6. gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costru-
zione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale; 7. la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all’aperto ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato; f) gli “interventi di ristrutturazione urbanistica”, quelli rivolti a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale. 2. Le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi. Resta ferma la definizione di restauro prevista dall’art.34 del DLgs 29 ottobre 1999, n.490.
TITOLI ABILITATIVI Attività edilizia libera (art.6) Non richiedono alcun titolo abilitativo, salvo le disposizioni del TU per i beni culturali, i seguenti interventi: 1. manutenzione straordinaria; 2. eliminazione di barriere architettoniche che non comportino rampe o ascensori esterni e non modifichino la sagoma dell’edificio; 3. opere temporanee di carattere geognostico o eseguite in aree esterne al centro edificato. A titolo esemplificativo, tra i lavori di manutenzione ordinaria potrebbero essere compresi i seguenti interventi: 1. pavimenti: demolizione e rifacimento; 2. tetti: sostituzione con medesimi materiali; 3. rivestimenti e intonaci interni compresa loro coloritura: demolizione e rifacimento; 4. infissi interni ed esterni: rifacimento o sostituzione, nel caso di infissi esterni con le stesse caratteristiche; 5. impianti per servizi accessori come idraulico, fogna-
ESERCIZIO PROFESSIONALE • ESECUZIONE DEI LAVORI – APPALTI DI OPERE PUBBLICHE ATTIVITÀ LIBERA, PERMESSO DI COSTRUIRE E DENUNCIA DI INIZIO ATTIVITÀ
C.5. 4. A.ZIONI
tizio, di allontanamento acque meteoriche, di illuminazione, di riscaldamento, di ventilazione e opere inerenti, sempre che non comportino la creazione di nuovi volumi fuori o entro terra; 6. prospetti esterni: intonaci, coloriture e rivestimenti, sempre che siano eseguiti senza modificare i preesistenti aggetti, ornamenti, materiali e colori; 7. impianti solari e di pompe di calore per produzione di aria e acqua calda per edifici esistenti e negli spazi liberi annessi. Nella categoria degli interventi liberi sono compresi anche quelli occorrenti per eliminare barriere architettoniche nelle parti condominiali interne agli edifici. Nel caso di edifici vincolati ai TU sui beni culturali (ex leggi 1089/1939 e 1497/1939), nonché nel caso di edifici ricadenti in zone assoggettate dagli strumenti urbanistici a discipline espressamente volte alla tutela delle loro caratteristiche paesaggistiche, ambientali, storico-archeologiche, storico-artistiche, storico-architettoniche, storicotestimoniali, questi interventi sono assoggettati al nulla osta della Soprintendenza ai monumenti. Permesso di costruire (art.10) L’art.10 al comma 1 stabilisce che sono soggetti a permesso di costruire i seguenti interventi: • interventi di nuova costruzione; • interventi di ristrutturazione urbanistica; • interventi di ristrutturazione edilizia che portino a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamento delle destinazioni d’uso. L’indicazione contenuta al comma 1 non costituisce tuttavia un elenco chiuso: il terzo comma dello stesso articolo attribuisce infatti alle regioni il potere di sottoporre a permesso di costruzione, “in relazione all’incidenza sul territorio e sul carico urbanistico”, ulteriori categorie di interventi. In considerazione dei limiti costituzionali posti alla potestà legislativa regionale viene però espressamente escluso che le fattispecie abusive rispetto a queste ulteriori categorie di interventi possano avere rilievo penale. Ai sensi del secondo comma le Regioni stabiliscono con legge quali mutamenti dell’uso degli immobili (con o senza opere) sono soggetti a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività. Denuncia di inizio attività (art.22) Gli interventi edilizi realizzabili mediante Denuncia di Inizio di Attività sono invece individuati in via residuale rispetto alle categorie espressamente sottoposte a concessione edilizia (eventualmente integrate dalle ulteriori ipotesi individuate dalle singole regioni): l’esplicitazione degli interventi che comportano trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio rende inutile l’elenco degli interventi edilizi minori che era contenuto nell’articolo 4 della legge n.493 del 1993, modificato dalla legge n.662 del 1996. Gli stessi motivi consentono inoltre di ricondurre nell’ambito di questa categoria di interventi anche quelli previsti dall’art.26 della legge 28 febbraio 1985, n.47 sulle opere interne. Nel caso di interventi su immobili sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistico-ambientale la realizzazione dei lavori è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesta dalle norme di tutela, tra le quali il TU dei beni culturali e ambientali, DLgs 490/1999. Dall’11 aprile 2002 è entrata in vigore la Super-DIA prevista dal comma 6 dell’art.1 della legge 21 dicembre 2001 n.443. La norma, entrata in vigore nelle more dell’applicazione del TU, ha esteso la procedura semplificata della “Denuncia di Inizio Attività” ai seguenti lavori: 1. ristrutturazioni edilizie, comprensive della demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma; 2. interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani attuativi che contengano precise disposizioni planovolu-
metriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal competente organo del Comune in sede di approvazione dei piani stessi o di ricognizione di quelli vigenti; 3. interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni planovolumetriche. Riguardo agli “snellimenti” di cui ai punti 2 e 3 sembra difficile che la norma possa essere applicata ai piani già approvati, purché i piani particolareggiati e piani simili in genere non contengano “precise disposizioni… formali e costruttive”. Nulla vieta, invece, che nei piani attuativi ancora da redigere, gli elaborati siano portati a tale punto di dettaglio da rispondere alla norma. Si riporta l’elenco dei lavori che si possono eseguire con semplice Denuncia di Inizio Attività sin dal 1996 ai sensi della legge 662. A tale elenco sono aggiunti i tipi di lavori sopraindicati ai punti 1, 2, 3. Si rammenta che, in ogni caso, la DIA è applicabile a immobili soggetti a tutela dal TU sui beni culturali DLgs 490/1999 solo a condizione di parere favorevole della Soprintendenza ai monumenti e degli altri enti preposti al vincolo: • opere di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo; • opere di eliminazione delle barriere architettoniche in edifici esistenti consistenti in rampe o ascensori esterni ovvero in manufatti che alterino la sagoma dell’edificio; • recinzioni, muri di cinta e cancellate; • aree destinate ad attività sportive senza creazione di volumetria; • opere interne di singole unità immobiliari che non comportino modifiche della sagoma e dei prospetti e non rechino pregiudizio alla statica dell’immobile e, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A (zone per insediamenti storici) di cui all’art.2 del DM LLPP 2 aprile 1968, n.1444 non modifichino le destinazioni d’uso; • revisione o installazione di impianti tecnologici a servizio di edifici o di attrezzature esistenti e realizzazione di volumi tecnici che si rendano indispensabili, sulla base di nuove disposizioni; • varianti a concessioni edilizie già rilasciate che non incidano sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non cambino la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterino la sagoma e non violino le eventuali prescrizioni contenute nella concessione edilizia; • parcheggi di pertinenza nel sottosuolo del lotto su cui insiste il fabbricato. Procedure In base al TU dell’Edilizia gli strumenti utilizzabili sono: denuncia di inizio attività e permesso di costruire. Le procedure previste sono, in sintesi: • Denuncia di Inizio Attività – 30 giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori, l’interessato deve presentare la Denuncia di Inizio Attività accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato, nonché degli opportuni elaborati progettuali che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati e ai regolamenti edilizi vigenti, e infine il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie. Il progettista abilitato deve emettere inoltre un certificato di collaudo finale che attesti la conformità dell’opera al progetto presentato. La DIA deve contenere l’indicazione dell’impresa a cui si intende affidare i lavori. La Denuncia di Inizio Attività è sottoposta al termine massimo di validità fissato in anni 3, con obbligo per l’interessato di comunicare al comune la data di ultimazione dei lavori. In caso di falsa attestazione del professionista che ha redatto la relazione della DIA, il funzionario comunale informa l’autorità giudiziaria e l’Ordine di appartenenza. • Permesso di costruire – la procedura per il rilascio del permesso edilizio fissa in 120 giorni (per i Comuni oltre 100.000 abitanti) il termine entro il quale il responsabile del procedimento deve concludere l’istruttoria,
con l’obbligo, entro lo stesso termine, di convocare la commissione edilizia e con la facoltà di convocare la conferenza dei servizi. Il permesso edilizio deve essere rilasciato entro i successivi 15 giorni. Decorso inutilmente tale termine il richiedente può sollecitare il Comune ad adempiere e successivamente può chiedere l’intervento del presidente della giunta regionale che nomina un commissario ad acta. Questi nel termine di 30 giorni rilascia il permesso. Il rilascio del permesso edilizio è subordinato, salvo casi specifici, al pagamento degli oneri concessori che sono commisurati all’incidenza delle spese per l’urbanizzazione e al costo di costruzione. • Le approvazioni e autorizzazioni delle Soprintendenze ai sensi della legge 1089 del 1939 relative a interventi in materia di edilizia pubblica e privata sui beni di interesse storico e artistico, sono soggette a silenzio-assenzo (dopo 90 giorni più altri 30 giorni a seguito di diffida dell’interessato a provvedere) a seguito della legge 127/1997 art.12 commi 5 e 6. Nei confronti del responsabile del ritardo è promosso procedimento disciplinare. Tale norma è stata richiamata nell’art.24 del DLgs 490/1999, TU dei beni culturali e ambientali. Elenco delle principali norme sul regime giuridico degli interventi edilizi • Legge 28 gennaio 1977 n.10, norme per la edificabilità dei suoli, che all’art.1 stabilisce: “Ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri a essa relativi e la esecuzione delle opere è subordinata a concessione da parte del sindaco ai sensi della presente legge”. Leggi successive hanno individuato altre procedure, più snelle della concessione edilizia, per quegli interventi che si è ritenuto non configurassero trasformazione del territorio. • Legge 457/1978 art.48 che ha istituto la autorizzazione edilizia, limitatamente agli interventi di manutenzione straordinaria. La autorizzazione, a differenza della concessione, non è soggetta a contributi per il rilascio; • DPR 616/1977 art.81, modificato dal DPR 383/1994, che sottrae al controllo del Comune le opere da eseguirsi da amministrazioni statali; • Legge 94/1982 art.7, che estende il campo di applicazione dell’autorizzazione edilizia agli interventi di restauro, di risanamento conservativo ecc.; l’art.8 introduce temporaneamente il silenzio-assenso nelle concessioni edilizie per interventi di edilizia residenziale, fino al 31 dicembre 1984; la legge 179/1992 all’art.23 ha reso definitivo il silenzio-assenso; • Legge 47/1985 art.26, che esclude le opere interne da concessione e autorizzazione edilizia, subordinandole solo alla presentazione di una comunicazione al Sindaco corredata di una relazione tecnica; • Legge 122/1989 art.9, che prevede il silenzio-assenso per la costruzione di parcheggi negli edifici; • Legge 493/1993 art.4, che stabilisce le procedure per il rilascio delle concessioni edilizie; • Legge 23 dicembre 1996 n.662, art.2, c.60, che sostituisce l’art.4 delle legge 493/1993; istituisce la Denuncia di Inizio Attività DIA. Le norme sono state modificate con legge 27 febbraio 1997 n.30 art.10, con legge 23 maggio 1997 n.135 art.11 e con legge 21 dicembre 2001 n.443 art.1 c.6; • Legge 127/1997 art.12 commi 5 e 6, silenzio-assenso per le approvazioni ai sensi della legge 1089/1939; • TU dei beni culturali e ambientali, DLgs 490/1999; • TU dell’Edilizia, DPR 6.6.2001n n.380, modificato con DLgs 27dicembre 2002 n.301, in vigore dal 30 giugno 2003; • Legge 21 dicembre 2001 n.443 art.1, comma 6, estende l’applicabilità della DIA alle ristrutturazioni edilizie, compresa la demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma, e alle nuove costruzioni nel caso che i piani attuativi contengano precise disposizioni planovolumetriche, tipologiche, formali e costruttive.
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ESERCIZIO PROFESSIONALE ESPROPRIAZIONE
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ESECUZIONE DEI LAVORI – APPALTI DI OPERE PUBBLICHE
ESPROPRIAZIONE Si applicano le disposizioni della legge 865/1971 e quelle della legge 2359/1865 che non risultano in contrasto con la 865/1971. Per la determinazione della indennità di esproprio di aree fabbricabili si applica anche l’art.5 bis della legge 359/1992. Le molteplici disposizioni che nel tempo si sono succedute sono state raccolte e riordinate nel Testo Unico sugli espropri per pubblica utilità che è stato pubblicato nella GU del 16 agosto 2001, con il titolo DPR 8 giugno 2001 n.327. Inizialmente la entrata in vigore è stata differita al 31 dicembre dello stesso anno 2001, ma la data è stata di nuovo spostata per due volte. Recentemente, prima della entrata in vigore, il TU è stato modificato con DLgs 27 dicembre 2002 n.302, pubblicato sulla GU del 22 gennaio 2003. Il Testo Unico entrerà in vigore il 30 giugno 2003. In attesa di circolari attuative ed esplicative del TU, qui si illustrano le procedure in vigore attualmente. Il procedimento è applicabile a tutte le opere pubbliche eseguite da qualunque ente pubblico. Può essere applicato anche a opere promosse da società private sempre che abbiano le stesse finalità di pubblico interesse. La procedura di legge è integrata da norme regionali. Esistono in merito istruzioni sulla procedura espropriativa emanate da alcune regioni (Lazio, Lombardia ecc.). Di seguito se ne riporta una sintesi. 1. In linea generale l’ente o persona giuridica che intende epropriare deve esprimere la propria volontà nelle forme e con le modalità prevista con la legge che ne disciplina l’attività. Nel caso di un Comune nella qualità di ente espropriante occorre una apposita deliberazione per la realizzazione dell’intervento pubblico. La approvazione del progetto di una opera pubblica da parte del competente organo statale, regionale, o altro ente territoriale, equivale a dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza e indifferibilità dell’opera (legge 1/1978).
2. L’art.10 della legge 865/1971 fa obbligo alle amministrazioni e agli altri soggetti soggetti legittimati a promuovere il procedimento espropriativo per pubblica utilità, di depositare presso la segreteria del Comune nel cui territorio sono compresi gli immobili da espropriare i seguenti atti: • relazione esplicativa dell’opera da realizzare, con l’indicazione della spesa prevista e dei mezzi disponibili o attivabili per far fronte al conseguente onere finanziario; ai sensi della legge 109/1994 deve essere allegato almeno il progetto preliminare dell’opera. Ove l’espropriante intenda ottenere anche la dichiarazione di indifferibilità e urgenza dei lavori, è necessario che siano esposti chiaramente i motivi della richiesta per permettere all’organo competente di adottare tale dichiarazione e di giustificare il provvedimento stesso; • mappe catastali sulle quali siano chiaramente indicate le aree da espropriare; • piano particellare con l’elenco delle ditte proprietarie iscritte negli atti catastali; • planimetria del piano urbanistico vigente. 3. Il Sindaco notifica agli espropriandi e dà notizia al pubblico dell’avvenuto deposito entro 10 giorni mediante avviso nell’Albo del Comune e nel foglio annunzi legali della Provincia. Nei successivi 15 giorni gli interessati possono presentare osservazioni e entro altri 15 giorni il Sindaco trasmette gli atti al presidente della Giunta regionale con le controdeduzioni dell’espropriante e le osservazioni del Comune. 4. Entro 30 giorni dal ricevimento, il presidente della Giunta regionale adotta un decreto per dichiarare, la pubblica utilità, ove occorra, nonché l’indifferibilità e l’urgenza delle opere, ove occorra, e stabilisce la misura dell’indennità di espropriazione (in base all’art.16 legge 865/1971 e all’art.5 bis legge 359/1992),
da corrispondere a titolo provvisorio, agli aventi diritto. La dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità molto spesso è di competenza del Comune o altro ente, ovvero è “ope legis”; in tali casi deve essere inserita tra i documenti trasmessi alla Regione. 5. L’ammontare della indennità provvisoria è comunicato ai proprietari espropriandi a cura della Regione. L’art.12 della legge 865/1971 consente al proprietario tre possibilità: • pervenire alla cessione volontaria del bene per un prezzo maggiorato del 50% dell’indennità provvisoria; la cessione interrompe il procedimento espropriativo; • accettare l’indennità; conseguentemente la Regione ordina all’espropriante il pagamento della indennità accettata; • lasciare decorrere il termine senza accettare; l’indennità si intende rifiutata; l’ente espropriante chiede alla Regione l’ordinanza di deposito delle indennità presso la Cassa DDPP e, adempiuto l’obbligo del deposito, chiede l’emanazione del decreto di esproprio. 6. Il decreto di esproprio è emesso dal presidente della Giunta regionale; nel caso di opere statali la competenza è del Prefetto. Dal momento della trascrizione del decreto, la procedura di esproprio è conclusa e tutti i diritti dell’ex proprietario possono essere fatti valere esclusvamente sull’indennità. 7. Per gli immobili la cui indennità provvisoria non sia stata accettata, la Commissione provinciale espropri (avente sede presso l’ufficio tecnico erariale) determina la indennità definitiva. L’espropriante comunica l’indennità ai proprietari. Sia i proprietari che l’espropriante possono opporsi alla stima effettuata dalla Commissione, davanti alla Corte d’appello.
OCCUPAZIONE D’URGENZA Si tratta di una procedura molto importante perché consente la rapida acquisizione dell’immobile, indipendentemente dalla conclusione dell’esproprio. Presupposto essenziale è che l’opera sia stata riconosciuta di pubblica utilità, urgente e indifferibile. Le funzioni amministrative inerenti alle occupazioni d’urgenza ex art.20 legge 865/1971, per le opere di interesse regionale spettano, in base a leggi nazionali o regionali, all’ente che ha competenza per la realizzazione dell’opera (Regione, Provincia, Comune ecc.). La procedura consiste in tre atti: 1. decreto di occupazione di urgenza; 2. redazione dello stato di consistenza e della presa di possesso;
3. richiesta per la indicazione dell’indennità di occupazione. Per l’emissione del provvedimento di occupazione di urgenza occorre il piano particellare, composto da: a) elenco degli immobili da occupare con generalità e recapito degli intestatari catastali, partita, foglio e particella, superficie degli immobili e superficie da occupare; b) estratto della mappa catastale con indicazione esatta dell’area da occupare. Il provvedimento deve contenere l’indicazione della durata del periodo di occupazione, non superiore a 5 anni. Il decreto perde ogni efficacia qualora l’occupazione non sia effettuata entro 3 mesi dalla emanazione. Lo stato di consistenza, ai sensi dell’art.3 c.2, legge 1/1978,
va compilato dopo che sia stata disposta la occupazione di urgenza a cura dell’ente espropriante, che vi provvede in concomitanza con la redazione del verbale di immissione in possesso. Eseguita l’occupazione e redatti i verbali relativi allo stato di consistenza e alla immissione nel possesso, l’ente espropriante e occupante chiede alla Commissione provinciale per gli espropri di determinare la indennità di occupazione. Questa viene calcolata in una somma pari, per ciascun anno di occupazione, a un dodicesimo dell’indennità che sarebbe dovuta per l’esproprio. Gli interessati possono opporsi alla determinazione dell’indennità facendo ricorso alla Corte di appello.
INDENNITÀ DI ESPROPRIO Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale l’indennizzo per l’espropriazione non deve necessariamente costituire una integrale riparazione al sacrificio imposto al proprietario per la perdita subita, ma non deve neanche essere irrisorio. Perciò deve essere un serio ristoro per la sottrazione del bene, valutato in relazione al valore di mercato del bene. L’indennità deve essere calcolata sui valori correnti alla data del decreto di esproprio. Ai sensi del DLgs 504/1992 oltre l’indennità può essere corrisposta una maggiorazione pari alla differenza tra l’importo dell’imposta comunale sugli immobili pagata negli ultimi 5 anni e l’importo risultante dal computo dell’imposta comunale sugli immobili effettuato sulla base dell’indennità. La maggiorazione è incrementabile degli interessi legali. Il sistema di calcolo è diverso a seconda che si tratti di aree agricole e non edificabili ovvero si tratti di aree edificabili. • Nel caso di aree agricole o non edificabili si applica la legge 865/1971 che all’art.16, commi 4 e 5, stabilisce che la Commissione provinciale espropri deter-
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mina ogni anno, nell’ambito delle singole regioni agrarie delimitate dall’ISTAT, il valore agricolo medio dei terreni, secondo i tipi di coltura effettivamente praticati. L’indennità di espropriazione è commisurata al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura in atto nell’area da espropriare. Ai sensi dell’art.17 nel caso l’area sia coltivata dal proprietario coltivatore diretto, nell’ipotesi di cessione volontaria il prezzo di cessione viene triplicato. Tale maggiorazione non si applica alla maggiorazione del 50% che spetta alla generalità dei casi di cessione volontaria. Nel caso invece che l’area sia coltivata da fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante, costretto ad abbandonare il terreno, ferma restando l’indennità spettante per l’art.16 al proprietario, uguale importo deve essere corrisposto a chi dei suddetti coltivi il terreno da almeno un anno prima del deposito della relazione di cui all’art.10. • Nel caso di aree edificabili si applica l’art.5 bis della legge 359/1992, che fa riferimento, modificandolo, all’art.13 della legge 2892/1885.
L’indennità di esproprio è calcolata come media tra il valore venale e il reddito dominicale rivalutato, ridotta del 40%. Il reddito dominicale rivalutato è in relazione all’articolo 24 e seguenti del DPR 917/1986. A seguito della sentenza della Corte costituzionale 283/1993, il reddito dominicale deve essere moltiplicato per 10 anni. Quindi l’indennizzo è pari a: ( (Vv + 10 Rd) : 2) x 0,60, dove Vv è il valore venale e Rd è il reddito dominicale. In ogni fase del procedimento espropriativo il proprietario può convenire la cessione volontaria del bene. In tale caso non si applica la riduzione del 40% e la formula è: (Vv + 10 Rd) : 2. Il DLgs 504/1992 stabilisce che l’indennità di espropriazione è ridotta a un valore pari al valore indicato nell’ultima dichiarazione o denuncia presentata dall’espropriato ai fini dell’applicazione dell’imposta qualora il valore dichiarato risulti inferiore all’indennità di espropriazione.
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ESECUZIONE DEI LAVORI – APPALTI DI OPERE PUBBLICHE VERIFICA E VALIDAZIONE DEI PROGETTI
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VERIFICA E VALIDAZIONE DEI PROGETTI Legge 109/1994 art.30 c.6 modificato dalla legge 166/2002, DPR 554/1999 artt.46-48. Prima di iniziare le procedure per l’affidamento dei lavori, la stazione appaltante deve verificare la rispondenza degli elaborati progettuali all’art.16 commi 1 e 2 della legge e loro conformità alla normativa vigente: • il progetto preliminare deve essere verificato per testare, tra l’altro, la rispondenza al “documento preliminare di avvio alla progettazione”; • il progetto esecutivo (o il progetto definitivo in caso di progetti integrati), prima della sua approvazione, deve essere validato per verificarne la conformità alla normativa vigente e al documento preliminare alla progettazione. Alla verifica sono chiamati a presenziare i progettisti. In particolare la verifica riguarda: • sottoscrizione dei documenti di progetto da parte dei progettisti, ai fini dell’assunzione delle responsabilità; • completezza della documentazione sulla fattibilità dell’intervento; • esistenza delle indagini geologiche, geotecniche, archeologiche; • completezza e chiarezza degli elaborati progettuali, grafici, descrittivi, tecnico-economici; • esistenza delle relazioni di calcolo delle strutture e degli impianti e valutazione dell’idoneità dei criteri adottati; • esistenza dei computi metrico-estimativi e corrispondenza tra elaborati grafici e prescrizioni di capitolato; • rispondenza alle esigenze di manutenzione e gestione;
• valutazione di impatto ambientale, ove prescritta; • esistenza delle dichiarazioni relative al rispetto delle normative applicabili al progetto; • acquisizione di tutte le approvazioni di legge prescritte per il progetto, a garanzia della immediata cantierabilità; • coordinamento tra le prescrizioni di progetto e le clausole dello schema di contratto e del capitolato speciale d’appalto, nonché verifica della loro legalità. La verifica va fatta prima di iniziare le procedure per l’appalto, secondo modalità definite in un regolamento da emanare in base ai seguenti criteri: • per lavori superiori a € 20 milioni la verifica deve essere fatta da organismi di controllo accreditati ai sensi della norma europea UNI CEI EN 45004; • per lavori sotto € 20 milioni la verifica può essere fatta dall’ufficio tecnico dell’ente stesso se il progettista è esterno ovvero se l’ufficio è dotato di un sistema interno di controllo di qualità ovvero da altri soggetti stabiliti nel regolamento; • sino alla entrata in vigore del regolamento la verifica può essere effettuata dagli uffici tecnici o dai detti organismi di controllo. Nel caso di incarichi sotto la soglia comunitaria la verifica può essere affidata a soggetti di fiducia della stazione appaltante. Per i contratti di importo superiore a € 100 milioni, un regolamento da emanare istituirà un sistema di garanzia globale di esecuzione che sarà obbligatorio per tutti i contratti di progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori (appalto integrato) di importo superiore a € 75 milioni.
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APPROVAZIONE DEI PROGETTI
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APPROVAZIONE DEI PROGETTI • Progetto preliminare, che è parte essenziale dell’elenco annuale, è soggetto all’approvazione della amministrazione appaltante una prima volta al fine di autorizzarne la pubblicazione e una seconda volta, alla luce delle osservazioni pervenute, nell’ambito dell’approvazione del programma.
• Progetto definitivo, contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio del permesso di costruzione o dell’accertamento di conformità ambientale, paesaggistica, urbanistica ed edilizia. Esso è soggetto a una prima verifica, interna all’amministrazione stessa, per accertarne la rispondenza al progetto preliminare e per autorizzare la presentazione agli organi che rilasciano nulla-osta e permessi di costruzione (il Comune se l’opera richiede permesso di costruzione o denuncia d’inizio attività e per le opere di interesse statale il Ministero dei lavori pubblici – Direzione del coordinamento territoriale, d’intesa con la Regione, secondo la procedura del DPR 383/1994).
• Progetto esecutivo, deve essere approvato dalla stessa amministrazione appaltante, successivamente alla approvazione del progetto definitivo, come atto propedeutico all’avvio della procedura per l’affidamento dei lavori di costruzione. Inoltre, alla luce delle norme che condizionano l’inizio dei lavori, necessita di essere semplicemente trasmesso, per alcuni aspetti, ovvero approvato, per altri aspetti, da parte degli organi competenti per la vigilanza sulle opere in cemento armato, per le opere in zona sismica, per la prevenzioni incendi, per il contenimento dei consumi energetici ecc.
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CONFERENZA DI SERVIZI
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CONFERENZA DI SERVIZI Legge 340/2000, legge 241/1990 art.14, legge 109/1994 art.7, DPR 554/1999 art.49. Il funzionamento della conferenza di servizi è stato modificato dalla legge 340/2000 sulla semplificazione dei procedimenti amministrativi. La nuova normativa modifica l’art.14 della legge 241/1990. Per i lavori pubblici si continua ad applicare l’art.7 della legge 109/1994. Sintesi della procedura: • l’amministrazione deve sempre indire la conferenza (prima era solo facoltata a farlo) quando occorra acquisire assensi di altre amministrazioni e non li abbia ottenuti dopo 15 giorni dalla richiesta (art.14); • la conferenza può essere richiesta da un privato all’amministrazione competente per l’adozione del provvedimento finale; • nelle procedure di realizzazione di opere pubbliche o di pubblico interesse, la conferenza si esprime sul progetto preliminare al fine di indicare quali siano le condizioni per ottenere le approvazioni richieste dalla normativa. La conferenza può richiedere chiarimenti e documentazione direttamente ai progettisti. Le amministrazioni convocate devono essere rappresentate da soggetti muniti, per delega, dei poteri spettanti all’amministrazione stessa.
In caso di assenza o di presenza di rappresentante non munito di poteri, la conferenza è riconvocata una sola volta, e decide prescindendo dalla presenza della totalità delle amministrazioni e dalla adeguatezza dei poteri. Il dissenso deve essere motivato e recare, pena la inammissibilità, la indicazione delle modifiche al progetto, necessarie ai fini dell’assenso; • le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, del patrimonio storico-artistico, o della tutela della salute si pronunciano sul progetto; qualora non emergano elementi che precludano l’approvazione del progetto esse indicano, entro 45 giorni, le condizioni necessarie per ottenere il consenso sul progetto definitivo; • la procedura deve essere conclusa nel termine di 90 giorni; • le decisioni sono prese a maggioranza. Solo in caso di dissenso espresso dalle amministrazioni di tutela sopra dette, il progetto non può essere approvato anche qualora la maggioranza sia favorevole. In sostanza resta in vigore il potere di veto delle Soprintendenze, organi periferici del Ministero per i beni ambientali e le attività culturali. Tuttavia in tale caso la decisione finale è rimessa al Consiglio dei ministri, al quale l’amministrazione che aveva convocato la conferenza è tenuta a rimettere la decisione.
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C.5. 9.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • ESECUZIONE DEI LAVORI – APPALTI DI OPERE PUBBLICHE PROCEDURE DI AFFIDAMENTO DI INCARICHI PROCEDURE DI AFFIDAMENTO DI INCARICHI PUBBLICI Normalmente l’amministrazione appaltante nella fase di preparazione del programma triennale e di quello annuale deve assumere decisioni relative a incarichi professionali. Qualora per carenze o inadeguatezza dell’organico dell’ufficio tecnico, vi sia necessità di supporto all’attività del responsabili di procedimento, la amministrazione può avvalersi di professionisti o società esterne, affidando l’incarico ai sensi del DLgs 157/1995. I supporti esterni possono essere utilizzati per la elaborazione degli studi di fattibilità finalizzati alla stesura del programma triennale e alla redazione del progetto preliminare, nonché a collaborare nelle fasi di redazione dei progetti e di esecuzione dei lavori. Già nella fase degli studi di fattibilità l’amministrazione deve decidere sul sistema di affidamento della progettazione, in collegamento con la scelta del sistema di realizzazione dei lavori, secondo varie opzioni: • redazione della progettazione da parte dell’ufficio tecnico, dal preliminare all’esecutivo; • redazione da parte dell’ufficio del solo progetto preliminare e affidamento all’esterno delle altre fasi; • ricorso al concorso di idee; • ricorso al concorso di progettazione, sulla base dello studio di fattibilità, per la redazione del progetto preliminare e successiva trattativa privata con il vincitore o i vincitori per l’affidamento delle altre fasi di progettazione; • ricorso al concorso di progettazione sulla base del progetto preliminare; in tal caso il progetto non deve essere vincolante per gli aspetti di funzionalità e forma dell’opera, così che attraverso il concorso il progetto preliminare possa essere specificato e completato, senza tuttavia pervenire a uno stato di progettazione assimilabile al
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definitivo; affidamento delle successive fasi di progettazione e trattativa privata al vincitore o ai vincitori; ricorso ad appalto-concorso, sulla base di progetto preliminare integrato da capitolato prestazionale; consentito solo per lavori speciali o opere complesse o a elevata componente tecnologica, e previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici; redazione dei progetti preliminare e definitivo, nel caso di appalto integrato, consentito per lavori di importo inferiore a € 200.000 o superiore a € 10 milioni, nonché, senza limiti di importo, per lavori la cui componente impiantistica e tecnologica incida più del 60% sul valore dell’opera, ovvero di manutenzione, restauro e scavi archeologici; i lavori vengono aggiudicati sulla base del progetto definitivo e la progettazione esecutiva è demandata all’impresa aggiudicataria dell’appalto; redazione del progetto preliminare, nel caso di concessione di costruzione e gestione; i lavori vengono aggiudicati sulla base del progetto preliminare, mentre i progetti definitivo ed esecutivo vengono redatti dall’impresa concessionaria; nel caso la carenza di organico riguardi solo alcune parti del progetto come le strutture e gli impianti, è possibile affidare all’esterno solo quella parte; tale soluzione appare tuttavia sconsigliabile perché può minare l’unitarietà del progetto e indurre confusione nel campo delle responsabilità; affidare all’esterno attività tecnico-amministrative connesse alla progettazione: questa possibilità fornisce un ampio spazio di manovra per l’amministrazione e non coinvolge la progettazione, ma le attività a essa connesse e quindi non crea problemi nel campo della qualità e della responsabilità del progetto.
CONCORSI DI IDEE E CONCORSI DI PROGETTAZIONE L’art.17 della legge 109/1994 stabilisce che in caso di opere di rilevanza architettonica, ambientale ecc. deve essere valutata prioritariamente la opportunità di esperire un concorso di progettazione o di un concorso di idee. Quindi l’amministrazione che deve realizzare un’opera deve prioritariamente valutare se fare un concorso. Solo in caso di valutazione negativa può procedere ad affidare la progettazione con gli altri sistemi, cioè incarico diretto (fino a 40.000 ecu) e gara. In molti casi i lavori di restauro mal si prestano a fare concorsi perché le scelte progettuali spesso non riguardano tanto la configurazione spaziale o la organizzazione funzionale dell’edificio, quanto i criteri per ripristinare o consolidare ambienti deteriorati e per intervenire sui materiali. Il concorso invece si presta al confronto tra soluzioni alternative nette, come avviene nella progettazione di interventi nuovi. Ciò non toglie che esistono casi nei quali l’intervento sull’edificio esistente presupponga l’effettuazione di scelte chiaramente configurabili e che pertanto il concorso sia utile e fattibile. Il concorso di idee è regolato dagli articoli 57 e 58 del DPR 554/1999 regolamento dei lavori pubblici. Il livello di progetto richiesto non può essere pari o superiore al progetto preliminare. L’idea premiata è acquisita in proprietà dalla stazione appaltante. Al fine di realizzare l’opera, l’idea premiata può essere messa a base di gara di un concorso di progettazione ovvero di un appalto di servizi volto ad assegnare l’incarico di progettazione definitiva ed esecutiva. Il vincitore del premio è ammesso di diritto a partecipare al concorso o alla gara, sempre che sia in possesso dei requisiti soggettivi.
Possono partecipare al concorso, oltre a liberi professionisti, società, e dipendenti pubblici a part time, anche professionisti dipendenti iscritti all’Ordine, nel rispetto delle norme che regolano il rapporto di impiego, cioè se autorizzati, con esclusione dei dipendenti dell’ente banditore. Il concorso di progettazione (art.59-61 DPR 554/1999), ha per oggetto la presentazione di un progetto preliminare. Normalmente il concorso è aggiudicato al pubblico incanto, cioè tutti i liberi professionisti possono partecipare consegnando un progetto. Per particolari ragioni il concorso può essere svolto con il sistema della licitazione privata, cioè invitando tutti a presentare domanda di partecipazione con le proprie qualifiche e scegliendo tra questi i professionisti (tra 10 e 20) da invitare a presentare un progetto. Sono previsti un premio per il vincitore (60% della parcella del progetto preliminare) e rimborsi spese a progetti meritevoli. Al vincitore può possono essere affidate le progettazioni definitiva ed esecutiva, previo esperimento di una trattativa privata. In caso di opera importante può essere attuato un concorso in due gradi: il primo, aperto a tutti i liberi professionisti, consiste nel presentare proposte di idee entro 90 giorni. I selezionati sono invitati a presentare un progetto preliminare entro 120 giorni. Il vincitore ha diritto all’incarico di progettazione definitiva ed esecutiva. In determinati casi è possibile che la stazione appaltante chieda nel primo grado un progetto preliminare e nel secondo grado un progetto definitivo.
AFFIDAMENTO DI INCARICHI SOTTO 100.000 EURO Per incarichi di importo inferiore a € 100.000 la legge non richiede di effettuare una gara formale. L’amministrazione deve dare pubblicità alla intenzione di acquisire la prestazione professionale. L’incarico è affidato a un professionista di fiducia. La relativa decisione deve essere resa nota “con adeguate formalità” e deve contenere la motivazione della scelta effettuata. L’incarico non può essere affidato a una società di ingegneria, salvo opere di particolare complessità. Tuttavia l’Autorità per i lavori pubblici ha fornito alcuni criteri da seguire: • Pubblicità e criteri di selezione. Per questo tipo di incarichi il DPR 554/1999 prevede un sistema semplificato, disponendo di dare “adeguata pubblicità” all’esigenza di acquisire la prestazione professionale e di rendere noto l’affidamento dell’incarico con “adeguate formalità”, unitamente alle motivazioni della scelta effettuata; non vengono pertanto definiti tempi e modi della pubblicità né vengono stabiliti precisi criteri di selezione. I criteri di selezione comunque devono essere resi noti dall’amministrazione e dovranno sempre essere tali da consentire la verifica dell’esperienza e della capacità professionale del progettista, anche in relazione al progetto da affidare. • Naturalmente, qualora l’amministrazione opti per una procedura pubblica, il mezzo prescelto per pubblicizzare l’Avviso di selezione dovrà essere tale da raggiungere la più ampia sfera possibile di professionisti. Pur trattandosi di Avviso di selezione e non di Bando di gara, l’Avviso dovrà contenere quelle notizie che consentano di individuare l’oggetto dell’incarico e il suo valore (con l’indicazione dell’entità dei lavori e del compenso stimato), nonché gli elementi da valutare ai fini della selezione, elementi che non potranno comunque essere estranei a quelli deducibili dal curriculum. In merito ai tempi di pubblicazione dell’Avviso, è assolutamente insufficiente una pubblicazione solo all’Albo pretorio e per soli 10 giorni.
C 78
• Curriculum. Occorre che l’Avviso esponga i criteri di valutazione dei curricula perché, pur in mancanza di obbligo di legge, la stazione appaltante deve comunque rispettare criteri di imparzialità e di buona amministrazione. Non sono pertanto corretti gli Avvisi che rivendicano la insindacabilità della scelta o che indicano criteri non razionali e lesivi della par condicio tra i partecipanti alla selezione. • Compenso subordinato. Non è consentito l’affidamento di incarichi di progettazione che subordinino il compenso della prestazione al finanziamento dell’opera, prevedendo in caso di mancato finanziamento, la prestazione gratuita o un simbolico rimborso delle spese. Ciò è espressamente stabilito dall’art.17 comma 12 bis della legge 109/1994-415/1998. • Frazionamento dell’incarico. La valutazione del compenso professionale determina la scelta della procedura in base alle soglie di 100.000 e 200.000 euro: perciò nel caso di affidamento di incarico di progetto definitivo, al quale potrebbe in secondo tempo seguire anche l’affidamento del progetto esecutivo e della direzione lavori, la valutazione del compenso deve comprendere anche gli importi per le altre prestazioni. La gara dovrà essere conforme alle procedure per gare oltre 40.000 euro, anche se il solo progetto definitivo preveda un compenso inferiore a 40.000 euro. In caso diverso si può configurare un artificioso frazionamento dell’incarico. Un caso di artificioso frazionamento è anche quello del Comune che ha affidato al medesimo gruppo di professionisti più incarichi di progettazione pubblicizzati con lo stesso Avviso. In tale caso erano stati giudicati idonei anche altri professionisti, ma gli incarichi furono affidati a un unico gruppo invece che applicare un opportuno criterio di rotazione. Affidare più incarichi allo stesso gruppo di fatto è stato come affidare un incarico di importo molto superiore a 100.000 euro.
ESERCIZIO PROFESSIONALE
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ESECUZIONE DEI LAVORI – APPALTI DI OPERE PUBBLICHE PROCEDURE DI AFFIDAMENTO DI INCARICHI
A.ZIONI
AFFIDAMENTO DI INCARICHI TRA 100.000 EURO E 200.000 DSP Per questa fascia di incarichi l’importo è riferito alla progettazione e alle prestazioni accessorie. La soglia superiore è riferita al controvalore in euro di 200.000 DSP (Diritti Speciali di Prelievo). Nel caso di Ministeri l’importo è di 130.000 DSP. L’incarico è affidato mediante licitazione privata. La procedura è indicata negli articoli da 63 a 64 del DPR 554/1999. Tali norme sono applicabili fino a quando verrà emanato un nuovo regolamento, come stabilito dalla legge 166/2002 art.7. Il bando deve essere reso noto tramite Gazzetta Ufficiale. Esso contiene, tra l’altro, l’importo complessivo dei lavori, l’importo dell’incarico, il tempo massimo per l’espletamento dell’incarico, il massimale dell’assicurazione del professionista, il numero (compreso tra 10 e 20) dei soggetti da invitare a presentare l’offerta. Il requisito base per l’ammissione alla gara, è che la somma degli importi di tutti i lavori attinenti (per classe e categoria di cui alla tariffa professionale) al lavoro da affidare, svolti nel decennio antecedente alla data del bando, deve essere fra 3 e 5 volte (da stabilire nel bando) l’importo dei lavori da affidare. I soggetti che rispondono a tale requisito sono inseriti in una graduatoria formata secondo i criteri fissati dall’allegato D al DPR 554/1999.
C.5. 9.
Il punteggio per la graduatoria viene aumentato del 5% se uno dei professionisti del gruppo che si candida è abilitato da meno di 5 anni; viene aumentato del 10% se un professionista possiede il certificato di qualità aziendale. Ai professionisti selezionati (da 10 a 20, come da bando) viene inviata la lettera di invito a presentare offerta. L’offerta deve contenere, tra l’altro: • documentazione grafica e descrittiva di non più di 3 progetti redatti, scelti tra interventi affini a quello in gara; l’affinità si verifica se l’opera rientra nella stessa categoria e classe della tariffa professionale legge 143/1949; • modalità di svolgimento della prestazione; • curricula dei professionisti del gruppo, redatti secondo gli allegati G e H al DPR 554/1999; • ribasso percentuale da applicare al rimborso spese, alle prestazioni speciali e accessorie di cui all’art.63 comma 1 lettere d) ed e); • riduzione da applicare al tempo per lo svolgimento dell’incarico. Le offerte sono valutate con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, prendendo in considerazione i contenuti dell’offerta secondo fattori ponderali fissati nel bando di gara nei limiti stabiliti dall’art.64 comma 3.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
AFFIDAMENTO DI INCARICHI SUPERIORI A 200.000 DSP L’incarico è affidato mediante licitazione privata o pubblico incanto. La procedura è indicata negli articoli da 65 a 70 del DPR 554/1999. L’importo di 200.000 DSP è pari a € 214.326,00. Nel caso di Ministeri l’importo è di 130.000 DSP. Si applicano le procedure previste dalla normativa comunitaria, recepita con DLgs 157/1995 e DLgs 65/2000, per quanto riguarda i termini, i bandi, gli avvisi di gara. Requisiti di partecipazione sono: • fatturato globale dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria, espletati negli ultimi 5 esercizi antecedenti la pubblicazione del bando, per un importo variabile da 3 a 6 volte l’importo a base di gara; • avvenuto espletamento negli ultimi 10 anni di servizi relativi a lavori appartenenti a ognuna delle classi e categorie (di cui alla tariffa professionale) dei lavori da affidare, per un importo globale per ogni classe e categoria tra le 2 e le 4 volte l’importo dei lavori in gara; • avvenuto svolgimento negli ultimi 10 anni di 2 servizi relativi ai lavori appartenenti a ognuna delle classi e categorie dei lavori in gara, per un importo totale compreso tra 0,40 e 0,80 volte l’importo dei lavori da affidare;
• numero medio annuo del personale tecnico utilizzato negli ultimi 3 anni, inclusi i soci attivi, i dipendenti e consulenti con contratti di collaborazione coordinata e continuativa su base annua, in misura tra 2 e 3 volte le unità stimate nel bando. I limiti di partecipazione sono indicati nell’art.51 del DPR 554/1999. Nel caso di licitazione privata, a seguito di pubblicazione del bando, tra le domande pervenute sono invitati a presentare offerta i soggetti in possesso dei requisiti minimi in numero previsto dal bando e compreso tra 5 e 20. Se i soggetti in possesso dei requisiti sono meno di 5. Occorre procedere a una nuova gara. Se il numero dei soggetti in possesso dei requisiti minimi è superiore al numero fissato, la scelta dei soggetti da invitare viene effettuata per una metà arrotondata per difetto sulla base dei criteri di cui all’allegato F al DPR 554/1999 e per l’altra metà tramite sorteggio pubblico. Nel caso di pubblico incanto nel bando di gara vanno inseriti gli elementi di cui all’art.63, comma 1 lettere da a) a g), m),n), e q) e all’art.66, commi 1 e 3, nonché gli elementi previsti dalle norme comunitarie e nazionali in materia di appalti pubblici di servizi.
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM
TAB. C.5.9./1 SISTEMI DI AFFIDAMENTO DI INCARICHI PROFESSIONALI DI LAVORI PUBBLICI TIPI DI INCARICO
C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E
IMPORTO INCARICO (euro) meno di 100.000
100.000 - 200.000
oltre 200.000
INCARICO DIRETTO (Fiduciario)
Adeguata pubblicità prima e dopo l’affidamento: Non consentito. • scelta motivata.
Non consentito.
CONCORSO DI IDEE
Pubblico incanto: • progetto di livello inferiore al preliminare; • bando su GU; • ammessi dipendenti iscritti all’Ordine; • premio al vincitore.
Pubblico incanto: • progetto di livello inferiore al preliminare; • bando su GU; • ammessi dipendenti iscritti all’Ordine; • premio al vincitore.
Pubblico incanto: • progetto di livello inferiore al preliminare; • bando su bollettino UE e su GU; • ammessi dipendenti iscritti all’Ordine; • premio al vincitore.
CONCORSO DI PROGETTAZIONE
Pubblico incanto (di norma) o licitazione privata: • progetto preliminare; • bando su GU; • premio al vincitore e rimborsi spese ad altri.
Pubblico incanto (di norma) o licitazione privata: • progetto preliminare; • bando su GU; • premio al vincitore e rimborsi spese ad altri.
Pubblico incanto (di norma) o licitazione privata: • progetto preliminare; • bando su bollettino UE e su GU; • premio al vincitore e rimborsi spese ad altri.
GARA DI APPALTO
Non consentita.
Licitazione privata: • requisito di ammissione: importo incarichi analoghi nei 10 anni precedenti 3-5 volte l’importo in gara.
Licitazione privata o pubblico incanto: • requisiti di ammissione: negli ultimi 5 anni fatturato 3-5 volte l’importo in gara, negli ultimi 10 anni incarichi analoghi 2-4 volte l’importo in gara nonché 2 incarichi di importo totale 0,4-0,8 l’importo in gara.
SOGGETTI AMMESSI
• Liberi professionisti; • società di professionisti; • società di ingegneria.
• Liberi professionisti; • società di professionisti; • società di ingegneria.
• Liberi professionisti; • società di professionisti; • società di ingegneria.
C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
. C.5.9DURE E PROC IDAMENTO F DI AF ARICHI C DI IN
C 79
C.5. 9./10.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • ESECUZIONE DEI LAVORI – APPALTI DI OPERE PUBBLICHE PROCEDURE DI AFFIDAMENTO DI INCARICHI ESCLUSIONI NEGLI AFFIDAMENTI DEGLI INCARICHI Sono regolate dall’art.1 del DPR 30 agosto 2000 n.412 (GU 16 gennaio 2001) che sostituisce l’art.52 del DPR 554/1999. Questi i casi di esclusione dall’affidamento di incarichi di progettazione e simili: • stato di fallimento, liquidazione, amministrazione controllata concordato preventivo o situazione equivalente, sospensione dall’attività commerciale; • sentenza di condanna passata in giudicato o patteggiamento per reati che incidano sulla moralità professionale o per delitti finanziari;
• errore grave nell’esercizio della professione: la valutazione della gravità è lasciata alla discrezionalità della stazione appaltante; • irregolarità dei contributi previdenziali e assistenziali a favore di dipendenti e collaboratori continuativi; • irregolarità nel pagamento di imposte e tasse; • false dichiarazioni nella partecipazione alla gara.
INCENTIVI PER I PROGETTISTI INTERNI Nel caso di affidamento della progettazione all’ufficio tecnico della stazione appaltante, una somma non superiore all’1,5% dell’importo dell’opera posto a base di gara deve essere ripartito fra il responsabile unico del procedimento, gli incaricati della redazione del progetto, del piano di sicurezza, della direzione lavori, del collaudo e i loro collaboratori.
La disposizione è nell’art.18 della legge 109/1995 modificato dall’art.13 della legge 144/1999. I criteri e le modalità della ripartizione sono definiti da un regolamento adottato da ciascuna amministrazione appaltante. La ripartizione tiene conto delle specifiche responsabilità professionali.
ASSICURAZIONE DEL PROGETTISTA LIBERO PROFESSIONISTA E DIPENDENTE L’assicurazione è prevista per i lavori pubblici dalla legge 109/1994 art.30 e dal DPR 554/1999 artt.105 e 106, con l’obiettivo di dare copertura alle nuove spese di progettazione e ai maggiori costi che la stazione appaltante deve sopportare per le varianti conseguenti a errori od omissione del progetto esecutivo o definitivo che diano pregiudizio in tutto o in parte alla realizzazione e alla utilizzazione dell’opera. Per nuove spese di progettazione si intendono gli oneri di nuova progettazione qualora l’amministrazione debba affidare una nuova progettazione ad altri progettisti anziché al progettista inizialmente incaricato. L’incaricato del progetto esecutivo, all’atto della firma del contratto di incarico, deve produrre una dichiarazione di una compagnia di assicurazioni contenente l’impegno a rilasciare la polizza di responsabilità civile professionale relativa ai lavori da progettare. La polizza decorre dalla data di inizio dei lavori e ha termine con il rilascio del collaudo provvisorio. Il massimale è pari al 10% dell’importo dei lavori progettati, con il limite di 1.000.000 di euro, per lavori sotto
5.000.000 di euro, ed è pari al 20%, con limite di 2.500.000 euro, per lavori oltre 5.000.000 di euro. La mancata presentazione della dichiarazione determina la decadenza dall’incarico. La legge sui lavori pubblici prevede che le amministrazioni aggiudicatrici devono stipulare, a loro carico, polizze assicurative per la copertura dei rischi di natura professionale a favore dei dipendenti incaricati della progettazione. Il DPR 554/1999 all’art.106 ha stabilito che l’amministrazione assume l’onere del rimborso al dipendente dei due terzi del premio corrisposto da questi per la copertura assicurativa dei rischi professionali. Il comma 89 dell’art.145 della legge 388/2000 prevede che l’amministrazione aggiudicatrice deve pagare “per intero” il costo di detta assicurazione a favore dei dipendenti incaricati della progettazione. Importo da assicurare non superiore al 10% dell’importo dei lavori progettati. La garanzia copre solo il rischio per il maggior costo delle varianti di cui all’art.25 comma 1d) della legge.
SISTEMI DI REALIZZAZIONE DEI LAVORI PUBBLICI TIPOLOGIE CONTRATTUALI I lavori pubblici possono essere realizzati esclusivamente mediante: • contratti di appalto; • contratti di concessione di esecuzione e gestione; • per casi limitati, lavori in economia. I contratti di appalto possono avere per oggetto: a) la sola esecuzione di lavori, sulla base di un progetto esecutivo fornito dall’amministrazione; b) la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori, sulla base di un progetto definitivo fornito dall’amministrazione, qualora: • l’importo dei lavori sia fino a € 200.000 e da € 10.000.000 in su; • si tratti di lavori la cui componente impiantistica o tecnologica incida per più del 60% sul valore dell’opera;
• si tratti di lavori di manutenzione, restauro e scavi archeologici. I contratti di concessione di esecuzione e gestione hanno per oggetto la progettazione definitiva ed esecutiva e l’esecuzione dei lavori, nonché la loro gestione, sulla base di un progetto almeno di livello preliminare fornito dall’amministrazione e corredato delle preliminari ed essenziali indagini geologiche, geotecniche, idrologiche e sismiche. Previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, per opere complesse o a elevata componente tecnologica, è consentito anche l’appalto concorso per importi da € 25.000.000 in su. Base di gara è un progetto preliminare integrato da un capitolato prestazionale. Prima che si avviino le procedure per la scelta del contraente, il responsabile del procedimento dispone che il direttore dei lavori effettui una verifica in ordine:
• alla disponibilità delle aree e degli immobili interessati alla realizzazione dei lavori; • alla accessibilità agli stessi secondo il progetto; • al permanere di assenza di vincoli o impedimenti, rispetto agli accertamenti effettuati prima dell’approvazione del progetto; • alla realizzabilità del progetto in relazione al terreno e a quant’altro occorra per l’esecuzione dei lavori, affinché sia accertato che non esistano variazioni alle condizioni sulle quali il progetto si è basato. In nessun caso si procede alla scelta del contraente finché il RP, in seguito alla relazione del direttore dei lavori, non abbia riferito sul risultato delle verifiche. Il RP, prima di affidare i lavori, deve designare il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, ai sensi del DLgs 494/1996 di recepimento della direttiva sulla sicurezza nei cantieri edili.
MODALITÀ DI ESECUZIONE TAB. C.5.10./1 SISTEMI DI REALIZZAZIONE E CRITERI DI AGGIUDICAZIONE DEI LAVORI PUBBLICI MODI DI DETERMINAZIONE DEL CORRISPETTIVO
C 80
A CORPO Offerta a prezzi unitari.
A CORPO E A MISURA
Criteri di aggiudicazione
Massimo ribasso su importo lavori.
Offerta a prezzi unitari.
Natura delle opere
Tutti i lavori: Tutti i lavori: Tutti i lavori. • obbligo di aggiudicare “a • obbligo di aggiudicare “a corpo” i lavori la cui compo- corpo” i lavori la cui componente impiantistica o tecno- nente impiantistica o tecnologica incida oltre 50%. logica incida oltre 50%.
A MISURA Massimo ribasso su elenco prezzi.
Offerta a prezzi unitari.
Facoltà dell’ente di stipulare a misura per lavori di: • manutenzione; • contratti di sola esecuzione sotto € 500.000; • opere in sotterraneo; • consolidamento di terreni; • restauro; • scavi archeologici.
Facoltà dell’ente di stipulare a misura per lavori di: • manutenzione; • contratti di sola esecuzione sotto € 500.000; • opere in sotterraneo; • consolidamento di terreni; • restauro; • scavi archeologici.
ESERCIZIO PROFESSIONALE
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ESECUZIONE DEI LAVORI – APPALTI DI OPERE PUBBLICHE SISTEMI DI REALIZZAZIONE DEI LAVORI PUBBLICI
C.5. 10. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. C.5.10./2 SISTEMI DI ESECUZIONE DEI LAVORI PUBBLICI TIPOLOGIE CONTRATTUALI Appalto di sola esecuzione con progetto esecutivo a base di gara.
Appalto di progettazione esecutiva e di esecuzione dei lavori con progetto definitivo a base di gara: • per lavori fino a € 200.000 e da € 10 milioni in su.
PROCEDURE Pubblico incanto o licitazione privata.
Pubblico incanto o licitazione privata.
Appalto di progettazione esecutiva Pubblico incanto o licitazione privata. e di esecuzione dei lavori con progetto definitivo a base di gara: • per lavori con oltre 60% di componente tecnologica o impiantistica; • per lavori di manutenzione, restauro, scavi archeologici.
B.STAZIONI DILEGIZLII
AGGIUDICAZIONE • Contratti a misura: prezzo più basso con offerta di prezzi unitari; • manutenzione e contratti a corpo o “corpo e misura”: massimo ribasso su elenco prezzi o su importo delle opere a base di gara; • offerta economicamente più vantaggiosa, in caso di prevalente componente tecnologica o rilevanza tecnica, per importi oltre soglia UE. • Contratti a misura: prezzo più basso con offerta di prezzi unitari; • manutenzione e contratti a corpo o “corpo e misura”: massimo ribasso su elenco prezzi o su importo delle opere a base di gara; • offerta economicamente più vantaggiosa, in caso di prevalente componente tecnologica o rilevanza tecnica, per importi oltre soglia UE. • Contratti a misura: prezzo più basso con offerta di prezzi unitari; • manutenzione e contratti a corpo o “corpo e misura”: massimo ribasso su elenco prezzi o su importo delle opere a base di gara; • offerta economicamente più vantaggiosa, in caso di prevalente componente tecnologica o rilevanza tecnica, per importi oltre soglia UE.
Offerta economicamente più vantaggiosa.
Lavori di somma urgenza fino a € 200.000.
Prezzo concordato con l’impresa.
PUBBLICO INCANTO Legge 109/1994 artt.20 e 21 – DPR 554/1999 art.76. Per lavori di importo da 0 a illimitato. Ogni impresa avente i requisiti previsti dal bando può presentare un’offerta.
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
PROCEDURE DI SCELTA DEL CONTRAENTE I lavori da realizzare con il sistema dell’appalto sono affidati mediante: pubblico incanto, licitazione privata, licitazione privata semplificata, appalto-concorso, trattativa privata. Altri sistemi sono la concessione e i lavori in economia. I contratti di appalto sono stipulati: • a misura; • a corpo: rientrano obbligatoriamente in questa fattispecie gli appalti di progettazione esecutiva ed esecuzione di lavori la cui componente impiantistica o tecnologica incida più del 50% del valore dell’opera; • a corpo e a misura.
D.GETTAZIONE
C.1. AZIONE PREST
Con personale dell’amministrazione • fino a € 50.000, eccetto Ministero BBAACC; • per cottimi gara informale fino a € 200.000; • sotto € 20.000 affidamento diretto.
Concessione costruzione e gestione Licitazione privata. con progetto preliminare a base di gara. Affidamento diretto.
E ESE ESSIONAL PROF
URB
Offerta economicamente più vantaggiosa.
Gara informale. Trattativa privata fino a € 100.000 • tra € 100.000 e € 300.000 nel rispetto dell’art.41 RD 827/1924; • oltre € 300.000 solo in caso di urgente riparazione di danni per calamità; • fino a € 300.000 per restauro e manutenzione di superfici architettoniche decorate. Lavori in economia (art.88 DPR 554/99) per manutenzione o riparazione per eventi non prevedibili, manutenzione per importo sotto € 50.000, altri casi particolari; in caso di beni culturali (art.223) anche per lavori di restauro e manutenzione se urgenti non per fatto dell’amministrazione.
C.RCIZIO
G.ANISTICA
Licitazione privata semplificata per lavori sotto € 750.000 Appalto-concorso per opere complesse o a elevata componente tecnologica, da € 25.000.000 in su, previa autorizzazione Consiglio superiore LLPP (Comitato tecnicoscientifico BBCCAA per lavori su beni culturali) con progetto preliminare e capitolato prestazionale a base di gara
I ED PRE NISM ORGA
Base della gara è un progetto esecutivo. La gara viene aggiudicata: • per i contratti a misura in base al prezzo più basso determinato mediante massimo ribasso sull’elenco prezzi ovvero determinato mediante offerta a prezzi unitari; • per i contratti a corpo mediante ribasso sull’importo dei lavori ovvero mediante offerta a prezzi unitari; • per i contratti a corpo e a misura mediante offerta a prezzi unitari.
La stazione appaltante verifica il possesso dei requisiti e invita tutte le imprese risultate qualificate a presentare l’offerta. Base della gara è un progetto esecutivo. La gara viene aggiudicata al prezzo più basso determinato mediante massimo ribasso sull’elenco prezzi ovvero determinato mediante offerta a prezzi unitari.
LICITAZIONE PRIVATA
Legge 109/1994 art.23 – DPR 554/1999 artt.77 e 223 c.1. Per lavori di importo inferiore a € 750.000 le stazioni appaltanti compilano ogni anno, mediante sorteggio pubblico tra le domande pervenute, un elenco delle imprese da invitare. L’invito a presentare offerta è inviato a 30 imprese, nel rispetto dell’ordine dell’elenco, tra quelle qualificate per lo specifico lavoro da appaltare.
Legge 109/1994 artt.20 e 21 – DPR 554/1999 art.76. Si svolge per lavori di importo da 0 a 5.000.000 di DSP con procedura nazionale, da 5.000.000 a illimitato con procedura UE. Ogni impresa avente i requisiti previsti dal bando può fare domanda di partecipazione.
LICITAZIONE PRIVATA SEMPLIFICATA
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. C.5.9DURE E PROC IDAMENTO F DI AF ARICHI C DI IN 0. C.5.1 I DI DEI M SISTE ZAZIONE I REALIZ I PUBBLIC R LAVO
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C.5. 10.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • ESECUZIONE DEI LAVORI – APPALTI DI OPERE PUBBLICHE SISTEMI DI REALIZZAZIONE DEI LAVORI PUBBLICI ➦ PROCEDURE DI SCELTA DEL CONTRAENTE APPALTO-CONCORSO Legge 109/1994 artt.20 e 21 – DPR 554/1999 artt.76 e 223 c.2. Sistema utilizzabile solo previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Si può applicare nel caso di: • lavori da € 25.000.000 in su, di qualsiasi tipo; • lavori speciali o opere complesse o a elevata componente tecnologica. Senza limiti di importo.
nel caso di urgenza di ripristinare opere rese inutilizzabili da eventi imprevedibili di natura calamitosa; • appalti di importo non superiore a 300.000 euro per lavori di restauro e manutenzione di beni mobili e superfici architettoniche decorate di cui alla legge 1089/1939. Non è consentito suddividere un lavoro in più affidamenti allo scopo di affidarlo a trattativa privata.
LAVORI IN ECONOMIA Base della gara è un progetto preliminare integrato da un capitolato prestazionale. Oggetto della gara è la progettazione esecutiva e la esecuzione dei lavori. A seguito della pubblicazione del bando ogni impresa avente i requisiti richiesti fa domanda di partecipazione. La stazione appaltante verifica quali imprese rispondono ai requisiti e le invita a presentare offerta tecnica ed economica. Si dichiara la improcedibilità qualora il numero dei qualificati sia inferiore a tre. L’aggiudicazione avviene con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, valutando il prezzo, il valore tecnico ed estetico dei lavori progettati, il tempo di esecuzione, il costo di utilizzazione e di manutenzione, sulla base di punteggi indicati nel bando.
TRATTATIVA PRIVATA: LAVORI IN AMMINISTRAZIONE DIRETTA E PER COTTIMI Legge 109/1994 art.24 – DPR 554/1999 artt.78 e 222. La procedura è avviata con una gara informale, cui sono invitati almeno 15 concorrenti. La stazione appaltante invita le imprese risultate in possesso dei requisiti di qualificazione a presentare offerta ai fini della negoziazione. Per lavori sotto € 40.000 è ammesso l’affidamento a soggetti di propria fiducia, motivando la scelta. La trattativa privata è ammessa solo nei seguenti casi: • lavori d’importo non superiore a 100.000 euro; • lavori tra 100.000 e 300.000 euro, nel rispetto dell’art.41 RD 827/1924; • lavori d’importo da 300.000 euro a 5.000.000 DSP
DPR 554/1999 artt.88, 142-148, 153, 176. Sono riferibili a categorie generali quali: • manutenzione o riparazione di opere, resa necessaria da eventi imprevedibili e quando non sia possibile attuare una procedura di appalto; • manutenzione di opere o di impianti di importo non superiore a 50.000 euro; • interventi non programmabili in materia di sicurezza; • lavori non differibili a seguito di una gara infruttuosa; • lavori necessari alla compilazione di progetti; • lavori necessari per il completamento di opere incompiute per le quali occorre procedere in danno dell’appaltatore e delle quali sia opportuno accelerare il completamento; • nel caso di lavori su beni culturali (art.223 DPR 554/1999) sono compresi, oltre ai casi sopra elencati, anche lavori di restauro e manutenzione, nonché di scavo archeologico, se caratterizzati da effettiva urgenza a provvedere, non dipendente da fatto della stazione appaltante.
male fra almeno 5 imprese, come per la trattativa privata (art.78 DPR 554/1999); per lavori d’importo inferiore a 20.000 euro si può procedere ad affidamento diretto. L’atto di cottimo deve indicare: i lavori da eseguire, i prezzi unitari e quelli a corpo, le condizioni di esecuzione, le modalità di pagamento, le penalità per ritardi e il diritto dell’amministrazione di risolvere in danno il contratto per inadempimento del cottimista. I lavori sono autorizzati dal responsabile del procedimento se rientrano nelle somme a disposizione dei quadri economici. Nel caso di esigenze impreviste, esclusi errori del progetto, sopraggiunte nell’ambito di interventi privi di accantonamenti per lavori in economia, questi possono essere autorizzati dall’amministrazione attingendo dagli accantonamenti per imprevisti o utilizzando economie da ribasso d’asta. Qualora la somma per i lavori in economia si riveli insufficiente, il RP presenta una perizia suppletiva. In ogni caso la spesa complessiva non può superare 200.000 euro, fatti salvi i lavori del Ministero della difesa che vengono eseguiti in economia da truppe o reparti del Genio militare. Nel caso di lavori d’urgenza, questa deve risultare da un verbale compilato dal RP o da un tecnico incaricato. Il verbale, integrato da una perizia estimativa, è trasmesso all’amministrazione per l’autorizzazione ai lavori.
LAVORI DI SOMMA URGENZA
Il programma annuale dei lavori deve essere corredato dell’elenco dei lavori presumibilmente da eseguire in economia. I lavori possono essere eseguiti: • in amministrazione diretta. Il responsabile del procedimento esegue con personale proprio o assunto, acquistando i materiali e noleggiando mezzi d’opera, con un massimo di spesa complessiva di 50.000 euro; • per cottimi, procedura di aggiudicazione negoziata, per lavori di importo non superiore a 200.000 euro. L’aggiudicazione avviene attraverso una gara infor-
DPR 554/1999 art.147. In caso di eccezionale urgenza il RP o il tecnico che si reca prima sul luogo può disporre, contemporaneamente alla redazione del verbale, la immediata esecuzione dei lavori entro il limite di 200.000 euro o comunque di quanto è indispensabile per tutelare la incolumità pubblica. L’esecuzione dei lavori può essere affidata in forma diretta. Il prezzo delle prestazioni è concordato con l’affidatario. Se l’appaltatore non lo accetta l’amministrazione può ingiungergli l’esecuzione dei lavori. Entro 10 giorni dall’ordine di esecuzione dei lavori il RP o il tecnico incaricato compila una perizia giustificativa e la trasmette all’amministrazione unitamente al verbale di somma urgenza.
delle spese di progettazione esecutiva comprese nell’importo a base di appalto e i requisiti richiesti al progettista, in conformità a quanto richiesto dalla normativa in materia di gare di progettazione. L’ammontare delle spese di progettazione non è soggetto a ribasso d’asta. L’appaltatore risponde dei ritardi e degli oneri conseguenti alla necessità di introdurre varianti in corso d’opera a causa di carenze del progetto esecutivo. Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 47, comma 1, del regolamento di cui al DPR 554/1999, nel caso di opere di particolare pregio architettonico, il responsabile del procedimento procede in contraddittorio con il progettista qualificato alla realizzazione del progetto esecutivo a verificare la conformità con il progetto definitivo, al fine di accertare l’unità progettuale. Al contraddittorio partecipa anche il progettista titolare dell’affidamento del progetto definitivo, che si esprime in ordine a tale conformità. Il Responsabile del procedimento dopo la stipula del contratto dispone con ordine di servizio che l’appaltatore dia immediato inizio alla redazione del progetto esecutivo, da completare entro il termine stabilito dal capitolato speciale.
Il RP in caso di necessità dispone che l’impresa svolga studi di maggior dettaglio rispetto a quelli posti a base del progetto definitivo, senza che ciò comporti compenso aggiuntivo per l’impresa. Il progetto esecutivo non può prevedere variazioni rispetto a quello definitivo, salvo i casi di varianti di cui all’art.25 comma 1, lettere a), b), c), della legge 109/1994 o il caso di errori del progetto definitivo. In tali casi le variazioni al progetto esecutivo sono valutate ai prezzi di contratto e, se del caso, a mezzo di formazione di nuovi prezzi. L’amministrazione, sentito l’autore del progetto definitivo, approva il progetto esecutivo. Dalla data di approvazione decorrono i termini per la consegna dei lavori. In caso che il progetto esecutivo non sia meritevole di approvazione, il contratto è risolto per inadempienza dell’appaltatore. In ogni altro caso di mancata approvazione del progetto esecutivo, la stazione appaltante recede dal contratto e all’appaltatore è riconosciuto unicamente quanto previsto dal capitolato generale in caso di accoglimento dell’istanza per ritardata consegna dei lavori.
APPALTO INTEGRATO Legge 109/1994 art.19, come modificato dalla legge 166/2002 – DPR 554/1999 artt.90 e 140. Si tratta di appalto di progettazione esecutiva ed esecuzione di lavori, con a base di gara il solo progetto definitivo (art.19 legge 109/1994, artt.90 e 140 DPR 554/99). Tale sistema è consentito per lavori di qualunque tipo, se l’importo è inferiore a € 200.000 ovvero superiore a € 10.000.000. Inoltre è consentito, senza limitazioni di importo, per lavori la cui componente impiantistica o tecnologica incida più del 60% sul valore dell’opera, per lavori di manutenzione, restauro e scavi archeologici. Per l’affidamento dei contratti, la gara è indetta sulla base del progetto definitivo. Il progetto definitivo deve contenere anche il piano di sicurezza e coordinamento, inclusi i costi della sicurezza, ai sensi della delibera 291/2001 della Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici. L’appaltatore che partecipa a un appalto integrato deve possedere i requisiti progettuali previsti dal bando o deve avvalersi di un progettista qualificato alla realizzazione del progetto esecutivo individuato in sede di offerta o eventualmente associato; il bando indica l’ammontare
CONCESSIONE DI ESECUZIONE E GESTIONE (legge 109/1994 artt.19, 20, 21) Oggetto del contratto è la progettazione definitiva ed esecutiva e l’esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità, nonché la loro gestione funzionale ed economica. L’affidamento avviene mediante licitazione privata, ponendo a base di gara il progetto preliminare corredato
C 82
delle preliminari indagini geologiche, geotecniche, idrologiche e sismiche. La aggiudicazione avviene con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, valutando il valore economico e finanziario della controprestazione, il valore tecnico
ed estetico dell’opera progettata, il tempo di esecuzione, il rendimento, la durata della concessione, le modalità di gestione e le tariffe da praticare all’utenza, sulla base di punteggi indicati nel bando.
ESERCIZIO PROFESSIONALE
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DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI DIREZIONE DEI LAVORI
A.ZIONI
NORMATIVA SUL DIRETTORE DEI LAVORI Non esistono norme di legge che definiscano espressamente e compiutamente la figura del Direttore dei lavori (di seguito indicato con DL); alcuni compiti e responsabilità sono indicati, per quanto riguarda gli appalti di lavori pubblici, nel RD 350/1895 e nella legge 109/1994, e per quanto attiene alla esecuzione dei lavori in generale, sia pubblici che privati, principalmente nelle leggi 143/1949 (tariffa ingegneri e architetti), 765/1967 (urbanistica), 1086/1971 (strutture portanti), 64/1974 (antisismica), 47/1985 (abusivismo edilizio), nel DPR 425/1994 (abitabilità, collaudo strutture e accatastamento), nel DPR 554/1999 (Regolamento generale dei lavori pubblici).
C.6. 1.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
OBBLIGO Dalla normativa indicata si deduce che la legge stabilisce l’obbligo di presenza del Direttore lavori solo negli appalti di opere pubbliche; negli altri casi il DL è richiesto per legge se il cantiere è situato in zona sismica, ovvero se si tratta di opere strutturali in cemento armato, in metallo o in precompresso. Infatti le altre leggi che citano il DL, come la legge 765/1967 (urbanistica), la 47/1985 (controllo edilizio) e la 104/1992 (barriere architettoniche), individuano le responsabilità del DL, ma non ne stabiliscono l’obbligo. Tuttavia i regolamenti edilizi di molti Comuni (tra
i quali il Comune di Roma, ma non quello di Milano) impongono che per ogni intervento edilizio, di qualsivoglia natura o dimensione, sia nominato un DL. Anche nei casi di lavori che non richiedono concessione o autorizzazione edilizia, come gli interventi di manutenzione ordinaria e le opere interne, l’obbligo o meno di presenza del Direttore lavori è stabilito dal regolamento edilizio comunale. È invece obbligatorio, sia nel settore privato che nel pubblico, il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori. Il Direttore di cantiere è obbligatorio solo nel settore pubblico.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
REQUISITI SOGGETTIVI DEL DIRETTORE DEI LAVORI Le leggi 1086/1971 e 64/1974, che si riferiscono a opere strutturali e in zona sismica, stabiliscono che il Direttore lavori deve essere architetto o ingegnere o geometra o perito industriale edile, iscritti nei rispettivi albi professionali, con possibilità di operare nei limiti delle rispettive competenze stabilite dall’ordinamento di ciascuna professione. Fondamentale requisito è l’iscrizione all’Ordine; in mancanza viene a configurarsi il reato penale di esercizio abusivo della professione.
Dall’obbligo erano esclusi solo i dipendenti dello Stato progettisti e direttori di lavori strutturali per edifici statali (legge 1086/1971, art.2). Tuttavia l’obbligo dell’iscrizione all’Ordine è stato successivamente stabilito dal DPR 1219/1984 (sul personale dei Ministeri) per tutti gli architetti e gli ingegneri statali. In contraddizione con tale DPR e con le altre leggi come la 70/1975 (personale enti pubblici), e senza provvedere ad abrogarle, la legge 415/1998, di modifica della legge
109/1994, ha modificato l’art.17 stabilendo che i progettisti delle amministrazioni devono possedere l’abilitazione all’esercizio della professione, senza precisare la necessità di iscrizione all’Albo professionale. La confusione aumenta se si nota che l’art.17 esclude dall’iscrizione all’Ordine i progettisti senza citare anche i direttori di lavori; pertanto una interpretazione letterale della norma potrebbe indurre a ritenere che sussista l’obbligo di iscrizione.
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
URB La prima sezione penale della Cassazione, con sentenza del 3 settembre 1992, ha stabilito che in alcuni casi il DL di opere pubbliche assume la posizione di pubblico ufficiale, con conseguenza, tra l’altro, di obbligo di denuncia ai sensi dell’art.361 c.p.. Negli appalti pubblici, il DL deve informare il Responsabile del procedimento sullo stato di avanzamento dei lavori e sugli eventuali impedimenti e disfunzioni nella esecuzione dei lavori, affinché quest’ultimo possa riferire all’Amministrazione sulla necessità di assumere provvedimenti per impedire il verificarsi di danni, irregolarità o ritardi. Il Direttore lavori non deve invece sovrintendere al cantiere dando disposizioni agli operai, salvo che ciò sia previsto nell’incarico ricevuto. Infatti la responsabilità dell’organizzazione del lavoro spetta all’impresa esecutrice che può nominare un proprio delegato, il Direttore tecnico del cantiere. Questi è richiesto, nei lavori pubblici, dalla legge 109/1994 art.31 ai fini della sicurezza dei lavoratori nel cantiere: “il Direttore di cantiere e il coordinatore della la sicurezza in fase di esecuzione ... vigilano sull’osservanza dei piani di sicurezza”, escludendo evidentemente da tale incombenza il DL. Il committente può conferire allo stesso DL il compito di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori, ai sensi del DLgs 494/1996. Il DPR 554/1999 stabilisce che nei lavori pubblici, di norma, il DL assume anche le funzioni di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione. Nel caso di un cantiere per il quale non è prevista dalla legge la nomina dei coordinatori per la sicurezza, il Direttore lavori può essere considerato coinvolto nella sicurezza in relazione al comma 1 dell’art.3 del DLgs 494/1996. Questo stabilisce che il committente deve attenersi alle misure generali di tutela stabilite dall’art.3 del DLgs 626/1994. Il rispetto di tali norme è compito del committente, ma appare plausibile che il committente che nomina il Direttore dei lavori si affidi a lui per tali aspetti, in quanto tecnico di sua fiducia.
RESPONSABILITÀ PROFESSIONALI L’opera del Direttore lavori costituisce una attività di professione intellettuale e pertanto le obbligazioni che a lui fanno capo sono “di mezzi” e non “di risultato”(art.2236 c.c.). Egli cioè è responsabile solo per omesso o negligente svolgimento della sua attività e non anche per mancato raggiungimento del risultato finale. Eventuali difetti riscontrati nell’opera possono essere a lui addebitati solo se causati da insufficiente sorveglianza. Tale responsabilità è però esclusa se la mancata sorveglianza riguarda operazioni elementari, per le quali l’onere ricade sull’assistente ai lavori o su altra figura avente obbligo di presenza in cantiere in rappresentanza del committente, ovvero se la prestazione riguarda problemi di speciale difficoltà tecnica. In tale ultimo caso il professionista risponde dei danni solo in caso di dolo o di colpa grave. Costituisce colpa grave non aver consultato uno specialista, a meno che si tratti di difficoltà occulta ovvero che non sia possibile ricorrere allo specialista per ragioni obiettive. L’obbligo di mezzi e non di risultato certamente limita la responsabilità del DL, ma ciò non deve essere frainteso con mancanza di responsabilità. Infatti ogni mancato raggiungimento del risultato costituisce un inadempimento del contratto che il professionista ha stabilito con il cliente. È vero che non è detto che il risultato negativo sia automaticamente addebitabile al professionista. Tuttavia la situazione può determinare un contenzioso nel corso del quale il professionista per sottrarsi alla responsabilità deve fornire la prova della diligenza impiegata e della ricorrenza di una causa a lui non imputabile. Diversa è la situazione della progettazione, per la quale una ampia giurisprudenza ha sostenuto esservi obbligazione di risultato, pur trattandosi di prestazione professionale.
CO NTALE AMBIE
G.ANISTICA
COMPITI I compiti del Direttore lavori sono stabiliti da diverse leggi; un quadro completo della figura professionale può essere disegnato solo attraverso la sommatoria delle funzioni indicate nei vari settori di intervento delle leggi stesse. Una definizione di carattere generale è quella contenuta nella legge 143/1949 sulla tariffa degli ingegneri e degli architetti, all’art.19 g): “direzione e alta sorveglianza dei lavori con visite periodiche nel numero necessario a esclusivo giudizio dell’ingegnere emanando le disposizioni e gli ordini per l’attuazione dell’opera progettata nelle sue varie fasi esecutive e sorvegliandone la buona riuscita”. Conseguentemente la Cassazione civile, sezione II, sentenza 5509/1984, ha ritenuto che il DL s’identifica nel professionista tenuto a esercitare una sorveglianza idonea ad assicurare che l’opera sia eseguita in conformità del progetto e a regola d’arte, con visite periodiche nel numero necessario, emanando le disposizioni e gli ordini per eseguire l’opera così come progettata e sorvegliando la buona riuscita dei lavori. Norma di comportamento generale per il DL è il rispetto del progetto: la legge 143/1949 art.11 stabilisce che “la tutela della fedele esecuzione artistica o tecnica dei progetti ... spetta esclusivamente al progettista”. Tuttavia nel settore dei lavori pubblici, il DL può disporre modifiche al progetto, ma solo per aspetti di dettaglio (legge 109/1994, art.25). In sostanza, il professionista svolge una funzione di tutela degli interessi del committente dell’opera, controllando che l’impresa esecutrice dei lavori adempia al meglio alla condizioni stabilite nel contratto di appalto. Ma il DL svolge anche funzioni di natura pubblicistica che in qualche caso possono costringerlo a contrapporsi a interessi (illeciti) del committente, quando questi, operando direttamente o tramite l’esecutore dei lavori, esegua opere difformi da quelle autorizzate dalla concessione edilizia (legge 47/1985, art.6).
E.NTROLLO
In campo amministrativo e penale sono fondamentali le disposizioni dell’art.6 della legge 47/1985, nel testo modificato dal DL 146/1985 che si trascrive di seguito:
“art.6. Il titolare della concessione, il committente, e il costruttore sono responsabili, .................. della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché – unitamente al Direttore dei lavori – a quelle della concessione a edificare e alle modalità esecutive stabilite dalla medesima. Essi sono altresì tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per l’esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell’abuso”. “Il Direttore dei lavori non è responsabile qualora abbia contestato agli altri soggetti la violazione delle prescrizioni della concessione edilizia, con esclusione delle varianti in corso d’opera di cui all’art.15, fornendo al sindaco contemporanea e motivata comunicazione della violazione stessa. Nei casi di totale difformità o di variazione essenziale rispetto alla concessione, il Direttore dei lavori deve inoltre rinunziare all’incarico contestualmente alla comunicazione resa al sindaco. In caso contrario il sindaco segnala al Consiglio dell’Ordine professionale la violazione in cui è incorso il Direttore dei lavori, che è passibile di sospensione dall’Albo professionale da 3 mesi a 2 anni”.
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C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
0. C.5.1 I DI DEI M SISTE ZAZIONE I REALIZ I PUBBLIC R LAVO . C.6.1IONE DEI DIREZ I R LAVO
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C.6. 1.
ESERCIZIO PROFESSIONALE DIREZIONE DEI LAVORI
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DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI
➦ RESPONSABILITÀ PROFESSIONALI In base alla norma si individua una responsabilità amministrativa del Direttore dei lavori se l’opera è eseguita: • in assenza di concessione a edificare; • con concessione edilizia scaduta per decorso termine di validità, se i lavori vengono proseguiti senza avere ottenuto una proroga della validità; • in contrasto con il progetto approvato; • in contrasto con le modalità esecutive indicate nella concessione a edificare. Non è invece responsabile in caso di annullamento della concessione perché rilasciata illegittimamente. Sono sanzioni amministrative la demolizione delle opere o il ripristino e la sanzione pecuniaria. La demolizione è prevista in caso di mancanza di concessione o di totale difformità (art.7) e di variazioni essenziali (art.8). Negli altri casi sono previste sanzioni pecuniarie. Il DL è destinatario delle sanzioni pecuniarie, che vengono irrogate personalmente a ciascuno dei soggetti indicati dall’art.6, ed è solidalmente tenuto al pagamento delle spese in caso di demolizione eseguita in danno delle opere. L’art.6 individua responsabilità per le quali l’art.20 della legge 47/1985 stabilisce anche
sanzioni di tipo penale. Esse sono riferite esclusivamente alla concessione edilizia essendo state depenalizzate le altre violazioni, tra le quali la esecuzione di opere in assenza di autorizzazione edilizia (art.10). È prevista una ammenda fino a € 10.329,14 per la violazione di disposizioni della legge 47/1985, di regolamento edilizio e piani urbanistici, nonché per inosservanza delle prescrizioni della concessione. Arresto fino a 2 anni e ammenda da € 5.164,57 a € 51.645,69 sono comminabili in caso di opere prive di concessione o eseguite in totale difformità. Nel caso di lottizzazione abusiva e di opere edilizie in zone sottoposte a vincoli paesistici o storico-artistici eseguite in assenza di concessione, in totale difformità o in variazione essenziale, fermo restando l’arresto fino a 2 anni, l’ammenda è stabilita da € 15.493,71 a € 51.645,69. Come sopra accennato, esiste una responsabilità ai sensi dell’art.6 anche nel caso di prosecuzione dei lavori oltre il termine per l’ultimazione dei lavori stabilito nella concessione edilizia in osservanza dell’art.4 della legge 10/1977 (durata di validità non oltre 3 anni salvo che per le opere pubbliche e per casi particolari). Infatti superata tale scadenza la concessione non è più valida (almeno che non sia stata prorogata) e i lavori successivamente eseguiti sono da considerarsi abusivi.
UFFICIO DI DIREZIONE LAVORI Nel campo dei lavori pubblici il Direttore lavori opera nell’ambito dell’Ufficio direzione lavori, in base alla legge 109/1994 art.27 e al DPR 554/1999 artt.123-127. Su iniziativa del Responsabile del procedimento, l’amministrazione deve istituire un ufficio di direzione lavori, composto da un DL ed eventualmente, in relazione al tipo e dimensione dell’intervento, da uno o più assistenti, con funzione di Direttore operativo o Ispettore di cantiere. Il Responsabile del procedimento può svolgere anche funzioni di DL nei limiti delle proprie competenze professionali, salvo per interventi di speciale complessità e per importi superiori a 500.000 euro.
DIRETTORI OPERATIVI Gli assistenti con funzione di Direttore operativo collaborano con il Direttore lavori, nel verificare che le lavorazioni di singole parti delle opere siano eseguite regolarmente e nel rispetto del contratto. Rispondono della loro attività direttamente al DL, che può affidare loro, fra gli altri, i seguenti compiti: a) verificare che l’appaltatore svolga tutte le pratiche di legge relative alla denuncia dei calcoli delle strutture; b) programmare e coordinare le attività dell’Ispettore dei lavori; c) curare l’aggiornamento del cronoprogramma generale e particolareggiato dei lavori e segnalare le eventuali difformità rispetto alle previsioni contrattuali proponendo i necessari interventi correttivi; d) assistere il Direttore dei lavori nell’identificare gli interventi necessari a eliminare difetti progettuali o esecutivi; e) individuare e analizzare le cause che influiscono negativamente sulla qualità dei lavori e proporre azioni correttive; f) assistere i collaudatori nelle operazioni di collaudo;
g) esaminare e approvare il programma delle prove di collaudo e messa in servizio degli impianti; h) controllare, quando svolge anche le funzioni di coordinatore per l’esecuzione dei lavori, il rispetto dei piani di sicurezza da parte dei Direttore di cantiere; i) collaborare alla tenuta dei libri contabili.
ISPETTORI DI CANTIERE Gli assistenti con funzioni di ispettori di cantiere collaborano con il Direttore lavori nella sorveglianza dei lavori in conformità delle prescrizioni stabilite nel Capitolato speciale di appalto. La posizione di Ispettore è ricoperta da una sola persona che esercita la sua attività in un turno di lavoro. Essi sono presenti a tempo pieno durante il periodo di svolgimento di lavori che richiedono controllo quotidiano, nonché durante le fasi di collaudo e delle eventuali manutenzioni. Agli ispettori, possono essere affidati fra gli altri i seguenti compiti: a) la verifica dei documenti di accompagnamento delle forniture di materiali per assicurare che siano conformi alle prescrizioni e approvati dalle strutture di controllo in qualità del fornitore; b) la verifica, prima della messa in opera, che i materiali, le apparecchiature e gli impianti abbiano superato le fasi di collaudo prescritte dal controllo di qualità o dalle normative vigenti o dalle prescrizioni contrattuali in base alle quali sono stati costruiti; c) il controllo sulla attività dei subappaltatori; d) il controllo sulla regolare esecuzione dei lavori con riguardo ai disegni e alle specifiche tecniche contrattuali; e) l’assistenza alle prove di laboratorio; f) l’assistenza ai collaudi dei lavori e alle prove di messa in esercizio e accettazione degli impianti; g) la predisposizione degli atti contabili quando siano stati incaricati dal Direttore dei lavori.
AFFIDAMENTO DELL’INCARICO DI DIREZIONE LAVORI La direzione dei lavori per opere pubbliche è normalmente affidata a tecnici dell’amministrazione. Qualora, per carenze di organico dell’ufficio tecnico, certificata dal Responsabile del procedimento, l’amministrazione non sia in grado di nominare un Direttore lavori interno, l’incarico è affidato col seguente ordine di precedenza:
• ad altre amministrazioni pubbliche; • al professionista esterno affidatario della progettazione dell’opera; • ad altri soggetti esterni scelti con le procedure del DLgs 157/1995.
COORDINATORE DELLA SICUREZZA PER L’ESECUZIONE DEI LAVORI Il DLgs 494/1996 sulla sicurezza nei cantieri edili, sia di lavori privati che pubblici, ha istituito la figura del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, che è nominato dal committente privato o dal Responsabile del procedimento nel caso di lavori pubblici, con il compito di far osservare il piano di sicurezza. I compiti sono dettagliatamente individuati dall’art.5 del DLgs 494/1996 e, per i lavori pubblici, dall’art.127 del DPR 554/1999. Requisiti professionali: laurea in architettura o ingegneria, un anno di esperienza nel settore delle costruzioni e aver frequentato uno specifico corso in materia di sicurezza. Sono ammessi anche i titolari di diplomi di laurea in architettura e ingegneria con esperienza di 2 anni e i geometri e periti industriali con esperienza di 3 anni; per tutti
è necessario anche aver frequentato uno specifico corso in materia di sicurezza. Tali requisiti non sono richiesti, in sede di prima applicazione del decreto, per i dipendenti che hanno svolto per 4 anni funzioni di sovrintendenza in materia di sicurezza. La nomina deve essere effettuata dal committente o dal Responsabile del procedimento prima dell’affidamento dei lavori. Il committente può conferire allo stesso DL (se ne ha i requisiti) i compiti di coordinatore per l’esecuzione dei lavori. Il DPR 554/1999 stabilisce che nei lavori pubblici, di norma, il DL assume anche le funzioni di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, salvo che non ne abbia i requisiti. In tale caso le funzioni di coordinatore sono affidate a un Direttore operativo avente i requisiti del coordinatore.
DIRETTORE DI CANTIERE È una persona di fiducia dell’appaltatore, generalmente un suo dipendente. Egli è il vero capo del cantiere come unità produttiva, dà disposizioni agli operai, essendo responsabile della organizzazione del lavoro e di tutti gli aspetti gestionali. Deve essere presente con continuità nel cantiere, salvo il caso di opere di scarsa entità. La figura professionale non è regolata con legge: il Capitolato può disporre che debba avere la qualifica di architetto o ingegnere, o di geometra. Nei pubblici appalti, in base alla legge 55/1990, art.18 c.8, e al DPCM 55/1991, art.9 c.6, ha la responsabilità della sicurezza dei lavoratori nel cantiere; in base all’art.31 delle legge 109/1994 deve vigilare sulla osservanza dei piani di sicurezza. Spesso nei cantieri la figura che rappresenta l’impresa è denominata “capocantiere”.
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Le sue funzioni possono coincidere con quelle del Direttore di cantiere, nel caso di lavori privati. Nel caso di cantieri grandi può essere una figura di supporto al Direttore del cantiere, da lui dipendente con funzioni di controllo degli operai e dei materiali. Il Direttore lavori ha anche la responsabilità del cantiere nel caso di lavori privati nei quali il proprietario dell’area è imprenditore e costruisce per proprio conto; nel caso di piccole imprese può coincidere anche con il Direttore tecnico dell’impresa. In un appalto pubblico il DL assume in sé anche la responsabilità del Direttore del cantiere solo nel momento in cui ordina all’impresa di fare lavori in economia ovvero dirige lavori in economia in una situazione di emergenza.
ESERCIZIO PROFESSIONALE
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DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI DIREZIONE DEI LAVORI
A.ZIONI
DIRETTORE TECNICO DELL’IMPRESA Il DPR 34 del 25 gennaio 2000, regolamento del sistema di qualificazione delle imprese, all’art.26 stabilisce che la direzione tecnica dell’impresa può essere assunta da un singolo soggetto, anche il rappresentante legale dell’impresa, o da più soggetti. Ai fini della qualificazione dell’impresa in categorie superiori alla IV di cui al DPR, il Direttore tecnico deve possedere laurea in architettura o ingegneria, o altra equipollente, o diploma universitario in architettura o ingegneria. Per categorie inferiori alla IV, è ammesso anche il diploma di geometra o equivalente
titolo ovvero il requisito di esperienza di Direttore di cantiere per oltre 5 anni. Per i lavori che hanno per oggetto beni immobili soggetti alle disposizioni sui beni culturali e ambientali e per gli scavi archeologici, la direzione tecnica deve essere affidata a laureato in architettura o in conservazione dei beni culturali. Nel caso di imprese con classifica inferiore alla IV, può essere ammesso come Direttore tecnico anche chi possiede solo esperienza professionale di Direttore di cantiere per almeno 5 anni, di lavori attestati dall’autorità preposta alla tutela dei beni culturali e ambientali.
• disponibilità delle aree e degli accessi al cantiere; • verifica della disponibilità di personale da mettere alle dipendenze del Direttore dei lavori per compiti di assistenza ai lavori e di contabilità; • acquisizione della nomina del Direttore di cantiere da parte dell’appaltatore; • nel caso di lavori pubblici, verifica che la eventuale custodia del cantiere sia stata affidata dall’appaltatore a persone provviste della qualifica di guardia particolare giurata; • nel caso di lavori pubblici, verifica del rispetto delle vigenti disposizioni in materia di subappalto nei lavori pubblici (leggi 55/1990 art.18, 406/1991, 109/1994 art.34, DPR 554/1999 art.141); • acquisizione del piano quotato dell’area o, in caso di lavori su opere preesistenti, rilevamento della situazione dei luoghi e dei manufatti; • verifica che il costruttore abbia denunciato al Genio civile (o allo sportello unico di cui al DPR 380/2001, Testo Unico dell’edilizia) l’inizio di opere strutturali (legge 1086/1971) e che abbia nominato il collaudatore (DPR 425/1994) – procedure non richieste agli enti pubblici aventi un ufficio tecnico con a capo un ingegnere (o architetto); • verifica dell’avvenuto deposito presso il Comune del progetto e della relazione tecnica ai sensi della 373/1976 ovvero ai sensi della successiva legge 10/1991 per il
contenimento dei consumi energetici; • ai sensi del DLgs 494/1996, art.3, sicurezza nel cantiere, e del DPR 554/1999 art.8, verifica che il committente dell’opera o il Responsabile del procedimento nel caso di lavori pubblici, abbia verificato l’idoneità tecnico-professionale delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione dei lavori da affidare, anche attraverso l’iscrizione alla camera di commercio; verifica inoltre che sia stata chiesta alle imprese esecutrici una dichiarazione dell’organico medio annuo corredata della denuncia dei lavori all’INPS, all’INAIL e alla Cassa Edile, nonché una dichiarazione relativa al contratto collettivo applicato ai lavoratori dipendenti; • verifica della disponibilità del piano di sicurezza e coordinamento, e che il committente abbia nominato il coordinatore dell’esecuzione dei lavori; • verifica della disponibilità e dell’idoneità del piano operativo di sicurezza elaborato da ciascuna impresa coinvolta nei lavori; • comunicazione al Comune della data di inizio dei lavori; • verifica della apposizione del cartello di cantiere (art.4 legge 47/1985) contenente, tra l’altro, il nome dell’installatore degli impianti e, qualora richiesto, del progettista degli impianti (art.9 DPR 447/1991) nonché i nomi dei coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori ai sensi del DLgs 494/1996 sulla sicurezza nei cantieri.
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Direttore dei lavori, nonché un apposito giornale dei lavori. Della conservazione e regolare tenuta di tali documenti è responsabile il DL, che è anche tenuto a vistare periodicamente, e in particolare nelle fasi più importanti dell’esecuzione, il giornale dei lavori. In base all’art.6, il DL deve munirsi di certificazioni sui materiali impiegati per le strut-
ture, facendo testare cubetti di calcestruzzo da laboratori autorizzati di cui all’art.20 (laboratori universitari ecc.), e acquisendo i certificati del ferro prodotti dalle industrie fornitrici. Le varianti alle strutture portanti introdotte durante i lavori devono essere denunciate allo sportello unico, prima di dare inizio alla loro esecuzione.
INCOMBENZE ALLA ULTIMAZIONE DEI LAVORI Ultimazione delle strutture • Esclusi gli enti pubblici con ufficio tecnico con a capo un ingegnere (o architetto), entro 60 giorni dalla ultimazione delle strutture, DL consegna allo sportello unico una relazione sulle opere strutturali, con i risultati delle prove sui materiali; una copia della relazione sarà restituita al Direttore dei lavori che provvederà a consegnarla al collaudatore unitamente agli atti indicati nell’art.4 c.4 legge 1086/1971; DL comunica la ultimazione delle strutture al collaudatore che entro 60 giorni deve collaudare.
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INCOMBENZE NEL CORSO DEI LAVORI Legge 1086/1971. Ai sensi della legge 1086/1971 sulle opere in cemento armato e ferro, nei cantieri, dal giorno di inizio delle opere a quello di ultimazione dei lavori, devono essere conservati gli atti del progetto delle opere con i calcolo delle strutture portanti, datati e firmati anche dal costruttore e dal
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INCOMBENZE CHE PRECEDONO L’INIZIO DEI LAVORI In tutti i cantieri, sia nel settore privato che nel settore pubblico, è necessario che prima di iniziare i lavori vengano eseguite una serie di verifiche e controlli per il buon andamento della esecuzione dei lavori. Tali verifiche spettano al Direttore lavori. In particolare nei lavori pubblici, prima che si esperiscano le procedure per l’appalto, il Responsabile del procedimento dispone che il DL verifichi il progetto in relazione al terreno e a quanto occorre per l’esecuzione dell’opera. Tali verifiche dipendono dal tipo di opera; per lavori edili possono essere così individuate in maniera non esaustiva e in linea di massima: • verifica della esistenza della autorizzazione comunale alla esecuzione dei lavori (se necessaria) e delle eventuali autorizzazioni o nulla-osta di altre autorità di controllo quali i vigili del fuoco, le soprintendenze ai monumenti, all’archeologia, ai beni ambientali, e il Genio civile per opere in zona sismica; • acquisizione del progetto dei lavori comprensivo di calcoli delle strutture portanti e degli impianti tecnici, del contratto di appalto e della documentazione allegata; • acquisizione della documentazione relativa al contenimento dei consumi energetici, della dichiarazione di conformità alla legge 13/1989 sulle barriere architettoniche, nonché dei sondaggi geognostici effettuati; • acquisizione, qualora ricorra il caso, dei decreti di occupazione delle aree oggetto dei lavori da eseguire;
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Ultimazione istallazione infissi esterni • Catasto DPR 425/1994: DL deve presentare al Comune la dichiarazione per l’iscrizione al catasto entro 30 giorni dalla installazione degli infissi. Ultimazione impianti tecnologici • Impianti: al termine della installazione l’impresa rilascia al committente la dichiarazione di conformità. DPR 380/2001 art.113; • Per alcuni impianti la legge richiede il certificato di collaudo.
Ultimazione della costruzione • Per lavori non ultimati entro 3 anni dall’inizio occorre chiedere al Comune la proroga del permesso di costruire. DPR 380/2001 art.15; • DIA: certificato di collaudo finale che attesti la conformità dell’opera al progetto. DPR 380/2001 art.23; • Agibilità DPR 425/1994. DL certifica la conformità al progetto, la prosciugatura dei muri, la salubrità degli ambienti; • Consumi energetici: al termine dei lavori. DL certifica la conformità dei lavori al progetto e alle norme.
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SICUREZZA DEL CANTIERE NEI LAVORI PRIVATI E PUBBLICI Il decreto legislativo 14 agosto 1996, n.494 sui cantieri temporanei e mobili prevede che il committente dell’opera per i lavori privati, o il Responsabile del procedimento per i lavori pubblici, contestualmente all’affidamento dell’incarico di progettazione, debba designare il coordinatore per la progettazione. Inoltre prima dell’affidamento dei lavori deve designare il coordinatore per l’esecuzione dei lavori. Tale adempimenti sono richiesti qualora il lavoro debba essere eseguito da più di una impresa: la ditta subappaltatrice è considerata una altra impresa, mentre il lavoratore autonomo non è considerato impresa. Altra condizione è che la durata dei lavori superi i 200 uomini-giorno ovvero che i lavori comportino rischi particolari descritti nell’allegato II al DLgs 494/1996 (casi di lavori in altezza, scavi, presenza di sostanze chimiche, esplosivi ecc.). Il coordinatore per la progettazione ha il compito di redigere il piano di sicurezza e di coordinamento del cantiere e il fascicolo del fabbricato. Il piano è parte integrante del contratto di appalto; è costituito da una relazione tecnica
e da prescrizioni operative correlate alla complessità dell’opera da realizzare e alle eventuali fasi critiche del processo di costruzione. I contenuti del piano sono descritti nell’art.12 del DLgs 494/1996. In linea generale sono così delineati: • individuazione, analisi e valutazione dei rischi; • conseguenti procedure esecutive, apprestamenti e attrezzature in grado di garantire, per tutta la durata dei lavori, il rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute dei lavoratori; • stima dei costi della sicurezza, che non sono soggetti a ribasso nelle offerte delle imprese esecutrici; • misure di prevenzione dei rischi risultanti dalla presenza simultanea o successiva di più imprese o lavoratori autonomi; • previsione, ove necessario, di utilizzazione di impianti comuni quali infrastrutture, mezzi logistici, e di protezione collettiva.
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➦ SICUREZZA DEL CANTIERE NEI LAVORI PRIVATI E PUBBLICI L’art.12 precisa anche che nel piano devono essere previsti la recinzione del cantiere, le misure per fronteggiare rischi provenienti dall’esterno del cantiere, i servizi igienico-assistenziali, le protezioni in presenza di linee aeree e di condutture sotterranee, la viabilità di cantiere, gli impianti di terra e parafulmini, le misure contro gli incendi. Ulteriori specificazioni sul piano e sui costi della sicurezza saranno stabiliti in un Regolamento da emanare. L’impresa, appaltatrice, prima dell’inizio dei lavori, deve redigere il piano operativo di sicurezza (ai sensi dell’art.4 del DLgs 626/1994). Nel settore pubblico i contenuti dei piani di sicurezza sono descritti dall’art.31 della legge 109/1994 e dall’art.41 del DPR 554/2000. Essi sono analoghi a quelli dell’art.12 del DLgs 494/1996. Ulteriori norme saranno contenute in un Regolamento in materia di piani di sicurezza che dovrà essere emanato ai sensi dell’art.31. L’art.31 pone a carico dell’appaltatore, i seguenti documenti da redigere prima della consegna dei lavori: a) eventuali proposte integrative del piano di sicurezza fornito dall’amministrazione; b) un proprio piano di sicurezza sostitutivo di quello redatto dal committente, qualora quest’ultimo non sia previsto dalle norme del DLgs 494/1996;
c) un piano operativo di sicurezza riferito ai sistemi di lavoro caratteristici della propria azienda, da considerare come piano complementare di dettaglio del piano fornito dal committente o di quello di cui alla lettera b). Le gravi o ripetute violazioni dei piani stessi da parte dell’appaltatore o del concessionario, previa formale costituzione in mora dell’interessato, costituiscono causa di risoluzione del contratto. Il Direttore di cantiere e il coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, vigilano sull’osservanza dei piani di sicurezza. Le imprese esecutrici, prima dell’inizio dei lavori ovvero in corso d’opera, possono presentare al coordinatore per l’esecuzione dei lavori proposte di modificazioni o integrazioni al piano di sicurezza e di coordinamento, sia per adeguarne i contenuti alle tecnologie proprie dell’impresa, sia per garantire il rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute dei lavoratori eventualmente disattese nel piano stesso. I contratti di appalto sono nulli se privi dei piani di sicurezza.
PRINCIPALI NORME SULLA DIREZIONE DEI LAVORI Legge 2248/1865 sui lavori pubblici – Norme in parte abrogate dal DPR 554/1999. RD 350/1895 – Regolamento per la direzione, la contabilità e la collaudazione dei lavori dello Stato. Interamente abrogato dal DPR 554/1999. DPR 7 gennaio 1956 n.164 – Prevenzione infortuni nelle costruzioni. Legge 143/1949 – Tariffa ingegneri e architetti: • art.11, c.3: la tutela della fedele esecuzione artistica o tecnica del progetto spetta esclusivamente al progettista; • art.19 g), h), i), l): il Direttore dei lavori emana gli ordini per l’attuazione dell’opera progettata e sorveglia la buona riuscita; • art.19 a): compiti del collaudatore. DPR 164/1956 – Sicurezza nelle costruzioni: • artt.20 e 52: progetto del ponteggi; • art.64: progetto armature provvisorie; • art.67: autorizzazione del Direttore lavori per disarmo. Legge 765/1967 – Legge ponte urbanistica: • art.6 (art.26, legge 1150/1942): responsabilità civile in solido per opere abusive; • art.10 (art.31 c.12, legge 1150/1942): responsabilità penale per inosservanza di norme di legge e di prescrizioni della licenza edilizia (legge 47/1985, art.6). Legge 1086/1971 – Opere in cemento armato, precompresso e a struttura metallica: • art.2: obbligo del Direttore dei lavori; • art.3: responsabilità del DL per il rispetto del progetto e per la qualità dei materiali; • art.4b: firma della relazione sui materiali; • art.5: documenti da tenere in cantiere; • art.6: DL deposita al Genio civile la relazione a struttura ultimata; • art.15: responsabilità del DL. Legge 64/1974 – Sismica: • art.18: obbligo del Direttore dei lavori con qualifica di ingegnere o architetto o geometra o perito industriale edile o (legge 152/1992) agronomo. Legge 646/1982 – Antimafia: • art.22: custodia del cantiere. Legge 47/1985 – Controllo dell’attività edilizia: • art.4: cartello di cantiere; • art.6: responsabilità del DL per il rispetto della concessione edilizia; responsabilità civile verso il committente e verso i terzi. Legge 55/1990 – Appalti antimafia: • art.18 c.8: piano di sicurezza – Direttore tecnico di cantiere. DPCM 55/1991 – Appalti pubblici: • art.9 c.2: verifiche del Direttore lavori nell’emettere il certificato di pagamento;
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• art.9 c.6: responsabilità del Direttore di cantiere. Legge 104/1992 – Handicappati: • art.24 c.7: barriere architettoniche – responsabilità del DL. DPR 425/1994 – Certificazione di abitabilità – Collaudo strutture – Accatastamento: • art.2: contestualmente alla denuncia dei lavori strutturali, il committente conferisce l’incarico del collaudo statico; DL comunica al Comune, al Genio civile, al collaudatore che la struttura è stata completata. Il collaudatore entro 60 giorni deve collaudare; • art.3 c.1 e 2: DL deve presentare dichiarazione per l’iscrizione in catasto dell’immobile appena ultimato e comunque entro 30 giorni dalla installazione degli infissi; • art.4 c.1: ai fini dell’abitabilità, DL certifica la conformità al progetto e la salubrità degli ambienti. Legge 11 febbraio 1994 n.109 – Legge quadro sui lavori pubblici e successive modifiche (legge 415/1998, legge 340/2000, legge 388/2000, legge 166/2002 ecc.): • art.7: Responsabile del procedimento; • art.17: incarichi di direzione lavori; • art.25 c.1: parere del DL e del progettista sulle varianti; • art.25 c.2: responsabilità del progettista esterno per varianti; • art.27: ufficio di direzione lavori – modalità di affidamento di incarichi di DL; • art.31: responsabilità del Direttore di cantiere e del coordinatore della sicurezza in materia di sicurezza. DLgs 17 marzo 1995 n.157 – Recepimento della direttiva 1992/50/CEE sugli appalti pubblici di servizi (GU 6 maggio 1995 SO). Sistemi di affidamento di incarichi professionali superiori alla soglia comunitaria di € 200.000. DLgs 14 agosto 1996 n.494, modificato dal DLgs 19 novembre 1999 n.528, recepimento della direttiva 1992/57/CEE sulla sicurezza nei cantieri temporanei mobili: • art.3: designazione, contestualmente all’affidamento della progettazione, del coordinatore per la progettazione e designazione, prima dell’affidamento dei lavori, del coordinatore per l’esecuzione dei lavori; apposizione dei nominativi nel cartello di cantiere; • artt.12-13: redazione del piano di sicurezza e di coordinamento e del fascicolo. Legge 415/1998 di modifica della legge 109/1994. DLgs 29 ottobre 1999 n.490 – Testo Unico dei Beni culturali (GU 27 dicembre 1999). Raccoglie tutta la normativa vigente sui beni culturali e ambientali. Abroga totalmente o parzialmente ben 24 leggi, tra le quali la 1089/1939, la 1497/1939 e la 431/1985. Suddiviso in due titoli: il primo sui beni culturali, inclusi i beni immobili (beni architettonici e monumenti), il secondo sui beni paesaggistici e ambientali. Sia nel Titolo I che nel II sono incluse disposizioni per il rilascio delle autorizzazioni e concessioni nonché per regolare i poteri della amministrazione di inibire e sospendere i lavori.
DLgs 19 novembre 1999 n.528, modifica del DLgs 494/1996, sicurezza nei cantieri. DPR 21 dicembre 1999 n.554 – Regolamento generale dei lavori pubblici, in attuazione della legge 109/1994 (GU 28 aprile 2000 SO). Sostituisce e abroga interamente il precedente Regolamento, RD 350/1895, Regolamento per la direzione, la contabilità e la collaudazione dei lavori dello Stato. DPR 25 gennaio 2000 n.34 – Sistema di qualificazione delle imprese. DM 19 aprile 2000 n.145 – Capitolato generale d’appalto dei lavori pubblici (GU n.131 del 7 giugno 2000). Emanato ai sensi dell’art.3 comma 5 della legge 109/1994. Abroga il precedente Capitolato generale DPR 16 luglio 1962 n.1063. DM 4 aprile 2001 – Tariffa per attività di progettazione e direzione di lavori pubblici (GU 26 aprile 2001 n.96). DPR 8 giugno 2001 n.327 – Testo Unico degli Espropri per pubblica utilità, in vigore dal 30 giugno 2003. Riunisce e coordina la vigente disciplina che è fondata sulle leggi 2359/1865, 2892/1885 (legge per il risanamento di Napoli), 865/1971 (legge della casa), 10/1977 e altre. DPR 6 giugno 2001 n.380 – Testo Unico dell’Edilizia, (GU 20 ottobre 2001) in vigore dal 30 giugno 2003. Abroga, totalmente o parzialmente, 18 tra leggi e regolamenti. Riunisce e coordina le norme sulla concessione edilizia e sugli altri atti di assenso, nonché le disposizioni su: opere con struttura in cemento armato e struttura metallica, barriere architettoniche, opere in zona sismica, sicurezza degli impianti e contenimento dei consumi energetici. La concessione edilizia assume la denominazione di “permesso di costruire”, scompare la autorizzazione edilizia. Viene introdotto lo sportello unico presso ogni Comune, viene reso facoltativo il parere della commissione edilizia, scompare il termine abitabilità perché i due concetti di abitabilità e agibilità degli edifici sono concentrate in un solo, l’agibilità. Legge 1° agosto 2002 n.166, art.7, modifiche alla legge quadro sui lavori pubblici, n.109/1994. Innalza a € 100.000 il limite sotto il quale gli incarichi professionali sono affidati senza gara, a discrezione dell’amministrazione. Consente alle società di ingegneria di ricevere incarichi anche al di sotto di € 200.000. Aumenta le possibilità di ricorso all’appalto di progettazione e costruzione. La concessione di esecuzione e gestione viene resa più conveniente per le imprese e per l’appalto concorso è richiesto il parere del Consiglio superiore solo in caso di appalti sopra € 750.000. Il comma 4 aumenta dal 30 al 50% la percentuale di lavori che è possibile subappaltare e il comma 5 riduce l’applicazione della normativa antimafia ai soli subappalti di importo superiore a € 100.000 o al 2% dell’importo dei lavori.
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A.ZIONI
CONSEGNA DEI LAVORI DPR 554/1999 artt.129-132. La consegna deve avere luogo entro il termine di 45 giorni dalla stipula del contratto, ovvero, per i Ministeri, dalla data della registrazione del contratto alla Corte dei conti e, in caso non occorra la registrazione, dalla data di approvazione del contratto. Per i cottimi fiduciari il termine decorre dalla data di accettazione dell’offerta. Il Direttore lavori, previa autorizzazione del Responsabile del procedimento, convoca l’appaltatore per la messa a disposizione dell’area o del manufatto sul quale devono essere eseguiti i lavori oggetto dell’appalto. Dal momento della consegna cominciano a decorrere i giorni a disposizione dell’impresa per l’esecuzione dei lavori. Quando la natura e l’importanza dell’opera lo richieda, ovvero si verifichi una temporanea indisponibilità delle aree o degli immobili, il Capitolato speciale dispone che la consegna può aver luogo più volte con successivi verbali di consegna parziale.
C.6. 2.
La data di consegna agli effetti contrattuali è quella dell’ultimo verbale di consegna parziale. Per motivi di urgenza la consegna può avvenire subito dopo l’aggiudicazione definitiva dell’appalto. Il verbale di consegna lavori deve essere redatto in due copie, sottoscritte dall’appaltatore e dal Direttore dei lavori. Una copia è inviata al Responsabile del procedimento, che ne rilascia copia conforme all’appaltatore. Il verbale deve contenere le operazioni eseguite, come i tracciamenti e le misurazioni, la collocazione di picchetti, capisaldi, sagome e termini ove necessario; deve inoltre contenere la descrizione delle circostanze particolari individuate e la dichiarazione che l’area consegnata è libera da persone e cose. Se si riscontrano differenze tra lo stato dei luoghi e il progetto esecutivo non si procede alla consegna. Il Direttore dei lavori propone al Responsabile del procedimento i provvedimenti da adottare.
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SVOLGIMENTO DEI LAVORI DPR 554/1999 art.128. Tutte le disposizioni rivolte dal Responsabile del procedimento al Direttore lavori e da parte di quest’ultimo all’impresa appaltatrice, sono emesse tramite ordine di servizio. Questo è redatto in due copie firmate dal Direttore dei lavori. L’appaltatore restituisce una copia da lui sottoscritta. L’appaltatore non può scrivere riserve sull’ordine di servizio.
Il Responsabile del procedimento impartisce, tramite ordine di servizio, le istruzioni occorrenti a garantire la regolarità dei lavori e stabilisce la tempistica per la loro esecuzione, salvo che sia già fissata nel contratto. Il Direttore dei lavori è tenuto a presentare al Responsabile del procedimento un rapporto periodico sull’andamento dei lavori.
ACCETTAZIONE DEI MATERIALI DM 145/2000 art.15. I materiali e i componenti da usare per i lavori devono corrispondere alle prescrizioni del Capitolato e devono essere accettati dal Direttore lavori. In caso di controversia si procede ai sensi dell’art.137 del DPR 554/1999. Il DL può rifiutare i materiali deperiti dopo la loro introduzione in cantiere. In questo caso l’appaltatore li deve rimuovere dal cantiere e sostituirli con altri a sue spese.
Anche dopo l’accettazione e la messa in opera dei materiali restano fermi i diritti della stazione appaltante in sede di collaudo. In base alla legge 1086/1971 art.6, il DL deve munirsi di certificazioni sui materiali impiegati per le strutture, facendo testare cubetti di calcestruzzo da laboratori autorizzati di cui all’art.20 (laboratori universitari ecc.), e acquisendo i certificati del ferro prodotti dalle industrie fornitrici.
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DIFETTI DI COSTRUZIONE DM 145/2000 art.18. Qualora il Direttore lavori accerti che determinati lavori sono stati eseguiti senza diligenza o con materiali diversi da quelli di contratto o comunque difettosi, l’appaltatore
deve demolire e rifare a sue spese le lavorazioni. Se l’appaltatore contesta l’ordine, la decisione è rimessa al Responsabile del procedimento. In caso di inottemperanza, si procede d’ufficio.
SOSPENSIONE E RIPRESA DEI LAVORI Qualora circostanze speciali (cause di forza maggiore, condizioni avverse metereologiche, necessità di redigere una variante in corso d’opera ecc.) impediscano temporaneamente lo svolgimento dei lavori utilmente a regola d’arte, il Direttore dei lavori ne ordina la sospensione (DPR 554/1999 art.133, DM 145/2000 art.24 e 25). Inoltre i lavori possono essere sospesi dal Responsabile del procedimento per ragioni di pubblico interesse o per necessità, nei limiti stabiliti dal Capitolato generale (DM 145/2000 art.24). La sospensione può dar luogo a richiesta di compenso da parte dell’impresa, in merito alla quali potrebbe emergere una responsabilità del Responsabile del procedimento o del Direttore lavori, qualora la sospensione non sia giustificata ovvero non sia stato
provveduto con adeguato anticipo di tempo a predisporre la perizia. La formalizzazione avviene a mezzo di un verbale compilato dal Direttore lavori e che entro 3 giorni deve essere inoltrato all’amministrazione. Nel verbale è indicato lo stato di avanzamento dei lavori, le opere che vengono interrotte e le cautele da adottare per non danneggiarle, la consistenza della forza lavoro e dei mezzi d’opera presenti in cantiere. L’appaltatore può sottoscrivere il verbale con riserva. Anche il verbale di ripresa dei lavori deve essere sottoscritto dall’appaltatore e inoltrato all’amministrazione. Nel corso della sospensione il Direttore lavori compie accessi al cantiere con intervalli non superiori a 90 giorni.
C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
VARIAZIONI AL PROGETTO Legge 109/1994 art.25, DPR 554/1999 art.134, DM 145/2000 artt.10-12, determinazione della Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici n.1 dell’11 gennaio 2001. Nessun mutamento al progetto approvato può essere introdotto dall’appaltatore se non è disposto dal Direttore dei lavori e preventivamente approvato dalla stazione appaltante. Sono consentite varianti al progetto durante i lavori solo nei seguenti casi: • per esigenze derivanti da nuove norme; • per cause impreviste e imprevedibili accertate; • per la disponibilità di nuovi materiali o tecnologie inesistenti al momento della progettazione, la utilizzazione dei quali può migliorare l’opera e sempre che non alterino l’impostazione progettuale; • per eventi inerenti la natura dei beni sui quali si interviene, verificatisi in corso d’opera o di rinvenimenti non prevedibili in fase progettuale; • per difficoltà di esecuzione legate impreviste a cause geologiche, idriche e simili (c.c. art.1664, 2° comma); • per errori o omissioni del progetto esecutivo che pregiudicano la realizzazione dell’opera. In questo caso il RP ne dà comunicazione all’Osservatorio e al progettista.
Il progettista è responsabile per i conseguenti danni subiti dalla stazione appaltante. Nel caso in cui l’errore porti come conseguenza la necessità di varianti che eccedano il 20% dell’importo originario, il contratto viene sciolto e viene indetta una seconda gara. Sono considerati errore o omissione di progettazione l’inadeguata valutazione dello stato di fatto, la mancata o erronea identificazione della normativa tecnica vincolante per la progettazione, il mancato rispetto dei requisiti economici e funzionali prestabiliti e risultanti da prova scritta, la violazione delle norme di diligenza nella predisposizione degli elaborati progettuali. Nel caso di lavori di recupero, ristrutturazione, manutenzione, restauro, non sono considerate varianti gli interventi disposti dal Direttore dei lavori per risolvere aspetti di dettaglio entro un importo non superiore al 10% e che non comportino un aumento dell’importo del contratto. Per tutti gli altri lavori la percentuale non deve superare il 5%.
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. C.6.1IONE DEI DIREZ I R LAVO . C.6.2ZIONE BLICI ESECU VORI PUB A L I E D
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C.6. 2.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI ESECUZIONE DEI LAVORI PUBBLICI ➦ VARIAZIONI AL PROGETTO Sono inoltre ammesse varianti in aumento o diminuzione di esclusivo interesse dell’amministrazione, finalizzate al miglioramento dell’opera e alla sua funzionalità, sempreché non comportino modifiche sostanziali e siano relative a esigenze derivanti da circostanze sopravvenute e imprevedibili al momento della stipula del contratto. L’importo in aumento non deve superare il 5% del contratto e deve trovare copertura nella somma stanziata per l’esecuzione dell’opera. Qualora occorra apportare variazione o addizione ai lavori non previste nel contratto, il Direttore lavori, sentito il Responsabile del procedimento e il progettista, promuove
la redazione di una perizia suppletiva e di variante. La perizia è approvata dalla stazione appaltante qualora comporti la necessità di ulteriore spesa rispetto al quadro economico del progetto approvato. Altrimenti è approvata dal Responsabile del procedimento sempre che non alteri la sostanza del progetto. I componenti l’ufficio direzione lavori sono responsabili delle conseguenze derivanti dall’aver ordinato o lasciato eseguire varianti senza la regolare autorizzazione, sempre che non derivino da interventi volti a evitare danni a beni tutelati dalle leggi sui beni culturali e ambientali.
NUOVI PREZZI Le variazioni sono valutate ai prezzi di contratto; ma se siano da eseguire categorie di lavori non previste o si debbano impiegare materiali per i quali non risulta fissato il prezzo contrattuale, si provvede alla formazione di nuovi prezzi. Ai sensi dell’art.136 DPR 554/1999, i nuovi prezzi si valutano: a) desumendoli dal prezziario della stazione appaltante o da listini correnti nell’area interessata;
b) ragguagliandoli a quelli di lavorazioni simili comprese nel contratto; c) quando sia impossibile l’assimilazione, ricavandoli totalmente o parzialmente da nuove regolari analisi. Queste devono essere riferite ai prezzi elementari di mano d’opera, materiali, noli e trasporti, alla data di formulazione dell’offerta. Tutti i nuovi prezzi sono soggetti al ribasso d’asta e al comma 2 art.26 legge 109/1994.
Essi sono determinati in contraddittorio tra Direttore lavori e appaltatore e approvati dal Responsabile del procedimento. Ove comportino maggiori spese rispetto al quadro economico, sono approvati dalla stazione appaltante. Se l’appaltatore non accetta i nuovi prezzi, l’amministrazione ha facoltà di ingiungergli l’esecuzione dei lavori sulla base di detti prezzi. Ove l’appaltatore non iscriva riserve negli atti contabili, i prezzi si intendono accettati.
CONTESTAZIONI TRA STAZIONE APPALTANTE E APPALTATORE – RISERVE DPR 554/1999 art.137, DM 145/2000 artt.31 e 32. Il Direttore lavori o l’appaltatore comunicano al Responsabile del procedimento le contestazioni insorte nell’esecuzione dei lavori; il RP convoca le parti entro 15 giorni per risolvere la controversia. Il RP decide e l’appaltatore ha l’obbligo di uniformarsi, salvo il diritto di iscrivere riserva, pena la decadenza, nel primo atto dell’appalto idoneo a riceverla. La riserva deve essere iscritta anche nel registro di contabilità all’atto della firma immediatamente successiva al verificarsi del fatto oggetto di riserva. Le riserve non confermate sul conto finale si intendono abbandonate.
Se le contestazioni riguardano fatti, il DL redige in contraddittorio con l’imprenditore (o, mancando questi, in presenza di due testimoni), un verbale delle circostanze contestate. Copia del verbale è comunicata all’imprenditore, che entro 8 giorni dal ricevimento deve presentare al DL le sue osservazioni. Il verbale si intende accettato qualora non vengano presentate osservazioni. Il verbale, firmato dall’appaltatore o dai testimoni, è inviato al RP con le eventuali osservazioni dell’appaltatore. Contestazioni e relativi ordini di servizio sono annotati nel giornale dei lavori.
DANNI DPR 554/1999 art.139, DM 145/2000 artt.14 e 20. Nel caso di danni causati da forza maggiore l’appaltatore ne fa denuncia al Direttore lavori nei termini stabiliti dal Capitolato speciale o, in difetto, entro 3 giorni (secondo l’art.20 del Capitolato generale, DM 145/2000, il termine è di 5 giorni) da quello dell’evento, pena la decadenza del diritto al risarcimento.
Appena ricevuta la denuncia, il DL redige il verbale di accertamento delle stato delle cose dopo il danno, delle cause dei danni precisando la causa di forza maggiore, delle eventuale negligenza indicandone il responsabile, dell’osservanza o meno delle regole dell’arte e delle prescrizioni del DL, dell’eventuale omissione delle cautele necessarie a prevenire i danni.
PROGETTAZIONE ESECUTIVA SVOLTA DALL’IMPRESA Legge 109/1994 art.19 e DPR 554/1999 art.47, 90, 140. In caso di appalto di progettazione esecutiva ed esecuzione di lavori (appalto integrato), con a base di gara il solo progetto definitivo, Il Responsabile del procedimento, dopo la stipula del contratto, dispone con ordine di servizio che l’appaltatore dia immediato inizio alla redazione del progetto esecutivo, da completare entro il termine stabilito dal Capitolato speciale. Il RP, in caso di necessità dispone che l’impresa svolga studi di maggior dettaglio rispetto a quelli posti a base del progetto definitivo, senza che ciò comporti compenso aggiuntivo per l’impresa. Il progetto esecutivo non può prevedere variazioni rispetto a quello definitivo, salvo i casi di varianti di cui all’art.25 comma 1, lettere a), b), c), della legge 109/1994 o il caso di errori del progetto definitivo. In tali casi le variazioni al progetto esecutivo sono valutate ai prezzi di contratto e, se del caso, a mezzo di formazione di nuovi prezzi. L’amministrazione, sentito l’autore del progetto definitivo, approva il progetto esecutivo.
Dalla data di approvazione decorrono i termini per la consegna dei lavori. In caso che il progetto esecutivo non sia meritevole di approvazione, il contratto è risolto per inadempienza dell’appaltatore. In ogni altro caso di mancata approvazione del progetto esecutivo, la stazione appaltante recede dal contratto e all’appaltatore è riconosciuto unicamente quanto previsto dal Capitolato generale in caso di accoglimento dell’istanza per ritardata consegna dei lavori. Nel caso di opere di particolare pregio architettonico, il Responsabile del procedimento procede in contraddittorio con il progettista qualificato alla realizzazione del progetto esecutivo a verificare la conformità con il progetto definitivo, al fine di accertare l’unità progettuale. Al contraddittorio partecipa anche il progettista titolare dell’affidamento del progetto definitivo, che si esprime in ordine a tale conformità. (Legge 109/1994-166/2002 art.19 e DPR 554/1999 art.47).
SUBAPPALTO Legge 109/1994-166/2002 art.34, legge 55/1990 art.18, DPR 554/1999 art.141. La stazione appaltante è tenuta a indicare nel bando la categoria prevalente per la quale sono subappaltabili lavori nella misura massima del 50%. Il subappaltatore può subappaltare la posa in opera di: • strutture e elementi prefabbricati prodotti industrialmente;
C 88
• di impianti trasportatori, ascensori, scale mobili, di sollevamento, di trasporto e opere speciali. L’appaltatore che intende avvalersi del subappalto o cottimo deve presentare all’amministrazione istanza, da approvare entro 30 giorni.
ESERCIZIO PROFESSIONALE
•
DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI ESECUZIONE DEI LAVORI PUBBLICI
A.ZIONI
MODULISTICA PER L’ESECUZIONE DEI LAVORI MOD. C.6.2./1 COMUNICAZIONE AGLI ENTI DI STIPULAZIONE DI CONTRATTO (AMMINISTRAZIONE APPALTANTE) Raccomandata con avviso di ricevimento
MOD. C.6.2./3 CONVOCAZIONE IMPRESA PER CONSEGNA DEI LAVORI STAZIONE APPALTANTE ...................................................... UFFICIO TECNICO ....................................................
All’Ispettorato del Lavoro, Circolo di ..................................................................................................................... All’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, Sede di .......................................................................................................................
Raccomandata con avviso di ricevimento
Prot. n. ........................................................................................................................
OGGETTO: Comunicazione di stipulazione di contratto di appalto.
Ai fini della regolarizzazione delle assicurazioni di legge, si comunica che in data .............. è stato stipulato con l’impresa .................. avente sede in ............... un contratto di appalto per i lavori e con le caratteristiche appresso indicate: 1. 2. 3. 4. 5. 6.
Genere dei lavori .................................................................................................... Località in cui i lavori debbono effettuarsi (Comune di ........................................ ). Termine fissato per l’ultimazione dei lavori ............................................................ Importo dei lavori (al netto del ribasso d’asta) € .............................. . Operai occorrenti per l’esecuzione dei lavori n. ................. (presumibile). Importo globale approssimativo e presumibile della spesa per mano d’opera occorrente per l’esecuzione dei lavori .................................................................... 7. Data d’inizio lavori ...................................... .
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
Luogo e data ............................... ALL’IMPRESA
Alla Cassa Edile, Sede di ....................................................................................................................... All’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, Sede di .......................................................................................................................
C.6. 2.
OGGETTO: Convocazione per la consegna dei lavori ai sensi dell’art.129 comma 3 del Regolamento generale sui Lavori Pubblici DPR 554/1999.
Con riferimento ai lavori di .......................................................................................... come concordato a mezzo di preavviso telefonico (o via Fax) in data ......................... è stata fissata, per il giorno (giorno, mese, anno), alle ore .................. la data prevista per la consegna dell’aree (o dei locali) destinata ai lavori di cui sopra. Per tale data si richiede quindi la presenza dei rappresentanti tecnico e legale dell’impresa.
IL DIRETTORE DEI LAVORI
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
MOD. C.6.2./4 CESSIONE CREDITI
STAZIONE APPALTANTE ...................................................... UFFICIO TECNICO ....................................................
C.1. AZIONE PREST
IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO OGGETTO: Lavori di ........................................................... MOD. C.6.2./2 MODELLO PER COMUNICAZIONE AGLI ENTI DI INIZIO LAVORI
STAZIONE APPALTANTE * ...................................................... UFFICIO TECNICO .................................................... Raccomandata con avviso di ricevimento Luogo e data ............................... All’INAIL Sede Provinciale di ...................................................................................... All’INPS Sede Provinciale di ...................................................................................... All’Ispettorato Provinciale del Lavoro .......................................................................... Alla Cassa Edile Sede di ............................................................................................
OGGETTO: Comunicazione di inizio lavori.
Si comunica che in data ........................... sono stati iniziati i lavori di ........................ Durata dei lavori prevista dal ................................. al ................................................. Contratto ............................................................... del ............................................... Impresa ....................................................................................................................... con sede in ..................................... CAP ................... Via ....................................... n. di matricola INPS .................................................... Sede di .................................. n. di matricola INAIL ................................................... Sede di .................................. n. di matricola Cassa Edile .......................................... Sede di .................................. L’importo contrattuale dei lavori assomma a € ........................... .
IL DIRETTORE DEI LAVORI
IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO
APPROVAZIONE LAVORI: (deliberazioni) AGGIUDICAZIONE: VERBALE DI AGGIUDICAZIONE n. ............................ APPROVAZIONE CONTRATTO Determinazione n. ................ del ............................ esecutiva dal ....................................... RIBASSO OFFERTO: ....................... IMPORTO CONTRATTUALE: ............................. per opere a corpo soggette a ribasso: € ............................. per opere a misura soggette a ribasso: € ............................. Importo opere al netto: € ............................. per sicurezza al netto: € ............................. Importo complessivo: € ............................. IMPRESA: ................................................ (denominazione, indirizzo, CAP e città), in persona del Sig. ................................... Legale rappresentante. DICHIARAZIONE RELATIVA ALLA CESSIONE DEL CORRISPETTIVO D’APPALTO Al SENSI DELL’ART.115 DEL REGOLAMENTO GENERALE, DPR 554/1999.
C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
Il sottoscritto Sig. .................................................. , Responsabile del procedimento; visti gli atti in possesso di questo Ufficio, visto l’art.26 comma 5 della legge 109/1994 e s.m.i., ai sensi dell’art.115 del Regolamento generale sui LLPP, DPR 554/1999, DICHIARA che, per quanto risulta agli atti medesimi, l’Impresa suddetta ha ceduto il corrispettivo d’appalto, per un importo di complessivi € .............. a favore di ........................... . Tale cessione è stata attivata mediante stipulazione di (atto pubblico o scrittura privata autenticata) in data .................... notificata all’Ente in data .................... , ai sensi delI’art.3 del Capitolato generale (DM 145/2000) e del contratto. Essa è stata autorizzata con determinazione n. ............... del ....................... previa acquisizione della certifìcazione prevista dalla legge 19 marzo 1990 n.55 e s.m.i., rispettando inoltre quanto previsto dall’art.106 del DLgs 1° settembre 1993 n.385 in merito all’iscrizione degli intermediari finanziari nell’elenco generale. Luogo e data ........................................
IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO * Carta intestata e firma del Direttore dei lavori, in caso di lavori privati.
C.2. AMENTO ORDIN
. C.6.2ZIONE BLICI ESECU VORI PUB A L I E D
C 89
C.6. 2.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI ESECUZIONE DEI LAVORI PUBBLICI ➦ MODULISTICA PER L’ESECUZIONE DEI LAVORI MOD. C.6.2./5 CESSIONE CREDITI (Sostitutiva)
MOD. C.6.2./7 VERBALE CONSEGNA LAVORI IN VIA D’URGENZA
STAZIONE APPALTANTE ......................................................
(AMMINISTRAZIONE APPALTANTE)
UFFICIO TECNICO .................................................... OGGETTO: Lavori di ...........................................................
OPERE: ...................................................................................................................... (Legge ..........................)
APPROVAZIONE LAVORI: (deliberazioni) AGGIUDICAZIONE: VERBALE DI AGGIUDICAZIONE n. ............................ APPROVAZIONE CONTRATTO Determinazione n. ................ del ............................ esecutiva dal ....................................... RIBASSO OFFERTO IMPORTO CONTRATTUALE: per opere a corpo soggette a ribasso € ...................................................................... per opere a misura soggette a ribasso € .............. Importo opere al netto € ........... per sicurezza al netto € ........................... Importo complessivo € ............................. IMPRESA ........................... (denominazione, indirizzo, CAP e città) ....................... , in persona del Sig. Legale rappresentante.
LAVORI ...................................................... ............................................................... Impresa .......................................................................................................................
DICHIARAZIONE RELATIVA ALLA CESSIONE DEL CORRISPETTIVO D’APPALTO Al SENSI DELL’ART.115 DEL REGOLAMENTO GENERALE, DPR 554/1999.
L’anno ............... il giorno ......... del mese di ........................... in ............................... Il sottoscritto Direttore dei lavori, visto il progetto del complessivo importo di € .......... Vista la nota n. .................. del ................................. con la quale veniva comunicata l’aggiudicazione definitiva dei suddetti lavori alla Impresa .......................................... e disposta la consegna dei lavori medesimi in via d’urgenza, in pendenza della stipula del contratto.
Il sottoscritto Sig. .................................................. , Responsabile del procedimento; visti gli atti in possesso di questo Ufficio, visto l’art.26 comma 5 della legge 109/1994 e s.m.i. ai sensi dell’art.115 del Regolamento Generale sui LLPP, DPR 554/1999, DICHIARA che, per quanto risulta agli atti medesimi, l’impresa suddetta non ha ceduto il corrispettivo d’appalto, nè ha rilasciato deleghe o procure a favore di terzi per la riscossione dei mandati di pagamento relativi ai lavori sopraindicati e che non esistono atti impeditivi di altro genere. Luogo e data ........................................ IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO (firma identificata)
MOD. C.6.2./6 – VERBALE CONSEGNA LAVORI (AMMINISTRAZIONE APPALTANTE) OPERE: ...................................................................................................................... Lavori ............................... Impresa .............................. Contratto .............................. in data .............................. n. ............... registrato a .............................. n. ............... in data .............................. per l’importo di € ........................... . PROCESSO VERBALE DI CONSEGNA DEI LAVORI L’anno ............... il giorno ......... del mese di ........................... in ............................... Il sottoscritto Direttore dei lavori, a seguito dell’autorizzazione ricevuta dal Responsabile del procedimento, previo avviso all’impresa precitata, è convenuto sul luogo dove si devono eseguire i lavori in oggetto e ivi, con l’intervento dei Signori: .................................................................................................................................... ha proceduto alla consegna dei lavori medesimi a norma delle prescrizioni degli articoli 129 e 130 del Regolamento dei lavori pubblici, DPR 554/1999. Con la scorta del progetto, il sottoscritto Direttore dei lavori ha verificato la corrispondenza tra i dati del progetto e le attuali condizioni dei luoghi, ha designato i lavori da eseguire e si è accertato che è stato fatto il tracciamento dei lavori secondo i disegni del progetto e che sono stati collocati i picchetti, i capisaldi, le sagome, i termini, là dove è necessario. Inoltre ha accertato che l’area dei lavori è libera da persone e cose, e che, in ogni caso, la stato attuale è tale da non impedire l’inizio dei lavori. Il sottoscritto Direttore dei lavori, con riferimento ai documenti di contratto, ha fornito chiarimenti in relazione alla strutture delle opere e alla qualità dei materiali da impiegare. In particolare ............................................................................................. .................................................................................................................................... L’appaltatore, fornito già di copia del contratto e allegati relativi, ha dichiarato di non aver difficoltà e dubbiezze, di essere perfettamente edotto di tutti i suoi obblighi, di avere accertato che l’area è libera da persone e cose e di accettare col presente atto senza eccezioni di sorta la formale consegna dei lavori suindicati, i quali dovranno essere compiuti in giorni consecutivi n. ................ decorrenti dalla data del presente verbale e perciò cessanti col giorno ........................................ .
Contratto in corso di stipulazione, aggiudicazione definitiva avvenuta il ................... Importo a base di contratto € ........................... .
PROCESSO VERBALE DI CONSEGNA DEI LAVORI IN VIA D’URGENZA (articoli 129 e 130 del DPR 554/1999)
Visti gli articoli 129 e 130 del Regolamento dei lavori pubblici, DPR 554/1999. Previo avviso all’Impresa precitata, è convenuto sul luogo in cui si devono eseguire i lavori dove ha rinvenuto i Signori: ............................................................................. .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... Alla presenza continua degli intervenuti ha proceduto alla consegna dei lavori di che trattasi. Con la scorta del progetto, il sottoscritto Direttore dei lavori ha verificato la corrispondenza tra i dati del progetto e le attuali condizioni dei luoghi, ha designato i lavori da eseguire e si è accertato che è stato fatto il tracciamento dei lavori secondo i disegni del progetto e che sono stati collocati i picchetti, i capisaldi, le sagome, i termini, là dove è necessario. Inoltre ha accertato che l’area dei lavori è libera da persone e cose, e che, in ogni caso, la stato attuale è tale da non impedire l’inizio dei lavori. Il sottoscritto Direttore dei lavori, con riferimento ai documento di contratto, ha fornito chiarimenti in relazione alla struttura delle opere e alla qualità dei materiali da impiegare. In particolare .............................................................................................................. .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... Dato che la consegna dei lavori di cui al presente verbale è effettuata in via d’urgenza, ai sensi dell’art.129 comma 4 del DPR 554/1999, l’impresa dovrà provvedere ai seguenti materiali e dovrà iniziare immediatamente le seguenti lavorazioni, in relazione al programma dei lavori presentato dalla impresa stessa: .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... L’appaltatore, dichiara di essere pienamente edotto di tutte le circostanze di fatto e di luogo inerenti alla esecuzione dei lavori e di tutti gli obblighi accollati all’Impresa dal contratto e dal Capitolato speciale d’appalto, di avere accertato che l’area è libera da persone e cose, e di accettare la consegna dei lavori in via d’urgenza, come sopra effettuata, senza sollevare riserva o eccezione alcuna, restando inteso che dalla data del presente verbale decorra il tempo utile per dare compiuti tutti i lavori, stabiliti nel Capitolato speciale d’appalto, cosicché l’ultimazione dei lavori stessi dovrà avvenire entro il ............................................ . Resta altresì inteso che il pagamento della prima rata di acconto non potrà essere effettuato se non sia stato registrato il decreto di approvazione del progetto riguardante il presente appalto e gli atti contrattuali non siano stati registrati agli effetti fiscali. Del che si è redatto il presente verbale che previa lettura e conferma viene sottoscritto come appresso.
L’IMPRESA L’APPALTATORE Visto: Il Responsabile del procedimento
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IL DIRETTORE DEI LAVORI Visto: Il Responsabile del procedimento
IL DIRETTORE DEI LAVORI
ESERCIZIO PROFESSIONALE
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DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI ESECUZIONE DEI LAVORI PUBBLICI
C.6. 2. A.ZIONI
MOD. C.6.2./8 VERBALE DI SOSPENSIONE DEI LAVORI
MOD. C.6.2./9 VERBALE DI RIPRESA DEI LAVORI
(AMMINISTRAZIONE APPALTANTE)
(AMMINISTRAZIONE APPALTANTE)
OPERE: ...................................................................................................................... (Legge ..........................)
OPERE: ...................................................................................................................... (Legge ..........................)
LAVORI ...................................................... ............................................................... Impresa .......................................................................................................................
LAVORI ...................................................... ............................................................... Impresa .......................................................................................................................
Contratto in data ............. registrato ............ Importo a base di contratto € ............ .
Contratto in data ............. registrato ............ Importo a base di contratto € ............ . VERBALE DI RIPRESA DEI LAVORI
VERBALE DI SOSPENSIONE DEI LAVORI
L’anno ............... il giorno ......... del mese di ........................... in ............................... Il sottoscritto Direttore dei lavori, considerato che i lavori summenzionati non possono procedere temporaneamente, utilmente e a regola d’arte per il seguente motivo: .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... Con l’intervento dell’Impresa ............................... ha compilato i seguente verbale, ai sensi dell’art.133 del Regolamento generale DPR 554/1999, col quale viene stabilito che i lavori di che trattasi, limitatamente alle residuali opere: ...................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... restino sospesi a decorrere dal giorno............................ . Ai sensi del comma 4 dell’art.133, si precisa, di seguito, lo stato attuale di avanzamento dei lavori e le opere la cui esecuzione rimane interrotta: .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... Affinché le opere interrotte, quando i lavori saranno ripresi, possano essere continuate e ultimate senza eccessivi oneri, occorre adottare le seguenti cautele: .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... Si precisa che al momento della sospensione la consistenza della forza lavoro e dei mezzi d’opera esistenti in cantiere è la seguente: .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... Si dichiara che, durante il periodo di sospensione, il Direttore dei lavori, ai sensi del comma 5 dell’art.133, disporrà visite in cantiere per dare disposizioni al fine di contenere macchinari e mano d’opera nella misura strettamente necessaria per evitare danni alle opere già eseguite e per facilitare la ripresa dei lavori. L’impresa dovrà provvedere ...................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... L’appaltatore Signor .................................................... nella qualità summenzionata, non trova nulla da osservare. Del che si è redatto il presente verbale che, previa lettura e conferma, viene sottoscritto come appresso.
L’IMPRESA
Visto: Il Responsabile del procedimento
IL DIRETTORE DEI LAVORI
L’anno ............... il giorno ......... del mese di ........................... in ............................... Il sottoscritto Direttore dei lavori, visto il verbale di sospensione in data .................... col quale i summenzionati lavori furono sospesi a causa di ........................................ .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... Considerato che sono cessate le cause che determinarono la sospensione, con l’intervento dell’Impresa .......................................... ha compilato il presente verbale, con il quale viene stabilito che i lavori di che trattasi siano ripresi a decorrere dal giorno ....................... e che il nuovo termine contrattuale è il giorno ....................... . L’appaltatore Signor ................................................ nella qualità summenzionata, non trova nulla da osservare.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
Del che si è redatto il presente verbale che, previa lettura e conferma, viene sottoscritto come appresso.
L’IMPRESA
IL DIRETTORE DEI LAVORI
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN
Visto: Il Responsabile del procedimento MOD. C.6.2./10 – COMUNICAZIONE DL AL RP PER CONTESTAZIONI ART.137 C.1
C.3. ICHI R INCA PENSI E COM
STAZIONE APPALTANTE ...................................................... UFFICIO TECNICO .................................................... Luogo e data ............................... Al RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO SIG. ..................................................................... Sede .................................................................... OGGETTO: Contestazioni. Comunicazione ai sensi dell’art.137 comma 1 del Regolamento generale sui Lavori Pubblici DPR 554/1999. Con riferimento ai lavori di ..........................................................................................
C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
affidati all’impresa .................. con sede in ............. CAP ........... Via ...................... con verbale di aggiudicazione n. ............... del ................................... per un importo contrattuale di complessivi € .................................. il sottoscritto Direttore dei lavori comunica che in data ................................ sono insorte contestazioni su aspetti tecnici che possono influire sull’esecuzione dei lavori. In particolare esse riguardano i seguenti argomenti: 1. Si constata il verificarsi del seguente fatto: ......................... (descrizione del fatto). L’appaltatore argomenta ........................................................................................ 2. Si constata il verificarsi del seguente fatto: ......................... (descrizione del fatto). L’appaltatore argomenta ........................................................................................ 3. Si constata il verificarsi del seguente fatto: ......................... (descrizione del fatto). L’appaltatore argomenta ........................................................................................ Tanto si comunica affinché la SV possa prendere i provvedimenti di competenza.
IL DIRETTORE DEL LAVORI
. C.6.2ZIONE BLICI ESECU VORI PUB A L I E D
C 91
C.6. 2.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI ESECUZIONE DEI LAVORI PUBBLICI ➦ MODULISTICA PER L’ESECUZIONE DEI LAVORI MOD. C.6.2./11 COMUNICAZIONE RP A DL E IMPRESA PER CONTESTAZIONI ART.137 C.1
(AMMINISTRAZIONE APPALTANTE) Luogo e data ............................... All’IMPRESA ..................................... Via .................................................... Al DIRETTORE DEI LAVORI SIG. .................................................. Sede .................................................
OGGETTO: Contestazioni. Convocazione ai sensi dell’art.137 comma 1 del Regolamento generale sui Lavori Pubblici n.554/1999.
MOD. C.6.2./12 VERBALE CONTESTAZIONI ART.137 C.2
Previo avviso in data .................... prot. n. .......................... sono convenuti sul luogo il Sig. ................................. Direttore dei lavori e il Sig. ................................... legale rappresentante dell’Impresa (NB); Il sottoscritto Direttore dei lavori, visto I’art.137 comma 2 del Regolamento generale sui LLPP DPR 554/1999,
CONSTATA quanto segue: (descrizione delle contestazioni) ....................................................... .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... In conseguenza
Con riferimento ai lavori di .......................................................................................... ed alla comunicazione del Direttore dei lavori pervenuta in data (e/o dell’appaltatore pervenuta in data ........................... con prot. n. .......................... ), relativamente alle contestazioni insorte in merito ad aspetti tecnici che possono influire sull’esecuzione dei lavori, si convocano le parti per il giorno (NB) ........................... alle ore ............ in cantiere (oppure: nell’ufficio del sottoscritto via ....................... , per l’esame delle questioni al fine di risolvere le controversie. Il sottoscritto si riserva di comunicare per iscritto le proprie decisioni, tramite Ordine di Servizio del Direttore dei lavori.
IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO
IMPARTISCE le seguenti disposizioni: ............................................................................................. .................................................................................................................................... .................................................................................................................................... che dovranno essere immediatamente rispettate.
L’IMPRESA
IL DIRETTORE DEI LAVORI
Visto: Il Responsabile del procedimento
NB: entro 15 giorni dalla data della comunicazione del Direttore dei lavori al Responsabile del procedimento.
NB: qualora l’impresa non si presenti il presente verbale è redatto in presenza di due testimoni, le cui generalità dovranno essere indicate e che dovranno firmare il verbale.
MOD. C.6.2./13 INCARICO DI DIREZIONE LAVORI E ASSISTENZA AI LAVORI
MOD. C.6.2./14 NOMINA DI DIRETTORE LAVORI ESTERNO
(AMMINISTRAZIONE APPALTANTE) Luogo e data ...............................
(AMMINISTRAZIONE APPALTANTE) Luogo e data ...............................
e p.c.
Al Sig. ............................................... Al Sig. ............................................... Al Sig. ............................................... Al Sig. ............................................... Al settore Programmazione LLPP e Segreteria Tecnica Loro sedi
e p.c.
Al Sig. ............................................... Al settore Programmazione LLPP e Segreteria Tecnica Loro sedi
OGGETTO: Conferimento di incarico di Direzione e Assistenza Lavori ai sensi dell’art.27 comma i della legge 109/1994 e s.m.i. e degli artt.8 c.1 elle, 123-124-125-126-127 del Regolamento generale DPR 554/1999.
OGGETTO: Conferimento di incarico di Direzione e Assistenza Lavori ai sensi dell’art.27 c.1 e dell’art.17 c.4 della legge 109/1994 e s.m.i. e degli artt.8 c.1 elle, 123, 124, 127 del Regolamento generale DPR 554/1999.
Descrizione opera: ......................................................................................................
Descrizione opera: ......................................................................................................
Approvazione: Importo lavori a base di gara: Importo deliberato:
Approvazione: Importo lavori a base di gara: Importo deliberato:
€ ............................. € .............................
DESIGNAZIONE DELL’UFFICIO DELLA DIREZIONE LAVORI, DEL DIRETTORE DEI LAVORI E DEL PERSONALE DI SORVEGLIANZA INTERNI Il sottoscritto, ................................................................ (nome, cognome e qualifica), Responsabile Unico del Procedimento (individuato con deliberazione ......... n. ..... ), ai sensi dell’art.8 comma 1 elle del Regolamento generale, considerato che la gara di appalto non è ancora esperita, DESIGNA il Sig. ........................... (nome, cognome e qualifica) in qualità di Direttore dei lavori (art.124 RG) e Coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione (art.127 RG); il Sig. ........................... (nome, cognome e qualifica) in qualità di Direttore Operativo (art.125 RG) con mansioni di .................................................................................... , il Sig. .......................... (nome, cognome e qualifica) in qualità di Ispettore di cantiere (art.126 RG).
€ ............................. € .............................
DESIGNAZIONE DEL DIRETTORE DEI LAVORI ESTERNO ALL’ENTE Il sottoscritto, ................................................................ (nome, cognome e qualifica), Responsabile Unico del Procedimento (individuato con deliberazione ......... n. ..... ), ai sensi dell’art.8 comma 1 elle del Regolamento generale, vista: • la deliberazione di ............................. n. ................ con la quale veniva individuato il Direttore dei lavori; • la determinazione dirigenziale del ....................... n. ............... di perfezionamento dell’affidamento e impegno di spesa; • la convenzione sottoscritta in data .................................. . DESIGNA il Sig. ...................................... (nome cognome e qualifica), in qualità di Direttore dei lavori e Coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione (artt.124 e 127 RG), con le mansioni di cui alla suddetta convenzione e alla legge.
DESIGNA altresì il Sig. .......................... (nome, cognome e qualifica), a supplire il Direttore dei lavori in caso dì assenza o impedimento. IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO
C 92
IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO
ESERCIZIO PROFESSIONALE
•
DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI ESECUZIONE DEI LAVORI PUBBLICI
C.6. 2. A.ZIONI
MOD. C.6.2./15 DICHIARAZIONE ALLA CASSA DEPOSITI E PRESTITI PER PARCELLE
(AMMINISTRAZIONE APPALTANTE)
MOD. C.6.2./16 DICHIARAZIONE ALLA CASSA DEPOSITI E PRESTITI PER FORNITURE
(AMMINISTRAZIONE APPALTANTE)
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
Luogo e data ...............................
Luogo e data ............................... DICHIARAZIONE AI FINI DELL’EROGAZIONE OGGETTO: Mutuo n. ..... di € .......................... per i lavori di ................................................................................................................ posizione n. ................................................................................................................ Il sottoscritto ........................................................... Responsabile del procedimento, • Visto il DM Tesoro 7 gennaio 1998, art.5; • Vista la circolare della Cassa Depositi e Prestiti n.1227 del 13 marzo 1998; • Vista la parcella professionale n. .......... del ................... giustificativa della spesa; sotto la propria responsabilità, DICHIARA che la richiesta di somministrazione di complessive € ........................... (IVA inclusa) corrisponde alle spese per le quali è stato concesso il mutuo in oggetto, riportate nei documenti giustificativi di cui alle premesse.
DICHIARAZIONE Al FINI DELL’EROGAZIONE OGGETTO: Mutuo n. ...... di € .................. per i lavori di .............................. posizione n. ...................... Il sottoscritto ........................................................... Responsabile del Procedimento, • Visto il DM Tesoro 7 gennaio 1998, art.5; • Vista la circolare della Cassa Depositi e Prestiti n.1227 deI 13 marzo 1998; • Vista la fattura n. .................... del .................... giustificativa della spesa;
DICHIARA che la richiesta di somministrazione di complessivi € ................. (IVA inclusa) corrisponde alle spese per le quali è stato concesso il mutuo in oggetto, riportate nei documenti giustificativi di cui alle premesse.
Modello da utilizzare in caso di forniture.
MOD. C.6.2./17 NOTIFICA PRELIMINARE DLgs 494/1996
MOD. C.6.2./18 PROCURE E DELEGHE ALL’INCASSO
OGGETTO: Notifica preliminare ai sensi dell’art.11 comma 1 del DLgs 494/1996 e s.m.i.. Lavori di ........................................................... Si precisa che il lavoro di cui all’oggetto rientra in una delle seguenti tipologie previste dall’art.11 del succitato Decreto e cioè: A. cantieri di cui art.3 comma 3, in cui è prevista la presenza anche non contemporanea di più imprese e inoltre: • la cui entità presunta è pari o superiore a 200 uomini/giorno; • i cui lavori comportano i rischi particolari elencati nell’allegato II; B. cantieri che, inizialmente non soggetti all’obbligo di notifica, ricadono nelle categorie di cui alla lettera a) per effetto delle varianti sopravvenute in corso d’opera; C. cantieri in cui opera un’unica impresa la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a 200 uomini/giorno. Si comunicano pertanto i seguenti dati: 1.Data della comunicazione: vedi data del protocollo della presente; 2.Indirizzo del cantiere: Via ............................. n. ........... in ............................ (città) 3. Committente: ....................... via ................... n. .... in persona; del .............. (qualifica, nome e cognome) ................ individuato con deliberazione .......... del ............ n. .... ; 4.Natura dell’opera; 5. Responsabile(i) dei lavori: Dirigente di Settore pro tempore ........... (qualifica, nome(i) e cognome(i) e indirizzo(i) completo(i)), individuata con la succitata deliberazione; 6. Coordinatore(i) per quanto riguarda la sicurezza e la salute durante la progettazione dell’opera: ......................... (qualifica, nome(i) e cognome(i) e indirizzo(i) completo(i)); 7. Coordinatore(i) per quanto riguarda la sicurezza e la salute durante la realizzazione dell’opera: ......................... (qualifica, nome(i) e cognome(i) e indirizzo(i) completo(i)); 8.Data presunta di inizio dei lavori in cantiere; 9.Durata presunta dei lavori in cantiere: n. ................ giorni; 10. Numero massimo presunto dei lavoratori sul cantiere; 11. Numero previsto di imprese sul cantiere; 12.Numero previsto di lavoratori autonomi sul cantiere; 13. Identificazione delle imprese già selezionate: Impresa appaltatrice: ................................................. (denominazione e indirizzo) Legale rappresentante: ............................................ (qualifica, nome e cognome); 14.Ammontare complessivo presunto dei lavori: € ....... (di cui € ....... per opere al netto del ribasso offerto e € ....... per oneri di sicurezza non soggetti a ribasso). IL DIRIGENTE DEL SETTORE E RESPONSABILE DEI LAVORI
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
URB
(AMMINISTRAZIONE APPALTANTE) DIVISIONE .................................
All’ISPETTORATO DEL LAVORO Via (indirizzo dell’Ente territorialmente competente) CAP ................ Città ..........................
PRO TTURALE STRU
G.ANISTICA
Modello da utilizzare nel caso di prestazioni professionali.
All’AZIENDA SANITARIA LOCALE Via (indirizzo dell’ASL territorialmente competente) CAP ................ Città ..........................
D.GETTAZIONE
IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO
IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO
Luogo e data ...............................
E ESE ESSIONAL PROF
E.NTROLLO
sotto la propria responsabilità,
Lì, .......................
(AMMINISTRAZIONE APPALTANTE)
C.RCIZIO
SETTORE TECNICO
OGGETTO: Lavori di ................................................ APPROVAZIONE LAVORI: (deliberazioni) AGGIUDICAZIONE: mediante gara VERBALE DI AGGIUDICAZIONE: n. .............. del ............ APPROVAZIONE CONTRATTO: Determinazione n. .... del ......... esecutiva dal ....... RIBASSO OFFERTO: ....................... IMPORTO CONTRATTUALE: ............................. per opere a corpo soggette a ribasso: € ............................. per opere a misura soggette a ribasso: € ............................. Importo opere al netto: € ............................. per sicurezza nette: € ............................. Importo complessivo: € ............................. IMPRESA: ................................................ (denominazione, indirizzo, CAP e città), in persona del Sig. ................................... Legale rappresentante.
DICHIARAZIONE RELATIVA ALLE PROCURE E DELEGHE ALL’INCASSO DEL CORRISPETTIVO D’APPALTO ai sensi dell’art.3 del Capitolato generale DM 145/2000 e delle norme che regolano la contabilità della stazione appaltante ...................................................................
Il sottoscritto Sig. .................................................... Responsabile del procedimento, visti gli atti in possesso di questo Ufficio,
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
DICHIARA che, per quanto risulta agli atti medesimi, successivamente al perfezionamento contrattuale il legale rappresentante dell’impresa suddetta ha rilasciato delega (o procura) a riscuotere, ricevere e quietanzare le somme relative al corrispettivo d’appalto, a partire dal .................. per un importo di complessivi euro ....................... a favore del Sig. ........................................................... . La succitata delega (o procura) è stata attivata mediante stipulazione di .................. (atto pubblico o scrittura privata autenticata) notificata alla Direzione dei Lavori in data ..................... ai sensi dell’art.3 del Capitolato generale (DM 145/2000), previa acquisizione della certificazione prevista dalla legge 19 marzo 1990 n.55 e s.m.i.. L’autorizzazione è stata concessa con determinazione n. ............ del ........................
Luogo e data ...............................
IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO
. C.6.2ZIONE BLICI ESECU VORI PUB A L I E D
C 93
C.6. 2.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI ESECUZIONE DEI LAVORI PUBBLICI ➦ MODULISTICA PER L’ESECUZIONE DEI LAVORI MOD. C.6.2./19 IMPRESA IN STATO FALLIMENTARE
MOD. C.6.2./20 SUBENTRO DI NUOVO APPALTATORE
(AMMINISTRAZIONE APPALTANTE)
DIVISIONE .................................
SETTORE TECNICO
(AMMINISTRAZIONE APPALTANTE)
DIVISIONE .................................
SETTORE TECNICO
OGGETTO: Lavori di ................................................
OGGETTO: Lavori di ................................................
Approvazione lavori: .........................................................
PROCESSO VERBALE DI CONSTATAZIONE DEI LAVORI AI SENSI DEL DPR 554/1999 ART.132
PROCESSO VERBALE DI CONSTATAZIONE DEI LAVORI AI SENSI DEL DPR 554/1999 ART.132 COMMA 1
L’anno ............... il giorno ......... del mese di .......................... in ............................. ;
L’anno ............... il giorno ......... del mese di .......................... in ............................. ;
Premesso che: • i lavori in oggetto sono stati aggiudicati mediante gara ....................................... ; • il verbale di aggiudicazione venne redatto in data ......................... con n. .............. approvato con determinazione n. .................. del ............................... ; • venne individuata, quale aggiudicataria delle opere, l’Impresa .............................. (denominazione, indirizzo, CAP e città), in persona del Sig. .................... Legale rappresentante, che offrì un ribasso del ............%, per un importo contrattuale di complessivi € ...................... (di cui € ..................... per opere soggette a ribasso di gara e € ..................... per oneri di sicurezza al netto del ribasso di gara); • con sentenza del Tribunale di Sezione fallimenti n. ............ in data ....................... la succitata Impresa venne dichiarata in stato fallimentare dal ............................. e contemporaneamente venne nominato Curatore fallimentare il Sig. ................... con studio in .......................... CAP ............. , via ................................................ ; • con deliberazione ........................ assunta in data .............. n. ...... venne rescisso il contratto a causa di .............................. e con deliberazione .............................. in data ................. l’affidamento per il completamento delle opere venne conferito all’Impresa ............................ (denominazione indirizzo, CAP e città) in persona del Sig. ............................ Legale rappresentante, che offri un ribasso del ....... %, per un importo contrattuale di complessivi € ..................... così distinti:
Premesso che: • i lavori in oggetto sono stati aggiudicati mediante gara (pubblico incanto, licitazione privata, licitazione privata semplificata, trattativa privata); • il verbale di aggiudicazione venne redatto in data ......................... con n. .......... ; • venne individuata, quale aggiudicataria delle opere, l’Impresa ............................ (denominazione, indirizzo, CAP e città), in persona del Sig. .................... Legale rappresentante, che offrì un ribasso del ..............%, per un importo contrattuale di complessivi € .................... (di cui € .................. per opere soggette a ribasso di gara e € .................. per oneri di sicurezza al netto del ribasso di gara); • con deliberazione/determinazione n. ......... del ................ esecutiva dal ................ venne annullata l’aggiudicazione (oppure: rescisso il contratto) per i seguenti motivi: ................................................................................................................................ • con deliberazione/determinazione del .................. in data ............ l’affidamento per il completamento delle opere venne conferito all’Impresa ............................ (denominazione, indirizzo, CAP e città), in persona del Sig. .................... Legale rappresentante, che offrì un ribasso del ..............%, per un importo contrattuale di complessivi € .................. così distinti:
1. per opere a corpo soggette a ribasso:
€ .....................
2. per opere a misura soggette a ribasso: Importo opere al netto: per sicurezza al netto: Importo complessivo:
€ € € €
..................... ..................... ..................... .....................
Come risulta dal contratto n. ............................................ del ............................... Previo avviso in data .......................... prot. n. ............... sono convenuti sul luogo: • Il Sig. ................... Direttore dei lavori; • Il Sig. ................... Curatore fallimentare dell’Impresa (uscente) ......................... ; • Il Sig. ................... Legale rappresentante dell’Impresa (subentrante) ................ . Il sottoscritto Direttore dei lavori, congiuntamente al Curatore fallimentare dell’Impresa uscente e al Legale rappresentante dell’Impresa subentrante, constatano che: • le opere eseguite dall’Impresa (uscente) .................... , consistono in ................... ............................................................................................................................... ; • i materiali giacenti in cantiere tuttora sono i seguenti: ......................................... ; • i mezzi d’opera presenti tuttora in cantiere sono i seguenti: ................................ ; • (altro eventuale) ................................................................................................... . Si da atto inoltre che subito dopo la redazione del presente verbale verrà redatto il Verbale di consegna dei lavori all’Impresa (subentrante) ..................... che dovrà prendersi carico della custodia dei materiali, della conservazione dei mezzi d’opera e delle opere già eseguite. Resta inteso che le responsabilità civili e penali derivanti da vizi occulti delle opere eseguite dall’Impresa (uscente) ............................... non potranno essere addebitate all’Impresa (subentrante) ............................... . Del che si è redatto il presente verbale in duplice esemplare che, previa lettura e conferma, viene sottoscritto come in appresso:
L’IMPRESA USCENTE
L’IMPRESA SUBENTRANTE
IL DIRETTORE DEI LAVORI
IL CURATORE FALLIMENTARE
Visto: Il Responsabile del procedimento
C 94
1. per opere a corpo soggette a ribasso:
€ .....................
2. per opere a misura soggette a ribasso: Importo opere al netto: per sicurezza al netto: Importo complessivo:
€ € € €
..................... ..................... ..................... .....................
Come risulta dal contratto n. ............................................ del ............................... Previo avviso in data .......................... prot. n. ............... sono convenuti sul luogo: • Il Sig. ................... Direttore dei lavori; • Il Sig. ................... Curatore fallimentare dell’Impresa (uscente) ......................... ; • Il Sig. ................... Legale rappresentante dell’Impresa (subentrante) ................ . Il sottoscritto Direttore dei lavori, congiuntamente al Legale rappresentante dell’Impresa uscente e al Legale rappresentante dell’Impresa subentrante, constatano che: • le opere eseguite dall’Impresa (uscente) ...................... consistono in .................. ............................................................................................................................... ; • i materiali giacenti in cantiere tuttora sono i seguenti: ......................................... ; • i mezzi d’opera presenti tuttora in cantiere sono i seguenti: ................................ ; • (altro eventuale) ................................................................................................... . Si da atto inoltre che subito dopo la redazione del presente verbale verrà redatto il Verbale di consegna dei lavori all’Impresa (subentrante) .................... e pertanto da quel momento l’Impresa (uscente) .................... verrà sollevata da ogni responsabilità derivante dalla guardiania del cantiere e non potrà più accedervi se non preventivamente autorizzata, mentre l’Impresa (subentrante) ..................... dovrà prendersi carico della custodia dei materiali, della conservazione dei mezzi d’opera e delle opere già eseguite. Resta inteso che le responsabilità civili e penali derivanti da vizi occulti delle opere eseguite dall’Impresa (uscente) ............................... non potranno essere addebitate all’Impresa (subentrante) ............................... . Del che si è redatto il presente verbale in duplice esemplare che, previa lettura e conferma, viene sottoscritto come in appresso:
L’IMPRESA USCENTE
L’IMPRESA SUBENTRANTE IL DIRETTORE DEI LAVORI
Visto: Il Responsabile del procedimento
ESERCIZIO PROFESSIONALE
•
DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI ESECUZIONE DEI LAVORI PUBBLICI
C.6. 2./3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
MOD. C.6.2./21 VERBALE DI CONSTATAZIONE DPR 554/1999 ART.71 C.3
B.STAZIONI DILEGIZLII
BOLLO € .........................
I ED PRE NISM ORGA
(AMMINISTRAZIONE APPALTANTE) DIVISIONE .................................
SETTORE TECNICO
OGGETTO: Lavori di ................................................
Approvazione lavori: ......................................................... Aggiudicazione: mediante gara ...................................................... (pubblico incanto, licitazione privata, licitazione privata semplificata, trattativa privata); Verbale di aggiudicazione: n. .................. A.V.A. del .................................. in corso di perfezionamento. Impresa: ........................................................ (denominazione, indirizzo, CAP e città), in persona del Sig. .................... Legale rappresentante. L’anno ............... il giorno ......... del mese di .......................... in (città) ...................... il sottoscritto (qualità, nome, cognome) ......................................... Responsabile del procedimento dei lavori in oggetto, vista l’attestazione prodotta in data ..................... dal Sig. (qualifica, nome, cognome) ............................................ Direttore dei lavori, congiuntamente al Sig. (nome, cognome) .............................. Legale rappresentante dell’Impresa .................................... aggiudicataria dei lavori, in data odierna hanno effettuato un sopralluogo nell’area di cantiere e dopo accurata ispezione,
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
CONCORDEMENTE DANNO ATTO che permangono le condizioni che consentono l’immediata esecuzione delle opere.
L’IMPRESA
C.RCIZIO
IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO
G.ANISTICA URB
C.1. AZIONE PREST
CONTABILITÀ DEI LAVORI PUBBLICI
C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM
CONTABILITÀ DEI LAVORI PUBBLICI DPR 554/1999 articoli da 152 a 186. La contabilità di un’opera ha per oggetto l’accertamento e la registrazione di tutti i fatti producenti spesa per l’esecuzione dell’opera. Essa deve procedere di pari passo allo svolgimento dei lavori specialmente per le partite che sarebbe difficile verificare in un momento successivo a quello dell’esecuzione, come gli scavi e le demolizioni. L’ufficio di direzione lavori, avendo acquisito in tale modo la conoscenza dello stato di avanzamento dei lavori e dell’importo dei medesimi, nonché dell’entità dei relativi fondi, si trova sempre in grado: a) di rilasciare prontamente gli stati d’avanzamento dei lavori e i certificati per il pagamento degli acconti; b) di controllare lo sviluppo dei lavori e di impartire tempestivamente le debite disposizioni per la relativa esecuzione entro i limiti delle somme autorizzate; c) di promuovere senza ritardo gli opportuni provvedimenti in caso di deficienza di fondi. Ai sensi dell’art.152, il fondo posto a disposizione delle stazioni appaltanti, risultante dal quadro economico allegato al progetto approvato, ha le seguenti destinazioni: a) lavori in economia previsti in progetto, ma esclusi dall’appalto; b) rilievi, accertamenti e indagini preliminari comprese le eventuali prove di laboratorio per materiali, di cui all’articolo 17, comma 1, lettera b) punto 11; c) allacciamenti ai pubblici servizi; d) maggiori lavori imprevisti; e) incremento del prezzo chiuso ai sensi dell’articolo 26, comma 4, della legge; f) acquisizione o espropriazione di aree o immobili;
g) spese tecniche di progettazione, direzione lavori, assistenza giornaliera, contabilità, liquidazione e assistenza ai collaudi; h) spese per attività di consulenza o di supporto; i) spese per commissioni giudicatrici; l) spese per le verifiche ordinate dal Direttore lavori di cui all’articolo 124, comma 4; m) spese per collaudi; n) imposta sul valore aggiunto; o) spese per pubblicità e, ove previsto, per opere d’arte. Per disporre, durante l’esecuzione dei lavori, delle somme di cui alle lettere a), d) e g), è necessaria l’autorizzazione delle stazioni appaltanti. I lavori in economia a termini di contratto, non danno luogo a una valutazione a misura, ma sono inseriti nella contabilità secondo i prezzi di elenco per l’importo delle somministrazioni al lordo del ribasso d’asta.
C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
Nel caso di contratti aperti relativi a lavori di manutenzione, qualora l’importo dei lavori da eseguire ecceda l’importo contrattuale, il Direttore dei lavori ne dà comunicazione al Responsabile del procedimento. Questi può autorizzare l’ulteriore spesa, fino a un totale complessivo pari all’originario importo posto a base di gara e comunque non superiore a 200.000 euro. Sono contratti aperti gli appalti in cui la prestazione è pattuita con riferimento a un determinato arco di tempo, per interventi non predeterminati nel numero, ma resi necessari secondo le necessità della stazione appaltante.
DOCUMENTI AMMINISTRATIVI E CONTABILI Documenti amministrativi e contabili sono: • giornale dei lavori; • libretti di misura delle lavorazioni e delle provviste; • liste settimanali; • registro di contabilità; • sommario del registro di contabilità;
• stati di avanzamento dei lavori; • certificati per il pagamento delle rate di acconto; • conto finale e la relativa relazione. La contabilità dei lavori può essere effettuata anche attraverso l’utilizzo di programmi informatici.
Tutte le scritture devono essere tenute secondo le norme di una ordinata contabilità, senza spazi in bianco, senza interlinee e senza trasporti in margine. Non vi si possono fare abrasioni e, se è necessaria qualche cancellazione, questa deve eseguirsi in modo che le parole cancellate siano leggibili. (art.2219 c.c.)
. C.6.2ZIONE BLICI ESECU VORI PUB A L I E D . C.6.3 BILITÀ A BLICI CONT VORI PUB A L I E D
C 95
C.6. 3.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI CONTABILITÀ DEI LAVORI PUBBLICI GIORNALE DEI LAVORI Viene compilato dall’assistente designato dal Direttore lavori; su di esso vanno annotati giorno per giorno, gli sviluppi delle lavorazioni, nonché i mezzi d’opera, il numero e la qualifica degli operai impiegati dall’impresa. Su di esso vengono segnate le condizioni meteorologiche e idrometriche, le indicazioni sulla natura dei terreni e altri elementi utili a futura memoria, come le date dei getti di
calcestruzzo e i disarmi, l’arrivo dei materiali nel cantiere ecc. Nel giornale sono inoltre annotati gli ordini di servizio, le istruzioni e le prescrizioni del Responsabile del procedimento e del DL, le relazioni indirizzate al RP, i processi verbali di accertamento di fatti o di esperimento di prove, le contestazioni, le sospensioni e le riprese dei lavori, le varianti ritualmente disposte, le modifiche o aggiunte ai prezzi.
Il DL, ogni 10 giorni e comunque in occasione di ciascuna visita, verifica l’esattezza delle annotazioni sul giornale dei lavori e aggiunge le osservazioni, le prescrizioni e le avvertenze che ritiene opportune apponendo con la data la sua firma, di seguito all’ultima annotazione dell’assistente. Il giornale viene vistato dal DL che vi appone precisazioni, prescrizioni e avvertenze.
LIBRETTI DI MISURA DEI LAVORI E DELLE PROVVISTE Sono la base della contabilità; si possono tenere distinti libretti per diverse categorie di lavoro. La tenuta dei libretti è affidata al Direttore cui spetta eseguire la misurazione e determinare la classificazione dei lavori. Può essere da lui attribuita, come di fatto normalmente avviene, all’assistente che dipende dal Direttore, sempre sotto la responsabilità del Direttore stesso che deve verificare le operazioni e certificare con la propria firma sul libretto. Costituisce opportuna consuetudine che l’assistente contabilizzatore firmi ciascuna pagina del libretto. L’appaltatore, o il tecnico da lui delegato, deve essere invitato a intervenire alla fase delle misurazioni e a firmare immediatamente; in caso di suo rifiuto il Direttore procederà alle misure alla presenza di due testimoni i quali dovranno firmare i libretti o i brogliacci. L’accertamento e la registrazione dei lavori devono avvenire contemporaneamente al loro accadere, specialmente per quei lavori la cui verifica richieda scavi e demolizioni. Al libretto possono essere allegati disegni che, sottoscritti con le stesse modalità del libretto e richiamati nel libretto stesso, ne fanno parte integrante.
Art.158 1. “Il libretto delle misure contiene la misura e la classificazione delle lavorazioni e delle provviste, e in particolare: a) il genere di lavorazione o provvista, classificata secondo la denominazione di contratto; b) la parte di lavorazione eseguita e il posto; c) le figure quotate delle lavorazioni eseguite, quando ne sia il caso; trattandosi di lavorazioni che modificano lo stato preesistente delle cose devono allegarsi i profili e i piani quotati raffiguranti lo stato delle cose prima e dopo delle lavorazioni; d) le altre memorie esplicative, al fine di dimostrare chiaramente ed esattamente, nelle sue varie parti, la forma e il modo di esecuzione.
oggetti sui quali sono stati fatti saggi, scandagli e misure e gli elementi e il processo sui quali sono state calcolate le medie seguendo i metodi della geometria. 3. Nel caso di utilizzo di programmi di contabilità computerizzata, la compilazione dei libretti delle misure viene effettuata attraverso la registrazione delle misure rilevate direttamente in cantiere dal personale incaricato, in apposito documento e in contraddittorio con l’appaltatore. Nei casi in cui è consentita l’utilizzazione di programmi per la contabilità computerizzata, la compilazione dei libretti delle misure deve essere effettuata sulla base dei rilevati nel brogliaccio, anche se non espressamente richiamato”.
2. Qualora le quantità delle lavorazioni o delle provviste debbano desumersi dalla applicazione di medie, sono specificati nel libretto, oltre ai risultati, i punti e
LAVORI A CORPO Art.159 1. “I lavori a corpo sono annotati sul libretto delle misure, sul quale, in occasione di ogni stato d’avanzamento e per ogni categoria di lavorazione in cui il lavoro è stato suddiviso, viene registrata la quota percentuale dell’aliquota relativa alla stessa categoria, rilevabile dal Capitolato speciale d’appalto, che è stata eseguita.
2. In occasione di ogni stato d’avanzamento la quota percentuale eseguita dell’aliquota di ogni categoria di lavorazione che è stata eseguita viene riportata distintamente nel registro di contabilità. 3. Le progressive quote percentuali delle varie categorie di lavorazioni che sono eseguite sono desunte da valutazioni autonomamente effettuate dal Direttore
dei lavori, il quale può controllare l’attendibilità attraverso un riscontro nel computo metrico-estimativo dal quale le aliquote sono state dedotte. Tale computo peraltro non fa parte della documentazione contrattuale”.
LAVORI E SOMMINISTRAZIONI SU FATTURE Art.161 1. “Le lavorazioni e le somministrazioni che per la loro natura si giustificano mediante fattura sono sottoposti alle necessarie verifiche da parte del Direttore dei lavori, per accertare la loro corrispondenza ai preventivi precedentemente accettati e allo stato di fatto. Le fatture così verificate e, ove necessario, rettificate, sono pagate all’appaltatore, ma non iscritte nei conti se prima non siano state interamente soddisfatte e quietanzate”.
NOTE SETTIMANALI DELLE SOMMINISTRAZIONI Art.162 1. “Le giornate di operai, di noli e di mezzi d’opera, nonché le provviste somministrate dall’appaltatore sono annotate dall’assistente incaricato su un brogliaccio, per essere poi scritte in apposita lista settimanale. L’appaltatore firma le liste settimanali, nelle quali sono specificati le lavorazioni eseguite con operai e mezzi d’opera da lui forniti. Ciascun assistente preposto alla sorveglianza dei
lavori predispone una lista separata. Tali liste possono essere distinte secondo la speciale natura delle somministrazioni, quando queste abbiano una certa importanza”. Nel caso di particolari manufatti il cui valore è superiore alla spesa per la messa in opera, il Capitolato speciale può stabilire il prezzo a piè d’opera e prevedere il loro accreditamento in contabilità prima della messa in opera.
L’importo contabilizzabile è limitato al 50% del prezzo di tariffa. Inoltre, “salvo diversa pattuizione, all’importo dei lavori eseguiti è aggiunta la metà di quello dei materiali previsti a piè d’opera, destinati a essere impiegati in opere definitive facenti parte dell’appalto, e accettate dal Direttore dei lavori, da valutarsi a prezzo di contratto o, in difetto, a prezzi di stima”. Tanto è previsto dall’art.28 del Capitolato generale, DM 145/2000.
mento, su proposta del Direttore dei lavori, può decidere che il registro sia diviso per articoli o per serie di lavorazioni, purché le iscrizioni in ciascun foglio seguano l’ordine cronologico. A consuntivo di ogni situazione il registro viene sottoscritto dal Direttore e dall’appaltatore. All’atto della firma l’imprenditore può iscrivere eventuali riserve in forma generica, riportandole in forma esplicita sullo stesso registro entro i successivi 15 giorni, pena la decadenza.
Nella riserva deve essere indicata la cifra del compenso cui l’imprenditore ritiene di avere diritto e la ragione della riserva. Il Direttore entro 15 giorni dall’iscrizione esplicita della riserva, deve scrivere ne registro le sue motivate deduzioni, dar seguito alle riserve, annotando le proprie controdeduzioni. In caso di negligenza del Direttore lavori, questi incorre in responsabilità per le somme che, di conseguenza, l’amministrazione dovesse essere tenuta a pagare.
REGISTRO DI CONTABILITÀ È un documento di importanza fondamentale; deve essere bollato dagli uffici del registro, avere le pagine numerate e tutte siglate, prima che se ne inizi l’uso, dal Responsabile del procedimento e dall’appaltatore. Il registro è tenuto dal Direttore dei lavori o, sotto la sua responsabilità, da persona da lui designata. Le quantità di lavoro eseguite devono essere trascritte desumendole dal libretto delle misure. L’iscrizione delle partite è fatta in ordine cronologico. Il Responsabile del procedi-
C 96
ESERCIZIO PROFESSIONALE
SOMMARIO DEL REGISTRO DI CONTABILITÀ
•
DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI CONTABILITÀ DEI LAVORI PUBBLICI
A.ZIONI
CERTIFICATO DI PAGAMENTO DEGLI ACCONTI
Art.167 1. “Ciascuna partita è riportata in apposito sommario e classificata, secondo il rispettivo articolo di elenco e di perizia. 2. Nel caso di lavori a corpo, viene specificata ogni categoria di lavorazione secondo il Capitolato speciale, con la indicazione della rispettiva aliquota di incidenza rispetto all’importo contrattuale a corpo. 3. Il sommario indica, in occasione di ogni stato d’avanzamento, la quantità di ogni lavorazione eseguita, e i relativi importi, in modo da consentire una verifica della rispondenza all’ammontare dell’avanzamento risultante dal registro di contabilità”.
STATO DI AVANZAMENTO DEI LAVORI Il Direttore dei lavori redige lo stato di avanzamento quando il credito dell’impresa, al netto del ribasso d’asta, raggiunga l’importo di acconto previsto dal contratto. Il documento riassume tutte le lavorazioni e le somministrazioni eseguite dal principio dell’appalto fino ad allora, con i relativi importi, secondo i dati desumibili dal registro di contabilità e dal relativo sommario. Può essere compilato utilizzando quantità e importi progressivi per voce o, nel caso di lavori a corpo, per categoria di lavori, riepilogati nel sommario del registro. Il Direttore dei lavori può disporre la compilazione dello stato di avanzamento in base a misure e computi provvisori, nel caso di fatture di cui all’art.161, sempre che i libretti delle misure siano stati firmati dall’appaltatore.
C.6. 3.
DPR 554/1999 art.169, DM 145/2000 artt.7, 29, 30. Alla luce dello stato di avanzamento, il Responsabile del procedimento autorizza l’emissione del mandato di pagamento della rata di acconto ai termini delle condizioni di appalto, nel più breve tempo possibile e, comunque, non oltre il termine stabilito nel Capitolato speciale. Il certificato è annotato nel registro di contabilità. Dall’importo risultante dallo stato di avanzamento, devono essere detratti, oltre gli importi dei precedenti certificati, gli importi previsti da ritenute di legge e dal Capitolato speciale. A garanzia dell’osservanza delle norme e dei contratti relativi alla tutela, sicurezza e salute dei lavoratori, sull’importo netto progressivo dei lavori è operata una ritenuta dello 0,50%. Il Responsabile del procedimento deve comunicare per iscritto agli enti previdenziali e assicurativi, compresa la Cassa Edile, l’emissione di ogni certificato di pagamento. Il certificato di pagamento deve essere emesso non oltre 45 giorni dal momento dell’insorgere del diritto dell’appaltatore a essere compensato. In caso di ritardo dovuto all’ente appaltante l’importo dovuto deve essere incrementato degli interessi al tasso legale, fino alla data di emissione del certificato. Qualora il ritardo superi 60 giorni sono dovuti gli interessi moratori. Il pagamento deve essere disposto entro 30 giorni dalla data di emissione del certificato. Trascorso il termine spettano all’appaltatore gli interessi legali sulle somme dovute. Oltre i 60 giorni di ritardo spettano gli interessi moratori. Il saggio dell’interesse di mora è fissato ogni anno con decreto del Ministero dei lavori pubblici (ora delle infrastrutture). Qualora il pagamento degli interessi dipenda da ritardi addebitabili al Direttore dei lavori o al Responsabile del procedimento, questi sono soggetti a rivalsa da parte dell’amministrazione.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
MODELLI DELLA CONTABILITÀ
URB
MOD. C.6.3./1 LIBRETTO DELLE MISURE
(AMMINISTRAZIONE APPALTANTE) C.1. AZIONE PREST
LIBRETTO DELLE MISURE n. ......... di pagine ............. Consegnato in bianco al lì, ...................................
Sig.
(1)
Firma Data della misura
Art. dell’ elenco
10.5.93
103
........................................
(2)
Restituito all’Ufficio di ........................ lì, .....................................
.....................................
Responsabile del procedimento
FATTORI
INDICAZIONE DEI LAVORI E DELLE PROVVISTE
Lungh. Largh.
C.2. AMENTO ORDIN
Alt. o Peso
PRODOTTI parziali
C.3. ICHI R INCA PENSI E COM
FIGURE E ANNOTAZIONI
C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E
CALCESTRUZZI Calcestruzzo di fondazione e per fondo e rivestimento tubi dosato a ql 2,00 di cemento R425 per mc formato con mc 0,400 di sabbia e mc 0,800 di ghiaia, escluso l’impiego di pietrame Muro di sostegno “ “ “ Tubo cemento dm 25
Tubo cemento dm 50
Fondo pozzetti
5
37,10 12,70 37,80 x mq 0,190 18,50 x mq 0,351 0,70
1,60 1,50
0,80 0,80
47,49 15,24
C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
7,18
0,70
0,20
6,49 0,49
VEDASI TAVOLA DISEGNI N. .....
76,89
mc 104
C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP
Calcestruzzo per strutture in elevazione dosato a ql 2,50 di cemento per ogni mc (R1-bk = 200) formato con mc 0,400 di sabbia e mc 0,800 di ghiaia, escluso l’impiego di pietrame e le casseforme 37,10 37,10 12,70 10,20
Muri di sostegno “ “ “ “ “ “ “ “ “ mc Il Direttore dei lavori
L’Impresa
1,10 0,70 0,85 0,85
1,50 1,50 2,50 2,20
61,22 38,96 26,99 19,07 146,24 Il Direttore dei lavori
(1) Il Direttore dei lavori o persona che coadiuva. (2) Il Responsabile del procedimento (se il libretto è consegnato a un suo coadiuvante) o il Direttore dei lavori (se il libretto è consegnato al Direttore dei lavori).
L’Impresa . C.6.3 BILITÀ A BLICI CONT VORI PUB A L I E D
C 97
C.6. 3.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI CONTABILITÀ DEI LAVORI PUBBLICI ➦ MODELLI DELLA CONTABILITÀ MOD. C.6.3./2 LIBRETTO DELLE ALIQUOTE PER CONTABILITÀ “A CORPO”
Data
Numero progressivo
Codice partita/sottopartita
n.
n.
n.
Descrizione
1)
2)
3)
4)
1. data di esecuzione delle prestazioni; 2. numero progressivo; 3. codice della partita o sottopartita contabile;
Percentuale eseguita
Avanzamento
% progress.
%
%
5)
6)
7) = 5) x 6)
Dati della partita/sottopartita contabile
4. descrizione della voce della partita o sottopartita contabile; 5. percentuale prevista in capitolato; 6. percentuale eseguita alla data 1);
7. percentuale di avanzamento della partita contabile alla data a) ottenuta mediante il prodotto delle percentuali riportate nelle colonne 5 e 6.
MOD. C.6.3./3 REGISTRO DI CONTABILITÀ
(AMMINISTRAZIONE APPALTANTE) OPERE: ................................................... LAVORI ................................................... Impresa .................................................... Contratto .....................................................
REGISTRO DI CONTABILITÀ Il presente registro di contabilità consta di n. ........... (...........................) fogli numerati e firmati in bianco lì, .............................. Questo registro va bollato, prima che ne sia iniziata la scritturazione, con marche da bollo di € ............................. per foglio, annullate dai modi prescritti dai comma 5 e successivi dell’art.16 della legge 13 settembre 1874, n.2077, serie 2. Deve essere inoltre numerato e firmato in bianco in fondo a ciascuna pagina, tanto dall’Impresa che dal Responsabile del procedimento, per la sua autenticazione. Le riserve dell’Impresa dovranno essere scritte orizzontalmente su tutta la larghezza del foglio.
N. Articolo d’ordine di elenco 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
11 12 13
11 12 13
Data
LIBRETTO
INDICAZIONE DEI LAVORI E DELLE SOMMINISTRAZIONI
N.
Pag.
26/2/1997 Rimozione pavimenti di qualsiasi specie 1 Demolizione di massetti 1/2 Disfacimento manto di asfalto 2 Demolizione di calcestruzzi 2 Demolizione di tramezzi in muratura 2 Rimozione infissi di qualunque specie 3 Taglio a sezione obbligata per riprese in breccia 3/4 Spicconatura d’intonaco 4/5 Trasporto a spalla d’uomo di materiali 5 Trasporto con carriole: a) fino alla distanza di m 40 5 b) per ogni successiva distanza di m 40 6 Calo in basso dei materiali provenienti dalle demolizioni 6 Carico dei materiali sul mezzo di trasporto 6 Trasporto a discarica 6
1 1/2 2 2 2 3 3/4 4/5 5
PRODOTTI Negativi
mq mq mq mq mq mq mc mq mc mc mc mc mc mc
5 6 6 6 6
IMPORTO
PREZZO UNITARIO
Positivi 295,54 15,769 176,27 18,661 28,66 3,70 21,303 395,79 119,101 119,101 357,303 119,101 119,101 119,101
Liquidato
5,58 12,39 1,19 100,19 5,01 8,78 69,72 3,62 28,92 16,53 5,16 9,30 2,07 12,14
1.648,44 195,46 209,38 1.869,69 143,58 32,49 1.485,28 1.430,86 3.444,59 1.968,34 1.847,90 1.107,19 246,04 1.445,50
Totale
17.074,74
emesso il 1° certificato di pagamento in data .................. per € a riportare
Il Resposabile del procedimento
Il Direttore dei lavori
17.074,74
Pagato
ANNOTAZIONI
15.196,52 15.196,52
L’Impresa
MOD. C.6.3./4 REGISTRO DI CONTABILITÀ PER CONTABILITÀ “A CORPO”
1. 2. 3. 4.
C 98
Numero progressivo
Partita contabile
Data
Descrizione
n.
n.
G/M /A
Voce partita contabile
Numero
1)
2)
3)
4)
5)
numero progressivo; numero partita contabile; data; descrizione partita o sottopartita contabile;
5. 6. 7. 8.
Riferimento libretto delle aliquote
Importo dell’appalto
Avanzamento
Importo
Ribasso
Pag.
euro
%
euro
%
6)
7)
8)
9)
10)
riferimento Libretto per aliquote; riferimento Libretto per aliquote; importo totale dell’appalto; percentuale di avanzamento della partita contabile alla data 1);
9. importo relativo alla partita contabile eseguita; 10. ribasso da applicare a 9).
ESERCIZIO PROFESSIONALE
•
DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI CONTABILITÀ DEI LAVORI PUBBLICI
C.6. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
MOD. C.6.3./5 STATO DI AVANZAMENTO LAVORI O STATO FINALE
B.STAZIONI DILEGIZLII
............. (AMMINISTRAZIONE APPALTANTE)
Art. N° di elenco d’ordine dei prezzi
LAVORI di .................................................. IMPRESA ................................................... STATO (di avanzamento o finale) .................... dei lavori eseguiti a tutto il ....................
1
14
CONTRATTO di ............... in data ......... n. .... rep. registrato fiscalmente il ......... n. .... Vol. ........ autorizzato-approvato con n. .................... del ........................ registrato alla Corte dei conti il ........................ reg. ........................ fogl. ........................
2
15
..... ATTO SUPPLETIVO in data ......... n. ......... rep. autorizzato-approvato con n. ........ del ............ registrato alla Corte dei conti il ............... reg. ...................... fogl. ..............
3
16
..... ATTO SUPPLETIVO in data ......... n. ......... rep. autorizzato-approvato con n. ........ del ............ registrato alla Corte dei conti il ............... reg. ...................... fogl. .............. € .............
IMPORTO DEL PROGETTO
Importo del contratto depurato del ribasso del .......% € ............. Importo ...... atto di sottomissione € ............. ...... atto di sottomissione € ............. IMPORTO totale netto appaltato
€ .............
Fondo a disposizione dell’amministrazione: € € € €
per espropriazioni per imprevisti in economia TOTALE
Data della consegna Data inizio lavori
4
17
5
18
............. 6
19
7
20
.............
Scadenza tempo utile per ultimazione lavori
Importo .............
I lavori rimasero sospesi o prorogati per ......
.............
DESIGNAZIONE DEI LAVORI E DELLE SOMMINISTRAZIONI Muratura mattoni e malta di calcio e pozzolana spessore sup. 1 testa mc Sovrapprezzo art.14 per impiego di malta di cemento e sabbia mc Ferro in profilati a “T” doppia “T” ecc. Kg Fornitura e posa in opera di tavellonato per solai, mq Cordoli in calcestruzzo di cemento armato ecc. ml Smalto di gretoni di pozzolana ecc. mc Pavimento in lastre di peperino ecc. mq
Prezzo unitario (euro)
Quantità
Parziale
26,797
150,81
4.041,13
45,782
3,10
141,87
3.626,179
9.270,19
204,37
2,56 13,17 32,02
167,16
49,58
5.352,52
95,54
2.314,24
46,677 223,33
I ED PRE NISM ORGA
IMPORTO (euro) Totale
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
2.691,48
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
21.337,96
Sommando i lavori al lordo a detrarre il ribasso del 23%
45.149,39 10.384,36
restano nette €
34.765,03
G.ANISTICA URB
Per cui la nuova scadenza del tempo utile è ............. ............. ............. ............. .............
Giorni impiegati in più
.............
Li, .................................
Giorni impiegati in meno
Il Direttore dei lavori
Visto: Il Responsabile del procedimento C.1. AZIONE PREST
MOD. C.6.3./6 CERTIFICATO DI PAGAMENTO DEI LAVORI
C.2. AMENTO ORDIN
(AMMINISTRAZIONE APPALTANTE) LAVORI di .................................................. IMPRESA ................................................... CERTIFICATO N. ...... PER IL PAGAMENTO DELLA ......... RATA DI € ................. CERTIFICATI spediti precedentemente N.
DATA
IMPORTO
CAPITOLO
ARTICOLO
TESORERIA su cui è chiesto il pagamento
CREDITORI
OGGETTO DEL CREDITO E RELATIVA LIQUIDAZIONE
il Responsabile del procedimento: Visto il contratto in data .............. con il quale fu affidata alla predetta impresa l’esecuzione dei suindicati lavori, registrato ............................... per l’aggiudicata somma di € ...................................... Risultando dalla contabilità sino a oggi che l’ammontare dei lavori eseguiti e delle spese fatte ascende al netto a € ...................................... , cioè: Per lavori e somministrazioni
C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E ➤
€ ................
Per materiale giacente in cantiere € ................ Per ...................... € Sommando € da cui detraendo: Ritenuta del decimo su € ................... € Ritenuta del ventesimo su € ................... € Ritenuta dello 0,50% per infortuni € L’ammontare dei certificati precedenti € Recupero anticipazione€ Totale deduzione € L’impresa ha assicurato i propri operai contro gli infortuni sul lavoro presso ....................................... con polizza n. ................ in data .......................... con decorrenza ............. e scadenza ...................
................ ................
C.3. ICHI R INCA PENSI E COM
C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
............ SOMMA
................
MANDATI spediti dalla Ragioneria
TITOLI parziale per totale OSSERVAZIONI n. ogni articolo per ogni GIUSTIFICATIVI di credito mandato
................
DATA
DATA dell’ammissione a pagamento
................ ................ ................ ................
............
➤
RISULTA IL CREDITO DELL’IMPRESA € ............ Certifica che a termine dell’art. ......... del Capitolato speciale d’appalto si può pagare all’impresa la rata di € ................. Li, ..................... Il Responsabile del procedimento TOTALE
. C.6.3 BILITÀ A BLICI CONT VORI PUB A L I E D
C 99
C.6. 3.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI CONTABILITÀ DEI LAVORI PUBBLICI CERTIFICATO DI PAGAMENTO DEL SALDO
CONTABILITÀ DEI LAVORI IN ECONOMIA
DM 145/2000 artt.7, 29, 30. Il termine per il pagamento della rata di saldo e di svincolo della garanzia fideiussoria non può superare 90 giorni dall’emissione del certificato di regolare esecuzione o di collaudo provvisorio. Oltre il termine di 90 giorni, in caso di ritardo dovuto all’ente appaltante, sono dovuti interessi al tasso legale sulle somme spettanti fino a 60 giorni; dopo 60 giorni è dovuto l’interesse moratorio. In sede di liquidazione sul conto finale, dopo l’approvazione del collaudo provvisorio, sono svincolate le ritenute dello 0,50%, sempre che gli enti previdenziali e assicurativi non abbiano comunicato eventuali inadempienze entro 30 giorni dal ricevimento della richiesta del Responsabile del procedimento.
DPR 554/1999 articoli da 176 a 182. Lavori a cottimo: sono annotati nel libretto delle misure dei lavori in appalto. Lavori in amministrazione diretta: sono annotati nelle liste settimanali distinte per giornate e provviste.
CERTIFICATO DI ULTIMAZIONE DEI LAVORI Viene rilasciato dal Direttore dei lavori dopo la comunicazione dell’appaltatore di ultimazione dei lavori. Si seguono le stesse disposizioni previste per il verbale di consegna. Il certificato deve indicare gli eventuali ritardi nella ultimazione dei lavori e le relative cause. Nel caso vi sia la necessità di completare alcune lavorazioni di piccola entità, e non incidenti sull’uso, il Direttore dei lavori, nell’emettere il certificato, può stabilire un termine non superiore a 60 giorni per consentirne l’effettuazione. Se il termine non viene rispettato il certificato perde di efficacia.
All’atto della redazione del certificato di ultimazione dei lavori, il Responsabile del procedimento trasmette al sindaco del Comune ove si svolgono i lavori un avviso per invitare coloro che vantano crediti verso l’appaltatore per danni arrecati nell’esecuzione dei lavori a presentare entro 60 giorni le ragioni dei loro crediti. Il sindaco cura la pubblicazione dell’avviso, che viene pubblicato anche sul foglio annunzi legali della Provincia. Il Responsabile del procedimento invita l’impresa a soddisfare i crediti da lui riconosciuti e rimette al collaudatore i documenti ricevuti dal Prefetto con annotazione del proprio parere.
CONTO FINALE E RELATIVA RELAZIONE
TAB. C.6.3./1 FIRMA DEI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI E CONTABILI
Il conto finale è compilato dal Direttore dei lavori sullo stesso modello dello stato di avanzamento dei lavori ed è trasmesso al Responsabile del procedimento. Al conto finale viene unita una relazione esplicativa dell’andamento dell’appalto contenente: a) i verbali di consegna dei lavori; b) gli atti di consegna e riconsegna di mezzi d’opera, aree o cave di prestito; c) le eventuali perizie suppletive e di variante, con gli estremi dell’approvazione; d) gli eventuali nuovi prezzi e i relativi verbali di concordamento o atti aggiuntivi, con gli estremi di approvazione e di registrazione; e) gli ordini di servizio impartiti; f) la sintesi dell’andamento e dello sviluppo dei lavori con l’indicazione delle eventuali riserve e la menzione degli eventuali accordi bonari intervenuti; g) i verbali di sospensione e ripresa dei lavori, il certificato di ultimazione con la indicazione dei ritardi e delle relative cause; h) gli eventuali sinistri o danni a persone animali o cose con indicazione delle presumibile cause e delle relative conseguenze; i) i processi verbali di accertamento di fatti o di esperimento di prove; l) le richieste di proroga e le relative determinazioni della stazione appaltante; m)gli atti contabili (libretti delle misure, registro di contabilità, sommario del registro di contabilità); n) tutto ciò che può interessare la storia cronologica della esecuzione, aggiungendo tutte quelle notizie tecniche ed economiche che possono agevolare il collaudo.
DOCUMENTO
Occorre notare che il Direttore dei lavori deve redigere il conto finale dopo la ultimazione dei lavori, ma prima del collaudo o del certificato di regolare esecuzione. I tempi sono fissati per legge come sopra detto, pertanto il conto finale deve essere redatto con grande sollecitudine. L’appaltatore ha 30 giorni di tempo per firmare il conto finale. All’atto della firma non può iscrivere riserve per oggetto o per importo diverso da quelle formulate nel registro di contabilità. Se l’appaltatore non sottoscrive entro 30 giorni il conto finale o non conferma le riserve già iscritte nel detto registro, il conto finale si intende approvato. Il Responsabile del procedimento redige una relazione riservata esprimendo parere motivato sulla fondatezza delle riserve dell’appaltatore. A essa sono allegati i seguenti documenti: a) contratto di appalto, atti addizionali ed elenchi di nuovi prezzi, con le copie dei relativi decreti di approvazione; b) registro di contabilità, corredato dal relativo sommario; c) processi verbali di consegna, sospensioni, riprese, proroghe e ultimazione dei lavori; d) relazione del Direttore dei lavori coi documenti allegati; e) domande dell’appaltatore. Tale relazione non fa parte dello stato finale e non è portata a conoscenza dell’impresa, essendo rivolta esclusivamente all’amministrazione e al collaudatore. Il saldo finale va versato dopo il collaudo dei lavori, anche se l’impresa ha già messo a disposizione della Pubblica amministrazione l’immobile. (Cassazione sent.13261 5 ottobre 2000).
C 100
AVVISO AI CREDITORI
TENUTARIO O REDATTORE
FIRME DI RESPONSABILITÀ
Giornale dei lavori
Assistente del Direttore lavori
Direttore lavori Firma preventiva del RP
Libretti di misura delle lavorazioni e provviste
Direttore lavori o Assistente da lui delegato
Direttore lavori Appaltatore o suo tecnico Firma preventiva del RP
Liste settimanali
Assistente della direzione lavori
Assistente della direzione lavori Appaltatore
Registro di contabilità
Direttore lavori o Assistente da lui delegato
Direttore lavori RP e Appaltatore firmano preventivamente le pagine
Sommario del registro di contabilità
Ufficio direzione lavori
Stato di avanzamento lavori
Direttore lavori
Certificato di pagamento di rate
Direttore lavori
Responsabile del procedimento
Certificato di ultimazione dei lavori
Direttore lavori
Direttore lavori
Conto finale e relazione
Direttore lavori
Direttore lavori Appaltatore
Relazione del RP sul conto finale
Responsabile del procedimento
Responsabile del procedimento
Il Direttore lavori conferma o rettifica le dichiarazioni degli incaricati e sottoscrive ogni documento contabile.
ESERCIZIO PROFESSIONALE
•
DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI COLLAUDI E OPERAZIONI FINALI
A.ZIONI
COLLAUDO DEI LAVORI Il collaudo dei lavori rappresenta l’accertamento della conformità al contratto dell’opera eseguita. Per il diritto privato tale operazione è facoltativa, in quanto il committente può eseguire le verifiche di conformità con mezzi scelti a sua discrezione (art.1665 del codice civile). È invece obbligatorio per la pubblica amministrazione, in quanto costituisce condizione per il pagamento del saldo, per lo svincolo della cauzione ecc. Pertanto tutta la regolamentazione del collaudo è stabilita dalla normativa dei lavori pubblici. Il collaudo di lavori pubblici è disciplinato dalla legge
COLLAUDO IN CORSO D’OPERA
109/1994 art.28, dal DPR 554/1999 artt. 187-210 e 229, e dal DM 145/2000 art.37. Il collaudo di lavori pubblici deve essere effettuato entro 6 mesi dalla ultimazione dei lavori. Esso ha lo scopo di verificare: • se l’opera è eseguita a regola d’arte e secondo le norme; • se è eseguita in conformità del contratto e degli atti da esso derivati; • la corrispondenza tra contabilità, documenti giustificativi e situazione di fatto con la forma e qualità delle opere realizzate e dei materiali impiegati;
• se i prezzi applicati e i corrispettivi determinati negli stati d’avanzamento e nella liquidazione finale sono conformi al contratto; • se nella gestione delle opere in economia si è tenuto conto degli interessi dell’amministrazione. Il collaudo comprende anche l’esame delle riserve dell’appaltatore, sempre che risultino regolarmente iscritte nel registro di contabilità e nel conto finale. Per tutte le altre riserve il collaudatore esprime il proprio parere mediante una “relazione riservata” per l’amministrazione.
CERTIFICATO DI REGOLARE ESECUZIONE In base all’art.28, legge 109/1994, nel caso di lavori di importo fino a € 200.000, il certificato di collaudo è sostituito da quello di regolare esecuzione, che viene rilasciato dal Direttore dei lavori. Per lavori di importo superiore, fino a € 1.000.000, la stazione appaltante ha la facoltà di ricorrere al certificato di regolare esecuzione. L’emissione del certificato avviene entro 3 mesi dall’ultimazione dei lavori, sotto la responsabilità del Responsabile del procedimento che deve confermare il certificato stesso.
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
E.NTROLLO
IMPORTO LAVORI (in euro) da 200.000 a 1.000.000
B.STAZIONI DILEGIZLII
PRO TTURALE STRU
CO NTALE AMBIE
TIPOLOGIA DI LAVORI fino a 200.000
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
D.GETTAZIONE
TAB. C.6.4./1 TABELLA COLLAUDI IN FUNZIONE DI TIPOLOGIA E IMPORTO DEI LAVORI COLLAUDI E CERTIFICATO DI REGOLARE ESECUZIONE
Oltre che alla conclusione dell’appalto, il collaudo di lavori pubblici può essere effettuato anche durante il corso dei lavori. Ai sensi dell’art.187 del DPR 554/1999, è obbligatorio il collaudo in corso d’opera: a) quando la Direzione dei lavori sia stata affidata a soggetti diversi dalla pubblica amministrazione; b) quando si tratti di opere realizzate su progetti integrali; c) nel caso di intervento affidato in concessione; d) nel caso di appalti di progettazione esecutiva e esecuzione di lavori la cui componente impiantistica o tecnologica incida per oltre il 50% del valore dell’opera; e) nel caso di opere e lavori su beni soggetti alla vigente legislazione in materia di beni culturali e ambientali; f) nel caso di opera o lavoro comprendenti significative e non abituali lavorazioni non più ispezionabili in sede di collaudo finale; g) nei casi di aggiudicazione con ribasso d’asta superiore alla soglia di anomalia determinata ai sensi delle vigenti disposizioni.
C.6. 4.
oltre 1.000.000
Direzione lavori affidata all’esterno
Certificato regolare esecuzione
Certificato regolare esecuzione o collaudo in corso d’opera (*)
Collaudo in corso d’opera
Appalto su progettazione integrale
Certificato regolare esecuzione
Certificato regolare esecuzione o collaudo in corso d’opera (*)
Collaudo in corso d’opera
Concessione di lavori pubblici
Certificato regolare esecuzione
Certificato regolare esecuzione o collaudo in corso d’opera (*)
Collaudo in corso d’opera
Lavori la cui componente impiantistica o tecnologica incide per più del 50%
Certificato regolare esecuzione
Certificato regolare esecuzione o collaudo in corso d’opera (*)
Collaudo in corso d’opera
Lavori riguardanti i beni culturali
Certificato regolare esecuzione
Certificato regolare esecuzione o collaudo in corso d’opera (*)
Collaudo in corso d’opera
C.1. AZIONE PREST
Opere comprendenti significative e non abituali lavorazioni non più ispezionabili in sede di collaudo finale
Certificato regolare esecuzione
Certificato regolare esecuzione o collaudo in corso d’opera (*)
Collaudo in corso d’opera
C.2. AMENTO ORDIN
Appalti con ribasso d’asta superiore alla soglia di anomalia
Certificato regolare esecuzione
Certificato regolare esecuzione o collaudo in corso d’opera (*)
Collaudo in corso d’opera
Opere dirette da tecnici dell’amministrazione e opere o lavori non compresi in quelli sopra elencati
Certificato regolare esecuzione
Certificato regolare esecuzione o collaudo
Collaudo
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E
(*) La stazione appaltante può scegliere tra collaudo e certificato di regolare esecuzione; in caso scelga il collaudo, questo deve essere in corso d’opera.
C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
PROCEDURA DPR 554/1999 artt. da 187 a 210 e 229, DM 145/2000 art.37. Il collaudo di lavori pubblici deve essere ultimato entro 6 mesi dall’ultimazione dei lavori. Il Responsabile del procedimento trasmette al collaudatore, oltre alla documentazione relativa al conto finale e alla ulteriore documentazione allegata alla propria relazione sul conto finale, la copia conforme del progetto approvato e delle varianti, nonché l’originale di tutti i documenti contabili. Nel caso di incarico conferito in corso d’opera, il Responsabile del procedimento trasmette al collaudatore: • copia conforme del progetto e delle varianti; • copia del programma contrattualmente adottato ai fini del riferimento convenzionale al prezzo chiuso e copia del programma di esecuzione dei lavori redatto dall’impresa e approvato dal Direttore lavori; • copia del contratto, e degli eventuali atti di sottomissione o aggiuntivi; • verbale di consegna dei lavori ed eventuali verbali di sospensione e ripresa lavori; • rapporti periodici del DL e tutti gli altri atti che fossero richiesti dall’organo di collaudo; • verbali di prova sui materiali, nonché le relative certificazioni di qualità.
VISITA DI COLLAUDO
Ferma la responsabilità del collaudatore nel custodire la documentazione in originale ricevuta, il RP provvede a duplicarle e a custodirne copia conforme.
Il collaudatore deve discrezionalmente decidere quali verifiche effettuare per formarsi la convinzione che tutte le parti dell’opera e della contabilità siano in piena regola.
Il collaudatore fissa la data della visita e ne informa il RP che avvisa l’appaltatore, il DL, il personale incaricato della sorveglianza dei lavori e della contabilità. Se l’appaltatore non interviene, le visite vengono espletate alla presenza di due testimoni estranei all’amministrazione e le spese relative sono poste a carico dell’appaltatore. Il Direttore lavori ha l’obbligo di intervenire. Il verbale della visita deve essere trasmesso al RP entro 30 giorni dalla visita. Nel verbale possono essere inseriti osservazioni e suggerimenti per lo svolgimento dei lavori, senza che ciò comporti una diminuzione delle responsabilità dell’impresa e della direzione lavori. Firmano il verbale il collaudatore (o i collaudatori), l’impresa, il Direttore lavori e chiunque altro sia intervenuto.
VERIFICHE
➥
. C.6.3 BILITÀ A BLICI CONT VORI PUB A L I E D . C.6.4UDI E ALI COLLA ZIONI FIN A R E P O
C 101
C.6. 4.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI COLLAUDI E OPERAZIONI FINALI ➦ PROCEDURA ➦ VERIFICHE
PRESA IN CONSEGNA ANTICIPATA
Per quanto riguarda la contabilità, la completa revisione contabile viene effettuata solo nel caso che l’amministrazione ne dia esplicito incarico al collaudatore o nel caso che questi la ritenga necessaria, avendo rilevato una serie di difformità o errori. Normalmente il collaudatore verifica la contabilità “a campione”, previa esecuzione di saggi e di misurazioni a campione. Inoltre esegue riscontri sulla corrispondenza dei dati contabili tra loro e con le quantità e con la qualità dei materiali. Nel caso di discordanze tra contabilità ed esecuzione (art.196) il collaudatore apporta le rettifiche sul conto finale o, nei casi più gravi, sospende le operazioni. Nel caso di difetti nella esecuzione (art.197): a) se i difetti rendono l’opera inaccettabile, non si dà luogo al collaudo; b) per difetti di poca entità, si prescrivono i lavori di riparazione entro un termine e solo successivamente si rilascia il certificato di collaudo; ai sensi dell’art.37 DM 145/2000, le spese di visita del personale dell’amministrazione per verificare l’effettuazione dei lavori sono prelevate dalla rata di saldo da pagare all’impresa; c) se i difetti non pregiudicano la stabilità e la funzionalità dell’opera e non determinano inconvenienti, il collaudatore emette il certificato di collaudo, e determina la somma che deve essere defalcata dal credito dell’appaltatore in conseguenza dei difetti riscontrati.
Qualora l’amministrazione abbia necessità di occupare l’opera prima del collaudo provvisorio, e ciò sia previsto in contratto, può prendere in consegna anticipata a condizione che: • sia stato eseguito il collaudo statico; • sia stato richiesto il certificato di abitabilità o agibilità; • siano stati eseguiti gli allacciamenti idrici, elettrici, fognari; • siano state eseguite le prove previste dal capitolato; • sia stato redatto uno stato di consistenza dettagliato.
L’appaltatore ha l’obbligo di fornire, a proprio carico, gli operai e i mezzi d’opera necessari a eseguire verifiche e saggi e per ristabilire quelle parti dell’opera che fossero state alterate nell’espletamento delle verifiche. Se l’appaltatore non ottempera, il collaudatore dispone che sia provveduto d’ufficio, a spese dell’appaltatore (art.193).
RELAZIONE La relazione del collaudatore espone, sulla scorta dei pareri del RP: a) se il lavoro sia o no collaudabile; b) a quali condizioni e restrizioni si possa collaudare; c) i provvedimenti da prendere qualora non sia collaudabile; d) le modificazioni da introdursi nel conto finale; e) il credito liquido dell’appaltatore.
NOMINA DEL COLLAUDATORE La stazione appaltante, entro 30 giorni dalla ultimazione dei lavori, o dalla consegna dei lavori nel caso di collaudo in corso d’opera, nomina, nell’ambito delle proprie strutture e con criterio di rotazione, da uno a tre collaudatori di specifica qualificazione tecnico-giuridica. Nel caso di lavori che coinvolgono professionalità diverse, il collaudo è affidato a una commissione composta di 3 membri. Requisito abilitante par il collaudo sono le lauree in architettura e in ingegneria e, limitatamente a un solo membro della commissione, le lauree in geologia e scienze agrarie e forestali. Altri requisiti sono l’abilitazione all’esercizio della professione e l’iscrizione da almeno 5 anni all’Albo professionale. L’iscrizione all’Albo non è richiesta per i dipendenti delle amministrazioni aggiudicatrici. In caso di carenza in organico di soggetti qualificati, certificata dal Responsabile del procedimento, l’incarico è affidato a: • soggetti esterni laureati da almeno 10 anni, per collaudi di lavori da € 5.000.000 in su, ovvero per lavori comprendenti strutture; • soggetti esterni laureati da almeno 5 anni per collaudi di lavori di importo inferiore a € 1.000.000.
Ultimate le operazioni, il collaudatore emette il certificato di collaudo, contenente i dati riassuntivi del costo del lavoro, le somme da porre a carico dell’impresa per danni e rimborsi di spese tecniche all’amministrazione, il conto liquido dell’appaltatore e la collaudabilità dell’opera e sotto quali condizioni. Il certificato deve anche contenere i dati tecnici e amministrativi del lavoro e i verbali delle visite. Il certificato ha carattere provvisorio e diventa definitivo dopo 2 anni ovvero nel termine stabilito dal Capitolato speciale. Il certificato deve essere firmato entro 20 giorni dall’appaltatore, che può aggiungere riserve rispetto alle operazioni di collaudo. Il collaudatore riferisce al RP sulle riserve formulando le proprie considerazioni e indicando le nuove visite che ritiene opportuno eseguire.
L’art.188 comma 11 del DPR 554/1999 non prevede il caso di lavori tra 1.000.000 e 5.000.000 di euro. Probabilmente si tratta di un errore: la soglia dovrebbe essere una sola, o 1.000.000 o 5.000.000 di euro. In relazione a incarichi a esterni, vengono istituiti Elenchi dei collaudatori presso il Ministero dei lavori pubblici e le Regioni. I dipendenti di pubbliche amministrazioni possono iscriversi negli Elenchi anche se non sono iscritti all’Albo professionale. Un collaudatore non può essere incaricato dalla stessa amministrazione per un nuovo collaudo se non dopo un anno dalla chiusura del primo. Nel caso di collaudo in corso d’opera il tempo di attesa è ridotto a 6 mesi. Queste limitazioni si applicano solo a collaudatori non appartenenti all’organico della stazione appaltante. La legge 166/2002 ha modificato l’art.28 della legge 109/1994 per stabilire che può fare parte della commissione di collaudo un funzionario amministrativo che ha prestato servizio per almeno 5 anni in uffici pubblici. Non possono essere affidati collaudi a: • magistrati; • soggetti che abbiano avuto nell’ultimo triennio rapporti di lavoro o consulenza con l’appaltatore o con i subappaltatori che hanno eseguito i lavori; • soggetti che abbiano svolto attività di controllo, progettazione, approvazione, vigilanza, realizzazione e direzione dei lavori da collaudare; • soggetti che facciano parte di organismi con funzioni di vigilanza o di controllo nei riguardi dell’opera da collaudare.
SVINCOLO DELLA CAUZIONE
COMPENSO
Ai sensi dell’art.205, alla data di emissione del certificato di collaudo provvisorio o del certificato di regolare esecuzione si procede, con le cautele prescritte dalle leggi in vigore e sotto le riserve previste dall’articolo 1669 del codice civile, allo svincolo della cauzione prestata dall’appaltatore a garanzia del mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni dedotte in contratto. Si procede previa garanzia fideiussoria, al pagamento della rata di saldo non oltre il 90° giorno dall’emissione del certificato di collaudo provvisorio ovvero del certificato di regolare esecuzione. Il pagamento della rata di saldo non costituisce presunzione di accettazione dell’opera ai sensi dell’articolo 1666, secondo comma, del codice civile.
Se il collaudatore è dipendente della stazione appaltante il compenso è determinato nell’ambito della incentivo previsto dall’art.18 della legge 109/1994. Per gli altri collaudatori si applica la tariffa degli ingegneri e architetti ridotta del 20%. Per commissioni di collaudatori il compenso si applica una sola volta, viene aumentato del 25% per ogni componente escluso il primo e diviso tra tutti i componenti la commissione. Per i collaudi in corso d’opera detto compenso viene aumentato del 20%. Il rimborso delle spese accessorie può essere forfettizzato nel 30% del compenso spettante a ogni componente. Per i collaudi in corso d’opera la percentuale può essere elevata fino al 60%.
In relazione separata e riservata il collaudatore espone il proprio parere sulle riserve dell’impresa e sulle eventuali penali sulle quali non è già intervenuta una risoluzione definitiva. Ai fini di quanto prescritto dalla normativa vigente in materia di qualificazione il collaudatore valuta, tenuto conto delle modalità di conduzione dei lavori e delle domande e riserve dell’impresa, se a suo parere l’impresa è da reputarsi negligente o in malafede.
CERTIFICATO DI COLLAUDO
C 102
Il collaudatore verifica l’esistenza di tali condizioni e accerta che l’occupazione sia possibile nei limiti di sicurezza e senza inconvenienti, e riporta tali verifiche in un verbale sottoscritto anche dal Direttore lavori e dal Responsabile del procedimento.
ESERCIZIO PROFESSIONALE
•
DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI COLLAUDI E OPERAZIONI FINALI
A.ZIONI
MODULI DI FINE LAVORI MOD. C.6.4./1 CERTIFICATO DI ULTIMAZIONE LAVORI (AMMINISTRAZIONE APPALTANTE)
LAVORI di .................................................................................................................. IMPRESA ................................................................................................................... Contratto in data ................. Rep. n. ....... registrato a ................................................. il ............ Volume .............. Importo netto ..........................
CERTIFICATO DI ULTIMAZIONE DEI LAVORI L’anno ............... il giorno ......... del mese di .......................... in ............................. ; Il sottoscritto Direttore dei lavori: ................................................................................ Visto l’art.172 comma 1 del Regolamento generale dei Lavori Pubblici, DPR 554/1999. In seguito ai riscontri eseguiti in contraddittorio della Impresa e visto il giornale dei lavori (1)
CERTIFICA che i lavori in oggetto sono stati completamente ultimati nel giorno ..........................
L’IMPRESA
IL DIRETTORE DEI LAVORI
Visto: Il Responsabile del procedimento (1) Ai sensi dell’art.173, in caso di ritardo nella ultimazione dei lavori devono essere indicati i tempi e le cause del ritardo.
MOD. C.6.4./2 CERTIFICATO DI ULTIMAZIONE LAVORI CON COMPLETAMENTI DI PICCOLA ENTITÀ (AMMINISTRAZIONE APPALTANTE) LAVORI di .................................................................................................................. IMPRESA ................................................................................................................... Contratto in data ................. Rep. n. ....... registrato a ................................................. il ............ Volume .............. Importo netto .......................... CERTIFICATO DI ULTIMAZIONE DEI LAVORI CON COMPLETAMENTI DI PICCOLA ENTITÀ L’anno ............... il giorno ......... del mese di .......................... in ............................. ; Il sottoscritto Direttore dei lavori: ................................................................................ Visto l’art.172 comma 2 del Regolamento generale dei Lavori Pubblici, DPR 554/1999. In seguito ai riscontri eseguiti in contraddittorio della Impresa e visto il giornale dei lavori (1), avendo constatato che i lavori sono stati ultimati, salvo alcune lavorazioni di piccola entità che di seguito vengono indicate: a) .............................................................................................................................. ; b) .............................................................................................................................. ; c) .............................................................................................................................. . Verificato che le sopraelencate lavorazioni sono del tutto marginali e non incidono sull’uso e sulla funzionalità dei lavori, CERTIFICA che i lavori in oggetto sono stati ultimati nel giorno .........................................................
ASSEGNA un termine perentorio di ................................ (2) giorni per il completamento delle lavorazioni di piccola entità sopraelencate.
L’IMPRESA
C.6. 4.
IL DIRETTORE DEI LAVORI
Visto: Il Responsabile del procedimento
MOD. C.6.4./3 RELAZIONE SUL CONTO FINALE (AMMINISTRAZIONE APPALTANTE) OPERE ....................................................................................................................... Legge ................................... LAVORI di .................................................................................................................. Contratto n. ............. di Repertorio in data ...................... registrato a ....................... in data ...................... al n. ............. Mod. ............. Vol. ............. IMPRESA ................................................................................................................... RELAZIONE SUL CONTO FINALE Somme autorizzate: a) per lavori a misura ................................. : € ............................. b) a disposizione dell’Amministrazione: 1. per lavori in economia ........................ : € ............................. 2. per imprevisti ...................................... : € ............................. 3. ............................................................ : € ............................. In uno le somme a disposizione dell’Amministrazione: € ............................. Sommano: € ............................. Aggiudicazione dei lavori – A seguito di gara esperita in data ............................... i lavori vennero appaltati all’Impresa ............................. che offrì il ribasso del .......% Perizia suppletiva o variativa – In data .......... per l’ammontare di € ......... approvata con ............ n. ..... in data .......... di € ......... registrato in data .......... reg. ..... fol. ..... Somme autorizzate: a) per lavori a misura: € ............................. b) a disposizione dell’Amministrazione: 1. per lavori ............................................ : € ............................. 2. ............................................................ : € ............................. In uno le somme a disposizione dell’Amministrazione: € ............................. Sommano: € ............................. Contratto – In data ............... n. ...... di Rep. registrato a ................... il .......... n. ...... Mod. ........ Vol. ........... i lavori di che trattasi venivano affidati all’Impresa .................. per l’importo di € ...................... al netto del ribasso del ...... % Atto aggiuntivo – In data ............ n. ..... di Rep. registrato a ............... il ........ n. ..... Mod. ........ Vol. ........... col quale ................................................................................ Cauzione – L’articolo ............ dell’Atto di cottimo fiduciario precisa che per i lavori in oggetto l’impresa ha versato a titolo di cauzione definitiva la somma di € .............. Verbali nuovi prezzi – In data ......... n. ..... di Rep. registrato a .......... il ........ n. ..... Mod. .... Vol. .... col quale sono stati concordati con l’Impresa n. .... prezzi nuovi ....... Consegna e durata dei lavori – I lavori vennero consegnati in data .......... come risulta dal relativo verbale in pari data ........................... Proroghe – Durante l’esecuzione dei lavori l’Impresa ha chiesto una proroga di ....... con lettera del .......... con nota del .......... n. .... in data ......... è stata concessa la proroga di ................................................................................................................... Sospensione dei lavori – I lavori sono stati sospesi con verbale del ........................ e ripresi con verbale del .......................... e successivamente sospesi con verbale del ......................... e ripresi con verbale del ......................... Termine di ultimazione dei lavori – A termine dell’art. ............. dell’Atto di cottimo, i lavori dovevano essere ultimati entro il ............... dalla data di consegna e quindi entro il ............... Per effetto della proroga concessa e della sospensione dei lavori, il detto termine è stato prorogato al ............... Ultimazione dei lavori – È stata accertata il giorno ................... come risulta dal verbale in pari data ............... e quindi ....................................................................... Andamento dei lavori – I lavori si sono svolti in conformità dei patti contrattuali e delle disposizioni date dalla Direzione dei Lavori ....................................................... Assicurazione operai – L’Impresa ha assicurato i suoi operai presso l’INAIL di ....... con polizza n. ................................ decorrente dal ............... e scadente il ...........… Avvisi ai creditori – Non sono stati richiesti e a essi tiene luogo la dichiarazione rilasciata in data ................ dal Direttore dei lavori ai sensi dell’art.360 della legge sui LLPP 20 marzo 1865 n.2248 ............................. Stato finale dei lavori – Redatto in data .............. dal quale risulta che l’ammontare complessivo dei lavori e somministrazione è di € ............... da cui deducendo l’ammontare degli acconti corrisposti in n. ...... rate € ............... resta il credito liquido dell’Impresa in € ..................... accettate dall’Impresa ............... riserva sulla quale sarà riferito con relazione a parte. Cessioni di credito – Non risulta che l’Impresa abbia ceduto l’importo dei suoi crediti, come da dichiarazione di questo Ufficio rilasciata il ........... e allegata agli atti. L’Impresa ha ceduto i suoi crediti a .............................. con atto in data ............... Detta cessione è stata riconosciuta dal ........................................ in data ............... Termine contrattuale per il collaudo – La visita per il rilascio del collaudo e del certificato di regolare esecuzione, a termine di quanto prescritto all’art. ...... del Contratto dovrà avvenire entro il giorno ............... Progettista e Direttore dei lavori – Il progetto è stato redatto dal ........................... I lavori sono stati diretti dal ......................................................................................... L’Impresa deve intendersi in regola nei confronti dell’INAIL, INPS e Cassa Edile come da dichiarazione in atti rilasciati da questo Ufficio in data ............... ai sensi della Circolare del Ministero dei LLPP Ispettorato contratti n.1495 in data 15 febbraio 1952.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
........................, Lì .............. (1) Ai sensi dell’art.173, in caso di ritardo nella ultimazione dei lavori devono essere indicati i tempi e le cause del ritardo. (2) Non oltre 60 giorni.
IL DIRETTORE DEI LAVORI Visto: Il Responsabile del procedimento
. C.6.4UDI E ALI COLLA ZIONI FIN A R E P O
C 103
C.6. 4.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI COLLAUDI E OPERAZIONI FINALI ➦ MODULI DI FINE LAVORI MOD. C.6.4./4 CERTIFICATO DI REGOLARE ESECUZIONE (AMMINISTRAZIONE APPALTANTE) IMPRESA ................................................................................................................... LAVORI di .................................................................................................................. CONTRATTO ............................................................................................................. CERTIFICATO DI REGOLARE ESECUZIONE L’anno ............. il mese ............................. il giorno ............... in ................................ Il sottoscritto Direttore dei lavori ............................ Visto l’art.18 della legge 11 febbraio 1994 n.109 e successive modifiche. Vista la propria relazione sul conto finale che si ritiene totalmente trascritta e facente parte integrante del presente atto; Visto l’art. ............. del Contratto il quale stabilisce il termine per la emissione del Certificato di regolare esecuzione entro giorni ............................. dalla data del verbale di ultimazione dei lavori; Considerato che il giorno ................... è stato effettuato, a seguito di preavviso, un sopralluogo nel corso del quale, in contraddittorio con l’Impresa e in conseguenza di opportune verifiche, controlli, saggi e misurazioni, è emerso: • che i lavori sono stati eseguiti secondo le buone regole d’arte e in conformità alle condizioni contrattuali; • che si trovano in buono stato di conservazione; • che sono stati regolarmente contabilizzati; • che in base alla revisione tecnico-contabile si può confermare l’importo dello stato finale; • che gli operai vennero regolarmente assicurati contro gli infortuni sul lavoro con polizza n. .................................. decorrente dal ....................... al ....................... ; • che l’Impresa è in regola col versamento dei contributi assicurativi, giusta certificazione dell’INAIL e INPS che si allegano agli atti del conto finale; • che l’Impresa non risulta in regola nei confronti dell’INPS, dell’INAIL come da dichiarazione dell’Ente; • che per quanto riguarda la pubblicazione degli avvisi ad opponendum ai sensi dell’art.189 del DPR 554/1999 .......................... ;
• che l’Impresa non ha ceduto l’importo dei suoi crediti o rilasciato deleghe o procure a favore di terzi ............... ; • che la contabilità finale è stata regolarmente revisionata; • che l’importo dei lavori, giusta le risultanze dello stato finale accettato con/senza riserve dall’Impresa è: di € ................................... e perciò compreso nei limiti della somma autorizzata di € ................................... che, dedotto da esso importo l’ammontare delle rate pagate in conto per complessive € ................................... resta quindi il credito di € ................................... (...................................) CERTIFICA che i lavori di cui sopra, eseguiti dall’Impresa ........................ in base ...................... in data ............... n. ......... di repertorio, sono stati regolarmente eseguiti e ne liquida l’importo netto in € ................... da cui detratti gli acconti corrisposti in € ................... resta il credito complessivo di € ................................... (diconsi euro ......................) che può pagarsi all’Impresa, salvo l’approvazione del presente atto e salvo ............. ............., Lì ................. IL DIRETTORE DEI LAVORI
L’IMPRESA
L’ADDETTO ALLA CONTABILITÀ
IL RAPPRESENTANTE DELL’ENTE APPALTANTE
Visto: Il Responsabile del procedimento
Il sottoscritto ................................................ nella sua qualità di ........................... (1) pro-tempore di ................................ dichiara di non avere osservazioni da fare in ordine ai lavori e al suddetto certificato, per cui dichiara di accettare, con il presente atto, la consegna definitiva dell’opera in parola senza eccezione alcuna. ..............., Lì ..................
FIRMA
(1) Sindaco, Presidente dell’Ente appaltante ovvero loro rappresentante legale.
MOD. C.6.4./5 RELAZIONE SUL CONTO FINALE E CERTIFICATO DI REGOLARE ESECUZIONE (AMMINISTRAZIONE APPALTANTE) OPERE ................................................................................ Legge .......................... LAVORI di .................................................................................................................. IMPRESA ................................................................................................................... RELAZIONE SUL CONTO FINALE E CERTIFICATO DI REGOLARE ESECUZIONE Progetto – In data ............. dell’importo complessivo di € .......................... di cui: • per lavori a base di appalto: € .......................... • a disposizione dell’Amministrazione per espropriazioni: € .............................. per lavori in economia: € .............................. per lavori imprevisti: € .............................. per ........................ : € .............................. In Totale € .............................. Tornano € .............................. approvato con ..... in data ............ n. ..... registrato in data ........ reg. ........ foglio ...... Perizie suppletive – Oltre al progetto furono presentate n. ........ perizie suppletive per i seguenti lavori ............. approvate con .............................................................. Assuntore – ............................................................................................................... Atto di cottimo – ....................................................................................................... Contratto d’appalto – In data ....... n. .... di Rep. autorizzato in data .........registrato il ....... al Reg. ....... F°..... Registrato fiscalmente a ............... il ........... n. .... Vol. ..... Ribasso d’asta – I lavori vennero assunti col ribasso del ....%. Per esonero versamento cauzione/costituzione cauzione mediante fidejussione, il ribasso venne migliorato del .....% e quindi portato al .....%; l’importo netto del contratto è perciò di € .................... . Atto di sottomissione – Per lavori suppletivi furono stipulati i seguenti atti di sottomissione. Verbale nuovi prezzi – In data ............ n. .... di rep., approvato con ........................ Direttore dei lavori – ................................................................................................ Addetto alla contabilità – ........................................................................................ Consegna dei lavori – I lavori vennero consegnati il ........ come da relativo verbale. Ultimazione dei lavori – I lavori vennero ultimati il ......... come da relativo verbale. Tempo impiegato – Giorni consecutivi n. ........ Tempo utile – In base all’art. ... del Contratto il tempo utile era di giorni consecutivi n. .... Proroghe e sospensioni – Durante il corso dei lavori vennero concesse proroghe per giorni ....... (vedi autorizzazione del ............. in data .......... n. ..... ). I lavori rimasero sospesi dal ...... al ...... / dal ...... al ...... , e cioè per giorni n. .... . Totale giorni n. .... . Ritardo nell’esecuzione dei lavori – Quindi i lavori sono stati ultimati in tempo utile / con un ritardo di gg. ..... Danni di forza maggiore – Essi vennero accertati con verbali in data .................... Ordini e disposizioni ed esito avuto – L’impresa ebbe sempre a ottemperare alle disposizioni impartite dalla Direzione dei lavori. Vennero però emanati n. ........ ordini di servizio che sono allegati alle contabilità e ai quali l’impresa ottemperò regolarmente.
C 104
Assicurazione degli operai – Gli operai vennero assicurati contro gli infortuni presso l’INAIL di ......... con posizione n. .... e presso l’Istituto della Previdenza Sociale di ..... I relativi contributi sono stati regolarmente versati come risulta dai seguenti certficati: Istituto Previdenza Sociale in data ........... ; Istituto contro gli Infortuni in data ........... Importo delle somme autorizzate – Per lavori: contratto principale: € ................. atti aggiuntivi: € ................. sommano: € ................. Certificati di pagamento – 1° in data ....... per: € ................. 2° in data ....... per: € ................. 3° in data ....... per: € ................. sommano gli acconti pagati: € ................. Tempo stabilito per il collaudo – Dal ........ al ........ Conto finale – In data .................. firmato dall’Impresa con/senza riserve ammonta complessivamente a nette € .......................... (diconsi €......................................) Credito dell’imprenditore a saldo – Deduconsi gli acconti corrisposti: € ................. Credito a saldo: € ................. Differenza tra le somme autorizzate e le somme spese – Somme autorizzate per i lavori in appalto € ............... Somme spese (importo netto stato finale) € ................ Economia realizzata € ............... Riserve dell’impresa – L’Impresa ha firmato il conto finale con/senza riserve. Sulle riserve fatte dall’Impresa saranno esposte in relazione riservata le deduzioni dell’Ufficio. Avvisi ai creditori – Pubblicati con/senza esito di opposizioni, come da certificato prefettizio in data ......... n. ......... Cessione dei crediti – ............................................................................................... Andamento generale e descrizione dei lavori eseguiti – ....................................... Il sottoscritto Direttore dei lavori in oggetto ................................................................ Considerato a seguito del sopralluogo effettuato, in seguito a preavviso, il ............ : • che i lavori sono stati eseguiti secondo le buone regole d’arte e in conformità alle condizioni contrattuali; • che si trovano in buono stato di conservazione; • che sono stati regolarmente contabilizzati; • che in base alla revisione tecnico-contabile si può confermare l’importo dello stato finale; Certifica che i lavori di cui trattasi sono regolarmente eseguiti e se ne liquida l’importo in € ......................... da cui detratti n. ........ acconti corrisposti all’Impresa per l’importo complessivo di € .............................. resta il credito residuo di € .............................. che salvo la superiore approvazione del presente certificato, può pagarsi all’Impresa .............................. a saldo di ogni suo avere per l’oggetto sopra indicato. ............., Lì .................
L’IMPRESA Visto: Il Responsabile del procedimento
IL DIRETTORE DEI LAVORI
ESERCIZIO PROFESSIONALE
•
DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI COLLAUDI E OPERAZIONI FINALI
C.6. 4. A.ZIONI
MOD. C.6.4./6 RICHIESTA AGLI ENTI PER LE ASSICURAZIONI SOCIALI (AMMINISTRAZIONE APPALTANTE) * UFFICIO TECNICO .................................................... Raccomandata con avviso di ricevimento
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
MOD. C.6.4./8 RICHIESTA DI AVVISO AI CREDITORI (AMMINISTRAZIONE APPALTANTE) *
I ED PRE NISM ORGA
Raccomandata con avviso di ricevimento Data ...................... (immediatamente successiva al Certificato di ultimazione lavori)
Data ...................... (immediatamente successiva al Certificato di ultimazione lavori)
Alla Prefettura ............................................ (Amministrazione Foglio Annunzi legali) e per conoscenza all’Impresa ....................................................................................
All’INAIL Sede Provinciale di ...................................................................................... All’INPS Sede Provinciale di ....................................................................................... All’Ispettorato Provinciale del Lavoro .......................................................................... Alla Cassa Edile Sede di ............................................................................................
OGGETTO: Pubblicazione degli avvisi ai creditori.
Durata dei lavori prevista dal ........................ al ........................ Inizio lavori ..................... Sospensioni .................... Ultimazione lavori .....................
Lavori di ...................................................... Impresa ................................................ Sono stati ultimati i lavori di ................ assunti dall’Impresa ................ con .............. in data .................... n. ...... di rep. registrato a ................... il .................... al n. ........ Mod. .......... Vol. ......... . Detti lavori vennero iniziati il .............. e ultimati il ............ . Ciò premesso, ai sensi dell’art.189 del DPR 554/1999, si prega voler disporre la pubblicazione degli avvisi ai creditori nel foglio annunzi legali, nell’Albo pretorio di detta Prefettura e in quello del Comune di ................ dove i lavori sono stati eseguiti. Si resta in attesa dei referti relativi a detta pubblicazione significando che l’Impresa ............................. cui la presente è diretta per conoscenza provvederà a versare direttamente a codesta Prefettura la somma occorrente per la pubblicazione.
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
............., Lì ................. IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO
Contratto ............................................................... del ............................................... Impresa ....................................................................................................................... con sede in ..................................... CAP ................... Via .......................................
C.RCIZIO
D.GETTAZIONE
OGGETTO: Comunicazione relativa al conto finale dei lavori.
Con riferimento alla comunicazione di stipulazione di contratto di appalto, effettuata con nota n. ..... del ............. , si informa che l’Impresa ................. ha ultimato i lavori di ................... in località ................. e che, in conseguenza, è stato redatto il conto finale dell’appalto per complessive € .........................
B.STAZIONI DILEGIZLII
G.ANISTICA URB
* Carta intestata e firma del Direttore dei lavori, in caso di lavori privati.
MOD. C.6.4./9 AVVISO AI CREDITORI N. di matricola INPS .................................................... Sede di ................................. N. di matricola INAIL ................................................... Sede di ................................. N. di matricola Cassa Edile ......................................... Sede di .................................
PREFETTURA DI .......................................... N. .................. Div. ..............................
L’importo contrattuale dei lavori assomma a € ........................
Ai sensi dell’art.7 del Capitolato generale d’appalto dei lavori pubblici DM 145/2000, si comunica che questa amministrazione riterrà l’Impresa predetta in regola con gli adempimenti assicurativi e svincolerà le ritenute dello 0,50%, relative al contratto sopra indicato, qualora gli enti in indirizzo non avranno comunicato, entro 30 giorni dal ricevimento della presente nota, eventuali inadempienze dell’Impresa nell’osservanza di norme e prescrizioni dei contratti collettivi, delle leggi e dei regolamenti sulla tutela, sicurezza, salute, assicurazione e assistenza dei lavoratori.
AVVISI AI CREDITORI Il Prefetto della Provincia di ....................... in esecuzione del disposto dell’art.189 del DPR 554/1999, invita tutti coloro che, per occupazioni permanenti o temporanee di stabili e per danni arrecati nell’esecuzione di lavori, fossero ancora creditori verso l’Impresa ............................................... esecutrice dei lavori di .............................. assunti con contratto in data .................. registrato a ........................ il ...................... al n. ......... reg. .................... foglio ................. , a presentare a questa Prefettura le domande e i titoli del loro credito entro 60 giorni dalla data di pubblicazione del presente avviso, trascorsi i quali non sarà più tenuto conto in via amministrativa dei titoli prodotti dopo il termine prefisso. ............., Lì .................
IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO
MOD. C.6.4./10 CERTIFICATO IN SOSTITUZIONE DELL’AVVISO AI CREDITORI
(AMMINISTRAZIONE APPALTANTE)
(AMMINISTRAZIONE APPALTANTE)
Il sottoscritto Responsabile del procedimento ..................................... , visti gli atti di gestione dei lavori di ................... assunti dall’Impresa ................. con ......................
IMPRESA ................................................................................................................... LAVORI di .................................................................................................................. CONTRATTO in corso di ............................................ (Appalto / Cottimo fiduciario) in data .................................. n. ................ di repertorio.
CONSIDERATO che in data .......................... è stata fatta regolare denuncia dell’appalto dei lavori, e in data .......................... è stata fatta la denuncia della relativa ultimazione agli Enti previdenziali e assicurativi e alla Cassa Edile ed è stato loro richiesto se l’appaltatore ha osservato le norme e le prescrizioni dei contratti collettivi, delle leggi e dei regolamenti sulla tutela, sicurezza, salute, assicurazione e assistenza dei lavoratori; che alla data odierna sono passati oltre 30 giorni dalla richiesta e non risultano pervenute comunicazioni di inadempienze agli obblighi assicurativi e previdenziali da parte dell’INAIL-INPS-Cassa Edile a carico dell’Impresa.
C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
CERTIFICATO SOSTITUENTE GLI AVVISI AI CREDITORI Il sottoscritto, .................................. Responsabile del procedimento
CERTIFICA che l’Impresa ........................... deve ritenersi in regola con gli adempimenti di cui all’art.7 del Capitolato generale d’appalto dei Lavori Pubblici DM 145/2000.
CERTIFICA che i lavori sopraindicati sono stati eseguiti in zone esclusivamente .......................... e pertanto non sono avvenute in corso d’opera occupazioni né permanenti né temporanee di stabili di pertinenza di terzi, né si sono recati danni nell’esecuzione dei lavori, per cui non è stato necessario procedere alla pubblicazione degli avvisi ai creditori, di cui all’art.189 del Regolamento approvato con DPR 21 dicembre 1999 n.554.
............., Lì .................
............., Lì ................. IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO
C.2. AMENTO ORDIN
IL PREFETTO
* Carta intestata e firma del Direttore dei lavori, in caso di lavori privati.
MOD. C.6.4./7 DICHIARAZIONE RELATIVA ALLE ASSICURAZIONI SOCIALI
C.1. AZIONE PREST
IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO
. C.6.4UDI E ALI COLLA ZIONI FIN A R E P O
C 105
C.6. 4.
ESERCIZIO PROFESSIONALE • DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI COLLAUDI E OPERAZIONI FINALI COLLAUDO STATICO Tutte le opere, sia private che pubbliche, devono essere sottoposte al collaudo statico. Il collaudo statico è disciplinato dalla legge 1086/1971 sulle strutture portanti in calcestruzzo armato e a struttura metallica. Il committente deve denunciare i lavori alla Regione, prima del loro inizio; contestualmente, ai sensi del DPR 425/1994, deve conferire l’incarico di effettuare il collaudo statico a un architetto o a un ingegnere iscritto all’Ordine da almeno 10 anni e che non abbia preso parte alla progettazione e direzione dei lavori. Il costruttore, nel presentare la denuncia dei lavori, allega
a questa una dichiarazione con la quale il collaudatore accetta l’incarico e si impegna a non prendere parte alla direzione e alla esecuzione dei lavori. Completata la struttura con la copertura dell’edificio, il Direttore dei lavori ne dà comunicazione al Comune, alla Regione e al collaudatore, che ha 60 giorni di tempo per effettuare il collaudo statico. Il collaudatore deve consegnare due copie del certificato di collaudo al Genio civile che ne restituisce una da consegnare al committente. Nel caso di opere costruite per conto di amministrazioni
dello Stato, di Regioni, Province e Comuni, aventi ufficio tecnico con a capo un ingegnere (o un architetto) non è richiesta la denuncia dei lavori alla Regione né, di conseguenza, la contestuale nomina del collaudatore, né la consegna del certificato alla Regione. Nel caso di lavori pubblici, il collaudo statico è affidato al soggetto incaricato del collaudo dei lavori, o a uno dei componenti la commissione, sempre che abbia i requisiti di legge. Per i lavori in zona sismica il collaudo è esteso anche alla verifica dell’osservanza delle norme sismiche.
RISERVE – ACCORDO BONARIO – ARBITRATO DPR 554/1999 art.137, DM 145/2000 artt.31 e 32. La normativa su questa materia si applica solo alle opere pubbliche. Il Direttore lavori o l’appaltatore comunicano al Responsabile del procedimento le contestazioni insorte nell’esecuzione dei lavori; il RP convoca le parti entro 15 giorni per risolvere la controversia. Il RP decide e l’appaltatore ha l’obbligo di uniformarsi, salvo il diritto di iscrivere riserva nel registro di contabilità in occasione della sottoscrizione. Se le contestazioni riguardano fatti, il DL redige in contraddittorio con l’imprenditore (o, mancando questi, in presenza di due testimoni), un verbale delle circostanze contestate. Copia del verbale è comunicata all’imprenditore, che entro 8 giorni dal ricevimento deve presentare al DL le sue osservazioni. Il verbale si intende accettato qualora non vengano presentate osservazioni. Il verbale, firmato dall’appaltatore o dai testimoni, è inviato al RP con le eventuali osservazioni dell’appaltatore. Contestazioni e relativi ordini di servizio sono annotati nel giornale dei lavori. Se l’appaltatore deve esprimere osservazioni in merito ai modi di applicazione del contratto, può firmare con riserva il registro di contabilità. In tale caso entro 15 giorni egli deve esplicitare le riserve, pena la perdita del
diritto, indicando con precisione le cifre di compenso ritenute di sua spettanza e le ragioni di ciascuna riserva. Il DL dovrà entro 15 giorni scrivere nel registro le sue controdeduzioni in forma motivata, anche se succinta, ma non schematica o rituale. Le riserve devono essere riferite a fatti riguardanti i lavori contabilizzati relativi all’ultimo stato di avanzamento; esse devono essere richiamate in forma concisa in occasione di tutti gli stati di avanzamento successivi, e sullo stato finale. Anche le controdeduzioni del DL devono essere richiamate sugli stati di avanzamento successivi. Costituisce prassi diffusa accettare che l’impresa, dopo aver iscritto la riserva, ometta di esplicitarla quando essa si riferisce a situazioni continuative che non è possibile quantificare se non a conclusione dei lavori; a volte viene ritenuta valida anche una riserva formulata solo dopo la fine dei lavori, alla condizione che riguardi situazioni documentabili con certezza. Sulla base della relazione del DL sullo stato finale, il RP esprime il proprio parere sulla accettabilità delle riserve mediante una “relazione riservata”, che viene trasmessa al collaudatore insieme alla documentazione sullo svolgimento dell’appalto. Il collaudatore formula una proposta per la risoluzione delle riserve mediante una propria relazione riservata. La decisione finale spetta all’amministrazione. L’appal-
tatore può ricorrere, ai sensi del contratto di appalto, all’arbitrato o alla magistratura ordinaria contro la decisione dell’amministrazione. Accordo bonario Ai sensi dell’art.31 bis della legge 109/1994-166/2002, qualora, a seguito della iscrizione di riserve, l’importo dell’opera possa variare in misura superiore al 10%, il RP promuove la costituzione di una commissione di 3 membri: uno designato dal RP, un altro dall’appaltatore e il terzo scelto dai primi due o, in caso di mancato accordo, dal Presidente del Tribunale. La commissione acquisisce la relazione riservata del DL e del collaudatore in corso d’opera se esistente, e formula all’amministrazione, proposta di accordo bonario, entro 90 giorni dalla iscrizione dell’ultima di dette riserve. In merito alla proposta si pronunciano, nei successivi 30 giorni, l’appaltatore e l’amministrazione. Decorso tale termine, l’appaltatore può ricorrere all’arbitrato (art.32 legge 109/1994-166/2002). Qualora l’impresa non nomini entro 30 giorni il proprio rappresentante nella commissione, il RP formula la proposta di accordo bonario, acquisita la relazione del Direttore lavori e, ove esistente, del collaboratore. L’amministrazione decide entro 60 giorni. Il verbale di accordo bonario è sottoscritto dall’appaltatore.
ISCRIZIONE AL CATASTO E ABITABILITÀ DPR 425/1993 art.3, legge 47/1985 art.52. La normativa su questa materia si applica sia ai lavori privati che a quelli pubblici, con i necessari adattamenti nel caso di lavori statali. Il Direttore dei lavori ha l’obbligo di presentare la dichiarazione per l’iscrizione in catasto dell’immobile immediatamente dopo l’ultimazione dei lavori di finitura, e comunque entro 30 giorni dalla installazione degli infissi. Sono fatte salve le norme di Regioni e Provincie autonome in materia. Affinché gli edifici di nuova costruzione o soggetti a lavori di modifica che influiscano sulla salubrità ai sensi dell’art.220 RD 1265/1934, possano essere utilizzati, è necessario che il proprietario richieda al sindaco il certificato di abitabilità, allegando:
C 106
• certificato di collaudo statico; • dichiarazione presentata per l’iscrizione in catasto, attestata dall’ufficio catastale; • dichiarazione del Direttore dei lavori, che certifichi, sotto la propria responsabilità, la conformità rispetto al progetto approvato, l’avvenuta prosciugatura dei muri e la salubrità degli ambienti. Entro 30 giorni il sindaco rilascia il certificato di abitabilità. In caso di silenzio del Comune, trascorsi 45 giorni, l’abitabilità si intende attestata. L’autorità competente, nei successivi 180 giorni, può ispezionare l’edificio e dichiarare la non abitabilità nel caso di assenza dei requisiti di abitabilità.
ESERCIZIO PROFESSIONALE
•
DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI SICUREZZA NEL CANTIERE
A.ZIONI
SICUREZZA DEL CANTIERE NEI LAVORI PUBBLICI E PRIVATI Il DLgs 14 agosto 1996, n.494/1996 di recepimento della direttiva 1992/57/CEE sui cantieri temporanei e mobili prevede che il committente dell’opera per i lavori privati, o il Responsabile del procedimento per i lavori pubblici, contestualmente all’affidamento dell’incarico di progettazione, debba designare il coordinatore in materia di sicurezza durante la progettazione dell’opera (coordinatore per la progettazione). Inoltre prima dell’affidamento dei lavori deve designare il coordinatore in materia di sicurezza durante l’esecuzione dei lavori (coordinatore per l’esecuzione dei lavori). Il committente deve fare le due designazioni qualora nel cantiere operino più imprese, anche non contemporaneamente, nel caso che l’entità dei lavori sia di almeno 200 giornate di operaio o nel caso che i lavori comportino i rischi elencati nell’allegato II al DLgs 494/1996. Il coordinatore per la progettazione ha il compito di redigere il piano di sicurezza e di coordinamento e il fascicolo del fabbricato. Contenuti del piano ai sensi dell’art.12: • individuazione, analisi e valutazione dei rischi; • conseguenti procedure esecutive, apprestamenti e attrezzature in grado di garantire, per tutta la durata dei lavori, il rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute dei lavoratori; • stima dei relativi costi.
C.6. 5.
In particolare il piano deve contenere: • misure di prevenzione dei rischi risultanti dalla eventuale presenza simultanea o successiva delle varie imprese o lavoratori autonomi; • previsione, ove necessario, di utilizzazione di impianti comuni quali infrastrutture, mezzi logistici, e di protezione collettiva. Il piano è costituito da una relazione tecnica e da prescrizioni operative correlate alla complessità dell’opera da realizzare e alle eventuali fasi critiche del processo di costruzione. Il fascicolo del fabbricato ha lo scopo di servire da guida in occasione di lavori di manutenzione o di ristrutturazione dopo che l’edificio è stato costruito e nel corso della sua utilizzazione. Deve contenere le informazioni utili ai fini della prevenzione e protezione dai rischi cui sono esposti i lavoratori tenendo conto delle norme di buona tecnica nonché dell’allegato II al documento UE 26 maggio 1993. I contenuti del piano, nonché l’indicazione dei costi di sicurezza, saranno definiti con il Regolamento previsto dall’art.31 della legge 109/1994, non ancora emanato al dicembre 2002. I contenuti del fascicolo saranno definiti con decreto del Ministero del lavoro, non ancora emanato al dicembre 2002. Non è necessario predisporre il fascicolo nel caso di cantiere per lavori di manutenzione ordinaria.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
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ICHE TECN MA ONENTI, P COM
NORMATIVA PER I LAVORI PUBBLICI Limitatamente ai lavori pubblici, l’art.31 della legge 109/1994, modificato dalla legge 415/1998, aggiunge al piano di sicurezza e di coordinamento e pone a carico dell’appaltatore, i seguenti documenti da redigere prima della consegna dei lavori: a) eventuali proposte integrative del piano di sicurezza; b) un piano di sicurezza sostitutivo di quello redatto dal committente, qualora il piano non sia previsto dalle norme del DLgs 494/1996;
2.
“Il piano di sicurezza e di coordinamento e il piano generale di sicurezza, quando previsti ai sensi del decreto legislativo 14 agosto 1996, n.494, ovvero il piano di sicurezza sostitutivo di cui alla lettera b) del comma 1-bis, nonché il piano operativo di sicurezza di cui alla lettera c) del comma 1-bis formano parte integrante del contratto di appalto o di concessione; i relativi oneri vanno evidenziati nei bandi di gara e non sono soggetti a ribasso d’asta. Le gravi o ripetute violazioni dei piani stessi da parte dell’appaltatore o del concessionario, previa formale costituzione in mora dell’interessato, costituscono causa di risoluzione del contratto. Il regolamento di cui al comma 1 stabilisce quali violazioni della sicurezza determinano la risoluzione del contratto da parte del committente. Il Direttore di cantiere e il coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, vigilano sull’osservanza dei piani di sicurezza”.
2-bis. “Le imprese esecutrici, prima dell’inizio dei lavori ovvero in corso d’opera, possono presentare al coordinatore per l’esecuzione dei lavori di cui al
c) un piano operativo di sicurezza riferito ai sistemi di lavoro caratteristici dell’impresa appaltatrice, da considerare come piano complementare di dettaglio del piano fornito dal committente o di quello di cui alla lettera b).
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In relazione al rapporto tra piani di sicurezza e contratto di appalto, si trascrivono i commi 2, 2-bis, 3 e 4-bis dell’art.31 della legge 109/1994 come successivamente modificato.
decreto legislativo 14 agosto 1996, n.494, proposte di modificazioni o integrazioni al piano di sicurezza e di coordinamento loro trasmesso dalla stazione appaltante, sia per adeguarne i contenuti alle tecnologie proprie dell’impresa, sia per garantire il rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute dei lavoratori eventualmente disattese nel piano stesso”. 3.
“I contratti di appalto o di concessione stipulati dopo la data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 1, se privi dei piani di sicurezza di cui al comma 1-bis, sono nulli. I contratti in corso alla medesima data, se privi del piano operativo di sicurezza di cui alla lettera c) del comma 1-bis, sono annullabili qualora non integrati con i piani medesimi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 1”.
4-bis. “Ai fini del presente articolo il concessionario che esegue i lavori con la propria organizzazione di impresa è equiparato all’appaltatore”.
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
CRITERI ORIENTATIVI PER LA REDAZIONE DEL PIANO DI SICUREZZA Un decreto ministeriale definirà con maggiore dettaglio i contenuti del piano che, presumibilmente, non si discosteranno da quelli già in vigore, definiti nel 1991 dalle parti sociali in attuazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, che qui si sintetizzano. Il piano sarà formalmente distinto in due parti. La prima sarà essenzialmente descrittiva e di carattere generale e riporterà le seguenti indicazioni: • stazione appaltante; • natura dell’opera; • indirizzo del cantiere o ubicazione dei lavori; • impresa affidataria; • Direttore tecnico del cantiere e suoi eventuali collaboratori in materia di sicurezza; • descrizione sommaria delle opere da realizzare e loro importo presunto; • durata prevista dei lavori e numero massimo presumibile di lavoratori presenti contemporaneamente in cantiere; • indicazione delle lavorazioni date in subappalto e, ove possibile, nominativi delle imprese già designate per tali lavorazioni; • descrizione del sito comprensiva di eventuali vincoli connessi all’area e al contesto, di eventuali interferenze con cantieri limitrofi, dell’eventuale presenza di condutture aeree e sotterranee ecc.;
G.ANISTICA
• • • • • • • • •
organizzazione del cantiere; accessi, recinzioni, segnalazioni; tutele per i terzi eventualmente presenti; servizi igienici e assistenziali, servizi sanitari e di pronto intervento; tutela della salute dei lavoratori a fronte di fattori di rischio chimico, fisico e biologico; depositi; norme relative alle macchine e agli impianti e procedure per il loro impiego; mezzi personali di protezione; viabilità, impianti di cantiere, reti elettriche, di acqua, di gas ecc.
Nella seconda parte le fasi di lavoro verranno descritte con riferimento allo specifico cantiere, indicando le tecniche, le attrezzature (macchine, impianti ecc.) e i materiali utilizzati. Fase di lavoro per fase di lavoro, in relazione ai tempi previsti, al regime di orario e al numero presunto di lavoratori impegnati, saranno individuati i rischi e indicate le misure di prevenzione previste, tenendo naturalmente conto delle disposizioni di legge relative e fermo restando che, delle misure di sicurezza valide per tutte le fasi lavorative, potrà farsi menzione unica nella prima parte del piano. Le misure di sicurezza saranno correlate alle diverse tipologie di lavoro.
. C.6.4UDI E ALI COLLA ZIONI FIN A R E P O . C.6.5EZZA SICUR NTIERE A NEL C
C 107
C.6. 5.
ESERCIZIO PROFESSIONALE SICUREZZA NEL CANTIERE
•
DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI
➦ SICUREZZA DEL CANTIERE NEI LAVORI PUBBLICI E PRIVATI ESEMPIO DI PIANO DI SICUREZZA PER FABBRICATO CIVILE Quello che si presenta è un esempio che, per essere considerato un piano di sicurezza operativo, deve essere completato con le note anagrafiche del cantiere di lavoro, deve essere adattato alle caratteristiche specifiche del singolo cantiere e della singola opera da realizzare, integrando quanto manchi e togliendo quanto vi sia in eccesso. Inoltre va completato con schemi grafici.
MOD. C.6.5./1 PRIMA PARTE – DESCRIZIONE E ORGANIZZAZIONE DEL CANTIERE
INDIVIDUAZIONE DEL CANTIERE Stazione appaltante ..................................................................................................... Natura dell’opera .......................................................................................................... Indirizzo del cantiere ..................................................................................................... Imprese affidatarie ........................................................................................................ Durata prevista dei lavori .............................................................................................. Lavorazione date in subappalto .................................................................................... Imprese subappaltatrici ................................................................................................
PRIMA PARTE DESCRIZIONE E ORGANIZZAZIONE DEL CANTIERE
1. Recinzione Costituita da paletti metallici infissi nel terreno mediante sistemi a spinta, previa adozione di idonee misure protettive per gli addetti. Tra i paletti sarà tesa una rete metallica, a opera di personale munito dei mezzi personali necessari e attrezzi adeguati in buono stato di conservazione.
2. Apprestamenti igienico-assistenzali Nell’area del cantiere è prevista l’installazione di baracche o box destinati a: • spogliatoio areato, illuminato naturalmente e artificialmente e munito di appendiabiti e di sedili o panche; per la stagione fredda si provvederà al conveniente riscaldamento mediante radiatori elettrici o stufe a kerosene; • locale di ricovero e per la consumazione dei pasti, areato, illuminato naturalmente e artificialmente, munito di tavolo, e sedili in numero sufficiente; sarà anche previsto idoneo sistema per la conservazione e il riscaldamento delle vivande; • servizi igienici comprendenti lavatoi e latrine, muniti di acqua corrente e scarico a sifone. Il montaggio degli apprestamenti indicati sarà eseguito da personale pratico, munito di idonei attrezzi e dei mezzi personali di protezione necessari. Tutti gli apprestamenti indicati saranno mantenuti in stato di pulizia da parte di personale a ciò delegato. Agli effetti della prevenzione incendi, saranno tenuti mezzi di intervento portatili, sottoposti a verifiche periodiche.
3. Pronto soccorso Stante l’ubicazione del cantiere, in vicinanza di posto permanente di pronto soccorso, per eventuali interventi a seguito di infortunio grave si farà capo alle strutture pubbliche; a tale scopo saranno tenuti in evidenza indirizzi e numeri telefonici utili. Per disinfezione di piccole ferite e interventi relativi a modesti infortuni, nel cantiere saranno tenuti i prescritti presidi farmaceutici, corredati dalle istruzioni per l’uso e conservati in contenitori che ne favoriscano la buona conservazione.
4. Impianti tecnici di cantiere I percorsi di condutture e canalizzazioni relative agli impianti di cantiere saranno studiati e attuati in modo da evitare di costituire intralcio alla circolazione di mezzi e/o persone e, nel contempo, di essere possibile oggetto di azioni meccaniche. Comunque, le condutture sulle quali eventuali azioni meccaniche possono instaurare situazioni di rischio saranno segnalate in modo evidente e, per quanto conveniente ai fini della sicurezza, ulteriormente protette o munite di dispositivi di sicurezza. Le condutture interrate saranno opportunamente segnalate quando ciò possa costituire utile elemento ai fini della sicurezza, con cartelli specifici. I quadri elettrici di distribuzione saranno collegati in posizioni che ne consentano l’agevole manovra, facilitata dall’indicazione dei circuiti derivati. Le apparecchiature di comando e i dispositivi di protezione a tempo inverso e/o differenziali avranno gradi di protezione meccanica confacente e adeguata all’installazione prevista. L’impianto di protezione dalle tensioni di contatto, realizzato con caratteristiche rispondenti alle norme di buona tecnica, sarà comune con quello dei dispositivi di protezione dalle scariche atmosferiche, al quale saranno connesse tutte
C 108
le masse metalliche di notevole dimensione situate all’aperto. L’impianto sarà verificato prima della messa in funzione e denunciato alla competente ASL (o LSP) per le prescritte verifiche. Tutti gli impianti, in relazione all’uso e alle modalità operative, saranno oggetto di convenienti interventi agli effetti del loro mantenimento in efficienti condizioni.
5. Apparecchiature e macchine di cantiere Le apparecchiature e macchine installate nel cantiere saranno munite dei dispositivi di sicurezza richiesti. Esse saranno usate secondo le istruzioni del fabbricante, nei limiti e con le modalità previste. La guida sarà affidata a personale pratico, in possesso dei requisiti fisici necessari, al quale, ove occorrente e conveniente ai fini della sicurezza, saranno impartite particolari e specifiche istruzioni. Le apparecchiature saranno oggetto di confacenti interventi tendenti a mantenere le condizioni di idoneità iniziali. Gli apparecchi di sollevamento saranno denunciati alla ASL (o al LSP) al fine delle verifiche periodiche previste dalla legge, mentre verranno regolarmente effettuati i controlli posti a carico dell’utente. Agli effetti dell’interferenza tra le sovrastrutture girevoli degli apparecchi di sollevamento, saranno stabilite procedure operative che consentano lo svolgimento del lavoro in condizioni di sicurezza; tali procedure saranno rese note e consegnate ai manovratori. L’installazione delle apparecchiature sarà effettuata da personale pratico, munito di adeguate attrezzature e dei mezzi di protezione personale necessari, seguendo le prescrizioni del fabbricante. Apparecchiature ubicate nel raggio di azione degli apparecchi di sollevamento (impianto di betonaggio, posto di lavorazione del ferro ecc.) presso le quali si svolgeranno operazioni a carattere continuativo, saranno idoneamente protette contro il pericolo di caduta di oggetti dall’alto.
6. Depositi di materiali In generale, materiali e attrezzature saranno depositati in aree predisposte. Le cataste avranno altezza e conformazione atte a evitare possibili, intempestivi spostamenti e la ripartizione dei carichi sul terreno sarà effettuata in modo correlato al tipo e alla consistenza delle superfici di appoggio. Il deposito dei pannelli di armatura sarà effettuato in modo che sia assicurata la stabilità anche sotto l’effetto di improvvise raffiche di vento; pertanto dette attrezzature verranno saldamente vincolate. Il deposito di contenitori di gas compresso è previsto in rastrelliere separate per ogni tipo di gas, riparate dai raggi solari e ubicate, per quanto possibile, in zona separata; sarà apposto il segnale di divieto di fumare e usare fiamme libere. Sul posto sarà tenuto estintore portatile sottoposto a periodiche verifiche. I prodotti combustibili saranno conservati in locale apposito, separato e protetto dai raggi solari; sarà esposto il segnale di divieto di fumare e usare fiamme libere e sarà presente un mezzo portatile per l’estinzione incendi.
7. Viabilità di persone e mezzi – Segnaletica Nell’area del cantiere saranno individuati percorsi per il transito dei mezzi di trasporto. Tali percorsi saranno opportunamente indicati e, ove occorrente, completati da idonea segnaletica. Nel limite del possibile detti percorsi saranno mantenuti a conveniente distanza da scavi e ostacoli che possano, in qualche modo, costituire pericolo. Ove possibile, i percorsi pedonali saranno tenuti separati da quelli veicolari. Essi seguiranno vie protette agli effetti dell’investimento dei materiali, dell’urto contro ostacoli o della caduta. Nel cantiere sarà esposta confacente segnaletica per richiamare i rischi specifici, le norme di comportamento, i divieti e le prescrizioni relative all’uso dei mezzi personali di protezione.
8. Trasporto di materiali all’interno del cantiere Il trasporto dei materiali all’interno del cantiere sarà eseguito mediante mezzi idonei, la cui manovra sarà affidata a personale pratico. I materiali saranno opportunamente vincolati e la velocità ammessa sarà assai contenuta. Gli spostamenti effettuati a mezzo di apparecchi di sollevamento saranno preceduti da idonea imbracatura del carico, secondo specifiche norme che verranno esposte in cantiere e saranno effettuati da personale pratico e capace.
ESERCIZIO PROFESSIONALE
•
DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI SICUREZZA NEL CANTIERE
C.6. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
MOD. C.6.5./2 SECONDA PARTE – MISURE DI SICUREZZA RELATIVE ALLA COSTRUZIONE DELL’EDIFICIO LAVORI DA ESEGUIRE 1.
RISCHI IDENTIFICATI
MISURE DI SICUREZZA
OSSERVAZIONI / AGGIORNAMENTI
3.
SCAVI
Scavo generale
LAVORI DA ESEGUIRE
contatto con macchina e/o coinvolgimento nello scavo
segnalazione della zona di operazione con cartelli e/o barriere
investimento o caduta della macchina
macchina regolare, operatore pratico, posizione di sicurezza
franamento o scoscendimento delle pareti
pendenza correlata alla natura e consistenza del terreno eventuale puntellazione e armatura delle pareti carico senza autista a bordo
rumore
tamponi auricolari
caduta nello scavo
segnalazioni e barriere segnaletiche
Eventuali demolizioni strati rocciosi
proiezione di schegge
segregazione segnaletica della zona
Scavi parziali: • a macchina
urto della macchina
segnalazione della zona d’operazione
• rifilatura manuale
LAVORI DA ESEGUIRE
Armatura
punture e abrasioni
dotazione di guanti
lesioni al capo
dotazione di elmetti
cadute dall’alto
impalcati con protezione
caduta pannelli
distacco dal mezzo di sollevamento solo a posizionamento stabile avvenuto
punture/abrasioni
dotazione di guanti
lesioni al capo
dotazione di elmetti
cadute dall’alto
impalcati con protezione
abrasioni
dotazione di guanti
offese al capo
dotazione di elmetti
elettrocuzione per vibrazione
tensione di sicurezza
(in caso di uso di pompa)
caduta, schiacciamenti per movimenti improvvisi e intempestivi della tubazione flessibile
fissaggio o posizionamento idoneo della tubazione flessibile
Disarmo
punture / abrasioni
dotazione di guanti e verifica attrezzi
offese al capo
dotazione di elmetti
schiacciamento
dotazione di scarpe di sicurezza
investimento per caduta pannello in fase di disarmo
sospensione al mezzo di sollevamento prima del distacco dal getto
Posa ferro d’armatura
2.
rottura attrezzi attrezzi in buono schiacciamento piedi stato scarpe antinfortunistiche
RISCHI IDENTIFICATI
MISURE DI SICUREZZA
FONDAZIONI
OSSERVAZIONI / AGGIORNAMENTI
LAVORI DA ESEGUIRE 4.
Getto magrone
abrasioni per rottura controllo degli attrezzi attrezzi e per contatti dotazione di guanti con l’impasto e scarpe di sicurezza
Armatura fondazioni
abrasioni
dotazione di guanti
e plinti
lesioni al capo
dotazione di elmetto
Posa ferro
punture, abrasioni
dotazione di guanti
Getto fondazione e plinti
abrasioni
dotazione di guanti
elettrocuzione per vibrazioni
uso di corrente a tensione di sicurezza
(in caso di uso di pompa)
cadute, schiacciamenti per movimenti improvvisi e intempestivi della tubazione flessibile
fissaggio o posizionamento idoneo della tubazione flessibile
Disarmo
punture - abrasioni
dotazione guanti
MISURE DI SICUREZZA
OSSERVAZIONI / AGGIORNAMENTI
MURATURA IN CALCESTRUZZO PILASTRI CANTINATO
Getto schiacciamento dell’autista del mezzo di trasporto durante il carico
RISCHI IDENTIFICATI
RISCHI IDENTIFICATI
MISURE DI SICUREZZA
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E
OSSERVAZIONI / AGGIORNAMENTI
C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP
PRIMA SOLETTA
Armatura travi
Posa pannelli solaio
Getto
caduta dall’alto
impalcati regolari
abrasioni / punture
dotazione di guanti
offesa al capo
dotazione di elmetti
caduta dall’alto
modalità operative e procedure di lavoro idonee (posizione arretrata degli operatori)
abrasioni
dotazione di guanti
offese al capo
dotazione di elmetti
elettrocuzione per:
tensione di sicurezza
abrasioni, offese al capo
dotazione di guanti ed elmetti
C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
presenza del preposto
➥
. C.6.5EZZA SICUR NTIERE A NEL C
C 109
C.6. 5.
ESERCIZIO PROFESSIONALE SICUREZZA NEL CANTIERE
•
DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI
➦ SICUREZZA DEL CANTIERE NEI LAVORI PUBBLICI E PRIVATI ➦ MOD. C.6.5./2 SECONDA PARTE – MISURE DI SICUREZZA RELATIVE ALLA COSTRUZIONE DELL’EDIFICIO LAVORI DA ESEGUIRE 5.
RISCHI IDENTIFICATI
MISURE DI SICUREZZA
OSSERVAZIONI / AGGIORNAMENTI
RINTERRO
Impermeabilizzazione dei muri contro terra
Rinterro a macchina
Sistema manuale
dotazione di guanti, occhiali o schermi, maschere
rottura manici attrezzi
controllo attrezzi
contatto con pala meccanica
segnalazione zona di pericolo
caduta automezzo nello scavo
segnalazione del pericolo di avvicinamento dotazione di guanti e scarpe di sicurezza
abrasione / schiacciamento
RISCHI IDENTIFICATI
Armatura
Getto
Disarmo
C 110
OSSERVAZIONI / AGGIORNAMENTI
dotazione di elmetti
caduta dall’alto
impalcati o scale regolari
caduta pannello
distacco dall’apparecchio di sollevamento a posizionamento stabile attuato
caduta dall’alto
impalcati o scale regolari
abrasioni / punture
dotazione di guanti
offese al capo
dotazione di elmetti
Posa ferro d’armatura
punture / abrasioni
dotazione di guanti
Getto
caduta dall’alto
ponticelli con parapetto
elettrocuzione per uso vibratore
tensione di sicurezza
abrasioni
dotazione di guanti
caduta dall’alto
impalcato e/o scale
offese al capo
dotazione di elmetti
investimento per rovesciamento del pannello d’armatura
sospensione all’apparecchio di sollevamento prima del distacco dal getto
investimento del materiale disarmato
operazioni a distanza di sicurezza
abrasioni
dotazione di guanti
schiacciamento
dotazione di scarpe di sicurezza
caduta dall’alto
impalcato regolare o scalette; perimetralmente ponteggio fisso
abrasioni / punture
dotazione di guanti
offese al capo
dotazione di elmetti
caduta dall’alto
sistemi correlati alle modalità operative, previsti e adeguati agli effetti della sicurezza
abrasioni / punture
dotazione di guanti
caduta dall’alto
modalità operative e presenza dure di lavoro idonee del preposto (posizione arretrata degli operatori)
abrasioni
dotazione di guanti
offese al capo
dotazione di elmetti
Armatura rampe
controllo attrezzi
MISURE DI SICUREZZA
dotazione di guanti
offese al capo
OSSERVAZIONI / AGGIORNAMENTI
Disarmo
caduta dall’alto sul perimetro
predisposizione di ponteggio perimetrale eseguito con materiale munito di autorizzazione ministeriale alla costruzione e all’impiego, eretto in base a disegno esecutivo firmato dal responsabile per puntate successive precedenti l’opera in costruzione completamento di impalcati e parapetti piano per piano
caduta dall’alto durante la costruzione del ponteggio
personale pratico, dotato di mezzi di personale e idoneo abbigliamento
abrasioni / punture
dotazione di guanti
lesioni per rottura attrezzi
controllo dello stato degli attrezzi
offese al capo
dotazione di elmetti
se il ponteggio supera l’altezza di m. 20, deve essere eretto in base a progetto firmato da ingegnere o architetto abilitato
6.4 SOLETTE Armatura travi
Posa del ferro
6.2 PILASTRI Armatura
MISURE DI SICUREZZA
abrasioni / punture
6.1 ELEVAZIONE DELLA STRUTTURA A PARTIRE DALLA PRIMA SOLETTA PILASTRI, MURI E RAMPE, SCALA E ASCENSORE, TRAVI, SOLAI (operazioni ripetitive per i vari piani) Tutte quelle elencate (indicazione di opera protettiva generale)
RISCHI IDENTIFICATI
6.3 MURI, SCALE, RAMPE, ASCENSORE contatto con prodotti potenzialmente pericolosi
rottura manici attrezzi
LAVORI DA ESEGUIRE
LAVORI DA ESEGUIRE
Posa pannelli
caduta dall’alto
impalcati di sufficiente larghezza-scale a pioli
caduta dall’alto
ponticelli mobili con parapetto
abrasioni
dotazione di guanti
offese al capo
dotazione di elmetti
abrasioni
dotazione di guanti
tensione di sicurezza
elettrocuzione per uso vibratore
tensione di sicurezza
elettrocuzione per uso vibratori offese al capo
dotazione di elmetti
abrasioni
abrasioni
investimento del materiale disarmato
posizione di lavoro a controllo distanza di sicurezza del preposto
schiacciamento
dotazione di scarpe di sicurezza
abrasioni / punture
dotazione guanti
offese al capo
dotazione di elmetti
caduta dall’alto
impalcati regolari
Getto
Disarmo
caduta dall’alto sul ponteggio perimetrale perimetro e verso vani e parapetti verso vani
ESERCIZIO PROFESSIONALE
•
DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI SICUREZZA NEL CANTIERE
C.6. 5. A.ZIONI
LAVORI DA ESEGUIRE 7.
RISCHI IDENTIFICATI
MISURE DI SICUREZZA
OSSERVAZIONI / AGGIORNAMENTI
SOLETTA INCLINATA PER LA COPERTURA, GRONDA, MANTO DI COPERTURA
Armatura travi e gronda
Peso ferro
Posa soletta
Getto
caduta dall’alto verso l’esterno e l’interno
ponteggio perimetrale e impalcati interni e/o scale
abrasioni e punture
dotazione di guanti
offese al capo
dotazione di elmetti
caduta dall’alto verso l’esterno e l’interno
ponteggio esterno e impalcati interni
punture
dotazione di guanti
caduta dall’alto
modalità operative come precedenti
scivolamento
tavole listellate
abrasioni / punture
dotazione di guanti
offese al capo
dotazione di elmetti
caduta dall’alto
ponteggio esterno, parapetti verso aperture
scivolamento
tavole listellate
LAVORI DA ESEGUIRE 8.
Impermeabilizzazione gronde
elettrocuzione per vibrazione
tensione di sicurezza
abrasione
dotazione di guanti
offese al capo
dotazione di elmetti
MISURE DI SICUREZZA
Intonacatura interna, posa isolante, tavolato interno
LAVORI DA ESEGUIRE
caduta dall’alto
abrasioni / tagli
dotazione di guanti
caduta dall’alto
impalcati di sufficiente larghezza e con agevoli accessi
abrasioni / tagli / irritazione per contatto isolante
dotazione di guanti e di mascherine
RISCHI IDENTIFICATI
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
MISURE DI SICUREZZA
Operazioni manuali di completamento
inquinamento atmosfera ambiente lavoro
depurazione fumo ed efficace aerazione dotazione maschera manovratore
investimento del mezzo
segnalazioni opportune per evitare passaggio persone
schiacciamento
dotazione scarpe di sicurezza
rottura manici attrezzi
controllo del buono stato attrezzatura
schiacciamento
dotazione scarpe di sicurezza
dotazione di guanti
schiacciamento
dotazione di scarpe di sicurezza
investimento del materiale rimosso
posizione di lavoro a controllo distanza di sicurezza del preposto
caduta dall’alto
ponteggio fisso perimetrale
rottura manici attrezzi
controllo del buono stato attrezzatura
caduta dall’alto
ponteggio fisso perimetrale
rovesciamento improvviso carriole o carrette
predisposizione percorso agevole e sicuro
abrasioni
dotazione di guanti
esalazioni e/o fumi
maschera idonea
rovesciamento intempestivo carriole o carrette
predisposizione di percorso agevole e sicuro
investimento, schiacciamento della parte flessibile della tubazione della pompa (se usata)
collocazione e protezione del tratto flessibile
elettrocuzione (se elettrico)
tensione di sicurezza
inquinamento atmosferico se a scoppio
depuratore fumo o aerazione ambienti o scarico fumi all’esterno
scivolamento
C.RCIZIO
OSSERVAZIONI / AGGIORNAMENTI
VESPAIO – FORMAZIONE DEL SOTTOFONDO DI CIOTTOLI E GHIAIA
Eseguito con mezzo meccanico
Eseguito a mano
Getto calcestruzzo per pavimento
ponteggio esterno
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
ponteggio fisso o, se verifica le tavole fossero state del preposto rimosse, sbarramento perimetrale (se consente la costruzione del tavolato) da integrare con altri elementi man mano che il tavolato sale impalcati interni di sufficiente larghezza e con agevoli sistemi d’accesso
abrasione / punture
Posa del manto di caduta dall’alto copertura
OSSERVAZIONI / AGGIORNAMENTI
CHIUSURE PERIMETRALI
Tavolato esterno
9.
RISCHI IDENTIFICATI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
tavole listellate Uso vibratore
polverosità per taglio
maschere e sistema di riduzione
abrasione / tagli
dotazione di guanti
➥
. C.6.5EZZA SICUR NTIERE A NEL C
C 111
C.6. 5.
ESERCIZIO PROFESSIONALE SICUREZZA NEL CANTIERE
•
DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI
➦ SICUREZZA DEL CANTIERE NEI LAVORI PUBBLICI E PRIVATI ➦ MOD. C.6.5./2 SECONDA PARTE – MISURE DI SICUREZZA RELATIVE ALLA COSTRUZIONE DELL’EDIFICIO LAVORI DA ESEGUIRE
RISCHI IDENTIFICATI
MISURE DI SICUREZZA
OSSERVAZIONI / AGGIORNAMENTI
10. OPERE INTERNE (tavolati, intonaci, pavimenti, rivestimenti, posa ringhiere e grate ecc.) Lavori generici
LAVORI DA ESEGUIRE
RISCHI IDENTIFICATI
MISURE DI SICUREZZA
11. FACCIATE caduta dall’alto
ponteggio fisso
proiezione di materiale
dotazione di occhiali o schermi
offese al capo
dotazione di elmetti
caduta dall’alto
ponteggio fisso
vedi 10.2
elettrocuzione per uso utensili elettrici
tensione di sicurezza
esalazione da collanti
aerazione sufficiente e dotazione specifiche maschere
proiezione schegge
dotazione occhiali o schermi
incendio per collanti
presidi di estinzione e divieto di fumare
caduta dall’alto
ponteggio fisso
elettrocuzione per uso utensili elettrici
tensione di sicurezza
proiezione schegge
dotazione occhiali o schermo
proiezione schegge incandescenti e radiazioni
dotazione di schermo o occhiali inattinici
luminose (saldatura)
schermatura verso terzi esistenza estintore segregazione delle zone sottostanti a quella di saldatura
Rivestimento finale
caduta dall’alto
ponteggio fisso
Eventuale smontaggio immediato del ponteggio
caduta dall’alto
dotazione sistemi anticaduta
proiezione, schizzi di materiale
dotazione occhiali o schermi
caduta dall’alto per lavori in quota
ponti mobili su cavalletti o su ruote
proiezione di schegge, faville, scaglie, punture, schiacciamento, contusioni
dotazione di scarpe di sicurezza, guanti, occhiali o schermi, elmetti
Uso di utensili elettrici
elettrocuzione
tensione di sicurezza (ove richiesto)
Pavimenti rivestimenti vari
umidità, contatto con scaglie taglienti, protezione scaglie
dotazione di ginocchiere, guanti, occhiali o schermi
elettrocuzione per uso utensili
Intonacatura
Posa contorni aperture
collegamento a terra o sufficiente rigidità dielettrica ripari in efficienza
Posa ringhiere, grate e simili
caduta dall’alto per addetti
Posa delle ringhiere dei balconi, frontalini, tubazione e canalizzazioni esterne
rimozione protezioni provvisorie immediatamente prima della posa di quelle definitive dotazione di mezzi personali (cinture di sicurezza)
Illuminazione (generale)
caduta dall’alto per passaggio
sbarramento, se possibile, delle zone interessate
elettrocuzione per uso lampade
collegamento a terra per faretti e simili tensione di sicurezza per lampade portatili
Operazioni di saldatura
proiezione faville dotazione schermi e radiazioni luminose o occhiali con vetri inattinici schermi verso terzi
LAVORI DA ESEGUIRE
RISCHI IDENTIFICATI
MISURE DI SICUREZZA
OSSERVAZIONI / AGGIORNAMENTI
OSSERVAZIONI / AGGIORNAMENTI
LAVORI DA ESEGUIRE
RISCHI IDENTIFICATI
MISURE DI SICUREZZA
controllo del preposto per brevi operazioni nelle quali sia necessaria la rimozione di qualche tavola (piombatura) e immediata sistemazione a operazioni ultimate
OSSERVAZIONI / AGGIORNAMENTI
13. POSA IN OPERA DI TUBAZIONI VARIE, CANALINE, LINEE ELETTRICHE, MENSOLE ECC. (assistenze murarie agli impianti)
12. POSA SERRAMENTI (finestre, porte, serrande ecc.) caduta per operazioni in quota
ponticelli o impalcati regolari
elettrocuzione per uso utensili elettrici
tensione di sicurezza
abrasioni / punture / tagli
dotazione di guanti
inalazione polveri
dotazione di maschere
pericolo di incendio
estintore nei pressi e divieto di fumare
radiazioni pericolose (saldatura)
dotazione schermi o occhiali con vetri inattinici
proiezione particelle incandescenti (saldature)
vedi sopra + guanti
caduta (per lavori in quota)
ponti su cavalletti o mobili su ruote, completi di parapetto ponteggio / ripiani di lavoro nel vano ascensore
investimento per caduta di tubazioni mal fissate
fissaggio provvisorio stabile
urto contro elementi segnalazione o di impianto illuminazione delle parzialmente montati zone di installazione abrasioni / tagli
dotazione di guanti
offese al capo
dotazione di elmetti
➥
C 112
ESERCIZIO PROFESSIONALE
•
DIREZIONE ED ESECUZIONE DEI LAVORI SICUREZZA NEL CANTIERE
C.6. 5. A.ZIONI
LAVORI DA ESEGUIRE ➦ 13.
RISCHI IDENTIFICATI
MISURE DI SICUREZZA
OSSERVAZIONI / AGGIORNAMENTI
POSA IN OPERA DI TUBAZIONI VARIE, CANALINE, LINEE ELETTRICHE, MENSOLE ECC. (assistenze murarie agli impianti)
LAVORI DA ESEGUIRE
RISCHI IDENTIFICATI
MISURE DI SICUREZZA
OSSERVAZIONI / AGGIORNAMENTI
15. OPERE ESTERNE DI COMPLETAMENTO – CANALIZZAZIONI VARIE
elettrocuzione per uso utensili elettrici
tensione di sicurezza
Scavo
proiezione faville e schegge
dotazione di occhiali o schermi
Posa tubazioni
bruciatura per saldatura
dotazione schermi e guanti
radiazioni luminose
dotazione schermi o occhiali con vetri inattinici
franamento pareti di scavo
pendenza lieve delle pareti o puntellazione dei tratti interessati
schiacciamento, investimento per elementi di dimensioni e peso elevati
imbragamento con fasce di materiale sintetico
sorveglianza del preposto
manovre del mezzo di sollevamento molto lente modalità operative che mantengano le persone fuori dal raggio di azione del mezzo
LAVORI DA ESEGUIRE
RISCHI IDENTIFICATI
MISURE DI SICUREZZA
OSSERVAZIONI / AGGIORNAMENTI
14. LAVORI ESEGUITI CON PRODOTTI CHIMICI, COLLANTI, VERNICI, SOLVENTI ECC. inalazione di sostanze volatili
aerazione abbondante frequenti controlli dei locali dotazione da parte di idonee maschere del preposto respiratorie
contatto con sostanze tossiche o irritanti, schizzi
dotazione di guanti, occhiali, maschere, schermi cambio abiti fine lavoro
pericolo d’incendio e/o di esplosione
Rinterro
Opere di giardinaggio e simili
abrasioni
dotazione di guanti
schiacciamento
dotazione di scarpe di sicurezza
offese al capo
dotazione di elmetti
rovesciamento del mezzo nello scavo
segnalazione di eccessivo avvicinamento
investimento di persone
segnalazione dell’area interessata
tagli, contatto dotazione di guanti con elementi irritanti, abrasioni contatto con elementi in movimento
evitare l’esposizione a fonti di calore e fiamme
segnalazione della zona o eventuale segregazione
contatto con macchine esposizione di o investimento idonea segnaletica, delle stesse eventuale segregazione delle zone
divieto di fumare presidi estinguenti
contatto con sostanze tossiche o irritanti
segnalazione rischi e controlli appositi
dotazione di guanti, schermi, occhiali istruzioni precise
NORME ESSENZIALI CITATE NELLA SEZIONE Legge 1086/1971 Opere in cemento armato e precompresso e a struttura metallica.
DPR 425/1994 Abitabilità – Collaudi – Accatastamento.
DPR 616/1977 Trasferimento e deleghe delle funzioni amministrative dello Stato - artt.81 e 82 Urbanistica e beni ambientali.
Legge 109/1994 Legge quadro sui lavori pubblici e successive modifiche (legge 415/1998, legge 340/2000, legge 388/2000, legge 166/2002).
Legge 457/1978 Norme per l’edilizia residenziale – art.31 Definizione degli interventi.
DLgs 494/1996 Sicurezza nei cantieri temporanei e mobili (con aggiornamento al DLgs 528/1999).
Legge 64/1984 Edifici in zona sismica. Legge 47/1985 Vigilanza dell’attività edilizia e sanatoria dell’abusivismo.
Legge 662/1996 Legge finanziaria 1997 – art.2 comma 60 Denuncia di Inizio Attività.
Legge 349/1986 Istituzione della Valutazione di Impatto Ambientale.
DLgs 490/1999 (GU 27 dicembre 1999 SO) Testo Unico sui beni culturali e ambientali.
Legge 241/1990 Norme in materia di procedimento amministrativo – art.14 e successive modifiche fino alla legge 340/2000.
DPR 554/1999 (GU 28 aprile 2000 SO) Regolamento di attuazione della legge 109/1994.
DM 145/2000 (GU 7 giugno 2000) Capitolato generale di appalto dei lavori pubblici.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
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C.1. AZIONE PREST C.2. AMENTO ORDIN C.3. ICHI R INCA PENSI E COM C.4. IZIO ESERC TERO S ALL’E C.5. ZIONE PALTI ESECU VORI – AP HE IC A L L DEI ERE PUBB DI OP C.6. IONE DIREZ CUZIONE E ED ES VORI DEI LA
DM 4 aprile 2001 (GU 26 aprile 2001) Aggiornamento degli onorari spettanti a ingegneri e architetti, per lavori pubblici. DPR 327/2001 modificato con DLgs 302/2002 (GU 22 gennaio 2003) Testo Unico degli Espropri per pubblica utilità, in vigore dal 30 giugno 2003. DPR 380/2001 modificato con DLgs 301/2002 (GU 21 gennaio 2003) Testo Unico dell’Edilizia, in vigore dal 30 giugno 2003. Legge 443/2001, art.1 comma 6 Modifiche alla Denuncia di Inizio Attività. Legge 166/2002, art.7 Modifiche alla legge 109/1994 sui lavori pubblici.
. C.6.5EZZA SICUR NTIERE A NEL C
C 113
D. PROGETTAZIONE STRUTTURALE
D1
D.1. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE LEGGI BASE
•
ASPETTI NORMATIVI SPECIFICI
Nel nostro Paese le norme tecniche relative alle costruzioni sono definite tramite appositi strumenti giuridici: • leggi base; • decreti ministeriali o interministeriali di applicazione. Tali strumenti vengono pubblicati sulla GU e la loro puntuale applicazione è obbligatoria. Il mancato rispetto comporta responsabilità in alcuni casi di carattere penale, sempre di carattere civile. Nel caso si verifichino inconvenienti di qualsiasi natura, il mancato rispetto delle norme è dirimente ai fini dell’attribuzione di reato colposo. Il CP all’art.43-3 c specifica: “il delitto è colposo, o contro l’intenzione quando l’evento anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negli-
genza, o imprudenza, o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”. Per quanto concerne le costruzioni, le leggi base sono: • legge n.1086 del 4 novembre 1971. “Norme per la disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato normale, precompresso e a struttura metallica”; • legge n.64 del 2 febbraio 1974. “Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche”. È opportuno tener presente che tale legge è sostitutiva della legge n.1684/1962 per tutti gli aspetti in questi ultima contenuti fatto salvo per quanto concerne l’art.4. Data la difficoltà di reperimento di tale articolo, se ne riporta integralmente il testo.
PROVVEDIMENTI PER L’EDILIZIA, CON PARTICOLARE PRESCRIZIONI PER LE ZONE SISMICHE (Legge 25 novembre 1962, n.1684) Art.4 – Norme tecniche di buona costruzione In qualsiasi opera edilizia debbono essere osservate le buone regole dell’arte del costruire. In particolare: a) è vietato edificare su terreni sedi di frane in atto potenziali, o sul confine fra terreni di differenti caratteristiche meccaniche. Nei suoli in pendio è consentita la sistemazione a ripiani, i quali debbono avere larghezza adeguata al loro dislivello e alla particolare consistenza dei terreni; b) le fondazioni, ove possibile, devono posare su roccia lapidea opportunamente sistemata in piani orizzontali e denudata del cappellaccio ovvero incassate in rocce sciolte coerenti, purché di buona consistenza e opportunamente protette dall’azione delle acque. Quando non sia possibile raggiungere i terreni di cui sopra e si debba fondare su terreni di riporto o, comunque, su terreni sciolti incoerenti, si debbono adottare i mezzi più appropriati suggeriti dalla tecnica e dall’arte del costruire per ottenere una sufficiente fondazione tenendo opportuno conto dell’escursione della falda freatica sotterranea. Il piano di appoggio delle fondazioni dovrà assicurare in ogni caso una reazione alle sollecitazioni trasmesse dall’opera, compatibile con le strutture. Per le opere indicate nel terzo c. dell’art.1 e per edifici di particolare importanza soggetti, in base alle leggi vigenti, al preliminare parere degli organi di consulenza tecnica dello Stato, i progetti dovranno essere accompagnati da una relazione geologica, redatta da persona di riconosciuta competenza in materia, sulle caratteristiche del suolo e del suo prevedibile comportamento nei riguardi delle azioni sismiche, anche se l’area su cui sono progettati gli edifici suddetti, non ricada nel perimetro delle località dichiarate sismiche agli effetti della presente legge; c) i muri di fondazione dovranno essere costruiti o con calcestruzzi idraulici o cementizi o con murature di pietrame o mattoni e malte idrauliche. Sono ammesse murature di pietrame a sacco solo se confezionate con malte di calce e pozzolana;
N.B. Si richiama in particolare l’attenzione sull’ultimo comma del punto 1 del precedente articolo. In esso si prescrive che per qualsiasi riparazione resa necessaria per guasti dovuti al tempo, oppure per lavori di ristrutturazione e di trasformazione, risulta obbligatorio il rispetto delle leggi e delle norme tecniche vigenti al momento dell’esecuzione dei lavori medesimi. Tale prescrizione risulta particolarmente gravosa qualora
D2
d) le murature in elevazione devono essere eseguite secondo le migliori regole d’arte, con buoni materiali e accurati magisteri. Nelle murature di pietrame è vietato l’uso di ciottolame se non convenientemente temente spaccato e lavato. Quando il pietrame non presenti piani di posa regolari la muratura deve essere interrotta da ricorsi orizzontali di mattoni pieni a due filari o da fasce continue di conglomerato cementizio dello spessore non inferiore a 12 cm estesi, nell’uno o nell’altro caso, a tutta la larghezza del muro. La distanza reciproca di tali ricorsi o fasce non deve superare 1,60 m da asse ad asse. I progetti devono essere corredati dai calcoli di stabilità delle principali strutture portanti, i solai dei piani di abitazione devono essere calcolati per un sopraccarico accidentale di almeno 200 kg/mq; e) le strutture dei piani fuori terra e in particolare le ossature delle coperture non devono, in alcun caso dare luogo a spinte. Le murature portanti devono essere rese solidali tra loro mediante opportune ammorsature agli innesti e agli incroci, evitando in modo assoluto di ubicare ivi canne fumarie e vuoti di qualsiasi genere; f) le travi di ferro dei solai a voltine o tavelloni devono appoggiare sui muri per almeno due terzi dello spessore dei muri stessi e le loro testate debbono essere annegate, e ancorate nei telai di cui al seguente comma. Nei casi in cui le murature portanti abbiano spessore di 40 oppure di 30 cm gli appoggi non possono essere inferiori a 30 cm o 25 cm rispettivamente. Nei corpi di fabbrica multipli le travi degli ambienti contigui debbono essere, almeno ogni metro 2,50, rese solidali tra loro in corrispondenza del muro comune di appoggio; g) in tutti i fabbricati in muratura si deve eseguire in corrispondenza del solaio di ogni piano e del piano di gronda, un cordolo in cemento armato sui muri perimetrali e su tutti gli altri muri interni por-
l’edificio abbia una importanza storica. Il precedente comma prevede una potenziale deroga solo per quanto riguarda i rapporti tra altezza fabbricato e larghezza stradale, deroga possibile nel caso di edifici di eccezionale importanza storica, artistica e archeologica. In molti casi si trova opposizione da parte degli organi di tutela del patrimonio artistico e culturale nei confronti di una applicazione pedissequa delle prescrizioni dell’articolo di legge
tanti. Tali cordoli debbono essere estesi a tutta la larghezza dei muri su cui poggiano e avere un’altezza minima di 20 cm. La loro armatura longitudinale deve essere costituita da almeno quattro barre di acciaio in tondo liscio o nervato, una in corrispondenza di ciascun angolo, e le legature trasversali, devono essere poste alla distanza di 25–30 cm. Il peso complessivo dell’armatura non deve risultare in nessun caso inferiore a 50 kg/mc di conglomerato; h) i solai in cemento armato, normale o precompresso, e quelli di tipo misto, anche quando prefabbricati, devono essere incastrati nei cordoli di cui alla lettera precedente. Questi non devono avere altezza minore di quella complessiva del solaio contiguo o della maggiore dei solai contigui. I solai di tipo misto devono essere eseguiti tenendo presenti le norme vigenti all’atto dell’inizio dei lavori per l’esecuzione e l’accettazione dei solai in conglomerato cementizio con laterizi e con armatura metallica; i) per tutte le strutture in cemento armato, normale o precompresso, debbono essere osservate le prescrizioni per l’accettazione dei leganti idraulici e, per la loro esecuzione, le norme relative alle opere in conglomerato cementizio semplice o armato od in precompresso vigenti al momento dell’inizio dei lavori. Per tutti gli altri materiali da costruzione debbono essere osservate le norme vigenti per la loro accettazione; l) è vietato di eseguire modifiche e lavori di grande riparazione a edifici non rispondenti ai regolamenti edilizi vigenti per strutture e per altezze in rapporto alle larghezze stradali a meno che non si tratti di fabbricati di eccezionale importanza storica, artistica o archeologica. È fatto obbligo ai proprietari allorché si dovesse provvedere a riparazioni di guasti del tempo oppure alla trasformazione di edifici esistenti, di ridurre o ricostruire gli edifici stessi secondo le norme precedenti e secondo quelle contenute nei regolamenti edilizi comunali.
sopra riportato. Sono state emanate circolari interpretative del Ministero dei Beni Culturali nel merito. In casi di tale tipo è pertanto indispensabile che il progettista contatti preliminarmente sia i tecnici delle locali Soprintendenze e i tecnici preposti al controllo del rispetto delle normative inerenti gli aspetti statici. Qualsiasi eventuale possibile interpretazione del caso specifico deve essere preventivamente avallata dai suddetti organi.
Ingegneria e architettura. Dal michelangiolesco ponte a Santa Trinità di Firenze al viadotto vanvitelliano di
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
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ASPETTI NORMATIVI SPECIFICI LEGGI BASE
A.ZIONI
LEGGE 1086/1971 E DECRETI DI ATTUAZIONE In tale legge fondamentalmente vengono definiti gli aspetti formali relativi all’esecuzione delle opere di riferimento (Capo I – DIsposizioni precettive). Al Capo II vengono definiti i controlli e gli accertamenti di vigilanza a cui sono tenute le Autorità preposte. Al Capo III sono definite le norme penali afferenti alla mancata osservanza delle norme stesse.
D.1. 1.
Al Capo IV sono definite le norme transitorie e finali. È opportuno esporre in maniera sintetica gli aspetti afferenti principalmente al Progettista, al Direttore dei lavori, al Costruttore e al Collaudatore, tenendo presenti che tali mansioni possono essere espletate sia da ingegneri che da architetti.
Art.2 “la costruzione delle opere....deve avvenire in base a un progetto esecutivo redatto da un ingegnere o architetto......iscritti ai relativi Albi”. L’esecuzione delle opere deve aver luogo”.....sotto la direzione di un ingegnere o architetto iscritti nei relativi albi....”.
te nella stessa misura di quelle attribuite al Progettista. A titolo di esempio: se il Progettista erroneamente fornisce elaborati progettuali con staffe nei pilastri a interasse superiore a 25 cm, il Direttore dei lavori e il Costruttore, trattandosi di inottemperanza a precise prescrizioni normative, sono ugualmente corresponsabili.
Art.3 “il progettista ha la responsabilità diretta della progettazione di tutte le strutture dell’opera comunque realizzata. Il Direttore dei lavori e il Costruttore, ciascuno per la parte di propria competenza hanno la responsabilità della rispondenza dell’opera al progetto, dell’osservanza delle prescrizioni di esecuzione del progetto, della qualità dei materiali impiegati, nonché per quanto riguarda gli elementi prefabbricati, della posa in opera”. Si ritiene opportuno chiarire alcuni aspetti fondamentali relativi a tale articolo. Per “responsabilità diretta” del progettista non deve intendersi che, nell’eventualità di un errore di progettazione o di una non rispondenza del progetto alle norme tecniche non vengano chiamati in causa anche il Direttore lavori e il Costruttore. Nel caso di errori di progettazione occorre distinguere tra errori gravi, macroscopici, ed errori non evidenti per una Persona che deve comunque avere una specifica competenza per poter dirigere o costruire lavori di tale natura. Deve ricordarsi che nell’art.43 CP uno degli elementi che può far attribuire l’imputazione per colpa è la “imperizia” dell’agente (dicasi Direttore Lavori o Costruttore). Nel caso poi che nella progettazione ci fosse una non rispondenza a precise disposizioni normative, la responsabilità del Direttore Lavori e del Costruttore sono pressoché cer-
Art.4 – Concerne la denuncia dei lavori Per quanto riguarda la responsabilità del Direttore dei lavori si fa presente quanto segue: a) alla denuncia deve essere allegata una relazione illustrativa firmata dal Progettista e Direttore Lavori dalla quale risultino le caratteristiche, qualità e dosature dei materiali che verranno impiegati nella costruzione. Pertanto il Direttore Lavori viene responsabilizzato in merito alla qualità dei materiali. Egli, inoltre, deve controllare che le tensioni dei materiali, così come risultanti dal progetto, non risultino incompatibili con la qualità prescelta dal Progettista. b) l’esecuzione dei lavori non può avere inizio prima del deposito del progetto presso gli Uffici di competenza. Nel caso che vengano redatte varianti in corso d’opera il Direttore dei Lavori deve accertarsi che ne sia stato effettuato il deposito prima di autorizzarne l’esecuzione. Art.5 All’ultimo c. si dice “.....Il Direttore dei Lavori è anche tenuto a vistare periodicamente e in particolare nelle fasi più importanti dell’esecuzione, il Giornale dei Lavori”. È opportuno far presente che il Giornale dei
Lavori di cui sopra è un giornale specifico sul quale devono essere riportati i quantitativi di conglomerato gettato in opera, i prelievi effettuati per il controllo della qualità dei conglomerati, il numero delle partite di acciaio e il prelievo dei relativi campioni. Art.6 – Relazione a struttura ultimata Il Direttore Lavori deve compilare una apposita relazione da depositare agli Uffici preposti allegando i certificati delle prove sui materiali, le indicazioni inerenti la tesatura dei cavi e i verbali delle eventuali prove di carico, entro il termine di 60 giorni dall’ultimazione delle opere. Per quanto concerne le prove sui materiali è tassativo il rispetto di quanto contenuto nel DM di attuazione vigente al momento della realizzazione dell’opera. Attualmente è il DM 9 febbraio–1996 del Ministero dei lavori pubblici. Art.7 – Collaudo statico Tutte le opere debbono essere sottoposte a collaudo statico eseguito da un ingegnere o architetto iscritto all’Albo da almeno 10 anni e che non sia intervenuto nella progettazione, direzione ed esecuzione dell’opera. A differenza di quanto riportato in tale articolo, il DPR 22 aprile 1994 n.425, art.2 sancisce che la nomina del collaudatore deve avvenire all’atto della denuncia di inizio lavori. Le mansioni a cui deve ottemperare il Collaudatore sono sancite dal DM LLPP 9 gennaio 1996 al punto 3 – parte prima – che si riportano integralmente.
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TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
COLLAUDO STATICO – DM LLPP 9 GENNAIO 1996 Il collaudo statico di cui all’art.7 della legge 5 novembre 1971, n.1086, oltre al controllo del corretto adempimento delle prescrizioni formali di cui all’art.4, 6 e 9 della legge medesima, nonché dell’art.5 ove il collaudo sia stato affidato in corso d’opera, dovrà comprendere i seguenti adempimenti tecnici: a) ispezione generale dell’opera nel suo complesso con particolare riguardo a quelle strutture o parti di strutture più significative da confrontare con i disegni esecutivi depositati in cantiere; b) esame dei certificati delle prove sui materiali, articolato: • nell’accertamento del numero dei prelievi effettuati e nella sua conformità al presente decreto e a quanto fissato dagli allegati dello stesso; • nel controllo che i risultati elaborati delle prove siano compatibili con i criteri di accettazione fissati nei sopracitati allegati; c) esame dei certificati di cui ai punti 2.2.8.2 e 2.3.3.1; d) controllo dei verbali delle eventuali prove di carico fatte eseguire dal Direttore dei Lavori; e) esame dell’impostazione generale della progettazione strutturale, degli schemi di calcolo e delle azioni considerate. Inoltre, nell’ambito della propria discrezionalità, il Collaudatore potrà richiedere: A) di effettuare quegli accertamenti utili per formarsi il convincimento della sicurezza dell’opera quali: • prove di carico da eseguirsi secondo le modalità previste nel successivo punto 3.2.; • saggi diretti sui conglomerati con prelievi di campioni e controllo delle armature; • controlli non distruttivi sulle armature;
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
PROVE DI CARICO Le prove di carico, ove ritenute necessarie dal Collaudatore, rispetteranno le modalità sottoindicate, e non potranno avere luogo prima che sia stata raggiunta la resistenza che caratterizza la classe di conglomerato prevista e, in mancanza di precisi accertamenti al riguardo, non prima di 28 giorni dall’ultima del getto. Il programma delle prove deve essere sottoposto al Direttore dei Lavori e al Progettista e reso noto al Costruttore. Le prove di carico si devono svolgere con le modalità indicate dal Collaudatore che se ne assume la piena responsabilità, mentre, per quanto riguarda la loro materiale attuazione e in particolare per le eventuali puntellazioni precauzionali è responsabile il Direttore dei Lavori. I carichi di prova devono essere di regola, tali da indurre le sollecitazioni massime di esercizio per combinazioni rare. In relazione al tipo della struttura e alla natura dei carichi le prove devono essere convenientemente protratte nel tempo. L’esito della prova potrà essere valutato sulla base dei seguenti elementi: • le deformazioni si accrescano all’incirca proporzionalmente ai carichi; • nel corso della prova non siano prodotte lesioni, deformazioni o dissesti che compromettano la sicurezza o la conservazione dell’opera; • la deformazione residua dopo la prima applicazione del carico massimo non superi una quota parte di quella totale commisurata ai prevedibili assestamenti iniziali di tipo anelastico della struttura oggetto della prova. Nel caso invece che tale limite venga superato, le prove di carico successive accertino che la struttura tenda a un comportamento elastico;
• la deformazione elastica risulti non maggiore di quella calcolata. Nel calcolo si terrà conto di quanto indicato al punto 2.1.3 e della eventuale presenza di microfessurazioni del calcestruzzo. Quando le opere siano ultimate prima della nomina del Collaudatore, le prove di carico possono essere eseguite dal Direttore dei Lavori, che ne redige verbale sottoscrivendolo assieme al Costruttore. È facoltà del Collaudatore controllare, far ripetere e integrare le prove precedentemente eseguite.
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E R E P O
Art.8 OBBLIGATORIETÀ DEL COLLAUDO STATICO ai fini della licenza d’uso o di abitabilità. Art.21 EMANAZIONE DI NORME TECNICHE In tale articolo si prevede la emanazione delle “Norme tecniche alle quali dovranno uniformarsi le costruzioni di cui alla presente legge”. Si prevede che tale emanazione debba avvenire ogni biennio; logicamente possono essere confermate come valide quelle relative all’ultima emanazione seppure antecedente al biennio in corso. Al momento attuale le norme tecniche vigenti sono quelle di cui al DM LLPP 14 febbraio 1992 e al DM LLPP 9 gennaio 1996.
B) documentazioni integrative di progetto.
1. D.1. BASE I LEGG
Maddaleni, dalla vertiginosa “casa sulla cascata” di Wright all’informale materico della Chapelle de Ronchamp di
D3
D.1. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE LEGGI BASE
•
ASPETTI NORMATIVI SPECIFICI
LEGGE n.64 DEL 2 FEBBRAIO 1974 E DECRETI DI ATTUAZIONE Come si legge nel titolo, tale strumento giuridico è riguardante i provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche. Per quanto concerne le zone dichiarate soggette a rischio sismico, sono definiti i criteri fondamentali degli aspetti formali da seguire, complementari a quelli previsti dalla legge n.1086/1971. L’aspetto peculiare della legge è che in essa si prevede l’emanazione di norme tecniche specifiche riguardanti la realizzazione di opere in genere e singoli aspetti di alcune opere specifiche. In particolare si prevede l’emanazione di decreti ministeriali di attuazione per gli edifici in zona sismica, per gli edifici con strutture portanti in muratura, per criteri generali per la verifica di sicurezza nelle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi ecc. Tra i più significativi e importanti in materia di costruzioni edili si citano i seguenti:
In merito quest’ultimo decreto, data la rilevanza degli aggiornamenti apportati in materia, è stata inserita di seguito una specifica sezione. Nel citato DM 16 gennaio 1996 sono altresì riportate le azioni del vento da assumere e nella circolare esplicativa sono riportati i criteri da adottare per le specifiche verifiche, anch’esse qui oggetto di un apposito approfondimento; • DM 14 febbraio 1992 concernente i criteri e le modalità di progettazione e verifica di strutture in c.a. normale, precompresso e acciaio con il metodo delle tensioni ammissibili; • DM 9 gennaio 1996 concernente i criteri e le modalità di progettazione e verifica di strutture in c.a. normale, precompresso e acciaio con il metodo semiprobabilistico degli stati limite;
• DM LLPP 3 dicembre 1987, relativo alla produzione di elementi prefabbricati; • DM LLPP 20 novembre 1987, “Norme tecniche per la progettazione, esecuzione, collaudo degli edifici in muratura e per il loro consolidamento”; • DM LLPP 11 marzo 88, “Norme tecniche riguardanti le indagini sui terreni e sulle rocce… Prescrizioni per l’esecuzione, progettazione e collaudo delle opere di sostegno delle terre e delle opere di fondazione”. In merito a tale decreto si fa presente che il 9 gennaio 1996 è stata emanata la circolare n.218/24/3 sulle “Istruzioni applicative nella redazione della relazione geologica e della relazione geotecnica”; • DM 16 gennaio 1996 “Criteri generali per la verifica di sicurezza delle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi”. Costituisce parte integrante di tale decreto la circolare ministeriale LLPP n.156 AA.GG./STC del 4 luglio 1996 nella quale si forniscono le istruzioni relative all’applicazione del sopraccitato decreto.
• DM 16 gennaio 1996 riguardante le “Norme tecniche sulle costruzioni in zone sismiche”; A tale riguardo è utile ricordare che il 10 aprile 1997 è stata emanata la circolare ministeriale LLPP n. 65/AA.GG. che definisce le istruzioni di applicazione del decreto stesso. Si ritiene far presente che in tale decreto le novità fondamentali rispetto all’analogo precedente riguardano: a) La possibilità di verifica con il metodo SPSL. b) Le prescrizioni relative alle murature armate. Tali prescrizioni assumono particolare rilevanza data l’assenza di norme specifiche definite per tale tecnica costruttiva. Esse, pertanto, potranno essere applicate anche nel caso di edifici realizzati con muratura armata in zona non dichiarata soggetta a rischio sismico.
CARICHI E SOVRACCARICHI Con decreto del Ministero dei LLPP emesso in data 16 gennaio 1996, sono state definite le norme tecniche relative alla definizione dei carichi e sovraccarichi da assumere per le costruzioni. Tali norme sono integrative e sostitutive di quelle relative al precedente decreto del 12 febbraio 1982. Nell’ultimo decreto gli aggiornamenti apportati sono di notevole rilevanza per quanto riguarda i carichi accidentali, i carichi dovuti alla neve e i carichi da prevedere per le azioni del vento. Con la circolare n.156 AA.GG./STC del 4 luglio 1996 il Ministero dei LLPP esponeva delle Istruzioni per l’applicazione delle norme di cui al citato DM. Si ritiene opportuno esporre alcuni chiarimenti nel merito, data l’importanza degli argomenti trattati.
CARICHI PERMANENTI Si riportano di seguito il prospetto 4.1. (Tab. D.1.1./1)relativo ai pesi per unità di volume dei principali materiali strutturali (dal citato DM), il prospetto 5.2. (Tab. D.1.1./2) relativo ai pesi dei materiali in deposito, il prospetto 5.3. (Tab. D.1.1./3)relativo ai pesi dei materiali insilabili e il prospetto 5.4. (Tab. D.1.1./4) relativo ai pesi di elementi costruttivi, riportati nella citata circolare. TAB. D.1.1./1 PROSPETTO 4.1. PESI PER UNITÀ DI VOLUME DEI PRINCIPALI MATERIALI STRUTTURALI (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156) kN/m3 Conglomerato cementizio ordinario Conglomerato cementizio ordinario armato (e/o precompresso)
78,5
Ghisa
72,5
Alluminio
27,0 6,0 8,0
PESO UNITÀ DI VOLUME kN/m3
➦ C) METALLI 17,00
Nichelio
Mattoni semipieni
13,00
Ottone
86,00
8,00
Piombo
114,00
Mattoni refrattari
(28,0 ÷ 50,0)
MATERIALI
Mattoni pieni comuni
25,0
Conglomerati “pesanti”: da determinarsi caso per caso
PESO UNITÀ DI VOLUME kN/m3
A) LATERIZI STIVATI
Mattoni forati
(14,0 ÷ 20,0)
Legname: abete, castagno quercia, noce
MATERIALI
24,0
Conglomerati “leggeri”: da determinarsi caso per caso Acciaio
TAB. D.1.1./2 PROSPETTO 5.2. PESI DI MATERIALI IN DEPOSITO (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156)
20,00
88,00
Rame
80,00
B) LEGNAMI
Stagno
73,00
Abete, acero, castagno, ciliegio duginale, larice, mogano, olmo, pino, pioppo, pino rigido, salice
Zinco
72,00
Carpino, faggio, frassino, noce, querce, robinia, teak Bosso, ebano
6,00
8,00 12,00
C) METALLI
D) PRODOTTI AGRICOLI Erba fresca sciolta
4,00
Farina in sacchi
5,00
Fieno sciolto
0,70
Fieno pressato
3,00
Frumento
7,60 3,00
Pietrame: tufo vulcanico calcare compatto calcare tenero granito
17,0 26,0 22,0 27,0
Acciaio
78,50
Letame fresco
Alluminio
27,00
Letame maturo
6,00
Bronzo
88,00
Mangimi in piani
10,00
Laterizio (pieno)
18,0
Ghisa
72,50
Paglia sciolta
0,60
Malta di calce
18,0
Leghe di alluminio
28,00
Paglia pressata
1,50
Malta di cemento
21,0
Magnesio
18,00
Tabacco legato o in balle
3,50
➥
D4
Le Corbusier; ogni autentica opera d’arte attesta la convergenza, la fusione, l’identità fra spazio e struttura. Quando
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
•
ASPETTI NORMATIVI SPECIFICI LEGGI BASE
D.1. 1. A.ZIONI
➦ TAB. D.1.1./2 PROSPETTO 5.2. PESI DI MATERIALI IN DEPOSITO (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156)
MATERIALI
PESO DELL’UNITÀ DI VOLUME kN/m3
E) ROCCE
MATERIALI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. D.1.1./4 PROSPETTO 5.4. PESI DI MATERIALI COSTRUTTIVI (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156) PESO DELL’UNITÀ DI VOLUME kN/m3
F) SOSTANZE VARIE
MATERIALI
PESO DELL’UNITÀ DI VOLUME O DI SUPERFICIE
A) MALTE Malta bastarda (di calce o cemento)
19,00
kN/m3
Malta di gesso
12,00
´´
0,30
kN/m2
Manto impermeabilizzante di asfalto o simile
0,30
´´
15,00
Manto impermeabilizzante prefabbricato con strati bituminosi di feltro, vetro o simili
0,10
´´
Dinamite
15,00
Tegole maritate (embrici e coppi)
0,60
´´
27,00
Fibre tessili
13,50
Sottotegole di tavelloni (spessore 3-4 cm)
0,35
´´
27,00
Ghiaccio
9,00
Lana di vetro
1,00
Lamiere di acciaio ondulate o nervate
0,12
´´
Lamiere di alluminio ondulate o nervate
0,05
´´
0,10
´´
Ardesia
27,00
Benzina
7,40
Arenaria
23,00
Bitume
13,00
Basalto
29,00
Calce in sacchi
10,00
Calcare compatto
26,00
Carbone in legna
3,20
B) MANTI DI COPERTURA
Calcare tenero
22,00
Carbone fossile in pezzi
9,00
Diorite
29,00
Carta
10,00
Dolomia
26,00
Cemento in sacchi
Gneiss
27,00
Granito Marmo saccaroide Pomice
8,00
Intonaco (spessore 1,5 cm)
Porfido
26,00
Legname in ciocchi
4,00
Sienite
28,00
Petrolio
8,00
Lastre traslucide di resina artificiale, ondulate o nervate
Travertino
24,00
Sughero
3,00
C) MURATURA
Tufo vulcanico
17,00
Torba asciutta
2,50
Muratura di mattoni pieni
18,00
kN/m3
Argilla compatta
21,00
Torba umida
6,00
Muratura di mattoni semipieni
16,00
´´
Vetro
25,00
Muratura di mattoni forati
11,00
´´
Acqua dolce
10,00
Acqua di mare
10,30
Muratura di pietrame e malta
22,00
´´
Muratura di pietrame listato
21,00
´´
Muratura di blocchi forati di calcestruzzo
12,00
´´
Gomma, linoleum o simili
0,10
kN/m2
Legno
0,25
´´
TAB. D.1.1./3 PROSPETTO 5.3. PESI DI MATERIALI INSILABILI (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156) MATERIALI
D) PAVIMENTI (escluso sottofondo)
Peso dell’unità di Angolo di attrivolume kN/m3 to interno
A) MATERIALI SCIOLTI DA COSTRUZIONE
Laterizio o ceramica o gres o graniglia (spessore 2 cm)
0,40
´´
Sabbia
17,00
30°
Marmo (spessore 3 cm)
0,80
´´
Ghiaia e pietrisco
15,00
30°
E) VETRI
Sabbia e ghiaia bagnata
20,00
30°
Normale (3 mm)
0,075
´´
Sabbia e ghiaia asciutta
19,00
35°
Forte (4 mm)
0,10
´´
Calce in polvere
10,00
25°
Spesso (5 mm)
0,125
´´
Cemento in polvere
14,00
25°
Spesso (6 mm)
0,15
´´
7,00
25°
Retinato (8 mm)
0,20
´´
Ceneri volanti
10,00
45°
Gesso
13,00
45°
Pomice
7,00
35°
Scorie d’alto forno, diam. medio 30-70 mm
15,00
40°
Scorie d’alto forno, minute
11,00
25°
Scorie leggere d’alto forno
7,00
35°
Cenere in coke
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E R E P O
B) COMBUSTIBILI SOLIDI Carbon fossile allo stato nat. mediamente umido
10,00
45°
Coke
5,00
45°
Lignite
7,00
35°
Mattonelle di lignite alla rinfusa
8,00
30° TRAMEZZATURE INTERNE
C) PRODOTTI AGRICOLI Barbabietola
5,50
40°
Crusca e farina
5,00
45°
Frumenti, legumi, patate, semi di lino, zucchero
7,50
35°
Riso
8,00
35°
Semola di grano
5,50
30°
Al punto 5.1.1. della citata circolare ministeriale si chiarisce che: “…per abitazioni e uffici, il carico costituito da tramezzi di peso minore di 1,50 kN/m2, potrà essere ragguagliato a un carico uniformemente distribuito sul solaio pari a 1,5 volte il peso complessivo della tramezzatura, sempreché siano adottate le misure costruttive atte ad assicurare un’adeguata distribuzione del carico.”. Da quanto sopra, risulta conveniente assumere un carico di 1,5 kN/m2 per evitare possibili contestazioni.
si verifica uno scisma tra i due, e la struttura è nascosta da un rivestimento e comunque non è protagonista
1. D.1. BASE I LEGG
D5
D.1. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE LEGGI BASE
•
ASPETTI NORMATIVI SPECIFICI
➦ CARICHI E SOVRACCARICHI SOVRACCARICHI VARIABILI
CARICHI DA NEVE
Si riporta il prospetto 5.1. (Tab. D.1.1./5) del DM.
Il carico di neve sulla copertura viene valutato con l’espressione:
qs = µi qsk
TAB. D.1.1./5 PROSPETTO 5.1. SOVRACCARICHI VARIABILI PER EDIFICI (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156)
CAT.
TIPO DI LOCALE
VERTICALI VERTICALI RIPARTITI CONCENkN/m2 TRATI
dove qsk è il valore del carico della neve al suolo µi è un coefficiente di forma della copertura.
ORIZZONTALI LINEARI kN/m
1
Ambienti non suscettibili di affollamento (locali abitazione e relativi servizi, alberghi, uffici non aperti al pubblico) e relativi terrazzi a livello praticabili
2,00
2
Ambienti suscettibili di affollamento (ristoranti, caffè, banche, ospedali, uffici aperti al pubblico, caserme) e relativi terrazzi a livello praticabili
3,00
3
Ambienti suscettibili di grande affollamento (sale convegni, cinema, teatri, chiese, negozi, tribune con posti fissi) e relativi terrazzi a livello praticabili, balconi e scale
4,00
4
Sale da ballo, palestre, tribune libere, aree di vendita con esposizione diffusa, (mercati, grandi magazzini, librerie, ecc.) e relativi terrazzi a livello praticabili, balconi e scale
5,00
4,00
3,00
5
Balconi, ballatoi e scale comuni (esclusi quelli pertinenti alla cat. 4)
4,00
2,00
1,50
6
Sottotetti accessibili (per sola manutenzione)
1,00
7
Coperture: • non accessibili • accessibili: secondo categoria di appartenenza (da 1 a 4) • speciali (impianti, eliporti, altri: secondo il caso)
2,00
1,00
CARICHI AL SUOLO Per la valutazione di qsk si deve fare riferimento alla mappa riportata sul DM nella quale il territorio nazionale è suddiviso in tre zone. Per ciascuna di esse viene definito il valore di qsk in relazione all’altitudine della località dove si deve erigere la costruzione. Nei diagrammi relativi (Tab. D.1.1./6) sono riportati, per le tre zone, i valori dei carichi di neve al suolo in funzione dell’altitudine.
FIG. D.1.1./1 DIAGRAMMA CARICHI AL SUOLO/ALTITUDINE
2,00
1,00
kN/m 2 9,00
9
I II III
7,00
3,00
1,50 5,00
3,00
1,00
8
9,6 8,9 8,3
3,25 2,58 1,96 1,60 1,15 0,75
m. (slm) 200
2,00
I II III
750
1000
1500
1,00 Come si vede (fatta eccezione per h ≤ 200 m) i valori crescono vertiginosamente con l’aumentare dell’altitudine (quota sul livello del mare).
0,50
1,20
–
–
–
–
–
–
Rimesse e parcheggi: • per autovetture di peso a pieno carico fino a 30 kN • per transito di automezzi di peso superiore a 30 kN: da valutare caso per caso
2,50
Archivi, biblioteche, magazzini, depositi, laboratori, officine e simili: da valutarsi secondo i casi
≥ 6,00
FIG. D.1.1./2a VALORI DI qsk PER LE TRE ZONE (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156 – pagg. 17/18) Zona I
2x10,0
≥ 6,00
1,00
≥ 1,00
Regioni: Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Abruzzi, Molise, Marche.
qsk = 1,60 qsk = 1,60 + 3 (as – 200)/100 qsk = 3,25 + 8,5 (as – 750)/1000 8,5 (as – 750)/1000
kN/m2 kN/m2 kN/m2 kN/m2
as < = 200 m 200 m < as < = 750 m as > = 750 m as > = 750 m
Zona II Per quanto riguarda i carichi verticali ripartiti, vi sono alcune modeste variazioni rispetto a quelli delle normative precedenti. La novità, in senso assoluto, è costituita sia dai pesi verticali concentrati sia da quelli orizzontali lineari. Per quanto concerne i primi, si tratta di valori modesti. Per tutte le categorie (esclusa la 8) l’impronta relativa è di 5 cm x 5 cm. Per la categoria 8 si debbono prevedere due carichi da 10 kN (1000 kg) su impronte da 20 cm × 20 cm distanti tra loro 1,60 cm. Per quanto concerne i sovraccarichi variabili orizzontali, le proporzioni risultano particolarmente onerose. Nella circolare citata si precisa: “…In proposito va precisato che tali verifiche riguardano, in relazione alle condizioni d’uso, gli elementi verticali bidimensionali quali tramezzi, pareti, tamponamenti esterni, comunque realizzati, con esclusione di divisori mobili (che comunque dovranno garantire sufficiente stabilità in esercizio). …Il soddisfacimento della prescrizione potrà essere documentato anche per via sperimentale…”. La via sperimentale è certamente possibile nel caso di divisori mobili costituiti da pannelli prefabbricati ma è pressoché impossibile per tramezzi usuali, per i quali qualsiasi verifica porta a esiti negativi qualora si escluda una possibile resistenza a trazione dei materiali costituenti il manufatto.
D6
Regioni: Liguria, Toscana, Umbria, Lazio, Campania (Province di Caserta, Benevento, Avellino).
qsk = 1,15 qsk = 1,15 + 2,6 (as – 200)/1000 qsk = 2,58 + 8,5 (as – 750)/1000
kN/m2 kN/m2 kN/m2
as < = 200 m 200 m < as < = 750 m as > = 750 m
Zona III Regioni: Campania, (Province di Napoli e Salerno), Puglia, (escluso Provincia di Foggia), Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia
qsk = 0,75 qsk = 0,75 + 2,2 (as – 200)/1000 qsk = 1,96 + 8,5 (as – 750)/1000
kN/m2 kN/m2 kN/m2
as < = 200 m 200 m < as < = 750 m as > = 750 m
dell’immagine, non si raggiunge la visione suprema della cupola brunelleschiana o di quella borrominiana di Sant’Ivo
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
•
ASPETTI NORMATIVI SPECIFICI LEGGI BASE
D.1. 1. A.ZIONI
FIG. D.1.1./2b MAPPA CARICO NEVE AL SUOLO (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156)
FIG. D.1.1./4-9 COEFFICIENTI DI FORMA PER DIVERSE TIPOLOGIE (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156) I coefficienti di forma µ1, µ2, µ3, µ1* , si riferiscono alle coperture a una o più falde, e sono da valutare come indicato nei casi seguenti, considerando la più gravosa delle condizioni di carico in relazione alla tipologia della copertura e in funzione dell’angolo α°. Se l’estremità più bassa della falda termina con un parapetto, una barriera od altre ostruzioni, il coefficiente di forma non potrà essere assunto inferiore a 0,8 indipendentemente dall’angolo α°. A) Coperture a una falda Si considera la più gravosa fra le condizioni indicate. µ1 è calcolato in funzione di α.
B) Coperture a due o più falde Si considera la più gravosa fra le quattro condizioni indicate. µ1, µ2, µ1* sono calcolati in funzione di α1 a sinistra e di α2 a destra µ2 (α1) 0.5 µ1 (α1)
µ1∗ (α2) µ2 (α2)
µ1∗ (α1)
0.5 µ1 (α1)
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
α2
α1
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
F. TERIALI, C) Coperture a più falde Si considerano le condizioni di carico del punto B) più quella sottoindicata.
D) Coperture cilindriche Si considera la più gravosa delle condizioni di carico uniforme e asimmetrica tra quelle indicate µ1
COEFFICIEN- 0° < = α < = 15° TI DI FORMA
µ1 µ2
0,8 0,8
µ3
0,8+0,8 a/30
µ1*
0,8
30° < α < = 60°
α > 60°
0,8
0,8 (60–a)/30
0,0
0,8+0,4 (a–15)/30
(60–a)/30
URB
0,25L1 0,25L1 0,25L1 0,25L1
µ3
15° < α < = 30°
Nota L1 ≤ L
µ1 α
α
β=60°
0,0
β=60° α L 0,5 L
0,8+0,8 a/30
1,6
0,5 L L N.B: a ogni punto del profilo, β è l’angolo tra l’orizzontale e la tangente alla curva in quel punto. Il coefficiente di forma è determinato come segue:
–
0,8 (60–a)/45
0
β ≤ 60° µ1 = 0,8 µ2 = 0,2 + 10 con la limitazione µ2 ≤ 2,0 µ3 = 0,5 µ2 β ≤ 60° µ1 = µ2 = µ3 = 0
FIG. D.1.1./3 COEFFICIENTI DI FORMA PER COPERTURE A FALDE (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156)
Discontinuità di quota delle coperture In caso di accumulo di neve in corrispondenza di dislivelli di quota delle coperture, si prevedono due casi. a
h
a∞ b1 µ1
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
ls µ2 µ1
µ1 ls
1.6
m3 a 60°
m1
30°
γ·h qsk con la limitazione 0,8 ≤ µw ≤ 2,0 µw = b1 + b2 2h
m1* 15°
µ1 = 0,8 (se la copertura è piana) µ2 = µs + µw dove: µs è il coefficiente di forma dovuto allo scivolamento µw è il coefficiente di forma dovuto all’accumulo
della neve prodotto dal vento. Il coefficiente di forma dovuto allo scivolamento assume i seguenti valori: per α ≤ 15° µs = 0 per α > 15° µs = 0,5 µmax Il coefficiente di forma dovuto al vento è il seguente
m2
1.0 0.8
LI
ls h
µw
m
0
b2
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
E ZION D.6. DI FONDA E R E P O
h
a∞=ANGOLO DI FALDA IN GRADI SESSAGESIMAL
G.ANISTICA
µ2
µ3
TAB. D.1.1./6 COEFFICIENTI DI FORMA (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156)
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
60°
a
≤
m1 = 0,8 m2 = mw =
γ·h qsk
con la limitazione 0,8 ≤ µw ≤ 2,0 con densità convenzionale della neve γ = 2 kN/m3
ls = 2h con la limitazione 5 ≤ ls ≤ 15 m
con densità convenzionale della neve γ = 2 kN/m3
alla Sapienza, ambedue sproporzionate ad un grado blasfemo rispetto alle norme scolastiche. L’ingegnere non è un
1. D.1. BASE I LEGG
D7
D.1. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE LEGGI BASE
•
ASPETTI NORMATIVI SPECIFICI
➦ CARICHI E SOVRACCARICHI CARICHI STATICI EQUIVALENTI ALLE AZIONI DEL VENTO
FIG. D.1.1./10 (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156)
Le azioni del vento si considerano determinando una pressione statica equivalente e tenendo conto dei suoi effetti sia sulle superfici sopravento sia sulle superfici sottovento. Al punto 7.2. del DM la pressione statica da assumere è definita dall’espressione.
p = qref · ce · cp · cd Dove
qref ce cp cd
è è è è
la pressione cinetica di riferimento il coefficiente di esposizione il coefficiente di forma il coefficiente dinamico.
Vediamo come vengono determinati i valori dei singoli fattori.
PRESSIONE CINETICA DI RIFERIMENTO Il valore della pressione cinetica è dato da:
qref =
v2ref N/m2 1,6
dove vref è la velocità di riferimento del vento espressa in m/sec. COEFFICIENTE DI ESPOSIZIONE Nella Fig. D.1.1./10 è riportata la suddivisione del territorio nazionale in nove zone e nell’annessa Tab. D.1.1./7 sono riportati, per tutte le zone tre valori: • il valore vref o = velocità di riferimento alla quota 0,00 convenzionale • il valore ao = altitudine della quota 0,00 convenzionale della zona • Il valore ko = coefficiente di altitudine della zona (**). Le categorie di esposizione sono contrassegnate con i numeri romani I, II, III, IV, V. Nella Tab. D.1.1./9 vengono definite le “classi di rugosità del terreno”, individuate con le lettere A, B, C, D. (*) Tramite i diagrammi riportati nella Fig. D.1.1./12 possiamo determinare il valore da attribuire al coefficiente di esposizione ce in funzione della categoria e dell’altezza z dell’edificio da realizzare. Si chiarisce il procedimento operativo con alcuni esempi: • Edificio alto 30 m da realizzare sulla fascia costiera laziale. a) Il Lazio è compreso nella zona 3. Dalla Tab. D.1.1./7 risulta: vref o = 27m/sec ao = 500 m. Poiché a ≤ ao si ha vref = vref o = 27 m/sec. b) Poiché siamo in prossimità del mare e non vi sono ostacoli di sorta, la classe di rugosità del terreno è D (Tab. D.1.1./9) Dalla Fig. D.1.1./11, per la zona 6 e la classe D s’individua la categoria I. c) Dai diagrammi della Fig. D.1.1./12, per: z = 30 m. cat. I si ha: Ce = 3,5 Si ottiene quindi
qref =
272 = 455,6 N/m2 1,6
qref · ce = 455,6 · 3,5 N/m2 = 160 kg/m2 • Edificio alto 20 m da realizzare sul monte Terminillo. a) Siamo sempre nel Lazio e quindi:
vref o = 27m/sec
ao = 500 m
Poiché l’altitudine del Terminillo è di circa 2200 m. e dalla Tab. D.1.1./7 risulta, per il Lazio ko = 0,03, la velocità di riferimento risulta:
vref = 27 + 0,03 (2200–500) = 78 m/sec
b) Supponendo che l’edificio debba realizzarsi in zona rientrante nei termini di massima protezione (classe A) e quindi (dalla Tab. D.1.1./8) nella categoria V. c) Dai diagrammi della Tab. D.1.1./9, per z = 20 m cat. V si ha Ce =1,9. Si ottiene quindi
qref · ce =
782 · 1,9 ≅ 7225 N/m2 ≅ 722(**) kg/m2 1,6
Nella Fig. 7.2. s’individuano le categorie di esposizione in relazione alle zone di riferimento e alle classi di rugosità del terreno. (**) La velocità locale di riferimento deve essere assunta: per a ≤ ao vref = vref o vref = vref o + ko (a–ao) per a > ao (*)
D8
TAB. D.1.1./7 (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156) ZONA DESCRIZIONE
vref 0 (m/s)
a0 (m)
ka (1/s)
1
Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia (con l’eccezione della provincia di Trieste)
25
1000
0,012
2
Emilia Romagna
25
750
0,024
3
Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, (esclusa la provincia di Reggio Calabria)
27
500
0,030
4
Sicilia e provincia di Reggio Calabria
28
500
0,030
5
Sardegna (zona a oriente della retta congiungente Capo Teulada con l’Isola della Maddalena)
28
750
0,024
6
Sardegna (zona a occidente della retta congiungente Capo Teulada con l’Isola della Maddalena)
28
500
0,030
7
Liguria
29
1000
0,024
8
Provincia di Trieste
31
1500
0,012
9
Isole (con l’eccezione di Sicilia e Sardegna) e mare aperto
31
500
0,030
TAB. D.1.1./8 CATEGORIE DI ESPOSIZIONE DEL SITO (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156) CATEGORIE DI ESPOSIZIONE DEL SITO
kr
z0 (m)
zmin (m)
I
0,17
0,01
2
II
0,19
0,05
4
III
0,20
0,10
5
IV
0,22
0,30
8
V
0,23
0,70
12
Nelle fasce entro i 40km dalla costa delle zone 1, 2, 3, 4, 5 e 6, la categoria di esposizione è indipendente dall’altitudine del sito
mero calcolatore, che esegue quanto gli detta il progettista. Possiede tutte le qualità creative, anche sul terreno umano.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
ASPETTI NORMATIVI SPECIFICI LEGGI BASE
•
D.1. 1. A.ZIONI
TAB. D.1.1./9 CLASSI DI RUGOSITÀ DEL TERRENO (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156) CLASSI DI RUGOSITÀ DEL TERRENO
FIG. D.1.1./11 ASSEGNAZIONE DELLE CATEGORIE DI ESPOSIZIONE IN FUNZIONE DELLA POSIZIONE GEOGRAFICA DEL SITO E DELLA CLASSE DI RUGOSITÀ DEL TERRENO (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156)
DESCRIZIONE
Aree urbane in cui almeno il 15% della superficie sia coperto da edifici la cui altezza media superi i 15 m
A
B
Aree urbane (non di classe A), suburbane, industriali e boschive
C
Aree con ostacoli diffusi (alberi, case, muri, recinzioni...); aree con rugosità non riconducibile alle classi A, B, D
D
Aree prive di ostacoli o con al più rari ostacoli isolati (aperta campagna, aeroporti, aree agricole, pascoli, zone paludose o sabbiose, superfici innevate o ghiacciate, mare, laghi...)
L’assegnazione della classe di rugosità non dipende dalla conformazione orografica e topografica del terreno. Affinché una costruzione possa dirsi ubicata in classe di rugosità A o B è necessario che la situazione che contraddistingue la classe permanga intorno alla costruzione per non meno di 1 km e comunque non meno di 20 volte l’altezza della costruzione. Laddove sussistano dubbi sulla scelta della casse di rugosità, a meno di analisi rigorose, verrà assegnata la classe più sfavorevole.
Classi di rugosità
Zone 1,2,3,4,5 750 m
costa mare
mare
IV
V
V
--
--
IV
--
I
IV
IV
--
II
III
IV
IV
--
--
III
--
I
III
IV
IV
--
II
III
III
IV
--
--
III
--
I
II
III
**
I
I
II
II
III
I
II
***
I
I
IV
V
V
B
--
III
III
IV
*
III
II
II
--
**
Categoria III in zona 2,3,4,5 \ Categoria IV in zona 1
***
Categoria II in zona 8 \ Categoria IV in zona 7
EDIFICI A PIANTA RETTANGOLARE CON COPERTURE PIANE, A FALDE INCLINATE O CURVE
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
FIG. D.1.1./14 GRAFICO PER LA VALUTAZIONE DELLA PRESSIONE ESTERNA (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156) α
α
Per la valutazione della pressione esterna si assumerà (Fig. D.1.1./14).
+1
+0,8
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
+0,6
Superficie sottovento +0,4
cpe = + 0,03 · α –1 (α in gradi) • per elementi sopravento, con inclinazione sull’orizzonte 0° ≤ a ≤ 20° e per elementi sottovento (intendendo come tali quelli non direttamente investiti dal vento radente):
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
+0,2
α
α
0 -60°
-40°
-20°
0°
+20°
+40°
+60°
+80° +90°
Inclinazione sull'orizzonte -0,2
cpe =–0,4 0
1
2
3
4
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
-0,4
5 2
G.ANISTICA URB
Cpe
direzione del vento
-90° -80°
20 10
PRO TTURALE STRU
COEFFICIENTI DI FORMA
100 50
D.GETTAZIONE
Categoria II in zone 1,2,3,4 \ Categoria II in zona 5
*
cpe = + 0,8
V IV III II I
E ESE ESSIONAL PROF
III
IV
30 km
0,5 km
--
--
I
1,5 km
V
30 km
• per elementi sopravento, con inclinazione sull’orizzonte 20° < a < 60°:
200
C.RCIZIO
mare
10 km
A
C
mare
Superficie sottovento
z (m)
costa
2 km
10 km
• per elementi sopravento (cioè direttamente investiti dal vento) con inclinazione sull’orizzonte:
FIG. D.1.1./12 DIAGRAMMI DI VARIAZIONE DEL COEFFICIENTE DI ESPOSIZIONE IN FUNZIONE DELL’ALTEZZA FUORI TERRA E DELLE CATEGORIE DI ESPOSIZIONE (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156)
costa
500 m
I ED PRE NISM ORGA
500 m
2 km
D
costa
B.STAZIONI DILEGIZLII
Zona 9
Zona 7,8
Zona 6
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
-0,6
5
D.5. TURE T STRU
-0,8
Cpe
ce
E ZION D.6. DI FONDA E R E P O
FIG. D.1.1./13 GRAFICI PER LA DETERMINAZIONE DI COEFFICIENTI DI TOPOGRAFIA CT (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156)
DIREZIONE DEL VENTO
DIREZIONE DEL VENTO z
direzione del vento X
z
H
φ
D
H
H
z
φ
D
φ
h
D
➥
Quando le celebri aviorimesse di Orbetello denunciarono un assestamento imprevisto, tale da minacciare il crollo nel
1. D.1. BASE I LEGG
D9
D.1. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE LEGGI BASE
•
ASPETTI NORMATIVI SPECIFICI
➦ CARICHI E SOVRACCARICHI ➦ COEFFICIENTI DI FORMA Per la valutazione della pressione interna si assumerà (vedere Fig. D.1.1./15): • per costruzioni completamente stagne: cpi = 0
FIG. D.1.1./16 GRAFICO PER LA DETERMINAZIONE DEL COEFFICIENTE DI FORMA cp PER TETTOIE E PENSILINE ISOLATE (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156)
• per costruzioni non stagne: cpe = ± 0,2 (scegliendo il segno che dà luogo alla combinazione più sfavorevole); • per costruzioni che hanno (o possono anche avere in condizioni eccezionali) una parete con aperture di superficie non minore di 1/3 di quella totale: cpi = + 0,8 quando la parete aperta è sopravento cpi = – 0,5 quando la parete aperta è sottovento o parallela al vento; • per costruzioni che presentano su due pareti opposte, normali alla direzione del vento, aperture di superficie non minore di 1/3 di quella totale: cpe + cpi = ± 1,2 per gli elementi normali alla direzione del vento; cpi = ± 0,2 per i rimanenti elementi.
FIG. D.1.1./15 GRAFICO PER LA VALUTAZIONE DELLA PRESSIONE INTERNA (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156)
FIG. D.1.1./17 COEFFICIENTE DI FORMA c (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156)
SVILUPPO DELLA CIRCONFERENZA
c
DISTRIBUZIONE DELLA PRESSIONE ESTERNA SULLE SUPERFICI CILINDRICHE E SFERICHE. VENTO
SUPERFICIE SVILUPPATA DEL CILINDRO
α
CURVA A PER SUPERFICI LISCE (metalli, intonaco liscio) CURVA B PER SUPERIFICI RUVIDE (muratura con giunti di malta, intonaco rustico)
TAB. D.1.1./10 (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156)
α
TETTOIE E PENSILINE ISOLATE Per tettoie e pensiline isolate a uno o due spioventi per le quali il rapporto tra l’altezza totale sul suolo o la massima dimensione in pianta non è maggiore di uno si assumeranno i seguenti valori del coefficiente cp: • tettoie e pensiline a due spioventi piani (Fig. D.1.1./16) cp = 0,6 (1 + sin α) per spiovente sopravvento cp = 0,6 per spiovente sopravvento • tettoie e pensiline a un solo spiovente piano (Fig. D.1.1./16) cp = 0,8 per α ≤ 35° cp = 1,2 per α > 35°
D 10
PER LE CURVE a
b
0°
+1,00
+1,00
10°
+0,90
20°
+0,55
30°
+0,05
40°
–0,50
50°
–1,10
–0,45
60°
–1,70
–0,72
PER LE CURVE
α
a
b
70°
–2,15
–0,80
+0,95
80°
–2,37
–0,73
+0,80
90°
–2,45
–0,50
+0,50
100°
–2,38
–0,50
110°
–2,10
–0,50
115°
–1,24
–0,50
120°–180°
–0,25
–0,50
0
TAB. D.1.1./11 (Circ. Min. LLPP 4 luglio 1996 n.156) SUPERFICIE
COEFFICIENTE D’ATTRITO ct
Liscia (acciaio, cemento a faccia liscia, ...)
0,01
Scabra (cemento a faccia scabra, catrame, ...)
0,02
Molto scabra (ondulata, costolata, piegata, ...)
0,04
giro di pochi minuti, Pier Luigi Nervi afferrò uno sgabello, entrò e si mise a sedere sotto la volta.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
•
ASPETTI NORMATIVI SPECIFICI MURATURE ARMATE
A.ZIONI
RIFERIMENTI NORMATIVI Nel DM 16 gennaio 1996 “Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche” pubblicato nel supplemento ordinario della GU – serie generale n.29 in data 5 febbraio 1996 – nei punti da D.5.3.1 a D.5.3.6 si riportano le prescrizioni relative alla utilizzazione delle murature armate per edifici da erigersi in zone dichiarate soggette a rischio sismico. Tale argomento non è trattato in alcuna altra normativa. Pertanto i criteri definiti debbono intendersi validi, per quanto concerne le prescrizioni tecniche, anche per edifici da realizzare in zone “non sismiche” a eccezione di alcune prescrizioni dimensionali (ad
D.1. 2.
es. spessori minimi delle murature e numero dei piani). Per quanto concerne l’altezza massima consentita, essa viene prescritta nella tabella 2 in funzione del grado di sismicità precisamente per S = 6 H = 25 m; per S = 9 H = 19 m; per S = 12 H = 13. Tale altezza si intende al netto degli eventuali torrini di scale e ascensori e al netto dell’eventuale piano cantinato. A proposito di quest’ultimo, al punto D.2, si precisa che in presenza di piani cantinati l’altezza complessiva tra estradosso delle fondazioni a sommità dell’edificio non può eccedere più di m i valori sopra definiti.
D.5.3. EDIFICI IN MURATURA ARMATA D.5.3.1. Oggetto e ambito di applicazione Per muratura armata s’intende quella costituita da elementi resistenti artificiali semipieni tali da consentire la realizzazione di pareti murarie incorporanti apposite armature metalliche verticali e orizzontali. I blocchi devono essere collegati mediante malta di classe M2-M1, che deve assicurare il riempimento sia dei giunti orizzontali sia dei giunti verticali. L’armatura deve essere disposta concentrata alle estremità verticali e orizzontali dei pannelli murari, definiti nel successivo punto D.5.3.4. e diffusa nei pannelli secondo le indicazioni dei successivi punti D.5.3.3.2. e D.5.3.3.3. Nel caso in cui la muratura sia impiegata per la realizzazione di edifici per i quali sia da attribuire al coefficiente di protezione sismica I, di cui al successivo punto C.6.1.1., un valore maggiore di uno, detta armatura diffusa deve essere integrata dall’armatura diffusa definita nel successivo punto D.5.3.3.4. è ammessa la realizzazione di edifici mediante muratura armata non conforme alle presenti norme purché ne sia comprovata l’idoneità da una dichiarazione rilasciata dal Presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, su conforme parere dello stesso Consiglio. La malta o il conglomerato di riempimento dei vani ove alloggiano le armature deve avere resistenza caratteristica cubica non inferiore a 15 N/mm2 (150 Kg/cm2). D.5.3.2. Concezione strutturale dell’edificio Ciascuna parete muraria realizzata con muratura armata, con o senza armatura diffusa, costituisce nel suo complesso una struttura forata in corrispondenza delle aperture, particolarmente resistente ad azioni ad essa complanari. Tutte le pareti murarie devono essere di regola efficacemente connesse da solai tali da costituire diaframmi rigidi; è ammissibile che alcuni degli orizzontamenti non costituiscano diaframma rigido, ma solo collegamento tra le pareti murarie opposte: in tal caso nell’analisi strutturale si deve non tenere conto della rigidezza di tali orizzontamenti. In ogni caso l’insieme strutturale risultante deve essere in grado di reagire alle azioni esterne orizzontali con un comportamento di tipo globale, al quale contribuisce soltanto la resistenza delle pareti nel loro piano. D.5.3.3. Dettagli costruttivi Le barre di armatura devono essere esclusivamente del tipo ad aderenza migliorata. La disposizione dell’armatura deve essere studiata in modo da assicurarne la massima protezione dei confronti degli agenti corrosivi; in ogni caso le distanze tra la superficie esterna di ciascuna barra e le superfici esterne del muro che la contiene devono essere non inferiori a 5 cm. La conformazione degli elementi resistenti e la disposizione delle barre devono essere tali da permettere la realizzazione dello sfalsamento dei giunti verticali tra i blocchi, sia nel piano del muro che nel suo spessore. D.5.3.3.1. Armature in corrispondenza delle aperture Lungo i bordi orizzontali delle aperture si deve disporre armatura la cui sezione trasversale complessiva deve essere quella richiesta dalle verifiche di sicurezza, e comunque non inferiore a 3 cm2 per ciascun bordo. Tale armatura deve essere prolungata ai lati dell’apertura per almeno 60 diametri. D.5.3.3.2. Armature verticali L’armatura verticale deve essere disposta in corrispondenza degli innesti, degli incroci e dei bordi liberi dei pannelli murari, così come definiti nel successivo punto D.5.3.4.; la sezione trasversale complessiva deve essere quella richiesta dall’analisi delle sollecitazioni, con un minimo di 4 cm2 per estremità. Altra armatura verticale, di sezione uguale a quella disposta alle estremità, si deve disporre nel corpo delle pareti, in modo da non eccedere l’interasse di 5 m. Tutte le armature verticali devono essere estese all’intera altezza del pannello murario; nel caso in cui si abbia continuità verticale tra più pannelli, le corrispondenti armature devono essere collegate tra loro con le modalità nel seguito precisate. Le armature che non proseguono oltre il cordolo devono essere a questo ancorate.Le armature verticali devono essere alloggiate in vani di forma tale che in ciascuno di essi risulti inscrivibile un cilindro di almeno 6 cm di diametro. Di detti vani deve essere assicurato l’efficace e completo riempimento con malta o conglomerato cementizi.Le sovrapposizioni devono garantire la continuità nella trasmissione degli sforzi di trazione, in modo che al crescere del carico lo snervamento dell’acciaio abbia luogo prima che venga meno il contenimento esercitato dagli elementi. In mancanza di dati sperimentali relativi agli elementi impiegati, o per fori in cui il diamentro del cilindro inscrivibile sia superiore 10 cm, le barre devono essere connesse per mezzo di idonei dispositivi meccanici, ovvero circondate da idonea staffatura per tutta la lunghezza della sovrapposizione, che deve essere assunta almeno pari a 60 diametri.
Ad esempio: Zona sismica S = 3 Muratura armata H max = 19,00 m Supponiamo di avere n.2 piani cantinati per complessivi m 6,00 dall’estradosso fondazioni. In tal caso: Altezza massima dell’edificio rispetto all’estradosso fondazione può risultare di 23,00 ml e quindi fuori risulterà di 23,00 – 6,00 = 17,00 ml. Data l’importanza dell’argomento, si riportano qui di seguito gli articoli citati da D.5.3.1. a D.5.3.6
D.5.3.3.3. Armature orizzontali In corrispondenza dei solai vanno disposti cordoli in calcestruzzo armato, secondo quanto prescritto al punto D.5.1., lettera d). Nei cordoli deve essere alloggiata l’armatura concentrata alle estremità orizzontali dei pannelli, di cui al punto D.5.3.1., – fatti salvi i minimi di cui al punto D.5.1., lettera d). Altra armatura orizzontale, che costituisce incatenamento, di sezione non inferiore a 4 cm2, deve essere disposta nel corpo delle pareti, in modo da non eccedere l’interasse di 4 m. Tale armatura deve essere alloggiata all’interno di vani di dimensioni tali da permetterne il completo ricoprimento con la stessa malta usata per la muratura. La lunghezza di sovrapposizione va assunta almeno pari a 60 diametri. Alle estremità dei muri le barre devono essere ripiegate nel muro ortogonale per una lunghezza pari ad almeno 30 diametri. Ulteriori armature orizzontali di diametro non inferiore a 5 mm devono essere disposte nel corpo della muratura a interassi non superiori a 60 cm, collegate mediante ripiegatura alle barre verticali presenti alle estremità del pannello murario. D.5.3.3.4. Armatura diffusa Quando I > 1 l’armatura di cui ai punti precedenti deve essere integrata, secondo quanto di seguito riportato, al fine di migliorare la duttilità della muratura. Detta armatura deve essere costituita da barre orizzontali e verticali, di sezione non inferiore a 0,2 cm2 ciascuna, disposte nelle pareti murarie a interassi non superiori al doppio dello spessore di ciascuna parete, e collegate mediante ripiegatura alle barre rispettivamente verticali e orizzontali presenti alle estremità del pannello murario. La sezione complessiva delle barre verticali non deve risultare inferiore allo 0,4 per mille del prodotto dello spessore della parete per la sua lunghezza; la sezione complessiva delle barre orizzontali non deve risultare inferiore allo 0,4 per mille del prodotto dello spessore della parete per la sua altezza. L’armatura diffusa orizzontale, se presente, s’intende sostitutiva di quella di cui all’ultimo c. del punto D.5.3.3.3. D.5.3.4. Elementi strutturali resistenti all’azione sismica Si considerano, ai fini dell’analisi delle sollecitazioni, elementi strutturali resistenti all’azione sismica: i pannelli murari, definiti come porzioni di muratura comprese tra due diaframmi orizzontali successivi e tra due aperture o intersezioni che le limitano lateralmente; tutte le porzioni di muratura che connettono tra loro pareti verticali complanari. Non vanno considerati resistenti all’azione sismica, ma solo ai carichi verticali, i pannelli murari per i quali comunque il rapporto tra l’altezza compresa tra due diaframmi orizzontali e la lunghezza in pianta superi 4. In tali pannelli deve comunque essere disposta l’armatura minima prevista al punto D.5.3.3. Lo spessore netto delle pareti murarie resistenti all’azione sismica non deve essere inferiore al maggiore dei seguenti valori: 1/14 dell’altezza compresa tra due diaframmi orizzontali;
24 cm. D.5.3.5. Analisi delle sollecitazioni sismiche e verifica degli elementi resistenti Per l’analisi delle sollecitazioni prodotte dall’azione sismica negli elementi resistenti si deve esaminare l’intero edificio nel suo complesso tridimensionale, come una struttura a seco portanti, tenendo conto dei diaframmi costituiti dai solai nella loro effettiva posizione. è consentita l’analisi statica secondo il metodo previsto per le strutture intelaiate al punto C.6. delle presenti norme, adottando per il calcolo dell’azione sismica, oltre a un coefficiente di risposta R = 1, un coefficiente di struttura ß pari a 1,5, riducibile a 1,4 qualora sia prevista l’armatura diffusa aggiuntiva, di cui al punto precedente punto D.5.3.3.4. Deve essere verificata la resistenza di ciascun elemento strutturale senza considerare una eventuale possibilità di ridistribuzione delle azioni interne, e considerando nulla la resistenza a trazione della muratura. Per gli edifici in muratura armata l’analisi delle sollecitazioni sismiche e la verifica degli elementi resistenti, di cui ai comma precedenti è obbligatoria quando l’altezza dell’edificio superi i limiti previsti al punto D.2. per le costruzioni in muratura ordinaria. Negli altri casi è sufficiente che siano rispettate: a) le prescrizioni di cui alle lettere a), b), e), g), h), i), l) e m) del punto D.5.2., con le seguenti modifiche: la distanza massima di cui alla lettera e) non deve superare 7 m, con snellezza dei setti murari comunque non superiore a 14; il coefficiente 0,50 riduttivo dell’area resistente totale di piano, che compare nell’espressione della tensione normale riportata alla lettera l), è elevato a 0,60; i limiti contenuti nelle tabelle 4a e 4b possono essere ridotti sottraendo 1,5 a ciascuno dei valori percentuali ivi indicati;
➥
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
1. D.1. BASE I LEGG ATE 2. D.1. TURE ARM MURA
D 11
D.1. 2.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE MURATURE ARMATE
•
ASPETTI NORMATIVI SPECIFICI
➦ RIFERIMENTI NORMATIVI b) le prescrizioni di cui ai punti precedenti relativi agli edifici in muratura armata; in particolare, per le sezioni delle barre di armatura dei pannelli murari, si devono adottare almeno i valori minimi, che qui si ripetono: 3 cm2 lungo i bordi orizzontali delle aperture; 4 cm2 lungo i bordi verticali dei pannelli murari, così come definiti al punto D.5.3.4., e anche verticalmente nel corpo della muratura, qualora la lunghezza del pannello ecceda i 5 m; 4 barre di diametro minimo 16 mm all’interno dei cordoli in corrispondenza dei solai, con staffe di diametro minimo 6 mm a interasse non superiore a 25 cm; 4 cm2 per le barre disposte orizzontalmente nel corpo della muratura qualora l’altezza del pannello ecceda i 4 m; armature orizzonta-
li di diametro non inferiore a 5 mm disposte nel corpo della muratura a interassi non superiori a 60 cm. D.5.3.6. Tensioni ammissibili Per le armature si adottano le tensioni ammissibili previste, per le varie classi di acciaio, dalle vigenti norme sulle costruzioni di conglomerato cementizio armato. Per le verifiche tensionali della muratura sotto le azioni sismiche, si adottano le tensioni ammissibili previste dalle vigenti norme sugli edifici in muratura, moltiplicate per il coefficiente 2.
COMMENTO ALLE NORME TECNICHE Per prima cosa deve rilevarsi che per gli edifici in muratura armata debbono essere comunque osservate le prescrizioni di cui al DM 20 novembre 1987 riguardanti gli edifici in muratura ordinaria in zone non soggette a rischio sismico. In tale normativa vengono definiti i blocchi artificiali come pieni, semipieni, forati. La definizione viene data in relazione alle percentuali di buchi e alle dimensioni dei fori stessi. Muratura costituita da elementi resistenti artificiali La muratura è costituita da elementi resistenti aventi generalmente forma parallelepipeda, posti in opera in strati regolari di spessore costante e legati tra di loro tramite malta. Gli elementi resistenti possono essere in: • laterizio normale; • laterizio alleggerito in pasta; • calcestruzzo normale; • calcestruzzo alleggerito. Gli elementi resistenti artificiali possono essere dotati di fori in direzione normale al piano di posa (elementi a foratura verticale) oppure in direzione parallela (elementi a foratura orizzontale). Elementi resistenti in laterizio Si distinguono le seguenti categorie in base alla percentuale di foratura e all’area media della sezione normale di un foro f: ϕ ≤ 15% φ ≤ 9 cm2 Elementi pieni Elementi semipieni 15% < ϕ ≤ 45% φ ≤ 12 cm2 Elementi forati 45% < ϕ ≤ 55% φ ≤ 15 cm2 La percentuale di foratura è espressa dalla formula seguente:
j = 100 F/A in cui: F = area complessiva dei fori passanti e profondi non passanti A = area lorda della faccia delimitata dal suo perimetro La distanza minima tra un foro e il perimetro esterno non potrà essere inferiore a cm 1,0, al netto dell’eventuale rigatura, mentre la distanza fra due fori non potrà essere inferiore a 0.8 cm con una tolleranza del 10%. Per elementi da paramento la distanza fra un foro e il perimetro esterno deve essere di almeno 1,5 cm, per elementi lisci, e di 1,3 cm per elementi rigati, al netto della rigatura. I fori dovranno essere distribuiti pressoché uniformemente sulla faccia dell’elemento. Quando A sia maggiore di 300 cm2, l’elemento può essere dotato di un foro di presa di maggiori dimensioni fino a un massimo di 35 cm2, da computare nella percentuale complessiva della foratura, avente lo scopo di agevolare la presa manuale; per A maggiore di 580 cm2, i fori di presa possono essere due con area di ogni foro non maggiore di 35 cm2 e da computare nella percentuale complessiva della foratura. Gli elementi possono avere incavi di limitata profondità destinati a essere riempiti dal letto di malta. È da rilevarsi che al punto D.5.3.1. si specifica che nel caso di muratura armata è consentita l’utilizzazione solo di elementi resistenti artificiali semipieni tali da consentire la realizzazione di pareti murarie incorporanti apposite armature metalliche verticali e orizzontali. Analogamente per quanto riguarda la malta possono essere utilizzate soltanto quelle di classe M2 e M1 così come precisato nel DM 20 novembre 1987.
Malte L’acqua per gli impasti deve essere limpida, priva di sostanze organiche o grassi, non deve essere aggressiva né contenere solfati o cloruri in percentuale dannosa. La sabbia da impiegare per il confezionamento delle malte deve essere priva di sostanze organiche, terrose o argillose. Le calci aeree, le pozzolane e i leganti idraulici devono possedere le caratteristiche tecniche e i requisiti previsti dalle vigenti norme (RD 16 novembre 1939, n.2231 e n.2230; legge 26 maggio 1965, n.595, DM 14 gennaio 1966, DM 3 giugno 1968, DM 31 agosto 1972 e successive integrazioni o modificazioni). L’impiego di malte premiscelate e premiscelate pronte per l’uso è consentito purché ogni fornitura sia accompagnata da una dichiarazione del fornitore attestante il gruppo della malta, il tipo e la quantità dei leganti e degli eventuali additivi. Ove il tipo di malta non rientri tra quelli appresso indicati il fornitore dovrà certificare con prove ufficiali anche le caratteristiche di resistenza della malta stessa. Le modalità per la determinazione della resistenza a compressione delle malte sono riportate nel DM 3 giugno 1968. I tipi di malta e le loro classi sono definite in rapporto alla composizione in volume secondo la tabella seguente:
D 12
CLASSE
TIPO DI MALTA
CEMENTO
CALCE CALCE SABBIA AEREA IDRAULICA
POZZOLANA
M4
idraulica
–
–
1
3
–
M4
pozzolana
–
1
–
–
3
M4
bastarda
1
–
2
9
–
M3
bastarda
1
–
1
5
–-
M2
cementizia
1
–
0,5
4
–
M1
cementizia
1
–
–
3
–
Composizione Alla malta cementizia si può aggiungere una piccola quantità di calce aerea con funzione plastificante. L’ultimo c. del punto D.5.3.1. precisa che: “La malta o il conglomerato di riempimento dei vani ove alloggiano le armature deve avere resistenza caratteristica cubica non inferiore a 15 N/mm2 (150 Kg/cm2). Al punto D.5.3.3. si prescrive che le barre di armatura devono essere esclusivamente del tipo ad aderenza migliorata e posizionate in modo da avere una distanza non inferiore a 5 cm dalla superficie esterna del muro che le contiene. Occorre, altresì, che i giunti verticali dei blocchi siano sfalsati sia nel piano del muro che nel suo spessore. Le armature si distinguono in: • armature verticali • armature orizzontali • armatura diffusa FIG. D.1.2./1
≥ 5 cm.
BARRE AD ADERENZA MIGLIORATA MALTA O CLS Rck = 15 N/mm 2 φ CILINDRO ≥ 6 cm.
MALTA M1 - M2 LATO ESTERNO Armature verticali Le armature devono essere disposte in corrispondenza degli innesti, degli incroci e dei bordi liberi dei pannelli murari. La definizione di pannello murario è riportata nel punto D.5.3.4.: “I pannelli murari definiti come porzioni di muratura comprese tra due diaframmi orizzontali successivi (solai) e tra due aperture o intersezioni che le limitano lateralmente”. Si precisa altresì, nello stesso articolo, che il rapporto tra l’altezza compresa tra due solai e la lunghezza in pianta non deve superare il valore di 4,0. Qualora ciò non fosse verificato, all’elemento murario non può essere attribuito alcun contributo sismico, ma esclusivamente rispetto ai carichi verticali. Si precisa, altresì, che lo spessore netto delle pareti murarie resistenti all’azione sismica non deve essere inferiore al maggiore dei seguenti valori: • 1/14 dell’altezza compresa tra due solai • 24 cm Agli estremi di un pannello così definito deve essere disposta una armatura minima di 4 cm2. Qualora il pannello abbia una lunghezza superiore a 5,00 ml occorre disporre ulteriore armatura nello sviluppo del pannello di area uguale a quella disposta alle estremità. In definitiva le armature verticali non debbono superare un interasse di 5,00 con area
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
•
ASPETTI NORMATIVI SPECIFICI MURATURE ARMATE
D.1. 2. A.ZIONI
minima di 4 cm2. Le armature verticali devono essere estese per tutta l’altezza del pannello. Qualora due pannelli verticali siano in continuità su piani diversi dell’edificio, le corrispondenti armature devono essere adeguatamente sovrapposte oppure, se terminano in un cordolo di piano, devono essere ancorate al cordolo stesso. Le armature verticali devono essere alloggiate in vani (già predisposti nel laterizio) di forma tale che in ciascuno di essi risulti iscrivibile in un cilindro di 6,00 cm di diametro. Detti vani debbono essere riempiti in modo completo ed efficace con malta o conglomerato cementizio. Le barre verticali in continuità devono essere collegate fra loro in modo sicuro con dispositivi meccanici (manicotti filettati) oppure disponendo idonea staffatura per tutta la sovrapposizione di almeno 60 diametri. Armature orizzontali In corrispondenza dei solai devono essere realizzati dei cordoli in conformità di quanto previsto al punto D.5.1. lettera d) dello stesso decreto 5 febbraio 1996 che si riposta integralmente: “I cordoli, in corrispondenza dei solai di piano e di copertura devono avere larghezza pari a quella della muratura sottostante; è consentita una riduzione di larghezza fino a 6 cm per l’arretramento del filo esterno. L’altezza di detti cordoli deve essere almeno pari a quella del solaio, e comunque non inferiore a 15 cm .L’armatura deve essere di almeno 8 cm2 con diametro non inferiore a 16 mm; le staffe devono avere diametro non inferiore a mm 6 e interasse non superiore a 25 cm”. Debbono, altresì, essere previste armature orizzontali in corrispondenza delle aperture (punto D.5.3.3.1/2). Tali armature non possono essere inferiori a 3,00 cm2 (1 Φ 20) per ciascun bordo. Tali armature devono essere prolungate ai lati dell’apertura per almeno 60 diametri. Qualora l’altezza del pannello murario fosse superiore a 4,00 m, deve essere disposta una armatura orizzontale di sezione non inferiore a 4,00 cm2 nel corpo della parete. Le eventuali sovrapposizioni devono risultare almeno di 60 diametri. Alle estremità dei muri, le barre devono essere ripiegate nel muro ortogonale per una lunghezza pari almeno a 30 diametri.
Inoltre a non più di 60 cm di distanza, devono essere disposte barre orizzontali di diametro minimo di 5 mm. Tali armature devono essere collegate alle barre verticali presenti all’estremità del pannello tramite ripiegatura. Armatura diffusa Tale tipo di armatura è obbligatoria quando il coeff. di protezione sismica è maggiore di 1,00 (punto D.5.3.3.4). A tale proposito si ricorda che per il coeff. di protezione sismica I si deve assumere il valore 1,4 per opere la cui resistenza al sisma è di importanza primaria per la protezione civile (ospedali, caserme VVFF, uffici di protezione civile, ecc.); assume il valore I = 1,2 per le opere che presentano un particolare rischio per le loro caratteristiche d’uso (scuole, edifici per i quali è previsto un particolare affollamento). Per tutti gli altri (abitazioni, uffici non aperti al pubblico, ecc.) si assume I = 1,0. Nel caso risulti I > 1,0 occorre integrare le armature orizzontali e verticali sopra dette con armature costituite da barre orizzontali e verticali di diametro non inferiore a 5 mm disposte a interassi non superiori al doppio dello spessore della parete.La sezione complessiva delle barre verticali non deve risultare inferiore allo 0,4 per mille del prodotto dello spessore della parte per la sua lunghezza. Per quanto concerne le armature orizzontali, non devono essere inferiori allo 0,4 per mille del prodotto dello spessore della parete per la sua altezza. A titolo di esempio supponiamo di avere una parete lunga 4,00 ml e alta 3,00 ml di spessore 24 cm:
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
• armatura minima verticale: 0,0004 x 400 x 24 = 3,84 cm 2 corrispondente a 20 ferri Φ 5 • armatura minima orizzontale: 0,0004 x 300 x 24 = 2,88 cm 2 corrispondenti a 15 ferri Φ 5
F. TERIALI,
Seguono alcuni esempi di disposizione di armature.
G.ANISTICA
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
URB FIG. D.1.2./2a
FIG. D.1.2./3a
RICOPRIMENTO 30 60 VOLTE ILRICOPRIMENTO DIAMETRO (E COMUNQUE 30 60 VOLTEIN MODO DA ASSICURARE DI OGNI IL DIAMETRO (E L'ANCORAGGIO COMUNQUE IN MODO BARRA NEL CLS) L'ANCORAGGIO DI OGNI DA ASSICURARE BARRA NEL CLS)
LEGATURE
mi n. 1.5 0m t
SPEZZONE AMMARRATO NELLA FONDAZIONE SPEZZONE AMMARRATO NELLA FONDAZIONE
va
r.
r. va
n.
mi
1.5
0m
t
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
PARETI D'ANGOLO CON LEGATURE SULLO STESSO CORSO
FONDAZIONE FONDAZIONE
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
FIG. D.1.2./3b BARRA VERTICALE BARRA VERTICALE
Ø 5 - 8 mm
va ar.
r.
max 50 cm
BARRA ORIZZONTALE BARRA ORIZZONTALE MATTONE MATTONE
LEGATURE
v
mi n. 1.5 0m t
n.
mi
1.5
0m
t
max 50 cm
d d
∅ 5-8 mm
max 50 cm. max 50 cm.
d d ARMATURA VERTICALE DELLA MURATURA ARMATURA VERTICALE DELLA MURATURA
SPAZIO DEL GETTO SPAZIO DEL GETTO
PARETI D’ANGOLO CON LEGATURE SU CORSI DIVERSI
ATE 2. D.1. TURE ARM MURA
D 13
D.1. 2.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE MURATURE ARMATE
•
ASPETTI NORMATIVI SPECIFICI
➦ COMMENTO ALLE NORME TECNICHE FIG. D.1.2./3c
FIG. D.1.2./3d va
r.
r. va t
RETE
max 50 cm
mi n. 2.0 0m t
0m
max 50 cm
1.5
max 50 cm
max 50 cm
max 50 cm
n. mi
LEGATURA D’ANGOLO REALIZZATA DA UN GETTO INTEGRATIVO ARMATO VERTICALE, CON AMMORSATURE A TRALICCI ORIZZONTALI POSTI A INTERVALLI REGOLARI
INCROCIO MURARIO A TRE VIE CON LEGATURA REALIZZATA DA FASCE DI RETE ELETTROSALDATA (IN ALTERNATIVA AL TONDO STAFFATO)
MODALITÀ DI TESSITURA DI VARI INCROCI MURARI PER AMMORSAMENTI PRIVI DI ARMATURE
FIG. D.1.2./4 ARMATURA VERTICALE CONCENTRATE ALLE ESTREMITÀ DEI PANNELLI MURARI 4 cm 2 ( 2 f 16 )
ARMATURA ORIZZONTALE CONCENTRATA AI BORDI DELLE APERTURE 3 cm 2 ( 2 f 14 )
EVENTUALE ARMATURA DIFFUSA VERTICALE INTERASSE > 2 s SEZIONE TOTALE 0,04 % · s l
ALTRA ARMATURA ORIZZONTALE CONCENTRATA SE ALTEZZA DI PIANO > 4 mt 4 cm 2 ( 2 f 16 )
s = SPESSORE MURATURA l = LUNGHEZZA MURATURA
ALTRA ARMATURA VERTICALE A PASSO 5 mt 4 cm 2 ( 2 f 16 )
60 f CORDOLO BARRE 4 f 16 STAFFE f 6/25 cm.
ARMATURA DISTRIBUITA ORIZZONTALE STAFFE > f 5 CON PASSO < = 60 cm SOSTITUIBILE CON ARMATURA DIFFUSA ORIZZONTALE CON RISPETTIVE PRESCRIZIONI DA DM
METODI DI VERIFICA Al punto D.5.3.5 vengono esposti i criteri di verifica per edifici in muratura armata in zona sismica. Qualora l’altezza dell’edificio superi i limiti di altezza previsti per le costruzioni in muratura ordinaria, è obbligatoria l’analisi delle sollecitazioni prodotta dall’azione sismica. In tale caso come elementi resistenti all’azione sismica si considerano i pannelli murari verticali che si sviluppano con continuità verticale dalla loro sommità fino alle fondazioni, che abbiano uno spessore minimo di 24 cm e un rapporto tra altezza compresa tra due solai e lunghezza in pianta inferiore a 4. In tale caso l’intero edificio deve essere esaminato nel suo complesso tridimensionale come una struttura a setti portanti resi solidali dai diaframmi orizzontali costituiti dai solai. è consentita una analisi statica adottando un coeff. di struttura β = 1,5. Nella verifica deve essere trascurata la resistenza a trazione delle murature e le tensioni ammissibili per la muratura sono pari al doppio di quelle previste nel DM 20 novembre 1987. Nel caso in cui non si superi l’altezza prevista per gli edifici in muratura ordinaria, è consentita una verifica semplificata perché siano soddisfatte le seguenti prescrizioni (vedi punto D.5.2): • La pianta dell’edificio deve essere compatta e simmetrica. Nel caso di pianta rettangolare il rapporto tra lato maggiore e lato minore (al netto dei balconi) non deve
D 14
superare 3,0. Qualora il corpo di fabbrica non rispettasse tale condizione, esso deve essere diviso in parti staticamente indipendenti in modo da rispondere a tale requisito. • Ciascun muro maestro deve essere intersecato da muri maestri a esso ortogonali a interasse inferiore a 7,00 ml. • La distanza massima tra lo spiccato delle fondazioni e l’ intradosso del primo solaio o fra due solai successivi non deve superare 7,00 ml. • La snellezza delle pareti definita come rapporto tra spessore e altezza netta del pannello murario deve essere minore o uguale a 14. In tale caso per ogni piano deve essere verificata la condizione:
σ=
N ≤ σA 0,60×A
I valori delle tensioni massime ammissibili σA sono quelli ricavabili dalle tabelle riportate nel DM 20 novembre 1987 in funzione della resistenza dell’elemento lapideo e del tipo di malta adottata (M1 o M2).
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
•
ASPETTI NORMATIVI SPECIFICI MURATURE ARMATE
D.1. 2. A.ZIONI
FIG. D.1.2./5
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.1.2./7 A
CAPRIATA IN LEGNO LAMELLARE
A
TRAVE LONGITUDINALE IN C.A.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF CORDOLO IN C.A.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU A
E.NTROLLO
MURATURA ESISTENTE
CO NTALE AMBIE
A MICROPALO
F. TERIALI, INIEZIONI ARMATE DI COLLEGAMENTO
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
CAPRIATA IN LEGNO LAMELLARE
G.ANISTICA URB
NUOVA MURATURA
30
50
5 f 16 2 f 16
st. f 8/20cm
TRAVE LONGITUDINALE IN C.A.
VESPAIO
MICROPALO
S
SEZIONE A-A
FONDAZIONE ESISTENTE
SEZIONE A-A
CONSOLIDAMENTO FONDAZIONI IN MURATURA CON MICROPALI
FIG. D.1.2./6
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
B CAPRIATA IN LEGNO LAMELLARE
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
CAPRIATA IN LEGNO LAMELLARE
A
CORNICIONE
10
A
S
*
C
*
50 25 50
50
50 50
FORI Ø 30 B
50 50
50 50 25
CAPRIATA IN LEGNO LAMELLARE
SEZIONE A-A
25-3010
BARRE Ø 16 FORI Ø 30
BARRE Ø 16 FORI Ø 30 SEZIONE B-B
ATE 2. D.1. TURE ARM MURA
D 15
D.2. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • COMPORTAMENTO DEI MATERIALI DEFORMAZIONE DEI MATERIALI SOTTO CARICO PREMESSA L’esperienza evidenzia che tutti i materiali sottoposti a carichi si deformano. La prova principali per valutare la deformabilità sia sotto l’aspetto qualitativo sia sotto l’aspetto quantitativo è quella monoassiale di trazione (o di compressione). Prendiamo in esame un elemento rettilineo di lunghezza iniziale l0 e di sezione A. Se applichiamo una forza crescente (applicata in maniera sufficientemente lenta per evitare effetti dinamici) vediamo che per ogni valore di F corrisponde un allungamento totale δ (Fig. D.2.1./1).
FIG. D.2.1./2
FIG. D.2.1./3
F
σ
Fmax
B
A
FIG. D.2.1./1
0
A' δ max
dδ
B'
0
FIG. D.2.1./4
ε
FIG. D.2.1./5 σ
Lo
σ
ε
ε
δ
F
Se poniamo:
σ=
F A
(tensione agente sul materiale)
ε=
δ l0
(allungamento unitario)
OMOGENEO
OMOGENEO
Supponiamo che per un’asta si abbia il diagramma F, δ come in Fig. D.2.1./2. Il corrispondente diagramma σ e avrà un andamento analogo. L’area OAA delimitata dall’asse degli spostamenti e dalla curva F = F(δ) è dimensionalmente, il prodotto di una forza per un spostamento. Quindi è un lavoro. Precisamente è il lavoro compiuto dalla forza F variabile da 0 a Fmax:
Esprimendo la σ in Kg/cm2 data che e è un numero puro l’area in esame ha dimensioni fisiche kg/cm2. Se moltiplichiamo numeratore e denominatore per 1 cm l’area in esame è esprimibile in (kg cm)/cm3 . Essa quindi rappresenta l’energia immagazzinata nell’unità di volume del materiale costituente l’asta.
max
avremo che il legame tra F e δ (Fig. D.2.1./2) può essere trasferito in un legame tra σ e ε (legame o legge costitutiva) (Fig. D.2.1./3). Il vantaggio di definire il legame σ e consiste nel fatto che esso è indipendente dai valori di l° e A e quindi esprime una caratteristica del materiale e non dell’elemento.
Area OAA’ =
∫ Fdδ
0
Per il principio di conservazione dell’energia tale lavoro deve trovare compenso in un uguale quantitativo di energia immagazzinato dall’asta. Analogo significato deve avere l’area OBB’ del diagramma σ, ε.
Se un materiale ha lo stesso comportamento a trazione e a compressione diremo che il materiale ha un comportamento omogeneo (Fig. D.2.1./4). Se i comportamenti sono diversi diremo comportamento non omogeneo (Fig. D.2.1./5).
COMPORTAMENTO PERFETTAMENTE ELASTICO Supponiamo di caricare l’asta di riferimento con una forza variabile fra 0 e F con un allungamento totale δmax La tensione nel materiale varierà tra 0 e un valore finale
σ=
F A
FIG. D.2.1./6
σ
F A
O IC
SC
SC
Se il diagramma di scarico ripercorre (in senso opposto) quello di carico diremo che l’elemento (il materiale) ha un comportamento elastico (Figg. D.2.1./6–7). 0
CO
O
RI
IC
CA
R CA
Supponiamo successivamente di riportare (gradualmente) la forza dal valore F a 0. Conseguentemente si avrà un diagramma F–d di ritorno (scarico).
B
CO RI
A
AR
con corrispondente allungamento unitario emax.
D 16
FIG. D.2.1./7
A' δ max
δ
0
B' ε max
ε
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • COMPORTAMENTO DEI MATERIALI DEFORMAZIONE DEI MATERIALI SOTTO CARICO
D.2. 1. A.ZIONI
Si possono avere tre tipi di comportamento elastico (Figg. D.2.1./8-9-10):
FIG. D.2.1./8
FIG. D.2.1./9
σ
• Tipo “a” – elastico “duro”
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII
σ
I ED PRE NISM ORGA
• Tipo “b” – elastico “lineare” • Tipo “c” – elastico “molle”
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
Il secondo tipo è molto importante in quanto per la determinazione degli stati di sollecitazione viene ipotizzato (nella quasi totalità dei casi) un comportamento di questo tipo; ugualmente si ipotizza un comportamento elastico lineare per la verifica delle sezioni con il metodo delle “tensioni ammissibili”.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
È opportuno rilevare che con un comportamento di questo tipo è valido il principio di sovrapposizione degli effetti. Supponiamo di avere due elementi uno a comportamento lineare, l’altro a comportamento duro (Figg. D.2.1./11-12)
ε
0
"A"
FIG. D.2.1./10
Nel primo caso la relazione F, δ è del tipo F = Kδ.
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
F
G.ANISTICA
F/2
URB
F/2
COMPORTAMENTO ELASTICO LINEARE
F = Kδ (Fig. D.2.1./11)
e quindi
CO NTALE AMBIE
σ
Suddividiamo la forza F in due forze di entità F/2 e confrontiamo le deformazioni nei due casi.
F per 2
E.NTROLLO
"B"
FIG. D.2.1./11
Nel secondo caso supponiamo che sia del tipo F = Kδ2.
ε
0
"C"
FIG. D.2.1./12
F δ= K
ε
0
δ1 δ
0
ε
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
FIG. D.2.1./13 σ
F δ1 = 2K
si ha:
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
F
F/2
2δ1 = δ
ε
F = Kδ2
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
F/2 COMPORTAMENTO ELASTICO DURO
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
δ1 0
δ
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
LINEARE OMOGENEO (NELLA QUASI TOTALITA' DEI CASI)
(Fig. D.2.1./12) FIG. D.2.1./14
F δ2 = →δ= K
Nel primo caso abbiamo che:
F K
per F si ha:
2
F F = δ12 → δ1 = 2K 2K 2δ1 = 2
F = 2K
e quindi 2 δ1 ≠ δ
2
σ
se un sistema strutturale avente comportamento elastico lineare è sollecitato da un sistema di forze, lo stato di deformazione in una qualsiasi sezione è uguale alla somma degli stati di deformazione che, nella stessa sezione, viene provocato dalle singole forze supponendo che agiscano separatamente.
F K
= 2 δ
ε
È opportuno rilevare che la sovrapposizione degli effetti è applicabile solo se il materiale ha un comportamento elastico lineare omogeneo (Fig.D.2.1./13). Se il comportamento è elastico lineare non omogeneo occorre valutare caso per caso i limiti di applicabilità (Fig.D.2.1./14). Un esempio, che esamineremo, si ha nella verifica (con il metodo delle tensioni ammissibili) delle sezioni in c.a. soggette a pressoflessione.
LINEARE NON OMOGENEO (SOLO IN CASI PARTICOLARI)
DEI 1. D.2. MAZIONE CARICO R DEFO IALI SOTTO R MATE
D 17
D.2. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • COMPORTAMENTO DEI MATERIALI DEFORMAZIONE DEI MATERIALI SOTTO CARICO COMPORTAMENTO PERFETTAMENTE PLASTICO Un elemento (un materiale) ha un comportamento plastico se la deformazione indotta da forze (tensioni) permane totalmente alla cessione dell’azione che ha prodotto la deformazione. Nel caso dell’asta tesa (o compressa) e del materiale che
la costituisce i diagrammi di carico e scarico si presentano del tipo rappresentato nelle Figg. D.2.1./15-16. Il comportamento si dice totalmente (o perfettamente) plastico se la linea OA si identifica con il segmento
OA’’.
In tale caso (puramente teorico) il diagramma forze – deformazioni in fase di carico e di scarico definisce un rettangolo la cui area definisce l’entità del lavoro (energia) impiegata per provocare la deformazione permanente (Fig. D.2.1./17).
FIG. D.2.1./15
FIG. D.2.1./16
FIG. D.2.1./17
σ
F A"
O
F A"
A
A
C RI
0
SCARICO
CARICO
SCARICO
CA
δ
A'
ε
0
0
δ
A'
COMPORTAMENTO ELASTICO PLASTICO Nel caso di Fig. D.2.1./18 il comportamento presenta le seguenti particolarità. La deformazione totale sotto carico (OA’) viene recuperata allo scarico in misura parziale (A’A’’); tale deformazione è quindi di tipo elastico.
FIG. D.2.1./18
FIG. D.2.1./19 s
F A
A
fyk
B
La deformazione residua OA’’ è una deformazione permanente (plastica). È importante sottolineare che la deformazione permanente si è verificata contemporaneamente a quella elastica. In molti casi si ha che, nella realtà la deformabilità plastica si manifesta prevalentemente nella parte terminale della linea di carico (Fig. D.2.1./19).
0
A"
A'
0
d
e
Per alcuni materiali (ad esempio acciaio da cemento armato) la deformazione plastica si verifica nel tratto terminale della linea di carico. Nel tratto OA si ha un comportamento elastico lineare. Successivamente si ha un breve tratto con comportamento elastico non lineare. La deformazione nel tratto a comportamento elastico è modesta. Successivamente si ha il fenomeno dello “snervamento” caratterizzato dal verificarsi di forti deformazioni a tensione pressoché costante.
FIG. D.2.1./20
FIG. D.2.1./21
s
s
In tale caso si può sostituire al diagramma reale un diagramma teorico costituito da una bilatera dove il tratto OA rappresenta il comportamento elastico lineare (tra la tensione nulla e quella caratteristica di snervamento) e da un successivo tratto AB (lineare e a tensione costante) caratterizzante il comportamento plastico (Fig. D.2.1./20). Nel caso del conglomerato il diagramma teorico (convenzionale) presenta un tratto OA (ad andamento parabolico) e un tratto AB lineare e a tensione costante (Fig.D.2.1./21).
D 18
A
0
A
e
0
e
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • COMPORTAMENTO DEI MATERIALI DEFORMAZIONE DEI MATERIALI SOTTO CARICO
A.ZIONI
DEFORMABILITÀ VISCOSA Supponiamo che un elemento rettilineo sia soggetto a una forza assiale centrata. Indichiamo con t 1 il tempo di applicazione progressiva della forza e sia:
Si dimostra, sperimentalmente, che l’incremento ∆l2 risulta un incremento permanente e che il suo valore cresce nel tempo con andamento asintotico. Quanto detto vale anche per tensioni e deformazioni unitarie.La legge di variazione delle deformazioni unitarie in funzione del tempo è del tipo riportato in Fig. D.2.1./23. ε∞ rappresenta il valore totale a “tempo infinito”.Nel caso del conglomerato
FIG. D.2.1./22
∆ l1 l’allungamento al tempo t1 e quindi ε1 =
∆ l1 l0
(ε∞–ε1) = (2÷3)ε1 e dopo circa 2 anni si è praticamente raggiunto il valore ε∞. Possiamo ricapitolare la deformabilità sotto carico nel seguente quadro.
la corrispondente deformazione unitaria. Supponiamo di mantenere la forza costante. Se effettuiamo nuovamente la misura dell’allungamento al tempo t2 > t1, per alcuni materiali si rileva che risulta: L1
∇
∇
∆l2 > ∆l1 (Fig. D.2.1./22)
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
CO NTALE AMBIE
F
tempo = 0
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
E.NTROLLO
L2
F
Poiché l’area della sezione e della forza agente ai tempi t1 e t2 è la stessa, l’incremento ∆l2– ∆l1 dell’allungamento può dipendere dall’unica variabile: il tempo.
= t1
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
= t2
G.ANISTICA URB
FIG. D.2.1./23 ε∞
molle
ε2
elastica DEFORMAZIONE
lineare dura
ε1
plastica anelastica viscosa
0
D.2. 1.
t1
t2
t
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
MODULO ELASTICO LONGITUDINALE FIG. D.2.1./24 In un materiale avente comportamento elastico lineare le tensioni σ e le deformazioni unitarie ε sono direttamente proporzionali. Indicando con E la costante di proporzionalità si ha:
s=E·ε
Si ha: σ
σ = E (ε) · ε
σ2
Nell’intervallo ε1–ε2 si può assumere come valore del modulo elastico il valore
legge di Hooke
La costante E viene detta “modulo elastico longitudinale”.
σ1
ES =
Poiché ε è un numero puro E ha le stesse dimensioni fisiche di σ.
(modulo secante)
In alcuni casi si può suddividere il campo σ” e interessato in campi parziali, in ciascuno dei quali si può ipotizzare un comportamento elastico lineare caratterizzato dal valore Es come sopra definito.
Il suo valore numerico dipende quindi dal sistema di misura adottato. Nel caso di un comportamento elastico non lineare non è possibile definire un valore di E. (Fig. D.2.1./24).
σ2 – σ1 ε2 – ε1
0
ε1
ε2
ε
ε
DEI 1. D.2. MAZIONE CARICO R DEFO IALI SOTTO R MATE
D 19
D.2. 2.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • COMPORTAMENTO DEI MATERIALI DEFORMAZIONE DEI MATERIALI PER VARIAZIONI DI TEMPERATURA CONSIDERAZIONI DI CARATTERE GENERALE Sia dato un elemento di lunghezza iniziale “L”.
A causa del salto di temperatura la lunghezza dell’arco di parabola sarà:
lf = l+α · l · ∆t
È noto che se la sua temperatura varia di ±∆t °C e se l’elemento è libero di deformarsi la sua lunghezza varierà della quantità:
∆l = ± α l∆t dove α è il coefficiente di dilatazione lineare. Il valore di α varia con il tipo di materiale.
Esprimendo la lunghezza dell’arco di parabola in funzione della corda e della freccia si ha:
Si hanno, ad esempio i seguenti valori di α per alcuni materiali Acciaio
12 · 10–6
Conglomerato
10·10–6
Laterizi
6·10–6
Ceramica
3·10–6
Alluminio
24·10–6
Zinco
17·10–6
lf ≅ l +
8 f2 3 l
lunghezza dell’arco di parabola
8 · f 2 = α·l·∆t → f = l· 3 l
3 α ∆t ≅ 0,612 l α 8
Ad esempio per l’Acciaio:
(α = 12·10–6)
Anche per forti variazioni di temperatura la variazione unitaria
∆l è modesta. l
f = 2,12·l·10–3· ∆t
per l’Alluminio:
Le conseguenze però possono essere notevoli.
(α = 24 ·10–6)
Supponiamo che si abbia un ∆t = 50°C.
f = 3·l·10–3· ∆t
Per l’Acciaio si ha:
ε
∆l = α·∆t = 12 ·10–6·50 = 600 ·10–6 = 6 ·10–4 l
Per l = 10 m = 10,000 mm
Pertanto se l = 5 m (5000 mm) e ∆t = 30° si ha: per l’Acciaio f = 58 mm = 5,8 cm per l’Alluminio f = 82 mm = 8,2 cm
∆l = ε ·l = 6 ·10–4·10,000 = 6 mm Il valore è pertanto modesto. Se però esso risulta impedito le conseguenze possono essere molto gravi. FIG. D.2.2./2 Supponiamo di avere un elemento di lunghezza l incernierato agli estremi e che i vincoli siano perfetti. Per una variazione di temperatura ∆t esso tenderebbe a variare la sua lunghezza nella misura di ∆l = α·l ·∆t
f
Se si ha una diminuzione di temperatura nasce uno stato di trazione tale da indurre una deformazione unitaria della stessa entità ma di segno contrario a quella che si avrebbe per la variazione di temperatura nel caso che essa fosse libera agli estremi.
C'
B
A C
Abbiamo:
ε=
α ·l·∆t α ·∆t l
l/2
l/2
Supponendo un comportamento elastico lineare del materiale si ha:
σ = E·ε = E·α·∆t Ad esempio per l’Acciaio con ∆t=50° si ha:
σ = 2,1·10–6·12·10–6·50 = 1260 Kg/cm2
In molti casi la deformata si verifica con due tratti rettilinei. In tale caso:
| f 2 = AC’2 – AC 2 = l2 ·(1+α·∆t)2− l2 = l2 ·α·∆t+ l2 ·α2·∆t2 4 4 2 4
FIG. D.2.2./1
e trascurando il secondo termine:
f
f = 0,707 ·l· α·∆t
l
Per un aumento di temperatura l’asta tende a deformarsi. Supponiamo, per semplicità, che la configurazione della deformata sia parabolica (Fig. D.2.1./25).
D 20
Per quanto concerne gli aspetti strutturali le variazioni di temperatura inducono stati di tensione considerevoli. In particolare occorre tenere presente che si possono raggiungere stati tensionali pericolosi anche a causa di variazioni di temperatura localizzate in alcuni elementi strutturali. La Circolare esplicativa annessa al DM 16 gennaio 1996 sui carichi e sovraccarichi indica i valori del ±∆t da prendere in esame per strutture in c.a., c.a.p. e acciaio nei casi che le strutture risultino protette o non protette. Occorre, altresì, tenere presente che in moltissimi casi le variazioni di temperatura provocano il distacco di elementi di finitura quando i materiali costituenti abbiano coefficiente di dilatazione sensibilmente diverso da quello del supporto sul quale sono applicate.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
•
MALTE, CONGLOMERATI, ACCIAI LEGANTI
D.3. 1. A.ZIONI
Si definiscono “leganti” quei prodotti che si presentano come polveri che mescolati con acqua formano una massa di consistenza variabile (a seconda del contenuto di acqua) che progressivamente perde la plasticità dando luogo a un materiale avente un’adeguata resistenza meccanica. Per ogni legante occorre distinguere due fasi: • fase di presa durante la quale l’insieme legante e acqua acquista quel minimo di consistenza necessaria per mantenere la sua forma;
• fase di indurimento durante la quale l’insieme acquista una notevole resistenza meccanica. Il passaggio dalla prima alla seconda fase è definito in termini convenzionali. È però importante sottolineare che il legante può essere materialmente applicato solo prima che inizi la “presa”; al più nei primi momenti di essa. Vi sono leganti per i quali l’indurimento può verificarsi solo all’aria (leganti aerei). Altri per i quali l’indurimento può avvenire anche in acqua (leganti idraulici).
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
LEGANTI AEREI
PRO TTURALE STRU Tra essi i più importanti sono il gesso e la calce aerea. Il primo trova scarso impiego per elementi strutturali. Il secondo trova attualmente un impiego limitato per elementi strutturali (murature portanti); è stato però di impiego comune nel passato. È quindi opportuno esporre alcune nozioni fondamentali utili nell’eventualità di interventi su costruzioni in muratura. La calce viene ottenuta tramite cottura (a temperatura di 900°–1000°C) del carbonato di calcio (calcare):
CaCO3 → CaO+CO2
(1)
L’ossido di calcio (calce viva) viene trasformata in idrossido di calcio tramite l’aggiunta di acqua:
CaO+H2O → Ca(OH)2
(2)
L’idrossido di calce (calce spenta) così ottenuto se entra in combinazione con l’anidride carbonica riproduce il carbonato di calcio sotto forma di cristalli:
Ca(OH)2+CO2 → CaCO3+H2O
(3)
L’operazione di spegnimento della calce viva nel passato veniva effettuata in fosse oppure in appositi recipienti, aggiungendo l’acqua alle zolle di calce viva. Il prodotto che così si otteneva (grassello) aveva le caratteristiche di un prodotto untuoso. Ciò era dovuto al fatto che l’idrossido di calcio prodotto (2) cristallizzava sotto forma di lamelle esagonali sottilissime e che tra le lamelle rimaneva un residuo di acqua. Al momento attuale lo spegnimento avviene con modalità completamente diverse. La calce viva viene frantumata a pezzature di circa 0,5 cm e disposta a formare un letto di calce sul quale viene spruzzata acqua. La reazione (2) avviene con forte sviluppo di calore e con un aumento di volume nel passaggio da calce viva a idrossido di calcio. L’insieme di questi fattori determina una polverizzazione dei grani di calce viva. Il prodotto finale si presenta come una polvere con grani aventi dimensioni di pochi micron. In tale caso la cristallizzazione avviene sotto forma di elementi minutissimi e il prodotto che si ottiene aggiungendo acqua non ha quelle particolari caratteristiche di lavorabilità che aveva il grassello. È opportuno tenere presente che l’operazione di spegnimento deve essere completa. Durante essa tutta la calce viva deve essere trasformata in idrossido di calcio. Il permanere di elementi di calce viva può dar luogo alla formazione di bottacioli (o calcinaroli). Gli eventuali residui di calce viva si idratano successivamente all’impiego del legante quando questo è in fase di indurimento. A causa dell’aumento di volume si provoca il distacco della malta indurita che sovrasta il bottacciolo. Un altro fatto che deve essere tenuto presente è che nella reazione (3) che determina l’indurimento della “pasta” costituita dal Ca(OH)2 e dall’acqua, questa non interviene. Nella reazione di “indurimento” interviene l’anidride carbonica presente nell’aria. Occorre però tenere presente che l’anidride carbonica è fortemente solubile nell’acqua. Questa pertanto ha la funzione fisica di trasportare dell’anidride carbonica all’interno della massa. L’acqua di impasto e quella prodotta dalla reazione (3) trasudano dalla massa che per tempi anche molto lunghi si presenta umida.
MODALITÀ D’USO DELLA CALCE AEREA Come tutti quanti i prodotti leganti gli usi fondamentali della calce aerea possono avvenire secondo tre modalità: a) pasta o latte di calce aerea intendendo per tale una miscela di sola calce e acqua. La differenziazione tra pasta e latte è soltanto nella percentuale di acqua rispetto al quantitativo di legante. Con tale modalità si possono realizzare solo lavori di finitura tenendo in dovuto conto i notevoli ritiri che il prodotto finito tende ad assumere e l’aspetto totalmente negativo che per la presenza di bottaccioli (calcinaroli) può avere. A tale proposito si deve ricordare che in affreschi anche di pregio databili a diversi secoli or sono, la presenza di bottaccioli nel letto di base ancora continua a produrre i suoi effetti negativi; b) malte di calce aerea e sabbia oppure di calce e pozzolana. Rappresenta l’uso più comune della calce aerea. Per quanto riguarda le opere realizzate nel passato occorre tener presenti che l’uso più comune è stato quello di calce e sabbia, fatta eccezione per quelle zone dove per la possibilità di reperimento di materiali aventi caratteristiche pozzolaniche si è avuto anche l’uso di malte utilizzanti tali materiali. Tra tutti questi deve essere ricordato il cosiddetto “coccio pisto” nel quale veniva utilizzato come elemento di supporto il prodotto ottenuto dalla macinazione di elementi in argilla cotta. Si premette che con terminologia non totalmente appropriata la sabbia e l’eventuale pozzolana vengono definiti come inerti e quindi usualmente per malte si intende l’impasto ottenuto da calce aerea, sabbia o pozzolana e acqua. Il comportamento di una malta contenente sabbia è totalmente diverso da quello contenente pozzolana. Nella prima la reazione fondamentale che da luogo all’indurimento è la (3) relativa alla trasformazione dell’idrossido di calcio in carbonato di calcio. La precipitazione del carbonato riempie, sia pure parzialmente, i vuoti residui intergranulari della sabbia; altra condizione per ottenere una buona malta è che la pasta di acqua e calce avvolga tutte le superfici dei singoli grani di sabbia. Come conseguenza di tale seconda condizione si ha la necessità che i grani di sabbia non discendano al di sotto di dimensioni minime, occorre cioè, che la sabbia sia priva di elementi sottilissimi (polvere). La presenza della sabbia determina una riduzione dei ritiri dovuti essenzialmente alla riduzione di volume che si ha nel passaggio da idrossido di calcio a carbonato. La massima utilizzazione delle malte si ha con elementi lapidei di dimensioni nettamente superiori di quelle della sabbia. Si hanno così tre tipi fondamentali di utilizzazione: • conglomerati; • murature con pietrame squadrato o non squadrato; • murature con elementi lapidei artificiali (mattoni o similari). La funzione che la malta assolve nei tre casi è totalmente diversa.
Nei conglomerati vengono inseriti elementi lapidei all’interno della massa di malta. In questo senso risultano tipiche alcune murature dell’epoca romana. La funzione dell’elemento lapideo, in tale caso, è quella di ridurre ulteriormente l’impiego della malta e quindi della calce con conseguente risparmio economico e con effetti vantaggiosi derivanti dalla riduzione di ritiri. Nel caso di murature con pietrame non squadrato si ha la prevalenza dell’elemento lapideo rispetto alla malta e la funzione di questa è prevalentemente quella di mantenere in situ gli elementi lapidei che di fatto costituiscono l’organismo murario. Nel caso di murature con pietrame squadrato la funzione prevalente della malta è quella di costruire un letto deformabile in fase di allettamento dei blocchi di pietrame in modo di impedire le inevitabili asperità del piano di contatto che potrebbero determinare assestamenti dannosi della costruzione. Tali modalità realizzative sono comuni sia alle malte di calce aerea e sabbia sia a quelle di calce e pozzolana. La differenza sostanziale che esiste tra questi due tipi di malta è che: • nel caso di calce e sabbia la reazione di indurimento è quella di carbonatazione; • nel caso di calce e pozzolana oltre a un’eventuale reazione di carbonatazione si hanno reazioni chimiche tra l’idrossido di calcio e i costituenti attivi della pozzolana. Ciò comporta notevoli vantaggi dal punto di vista sia del raggiungimento di maggiori resistenze meccaniche, sia dal punto di vista della durabilità dell’opera realizzata. Per quanto riguarda il primo aspetto maggiore resistenza, occorre tenere presente che la reazione chimica di carbonatazione (la sola presente per calce e sabbia) può avvenire solo in presenza di anidride carbonica. Per murature di notevole spessore la permeabilità all’aria esterna risulta comunque limitata e quindi la reazione all’interno del nucleo murario risulta necessariamente limitata. A ciò si sopperiva nel passato frazionando il muro di notevole spessore in blocchi murari in modo da aumentare, a parità di volume la superficie esposta all’aria. Malgrado ciò in parecchie opere del passato di notevole spessore, si sono trovate a distanza di secoli parti di idrossido di calcio che ancora non avevano reagito all’anidride carbonica. Nel caso di malte con pozzolana è comunque garantita la reazione dell’idrossido di calcio con le parti attive della pozzolana indipendentemente dallo spessore della muratura con conseguente miglioramento delle caratteristiche meccaniche. Per quanto concerne la durabilità occorre tenere presente che il carbonato di calcio formatosi a seguito della reazione (3) è solubile nell’acqua.
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
In conseguenza una opera muraria realizzata con malte di calce e sabbia, qualora non sia adeguatamente protetta, subisce un progressivo deterioramento.
EI 2. D.2. MAZIONE D IAZIONI R DEFORIALI PER VA MATERPERATURA DI TEM
Per evitare ciò risulta indispensabile una protezione con adeguati materiali di rivestimento (intonaci).
1. D.3. TI N LEGA
D 21
D.3. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE LEGANTI
•
MALTE, CONGLOMERATI, ACCIAI
LEGANTI IDRAULICI – CALCE IDRAULICA, CEMENTO In tale tipo di leganti l’acqua esplica essenzialmente una funzione chimica (e non fisica come nel caso della calce aerea) in quanto reagendo con i costituenti del legante da luogo a prodotti stabili che induriscono notevolmente al passare del tempo. I tipi più comuni di leganti idraulici sono quelli noti sotto il nome di “cementi”. Salvo cementi particolari le cui possibilità di impiego sono limitate a campi specialistici, il cemento è fondamentalmente costituito dalla macinazione di Clinker Portland. I costituenti fondamentali del cemento sono il silicato tricalcico e il silicato bicalcico che simbolicamente vengono rappresentati con C3S e C2S. In presenza di acqua si ha all’inizio la reazione del silicato tricalcico che dà luogo al silicato bicalcico e a calce libera Ca(OH)2 calce libera di idrolisi. Successivamente, quando si è raggiunto un certo grado di saturazione, reagisce il silicato bicalcico che dà luogo al silicato monocalcico più calce di idrolisi:
C3S → C2S + Ca(OH)2
C2S → CS + Ca(OH)2
QUALITÀ DEI CEMENTI E LORO UTILIZZAZIONE I cementi prodotti sono, fondamentalmente, di tre qualità: • tipo 325 a indurimento normale; • tipo 425 a indurimento rapido; • tipo ad alta resistenza iniziale. Quest’ultimo tipo viene usato in particolari casi di emergenza e richiede attenzioni nel suo uso in quanto caratterizzato da elevati calori di idratazione che si sviluppa-
no in tempi assai ridotti. I tipi comunemente usati sono il 325 e il 425 caratterizzati inizialmente da diversi rapporti tra silicato tricalcico e silicato bicalcico. Le resistenze finali a lungo termine, sono a parità di altre condizioni, pressoché uguali. Con il tipo 425 si ha una maggiore resistenza iniziale del prodotto il che consente una riduzione nei tempi di disarmo delle strutture. Esistono altri tipi particolari di cemento le cui caratteristiche esulano dai limiti del presente manuale.
USO DEL CEMENTO Come già visto per la calce aerea il cemento può essere utilizzato nelle forme di: • pasta • malta • conglomerato
Il volume della singola sfera è dato da:
V=
4 1 π r3 = π d3 3 6
pertanto le N sfere hanno un volume totale pari a: I prodotti di reazione sono quelli che determinano la presa e l’indurimento della pasta acqua e cemento. La presenza della calce libera di idrolisi risulta negativa nei confronti della durabilità del prodotto soprattutto perché, reagendo con l’anidride carbonica (CO2) dell’aria da luogo a carbonato di calcio solubile nell’acqua e quindi determinando il progressivo aumento della porosità del prodotto:
Ca(OH)2 + CO2 → CaCO3 + H2O A causa di questa reazione si ha un aumento dell’acidità della soluzione solida e pertanto le eventuali armature presenti risultano più soggette a fenomeni di ossidazione. Analogamente possono provocare aggressione alla soluzione solida sia la presenza di fumi acidi, che la presenza di acque pure in movimento che dissolvono idrossido di calcio, che acque contenenti anidride carbonica libera che ugualmente reagisce con l’idrossido di calce presente. Da quanto sopra emerge l’aspetto negativo che rivesta la calce libera di idrolisi presente nel cemento. Conseguentemente sono stati studiati cementi costituiti da Clinker di Portland macinato e prodotti che siano in grado di bloccare la calce libera di idrolisi man mano che essa viene a formarsi. Tali cementi sono: • cementi pozzolanici; • cementi d’alto forno.
PASTA Si intende una miscela di cemento puro e acqua, in alcuni casi con aggiunta di farina fossile. Il tipo più comune di pasta di cemento, caratterizzato dal forte contenuto in acqua, è noto con il termine usuale di “boiacca” utilizzata fondamentalmente per spruzzature di superfici e in alcuni casi per costruire un velo di protezione delle armature. Una utilizzazione di paste di cemento aventi funzione statica è quella relativa alle iniezioni all’interno delle guaine delle strutture in precompresso a cavi scorrevoli iniettati. Altra utilizzazione si ha nella tecnica di iniezioni in murature degradate. In tale caso è opportuno controllare preventivamente che la muratura nella quale si interviene sia realizzata con malta e materiali lapidei compatibili con il materiale di apporto. MALTE Si intende la miscela ottenuta da cemento, sabbia, acqua. I rapporti reciproci variano a seconda della granulometria della sabbia intorno alla proporzione di 6 quintali di cemento per ogni metro cubo di sabbia. La resistenza a compressione delle malte (a rottura) sono in linea generale nettamente inferiori a quelle dei conglomerati. Le malte vengono usate principalmente come strati leganti nelle murature. Per le caratteristiche specifiche delle malte vedasi la sezione sulle murature.
D 22
Pertanto il volume riempito è circa la metà del volume apparente ed è indipendente dal diametro delle sfere. Volendo riempire con sfere più piccole i vuoti residui, resterà un vuoto finale pari a:
Vf = 0,5×0,5×l3 = 0,25l3 Da questa prima considerazione emerge che in via approssimata il volume della sabbia necessaria per riempire i vuoti della ghiaia deve essere la metà circa del volume di questa. Con riferimento a un metro cubo di ghiaia, ci sono circa 0,5 mc di vuoto residuo da riempire per 0,25 mc con sabbia e i restanti 0,25 mc con la pasta di acqua e cemento. Attribuendo al cemento un peso specifico di 3,000 Kg/mc e considerando che il rapporto acqua/cemento di idratazione è circa 0,3, si ottiene un quantitativo di circa 3 q di cemento per mc di impasto. l dosaggio di riferimento di un conglomerato comune può essere assunto (per gli ordinativi dei materiali) nella misura di:
0,8 mc di ghiaia; 0,4 mc di sabbia; 3 q di cemento;
CONGLOMERATO Il cemento pozzolanico è realizzato per circa il 70% da Clinker Portland macinato e da particolari pozzolane attivate e macinate per la parte restante. Queste pozzolane reagiscono con calce libera di idrolisi mano a mano che essa si forma. Analoga funzione della pozzolana può essere svolta dalle loppe d’alto forno prevalentemente silicee che costituiscono un materiale avente comportamento pozzolanico. Occorre tenere presente che con tali tipi di cemento si ottengono i vantaggi derivanti dal fatto che la calce di idrolisi non può trasformarsi in prodotti solubili. Resta però la possibilità di inconvenienti dovuta all’aumento dell’acidità della soluzione solida soprattutto nei confronti della possibile ossidazione delle armature. Comunque si consiglia l’uso di tali cementi in presenza di acque marine o comunque aggressive. Altro vantaggio di tali tipi di cemento è quello derivante dalla riduzione del calore di idratazione: le reazioni chimiche di trasformazione dei silicati bicalcici e tricalcici avvengono con forte produzione di calore. Affinché tale calore possa essere smaltito verso l’esterno, è necessario un aumento di temperatura del manufatto durante l’indurimento. Per getti di notevole spessore con rapporto superficie esterna/volume ridotto, si possono raggiungere con cementi Portland usuali, temperature all’interno del getto di parecchie decine di gradi. Il successivo raffreddamento si aggiunge agli effetti del ritiro esaltandone gli aspetti negativi (fessurazione).
3 Vp = l × 1 π d 3 = l3 π ≅ 0,5 l3 d3 6 6
si intende la miscela inerte grosso (ghiaia o pietrisco), inerte fino (sabbia), cemento e acqua. Data l’importanza dell’argomento si ritiene opportuno esporre i criteri che sono alla base di un corretto dosaggio dei costituenti fondamentali. Dal punto di vista fisico la funzione principale della sabbia è quella di riempire apparentemente i vuoti lasciati dall’inerte grosso. La funzione principale della pasta di cemento e acqua è quella di riempire i vuoti residui della sabbia. Si può valutare in termini analitici in quali rapporti debbono essere i costituenti fondamentali di un conglomerato. Ipotizziamo che la ghiaia sia assimilabile a elementi sferici di diametro d e con essi si riempia un cubo di lato l. Il numero delle sfere necessarie per effettuare il riempimento sarà così determinato:
l = spigolo del cubo d = diametro della sfera (con d<
a = 0.40 ÷ 0.50 c
RESISTENZA DEI CONGLOMERATI La resistenza di un conglomerato è fondamentalmente legata alla compattezza dell’impasto indurito. Le condizioni fondamentali affinché ciò si verifichi sono: • che la pasta di cemento sia in quantità sufficiente per riempire totalmente i vuoti intergranulari; • che si realizzi il completo avvolgimento, seppure micrometrico, di tutti gli inerti; • che la pasta in sé non risulti porosa. Per chiarezza di esposizione è opportuno iniziare l’analisi da quest’ultima condizione. Abbiamo visto, precedentemente, che l’acqua di un impasto svolge una precisa funzione chimica reagendo con i costituenti del cemento. È noto che gli elementi in reazione chimica debbono essere in un preciso rapporto stechiometrico. Ciò significa che se uno degli elementi è in eccesso, il quantitativo eccedente non reagisce restando non attivo nel composto.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
•
MALTE, CONGLOMERATI, ACCIAI LEGANTI
D.3. 1. A.ZIONI
Nel caso specifico del cemento, se l’acqua è in eccesso rispetto al rapporto stechiometrico, la parte eccedente evaporando determina una serie di cavità micrometriche all’interno della pasta in fase di presa e indurimento. Si avrà quindi come risultato che la pasta risulta tanto più porosa quanto maggiore è il quantitativo di acqua rispetto al rapporto stechiometrico. Pertanto ai fini della resistenza è fondamentale il rapporto a/c=acqua/cemento.
I rapporti reali a/c risultano sempre maggiori e oscillano tra 0,4 ÷ 0,5. Deve però ricordarsi che tale eccesso di acqua influisce in modo negativo sulla resistenza del conglomerato. Occorre pertanto mantenere il rapporto ai valori più bassi possibile e ciò è ottenibile sia con appropriate tecniche di posa in opera (vibratura) sia con l’uso di adeguati additivi. Per quanto riguarda gli inerti essi devono essere silicei o calcarei con assoluta esclusione di elementi gessosi.
Il rapporto teorico è di 0,3 in peso; per cui sono chimicamente necessari circa 30 lt di acqua per quintale di cemento.
Le dimensioni massime della ghiaia devono essere inferiori a 3,0 cm (salvo casi eccezionali). È necessario che essa sia “pulita”, priva di elementi polverosi (diametri dell’ordine del micron).
Con tale quantitativo, però, è materialmente impossibile effettuare le lavorazioni di impasto e di getto.
Qualora quest’ultima condizione non venisse rispettata, la superficie esterna degli inerti aumenterebbe in
maniera abnorme e verrebbe meno l’avvolgimento della pasta di cemento sulla superficie esterna dei granuli. È opportuno ricordare, altresì, che la condizione ideale di un inerte nei confronti dell’acqua in esso contenuta è quella di “saturazione”. Qualora esso fosse sotto–saturo tenderebbe a sottrarre acqua dall’impasto sulla superficie di contatto. Il cemento presente in tale zona potrebbe non reagire e conseguentemente il grano di inerte si troverebbe incastonato in una matrice di pasta consolidata senza risultare solidale con essa. Se l’inerte fosse soprassaturo (acqua in eccesso) tenderebbe a cedere acqua all’impasto aumentando quindi il rapporto acqua/cemento effettivo rispetto a quello apparente.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
ADDITIVI Nella quasi totalità dei casi, sia nel confezionamento delle malte che dei conglomerati, si aggiungono sostanze che modificano nel senso voluto alcune caratteristiche finali o transitorie nel periodo di lavorazione. Tali sostanze “additivi” possono distinguersi in alcune categorie fondamentali.
Deve essere tenuto presente che tali prodotti riducono il tempo necessario per il verificarsi delle reazioni chimiche a cui si deve l’indurimento.
D) FLUIDIFICANTI E SUPERFLUIDIFICANTI Abbiamo visto che l’aumento del rapporto acqua/cemento ha un effetto negativo sulla resistenza del conglomerato e un effetto positivo nei confronti della lavorabilità. Gli additivi fluidificanti permettono di ottenere una lavorabilità compatibile con le esigenze operative, mantenendo il rapporto acqua/cemento accettabile per la resistenza prevedibile. I superfluidificanti determinano l’ottenimento di conglomerati al limite autolivellanti con valori contenuti del rapporto acqua/cemento.
B) RITARDANTI LA PRESA In molti casi può essere utile aumentare l’intervallo di tempo intercorrente fra il confezionamento dell’impasto e l’inizio della presa. Dovendo effettuare in prossimità di getti già eseguiti operazioni che potrebbero provocare lesioni nel conglomerato che si trova in fase di presa, si potrebbero determinare grossi inconvenienti. Un fenomeno di fessurazione verificatosi nel tempo di presa resta come fatto permanente anche dopo l’indurimento del conglomerato. In tali casi è quindi opportuno ritardare l’inizio della presa.
Il contenimento di tale rapporto determina, altresì, una riduzione del ritiro, pertanto tali additivi spesso vengono definiti “fluidificanti e riduttori di ritiro”.
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
E) ANTIRITIRO Tali additivi non devono essere confusi con quelli di cui al punto precedente come “riduttori di ritiro”.
D.5. TURE T STRU
In molti casi può presentarsi la necessità che il conglomerato con la malta non presenti fenomeni di ritiro.
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
C) ACCELERANTI DELL’INDURIMENTO Volendo effettuare il disarmo delle strutture in termini ridotti rispetto a quelli usuali è opportuno aggiungere prodotti che riducano i tempi per ottenere un indurimento adeguato.
URB
Poiché tali reazioni avvengono con sviluppo di calore, occorre tener presente che tali acceleranti potrebbero determinare aumenti di temperatura del getto non compatibili con il prodotto che si intende ottenere.
A) ACCELERANTI LA PRESA Di regola un cemento normale inizia la presa dopo circa un’ora dal confezionamento dell’impasto. In alcuni casi particolari può essere utile che la presa avvenga in tempo minore. Ad esempio: dovendo realizzare il rivestimento di una galleria con gunite o malte spruzzate, è opportuno che la presa avvenga in tempo estremamente breve altrimenti la malta gettata all’intradosso della galleria tenderebbe a distaccarsi. Analogamente nel caso di placcature di murature effettuate a spruzzo o a mano può essere opportuno usare acceleranti della presa che permettano di applicare spessori di maggiore entità senza ricaduta della malta.
G.ANISTICA
Ad esempio nell’inghisamento di un pilastro prefabbricato nel sottostante bicchiere del plinto di fondazione è bene che il riempimento del vuoto esistente fra i due elementi venga effettuato con malte antiritiro al fine di garantire il necessario comportamento monolitico.
LAVORABILITÀ DEI GETTI In molti casi è opportuno che in sede esecutiva venga controllato il grado di lavorabilità del conglomerato immediatamente prima del getto. Tale controllo viene prevalentemente effettuato con il cono di Abrams e la misura del relativo slump.
Il cono di Abrams ha misure standardizzate ed è costituito da una superficie tronco–conica aperta in sommità e al piede. Il cono viene sistemato con la base maggiore su un piano orizzontale e riempito con il conglomerato da controllare.
Successivamente il cono viene estratto tramite apposite maniglie e si misura l’abbassamento della sommità del conglomerato. La misura di tale abbassamento, chiamata slump del conglomerato definisce il livello di lavorabilità.
1. D.3. TI N LEGA
D 23
D.3. 2.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • MALTE, CONGLOMERATI, ACCIAI CONTROLLO DEI CONGLOMERATI RESISTENZA CARATTERISTICA A COMPRESSIONE Sugli elaborati del progetto esecutivo e nella relazione tecnica (firmata dal Progettista e dal Direttore dei Lavori) deve essere riportata la qualità dei conglomerati da porre in opera tramite il valore della RESISTENZA CARATTERISTICA A COMPRESSIONE. Le modalità di esecuzione dei controlli sono riportate nell’Allegato n.2 del DM 9 gennaio 1996. Si riportano gli aspetti fondamentali di tali prescrizioni. Per resistenza caratteristica si intende quel valore di resistenza (a compressione) al di sotto della quale si presume si possa trovare il 5% degli elementi provati. Gli elementi su cui devono essere effettuate le prove sono cubi di spigolo 15÷16 cm. La confezione degli elementi di prova deve essere effettuata a cura (e responsabilità) del Direttore dei Lavori. Per la confezione e la stagionatura debbono seguirsi le indicazioni della UNI 6127 (settembre 1980) e l’esecuzione della prova deve essere effettuata da un Laboratorio Ufficiale (autorizzato). Sono previsti due tipi di controllo: tipo A e tipo B. Di regola si effettua quello di tipo A di cui si espongono le modalità di esecuzione:
PROVVEDIMENTI NEL CASO DI ESITO NEGATIVO DI UN CONTROLLO DI ACCETTAZIONE Il confezionamento dei cubetti relativi a un prelievo deve avvenire al momento del getto. I risultati dei tre prelievi relativi a un controllo di accettazione non possono essere noti al Direttore dei Lavori prima di almeno 28 giorni dalla esecuzione dei getti. Se l’esito del controllo risultasse negativo occorre provvedere in proposito. Supponiamo che per un controllo si siano avuti i risultati di prelievo (22,5; 26,7; 28,3) e che le prescrizioni di progetto prevedano Rck = 25 N/mm2
22,5+26,7+28,3 = 25,8 N/mm2 3 non è rispettata la condizione Rm ≥ Rck+3,5 = 25+3,5 = 28,5N/mm2 Poiché Rm =
e quindi l’esito del controllo è negativo. Occorre tener presente che al punto 5–3 dell’Allegato citato si prevede che “La domanda di prova al Laboratorio Ufficiale dovrà essere sottoscritta dal D.L. e dovrà contenere precise indicazioni sulla posizione delle strutture interessate da ciascun prelievo”.Il Direttore dei Lavori è quindi a conoscenza di quali siano le strutture afferenti al campione non conforme. Per prima cosa egli deve valutare quale sia la resistenza caratteristica attribuibile al campione interessato. Questa è definita dal minore dei due valori Rm–3,5 e R1+3,5
1) Prelievi e resistenza di prelievo Nel nostro caso Il Direttore dei Lavori deve prelevare dagli impasti, al momento della posa in opera, il conglomerato necessario per la confezione di due cubetti. Deve essere effettuato un prelievo: • ogni 100 m3 di getto o frazione di 100 m3 • ogni giorno di getto Quindi se in un giorno si gettano 230 m3 dovranno essere effettuati tre prelievi. Se in un giorno si gettano meno di 100 m3 dovrà effettuarsi un prelievo. Ogni coppia di cubetti viene sottoposta a prova di schiacciamento. La media aritmetica dei due risultati individua la “resistenza di prelievo”. 2) Campione (controllo di accettazione) Un “campione” è costituito da tre resistenze di prelievo (ovviamente successive nel tempo) e quindi è riferito a un massimo di 300 m3. Se indichiamo: con R1, R2, R3 le tre resistenze di prelievo con R1 ≤ R2 ≤ R3
R +R +R con Rm = 1 2 3 la loro media aritmetica; 3 con Rck la resistenza caratteristica, il controllo è positivo se risultano soddisfatte le due seguenti condizioni:
Rm–3,5 = 25,8–3,5 = 22,3N/mm2 R1+3,5 = 22,5+3,5 = 26N/mm2 Al campione in esame è quindi attribuibile Rck = 22,3N/mm2 Per prima cosa il D.L. interpellerà il Progettista affinché controlli se le tensioni massime nella zona interessata siano compatibili con la resistenza caratteristica ridotta dedotta dalle resistenze di prelievo. Se il controllo desse esito negativo in alcune sezioni od in alcuni elementi si deve procedere a una serie di controlli puntuali dei conglomerati prelevando (se possibile) elementi di conglomerato dai getti (carotaggi) e sottoponendoli a prove oppure procedendo a “prove non distruttive” dei conglomerati. Le principali prove di questo tipo sono: • prove sclerometriche (misura del rimbalzo di una massa battente); • prove per trasparenza con le quali si misura la velocità di trasmissione di ultrasuoni nel conglomerato. Emettendo un impulso dal trasmettitore e misurando il tempo di percorrenza dello spessore “s” tramite il ricevitore T si determina la velocità:
v= Rm ≥
(Rck+3,5) N/mm2
Rm ≥ (Rck+35)
Kg/cm2
s t
Il valore di tale velocità è un indice della compattezza del getto. Valori superiori a 4000 m/sec caratterizzano conglomerati ottimi.
R1 ≥ (Rck –3,5) N/mm2
R1 ≥ (Rck –35) Kg/cm2
ESEMPIO
1° Caso. Siano:
Si ha: Poiché risulta:
R1 = 23 N/mm2
R2 = 30 N/mm2
R3 = 34 N/mm2
Rck = 25 N/mm2
il controllo è positivo.
Si ha: Poiché si ha: il controllo è negativo.
D 24
È evidente che tali prove debbano essere effettuate da apposite Ditte specializzate. È bene non limitarsi a un solo tipo di prova. Le più efficaci sono le “prove comparate” effettuando più tipi di prova nei medesimi punti. Il confronto tra i vari risultati delle diverse prove permette una maggiore accuratezza dei controlli. Se gli esiti non fossero tranquillizzanti si potranno prevedere lavori di consolidamento. Al limite si procederà a una “dequalificazione” dell’opera ed eccezionalmente alla parziale demolizione e ricostruzione.
23+30+34 Rm = = 29 N/mm2 3 29 > 25+3,5 = 28,5N/mm2 23 > 25–3,5 = 21,5N/mm2
2° Caso. Siano:
• prove di penetrazione di “chiodi” standardizzati infissi nel conglomerato tramite apposite pistole. Il “rifiuto” rispetto alla penetrazione caratterizza un conglomerato compatto.
R1 = 27 N/mm2
R2 = 28 N/mm2
R3 = 28,5 N/mm2
Rck = 25 N/mm2
27+28+28,5 = 27,83 N/mm2 3 Rm < 25+3,5 = 28,5N/mm2 Rm =
CONTROLLO DEGLI ACCIAI DA CEMENTO ARMATO Pur essendo previsto solo l’uso di “acciai a produzione controllata” il Direttore dei Lavori deve effettuare controlli in cantiere (Punto 2–2–8–4 del DM 9 gennaio 1996). Egli a tale fine, deve prelevare tre spezzoni (marchiati) dello stesso diametro per ciascuno dei tre gruppi di diametri: da 5 a 10 mm; da 12 a 18 mm; oltre 18 mm. Per ogni partita che arriva in cantiere, tali spezzoni dovranno essere provati presso un Laboratorio Ufficiale. Sono richiesti i valori delle tensioni caratteristiche di snervamento e di rottura da confrontare con gli analoghi valori dichiarati dal produttore. Sempre al punto 2–2–8–4 si definiscono le ulteriori prove che il DL dovrà effettuare qualora i risultati fossero negativi. È opportuno ricordare (Punto 2–2–8–2 ultimo comma) che tutte le partite di acciaio debbono essere accompagnate da un certificato di produzione rilasciato da un Laboratorio Ufficiale e adeguatamente marchiate come previsto al punto 2–2–9. La data del certificato deve essere non anteriore a tre mesi a quella di spedizione.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
•
STATI DI SOLLECITAZIONE PRESSOFLESSIONE
A.ZIONI
STATO DI SOLLECITAZIONE Sia data una superficie piana che si suppone infinitamente rigida; supponiamo che essa risulti appoggiata su un materiale deformabile e che sia soggetta a una forza esterna N perpendicolare al piano e applicata in un punto C (centro di pressione) (Fig. D.4.1./1).
Esprimendo in tale modo le σi si il sistema (2) fornisce:
FIG. D.4.1./1 z
∫
∫
PIASTRA RIGIDA
N
A
y
A
∫
Assumiamo una terna di assi di riferimento come in figura e sia A l’area complessiva della superficie di contatto. Sull’areola elementare dA si ha una tensione unitaria σi normale alla superficie di contatto. Si ha quindi una forza elementare:
C
E ε0
∫
La condizione di equilibrio si ha quando il risultante delle forze elementari uguaglia la forza esterna N e i momenti risultanti delle forze elementari risultano rispettivamente uguali ai momenti indotti dalla forza esterna N, di valori N·yc e N·xc Le equazioni di equilibrio risultano:
∫ x dA+α ∫ xy dA+β ∫ x
2
i
A
i i
x FIG. D.4.1./2
equilibrio alla traslazione
c
A
D.GETTAZIONE
Se tra tutti i sistemi di assi centrali (aventi origine nel baricentro) si sceglie il sistema principale risulta nullo anche il momento di inerzia misto (Fig. D.4.1./3). Scegliendo tale sistema di riferimento il sistema precedente si disaccoppia completamente e diventa:
SUOLO DEFORMABILE
y
equilibrio alla rotazione intorno all’asse x equilibrio alla rotazione intorno all’asse y
xi
σi =
(1) Le incognite di tale sistema di equazioni risultano le σi variabili da punto a punto. Poiché i punti sono infiniti si hanno infinite incognite. Per risolvere il problema dobbiamo definire le infinite relazioni che collegano le deformazioni di tutti i punti con uno di essi preso come punto di riferimento. Abbiamo supposto che il piano di contatto sia infinitamente rigido. Quindi, a seguito della deformazione del suolo sottostante, la superficie di contatto resterà piana (ipotesi di conservazione delle sezioni piane).
yi
A
+
Mx Ix
· yi +
x
EI
My Iy
·xi
(4)
ε0 + α yi + β xi = 0
FIG. D.4.1./3
Mx = Nyc
e
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
sostituendo le espressioni di ε0, α , β e ponendo:
y
F. TERIALI,
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
Se riprendiamo la (2) e imponiamo la condizione εi = 0 otteniamo il luogo dei punti a deformazione unitaria nulla e quindi a tensione nulla (asse neutro). Si ha:
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
My = Nxc
si ha:
(2)
N
C (xc
;yc)
A
Occorre ora stabilire il legame tensioni–deformazioni. Supponiamo che il materiale costituente il suolo sia uniforme e che il legame tensioni – deformazioni sia lineare e omogeneo.
EI My
Si ritrova così la formula trinomia che, normalmente, viene dedotta come sovrapposizione di due delle formule di Navier.
La giacitura finale del piano può pertanto essere espressa tramite tre parametri; lo spostamento dell’origine (parallelamente all’asse z) e le rotazioni α e β rispetto agli assi x e y conseguentemente la deformazione unitaria del generico punto sarà esprimibile tramite:
εi = ε0+α ·yi+β ·xi
N
CO NTALE AMBIE
Mx
Sostituendo nella (3) si ha:
dA
E.NTROLLO
EA
E· β ·Iy = My → = β =
C (xc;yc)
PRO TTURALE STRU
N
E·α ·Ix = Mx → = α =
A
∫ σ y dA = N·x
dA = N xc
A
E·ε0 ·A = N → =
A
E ESE ESSIONAL PROF
A tale punto è opportuno tenere presente che la scelta del sistema di riferimento è totalmente arbitraria. Se pertanto si sceglie come origine il baricentro della sezione risulteranno nulli i due momenti statici.
σi xi dA
σi yi dA = N·yc
C.RCIZIO
A
Gli integrali che compaiono nel sistema sono rispettivamente; l’area della sezione; i due momenti statici rispetto a x e y, il momento di inerzia misto, i due momenti di inerzia rispetto agli assi x e y.
diretta come l’asse z, che si suppone avente verso positivo. La forza elementare σi dA dà luogo a due momenti elementari rispetto agli assi x e y di entità c e σi yi dA
∫
∫
A
A
σi dA
∫
I ED PRE NISM ORGA
A
E ε0 yi dA+α yi2 dA+β xi yi dA = N yc A
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII
∫
E ε0 dA+α yi dA+β xi dA = N
Si vuole determinare lo stato di tensione sulla superficie (piana) di contatto tra piastra e suolo deformabile (Fig. D.4.1./2).
σi dA = N
D.4. 1.
+
Nyc Ix
y+
Nxc Iy
x=0 →
x· xc Iy
+
y· yc Ix
=–
1 A
Le intersezioni di tale retta con gli assi di riferimento (principali) sono date da:
x
sull’asse y (x = 0) G
Avremo:
y =–
σi = E·εi legge di Hooke
y
x
Ix y A c 2. D.3. OLLO DEI R CONT LOMERATI CONG
con E = cost sull’asse x (y = 0) Sostituendo nella (2):
σi = E·(ε0+α yi+β xi)
(3)
x =–
Iy x A c
E 1. D.4. OFLESSION PRESS
D 25
D.4. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE PRESSOFLESSIONE
•
STATI DI SOLLECITAZIONE
➦ STATO DI SOLLECITAZIONE CASI PARTICOLARI 1)
Mx = 0
My = 0
N≠ 0
Mx ≠ 0
2)
(carico centrato) in tal caso:
si ha quindi:
My ≠ 0
Mx ≠ 0
3)
N= 0
in tal caso nella (4) manca il termine N e quindi l’asA se neutro passa per il baricentro.
β= 0 N εi = ε0 = EA
La sua equazione è:
σi = cos t = Eε0 =
N A
Dalla (4) si ha: σi =
Mx ·y Ix i
e l’equazione dell’asse neutro: σ i = 0
M Mx ·y+ y · x = 0 Ix Iy
Le tensioni sono date da: σi =
N= 0
(flessione retta intorno all’asse x)
(flessione deviata)
α= 0
My = 0
Mx ·y Ix e quindi: y = 0 (asse delle x) fornisce: 0 =
Mx My ·y + · xi Ix i Iy
L’unico parametro di M deformazione è la rotazione α di valore: α = x
EIx
CARATTERISTICHE INERZIALI DELLE SEZIONI SEMPLICI TAB. D.4.1/1 MOMENTI DI INERZIA E MODULI RESISTENTI D=2R
B
B
D=2R
y H
H
SEZIONE
H
y=H/2
y'
y
B
B
3
l momento di inerzia (cm4)
4
BH = 0,08 3 BH 3 12
Y distanza dall’asse neutro della fibra più distante (cm)
y=
H 2
y=
BH = 0,02 7 BH 3 36
2B 2
y=
2H 3
H
y’ =
R=
3
4
4
4
2
2 W BH = 0,0416 BH 24 2 2 W BH = 0,08 3 BH 12
3
BH 2 = 0,16 BH 6
A area della sezione (cm2)
2 B = 0,118 B3 12
BH
D 2
b/2
b
B
4
2
B 2
B
B 2
4
2
b
B
B
3
I=
B
3
BH –bh 12
y= 3
W=
3
I=
b 2
b
3
BH +bh 12
3
BH –bh 6H
BH– bh
H 2
b 2
y= 3
W=
y'
B
B
3
3
B
3
B y’ –(y’–h) I=
y’ =
3
+b y +(y’–h) 3
y = H–y’
2
3
BH +bh 6H
BH + bh
H 2
b 2
y
h'
H
b
4
2
b 2
b
y h
H
4
π (D –d ) 32 D
π (R –r )
h
D 26
D 2
π (R – r ) 4R
4
b/2
h
3
2 πR = πD
y
A area della sezione (cm2)
4
π (D – d ) 64
R=
πR πD3 = 4 32
BH 2
B2
b
l momento di inerzia (cm4) Y distanza dall’asse neutro della fibra più distante (cm) W modulo di resistenza (cm3)
4
π (R – r ) 4
πD 64
2
W = l/Y modulo di resistenza (cm3)
SEZIONE
4
πR 4
3
BH = 0,08 3 BH 4 12
BH +bh’(H+h) 2 (Bh + bh’)
W’ =
Bh + bh’
I y’
W=
I y’
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE METODI DI VERIFICA
D.5. 1. A.ZIONI
PREMESSA La legge 1086/1971 sancisce che la realizzazione delle strutture “deve avvenire in modo tale da assicurare la perfetta stabilità e sicurezza delle strutture e da evitare qualsiasi pericolo per la pubblica incolumità”. Sancisce altresì che “la costruzione deve avvenire in base al progetto esecutivo redatto da un ingegnere o architetto...”; che “l’esecuzione deve avere luogo sotto la direzione di un ingegnere o architetto...”; che “le opere... debbono essere sottoposte a collaudo statico... eseguito da un ingegnere o architetto...”. Per assicurare “la perfetta stabilità e sicurezza” è necessario: a. determinare le forze agenti su ogni elemento strutturale;
b. determinare lo stato di sollecitazione conseguente (valori della forza normale, di taglio, dei momenti flettenti, del momento torcente) per la generica sezione; c. controllare che sotto le azioni di cui al precedente punto si rientri entro i limiti di sicurezza stabiliti dalle norme vigenti al momento dell’esecuzione; d. una volta accertato che la sicurezza (resistenza e stabilità) è garantita occorre verificare che non si verifichino eventi che possano ridurre la fruibilità di quanto si vuole realizzare (il verificarsi di deformazioni permanenti, di deformazioni temporanee non compatibili con la destinazione d’uso; il verificarsi di fessurazioni nel caso del cemento armato, di entità tale da destare preoccupazioni almeno nei confronti della “durabilità” di quanto realizzato).
La scelta delle modalità da seguire per espletare quanto previsto in tali punti non può essere lasciata all’arbitrio del generico operatore: essa deve avvenire all’interno di modalità riconosciute come valide. Nel nostro paese sono riconosciute come valide (DM 9 gennaio 1996) quelle che afferiscono: • al METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI (DM 14 febbraio 1992) • al METODO SEMIPROBABILISTICO AGLI STATI LIMITE (DM 9 gennaio 1996). È altresì consentita l’applicazione delle norme Eurocodice 2 ed Eurocodice 3 con modifiche e integrazioni. Esaminiamo i principi fondamentali dei due metodi.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
TENSIONI AMMISSIBILI Per puntualizzare quanto si esporrà facciamo riferimento a un esempio semplice: una trave continua a due campate soggetta a carichi ripartiti (Fig.D.5.1./1).
c) Sulla base della qualità dei materiali definiti tramite i valori di Rck per il conglomerato e del valore “fyk” di snervamento dell’acciaio, la normativa stabilisce come si determinano i valori delle tensioni ammissibili:
FIG. D.5.1./1
(σ b)am A
B
(σ b)max’ Id
(τ b)max’
URB
(σ a)am
Ipotizzando un comportamento elastico lineare per i materiali (legge di Hooke) si determinano per tutte le sezioni (di appoggio e di campata) i valori di:
C
Is
(τ b)am
G.ANISTICA
(σ a)max’
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
Se per ogni sezione risulta
(σ b)max ≤ (σ b)am
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
(τ b)max ≤ (τ b)am
(σ a)max ≤ (σ a)am
a) Indichiamo con gs e gd i carichi permanenti (propri e portati) relativi alle due campate; con qs e qd i relativi carichi variabili (accidentali).
le verifiche richieste sono soddisfatte.
I valori suddetti debbono essere desunti dall’applicazione dei “valori caratteristici” definiti da appositi DM (DM 12 febbraio 1982 e DM 16 gennaio 1996).
Nota bene: se la struttura è in acciaio il confronto è tra le “tensioni ideali” e la tensione ammissibile. Deve risultare per tutte le sezioni:
(σ id )max ≤ (σ a)am
b) Si considerano le tre condizioni di carico (Fig.D.5.1./2): con la prima condizione ricaviamo
maxMAB maxTA
(in campata)
con la seconda condizione ricaviamo
maxMB maxTB
(sul vincolo)
con la terza condizione ricaviamo
maxMBC maxTC
(in campata)
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
d) Se la struttura è in c.a non sono obbligatorie altre verifiche. Se la struttura è in c.a.p. è obbligatorio controllare che per ogni sezione esaminata il momento di rottura sia almeno 1,5 volte maggiore del max momento agente. In particolari casi si richiede anche il controllo del momento di fessurazione.
(i massimi si intendono come valori assoluti).
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
Se la struttura è in acciaio è obbligatorio il controllo della deformabilità
FIG. D.5.1./2
qs gs
A
gd
B
C
A
qs
qd
gs
gd
B
qd gs
C
A
E 1. D.4. OFLESSION PRESS
gd
B
C
ICA 1. D.5. I DI VERIF D METO
D 27
D.5. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE METODI DI VERIFICA
•
STRUTTURE
STATI LIMITE Per prima cosa è necessario chiarire cosa si intenda per “stato limite”.Il concetto di “situazione limite” è comune anche nel vivere di tutti i giorni. Molte volte diciamo che una persona è “giunta al limite della sopportazione” oppure “giunta al limite delle possibilità economiche”, ancora più tragicamente “è giunta al limite della vita”. Esprimendoci in tale modo intendiamo implicitamente che l’evento non auspicabile (scatto d’ira, fallimento, morte) non si è ancora verificato ma si è vicinissimi a che si verifichi. Altrimenti diremmo”ha superato il limite di......”.In molti casi si effettuano studi preliminari per individuare il limite di “fattibilità economica” di una realizzazione. Supponiamo che la realizzazione da effettuare abbia come finalità quella di realizzare un utile sulla somma necessaria per la realizzazione. Lo studio di fattibilità (economica) deve individuare qual’è la somma massima investibile; intendendo per tale quella che determinerebbe un utile nullo. Se indichiamo con Sf tale somma e con Ss quella effettivamente spesa. Perché l’operazione presenti un utile deve risultare: Ss < Sf
Se si verifica Ss = Sf l’operazione è inutile. Se si verifica Ss > Sf l’operazione è fallimentare. Affinché non si verifichi l’evento non voluto (l’operazione fallimentare) è pertanto necessario che Ss ≤ Sf. Chiarito quanto sopra, indichiamo con R la “prestazione” massima che una struttura (o una sezione) può fornire in un determinato campo di richiesta. È evidente che il valore R rappresenta un valore limite, non superabile nell’ambito del campo di richiesta. Se indichiamo con A la richiesta è evidente che dovrà essere sempre A ≤ R che, formalmente esprime una condizione limite tra A e R. A tale punto è lecito domandarsi: la relazione formale può ritenersi valida per qualsiasi campo di richiesta? Se ad esempio il “campo di richiesta” è quello di deformabilità A rappresenta la deformazione compatibile con l’uso. Rappresenta la massima deformazione del sistema per azione dei carichi dovuti all’uso. Dato che all’evento deformazione sono comunque legati eventi (negativi) fastidiosi ma non coinvolgenti rischi nei confronti della pubblica incolumità è, al limite, accettabile che risulti A=R.
Supponiamo invece che il campo di richiesta sia quello relativo al momento flettente agente su una sezione. In questo caso l’evento da cui ci si vuole cautelare è “la rottura della sezione”. A tale evento (non voluto) sarebbero collegati comunque danni rilevanti e anche rischi per l’incolumità di persone. È pertanto evidente che in tale caso si debba usare una maggiore prudenza.
γa A ≤
R γr
con
γa > 1, γr > 1
Tale risultato si ottiene facilmente imponendo la condizione che la relazione formale si modifichi nella: Tale relazione si può esprimere nel seguente modo: “Occorre che la massima richiesta prevista, adeguatamente maggiorata, sia minore della prestazione prevedibile adeguatamente ridotta”. Siamo pertanto in grado di definire due tipi di “stati limite”: stati limite ultimi e stati limite di esercizio (o di servizio).
STATI LIMITE ULTIMI
STATI LIMITE DI ESERCIZIO (O DI SERVIZIO)
Sono quelli che contemplano eventi il cui verificarsi determinerebbe la rottura di una struttura (o di un suo elemento) oppure la perdita di equilibrio. Con riferimento a una sezione rientrano in tale ambito le possibilità di rottura per: forza assiale centrata; pressoflessioni o tensoflessioni; taglio; momento torcente. Con riferimento a un elemento strutturale rientrano in tale ambito tutte le possibilità connesse a fenomeni di instabilità. Con riferimento a una intera struttura rientrano tutte le possibilità di instabilità d’insieme: di trasformare l’intera struttura, o una parte di essa in una catena cinematica (labile). In casi particolari si possono avere “stati limite ultimi” per eventi giudicati possibili (ad esempio esplosioni di entità contenuta). Per tutti gli stati limite ultimi la relazione formale da rispettare è: R dove logicamente A e R indicano: richiesta e possibilità di γa A ≤ prestazione relative allo stato limite preso in esame. γr
Come quelli che contemplano eventi il cui verificarsi determinerebbe una riduzione di fruibilità oppure una possibilità di deterioramento non rientrante entro “standard” accettabili. Gli stati limite più comuni per c.a. normale e c.a.p. sono: • di massima tensione in esercizio per controllare che con i carichi di esercizio non si abbiano tensioni tali da non garantire un comportamento elastico (tale verifica è obbligatoria); • di deformabilità. Tale verifica può essere omessa se i rapporti altezza e lunghezza dell’elemento strutturale rispettano alcune condizioni poste dalla Normativa (punto 4-3-3-3 DM 9 gennaio 1996); • di formazione e di ampiezza delle fessure (obbligatoria); • fenomeni di fatica (verifica delle armature) nel caso che ne esistano le cause. Per strutture in acciaio si debbono verificare gli stati limite di: • deformabilità; • di fatica (se necessaria).
La verifica è obbligatoria per tutti gli stati limite possibili. Per tutti gli stati limite di esercizio la relazione formale si esprime con A ≤ R.
AZIONI DI CALCOLO PER GLI STATI LIMITE ULTIMI E DI ESERCIZIO Abbiamo visto che nel caso degli stati limite ultimi la “richiesta” A deve essere adeguatamente maggiorata. Tale maggiorazione viene ottenuta considerando: CONDIZIONI DI CARICO ULTIME La definizione è data nella Parte generale. Punto 7 del DM 9 gennaio 1996. Per chiarire le modalità applicative consideriamo il semplice esempio esaminato per il caso delle tensioni ammissibili. Si premette che i valori dei carichi permanenti e accidentali debbono essere incrementati, mantenuti, ridotti in modo che per la sezione presa in esame si abbia la più gravosa condizione possibile. Carichi permanenti Carichi accidentali
γg 1,4 oppure 1 γq 1,5 oppure 0
Si hanno pertanto le seguenti condizioni di carico (Fig. D.5.1./3): • Con la prima condizione si determinano maxMab maxTa • Con la seconda condizione si determinano maxMb maxTb • Con la terza condizione si determinano maxMbc maxTc Tali valori debbono risultare minori (al limite uguali) delle analoghe resistenze ridotte. Il calcolo delle rispettive resistenze ridotte verrà esposto nelle parti relative alle tecniche.
COMBINAZIONI DI CARICO RARE Tali combinazioni sono identiche a quelle esaminate per il metodo delle tensioni ammissibili. Sulla base dei valori relativi si determinano (con il metodo delle tensioni ammissibili) le massime tensioni nel conglomerato e nell’acciaio. Tali valori non debbono superare i valori massimi definiti al punto 4-3-2 del DM 9 gennaio 1996 per il c.a normale e al punto 4-3-45 per il precompresso. Tali valori vengono altresì usati per controllare lo stato limite di fessurazione nel caso di “ambiente molto aggressivo” e della deformazione (se necessario). CONDIZIONE DI CARICO FREQUENTE In tale condizione si assume (come per quella rara) l’intero carico permanente g e i carichi accidentali ridotti sempre però disposti in modo da determinare le più gravose condizioni per la sezione esaminata. I coefficienti riduttivi (Parte generale - Punto 7 del DM 9 febbraio 1996) possono essere assunti: • 0,5 per abitazioni; 0,6 per uffici, negozi, scuole, ecc.; • 0,7 per autorimesse; 0,2 per vento e neve. Tale condizione viene utilizzata per la verifica di alcuni stati di fessurazione. CONDIZIONE DI CARICO QUASI PERMANENTE In tale condizione si assume l’intero carico permanente g e i carichi accidentali ridotti ulteriormente rispetto alla condizione frequente. Per le stesse destinazioni d’uso si hanno rispettivamente i coefficienti 0,2; 0,3; 0,6; e 0,0 per vento e neve. Tale condizione viene utilizzata per le verifiche di fessurazione e di deformabilità (se necessario).
FIG. D.5.1./3 1,5qs 1,4gs
A
D 28
gd
B
C
A
1,5qs
1,5qd
1,4gs
1,4gd
B
1,5qd gs
C
A
1,4gd
B
C
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE METODI DI VERIFICA
A.ZIONI
SCHEMI STRUTTURALI ELEMENTARI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. D.5.1./1 TABELLE PER IL CALCOLO DELLE TRAVI SEMPLICI
l/2
l/2
a
P
I ED PRE NISM ORGA p
C
C
B
A
E ESE ESSIONAL PROF
B
l
l
Ma Mc sin = 1
Pl Mmax = Mc = 4
C.RCIZIO
C
A
B
l
MOMENTI FLETTENTI
B.STAZIONI DILEGIZLII
b
M
SCHEMA A
D.5. 1.
Mb Mc des = + 1
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
Pl 2 Mmax = Mc8
E.NTROLLO
Mc des - Mc sin = M
CO NTALE AMBIE
TA =
TAGLIO
P 2
TB =
TA = TB = -
Pl 3 fc = 48 ·EJ
FRECCIA
ROTAZIONE
P 2
ϕA =
Pl 2
TA =
Mab (b-a) fc = 3·EJ·1
ϕB =
16 ·EJ
M 1
Pl 2
16 ·EJ
ϕA =
M (l 2-3b2)
fc =
M (l 2-3a2) 6·EJ·1
ϕB =
6 ·EJ·1
pl 2
F. TERIALI,
pl 2
TB =
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
5pl 4 38·EJ
ϕA = - ϕB = -
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
pl 3 24·EJ
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
P SCHEMA
p
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
M A
B
A
B
A
B
l
l
l D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
MOMENTI FLETTENTI
MA = - Pl
MA = - M
MA =-
D.5. TURE T STRU
Pl2 2
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
TAGLIO
FRECCIA
ROTAZIONE
TA = P
fb =
ϕB = -
TA = 0
pl 3 3·EJ
pl 2 2·EJ
fb =
Ml 2 2·EJ
ϕB =
Ml EJ
TA = pl
fb =
ϕB =
pl 4 8·EJ
pl 3 6·EJ
➥
ICA 1. D.5. I DI VERIF D METO
D 29
D.5. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE METODI DI VERIFICA
•
STRUTTURE
➦ SCHEMI STRUTTURALI ELEMENTARI ➦ TAB. D.5.1./1 TABELLE PER IL CALCOLO DELLE TRAVI SEMPLICI
l/2
p
p
l/2 P
SCHEMA A
A
B
B
MOMENTI FLETTENTI
MA = +
TA = -
TAGLIO
fb =
pl 3
pl
pl 3
TAGLIO
FRECCIA
fc =
C
A
x'
B
Pl 2 l2
|M -|max = MA = -
Pl 2 24
M +max = Mc =
Pl 2
pl 4
TA =
fc =
11 ·P 16
3Pl l6
7Pl 3 768 ·EJ
fmax =
384·EJ x = 1-
1
MA = -
5Pl 32
TB =
Pl 2 8
M +max = -
D 30
ϕA = ϕB = 0
ϕB =
5 ·P 16
5 · Pl 3 240 EJ
= 0,5531
Pl 2 32·EJ
9Pl 2 128
in x’ = 0,3751
TA =
5 ·pl 8
fc = fmax = 1,04 fc
TB =
3 ·pl 8
pl 4 192·EJ per
x = 0,42151
5
ROTAZIONE
B
l
l
TA = -TB = -
pl 3 192·EJ
p
B
M +max = Mc =
P 2
l/2
C
|M|max = MA = MB -
8
P
l
MOMENTI FLETTENTI
pl
ϕ A = ϕB = 0
SCHEMA A
MC =
8
fc =
8 ·EJ
p C
pl
TA = -TB = -
2
l/2
l/2
MA = MB = -
11pl 4 120 ·EJ
ϕB =
24 ·EJ
l/2
pl 2 3
TA = -
2
30·EJ
ϕB =
ROTAZIONE
pl
B
l
MA = +
6
pl 4
fb =
FRECCIA
pl 2
C
A
l
l
ϕB = -
pl 2 32·EJ
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE METODI DI VERIFICA
D.5. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
➦ TAB. D.5.1./1 TABELLE PER IL CALCOLO DELLE TRAVI SEMPLICI
a
b
a
p SCHEMA
B.STAZIONI DILEGIZLII p
p
C
C
B
A
I ED PRE NISM ORGA
b
A
l
C
A
B l
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
B
l
D.GETTAZIONE pa2 MA = 2
MOMENTI FLETTENTI
TA2
Mmax =
pl2
Mmax =
2p
3
in x =
3
9 3
l
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
a 2l
TA = pa 1-
TA = pa
TAGLIO
Ta =
pa2 2l
pl 6
TA =
pl 3
TB = -
FRECCIA
pa4 4b fa = 1+ 3a 8EJ
pa2l fc = 24EJ
fmax = 0,00652
3a2 7a 4+ l l2
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
pl 4
pa4 fc = 8EJ
F. TERIALI,
URB
EJ
in x0 = 0,51931
ϕc = ϕa =
ROTAZIONE
pa3
ϕA =
6EJ
pa2l 6EJ
2
a
1
ϕB =
2l
pl3 8 · 360 EJ
ϕA =
pl3 7 · 360 EJ
pl3 8 · 360 EJ
ϕB =
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
p
p
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
M
SCHEMA C
A
A
l
MOMENTI FLETTENTI
pl2 Mmax =
2
12
pl2
Mmax =
l
B
l
1
in x =
B
A
C
B
in x =
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
1
MA = +
5
15 5
M
MB = - M
2
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
TAGLIO
TA =
pl 4
TB = -
pl 4
TA =
4pl 10
TB = -
pl 10
TA = -
3 M · 2 l
costante su tutta la trave
FRECCIA
ROTAZIONE
fc =
pl 4 120 ·EJ
ϕA = ϕB =
5pl3 · 192·EJ
fmax =
0,002195 ·pl 4
ϕB =
EJ
pl 3 120·EJ
f=
Ml 2 27·EJ
ϕB =
per x =
2 ·l 3
Ml 4 ·EJ ICA 1. D.5. I DI VERIF D METO
D 31
D.5. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE METODI DI VERIFICA
•
STRUTTURE
➦ SCHEMI STRUTTURALI ELEMENTARI TAB. D.5.1./2 TABELLE PER IL CALCOLO DELLE TRAVI CONTINUE A DUE LUCI
p
A
B
C
l
A
B
nl
1 8
MB = -
l l+n
l
1 · 8
n3
C
l
A
nl
1 24
C
l
nl
1 8
MB = -
pl 2
l+n
l+n 3 l+n
pl 2
p
B
MA = -
B
nl
MB = -
pl 2
A
C
p
A
p
p
3n+2 n+ l
1 12
l+n
MC = +
1 24
l+n
C
l
·pl 2
l
MB = -
B
·pl 2
· pl 2
1 24
n3 l+n
MB = -
1 12
n3
MC = +
A
nl
MA = +
l
p
1 24
nl
MA = -
1 24
·pl 2
MC = +
l+n
p
3n+2-n3
·pl 2
l+n
1 12
MB = -
·pl 2
n2(3+2n)
C
l
·pl 2
l+n
B
l - n3 l+n
·pl 2
n2(3+2n)-l
1 24
·pl 2
l+n
p p
A
B
C
A
B
C B
A l
MA = -
MB = -
D 32
nl
1 4
1 4
l+2n 3+4n
l
·pl 2
l ·pl 2 3+4n
nl
MA = -
1 4
MB = -
1 2
n3 3+4n
l
·pl 2
n3 ·pl 2 (3+4n)
C nl
MA = -
1 4
l+2n-n 3
MB = -
1 4
l+2n 3
·pl 2
3+4n
(3+4n)
·pl 2
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE METODI DI VERIFICA
D.5. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
➦ TAB. D.5.1./2 TABELLE PER IL CALCOLO DELLE TRAVI CONTINUE A DUE LUCI
p
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
p
p
A C
B
B
C
A
B
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
C
A
l
l
nl
nl
l
nl
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
n3
1 4
MB = -
n 2 (n+2)
1 4
MC = +
·pl 2
1 2
l 3n+4
1 4
l ( 3n +4)
MB = -
3n+4
·pl 2
MC = +
3n +4
·pl 2
1 4
MB = -
MC = -
·pl 2
n 3+ 2 (3n+4)
CO NTALE AMBIE
(n+2)·n 2 -1
1 4
E.NTROLLO
·pl 2
3n+4
F. TERIALI,
·pl 2
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
TAB. D.5.1./3 TABELLE PER IL CALCOLO DELLE TRAVI CONTINUE A TRE LUCI
URB
p
p
A
p
B l
A
D
C
l
ml
nl
B
C
D
A l
ml
nl
C
B
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
D ml
nl
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
posto K = 3n2+4(n+m+nm)
MB = -
1 2
MB = -
1 4
n 3 (2m+n)
MC = -
1 4
n 3 (2+n)
K
m+n ·pl 2 K
1 MC = + 4
n ·pl 2 K
·pl 2
MB = +
MC = -
·pl 2
K
n+m 3
1 4
K
m 3 (l+n)-1
1 2
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
·pl 2
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
·pl 2
K
D.5. TURE T STRU
p
p
A
B l
MB = -
1 4
MC = -
A
D
C
2·(n+m)+n 3 ·(2m+n) K
n 3 (2+n) - n 1 · ·pl 2 4 K
B l
ml
nl
·pl 2
p
C
MB = -
1 4
MC = -
1 · 4
D
A
B l
ml
nl
2·( n+m)-n·m 3 K
2m 3 ( 1+n)-n K
·pl 2
·pl 2
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
p
D ml
1 4
n 2 ·(2m+n )-n·m 3
1 · 4
n 3 (2+n)+2m 3 (1+n) K
MB = -
MC = -
C nl
K
·pl 2
·pl 2
➥
ICA 1. D.5. I DI VERIF D METO
D 33
D.5. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE METODI DI VERIFICA
•
STRUTTURE
➦ SCHEMI STRUTTURALI ELEMENTARI ➦ TAB. D.5.1./3 TABELLE PER IL CALCOLO DELLE TRAVI CONTINUE A TRE LUCI
p
p
A
B
C
l
A
D
B
ml
nl
2·(n +m)-nm 3 +n 3 ·(2 m +n) K
·pl 2
1 8
MA = -
MB = -
1 MC = · 4
n 3 (2+n)+2m 3 (1+n)-n ·pl 2 K
1 2
MC = +
N -4 n -3 m N
1 4
C
B l
D
MA = -
1 4
m 3 ·n N
·pl 2
MB = +
1 2
m 3 ·n N
·pl 2
MC = -
1 4
MD = -
1 8
C
MA = -
MB = -
C
(N-4n-3m)-2n 3 (2n+ 3m) N
1 · 4
(4n+ 3m) + 2n 3 (2n+ 3m) N
MC = -
1 · 2
MD = +
D
1 · 4
n 3 (3+2 n)-n N
n 3 (3+2n)- n
·pl 2
·pl 2
·pl 2
MD = -
N
A
B l
C
1 (N -4n -3m)-2n 3 (2n + 3m) + 2m 3 n · ·pl 2 N 8
MB = -
1 · 4
4n+3m-2 m 3 n N
·pl 2
MB = -
1 · 4
MD = -
1 · 8
2n+m 2 (N-4nm -3m) N
MC = -
·pl 2
1 2
n 3 ·(3+2n ) N
·pl 2
MD = +
1 4
n 3 ·(3+2n ) N
·pl 2
B
MD = -
1 · 4
1 · 8
(4n+ 3m )+2 n 3 (2n+ 3m)-2m 3 n N
m 3 (4n+3)+2n 3 (3+2 n )-2 n N
·pl 2
·pl 2
2 n + 2n 2 (3+2n)+m 2 (N- 4 nm-3m) N
C
D ml
nl
MA = +
1 · 4
n 3 (2 n +3 m)- m 3 n
MB = -
1 · 2
n 3 (2n+ 3m)-m 3 n N
1 · 4
N
n 3 (3+2 n)- m 3 (4n+3) N
·pl 2
·pl 2
·pl 2
1 2nm 3(3n+2m)+3m2(m+2n)-n 3(3+2n) · ·pl 2 4 N
B
·pl 2
D
C
l
MA = -
·pl 2
MC = -
A
D ml
nl
·pl 2
N
n 3 ·(2 n +3m) ·pl 2 N
·pl 2
p
N -4 n-3 m+2 m 3 n N
m 3 (4n+3)-2n
1 2
p
1 · 8
1 · 4
MB = -
MC = -
·pl 2
MA = -
MC = -
n 3 ·(2 n + 3m) N
l
1 · 8
ml
nl
1 4
A
D ml
nl
p
B l
D 34
B l
p
A
A
·pl 2
MA = +
p
m 3 ·(4n+3) ·pl 2 N (N-4nm-3 m )m 2 N
n ·pl 2 N
D ml
nl
p
ml
nl
1 4
MD = -
p
A
·pl 2
4n+3m ·pl 2 N
n ·pl 2 N
C
l
posto N = (4n+3m)(4n+3)-4n2
1 MB = 4
B
A
D
C
l
ml
nl
p
ml
nl
posto A = (4n+3m)(l+n)-n2
MB = -
1 8
(4 n+3m) A
MC = +
1 4
n ·pl 2 A
MD = -
1 8
n ·pl 2 A
·pl 2
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE METODI DI VERIFICA
D.5. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
➦ TAB. D.5.1./3 TABELLE PER IL CALCOLO DELLE TRAVI CONTINUE A TRE LUCI
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
p p
p
C.RCIZIO A
B
C
l
A
D
B
l
ml
nl
C
A
D
B
ml
nl
C
l
E ESE ESSIONAL PROF
D ml
nl
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
MB = -
MC = -
MD = +
1 8
n2(2n+3 m)
1 4
n3·(2+n)
A
·pl 2
n3·(2+ n )
MD = -
·pl 2
A
m3n ·pl 2 A
1 8
m2
1 8
·pl 2
A
(4 n +3 m)+ n 3(2 n+3m) A
1 8
MB = -
m3(1+ n )
1 4
MC = -
·pl 2
A
1 8
MB = +
MC = -
A-m (1+n)
·pl 2
A
MD = +
1 4
n 3(2 +n)-n
1 8
n 3(2 + n )- n
A
A
E.NTROLLO
·pl 2
CO NTALE AMBIE
·pl 2
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
·pl 2
G.ANISTICA URB p
A
B l
1 8
D
n 3(2n+ 3m)- m 3·n A
B
C
·pl 2
A
MD = -
A
D
MA = +
·pl 2
MB = -
A
m 3(1+ n)- n A
·pl 2
A
MC = -
C
1 8
1 4
n 3(2 m+ n )-m 3·n
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
·pl 2
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
B
n 3(2 m+n )- m 3·n B
m 3(4n+3)+n2·
1 8
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
D ml
nl
·pl 2
n +m 2· A-m· ( l+n )
1 8
B l
4 n+ 3m-m 3·n
1 4
MC = -
·pl 2
A
1 8
p
ml
nl
MB = -
·pl 2
-n 3(2+n )+m 2· A-m· ( l+ n)
1 8
p
l
n 3(2+ n )+m 3·(1+ n)
1 4
MC = -
A
ml
nl
MB = -
MD = -
C
p
·pl 2
2B-(2m+n )(4n+ 3) ·pl 2
B
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
p
p
p
p
B
A l
MA = -
1 8
D
A
ml
1 4
(m+ n)+n 3(2 m+ n ) B
MA = -
·pl 2
n 2 2B-(2 m+ n)(4 n+ 3) -n B
B
C
l
B-(m+n )- n 3(2 m-n ) ·pl 2 B
1 8
MB = -
MC = -
C nl
·pl 2
D
(B-m-n + m 3·n )
1 8
B
MB = -
1 4
MC = -
1 8
A
B
ml
nl
(m+n)- m 3·n) B m 3(4n+3)-n B
l
·pl 2
·pl 2
·pl 2
MA = -
MB = -
MC = -
1 8
C
D ml
nl
m 3·n+B-(m+n )-n 3(2m+n)
1 8
B 1 4
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
(m+ n )+n 3·(2m + n)-m 3·n B
·pl 2
·pl 2
m 3 (4n+3)-n+n 2 · 2B-(2m+n)(4n+3) B
·pl 2 ICA 1. D.5. I DI VERIF D METO
D 35
D.5. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE METODI DI VERIFICA
STRUTTURE
•
➦ SCHEMI STRUTTURALI ELEMENTARI TAB. D.5.1./4 TABELLE PER IL CALCOLO DEI PORTALI INCASTRATI
TAB. D.5.1./5
l = momento di inerzia generica l0 = momento d’inerzia sezione in chiave ϕ = angolo d’inclinazione della tangente
l a
P
D
D
h
Ih
y
A
MA
x
x
ll h · lh l
k=
b
a C
F
B f
B vA
X=
α=
MB
β=
b l
k=
Il h · Ih l
XB =
VA =
Fb l
VB =
Fa l
MC =
F·h ·k η2 · 2
3 1- η + k+2 1+6k
MD = -
VB l
k 3F·h· η · l 6k+1 3 1- η k+2 1+6k
B
HB
HA
X A = F-Xl
F·h · k η2 · 2
HA = HB =
5 Fl ab ab · · · l+ 8 f l2 l2
Fa - HA ·f 2
a≤
·
l l+v
1 2
b
a p C
f
M A = M C +X B ·h-Fy
M S = M C +VA ·a
M C = M A -Xh
A
η2 F · · 3·(k+1)- η (2k+1) 2 k+2
MC = -
Pb M B -M A VA = · l l
MB
VA
y h
η=
V=
5 k-l+ 2 β (k+2) (k+2)·(6 k+1)
V B = P-V A
xB v
MA
5 k-l+ 2 α (k+2) (k+2)·(6 k+1)
Pab 2l
MB =
xA v
vB
3 Pab · 2 hl·(k+2)
Pab 2l
MA =
a l
l0 15 · 8·f 2 A0
F
Ih A
v=
all’arco rispetto all’orizzonte A = area della sezione in chiave
It
C
It
C
h
l
b
M D = M B -Xh
A
M S = M A +X A ·y
M B = M D +X B ·h
HA VA
l
B
HB VB
l
l
p It
C
It
C
D
V B=
D q
h
B
v
x
x
xA v
v
MC =
M C=
B
MA
pa2 1 - HA ·f a ≤ 4 2
y A
A
HA =HB=
pl 2 a2 l a3 a2 · · 5-5 · +2· · 16f l 2 l 3 l+v (*) l2
h
Ih
Ih
pa2 V = p a-VB 21 A
xB v
MA
MA
MB
pl 2
a a2 · 4 · - 2· -1 - HA ·f l2 l
8
a
a≥
1 2
b C
k=
Il h · Ih l
V=
pl 2
Il h k= · Ih l
X A =qh-X B
f
pl2
MA =
4h·(k+2)
MC = -
pl2 6(k+2)
pl2 12(k+2)
qh2 · 24
MB =
h
qh2 k V= · l 6k+1
qh 2k+3 XB = · 8 k+2
X=
p
A
M A = M B +Vl -
=-2M A
VB
VA
5k+9 12k k+2 6k+1
B
HB
HA
l
qh2
-VA = VB =
2
M C = M B +Vl - X B ·h
-HA =
ph2 21
pf a a a2 · · 28-63 +70 -112 7 l l2 l
a4 +112 l4
a5 -32 l5
M D = M B - X B ·h
M max
pl2
3k+2 = · 24 k+2
M max =
X2A 2q
+M A
per y=
XA q
H B = ph + H A
MC =
a6 l 6(*)
ph2 - HB · f 4
(*) Queste formule valgono solo per arco di forma parabolica con: l cos ϕ = l0
D 36
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE METODI DI VERIFICA
A.ZIONI
TRAVE, ARCO, FUNE: TRE SOLUZIONI DIVERSE DELLO STESSO PROBLEMA Supponiamo che in essa sia stato trasportato il carico
PREMESSE Supponiamo che il problema che vogliamo risolvere consista nel trasportare i carichi uniformemente ripartiti su una lunghezza agli estremi della lunghezza stessa. (Figg. D.5.1./4 e D.5.1./5).
p( l - x). Operando come abbiamo fatto per la posizione 2 di mezzeria, nella posizione generica il momento necessario è dato da:
M (x) = C = T = cost T (x)
p
=
B
A l
Per prima cosa dobbiamo decidere quali aliquote del carico totale dato da P = pl vogliamo trasportare agli estremi A e B. Per semplicità cominciamo con l’ipotesi che tali aliquote siano uguali tra loro e quindi pari a p · l
2 FIG. D.5.1./5
pl 2
pl 2
px2
+p
2
pl l x - px2 = 2 2
x-
px2 2
È opportuno rilevare che fino a ora non si è parlato di struttura. Siamo ora in grado di definire quale sia il compito di qualsiasi struttura immaginabile per effettuare il trasporto di forze richiesto: la struttura, comunque realizzata, deve sviluppare in ogni progressiva il momento necessario definito dalla relazione (2). Occorre ora ricordare che un momento può essere realizzato solo tramite una coppia di forze e cioè da due forze parallele di uguale intensità e di versi opposti. Se indichiamo con C e T l’intensità delle due forze e con t la loro distanza, dovrà pertanto risultare, per ogni progressiva, che:
C · t = T · t = M (x) Immaginiamo ora che la struttura sia realizzata mediante una “trave” appoggiata in A e B con profilo ideale a doppio T con anima molto sottile. Vediamo qual è la funzione dell’anima. Supponiamo che la distanza tra i baricentri delle due ali sia costante (Fig. D.5.1./7).
A
C
C
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
T
T
Se si realizza tale condizione per tutti i valori di x, l’anima della trave non assolve alcuna funzione e pertanto può essere eliminata dando luogo al tipo strutturale noto come “arco con catena”. Qualora i vincoli esterni siano in grado di esplicare anche la funzione assolta dalla catena abbiamo un “arco incernierato agli estremi”(Fig. D.5.1./10). Stabilita la freccia f, il momento S · f deve essere uguale al momento definito dalla (1). (Fig. D.5.1./11).
p·l
p·l applicata in A; 2 p·l p·l • la coppia (+ ) e () dove la prima è appli2 2 l cata alla distanza da A e la seconda nel punto A. 4 • la forza
A
C
pl pl2 · l = 8 2 4
Consideriamo ora una parte di trave (concio) definito da due valori delle ascisse x1 e x2 (Fig. D.5.1./8). Tramite la (2) possiamo calcolare i valori di M1(x1) e
M2(x2) con x1 < x2 < l . 2 nella figura) C2 = T2 =
B
arco incernierato agli estremi
D.5. TURE T STRU
FIG. D.5.1./11
A
C1
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
f S
S
B
l
C2
p( l - x) 2
t
T2
x1
x
A
M2 M1 , C1 = T1 = . t t
T1
px
URB
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
In tale caso risulta M2 > M1 e quindi (con i versi riportati
FIG. D.5.1./6
A
B
arco con catena
T
FIG. D.5.1./8
p( 2l - x)
G.ANISTICA
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
t
(1)
Consideriamo ora una generica posizione (tra il punto A e la mezzeria) definita tramite l’ascissa x dove 0 ≤ x ≤ l (Fig. D.5.1./6). 4
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
Il momento di tale coppia è dato da
M=
F. TERIALI,
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
l 4
, che Nel punto A deve essere trasferita la forza risulta applicata nel baricentro della relativa 2 stesa di carico. Dalla statica sappiamo che se a un sistema di forze si aggiunge una coppia di braccio nullo il nuovo sistema è equivalente a quello iniziale. p·l p·l Aggiungiamo allora una coppia + e2 2 in corrispondenza del punto A. Il nuovo sistema di forze può essere considerato come costituito da:
I ED PRE NISM ORGA
D.GETTAZIONE
FIG. D.5.1./10
FIG. D.5.1./7
B.STAZIONI DILEGIZLII
E ESE ESSIONAL PROF
FIG. D.5.1./9
(2)
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
C.RCIZIO
2
2
pl 2
Supponiamo ora che il braccio t delle coppie vari secondo una legge dello stesso tipo della legge di variazione dei momenti definita dalla (2) (Fig. D.5.1./9), tale quindi da realizzare la condizione:
M(x) = px · x + p ( l - x) · x =
FIG. D.5.1./4
D.5. 1.
x2
Essendo t = cost risulta C2 > C1, T2 > T1. Sul tratto x2 -x1 agiscono pertanto le due forze C2-C1, T2-T1, e che tendono a fare “scorrere” la parte superiore rispetto a quella inferiore: il valore assoluto di tali forze definisce la “forza di scorrimento” relativa al concio in esame. Volendo impedire tale scorrimento è necessario che l’ala superiore e l’ala inferiore siano tra loro collegate da un’anima (o da un altro sistema resistente).
pl 2 A
y S
S
x
Abbiamo quindi:
Sf =
pl2 pl2 , S= . 8 8f ➥
ICA 1. D.5. I DI VERIF D METO
D 37
D.5. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE METODI DI VERIFICA
•
STRUTTURE
➦ TRAVE, ARCO, FUNE: TRE SOLUZIONI DIVERSE DELLO STESSO PROBLEMA L’ordinata y per la generica sezione si ricava dal momento dato dalla (2):
y= M = 1 S S
Alla generica ascissa x si ha:
x p(x) = — p l
2 2 [ plx - px ] = 8f [ plx - px ] = 2 2 2 pl2 2
2 = 8f [ x - x ] = 4f [ x 2l 2 2l l
2 Il taglio si annulla per l - x = 0 e quindi x = 6 2l
2
Il risultante sarà:
l2 = l 3 √3
Per questo valore della x si avrà il momento massimo:
R=
Ritorniamo ora al momento definito dalla (2). La funzione relativa coincide con la legge di variazione del momento flettente di una trave semplicemente appoggiata soggetta al carico uniformemente ripartito. Tale condizione vale per qualsiasi condizione di carico. Per tracciare quindi la configurazione dell’arco corrispondente a una condizione di carico qualsiasi si può procedere nel seguente modo: a) Determinare analiticamente (o graficamente) la legge di variazione dei tagli e dei momenti flettenti di una trave semplicemente appoggiata soggetta allo stesso tipo di carichi che si prevedono per l’arco. b) Determinare la sezione di momento massimo (taglio nullo) e il valore del relativo momento Mmax .
— — x3 p px 2 2 [lx ]= [l - x ] l 6 6l
b) Il momento massimo si ha per x = l
√3
Mmax =
Mmax =
4 · 602 = 923,76 tm 9 · √3
M(
Ponendo f =10 m la spinta è data da:
S=
Mmax
923,76
=
f
10
pa a a )= · 2 2 2
y
a
= 92,376 tonn
d) La legge di variazione dell’ordinata dell’arco in funzione della variabile x è data da:
y=
a si ha: 2
-
pa2 pa2 = a 8 8
FIG. D.5.1./14
b x
f
S
A
M(x) f = · M(x) S Mmax
h
l 60 = = 34,64 m √3 √3
e per tale posizione si ha y = f = 10 m Calcoliamo i valori di M(x) e le relative y per alcuni valori di x. x
M(x)
15
562,5
30
M(x)/Mmax
y
0,609
6,09
899
0,876
8,76
34,64
923,76
1,00
10,00
45
787,5
0,852
8,52
S
B Indicando con S il valore della spinta si ha:
M(a) f=
ARCO ZOPPO
h=
2
h M(h) lb = a =-p 2 f M( ) 2
Sia dato un sistema isostatico come in Fig. D.5.1./13.
FIG. D.5.1./12
Per x =
L’arco corrispondente a tale schema isostatico è un arco zoppo come in Fig. D.5.1./14.
Nel caso in esame Mmax si ha per x =
Facciamo seguire un esempio numerico. Si vuole determinare la linea d’arco nell’ipotesi che l = 60m, la freccia massima prevista sia 10,00 m e il carico risulti distribuito con legge triangolare con intensità massima -p = 4t/m. (Fig. D.5.1.12).
e quindi risulta:
— — — l l2 2 p p 1 pl2 · [l2 ]= · · · l2 = v 6 √3·l 6 √3 3 3 9√3
f
e) La legge di variazione della risultante per ogni sezione è data da: R(x) = S2 + T(x)2 dove T(x) è il valore del taglio nella trave semplicemente appoggiata. La direzione della risultante è quella della retta tangente alla curva nel punto considerato.
pl2 pa pl2 pl pl pl·b M(l) = RAl = l= (a-l)=(l-a)=- a 2 2 2 2 2 2
c) Con — p = 4t/m, l = 60 m si ha:
c) Assegnato il valore desiderato per la freccia si calcola il valore della reazione orizzontale ai vincoli dell’arco Mmax . data da S = d) Dividendo la funzione M = M(x) per il valore di S otteniamo la legge di variazione y = y(x) delle altezze dell’arco nei suoi vari punti.
a x2 x x-p =p (a - x) 2 2 2
Si ha, logicamente, M(a) = 0. In B assume il valore:
M(x) =
2 22 · l2 = ( pl )2 + p l = pl · 1 · ( l )2 +1 8f 4 16 f 2 4
a a ) = p (b + ) 2 2
Il momento varia con la legge:
M(x) = p
ovvero:
In particolare per x = 0 si ha:
RB = p (l -
T = RA - p · x = p ( a - x ) e si annulla per x = a d 2 2
— pl px x2 x3 p M(x) = ·x· = [lx- ] 6 l 6 l 6
S2 + p2 ( l -x)2 2
a 2
Il taglio varia secondo la seguente funzione della variabile x:
l x l x2 - p(x) · =— p[ ] 2l 6 2 6
T(x) = — p
verticale p ( l -x)
R=
RA = p ·
Alla generica ascissa x si ha:
x2 ] l2
Sulla generica sezione dell’arco agisce anche il carico
S2+ p2
Il carico agente sia uniformemente ripartito. Poiché il tratto AC è incernierato agli estremi, risulterà:
·
MB S
i
8 l-a l l = - 4l =-4 ( -1) pa2 a2 a a
FIG. D.5.1./13
p(x) A
x
p
FUNI
B p
l
RA = — p l · 1 =— p ls 2 3 6 RB = — p l · 2 =— p ls 2 3 3
D 38
C
A
a) Considerando lo schema di trave appoggiata si ha:
B
RA x a
b l
Gli elementi portanti nella tensostruttura sono costituiti da trefoli oppure funi. Trefoli: sono costituiti da un insieme di fili avvolti a spirale attorno a un filo centrale. Qualora esso lavori autonomamente viene anche indicato come fune spiroidale. Funi: sono costituite da un insieme di trefoli avvolti intorno a un nucleo centrale. Il nucleo può essere costituito da un trefolo oppure da un’altra fune: in alcuni casi può essere costituito da un altro materiale. I fili sono realizzati con acciaio ad alta resistenza con valori del carico unitario di rottura variabili tra i 1400N/mm2 (14000Kg/cm2) e i 1800N/mm2 (18000Kg/cm2).
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE METODI DI VERIFICA
D.5. 1. A.ZIONI
Sia per i trefoli (funi spiroidali) sia per le funi, vengono dati il diametro nominale e l’area metallica relativa. Per quanto riguarda i trefoli, il diametro nominale corrisponde a un valore superiore di circa il 15% a quello relativo dell’area metallica presente. Si ha quindi:
4 · Af s ∏
D ≅ 1,15
FIG. D.5.1./17
pl Y= = 20 tonn 2
p
Il risultante relativo ha intensità:
RA = RB =
(33,3)2
+
(20)2
4 · Af
D ≅ (1,15 ÷ 1,20)
∏
38870
At =
s
Le tensioni ammissibili per i trefoli e per le funi si assumono tra 1 e 1 della tensione di rottura del filo singolo.
2
si hanno Prevedendo per il filo σr = 18000 valori compresi tra 6000 Kg/cm2 e 9000 Kg/cm2. Per quanto riguarda il modulo elastico dei trefoli e delle funi esso viene determinato sperimentalmente e risulta variabile (sia pure in maniera modesta) a seconda del tipo di trefolo o di fune. In ogni caso il suo valore risulta sensibilmente inferiore a quello dell’acciaio. In una valutazione preliminare (progetto di massima) è opportuno assumere E = 1600000 Kg/cm2 per i trefoli (funi spiroidali) e E = 1400000 Kg/cm2 per funi costituite da più trefoli. Per quanto riguarda il comportamento statico, le funi possono lavorare solo a trazione. Si esclude qualsiasi resistenza flessionale. Il comportamento statico di una fune è identico a quello di un “arco ideale” rovesciato. Consideriamo ora alcuni casi semplici. 1. Fune con estremi a livello soggetta a un carico uniformemente ripartito (Fig. D.5.1./15).
6000
X
X f
Y
Y
8 f´ f´ L´0 - l l( )2 → ( )2 = 3 l l l
f´ = l ·
Nel nostro caso L0 = 4254,7cm
x l
a
2 f y = 4f( x - x )= 4 x (l - x) l l2 l2
Se la fune fosse inestensibile essa assumerebbe una configurazione definita dall’equazione sopra scritta. Si dimostra che la lunghezza della fune in funzione di l e di f è data, con sufficiente approssimazione, da:
L0 ≅ 40 [1 +
8 3
8 f ( 3 l (
6 40
)2] = 42,4 m
8f
=
1×402 8×6
= 33,3 tonn
XB
a
=
2
M=
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
p 2
·
px
(a-x)
2 a 2
(a-
l (a-l) = 2
a
)=
2 pl2 2
+p
pa2 8
h=-
8X
pl (l - a) 2
-
pa2 8
=-
G.ANISTICA URB
la 2
M(x) p = [x(a - x)] X 2X
pa2
h = f
pl (l - a) 2X
4l (l -a) s a2
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
FIG. D.5.1./18a
h
a>0
B
YA f
a
Noi vogliamo che la configurazione della fune sotto carico sia del tipo riportato in Fig. D.5.1./13. Come per l’arco, anche in questo caso possiamo fare riferimento alla trave equivalente (Fig. D.5.1./17). Le reazioni terminali risultano:
pa 2
F. TERIALI,
Il segno negativo indica che h e f sono da parti opposte rispetto all’orizzontale per A, se a > 0 (Fig. D.5.1./18a) Nel caso a = 0 deve risultare f = 0 e quindi la fune ha tangente orizzontale nel punto A (Fig. D.5.1./18b). Se risultasse a < 0 la fune avrebbe nel punto A tangente positiva (Fig. D.5.1./18c).
l
YA =
px2
Se assegniamo uno dei valori di f o di h e ricaviamo a, possiamo calcolare la x e il valore dell’asse terminale. Se assegniamo i due valori di f e h dovrà risultare:
FIG. D.5.1./16
XA
x-
2
)2]
La reazione orizzontale in A e B vale:
pl2
f=
l = 4000
YB
CO NTALE AMBIE
In corrispondenza della mezzeria di AC e in corrispondenza di B avremo:
s
l = 40 m f=6m p = 1 t/m (10 KN/m)
E.NTROLLO
-x)
2
Se ora indichiamo con X la componente orizzontale della forza che tira la fune, deve risultare X = cost per tutti i valori 0 ≤ x ≤ l . Se indichiamo con y = y(x) l’ordinata generica della fune essa è data da:
2. Fune soggetta a carico uniformemente ripartito con estremi posti a livelli diversi (Fig. D.5.1/16).
Assumiamo, ad esempio (vedi Fig. D.5.1./15):
pa
si ha
2
con un incremento di 18 cm rispetto al valore iniziale.
Come per l’arco si ha una configurazione parabolica di equazione:
L0 ≅ l [1 +
3 · a 8
254,7 3 · = 618 cm 4000 8
f´ = 4000
a
- px = p (
2
per x = l si ha MB = p ·
Possiamo ora calcolare il valore della freccia sotto carico. Dovrà risultare (sempre in cm):
B
PRO TTURALE STRU
Il momento varia secondo la legge:
per x =
L´0 = 4240 [1 + 3,472 · 10-3] = 4254,7 cm
L´0 - l 3 ·8 l
a
T´ (x) = p
y=
p
D.GETTAZIONE
Il taglio nella generica sezione vale:
M(x) =
L´0 = l [1 + 8 ( f´ )2] 3 1
X=
a
L0 · 36000 a 6,48 · 1600000
dove L0 e L´0 sono espresse in cm. Si ha quindi:
L´0 = l +
E ESE ESSIONAL PROF
a e si annulla per x = 2
La lunghezza della fune a causa della deformazione elastica risulta:
FIG. D.5.1./15
C.RCIZIO l
(38,87 + 33,3) R= ≅ 36,00 tonn 6000
L´0 = L0 +
B
x
≅ 6,48 cm2
e un risultante medio Assumendo E =tonn (in C) e 38,87 tonn (in A e B) assutra i valori di 33,3 miamo per tutte le sezioni:
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
= 38,87 tonn
1600000Kg/cm2
Kg/cm2
A
C
A
Assumendo σa Kg/cm2 l’area metallica del trefolo risulta:
Analogamente, per le funi:
3
Le reazioni verticali in A e B valgono:
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
YB = p (l -
a ) 2
RA A
f
h X
y ➥
ICA 1. D.5. I DI VERIF D METO
D 39
D.5. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE METODI DI VERIFICA
STRUTTURE
•
➦ TRAVE, ARCO, FUNE: TRE SOLUZIONI DIVERSE DELLO STESSO PROBLEMA ➦ FUNI FIG. D.5.1./18b
a=0
È ovvio che la modifica della configurazione dipende dall’entità del valore di Pa rispetto a quello di Pp. Per valutare quanto sopra consideriamo gli schemi di travi appoggiate equivalenti al sistema strutturale considerato (Fig. D.5.1./20a - 20b).
B
FIG. D.5.1./20a
h RA=0
P p+ P a
a
X
A
a
b
A y
P p+ P a
D
C
B
RA
RB l
FIG. D.5.1./18c
RA = RB = Pp + Pa
B
a<0
MC = MD = (Pp + Pa) a FIG. D.5.1./20b
P p+ P a
h A
a
X
D
C
RA
y
B
f 2 L = l [1 + 8 ( )] l 3
RB
A causa del carico agente si sviluppa una reazione oriz-
l
3. Travi di funi La caratteristica fondamentale della fune, considerata come elemento portante, è la sua estrema flessibilità. Di conseguenza la sua configurazione tende a mutare in maniera notevole se i carichi agenti variano di entità tali da modificare qualitativamente lo schema di carico. Chiariamo quanto sopra con un esempio quanto mai semplice (Fig. D.5.1./19). Consideriamo una fune con estremi allo stesso livello e soggetta a due carichi concentrati della stessa entità e simmetricamente disposti. FIG. D.5.1./19
B
A D1 C C1
D P
AC1 = AC
RA = Pp + Pa
a+b l
RB = Pp + Pa
a a l
a+b ·a l
MC = Pp · a + Pa MD = Pp · a + Pa
a2 ·-a l
La massima variazione del momento si ha nel punto b e vale: 2 a MD - MD = Ppa + Paa - Ppa - Pa a = Paa (1- ) l l
P
BC1 = BD + DC.
Il punto D prende la posizione D1. È evidente che una tale possibilità è del tutto inaccettabile. Nella realtà i carichi massimi agenti sono sempre costituiti da due carichi diversi P = Pp + Pa dove Pp rappresenta i carichi permanenti e Pa quelli accidentali. La condizione di massima modifica della configurazione si avrà quando in uno dei due punti agiscono ambedue i carichi e nell’altro punto agisce solo il carico permanente.
MD - MD MD
2 zontale pari a X = pl
8f
di lunghezza.
Si ha quindi:
Trascurando il peso proprio della fune, la configurazione di equilibrio è rappresentata dal trapezio ACDB. Supponiamo ora che si annulli il carico agente nel punto D. La relativa configurazione di equilibrio diventa quella definita dal triangolo AC1B. Se trascuriamo l’estensibilità della fune, dovrà risultare:
D 40
a
b
A
RA
Pp
Si dispone la fune ABCD fissata in A e B. In corrispondenza dei punti C e D si predispongono due pendini CG e DH che nei punti G e H abbiano due anelli tali da permettere il passaggio di una seconda fune EFGH. La seconda fune viene messa in forte tensione operando con martinetto nella posizione E. Raggiunta la forza di trazione voluta si blocca l’estremità della fune in E. In tale modo si è indotto uno stato di “coazione” tra le due funi che si esplica tramite i collegamenti CG e DH. Supponiamo che i carichi esterni siano applicati in C e D. In tale caso la fune ABCD viene detta “portante” e la EFHG, “stabilizzante”. Se indichiamo con Fc il valore delle forze di coazione che la fune stabilizzante esercita su quella portante, esse esplicano un’azione analoga a quella che sarebbe indotta da carichi permanenti. Sono pertanto impediti gli spostamenti cinematici dovuti a un mutamento della configurazione della fune portante; restano solo gli spostamenti dovuti alle deformazioni elastiche dei singoli tratti di fune. Eseguiamo ora una valutazione di prima approssimazione relativa a una copertura . Prima di procedere è bene introdurre il concetto di rigidezza di una fune soggetta a un carico uniformemente ripartito. Precedentemente abbiamo visto che, se una fune di luce l e freccia f è soggetta a un carico uniforme, la configurazione è parabolica e la lunghezza della fune scarica risulta data da:
a Paa (1 ) Pa a l = = (1 ) l Pp + Pa (Pp + Pa)a
Si vede che per mantenere tale rapporto entro valori accettabili occorrerebbe aumentare notevolmente il valore dei carichi permanenti. In tal caso, si andrebbe però in contrasto con la “leggerezza strutturale” che costituisce una delle caratteristiche principali delle tensostrutture. Il problema si può risolvere ricorrendo a un doppio sistema di funi e operando nel modo seguente (Fig. D.5.1./21).
Sotto l’azione del carico la fune si allunga e conseguentemente si ha un aumento della freccia. Il calcolo precedentemente fatto (vedi il caso 1. Fune con estremi a livello soggetta a un carico uniformemente ripartito) si può semplificare calcolando l’allungamento della fune assumendo come suo valore iniziale quello di l (anziché L) e il valore di X come quello della forza agente per tutta la lunghezza. Trattandosi di una valutazione di prima approssimazione la semplificazione è lecita. Se la fune ha una sezione A e il modulo elastico F, con le semplificazioni poste si ha:
pl2 X Xl σ= ε = σ = X ∆l ≅ ∆l = (1) 8f A EA E EA Abbiamo così determinato la variazione di L tenendo conX=
to della deformabilità della fune. Determiniamo ora il valore di ∆L in termini geometrici tenendo conto che l resta invariato mentre L diviene L + ∆L e f diventa f + ∆f. Abbiamo:
8 f + ∆f 2 ( )]= 3 l 8 = l [1 + (f 2 + 2f · ∆f + ∆f 2)] 3l 2 8 f 2 L = l[1 + ( )] (2) 3 l L + ∆L = l [1 +
trascurando il valore ∆f2 risulta:
(L + ∆L) -L = ∆L = FIG. D.5.1./21
B
A
essendo p il carico per unità
8 f · ∆f 16 f ×2× = · · ∆f 3 l 3 l
Uguagliando tale valore con quello definito dalla (1), si ha:
Xl 16 ∆f = ·f· EA 3 l
E
C
D
G
H
e poiché X =
F
pl2 si ottiene: 8f
∆f =
3p · l4 128EA f2
s
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE METODI DI VERIFICA
D.5. 1. A.ZIONI
Nel nostro caso si definisce “rigidezza della fune” il carico uniforme che provoca ∆f = 1.
Poiché per la fune stabilizzante la tensione aumenterà, assumiamo per essa σ = 3000 Kg/cm2 ottenendo:
Si ha quindi: 2 k = 128 · f · EA 3 l4
∆L1 = 40,416·
Per l’altra fune, l’azione dei carichi esterni provocherà una riduzione della tensione: pertanto assumiamo σ = 6000 Kg/cm2 ottenendo:
Possiamo ora calcolare i coefficienti di ripartizione dei carichi esterni, sulla base delle relative rigidezze. Precedentemente abbiamo determinato l’espressione della rigidezza:
f1 f2 X2
k=
128 · 3
f 2 · EA a l4
Abbiamo quindi tutti gli elementi per calcolare k1 e k2 e i relativi coefficienti di ripartizione:
= 50 m = 120 Kg/m2 = 100 Kg/m2 =4m = 1650000 Kg/cm2 = 6500 Kg/cm2
r1 =
r2 =
k1 k1 + k2
a
k2 k1 + k2
a
Poiché frecce, luci e modulo elastico sono uguali si ha:
• Il carico accidentale risulta:
q = 4 × 100 = 400 Kg/m
r1 =
A1 16 — = = 0.666 16 + 8 A1 + A2
f ’1 =
0,4558 ·
tra
l e l . 12 8
∆X2 =
l = 5 m. Assumiamo f1 + f2 = 10 Supponiamo che i carichi siano applicati alla fune inferiore (fune portante) e che sull’altra (fune stabilizzante) sia applicato lo stato di tensione preliminare. Il carico massimo da applicare al complesso risulta: p + q = 880kg/m.
400 × 0,2937 = 117,5 kg/m per la fune inferiore ∆X1 =
Data l’uguaglianza delle frecce (imposta) dovrà risultare:
X1 = X2 =
600 · 402 = 48000 kg 8 · 2,5
160 · 8 · 2,5
= 12800 Kg
X´1 = X1 + 25600 = 73600 Kg 73600 σ= = 4600 Kg/cm2 16 X´2 = X2-12800 = 32500 Kg 32000 σ= = 4400 Kg/cm2 8
a) lo stesso carico unitario viene trasmesso alla fune portante che entrerà in trazione.
Quanto sopra induce a prevedere aree e frecce diverse per le due funi. Per semplicità supponiamo di prevedere frecce uguali sotto l’azione della pretensione e di assumere per essa un valore tale da determinare un carico ripartito unitario pari a s = 600 Kg/m.
p1 = 160 kg/m.
Conseguentemente le tensioni nelle funi valgono:
Dobbiamo ora stabilire l’entità della pretensione da assegnare e le aree di ambedue le funi. Se indichiamo con “s” l’entità del carico ripartito indotto dalla pretensione applicata dobbiamo tenere conto che:
b) che, nel nostro caso, l’applicazione susseguente del peso proprio e del carico da neve provocheranno un aumento di trazione nella fune stabilizzante e una diminuzione di tensione nella fune portante.
402
Dobbiamo ora calcolare il nuovo valore delle frecce per le due funi. Con riferimento a quanto visto con la (2), la lunghezza della fune superiore nella fase della messa in tensione (con carichi esterni nulli) risulta:
L1 = l [1 +
8 f ( 3 l
)2] = 40 [1 +
8 2,5 ( )2] = 40,416 3 40
Tale lunghezza corrisponde alla tensione unitaria iniziale di 3000 Kg/cm2. Sotto l’azione del carico, la tensione unitaria è aumentata fino a 4600 Kg/cm2 con ∆σ = 1600 Kg/cm2. A causa dell’incremento si ha un allungamento
∆L1 = L1 ·
∆σ . E
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
G.ANISTICA URB
400 × 0,7063 = 282,5 kg/m per la fune superiore TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
r2 = 0,334
320 · 402 ∆X1 = = 25600 Kg 8 · 2,5
C.RCIZIO
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
r2 = 1-0,7063 = 0,2937
282,5 · 402 = 21606 kg 8 · 2,615
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
2 ∆X2 = 117,5 · 40 = 9853 kg 8 · 2,385
Le variazioni delle reazioni orizzontali X1 e X2 risultano:
È opportuno che la somma delle due frecce sia compresa
(3)
2,6152 ·16 109,41 = = 0,7063 r1 = 2,6152 ·16 + 2,3852 · 8 154,91
Il carico p = 480 kg si ripartirà nei valori: — p1 = 480 · 0,6 ≅ 320 kg/m
320 · 1600 ≅ 2,615 m 3
Poiché f ’1 + f ’2 = 5,00 m → f ’2 = 2,385 m, i nuovi valori dei coefficienti di ripartizione risultano:
e quindi p + q = 880 Kg/m
Nell’esempio di Fig. D.5.1./22 le due funi sono collegate da un insieme di pendini che si suppongono non estensibli.
f’ 8 f ’1 2 320 ( ) ] → 0,4558 = ·( 1 )2 3 40 3 40
Carico da neve Si procede in modo analogo a quanto esposto per il peso della copertura. Il carico di 400 kg/m si ripartisce in:
• Il carico permanente agente sulla trave risulta:
p = 4 × 120 = 480 Kg/m
I ED PRE NISM ORGA
Il valore della nuova freccia è dato da:
40,4558 = 40 [1 +
48000 = 8,00 cm2 6000
A2 =
X1
B.STAZIONI DILEGIZLII
1600 = 0,03919 m 1650000
L1 + ∆L1 = 40,4558 m
s
FIG. D.5.1./22
luce della trave peso proprio della copertura carico da neve interasse travi modulo elastico funi tensione ammissibile
Si ha quindi:
48000 = 16,00 cm2 3000
A1 =
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
Si ha quindi:
X´´1 = X´1 + ∆X1 = 73600 + 21606 = 95206 kg
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
X´´2 = X´2 + ∆X2 = 35200 + 9853 = 25347 kg Per le due funi si hanno le tensioni:
D.5. TURE T STRU
95206 = 5950 < 6500 Kg/cm2 16
σ1 =
σ2 =
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
25347 = 3168 Kg/cm2 8
Per la fune superiore, rispetto alla configurazione iniziale si ha:
∆σ = 5950 - 3000 = 2950 Kg/cm2 Rispetto alla lunghezza iniziale della fune uguale a
L1 = 40,416 m, si ha un allungamento dato da: ∆L1 =
2950 ∆σ = · 40,416 = 0,07226 m E 1650000
Si ha quindi:
L´´1 = L1 + ∆L1 = 40,48893 m Per la (3) si ha:
f´´1 =
0,48893 ·
3 · 1600 ≅ 2,71 m 320 ➥
ICA 1. D.5. I DI VERIF D METO
D 41
D.5. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE METODI DI VERIFICA
•
STRUTTURE
➦ TRAVE, ARCO, FUNE: TRE SOLUZIONI DIVERSE DELLO STESSO PROBLEMA ➦ FUNI FIG. D.5.1./23 SISTEMI TIPOLOGICI FREQUENTEMENTE ADOTTATI
a funi disposte parallelamente
FIG. D.5.1./24 METODI DI STABILIZZAZIONE DI SISTEMI PIANI DI FUNI a funi disposte radialmente anello compresso
A - fune portante B - fune stabilizzante C - tiranti di collegamento
funi A
anello centrale C
C B
FUNI SINGOLE
modello
modello
con copertura appoggiata
con copertura appoggiata
con copertura appesa
con copertura appesa
sistema aperto
SISTEMI PIANI (travi di funi)
sistema misto
D 42
a tiranti verticali
a anello centrale singolo
a tiranti diagonali
ad anello centrale doppio
a serie di travi
con corpo centrale a cavi tesi
sistema chiuso
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO
A.ZIONI
METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI – CARICO ASSIALE CENTRATO 5) Indicato con Rck la resistenza caratteristica del conglomerato, definiamo tensione di riferimento il valore:
Le prescrizioni poste dalla Normativa per tale stato di sollecitazione sono le seguenti: 1) se la sezione è poligonale l’armatura longitudinale deve prevedere almeno un ferro per ogni vertice del poligono. Se la sezione è circolare occorre prevedere almeno sei ferri longitudinali equidistribuiti.
σ bam
Rck-150 = 60+ 4
2) Il diametro minimo delle armature longitudinali è di 12 mm per elementi gettati in opera e di 10 mm per elementi prefabbricati. 6) Indicando con B l’area del conglomerato; con Af quella dell’acciaio; con N il carico agente, deve risultare:
3) Deve essere sempre presente una armatura trasversale (staffe) di diametro maggiore od uguale a 6 mm. Le staffe devono essere chiuse e con ripiegature che entrino all’interno della sezione. Il copriferro misurato all’esterno delle staffe deve risultare maggiore od uguale a 2 cm. Le staffe debbono avere un passo maggiore a quindici volte il diametro minimo delle armature longitudinali e comunque non superiore a 25 cm.
σ=
4) L’armatura longitudinale deve risultare: • maggiore od uguale all’otto per mille della sezione di conglomerato strettamente necessaria; • maggiore del tre per mille della sezione di conglomerato; • minore del sei per cento della sezione di conglomerato.
Con
n=
D.5. 2.
Ea
N Rck-150 ≤ 0,7 60 + = 0,7·σ bam B+nAf 4
si assume il valore convenzionale di 15.
Eb
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
SEZIONE STRETTAMENTE NECESSARIA Assunto per il coefficiente di omogeneizzazione il valore n = 15 la sezione di conglomerato strettamente necessaria è data da:
Bs =
N = 0,7·σ bam (1+n·µ)
N 0,7·σ bam 1+15·
L’armatura corrispondente risulta: A s =
= 8 1000
1) B ≥ Bs In tale caso, teoricamente si potrebbe assumere Af = As. Nella realtà Af è di poco maggiore di As. Occorre però controllare che risulti:
N 0,7·σ bam ·1,12
8 · Bs 1000
URB
In tale caso deve risultare:
Af >
8 (Bs-B) ·Bs + 1000 15
Il valore minimo dell’area di conglomerato è condizionato dal fatto che la percentuale massima di armatura è pari al sei percento.
3 Af = ·B 1000
Tale valore di armatura rappresenta il valore minimo dell’armatura presente nella sezione. Se indichiamo con B l’area effettiva della sezione e con Af l’armatura effettiva presente, si possono avere i seguenti casi: 1) B ≥ Bs; 2) B < Bs.
G.ANISTICA
2) B < Bs
Deve quindi risultare:
Bmin 8 Bs 6 ·Bs + = ·Bmin 15 1000 15 100
FIG. D.5.2./1
e quindi: Bs (cm 2)
As (cm 2) 96
11000
88
Bs
1120 190 = Bmin 1000 · 5 100 · 5
Rc k
10000
80
Bmin
1120 = Bs · ≅ 0,589 · Bs 1900
9000 = ck
50
72
2
È comunque bene che risulti:
R
8000
64 50
3 k=
Rc
7000
4000
32
3000
24
2000
16
1000
8
300
400
500
600
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
Bmin ≥ 1,06 · 0,589·Bs ≅ 0,625 Bs
48 40
200
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
In tal caso l’armatura della sezione risulta:
=4
5000
100
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
56 50
k Rc
6000
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
si ha:
=
15
0
12000
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
700
800 tonn.
Af =
6 · 0,625· Bs = 0,0375 · Bs 100
ICA 1. D.5. I DI VERIF D METO
TO 2. D.5. TO ARMA N CEME
D 43
D.5. 2.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO
•
STRUTTURE
➦ METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI – CARICO ASSIALE CENTRATO VERIFICA In tal caso sono noti i valori di N, B, Af, Rck . Per prima cosa si determina il valore della tensione ammissibile:
σ am = 0 , 7 · σ bam
ESEMPIO I
ESEMPIO II
N = 280 t
Rck = 250
σbam = 85
FIG. D.5.2./2
N = 200 t
σbam = 97,5 Kg/cm2
Rck = 300
FIG. D.5.2./3
e si controlla che risulti:
50
N B+15 ≤ σ am = 0,7 · σ bam
se B ≥ Bs
Bs =
N σ am · 1,12
As =
8 ·Bs 1000
70
si determina:
50
B = 50 · 50 = 2500 cm2
65
Af ≥ As
La verifica statica è soddisfatta Se risulta:
0,625 Bs ≤ B < Bs
Af > As
la verifica statica è soddisfatta se risulta:
(Bs-B) Af ≥ As+ 15
200,000 = 2616 cm2 0,7 · 97,5 · 1,12 As = 0,008 · 2616 = 20,928 cm2
Armatura 8 f 24 = 8 · 4,52 = 36,17 cm2
Bs =
B = 65 · 70 = 4550 cm2 280,000 Bs = = 4201 cm2 0,7 · 85 · 1,12 As = 0,008 · 4201 = 33,61 cm2
Risulta B < Bs
Poiché B > Bs
Amin = As+
Af > As la verifica è soddisfatta.
Af = 8 φ 22 = 30,39 cm2
Bs-B 116 = 20,928 + = 28,66 15 15
Poiché Af > Amin la verifica statica è soddisfatta.
PROPORZIONAMENTO In tale caso sono dati N e Rck. Conseguentemente è noto il valore di: σ = 0,7 · σ bam Si determina quindi Bs e As e si proporzionano sia la sezione sia le armature.
B) - SEZIONE CIRCOLARE
d = 60 cm
d = 65 cm
2 B = π ·65 = 3318 cm2 4 Poiché B > Bs
FIG. D.5.2./5
Poniamo:
l’armatura minima da disporre è As = 24 cm2
N = 200t
Rck = 250
σ bam b = 85 Kg/cm 2
Si possono pertanto disporre 8 ƒ 20.
200,000 Bs = = 3001 cm2 0,7 · σ bam b · 1,12 As = 24 cm2 Vediamo qui di seguito alcune soluzioni possibili: 65 A) - SEZIONE RETTANGOLARE FIG. D.5.2./4
B=
π · D2 = 2827 cm2 4
60
Poiché B è minore di Bs l’armatura minima deve essere:
Amin = As+
3000 - 2827 = 35,66 cm2 15
Ponendo otto ferri di diametro uguale si ha: 50
B = 60 · 50 = 3000
cm2
= Bs
Af = 8 · 3,14 = 25,12 > As.
D 44
C) - SEZIONE CIRCOLARE
d=
4 ·35,66 3,141·8
= 2,38 cm
Si disporranno 8 φ 24.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO
A.ZIONI
METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI – FLESSIONE SEMPLICE Si ha tale stato di sollecitazione quando la sezione è soggetta a un momento flettente agente secondo un asse principale di inerzia della sezione.
Sulla base dell’ipotesi “d” si ha che a parità di deformazione unitaria le tensioni nell’acciaio e nel conglomerato stanno tra loro nella stessa proporzione dei rispettivi moduli elastici:
Nel caso di una sezione in c.a. le ipotesi base sono le seguenti: a) la sezione inizialmente piana si mantiene piana anche a seguito della deformazione conseguente all’applicazione del momento; b) il conglomerato resiste solo a compressione e si considera pertanto nullo il suo contributo nelle zone tese; c) l’acciaio può resistere sia a compressione sia a trazione. Per l’ipotesi di cui al punto precedente è essenziale che esso sia presente nelle zone tese. La sua eventuale presenza nella zona compressa contribuirà allo sviluppo delle compressioni alleggerendo l’onere del conglomerato;
σ a = Ea· ε
e) si suppone una totale aderenza tra conglomerato e acciaio.
σ b = Ea· ε
TENSIONI AMMISSIBILI NELLA FLESSIONE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
Per quanto riguarda il conglomerato, definita la sua qualità tramite la resistenza caratteristica (Rck) e determinata la tensione:
B.STAZIONI DILEGIZLII
σ bam = 60 +
e quindi:
Ea E σ a = a · σ b = n · σ b dove n = Eb Eb Se indichiamo con A una area di acciaio soggetta alla tensione σa avremo:
σa A = σ b (n ·A) e quindi possiamo dire che ai fini di calcolo una qualsiasi area di acciaio può essere sostituita da una area di conglomerato moltiplicando la prima per il coefficiente di omogeneizzazione “n” . Per quanto riguarda il coefficiente di omogeneizzazione:
d) si ipotizza che ambedue i materiali (conglomerato e acciaio) seguano la legge di Hooke (diretta proporzionalità tra tensioni e deformazioni unitarie;
n=
D.5. 2.
Ea Eb
si assume convenzionalmente il valore n=15
Rck -150 4
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
le tensioni ammissibili risulteranno: • σ bam per sezioni rettangolari; • 0,9 σ bam per sezioni a T (o similari) con spessore di ala maggiore di 5 cm; • 0,7 σ bam per sezioni a T (od assimilabili) con spessore di ala uguale o minore di 5 cm; Per quanto riguarda l’acciaio esse sono legate alla qualità definita tramite la resistenza caratteristica di snervamento. È da notare che per l’acciaio FeB 44 K la normativa ammette una tensione ammissibile di 2600 Kg/cm2 solo se nei calcoli di verifica (o di progetto) si considerano tutte le cause che possono influire sulla determinazione dell’effettivo stato di deformazione unitaria in corrispondenza delle zone tese.È consigliabile attenersi a valori compresi tra 2200 ÷ 2450 Kg/cm2.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
SEZIONE RETTANGOLARE CON SOLA ARMATURA TESA Se indichiamo con εb e εa rispettivamente la deformazione massima nel conglomerato e la massima deformazione unitaria nell’acciaio, il diagramma che definisce lo stato di deformazione locale è lineare per l’ipotesi di conservazione delle sezioni piane. Per la stessa ipotesi l’intersezione tra giacitura iniziale e giacitura deformata è una retta (asse neutro).
Indicando con M il momento esterno, per l’equilibrio deve risultare: C-T = 0 equilibrio alla traslazione C·(2/3y)+T(d-y) = M equilibrio alla rotazione rispetto all’asse neutro dal diagramma delle deformazioni unitarie esprimendo in termini analitici la similitudine dei due triangoli rettangolari di cateti (eb y) e (ea, d-y) si ottiene
Nella parte compressa anche lo stato di tensione locale varia linearmente assumendo il valore nullo sull’asse neutro e il massimo σ b al lembo compresso.
Y
εb = d ε b+ε a
(relazione di congruenza)
σ b ·by - σ a ·A f = 0 2 σ b ·by 2 · y + σ a·A f (d-y) = M 2 3 Ponendo nella relazione di congruenza:
εb =
y=d
Il sistema resistente è rappresentato dalle forze C (di compressione) e di trazione T.
C=
σ b ·by T = σ a·Af 2
σb σa ; εa = ; Eb Ea
n=
nσb n σ b+σ a
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
Ea Eb
si ottiene:
si ha: Nella parte tesa si considera come esistente la sola armatura.
(1)
(equazione di conglomerato)
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
che possiamo scrivere nella forma:
σ a = n·σ b·
Le due equazioni di equilibrio assumono la forma:
1 (d-y) y
(2)
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
FIG. D.5.2./6 εb
εa
εb y/3
C
Il sistema costituito dalla equazione di congruenza (2) e dalle equazioni di equilibrio (1) rappresenta il sistema risolvente del problema.
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
y 2/3 y m
m
È opportuno notare che in tale sistema compaiono le seguenti variabili:
sb sa, b, d, y, Af, M. d
h (d-y)
Af 60
T εa
Per ottenere una unica soluzione è pertanto necessario che siano a priori noti i valori di quattro delle variabili. In tal caso la soluzione del sistema permette di individuare i valori delle altre tre. Nei casi concreti i problemi che si presentano sono quelli della verifica e del dimensionamento della sezione.
TO 2. D.5. TO ARMA N CEME
D 45
D.5. 2.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO
STRUTTURE
•
➦ METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI – FLESSIONE SEMPLICE VERIFICA In tal caso sono noti i valori di: M; b; d; Af. restano pertanto come incognite i valori di: σb; σa; y.
È facile constatare che le quantità che compaiono all’interno delle parentesi qualora non sono altro che il momento statico e il momento d inerzia della sezione omogeneizzata e parzialmente rispetto all’asse neutro della sezione.
Sostituiamo nella (1) la σ è definita dalla (2). Si ottiene:
σb y
σb y
σb y
by2 -n Af (d-y) = 0 2
by3 3
Sm = 0
σb =
-n Af (d-y)2 = M
e quindi
Nel caso della verifica occorre: a. determinare, tramite il valore y, la posizione dell’asse neutro; b. calcolare il valore Im del momento di inerzia della sezione omogeneizzata e parzializzata; c. calcolare i valori.
σb =
Sm = 0
M ·y Im
σa =
M ·n (d-y) Im
La sezione risulta verificata se i valori così calcolati risultano ambedue minori (od uguali) ai valori delle tensioni ammissibili dei due materiali.
M ·y Im
GRAFICI UTILI PER LA VERIFICA
FIG. D.5.2./7
Se indichiamo con µ = Af/bd la percentuale di armatura e con k = y/d, il numero puro che definisce la posizione dell’asse neutro, la condizione Sm = 0 fornisce l’equazione di secondo grado:
k 0.5000
k 2 -2·n· µ (1-k) = 0 0.4000
e poiché, convenzionalmente, si assume n = 15 si ha:
k 2 +30· µ · k-30µ
=0
k
e quindi
1 2 +30 1 2 -15 2 +30 (225µµ == (225 µ )µ )2 -15 µ µ
il momento di inerzia può essere posto nella forma:
I=
bd 3 by 3 bd 3 +n Af (d-y)2= 4·k2+12· n· µ (1-k)2 = 4k3+180µ (1-k2) 3 12 12
e poiché dalla (*) risulta:
µ=
0.3000
0.2000
k2 30 (1-k)
si ha:
I=
bd 3 bd 3 (6k 2-2k 3) = (3k 2-k 3) 12 6
0.1000
La tensione nel conglomerato è quindi data da:
σb =
M 6·M 6M 1 6M y= ·k ·d = · = ·C dove I bd 2 (3k-k2) bd2 bd 3(3k2-k3)
C=
1 (3k-k2)
0.5
%
1
FIG. D.5.2./8 La tensione nell’acciaio è data da:
c
d-y 1-k σ a = nσ b = nσ b = (nσ b)·s y k
dove
1-k s= k
s
4.5
4.5
4
4
ESEMPIO
c
b = 40 h = 120 d = 115 Af = 27,14 cm2 (6 φ 24) M = 60t = 60·105 Kg/cm2
µ=
Af b·d
=
27,14 40 ·115
σb =
5,29· 105
·1,10 = 74,8
Kg/cm 2
3.5
3
3
2.5
2.5
= 0,0059 (0,59%)
Dal grafico si ricava k = 0,341 C = 1,10 s = 1,931 b d2 = 40 ·1152 = 5,29 ·105
6 · 60· 105
3.5
σ b =15 ·74,8 ·1,931 = 2168
Kg/cm2
I valori così trovati debbono essere confrontati con i valori delle tensioni ammissibili dei due materiali. Se ambedue i valori sono minori (od uguali) a quelli delle tensioni ammissibili la sezione è verificata.
2
2 s
1.5
1.5
1
1
0.5
0.5
0.1000
D 46
0.2000
0.3000
0.4000
0.5000
k
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO
D.5. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
MOMENTI RESISTENTI
PROPORZIONAMENTO
Assegnato una sezione rettangolare in c.a. tramite i valori b, d, Af e d assunti i valori delle tensioni ammissibili per il conglomerato e per l’acciaio si possono calcolare i seguenti momenti:
In tal caso sono assegnati i valori delle tensioni σb e σa ovviamente minori (od uguali) ai valori ammissibili. Nel sistema costituito dalle due equazioni di equilibrio e da quella di congruenza occorre definire un’altra variabile affinché il sistema sia univocamente risolvibile. Di regola come terza variabile viene assegnato il valore della larghezza “b” oppure quello dell’altezza utile “d”.
a) momento resistente rispetto al conglomerato, definito come valore del momento per il quale σ b = σ bam . b) momento resistente rispetto al conglomerato, definito come valore del momento per il quale σ a = σ bam . Indicando tali momenti con Mrc e Mra, in linea generale si ha Mrc ≠ Mra Il minore dei due momenti così calcolati rappresenta il massimo momento flettente a cui la sezione può essere soggetta. Numericamente si ha:
M rc = σ bam
Im
M ra = σ a am
y
Im n(d-y)
utilizzando i diagrammi di k in funzione di µ e di C e s in funzione di k si ha:
σ bam bd 2 M rc = · C 6
M ra
σ a am bd 2 · n ·c ·s 6
Sviluppando la seconda equazione di equilibrio ponendo in essa:
si perviene alla relazione bd 2 = r 2 ·M dove r è un fattore dimensionale il cui valore dipende dal valore del coefficiente di omogeneizzazione “n” e dai valori delle tensioni σb e σa . I valori di r sono tabellati in funzione di n = 15 e per i diversi valori di σb e σa . Assumendo “b” si determina l’altezza utile:
bd 2 40-115 2 = ≅ 88167 cm3 6 6 85 M rc = ·8 8 1 6 7 = 6 8 , 1 2 9 0 4 · 10 5 Kg/cm = 68,13 t·m 1,10
M ra =
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
Il braccio delle forze interne risulta:
t = d - y 3 = d(1- k 3 )
Af =
M
σ a ·t
=
M
σ a ·d(1- k 3 )
Nella pratica corrente si può porre t ≅ 0,9 d e conseguentemente:
Af =
M 0,9d · σ a
Se prioritariamente viene assegnato il valore dell’altezza utile “d” si determina la larghezza b tramite la:
b = r2
2400 · 88167 = 66,41269 ·105 = 6641 tm 15 ·1,10 ·1,931
Poiché Mra < Mrc il momento resistente della sezione risulta Mr = 66,41 tm
2
nσb ·d = k ·d n σ b+ σ a
y=
250-150 σ bam = 60 + = 85 Kg/cm2 4
Avremo:
1
Determinato il valore “d” la posizione dell’asse forze interne neutro è dato da:
[b = 40 cm, d = 115, Af = 27, 14 cm2] per la quale si ha: C = 1,10 s = 1,931.
Supponendo di utilizzare un acciaio Feb 44 K si assume (σa) amm = 2400 Kg/cm2
M b
d=r
Riprendiamo, come esempio, la sezione precedentemente esaminata:
Supponendo che il conglomerato sia caratterizzato da Rck = 250, essendo la sezione rettangolare si ha:
nσb n σb+ σa
y = kd =
B.STAZIONI DILEGIZLII
M d2
Per la determinazione dell’asse neutro e dell’armatura si procede come sopra esposto.I valori di r (in funzione di σ a e σ b ) sono riportati nelle tabelle da p. D73 a p. D75.
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
USO DEI DIAGRAMMI Assegnati i valori σ b ,σ a si determina:
k=
ESEMPIO
nσb n σ b+ σ a
e sul primo diagramma si determina la precedenza di armatura µ. In funzione di k si determina il valore di “C” Poiché:
bd 2 =
6M ·c σb
Siano dati: Si determina: Dai diagrammi si valuta:
M = 60t σ b = 85 Kg/cm 2 nσb 15·85 k= = = 0,367 15·85+2200 n σ b+ σ a µ = 0,72% C = 1,04
6·70·10 5 ·1,04 = 5,13882·105 85 d ≅ 107 cm
db 2 = Assunto b = cm si ha:
assegnato b oppure d si determina l’altra variabile. L’armatura è data da Af = µ ·b · d
Af =
0,72
100
·45·107 = 34,66 2
TO 2. D.5. TO ARMA N CEME
D 47
D.5. 2.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO
•
STRUTTURE
➦ METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI – FLESSIONE SEMPLICE SEZIONI A “T” – VERIFICA Supponiamo: B = 90 cm Af = 34,54 cm2 s = 28 cm
Sia data una sezione come in Fig. D.5.2./9. Se per l’asse neutro è verificata la condizione y ≥ s la sezione si comporta come rettangolare. Indichiamo con µ la percentuale d’armatura per la quale si ha y = s. Per l’annullarsi del momento statico risulta:
Bs 2 = 2n µ B· d 2 1-
si ha:
100
s d
µ = 4,28 ·10-3
28 ≅0,3 95
8
y =
µ = 34,54/90 · 95 = 4,04 ·10-3
La sezione si comporta come rettangolare.
Ponendo ϕ = s/d e n = 1 5 si ha:
Nei casi reali si ha un comportamento a T con valori di s piccoli rispetto a d.
ϕ2 30(1- ϕ )
Esaminiamo un caso nel quale s << d (Fig. D.5.2./11).
110
µ=
FIG. D.5.2./11
Se l’armatura presente verifica la condizione:
B = 100 cm
A f ≥ µ ·B · d
Af = 27,12
27,12 = 2,410-3 100 ·110
µ=
la sezione si comporta come rettangolo (Fig. D.5.2./10).
d = 110 cm
ϕ =
s = 8 cm 25
8 ≅0,07 110
µ ≅ 1,75 ·10-3
Per j < 0,15 si ha certamente un comportamento a T.
Af = 27.12 cmq
u ≅ 1,75 ·10-3
40
µ > µ FIG. D.5.2./9
s
FIG. D.5.2./12
A'f = 40cmq
4
La sezione si comporta a T. Si può considerare che l’area relativa alle due parti tratteggiate sia costituita da un’area equivalente di acciaio tenuto conto del rapporto n = 15 che deve essere assunto per “omogeneizzare” i due materiali. Si ha allora:
B
d
y
Af = (100-25)· 8/15 = 40 cm2 Il profilo proposto è pertanto equivalente a quello riportato in Fig. D.5.2./12. La posizione dell’asse neutro deve soddisfare la condizione:
y2 +15 ·40 ·(y-4)-15 · 27,12 (110-y) = 0 2
110
25 ·
Af
e quindi:
b
12,5 ·y2+600 y- 2400 + 406,8y- 44748 = 0 y2+ 80,5 y- 3772 = 0 FIG. D.5.2./10
y=
µ 6x10
-3
5x10
-3
4x10
-3
3x10
-3
2x10
-3
1x10
-3
Af = 27.12cmq
= 33,18 cm 25
Si ha pertanto:
In
25 · 33,18 3 +40·15(33,18-4)2+27,12·15·(110-33,18)2 = 3.215.889 cm4 3
Supponiamo Rck = 300 kg/cm2 e quindi:
σb = 0,9 60+
300-150 = 87,5 Kg/cm2 4
σa = 2400 Kg/cm2
i momenti resistenti riferiti al conglomerato e all’acciaio risultano:
0.1
D 48
-80,5 ± (6480+15088) 2
0.2
ϕ
0.3
y
0,18
0,20
0,22
0,24
0,26
0,28
µ·103
1,3
1,66
2,07
2,53
3,04
3,63
y
0,30
0,32
0,34
0,36
0,38
0,40
µ·103
4,28
5,02
5,84
6,75
7,76
8,89
Mrc = 87,75 ·
3.215.889 ·10-510 ≅ 85 tm 33,18
Mra = 2400 ·
3.215.889·10-5 = 66,98 tm 15 (110 - 33,18)
Quindi il momento massimo a cui può essere soggetta la sezione risulta pari a 66,98 tm.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO
D.5. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
SEZIONI A “T” – PROPORZIONAMENTO
B.STAZIONI DILEGIZLII
I CASO - SEZIONE CON ALA SPESSA
II CASO - ALA SOTTILE
In questo caso si deve proporzionare una sezione rettangolare e proporzionare lo spessore dell’ala con la condizione s ≅ y essendo y la distanza dell’asse neutro dal lembo compresso.
Supponiamo di volere proporzionare la sezione del caso precedente ponendo: b = 40 cm; s = 10 cm; d = 100 cm
y = 100
ESEMPIO
M = 100 tm B = 90 cm Rck = 250 Kg/cm2 σa = 2200 Kg/cm2
Dobbiamo determinare B e Af.
La tensione di conglomerato non può superare il valore:
Posto: σb = 75 Kg/cm2
C.RCIZIO
15 ·75 = 33,8 cm 15 ·75 ·2200
σa = 2200 Kg/cm2
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
si ha: y = 33,8 cm
PRO TTURALE STRU
Nella parte tratteggiata si sviluppa una compressione totale pari a:
250-150 σb = 0,9 60+ = 76,5 Kg/cm2 4
C1 =
Si assume σb = 75 Kg/cm2
·33,875 ·40 = 50.700 Kg 2
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
Il braccio della forza C1 rispetto all’armatura vale:
t1 = d-y 3 = 100 - 11,25 = 88,74 cm
Avremo:
oppure:
15 ·75 k= = 0,338; µ = 56% 15·75 +2200 c = 1,13 6·100·105·1,13 B·d2 = = 9,04·105 75
r = 0,30
d= Af =
9,04·105 90
d=r
100·105 = 100 cm 90
100 ·105 Af = 0,9 ·100 ·2200
= 100 cm
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
Il momento sviluppato vale:
M = 0,30 B
I ED PRE NISM ORGA
M1 = 50700 ·88,74 ·105 ≅ 45 tm Poiché l’intero momento deve risultare di 100 tm la compressione che si sviluppa nelle due ali deve dare luogo al momento:
G.ANISTICA URB
M2 = 100-45 = 55 tm Poiché il braccio relativo risulta praticamente pari a 95 cm la compressione deve valere:
Af = 50,5 cm
0,56·90·100 = 50,4 cm2 100
C2 =
y = 0,338·100 = 33,8 cm
Il valore della tensione media nell’ala vale: σb =
Si assume: s = 30 cm
(Fig. D.5.2/14). Dovrà pertanto risultare:
a= N.B. Il valore di “b” viene assunto sulla base delle seguenti condizioni: • eventuali momenti negativi in altre sezioni della trave; • valore del taglio.
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
55 = 57,89 t 0,95 33,8-5 ·75 = 63,9 Kg/cm2 33,8
2a·s·σb = C2
e quindi:
57890 = 45 cm B = 2 · 45+40 = 130 cm 2·10·63,9
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
La forza di trazione nella armatura vale:
T = C1+C2 = 50.700+57.890 = 108.590 Kg
Af =
108590 = 49,36 cm2 2200
FIG. D.5.2./14
FIG. D.5.2./13
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
90
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
B a
a
y = 33,8
10
75 63,9
90
105
28
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
b
40
TO 2. D.5. TO ARMA N CEME
D 49
D.5. 2.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO
•
STRUTTURE
➦ METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI – FLESSIONE SEMPLICE ARMATURA IN ZONA COMPRESSA La presenza di una armatura in zona compressa comporta una riduzione della larghezza b qualora si mantenga inalterato al valore dell’altezza utile d.
FIG. D.5.2./15 VERIFICA b
Se indichiamo con Cc e tc la compressione nel conglomerato e il relativo braccio e con Ca e ta le grandezze analoghe relative all’armatura compressa l’equilibrio dei momenti rispetto all’asse delle armature tese è espresso da:
σb
d'
σ' b
y
A'f
Si determina la posizione dell’asse neutro imponendo la condizione di valore nullo per il momento statico:
by2 +nA’f (y-d’)- nAf (d-y) = 0 2 Determinato y si ha:
Cc · tc + Ca · ta = M In =
d
essendo M il momento flettente. Si ha quindi:
by3 +nA’f (y- d’)-nAf (d-y)2 3
e quindi
Cc · tc = M-Ca · ta
M y In
σb =
Per quanto concerne il conglomerato si ha una riduzione del momento agente.
σ’a = n M (d-y) In
La verifica di σ ’a è superflua
Af
PROPORZIONAMENTO PROPORZIONAMENTO Supponiamo che risulti:
M = 60 tm
Rck = 250 Kg/cm2
d = 95 cm
σa = 2200 Kg/cm2
σb = 85 Kg/cm2
0,272·60 ·10-5
= 48,5 cm
952
Af =
0,9·95·2200
= 31,9 cm2
Vogliamo determinare il valore dell’armatura compressa necessaria per ridurre la larghezza al valore
b = 35 cm. Si ha:
y = 95·
15·85 = 34,8 cm 15·85+2200
85·34,8 Cc = · 35 = 51,765 Kg 2 34,8 tc = 953 = 83,4 cm Il momento relativo vale:
Mc =
σb · b · y 2
La tensione nell’acciaio compresso vale:
34,8-4 85 = 1,128 Kg/cm2 34,8 Af = 18,492 1,128 = 16,39 cm2
La forza di trazione nell'acciaio è pari alla somma delle compressioni. L' armatura tesa è quindi data da:
Af =
e una armatura tesa:
60·10-5
Per l'equilibrio dei momenti rispetto all'asse delle armature deve risultare:
σa = n·
r = 0.27
Nel caso di assenza di armatura compressa sarebbero necessarie una larghezza:
b=
Ca = 16,828 0,91 = 18,492 t
51.765·83,4·105
= 43,172 tm
L’acciaio compresso deve pertanto sviluppare un momento pari a:
Ma = 60-43.172 = 16.828 tm
51,765+18,492 ≅ 16,4 cm2 2200
Più semplicemente il calcolo approssimato di A’f si può effettuare nel seguente modo. Indicando con ∆b la riduzione della larghezza b la riduzione della forza di compressione nel conglomerato è data da:
σb · y 2
∆c =
σb · y ·∆b 2
Si ha quindi un sistema di due equazioni con incognite b e Af . Determiniamo la minima larghezza nel caso della sezione precedentemente esaminata. Abbiamo:
σb = 85 Kg/cm2 σa = 2200 Kg/cm2 σ ’a = 1.128 Kg/cm2 d = 95 cm d' = 4 cm y = 34,8 cm
Nel nostro caso:
A’f =
d- y 3 + σ’a · A’f (d-d’) = M
85·34,8·13,5 = 17,7cm2 2·1,128
Si ha quindi:
85 · 34 · 8
con un errore (in eccesso) di circa l’8%.
2
È opportuno tenere presente che è sconsigliabile che risulti A’f > A’f .
· b+(1,128-2200)· Af = 0
1.479·b -1,072·Af =1,379·b Sostituendo nella seconda equazione si ha
Pertanto il valore minimo della larghezza resistente b si ha imponendo la condizione A’f = A’f .
1,479 · b 95 -
Vediamo come si può risolvere il problema.
34,8 +1,128·1,379 ·b(95 - 4) = 60·105 3
da cui: Per l'equilibrio delle forze deve risultare:
Assunto: d’ = 4 cm e quindi si ha:
D 50
si ha:
ta = 95-4 = 91 cm
σb · b · y +σ’a · A’f - σ’a· Af = 0 2
b = 22,65cm Af = 1,379·22,65 = 31,24cm2
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO
A.ZIONI
METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI – PRESSOFLESSIONE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
VERIFICA
B.STAZIONI DILEGIZLII
FIG. D.5.2./16
Sia data una sezione come in Fig. D.5.2./16 armata con 16 φ 22 e si suppone Rck = 300
kg/cm2
I ED PRE NISM ORGA
y
Si ha:
60
300- 150 σ adm b = 60+ = 97,5 Kg/cm 2 4
B
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
C
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
100
a. identificare lo stato di pressoflessione con quello di pressione eccentrica; b. individuare sul piano della sezione un sistema di riferimento 0, x, y centrale (con origine nel baricentro della sezione) e principale (tale che il momento d’inerzia misto risulti nullo);
22
45
Determiniamo le caratteristiche geometriche della sezione omogeneizzata.
cs
Si ha una sollecitazione composta di pressoflessione quando la sezione sia soggetta a uno sforzo normale e a un momento flettente M. Fatta eccezione per alcuni casi particolari tale stato di sollecitazione viene esaminato ipotizzando che la sezione deformandosi, si mantenga piana. Nel metodo di calcolo alle tensioni ammissibili si suppone altresì che tensioni e deformazioni unitarie siano proporzionali. Se si ipotizza infine che i materiali costituenti la sezione abbiamo un comportamento omogeneo (rappresentato cioè dalla stessa legge sia a compressione sia a trazione) si dimostra che può essere applicato il principio della sovrapposizione degli effetti. Se sono verificate tutte le condizioni sopra ricordate si può:
x cd
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
c. decomporre il momento agente nei due momenti:
Mx = N·yc e My = N·xc dove xc
D.5. 2.
e yc
sono le coordinate del centro di pressione; d. valutare la tensione nel generico punto P (x, y) tramite la:
σ=
N A
+
My Iy
·x+
Mx Ix
A Area omogeneizzata:
·y
12
Ix =
60·1003 +2·15(5·3,80·452 + 2·3,80·222) = 5.000.000 + 1.264.602 = 6.264.6024 12 Wx =
Iy =
Ix = 125.292 cm3 h 2
100 ·603 +2·15(5·3,80·252 + 2·3,80·122) = 1.800.000 + 389.082 = 2.189.0824 cm 12
Wy =
Iy = 72.969 cm3 b 2
Nel caso di piccola eccentricità le condizioni da rispettare sono le seguenti: a) tensione massima nel conglomerato. Posto: σbam = 60+
σmin ≤ σmax/5 e che nella zona tesa sia presente una armatura tale da assorbire l’intera forza di trazione con una tensione unitaria ≤ 1400 Kg/cm2. c)
σmax+ σmin ≤ 0,7σbam 2
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
I CASO: N = 340 t
Mx = 60 tm
My = 0
Le tensioni massime si hanno lungo il lato BC le minime lungo il lato AD.
σ=
60·105 340,000 ± = 49± 48 → 125.292 6.912
σmax = 97 Kg/cm2 σmin = 1 Kg/cm2
96+1 = 48,5 < 0,7·97,5 = 68,25 Kg/cm2 2
per sezione rettangolare
b) sono ammesse tensioni di trazione purché risulti:
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
Eseguiamo alcune verifiche per varie condizioni di carico.
Rck-150 deve risultare: 4
σmax ≤ σbam
URB
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
a. PICCOLA ECCENTRICITÀ quando tutta la sezione è compressa (oppure le trazioni sono di entità modesta) b. GRANDE ECCENTRICITÀ quando in una zona, più o meno ampia, si verificano tensioni di trazione.
G.ANISTICA
Ai = 6000+16 ·3,80 ·15 = 6.912cm2
dove A è l’area della sezione e Ix e Iy i momenti d’inerzia della sezione rispetto agli assi del sistema centrale e principale. Nel caso delle sezioni in c.a. quanto sopra è valido per quelle condizioni di carico (N, Mx, My) per le quali nella sezione non si abbiano tensioni di trazione (oppure come vedremo, se tali trazioni sono molto modeste). Se in una parte della sezione si sviluppano tensioni di trazione dovremo considerare come non esistente il conglomerato nella parte tesa e considerare che in tale parte tesa risulti efficiente la sola armatura. È pertanto evidente che nel caso di sezioni in c.a. il problema dovrà essere posto in termini diversi nei due casi:
D 25
340,000 8 · = 35,58 cm2≤ 16·3,80 = 60,8 cm2 0,7·97,5·1,12 1000
° CASO: N = 300 t
Mx = 40 tm
Le condizioni a) e b) sono soddisfatte.
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
La condizione c) è soddisfatta.
La sezione è verificata.
My = 10 tm
La tensione massima e minima si verificano nei punti A e A.
d) l’armatura totale sia maggiore od uguale a:
σ=
Ν
8 Af ≥ · 0,7σbam·1,12 1000 e) siano presenti staffe con diametro interasse e caratteristiche in tutto identiche a quelle prescritte per una sezione soggetta al carico assiale una sezione soggetta al carico assiale N.
300,000 40·105 10·105 ± ± =→ 125.292 72.969 6.912
89 < 97,5
la condizione a) è soddisfatta;
/ -2,2 / < 89/5 = 17,8
la condizione b) è soddisfatta.
Poiché:
σmax = 89 Kg/cm2 σmin =-2,2 Kg/cm2
TO 2. D.5. TO ARMA N CEME
D 51
D.5. 2.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO
•
STRUTTURE
➦ METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI – PRESSOFLESSIONE NOCCIOLO D’INERZIA NEL CASO DI SEZIONE QUADRATA O RETTANGOLARE
PRESSOFLESSIONE RETTA CON GRANDE ECCENTRICITÀ
Il nocciolo di inerzia è un rombo con i vertici sugli assi x e y (Fig.D.5.2./16). Per individuare il vertice superiore sull’asse delle y possiamo operare come segue.
Consideriamo, per semplicità una sezione rettangolare con armatura simmetrica. Le condizioni a cui perverremo sono comunque di carattere generale. Siano N e M le azioni esterne.
Se indichiamo con Cs la sua distanza dall’origine e immaginiamo di applicare il esso un carico N, l’asse neutro dovrà coincidere con il lato AD.
L’eccentricità sarà data da: e = M
N
Dovrà pertanto essere verificata la relazione
σ=
N Ai
-
N·Cs =0→N Wx
1 Ai
-
Cs Wx
e quindi:
=0
Cs =
Wx Ai
FIG. D.5.2./17
Nel nostro caso:
C
125.292 = 18,12 cm 6.912
u
σb d'
Cs
A'f
Analogamente:
72.969 = 10,55 cm 6.912
y
e
Cd =
σ'b
Nella nostra normativa è consentito di considerare la sezione come soggetta a pressoflessione anche se l’asse neutro taglia la sezione, purché non venga superata la condizione:
σmin = -
G
d
SITUAZIONE LIMITE DI PICCOLA ECCENTRICITÀ
n
n
σmax 5 Af
Supponiamo di considerare il caso di flessione retta secondo l’asse x (My = 0) Vogliamo determinare i valori di sforzo normale e di momento per i quali si ha:
σmax = σamm
σmin = -
σa n b
σamm 5
Indicando con “e” l’eccentricità relativa dovrà risultare:
N Ai
-
N
N·e = σamm Wx
Ai
-
N·e Wx
=
σamm 5 Se poniamo: e =
Sommando si ottiene:
2N 1 4 = σamm 1= σamm Ai 5 5
h +u 2
possiamo determinare la distanza del centro di pressione P dove immaginiamo applicato lo sforzo normale N. Come asse di riferimento dei momenti assumiamo l’asse neutro che taglia la sezione.
e quindi:
N=
2 σamm·Ai 5
Le reazioni sviluppate dalla sezione: Compressione nell’acciaio:
sottraendo si ottiene:
2=
(N·e) 6 = σamm· Wx 5
con braccio y+u
σb·b ·y C’c = 2 σ’a·Af = nσ’b ·Af σa ·Af
Trazione nell'acciaio:
con braccio 2 y
3
con braccio (y-d') con braccio (d-y)
Le equazioni di equilibrio delle forze Af e dei momenti risultano:
e quindi:
N·e =
3 σamm·Wx 5
L’eccentricità risulta:
e=
3 Wx 3 5 1 N·e = σamm·Wx· · = 2 Ai 5 2 σamm ·Ai N
σb·b·y
Nel caso esaminato σamm = 97,5 Kg/cm2 Si ha pertanto:
+n·σ’b ·Af - σa·Af = N
σb·b·y 2 · y+n·σ’b·Af (y- d’)+ σa·Af (d-y) = N (y+u) 2 3 Tenendo presente che:
σ’b = σb
Quindi: e = 1,5 Cs
(y- d’) y
σa = nσb
(d-y) y
Cs = 18,12 cm
2 N = 97,5·6.912· ·10-3 = 269,568 t 5
M = 269,568 ·1,5 · 0,1812 = 73,27 tm
D 52
N
L’azione esterna è costituita da:
le equazioni di equilibrio possono essere così scritte:
σb =
Sn y
=N
σb · =
In y
= N(y+u)
dove con Sn e In si indicano i valori del momento statico e del momento di inerzia rispetto all'asse neutro della sezione omogeneizzata e parzializzata.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO
D.5. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
VERIFICA DELLA SEZIONE
N = 65t
Sviluppando tale espressione si ottiene una equazione di terzo grado nell’incognita y.
M = 30,8tm
Rck = 250Kg/cm2 σa ≤ 2200 Kg/cm2
si ha: e = M = 0,473 m N
Risolta, per tentativi, si ottiene:
I ED PRE NISM ORGA
FIG. D.5.2./18
la sezione è soggetta a:
In = Sn (y+u)
C.RCIZIO
40
E ESE ESSIONAL PROF
u = 47,3-40 = 7,3 cm
risolvendo l’equazione si ha y = 40cm Infatti:
(d-y) σa = n σb y
Sn = 32.000 cm3
In = 1.514.233 cm4
In Sn
Si ha pertanto:
la verifica è positiva se ambedue i valori così determinati risultano inferiori alle rispettive tensioni ammissibili.
σb =
D.GETTAZIONE
= 47,32 cm Af = A' f = 18 cmq d = 75 cm d'= 5 cm
80
N σ’b = ·y Sn
B.STAZIONI DILEGIZLII
ESEMPIO :
Sostituendo nella seconda equazione il valore di N definito dalla prima si ottiene:
65.000 · 40 = 81,25 Kg/cm2 32.000
σa = 15 ·81,25
75-40 = 569 Kg/cm2 75
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
DOMINIO DI INTERAZIONE
URB
In molti casi occorre controllare che la stessa sezione risulti verificata per diverse condizioni di sollecitazione, ciascuna delle quali individuata da una coppia di valori di N e di M. In tale caso si può individuare il dominio di interazione della sezione in campo elastico lineare.
σbam 60+ 250-150 = 85 Kg/cm2 4
σb0,7·85 = 59,5
Kg/cm2
Nmax = 07 ·85 ·(3200 +15 ·36) = 222.530 Kg
Riprendiamo le equazioni di equilibrio e quella di congruenza nella forma:
σb =
y
σb =
=N
In y
Abbiamo visto che è valida la relazione:
y=d
= N(y+u)
y+u =
n ·σa
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
Ai vari punti corrispondono i seguenti diagrammi di tensione.
n ·σb+σa
La massima forza di trazione vale 2200 · 36 = 79.200 Kg.
In Sn
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
FIG. D.5.2./20
Supponiamo di assumere un valore arbitrario per la variabile y e di determinare i corrispondenti valori di In e Sn .
PUNTO A 85
In Si avrà: u = -y Sn
PUNTO B 85
PUNTO B' 85
Assunto il valore della σb avremo:
M = N u+
Riportando tali valori come coordinate su un piano affine si individua il punto corrispondente alla posizione assunta per l’asse neutro. Vediamo a quali posizioni dell’asse neutro corrispondono i punti segnati nel grafico. Per semplificare l’esposizione riprendiamo la sezione precedentemente esaminata
b = 40 cm
h = 80 cm
d = 75 cm
Rck = 250 Kg/cm2
59.5
y = 66.6 cm D.5. TURE T STRU
Af = 18 cm2
σa = 159.5 Kg/cmq
σa ≤ 2200 Kg/cm2
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
h 2 75
Sn y
80
N = σ b· =
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
La sezione è verificata.
Sn
PRO TTURALE STRU
34
FIG. D.5.2./19
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
-17 y = 80 = 66.6 cm 1.2 PUNTO C 85
PUNTO D 61
PUNTO E σa = 2200 Kg/cmq
M
B
75
D
70
C
B' A
E
N max
N
σa = 2200 Kg/cmq y = 27.5 cm
σa = 2200 Kg/cmq y = 22 cm
σ a = 2200 Kg/cmq
TO 2. D.5. TO ARMA N CEME
D 53
D.5. 2.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO
•
STRUTTURE
➦ METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI – PRESSOFLESSIONE PROPORZIONAMENTO Siano dati i valori di N e M e le caratteristiche dei materiali tramite il valore di Rck per il conglomerato e il valore della tensione dell’acciaio.
Per quanto riguarda la seconda equazione di equilibrio (uguaglianza dei momenti) conviene scriverla con riferimento all’asse dell’armatura tesa.
Il sistema risolvente è costituito dalle due equazioni di equilibrio e dalla equazione di congruenza.
Avremo quindi:
FIG. D.5.2./21
d'
Cc+ Ca-T = N
A'f
In tali equazioni sono presenti le seguenti variabili:
e
σb; σa; b; d; y; Af ; Af Cc d - y
Affinché il sistema di tre equazioni sia univocamente risolvibile, occorre assegnare i valori a quattro delle sette variabili presenti. In generale si assegnano i valori di:
3
+Ca (d-d’) = N(e+m)
n σb y=d nσb+σa
Af σb, σa, µ = Af
y
d
G
e come quarto valore viene assunto o il valore della larghezza “b” oppure il valore dell’altezza utile “d”.
m
Af b
ESEMPIO
V = 150 t
M = 180 tm
Rck = 300
Avremo:
σa ≤ 2400
µ=1
h = 140
σb ≤ 60+ 300-150 = 97,5 Kg/cm2 4
abbiamo:
b=
2 ·241 = 0,82 m 975 ·0,605
Dalla prima equazione si ha:
T = Cc-N = 241-150 = 91 t
Af = 50 cm2
d = 135 cm A questo punto assumiamo
d’ = 5 cm e = M = 120 cm N m = 65 cm
Af = 48 cm2 La tensione nell'acciaio compresso vale:
σa = 15 · 60,5-5 ·97,5 = 1341 Kg/cm2 60,5 Ca = 1,341·48 = 64 t
Dobbiamo determinare b, Af , y Per quanto riguarda la tensione nell'acciaio non conviene assumere valori molto elevati; per valori crescenti di σa di hanno valori crescenti della larghezza b.
µ≅1
Dalla seconda equazione di equilibrio si ha:
Cc = 1,15 = 150(1,2+0,65)- 64·1,30 = 194,3
Conviene effettuare un primo tentativo ponendo:
µ=0
e
Cc = 169 t
σa = 1800 Kg/cm2
b=
si ha:
15 ·97,5 = 60,5 cm 15 ·97,5 +1800 y d- 3 ≅ 115 cm → 1,15 m
y = 135
Dalla prima equazione si ha:
T = Cc+Ca -N = 169+64- 150 = 83 t Af = 46 cm2
Usando come unità di misura t e tm della seconda equazione si ha:
Cc = 1,15 = 150 (1,20 +0,65)
2·169 = 0,57 m 975·0,605
praticamente uguale ad A’f
e quindi: La sezione può essere prevista con:
Cc = 241 t Poiché:
σb ·b ·y Cc = 2
D 54
b = 60 cm
h = 140 cm
A1ƒ = Aƒ = 46 cm2
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO
A.ZIONI
METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI – PRESSOFLESSIONE DEVIATA Per semplicità esaminiamo il caso di una sezione rettangolare con armatura simmetrica rispetto ai due assi di riferimento. Quanto esposto potrà essere facilmente esteso a una sezione qualsiasi. Supponiamo che la sezione sia soggetta a uno sforzo normale N e a due momenti Mx e My e quindi con centro di pressione nel punto C di coordinate. xc =
My N
yc =
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.2.22
B.STAZIONI DILEGIZLII y
Mx
Xc
A
C
B
N
E ESE ESSIONAL PROF
La deformazione unitaria in corrispondenza al generico punto della sezione può essere posta nella forma:
x
(1)
Yc
dB
Q
O
CO NTALE AMBIE
xi
(2)
yi
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
F
Se invece è presente un ferro di armatura avremo:
σa = nEbεo + nEbαy + nEbβx dove n =
E.NTROLLO
x P
Se nel punto considerato è presente del conglomerato si svilupperà una tensione
(3)
Ai
Ea Eb
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
y E
dove ε0 è la deformazione unitaria nell’origine degli assi α e β rappresentano le rotazioni intorno agli assi.
σb = Ebεo + Ebαy + Ebβx
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
Supponiamo che la retta EF rappresenti la posizione dell’asse neutro.
ε = ε0 + αy + βy
D.5. 2.
D
C
G.ANISTICA URB
è il coefficiente di omogeneizzazione (n = 15). Indicando con B l’area di conglomerato compresso e con Ai l’area del generico ferro d’armatura, le equazioni di equilibrio risultano:
∫ σ dB +∑σ
a
Ai = N
∫ σ ydB +∑σ
a
Ai = Mx
∫ σ ydB +∑σ
a
B b
B b
B b
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
Se indichiamo: con K la matrice dei coefficienti; con u il vettore deformazione unitaria (di componenti εo, α, β,); e il vettore f il vettore sollecitazione (di componenti
r
N Eb
,
Mx Eb
,
My Eb
);
si può scrivere: K·d = f e quindi u = K – 1· f
Ai = My
La soluzione si ottiene per successive approssimazioni. Sostituendo le espressioni di σ b e σ a si ottiene:
εo B+n∑A i + α SBx+n∑A i y i + β SBy+n∑A i x i
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
=
εo SBx+n∑A i y i + α IBx+n∑A i y i 2 + β IBxy+n∑A i x i y i
1) Si considera la matrice K1 relativa all’intera sezione omogeneizzata considerata interamente reagente. → → Si inverte tale matrice e dal prodotto K1 · f1 si trova il vettore u
N Eb
=
Mx Eb 2) ponendo nella (1) e = o otteniamo l’equazione dell’asse neutro:
εo SBx+n∑A i x i + α IBxy+n∑A i ·x i y i + β IBy+n∑A i x i 2
=
My Eb
I coefficienti di εo, α, β sono le caratteristiche geometriche della sezione omogeneizzata e parzializzata.
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
εo + α ·y + β ·x = 0 Questo taglia gli assi di riferimento nei punti Q e P:
xQ =
–εo β
yP =
–εo ∝
Si può pertanto scrivere: 3) Si ripetono le operazioni di cui ai punti precedenti determinando la matrice K2 afferente alla sezione compressa di conglomerato e all’armatura e si determina la nuova posizione dell’asse neutro.
εo·Bi+αSx+βSy = N E b
εo ·Sx+αIx+βIxy = Mx E
b
εo ·Sy+ αIxy + βIy = My E
b
4) Si ripete tale ciclo fino a quando le posizioni degli assi neutri relative a due successive iterazioni sono pressoché identiche.
TO 2. D.5. TO ARMA N CEME
D 55
D.5. 2.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO
•
STRUTTURE
METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI – FLESSIONE E TAGLIO NEL CEMENTO ARMATO Per le travi in cemento armato nelle cui sezioni si ha una sollecitazione composta di flessione e taglio, la nostra normativa prevede di procedere nel seguente modo: a) in relazione alla qualità del conglomerato definita dal valore della resistenza caratteristica (Rck) si determinano i due valori
τco = 4 + Rck–150 Kg/cm2 75
FIG. D.5.2./24
Tali armature sono in genere costituite da: • staffe; • ferri piegati; • reti elettrosaldate. Quest’ultimo tipo si usa prevalentemente nel caso di elementi prefabbricati. STAFFE Per travi con sezione rettangolare oppure a T con anima di spessore costante le staffe sono rettangolari.
τc1 = 14+ Rck–150 Kg/cm2 35
Le staffe debbono risultare esterne rispetto alle armature longitudinali (superiore e inferiore) e è preferibile che risultino “chiuse”. Se per motivi di montaggio delle armature risulta opportuno realizzare staffe in due parti, è indispensabile che le due parti si sovrappongano in maniera adeguata. Se risulta 40 cm < b < 100 cm, le staffe debbono avere almeno quattro bracci. Per b >100 cm, è opportuno aumentare ancora il numero dei bracci.
FIG. D.5.2./23 τ c0
ARMATURE TRASVERSALI
(Kg/cm 2 )
8
b
FERRI PIEGATI In linea generale tali armature sono disposte con un angolo di 45° rispetto all’asse della trave. Se la trave è molto alta si può aumentare l’inclinazione è bene però che non venga superato il valore di 60°. I ferri piegati possono essere costituiti come prolungamento delle armature longitudinali (superiori od inferiori) oppure da armature aggiunte (monconi). In ogni caso esse debbono essere bene ancorate ai loro estremi.
7
6
5 Rck (Kg/cm 2 ) 4 150 τ c1
250
350
450
500
ARMATURA TRASVERSALE MINIMA FIG. D.5.2./25
Nella normativa si prescrive che comunque nelle travi debbono essere disposte delle staffe. • L’area minima delle staffe presenti in un metro di trave è data da:
(Kg/cm 2 )
18
As = (0,1· b + 0,015 ·d)cm2/m • In un metro di lunghezza debbono essere presenti almeno tre staffe.
17
d
• Il passo delle staffe deve soddisfare la condizione:
i ≤ 0,8 d
16
Se, ad esempio, abbiamo: 15
b = 40 Rck
(Kg/cm 2 )
14 150
250
350
450
d = 95 cm
b
risulta:
As = 4 + 1,425 = 5,425 cm2/m
500
poiché 0,8 d = 76 cm prevale la prescrizione relativa al minimo di tre staffe al metro. b) Indicato con “T” il valore del taglio, con “b” lo spessore minimo dell’anima della trave e con “t” il braccio delle forze interne, si determina il valore della tensione tangenziale massima nella sezione tramite la:
τ=
T T ≅ t·b 0,9 d·b
dove “d” è l’altezza utile della sezione. c) Si confronta il valore di τ con i valori di τco e τc1 • se risulta τ ≤ τco non occorre calcolare alcuna armatura specifica. L’armatura trasversale (staffe) dovrà però rientrare entro i valori minimi previsti dalla normativa. • se risulta τco < τ ≤ τc1 deve essere calcolata una apposita armatura che comunque dovrà risultare maggiore di quella prevista come minima. • se risulta τ > τc1 è necessario modificare le dimensioni della sezione aumentando il valore di “b” oppure di “d”.
D 56
Prevedendo staffe a due bracci di diametro φ = 10 mm il numero di staffe risulta:
n=
5,425 2·0,79
= 3,43
i=
100 3,43
= 29 cm
Se abbiamo:
b = 120 cm
d = 28 cm (trave a spessore)
risulta:
As = 12 + 0,42 = 12,42 cm2/m
i ≤ 0,8·d = 22,4 cm
Prevedendo staffe a sei bracci di diametro φ = 8 mm ogni staffa sviluppa ~ 6 · 0,5 = 3 cm2. Il numero di staffe necessarie su un metro di lunghezza risulta:
n=
100 12,42 = 4,14 → = 24 cm 4,14 3
Poiché 24 > 0,8 d occorrerà disporre le staffe con un passo inferiore a 22 cm.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO
D.5. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
CALCOLO DELL’ARMATURA TRASVERSALE
VALORE MINIMO RELATIVO ALLE STAFFE
Abbiamo visto che se risulta:
Per quanto concerne la quota parte S1 da attribuire alle staffe la nostra normativa stabilisce che S1 > 0,4 S.
τ=
T
0,9d·b
> τco
È opportuno superare tale valore minimo assumendo: Ss = (0,5 ÷ 0,6) S.
è obbligatorio calcolare l’armatura trasversale. Vediamo quale sia lo schema di calcolo previsto dalla nostra normativa. Prendiamo in esame un concio di trave di lunghezza ∆x e indichiamo con T1 e M1 il taglio e il momento agente a un estremo e con T2 e m2 le azioni agenti all’altro estremo. Siano t1 e t2 i valori delle relative tensioni tangenziali. Per prima cosa dobbiamo calcolare la forza di scorrimento relativa al concio. Il valore di tale forza può essere calcolato in due modi:
S=
M2 – M1 ∆M ≅ t 0,9d·b
S=
In molti casi, per facilità di lavorazione si assume Ss = S non prevedendo la realizzazione di ferri piegati.
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
M2 – M1 ∆M ≅ t 0,9d·b
dove τ– è un adeguato valore medio (τ1 ≤ τ– ≤ τ2). Il modello di calcolo che si ipotizza è quello del traliccio di Ritter-Mörsch; si ipotizza che la trave fessurata sia assimilabile a una trave reticolare nella quale la funzione dei puntoni sia svolta dal conglomerato (compresso) e quella di tiranti dall’acciaio (teso). Si ipotizza altresì che i puntoni di parete formino un angolo di 45° con l’asse della trave. I tiranti di parete sono costituiti dalle staffe (perpendicolari all’asse della trave) oppure dai ferri piegati.
B.STAZIONI DILEGIZLII
CONTROLLO DELL’ARMATURA TRAMITE I VALORI DEL TAGLIO Riprendiamo l’espressione della forza di scorrimento relativa a un concio di lunghezza ∆x:
S = τ– ·b ·∆x Se indichiamo con T un adeguato valore medio tra i valori T1 e T2 del taglio si ha: S=
FIG. D.5.2./26
T·∆x T ·b ·∆x = 0,9·d 0,9·d·b
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
se assumiamo:
∆x = 0,9d
– S=T
si ha:
ESEMPIO In un concio di trave di lunghezza ∆x = 2m e altezza utile d = 95 cm risulti:
T1 = 50 tonn
T2 = 40 tonn
con variazione lineare.
σa = 2200Kg/cm2
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
0,9·d = 85,5 cm
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
Si assume:
Abbiamo:
T=
T1+T2 = 45tonn. 2
∆x 200 = = 2,34 0,9·d 85.5
La forza di scorrimento da assorbire vale: In definitiva si ipotizza la presenza di due meccanismi resistenti ai quali si attribuisce la funzione di opporsi alla forza di scorrimento. Poniamo: Ss + Sp = S per la forza Ss (staffe) e per la forza Sp (ferri piegati) avremo le seguenti decomposizioni:
s = 45 ·2,34 = 105,26tonn
As ≥ Ss
B
Sp
A
B
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
L’area totale delle staffe presenti deve soddisfare la condizione:
FIG. D.5.2./27 A
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
0,4·105260 2 = 19,14 cm 2200
Deve inoltre risultare:
45
As+Ap· 2 ≥
S 105260 2 = = 48,84 cm 2200 σa
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
C
C
AZIONE NELLE STAFFE CA = AB = Ss
AZIONE NEI FERRI PIEGA CA = AB = Sp 2
2
Conseguentemente l’area delle staffe e l’area dei ferri piegati da disporre nel concio di lunghezza Dx sono date da:
As =
Ss
σa
Ap =
Sp 2σa
ARMATURA LONGITUDINALE MINIMA SUGLI APPOGGI TERMINALI Nel caso di condizioni di vincolo terminale corrispondente a un appoggio semplice si T ≠ 0. ha su tale sezione uno stato di sollecitazione caratterizzato da M = 0 Ai fini della flessione risulterebbe pertanto non determinabile un valore per l’armatura longitudinale inferiore. La normativa prescrive che su tali condizioni debba comunque prevedersi una armatura longitudinale A e il cui valore minimo è dato da:
Ae =
T σa
con
σa ≤ σamm
TO 2. D.5. TO ARMA N CEME
D 57
D.5. 2.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO
•
STRUTTURE
➦ METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI – FLESSIONE E TAGLIO NEL CEMENTO ARMATO ESEMPIO
FIG. D.5.2./28
Progettare la trave di figura assumendo: Rck = 250 σa = 2200.
30t
R A = RB = 54t
Prevedere una sezione a T.
30t
RA = RB = 54t
4 t/m
Mc = Md = 54 · 2,5 – 4 · 2,52 = 122,5 tm
D
C
A
Il momento massimo vale:
B
250
M=
250
4 ·122 + 30 ·2,5 = 147 tm 8
1200
Tensione ammissibile nel conglomerato (sezione a T):
σb = 0,9 60 + 250 –150 = 76,5 kg/cm2 4
54
44
si assume:
σb = 75 Kg/cm2 σa = 2200 B = 100cm L’altezza utile è data da:
d=r
M = 0,3 · B
La forza di scorrimento può calcolarsi in due modi:
147·105 = 115 cm 100
147·105 Af = = 64,5 cm2 0,9 ·115 ·2200
S=
12 ø 26
(122,5 – 0)·105 = 118.357 Kg 0,9 ·115
La forza di scorrimento viene suddivisa in due parti uguali:
Ss = Sp 118.3002 = 59150
La distanza dell’asse neutro dal bordo superiore risulta:
y = d·
15·75 n σb = 116 · = 39,2 cm 15·75+2200 nσb+σa
Per le staffe si ha un’area complessiva: As =59.150
Lo spessore minimo dell’anima è condizionato dal massimo valore possibile delle tensioni tangenziali.
pertanto occorreranno: 26,9
Ap = 59150 100
2 2·2200 = 19 cm
35
L’armatura longitudinale minima sugli appoggi terminali è data da:
Ae =
54,000 = 24,5 cm2 2200
Occorrerà pertanto che sugli appoggi arrivino (adeguatamente ancorati) 5 φ 26 120
54,000 = 30,7 cm 0,9 ·115 ·16,85
= 17 staffe
L’area complessiva dei ferri piegati da disporre nel tratto A-C risulta:
FIG. D.5.2./29
Nel nostro caso:
bmin =
1,57
i = 250 17 ≅ 15 cm
250 –150 τC1= 14 + = 16,85 Kg/cm2 35
T’max 0,9 · d ·τc1
= 26,9 cm2
Poiché occorre proteggere una lunghezza di 250 cm l’interasse sarà:
Per Rck = 250 si ha:
si ha bmin =
2200
Prevedendo staffe φ 10 a due bracci l’area di una staffa corrisponde a 1,57 cm2;
Lo spessore dell’ala si assume: s = 35 cm
T Dalla τ = 0,9 · d·b
S = 13,52·35·250 = 118.300 Kg
Nel tratto C-D risulta:
Si assume b = 35 cm
τ < τco
È ora possibile disegnare la sezione. Occorre pertanto disporre il minimo di staffe definito da: 35
Calcolo dell’armatura a taglio nei tratti A-C e B-D.
(0,1 · b + 0,015d) cm2/m
In A e B
Nel nostro caso:
54,000 τ= = 14,9 Kg/cm2 0,9 ·115·35
44,000 τ= = 12,14 Kg/cm2 0,9·115·35
Prevedendo staffe φ 10 a due bracci con interasse 25 cm, si ha:
Poiché la variazione è lineare la tensione media vale:
τ– = 13,52 Kg/cm2
D 58
Mc = 122,5 tm
0,10 · 35 + 0,015 · 115 = 5,24 cm2/m
Ma = 0
∆ = 2 · 0,79 ·
100 = 6,32 cm2 > 5,24 cm2 25
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO
A.ZIONI
METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI – TORSIONE La variazione delle tensioni tangenziali dovute a un momento torcente dipende dalla forma della sezione. Non è pertanto possibile determinare una relazione valida per qualsiasi tipo di sezione. Nei casi più comuni abbiamo: SEZIONE CIRCOLARE PIENA DI DIAMETRO D
τ=
16·Mt π·D3
≅ 5,1·
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
ARMATURA A TORSIONE Se risulta τ > τco è necessario prevedere una apposita armatura. Questa è costituita da staffe e da ferri longitudinali. L’area totale dell’armatura longitudinale deve soddisfare la seguente condizione:
Mt
Ae ≥
D3
De De4 –Di4
Ast ≥
Mt Se De – Di = 2 · s è piccolo rispetto a De si può assumere: τ ≅ 0,64 D2·8·s SEZIONE RETTANGOLARE (b ≤ h)
Tmax = y.
Mt b2.h
dove
Mt 2·b·h
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
P σa
·
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
dove p è il perimetro del nucleo racchiuso dalle armature. L’area delle staffe necessarie in un tratto di lunghezza Dx è data da:
SEZIONE ANULARE
τ = 5,1Mt ·
∆x Mt · 2·b ·h σa
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
ESEMPIO
2,6 y=3+ 0,45+h/b
Una trave di lunghezza 4 m incastrata a un estremo e libera all’altro è soggetta a un momento torcente esterno di entità 1,2 tm/m per tutta la sua lunghezza. Si effettui il proporzionamento a torsione e si determini l’armatura a torsione.
h/b
1,0
1,5
2,0
2,5
3,0
3,5
4,0
5,0
6,0
∞
γ
4,79
4,33
4,06
3,88
3,74
3,66
3,58
3,47
3,4
3,0
Si assumono:
Mt max = 1,2·4 = 4,8 tm
Smax ∑·ai·si 3
F. TERIALI,
G.ANISTICA
h
Si ha: b = 2,5 e quindi γ = 3,88 Si prevede: Poiché: τco = 5,33Kg/cm2 τa = 16,85Kg/cm2 si assume:
CO NTALE AMBIE ICHE TECN MA ONENTI, P COM
σa = 2200Kg/cm2
Rck = 250
SEZIONE A T, I, U
τmax = 3Mt ·
D.5. 2.
URB
τ = 12Kg/cm2
FIG. D.5.2./30
3,88 ·4,8 ·105
b2·h
12
s1
a1 Si ha: Ponendo: h = 2,5·b si ha: b3 = 62,08 ·103
= 1,552·105
b = 40 cm
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
h = 100 cm
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
Il perimetro del nucleo risulta:
s3 a3
p = 2 40–6+100– 6 = 256 cm
Ae =
256 4,8 ·10 · ≅ 8,73 cm2 2·34·94 2200
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
s2
Si possono disporre 8 φ 12. Prevedendo staffe φ 10 il passo ∆x è dato da:
∆x ≤ a2
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
2 ·34 ·94 ·2200 ·0,79 = 23 cm 4,8 ·105
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
METODO SEMIPROBABILISTICO AGLI STATI LIMITE – STATO LIMITE ULTIMO PER FLESSIONE – ARMATURA SEMPLICE Consideriamo una sezione in c.a. e supponiamo che essa sia sottoposta a un momento Mu praticamente coincidente con il valore del momento che determina il collasso della sezione. La sezione (sia pure prossima alla rottura) è ancora in equilibrio. Si ha pertanto:
C–T = 0
C · t = T · t = Mu
dove con C e T si indicano le forze di compressione e trazione e con t il braccio delle forze interne. Si suppone che la sezione deformandosi si mantenga piana. Se indichiamo con εb ed εa le deformazioni unitarie del conglomerato al lembo estremo della parte compressa e dell’acciaio teso e con “d” l’altezza utile della sezione, la relazione di congruenza è definita tramite la:
y = d·
εb εb+εa
Sono altresì definiti i legami costitutivi dei due materiali (conglomerato e acciaio) considerando totalmente inesistente la resistenza a trazione del conglomerato. I legami costitutivi vengono (convenzionalmente) assunti del tipo riportato in Fig. D.5.2./31.
Per quanto riguarda il conglomerato si deve tenere presente che l’area della figura mistilinea OABB”, è praticamente uguale all’area del rettangolo A”A’BB” e che ambedue hanno il baricentro che dista di circa 0,4 εbr della retta BB”. Come tensione di calcolo si assume il valore 0,85 fcd dove:
fcd =
0,83·Rck 1,6
e come deformazione unitaria di rottura il valore convenzionale εbr = 3,5 ·10–3 indipendentemente dalla qualità del conglomerato. Per quanto riguarda l’acciaio la tensione si assume variabile linearmente tra zero e
fyd =
fyk 1,15
essendo fyk il valore della tensione caratteristica di snervamento. Nel punto A si ha il passaggio dal comportamento elastico lineare al comportamento plastico. La deformazione unitaria corrispondente al punto A vale:
εas =
fyd Ea ➥
TO 2. D.5. TO ARMA N CEME
D 59
D.5. 2.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO
•
STRUTTURE
➦ METODO SEMIPROBABILISTICO AGLI STATI LIMITE – STATO LIMITE ULTIMO PER FLESSIONE – ARMATURA SEMPLICE dove Ea è il modulo elastico dell’acciaio (pari a 2,1 · 106 kg/cm2). Come allungamento unitario a rottura si assume il valore convenzionale:
FIG. D.5.2./32
0.8 y
y
indipendentemente dalla qualità dell’acciaio. Indipendentemente dal tipo di sezione, la condizione di rottura è determinata dal fatto che per almeno uno dei due materiali si sia raggiunta la deformazione unitaria di rottura e conseguentemente la corrispondente tensione unitaria. Prendiamo ora in esame alcuni tipi di sezione particolarmente importanti nei casi pratici.
0.4 y
b
εar = 10·10−3
C
t
d
FIG. D.5.2./31 fc A
A'
B
0.85f cd 0.4 εbr
Af
T
0.8 εbr εbr
O
A''
B''
O
2x10 -3
B
εb
br
1 3
fy
A B
A
fyd
εar
y=
B''
A'' O εas =
εar =10x10 -3
εas
3,5 ·103 ·d = 3,5·10–3+fyd /2,1·106
avremo: Poiché deve risultare
fyd Ea
3,5 fyd 3,5+ 2100
·d = kb·d
C=T 0,85 fcd · 0,8 ·kb· b · d = fyd · µ ·d·b
avremo:
SEZIONE RETTANGOLARE
µb =
Si possono individuare tre campi di rottura a seconda della posizione dell’asse neutro:
y ≥ OA εb = εbr εb ≤ εas • Campo (1): la rottura avviene per collasso del conglomerato, mentre l’acciaio è ancora in campo elastico.
• Campo (3): y > OB εb > εbr εa = εar la rottura avviene per collasso dell’acciaio.
(0,85·0,8·kb) ·fcd fyd
Per l’acciaio 38 K e per quello 44 K avremo:
OA ≥ y ≥ OB εb = εbr εas ≤ εa ≤ εar • Campo (2): la rottura avviene per collasso del conglomerato. L’acciaio è snervato e il suo allungamento unitario è tanto maggiore quanto minore è il valore di y.
µb (38) =
0,85·0,8·0,69 ·fcd = 0,142 ·fcd ·10 – 3 3304
µb (44) =
0,85·0,8·0,657 ·fcd = 0,116·fcd ·10–3 3826
Analogamente possiamo determinare le percentuali d’armatura corrispondenti alla posizione dell’asse neutro definito dal segmento 0B. In tal caso, indipendentemente dalla qualità dell’acciaio si ha:
La rottura avviene all’interno di uno dei tre campi in funzione dei valori fcd , fyd e della
µ=
y = kr·d
Af b·d
percentuale d’armatura: Poniamo: y = OA (sezione bilanciata) e quindi: εb = εbr
C = 0,85 fcd · 0,8y· b T = fyd · Af = fyd · µ · d· b
D 60
2
3.5x10 -3
con
kr =
3,5 = 0,259 3,5+10
e quindi:
εa = εas
µr (38) =
0,85·0,8·0,259 ·fcd = 0,0533 ·fcd ·10–3 3304
µr (44) =
0,85·0,8·0,259 ·fcd = 0,046 ·fcd ·10–3 3826
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO
D.5. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.2./33 µ
3%
µ
(Fe B 38 k) fyk= 3800
3%
fortemente armate
B.STAZIONI DILEGIZLII
(Fe B 44 k) fyk= 4400
I ED PRE NISM ORGA fortemente armate
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF 2%
D.GETTAZIONE
2%
normalmente armate
PRO TTURALE STRU
normalmente armate
1%
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
1%
debolmente armate
0.41%
150
250
350
Rck
450
150
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
debolmente armate
0.35%
250
350
450
Rck
G.ANISTICA URB
SEZIONI RETTANGOLARI NORMALMENTE ARMATE È questo il caso più frequente. Si espongono alcuni esempi di verifica e di proporzionamento.
I ESEMPIO – Determinare il momento ultimo della sezione di figura assumendo: b = 45 cm
d = 95 cm
Af = 45 cm2
Rck = 300
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
fyk = 4400
FIG. D.5.2./34 Abbiamo:
La forza di trazione vale:
fcd =
0,83·300 = 155 1,6
d
4400 fyk = = 3826 1,15
La forza di compressione è data da:
C = 0,85 · fcd ·0,8 ·y·b = 0,85 ·155 ·0,8·y·45 = 4743·y deve risultare C = T e quindi si ha:
y=
La percentuale d’armatura risulta:
µ=
Af
45 45·95
172.170 = 36,3 cm 4743
Il braccio delle forze interne è dato da:
t = d – 0,4 · y = 95 – 0,4 · 36,3 = 80,48 cm
D.5. TURE T STRU
si ha:
Mu = C · t = T · t = 172.170 · 80,48 = 138,6 · 105 Kg/cm E ZION D.6. DI FONDA E OPER
II ESEMPIO Proporzionare una sezione rettangolare assumendo:
Mu = 120 tm
Rck = 250
fyk = 4400
Abbiamo: Poiché stiamo nel campo delle sezioni normalmente
fcd =
0,83·250 = 129 1,6
fyd =
3,5 kb = = 0,657 3826 3,5 + 2100 kr =
y = (0,259 ÷ 0,657) · d per l’equilibrio della sezione deve risultare:
C–T=0
può variare tra:
εa = εs
e
3,5 = 0,259 35+10
t = d – 0,4 y = d – 0,4 · kd = d (1 – 0,4 · k) |C · T = (0,85 · fcd · 0,8 · y · b) d (1 – 0,4k) = = 0,85 · fcd · 0,8 · k · d · b · d (1 – 0,4 · k) = = 0,68 · fcd · b · d 2 · k (1 – 0,4k) si ha quindi:
Si ha pertanto:
εbr y = ε + ε ·d = k·d br a
se
Con il tipo di acciaio previsto si ha:
0,83·250 = 129 1,6
armate l’acciaio è snervato. La relazione di congruenza:
y = kb·d
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
= 1,05%
(sezione normalmente armata) L’acciaio è sicuramente snervato.
b
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
T = fyd ·Af = 3826·45 = 172.170Kg
y = kr·d
se
εa = εar
C · t = T · t = Mu
dove il braccio delle forze interne è dato da: possiamo pertanto porre:
b · d2 =
Mu 0,68 · fcd ·k(1– 0,4k)
Assunto uno dei due valori (b, d ) si ricava l’altro. Noto il valore dell’altezza utile d e quindi del braccio delle forze interne:
t = d (1 – 0,4 · k) ➥
TO 2. D.5. TO ARMA N CEME
D 61
D.5. 2.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO
•
STRUTTURE
➦ METODO SEMIPROBABILISTICO AGLI STATI LIMITE – STATO LIMITE ULTIMO PER FLESSIONE – ARMATURA SEMPLICE ➦ SEZIONI RETTANGOLARI NORMALMENTE ARMATE Le due soluzioni limite sono date da:
FIG. D.5.2./35
Su tale argomento si forniscono chiarimenti nel seguito. Il criterio di scelta può anche essere motivato dalla scelta della larghezza “b” oltre che quella prioritaria dell’altezza utile “d”. Supponiamo che nel nostro caso si decida di scegliere: b = 35 cm. Riprendiamo l’espressione che definisce il valore del prodotto bd2, l’incognita diviene il valore del “k” relativo.
Per k = kr = 0,259
b=
120 ·105 0,68 ·129 ·0,259 ·(1– 0,4 ·0,259) ·1102
= 48,7 cm
t = 110·(1– 0,4·0,259) = 98,6 cm
d
Af =
120 ·105 = 31,8 cm2 98,6 ·3826
k·(1–0,4k) =
Per k = kb = 0,657
b=
Af
0,68·129·0,657·(1– 0,4·0,657)·1102
= 23,3 cm
Premesso quanto sopra, supponiamo che nel caso proposto si assuma d = 110 cm.
= 0,3768
Sviluppando si ha: Risolvendo: k = 0,462
Per prima cosa è opportuno notare che tra le due soluzioni estreme si ha una riduzione della larghezza “b” di circa il 50% con un aumento di armatura di circa il 20%. Per seconda cosa è opportuno sottolineare che tra tutte le infinite soluzioni possibili tra le due soluzioni estreme il criterio di scelta deve essere assunto dal progettista. Tale criterio può essere quello di avere una sezione che presenti un predeterminato livello di duttilità.
Mu Af = t ·fyd
120 ·105 0,68·129·30·1102
k2 – 2,5k+0,942 = 0
t = 110·(1– 0,4·0,657) = 81 cm
si determina l’armatura:
=
Si ha:
120·105
b
Mu 0,68·fcd ·b ·d 2
y = 0,462 · 110 = 50,85 cm t = 110 · 0,4 · 50,85 = 89,6 cm
Af =
120·105 = 35 cm2 98,6·3826
SEZIONI RETTANGOLARI FORTEMENTE ARMATE Si premette che tale tipo di sezione è generalmente sconsigliabile e da escludere nel caso di progettazione di struttura da erigere in zona soggetta a rischio sismico. Per tali sezioni la posizione dell’asse neutro è definita da: y > kb d dove:
3,5
kb =
3,5 +
e quindi
Un solettone di altezza totale h = 40 cm d = 35 cm è armato con 15 φ 26 Rck = 250 fyk = 4400. Si ha:
fyd
µ=
2100
Indicando con εa<εas la deformazione unitaria dell’acciaio di ha:
εbr k= εbr + εa
ESEMPIO
εa = εbr
1 –1 k
15 · 5,3 2,27 ·10–2 100 · 35
poiché per i materiali previsti si ha: µb = 0,116·129·10–3 = 1,49·10–2 la sezione è fortemente armata.
α = 92,5 ·129 ·10–6 = 1,19·10–2
La tensione nell’acciaio vale:
fy = Ea · εa = Ea · εbr Ponendo C = T
e
Af = µ bd
µ /α =
1 –1 k
si ha: 0,85 · fcd · 0,8y · b = fy · Af e quindi:
0,85· fcd ·0,8 ·k·b·d = Ea · εbr
1 – 1 · µ · b·d k
1 2
3,638 +7,63 – 1,907
y = 0,725 · 35 = 25,375 cm
εa = 3,5 ·10–3
Risolvendo rispetto a µ si ha:
µ=
Assumendo: Ea = 2,1 ·
k=
k 0,85 ·0,8 ·fcd · Ea·εbr 1 –1 k
106 Kg/cm2
εbr =
3,5·10–3
µ = 92,5 ·10–6· fcd · Ponendo: α = 92,5 · 10–6 · fcd
k=
= 0,725
t = 35 – 0,4 · 25,375 = 24,85
1 –1 0,725
= 1,327·10–3
fy = Ea · εa = 2,1 · 106 · 1,327 · 10–3 = 2728 Kg/cm2 T = fy · Af = 2728 · 15 · 5,3 = 221.640 Kg si ha:
k2
Mu = T · t = 221.640 · 24,85 = 55,07 · 105 Kg/cm = 55,07 tm Per controllo determiniamo il valore della compressione:
1– k
C = 0,85 · fcd · 0,8 · y · 100 = 0,85 · 129 · 0,8 · 24,85 · 100 = 217.984 kg
e risolvendo rispetto a k:
1 2
2,27 = 1,907 1,19
Praticamente coincidente col valore di T. Lo scarto è di circa 1,6%, dovuto ad arrotondamenti numerici.
µ2 4µ µ + – α α2 α
SEZIONI RETTANGOLARI DEBOLMENTE ARMATE In tal caso la percentuale d’armatura risulta inferiore al valore.
y<
µ r = 0,85 · 0,8 · 0,259 ·
Per la posizione dell’asse neutro si ha:
D 62
fcd fyd
= 0,176 ·
fcd fyd
3,5 · d = 0,259 d 3,5+10,0
Conseguentemente il braccio delle forze interne risulta:
t = d– 0,4y > d(1– 0,4·0,259) ≅ 0,9d Poiché l’acciaio è snervato il momento ultimo è dato da: Mu = fyd · Af · t
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO
D.5. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
MOMENTO ULTIMO DI SEZIONI A “T” – VERIFICA Nella generalità dei casi a rottura si ha εa > εas . Per la determinazione del momento ultimo debbono essere assegnati i valori di B, b, s, d, Af, Rck, fyk. Si determinano i valori di:
fcd =
0,83Rck
fyd =
1,6
B.STAZIONI DILEGIZLII
FIG. D.5.2./36
I ED PRE NISM ORGA
B 0.85 fcd
br
fyk
s
1,15
— Per prima cosa si determina il valore di y supponendo che la sezione sia rettangolare di dimensioni B e d e armatura Af .
E ESE ESSIONAL PROF
y
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
Se risulta y ≤ s il momento ultimo è dato da:
— Mu = fyd · Af · (d – 0,4 y ) Se risulta y > s si deve procedere nel seguente modo:
Af
b
d
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
1) si determina la compressione nelle ali tramite la:
C1 = 0,85 fcd (B – b) s
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
2) si determina l’armatura corrispondente alla compressione C1 tramite la:
Af1 =
C1 fyd
G.ANISTICA
3) Si considera la sezione dell’anima di dimensioni b d e armatura Af2 = Af – Af1 4) Si determina l’asse neutro della sezione di cui al precedente punto tramite la:
C2 = 0,85 · fcd · 0,8 · y · b = fyd · Af 2
URB ESEMPIO
B = 80 cm B = 80 cm
C1 = 0,85 · 155 · (80 – 30) · 15 = 98.812 Kg b = 30 cm b = 30 cm
s = 15 cm s = 15 cm
d = 100 cm d = 100 cm
Af1 =
Abbiamo:
fcd =
e quindi:
4400 1,15
y= = 3826
s
t2 = d – 0,4 y
Il momento ultimo vale:
y=
= 27,7 cm
t2 = 100 · 0,4 · 27,7 = 88,9 cm
3826·48,7 0,85 ·155 ·0,8·80
22,09 > s = 15 cm Mυ = 3826 (25,82 · 92,5 + 22,88 · 88,9) =
Se la sezione fosse rettangolare avremmo: Abbiamo allora:
Mυ = fyd (Af 1 · t1 + Af 2 · t2 )
3826·22,8 0,85 · 155 · 0,8 · 30
t1 = 100 – 7,5 = 92,5 cm
5) Si determinano i valori:
t1 = d– 2
cm4
= 155 Kg/cm2
1,6
fyd =
0,85· fcd · 0,8·b
98.812 = 25 cm2 3826
Af 2 = 48,7 – 25,82 = 22,88
0,83·300
fyd ·Af 2
y=
= 168,92 · 105 Kg/cm = 168,92 tm
Supponiamo che siano assegnati i valori di:
Il momento sviluppato dall’anima vale:
Occorre determinare i valori di B,s,Af . Il procedimento è analogo a quello di verifica.
Rck = 300
d = 110 cm
b = 25 cm
fyk = 4400
Abbiamo:
fcd = 155
fyk = 3826
Assumiamo εa >> εas ad esempio εa = 8·10–3 Avremo:
3,5 εbr y = d· 110 · ≅ 33,5 cm 1,15 εbr+εa
88.272 · 96,6 = 85,27
· 105 Kg/cm
a · s · 110 – = 85,27
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
a=
la compressione sulle ali dovrà sviluppare il momento:
M1 = 135 – 85,27 ≅ 50 tm
(
t1 = 110 – s 2
dovrà risultare:
C1 · t1 = 263,5a · s = 110 –
= 18,975 · 103
18.975 ·103 12(110 – 6)
= 15,2 cm
Avremo:
Se poniamo: (B – b) = 2a e indichiamo con s lo spessore dell’ala, avremo:
C1 = 0,85 · 155 · 2a · s = 263,5 · a · s
s 2
Posto ad esempio s = 12 cm si ha:
Poiché vogliamo che risulti Mm = 130 tm
la compressione dell’anima vale:
C2 = 0,85 · 155 · 0,8 · 33,5 · 25 = 88.272 Kg
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
e quindi:
t2 = d · 0,4y = 110 – 0,4 · 33,5 = 96,6 cm
Mu,d,b,Rck,fyk
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
D.5. TURE T STRU
MOMENTO ULTIMO DI SEZIONI A “T” – PROPORZIONAMENTO
Supponiamo: Mu = 135 tm
C.RCIZIO
)
C1 = 263,5 · a · s = 263,5 · 15,2 · 12 = 48,076 Kg La forza di trazione risulta:
T = C1 + C2 = 48,076 + 88.272 = 136.348 Kg Af =
s = 50 · 105 2
T = 35,63 cm2 fyd
B = 2 · a + b = 2 · 15,2 + 25 ≅ 55 cm
TO 2. D.5. TO ARMA N CEME
D 63
D.5. 2.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO
•
STRUTTURE
METODO SEMIPROBABILISTICO AGLI STATI LIMITE – STATO LIMITE ULTIMO DI SFORZO NORMALE VERIFICA Indicheremo con Nu lo sforzo normale centrato che viene assunto come sforzo normale ultimo. Le caratteristiche dei materiali siano definite tramite i valori di Rck e fyk . Siano Ac l’area di conglomerato e Af l’area dell’acciaio presente nella sezione. Avremo (punto 4-2-1-2- del DM 9 gennaio 1996):
Nυ =
ESEMPIO Siano:
Nd = 300t
0,85 · fcd · Ac + fyd · Af 1,25
fyk = 4400
La sezione sia quella in figura.
Ac = 2500 cm2
dove:
fcd =
0,83 · Rck 1,6
fyd =
Af = 8 · 3,14 = 25,12 cm2
fyk 1,15
fcd =
Se indichiamo con Nd l’azione di calcolo relativa agli stati limite ultimi deve risultare:
0,83·250 = 129,7 Kg/cm2 1,6
Nd ≤ Nυ
fyd =
Deve inoltre risultare:
Nd fyd
Af > 0,15 ·
4400 1,15
= 3826 Kg/cm2
Abbiamo:
Nυ = 0,85 ·
Per quanto riguarda l’armatura valgono inoltre le seguenti prescrizioni: 1)
Rck = 250
3 6 ·A ≤ Af ≤ ·A 1000 c 1000 c
129,7 ·2500 + 3826 · 25,2 ≅ 316,000 Kg > Nd 125
0,15 ·
2) Il diametro delle armature deve essere ≥ 12 mm. Debbono essere inoltre previste staffe con diametro ≤ 6 mm e passo: p ≤ (15D) cm dove D è il diametro minimo presente espresso in cm;
p ≤ 25 cm.
300,000 = 11,76 cm2 < 25,12 cm2 3826
FIG. D.5.2./37
PROPORZIONAMENTO
Af ≥ 0,1
05
In tal caso sono assegnati: Nd , Rck, fyk e occorre determinare l’armatura e le dimensioni della sezione. Conviene per prima cosa stabilire l’armatura:
Nd fyd
Dalla relazione che definisce il carico limite ultimo si ha:
Ac ≥
1,25 0,85 · fcd
50
Nd – fyd ·Af
Volendo modificare (in meno) il valore di Ac occorrerà variare Af .
METODO SEMIPROBABILISTICO AGLI STATI LIMITE – COMPORTAMENTO FRAGILE O DUTTILE DI SEZIONI INFLESSE Ci riferiamo alle sezioni rettangolari. Quanto verrà esposto ha però una validità concettuale per qualsiasi tipo di sezione.Consideriamo una sezione rettangolare e assegniamo il valore dell’altezza utile “d” e la qualità del conglomerato e dell’acciaio tramite i valori di Rck e di fyd. Assegnato un valore del momento ultimo, si possono progettare infinite sezioni che ammettono lo stesso valore del momento ultimo assegnato. Ognuna di queste sezioni (essendo costante “d”) sarà caratterizzata da una particolare coppia di valori di b e Af e quindi della percentuale d’armatura:
µr =
Le due sezioni sono equivalenti rispetto al momento ultimo. Esse hanno però un comportamento notevolmente diverso in prossimità della rottura Per comprendere tale differenza occorre fare riferimento alla curvatura della sezione. Nell’ipotesi che le sezioni si deformino mantenendosi piane la curvatura è definita dal valore: Nel nostro caso, a rottura si ha:
Af
α=
b·d
Precedentemente, assumendo:
Mυ = 120tm,
Rck = 250,
d = 110
fyk = 4400 per la sezione bilanciata:
abbiamo visto che per le due soluzioni estreme relative al campo delle sezioni normalmente armate, si ha: Sezione bilanciata:
Mυ = 120tm
b = 23cm,
Af = 38,72cm2
εbr = 3,5 ·10–3,
εa = 1,82 ·10–3
Sezione terminale:
Mυ = 120tm,
D 64
b = 48cm,
Af = 31,8cm2
εbr = 3,5·10–3,
εa = 10·10–3
αb =
(3,5 +1,82)·10–3 = 4,83·10–3 110
per la sezione terminale:
αr =
(3,5+10)·10–3 = 12,27 ·10–3 110
εb + εa d
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO
D.5. 2. A.ZIONI
Se consideriamo la rotazione della sezione si ha: θ = a d espresso in radianti.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.2./38
Si ha quindi:
B.STAZIONI DILEGIZLII
M
θ = arctg (εb + εa)
120
Poiché:
y d
εb
=
C.RCIZIO
εb εb + εa = y d
→ si ha
εb + εa
E ESE ESSIONAL PROF
Mc
e quindi:
θ = arc tg
εb k
I ED PRE NISM ORGA
B
A A'
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
dove k = y/d
Nel caso esaminato abbiamo che le rotazioni a rottura valgono: per la sezione bilanciata...= per la sezione terminale...=
E.NTROLLO
0,0053 rad 0,0135 rad
0 M
Riportando in due diagrammi le leggi di variazione dei momenti in funzione delle rotazioni si hanno due diagrammi del tipo rappresentato nella Fig. D.5.2./38.
F. TERIALI,
C
B
120
CO NTALE AMBIE
0
0.053
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
Nel primo caso, superato il momento di “cracking” Mc, quando si perviene al momento di rottura (120 tm) la sezione si rompe per collasso del conglomerato con modeste deforme.
G.ANISTICA
Nel secondo caso, raggiunto il valore di momento corrispondente al punto B (momento molto prossimo al momento di rottura) la sezione continua a ruotare senza rompersi. La rottura avviene quando si raggiunge il momento di rottura con una notevole rotazione della sezione.
Mc
URB
A A'
Tale rotazione è essenzialmente dovuta ai forti allungamenti dell’acciaio dovuti al suo snervamento. È opportuno tenere presente che tale comportamento deriva esclusivamente dalla posizione dell’asse neutro a rottura in relazione, ovviamente, alla qualità dei materiali presenti nell’elemento strutturale.
0
0.053
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
0
METODO SEMIPROBABILISTICO AGLI STATI LIMITE – PRESCRIZIONI NORMATIVE IN MERITO ALLA DUTTILITÀ
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
La normativa attualmente in vigore (DM 9 gennaio 1996) pone particolare attenzione in merito al fatto che venga escluso un comportamento fragile almeno per alcuni tipi di struttura (strutture a telaio di caratteristiche correnti). Al punto 4.1.1.2. si richiede che i valori del rapporto y/d debbono soddisfare alle condizioni:
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
y y
d ≤ 0,45 d ≤ 0,35
per Rck ≤ 350
δ · MA = 0,765 · 162,5 = 124,3 tm Poiché risulta
y δ = 0,44 +1,25 d
per Rck ≤ 350
y δ = 0,56 +1,25 d
per Rck ≤ 350
È evidente che tale riduzione deve comportare un adeguato aumento del momento agente sulle altre sezioni al fine di garantire l’equilibrio e la resistenza globale. Chiamiamo quanto sopra con un esempio. Consideriamo una trave incastrata a un estremo e appoggiata all’altro (Fig. D.5.2./39). Siano e = 10 m carichi permanenti pari a 5 tm, carichi accidentali pari a 4 tm. L’azione di calcolo vale: 5 × 1,4 + 4 × 1,5 = 13 tm In campo elastico lineare si ha:
la redistribuzione è possibile. In tal caso si ha però:
YB = 48,75+
D.5. TURE T STRU
(162,5–132) = 51,8 T 1000
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
Il momento massimo in campata vale:
M’ab = 103,2 tm · x ≅ 4,00 m
FIG. D.5.2./39
VB = 48,75t 13 t/m
In campata il momento massimo vale 91,4 tm e si verifica nella sezione posta alla distanza x = 3,75 m dall’appoggio B. Supponiamo che il conglomerato sia Rck = 300 e che la sezione in A abbia a rottura le seguenti caratteristiche:
Mυ = 132 tm
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
Mυ > δ · MA
per Rck ≤ 350
Nel caso che siano soddisfatte tali condizioni è consentita una redistribuzione dei momenti. Al punto 4.1.1.3. si prevede che, senza verificare la capacità di rotazione delle zone critiche, i valori dei momenti determinati con calcolo elastico lineare possono in alcune sezioni essere ridotti dal valore Mc al valore σMc dove:
MA = 162,5 tm
si ha:
y
d = 0,26
δ = 0,44 + 1,25 · 0,26 = 0,765
10.00
A
B
TO 2. D.5. TO ARMA N CEME
D 65
D.5. 2.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO
•
STRUTTURE
METODO SEMIPROBABILISTICO AGLI STATI LIMITE – STATO LIMITE ULTIMO DI TAGLIO Le verifiche sono previste al punto 4.2.2. del DM del 9 gennaio 1996. Si indicano con: Vsdu il valore del taglio di calcolo allo stato limite ultimo; fctd la resistenza a trazione di calcolo; b la larghezza minima della sezione da verificare; d l’altezza utile della sezione. Per quanto riguarda la fctd abbiamo: 3
fctd =
fctk
γc
=
B
fctk = 0,7 ·fctm
0,7·0,58
b
d
fctm = 0,58 R2ck
FIG. D.5.2./40
0
3
3
· R2ck = 0,254 R2ck Kg/cm2
Asp
1,6
Vengono considerati due casi.
45¡
1° CASO – ELEMENTI PRIVI DI ARMATURE TRASVERSALI RESISTENTI AL TAGLIO Tale situazione è limitata a solette, piastre o membrature di comportamento analogo (4.2.2.2.). Deve risultare:
Ass
Vsdu 0,9 ·b ·d
< fctd
Asl
deve inoltre risultare presente una armature longitudinale. A vantaggio di stabilità rispetto a quanto previsto dalla normativa deve risultare:
At ≥ 0,02
Vsdu 0,25 · fctd
Vsdu
–b ·d
2° CASO – ELEMENTI CON ARMATURE TRASVERSALI RESISTENTI AL TAGLIO È il caso più importante in quanto deve essere verificato per tutte le situazioni non rientranti nel caso precedentemente esaminato. In tale caso sono presenti sia armature trasversali (staffe e ferri piegati) sia armature longitudinali. L’argomento è trattato nella normativa al punto 4.2.2.3. Si espongono qui di seguito le verifiche da effettuare oppure, conseguentemente, il proporzionamento delle armature. Supponiamo di considerare la possibilità che si verifichino una fessurazione a 45° rispetto all’asse dell’elemento. Debbono essere soddisfatte le seguenti condizioni: a) compressione nel conglomerato:
Avremo:
Ass ≥
=
30,000 3826
Ass = 2 · 6 · 0,79 = 9,48 cm2 La forza di taglio assorbita risulta:
I ferri piegati debbono assorbire: 60,000 – 36,270 ≅ 23,730 Kg
Vsdu – 0,6 · fctd · b · d ≤ fyd Ass + Asp (sin α + cos α) dove α è l’angolo corrispondente alla inclinazione dei ferri piegati con l’asse della trave. A vantaggio di sicurezza è consigliabile che sia verificata la condizione (per α = 45°):
Asp =
Asl =
e che risulti comunque:
Vsdu
23,730
= 4,38 cm2
3826· 2
L’armatura longitudinale deve risultare:
Vsdu ≤ fyd Ass + Asp 2
60,000
= 15,68 cm2
3826
NOTA BENE: In ogni caso è indispensabile che vengano rispettati i minimi di armatura a taglio previsti al punto 5.3.2. (DM 9 gennaio 1996) che possono essere così sintetizzati: • debbono essere presenti almeno tre staffe al metro; • le staffe debbono avere un passo non superiore a 0,8 x d (essendo d l’altezza utile); • in un metro deve comunque risultare:
2,5
Per quanto riguarda l’armatura longitudinale deve risultare:
Ast > 0,10 [1 + 0,15 x d/b] x b = [0,10 x b + 0,015 x d] cm2
Asl · fyd ≥ Vsdu se sulla sezione si ha che il momento flettente è nullo. Se si ha Msdu ≠ 0 deve risultare:
Msdu
FIG. D.5.2./41
Asp 45¡
0,9·d
Si abbia:
Vsdu = 60 t,
Rck = 250,
fyk = 4400, b = 40 cm,
d = 100 cm,
fcd = 129 Kg/cm2
fyd = 3826 Kg/cm2 Si ha:
Ass
0,3 · 129 · 40 · 100 = 154.800 Kg > Vsdu = 60,000
Asl
La verifica per la compressione nel conglomerato è soddisfatta. Alle staffe attribuiamo la forza:
V’sdu =
D 66
Vsdu 2
= 30
= 7,84 cm2
9,48 · fyd = 36,270 Kg
b) armatura trasversale (staffe e ferri piegati):
Asl · fyd ≥ Vsdu +
fyd
Poiché 0,9d = 90 cm prevedendo staffe ogni 15 cm, si avranno sei staffe nel tratto considerato (Ax = 90 cm) e quindi prevedendo staffe a due bracci φ 10, avremo:
Vsdu ≤ 0,30 fcd · b · d
Ass · fyd ≥
V’ sd
Vsdu
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – SOLAI
D.5. 3. A.ZIONI
SOLAI – TIPOLOGIE COSTRUTTIVE ATTUALI I solai sono gli elementi strutturali che costituiscono il generico piano dell’edificio. Sono elementi piani a giacitura orizzontale o inclinata e trasferiscono i carichi relativi al peso proprio, al sovraccarico permanente e al sovraccarico accidentale agli elementi strutturali portanti (travi e pilastri). L’evoluzione delle tipologie costruttive dei solai è stata ed è rivolta all’ottimizzazione delle seguenti caratteristiche tecniche: • elevata capacità portante; • modesta deformabilità; • peso ridotto; • resistenza al fuoco; • buone proprietà isolanti, termiche e acustiche.
Le tipologie costruttive possono essere suddivise in: • solai per uso civile: caratterizzati da luci normalmente inferiori a 7÷8,00 m e sovraccarichi accidentali massimi di 600 Kg/mq; • solai per uso industriale: caratterizzati da grandi luci e/o sovraccarichi accidentali elevati (superiori a 600 Kg/mq). I solai possono essere realizzati sia interamente in opera, sia parzialmente prefabbricati e completati con getti di cls da eseguire in opera, sia interamente e totalmente prefabbricati e armati con armatura lenta o precompressa. Segue la disamina delle tipologie di solai più frequentemente usati con specifico riferimento al campo di impiego che più gli è proprio.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
SOLAI PER USO CIVILE SOLAI MISTI IN C.A. O C.A.P. E BLOCCHI DI ALLEGGERIMENTO
SOLAI CON LASTRE PREFABBRICATE IN C.A.
Sono realizzati da mattoni laterizi forati disposti in file nel senso delle forature alternati a nervature gettate in opera rese solidali da una soletta superiore di collegamento.
L’elemento prefabbricato è costituito da una lastra in ca avente spessore di 4÷6 cm e larghezza pari a 1,20 m oppure 2,40.
Le caratteristiche dimensionali più usuali sono le seguenti:
Dette lastre, chiamate anche predalles, hanno già incluse le armature a momento positivo, nonché tralicci di collegamento disposte a interassi regolari. Fra i tralicci sono posti elementi di alleggerimento in laterizio o, più frequentemente in polistirolo o poliuretano.
I = b = b1= H= h =
cm 50 interasse; cm 10 larghezza travetto; cm 40 larghezza laterizio; cm 16 ÷ 30 altezza totale solaio; cm 4 ÷ 6 altezza caldana.
Il getto di completamento effettuato dopo la necessaria integrazione delle armature realizza i travetti e la soletta superiore di collegamento.
I travetti ad armatura lenta sono realizzati con fondelli in laterizio sorretti da un traliccio in ferro: vengono montati e completati in opera con un getto di cls dopo aver posizionato la necessaria armatura inferiore e superiore (Fig. D.5.3./1).
Le lastre sono armate con rete els, generalmente fuori calcolo, disposta dal prefabbricatore per consentire un agevole trasporto e montaggio, nonché per minimizzare le fessurazioni durante alla presa del cls.
Analogamente i travetti in c.a.p. prefabbricati vengono montati in cantiere e completati con un getto in opera di collegamento (Figg. D.5.3./2-3).
Il solaio a predalles offre una notevole resistenza al fuoco e per questo trova frequente utilizzazione per coperture di garage.
O CELERSAP
L’armatura di completamento per queste tipologie di solaio è costituita da armatura superiore e inferiore in corrispondenza degli appoggi e da armatura inferiore.
FIG. C.5.3./2 - SOLAIO TIPO RDB CON TRAVETTI IN C.A.P.
Per i solai ad armatura lenta qualora mancante nel fondello prefabbricato e a taglio in ARMATURA corrispondenza degli appoggi sia per i travetti ad armatura lenta, sia per i solai ad SUPERIORE armatura precompressa.
FIG. D.5.3./2 SOLAIO DI TIPO RDB CON TRAVETTI IN C.A.P.
ARMATURA TRAVETTO B
FIG. D.5.3./1 SOLAIO DI TIPO CELERSAP 38
ARMATURA SUPERIORE
SOLAIO CON SOLETTA SOLAIO CON DOPPIO LATERIZIO
H
C
38 38 i
D
TRALICCI
Fig. C.5.3./5 - SOLAIO A UTILIZZATO PREVALENTEMENTE
FIG. C.5.3./6 -
4
4
H ARMATURA TRAVETTO
E
ARMATURA TRAVETTO
B
ARMATURA 260 TRAVETTO max B 38 PREDALLES
i
ARMATURA TRAVETTO 38 B RETE i ELETTROSALDATA
B
TO 2. D.5. TO ARMA N CEME
12 D
10 10
45
SEZIONE 1
10
45
10 10
120
E
. C.5.3./4 - SOLETTA CON ELEMENTI PREFABBRICATI IN C.A.
10
SOLAIO CON DOPPIO LATERIZIO
H
50 ELEMENTO PREFABBRICATO IN C.A.P. B
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
18 26
C
A
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI FIG. C.5.3./3 SPECIF
NELLE COPERTURE
B
TRAVE
GETTO DI COMPLETAMENTO
RETE DI RIPARTIZIONE SOLAIO CON UN SOLO LATERIZIO POLISTIROLO
105
1 A
URB
D.5. TURE T STRU
B
85
B
38 12 i
G.ANISTICA
E TRALICCI METALLICI (PREDALLES) IN C.A. E TRALICCI FIG. D.5.3./3 SOLAIO CON LASTRE PREFABBRICATE METALLICI (Predalles)
s
SOLAIO CON UN SOLO LATERIZIO ON ELEMENTI PREFABBRICATI IN C.A.
B
38
FIG. C.5.3./3 - SOLAIO CON LASTRE PREFABBRICATE IN C.A.
G. C.5.3./2 - SOLAIO TIPO RDB CON TRAVETTI IN C.A.P. 50
OSTI IN OPERA AFFIANCATI GETTO DI COMPLETAMENTO ARMATURA 1 TRAVETTO
B
i i FIG. C.5.3./2 - SOLAIO TIPO RDB CON TRAVETTI IN C.A.P.
12
SOLAIO RASATO
38
20
12
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
H
. C.5.3./1 - SOLAIO TIPO CELERSAP ARMATURA TRAVETTO
F. TERIALI,
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
SOLAIO CON UN SOLO LATERIZIO
Attualmente i solai con travetti in c.a.p. appaiono di utilizzazione sempre meno frequente sia per la scarsa resistenza al fuoco che li caratterizza, H sia per l’elevato costo di costruzione e la difficoltà di realizzare con la necessaria efficienza la continuità strutturale con le travi che li sostengono.
CO NTALE AMBIE
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
SOLAIO CON DOPPIO LATERIZIO
SOLAIO
CONtraliccio, SOLETTA La dimensione del ovvero del travetto prefabbricato, determina le luci cui devono essere posti i puntelli durante le fasi di getto. s OLAIO RASATO
E.NTROLLO
19
138 19 Fig. C.5.3./5 - SOLAIO A UTILIZZATO PREVALENTEMENTE
TO – 3. D.5. TO ARMA N CEME I SOLA
D 67
ARMATURA TRAVETTO
ARMATURA TRAVETTO
FIG. C.5.3./2 - SOLAIO TIPO RDB CON TRAVETTI IN C.A.P. B
38
ARMATURA SUPERIORE
SOLAIO CON DOPPIO LATERIZIO
s
SOLAIO CON UN SOLO LATERIZIO
SOLAIO CON SOLETTA
SOLAIO CON DOPPIO FIG. C.5.3./1 - SOLAIO TIPO CELERSAP ➦ SOLAI – TIPOLOGIE LATERIZIO
SOLAIO RASATO
COMPLETAMENTO
SOLAIO CON UN SOLAI PER USO INDUSTRIALE SOLO LATERIZIO FIG. C.5.3./4 - SOLETTA CON ELEMENTI PREFABBRICATI IN C.A.
s
RETE DI RIPARTIZIONE
H
COSTRUTTIVE ATTUALI GETTO DI
B
iFIG. C.5.3./2 - SOLAIO TIPO RDB CON TRA
i
• STRUTTURE 12 38 12 D.5. PROGETTAZIONE STRUTTURALE SOLAIO ARMATURA FIG. C.5.3./3 - SOLAIO CON LASTRE PREFABBRICATE IN C.A. LAIO TIPO RDB CON3. TRAVETTI CEMENTO IN C.A.P. CON SOLETTA ARMATO – SOLAI 50 SUPERIORE E TRALICCI METALLICI (PREDALLES) SOLAIO RASATO
38
B
SOLAIO CON UN SOLO LATERIZIO
POLISTIROLO
H
TRALICCI
H
Fig. C.5.3./5 - SOLAIO A UTILIZZATO PREVALENTEMENTE 4
20
105
85
NELLE COPERTURE ARMATURA SOLAI CONAFFIANCATI ELEMENTI PREFABBRICATI INARMATURA CAP SOLAI A Π POSTI IN OPERA FIG. C.5.3./2 - SOLAIO TIPO RDB CON TRAVETTI IN C.A.P. TRAVETTO 18 26 TRAVETTO GETTO DI B 38UTILIZZATO 38 B B PREVALENTEMENTE ARMATURASono costituiti utilizzando tegoliARMATURA Per realizzareCOMPLETAMENTO elevate capacità portanti e/o luci consiaventi FIG. D.5.3./5 SOLAIO AΠ ARMATURA 4 TRAVETTO TRAVETTO π . derevoli utilizzando elementi di comune produzione si sezione somigliante a un NELLE COPERTURE H E SUPERIORE i 1 i B 38 ARMATURA B Detti elementi, disposti affiancati, realizutilizzano travetti prefabbricati come quelli precedenARMATURA ARMATURA 12 temente descritti disposti 38 12alcun eleTRAVETTO 260 max SOLAIO CON DOPPIO zano coperture di grande luce fino a affiancati senza TRAVETTO TRAVETTO SOLAIO i LATERIZIO 24,00 m. L’altezza del tegolo dipende mento di alleggerimentoCON completati da una soletta in RETE SOLETTA 12 38 12 B 38 38 B dalla sottoposto. cls gettataBin opera.50 ELETTROSALDATA s luce e dal carico cui èPREDALLES SOLAIO RASATO SOLAIO CON UN Possono essere disposti accostati con o Si realizza così un solettone con portanza unidirezioSOLO LATERIZIO i i 1 A 50 senza soletta di collegamento superiore nale con superiore aventeC le capacità di B una soletta D 10 10 10 10 in opera.45 10 45 gettata trasferire il carico anche trasversalmente (Fig. H ELEMENTO Spesso, nelle coperture industriali, i tegoD.5.3./4). TRAVE PREFABBRICATO li vengono disposti distanziati così da rea120 IN C.A.P. lizzare asole per l’illuminazione degli H ambienti sottostanti. Tra le nervature spesso, trovano alloggiamento le canalizA B C D E ARMATURA zazioni degli impianti tecnologici (Fig. FIG.ARMATURA D.5.3./4 SOLETTA CON ELEMENTI IN C.A.P. Fig. C.5.3./5 - SOLAIO A UTILIZZATO PREVALENTEMENTE TRAVETTO POSTI IN OPERA G. C.5.3./4 - SOLETTA CON ELEMENTI PREFABBRICATI IN C.A.AFFIANCATI TRAVETTO D.5.3./5-6-7). 38 38C.5.3./5 B Fig. - BSOLAIO A UTILIZZATO PREV SEZIONE 1 NELLE COPERTURE 19B 138 19 FIG. C.5.3./4 - SOLETTA CON ELEMENTI PREFABBRICATI IN C.A. POSTI IN OPERA AFFIANCATI NELLE COPERTUR POSTI IN OPERA AFFIANCATI GETTO DI i i 180 GETTO DI 12 38 12 AIO A UTILIZZATO PREVALENTEMENTE COMPLETAMENTO FIG. C.5.3./6 - SOLAIO A CON GETTI DI COMPLETAMENTO COMPLETAMENTO IN OPERA (NERVATURE E SOLETTA) E 1
FIG. D.5.3./6 SOLAIO A Π CON GETTI DI COMPLETAMENTO IN OPERA (NERVATURE E SOLETTA) 1 A
ELEMENTO PREFABBRICATO SOLETTA 1 FIG. C.5.3./4 - SOLETTA CON ELEMENTI PREFABBRICATI IN C.A.P. RETE IN C.A. STRUTTURALE TRAVE
E 9
10 p
138
10
120
180
7.5
20
120 IN C.A.P. CON FIG. D.5.3./9 SOLAIO ESTRUSO FIG. C.5.3./10 - SOLAIO ESTRUSO IN C.A ALLEGGERIMENTI DI SEZIONE CIRCOLARE FIG. C.5.3./10 - SOLAIO ESTRUSO IN C.A.P. CON ALLEGGERIMENTI DI SEZIONE PSE
1
DI SEZIONE PSEUDO-CIRCOLARE 138 19
19
FORI DI ALLEGGERIMENTO
D = 15 cm
180
1
19.1
18.7
12
12
12
18.7
12
18.7
120
12
12
FORI DI
DI SEZIONE PSEUDO-CIRCOLARE
FIG. D.5.3./10 SOLAIO ESTRUSO IN C.A.P. CON ALLEGGERIMENTI DI ARMATURA SEZIONE DI PSEUDOCIRCOLARE PRECOMPRESSIONE 4
RETE
30
7.5 PRECOMPRESSIONE
23
30
1SOLETTA STRUTTURALE
9 LASTRA DI SPIROLL
12
12
12
12
1
12120 FORI DI ALLEGGERIMENTO
3
SEZIONE 1 - 1 RETE
7.5
ARMATURA DI PRECOMPRESSIONE
LASTRA DI SPIROLL
30
1
12
18.7ALLEGGERIMENTO 19.1 3.5
FIG. C.5.3./10 - SOLAIO ESTRUSO IN C.A.P. CON ARMATURA DI ALLEGGERIMENTI SEZIONE 1 - 1
12
23
3.5
TRAVE
12
3
9
02 8.3
01
LASTRA DI SPIROLL
ELEMENTI DI CHIUSURA FORI
105
85
ARMATURA DI PRECOMPRESSIONE
120
D 68
FORI DI ALLEGGERIMENTO 19 19
TRAVE
LASTRA DI SPIROLL
SOLETTA STRUTTURALE
12
138 10 260 max
9
SPIROLL
ELEMENTI DI CHIUSURA FORI
12
23
SOLETTA SUPERIORE DI SUPERIORE DI COMPLETAMENTO compresso avente sezione A B rettangolaC D E COMPLETAMENTO re con fori interni di alleggerimento. Le larghezze sono 1generalmente 1,20 m o SOLETTA SEZIONE OLAIO ESTRUSO IN C.A.P. CON ALLEGGERIMENTI RETE 0,60 LASTRA m, mentre le altezze dipendono STRUTTURALE DI SPIROLL SOLETTA 1 DI SEZIONE PSEUDO-CIRCOLARE dalla luce e dal carico utile a cui verRETE STRUTTURALE ranno sottoposti (Fig. D.5.3./9-10).
9
12
D
C
ELEMENTO TRAVE SEZIONE 1 -ALLEGGERITI 1 SOLAI A PANNELLI PREFABBRICATO SOLETTA IN C.A.P. FIG. C.5.3./8 SOLAIO ESTRUSO IN C.A.P. CON SOLETTA RETE STRUTTURALE FIG. D.5.3./8 SOLAIO ESTRUSO IN C.A.P. CON G. C.5.3./8 - SOLAIO ESTRUSO IN C.A.P. CON SOLETTA Sono elementi prefabbricati in ca pre- SUPERIORE DI COMPLETAMENTO
Detti elementi vengono disposti uno accanto all’altro e resi solidali con una soletta superiore gettata in opera. 12 12 12 12 12 LASTRA DI FORI DI SPIROLL ELEMENTI DI ComeIN sempre caso di elementi in ca FIG. C.5.3./8 - SOLAIO ESTRUSO C.A.P. nel CON SOLETTA ALLEGGERIMENTO CHIUSURA FORI precompresso con armatura pre-tesa, è SUPERIORE DI COMPLETAMENTO TRAVE necessario che in corrispondenza degli appoggi vengono disposte delle arma- 1 7.5ture ordinarie per un tratto di lunghezza SOLETTA superiore alla lunghezza di trasferimenRETE STRUTTURALE to della precompressione. SEZIONE 1 - 1 ARMATURA DI SOLETTA Dette armature vengono disposte nelle PRECOMPRESSIONE RETE STRUTTURALE forature di alleggerimento e nelle nerva120 ture realizzate tra un pannello e l’altro LASTRA DI (fig. D.5.3./8).
12
19
ELEMENTO PREFABBRICATO
180
1 1 A
12
10
120
TRAVE
NON RIEMPITA
4
20
D 12
3
B
SEZIONE 1
LASTRA DI SPIROLL
C
23
180
105
85
138
B
21
19
ELEMENTI DI CHIUSURA FORI 19
A E
1
SEZIONE 1
DI SEZIONE PSEUDO-CIRCOLARE ELEMENTO PREFABBRICATOFig. C.5.3./5 - SOLAIO A UTILIZZATO PREVALENTEMENTE IN C.A.P. NELLE COPERTURE 58 70
TRAVE
E
EVENTUALE SOLETTA
FIG. C.5.3./10 - SOLAIO ESTRUSO C.A.P. CON ALLEGGERIMENTI ZONA IN IN OPERA
07
POSTI IN OPERA AFFIANCATI GETTO DI A B C D COMPLETAMENTO
D
C
105
B
260 max
85
D
C
3
A
B
4
FIG. C.5.3./8 - SOLAIO ESTRUSO IN C.A.P. CON SOLETTA 260 max SUPERIORE DI COMPLETAMENTO 1
FIG. D5.3./7 SOLAIO A Π CON EVENTUALE GETTO 260 max DI COMPLETAMENTO IN OPERA DELLA SOLETTA
20
50
30
E
1
4
NELLE COPERTURE
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – SOLAI
D.5. 3. A.ZIONI
SOLAI IN DISUSO O FUORI NORMA Si riportano di seguito alcuni esempi dei sistemi costruttivi più frequentemente adoperati in passato e attualmente non più utilizzati. Molti di essi oggi non sarebbero di possibile realizzazione perché non rispondenti alle vigenti prescrizioni normative. Altri, invece, non hanno dato risultati di durabilità soddisfacenti.
Gli schemi più significativi vengono dunque riportati evidenziando i principali aspetti fuori norma e gli inconvenienti che si sono verificati con maggior frequenza al fine di fornire un utile riferimento, nel caso in cui si ponesse il problema del recupero edilizio o del consolidamento.
FIG. D.5.3./11 SOLAIO MONOLITICO IN C.A.
FIG. D.5.3./14 SOLAIO TIPO UNIC A NERVATURE PARALLELE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
Aspetti fuori norma: (frequente) spessore e interasse nervature inconvenienti: ossidazioni armature per copriferri esigui
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM Aspetti fuori norma: (frequente) spessori esigui/interassi tra le nervature elevati; inconvenienti: ossidazione delle armature per copriferri troppo ridotti
G.ANISTICA URB
FIG. D.5.3./12 SOLAIO MONOLITICO IN C.A. CON CONTROSOFFITTO IN LATERIZIO
FIG. D.5.3./15 SOLAIO TIPO PERRETUNIC TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
34
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
h
GETTO IN OPERA
27
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
7
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE Aspetti fuori norma: (frequente) spessori esigui/interassi tra le nervature elevati; inconvenienti: ossidazione delle armature per copriferri troppo ridotti/frequente sfondellamento della tavellina inferiore
FIG. D.5.3./13 SOLAIO MONOLITICO IN C.A. CON CONTROSOFFITTO IN LATERIZIO Aspetti fuori norma: (frequente) spessore/interasse nervature inconvenienti: distacco forato centrale/ossidazioni armature per copriferri esigui
Aspetti fuori norma: laterizi privi dei requisiti di legge/mancanza di soletta superiore spessore esiguo delle nervature
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
FIG. D.5.3./16 SOLAIO TIPO VARESE Aspetti fuori norma: tutti inconvenienti: elevata deformazione differita per rilassamento/sfondellamento della tavellina inferiore
GETTO IN OPERA
TRAVETTO PREFABBRICATO
TAVELLA SUPERIORE
SOLETTA OIALOS H
TAVELLA INFERIORE ARMATURE
LATERIZI
FONDELLO
INTERASSE
TO – 3. D.5. TO ARMA N CEME I SOLA
D 69
D.5. 3.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO – SOLAI
STRUTTURE
•
➦ SOLAI IN DISUSO O FUORI NORMA FIG. D.5.3./17 SOLAIO CON TRAVETTI IN C.A.
FIG. D.5.3./21 SOLAIO CAPPA
SOLAIO CON DOPPIO LATERIZIO
SOLAIO CON UN SOLO LATERIZIO
Aspetti fuori norma: caldana esigua – inconvenienti: sfondellamento
GETTO IN OPERA
i = 57 cm
61
H 38 i
B
38 i
SCALA DI RAPP. 1:20 0
20
0
Inconvenienti: elevata deformazione differita per rilassamento/sfondellamento della tavellina inferiore
60 cm
10
20
40 cm
FIG. D.5.3./22 SOLAIO STIMP Aspetti fuori norma: spessori e copriferri esigui – inconvenienti: sfondellamento / ossidazione
70
FIG. D.5.3./18 SOLAIO TIPO SAP
GETTO IN OPERA
LATERIZIO
SCALA DI RAPP. 1:10
B
20
20
20 61
61
SCALA DI RAPP. 1:20 0
60 cm
20
FIG. D.5.3./23 SOLAIO LISTEX
SCALA DI RAPP. 1:10 0
10
20
40 cm
Aspetti fuori norma: spessori e copriferri esigui. Inconvenienti: sfondellamento/ ossidazione
Aspetti fuori norma: scarso avvolgimento delle armature. Inconvenienti: sfondellamento
42
FIG. D.5.3./19 SOLAIO FERT
LATERIZIO
TRALICCIO 16.5
50
FIG. D.5.3./24 SOLAIO ESSEBI
FONDELLO SCALA DI RAPP. 1:10 0
10
20
40 cm
Aspetti fuori norma: scarso avvolgimento delle armature. Inconvenienti: sfondellamento Aspetti fuori norma: laterizi privi dei requisiti di legge. Inconvenienti: frequente sfondellamento
40
5.61
FIG. D.5.3./20 SOLAIO CELERSAP Aspetti fuori norma: laterizi privi dei requisiti di legge. Inconvenienti: frequente sfondellamento (accettabile purché gli spessori e gli interassi delle nervature siano rispondenti alle norme)
ARMATURA SUPERIORE SCALA DI RAPP. 1:10
SOLAIO CON SOLETTA
SOLAIO RASATO
0
10
20
40 cm
FIG. D.5.3./25 SOLAIO TP 55
H
ARMATURA TRAVETTO 38
5.61
12
Aspetti fuori norma: assenza della armatura inferiore a taglio
ARMATURA TRAVETTO 12
50 55
SCALA DI RAPP. 1:10 0
D 70
10
20
40 cm
55
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – SOLAI
A.ZIONI
PRESCRIZIONI NORMATIVE Si riportano le principali prescrizioni di calcolo e di carattere generale contenute nel DM 14 febbraio 1992 integralmente riproposto nel vigente DM 16 gennaio 1996 per quanto riguarda il metodo delle tensioni ammissibili Per una più completa lettura, si rimanda al testo integrale.
Lo spessore della caldana è regolamentato al punto 7.1.4.4 del citato DM 14 febbraio 1992: nei solai di cui al punto 7.1.1. a) (blocchi con sola funzione di alleggerimento) lo spessore minimo del calcestruzzo della soletta di conglomerato non deve essere minore di 4 cm. Nei solai di cui al punto 7.1.1 b) (blocchi con funzione di alleggerimento unitamente a funzione statica) può essere omessa la soletta di calcestruzzo e la zona rinforzata di laterizio, per altro sempre rasata con calcestruzzo, può essere considerata collaborante e deve soddisfare i seguenti requisiti: • possedere spessore non minore di 1/5 di altezza, per
I ED PRE NISM ORGA
solai con altezza fino a 25 cm, non minore di 5 cm per solai con altezza maggiore; • avere area effettiva dei setti e delle pareti misurata in qualunque sezione normale alla direzione dello sforzo di compressione, non minore del 50% della superficie lorda.
La predetta normativa al punto 7.1.1 classifica i solai come segue.
Infine la larghezza e interasse delle nervature al punto 7.1.4.5: la larghezza minima delle nervature in calcestruzzo per solai con nervature gettate o completate in opera non deve essere minore di 1/8 dell’interasse e comunque non inferiore a 8 cm. Nel caso di produzione di serie in stabilimento di pannelli di solaio completi controllati come previsto al punto 7.1.4.1 il limite minimo predetto potrà scendere a 5 cm. L’interasse delle nervature non deve in ogni caso essere maggiore di 15 volte lo spessore medio della soletta. Il blocco interposto deve avere dimensione massima inferiore a 52 cm.
a) solai con blocchi aventi funzione principale di alleggerimento; b) solai con blocchi aventi funzione statica in collaborazione con il conglomerato.
Sull’armatura longitudinale al punto 7.1.4.7 e 7.1.4.8: l’armatura longitudinale deve essere superiore a: A min ≥ 0.07 h cm2 al metro ove h è l’altezza del solaio espressa in cm. Quando le tensioni tangenziali massime nel conglomerato non superano il valore minimo τco stabilito al punto 3.1.4 può non disporsi armatura per taglio.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII
PRESCRIZIONI TECNICHE DI CARATTERE DIMENSIONALE
PRESCRIZIONI TECNICHE SULLE ARMATURE Al punto 7.1.4.6 riguardo l’armatura trasversale: per i solai con nervature gettate o completate in opera e di luce superiore a 4.50 m o a quando sia sensibile il comportamento a piastra o quando agiscono carichi concentrati che incidano in misura considerevole sulle sollecitazioni di calcolo, si deve prevedere all’estradosso una soletta gettata in opera di spessore non inferiore a 4 cm munita di adeguata armatura delle solette e nelle eventuali nervature pari almeno a 3Ø6 al metro o al 20% di quella longitudinale nell’intradosso del solaio. Particolare attenzione deve essere dedicata alla sicurezza al distacco di parti laterizie, specialmente in dipendenza di sforzi trasversali anche di carattere secondario.In assenza di soletta in calcestruzzo (solaio rasato) è tassativa l’adozione di almeno una nervatura trasversale per luci superiori a 4,50 m.
D.5. 3.
I solai misti in cemento armato normale e precompresso e blocchi forati in laterizio si distinguono nelle seguenti categorie:
Ai punti successivi vengono altresì precisate le caratteristiche meccaniche e geometriche proprie degli elementi di alleggerimento in laterizio aventi funzione statica. Al punto 7.1.4.2 viene fissato lo spessore minimo dei solai come segue: Lo spessore dei solai a portata unidirezionale che non siano di semplice copertura non deve essere minore di 1/25 della luce di calcolo e in nessun caso minore di 12 cm. Per i solai costituiti da travetti precompressi e blocchi interposti il predetto rapporto può scendere a 1/30. Le deformazioni devono risultare compatibili con le condizioni di esercizio del solaio e degli elementi costruttivi e impiantistici a esso collegati.
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
PROGETTAZIONE E VERIFICA La progettazione dei solai, come ogni altro elemento strutturale, si effettua sulla base del seguente procedimento: 1. 2. 3. 4. 5.
predimensionamento; analisi dei carichi; individuazione del modello di calcolo; determinazione delle sollecitazioni; dimensionamento delle armature e verifiche delle tensioni nei materiali.
Segue l’esposizione per i solai di più frequente applicazione costituiti da travetti in ca gettato in opera con interposti elementi forati in laterizio con sola funzione di alleggerimento. I criteri di calcolo di seguito esposti hanno generale valenza e possono essere applicati con le opportune variazioni, a tutti i tipi di solaio di attuale impiego.
PREDIMENSIONAMENTO Per sovraccarichi modesti, come nel caso delle abitazioni, l’osservanza delle prescrizioni di legge relativamente alle altezze minime, fornisce un corretto dimensionamento dello spessore del solaio. In tali casi risulta sufficiente, qualora vengano impiegati solai misti in ca e c.a.p. con blocchi di alleggerimento, l’altezza minima consentita pari a 1/25 della luce di calcolo comunque non inferiore a 12 cm. Tali valori prescritti per solai che non siano di copertura forniscono anche un controllo della deformabilità del solaio sotto carico. Per i carichi elevati, superiori a 600 Kg/mq, è necessario procedere con maggiore cautela effettuando il calcolo dello stato tensionale nel cls e il valore dell’armatura necessaria.Quanto detto vale anche nel caso di solai con luci considerevoli (superiori a 6,00 m).È buona norma verificare anche il valore del taglio al fine di mantenere la tensione tangenziale al di sotto della (co evitando, così, di disporre scomode staffature a taglio.Normalmente, qualora di adoperino elementi prefabbricati di consueta diffusione, sono sempre rispettati i valori minimi di larghezza dei travetti. La caldana è normalmente di 4 cm così come previsto dalle norme al punto 7.1.4.4 del DM 14 febbraio 1992. Solo nel caso di sovraccarichi notevoli o puntiformi si rende necessario incrementare l’altezza della soletta superiore.
ANALISI DEI CARICHI È l’analisi che consente di valutare i pesi propri strutturali e i sovraccarichi (permanenti + accidentali) gravanti sulle strutture. Pertanto deve essere effettuata con esattezza senza trascurare gli elementi di finitura o altro e senza sopravvalutare i carichi agenti. Si espone dettagliatamente una traccia tipo di analisi dei carichi.
soletta superiore in cls soletta inferiore in cls travetti alleggerimento in laterizio alleggerimento in polistirolo
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
PESO PROPRIO Analizza i caratteri dei seguenti elementi: • • • • •
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
2500 Kg/mc 2500 Kg/mc 2500 Kg/mc 800 Kg/mc 30 Kg/mc
Per una analisi preliminare può considerarsi il peso proprio complessivo dei travetti e dell’alleggerimento nella misura di 1000 Kg/mc e sommare l’eventuale carico dovuto alla caldana e alle solette inferiori.
SOVRACCARICHI PERMANENTI I sovraccarichi permanenti sono dovuti a: • • • • • •
intonaco o controsoffitto; massetti per riempimento e/o per la formazione di pendenze; impermeabilizzazione; allettamento per la pavimentazione; pavimentazione; tramezzature.
I pesi degli elementi costruttivi più frequentemente usati sono riportati nella seguente tabella alla pagina successiva.
➥
TO – 3. D.5. TO ARMA N CEME I SOLA
D 71
D.5. 3.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO – SOLAI
•
STRUTTURE
➦ PROGETTAZIONE E VERIFICA ➦ ANALISI DEI CARICHI SOVRACCARICHI ACCIDENTALI
PESI DEGLI ELEMENTI USATI PIÙ FREQUENTEMENTE MATERIALI
PESO SPECIFICO
A) CALCESTRUZZO Calcestruzzo ordinario (non armato)
2,400
Kg/mc
Calcestruzzo armato, ordinario e precompresso
2,500
Kg/mc
Malta di calce
1,800
Kg/mc
Malta di cemento
2,100
Kg/mc
Malta bastarda (di calce o cemento)
1,900
Kg/mc
Malta di gesso
1,200
Kg/mc
30
Kg/mq
Sono carichi agenti in modo variabile sulla struttura e cioè dovuti a: persone — mobilio — strumentazioni — vento — neve. La loro entità è fissata dalle norme nella loro misura minima lasciando alla Committenza la possibilità di incrementarli secondo la specifica destinazione d’uso. Si riporta di seguito uno stralcio della normativa vigente (DM 16 gennaio 1996) per quanto attinente al problema.
B) MALTE
Intonaco (spessore 1,5 cm) C) MANTI DI COPERTURA Manto impermeabilizzante di asfalto o simile
30
Kg/mq
Manto impermeabilizzante prefabbricato con strati bituminosi di feltro, di vetro e simili
10
Kg/mq
Tegole maritate (embrici e coppi)
60
Kg/mq
Sottotegole di tavelloni forati (spessore 3 f 4 cm)
35
Kg/mq
Lamiere di acciaio ondulate o nervate
12
Kg/mq
Lamiere di alluminio ondulate o nervate
5
Kg/mq
Lastre traslucide di resina artificiale, ondulate o nervate
10
Kg/mq
Lastre ondulate di cemento – amianto
20
Kg/mq
SOVRACCARICO ACCIDENTALE Kg/mq
LOCALE Locali di abitazione o di servizio o di ufficio non aperto al pubblico e relativi terrazzi di copertura praticabili
200
Locali pubblici suscettibili di affollamento (negozi, ristoranti, caffè, banche, uffici postali, aule scolastiche) e relativi terrazzi di copertura praticabili
300
Locali pubblici suscettibili di grande affollamento (sala riunioni, cinema, teatri, chiese, tribune con posti fissi, palestre, negozi con carichi rilevanti, ecc.)
400
Sale da ballo, tribune senza posti fissi, ecc.
500
Balconi e scale: • per edifici di abitazione • per edifici pubblici e scolastici
400 500
Rimesse per autovetture a 30 t di peso
150 variabili secondo i casi comunque non minori di 600
D) MURATURA Muratura di mattoni pieni
1,800
Kg/mc
Muratura di mattoni semipieni
1,500
Kg/mc
Muratura di mattoni forati
1,100
Kg/mc
Muratura di pietrame e malta
2,200
Kg/mc
Muratura di pietrame listato
2,100
Kg/mc
Muratura di blocchi forati di calcestruzzo
1,200
Kg/mc
Gomma di linoleum o simile
10
Kg/mq
Legno
25
Kg/mq
Laterizio o ceramiche o gres o graniglia (s= 2 cm)
40
Kg/mq
Marmo (spessore 3 cm)
80
Kg/mq
Normale (3 mm)
7,5
Kg/mq
Forte (4 mm)
10
Kg/mq
Spesso 5 (5 mm)
12,5
Kg/mq
Spesso 6 (6 mm)
15
Kg/mq
Retinato (8 mm)
20
Kg/mq
Sabbia secca
1,600
Kg/mc
Calcestruzzo magro
2,200
Kg/mc
350
Kg/mc
Calcestruzzo con scorie leggere di altoforno
1,300
Kg/mc
Calcestruzzo di pomice
1,070
Kg/mc
480
Kg/mc
500 ÷ 2,000
Kg/mc
Lana minerale
100
Kg/mc
Lastre di sughero
300
Kg/mc
E) PAVIMENTI (escluso sottofondo)
F) VETRI
G) MATERIALI PER SOTTOFONDI
Lastre di fibre legnose (Eraglit Popolit)
Calcestruzzo di vermiculite Calcestruzzo di argilla espansa
Per quanto riguarda i tramezzi di peso minore di 150 Kg/mq la Normativa (Circ. Min. LLPP n.22631 del 24 maggio 1982 – Parte II – punto 2) consente di ragguagliarne il peso a un carico uniformemente distribuito sul solaio pari a 1,5 volte il peso complessivo della tramezzatura.
D 72
Archivi e biblioteche
MODELLO DI CALCOLO Benché i solai siano elementi strutturali unidirezionali, nella realtà hanno, nei confronti dei carichi agenti, un comportamento “a piastre” caratterizzato sul piano del rapporto esistente tra la rigidezza longitudinale e quella trasversale e dalla deformabilità dei vincoli di bordo. Nelle schematizzazioni di calcolo usuali, detto comportamento “a piastre”, viene trascurato e vengono, quindi, adottati modelli di calcolo unidirezionali. Rimane il fatto però, che in taluni casi il rigore nella calcolazione può richiedere l’adozione di schemi di calcolo più sofisticati . Nelle applicazioni più frequenti, pertanto, vengono adottati schemi di calcolo applicati a schemi semplificati apportando, successivamente le opportune integrazioni alle armature di calcolo. Lo schema di calcolo che si adotta nella maggioranza dei casi è quello di “trave a una o più campate su appoggi fissi”. Gli appoggi fissi simulano, ovviamente, le strutture portanti e di norma si assume il vincolo terminale di “cerniera” per simulare una trave di bordo. Nel caso di pareti, il vincolo terminale è considerato un incastro almeno parziale. Per elementi gettati in opera vengono di norma considerati luci di calcolo pari agli interassi strutturali, spuntando se del caso, le sollecitazioni a filo zona piena. Per elementi prefabbricati autoportanti (precompressi) è necessario invece, considerare lo stato di sollecitazione come somma degli stati di sollecitazione delle fasi costruttive e di quelli dovuti ai sovraccarichi tutti posti in relazione alle effettive sezioni reagenti. Per elementi gettati in opera si trascurano, di norma, le fasi costruttive transitorie in quanto di scarso rilievo, attribuendo tutti i carichi permanenti e accidentali, alle condizione di vincolo e alla sezione reagente finale. FIG. D.5.3./26 MODELLO DI CALCOLO A TRAVE SU APPOGGI FISSI
B
A
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – SOLAI
D.5. 3. A.ZIONI
CALCOLO DELLE SOLLECITAZIONI In relazione agli schemi di calcolo adoperati, si calcola lo stato di sollecitazioni con i metodi della Scienza delle Costruzioni con l’ausilio eventuale di programmi di calcolo automatico.
È buona norma verificare che sia sempre soddisfatta la seguente condizione:
σc
r
t
s
ζ
30
0,572
0,00118
0,219
0,927
8
35
0,502
0,00136
0,247
0,917
Mvs = momento al vincolo sinistro
40
0,449
0,00153
0,273
0,909
Mvd = momento al vincolo destro
45
0,408
0,00170
0,297
0,901
50
0,374
0,00187
0,319
0,893
51
0,368
0,00190
0,323
0,892
52
0,363
0,00193
0,328
0,891
53
0,357
0,00196
0,332
0,889
54
0,352
0,00200
0,336
0,888
55
0,347
0,00203
0,340
0,886
56
0,342
0,00206
0,344
0,885
57
0,337
0,00209
0,348
0,884
58
0,333
0,00212
0,352
0,882
59
0,328
0,00216
0,356
0,881
60
0,324
0,00219
0,360
0,880
61
0,320
0,00222
0,364
0,879
62
0,316
0,00225
0,367
0,877
63
0,312
0,00228
0,371
0,876
64
0,308
0,00231
0,375
0,875
65
0,305
0,00234
0,378
0,874
66
0,301
0,00237
0,382
0,872
67
0,298
0,00241
0,386
0,871
Mvs + Mvd 2
pl 2 8
÷
pl 2
momento in campata
16
+ Mc >
Mc = momento in campata Mc =
pl 2 8
÷
pl 2
momento al vincolo
16
Qualora i carichi accidentali siano elevati è necessario effettuare il calcolo nelle condizioni di sovraccarico più sfavorevole ovvero, per i momenti in campata disponendo il sovraccarico in campate alterne.
VERIFICHE DI RESISTENZA Calcolate le caratteristiche di sollecitazioni nelle sezioni più significative (normalmente campate e appoggi) si effettuano le verifiche di resistenza utilizzando le seguenti formule (relative allo stato di sollecitazione di flessione e taglio).
τ=
T 0,9·b ·d
68
0,294
0,00244
0,389
0,870
τ = tensione tangenziale di taglio
69
0,291
0,00247
0,393
0,869
T = sforzo di taglio agente su un travetto
70
0,288
0,00250
0,396
0,868
b = larghezza resistente
71
0,285
0,00253
0,399
0,867
d = altezza utile
72
0,282
0,00256
0,403
0,866
73
0,279
0,00259
0,406
0,864
74
0,276
0,00262
0,409
0,863
75
0,274
0,00265
0,413
0,862
76
0,271
0,00268
0,416
0,861
77
0,268
0,00271
0,419
0,860
78
0,266
0,00273
0,422
0,859
79
0,263
0,00276
0,425
0,858
È buona norma effettuare le verifiche a filo zona piena.
r=
d M b
r = parametro per la valutazione della tensione nel cls
In funzione di r del rapporto tra Aa’/Aa = armatura compressa/tesa e della tensione nell’armatura tesa è possibile valutare la σb con l’ausilio delle seguenti tabelle tratte dal Prontuario del Cemento Armato – Ing. Luigi Santarella. Al fine di semplificare le calcolazioni si riportano di seguito le aree delle sezioni di armatura più frequenti:
d = altezza utile
80
0,261
0,00279
0,428
0,857
Ø
6
0,29
cm2
82
0,256
0,00285
0,434
0,855
Ø
8
0,50
cm2
84
0,252
0,00291
0,440
0,853
Ø
10
0,79
cm2
86
0,247
0,00297
0,446
0,851
Ø
12
1,13
cm2
88
0,243
0,00302
0,452
0,849
Ø
14
1,54
cm2
90
0,239
0,00308
0,457
0,847
Ø
16
2,01
cm2
92
0,235
0,00314
0,463
0,845
σa = tensione di trazioni sull’armatura
Ø
18
2,54
cm2
94
0,232
0,00319
0,468
0,844
M = momento agente in campata o al vincolo
Ø
20
3,14
cm2
96
0,228
0,00325
0,474
0,842
d = altezza utile (ovvero a meno del copriferro)
Ø
22
3,80
cm2
98
0,225
0,00330
0,479
0,840
Ø
24
4,52
cm2
100
0,222
0,00336
0,484
0,839
M = momento agente È buona norma effettuare la verifica a filo zona piena.
M σa = < σa adm 0,9·d·Aa
Aa = area armatura disposta
B.STAZIONI DILEGIZLII
σf = 1600 kg/cm2; m = 15
kg/cm2
pl 2
Normalmente si perviene a risultati compresi nei seguenti intervalli:
Mc =
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TABELLE TRATTE DAL PRONTUARIO DEL CEMENTO ARMATO (ing. Luigi Santarella)
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
➥
TO – 3. D.5. TO ARMA N CEME I SOLA
D 73
D.5. 3.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO – SOLAI
•
STRUTTURE
➦ PROGETTAZIONE E VERIFICA TABELLE TRATTE DAL PRONTUARIO DEL CEMENTO ARMATO (ing. Luigi Santarella)
σ f = 1800 kg/cm2; m = 15
kg/cm2
D 74
σ f = 1900 kg/cm2; m = 15
kg/cm2
σf = 2000 kg/cm2; m = 15
kg/cm2
σc
r
t
s
ζ
σc
r
t
s
ζ
σc
r
t
s
ζ
30
0,597
0,00099
0,200
0,933
25
0,717
0,000777
0,165
0,945
30
0,622
0,000856
0,184
0,939
35
0,523
0,00114
0,225
0,924
30
0,610
0,000922
0,191
0,936
35
0,543
0,000988
0,208
0,931
40
0,467
0,00129
0,250
0,916
35
0,533
0,001063
0,216
0,928
40
0,484
0,001118
0,231
0,923
0,476
0,001202
0,240
0,920
45
0,423
0,00144
0,273
0,909
40
45
0,438
0,001245
0,252
0,916
50
0,388
0,00158
0,294
0,901
45
0,431
0,001338
0,262
0,912
50
0,401
0,001369
0,273
0,909
51
0,382
0,00161
0,298
0,900
50
0,395
0,001471
0,283
0,906
52
0,389
0,001418
0,280
0,906
0,382
0,001523
0,291
0,903
52
0,376
0,00164
0,302
0,899
52
54
0,377
0,001467
0,288
0,904
53
0,370
0,00167
0,306
0,897
54
0,371
0,001576
0,299
0,900
55
0,371
0,001491
0,292
0,902
0,365
0,001601
0,303
0,899
56
0,366
0,001515
0,296
0,901
57
0,361
0,001539
0,299
0,900
58
0,356
0,001563
0,303
0,899
59
0,351
0,001587
0,307
0,898
60
0,346
0,001611
0,310
0,896
61
0,341
0,001635
0,314
0,895
62
0,337
0,001658
0,317
0,894
63
0,333
0,001682
0,321
0,893
64
0,329
0,001705
0,324
0,892
65
0,324
0,001729
0,328
0,891
66
0,321
0,001752
0,331
0,889
67
0,317
0,001775
0,334
0,888
68
0,131
0,001798
0,338
0,887
69
0,310
0,001822
0,341
0,886
70
0,306
0,001844
0,344
0,885
71
0,303
0,001867
0,347
0,884
72
0,299
0,001890
0,350
0,883
73
0,296
0,001913
0,354
0,882
74
0,293
0,001936
0,357
0,881
75
0,290
0,001958
0,360
0,880
76
0,287
0,001981
0,363
0,879
77
0,284
0,002003
0,366
0,878
78
0,281
0,002026
0,369
0,877
79
0,279
0,002048
0,372
0,876
80
0,276
0,002070
0,375
0,875
0,271
0,002114
0,381
0,873
54
0,364
0,00169
0,310
0,896
55
55
0,359
0,00172
0,314
0,895
56
0,360
0,001627
0,306
0,898
57
0,355
0,001653
0,310
0,896
58
0,350
0,001679
0,314
0,895
59
0,345
0,001704
0,318
0,894
60
0,341
0,001730
0,321
0,893
61
0,336
0,001755
0,325
0,891
62
0,332
0,001780
0,328
0,890
63
0,328
0,001805
0,332
0,889
64
0,324
0,001830
0,336
0,888
65
0,320
0,001855
0,339
0,887
66
0,316
0,001880
0,342
0,886
67
0,312
0,001905
0,346
0,885
68
0,309
0,001929
0,349
0,883
56
0,354
0,00175
0,318
0,893
57
0,349
0,00178
0,322
0,892
58
0,344
0,00180
0,325
0,891
59
0,339
0,00183
0,329
0,890
60
0,335
0,00186
0,333
0,888
61
0,331
0,00189
0,337
0,887
62
0,326
0,00191
0,340
0,886
63
0,322
0,00194
0,344
0,885
64
0,318
0,00197
0,347
0,884
65
0,314
0,00199
0,351
0,882
66
0,311
0,00202
0,354
0,881
67
0,307
0,00205
0,358
0,880 69
0,305
0,001954
0,352
0,882
70
0,302
0,001979
0,356
0,881
68
0,304
0,00207
0,361
0,879
69
0,300
0,00210
0,365
0,878
70
0,297
0,00213
0,368
0,877
71
0,294
0,00215
0,371
0,876
72
0,290
0,00218
0,375
0,875
73
0,287
0,00220
0,378
0,873
74
0,284
0,00223
0,381
0,872
75
0,282
0,00225
0,384
0,871
76
0,279
0,00228
0,387
0,870
77
0,276
0,00231
0,390
0,869
78
0,273
0,00233
0,393
0,868
79
0,271
0,00236
0,396
0,867
82
0,267
0,002266
0,393
0,869
82
80
0,268
0,00238
0,400
0,866
84
0,262
0,002313
0,399
0,867
84
0,266
0,002158
0,386
0,871
82
0,263
0,00243
0,405
0,864
0,865
86
0,261
0,002202
0,392
0,869
84
0,258
0,00248
0,411
0,862
88
0,253
0,002406
0,410
0,863
88
0,257
0,002245
0,397
0,867
86
0,254
0,00253
0,417
0,860
90
0,249
0,002451
0,415
0,861
90
0,252
0,002288
0,403
0,866
88
0,250
0,00258
0,423
0,858
92
0,245
0,002497
0,421
0,860
92
0,248
0,002331
0,408
0,864
90
0,245
0,00263
0,428
0,857
94
0,241
0,002542
0,426
0,858
94
0,244
0,002374
0,413
0,862
92
0,242
0,00268
0,433
0,855
96
0,237
0,002587
0,431
0,856
96
0,240
0,002416
0,418
0,860
94
0,238
0,00273
0,439
0,853
98
0,234
0,002632
0,436
0,854
98
0,237
0,002458
0,423
0,859
96
0,234
0,00278
0,444
0,851
100
0,230
0,002676
0,441
0,853
100
0,233
0,002500
0,428
0,857
98
0,231
0,00282
0,449
0,850
105
0,222
0,002786
0,453
0,849
105
0,225
0,002603
0,440
0,853
100
0,227
0,00287
0,454
0,848
110
0,215
0,002895
0,465
0,845
110
0,217
0,002705
0,452
0,849
71
0,298
0,002003
0,359
0,880
72
0,295
0,002027
0,362
0,879
73
0,292
0,002052
0,365
0,878
74
0,289
0,002076
0,369
0,877
75
0,286
0,002100
0,372
0,876
76
0,283
0,002124
0,375
0,875
77
0,280
0,002148
0,378
0,874
78
0,277
0,002172
0,381
0,873
79
0,275
0,002195
0,384
0,872
80
0,272
0,002219
0,387
0,871
86
0,258
0,002359
0,404
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – SOLAI
D.5. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TABELLE TRATTE DAL PRONTUARIO DEL CEMENTO ARMATO (ing, Luigi Santarella)
σf = 2200 kg/cm2; m = 15
kg/cm2
σf = 2400 kg/cm2; m = 15
kg/cm2
σf = 2600 kg/cm2; m = 15
kg/cm2
σc
r
t
s
ζ
σc
r
t
s
ζ
σc
r
t
s
ζ
30
0,645
0,000747
0,170
0,943
30
0,667
0,000659
0,158
0,947
30
0,689
0,000587
0,147
0,951
35
0,563
0,000863
0,192
0,936
35
0,582
0,000761
0,179
0,940
35
0,600
0,000679
0,168
0,944
40
0,501
0,000976
0,214
0,928
40
0,517
0,000862
0,200
0,933
40
0,533
0,000769
0,187
0,937
42
0,481
0,001021
0,222
0,926
42
0,496
0,000902
0,208
0,931
42
0,511
0,000805
0,195
0,935
44
0,462
0,001066
0,231
0,923
44
0,476
0,000942
0,216
0,928
44
0,491
0,000840
0,202
0,932
45
0,453
0,001088
0,235
0,922
45
0,467
0,000962
0,219
0,927
45
0,481
0,000858
0,206
0,931
46
0,445
0,001110
0,239
0,920
46
0,458
0,000981
0,223
0,925
46
0,472
0,000876
0,210
0,930
48
0,429
0,001154
0,246
0,918
48
0,442
0,001020
0,231
0,923
48
0,455
0,000911
0,217
0,928
50
0,415
0,001198
0,254
0,915
50
0,427
0,001059
0,238
0,920
50
0,439
0,000946
0,224
0,925
52
0,401
0,001241
0,262
0,913
52
0,413
0,001098
0,245
0,918
52
0,425
0,000980
0,231
0,923
54
0,389
0,001284
0,269
0,910
54
0,400
0,001136
0,252
0,916
54
0,411
0,001015
0,237
0,921
55
0,383
0,001305
0,273
0,909
55
0,394
0,001155
0,256
0,915
55
0,405
0,001032
0,241
0,920
56
0,377
0,001327
0,276
0,908
56
0,388
0,001174
0,259
0,913
56
0,399
0,001049
0,244
0,918
58
0,366
0,001369
0,283
0,905
58
0,377
0,001212
0,266
0,911
58
0,387
0,001083
0,251
0,916
60
0,356
0,001411
0,290
0,903
60
0,366
0,001250
0,273
0,909
60
0,376
0,001117
0,257
0,914
62
0,347
0,001453
0,297
0,901
62
0,357
0,001287
0,279
0,907
62
0,366
0,001151
0,263
0,912
64
0,338
0,001495
0,304
0,899
64
0,348
0,001324
0,286
0,905
64
0,357
0,001184
0,269
0,910
66
0,330
0,001536
0,310
0,896
66
0,339
0,001361
0,292
0,902
66
0,348
0,001217
0,276
0,908
68
0,322
0,001577
0,317
0,894
68
0,331
0,001398
0,298
0,900
68
0,339
0,001250
0,282
0,906
70
0,315
0,001618
0,323
0,892
70
0,323
0,001434
0,304
0,898
70
0,331
0,001283
0,287
0,904
72
0,308
0,001658
0,329
0,890
72
0,316
0,001471
0,310
0,896
72
0,324
0,001316
0,293
0,902
74
0,301
0,001699
0,335
0,888
74
0,309
0,001507
0,316
0,894
74
0,317
0,001349
0,299
0,900
76
0,295
0,001739
0,341
0,886
76
0,302
0,001543
0,322
0,892
76
0,310
0,001381
0,305
0,898
78
0,289
0,001778
0,347
0,884
78
0,296
0,001578
0,328
0,891
78
0,303
0,001413
0,310
0,896
80
0,283
0,001818
0,353
0,882
80
0,290
0,001613
0,333
0,889
80
0,297
0,001445
0,316
0,895
82
0,278
0,001857
0,358
0,880
82
0,285
0,001649
0,339
0,887
82
0,291
0,001477
0,321
0,893
84
0,273
0,001896
0,364
0,878
84
0,279
0,001684
0,344
0,885
84
0,286
0,001508
0,326
0,891
86
0,268
0,001935
0,369
0,877
86
0,274
0,001719
0,349
0,883
86
0,281
0,001540
0,331
0,889
88
0,263
0,001974
0,375
0,875
88
0,269
0,001753
0,355
0,882
88
0,276
0,001571
0,337
0,888
90
0,259
0,002012
0,380
0,873
90
0,265
0,001788
0,360
0,880
90
0,271
0,001602
0,342
0,886
92
0,254
0,002050
0,385
0,871
92
0,260
0,001822
0,365
0,878
92
0,266
0,001633
0,347
0,884
94
0,250
0,002088
0,390
0,870
94
0,256
0,001856
0,370
0,876
94
0,262
0,001664
0,351
0,883
96
0,246
0,002126
0,395
0,868
96
0,252
0,001890
0,375
0,875
96
0,257
0,001695
0,356
0,881
98
0,242
0,002163
0,400
0,866
98
0,248
0,001923
0,380
0,873
98
0,253
0,001725
0,361
0,879
100
0,239
0,002200
0,405
0,865
100
0,244
0,001957
0,385
0,872
100
0,249
0,001755
0,366
0,878
102
0,235
0,002237
0,410
0,863
102
0,240
0,001990
0,389
0,870
102
0,246
0,001786
0,370
0,876
104
0,232
0,002274
0,415
0,862
104
0,237
0,002023
0,394
0,869
104
0,242
0,001816
0,375
0,875
106
0,228
0,002311
0,419
0,860
106
0,233
0,002056
0,398
0,867
106
0,238
0,001845
0,379
0,873
108
0,225
0,002347
0,424
0,858
108
0,230
0,002089
0,403
0,865
108
0,235
0,001875
0,384
0,872
110
0,222
0,002383
0,428
0,857
110
0,227
0,002121
0,407
0,864
110
0,232
0,001905
0,388
0,870
112
0,219
0,002420
0,433
0,856
112
0,224
0,002154
0,412
0,863
112
0,229
0,001934
0,392
0,869
114
0,217
0,002455
0,437
0,854
114
0,221
0,002186
0,416
0,861
114
0,226
0,001963
0,397
0,868
116
0,214
0,002491
0,441
0,853
116
0,218
0,002218
0,420
0,860
116
0,223
0,001992
0,401
0,866
118
0,211
0,002526
0,446
0,851
118
0,215
0,002250
0,424
0,858
118
0,220
0,002021
0,405
0,865
120
0,209
0,002562
0,450
0,850
120
0,213
0,002282
0,428
0,857
120
0,217
0,002050
0,409
0,863
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
TO – 3. D.5. TO ARMA N CEME I SOLA
D 75
D.5. 3.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO – SOLAI
•
STRUTTURE
DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE Normalmente nel disporre le armature si tengono in considerazione i seguenti principi generali nati dalla esperienza acquisita e dalla ottemperanza delle prescrizioni di legge in merito a copriferri e interferri:
ESEMPI DI ARMATURA FIG. D.5.3./27 SOLAIO IN LATERO-CEMENTO GETTATO IN OPERA CON SBALZO TERMINALE
20
3510 35
20
1 φ 20 135 165
20
1 φ12 (NEL TRAVETTO PREF.TO) 473
1 φ12 123 75
490
1 φ12
1 φ16 85 115
20
1 φ14 165
20
1 φ 12 (NEL TRAVETTO PREF.TO) 490 1 φ12 165 1 φ12 400
400
• che i correnti inferiori rispettino l’area minima di 0.07 x h cm2/m;
25
FIG. D.5.3./28 SOLAIO IN C.A. A PREDALLES E BLOCCHI DI ALLEGGERIMENTO IN POLISTIROLO
20
• che la tensione tangenziale sia > tco al fine di evitare onerose integrazioni di armatura a taglio;
473
1 φ16 140
20
3510 35 1 φ 20
20
135 165
1 φ12 20
• che sia disposta idonea armatura di ripartizione in caldana anche nei casi non prescritti dalla legge (solai con luci inferiori a 4.50 m).
1 φ12 75
(NELLA LASTRA PREF.TA) 473 1 φ12
1 φ16 85 115
490
25
20
1 φ 14 165
20
1 φ12 (NELLA LASTRA PREF.TA) 490 1 φ12
400
20
25
20
• che le armatura a flessione superino lo 0.15% dell’area della sezione di conglomerato;
1 φ12 165
400
FIG. D.5.3./29 SOLAIO IN C.A. A TRAVETTI PREFABBRICATI E ALLEGGERIMENTO IN LATERIZIO
1 φ16 140
20
3510 35 1 φ 20
20
135 165
20
1 φ12 1 φ12 75
(NELLA LASTRA PREF.TA) 473 1 φ12
1 φ16 85 115
490
25
20
1 φ 14 165
20
1 φ12 (NELLA LASTRA PREF.TA) 490 1 φ12
1 φ12 165
400
400 FIG. D.5.3./30 SOLAIO IN C.A. A PREDALLES E BLOCCHI DI ALLEGGERIMENTO IN POLISTIROLO SU GRANDI LUCI
760
25 25
760
25
10
2 φ14 110 st. φ10/20 cm 180
D 76
25
200
25
25
2 φ14 75 st. φ10/20 cm 180
50
25
2 φ18 200
25
200 25
1 φ 22 600 2 φ 20 760
25 35
25
1 φ 22 25 75 75 2 φ 20 175 175
1 φ18 800
25
25 25
760
75 st. φ10/20 cm 180
1 φ18 800 1 φ 22 600 2 φ 20 760
35
2 φ18 200
35
35
760
25
2 φ14 110 st. φ10/20 cm 180
10
25 25
20
473
20
20
25
20
473
1 φ16 123 140
20
• che vi sia la presenza di un corrente inferiore da un vincolo all’altro osservando la minima sezione e lunghezza di ancoraggio per il trasferimento dello sforzo di taglio;
25
20
125
• non disporre di più di due ferri per travetto;
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – SOLAI
D.5. 3. A.ZIONI
FIG. D.5.3./31 SBALZO ORTOGONALE DI SOLAIO CONTIGUO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.3./32 SOLAIO DI COPERTURA A DUE FALDE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
1φ
1 φ16 1φ
123 140
16
20
40
D.GETTAZIONE
40
1φ 12
2
1 φ1
20
123 75
20
20
20
20
1 φ12
PRO TTURALE STRU
1φ 16
20
20
20
20
25
E ESE ESSIONAL PROF
20
20
125
C.RCIZIO
25
490
490
25
760 800
25
25
53
1 φ18 800
760 800
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
25
25
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
2 φ18 200
25
200
1 φ18 800
200
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
53
25
25 25
53
53
2 φ18 200
F. TERIALI,
URB
25 25
1 φ 22 25 25 75 75 2 φ 20 175 175
CO NTALE AMBIE
G.ANISTICA
FIG. D.5.3./33 SOLAIO CON ELEMENTI PREFABBRICATI IN C.A.P. AUTOPORTANTI (SPIROLL)
25 25
E.NTROLLO
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
ESEMPI DI CARPENTERIA FIG. D.5.3./34 DISPOSIZIONE DI TRAVETTO ROMPITRATTA
032 TRAVETTO ROMPITRATTA 15 x 24
51 032
TR. 80x24
TR. 80 x 24 TRAVE CENTRALE
08
08
08
TR. 80 x 24 TRAVE CENTRALE
42x08 .RT
032
032 TR. 80 x 24 TRAVE CENTRALE
51
51
TRAVETTO ROMPITRATTA 15 x 24
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
TRAVE DI BORDO TR. 60 x 24
032
032 TRAVETTO ROMPITRATTA 15 x 24
TR. 60x24
FIG. D.5.3/36 ROMPITRATTA PER APERTURA CAVEDI
06
TRAVE DI BORDO TR. 60 x 24
06
06
TRAVE DI BORDO TR. 60 x 24
FIG. D.5.3./35 SBALZO ORTOGONALE ALL’ORDITURA ADIACENTE
TO – 3. D.5. TO ARMA N CEME I SOLA
D 77
D.5. 4.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO – TRAVI
STRUTTURE
•
GENERALITÀ Le travi sono elementi strutturali orizzontali o inclinati aventi lunghezza predominante rispetto alle dimensioni in sezione. Per questo vengono considerati nelle schematizzazioni di calcolo come elementi monodimensionali. Assolvono la funzione di trasferire i carichi dei solai agli elementi verticali costituiti da pilastri e setti. Sono classificabili in:
FIG. D.5.4./4 SEZIONE DI UNA TRAVE PREFABBRICATA
TRAVE PREFABBRICATA
a) travi emergenti – b) travi estradossate – c) travi a spessore
MODALITÀ COSTRUTTIVE Le travi possono essere realizzate in opera ovvero con parziale o totale prefabbricazione (Fig.D.5.4./4-5). FIG. D.5.4./1 TRAVI EMERGENTI
FIG. D.5.4./2 TRAVI A SPESSORE
con altezza superiore a quella del solaio e sporgenti sotto il solaio di pertinenza
con altezza pari a quella del solaio
FIG. D.5.4./3 TRAVI ESTRADOSSATE con altezza superiore a quella del solaio ma sporgenti sopra il solaio di pertinenza
FIG. D.5.4./5 SEZIONE DI UNA TRAVE SEMIPREFABBRICATA
GETTO DI COMPLETAMENTO IN OPERA
a)
b)
c) TRAVE PREFABBRICATA
NORMATIVA Si riportano le parti ritenute più significative del DM 14 febbraio 1992, integralmente trasferito nel DM 9 gennaio 1996, rinviando al testo di normativa per la lettura integrale.
3. NORME DI CALCOLO: METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI 3.1 – Tensioni normali di compressione ammissibili nel conglomerato Tenute presenti le prescrizioni contenute nel punto 5.2.1., le tensioni ammissibili sc vengono definite in base alla formula sotto indicata, con riferimento alla resistenza caratteristica a 28 giorni Rck tenuto anche presente quanto disposto nel punto 1 dell’Allegato 2.
Rck–15 σb = 6+ (N/mm2) 4 Rck–15 σb = 60+ (kgf/cm2) 4 I valori di σb sopraindicati sono quelli ammissibili per travi, solette e pilastri soggetti a flessione o pressoflessione. Nelle solette di spessore minore di 5 cm le tensioni ammissibili sono ridotte del 30%.
5.3. REGOLE SPECIFICHE PER STRUTTURE IN CEMENTO ARMATO NORMALE
Nella zona ove le tensioni tangenziali superano τco gli sforzi tangenziali devono essere integralmente assorbiti da armature metalliche affidando alle staffe non meno del 40% dello sforzo globale di scorrimento. La massima tensione tangenziale per solo taglio non deve superare il valore:
τc1 = 1,4+ Rck–15 (N/mm2) 35 Rck–150 τc1 = 14+ (kgf/cm2) 35 Nel caso di sollecitazione combinata di taglio e torsione τc1 adm può essere aumentato del 10%. Le tensioni tangenziali di aderenza delle barre, nell’ipotesi di ripartizione uniforme non devono superare i valori sottoindicati: • Barre tonde lisce:
τb = 1,5 τco
• Barre ad aderenza migliorata: Nelle travi a T con soletta collaborante la tensione ammissibile è ridotta: • del 30% per soletta di spessore
s < 5 cm; • del 10% per soletta di spessore s ≥ 5 cm. 3.1.4 – Tensioni tangenziali ammissibili nel conglomerato Non è richiesta la verifica delle armature al taglio e alla torsione quando le tensioni tangenziali massime del conglomerato, prodotte da tali caratteristiche di sollecitazione, non superano i valori di tco ottenuti con l’espressione:
Rck–15 (N/mm2) 75 Rck–150 τco = 4+ (kgf/cm2) 75
τco = 0,4+
D 78
τb = 3 ·τco
3.1.6 – Tensioni ammissibili negli acciai in barre ad aderenza migliorata Per le barre ad aderenza migliorata si devono adottare le tensioni ammissibili indicate nel prospetto 7. Tensioni ammissibili negli acciai in barre ad aderenza migliorata. PROSPETTO 7 Tipo di acciaio Fe B 38 k
σs N/mm2 σs Kgf/cm2
215 2200
Fe B 44 k
255 2600
Per strutture in ambiente aggressivo, si dovrà effettuare la verifica di fessurazione. Al fine di garantire la durata delle opere si dovrà controllare lo stato di fessurazione (ad esempio secondo metodi paragonabili a quelli previsti al punto 4.2.4.).
5.3.1 – Armatura longitudinale Nelle strutture inflesse in elevazione la percentuale di armatura longitudinale nella zona tesa, riferita all’area totale della sezione di conglomerato, non deve scendere sotto lo 0.15 per barre ad aderenza migliorata e sotto lo 0.25 per barre lisce. Tale armatura deve essere convenientemente diffusa. In presenza di torsione si dovrà disporre almeno una barra longitudinale per spigolo e comunque l’interasse fra le barre medesime non dovrà superare 35 cm. All’estremità delle travi deve essere disposta una armatura inferiore convenientemente ancorata, in grado di assorbire, con le tensioni ammissibili di cui ai punti 3.1.5. e 3.1.6., uno sforzo di trazione uguale al taglio. 5.3.2. – Staffe (Nota: il presente punto di normativa risulta mutato rispetto al precedente DM del 14 febbraio 1992.) Nelle travi si devono prevedere staffe aventi sezione complessiva non inferiore
a Au = 0,10 (1+0,15 d/b) b cm2/m essendo d l’altezza utile della sezione e b lo spessore minimo dell’anima in cm, con un minimo di tre staffe al metro e comunque passa non superiore a 0,8 volte l’altezza utile della sezione. In prossimità di carichi concentrati o delle zone di appoggio, per una lunghezza pari all’altezza utile della sezione da ciascuna parte del carico concentrato, il passo delle staffe dovrà superare il valore 12 φ, essendo φ il diametro minimo dell’armatura longitudinale. In presenza di torsione dovranno disporsi nelle travi staffe aventi sezione complessiva per metro lineare, non inferiore a 0,15 b cm2 per staffe ad aderenza migliorata e 0,25 b cm2 per staffe lisce, essendo b lo spessore minimo dell’anima misurata in centimetri. Inoltre il passo delle staffe non dovrà superare 1/8 della lunghezza della linea media della sezione resistente e comunque 20 cm. Le staffe devono essere collegate da apposite armature longitudinali.
6. NORME DI ESECUZIONE 6.1.4. – Copriferro e interferro La superficie dell’armatura resistente, comprese le staffe, deve distare dalle facce esterne del conglomerato di almeno 0.8 cm nel caso di solette, setti e pareti, e di almeno 2 cm nel caso di travi e pilastri. Tali misure devono essere aumentate, e al massimo rispettivamente portate a 2 cm per le solette e a 4 cm per le travi e i pilastri, in presenza di salsedine marina, di emanazioni nocive, od in ambiente comunque aggressivo. Copriferri maggiori richiedono opportuni
provvedimenti intesi a evitare il distacco (per esempio reti). Le superfici delle barre devono essere mutuamente distanziate in ogni direzione di almeno una volta il diametro delle barre medesime e, in ogni caso, non meno di 2 cm. Si potrà derogare a quanto sopra raggruppando le barre a coppie e aumentando la mutua distanza minima tra le coppie ad almeno 4 cm. Per le barre di sezione non circolare si deve considerare il diametro del cerchio circoscritto.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – TRAVI
D.5. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
METODOLOGIA DI CALCOLO Il procedimento di calcolo si articola nelle seguenti operazioni: a) analisi dei carichi; b) predimensionamento; c) definizione del modello di calcolo; d) determinazione delle sollecitazioni; e) verifiche tensionali.
ARMATURA A FLESSIONE
ARMATURA A TORSIONE
Il quantitativo di armatura da disporsi nella zona tesa della sezione può essere calcolata con la seguente formula approssimata:
La sollecitazione di torsione si verifica, di norma, nei seguenti casi: • travi sostenenti sbalzi; • travi con sbalzi non in continuità con i solai retrostanti; • travi di bordo con appoggio del solaio eccentrico rispetto al suo baricentro; • travi a ginocchio portanti rampe scale; • travi portanti in semplice appoggio carichi diversi o con diverse eccentricità.
ANALISI DEI CARICHI Il carico attinente a una trave è dovuto a: • peso proprio: calcolato sulla base del peso specifico del c.a. valutato in 2500 Kg/mc e comprensivo del peso di eventuali zone piene aderenti alla trave considerata; • solaio: valutato in base alle superfici di influenza del calcolo del solaio. Il calcolo deve essere effettuato in base ai carichi massimi gravanti sul solaio (permanenti più accidentali);
Aa =
M 0,9·d·σa
Per la verifica tensionale del conglomerato ci su può avvalere della seguente formula approssimata:
d
r=
e della corrispondenza di a a s b così come tabellata al punto D.5.2.
dove a e b sono i lati della sezione rettangolare con a > b e α un coefficiente dato da:
a = 3 + 2,6/(0,45 + a/b) Dette tensioni tangenziali si riscontrano nel valore massimo in corrispondenza del punto medio dei lati lunghi della sezione. Per sezioni scomponibili in più rettangoli sottili si ha:
PREDIMENSIONAMENTO Sulla base del carico agenti si determina il valore di inca2 stro perfetto (Mc = pl /12) valutato sulla luce di calcolo (asse – asse strutturale) e attribuendo al coeff α un valore oscillante tra 0,25 (0,30 si valuteranno le dimensioni in sezione b (larghezza) e h (altezza) mediante la formula
ARMATURA A TAGLIO Viene dimensionata secondo il seguente procedimento: Si determina il valore della tensione tangenziale:
d=r
La sollecitazione di torsione genera nella sezione delle tensioni tangenziali il cui valore massimo è dato da:
τmax = α Mt/ab2 (sez. rettangolare)
M b
• tamponature: presenti nelle travi di bordo hanno peso valutabile in dipendenza delle tipologie costruttive; • carichi puntuali o distribuiti dovuti alla presenza di circostanze particolari (travi in falso, pilastri in falso, ecc.).
B.STAZIONI DILEGIZLII
VERIFICHE TENSIONALI
M b
Generalmente si verifica che una delle due dimensioni b,h è già condizionata da motivi strutturali contingenti o da necessità architettoniche. Si pensi a tal proposito alle travi a spessore aventi altezza definite dello spessore del solaio, o a travi ricadenti nello spessore della tamponatura.
MODELLO DI CALCOLO I modelli di calcolo considerano, di norma, gli impalcati costituiti dai solai come infinitamente rigidi nel loro piano. Ciò comporta che la distanza tra due pareti qualsiasi dell’impalcato di considera fissa e immutabile durante lo stato di sollecitazione indotto dai carichi. Il modello di calcolo più rispondente alla realtà è quello costituito da un telaio spaziale formato da travi, pilastri e setti posti nella reale configurazione. In tal modo c’è la possibilità di tener conto nel giusto rapporto delle rigidezze flessionali, assiali e torsionali di tutti gli elementi costituenti il telaio.Naturalmente per la risoluzione del telaio spaziale occorrono mezzi di calcolo adeguati pertanto spesso si ricorre a modelli di calcolo meno sofisticati, ma di più agevole risoluzione come i telaio piani e la trave continua. Esiste anche la possibilità di considerare il telaio semplificato costituito solo dalla trave esaminata e dai pilastri a essa incidenti considerati con luce ridotta pari alla metà della luce reale. All’estremità libera dei pilastri si pone il vincolo di cerniera. Per le travi di copertura il pilastro è posto solo all’intradosso della trave e ha altezza pari al 70% della luce reale di calcolo. Nella normalità dei casi, verificandosi che la rigidezza flessionale delle travi è largamente maggiore di quella dei pilastri può essere sufficiente approssimare il calcolo con una trave continua su appoggi puntiformi.
con b = larghezza della trave h = altezza utile della trave (a meno deI copriferro) Se τ > τc1 si deve provvedere al ridimensionamento della sezione; se τ > τco si dispone l’armatura minima di legge; se τco > τ > τc1 si provvede al dimensionamento dell’armatura a taglio. Essa può essere costituita da ferri piegati e staffe purché queste ultime assorbano almeno il 40% dello sforzo di taglio. Il quantitativo delle staffe è dato da:
Tp ·L 0,9·d
i
·
1 sen α·σadm
dove T è il valore max nel tratto considerato e Ast l’area delle staffe da disporre in un metro.
Per sezioni costituite da rettangoli con spessore non trascurabile si può adottare per ciascun di essi la seguente formula:
τmax = αMt ·bmax ∑a ·b
Tst ·100
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
i
Nel caso di sollecitazione composta di taglio e torsione, le tensioni tangenziali devono essere nominate nei valori corrispondenti alla sezione esaminata e si procede al calcolo delle armature nel caso di τ compresa tra τco e 1,1 × τco. Per valori tensionali inferiori a τco si deve disporre l’armatura minima di legge, mentre al di sopra di 1,1 τc1 è necessario procedere al ridimensionamento della sezione. L’armatura a torsione è composta da ferri longitudinali e staffe calcolate con il seguente procedimento:
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
Armatura longitudinale complessiva:
AL = pMt/2Ωσadm in cui:
Mt Ω
L’area dei ferri piegati è data da:
Ast =
i
i
T τ= 0,9 ·b·d
Ap =
τmax = 3Mt ·bmax ∑a ·b
I ED PRE NISM ORGA
p σadm
= momento torcente = area della sezione racchiusa dall’armatura per la torsione = perimetro di Ω = tensione ammissibile delle armature
0,9 ·d·σadm
con:
Staffe per unità di lunghezza
L = lunghezza del tratto considerato α = angolo di inclinazione dei ferri piegati
da disporre su ciascun lato della sezione
sull’orizzontale.
AST = Mt/2 Ωσadm
TO – 4. D.5. TO ARMA N CEME I TRAV
D 79
D.5. 4.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO – TRAVI
•
STRUTTURE
ARMATURE NELLE TRAVI ESEMPI DI DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE FIG. D.5.4./6 DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE CORRENTI NEL CASO DI TRAVE DI LUCE MAGGIORE DI 12,00 m
ARMATURA LONGITUDINALE Le travi hanno sempre un quantitativo minimo di armatura tesa e compressa suddivisa in tante barre quanti sono gli angoli delle staffe (armatura reggi-staffe). Qualora si verifichino interruzioni nelle armature, è buona norma effettuare adeguate sovrapposizioni (almeno pari a 30 diametri) in zona compressa. È comunque buona norma sfalsare le sovrapposizioni di armatura nella lunghezza della trave. È inoltre opportuno curare che le barre siano adeguatamente prolungate oltre la sezione di appoggio e opportunamente ripiegate (Fig. D.5.4./6). Qualora l’armatura filante disposta debba essere integrata, occorrerà disporre una armatura di integrazioni. In caso di notevoli quantitativi di armatura potrà essere necessario disporre l’armatura su più strati. A tal proposito si ricorda l’ottemperanza alle prescrizioni normative in merito di copriferri e interferri. Dovrà essere posta particolare cura, inoltre, al fine di evitare pericolosi fenomeni di vagliatura del conglomerato, durante le fasi di getto (Fig. D.5.4./7).
FIG. D.5.4./7 DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE SU PIÙ STRATI CON BARRE RAGGRUPPATE
2 cm
i ³
{φ
φ iv
io
iv
io
STAFFE Si ricordano le prescrizioni normative in merito a:
Di norma si utilizzano ferri piegati solo quando il taglio è tale da richiedere un quantitativo eccessivo di staffe. In ogni caso le norme vietano di attribuire ai sagomati più del 60% dello sforzo tagliante. Normalmente si utilizzano ferri aventi inclinazioni sull’orizzontale pari a 45° o per travi molto alte, 40° gradi. La disposizione dei ferri piegati si effettua con la seguente metodologia (Fig. D.5.4./8). La distanza tra un ferro piegato e l’altro non deve superare l’altezza utile della trave. Il procedimento di calcolo è il seguente:
FIG. D.5.4./8 DISPOSIZIONE DEI FERRI PIEGATI SULLA BASE DEL DIAGRAMMA DELLO SFORZO DI SCORRIMENTO
G1 G2
G3
• determinazione dello sforzo di taglio da attribuire ai ferri piegati (max 60%); • determinazione dei piegati sulla base del diametro scelto; • suddivisione dello sforzo di taglio da attribuire ai piegati in parti di uguale area; • determinazione della posizione del punto medio del tratto inclinato come intersezione dell’asse della trave con la verticale per il baricentro della superficie e di pertinenza. In corrispondenza di carichi concentrati o di reazioni vincolari elevati è preferibile se possibile affidarsi a staffe anziché a sagomati per il migliore confinamento del conglomerato che ne deriva.
AREA DELLO SFORZO DI SCORRIMENTO AFFIDATA AI FERRI PIEGATI
h
i ³ 4 cm
DISPOSIZIONE DEI FERRI PIEGATI
< h
( b ) ( b ) ( b )
( a ) ( a )
a) interasse delle staffe:
( a )
i ≤ 33 cm i ≤ 0,8 hh (altezza utile) i ≤ 12 φ (diametro min. arm. longitudinale)
A) ANCORAGGI IN ZONA COMPRESSA B) ANCORAGGI IN ZONA TESA
b) Area delle staffe (al metro)
Asz = 0,10 (1 + 0,15 d/b) cm2 d = altezza utile delle sezioni b = larghezza sezione Fatto salvo quanto sopra, si osserva che la distanza tra le braccia delle travi deve essere inferiore a due volte l’altezza della trave e comunque a 40 cm. In zona sismica è bene infittire il passo delle staffe in corrispondenza dei nodi trave-pilastro.
D 80
ARMATURA A TORSIONE L’armatura a torsione è realizzata con barre longitudinali e staffe. Le barre longitudinali si dispongono di norma una per spigolo e nei lati a interasse massimo di 30 ÷ 40 cm. È buona norma tenere in conto la regola pratica che il diametro delle barre longitudinali superi la metà del passo delle staffe diviso 10. Per le staffe è bene osservare che nel caso di staffe a 4 braccia non sono resistenti nei confronti della torsione le braccia interne. Pertanto è necessario diversificare il diametro delle staffe esterne rispetto all’interna ovvero infittire il passo delle staffe.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – TRAVI
D.5. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TRAVE A SPESSORE PER EDILIZIA COMUNE
B.STAZIONI DILEGIZLII
FIG. D.5.4/9 TRAVE A SPESSORE DI SOLAIO – DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE
I ED PRE NISM ORGA 38
37
390
st. φ 8/15 4 br.
3 φ 20 L=300 240 4 φ14 L=490 470
30
30 20
50
4 φ14 L=305 286
A
3 φ 20 L=300 240
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
3 φ16
st. φ 8/15 4 br.
4 φ14 L=325 306
4 φ14 L=490 2 φ16 L=300 240
4 φ14
100 x 24
4 φ 14 L=560 540
30
19
A
100 x 24
st. φ 8/15 4 br.
205
20
100 x 24
50
E ESE ESSIONAL PROF
3 φ 20
24
30
30
205
C.RCIZIO
SEZIONE A - A
305
100
E.NTROLLO
φ 8/15 L = 186
F. TERIALI,
4 φ14
CO NTALE AMBIE ICHE TECN MA ONENTI, P COM
10
63
G.ANISTICA
30
30
420
19 20
235
39
30
36
URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
FIG. D.5.4/10 TRAVE EMERGENTE CON CAMPATE DI DIFFERENTE ALTEZZA
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
12
16
20
600 30
400
570
40 A
30 x 60
350
330
30
320
60 x 24
SEZIONE A-A 2 φ12
30
30 x 50 1+1φ10
60
1+1 φ10
26
40 2 φ20 L=345 238 2 φ12 L=225 77 116
320
2 φ16 L=345 238
2 φ16 2 φ16
30
30
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
56
20
φ 8/30 L = 184
3 φ14 L=475 395
10
40
40
2 φ16 L=715 635 2 φ16 L=410 350
4 φ16 L=435 395
30
2 φ12 L=530 500
2 φ12 L=450
26
30
30
50
40
2 φ16 L=375 325
40
310
st. φ 8/30 st. φ 8/15 200 60
32
20
50
55
2 φ12 L=190 25 77 33
st.φ 8/15 60
st. φ 8/20 4 br. 400
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
77
570
77
30
st. φ 8/15 90
30
A
st. φ 8/30 390
30
st.φ 8/15 90
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
TO – 4. D.5. TO ARMA N CEME I TRAV
D 81
D.5. 4.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO – TRAVI
•
STRUTTURE
➦ ARMATURE NELLE TRAVI TRAVE CALATA RISPETTO AL SOLAIO FIG. D.5.4./11 TRAVE EMERGENTE – DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE
62
44 480
150 150
50 1+1 φ 10
st. φ 8/15
st. φ 8/15
145
40
A
st. φ 8/15
90
250
60
st. φ 8/30
60
77
77
195
30
33
st. φ 8/30
60
st. φ 8/15
200
60
2 φ 16 L=300 77
141
st. φ 8/15
60
30 1+1 φ 10
30 x 60
st. φ 8/15
190
2 φ 12 L=345
2 φ 12 L=360
320
1+1 φ 10
30 x 60
st. φ 8/15
350
310
A
30 x 60
st. φ 8/30
90
18
410
430
30 x 60
55
34
30
146
77
77
2 φ 12 L=250 77
36
30 3 φ 16 L=465
30 2 φ 12 L=630
2 φ 12 L=495
410
580
50
50
77
1 φ 16 L=400
2 φ 12 L=220
2 φ 16 L=410
3 φ 16 L=530
3 φ 16 L=420
200
400 30
30
2 φ 16 L=410 350
SEZIONE A - A 2 φ 12 φ 8/30
L=184
60
56
10 1+1 φ 10 2 φ 16 2 φ 16 30
D 82
26
20
20
50
350
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – PARETI O SETTI
A.ZIONI
PARETI O SETTI Molto spesso nelle strutture pluripiano vengono inserite pareti verticali in c.a. per il sostegno di scale, per la realizzazione di corpi ascensore, o di pareti senza rilevanti forature. Detti elementi assumono grande importanza nella statica del complesso strutturale e in quanto assolvono oltre al sostegno dei carichi verticali anche a gran parte delle azioni orizzontali dovute a vento e/o sisma. Data la elevata rigidezza flessionale e a taglio che caratterizza le pareti in c.a. è necessario effettuare un corretto posizionamento affinché non sorgano pericolosi effetti secondari. A tal proposito si osserva che è sempre buona norma evitare che:
FIG. D.5.5./1 POSIZIONAMENTI ERRATI E CORRETTI DELLE PARETI NEGLI ORGANISMI STRUTTRUALI IN PRESENZA DI AZIONI ORIZZONTALI DI SIGNIFICATIVA INTENSITÀ
DISPOSIZIONI ERRATE
DISPOSIZIONI CORRETTE
ASSENZA DI ELEMENTI CHE CONTRASTANO LE AZIONI TORCENTI CAUSATE DA FORZE IN DIREZIONE Y
Y XR d)
c)
a)
X YR e)
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
Fy
1) esista eccessiva distanza tra il baricentro delle forze orizzontali di piano e il baricentro delle rigidezze per evitare l’insorgere di pericolosi effetti torcenti (Fig. D.5.5./1); 2) sussista una distanza tra nuclei irrigidenti superiore a 30,00 m per evitare pericolosi dati di coazione dovuti a variazioni termiche stagionali (Fig. D.5.5./2).
D.5. 5.
Fx
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
ELEMENTI CHE CONTRASTANO LE AZIONI TORCENTI CAUSATE DA FORZE IN DIREZIONE X
b) ASSENZA DI ELEMENTI CHE CONTRASTANO LE AZIONI TORCENTI CAUSATE DA FORZE IN DIREZIONE X
L’utilizzazione di pareti o setti irrigidenti come elementi resistenti al sisma conferisce una ridotta duttilità al sistema strutturale e la concentrazione di sforzo elevati in fondazione.
FIG. D.5.5./2 POSIZIONAMENTI DELLE PARETI NEGLI ORGANISMI STRUTTURALI PER EVITARE IL PRODURSI DI STATI DI COAZIONE DOVUTI A VARIAZIONI TERMICHE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
DISPOSIZIONE CORRETTA
DISPOSIZIONE ERRATA
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
a)
L > 30 m - 50 m
b)
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
L < 30 m
IN RELAZIONE ALLE CARATTERISTICHE DEGLI ELEMENTI RESISTENTI E DELL'EDIFICIO
RIFERIMENTI NORMATIVI
METODOLOGIA DI CALCOLO
Il DM 14 febbraio 1992 integralmente accettato dal successivo DM 16 gennaio 1996 prescrive per i setti in c.a. l’adozione delle prescrizioni relative ai pilastri quando la sollecitazione assiale di compressione dovuta ai carichi verticali sia significativa ovvero quando la tensione media nel conglomerato risulti superiore a:
Generalmente le pareti verticali sono soggette a elevate forze orizzontali dovute al vento o al sisma e per questo il carico verticale assume, talvolta, effetti stabilizzanti. Il predimensionamento e il calcolo delle pareti in c.a. richiede particolare attenzione da parte del progettista che può variarne lo stato di sollecitazione mutandone la disposizione in pianta.
σ medio = 0,42 1–0,03 (25 –s) ·σbam σ admc = tensione ammissibile di compressione s = spessore della parte espressa in cm Nel caso in cui la sollecitazione di compressione sia inferiore a detto limite si può operare in deroga a quanto prescritto per i pilastri con le seguenti armature minime:
a) armatura verticale minima: 1 φ 8/30 cm su ogni faccia; b) armatura minima orizzontale: 1 φ 5/30 cm ovvero 1 φ 5/20 armatura verticale;
c) armatura di collegamento: 6 collegamenti/mq.
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
PREDIMENSIONAMENTO Per edifici di altezza modesta (tre-quattro piani) non ricadenti in zona sismica il predimensionamento di pareti o setti è effettuato in genere sulla base di considerazioni di carattere architettonico. Nel caso di strutture antisismiche o di elevata altezza le forze orizzontali assumono valori considerevoli e per il predimensionamento di setti occorre particolare cura da parte del progettista.
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
MODELLI DI CALCOLO I modelli di calcolo più sofisticati considerano il telaio strutturale nella propria configurazione spaziale e attribuiscono alle pareti aste verticali o insieme di aste ovvero elementi bidimensionali semplici o composti capaci di simularne il comportamento sia nei confronti della rigidezza flessionale che nei confronti della rigidezza torsionale e a taglio. Più semplicemente, anche se con maggiore approssimazione, a volte si attribuiscono tutte le azioni orizzontali ai setti in c.a. aventi schema statico di mensola verticale. In tal caso, qualora la struttura resistente sia composta da più setti disposti nella medesima direzione, la forze orizzontali dirette in quella direzione vengono assolte dai setti in misura proporzionale alla propria rigidezza flessionale.Nel caso di eccentricità tra il baricentro delle masse di piano e il baricentro delle rigidezze insorgono momenti torcenti che generano ulteriori forze orizzontali nei setti in dipendenza della distanza esistente tra ogni setto e il baricentro delle rigidezze.
Pertanto per ogni parete si ha:
Fi = F
Ri ∑Ri
±e
Ri ·di· ∑Ri ·di·
dove:
Ri = rigidezza flessionale del generico setto; d = distanza tra il setto e il baricentro delle rigidezza;
TO – 4. D.5. TO ARMA N CEME I TRAV
e = eccentricità tra baricentro delle forze e centro delle rigidezze.
TO – 5. D.5. TO ARMA N CEME I O SETTI T PARE
D 83
D.5. 5.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – PARETI O SETTI ➦ PARETI O SETTI VALUTAZIONE DELLE FORZE AGENTI A) FORZE VERTICALI Sono dovute ai carichi agenti e pertanto determinabili sulla base di una analisi dei carichi cosÏ come indicato per i pilastri.
B) FORZE ORIZZONTALI Sono dovute a vento, sisma, azioni termiche. Possono essere valutate come segue.
B1) FORZE ORIZZONTALI DOVUTE AL VENTO L’azione del vento è considerata dalle norme come azione statica di pressione sugli elementi direttamente interessati e depressione sugli elementi posti sottovento. L’entità della azione statica del vento è regolamentata in funzione: • dell’area di edificazione specificatamente alla posizione nel territorio nazionale altitudine, distanza dal mare; • dell’altezza dal suolo dell’edificio; • della forma dell’edificio. La pressione statica del vento è data da:
φ = c q dove: c = coeff di forma; q = pressione cinetica di legge. Per pareti verticali il coeff di forma assume i seguenti valori: c = 0,8 per le pareti verticali o inclinati con inclinazione maggiore di 60% sull’orizzontale c = 0,4 per le pareti sotto vento. Pertanto per il generico edificio si ha:
φ = (0,8 + 0,4) q = 12 q Le forze derivanti dalla pressione statica del vento vengono considerate agenti secondo due direzioni ortogonali coincidenti agli assi principali della pianta dell’edificio.
B2) FORZE ORIZZONTALI DOVUTE AL SISMA L’attuale normativa (DM 16 gennaio 1996) prevede la valutazione delle forze orizzontali sismiche sia mediante una analisi statica che con analisi dinamica. In quanto segue si daranno cenni sulla analisi statica rinviando a testi specializzati per la valutazione dinamica delle forze sismiche.
Fi = C · R · ε · B · I · γi
dove:
C=
S –2 100
C = coeff. di intensità sismica con S = 12,9 , 6 per zone sismiche di 1° 2° 3° categoria; b = coeff. di struttura pari a 1,0 per strutture a telaio e 1,2 per strutture a pareti irrigidenti; ε = coeff. di fondazione pari a 1,0 sulla normalità dei casi ma incrementazionale fino a 1,3 per terreni fortemente comprensibili;
R = coeff. di risposta assunto per edifici di comune edificazione pari a 1,0 I = coeff. di protezione sismica assunto pari a: 1,0 per edifici civili di abitazione 1,2 per edifici molto frequentati (scuole, cliniche, stazioni ecc.)
L’analisi statica assimila l’azione sismica a una serie di forze orizzontali speranti secondo due derivazioni ortogonali applicate al baricentro di ogni livello strutturale. Ogni forza è proporzionale al peso sismico del piano di pertinenza. La forza dei piano è data da (piano i-esimo). 1,4 per edifici di primaria funzione di protezione civile (caserme, ospedali, prefetture)
γi = hi
∑Wi ∑Wi · hi
coeff. di distribuzione del’azione sismica con hi altezza dello spiccato fondazioni del piano i-esimo
Wi = Gi + ϕ · Qi = “peso sismico” del piano i-esimo con: Gi = somma carichi permanenti (peso proprio + sovv. permanenti)
Qi = sovraccarico accidentale ϕ = coeff riduzione del sovraccarico (0,33 per abitazioni; 0,50 per locali suscettibili di affollamento; 1,0 per locali fortemente affollati).
B3) FORZE ORIZZONTALI DOVUTE A VARIAZIONI TERMICHE Le azioni indotte da variazioni termiche assumono rilievo negli edifici aventi notevoli dimensioni e per questo motivo è buona norma evitare corpi di fabbrica superiori a 30 m. Data l’elevata inerzia termica è ininfluente nei confronti di fenomeni d’insieme. Di particolare importanza è la variazione giornaliera termica stagionale che andrebbe riferita, di rigore, alle condizioni termo-igrometriche al momento del getto. L’allungamento o accorciamento dei solai conseguente a variazioni di temperatura inducono considerevoli sforzi nelle pareti in dipendenza della loro posizione in pianta e della loro rigidezza. La dilatazione termica del conglomerato è data da:
∆l = α L ∆t
dove:
∆ = variazione dimensionale α = 1 x 10–5 ...coeff. dilatazione termica L = lunghezza strutturale ∆t = variazione termica in gradi centigradi. Si osserva che le sollecitazioni indotte da variazione termica non sono attribuibili nemmeno in prima approssimazione alle sole pareti bensì devono essere ripartite fra tutti gli elementi strutturali (travi, pilastri, setti) secondo schematizzazioni a telaio piano o spaziale di difficile valutazione preliminare risolvibili, pertanto, con programmi di calcolo automatico. La variazione termica stagionale è assunta normalmente in ∆T ± 15 °C per le strutture esposte e in ∆c ± 10 °C per le strutture non direttamente interessate dall’insolazione.
ARMATURE NELLE PARETI FIG. D.5.5./3 EDIFICIO A SETTI – DISPOSIZIONE ARMATURE ARMATURA DI RINFORZO
L’armatura delle pareti in c.a. può essere realizzata sia con reti elettrosaldate sia con barre d’armatura sagomate all’uopo. La scelta della tipologia d’armatura è conseguente a considerazioni sulle quantità d’armatura da porre in opera e del numero di pareti da armare.
ARMATURA CON BARRE ORDINARIE L’armatura in barre consente una maggiore duttilità nella disposizione delle barre sia verticali che orizzontali. Le barre verticali possono essere diversificate nel diametro (eventualmente maggiori agli angoli e in corrispondenza delle aperture) mentre l’armatura orizzontale è posta a diametro costante con eventuale infittimento ai piani per zone altamente sismiche. Nel caso di pareti molto alte si può prevedere una diminuzione dei diametri procedendo verso l’alto sempre nei limiti delle prescrizioni normative.
ARMATURA CORRENTE VERT. E ORIZZ.
ARMATURA CON RETI ELETTROSALDATE Le reti elettrosaldate devono avere diametro compreso tra 4 e 12 mm e, qualora il diametro diverso, il rapporto tra il diametro dell’armatura orizzontale e quello verticale deve essere superiore a 0,6. Nel progettare le armature è bene tenere in conto che i pannelli di reti in commercio hanno larghezza pari a 2,40 m. Normalmente l’armatura a rete è integrata con barre longitudinali in corrispondenza degli angoli e dei bordi delle aperture eventuali da barre orizzontali in corrispondenza degli architravi e da armature di collegamento tra le reti nella misura di 6 collegamenti al metro quadrato (vedi Fig. D.5.5./3).
D 84
ARMATURA DI RINFORZO
ORIZZONTALE
VERTICALE
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – PILASTRI
D.5. 6. A.ZIONI
PILASTRI – NORMATIVA I pilastri sono elementi strutturali verticali atti a trasferire il carico degli impalcati alle strutture di fondazione. Sono realizzati di norma, con getti in opera anche se, in passato,
sono stati realizzati con totale o parziale prefabbricazione. Con i pilastri gettati in opera è più facile realizzare un collegamento monolitico con gli altri elementi strutturali.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
NORMATIVA Si riportano i punti più significativi del DM 14 febbraio 1992 LLPP integralmente ammesso dal successivo DM 9 gennaio 1996 per quanto attiene la verifica degli elementi strutturali con il criterio delle tensioni ammissibili.
4.2.1. TENSIONI NORMALI DI COMPRESSIONE AMMISSIBILE NEL CONGLOMERATO (Punto 3.13 del DM 14 febbraio 1992) Tenute presenti le prescrizioni contenute nel punto 5.2.1., le tensioni ammissibili σadm C, vengono definite in base alla formula sotto indicata, con riferimento alla resistenza caratteristica a 28 giorni Rck, tenuto anche presente quanto disposto nel punto 1 dell’Allegato 2.
Rck – 15 (kgf/cm2) 4
PROSPETTO 8 Snellezza λ
Coefficiente di amplificazione ω
1.00 1.08 1.32 1.62
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
La verifica deve essere condotta nel piano di massima snellezza.
I valori di σadm C sopraindicati valgono per travi solette e pilastri soggetti a flessione o pressoflessione. Omissis. Per i pilastri calcolati a compressione semplice la tensione ammissibile assume il valore ridotto:
σadm c = 0,7 1 – 0,03(25–s) · σadm c σadm c = 0,7 1 – 0,03(25–s) · σadm c
Il coefficiente di amplificazione dei carichi, che tiene conto dei fenomeni di instabilità, varia come indicato nel prospetto 8.
50 70 85 100
Rck – 15 σadm c = 6 + (N/mm2) 4
σadm c = 60 +
4.2.3. INSTABILITÀ FLESSIONALE DEI PILASTRI (Punto 3.1.12 del DM 14 febbraio 1992)
C.RCIZIO
per s > 25 cm ; per s ≥ 25 cm ;
con s dimensione trasversale minima della sezione. Nella sollecitazione di pressoflessione la tensione media dell’intera sezione non deve superare la tensione ammissibile per compressione semplice.
4.2.2. PILASTRI CERCHIATI (Punto 3.1.11 DM 14 febbraio 1992)
Nelle strutture semplicemente compresse, armate con ferri longitudinali, disposti lungo una circonferenza e racchiusi da una spirale di passo non maggiore di 1/5 del diametro del nucleo cerchiato, si può assumere come area ideale resistente quella del nucleo aumentata di 15 volte quella della sezione di una armatura fittizia longitudinale di peso uguale a quello della spirale più l’armatura longitudinale effettivamente disposta moltiplicata per il coefficiente n=15. L’area ideale così valutata non deve superare il doppio dell’area del nucleo. La sezione dell’armatura longitudinale non deve risultare inferiore alla metà di quella dell’armatura fittizia corrispondente alla spirale.
Snellezze λ maggiori di 100 sono da considerare con particolari cautele di progettazione e di calcolo.
G.ANISTICA URB
4.2.4. ARMATURA MINIMA (Punto 5.3.4 del DM 14 febbraio 1992) La verifica, salvo più accurate valutazioni, deve essere eseguita tenendo conto dello sforzo normale Nω con ω valutato per la massima snellezza, e del momento flettente M*= c M, con M momento effettivo massimo. Allo sforzo normale Nω si deve sostituire N se più sfavorevole. Valutazioni particolarmente accurate sono richieste quando si prevedono forti deformazioni differite. La tensione massima a compressione, così determinata non deve superare quella ammissibile per la sollecitazione di pressoflessione (vedi punto 3.1.3.). Il coefficiente c’ è dato da:
C=
1 N
1–
N NE
dove NE è il carico critico euleriano per la snellezza relativa al piano di flessione, valutato per un modulo di elasticità convenzionale Eb dove:
Eb = 18.000 · Rck (Kg/cm2) In ogni caso deve essere eseguita la verifica di cui al punto 3.1.12.1. per l’inflessione nel piano di massima snellezza.
NOTA: la sezione di conglomerato strettamente necessaria per carico assiale è data dal rapporto:
B=
N (1,12 · σbam)
(vedi D.5.2.)
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
B = area strettamente necessaria per carico assiale; N = carico verticale;
σbam c = tensione ammissibile per il conglomerato calcolata come nel punto 4.2.1. compresa la riduzione relativa ai pilastri calcolati a compressione semplice.
METODOLOGIA DI CALCOLO I pilastri sono sottoposti ai carichi verticali, orizzontali e momenti flettenti dovuti a:
Tale evento ricorre con frequenza nei pilastri di bordo, specie d’angolo, e tutte le volte che si verificano evidenti variazioni di luce nelle travi incidenti un pilastro.
• pesi propri e sovraccarichi degli impalcati trasmessi ai pilastri dalle travi di piano; • azioni orizzontali dovuti a sisma, a vento e a dilatazioni termiche trasmesse ai pilastri dagli impalcati assunti con infinita rigidezza nel proprio piano.
Per una sommaria valutazione del carico agente su un pilastro, si può procedere sulla base delle superfici di influenza del solaio.
Si osserva che i carichi verticali dovuti agli impalcati possono indurre elevate sollecitazioni di flessione nei pilastri per dissimetria di carico.
Per valutazioni più rigorose, si deve procedere a modelli di calcolo più appropriati come telai piani o spaziali.
TO – 5. D.5. TO ARMA N CEME I O SETTI T PARE TO – 6. D.5. TO ARMA N CEME RI T PILAS
D 85
D.5. 6.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO – PILASTRI
•
STRUTTURE
CARICO ASSIALE CENTRATO Le prescrizioni poste dalla normativa per tale stato di sollecitazione sono le seguenti:
4. L’armatura longitudinale deve:
1. se la sezione è poligonale l’armatura longitudinale deve prevedere almeno un ferro per ogni vertice del poligono. Se la sezione è circolare occorre prevedere almeno sei ferri longitudinali equi distribuiti; 2. il diametro minimo delle armature longitudinali è di 12 mm; Per elementi prefabbricati 10 mm;
• risultare maggiore od uguale all’otto per mille della sezione di conglomerato strettamente necessaria; • risultare maggiore del tre per mille della sezione effettiva di conglomerato; • risultare minore del sei per cento della sezione effettiva di conglomerato. 5. Indicando con B l’area del conglomerato e con Af quella dell’acciaio risultante con N il carico agente deve risultare:
3. deve essere sempre presente una armatura trasversale (staffe) di diametro maggiore od uguale a 6 mm. Le staffe devono essere chiuse e con ripiegature che entrino all’interno della sezione. Il copriferro misurato all’esterno delle staffe deve risultare maggiore od eguale a 2 cm. Le staffe debbono avere un passo non maggiore a quindici volte il diametro minimo delle armature longitudinali e comunque non superiore a 25 cm.
σb =
Rck – 150 N = ≤ 0,7 · Bs 60 + = 0,7σbam Kg/cm2 B + n · Af 4
SEZIONE STRETTAMENTE NECESSARIA
VERIFICA
Assunto per il coefficiente di omogeneizzazione il valore n = 15 la sezione di conglomerato strettamente necessaria è data da:
In tal caso sono nati i valori di:
N 0,70 ·σbam (1+ηµ)
N
= 0,70 ·σbam
L’armatura corrispondente risulta: Af =
=
8 1+15· 1000
N 0,7·σbam·1,12
N
B
Af
Rck
Per prima cosa si determina il valore della tensione ammissibile: σb = 0,7 · σbam e si controlla che risulti:
N
8 ·B 1000 s
≤ σbam
B + 15 · Af
Tale valore di armatura rappresenta il valore minimo dell’armatura presente nella sezione.
si determina:
Bs =
Se indichiamo con B l’area effettiva della sezione e con Af l’armatura effettiva presente si possono avere i seguenti casi:
N
Af =
σb ·112
8
·Bs
1000
La verifica statica è soddisfatta se: 1) B ≥ Bs
B ≥ Bs Af ≥ Af
In tale caso, teoricamente si potrebbe assumere Af = Af . Se risulta: Nella realtà Af è di poco maggiore di Af
0,625Bs ≤ B < Bs
Occorre però controllare che risulti:
Af >
3 ·B 1000
Af > Af
Af ≥ Af +
(Bs–B) 15
la verifica statica è soddisfatta.
N = 280t
σbam = 85 Kg/cm2
Rck = 250
2) B < Bs ESEMPIO I In tal caso deve risultare:
8 φ 24 = 8 ·4,52 = 36,17cm
(Bs–B) 8 Af ≥ ·B + 1000 s 15
B = 65 ·70 = 4500cm2
Il valore minimo dell’area di conglomerato è condizionato dal fatto che la percentuale massima di armatura è pari al 6%. Deve quindi risultare:
8 1000
·Bs+
Bs 15
–
Bmin 15
=
6 100
1120 1000 ·15
= Bmin·
190
280.000 0,7 ·85 ·1,12
Armatura: Poiché B > Bs
Af > Af la verifica è soddisfatta. N = 200t
100 ·15
si ha:
1120 1900
≅ 0,589·Bs
Bs =
σbam = 97,5 Kg/cm2
Rck = 300
B = 50 · 50 = 250 cm2
Bmin = Bs ·
= 4201 cm2
Af = 0,008 · 4201 = 33,61 cm2
·Bmin
e quindi:
Bs·
Bs =
Af = 8 φ 22 = 30,39 cm2
200.000 0,7 ·97,5 ·1,12
= 2612 cm2
È comunque bene che risulti:
Bmin ≥ 1,06 ·0,589 ·Bs ≅ 0,625Bs In tal caso l’armatura della sezione risulta:
Af =
D 86
6 100
0,625 · Bs = 0,0375 · B
B < Bs
Amin = Af +
Bs–B 15
= 20,928 +
ESEMPIO II Risulta: Poiché Af > Amin la verifica statica è soddisfatta.
116 15
= 28,66
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – PILASTRI
D.5. 6. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
PROPORZIONAMENTO In tal caso sono dati N e Rck conseguentemente è noto il valore di σbam e quindi σb = 0,7σbam
Vediamo qui di seguito alcune soluzioni possibili.
d= a) sezione rettangolare
Si determina quindi Bs e Af e si proporzionano sia la sezione sia le armature.
B = 60 · 50 = 3000 cm2 = Bs Af = 8 · 3,14 = 25,12 > As
Poniamo:
N = 200t
Rck = 250 Kg/cm2
σbam = 85 Kg/cm2 b) sezione circolare D = 60 cm
Bs =
200.000 0,7·σbam ·1,12
As =
8 1000
= 3001 cm2
Amin = Af + · 3001 = 24 cm2
3000 –2827 15
Si disporranno 8 φ 24. ESEMPIO III Sezione circolare D = 65 cm
B=
Poiché B è minore di Bs l’armatura deve essere:
π·662 = 3318 cm2 4
Poiché B > Bs l’armatura minima da disporre è:
Af = 24 cm2
= 35,66 cm2
Ponendo otto ferri di diametro uguale si ha:
4·35,66 = 2,38 cm 3,141·8
Si possono pertanto disporre 8 φ 20
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE
URB
ARMATURE LONGITUDINALI Come riportato nei punti precedenti le norme tecniche prescrivono per le barre costituenti l’armatura longitudinale dei pilastri il diametro minimo φ 12 ridotto per elementi prefabbricati in stabilimento al φ 10. Dette barre devono essere poste agli angoli della sezione del pilastro. Ulteriori armature longitudinali saranno poste, se necessario, lungo i lati della sezione a interassi massimi di 25÷30 cm. Per sollecitazioni di pressoflessione deviata è bene disporre più barre in prossimità dei vertici della sezione.
Le armature devono avere sempre disposizioni simmetriche al fine di evitare pericolosi errori di montaggio. Le giunzioni delle armature avvengono per sovrapposizione o con manicotto filettato. Particolare attenzione si deve osservare nelle rastremazioni di sezione tra i piani del fabbricato. In tali casi è buona norma disporre le armature come indicato nella Fig. D.5.6./1. Qualora si preferisca la disposizione indicata nella Fig. D.5.6./2 si dovrà procedere al calcolo della sezione della staffatura di rinforzo posta a estradosso del solaio.
FIG. D.5.6./1 PARTICOLARE DELLE ARMATURE IN CORRISPONDENZA DI UNA RIDUZIONE DELLA SEZIONE DEL PILASTRO – SOLUZIONE CON BARRE PIEGATE
FIG. D.5.6./2 PARTICOLARE DELLE ARMATURE IN CORRISPONDENZA DI UNA RIDUZIONE DELLA SEZIONE DEL PILASTRO – SOLUZIONE CON BARRE PIEGATE
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
ARMATURA PILASTRO SUPERIORE
ARMATURA PILASTRO SUPERIORE STAFFE
STAFFE L
ARMATURA D'ATTESA
SOLAIO
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
Solaio
L
STAFFE
ARMATURA PILASTRO INFERIORE
STAFFE ARMATURA PILASTRO INFERIORE
TO – 6. D.5. TO ARMA N CEME RI T PILAS
D 87
D.5. 6.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO – PILASTRI
•
STRUTTURE
➦ DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE ARMATURE TRASVERSALI – STAFFE Le staffe devono essere convenientemente chiuse al fine di contrastare con efficacia gli spostamenti verso l’esterno delle armature longitudinali. A tal fine è bene porre a completamento delle staffe, dei ganci di chiusura da ripiegare verso l’interno aventi lunghezza perlomeno pari a 10 diametri. Il diametro delle staffe deve essere perlomeno f 6 mm. Solo per prefabbricazione in stabilimento il limite può scendere a 5 mm sempre con il limite di 1/4 del diametro dell’armatura longitudinale. In Fig. D.5.6./3 si riportano alcuni esempi di staffature. Il passo delle staffe non deve essere maggiore a 15 volte il diametro minimo delle barre longitudinali e comunque non oltre 25 cm. È buona norma infittire adeguatamente il numero delle staffe in corrispondenza delle piegature delle armature longitudinali e in prossimità dei nodi strutturali travi-pilastri particolarmente sollecitati.
FIG. D.5.6./3 ESEMPI DI DISPOSIZIONE E SAGOMA DELLE STAFFE
STAFFA A ELICA
GIUNZIONI PILASTRO-PILASTRO E TRAVE-PILASTRO DI ELEMENTI PREFABBRICATI Le giunzioni di elementi prefabbricati devono consentire la piombatura degli elementi in fase di montaggio e la successiva realizzazione della continuità strutturale mediante getti di conglomerato e di inghisaggio al piede. Sono stati sviluppati diversi sistemi di collegamento tra elementi prefabbricati secondo le necessità specifiche del caso e la capacità tecnica del prefabbricatore. Si riportano alcuni esempi al solo fine illustrativo senza, con essi, esaminare in modo compiuto il problema.
FIG. D.5.6./5 GIUNZIONE ELEMENTI PREFABBRICATI – SISTEMA K
GETTO IN OPERA VIBRATO
FIG. D.5.6./4 GIUNZIONE ELEMENTI PREFABBRICATI – ASSONOMETRIA
TASCHE PILASTRO INFERIORE
FERRI SPORGENTI PILASTRO SUPERIORE
TUBO DI POSIZIONAMENTO E DI LIVELLO φ 60
TUBO DI POSIZIONAMENTO
FIG. D.5.6./6 GIUNZIONE ELEMENTI PREFABBRICATI – SEZIONE
FORO DI ALLOGGIAMENTO TUBO DI POSIZIONAMENTO
TUBO DI POSIZIONAMENTO
ARMATURA DISPOSTA IN OPERA
ARMATURA DISPOSTA IN OPERA
ELEMENTI PER IL POSIZIONAMENTO FORI PER INSERIMENTO DELLE BARRE DEL PILASTRO SUPERIORE
TRAVE PREFABBRICATA
STAFFE
FORO PER L'INSERIMENTO DELLE BARRE DEL PILASTRO SUPERIORE
D 88
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – PILASTRI
A.ZIONI
MENSOLE SU PILASTRI Sono frequenti nei pilastri per consentire l’appoggio di altri elementi strutturali (travi, carri-ponte ecc.) Esse vengono di norma distinte in mensole “corte” quando il rapporto a/h è composto tra 0.5 e 1 e “molto corte”, nel caso di a/h compreso tra 0.2 e 0.5. Per le mensole corte non è applicabile la teoria delle travi, in quanto sono elementi aventi dimensioni (altezza e lunghezza) compatibili. Pertanto si applicano modelli di calcoli diversi derivati da modelli sperimentali.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
MENSOLE CORTE
B.STAZIONI DILEGIZLII
Il dimensionamento delle mensole corte viene effettuato schematizzandone il comportamento a traliccio. Si possono verificare due casi: A) carico applicato dall’alto; B) carico appeso.
In tal caso si ha: • sforzo T nel tirante:
T=
I ED PRE NISM ORGA
FIG. D.5.6./8 MENSOLE TOZZE – POSIZIONAMENTO E DIMENSIONAMENTO DEGLI ELEMENTI TESI E COMPRESSI
A) CARICO APPLICATO DALL’ALTO (FIG. D.5.6./8)
FIG. D.5.6./7 ELEMENTI GEOMETRICI PER L’INDIVIDUAZIONE DEL TIPO DI MENSOLA
P·a +H (1+ δd 0,8d ) 0,8 ·d
• sforzo N nel puntone:
a
N=
P TIRANTE A
in cui
≥0.5h
E.NTROLLO
x
Z=0.8 d
d
1,8 ·d·a x= 1,6·d+a
h
CO NTALE AMBIE
h
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
O
Non è necessario effettuare le verifiche al taglio in quanto la forza di taglio è equilibrata dalla reazione del puntone. Si danno i seguenti dettagli di armatura (Fig. D.5.6./9). Nel disporre le armature si deve rivolgere particolare accortezza affinché il dispositivo di appoggio sia posizionato prima dell’inizio delle piegature delle barre superiori (vedi dettaglio A).
PUNTONE 0.2 d
G.ANISTICA URB
FIG. D.5.6./9 MENSOLE TOZZE – POSIZIONAMENTO E DIMENSIONAMENTO DEGLI ELEMENTI TESI E COMPRESSI
P/H<1 10
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
≥1 φ H
SEZIONI: SOLUZIONE - A -
φ DETTAGLIO "A"
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
SOLUZIONE - B -
2r
POS.1
H
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
δd
H
P·a δd +H x x
C.RCIZIO
D.GETTAZIONE
a
P
P
D.5. 6.
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
POS.1
DETTAGLIO " A " P
POS 2
H
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
POS.2
LINEA DI FRATTURA
PARETE
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
" DISPOSIZIONE ERRATA "
≥C ≥2 φ PIANTE:
POS. 1
POS. 2
≥r+3 φ
C φ
STAFFE
SOLUZIONE - B -
SOLUZIONE - A POS. 2
POS.1
≥3 φ
POS.1
φ
POS. 2
r
POSIZIONE DELL'APPARECCHIO D'APPOGGIO LA POS. 1 È REALIZZATA SU PIÙ STRATI SE LO SFORZO DI TRAZIONE È ELEVATO
➥
TO – 6. D.5. TO ARMA N CEME RI T PILAS
D 89
D.5. 6.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO – PILASTRI
•
STRUTTURE
➦ MENSOLE SU PILASTRI ➦ MENSOLE CORTE B) CARICO APPESO Qualora il carico sia appeso all’intradosso della mensola o applicato lungo l’altezza delle mensole stesse, si verifica un diverso funzionamento tirante-puntone come mostrato dalla Fig. D.5.6./10.
FIG. D.5.6./11 MENSOLE CORTE – DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE CON CARICHI APPLICATI LUNGO L’ALTEZZA DELLA MENSOLA O APPLICATI ALL’INTRADOSSO
In tal caso si verificano, a favore di sicurezza, entrambi gli schemi di funzionamento attribuendo a ognuno il 60% della forza agente. Le forze agenti nel secondo schema di funzionamento sono:
DISPOSIZIONE - A ARMATURA TIRANTE PRIMO MECCANISMO LUNGHEZZA DI ANCORAGGIO
N = P·a 0,8·d azione nel tirante inclinato.
T=
N 2+(0,6 ·P)2
ARMATURA DI SOSPENSIONE
In tal caso uno schema tipo di armatura è indicato nella Fig. D.5.6./11. FIG. D.5.6./10 MENSOLE CORTE – POSIZIONAMENTO DEGLI ELEMENTI TESI E COMPRESSI IN CASO DI CARICO APPLICATO ALL’INTRADOSSO DELLA MENSOLA
TIRANTE ORIZZONTALE
ARMATURA TIRANTE SECONDO MECCANISMO
TIRANTE OBLIQUO
DISPOSIZIONE A ARMATURA TIRANTE PRIMO MECCANISMO
d
PUNTONE
0.8d
h ARMATURA TIRANTE SECONDO MECCANISMO
a
ARMATURA DI SOSPENSIONE
P
MENSOLE MOLTO TOZZE Nel caso di mensole molto corte il modello di funzionamento è dato da due meccanismi tirante-puntone disposti nell’altezza della mensola per uno sviluppo pari a 2 volte la larghezza della mensola stessa (vedi Fig. D.5.6./12).
FIG. D.5.6./12 MENSOLE MOLTO CORTE – DOPPIO MECCANISMO TIRANTEPUNTONE
Entrambi i meccanismi devono assolvere all’intero sforzo P: il meccanismo inferiore sarà operante nel I stadio (sezione omogenea non fessurata), il meccanismo superiore sarà operante nel II stadio ovvero con la sezione fessurata. TIRANTE SUPERIORE
È buona norma disporre una ulteriore armatura pari al 40% di quella di ciascun tirante nella zona sottostante a questo.
1.6a
a P
2a h>2a 1.6a
TIRANTE INFERIORE
D 90
PUNTONE
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – SCALE
D.5. 7. A.ZIONI
Dal punto di vista funzionale, le scale costituiscono l’elemento architettonico di collegamento tra i livelli o piani dell’edificio. Le problematiche architettoniche attinenti le scale sono molteplici sia nei confronti della funzionalità d’insieme, sia nei confronti del giusto proposizionamento degli
elementi architettonici costituenti le scale (pianerottoli, rampe, alzate, pedate ecc.) anche in riferimento alle prescrizioni normative di sicurezza e di abbattimento delle barriere architettoniche. In questo capitolo, rinviando ad altri punti per l’esame degli aspetti prettamente architettonici e funzionali, si
esaminerà l’aspetto costruttivo e statico dell’elemento strutturale “scale”, ovvero le metodiche di realizzazione con gradini “portanti” o “portati” anche in relazione a una parziale prefabbricazione degli stessi, nonché delle problematiche statiche degli elementi strutturali (travi e setti) portanti la scala.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
SCALE CON GRADINI PORTANTI In questo caso i gradini sono elementi strutturali atti a sostegno dei pesi propri del sovraccarico permanente e del sovraccarico accidentale. Frequentemente i gradini lavorano a mensole vincolati a una trave avente andamento parallelo alla rampa disposta a lato della stessa, detta trave a ginocchio. Non è raro però che i gradini meno vincolati a setti o pilastri realizzano il vincolo di cerniera o incastro su una o entrambe le estremità. In tal casi il dimensionamento dei gradini avviene secondo gli usuali procedimenti illustrati per solai, travi, pilastri.
ANALISI DEI CARICHI Si osserva che nelle scale risulta particolarmente gravoso il carico dovuto alle finiture specie se in pietra da taglio, per la presenza di grado e sottogrado, ovvero di rivestimenti verticali e orizzontali. Normalmente di realizzano sovraccarichi permanenti nell’ordine di 250 ÷ 300 Kg/mq. I sovraccarichi accidentali sono stabiliti dalle norme tecniche nella misura di 400 ÷ 500 Kg/mq.
INDIVIDUAZIONE DEL MODELLO DI CALCOLO
D.GETTAZIONE
CALCOLO DELLE ARMATURE Il calcolo della armature riferito alla rampa nel suo insieme conseguenziale di gradini collegati da una soletta inferiore mostra che l’asse neutro della flessione ha inclinazione coincidente a quella della rampa. Per questo motivo è possibile effettuare la verifica a flessione in modo semplificato considerando una sezione reagente per ogni gradino pari alla larghezza di soletta di pertinenza e altezza h misurata ortogonalmente a essa. Qualora lo schema statico comporti sforzi di compressione nello spigolo del gradino occorrerà considerare una larghezza ridotta pari a b/3 o b/4. Normalmente le verifiche a taglio vengono omesse. La disposizione dell’armatura nella scala nel caso di gradini a mensola viene effettuata come rappresentata in Fig. D.5.7./1. Per una rampa con gradini incastrati su ambo le estremità la disposizione delle armature è rappresentata in Fig. D.5.7./2. FIG: D.5.7./1 SCALA CON GRADINI A SCALZO – DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE
POS.1
A
A)
A seconda delle situazioni di potrà verificare lo schema statico a mensola ovvero a trave incastrata o appoggiata alle estremità. La valutazione dello schema statico è, come sempre, affidata alla sensibilità del progettista. Si osserva che il vincolo più frequente è dato dall’incastro perfetto anche per motivi di carattere geometrico e funzionale legati alla contenuta larghezza della rampa rispetto all’altezza dei gradini.
POS.2
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
ARMATURA DI RIPARTIZIONE
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
A POS.1
In dipendenza dello schema statico di cui si tratta si otterranno i valori delle caratteristiche di sollecitazioni nelle sezioni maggiormente sollecitate. Detti valori sono indicati nel riquadro.
E.NTROLLO
POS. 3
POS.1 OPPURE POS. 4
DETERMINAZIONE DELLE SOLLECITAZIONI
PRO TTURALE STRU
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
POS. 2
MENSOLE
Mmax =
pl 2
DISPOSIZIONE 1
momento max dell’incastro
2
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
taglio max all’incastro
T = pl
POS. 1
D.5. TURE T STRU
POS. 4
E ZION D.6. DI FONDA E R E P O
TRAVE INCASTRATA
DISPOSIZIONE 2
Mv = Mc =
pl÷
momento all’incastro
12 pl÷ 24 pl
T=
2
momento in campata
B)
SEZIONE A - A POS. 2
POS. 1 TRAVE APPOGGIATA
Mv = T=
pl2 8 pl 2
POS. 3
taglio all’incastro
min. 2 cm
POS. 1 OPPURE POS. 4
POS. 3
TO – 6. D.5. TO ARMA N CEME RI T PILAS
momento max (campata) taglio all’appoggio ➥
TO – 7. D.5. TO ARMA N CEME SCALE
D 91
D.5. 7.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO – SCALE
•
STRUTTURE
➦ SCALE CON GRADINI PORTANTI ➦ CALCOLO DELLE ARMATURE FIG. D.5.7./2 SCALA CON GRADINI PORTANTI VINCOLATI ALLE ESTREMITÀ – DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE
POS.1
POS.2
Sono travi disposte a lato della rampa con medesimo andamento aventi la funzione statica di sostenere i gradini disposti a sbalzo rispetto a essa. Essendo sollecitata a torsione è consigliabile in fase di predimensionamento, evitare sezioni strette e luci eccessivamente lunghe. I pianerottoli, qualora di rigidezza sufficiente come nella generalità dei casi, costituiscono un vincolo a torsione per le travi a ginocchio che risulta sollecitata a torsione solo nel tratto di rampa compreso fra i pianerottoli di sbarco. Lo schema statico che più si avvicina al comportamento delle strutture è quello a telaio spaziale o, in seconda analisi, a telaio piano. Volendo però, ricorrere a schemi statici semplificati di più agevole valutazione è possibile stralciare dalla struttura telai ridotti a un solo interpiano (vedi Figg. D.5.7./3 e D.5.7./4). Dal calcolo delle caratteristiche di sollecitazioni N, Mf, T valutate con schemi statici “a telaio” e dal calcolo della sollecitazione di torsione Mt ne deriva la verifica dello stato tensionale dei materiali condotta sulla base delle armature disposte. Nelle Figg. D.5.7./5, D.5.7./6 e D.5.7./7 sono riportati alcuni esempi sulle più consuete disposizioni di armature.
POS.3
A
POS.4
A
TRAVI A GINOCCHIO
POS. 1
FIG. D.5.7./4 TRAVE A GINOCCHIO CONNESSA CON TRAVE DI PIANO – SCHEMA DI CALCOLO
POS. 2
SEZIONE A - A
ih 2/ih
POS. 1 POS. 3
POS. 3
6 -
8 2/ih 2/ih
S.
PO
ih
POS. 2 4
FIG. D.5.7./3 TRAVI A GINOCCHIO – SCHEMI DI CALCOLO
FIG. D.5.7./5 TRAVI A GINOCCHIO – DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE
1
A 3
8
5 4
1
2
A
7
6
5 6
3
2
4
A)
SEZIONE A-A
7
1
6
B)
D 92
8 8 4
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – SCALE
D.5. 7. A.ZIONI
FIG. D.5.7./6 TRAVE A GINOCCHIO CONNESSA ALLA TRAVE DI PIANO INFERIORE – DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE 1
3
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.7./7 TRAVE A GINOCCHIO CONNESSA ALLA TRAVE DI PIANO SUPERIORE – DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE
B.STAZIONI DILEGIZLII
8
6
5
4 2
4
3
7
8
1
I ED PRE NISM ORGA 2
5
C.RCIZIO
7
E ESE ESSIONAL PROF
6
1
D.GETTAZIONE
8
5
PRO TTURALE STRU
7 6
3
E.NTROLLO
2
CO NTALE AMBIE
4
4 2
6
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
3 5
7 8
G.ANISTICA
1
URB
SCALE CON GRADINI PORTATI In tal caso la funzione statica è assolta dalla soletta avente spessore maggiore rispetto al caso precedente e i gradini non avendo alcun funzionamento statico possono essere realizzati anche con materiali diversi dal c.a. come laterizio, legno elementi pre-
fabbricati ecc. Nelle seguenti Figg. D.5.7./8, D.5.7./9, D.5.7./10 si riportano alcune tipologie costruttive e i corrispondenti schemi statici. Si riportano alcuni esempi di disposizione armature sia per rampe (Fig. D.5.7./11) che per pianerottoli (Fig. D.5.7./12).
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
FIG. D.5.7./8 SCALA A SOLETTA PORTANTE CON PARETI ALLE ESTREMITÀ – DIAGRAMMI DEI CARICHI E SCHEMA DI CALCOLO
FIG. D.5.7./9 SCALA A SOLETTA PORTANTE VINCOLATA AI PIANEROTTOLI – DIAGRAMMI DEI CARICHI E SCHEMI DI CALCOLO
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
A
A
A
A
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
TRAVE A SPESSORE
SEZIONE A - A
B
SEZIONE A - A
D.5. TURE T STRU
S
S
E ZION D.6. DI FONDA E R E P O
TRAVE A SPESSORE
SOLETTA RAMPANTE SCHEMA DI CALCOLO
SHEMA DI CALCOLO
1S
1S
P
P
SEZIONE B - B
J1
P1
J J1
TRAVE A SPESSORE SCHEMI DI CALCOLO IN RELAZIONE ALLE CARATTERISTICHE DEI VINCOLI
P1
TO – 7. D.5. TO ARMA N CEME SCALE
D 93
D.5. 7.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE CEMENTO ARMATO – SCALE
•
STRUTTURE
➦ SCALE CON GRADINI PORTATI FIG. D.5.7./10 SCALA CON RAMPE PREFABBRICATE APPOGGIATE AI PIANEROTTOLI – DIAGRAMMI DEI CARICHI E PARTICOLARE DELL’APPOGGIO
FIG. D.5.7./11 DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE IN PIANEROTTOLI GETTATI IN OPERA
260 A
ARM. RAMPA INFERIORE
A
ARM. RAMPA vd.fig. 6.3.4 3+3 φ 14
6 φ 8 sup 6 φ 8 inf
SEZIONE A - A 3+3 φ12
PART. - A -
120
25 SCHEMA DI CALCOLO 20
20
120
25
3+3 φ14 3+3 φ12 305
20
20 20
305
P PART. - A -
FIG. D.5.7./12 RAMPA E PIANEROTTOLI REALIZZATI IN OPERA – DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE
140
20
240
132
30
30
3 φ14 17
3 φ12
20
6 φ6 a gradino 120
40
12
24 153
8
8
25
12
25 6+6 φ8 20
155 170
20
6φ 6φ 14 35 0
3 φ14
3 φ12
8 25
20
35
0
6+6 φ8
30
160 30
115 25 25
D 94
20 20
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – FONDAZIONI
D.5. 8. A.ZIONI
FONDAZIONI – GENERALITÀ Le fondazioni sono gli elementi strutturali che trasferiscono i carichi delle strutture verticali (pilastri, pareti) al terreno di fondazione operandone al tempo stesso una diffusione tale da rendere compatibili le sollecitazioni impresse alle caratteristiche di resistenza del suolo, sia nei confronti della portanza, che della deformazione istantanea e differita. Le fondazioni si diversificano in: • dirette; • indirette.
FONDAZIONI INDIRETTE: quando giungono a strati profondi in quanto quelli superficiali non forniscono sufficienti garanzie (pozzi, pali). La scelta del tipo di fondazione è effettuata in base a considerazioni tecniche sulle caratteristiche del suolo, nonché sulla entità e distribuzione dei carichi.
Rimandando al capitolo specifico per quanto attiene le indagini geognostiche e le caratterizzazioni geotecniche dei terreni, si affronteranno nei punti successivi, gli aspetti statici e progettuali delle problematiche relative alle strutture di fondazione.
FONDAZIONI DIRETTE: quando operano direttamente su strati superficiali di caratteristiche sufficienti (plinti, solette, travi rovesce).
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
FONDAZIONI DIRETTE
URB
PLINTI ISOLATI
I plinti sono elementi strutturali di forma generalmente quadrata o rettangolare disposti al piede del pilastro in modo tale da diffonderne adeguatamente il carico sul terreno di fondazione.
FIG. D.5.8./1 AZIONI AGENTI SUL PLINTO E DIAGRAMMA TEORICO DELLE PRESSIONI DI CONTATTO
Y
L’altezza del plinto è determinata principalmente dall’entità del carico. Le fondazioni a plinti isolati si adottano quando il terreno di fondazione presenta buone caratteristiche di potenza e ridotti cedimenti differenziali e i carichi in fondazione non sono tanto elevati da dare luogo a plinti di eccessive dimensioni.
N ty
mx
A=a·b
X tx
my
h
Wy = modulo di resistenza rispetto all’asse y Quanto sopra vale finché tutta l’impronta della fondazione risulta compressa anche se in diversa misura.
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
Quando avviene che il centro di pressione cade fuori dal nocciolo centrale d’inerzia della sezione di contatto, la sezione reagente si riduce in quanto il terreno non fornisce reazioni a trazione.
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
Il campo di nocciolo è individuato dal terzo medio degli assi della sezione.
Nella pratica, si usa considerare il plinto come infinitamente rigido e il terreno con comportamento perfettamente elastico (suolo alla Winkler).
In tali condizioni, ipotizzando la presenza di una sola azione flettente, la risoluzione del problema fornisce la seguente relazione:
I plinti si suddividono in funzione della loro altezza in:
A
±
Wx
±
3·u·b
N = carico verticale M = momento agente
u=
La determinazione della pressione sul suolo si effettua come segue (vedi fig. D.5.8./1)
σt =
e=
My
Wy
M
a 2
–e
eccentricità
N
TO – 7. D.5. TO ARMA N CEME SCALE
b = dimensione del plinto nel senso del vettore
dove:
momento flettente
Mx = mx + ty · h
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
dove:
I primi risultano più rigidi e di costi contenuti per via della ridotta armatura i secondi minimizzano invece, gli sbancamenti.
Mx
D.5. TURE T STRU
2·N
σt =
σmax
• plinti bassi: quando l’altezza è inferiore all’aggetto.
N
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
Wx = modulo di resistenza rispetto all’asse x
La reale distribuzione delle tensioni indotte dal plinto al suolo di fondazione è assai complessa e dipende dall’entità del carico, dalla rigidezza del plinto dalle caratteristiche del terreno.
• plinti alti: quando l’altezza è maggiore dell’aggetto rispetto al pilastro;
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
My = my + tx · h
σmin
a = dimensione del plinto nel senso dove si esplica la flessione
➥
TO – 8. D.5. TO ARMA N CEME AZIONI FOND
D 95
D.5. 8.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – FONDAZIONI ➦ FONDAZIONI DIRETTE ➦ PLINTI ISOLATI PLINTI BASSI – ARMATURA Il calcolo delle armature nel caso di plinti bassi, viene effettuato come segue:
Mmax =
N·L 12
plinti quadrati
Mb max =
Na 8
plinti rettangolari (con a>b)
Ma max =
Nb 8
plinti rettangolari (con a>b)
L’area dell’armatura così determinata individua il quantitativo da porre nella fascia centrale del plinto, inferiormente per una larghezza approssimativa pari a: a + 2 h dove a è il lato del pilastro. Le fasce laterali vengono armate con lo stesso quantitativo di armatura distribuito nelle due fasce. L’armatura superiore fuori calcolo, viene a essere paria al 50% circa dell’armatura inferiore. L’operazione di calcolo deve essere effettuata secondo entrambi gli assi del plinto, in modo da determinare una armatura reticolare. È buona norma non utilizzare diametri inferiori al φ 12 mm. Generalmente non si effettuano verifiche sullo stato tensionale del conglomerato per quanto riguarda le tensioni normali. Verifica al punzonamento
τ=
Rispetto a tali valori di M viene dimensionata l’armatura inferiore con la formula:
Aa =
N–σt (a+h)·(b+h) 2H (a +h)+(b+h)
dove a e b sono i lati del pilastro. Per valori compresi tra τco e τc1 occorre disporre idonea armatura sagomata e determinata come segue:
M 0,9·σa·d
dove:
d = h – 5cm = altezza utile
Aa =
σa = tensione nell’acciaio (di norma non si supera il valore di 2000 kg/cm2).
N–σt (a+h)·(b+h) con σa ≤ 2000 kg/cm2 1,41·σa
PLINTI ALTI – ARMATURA I plinti alti sono elementi “tozzi” per i quali non è applicabile la teoria delle travi. Per questo motivo si adottano modelli di calcolo “a traliccio” che scompongono l’elemento strutturale in bielle compresse di conglomerato e barre tese di armatura. Per plinti a base quadrata o rettangolare, soggetti a carico centrato, si suddivide quest’ultima in 4 parti cui si attribuisce una forza verticale pari a un quarto del carico agente applicandola sul baricentro dell’area di pertinenza (Fig. D.5.8./2).
Sulla base di ciò si ha:
Tx =
FIG. D.5.8./2 PLINTI ALTI DI FORMA PRESSOCHÉ QUADRATA – SCHEMA DI CALCOLO
Y
N·( A – a ) N (A– a) 3 3 = 4 ·d 12·d
Ty =
N·(B–b) 12 ·d
trazione in direzione x
trazione in direzione y
Da quanto sopra derivano i seguenti quantitativi di armatura da disporre nelle due direzioni x e y :
A A/3
A/3
Ax =
Tx σa
Ay =
Ty σa
Se il plinto ha base rettangolare allungata con analogo procedimento si ottiene:
B/3 b
B X
B/3
a
Tx =
N·( A – a )Tx N·(A–a) 4 4 = 2 ·d 8·d
e quindi:
A/3 Ax
Tx σa
armatura da disporre
a/3
C
H
h
Tx
c N/4
D 96
In tal caso l’armatura da disporre in direzione y non sarà inferiore al 25÷30% dell’armatura portante sopra determinata. Nei plinti alti l’armatura inferiore di calcolo viene disposta a passo costante senza alcun infittimento nell’area sottostante il pilastro. Normalmente non si adottano diametri inferiori a 12 mm e l’armatura superiore è dimensionata in misura del 40÷50% dell’armatura inferiore così come è buona norma disporre uno o più correnti sui fianchi. Il passo dell’armatura superiore può essere maggiore di quello dell’armatura inferiore purché non superi i 35 cm di interasse. Normalmente la verifica al punzonamento del pilastro risulta soddisfatta pur essendo sempre buona norma effettuare il controllo con il procedimento indicato per i pilastri bassi.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – FONDAZIONI
D.5. 8. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TRAVI ROVESCE Qualora si realizzano allineamenti strutturali individuati da pilastri ubicati a interassi non superiori a 6,00÷7,00 ml e il terreno di fondazione presenti caratteristiche geotecniche soddisfacenti, il problema fondale può essere risolto mediante travi rovesce. Esse trovano valida applicazione quando il terreno di fondazione non presenta elevate capacità portanti e servono, quindi, elementi fondali molto rigidi capaci di caricare in modo pressoché uniforme lunghe stese di suolo. La rigidezza delle travi di fondazione dipende dal rapporto tra l’altezza della trave e la sua luce, ovvero l’interasse pilastri. Per rapporti h/L ≥ 1/6 le travi di fondazione possono essere considerate infinitamente rigide.
La costante di sottofondo di Winkler fornisce il valore della pressione sul terreno tale da determinare la deformazione di un centimetro:
La risoluzione pratica dei modelli sopra riportati è effettuata con calcolo automatico. Vale indicare i valori più frequentemente usati per la costante elastica di Winkler (k).
σt = K · εt
COSTANTI DI SOTTOFONDO >15
Kg/cm3
Sabbia compatta
15÷7.5
Kg/cm3
Sabbia mediamente compatta
7.5÷3
Kg/cm3
Sabbia mediamente sciolta
3÷1.25
Kg/cm3
Sabbia molto compatta
Sabbia sciolta
La risoluzione del problema statico può essere effettuata con diversi modelli di calcolo:
Sabbia molto sciolta
1) telaio piano o spaziale su appoggi elastici; 2) trave su suolo elastico alla Winkler; 3) trave continua su appoggi fissi.
dove ε è l’abbassamento del terreno sottoposto alla pressione εt . La risoluzione del modello di calcolo fornisce i valori delle caratteristiche di sollecitazione rispetto ai quali si devono effettuare le verifiche dello stato tensionale del conglomerato e il dimensionamento delle armature. Tutto ciò come per gli elementi strutturali di elevazione, usando, però le seguenti accortezze: 1) le tensioni delle armature è bene non superino i 2000 Kg/cm2 al fine di limitare le fessurazioni del conglomerato; 2) le zone di trazione e compressione sono invertite rispetto alle travi degli orizzontamenti per la opposta direzione dei carichi agenti.
1.25÷0.4 Kg/cm3 <0.4
Kg/cm3
10÷30
Kg/cm3
Terreno coerente normalconsolidato
1÷5
Kg/cm3
Terreno coerente sovraconsolidato
15÷25
Kg/cm3
Sabbia e ghiaia compatta
PLATEE Le platee sono costituite da una unica soletta generalmente di spessore costante a meno che non siano presenti forti disomogeneità di carico, posta a fondazioni di tutto il sistema strutturale. Vengono usati quando il terreno non presenta buone caratteristiche di portanza con elevata deformabilità cosicché è necessario minimizzare il valore della pressione indotta sul suolo di fondazione. In passato venivano realizzate con nervature di irrigidimento estradossate fra i pilastri ma l’elevata incidenza di mano d’opera ha portato a realizzare eventuali irrigidimenti all’intradosso della soletta con semplici operazioni di sbancamento a sezione obbligata (Fig. D.5.8./3-4-5). Per il calcolo si considera la platea come una soletta su appoggi fissi (pilastri) soggetta a un carico uniformemente distribuito corrispondente alla reazione del terreno per i soli carichi indotti dai pilastri. La platea viene suddivisa in strisce longitudinali e trasversali da calcolare con lo schema di trave continua, aventi larghezza pari all’interasse dei pilastri (Fig. D.5.8./6-7).Le armature così calcolate vengono poste al 60¸80% nella fascia mediana della trave considerata lasciando le armature restanti alle fasce laterali. Si viene così a definire una armatura a rete sia inferiormente che superiormente a maglie rade nelle specchiature tra i pilastri e fitte in corrispondenza degli allineamenti strutturali (Fig. D.5.8./8). Analogamente per le platee nervate aggiungendo, però, la verifica a piastra della soletta delimitata dalle nervature (Fig. D.5.8./9) Si deve sempre verificare il funzionamento del pilastro con i criteri indicati al precedente D.5.6.
PIANTA
A
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
FIG. D.5.8./4 PLATEA NERVATA CON SOLETTA INFERIORE
FIG. D.5.8./3 PLATEA PRIVA DI ALLEGGERIMENTO
B.STAZIONI DILEGIZLII
URB
A
PIANTA
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
SEZIONE A - A
A
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
A
SEZIONE A - A
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
FIG. D.5.8./5 PLATEA PRIVA DI ALLEGGERIMENTO MAGGIORAZIONE DELLO SPESSORE IN CORRISPONDENZA DEI PILASTRI
FIG. D.5.8/6 PLATEA PRIVA DI ALLEGGERIMENTO – METODOLOGIA DI CALCOLO DEL TIPO A “FUNGO”
Y sy Ly
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
Px
Ly
FIG. D.5.8./7 PLATEA PRIVA DI ALLEGGERIMENTO IPOTESI DI DISTRIBUZIONE UNIFORME DELLE TENSIONI DI CONTATTO
Ly sy sx
Lx
Lx
Lx
Lx
sx
X
Py CAMPO DI APPLICAZIONE: 0.75 ² Lx/Ly ² 1.33 CARICHI DA CONSIDERARE: Px= pLx Py= pLy ➥
TO – 8. D.5. TO ARMA N CEME AZIONI FOND
D 97
D.5. 8.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – FONDAZIONI ➦ FONDAZIONI DIRETTE ➦ PLATEE FIG. D.5.8./8 PLATEA PRIVA DI ALLEGGERIMENTO – DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE
A L/4 L/4
L/2 L
S1/2 S1/2 L/4 L/2
L/4 L/4
L/2
L/4 L/4
FIG. D.5.8./9 PLATEA NERVATA CON DOPPIA SOLETTA – DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE
PIANTA TRAVI
A
PIANTA
L
S1
L1
L/4 L/4 L/2
L2
L/4 L/4 L/2 L/4 S1/2 S1/2 A)
L1
S1
TRAVI
ALLINEAMENTI PILASTRI
A
A
ARMATURA TRAVE
SEZIONE A - A
ARMATURA TRAVE
SEZIONE A - A
ARMATURA TRAVE
B) MAGRONE
"CAVALLOTTO"
MAGRONE
ARMATURA SUPERIORE ARMATURA INFERIORE
ARMATURA TRAVE ARMATURA SUP. SOLETTA
ARMATURA TRAVE
ARMATURA TRAVE
ARMATURA SUP. SOLETTA
B) ARMATURA INF. SOLETTA
ARMATURA INF. SOLETTA
ARMATURA INF. SOLETTA
GRIGLIATI DI TRAVI ROVESCE Quando le caratteristiche del terreno di fondazione sono scadenti con valori di portanza ammissibili dell’ordine di 0,7÷0,8 Kg/cm2 e la struttura ha allineamenti strutturali ben precisi secondo due direzioni ortogonali, in tal caso può essere valutata la possibilità di disporre travi rovesce incrociate secondo tali direzioni realizzando così, un grigliato di fondazione. Questo oltre a limitare fortemente le pressioni al suolo, ha la caratteristica di sopportare agevolmente anche momenti flettenti al piede del pilastro, comunque essi siano diretti.
D 98
Il calcolo del grigliato è assai complesso in quanto oltre all’interazione trave-suolo elastico già considerata per la fondazione a travi rovesce, per ogni allineamento occorre tener in conto la congruenza delle deformazioni per ogni zona di incrocio delle travi. Vale a dire che l’andamento delle pressioni al suolo deve essere tale da rendere uguali fra loro gli abbassamenti calcolati nelle due direzioni strutturali. Il problema è risolto con calcolo automatico e solo in prima approssimazione può essere risolto per tentativi scomponendo il grigliato in travi analizzate singolarmente.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – FONDAZIONI
A.ZIONI
FONDAZIONI INDIRETTE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
PALI TRIVELLATI Le fondazioni indirette scaricano i carichi strutturali su strati di terreno profondi aventi adeguate caratteristiche geo-meccaniche evitando di gravare sulle formazioni più superficiali che, essendo meno consolidate, possono risultare inaffidabili.Le fondazioni indirette sono costituite essenzialmente da pali anche se in passato si realizzavano fondazioni di tipo indiretto a pozzo.
Elemento di raccordo tra i pali di fondazione e i pilastri in elevazione è costituito dai plinti. Essi possono essere mono o pluri palo a seconda che comprendano uno o più pali afferenti a un pilastro. Nel caso di plinti monopalo la funzione strutturale dell’elemento di raccordo tra il sovrastante pilastro e palo è pressoché inesistente. Tuttavia è buona norma curarne la realizzazione per i seguenti motivi:
I pali sono differenziati a seconda del diametro in: • micropali: da f 150 mm a f 300 mm; • pali di medio diametro: da f 400 mm a f 800 mm; • pali di grande diametro: da f 1000 mm a f 1200 mm e oltre.
• rifinire la sommità del palo con scapitozzatura, asportando la parte più superficiale di conglomerato spesso alterata dai residui della trivellazione; • effettuare la verifica degli allineamenti con il corretto posizionamento della armatura di attesa dei pilastri;
Essi possono essere disposti sotto plinti mono o pluri-palo, travi rovesce e platee.L’uso più frequente è con plinti mono o pluri-palo.Per le modalità costruttive dei pali e per il calcolo delle relative portanze si rimanda al capitolo “Indagini geotecniche e opere di fondazione”. Per il predimensionamento del diametro del palo vale la considerazione che il conglomerato del fusto normalmente lavora a tassi compresi fra 30 ÷ 40 Kg/cm2 valutati a compressione semplice. La lunghezza del palo verrà calcolata successivamente in dipendenza delle caratteristiche geotecniche dei terreni interessati dal palo. A tal proposito si osserva che è buona norma distanziare i pali fra loro a non meno di 2,5 ÷ 3,0 diametri valutati tra asse e asse palo. Nei casi in cui ciò non sia possibile, la portanza del palo dovrà essere opportunamente ridotta per considerare l’effetto “palificata” dovuto alle interferenze tra i bulbi di pressione dei pali.
FIG. D.5.8./10 PLINTI A TRE PALI – DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE
Le dimensioni del plinto eccedono in pianta di almeno 15÷20 cm i pali di pertinenza con altezza minima di 60 cm. Il calcolo dei plinti pluripalo si effettua mediante schematizzazioni “a traliccio” oppure con schemi assimilabili a travi. Con procedimenti analoghi a quelli illustrati per i plinti diretti, si ottengono diversi schemi di armatura a seconda del numero a disposizione dei pali sotto il plinto. Si osserva che per il proporzionamento dei plinti è buona norma usare schemi semplificati, purché sicuramente prudenziali. È superfluo sottolineare la particolare importanza che hanno tali elementi strutturali in relazione al limitato costo di esecuzione. Seguono alcuni schemi di armature.
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
URB
PIANTA POS. 2 2¡ STRATO
B
POS. 3 1 STRATO
A
1/3
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
B)
A A)
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
A STAFFE POS.4
2/3
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
B
SEZIONE A-A ARMATURA D'ATTESA PILASTRO
STAFFE POS. 4
SEZIONE B - B
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
C)
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
SEZIONE A - A PILASTRO
C.RCIZIO
FIG. D.5.8./11 PLINTI DI TIPO ALTO A DUE PALI – DISPOSIZIONI DELLE ARMATURE
A)
ARMATURA TIRANTE
I ED PRE NISM ORGA
G.ANISTICA
A
ARMATURA SUPERIORE
B.STAZIONI DILEGIZLII
PRO TTURALE STRU
• collegare, ove necessario, la sommità dei pali con travi di fondazione.
POS.1
ARMATURA PERIMETRALE
D.5. 8.
ARMATURA SUPERIORE h ARMATURA TIRANTI
PALI
ARMATURA TIRANTI B)
POS.1
POS. 2 2¡ STRATO POS. 3 1¡ STRATO
STAFFE DEL TIPO APERTO POS.4 ➥
TO – 8. D.5. TO ARMA N CEME AZIONI FOND
D 99
D.5. 8.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO – FONDAZIONI ➦ FONDAZIONI INDIRETTE ➦ PALI TRIVELLATI FIG. D.5.8./12 PLINTI A TRE PALI CON INTERASSE MAGGIORE DI QUATTRO VOLTE IL LORO DIAMETRO – DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE
ARMATURA DI SOSPENSIONE
PIANTA
SEZIONE A - A
ARMATURA SECONDARIA 0.2 Aa
A
ARMATURA PERIMETRALE
ARMATURA DI SOSPENSIONE
ARMATURA SUPERIORE PILASTRO
ARMATURA SECONDARIA
h ARMATURA TIRANTE PRIN
PALI
ARMATURA DI SOSPENSIONE
ARMATURA TIRANTE PRINCIPALE ARMATURA SUPERIORE d4
ARMATURA SECONDARIA
>i
Aa = ARMATURA TIRANTE PRINCIPALE
ARMATURA TIRANTE PRINCIPALE
ARMATURA SUPERIORE A)
b)
A
FIG. D.5.8./14 PLINTI “ALTI” A QUATTRO PALI – DISPOSIZIONE DELL’ARMATURA SECONDO TIRANTI PRINCIPALI E SECONDARI
FIG. D.5.8./13 PLINTI A QUATTRO PALI CON INTERASSE TRA I PALI NOTEVOLE (>5D)
PIANTA
ARMATURA AGGIUNTIVA = 0.2 A
d/2+s
PIANTA
d/2+s i < 5d
ARMATURA TIRANTE PRINCIPALE
A)
A) ARMATURA TIRANTE PRINCIPALE = A
ARMATURA TIRANTE PRINCIPALE (INDISPENSABILE)
STAFFE DI SOSPENSIONE
ARMATURA TIRANTE SECONDARIO (FACOLTATIVA)
L
A
A ARMATURA AGGIUNTIVA = 0.2 A
A
A
L
d
ARMATURA PERIMETRALE
> 4d > 5d
ARMATURA AGGIUNTIVA
SEZIONE A - A
SEZIONE A - A
d
ARMATURA SUPERIORE
STAFFE DI SOSPENSIONE
ARMATURA PERIMETRALE
h
ARMATURA TIRANTE PRINCIPALE d B)
ARMATURA TIRANTE PRINCIPALE
ARMATURA AGGIUNTIVA > 4d
d
ARMATURE SUPERIORI ARMATURE INFERIORI TIRANTI PRINCIPALI E ARMATURE AGGIUNTIVE
D 100
ARMATURA TIRANTE PRINCIPALE ARMATURA ARMATURA TIRANTE TIRANTE PRINCIPALE SECONDARIO B) ARMATURA SUPERIORE ARMATURA TIRANTE SECONDARIO ARMATURA TIRANTE PRINCIPALE
ARMATURA DI SOSTEGNO
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO
A.ZIONI
IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA Come è noto il conglomerato è un materiale che può raggiungere valori di resistenza alla compressione anche molto elevati. La resistenza a trazione di un conglomerato è minore di quella a compressione: come ordine di grandezza è di circa un quindicesimo di quella a compressione. Nella normativa si prevede per la resistenza caratteristica a trazione il valore:
Rck = 150 kg/cm2
si ha:
ftk = 11,46 kg/cm2
si ha:
N
I
·y
y
dove A è l’area della sezione I il momento di inerzia rispetto all’asse x baricentrico ed e e y individuano (le posizioni del centro di pressione e del punto della sezione per il quale si chiede la tensione. Mantenendo costanti N ed e le tensioni ai lembi estremi della sezione valgono:
n = 13
σsup =
N
σinf =
N
Rck = 500 kg/cm2 ftk = 25,5 kg/cm2
N·e
+
A
n = 20
A
A
+
N·e I N·e
+
I
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C e
·ys
G
e
dove la differenza dei segni dei termini N· I·y deriva dalla differenza di segno tra ys e yi. Poniamo ora e =– Ci imponendo la condizione che per tale valore si abbia σsup = 0
• la sezione non si parzializza; • supponendo che per il conglomerato compresso sia ipotizzabile un legame costitutivo lineare (legge di Hooke σb = Eb · εb) è valida la sovrapposizione degli effetti; • se ipotizziamo che le sezioni si mantengano piane sono validi i criteri derivanti dall’impostazione classica per i materiali aventi un comportamento elastico lineare e omogeneo.
Procedendo analogamente si ha: Cs = A
N A
+
N·Ci Ws
→ N·
1 A
–
Ci Ws
=0
e quindi
Ci =
Ws A
Analogamente poniamo e ≅ Cs imponendo la condizione che per tale valore risulti:
σinf = 0
C = |Cs|+|Ci|=
Ws +Wi 1 = A A
σi =
2,16·105
1 1 + ys yi
= ρ2 ·
yi +ys ρ2 = ·h yi ·ys ys · yi
= 92,6 Kg/cm2
120
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
Ne = 180 tonn e a un momento Me = 200 tm Vogliamo determinare l’entità della forza di precompressione e la sua eccentricità. In esercizio, in assenza di precompressione, si avrebbe:
200·105 = – 149 Kg/cm2 1,34·105
σs =
200 ·105 180.000 + = 119 Kg/cm2 6.800 2,16 ·105
200 ·105 σi = 180.000 – = 122,8 Kg/cm2 6.800 1,34 ·105
02
Il primo di essi è di compressione per tutta la sezione mentre il secondo (c) è di trazione per tutta la sezione.
Si ha quindi il diagramma di tensioni “a” decomponibile nella somma dei diagrammi “b” e “c” ( Fig. D.5.9./4).
Se vogliamo eliminare le trazioni dobbiamo aggiungere il diagramma di tensioni di compressione (d) speculare di
Per eliminare il diagramma di trazioni “c” occorre indurre (tramite la precompressione) il diagramma “d” uguale e contrario a “c”.
(c).
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
Per il diagramma (c) si ha:
G
σG = 149 ·
49,7
011
130
Si ha:
56,96 Kg/cm2
Avremo:
N = σG · A = 56,96 · 6800 = 387,354 Kg Tale forza deve essere applicata alla distanza:
Ci =
40
Supponiamo che in esercizio la sezione di cui all’esempio precedente sia soggetta a uno sforzo normale esterno:
Il diagramma delle tensioni è fornito dalla Fig. D.5.9./3 (a). Tale diagramma può essere considerato come somma algebrica dei diagrammi (b) e (c).
FIG. D.5.9./2
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
Supponiamo di avere la sezione come in Fig. D.5.9./2:
200·105
F. TERIALI,
Evidentemente i punti sull’asse y definiti dai valori +Cs e – Ci coincidono con i punti limite del “nocciolo centrale di inerzia”sullo stesso asse. L’ampiezza del campo di nocciolo vale:
Supponiamo che sulla stessa sezione debba agire un momento esterno M = 200 tm che comprima le fibre superiori. Avremo:
σs =
CO NTALE AMBIE
URB
CARATTERISTICHE SPECIFICHE DELLA PRECOMPRESSIONE
A = 6800 cm2 yi = 80,3 cm ys = 49,7 cm I = 10,766·106 cm4 Ws = 216,627cm3 Wi = 134,076 cm3
E.NTROLLO
G.ANISTICA
Wi
In particolare per una sezione soggetta a uno stato di pressoflessione retta dovuta a uno sforzo normale N agente con una eccentricità e avremo che nel generico punto la tensione è data da (Fig. D.5.9./1):
Definiamo come caratteristiche della precompressione il valore dello sforzo normale da applicare e la sua eccentricità rispetto al baricentro della sezione.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
·yi
Deve inoltre tenere presente che la resistenza a trazione può venir meno per cause diverse dalle azioni previste. In tale caso, qualora alla resistenza a trazione del conglomerato fosse stata attribuita una funzione ai fini della resistenza, si determinerebbe una situazione di collasso.Nel caso della tecnica del cemento armato, abbiamo visto che il problema si risolve predisponendo, nelle zone che risultano tese, apposite armature. Tali armature debbono essere in grado di sviluppare tutta la resistenza a trazione necessaria, prescindendo da qualsiasi resistenza a trazione del conglomerato (sezione parzializzata). Con la tecnica della precompressione il problema viene affrontato in maniera totalmente diversa. Con tale tecnica si provoca nella generica sezione uno stato di coazione di caratteristiche tali da eliminare le tensioni di trazione indotte dalle forze esterne. Le conseguenze derivanti da tale impostazione sono:
0=
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
iy
Per:
σ=
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.9./1
sy
ftk = 0,7 ·0,58 R2ck Per:
D.5. 9.
Ws
A
=
216.627
al disotto del baricentro.
6.800
= 31,85 cm
σG =
ys 49,7 ·122,8 = ·122,8 = 46,95 Kg/cm2 h 130
La forza di precompressione vale:
Np = σG · A = 46,95 · 6800 = 319,260 kg Poiché il diagramma “d” ha tensione nulla al lembo superiore la forza Np dovrà essere applicata al limite inferiore di nocciolo e quindi alla distanza Ci = 31,85 cm dal baricentro.
TO – 8. D.5. TO ARMA N CEME AZIONI FOND TO 9. D.5. TO ARMA N CEME MPRESSO PRECO
D 101
D.5. 9.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO ➦ CARATTERISTICHE SPECIFICHE DELLA PRECOMPRESSIONE FIG. D.5.9./3
FIG. D.5.9./4
92,6
92,6
+
+ =
+
(a)
+
(a)
0m
+
+ =
(d)
(a)
+
-
149 SCALA DI RAPP. 1:100
119
σG
(c)
-
119
(a)
σG
(d)
(c)
-
149
149
+
+
-
122,8
-
122,8
122,8
SCALA DI RAPP. 1:100 4m
1
0m
4m
1
MOMENTO UTILE Sia data una sezione e siano quindi noti i valori di: • A (area della sezione) • posizione del baricentro (tramite yi e ys)
I Wi = yi
I Ws = ys
W Ci = s A
Wi Cs = A
Supponiamo di applicare una forza di precompressione
e che risulta:
Mu = σinf ·
ys
In definitiva valgono le formule della flessione semplice valide per i materiali con comportamento elastico lineare omogeneo (acciaio).
ys
I
h
ys
I
+
yi
= σ inf
n
·I
ys +yi ys · yi
= σinf
I yi
= σinf ·Wi
FIG. D.5.9./5
FIG. D.5.9./6
ys
le azioni agenti sulla sezione è sempre rappresentato dalla forza normale Np; la linea d’azione di detto risultante è però traslata della quantità:
ys G
M d= c N
h
Cs
M d
Ci yi
dmax = Ci + Cs
Mu = σsup · Ws
abbiamo:
Np in corrispondenza del limite inferiore di nocciolo, definito dal valore Ci . Se applichiamo un momento esterno Me, il risultante del-
Imponendo la condizione che la sezione risulti sempre compressa la massima traslazione possibile è data dal valore:
Analogamente:
σG = σ inf ys h
sG h yi
Np
In tale caso il risultante dell’azione ha sempre il valore Np; esso però risulta applicato al limite superiore di nocciolo; avremo quindi un diagramma di tensioni di sola compressione, con valore nullo al lembo inferiore (Fig. D.5.9./6). Si definisce momento utile della sezione il momento:
Mu = Np (Ci + Cs)
ESEMPIO
Poiché risulta:
Np = σ G · A si ha:
Mu = σG · A (Ci + Cs) e poiché:
Ci =
Ws A
Cs =
Wi A
risulta:
Mu = σG (Ws + Wi)
A = 5000 cm2 yi = 73,8 I = 10,614 · 106 cm4 ys = 56,2 Wi = 143,821 cm3 Ws = 188,861 Ci = 37,77 cm Cs = 28,76 cm 56,2 σG = 150 · = 64,84 Kg/cm2 130 Np = 64,84 · 5000 = 324,200 Kg Mu = Np (Ci + Cs) = 215,69 tm Analogamente: Mu =150 · 143,821 · 10–5 = 215,73 tm 130 σsup = 64,84 · = 114,21 Kg/cm2 73,8 Mu =114,21 · 188,861 · 10–5 = 215,71 tm
Ricordando che:
I Ws = ys
D 102
I Wi = yi
Deve essere rilevato che il “momento utile” di una sezione coincide con il valore del momento massimo applicabile alla sezione qualora si imponga la condizione che in essa non si sviluppino tensioni di trazione.
FIG. D.5.9./7.8
100 20 G
20 90 20 60
150
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO
A.ZIONI
RENDIMENTO DELLA SEZIONE Con riferimento a una sezione a doppio T è facile verificare che il valore del rendimento è fortemente influenzato dallo spessore dell’anima. D’altra parte tale spessore non può scendere sotto dei valori minimi condizionati dalle particolari caratteristiche del materiale, dalle modalità costruttive e dalle esigenze di durabilità. Ad esempio con sezioni in precompresso si può considerare il valore h = 0,6 come valore difficilmente superabile. Si può assumere il valore h = 0,5 come valore di riferimento plausibile. Nell’esempio precedentemente esaminato si ha:
Data una sezione di caratteristiche geometriche note, si definisce suo rendimento il valore del rapporto tra l’ampiezza del campo di nocciolo e l’altezza della sezione. Si ha quindi:
Ci +Cs
η=
=
h
C h
Tale rapporto ha tutte le caratteristiche di un “rendimento”. Infatti: • essendo definito da un rapporto di quantità omogenee il suo valore rappresenta un numero puro (adimensionale); • il suo valore è necessariamente ≤ 1; • valori crescenti indicano (a parità delle altre condizioni) una migliore utilizzazione dell’area della sezione. Si ha che il momento utile è dato da:
η=
— Mu = N · C = (N · h) · η
Ci +Cs h
=
37,77+28,76 130
Wi = Ws
Ci = Cs
C=
2W A
η=
2W C = h A·h
Se la sezione è soggetta a un momento M la tensione massima vale:
σ = M/W
e quindi
= 0,51
W = M/σ
2M σ ·A·h
η=
Sostituendo:
dove σ rappresenta la tensione indotta dal momento M. Supponiamo di avere una trave appoggiata di lunghezza notevole che debba portare un carico uniformemente ripartito noto. Vogliamo determinare: • quale valore hanno le tensioni indotte dal peso proprio; • quale siano i valori presumibili del peso e del costo della trave.
ESEMPIO Siano: l = 30 m Pc = 2 t/m h = 1,60 m La trave deve essere in c.a.p. a fili pretesi (con tale tecnica il peso proprio influisce per la sua totalità sul valore della tensione nel materiale) e la qualità del conglomerato sia tale che σamm = 150 Kg/cm2. Si adottano come unità di misura la tonnellata e il metro per avere numeri di entità ridotta.
σamm = 1600 Kg/cm2 → 16.000 t/m2
h = 1,6m
σp =
avremo:
σp =
γ ·l 2
e poiché
γ = 2,5
4·η ·h
η=
γ ·l 2 4σp· h
La tensione indotta dal peso proprio vale:
t/m2
η = 0,5
W=
σp =
4·0,5·1,6
= 703 t/m2
M=
2·30 2 = 225 tm 8
Dall’espressione del rendimento si ricava:
A=
2M 2 ·225 = = 0,706 m2 σ ·η ·h 797·0,5·1,6
Il peso di una trave risulterà: P ≅ 2,5 · 0,706 · 30 ≅ 53 tonn Presunto un costo unitario di 650.000 £/mc il costo di una trave risulta:
W=
η ·A·h 2
I·2 η ·A·h η ·A·h2 = →I= h 2 4
Per la soluzione in c.a.p.:
0,5 ·0,706 ·1,602 = 0,2259 m4 4
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
Per la soluzione in acciaio:
I= b) Area della sezione La tensione unitaria “a disposizione” è: σ = σ amm–σ p = 1500 – 703 = 797t 2 m Il momento indotto dal carico esterno vale:
si ha
abbiamo:
h = 1,60 m si ha:
2,5·302
2W A·h
I·2 h
I= per l = 36 m
E ESE ESSIONAL PROF
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
Il peso totale risulta: P ≅ 0,78 · 318 · 30 · 7,440 Kg ≅ 7,44 tonn Presunto un costo unitario di 1,39 €/Kg si ha un costo di: 1,39 · 7440 = 10.341,30 €/trave È altresì possibile valutare la deformazione massima sotto l’azione dei carichi. Dalla:
2 · γ · A · l2 η= 8 · σp · h
C.RCIZIO
7,8·l2 = 1769 t/m2 4·0,62 ·1,6
2 · 225 = 0,0318 m2 → 318 cm2 14,231 · 0,62 · 1,6
Poiché:
σ ·A·h
γ = 7,8 t/m2
σ = σamm ·σp = 16000 – 1769 = 14,231 t/cm2 A=
γ · A · l2 8
B.STAZIONI DILEGIZLII
URB
Pp = γ · A · t m
η=
η = 0,62
Avremo:
a) Tensioni indotte dal peso proprio Se γ è il peso specifico e A l’area della sezione il valore del peso proprio è:
e il relativo momento vale:
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG I ED PRE NISM ORGA
Il rendimento è quindi dato da:
con sezioni in acciaio a doppio T si possono avere valori η = 0,6÷0,7. Si può assumere un valore plausibile η = 0,62. Tramite la definizione di rendimento è possibile risolvere alcuni problemi che assumono particolare importanza nella definizione di progetto di massima. Per semplicità di esposizione supponiamo di operare con profili simmetrici. Si ha:
Poiché N dipende dall’area della sezione, dalla qualità del conglomerato e (come vedremo) dal quantitativo di acciaio, il valore del momento utile sarà tanto maggiore quanto maggiore è il valore del rendimento. È opportuno notare che il valore del rendimento costituisce una caratteristica intrinseca della sezione.
2M
D.5. 9.
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
0,62 ·0,0318 ·1,62 = 0,01262 m4 4
La freccia massima risulta:
f=
p·l 4 5 1 · = 384 E·I EI
21.093 5 ·2·304 = 384 EI
Per il c.a.p. (Rck=400) si ha:
Ec = 18.000 Rck = 360.000 Kg/cm2 = 3.600.000 t/m2 EI = 3.600.000 · 0,2259 = 813.240 t · m2 21.093 e quindi: fc = ≅ 0,026 m 813.240
fc
e
=
1
1153
Per la soluzione in acciaio si ha:
E = 21 · 106 t/m2
E · I = 21 ·106 · 0,01262 = 265.020
C = 0,706 · 30 · 650.000 = £ 13.767.000 Supponiamo ora di voler valutare in termini di peso e costo una analoga soluzione in acciaio assumendo:
e quindi:
fa =
21.093 ≅ 0,08 m 265.020
fa
l
=
1
378
Da quanto esposto risulta evidente che, utilizzando in modo appropriato la definizione di “rendimento” è possibile orientarsi verso la soluzione migliore, valutando gli aspetti tecnici essenziali: peso, costo, deformabilità. È evidente che è compito dell’Architetto correlare tali dati con altri aspetti (fruibilità incidenza formale, ecc.) afferenti al problema in esame.
TO 9. D.5. TO ARMA N CEME MPRESSO PRECO
D 103
D.5. 9.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO ➦ RENDIMENTO DELLA SEZIONE RENDIMENTO E LUCE CRITICA Definiamo come luce critica la lunghezza di una trave per la quale sotto l’azione del solo peso proprio la tensione raggiunge il valore di quella ammissibile. Con riferimento a un profilo simmetrico abbiamo visto che:
η=
2M σ ·A·h
La luce critica lc è quella per la quale si ha σ = σamm Si ha pertanto che per lc deve risultare:
η=
=
γ ·lc2 4·σ amm·h
È opportuno che la lunghezza effettiva soddisfi la condizione:
l ≤ 0,7 lc
e quindi:
Per una trave semplicemente appoggiata, soggetta al solo peso proprio, abbiamo visto che:
M=
2·γ ·A·lc2 8·σ amm·A·h
4·1500·0,5·1,60 = 43,8 m 2,5
lc =
γ ·A·l 2 8
4·σ amm·η·h
lc =
γ
Nel nostro caso:
l ≤ 0,7 · 43,8 = 30,66 m
Nel caso di c.a.p., per h=1,60 m e σamm = 1500 t/m2 si ha:
TECNICHE DI PRECOMPRESSIONE di elementi che in esercizio debbano lavorare come tiranti. Da quanto detto a proposito delle “caratteristiche della precompressione” lo stato di coazione da indurre dovrà essere quello di una compressione uniforme su tutta la sezione di conglomerato. (Fig. D.5.9./9). Si preveda di posizionare un dato numero di fili (o trecce o trefoli) da tendere in modo tale da realizzare una forza risultante di valore N0 agente in corrispondenza del baricentro della sezione.
FIG. D.5.9./9
Deve essere tenuto presente che la tecnica della pretensione viene, nella quasi totalità dei casi, realizzata in appositi stabilimenti. Si hanno le seguenti fasi di lavoro:
agente sull’acciaio al momento del taglio dei fili; con Ap l’area dell’acciaio preteso e con σai la sua tensione.
tensione nell’acciaio diminuisce della quantità n · σ b e quindi si ha:
I fase:
Ultimato il taglio dei fili tale forza agisce come forza di compressione centrata su una sezione costituita da: • un’area di conglomerato B; • un’area di acciaio di pretensione Ap; • un’area (eventuale) di acciaio normale (longitudinale) Al.
La precompressione consiste nell’indurre uno stato di coazione tra il conglomerato e l’acciaio. Le tecniche atte a determinare tale stato sono due: a) Tecnica a fili pretesi detta anche fili aderenti. b) Tecnica a cavi postesi detta anche a cavi scorrevoli. Esaminiamo separatamente le modalità esecutive delle due tecniche nell’ipotesi che si debba realizzare una serie
FILI PRETESI
I fili previsti vengono posti in tensione tra due blocchi di ancoraggio posti alle estremità di una apposita pista di lavorazione (Fig. D.5.9./10).
No = σai · Ap
Avremo:
In definitiva la forza No agisce su una sezione omogeneizzata di area:
II fase: Vengono predisposte le armature di acciaio da cemento armato(ferri longitudinale e staffe); posizionate le casseforme e successivamente viene gettato il conglomerato e si procede alla vibratura.
Bi = B + n (Ap + Al)
Dopo che il conglomerato ha raggiunto la resistenza prevista vengono tagliati i fili. L’acciaio che era fortemente teso tra le testate tende ad accorciarsi: tale accorciamento è però parzialmente impedito dall’aderenza. Indichiamo con No la forza risultante di trazione
σb =
N0 Bi
=
N.B. Per strutture precompresse il coefficiente di omogeneizzazione vale il valore n = 6 ESEMPIO Siano:
B = 2000 cm2 Al = 9,24 cm2
N0 B+n(Ap+Ai)
Sotto l’azione della compressione σ b il conglomerato si accorcia. Data l’aderenza tra acciaio e conglomeratola
No = 12.500 · 30 = 375,000 Kg Bi = 2000 + 6 (30 + 9,24) ≅ 2235 cm2
σb =
375,000 = 167,78 Kg/cm2 2235
σ a – n σ b = 12,500 – 6 · 167,78 = 11,493 Kg/cm2
FIG. D.5.9./10
PROIEZIONE GETTO
D 104
Ap = 30 cm2 σai = 12,500 Kg/cm2
Abbiamo:
dove “n” rappresenta il coefficiente di omogeneizzazione. La tensione del conglomerato vale:
III fase:
σ a = σ ai – n σ a
BLOCCHI DI ANCORAGGIO PISTA DI LAVORAZIONE
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO
D.5. 9. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
CAVI POSTESI Con questa tecnica (che può realizzarsi sia in stabilimento sia cantiere) le fasi operative sono le seguenti: I fase: si realizza la cassaforma e si dispongono al suo interno sia i cavi di precompressione contenuti in apposite guaine (metalliche) flessibili, sia le armature sussidiarie in acciaio ad aderenza migliorata. Agli estremi dei cavi si predispongono i coni di ancoraggio che bloccheranno i fili costituenti il cavo trasferendo così le forze di coazione al conglomerato.
IV fase: Terminate le operazioni di tesatura e di bloccaggio si iniettano malte fluide all’interno dei cavi ottenendo due risultati: • la protezione dei fili rispetto a fenomeni di ossidazione o corrosione.
I ED PRE NISM ORGA
N1 = 13.000 · 6,9264 · 2 ≅ 180,000 kg Tesando i due cavi “2” si ha analogamente:
C.RCIZIO
N= –180,000 kg Tale forza agisce però sulla sezione costituita dal conglomerato e dall’acciaio relativo ai due cavi “1” che risultano bloccati.
II fase: Si esegue il getto di conglomerato e lo si lascia maturare per il tempo necessario per garantire il raggiungimento della resistenza prevista. III fase: Tramite appositi martinetti vengono posti in tensione i fili (o trefoli) costituenti i cavi. Durante tale operazione i fili (o trefoli) scorrono nelle guaine. Raggiunto il valore di tesatura previsto si bloccano i fili al cono di ancoraggio con dispositivi a cuneo o similari. In molti sistemi è possibile “riprendere” la tesatura dei cavi per ripristinare eventuali perdite di tensione che possono verificarsi nel corso delle operazioni di tesatura.
B.STAZIONI DILEGIZLII
Tesando i due cavi “1” si ha:
Bi = 2500 + 6 · 2 · 6,9264 = 2583 cm2
σb =
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
180.000 = 69,68 Kg/cm2 2583
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
La tensione nei due cavi “1” diminuisce della quantità
∆σ a = 6 · σ b = 6 · 69,68 = 418 Kg/cm2
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
Conseguentemente si ha:
∆N1 = 418 · 2 · 6,9264 ≅ 5792 Kg/cm2
G.ANISTICA
La forza di precompressione vale:
URB
N = N1 + N2 – ∆N1 = 354,208 Kg
• si solidarizzano i fili con l’interno della guaina; guaina che all’esterno è già solidarizzata con il conglomerato.
E ESE ESSIONAL PROF
FIG. D.5.9./11 Nel caso della precompressione a cavi postesi la tesatura dei singoli cavi, in genere non può effettuarsi contemporaneamente. Ciò provoca una riduzione della forza di precompressione per i cavi che risultino bloccati quando si provvede alla tesatura di altri cavi. Chiariamo quanto sopra con un esempio semplice.
50
2
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
ESEMPIO La sezione di figura sia precompressa tramite quattro cavi da 18 fili con diametro 7 mm. In un primo momento vengono tesati contemporaneamente i due cavi “1”; successivamente quelli “2”. La tensione di tesatura sia di 13.000 kg/cm2. Vogliamo determinare la forza di precompressione al termine delle operazioni di tesatura. L’area di un cavo risulta:
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
1
50
1
2
18 · 0,3848 = 6,9264 cm2
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
QUALITÀ DEI MATERIALI E TENSIONI AMMISSIBILI Le tecniche di precompressione sono possibili solo con conglomerati e acciai ad alta resistenza. Per quanto riguarda il conglomerato le norme vigenti impongono che risulti:
Rck > 300 Kg/cm2 Per quanto concerne gli acciai essi debbono avere un limite elastico molto elevato. Poiché per fili, trecce, trefoli è impossibile definire una soglia di snervamento, le Normative assumono come termini di riferimento la tensione caratteristica di rottura e tensioni “convenzionali” di snervamento. Nei casi in cui la precompressione viene realizzata con barre (per le quali è individuabile lo snervamento) come termini di riferimento vengono assunti sia la tensione caratteristica di snervamento sia la tensione caratteristica di rottura.
Come vedremo nel seguito, per il precompresso debbono essere prese in esame due situazioni relative allo stato di sollecitazione:
Premesso quanto sopra le tensioni nel conglomerato non debbono superare i seguenti valori:
Fase iniziale: lo stato di sollecitazione di una generica sezione deriva dalle caratteristiche della precompressione che si hanno al momento del taglio dei fili (strutture pretese) o della tesatura dei cavi (strutture postese) e dalle azioni indotte dai carichi esterni agenti allo stesso momento;
Fase iniziale:
Fase finale: lo stato di sollecitazione deriva dalle caratteristiche della precompressione a “tempo infinito” e dalla totalità delle azioni esterne (peso proprio, carichi permanenti, carichi accidentali, variazioni di temperatura ecc.) . Per precompressione a “tempo infinito” si intende quella per la quale si è avuta la totalità delle “cadute di tensione” che esamineremo nel prossimo paragrafo.
σ ≤ 0,48 Rckj dove Rckj è la resistenza caratteristica al momento della tesatura dei cavi oppure del taglio dei fili. Fase finale:
σ ≤ 0,38 Rck dove Rck è la resistenza caratteristica a 28 giorni. Sono ammesse anche modeste tensioni di trazione.
TO 9. D.5. TO ARMA N CEME MPRESSO PRECO
D 105
D.5. 9.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO CADUTE DI TENSIONE Indichiamo con σai la tensione iniziale nell’acciaio, intendendo come tale quella di tesatura tra i blocchi di ancoraggio nel sistema a fili pretesi e quella che si ha nei coni di ancoraggio nel sistema a cavi postesi al termine delle operazioni di tesatura. La tensione σai diminuisce e l’entità totale della riduzione dipende da: 1. accorciamento del conglomerato • ritiro • deformazione elastica • deformazione viscosa 2. rilassamento dell’acciaio 3. modalità della precompressione • attrito fili guaine • rientro dei coni.
RITIRO Salvo più precise determinazioni si può assumere il valore della deformazione unitaria del conglomerato dovuta al ritiro pari 0,3 · 10–3 se la precompressione viene effettuata prima di 14 giorni di maturazione del getto e pari 0,25 · 10–3 se viene effettuata dopo 14 giorni di maturazione.
Dato che acciaio e conglomerato sono tra loro congruenti si avranno per l’acciaio gli stessi valori di deformazione unitaria. Assumendo per l’acciaio il modulo elastico E0 = 2,1 · 106 le cadute di tensione relative risulteranno:
DEFORMAZIONE ELASTICA Se indichiamo con σb la tensione indotta nel conglomerato nella posizione in cui è sistemato un elemento dell’armatura di precompressione avremo:
σb =
(∆σ a )rit = 2,1 · 106 (3 + 2,5) 10–3 = (630 + 525) Kg/cm
σb Eb
e poiché: εb = εa risulta:
(∆σ a )e = Ea ·εa =
DEFORMAZIONE VISCOSA Anche in questo caso si deve fare riferimento “alla tensione che, nella sezione considerata, agisce sulla fibra di calcestruzzo posta al livello dell’armatura”. Si assume per la caduta di tensione dovuta alla viscosità il valore:
(∆σ a )v = 2,5(∆σ a ) = 291,65·
Ea
·σ b
Eb
Assumendo:
Ea = 2,1·106 Eb = 18.000 Rck si ha:
σb
(∆σ a )e = 116,66 ·
Rck
σb Rck
RILASSAMENTO DELL’ACCIAIO Le normative stabiliscono il valore del rilassamento dell’acciaio a tempo infinito in funzione della tensione iniziale σai (assunta uguale al 75% della tensione caratteristica di rottura e del tipo di acciaio usato. Occorre però tenere presente che l’effettiva caduta di tensione per rilassamento è influenzata dal contemporaneo verificarsi delle cadute di tensione determinate dal ritiro e dalla deformazione viscosa.
(∆σ a )e = Tipo
σ r∞ ∞ ∆σ
tondi trecce trefole
0,15 0,20 0,18
ESEMPIO In un elemento preteso, l’acciaio usato è del tipo tondo (trafilato) con tensione caratteristica di rottura di: 18.000 Kg/cm2. Il conglomerato sia Rck = 450. La tensione nel conglomerato a livello di un tondino sia σb = 120. Abbiamo:
σai = 0 75 · 18,000 = 13,500
Kg/cm2
Il rilassamento dell’acciaio a tempo infinito vale:
0,15 · σ ai = 0,15 · 13,500 = 2025 Kg/cm2 La caduta per rilassamento vale:
(∆σ a )ril = 2025 1–
Abbiamo: • caduta per ritiro:
(∆σ a )r = 3 · 10–4 · 2,1 · 106 = 630 Kg/cm2
Il totale delle cadute lente (ritiro, viscosità, rilassamento) vale:
630 + 1650 + 1170 = 3450 K g /cm2
• caduta elastica:
La normativa stabilisce che la caduta per rilassamento è data da:
(∆σ a )e =
2,1 · 106 18,000
Rck
· 120 = 660 Kg/cm2
Aggiungendo la caduta elastica si ha la caduta totale:
3450 + 660 = 4110 Kg/cm2
• caduta viscosa:
(∆σ a )ril = ∆σ∞ 1–25
(∆σ a )ril +(∆σ a )v
σ ai
2,5 · 2280 = 1170 Kg/cm2 13,500
(∆σ a )v = 660 · 2,5 = 1650 Kg/cm2
La tensione finale nell’acciaio vale:
• ritiro + viscosità:
= 630+1650 =
corrispondente al 30% del valore iniziale.
2280 K g /cm2
13.500 – 4110 = 9390 Kg/cm2
CADUTE DI TENSIONE PER ATTRITO Queste cadute di tensione si verificano esclusivamente con la tecnica dei cavi postesi (cavi scorrevoli). È evidente che nei tratti curvi il cavo, posto in tensione dal martinetto viene a contatto con la guaina. In un tratto generico si sviluppa una forza di attrito la cui entità dipende: • dalla lunghezza del tratto considerato; • dal valore della forza per unità di lunghezza che il cavo esercita sulla guaina. Il valore di tale forza dipende dall’entità della forza che agisce sul cavo e dal valore della curvatura del cavo; • dal valore del coefficiente di attrito tra il cavo e la superficie esterna sulla quale esso scorre.
In definitiva per un tratto di cavo di lunghezza (in proiezione) “l” tale che sia a l’angolo definito dalle tangenti terminali (angolo espresso in radianti) la Normativa vigente stabilisce che la relazione tra NA e NB è definita da:
NB = NA 1 – f (α + β · l) dove l è espresso in metri.
β = 0,01 rad/m è la curvatura convenzionale dovuta a imperfezioni, ondulazioni, ecc.
f è il coefficiente di attrito da assumere; Sulla base di quanto sopra nei tratti con curvatura nulla (R = ∞ nei tratti rettilinei) la caduta di tensione dovrebbe essere nulla. Occorre però tenere presente che anche nei tratti teoricamente rettilinei si hanno inevitabili ondulazioni del cavo e altre imperfezioni che comunque provocano cadute di tensione (sia pure di modesta entità).
D 106
f = 0,3 per cavo in guaina metallica; f = 0,5 per cavo su calcestruzzo liscio.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO
D.5. 9. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
ESEMPIO Un cavo ancorato in E’ sia teso, con un martinetto agente in A’ con una forza NA= 260 tonn. Il cavo sia in guaina metallica (f = 0,3). Vogliamo determinare i valori di NB , NC , ND , NE . Abbiamo:
tang α =
2,00 7,59·π = 0,13 → α = (7,59)0 → α = = 0,1325 rad 15,00 180
Supponiamo che il cavo dell’esempio abbia un’area di 23,00 cm2 e che dal diagramma tensioni–allungamenti si abbia per il modulo elastico il valore
Ea = 2,05 · 106 Kg/cm2
∆ l = ε ·l =
NB = NA [1 – 0,3 (0,1325 + 0,01 · 15)] = 260 · 0,91525 = 237,965 tonn NC = NB [1 – 0,3 (0 + 0,01 · 10)] = 230,826 tonn
(∆ l)AB =
NE = ND [1 – 0,3 (0,1325 + 0,01 · 15)] = 204,92 tonn
(∆ l)BC =
(∆ l)CD =
È evidente che quando i cavi sono molto lunghi (come nel caso in esame) può convenire effettuare la tesatura tramite due martinetti operanti ai due estremi del cavo (nei punti A’ ed E’). In tale ipotesi la caduta di tensione è data da NA-NC con il valore
Ni +Nf 2·A·E
(260 +237,965) 2 ·23 ·2,05 ·106
(∆ l)DE =
260 – 230,826 = 29,174 tonn (circa 11%)
E ESE ESSIONAL PROF
·l
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
·1500 = 7,92 cm
(237,965 +230,826)·103
Si ha quindi una caduta totale di:
260 – 204,92 = 55,08 tonn (circa il 21%)
E.NTROLLO
·1000 = 4,97 cm
2 ·23 ·2,05 ·106 (230,826 +223,9)·103 2 ·23 ·2,05 ·106 (223,9 +204,92)·103 2 ·23 ·2,05 ·106
CO NTALE AMBIE
·1000 = 4,82 cm
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
·1500 = 6,82 cm
G.ANISTICA
L’allungamento totale vale: Una volta determinata la variazione della forza agente sul cavo si è in grado di calcolare l’allungamento totale del cavo come somma totale degli allungamenti relativi ai singoli tronchi.
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
Per ogni tratto abbiamo:
ND = NC [1 – 0,3 (0 + 0,01 · 10)] = 223,9 tonn
B.STAZIONI DILEGIZLII
URB
∆l = 7,92 + 4,97 + 4,82 + 6,82 = 24,53 cm
FIG. D.5.9./12
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
E'
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
2,00
A'
α
α
A
B
15,00
C
10,00
D
10,00
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
E
15,00
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
VERIFICHE IN PRIMA E SECONDA FASE Supponiamo di prendere in esame una generica sezione di una trave che sia stata precompressa. Le verifiche relative alle tensioni nel conglomerato (e nell’acciaio) debbono essere eseguite per (almeno) due stati di sollecitazione. Precisamente: Stato di prima fase e stato di seconda fase.
STATO DI PRIMA FASE
STATO DI SECONDA FASE
(detto anche “stato a vuoto”)
(detto anche “stato di servizio” o “stato a tempo infinito”)
In tale condizione lo stato di sollecitazione (definito da: sforzo normale, momento totale, taglio totale) è quello derivante: dalla precompressione depurata dalle cadute di tensione istantanea (deformazioni elastiche; attrito dei cavi; rientro dei coni); e da quello derivante dai carichi esterni (peso proprio ed eventuali carichi permanenti). Presenti al momento dell’applicazione dello stato di decompressione.
In tale condizione lo stato di sollecitazione e’ quello derivante: • Dalla precompressione, depurata dalla totalità delle cadute di tensione. • Dalla totalità dei carichi esterni; peso proprio, totalità dei carichi permanenti e totalità dei carichi accidentali.
TO 9. D.5. TO ARMA N CEME MPRESSO PRECO
D 107
D.5. 9.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO RIBASSAMENTO DEI CAVI FIG. D.5.9./13
Le tensioni in mezzeria, in prima fase, valgono:
ys
+
A
+
A
+
=0+
Ws
NCi Wi
–
M1 Ws
M1 Wi
e = Ci + δ a fase
a
fase Al lembo superiore avremo (Fig. D.5.9./15):
FIG. D.5.9./14
N
–
NCi
–
Ws
Nδ Nδ M1 =0– + Ws Ws Ws
N · δ = M1 → δ =
σ sup.
M1 N
si ha: σsup = 0
A
σ inf =
Dato che l’eccentricità è costante lungo tutta la trave si ha che anche in mezzeria avremo:
Ws
e
A
Nella sezione di mezzeria agisce però anche il valore massimo dovuto al peso proprio; momento che con tale tecnica coincide con il momento di prima fase.
A
Se poniamo:
FIG. D.5.9./15
Ws
e = Ci =
N
M1
Supponiamo allora di applicare la forza di precompressione in mezzeria con una eccentricità:
Abbiamo precedentemente visto (a proposito del rendimento) che tale limite è dato da:
Ci =
+
Ws
Con tale tecnica è possibile disporre i cavi in maniera che in ogni sezione abbiano una eccentricità diversa.
σ sup =
N·Ci Wi
–
NCi
–
σ inf =
La tensione al lembo inferiore vale:
N
A
Consideriamo ora il caso della precompressione a cavi postesi (Fig. D.5.9./14).
Pertanto il diagramma di I fase è dovuto alla sola precompressione: non volendo che sussistano trazioni al lembo superiore ne consegue che la forza di precompressione deve essere applicata al limite inferiore di nocciolo.
σ=
N
σ sup =
yi
Per semplicità consideriamo il caso di travi semplicemente appoggiate. La soluzione limite per una generica sezione precompressa sarebbe quella che, sia in prima fase che in seconda fase, presentasse diagrammi di tensione triangolari, con tensioni massime contenute entro i valori delle tensioni ammissibili (Fig. D.5.9./13). Nel caso della tecnica a fili pretesi e di trave a sezione costante, essendo necessariamente i fili paralleli all’asse della trave si ha che l’eccentricità resta costante (o varia di molto poco eliminando l’azione di alcuni fili in prossimità degli appoggi). D’altra parte in corrispondenza degli appoggi il momento dei carichi esterni è necessariamente nullo, data l’ipotesi di appoggio.
N A
+
NCi Wi
+
Nδ M1 N NCi – = + Wi Wi Wi A
Ci
Si ha quindi il ripristino della situazione limite di I fase anche in mezzeria.
δ
Logicamente deve risultare:
Ci + δ < [yi – (10÷20)] cm σ inf.
perché il cavo risultante sia interno alla sezione.
FUSO DI GUYON Consideriamo il caso di una trave appoggiata di sezione costante. Siano S–S e I–I (parallele all’asse della trave) le linee che individuano rispettivamente i limiti superiori e inferiori di nocciolo (Fig. D.5.3./16). Se in mezzeria ribassiamo il cavo della quantità: M1
δ=
Se disponessimo il cavo secondo tale linea, per tutte le sezioni avremmo un diagramma di tensioni triangolare con tensione nulla al lembo superiore in prima fase. Consideriamo ora la seconda fase e indichiamo con: (M2)i = (M1)i + (ME)i il momento agente nella generica sezione, ottenuto aggiungendo al momento di prima fase il momento dovuto sia ai carichi permanenti sia a quelli accidentali afferenti alla più gravosa condizione di esercizio previsto. Determiniamo la distanza:
N
si ripristina in tale sezione il diagramma ottimale di I fase. FIG. D.5.9./16
∆i =
S
S
N*
dove N*< N è il valore risultante delle forze di precompressione depurato da tutte le cadute di tensione.
∆i
Riportiamo il valore di ∆i al di sotto della linea S–S che definisce le posizioni dei limiti superiori di nocciolo.
δi
Otteniamo così il punto nel quale dovrebbe essere applicata la forza di precompressione (ridotta) N* affinché in seconda fase il diagramma delle tensioni, (in quella sezione) risulti triangolare con tensioni nulle al lembo inferiore. Tale operazione si può ripetere per tutte le sezioni. Il luogo dei punti così ottenuti è una linea continua.
Quanto detto per tale sezione può però essere ripetuto per qualsiasi sezione. Se nella generica sezione il momento dovuto ai carichi esterni di prima fase vale (M1)i e ribassiamo in essa il cavo risultante della quantità
δ=
(M1)i N
anche per essa si ripristina il diagramma ottimale di prima fase.
D 108
(M2)i
Tale linea rappresenta il tracciato che dovrebbe avere il cavo risultante affinché in seconda fase si verifichi, per tutte le sezioni, il diagramma di tensioni triangolare (con tensioni nulle al lembo inferiore). La configurazione del cavo risultante deve essere all’interno della zona di trave compresa tra le due linee sopra definite. Solo così si garantisce che tutte le sezioni risultino compresse sia in prima fase sia in seconda fase.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO
A.ZIONI
CONTROCARICO E CAVI CURVI Supponiamo che tramite la tecnica dei cavi postesi si ponga in opera un cavo (Fig. D.5.9./17) avente una configurazione definita tramite l’equazione y = y (x).
configurazione parabolica
FIG. D.5.9./17
configurazione del terzo ordine
y = mx – nx2 – cx3 → q = – K(2n)
Consideriamo il caso molto importante della configurazione parabolica e simmetrica del tipo: y = mx–nx2
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
Nv q
No A
No
Indicando con la l la luce della trave e con f il valore della freccia in mezzeria si ha: m – nl = 0 → m = nl
y
f=m·
Durante l’operazione di tesatura si determina uno stato di coazione tra il cavo e la trave, data la possibilità di scorrimento del cavo rispetto alla guaina. Tale stato di coazione si identifica con una azione sulla trave definibile tramite una funzione q = q(x). Si può dimostrare che risulta:
d 2y
4f (lx – x2) 2
q·
Il carico agente sulla trave vale:
q=K·
d 2y dx2
8f l2
l
·
2
Nv = q ·
Si ha quindi un’azione negativa (diretta verso l’alto).
4
– N0 f = 0 → q = N0
Poiché tra trave e cavo esiste uno stato di coazione, il cavo sarà soggetto al carico uniformemente ripartito però con verso positivo.
l 2
= N0
8f l2
N=
·
l 2
= 4 · N0 ·
N 2o+N 2v = No 1+
configurazione rettilinea
y = mx ⇒ q=0
8f l2
f
Considerando mezza fune abbiamo il seguente schema (Fig. D.5.3./18).
(4 f) (l)
CASO DI CAVI POSTESI
0,1667 = 0,3862 m 0,4316 C = Ci + Cs = 0,8062 m Cs =
η ≅ 0,576
0,38 · 4500 = 1710 t/m2 Il diagramma limite, in servizio è quello in Fig. D.5.9./19. Si ha:
OG =
Per poterlo assorbire tramite la forza N occorre un ribassamento:
δ=
0,73 = · 1710 = 891,64 t/m2 1,4
79,2 = 0,20 m 384,83
Si ha quindi una eccentricità:
1,40
σG
e = Ci + δ = 0,42 + 0,20 = 0,62 m Pertanto il centro del cavo risultante dista dal fondo trave di:
yi – e = 0,73 – 0,62 = 0,11 m
G.ANISTICA URB
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
0,73
La forza di precompressione vale:
N = σG · A = 891,6 · 0,4316 = 384,83 tonn
Mu = N · C = 384,83 · 0,8062 ≅ 310 tm e logicamente tale valore coincide con:
σmax · Ws = 171 · 0,1816 ≅ 310 tm Il momento dovuto al peso proprio vale:
pp · =
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
Tale possibilità è accettabile. Poiché il momento del peso proprio è assorbito tramite il ribassamento del cavo, il momento utile è a disposizione dei carichi esterni. Indicato con “i” l’interasse delle travi dovrà risultare che:
Il momento utile della sezione vale:
Per Rck = 450 kg/cm2 la tensione ammissibile in seconda fase è
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
1710
A = 0,4316 m2 peso proprio 1,1 t/m Ys = 0,67 m yi = 0,73 m I = 0,12168 m4
0,12168 Ws = = 0,1816 m3 0,67 0,12168 Wi = = 0,1667 m3 0,73 0,1816 Ci = = 0,42 m 0,4316
F. TERIALI,
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
Supponiamo di dovere coprire un ambiente con luce libera l = 30,00 m. Il carico complessivo di carichi permanenti e accidentali (escluso il peso proprio delle travi) viene valutato nella misura di 900 kg/m2. Supponiamo inoltre che l’altezza delle travi portanti debba risultare h = 1,50 m.
FIG. D.5.9./19
CO NTALE AMBIE
Dati i modesti valori del rapporto f/l si ha N ≅ N0
ESEMPIO DI PROPORZIONAMENTO PRELIMINARE DI TRAVI DI LUCE IMPEGNATIVA
Su una luce di 24,00 m si deve realizzare una struttura tale da sopportare un carico uniformemente ripartito di 1,1 t/m2 (escluso il peso proprio degli elementi strutturali principali). Esaminare una soluzione che preveda l’uso di profili AL 140 P realizzati con la stessa tecnica a cavi postesi e Rck = 450 kg/cm2. Come unità di misura useremo tonnellata e metro. Le caratteristiche del profilo sono:
E.NTROLLO
l
Il risultante delle due componenti ha intensità:
d x2
Si ha pertanto:
l
All’estremo in A del cavo si ha anche una componente verticale di entità:
=–K·
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU Per l’equilibrio dei momenti rispetto al punto si ha:
y=
C.RCIZIO
D.GETTAZIONE
4f l 2 nl 2 nl 2 nl 2 1 –n · = – = →n= 2 4 2 4 4 l2
si ha quindi
q(x) = K ·
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.9./18
y = mx – nx2 – cx3 → q = – K(2n + 6cx)
x
D.5. 9.
242 l2 = 1,1 · = 79,2 tm 8 8
(1,2 · i) ·
8 · 310 242 3,58 m = 310 tm e quindi:i = 8 1,2 · 242
Si assume (ad esempio): i = 3,50 m. Imponiamo la condizione che il controcarico q soddisfi alla condizione:
pe
1,2 · 3,50 = 1,1 + = 3,2 t/m 2 2 Indicando con “f” la ordinata massima del cavosi ha: q = pp+
ql 2 8f
=N→f=
ql 2 8N
=
3,2 · 242 ≅ 0,60 m 8 · 384,83
Tale valore risulta praticamente uguale all’eccentricità. Si può pertanto prevedere l’ancoraggio del cavo risultante nel baricentro della sezione.
TO 9. D.5. TO ARMA N CEME MPRESSO PRECO
D 109
D.5. 9.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO ➦ ESEMPIO DI PROPORZIONAMENTO PRELIMINARE DI TRAVI DI LUCE IMPEGNATIVA CASO DI TRAVI A FILI PRETESI Prevediamo di assumere Rck = 450Kg/cm2. Le tensioni ammissibili in prima e in seconda fase risultano rispettivamente:
Le soluzioni sono economicamente equivalenti per quanto concerne l’incidenza, al metro quadrato, del costo delle travi. Supponiamo di scegliere TP150P(A) assumendo i=1,40 m.
0,48 · Rck = 216
Kg/cm2
Le caratteristiche di tale profilo sono:
A = 4088 cm2
0,38 · Rck = 171 Kg/cm2
η=
C 2W 2M = = hA h · A · σ h
dove σ è la tensione indotta dal momento M. Se M è il momento indotto dal peso proprio si ha:
M=
340500 · 103 = 35,8 cm2 9500
yi = 70,2 cm peso = 1073 kg/m
quindi:
Le caratteristiche reali del profilo sono influenzate dalla presenza delle armature di precompressione (e di quelle di montaggio). Tale influenza è però modesta e può essere trascurata per il controllo preliminare che ci accingiamo a effettuare.
Sostituendo nella relazione precedente si ha:
γ · l2 2 · γ · A · l2 σp = = 8·h·A·η 4·h·η
h = 150 m
I = 167.657 cm3 yi
Le cadute di tensione differite (ritiro, viscosità, rilassamento) sono valutabili nella misura del 28% della tensione al taglio dei fili.
Ws
n = 0,5)
2,5 · 900 σp = = 750 t/m2 → 75 Kg/cm2 4 · 1,5 · 0,5
Tale aumento comporta una riduzione del primo termine di circa 4 Kg/cm2. Controlliamo le tensioni in prima fase. Le sezioni più sollecitate sono quelle di appoggio dove il momento dovuto ai carichi agenti (peso proprio + carichi esterni) è nullo.
Ci = l = 30 m
Ai = 4088 + 6 · 35,8 = 4303
I Ws = = 147.488 cm3 ys Wi =
Nel nostro caso:
(γ = 2,5 t/m3
Il valore di 177 Kg/cm2 leggermente superiore alla tensione ammissibile (171 Kg/cm2) è certamente assorbito per la presenza dell’armatura.
ys = 79,8 cm
Abbiamo:
γ · A · l2 8
Cs =
A
= 36,08 cm
Wi A
Avremo:
N1 – 0,28 · N1 = N = 340,5 tonn
= 41 cm
e quindi:
Il rendimento risulta:
N1 =
Poiché in esercizio si ha:
η=
σamm ≅ 170 Kg/cm2 restano a disposizione:
170 – 75 = 95 Kg/cm2 → 95 0 t/m2
36,08+41 = 0,5138 150
Il momento complessivo in esercizio (peso proprio + carico esterno) vale:
302 M = (1.073+0,9 · 1,4) · = 262,4 tm 8
Poiché il carico portato è di:
0,9 t/m2
Il momento utile è dato da:
se indichiamo con “i” l’interasse delle travi, il carico a metro lineare è dato da:
0,9 · it/m
Mu = M
e il momento relativo vale: e quindi:
900 l2 M = 0,9 · i · = 0,9 · i · = (101,25 · i) tm 8 8
A=
2M 2 · 101,25 = · i = (0,2842 · i) m2 h · η · σ 1,5 · 0,5 · 950
N=
Per completezza valutiamo le tensioni unitarie in servizio ipotizzando che N sia applicato con eccentricità Ci .
TP 150 (A)
D 110
TP150(B)
A = 0,4217
m2
TP150P(A)
A = 0,4088
i ≅ 1,40 m
TP150 P(B)
A = 0,4436
i ≅ 1,55 m
473000 473000 · 36,08 + = 217,3 kg/cm2 4088 167657
Tale valore praticamente coincide con la tensione in prima fase
(0,48 · 450 = 216 Kg/cm2) Nei casi in cui risulti σi > σamm si può ovviare riducendo (in prossimità dell’appoggio) la forza di precompressione. Ciò si ottiene proteggendo alcuni dei fili (o trecce o trefoli) tramite un tubo di materiale plastico in modo da impedire (per il tratto protetto) il contatto (e quindi l’aderenza) con il conglomerato. Occorre altresì tenere presente che per il sistema a fili pretesi è necessario che in prossimità degli appoggi vengano poste armature aggiuntive in acciaio da c.a. per resistere alle azioni di taglio. L’armatura di precompressione necessaria è data da:
Αp = N = 340,5 tonn
N1
σai
posto:
|Mprec| = 340,5 · 0,3608 = 122,8 tm
0,3797 i= = 1,33 m 0,2842 i ≅ 1,50 m
A = 0,3797
σi=
Abbiamo:
Se vediamo le aree per profili h = 150 riportato nella tabella di pag. D124 vediamo che si hanno quattro profili ai quali corrispondono i seguenti valori degli interassi.
m2
262 · 4 = 340,5 tonn 0,7707
340,5 ≅ 473 tonn 0,72
Applicata al limite inferiore di nocciolo provocherebbe una tensione:
Mu = N · η · h = N · 0,5138 · 1,5 = N · 0,7707 tm Deve risultare:
Dalla espressione che definisce il rendimento si ha che l’area presumibile della sezione risulta:
340,5 · 103 (262,4–122,8) · 105 – ≅0 4088 167 · 657
Per convincersi basta considerare che la forza di precompressione in esercizio di 340,5 tonn presuppone una presenza di acciaio preteso di circa:
I = 11.769.550 cm4 Nel caso di fili pretesi il momento utile della trave deve anche assorbire il momento derivante dal peso proprio. Possiamo, preliminarmente, valutare le entità delle tensioni dovute al peso proprio ipotizzando un valore del rendimento pari a 0,5. Utilizzando la relazione relativa a profili simmetrici si ha:
σinf =
σai = 13000 Kg/cm2
Mest = 272,6 tm
σsup =
340,5 · 103 (262,4 – 122,8) · 105 + =177 Kg/cm2 4088 147 · 488
Αp =
473000 = 36,38 cm2 13000
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO
A.ZIONI
TAGLIO NELLE TRAVI DI PRECOMPRESSO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
VALORI DEL TAGLIO Si considera il caso di travi ad altezza costante che rappresenta quello più frequente. Per prima cosa dobbiamo tenere presente che a parità di luce e di carichi esterni il valore del taglio varia a seconda della tecnica di precompressione utilizzata. ESEMPIO
In tale caso i valori nella generica sezione valgono:
• in prima fase (a vuoto):
Consideriamo una trave appoggiata agli estremi, soggetta al peso proprio pp e al carico esterno, uniforme di entità pe. Nel caso di precompressione a fili pretesi (aderenti) la forza di precompressione è, per tutte le sezioni, parallela all’asse della trave. Essa pertanto, non avendo componenti perpendicolari all’asse, non influisce sul valore del taglio. Nella generica sezione avremo:
FIG. D.5.9./20
T1 = R’A – pp · x
ΤΑ = – TB =
ppl
2
ΤΑ = – Ra – (pe + pp)x
ΤΙΙΑ = (pp + pe – q) (pe+pp)·l
2
l
E.NTROLLO
Nel caso della trave in esame, se il cavo risultante viene disposto con una configurazione parabolica le azioni verticali da esso indotte sono equivalenti a quelle dovute a un carico uniformemente ripartito di intensità “q” e di verso contrario a quello di pp e pe .
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
1 q = pp+ ·pe 2 per il quale si ha: • in prima fase
ΤΑ = –
• in seconda fase
ΤΑ =+
G.ANISTICA
pel
URB
4 pel
4 TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
TENSIONI PRINCIPALI – CONFRONTO TRA C.A. E C.A.P. Supponiamo di prendere in esame due travi: una in cemento armato normale e l’altra in precompresso. Supponiamo inoltre che per ambedue si abbia lo stesso valore delle tensioni tangenziali massime. Gli stati di tensione in corrispondenza dei relativi baricentri risultano i seguenti (Figg.D.5.9./21-22):
FIG. D.5.9./21
trazione sono date da: τ
τ
σ1 =
σ
σ
C.A. NORMALE.:
(0;t) (0;–t) OR = OP = |t| OM = +t ON = –t
τ
τ c.a.
c.a.p.
Punto O’ a coordinate:
Raggio del cerchio: O T =
σ2+4τ 2
σ2+4τ 2
80 2
–
1
1 (80)2+4τ 2 → – 48 = – – 2
2
σG
G
τ max
1 σ 2 +τ 2 = σ2+ 4τ 2 2 2
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
802+ 4τ 2
e quindi: 962 = 6400+4τ2 → τ = 26,5 Kg/cm2 Ponendo: σ2 = –22,57 Kg/cm2 si ottiene: τ ≈ 59 Kg/cm2
FIG. D.5.9./22
σ ,0 (centro del cerchio di Mohr) 2
1 σ + 2 2
1 σ σ2 = – 2 2
Supponiamo che si abbia: σ = 80 Kg/cm2 Se ponessimo la condizione: σ2 = –8 Kg/cm2 la tensione tangenziale relativa è data da:
–8=
C.A. PRECOMPRESSO: Punto P a coordinate: (s;0) Punto T a coordinate: (s;–τ)
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
è dato da:
Nel caso dei cavi postesi per la presenza di un cavo risultante che può avere inclinazione variabile rispetto all’asse della trave si hanno (in linea generale) componenti perpendicolari all’asse. B
l 2
Il valore ottimale (ai fini del taglio) del controcarico “q”
pe
A
PRO TTURALE STRU
ΤΙΙ = RA – (pp + pe – q)x
con valori massimi
pp
D.GETTAZIONE
• in seconda fase:
• in seconda fase (in servizio):
I ED PRE NISM ORGA
E ESE ESSIONAL PROF
l ΤΙΑ = (pp– q) 2
ΤΙ = R A – (pp– q)x
B.STAZIONI DILEGIZLII C.RCIZIO
• in prima fase:
con valori massimi (in assoluto)
ΤΑ = – TB =
Punto Q a coordinate: Punto P a coordinate: Raggio: Tensioni principali:
D.5. 9.
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
Occorre però tenere presente che le peggiori condizioni per le tensioni principali di trazione si possono avere in corrispondenza non del baricentro della sezione ma all’attacco tra anima e ali dove le tensioni normali possono essere modeste e le tensioni tangenziali ancora elevate (Fig. D.5.9./23).
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
FIG. D.5.9./23 Tensione principale di compressione:
OM´ = OO = OM = OO+OT =
1 σ + σ2+ 4τ 2 2 2
τ ≤ 4+
Tensione principale di trazione:
ON = –(O’N’– OO )= –(O T–OO) =
σ 1 2 – σ + 4τ 2 2 2
Dalla costruzione dei relativi cerchi di Mohr si individuano i valori delle tensioni principali. Di tali tensioni è quella di trazione che occorre contenere entro limiti ridotti per escludere i pericoli di fessurazione. È pertanto evidente che le tensioni tangenziali non possano superare limiti definiti in relazione alla qualità del conglomerato.
τ
Consideriamo un conglomerato Rck = 450 kg/cm2 Nel caso del cemento armato per le tensioni:
non occorre calcolare apposite armature a taglio. Le tensioni tangenziali non possono superare, in presenza di armatura apposita il valore:
τ = 14+
Q
450–150 = 8 Kg/cm2 75
450–150 = 22,57 Kg/cm2 35
Nel cemento armato tali valori coincidono con i valori delle tensioni principali di trazione. Supponiamo ora di considerare un elemento precompresso e sia σ la relativa tensione. Le tensioni principali di compressione e di
N' N
T
O' O
M
φ
M'
s
φ P TO 9. D.5. TO ARMA N CEME MPRESSO PRECO
D 111
D.5. 9.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO ➦ TAGLIO NELLE TRAVI DI PRECOMPRESSO PRESCRIZIONI DELLA NORMATIVA FIG. D.5.9./24
I CASO Se la tensione principale di trazione è minore od uguale a:
0,02 Rck non è richiesto il calcolo di armatura a taglio.
Al
∆x
II CASO Se la tensione principale di trazione è compresa tra:
σap
0,02 Rck e 0,04 Rck si deve calcolare l’armatura a taglio.
dove: σ2 è la tensione principale di trazione σa la tensione ammissibile per l’acciaio.
III CASO Se la tensione principale di trazione è compresa tra:
0,04 Rck e 0,06 Rck occorre: • Verificare che la tensione principale di compressione sia ≤ 0,24 Rck • Calcolare l’armatura a taglio
Con la tecnica a fili pretesi la verifica a taglio in prossimità degli appoggi deve essere effettuata con i criteri della sezione in cemento armato normale (Fig. D.5.9./24). Ciò è dovuto al fatto che la tensione nell’acciaio precompresso è necessariamente nulla in corrispondenza dell’estremo della trave, mentre raggiunge il valore σap a una distanza ∆x. Nel tratto ∆x il passaggio tra σap e zero avviene a causa della tensione tangenziale di aderenza tra conglomerato e acciaio. Ipotizzando che la tensione tangenziale di aderenza sia costante e uguale a τd deve risultare:
τd·π·D·∆x = σap Qualora si rientri nel primo caso occorre disporre un’armatura minima costituita da almeno tre staffe al metro con un’area complessiva maggiore od uguale a 0,15 b se si usa acciaio ad aderenza migliorata oppure a 0,25 b se si usa acciaio liscio. Il valore di “b” deve essere posto in cm. In ogni caso il passo delle staffe non deve superare il valore di (0,8*d) dove “d” è l’altezza utile della sezione. Qualora si rientri nel secondo o nel terzo caso, l’area complessiva delle staffe da porre nel concio di lunghezza ∆x è data da:
As =
π·D2 4
dove D è il diametro del filo. Si ha quindi:
∆x =
1 σap 4
τd
D
Per tale tratto pertanto deve essere prevista un’armatura a taglio che tenga conto della riduzione (al limite dell’annullarsi della precompressione).In particolare dovrà essere presente un’armatura longitudinale inferiore tale da soddisfare le condizioni:
τ · b·∆x σ2 ·b·∆x tgϕ = σa σa
Ai ≥
T (metodo tensioni ammissibili) σamm
dove σamm è la tensione dell’acciaio da c.a. normale usato:
con:
tgϕ =
σ2 τ
Ai ≥
Vd fyd
(metodo semiprobabilistico)
con analoga definizione per fd .
MOMENTO DI FESSURAZIONE Secondo le Norme italiane se le strutture si trovano in ambiente aggressivo occorre effettuare la verifica a fessurazione. Il grado di sicurezza alla fessurazione è dato dal rapporto fra il momento Mf che provoca la fessurazione e il momento Ms di servizio. Deve risultare:
η=
Mf Ms
≥ 1,3
σpv =
Il momento di fessurazione è dato dal momento che agendo sulla sezione omogeneizzata e considerata interamente reagente provoca una tensione di trazione pari al valore fcfm definito da: 3
fcfm = 1,2 · fcfm = 1,2 · 0,58
Rck2
Vediamo come si può calcolare il momento di fessurazione.
D 112
Siano: la forza di precompressione di seconda fase l’area della sezione omogeneizzata il modulo resistente della sezione omogeneizzata l’eccentricità della forza di precompressione. La tensione di compressione indotta al lembo inferiore della trave dalla sola precompressione vale:
N A Wi e
N A
+
Ne Wi
Il momento di fessurazione è quel momento che determina al lembo inferiore tensioni di trazione uguali a
σpr + fcfm
Sia ha: Mf = (σpr + fcfm)Wi
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO
D.5. 9. A.ZIONI
MOMENTO DI ROTTURA La determinazione di tale momento è, logicamente, obbligatoria se le verifiche sono effettuate con il metodo delle tensioni ammissibili. Nel metodo semiprobabilistico dato che le azioni di calcolo sono maggiorate la verifica di resistenza coincide con la verifica a rottura. Superato il momento di fessurazione la sezione in precompresso si comporta come una sezione in c.a. normale. Acciaio e conglomerato sono aderenti sia nel caso dei fili pretesi (data la necessaria aderenza insita nei presupposti) sia nel caso dei cavi postesi. L’iniezione di malta all’interno della guaina garantisce nel merito. Il calcolo esatto di rottura presuppone la conoscenza della legge di variazione della tensione nell’acciaio in funzione dell’allungamento unitario. Sia essa data dal diagramma (Fig. D.5.9./26). Si ipotizza che a rottura la deformazione unitaria di conglomerato sia:
εbr = 3,5 ·
εbr y=d → εa = εbr εbr+εa
d y
conoscendo il valore della precompressione e dell’area Ap del cavo risultante il valore:
PRO TTURALE STRU
Me
Ap
corrispondente alla tensione dell’acciaio dovuta alla precompressione. Dal diagramma otteniamo il valore εap dell’acciaio a causa della precompressione. Aggiungendo a tale valore il valore εa (funzione di y) si ha la tensione σa per la posizione dell’asse neutro (assunta arbitrariamente). Si può determinare T = σa Ap.
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
• la rottura avviene per causa dell’acciaio; • la forza di compressione corrispondente all’anima per la parte sottostante al bubo compresso (quella delimitata dai punti 5-6-7-8) è modesto.
N
I ED PRE NISM ORGA
D.GETTAZIONE
Mr
con Me = momento max di esercizio. Il calcolo esatto è molto laborioso. Nella pratica tecnica si possono usare formule approssimate che permettono una rapida valutazione del momento di rottura. Tali formule si basano su due considerazioni:
–1
B.STAZIONI DILEGIZLII
E ESE ESSIONAL PROF
Il relativo grado di sicurezza è dato da:
ηr =
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
C.RCIZIO
Mr = C · t = T · t
10–3
Assegnando un valore arbitrario di y si determina εa Dalla:
σap =
È possibile altresì calcolare la compressione C. Se risulta C = T la y assunta definisce la posizione dell’asse neutro. Se C ≠ T si modifica il valore y fino ad avere la uguaglianza delle due forze. Possiamo ora determinare la posizione di C (come risultante delle forze di compressione relative alle parti che intervengono nella zona compressa). Noto così il braccio delle forze interne “t”. Si ha:
Se indichiamo: con yG la distanza dal lembo superiore del baricentro del bulbo (delimitato dai punti 12-3-4-5-6); e con fptk la tensione caratteristica di rottura dell’acciaio da precompresso; si ha:
G.ANISTICA URB
Mr ≅ fyptk (d–yG) TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
FIG. D.5.9./25 D.5. TURE T STRU
σa G
1
ε br = 3,5 x
2
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
10 -3
yG 3
C 4
5
6
7
8
σ a (y)
y
σ ap
d t
Ap
εa
T
ε ap
εa
TO 9. D.5. TO ARMA N CEME MPRESSO PRECO
D 113
D.5. 10.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI PANNELLI ESTRUSI PER SOLAI FIG. D.5.10./1 PANNELLI PER ALTEZZE VARIABILI E DIVERSI QUANTITATIVI DI ARMATURA DI PRECOMPRESSIONE CONDIZIONE VINCOLARE: 1/8 1500 1425 1350 1275 1200 1125 1050 975
16 C
900 750
6 C
675
14 C
12 C
14 D
825
600
4 C
10 C
12 D 10 D 6 D
525 450 375 300 225 150
8.4
8.7
9.0
11.7
12.0
8.1
11.4
7.8
7.5
7.2
6.9
6.6
6.3
6.0
5.7
5.4
5.1
4.8
4.5
4.2
3.9
3.6
3.3
0
3.0
9.0
8.7
8.4
8.1
7.8
7.5
7.2
6.9
6.6
6.3
6.0
5.7
5.4
5.1
4.8
4.5
4.2
3.9
3.6
3.3
75 3.0
1000 950 900 850 800 750 700 650 600 550 500 450 400 350 300 250 200 150 100 50 0
4 D
PORTATA UTILE (kg/mq)
CONDIZIONE VINCOLARE: 1/8
H = 20 P.P. = 266 kg/m 2 14
20
H = 14 P.P. = 230 kg/m 2
119.4
119.4
CONDIZIONE VINCOLARE: 1/8
CONDIZIONE VINCOLARE: 1/8
2000
2000
1900
1900
1800
1800
1700
1700
1600
1600
1500
1500
1400
1400
1300
1200
6 B1 4 B1
1100
1100 1000
2
B1
1000
800
B6
700
8 A1 4 A1
800
0 A2
900
0 B1
900
2 A1
700
600
B4
600
0
500
A1
500
400
A6
400
A4
300
300
200
200
100
100
11.1
10.8
10.5
10.2
9.9
9.6
9.3
9.0
8.7
8.4
8.1
7.8
7.5
7.2
6.9
6.0
6.6
0
10
9.75
9.50
9.25
9.00
8.75
8.50
8.25
8.00
7.75
7.50
7.25
7.00
6.75
6.50
6.25
6.00
5.75
5.50
5.25
5.00
0
6.3
PORTATA UTILE (kg/mq)
1300
0 B2
1200
5.5 9.5
H = 34 P.P. = 465 kg/km 2
28
34
H = 28 P.P. = 341 kg/m 2
119.4
D 114
119.4
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI
D.5. 10. A.ZIONI
TIPI DI SOLAIO PER AMBIENTI INDUSTRIALI A GRANDI LUCI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.10./2 TEGOLO TIPO SOLDAL Solaio studiato per realizzare soppalchi e coperture con intradosso piano e con la caratteristica di offrire cunicoli impiantistici continui ispezionabile sia dal pavimento che dal soffitto. Il solaio è prodotto con altezza variabile da 7 a 95 cm e offre la possibilità di avere una serie di forature a passo variabile, per il passaggio trasversale degli impianti. I tegolo può essere montato
TESTATA CON SEDIA
accostato o distanziato. In ogni caso il completamento all’estradosso è ottenuto con una lastrina di collegamento e da un getto collaborante. La caratteristica forma del solaio garantisce una resistenza al fuoco minima di 120°, senza particolari accorgimenti. In caso di necessità si può ottenere resistenza superiore.
TESTATA NORMALE
IN TESTATA
E ESE ESSIONAL PROF
140
10/14
min. 45 (55) (65) (75) (85) (95)
10
5
5
D.GETTAZIONE
5
30
20
40
25
120
VAR.
25
S=14 S=10
65 0.270 102 298 108
75 0.290 127 318 136
85 0.310 155 330 164
E.NTROLLO F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
PROSPETTO
55 0.250 78 278 82
PRO TTURALE STRU
CO NTALE AMBIE
40
250
45 0.230 57 258 60
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
SEZ. CORRENTE
POSSIBILI FORATURE
H peso (t/mq) Mmax (t.m) peso (t/mq) Mmax (t.m)
B.STAZIONI DILEGIZLII
G.ANISTICA URB
95 0.330 180 358 192
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
FIG. D.5.10./3 TEGOLO OMEGA
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
148.5
a
118.5
b
D.5. TURE T STRU
c
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
5
115
1
2
96
5
15 12
PP Kg/m 2
a
226
b
300
c
338
a
287
b
328
c
374
60
55
35
1
5
2
H 55
H 60
PP Kg/m 2
12
120 TO 10. D.5. TO ARMA – N CEME MPRESSO UTTIVI PRECONTI COSTR ELEME
D 115
D.5. 10.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI ➦ TIPI DI SOLAIO PER AMBIENTI INDUSTRIALI A GRANDI LUCI FIG. D.5.10./4 TEGOLI A Π 249
199
199
9
65-80-100 12
27
47
40-50
5
5
249
15 TAB. D.5.10./1 ALTEZZA
H
CM
Larghezza
L
m
Peso proprio
P
kg/ml
475
525
625
740
890
790
Area ideale
Ai
cm2
1938
2123
2565
3043
3665
3188
Momento d'inerzia
J
cm4
249933
474162
1259619
2384106
4429920
361815
Sup.
Ws
cm3
26333
37395
60899
82513
111848
Inf.
Wi
cm3
8192
12705
28423
46650
73351
Wg
cm3
–
–
–
–
Sup.
ss
kg/cm2
+8,76
+7,19
+11,51
Inf.
si
kg/cm2
–173,09
–163,41
–167,64
Momento di rott.
Mr
kgm
27561
41076
93669
151823
Armatura agg. al lembo inferiore
As
cm2
3,08
4,02
6,28
6,28
Larghezza
L
m
Peso proprio
P
kg/ml
410
460
560
680
830
660
710
810
930
Area ideale
Ai
cm2
1688
1873
2315
2793
3415
2688
2873
3315
3793
Moduli di resistenza al lembo Modulo resistenza soletta Precompr. finale al lembo
Momento d'inerzia
40
50
65
80
100
40+5
50+5
65+5
80+5
840
940
1050
3373
3815
4293
658069
1713985
3259955
75529
93276
130948
165038
10276
15323
33017
54109
–
36956
54588
94753
131700
+6,98
+11,76
–
–
–
–
–166,30
–163,89
–
–
–
–
236954
31961
45992
100340
163792
6,28
3,08
4,02
6,28
7 60
2,50
2,00
J
cm4
235384
444277
1167513
2193839
4059980
344041
624685
1611241
3034985
Sup.
Ws
cm3
22361
31648
51553
70189
95929
60570
75445
106988
135732
Inf.
Wi
cm3
7986
12354
27566
45007
70391
10025
14974
32265
52651
Wg
cm3
–
–
–
–
–
32210
47030
80310
110942
Sup.
ss
kg/cm2
+8,35
+7,04
+12,71
+7,59
+13,50
–
–
–
–
Inf.
si
kg/cm2
–173,84
–163,99
–169,32
–167,73
–166,02
–
–
–
–
Momento di rott.
Mr
kgm
27263
38895
89942
146770
230514
31478
45358
96073
157826
Armatura agg. al lembo inferiore
As
cm2
3,08
3,08
5,09
5,09
5,09
3,08
4,02
5,09
6,28
Moduli di resistenza al lembo Modulo resistenza soletta Precompr. finale al lembo
TAB. D.5.10./2 ALTEZZA
H
CM
Larghezza
L
m
Peso proprio
P
kg/ml
1200
975
1025
1125
1240
1390
Area ideale
Ai
cm2
4915
3938
4123
4565
5043
5665
Momento d'inerzia
J
cm4
6085132
439777
771371
1955069
3700549
6901077
Sup.
Ws
cm3
210568
166555
168070
198157
233496
Inf
Wi
cm3
85584
11771
16986
35463
57684
Wg
cm3
179510
41331
61270
109397
Inf.
ss
kg/cm2
–
–
–
Sup.
si
kg/cm2
–
–
–
Momento di rott.
Mr
kgm
251091
36697
Armatura agg. al lembo inferiore
As
cm2
7,60
4,02
Larghezza
L
m
Peso proprio
P
kg/ml
1080
810
860
960
1080
1230
Area ideale
Ai
cm2
4415
3288
3473
3915
4393
5015
Momento d'inerzia
J
cm4
5616116
417278
733602
1847916
3466818
6406497
Sup.
Ws
cm3
174576
120600
128028
157135
188209
Inf.
Wi
cm3
82798
11419
16571
34708
56294
Wg
cm3
151088
36415
53434
93524
Sup.
ss
kg/cm2
–
–
–
Inf
si
kg/cm2
–
–
–
Mr
kgm
243488
36180
6,28
4,02
Moduli di resistenza al lembo. Modulo resistenza soletta Precompr. finale al lembo
Moduli di resistenza al lembo Modulo resistenza soletta Precompr. finale al lembo Momento di rott.
Armatura agg. al lembo inferiore
D 116
100+5
40+8
50+8
65+8
80+8
100+8
40+10
50+10
65+10
80+10
100+10
1100
1150
1250
1365
1515
4438
4623
5065
5543
6165
500062
853890
2115722
3981590
7408047
285022
376230
273688
264181
292612
344257
91058
12931
18214
37123
59970
94393
155169
214236
44139
65083
117484
168661
235035
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
51965
109600
170837
258380
38776
54384
109628
149610
231672
5,09
7,60
7,60
7,60
4,02
5,09
6,28
910
960
1060
1180
1330
3688
3873
4315
4793
5415
472767
811553
2004444
3742502
6901381
232625
224060
192768
203910
232021
277721
88420
12477
17723
36335
58593
91829
131243
180237
39047
57119
101057
143240
198057
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
48953
104487
164264
255722
38260
53698
108271
173566
261163
4,02
6,28
6,28
7,60
4,02
5,09
6,20
7,60
7,60
2,50
2,00
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI
D.5. 10. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.10./5 TEGOLI Π – DIAGRAMMI DELLE PORTATE
40
300
50
65
80
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
TEGOLI Π – L = 2,00 m – PER SEMPLICE COPERTURA 100
CARICO UTILE kg/m 2
CARICO UTILE kg/m 2
TEGOLI Π – L = 2,50 m – PER SEMPLICE COPERTURA
280 260 240 220 200 180 160 140
40
300
50
65
80
100
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
280 260 240 220
D.GETTAZIONE
200
PRO TTURALE STRU
180 160 140
120
120 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36
11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37
LUCE DI CALCOLO IN ml
LUCE DI CALCOLO IN ml
ALTEZZA h
40
50
65
80
100
ALTEZZA h
40
50
65
80
100
PESO kg/m2
190
210
250
295
355
PESO kg/m2
205
230
280
340
415
SENZA TREFOLI RICOPERTI (armatura A1)
SENZA TREFOLI RICOPERTI (armatura A1)
CON TREFOLI RICOPERTI (armatura A2)
CON TREFOLI RICOPERTI (armatura A2)
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
100 + Soletta 10 cm
1900 1800 1700 1600 1500 1400 1300 1200 1100
2000
80
100
1800 1700 1600 1500 1400 1300 1200 1100
900
800
800
+ Soletta 5 cm
1000
900
600
65
1900
1000
700
40 50
+ Soletta 10 cm
80
+ Soletta 8 cm
65
700 600
500
500
400
400
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
300
300 5
6
7
8
9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27
6
7
8
9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28
LUCE DI CALCOLO IN ml
LUCE DI CALCOLO IN ml
ALTEZZA H Soletta 5 cm PESO kg/m2
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
+ Soletta 5 cm
40 50
CARICO UTILE kg/m 2
2000
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
TEGOLI Π – L = 2,00 m – CON SOLETTA AGGIUNTIVA
+ Soletta 8 cm
CARICO UTILE
kg/m 2
TEGOLI Π – L = 2,50 m – CON SOLETTA AGGIUNTIVA
40
50
65
80
100
315
335
375
420
480
Soletta 8 cm
390
410
450
495
555
Soletta 10 cm
440
460
500
545
605
ALTEZZA H
PESO kg/m2
40
50
65
80
100
Soletta 5 cm
330
355
405
465
540
Soletta 8 cm
405
430
480
540
615
Soletta 10 cm
455
480
530
590
665
TO 10. D.5. TO ARMA – N CEME MPRESSO UTTIVI PRECONTI COSTR ELEME
D 117
D.5. 10.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI ➦ TIPI DI SOLAIO PER AMBIENTI INDUSTRIALI A GRANDI LUCI FIG. D.5.10./6 TEGOLI A Y LUCE DI CALCOLO
TEGOLO Y TRAVE PRINCIPALE
LUCE NOMINALE
TEGOLO Y h = 75 cm
TEGOLO Y h = 65 cm Luce nominale
Luce di calcolo
Luce nominale
Armature di precompressione
Luce di calcolo
Armature di precompressione
m
m
A1
A2
m
m
A7
10,00
9,45
538
986
16,00
15,45
528
A3
A4
A5
A6
A7
A8
A9
A10
A11
A12
A13
A14
11,00
10,45
768
17,00
16,45
435
528
12,00
11,45
604
18,00
17,45
357
440
515
579
13,00
12,45
477
717
19,00
18,45
292
366
433
490
540
14,00
13,45
378
585
20,00
19,45
236
303
363
415
459
503
543
15,00
14,45
480
21,00
20,45
189
249
303
350
390
429
467
500
16,00
15,45
393
538
22,00
21,45
202
252
294
331
366
400
430
17,00
16,45
322
449
559
23,00
22,45
207
246
279
312
342
370
18,00
17,45
375
473
537
551
24,00
23,45
203
234
264
292
317
19,00
18,45
312
400
458
470
25,00
24,45
194
221
247
271
20,00
19,45
259
338
391
402
26,00
25,45
184
208
230
21,00
20,45
285
333
343
22,00
21,45
240
283
292
FIG. D.5.10./7 MONTAGGIO
neretto = armatura minima con lastrina in c.a. - - - - - = limite lastrina in c.a.
FIG. D.5.10./8 TRASPORTO E SOLLEVAMENTO B = 200 PER TEGOLI L ≤19,50
B = 300 PER TEGOLI L > 19,50 B max 250
TIRANTI FILETTATI
FIG. D.5.10./10 SEZIONE DELLA COPERTURA FIG. D.5.10./9 TEGOLO Y
LASTRA CURVA
COMPRIBANDA 80
60
MATERASSINO COIBENTE IN LANA MINERALE 57
56
35
SOFFITTATURA IN LASTRE ONDULATE 44
SOFFITTATURA CON LASTRE IN C.A.
250 (241)* * per tegoli y 65 a soffittatura con lastre in c.a.
MATERIALI
Calcestruzzo Trefolo Acciaio Fe B 44K controllato Rete elettrosaldata
D 118
RESISTENZE CARATTERISTICHE kg/cm2 Rck > 550
TENSIONI AMMISSIBILI kg/cm2 compressione
σ c = 209
trazione
σ c = 33
fptk > 19000
trazione
σ sp = 11400
fyk > 4400
trazione
σ s = 2600
ftk>4500f (02)k>4000
trazione
σ s = 2400
CARATTERISTICHE TEGOLO Peso proprio Area ideale Distanza del baricentro dal lembo superiore Distanza del baricentro dal lembo inferiore Momento di inerzia Modulo di resistenza superiore Modulo di resistenza inferiore
Po Ai Xi Yi J Ws Wi
Y 65
Y 75
Kg/ml cm2 cm cm cm4 cm3 cm3
217 869,25 35,97 29,03 459221 12767 15818
263 1053,58 39,44 35,56 753698 19108 21197
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI
D.5. 10. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.10./11 TEGOLI A V
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA CARATTERISTICHE DIMENSIONALI
LUNGH. CONFEZ. TEGOLI
PARAMETRI MASSIMI
L = 12.00 / 25.18 m con passo di 2 cm Ht = 47.50 / 50.00 cm
H TESTATA
25.41 m
INTERASSE PILASTRI DIREZ. TRAVI
16.00 m 120 Kg/m 2
SOVRACCARICO ACCIDENTALE CARROPONTE
Hm = 75.00 / 100.00 cm
H MEZZERIA
INTERASSE PILASTRI DIREZ. TEGOLI
5 ton. al gancio
H SOTTOTEGOLO (rif. collo plinto) SPESSORE TEGOLI
6 cm
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
10.00 m 60 Kg/m 2
PRESSIONE CINETICA DEL VENTO
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
SPESSORE TEGOLI cm
PESO MEDIO DELLA COPERTURA CON ELEMENTI INTERPOSTI LEGGERI Pm = Kg/m 2 Lucernario 60 cm Lucernario 260 cm
6
195
129
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
P=4.2%
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
H
H
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
40 240 SEZIONE DI TESTATA
240 SEZIONE DI MEZZERIA
SCALA DI RAPP. 1:50 0
50
100
200 cm TO 10. D.5. TO ARMA – N CEME MPRESSO UTTIVI PRECONTI COSTR ELEME
D 119
D.5. 10.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI TRAVI FIG. D.5.10./12 TRAVI A DOPPIO T – SCHEMA DI MONTAGGIO B SEZIONE C
12/22
SEZIONE B
8
49/59
C
15 10
41
45
L=1200
90/100
A
20 10 1
LUNGHEZZA TRAVE SEZIONE A
1
36.5
20
13.5
50
ELEMENTO DI FISSAGGIO
PARTICOLARI
100
20
20
100
ROTAIA 20
20
PROFILO AD OMEGA
GIUNTO ROTAIA
2
SCARTAMENTO
GIUNTO TRAVE CARROPONTE
FIG. D.5.10./13 TRAVI A SPESSORE
90
15
65
120
28 20
48 20
48
28
35/40
15/20 20
15
PORTA TAMPONATURA
LATERALI
CENTRALI
15
80
80
15 95
SEZIONE D'APPOGGIO CAPITELLO
SEZIONE LONGITUDINALE
PILASTRO 15
TRAVE
120
D 120
40
25
40
15
15
15
15
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI
D.5. 10. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.10./14 TRAVI PER IMPALCATI DI GRANDE LUCE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
TC 70/78/84/110 B=90
TC 85/93/99/125 B=90
TR 45/53/59/85P B=90
TC 70/78/84/110P B=100
TC 85/93/99/125P B=100
20
40/50
20
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
85/93/99/125 40 1015 20/28/34/60 VAR.
45/53/59/85 25 VAR.
70/78/84/110 25 10 15 VAR.
20/28/34/60
20/28/34/60
TR 45/53/59/85 B=80
20
80/90
50/60
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
20
20
50/60
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
20
90/100
90/100
G.ANISTICA URB P.P. Kg/ml.
P.P. Kg/ml.
P.P. Kg/ml.
P.P. Kg/ml.
P.P. Kg/ml.
P.P. Kg/ml.
TR45
700
TR45P
813
TC70
1075
TC70P
1250
TC85
1263
TC85P
TR53
780
TR53P
913
TC78
1175
TC78P
1370
TC93
1363
TC93P
1595
TR59
840
TR59P
988
TC84
1250
TC84P
1460
TC99
1438
TC99P
1685
TR85
1100
TR85P
1313
TC110
1575
TC110P 1850
TC125
1750
TC125P 2075
1475 TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
TL 70/78/84/110 B=70
TL 85/93/99/125 B=70
TL 70/78/84/110P B=80
TL 85/93/99/125P B=80
20
20/28/34/80 20
60/70
52
D.5. TURE T STRU
VAR.
85/93/99/125
VAR.
20/28/34/80 32
20
25 10 15
45/53/59/85
VAR. 25
45/53/59/85
VAR.
40/60/75
45/85/100
25 32
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
20
50/60
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
25 10 15
TL 45/53/59/85 B=60 TL 45/53/59/85P B=70
20/28/34/60
TL 65/85/100 B=52
50/60
70/80
70/80
P.P. Kg/ml.
P.P. Kg/ml.
P.P. Kg/ml.
P.P. Kg/ml.
P.P. Kg/ml.
P.P. Kg/ml.
P.P. Kg/ml.
TL65
632
TL45 575
TL45P 688
TL70 975
TL70P 1150
TL85 1150
TL85P 1375
TL85
792
TL53 655
TL53P 788
TL78 1075
TL78P 1270
TL93 1250
TL93P 1500
TL100 912
TL59 715
TL59P 863
TL84 1150
TL84P 1360
TL99 1325
TL99P 1575
TL85 975
TL85P 1188
TL110 1475
TL110P 1750
TL125 1650
TL125P 1975 TO 10. D.5. TO ARMA – N CEME MPRESSO UTTIVI PRECONTI COSTR ELEME
D 121
D.5. 10.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI ➦ TRAVI FIG. D.5.10./15 TRAVI PER IMPALCATI DI GRANDE LUCE
TP125 B=50
TP133 B=50
TP90P B=55
TP100P B=55
TP125P B=55
TP133P B=55
20 10 20
8 20 10 10
10 10
85
133
125
15 10 20 10 20
85
8 22 45
100
45 15 10
90
812
TP100 B=50
8 12
TP90 B=50
15
15
50/55
20 10 20
50/55
15
20 10 20 15
50/55 P.P. Kg/ml.
P.P. Kg/ml.
P.P. Kg/ml.
P.P. Kg/ml.
P.P. Kg/ml.
50/55
P.P. Kg/ml.
P.P. Kg/ml.
P.P. Kg/ml.
TP90
TP90P
TP100
TP100P
TP125
TP125P
TP133
TP133P
740
800
820
857
690
849
792
1013
68
68
B
48
6 20 10
9
85
13
15
9
141015
24.5 19 24.5 TP150
A
50/54
103
8
35
9
14.5 9.5 35
15 19
14 10
85 14 10 35
21.5 25 21.5
17
190
8 85
9 170
15
10 18
A
103
B
52
35
68
6 20
B
6 20
50
15
68
TP150P
68
10 18
68
170
A
14 10 15
10
150
85
150
6 20
A
25.5 17 25.5
9
B
50
20.5 27 20.5
25
68
68
29 68
D 122
TP170
TP170P
TP190 TP190P
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI
D.5. 10. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.10./16 TRAVI PER IMPALCATI DI GRANDE LUCE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA A
150
4.5
100
E.NTROLLO
43
120
4 43
100
14
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
43
AL120
100 AL89.5
AL80
159 12 13 12
G.ANISTICA URB
161 61
61
12 15 12
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
61
100
6
6 4
140
23.5 21 23.5
24.5 19 24.5
68
AL120P
10
15 14
43
10
14
14 15
43
17.5
4
140
87.5
120
6
6 4
4
7
61
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
14
14
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
4
91 4
43
14
45
C.RCIZIO
D.GETTAZIONE
14
4
120
89.5
60.5
80
60.5
4
6.5
7
4 4 4 7.5 10
B
B
100
45
TIPO
7
A
91
TIPO
68
AL140
AL140P
D.5. TURE T STRU
26 7 5
61
170 14 15
14 10 AL160
68
10
35
140
140 35 14 10
21.5 25 21.5
21.5 25 21.5
68
12 15 12
61
6
12 17 12
6 4
61
6
61
6 4
12 15 12
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
8
61 61
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
199 161
161
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
25.5 17 25.5 AL160P
68
AL170
TO 10. D.5. TO ARMA – N CEME MPRESSO UTTIVI PRECONTI COSTR ELEME
D 123
D.5. 10.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI ➦ TRAVI FIG. D.5.10./17 TRAVI PER IMPALCATI DI GRANDE LUCE
9 21 9
80
80
9
80
26
26
26 23.5
25
85
14 10
15 9
35
35
85
170
190
19
15
14 10 15
85
17
9
7 85
80
81
190
9
7 85
9 23
785
81
203
199
203
21 23.5 21.5
25
19.5
21.5
29
19.5
68 68
68
ALA STRETTA
ALA LARGA AREA
PESO
Ys
Yi
SIGLA
D 124
AL190P
AL190
AL170P
JC (cm4)
AREA
PESO
Ys
Yi
cm2
kg/ml
cm
cm
SIGLA
JC (cm4)
cm2
kg/ml
cm
cm
TP90
2340
740
46,8
43,2
2477558
AL80
2195
577
46,0
34,0
2150084
TP90P
2790
800
46,5
43,5
2786705
AL89,5
3403
950
50,5
39,0
3865127
TP100
2840
820
47,7
52,3
3593003
AL120 A
4110
1100
63,0
57,0
9022894
TP100P
3340
857
48,0
52,0
4011087
AL120 B
3830
1050
67,0
53,0
7931021
TP125
2490
690
61,7
63,3
5334620
AL120P
4131
1100
70,0
50,0
8269372
TP125P
3115
849
61,9
63,1
6155308
AL140
4081
1071
67,3
72,7
11890080
TP133
2890
792
60,6
72,4
6821624
AL140P
4316
1133
67,0
73,0
12168650
TP133P
3555
1013
61,7
71,3
7830830
AL160
4793
1258
78,6
81,4
17307389
TP150 A
3797
998
81,0
69,0
11246656
AL160P
5134
1348
78,7
81,3
18082528
TP150 B
4217
1108
74,0
76,0
13149820
AL170
5240
1376
71,6
98,4
22438934
TP150P A
4088
1073
79,8
70,2
11769550
AL170P
5885
1545
72,2
97,8
23870859
TP150P B
4436
1165
74,0
76,0
13371120
AL190
6021
1580
83,0
107,0
31181851
TP170 A
4549
1194
91,7
78,3
16572658
AL190P
6535
1716
82,2
107,8
31925837
TP170 B
4887
1283
86,0
84,0
18712996
TP170P A
4869
1278
91,0
79,0
17274143
TP170P B
5211
1368
85,2
84,8
19338460
TP190
4882
1282
101,7
88,3
22242985
TP190P
5576
1464
99,8
90,2
24081469
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI
D.5. 10. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.10./18 TRAVI A CASSONE – PROFILI DIMENSIONI E CARATTERISTICHE STATICHE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO 34.5
E ESE ESSIONAL PROF
260.5
260.5 191.5
34.5
34.5
191.5
D.GETTAZIONE
34.5
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
90
S1
CO NTALE AMBIE
S2
S2
90
S1
99.25
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
25
S2 15 25
S1 14 15.75
S2 15 25
S1 14 15.75
249
25
F. TERIALI,
G.ANISTICA URB 271
271
202
120
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
S1
S2
S2
S1
99.25
S2 15 25
S1 14 15.75
34.5
34.5
202
120
34.5
34.5
25
25
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
S2 15 25
S1 14 15.75
D.5. TURE T STRU
285
285 34.5
34.5
216
216
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
34.5
160
160
34.5
249
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
S1
S2
S2
S1
25
249
25
99.25 S1 14 15.75
S2 15 25
S1 14 15.75
S2 15 25
TO 10. D.5. TO ARMA – N CEME MPRESSO UTTIVI PRECONTI COSTR ELEME
D 125
D.5. 10.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI ➦ TRAVI FIG. D.5.10./19 TRAVI A CASSONE – PROFILI DIMENSIONI E CARATTERISTICHE STATICHE
299
299 34.5
230
34.5
34.5
200
34.5
S1
S2
S2
200
S1
230
99.25
S1 14 15.75
25
S2 15 25
25
S2 15 25
S1 14 15.75
292
292 34.5
249
34.5
34.5
223
S1
S1
180 S2
S2
180
34.5
223
99.25 S1 14 15.75
D 126
S2 15 25
25 S1 14 15.75
S2 15 25
249
25
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI
D.5. 10. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.10./20 ELEMENTI DI CHIUSURA PER TRAVI A CASSONE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
GUSCIO CASSONE H=90 TIPO 2
C.RCIZIO MAX.
30 25
MAX.
D.GETTAZIONE
90
90
150
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
150
25
30
GUSCIO CASSONE H=90 TIPO 1
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
100
0/100
100
VAR.
0/100
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
VAR.
G.ANISTICA
GUSCIO CASSONE H=120 TIPO 2
30
URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
120
180
120
180
MAX.
25
MAX.
25
30
GUSCIO CASSONE H=120 TIPO 1
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
100
0/100
100
VAR.
VAR.
GUSCIO CASSONE H=160/180 TIPO 1
D.5. TURE T STRU
30
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
25
MAX.
25
30
GUSCIO CASSONE H=160/180 TIPO 2
175
0/100 VAR.
100
MAX.
160/180
220/240
160/180
VAR.
0/20 220/240
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
0/100
0/100 VAR.
TO 10. D.5. TO ARMA – N CEME MPRESSO UTTIVI PRECONTI COSTR ELEME
D 127
D.5. 10.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI ➦ TRAVI FIG. D.5.10./21 TRAVI A DOPPIA PENDENZA 30 30 MAX 156.75
TIPO B3
65
10%
75/13725 DA 9.60 m A 18.35 m
20
20 5
5 PESO MEDIO Kg/ml 360
30 TIPO B6
30
90/152
MAX 156.75
10%
517.5
25
20
20 DA 12.20 m A 24.70 m 5
5
PESO MEDIO Kg/ml 405 35
TIPO B7 35
90/165
MAX 209.50
10%
720 25 DA 12.20 m A 25.70 m
25
25 5
5
PESO MEDIO Kg/ml 505 50
50
TIPO B8
MAX 240.00
10%
85/185
685 30 30
DA 16.00 m A 30.00 m PESO MEDIO Kg/ml 650
D 128
5
30 5
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI
D.5. 10. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.10./22 TRAVI A DOPPIA PENDENZA
B.STAZIONI DILEGIZLII
TIPO B10
I ED PRE NISM ORGA
10%
78
C.RCIZIO
80/180
300
825 50
E ESE ESSIONAL PROF
200 DA 17.10 m A 33.10 m
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
58
PESO MEDIO Kg/ml 850
58 05.252 XAM
38
38 TIPO B11
10
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
10
URB
10%
79 80/180
300
825 50
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
200 DA 17.10 m A 33.10 m
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
58
PESO MEDIO Kg/ml 970
58 05.262 XAM
38
38 10
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
10
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
10%
28 70/150
840
635
50
DA 23.30 m A 41.30 m 90
PESO MEDIO Kg/ml 1350
90 05.882 XAM
SCALA DI RAPP. 1:50
SCALA DI RAPP. 1:200 0
200
400
800 cm
0
50
100
70
70 200 cm 10
10
TO 10. D.5. TO ARMA – N CEME MPRESSO UTTIVI PRECONTI COSTR ELEME
D 129
D.5. 10.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI ➦ TRAVI FIG. D.5.10./23 TRAVI PER CAPANNONI INDUSTRIALI
20 5
30
51 5
4R
51R
R15
52
34
R4
001
136 57
29 51R
43¡ 44¡
PESO PROPRIO
P
Kg./ml.
630
AREA IDEALE
A
cm 2
2380
SUP.
Ys
cm
47.8
INF.
Yi
cm
52.2
J
cm 4
2273800
SUP.
Ws
cm 3
47569
INF.
Wi
cm 3
43559
DISTANZA BARICENTRO DAL LEMBO
MOMENTO D'INERZIA MODULO DI RESISTENZA
248
45
45
50
001
001
031
031
SEZIONE
1
2
3
4
PESO PROPRIO
P
Kg./ml.
724
600
979
816
AREA IDEALE
A
cm 2
2896
2400
3915
3266
SUP.
Ys
cm
49.6
49.6
67.0
67.4
INF.
Yi
cm
50.4
50.4
63.0
62.6
J
cm 4
2586400
2169700
5970500
5052100
SUP.
Ws
cm 3
52145
43744
89112
74957
INF.
Wi
cm 3
51317
43050
94770
80704
DISTANZA BARICENTRO DAL LEMBO MOMENTO D'INERZIA MODULO DI RESISTENZA
D 130
50
TRAVE DI BANCHINA
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI
D.5. 10. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.10./24A E FIG. D.5.10./24B TRAVI PER CAPANNONI INDUSTRIALI
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO 002
002
002
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
61.5
64
61.5
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
SEZIONE
1
2
3
PESO PROPRIO
P
Kg./ml.
1130
1195
1300
AREA IDEALE
A
cm 2
4524
4774
5228
SUP.
Ys
cm
126.7
128.0
128.2
INF.
Yi
cm
73.3
72.0
71.8
J
cm 4
12408000
13277000
13043000
SUP.
Ws
cm 3
101878
103720
101739
INF.
Wi
cm 3
176098
184400
181657
DISTANZA BARICENTRO DAL LEMBO MOMENTO D'INERZIA MODULO DI RESISTENZA
60
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
TRAVI DI BORDO E DI CONVERSA Quando le travi di bordo hanno anche la funzione di supporto ai tamponamenti, vengono vincolate alla sommità dei pilastri con spinotti filettati. Le travi di conversa che appoggiano sulle pareti laterali dei pilastri sono munite di armatura sporgente per realizzare, dopo il getto, il collegamento alla struttura.
90
TIPO BP 60/48 7
60
7
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
8
36
60
7.5
24
16.5
48 36
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
8
12
8
TIPO Y 90/60
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
PESO Kg/ml 260
PESO Kg/ml 280
8 10
70
10 TO 10. D.5. TO ARMA – N CEME MPRESSO UTTIVI PRECONTI COSTR ELEME
D 131
D.5. 10.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI PILASTRI
50
VAR.
VAR.
40
41 49
VAR.
50
50
70
70/40
50 20
35 50 35
70/40
20
VAR.
50
20
70 70
VAR.
70/40
40/70
50 20
70
VAR.
VAR.
MAX 1600
40
25
VAR.
50
FIG. D.5.10./25 PILASTRI MONOPIANO
120
FIG. D.5.10./26 PILASTRI PLURIPIANO 80
45
60
A 50
SEZ.C
60
60
C 80
35
50
80
50
SEZ.A
50 10
50
VAR.
490
25
D 132
B
VAR.
430
VAR.
SEZ.B
30
1400
25
20
30
80
60
VAR.
420
50
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI
D.5. 10. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.10./27 PILASTRI PLURIPIANO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE 60
120
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
60
SEZ.A
A
20 315
20
60
400
315
A
PRO TTURALE STRU
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
40
G.ANISTICA
60
URB
B
420
600
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
60 SEZ.B 80
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
40
80
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
240
80
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
80
10
80
C
D.5. TURE T STRU
SEZ.A
10 466
30 60 30 SEZ.C
80
1356
120
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
30 60 30
80
80
80
TO 10. D.5. TO ARMA – N CEME MPRESSO UTTIVI PRECONTI COSTR ELEME
D 133
D.5. 10.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI ➦ PILASTRI
120
DI CAMPATA
15
90
15/20
40 15
90
80
15/20
15
H MAX 1400
15/20
30/40
120
315/320
120
15
DI BORDO
620
80
120
80
D'ANGOLO
CARATTERISTICHE DEL PILASTRO: LUNGH. MAX 1400 cm 35
D 134
50
35
30/40 15/20
15/20
30/40
315/320
120
15/20
15/20
15/20
30/40
FIG. D.5.10./28 PILASTRI PLURIPIANO PER FABBRICATI CIVILI
SEZIONE DEL FUSTO PER IL PRIMO ORDINE: 60 x 60, 60 x 50, 50 x 50 cm PER IL SECONDO E TERZO ORDINE 40 x 40 cm
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI
D.5. 10. A.ZIONI
PLINTI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.10./29 TIPOLOGIE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
VARIABILE PL3
D.GETTAZIONE E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
40
90
VARIABILE
PRO TTURALE STRU
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM SEZIONE MAX PILASTRO 55 x 75
G.ANISTICA URB
+0.10
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
40
0.00
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
90
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
40
5
170
LUNGHEZZA MAX 12.00 MT
LIVELLAMENTO
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
PARTICOLARI DI PANNELLI DI TAMPONAMENTO VERTICALE
PARTICOLARI DI PANNELLI DI TAMPONAMENTO ORIZZONTALE
PIANO PAV. FINITO
PIANO DI POSA
TRAVE DI FONDAZIONE MAGRO DISASSAMENTO
PANNELLO DI TAMPONAMENTO VARIABILE
PLINTO
SPESSORAMENTO PER ALLINEARE GLI APPOGGI
PLINTO
(VARIABILE)
VARIABILE
5
VARIABILE
30
PIANO PAV. FINITO
25
PANNELLO DI TAMPONAMENTO
PIANO DI POSA
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
TO 10. D.5. TO ARMA – N CEME MPRESSO UTTIVI PRECONTI COSTR ELEME
D 135
D.5. 10.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI ELEMENTI DI CHIUSURA FIG. D.5.10./30 PANNELLI ORIZZONTALI E D’ANGOLO
X
SEZIONE X
4.1
PROSPETTO TRAVE PANNELLO
01 .RAV
2.4 01 4.1
L SEZIONE Y
36 50 VAR.
4.1
Y
PROSPETTO PANNELLO SEMPLICE
042/071
2.4
.RAV .RAV
042/071
20
01 2.4 042/071
042/071
20
2.4 01 4.1
L
36
L ESTERNO
LATO VAR. MAX. 221 61
ESTERNO OSSIF OTAL
63 02 PART. NODO PANNELLI ORIZZ. CON COSTOLATURE POSTI D'ANGOLO
PART. PANNELLO D'ANGOLO
FIG. D.5.10./31 PANNELLI ESTRUSI PER TAMPONATURE ORIZZONTALI O VERTICALI A
H MAX. 600
60/120
EVENTUALE SPUGNA
A L TAMPONAMENTO ORIZZONTALE
PARTICOLARE GIUNTO
14
0.6
60/120 60/120 TAMPONAMENTO VERTICALE
D 136
SEZIONE PANNELLO
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI
D.5. 10. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.10./32 CHIUSURE ESTERNE ORIZZONTALI
I ED PRE NISM ORGA
Max 12.00
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
Max 3.20
14/28
B.STAZIONI DILEGIZLII
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
14/16
22/26
20/24
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
28
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
5
x
4
5
x
5
6
5
11/15
6
x
D.5. TURE T STRU
15
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
SPESSORE cm 14/16
SPESSORE cm 20/24
SPESSORE cm 22/26
SPESSORE cm 28
LUNGHEZZA MASSIMA m 7.00/10.00
LUNGHEZZA MASSIMA m 10.00/12.00
LUNGHEZZA MASSIMA m 7.50
LUNGHEZZA MASSIMA m 9.00/11.00
PESO kg/m 2 270 /300
PESO kg/m 2 350 /400
PESO kg/m 2 425 /475
PESO kg/m 2 525 /525
COEFFICIENTE DI TRASMITTANZA
COEFFICIENTE DI TRASMITTANZA
COEFFICIENTE DI TRASMITTANZA
COEFFICIENTE DI TRASMITTANZA TERMICA kcal/m 2 h°C
TERMICA
kcal/m 2
h°C 1.3/1.2
TERMICA
kcal/m 2
h°C 1.0/.8
TERMICA kcal/m
2
h°C .5
.5(x=5) .4(x=7)
SCALA DI RAPP. 1:10
0
10
30 cm
TO 10. D.5. TO ARMA – N CEME MPRESSO UTTIVI PRECONTI COSTR ELEME
D 137
D.5. 10.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI ➦ ELEMENTI DI CHIUSURA
18
4 10 4
FIG. D.5.10./33 CHIUSURE ESTERNE VERTICALI
200
COEFFIC. DI TRASMITTANZA TERMICA Kcal/m 2 h °C 1
5 10 5
PESO Kg/m 2 300
20
MAX 10.00 (MAX 16.00)
ALTEZZA MASSIMA 16
150/240
ALTEZZA MASSIMA 10
2
PESO Kg/m 350
COEFFIC. DI TRASMITTANZA TERMICA Kcal/m 2 h °C 1/.8
(2.00 c.a.p.)
20
(18)
2.40 c.a.o.
6 10 4
20/28
240
COEFFIC. DI TRASMITTANZA TERMICA Kcal/m2 h °C .8
15
PESO Kg/m 2 310
6 5
26
ALTEZZA MASSIMA 10
200
COEFFIC. DI TRASMITTANZA TERMICA Kcal/m 2h °C .5
15
PESO Kg/m 2 525
6 7
28
ALTEZZA MASSIMA 10
150/240
ALTEZZA MASSIMA 10
D 138
PESO Kg/m 2 525
COEFFIC. DI TRASMITTANZA TERMICA Kcal/m2 h °C .4
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI
A.ZIONI
SCHEMI DI MONTAGGIO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.10./34 CAPANNONE INDUSTRIALE – SCHEMA TIPO b
L
c
L
c SEZIONE LONGITUDINALE
90/110/120/130
H
DISTANZA BORDO ESTERNO TRAVE - TEGOLO b=39 cm 55
DISTANZA TRA I TEGOLI c=23 cm
L + b + c/2
L+c SEZIONE TRASVERSALE
d
e
d
e
D.5. 10.
d
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM 90/110/120/130
H - 90/110/120/130
G.ANISTICA URB 45/50
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
I - e/2
I
LARGHEZZA TEGOLO d=240 cm LARGHEZZA LUCERNARIO e=60/260 cm
FIG. D.5.10./35 PANNELLI APPLICATI IN LUCE AI PILASTRI
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
TRAVE DI GRONDA SOLAIO DI COPERTURA OTNEMANOPMAT ID ILLENNAP
D.5. TURE T STRU
TRAVE CAPAV
PROSPETTO SIGILLATURA SUPPORTO IN POLIURETANO
PILASTRO
01
PIANO PAVIMENTO FINITO
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
SIGILLATURA
53
PLINTO DI FONDAZIONE SEZIONE
SUPPORTO IN POLIURETANO GIUNTO ORIZZONTALE
GIUNTO VERTICALE PARTICOLARE
TO 10. D.5. TO ARMA – N CEME MPRESSO UTTIVI PRECONTI COSTR ELEME
D 139
D.5. 10.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI ➦ SCHEMI DI MONTAGGIO FIG. D.5.10./36 PANNELLI ORIZZONTALI APPLICATI ALL’ESTERNO DEI PILASTRI
TRAVE DI GRONDA SOLAIO DI COPERTURA
PANNELLI DI TAMPONAMENTO
B: PANNELLI APPLICATI ALL'ESTERNO DEI PILASTRI
TRAVE CAPAV
PILASTRO
PROSPETTO
35
10
PIANO PAVIMENTO FINITO
PLINTO DI FONDAZIONE
SEZIONE SOLUZIONE D'ANGOLO
PARTICOLARE
FIG. D.5.10./37 PANNELLI VERTICALI APPLICATI ALL’ESTERNO DEI PILASTRI
PANNELLO DI TAMPONAMENTO
SOLAIO DI COPERTURA
TRAVE
PROSPETTO
35
10
PILASTRO
PLINTO FONDAZIONE DEI PANNELLI SEZIONE LONGITUDINALE
PORTALE IN CARPENTERIA METALLICA
SEZIONE ANCORAGGIO DEI PANNELLI E SCOSSALINA
D 140
PORTALE IN CEMENTO ARMATO
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI
D.5. 10. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.10./38 ASSEMBLAGGIO DI VARI COMPONENTI PREFABBRICATI
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB CALDANA COLLABORANTE PANNELLO ALVEOLARE H 20/28 TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
SOLAIO ALVEOLARE TRAVE
CAPITELLO
20/28 5
PILASTRO PLURIPIANO TRAVE A SPESSORE IN C.A.P.
PARTICOLARE APPOGGIO SOLAIO - TRAVE FIG. D.5.10./39 EDIFICIO MULTIPIANO CON LUCERNARI E SOPPALCHI CIN TEGOLI TT APPOGGIATI SU TRAVI E MONOPIANO CON TRAVI DA CARROPONTE
LUCERNAIO
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
TEGOLO TT H 25/41/61/76 D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
TRAVE PIANA GETTO COLLABORANTE
TEGOLO IMPALCATO
TRAVE CARROPONTE
PILASTRO
CORDOLO PORTATAMPONATURA
BICCHIERE DI FONDAZIONE
TO 10. D.5. TO ARMA – N CEME MPRESSO UTTIVI PRECONTI COSTR ELEME
D 141
D.5. 10.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI ➦ SCHEMI DI MONTAGGIO FIG. D.5.10./40 EDIFICIO MULTIPIANO CON LUCERNARI E SOPPALCHI CIN TEGOLI TT APPOGGIATI SU TRAVI E MONOPIANO CON TRAVI DA CARROPONTE
PANNELLO DI TAMPONATURA TEGOLO TT
TRAVE TL
TRAVE TL
BICCHIERE DI FONDAZIONE
TRAVE CON SBALZO
TEGOLO TT H 40/60/75
CALDANA
TRAVE PORTAPANNELLO
CAMPATA
FIG. D.5.10./42 ESEMPIO DI UTILIZZO DI VARI COMPONENTI PER EDIFICIO MONOPIANO
FIG. D.5.10./41 EDIFICIO MULTIPIANO, PILASTRI CON CAPITELLI, TRAVI IN C.A. E SOLAI ALVEOLARI
PANNELLO ORIZZONTALE
60
CAPITELLO PANNELLO ALVEOLARE 023=H
MAX 840 Nx120
D 142
MAX 840 Nx120
MAX 840 Nx120
SBALZO
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI
A.ZIONI
PARTICOLARI COSTRUTTIVI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.10./43 NODI DI COPERTURA 1
1 LUCERNARIO IN VETRORESINA GRECATA
2
D.5. 10.
2
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
1 1 3
3
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
NODO DI TESTATA: Particolare fissaggio tamponamento al tegolo IPER. 1) Scossalina 2) Guaina ardesiata 3) Poliuretano espanso ad alta densita'
G.ANISTICA URB NODO TRAVE-TEGOLI: I tegoli sbalzano all'interno della conversa per consentire lo scarico delle acque meteoriche nella trave. NODO LATERALE: Particolare fissaggio tamponamento alla trave H. 1) Scossalina 2) Guaina ardesiata 3) Canale
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
60/260
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
FIG. D.5.10./44 CONNESSIONI DI SOPPALCHI
TEGOLO/PANNELLO ALV.
TEGOLO/PANNELLO ALV.
TEGOLO/PANNELLO ALV.
TRAVE TL TRAVE MENSOLA
MENSOLA
PILASTRO
PILASTRO
TRAVE
PILASTRO
TO 10. D.5. TO ARMA – N CEME MPRESSO UTTIVI PRECONTI COSTR ELEME
D 143
D.5. 10.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI ➦ PARTICOLARI COSTRUTTIVI FIG. D.5.10./45 CONNESSIONI TRA TRAVI E PILASTRI TRAVE T
TRAVE TP 90/100 TRAVE TP 90/100
SCATOLARE
PIASTRA PILASTRO SPINOTTO PILASTRO PILASTRO MENSOLA FIG. D.5.10./46 TRAVI DELL’IMPALCATO MEDIO
15
15
50
15
SOLETTA DI RIPARTIZIONE
h
S
5
(SOLETTA)
5
50
H
H
(SOLAIO)
(TRAVE)
(TRAVE)
Sono parzialmente in spessore di solaio per contenere l'altezza strutturale; all'estradosso la staffatura sporgente garantisce il collegamento con il getto integrativo da realizzare in opera FIG. D.5.10./47 SOLAIO ALVEOLARE INTERMEDIO
120
h S
15 15
(SOLETTA)
(SOLAIO)
Normalmente è prevista una soletta aggiuntiva di ripartizione oltre al getto delle nervature longitudinali del solaio. Al fine di realizzare l'appoggio dei pannelli del solaio in corrispondenza del pilastro le travi prolungano alle testate la lesena corrente laterale
D 144
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI
D.5. 10. A.ZIONI
FIG. D.5.10./49 NODO TRAVE-TEGOLI – I TEGOLI SBALZANO ALL’INTERNO DELLA CONVERSA PER CONSENTIRE LO SCARICO DELLE ACQUE METEORICHE DELLA TRAVE
FIG. D.5.10./48 NODO LATERALE – PARTICOLARE DEL FISSAGGIO DEL TAMPONAMENTO ALLA TRAVE VETRORESINA ONDULATO
LUCERNARIO
SCOSSALINA IN LAMIERA
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO TEGOLO IPER
TIMPANI DI CHIUSURA DEL LUCERNARIO
LUCERNARIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
TAMPONAMENTO COIBENTATO
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
TIMPANO DI CHIUSURA LUCERNARIO SCOSSALINA IN LAMIERA DISPOSITIVO DI FISSAGGIO CANALE
NEOPRENE
IMPERMEABILIZZAZIONE CANALE CON GUAINA
CANALE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
ELEMENTO DI RACCORDO FRA TRAVE AD H E PLUVIALE INCORPORATO
G.ANISTICA URB
GUAINA TEGOLO IPER
NEOPRENE
ELEMENTO DI RACCORDO FRA TRAVE AD H E PLUVIALE INCORPORATO
PLUVIALE φ 140 INCORPORATO
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
PILASTRO
NEOPRENE
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
PLUVIALE φ 140 INCORPORATO
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
PILASTRO
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
FIG. D.5.10./50 NODI COSTRUTTIVI TIPICI TEGOLO
TEGOLO
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
50/65
65/75
D.5. TURE T STRU
TRAVE H
TO 10. D.5. TO ARMA – N CEME MPRESSO UTTIVI PRECONTI COSTR ELEME
D 145
D.5. 10.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI ➦ PARTICOLARI COSTRUTTIVI
50/65
65/75
FIG. D.5.10./51 NODI COSTRUTTIVI TIPICI
CONTROSOFFITTATURA
50
50
FIG. D.5.10./52 NODI DI TESTATA – PARTICOLARE DI FISSAGGIO DEL TAMPONAMENTO AL TEGOLO IPER SCOSSALINA IN LAMIERA
GUAINA ARDESIATA ELASTOMERICA
POLIURETANO ESPANSO AD ALTA DENSITA'
SCOSSALINA IN LAMIERA
TAMPONAMENTO COIBENTATO
VETRORESINA ONDULATO
RIVESTIMENTO IN LASTRE ONDULATE LASTRE ONDULATE MATERASSINO CANALE IN ISOLANTE LAMIERA LISTELLO SUPPORTO IN LEGNO COIBENTE
COIBENTE DISPOSITIVO DI FISSAGGIO
DISPOSITIVO DI FISSAGGIO
TRAVE DI BORDO
TRAVE DI BORDO NEOPRENE
TRAVE AD H
CANALE IN LAMIERA
PILASTRO TAMPONAMENTO COIBENTATO
PLUVIALE ESTERNO
D 146
LISTELLO IN LEGNO
MATERASSINO ISOLANTE LASTRE ONDULATE
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI
D.5. 10. A.ZIONI
FIG. D.5.10./53 SOLUZIONE CON TRAVE DI CONVERSA
FIG. D.5.10./54 SOLUZIONE CON PANNELLO DI COLMO MATERASSINO ISOLANTE
LASTRE ONDULATE LISTELLO IN LEGNO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII
ELEMENTO CURVO DI COLMO
TRAVE DI CONVERSA CANALE IN LAMIERA
LASTRE ONDULATE
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE 60
PRO TTURALE STRU
60
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
PLUVIALE ESTERNO
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
FIG. D.5.10./55 SOLUZIONI PIANE 4
4
CON SOLAIO 5
G.ANISTICA
2
3
URB
2
6 1
7
248 1 2 3 4
250/300 TEGOLO MATERASSINO ISOLANTE TIRANTE COPERTURA
5 6 7
4
CON LUCERNARIO
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
248 TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
IMPERMEABILIZZAZIONE LASTRA PIANA IN C.A. TRAVE DI BANCHINA
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
8
5
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
3
6
2 1
248 1 2 3 4
D.5. TURE T STRU
7
Variabile
TRAVE MATERASSINO ISOLANTE TIRANTE COPERTURA OPACA
5 6 7 8
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
248
IMPERMEABILIZZAZIONE LASTRA SOFFITTA TRASLUCIDA TRAVE DI BANCHINA LASTRA COPERTURA TRASLUCIDA 4
ACCOSTATI 5
3
2
6
1
248 1 2 3
TEGOLO MATERASSINO ISOLANTE TIRANTE
248 4 5 6
COPERTURA OPACA IMPERMEABILIZZAZIONE TRAVE DI BANCHINA
248 TO 10. D.5. TO ARMA – N CEME MPRESSO UTTIVI PRECONTI COSTR ELEME
D 147
D.5. 10.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI ➦ PARTICOLARI COSTRUTTIVI FIG. D.5.10./56 SOLUZIONI SHED MACROSHED
4
4
6
5 2
3
2 1
7
248 1 2 3 4
TEGOLO MATERASSINO ISOLANTE TIRANTE COPERTURA
5 6 7
250/300
248
IMPERMEABILIZZAZIONE LASTRA SHED IN C.A. TRAVE DI BANCHINA 4
7
MICROSHED 8 5 3
2 1 6
265 1 2 3 4
TEGOLO MATERASSINO ISOLANTE TIRANTE COPERTURA LASTRE ONDULATE
265 5 6 7 8
265
IMPERMEABILIZZAZIONE TRAVE DI BANCHINA COLMO SHED INFISSO
SCOSSALINA IN LAMIERA ELEMENTO A "TRIANGOLO"
SERRAMENTO
SCOSSALINA IN LAMIERA
FISSAGGIO CON TIRAFONDI ZINCATI
D 148
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO – ELEMENTI COSTRUTTIVI
D.5. 10. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.10/57 LUCERNARI A FILO DI FALDA
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF ELEMENTO CURVO DI COLMO
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
VELARIO ANTICONDENSA
RETE ANTICADUTA TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
CUPOLINO DOPPIA LASTRA
SUPPORTO IN VETRORESINA COIBENTATO
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
DOPPIA GUAINA
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
BARRIERA VAPORE
MATERASSINO ISOLANTE
TO 10. D.5. TO ARMA – N CEME MPRESSO UTTIVI PRECONTI COSTR ELEME
D 149
D.5. 11.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE ACCIAIO
•
STRUTTURE
ACCIAI DA CARPENTERIA Gli acciai in genere sono leghe di ferro e carbonio con tenore in carbonio inferiore al 2%. In genere negli acciai sono anche presenti percentuali di altri elementi (ad esempio, silicio, manganese, fosforo, zolfo) necessari per conferire particolari caratteristiche al prodotto finito oppure aggiunti per migliorare il processo siderurgico. All’aumentare della percentuale di carbonio variano le caratteristiche resistenti del prodotto e precisamente:
unificata. Sono prodotti tre tipi di acciaio indicati come: Fe 360; Fe 430; Fe 510 dove il numero indica il valore della resistenza a rottura espresso in N/mm2. Con tali acciai, laminati a caldo, si ottengono:
• aumenta la resistenza; • diminuisce la duttilità.
La normativa indica, per i due tipi di prodotti sopra definiti, i valori minimi:
Data l’importanza della duttilità gli acciai da carpenteria debbono avere un basso tenore di carbonio: in linea generale minore dello 0,24%. Nei paesi aderenti alla Comunità Europea la produzione degli acciai da carpenteria è
• profilati, barre, larghi piatti, lamiere; • profilati cavi.
• • • •
della tensione unitaria di rottura ft (N/mm2); della tensione unitaria di snervamento fy (N/mm2); della resistenza KV alle temperature +20°, 0°, –20° (J = Nm); dell’allungamento percentuale a rottura εt .
TIPI DEI PROFILATI Tra i profilati di maggiore uso si hanno i seguenti: ad ali strette e rastremate
IPN
ad ali medie e parallele
IPE
PROFILATI A DOPPIO T ad ali larghe
serie leggera
HEA
serie normale
HEB
serie pesante
HEM
Serie pesante HEM. Anche per tale serie si ha lo stesso numero di profili della serie normale e le larghezze variano con la stessa legge. Le altezze sono leggermente superiori. Le differenze (positive) variano da un minimo di 20 mm (HEM 100) a un massimo di 40 mm (HEM 300) per ritornare poi a 20 mm (HEM 600). a doppio T ad ali strette e rastremate (IPN) ad ala stretta aT ad ala larga a lati uguali
Dato il loro largo impiego si indicano alcune caratteristiche dei profili IPE e HE nelle tre serie. Si premette che ogni profilo è individuato tramite un numero: ad esempio IPE 300 HEM 400.
aL PROFILATI
a lati disuguali serie normale
PROFILI IPE
aC
Sono prodotti con altezze diverse da un minimo di 80 mm a un massimo di 600 mm: • da 80 mm a 240 mm con scatti di 20 mm; • da 270 mm a 360 mm con scatti di 30 mm; • da 400 mm a 600 mm con scatti di 50 mm.
serie pesante serie speciale
aZ
a spigoli vivi
Si hanno inoltre: Il numero di individuazione coincide con l’altezza del profilo. Per i profili da 200 a 300 la larghezza è la metà dell’altezza, per quelli da 80 a 180 è leggermente maggiore, per quelli da 330 a 600 è minore.
Per i profili a sezione cava si hanno tre tipi: saldati
PROFILI HE Serie normale HEB. Il numero di identificazione coincide con l’altezza del profilo espressa in mm. Vengono prodotti con le altezze variabili da 100 mm a 600 mm. • da 100 mm a 360 mm si hanno scatti di 20 mm; • da 400 mm a 600 mm si hanno scatti di 50 mm; • la larghezza è uguale al numero di identificazione per i profili fino a 300 mm. Per tutti i restanti è sempre uguale a 300 mm. Serie leggera HEA. Si produce un numero di profili uguale a quello della serie normale. Le larghezze variano come per la serie normale. Le altezze sono leggermente inferiori al numero di identificazione. Le differenze (negative) variano tra un minimo (HEA 100) di 4 mm a un massimo (HEA 600) di 10 mm.
a sezione circolare PROFILI A SEZIONE CAVA
senza saldatura a sezione quadrata senza saldatura a sezione rettangolare senza saldatura
Si hanno inoltre prodotti industriali ottenuti per sagomatura a freddo di lamiere con spessore di pochi millimetri. Tra questi hanno particolare importanza le “lamiere grecate oppure ondulate oppure scatolate” per la realizzazione di solai.
RESISTENZA AL FUOCO DEGLI ACCIAI DI CARPENTERIA Gli acciai in genere hanno una modesta resistenza al fuoco. La resistenza a trazione il modulo di elasticità, la tensione di snervamento restano pressoché costanti fino a una temperatura di 300°C. I relativi valori diminuiscono notevolmente nell’intervallo di temperatura 300° ÷ 500°C. In tale intervallo assume una notevole importanza lo scorrimento viscoso.Viene considerata come “temperatura critica” il valore di 450°C. Nel caso di incendio tale valore viene raggiunto in tempi brevi. È pertanto necessario provvedere a un aumento della resistenza al fuoco tramite adeguate protezioni degli elementi strutturali. Tali protezioni si possono ottenere con controsoffittature e con rivestimenti di spessore variabile in relazione alla resistenza richiesta (classe) e al tipo di rivestimento adottato. Per “classe” si intende la resistenza al fuoco espressa in “minuti di incendio”.
D 150
I valori di riferimento sono: 30; 60; 90; 120; 180; Nel DM (Min. Interni) 91/1961 sono definite la modalità per la determinazione del “carico di incendio” e conseguentemente della “classe” di riferimento. Nello stesso DM sono definiti gli spessori protettivi in relazione al tipo di rivestimento (fibre minerali, gesso, cemento ecc.) e alle “funzioni” attribuite al singolo elemento strutturale (pilastri, travi, solai). Il DM ricordato risale a molti anni or sono (1961); sono attualmente in produzione tipi di rivestimento non previsti nello stesso DM (ad esempio particolari tipi di vernici). È comunque opportuno che prima di prevedere (in sede progettuale) l’uso di tipi non previsti dal DM si interpelli il locale Comando dei VVFF per ottenere il benestare preliminare.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
•
STRUTTURE ACCIAIO
A.ZIONI
VERIFICA DEGLI ELEMENTI STRUTTURALI IN ACCIAIO La verifica degli elementi strutturali può essere effettuata utilizzando uno dei tre metodi:
• un comportamento perfettamente plastico per deformazioni unitarie.
ε > fy / E
• METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI (DM 14 febbraio 1992; GU 65 del 18 marzo 1992).
• EUROCODICE 3 (DM 9 gennaio 1996; GU 19 del 5 febbraio 1996).
Non vengono posti dalle varie Norme valori convenzionali per la deformazione unitaria a rottura (a differenza di quanto previsto nel c.a. e c.a.p. dove εar = 10 · 10–3). Si ha pertanto una rappresentazione del legame tensioni deformazioni del seguente tipo (Fig. D.5.11./1). I valori σamm e fd sono quelli massimi assumibili nei metodi alle tensioni ammissibili e semiprobabilistici.
TENSIONI NELL’ACCIAIO E DEFORMAZIONI UNITARIE
FIG. D.5.11./1
• METODO SEMIPROBABILISTICO AGLI STATI LIMITE (DM 9 gennaio 1996 GU 19 del 5 febbraio 1996)
D.5. 11.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
La qualità dei tre tipi di acciaio è definita tramite i valori di fy e ft (tensioni di snervamento e di rottura da intendersi come valori caratteristici, con frattile di ordine 0,05). Per tutti gli acciai si ha:
σ
• modulo elastico longitudinale
E.NTROLLO
fy
CO NTALE AMBIE
E = 206.000 N/mm2 ; 2100.000 kg/cm2 σamm
• modulo elastico tangenziale
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G = 78.400 N/mm2 ; 800.000 kg/cm2 Per quanto concerne il legame tensioni deformazioni si ipotizza: • un comportamento elastico nel campo di deformazioni
0
ε = 0 ÷ fy/E
e
G.ANISTICA URB
TENSIONI AMMISSIBILI E TENSIONI DI CALCOLO I valori massimi delle tensioni non debbono superare: • il valore della tensione ammissibile (σamm) nel metodo delle tensioni ammissibili. • il valore della tensione di calcolo ( fd) nel metodo semiprobabilistico. Riportiamo per i tre tipi di acciaio i valori relativi così come previsti dalle norme citate. dove t è lo spessore massimo degli elementi che costituiscono il profilo. Volendo lavorare in kg/cm2 (unità più comoda dato che in tutti i sagomari le caratteristiσa
N/mm2
fd = fy
N/mm2
σa
fd < fy
che delle sezioni (area, momenti statici, di inerzia ecc.) sono riportate in cm2 cm3... occorre ricordare che 1Kg = 9,81 N e quindi 1N = 1/9.81 = 0,1019 Kg. Abbiamo pertanto:
(n) N = (n) · 0,1019 kg
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
(n) N/mm2 = (n) · 0,1019 · 100 kg/cm2
Fe 360
160
235
140
210
(n) N/cm2 = (n) 10,2 kg/cm2
Fe 430
190
275
170
250
Usualmente (a vantaggio di sicurezza) si assume:
Fe 510
240
355
210
315
t ≤ 40 mm
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
1 N/mm2 = 10 kg/cm2
t > 40 mm
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
TENSIONI IDEALI
σid = ±
σx2+σy2 – σxσy+3τxy2
Dovrà pertanto risultare:
FIG. D.5.11./2
σid ≤ σy τ xy
σ
σx
τ
Supponiamo che in corrispondenza di un punto sia noto lo stato di tensione biassiale secondo due direzioni tra loro ortogonali. È noto che è possibile individuare lo stato di tensione (σ,τ) per qualsiasi giacitura sulla base dei valori σx, σy, τxy (Fig. D.5.11./2). Esistono due giaciture, tra loro ortogonali, per le quali la tensione normale assume i valori massimo e minimo e le tensioni tangenziali risultano nulle (direzioni principali). Supponiamo che per il materiale di cui è costituito l’elemento, sia stata determinata la tensione di rottura (o di snervamento) tramite una prova monoassiale. Sia altresì nota o ipotizzata la causa che determina la rottura (massima tensione normale; oppure massima tensione tangenziale; massima deformazione unitaria; ecc...). Si definisce TENSIONE IDEALE relativa allo stato di tensione preso in esame il valore della tensione monoassiale che sia a esso equivalente nei confronti della causa che determina la rottura (oppure lo snervamento). È evidente che per lo stesso stato di tensione esistono tanti valori di “tensione ideale” per quante possono essere le ipotesi di rottura. La normativa si riferisce alle ipotesi di Huber, Von Mises, Henchy, assumendo come termini di riferimento la tensione di snervamento. Con tale ipotesi si ha:
σx
σamm = fd/n per le tensioni ammissibili fd per gli stati limite ultimi
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
Occorre logicamente ricordare che nei due metodi le caratteristiche di sollecitazione a parità di condizioni, hanno valori diversi. Per gli stati limite ultimi le caratteristiche di sollecitazione si riferiscono ad azioni che hanno valori maggiori di quelli di esercizio. Nel caso del metodo delle tensioni ammissibili le azioni che determinano le caratteristiche di sollecitazione sono quelle di esercizio. Riprendendo l’espressione della tensione ideale, se σy = 0 (come per la sollecitazione di flessione e taglio) si ha:
σid = ±
σx2+3τxy2
t xy
σy
e per σy = σx = 0
σid = ±τ
3 = ±1.732 · τ
11. D.5. IO ACCIA
D 151
D.5. 11.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE ACCIAIO
•
STRUTTURE
FLESSIONE SEMPLICE RETTA CASO DI PROFILO DOPPIAMENTE SIMMETRICO
Supponiamo di avere un profilo doppiamente simmetrico (ad esempio un profilo IPE oppure HE) (Fig.D .5.11./3). Supponiamo che la sezione sia soggetta a un momento agente intorno all’asse delle x, che il legame tensioni deformazioni sia perfettamente elasto-plastico e che la sezione si mantenga piana. L’intersezione tra la giacitura iniziale (piana) e la giacitura finale (piana) sarà una retta (asse neutro). Prendendo tale retta come asse di riferimento e indicando con a la rotazione della sezione, nel generico punto avremo:
εi = α · yi e quindi
MOMENTO LIMITE ELASTICO È il momento per il quale la tensione raggiunge il massimo valore in campo elastico σmax = fy e quindi:
Me = fy · Wce se fd = fy (spessori ≤ 40 mm) Me = Mu se fd < fy (spessore > 40 mm) Me > Mu È possibile determinare il valore del braccio delle forze interne in campo elastico lineare. Se indichiamo con C, T, t le risultanti delle forze di compressione e di trazione e il braccio delle forze interne si ha: Nota bene:
e quindi
Per εi > fd /E
Mu = fd · Wce
σi = E·εi = α · E·yi
tale relazione è però valida per:
σi ≤ fd
MOMENTO ULTIMO È il momento per il quale si ha σmax = fd e quindi:
εi ≤ fd /E
(campo elastico)
σ = fd
si ha
(campo plastico)
In campo elastico lineare l’equazione di equilibrio delle forze esterne (N=0) e interne risulta:
C=T
∫ σ dA = 0 → α ·E ∫ y dA = 0 i
i
A
h
A
poiché α E ≠ 0
∫ y dA = S
si ha
i
n
si ha
=0
A
dove Sn è il momento statico della sezione rispetto all’asse neutro. Quindi l’asse neutro è baricentrico. La seconda equazione di equilibrio (momento sviluppato dalla sezione = momento esterno) è:
∫ (σ dA)y = M → α ·E ∫ y dA = M i
i
A
∫y
2 i ·
dA = In
A
è il momento di inerzia della sezione rispetto all’asse neutro (baricentrico). Si ha quindi:
α ·E·In = M e quindi
2
∫ o
t=
α ·E·In α ·E·S
=
In S
α = M/E·I
MOMENTO LIMITE DI COLLASSO PLASTICO Una volta raggiunto il momento limite elastico se immaginiamo di aumentare il valore del momento agente si ha una progressiva plasticizzazione delle fibre. Il diagramma delle tensioni è di tipo “b”. Si definisce “momento limite di collasso plastico” il valore per il quale si avrebbe il diagramma (puramente teorico) “c”. Per tutti i punti della sezione la tensione ha il valore fy . Se indichiamo con Ac, At le parti di area sottoposte a compressione e trazione, dovendo risultare C=T si ha: Nel caso di profilo simmetrico l’asse neutro passa per il baricentro.
fy · Ac = fy · At
M I
yi
(diagramma “a”)
h
M M h · =± Wce I 2
dove Wce viene indicato come “MODULO RESISTENTE ELASTICO” della sezione. Si possono definire in campo elastico tre valori del momento:
Ac = At
e quindi
Il momento relativo dovuto alla compressione vale:
∫
I massimi valori della tensione si hanno ai lembi della sezione. Nel caso di profilo simmetrico si ha:
σmax = ±
h
2
C = σi dA = α ·E yi dA = α ·E·S
dove S è il valore del momento statico rispetto all’asse neutro della parte di sezione compressa. Poiché α · E · In = M si ha:
La tensione nel generico punto vale:
σi = E·εi = E·α ·yi =
∫ o
M C
2 i
A
dove
→t=
C·t=T·t=M
2
M1 = ofy · dA · yi = fy · Sc ove Sc è il momento statico della parte di sezione compressa. Analogamente il momento dovuto alle forze di trazione vale: M2 = fy · St Se il profilo è simmetrico (Sc = St) il momento limite di collasso plastico vale: Mcp = 2·fy ·Sc La normativa stabilisce che per tale stato limite la tensione debba essere non maggiore di
MOMENTO AMMISSIBILE È il momento per il quale si ha σmax = σamm . Pertanto risulta:
fy 1,12
. Pertanto il valore del momento di collasso risulta:
Mcp = 2·
Ma = σ amm · Wce = M
fy 1,12
Sc
FIG. D.5.11./3 fy
y
σ max
fy
s
x b
fy
D 152
fy "b"
σ max "a"
B
h
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
•
STRUTTURE ACCIAIO
D.5. 11. A.ZIONI
ESEMPIO 1
ESEMPIO 2
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
Calcolare i momenti: ammissibile, ultimo, di limite elastico, di collasso per un profilo HEB Fe 430.
Proporzionare con i metodi alle tensioni ammissibili e semiprobabilistico una trave Pa = 2,2 t/m. appoggiata l = 6,00; carichi permanenti Pp = 4,5 t/m Acciaio Fe 360. Adottare un profilo IPE
B.STAZIONI DILEGIZLII
t < 40mm
I ED PRE NISM ORGA
Tensioni ammissibili Dal sagomario abbiamo:
Wx = 2400 cm3
M = (pp+pa)·
S = 1341 cm3
per Fe 430 abbiamo:
σ a = 1900
W= Kg/cm2
C.RCIZIO
36 l2 = 6,7× = 30,15 tm 8 8
E ESE ESSIONAL PROF
30,15 ·105 = 1884 cm3 1600
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
Occorre utilizzare un profilo IPE 500 (W = 1930 cm3)
f d = 2750 Kg/cm2
Metodo semiprobabilistico Il momento di calcolo, corrispondente allo stato limite ultimo è dato da:
f y = 4100 Kg/cm2
Md = (1,4 ·pp+15pa ) Momento ammissibile
Ma = 1900 × 2400 × 10–5 = 45,6 tm
Momento ultimo
Mu = 2750 × 2400 × 10–5 = 66,0 tm Ml = Mu = 66,0 tm 2×2750×1341×10–5 Mcp = = 65,85 tm 1,12
Momento limite elastico Momento limite di collasso
Deve risultare:
con
fdW ≥ 43,2·105
Si ha
N≥
E.NTROLLO
36 l2 = (1,4 ·4,5+1,5 ·2,2) · = 43,2 tm 8 8
43,2 ·105 2350
CO NTALE AMBIE
fd = 2350 Kg/cm2
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
= 1838 cm3
Poiché per IPE 450 W=1500 IPE 500 W=1930 si deve usare IPE 500 (come nel metodo precedente).
G.ANISTICA URB
FLESSIONE RETTA – PROFILO SEMPLICEMENTE SIMMETRICO Consideriamo un profilo a T come in Fig. D.5.11./4.
FIG. D.5.11./4
A = 20 × 2 + 20 × 2,5 = 90 cm2
yi ≥
40×21+50×10 90
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
20
= 14,88 cm
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
y
ys = 7,12 cm
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
17,5×5,123 2,5×14,883 20×7,123 + – = 4,368 cm4 3 3 3 I = 293,5 cm3 yi
22
In campo elastico lineare l’asse neutro è baricentrico. Le caratteristiche geometriche sono quelle sopradeterminate. Supposto Fe 430 abbiamo: Momento ammissibile:
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
x
20
Wi =
yp
Ix =
14,88
σ a · Wi = 1900 × 293,5 × 10–5 = 5,57 tm
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
Momento ultimo:
fd · Wi = 2750 × 293,5 × 10–5 = 8,07 tm poiché t < 40 mm:
Ml = Mu Per calcolare il momento di collasso plastico occorre ricordare che per tale stato limite l’asse neutro divide il profilo in due parti di uguale area. Indicando con yp la distanza dalla base si ha:
2,5
2,5 · yp = 20 × 2 + 2,5 × (20 – yp ) = 40 + 50 – 2,5 × yp Per la parte inferiore si ha:
e quindi:
5 · yp = 90
S2 = 2,5 × 182 ×
yp = 18 cm
Il momento statico della parte superiore vale:
1 1 S1 = 20 × (22 – 18)2 × × – (20 – 2,5) × (22 – 20)2 × = 160 – 35 = 125 cm3 2 2
1 = 405 cm3 2
si ha:
Mcp = fd ×
(S1+S2) 1,12
=
2750×530 1,12
×10–5 = 13 tm
11. D.5. IO ACCIA
D 153
D.5. 11.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE ACCIAIO
•
STRUTTURE
FLESSIONE E TAGLIO FIG. D.5.11./5 2,4
y
σ
τ
σ=
M ·y I
τ=
T·S I·b
40
y
Tale tipo di sollecitazione composta è quella prevalente nelle travi semplici. Supponiamo di avere un profilo a doppio T soggetto a un momento M e a una forza di taglio T. Per esaminare un caso concreto il profilo sia un HEB 400 (Fig.D .5.11./5). In corrispondenza della fibra a distanza y dall’asse neutro (baricentro) i valori della tensione normale e della tensione tangenziale sono dati da:
x 1,35
nelle quali: I è il momento di inerzia rispetto all’asse neutro dell’intera sezione; S è il momento statico rispetto all’asse neutro della parte di sezione posta all’esterno del livello y; b è la larghezza della sezione al livello definito dal valore y. Abbiamo quindi uno stato di tensione biassiale. Occorre pertanto calcolare la tensione ideale e controllare che:
30
Nel caso di una sezione come in figura occorre effettuare la verifica: • in corrispondenza dell’asse neutro (baricentrico) dove la τ assume il massimo valore
σ =0
≤ σamm (tensioni ammissibili)
σid = σ 2+3τ 2
≤ fd (semiprobabilistico)
σid = τ 3
e • in corrispondenza del livello di attacco tra anima e ala dove sia la s, sia la t hanno valori elevati.
ESEMPIO Il profilo HEB 400 Fe 360 sia sottoposto a:
Tali dati sono rilevabili dal sagomario.
Tensioni ammissibili
Occorre calcolare Sa, momento statico della sola ala rispetto al baricentro della sezione tramite la:
M = 40 tm; T = 20 tonn
Sa = Aa · ya
Semiprobabilistico
Md = 56 tm; Td = 30 tonn Per il profilo HEB 400 abbiamo:
dove Aa è l’area della suola e ya è la distanza del baricentro della suola dal baricentro della sezione.
I = 57680 cm4
Si ha:
Sa = 30 · 2,4 · (20 – 1,2) = 1353,6 cm3
W = 2880 cm3 b = 1,35 cm
Per Fe 360 risulta
σamm = 1600 kg/cm2
Sx = 1616 cm3
Verifica alle tensioni ammissibili
Verifica con metodo semiprobabilistico
Al lembo superiore (τ = 0)
Lembo superiore:
σ=
M 40·105 = = 1388 Kg/cm2 < σamm W 2880
fd = 2350 Kg/cm2
σ=
56 ·105 = 1994 Kg/cm2 < fd 2880
τ=
30 ·103·1616 = 622 Kg/cm2 57680×1,35
Nel baricentro: σ = 0
τ=
T·Sx I·b
=
σid = 415 ·
20000×1616 57680×1,35
Baricentro:
= 415 Kg/cm2
3 = 719 Kg/cm2 > σamm
σ = τ 3 = 1078 Kg/cm2 < fd
All’attacco anima-suola:
σ=
M 40×105 ·y = × (20–2,4) = 1220 Kg/cm2 I 57680
τ = 347,66 Kg/cm2
σid = σ 2+3τ 2 = 1,488·106+0,362·106 = 1360 Kg/cm2 < σamm
D 154
Attacco anima-suola:
σ = 1708 Kg/cm2
σid =
τ = 729 Kg/cm2
17082+7292 = 1857 Kg/cm2 < fd
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
•
STRUTTURE ACCIAIO
D.5. 11. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
ESEMPIO Per la trave di Fig. D.5.11./6 i valori (caratteristici) dei carichi risultano:
pp = 5 t/m pa = 3 t/m
• permanente • accidentale
B.STAZIONI DILEGIZLII
Premessa:
I ED PRE NISM ORGA
Indicati con Ps e Pd i carichi delle due campate si ha:
MB =
ed è previsto un profilato HEB 400 Fe 360
ps · ls3 + pd · ld3
C.RCIZIO
8 · (ls + ld)
E ESE ESSIONAL PROF
Verificare la trave con i due metodi.
ls
TA = ps ·
FIG. D.5.11./6 ps
pd
TC =
2
pd ·ld 2
|MB|
–
–
ls |MB|
max MAB = 7,00
TAB =
TBC =
ls TA2
pd .l d 2 pd ·ld 2
+
+
max MBC =
2 ·ps
|MB| ls |MB| ls TC2 2·pd
6,00
A
B
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
C
G.ANISTICA URB Verifica alle tensioni ammissibili
Verifica con metodo semiprobabilistico
Sull’appoggio B la condizione più gravosa (condizione rara) si ha quando ambedue le campate sono a pieno carico. Abbiamo quindi:
Ricordiamo che per quanto riguarda i carichi debbono applicarsi i seguenti coefficienti nel modo più gravoso della sezione considerata. Carichi permanenti Carico accidentale
ps + pa = 5 + 3 = 3 t/m 8 ·(7,03+ 6,03) = – 43 tm 8·(7+6)
MB = –
Per la sezione B la situazione più gravosa si ha per:
pp + ps = 5 · 1,4 + 3 · 1,5 = 11,5 t/m
8 ·7 43 + = 34 tonn 2 7
TBA =
si ottiene:
Per le campate la condizione più gravosa (condizione rara) si ha quando:
(ps)max = 5 + 3 = 8 t/m
γo = 1; 1,4 γo = 1,5; 0
Ms = – 61,8 tm
(pd )min = 5 t/m
TB ≅ 49 tonn
Per la campata AB la situazione più gravosa si ha per: Si ha:
MB = –
TA =
ps = 5 · 1,4 + 3 · 1,5 = 11,5 t/m
8 ·73+5 ·63 = – 36,77 tm 8 ·(7+6)
Abbiamo:
8 ·7 36,77 – = 22,75 tonn 2 7
max Mab = 32 t/m
MB = –
T=0
La situazione più gravosa in assoluto si ha sull’appoggio B (M = 43 tm
TA =
11,5·73+5·63 = – 48,3 tm 8·(7,0+6,0)
11,5·7 48,3 – = 33,35 tonn 7 2
max MAB =
Verifichiamo la tensione ideale all’attacco anima-ala. Le caratteristiche della sezione sono le stesse di quelle dell’esempio precedente.
τ=
43 ·105 (20 – 2,4) = 1312 Kg/cm2 57680
T·Sa I·b
=
30 ·103·1353,6 = 521 Kg/cm2 57680·1,35
σid = σ2 + 3τ2 = 1592 Kg/cm2 < σa = 1600 Kg/cm2 La trave è verificata per quanto riguarda la resistenza.
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
33,352 = 48,3 tm 2·11,5
La situazione più gravosa (in assoluto) si ha ancora nella sezione B.
MB = – 61,8 tm
σ=
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
T = 34
tonn).
Abbiamo:
pd = 5 · 1 + 3 · 0 = 5 t/m
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
TB ≅ 49 tonn
Calcoliamo le tensioni ideali all’attacco anima-ala:
σ = 1885 Kg/cm2
τ = 851 Kg/cm2
σid = 18852+3.8512 = 2394 Kg/cm2 > fd = 2350 Kg/cm2 La sezione non è verificata.
11. D.5. IO ACCIA
D 155
D.5. 11.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE ACCIAIO
•
STRUTTURE
PRESSOFLESSIONE DEVIATA E RETTA Supponiamo di avere un profilo doppiamente simmetrico, soggetto a un carico centrato N e a due momenti Mx e My agenti secondo gli assi principali di inerzia. Se indichiamo con:
A, Ix, Iy
Wx =
Ix ·2
Wx =
h
Iy ·2
N A
+
Mx Wx
+
Prendiamo un HEB 300 Fe 430:
Le rette N = 0 definiscono l’interazione Mx, My, nella flessione deviata. Nel caso in cui My=0 (oppure Mx = 0) la tensione massima è data dalla formula binomia:
σamm = 1900 kg/cm2
b
fd = 2750
le caratteristiche geometriche della sezione, in campo elastico lineare la tensione massima è data da:
σ=
ESEMPIO
My
A = 149 cm2
Wx = 1680 cm3
Wy = 571 cm3
+
A
M W
≤
σamm fd
dove M può essere Mx oppure My. Per ogni profilo si può diagrammare tale relazione:
FIG. D.5.11./8
Wy
My tm 15,7 15
Tale valore deve risultare: ≤ σamm se la verifica è con il metodo delle tensioni ammissibili; ≤ fd
N
σmax =
se la verifica è agli stati limite. Stato limite σ max ≤ fd
Le relazioni precedenti possono essere espresse in forma diversa:
N A
+
Mx Wx
Mx Wx +
+
My Wy
My Wy ≤
≤
σamm fd
Tensioni ammissibili σ max ≤ σ amm
10
0
N=
N=
0
10
→
0
50
σamm –N/A fd –N/A
50 46,2
La situazione di uguaglianza individua una retta sul piano Mx, My, per ogni valore di N. Si può quindi facilmente disegnare un diagramma di interazione. Analogamente si può fare agli stati limite, ponendo:
σmax = fd
40
30
20
10
N
x ma
0 9 40 y = M = Mx
ma
=
10 x
=
My
=
20
3032
Mx tm
28
3
0
ton
n.
ESEMPIO
A =198 cm2
Wx = 2880 cm3
σamm = 1600 kg/cm2 y
Mx
=
Si ha, pertanto:
Disegniamo i diagrammi per un profilo HEB 400 Fe 360. Abbiamo:
FIG. D.5.11./7
N
n.
ton
σ=
Wy = 721 cm3
fd = 2350 kg/cm2
N A
+
Mx Wx
≤ σamm
Tale condizione individua una retta sul piano Mx, N.
Nel caso della pressoflessione retta, si ha My = 0 (oppure Mx = 0).
Analogamente si avrà una retta di interazione sul piano My, N per la pressoflessione retta con Mx =0.
FIG. D.5.11./9 N tonn. 500 400
h
x
St
300 200
ati
Te
ns
100
lim
ite
. a mm .
My tm
b
Mx tm 20
10
20
40
60
80
DEFORMABILITÀ DELLE TRAVI INFLESSE Si premette che il controllo della deformabilità si effettua con la stessa condizione di carico sia nel metodo delle tensioni ammissibili sia in quello probabilistico. In quest’ultimo metodo tale verifica si identifica con quella di uno “stato limite di esercizio” (o di servizio). Al punto 4-9 del DM 9 gennaio 1996, secondo c., si chiarisce “Ai fini del calcolo si assumono le “combinazioni rare” per gli stati limite di servizio”. La combinazione rara (che prevede i valori massimi dei carichi di esercizio) coincide con quella che si adotta per le tensioni ammissibili.
D 156
Sempre lo stesso DM, allo stesso punto, chiarisce che, indicata con l la luce dell’elemento e con δ la deformazione flessionale massima deve risultare: • δ ≤ l/400 per le travi dei solai, per il solo carico accidentale; • δ ≤ l/500 per le travi caricate da muri, per la totalità del carico, permanente e accidentale; • δ ≤ l/200 per gli arcarecci delle coperture, per la totalità del carico. Si chiarisce inoltre che per gli sbalzi la lunghezza l da assumere per tale verifica è il doppio della luce effettiva.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
•
STRUTTURE ACCIAIO
D.5. 11. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
OTTIMIZZAZIONE DELL’ALTEZZA DELL’ELEMENTO INFLESSO Le condizioni sopra esposte permettono di individuare l’altezza ottimale dell’elemento, cioè quella per la quale la tensione soddisfa alla condizione σ = σamm e la deformazione è uguale a quella ammessa dalla normativa. ESEMPIO Supponiamo che per una trave di luce l = 6m si abbia un carico di 5 t/m (50 Kg/cm) e che si stia nella condizione di δ ≤ l/500. Le condizioni di vincolo siano di appoggio. Abbiamo:
M=
5·62 = 22,5 tm = 22,5 ·105 Kg/cm 8
Si ha:
W= 22,5 ·105 σ
Ponendo:
δ 1 = l 500
2·I I ·2 →h= = 48 cm W h
500·5 p·l 3 I= · E 384
I = 33740 > 33482 cm4
W =1500 > 1406 cm3
Il peso a metro lineare è di 77,6 kg/m. Supponiamo che per altri motivi non si possa superare un’altezza di 36 cm. Usando sempre profili commerciali il profilo adatto risulta HEB 340 con:
I = 36656 > 33482 cm4
W = 2160 > 1460 cm3
Si ha:
I=
500 ·5·50·6003 384 ·2,1·106
= 33.482 cm4
Il peso a metro è di 142 kg/m. Poiché 142/77,6 ≅ 1,83 il costo sarebbe circa il doppio di quello che si avrebbe con la soluzione ottimale. Nel caso si adottasse questa soluzione avremmo:
M=
σ = σamm = 1600 Kg/cm2
(Fe 360)
Dal caso precedente risulta che:
21 ≅ 15 cm W Non esiste profilo commerciale che con h =15 cm preI≥
33482 ≥ 6996 cm4 5
δ=
Passando da Fe 360 a Fe 430 a Fe 510 il valore del modulo elastico resta costante E = 2,1 · 10 kg/cm2. La tensione ammissibile varia: 1600 – 1900 – 2400 kg/cm2. A parità di luce, carichi, condizioni di vincolo, il momento di inerzia della sezione, necessario perché la deformabilità sia contenuta entro i valori richiesti, resta costante. Il modulo resistente strettamente necessario diminuisce, perché la sezione soddisfi la condizione di resistenza:
Supponiamo di dover realizzare un solaio con travi in acciaio, per un ambiente suscettibile di affollamento (carico accidentale 300 kg/m2). Assumendo lo schema di Fig. D.5.11./10, si può avere la seguente analisi di carichi preliminare: 60 kg/m2 • peso proprio strutture • conglomerato 200 kg/m2 • pavimento e allettament 100 kg/m2 • carico permanente 360 kg/m2 • carico accidentale 300 kg/m2 • carico totale 660 kg/m2 Supponiamo L = 7 m condizioni di vincolo appoggio. La normativa impone il valore massimo di deformazione:
In conseguenza l’altezza ottimale della sezione aumenta; in molti casi ciò può essere vantaggioso. Riprendiamo il caso della trave incastrata esaminato al paragrafo precedente. Se usiamo acciaio Fe 510 = 2400 kg/cm2 il momento di inerzia resta I = 6996 cm4:
W≥
1 ·L 400
M W= σ
da cui:
384
·
pacc ·7004 2,1·106·I
400 pacc I= · · 2,1·106 700 384
=
700
5
I
ptot ·7002 W= 8 ·1600
da cui: W = 38,28 ptot
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
400
=
h
da cui: I = 850,7 pacc
si ha:
2
850,7·pacc 38,28 ·ptot
=
h 2
Nel nostro caso: pacc = 300 kg/m2; ptot = 660 kg/m2 Pertanto h = 20,2 cm. Adottando il profilo HEB 200 (W = 570 cm3; I = 5696 cm4), si può determinare l’interasse tra le travi con la seguente metodica: a) calcolo dell’interasse rispetto alla condizione di resistenza; b) calcolo dell’interasse rispetto alla condizione di deformabilità. Pertanto si dovrà assumere un interasse inferiore al valore minimo sopra determinato di 2,23 m (ad es. i = 2,20 m), (vedi Fig. D.5.11./11).
per il solo carico accidentale
Per la condizione di resistenza deve risultare:
15 ·105 = 625 cm3 2400
Il profilo commerciale che più si approssima a tali valori è HEA 240 con W = 675 cm3; I = 7763 cm4 con un peso di 60,3 kg/m invece degli 83,2 kg/m necessari con Fe 360. Poiché 83,2/60,3 = 1,379 si ha un risparmio di circa il 38%. La deformazione massima vale:
δ=
f=
5
·7004
W
PRO TTURALE STRU
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
Per la condizione di deformabilità deve risultare:
Dato che:
D.GETTAZIONE
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
Il peso di tale profilato risulta 83,2 kg/m.
f =
E ESE ESSIONAL PROF
1 l 6996 · = 840 11.259 500
DEFORMABILITÀ DEI SOLAI IN ACCIAIO – PROGETTO DI SOLAIO
M σamm
h=
senti valori confrontabili con ambedue i valori dati. I = 11259. Se prendiamo HEB 240 si ha W = 938 La massima tensione all’incastro è 1600 kg/cm2. La deformazione vale:
QUALITÀ DELL’ACCIAIO E DEFORMABILITÀ
W≥
N≥
W ≥ 937,5 cm3
Ponendo:
1406 σ = 1600 × = 1041 Kg/cm2 2160
15·105 : 1600 4 pl 1 δ≥ · 384 EI
5·62 = 15 tm 12
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
Con i dati del caso considerato, se si ha incastro perfetto ai vincoli risulta:
Tra i profili commerciali quello che maggiormente si avvicina a tale condizione è un IPE 450 per il quale:
p·l 4 p·l 3 δ 5 5 δ= · → = · 384 EI 384 EI l
33482 l × = 1,09 cm 500 36652
È evidente che l’altezza ottimale è fortemente influenzata dalle condizioni di vincolo.
Poiché:
e quindi:
W=
δ=
22,5 ·105 W= = 1406 cm2 1600
B.STAZIONI DILEGIZLII
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
FIG. D.5.11./11
6996 l l · = 7663 500 555
17
4
LAMIERA GRECATA
1.5
6
FIG. D.5.11./10
RETE ELETTROSALDATA CONGLOMERATO LAMIERA GRECATA DA 4 cm
0,9
TRAVI DI SOLAIO i
1,5
ELEMENTI DI ORDITURA
HEB 200 (i = 2,2 m)
IPE 140 (i = 2,1 m)
11. D.5. IO ACCIA
D 157
D.5. 11.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE ACCIAIO
•
STRUTTURE
INSTABILITÀ ASTA SOGGETTA A CARICO CENTRATO Supponiamo che un’asta in acciaio sia soggetta a un carico N centrato e che le condizioni di vincolo siano quelle di Fig. D.5.11./12 (1). Supponiamo che per una causa qualsiasi l’asta assuma una configurazione deformata come in Fig. D.5.11./12 (2). Sulla generica sezione S agiscono, di conseguenza, due momenti:
Sulla base di tale impostazione esisterebbe un valore λ* dipendente esclusivamente da fy al di sotto del quale:
FIG. D.5.11./12
σcrit = fy
N
N
Un approfondimento del problema (Tetmajer, Engesse, Karman, Shanley) confortato da risultati sperimentali ha portato a modificare l’andamento del diagramma nella parte iniziale. Nel metodo delle tensioni ammissibili la σamm viene definita per λ = 0 come:
Mest = N · y Mint = EI · y’’
Il primo tende a far deformare ulteriormente l’asta, il secondo tende a riportare l’asta nella situazione iniziale. Se si verifica la condizione di uguaglianza:
s
l
• il momento esterno • il momento interno
y
l’asta mantiene la posizione deformata. Risolvendo l’equazione differenziale si ottiene il valore corrispondente di N:
π2·EI l2
σcrit =
NE
ω=
(carico di Eulero)
(1)
=
A
π2EI Al2
Ponendo: λ2 =
π2Eρ2 = l2
ρ2 =
dove:
l2 ρ2
fy
σcrit
possiamo definire la tensione massima come:
σ* =
σ crit.
σcrit η
=
σcrit fy
fy
·
η
=
1 ·σ ω amm
η = 1,5
Se il carico agente è N e l’area A la verifica di stabilità si esprime tramite:
I A
σamm N ≤ σ* = ω A
fy
σcrit =
Il numero puro λ =
(2)
FIG. D.5.11./13
Dividendo per l’area dell’asta si ha:
η
dove η è il grado di sicurezza. Per λ > 0 il termine di riferimento non è più fy ma σcrit. Se poniamo:
N · y + EI · y” = 0
NE =
fy
σamm =
π2E λ2
Nel caso del metodo semiprobabilistico deve risultare:
ω Nd ≤ fd · A
l ρ
Nd ≤ fd · A·χ
definisce il “coefficiente di snellezza” dell’asta (o più semplicemente la “snellezza”). Poiché la σcrit deve necessariamente risultare ≤ fy si avrebbe per essa un andamento del tipo riportato in Fig. D.5.11./13.
ωN ≤ σamm A
da cui
0
l
l*
oppure
χ=
dove
I valori di χ e ω (comuni ai due metodi) debbono essere desunti da appositi diagrammi o tabellazioni in relazione al tipo di sezione e al tipo di acciaio. Si possono usare le indicazioni della norma CNR 10011/86.
VARIAZIONE DELLA SNELLEZZA IN RELAZIONE AI VINCOLI
ASTE PRESSOINFLESSE SNELLE
Quanto esposto al paragrafo precedente corrisponde a una condizione di vincolo di doppia cerniera. Si possono avere però condizioni di vincolo diverse (Fig.D .5.11./14). Tutti questi casi possono essere ricondotti al caso (1) con vincoli costituiti da una cerniera fissa a un estremo e con cerniera scorrevole (appoggio bilaterale) all’altro estremo. In tutti i casi la snellezza può essere calcolata tramite:
Supponiamo di avere un’asta come in figura, che al momento dell’inizio di applicazione delle forze N presenti una deformazione γ0. Avremo quindi che nella sezione corrispondente si avrà un momento
λ=
l0 i
p=
I A
dove l0 rappresenta la “lunghezza libera di inflessione”.
Si deve porre:
l0 = β · l con β variabile a seconda dei casi. Al punto 5-1-1 del DM 5-2-96 si precisa: caso (1):
cerniera-cerniera β = 1
caso (2):
cerniera-incastro β = 0,8
caso (3):
incastro-incastro β = 0,7
caso (4):
incastro-estremo libero β = 2
Per i pilastri dei fabbricati:
1 ω
FIG. D.5.11./15
N
M 0 = N · γ 0.
β=1
L’asta si deformerà ulteriormente e conseguentemente il momento aumenterà. Si dimostra che il momento finale è:
FIG. D.5.11./14
y
y0
M = Mo · C dove:
β= 1
β = 0,8
β = 0,7
β= 2
l
C=
D 158
(2)
(3)
(4)
=
1
N
(1–N/NE )
essendo NE il carico critico Euleriano. In conseguenza la tensione massima vale:
σmax = (1)
NE NE –N
N ·ω A
+
M0 W(1–N/NE )
=
N·ω A
+
cm0 W
≤ σamm
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – DETTAGLI COSTRUTTIVI
D.5. 12. A.ZIONI
FIG. D.5.12./1 BASE DI COLONNA (vincolo a cerniera) HEA240
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.12./2 BASE DI COLONNA (vincolo a incastro)
B.STAZIONI DILEGIZLII
500
I ED PRE NISM ORGA
200X110X17 12x12
400X25-500 HEA 280
25
200
C.RCIZIO
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
30
100
φ 24
400
700
400x15-850
E ESE ESSIONAL PROF
E.NTROLLO
250
CO NTALE AMBIE
Bull. φ 28MA
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB 500 900 70
70
7x7 TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
35
450
400
35
760
6x6 FIG. D.5.12./3 APPOGGIO SEMPLICE DI TRAVE A COLONNA L 100x10
200
15
bull. φ 24
100
IPE 300
140
300
D.5. TURE T STRU
80
50 180
200
300
200
40
120
40 L 80x12
15
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
50
65
280
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
6X6 180
450
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
180
240
HEB 240
240
11. D.5. IO ACCIA 12. I D.5. IO – UTTIV ACCIAGLI COSTR A T DET
D 159
D.5. 12.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – DETTAGLI COSTRUTTIVI
FIG. D.5.12./4 INCASTRO TRAVE-COLONNA (Passante)
FIG. D.5.12./5 ATTACCO TRAVE (Passante) – COLONNA
25 100
25 310
HEB 320
100 03
70 100 70
30
15 x15 x200
03
02
30
22
036
58 001 001 001 001 58
300
12 x12 -250 IPE 280
15 x15 -400
Bull. φ 20 ad alta resistenza HEA 320
IPE 500
HEB 320 1200 400
20 119 20 159
160
20x20
HEA 320 130 x15 x1200
250 x20 x165
20
15
250
15
20
15 x15
340 x20 x400
320
15 x15 -340 20 x20 -300
FIG. D.5.12./6 NODO RIGIDO TRAVE-COLONNA 12 x12
14x14
400
240
130
70
400
IPE 240
I 400 14x14 400
290 12 x 12
HEB 300
80 x 8
D 160
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – DETTAGLI COSTRUTTIVI
D.5. 12. A.ZIONI
FIG. D.5.12/7 ATTACCO A SEMPLICE APPOGGIO TRAVE SECONDARIA – TRAVE PRINCIPALE
FIG. D.5.12/8 ATTACCO A INCASTRO TRAVE SECONDARIA – TRAVE PRINCIPALE
FIG. D.5.12/9 ATTACCO A INCASTRO TRAVE SECONDARIA – TRAVE PRINCIPALE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
214 6x6
IPE 300
34
A
6x6
bulloni φ 22
E ESE ESSIONAL PROF
30 60 30
4x4
90x9
20 120
6x6 A
C.RCIZIO
6x6 40 12
24
90 90
180 90
4x4
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
6x6 90x16
175
12x12
IPE 500
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
184 20x24-848
34
IPE 360 12x12
75
4x4
40x15-160
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
IPE 180
4x4 400
180
40
50
6x6
bulloni φ16
70 150
150
70
F. TERIALI,
6x6
40
120
40
bulloni φ 24
60x12-500
6x6
50
100x10
200
75
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
80x10 6x6
IPE 300
6x6
160
6x6
175
IPE 400
IPE 450
G.ANISTICA URB
6x6 300
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
143
120
12x12
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
12x12
6x6 SEZIONE A - A
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
185 848
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
FIG. D.5.12/10 GIUNTO DI FORZA CON PIATTABANDE PER PROFILO A DOPPIO T 550 155 130 15
3x3
Saldatura a riempimento 500
18x18
130x15-550 275
8,5x8,5 15
275
550 130
IPE 500
155
3x3
60
130x15-550
12. I D.5. IO – UTTIV ACCIAGLI COSTR A T DET
D 161
D.5. 12.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – DETTAGLI COSTRUTTIVI
FIG. D.5.12./11 ATTACCO DI TRAVE SECONDARIA A TRAVE PRINCIPALE
8x8
300x15-800
800 40
80 80
13
50
144
fori φ 20_ch. φ19 NP 300
50 144
80 80
40
fori φ 20 ch. φ19 60 75 75
35
30
35
64
300
55 17 55
20x6-130
FIG. D.5.12./12 APPOGGIO DI CAPRIATA BULLONATO
FIG. D.5.12./13 NODO DI CAPRIATA SUPERIORE
fori φ17_ch. φ16
80 40
40
120
440 120 120 35
40 135
35
70
0 40 6
40
40
150
70
fori φ17_bul. φ16
20
80
30
40
45
45
fori φ20_bul. φ19
100
70 70
200
200
440x10
40
80x8
70x7
40
80
fori φ20_ch. φ19 320x10-720 φ20 lg.400
40
230
35
150
150
60
80x8 fori φ 20_ch. φ19 50 60 1
HEA300
fori φ20_bul. φ19
10
400 40 80 80 80 80
~750
400
350x20-400 40
160x10-170
80 40
160
140
40
250
10
350 100
100
fori φ20_ch. φ19 svasati sotto
10
20
80x8
L65x100x9
130 80
fori φ17_bul. φ16 70
140 100 250 350
D 162
140 10
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – DETTAGLI COSTRUTTIVI
D.5. 12. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.12./14 NODO DI CAPRIATA INFERIORE
B.STAZIONI DILEGIZLII
fori φ21_bul.φ20
I ED PRE NISM ORGA
90
10
60x6
40
80
160
80
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
40
400
35
30
70
40
35
PRO TTURALE STRU
25
160 40 80 40
10 35
70x7
D.GETTAZIONE 80
E.NTROLLO
60x6
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI, fori φ17_bul. φ16
310x10
80x8
2
2
0:
14
4:
17
5
G.ANISTICA
45 80 150:2
fori φ21_bul. φ20
URB
13
0
16
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
FIG. D.5.12./15 NODO DI COLMO DI CAPRIATA
60
125
L 65x100x9-200
150
LAMIERA ONDULATA ZINCATA
140:2
65 25
40
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
FIG. D.5.12./16 NODO DI CAPRIATA A TRALICCIO
225
90x9
:2
120
0 60 4 40
10
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
SEZIONE A - A
10
D.5. TURE T STRU
6 60 60
60x6
6 60 60
fori φ7_bul. φ16
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
8x8 5x5
50
30
240
10
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
50x5
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
30 60 30
60X6
25 35
90
60X6
7x7 80
10
8
A
A
12. I D.5. IO – UTTIV ACCIAGLI COSTR A T DET
D 163
D.5. 12.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – DETTAGLI COSTRUTTIVI
FIG. D.5.12./17 PORTALE A PARETE PIENA: ATTACCO PIEDRITTO-ARCHITRAVE
FIG. D.5.12./18 APPOGGIO DI CAPRIATA SALDATO 10
120
50
40 40 80 60 60
2500 2000
120
800:10
120
700
50
320
10
200
2500
280
260
Bulloni φ 18 320x10-700
400x12x640 40 160 80
80 x 8
A 20
A
320 x 10 - 700 10
40
400
165 165 330 10 80 1501080
280x8x880
SEZIONE A - A
200 10 95 95
6x6
350x20-400
165
165
120 350x20-400
80
200
40 20
80 SEZIONE C - C
C
20
20
0 560:7 4Bulloni φ 20
10
900
160 160
20
40
SEZIONE B - B
φ 20
C
330 120
195 195 10
FIG. D.5.12./19 NODO SALDATO DI CAPRIATA A CASSONE 550
3x3 550
3x3
60
15
130 IPE 500
Saldatura a riempimento
500
18X18
275
D 164
275
15
130X15-550
155
155 130
130X15-550
8,5x8,5
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – DETTAGLI COSTRUTTIVI
D.5. 12. A.ZIONI
FIG. D.5.12./20 TRAVE RETICOLARE LEGGERA 260
450
450
φ 67x3
450
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
17.9
155 A
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.12./21 NODO BULLONATO PER CAPRIATA TUBOLARE
C.RCIZIO
367
50 60
B
A
165
140 90
500
450
450
225
φ 98x35
15.1
135 450
D.GETTAZIONE
φ 67x3
B
190
110
100
400 110
7
180
DIM
367
DIMENSIONI
60
17.9
DIMENSIONI 60
URB 14
225
G.ANISTICA
8x8
12
40
SEZIONE B - B
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
8x8
430
43 0
367
F. TERIALI,
520
φ 133x4 225
50
CO NTALE AMBIE
4060 50
70
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
290
54.5
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
15.1
50
50
367
390 400
φ 16 φ 16
40
2.5
14
R5
125
19
34 46
19 46
DIM
D.5. TURE T STRU
8x8 8x8
φ 133x4
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
5
10x10
16
8x8
28
65
30
φ 20
430x10
25 125
45
103 250
10x10
150 460
200
sm.1x45
360 150 150 30
200
DIM
30
30
DIMENSIONI
46
DIMENSIONI
30 67 30
DIMENSIONI
6
5 14
6
16
14
20 87 20
94
94 26
430
34
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
φ 171x4,5
500 375
160
φ PROFILO
16 40 16 270
φ PROFILO
14
71
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
FIG. D.5.12.23 APPOGGIO SCORREVOLE PER CAPRIATA
FIG. D.5.12./22 CERNIERA PER PORTALE A TRALICCIO 71
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
80
350
60
SEZIONE A-A
φ 108x4
170
6500 6680 SEZIONE B - B
E ESE ESSIONAL PROF
Settore da tubo φ 89x8
250x16 12. I D.5. IO – UTTIV ACCIAGLI COSTR A T DET
D 165
D.5. 12.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – DETTAGLI COSTRUTTIVI
FIG. D.5.12./24 NODO SALDATO E GIUNZIONE SALDATA DI CORRENTE INFERIORE DI TRAVE RETICOLARE Ø 146x6 Ø 191x10
13x13 8x8 Ø 191x10
13x13
360
13x13
500
13x13 13x13
13x13
8x8
140
Ø 254x18
4 4 45 45
15x15
350
Ø 254x18 500x16x700
350 700 Ø 146x6
FIG. D.5.12./25 NODO BULLONATO E GIUNZIONE A FLANGIA PER MONTANTE TUBOLARE
FIG. D.5.12./26 ATTACCO BULLONATO DI TRAVE TUBOLARE A TRALICCIO SU COLONNA MONOTUBOLARE 300
Ø PROFILO
235
DIMENSIONI
155 120
Ø PROFILO
100
147
507
Ø FORI Ø BULLONI
225 65
410
55
135 25 25
135 60
Ø PROFILO
45
Ø 640x25
15 60
123
75 120 120 120 75
Ø PROFILO
bulloni f 27
Ø PROFILO
Ø PROFILO DIMENSIONI
145 220
BULLONE Ø 42 Ø PROFILO
220x10
Ø PROFILO
Ø 550 Ø 640
DIM
3
34
300
D 166
DIM
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – DETTAGLI COSTRUTTIVI
D.5. 12. A.ZIONI
FIG. D.5.12./27 ATTACCO RIGIDO TRAVE A TRALICCIO-COLONNA SEZIONE A - A
DIM
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.12./28 CERNIERA DI IMPOSTA PER PORTALE
B.STAZIONI DILEGIZLII
5x5 Ø 133x4.5
I ED PRE NISM ORGA
Ø PROFILO
A
150
150
Ø 216x4.75 35
A
82
14
14
DIMENSIONI
180 35 10 10
DIM
1200
Ø PROFILO DIMENSIONI
Ø PROFILO
DIM DIM
Ø PROFILO
10
10
DIM
DIMENSIONI
5 95 150 95 5
72
134
150
36
72 36
85
150
62
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
256
12
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
12
208 24
D.GETTAZIONE
F. TERIALI,
G.ANISTICA
60
URB
Ø 10
270
E ESE ESSIONAL PROF
40
350
83
sm.1x45
83 14 14
156
7
40 40
40 270
232
24
DIM Ø PROFILO
7
DIMENSIONI
C.RCIZIO
100
130
10
100
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
10
DIM
350 DIMENSIONI
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
FIG. D.5.12./29 BASE PER COLONNA IN TUBO A DUE MONTANTI Ø PROFILO
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
Ø PROFILO 220
Ø PROFILO 1640
270
270
220
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
220
220
DIMENSIONI DIMENSIONI
210 15 255
10X10
500
DIMENSIONI
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
DIMENSIONI
20
DIM
513X16
bul. Ø 48
DIM
465X10
DIM
DIMENSIONI
DIM DIMENSIONI
DIMENSIONI
550X20
DIM
20
513 710
177
831 1200 2620
150
540 710
154 20 154 20
202
16 10
550
16
10
DIM
20 12. I D.5. IO – UTTIV ACCIAGLI COSTR A T DET
D 167
D.5. 12.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – DETTAGLI COSTRUTTIVI
FIG. D.5.12./30 ATTACCO TRAVE DI SCORRIMENTO PER GRU A PONTE φ 229x8
65
420
415
95
275 100
230
165
100
φ 229x8
DIM
fori φ 33 160x8
230
DIM
100
14
260
160
DIM φ 356x11
160x8 DIM DIM
DIM
360
DIM DIM 360
φ 356x14
360x12
DIM
DIM
150 550x14 415
670 1500
D 168
415 DIM
550
250
450
150
DIM
φ 356x14
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – PROFILATI
D.5. 13. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. D.5.13./1 ANGOLARI A LATI DISUGUALI – SPIGOLI VIVI – UNI 6762 – IN ACCIAIO FE 320
A P U
s
S
l
I ED PRE NISM ORGA
DIMENSIONI
DESIGNAZIONE PROFILO
l1
B.STAZIONI DILEGIZLII
= sezione del profilo = peso di un metro di barra = superficie di contorno per un metro di barre
l mm 20 25 30 35 40 45 50
20 x 12 x 4 25 x 15 x 4,5 30 x 17,5 x 5 35 x 20 x 5,5 40 x 22 x 6 45 x 30 x 6,5 50 x 30 x 7
l1 mm 12 15 17,5 20 22 30 30
s mm 4 4,5 5 5,5 6 6,5 7
A cm2 1,12 1,60 2,12 2,72 3,36 4,45 5,11
p kg/m 0,879 1,25 1,67 2,14 2,64 3,50 4,01
U m2/m 0,064 0,080 0,095 0,110 0,124 0,150 0,160
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
TAB. D.5.13./2 PROFILATI A Z – SPIGOLI VIVI – UNI 6763 – IN ACCIAIO FE 320 b1
s
G.ANISTICA
A = sezione del profilo P = peso di un metro di barra U = superficie di contorno per un metro di barre
h
URB
h
s
DESIGNAZIONE PROFILO
b
b
b1
s
A
p
U
mm
mm
mm
mm
cm2
kg/m
m2/m
25
25
15
13
4,5
1,98
1,55
0,093
30
30
17
14
5
2,55
2,00
0,113
35
35
19
16
5,5
3,24
2,55
0,128
40
40
21
17
6
3,96
3,11
0,144
y
A = sezione del profilo p = peso di un metro di barra U = superficie di contorno per un metro di barra J = momento d’inerzia W = modulo di resistenza i = J/ A = raggio d’inerzia
ix
h
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
TAB. D.5.13./3 PROFILATI A T – SPIGOLI VIVI – UNI 5681 – IN ACCIAIO FE 320
S
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
x
s
ex
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
b iy
DESIGNAZIONE PROFILO
h=b
s
A
p
U
ex
Jx
Wx
ix
Jy
Wy
iy
mm
mm
cm2
kg/m
m2/m
cm
cm4
cm3
cm
cm4
cm3
cm
20
20
4
1,44
1,13
0,08
0,644
0,503
0,371
0,591
0,275
0,275
0,437
25
25
4,5
2,05
1,61
0,10
0,788
1,13
0,662
0,744
0,601
0,481
0,542
30
30
5
2,75
2,16
0,12
0,932
2,22
1,07
0,897
1,15
0,767
0,647
35
35
5,5
3,55
2,78
0,14
1,08
3,92
1,62
1,05
2,01
1,15
0,752
40
40
6
4,44
3,49
0,16
1,22
6,45
2,32
1,21
3,26
1,63
0,857
45
45
6,5
5,43
4,26
0,18
1,36
10,0
3,20
1,36
5,02
2,23
0,962
50
50
7
6,51
5,11
0,20
1,57
14,9
4,26
1,51
7,41
2,97
1,07
60
60
8
8,96
7,03
–
–
29,7
7,06
1,82
14,6
4,87
1,28
70
70
9
11,80
9,26
–
–
53,4
10,90
2,13
26,1
7,46
1,49
80
80
10
15,00
11,80
–
–
89,0
15,80
2,44
43,2
10,80
1,70
12. I D.5. IO – UTTIV ACCIAGLI COSTR A T DET ILATI 13. D.5. IO – PROF ACCIA
D 169
D.5. 13.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE ACCIAIO – PROFILATI
•
STRUTTURE
TAB. D.5.13./4 TONDI – UNI 6012 – IN ACCIAIO FE 320 D
PESO
D
PESO
D
PESO
D
PESO
mm 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21
kg/m 0,060 0,098 0,154 0,222 0,302 0,395 0,499 0,617 0,746 0,888 1,04 1,21 1,39 1,58 1,78 2,00 2,23 2,47 2,72
mm 22 23 24 25 26 27 28 30 32 33 34 35 36 38 40 42 45 48 50
kg/m 2,96 3,26 3,55 3,85 4,17 4,49 4,83 5,55 6,31 6,71 7,13 7,55 7,99 8,90 9,86 10,900 12,50 14,20 15,40
mm 53 55 58 60 63 65 68 70 73 75 78 80 83 85 88 90 95 100 105
kg/m 17,30 18,70 20,70 22,20 24,50 26,00 28,50 30,20 32,90 34,70 37,50 39,50 42,50 44,50 47,70 49,90 55,60 61,60 68,00
mm 110 115 120 125 130 135 140 145 150 155 160 170 180 190 200 220 230 240 250
kg/m 74,60 81,50 88,80 96,30 104 112 121 130 139 148 158 178 200 223 247 289 326,19 355,16 385,38
D
TAB. D.5.13./5 QUADRI – UNI 6013 – IN ACCIAIO FE 320 L
PESO
L
PESO
L
PESO
L
PESO
mm 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14
kg/m 0,196 0,283 0,385 0,502 0,636 0,785 0,950 1,13 1,33 1,54
mm 15 16 18 19 20 22 25 26 28 30
kg/m 1,77 2,01 2,54 2,83 3,14 3,80 4,91 5,31 6,15 7,07
mm 32 35 38 40 45 50 55 60 65 70
kg/m 8,04 9,62 11,3 12,6 15,9 19,6 23,7 28,3 33,2 38,5
mm 80 90 100 110 120 130 140 150
kg/m 50,2 63,6 76,5 95,0 113 133 154 177 L
TAB. C.5.13./6 PIATTI – UNI 6014 – IN ACCIAIO FUSO σ mm 3 mm 10 12 14 15 16 18 20 22 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 90 100 110 120 130 140 150
D 170
4
5
6
1,88 2,12 2,35
0,314 0,377 0,440 0,468 0,502 0,565 0,628 0,691 0,785 0,942 1,10 1,26 1,41 1,57 1,73 1,88 2,04 2,20 2,36 2,51 2,83 3,14
0,393 0,471 0,550 0,585 0,628 0,707 0,785 0,864 0,981 1,18 1,37 1,57 1,77 1,96 2,16 2,36 2,55 2,75 2,94 3,14 3,53 3,93
2,82
3,77
4,71
0,471 0,565 0,659 0,702 0,754 0,848 0,942 1,04 1,18 1,41 1,65 1,88 2,12 2,36 2,59 2,83 3,06 3,30 3,53 3,77 4,24 4,71 5,18 5,65 6,12
3,30 3,53
4,40 4,71
5,50 5,89
PESO kg/m 0,236 0,283 0,330 0,351 0,377 0,424 0,471 0,518 0,589 0,707 0,824 0,942 1,06 1,18 1,41 1,65
7,06
7
1,10 1,21 1,37 1,64 1,92 2,19 2,47 2,75 3,30 3,85
8
10
12
15
0,754 0,879 0,936 1,00 1,13 1,26 1,38 1,57 1,88 2,20 2,51 2,83 3,14 3,45 3,77 4,08 4,40 4,71 5,02 5,65 6,28 6,91 7,54 8,16 8,79 9,42
1,17 1,26 1,41 1,57 1,73 1,96 2,36 2,75 3,14 3,53 3,93 4,32 4,71 5,10 5,50 5,89 6,28 7,07 7,85 8,64 9,42 10,20 11,00 11,80
1,88 2,07 2,36 2,83 3,30 3,77 4,24 4,71 5,18 5,65 6,12 6,59 7,07 7,54 8,48 9,42 10,40 11,30 12,20 13,20 14,10
2,36 2,59 2,94 3,53 4,12 4,71 5,30 5,89 6,48 7,07 7,65 8,24 8,83 9,42 10,60 11,80 13,00 14,10 15,30 16,50 17,70
18
20
25
30
4,24 4,94 5,65 6,36 7,06 7,77 8,48 9,18 9,89 10,60 11,30 12,72 14,13
4,71 5,50 6,28 7,07 7,85 8,64 9,42 10,20 11,00 11,80 12,60 14,10 15,70 17,30 18,80 20,40 22,00 23,60
6,87 7,85 8,83 9,81 10,80 11,80 12,80 13,70 14,70 15,70 17,70 19,60 21,60 23,60 25,50 27,50 29,40
9,42 10,60 11,80 13,00 14,10 15,30 16,50 17,70 18,80 21,20 23,60 25,90 28,30 30,60 33,00 35,30
35
40
13,74
15,70
50
60
S
L
18,80 20,40 22,00 23,60 25,10 28,30 31,40 34,50 37,70 40,80 44,00 47,10
L 23,60 27,50 29,40 31,40 35,30 39,25 43,20 47,10 51,00 55,00 58,90
33,00 37,70 42,40 47,10 51,80 56,50 61,20 66,00 70,60
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – PROFILATI
D.5. 13. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. D.5.13./7 LARGHI PIATTI – UNI 6557 – IN ACCIAIO FE 320
B.STAZIONI DILEGIZLII
σ mm
L 5 6,28 7,06 7,85
6 7,54 8,48 9,42
7 8,79 9,89
8 10,00 11,30 12,60 15,70 18,84 21,98 25,12 31,40
9 11,30
10 12,60 14,10 15,70 19,62 23,55 27,47 31,40 39,25
I ED PRE NISM ORGA
12 14 15 18 20 22 25 27 30 40 15,10 17,60 18,80 26,60 25,10 27,60 31,40 33,90 37,70 17,00 21,20 25,40 28,30 31,10 35,30 38,20 42,40 18,80 23,60 28,30 31,40 34,50 39,20 47,10 62,80 23,55 29,44 39,25 28,26 32,97 37,68 47,10
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
S
mm 160 180 200 250 300 350 400 500
L
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
TAB. D.5.13./8 PROFILATI A T – SPIGOLI TONDI – UNI 5785 – IN ACCIAIO FE 320
DESIGN. PROFILO
y
r2
60 70 80 100
ix
h
h/2
2%
s
r
r1
b mm 60 70 80 100
s=t=r mm 7 8 9 11
t1 mm 6,7 7,65 8,6 10,5
r1 mm 3,5 4 4,5 5,5
r2 mm 2 2 2 3
A cm2 7,94 10,6 13,6 20,9
p kg/m 6,23 8,32 10,7 16,4
U m2/m 0,229 0,268 0,307 0,383
x DESIGN. PROFILO
t
t1
ex
2% b/4
iy
b
A p U
DIMENSIONI h mm 60 70 80 100
= sezione del profilo = peso di un metro di barra = superficie di contorno per un metro di barra
J W i
60 70 80 100
= momento d’inerzia = modulo di resistenza = J/ A = raggio d’inerzia
POSIZIONE DEL BARICENTRO
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
VALORI STATICI RELATIVI AGLI ASSI XX-YY
EX
JX
WX
IX
JY
WY
IY
cm
cm4
cm3
cm
cm4
cm3
cm
1,66 1,94 2,20 2,74
24,4 44,5 74,9 179
5,62 8,79 12,9 24,6
1,75 2,05 2,34 2,93
12,1 22,1 36,9 87,9
4,03 6,32 9,21 17,6
1,23 1,44 1,64 2,05
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
TAB. D.5.13./9 TABELLA COMPARATIVA PESI-TRAVI
TRAVI
U
NP
IPE
HEA
HEB
HEM
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
Design.
kg/m
kg/m
kg/m
kg/m
kg/m
kg/m
D.5. TURE T STRU
80 100 120 140 160 180 200 220 240 260 270 280 300 320 330 340 360 400 450 500 550 600
8,65 10,6 13,3 16 18,9 22 25,3 29,4 33,2 37,9 – 41,9 46,1 – – – – – – – – –
5,95 8,34 11,1 14,3 17,9 21,9 26,2 31,0 36,2 41,9 – 48 54,2 – – – – – 115 – – –
6 8,1 10,4 12,9 15,8 18,8 22,4 26,2 30,7 – 36,1 – 42,2 – 49,1 – 57,1 66,3 77,6 90,7 106,0 122,0
– 16,7 19,9 24,7 30,4 35,5 42,3 50,5 60,3 68,2 – 76,4 88,3 97,6 – 105 112 125 140,7 155 166 178
– 20,4 26,7 33,7 42,6 51,2 61,3 71,5 83,2 93 – 103 117 127 – 134 142 155 171 187 199 212
– 41,8 52,1 63,2 76,2 88,9 103 117 157 172 – 189 238 245 – 248 250 256 263 270 278 285
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
ILATI 13. D.5. IO – PROF ACCIA
D 171
D.5. 13.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE ACCIAIO – PROFILATI
•
STRUTTURE
TAB. D.5.13./10 PROFILATI A U – SERIE NORMALE E SPECIALE – UNI 5786 (< 80 mm) – UNI 5680 (> 80 mm) – EURONORM 54-79 IN ACCIAIO E FE 320 ey y
s
A p U J W i Sx sx
r1
sx
x
t2
8% iy
f
b/2 b
y POSIZIONE BARICENTRO
DIMENSIONI PROFILO
H
sezione del profilo (A’, A” = sezione depurata dai fori) peso di un metro di barra superficie di contorno per un metro di barra momento d’inerzia modulo di resistenza (W’, W” = sezione depurata dai fori) J/ A = raggio d’inerzia momento statico di mezza sezione Jx /Sx = distanza tra centri di trazione e di compressione
t1
h
x
h1
i
r
= = = = = = = =
B
S
R1
T=R
T1
R2
H1
P
A
mm mm mm mm mm mm mm mm kg/m cm 30
30
33
5
7
3,5
–
–
40
40
35
5
7
3,5
5,48
50
50
38
5
7
3,5
5,6
65
65
42
5,5
7,5
4
EY
U
VALORI STATICI RELATIVI AGLI ASSI XX-YY JX
2
2
m /m
cm
cm
WX 4
cm
IX
JY
3
cm
cm
(¯) FORATURA SULLE ALI
WY 4
cm
3
IY
SX
cm
cm
3
SX
D
F
W'X
A'
cm
mm
mm
cm
2
cm
3
A'' cm
2
W''X cm
3
–
4,27
5,44
0,174
1,31
6,39
4,26
1,08
5,10
2,60
0,968
–
–
–
–
–
–
–
–
8,4
11
4,88
6,21
0,199
1,33
14,1
7,07
1,51
6,68
3,08
1,04
–
–
11
18
5,44
5,23
4,67
4,92
8,52
20
5,59
7,12
0,232
1,37
26,5
10,6
1,93
9,10
3,74
1,13
–
–
11
21
6,35
8,14
5,58
7,72
5,82 9,18
33
7,09
9,03
0,273
1,42
57,5
17,7
2,52
14,0
5,05
1,25
–
–
11
25
8,20
14,1
7,38
13,5
80
80
45
6
8
4
6,2
9,8
46
8,65
11,0
0,312
1,45
106
26,5
3,10
19,4
6,35
1,33
15,9
6,65
11
28
10,1
21,7
9,24
20,8
100
100
50
6
8,5
4,5
6,5
10,5
64
10,6
13,5
0,372
1,55
205
41,1
3,91
29,1
8,45
1,47
24,5
8,42
13
30
12,4
33,2
11,3
31,7
120
120
55
7
9
4,5
6,8
11,2
82
13,3
17,0
0,434
1,61
364
60,7
4,63
43,1
11,1
1,59
36,3
10,0
15
32
15,7
49,2
14,3
46,8
140
140
60
7
10
5
7,6
12,4
98
16,0
20,4
0,489
1,76
605
86,4
5,45
62,5
14,7
1,75
51,4
11,8
17
34
18,7
69,4
17,0
65,9
160
160
65
7,5
10,5
5,5
7,9
13,1
115
18,9
24,0
0,546
1,84
925
116
6,21
85,1
18,2
1,88
68,8
13,3
17
39
22,2
95,0
20,4
90,7
180
180
70
8
11
5,5
8,2
13,8
133
22,0
28,0
0,611
1,93
1354
150
6,96
114
22,4
2,01
89,6
15,1
19
41
24,8
104
23,8
117
200
200
75
8,5
11,5
6
8,5
14,5
151
25,3
32,2
0,661
2,01
1911
191
7,71
148
26,9
2,14
114
16,8
21
43
29,8
156
27,4
148
220
220
80
9
12,5
6,5
9,3
15,7
167
29,4
37,4
0,718
2,14
2691
245
8,48
196
33,5
2,29
146
18,5
21
48
34,8
203
32,2
193
240
240
85
9,5
13
6,5
9,6
16,4
184
33,2
42,3
0,775
2,24
3599
300
9,22
247
39,5
2,42
179
20,1
25
47
39,0
243
35,8
230
260
260
90
10
14
–
–
–
–
37,9
48,3
–
–
4824
371
10,0
317
47,8
2,56
–
–
–
–
–
–
–
280
280
95
10
15
–
–
–
–
41,9
53,4
–
–
6276
448
10,8
398
57,2
2,73
–
–
–
–
–
–
–
300
300
100
10
16
–
–
–
–
46,1
58,8
–
–
8028
535
11,7
493
67,6
2,90
–
–
–
–
–
–
–
SERIE SPECIALE POSIZIONE BARICENTRO
DIMENSIONI DESIGN PROFILO
H
B
S
T=R
R1
T1
R2
H1
P
A
U
mm mm mm mm mm mm mm mm kg/m cm2 m2/m
D 172
25
25
12
4
4
2
30
30
15
5
5
2,5
35
35
17
5,5
5,5
40
40
20
6
6
50
50
25
6
60
60
30
6,5
3,52– 4,48–
VALORI STATICI RELATIVI AGLI ASSI XX-YY
(¯) FORATURA SULLE ALI
EY
JX
WX
IX
JY
WY
IY
cm
cm4
cm3
cm
cm4
cm3
cm
SX
SX
D
F
A'
W'X
A''
W''X
cm3 cm mm mm cm2 cm3 cm2 cm3
9
1,30
1,66
0,085
0,420
1,24
0,991 0,864 0,171 0,219 0,321
–
–
–
–
–
–
–
–
5,6
10
1,98
2,53
0,101
0,532
2,71
1,81
1,04
0,411 0,424 0,403
–
–
–
–
–
–
–
–
3
4,82 6,18
13
2,52
3,21
0,119
0,589
4,75
2,71
1,22
0,665 0,599 0,455
–
–
–
–
–
–
–
–
3
5,2
6,8
16
3,23
4,11
0,130
0,684
8,11
4,05
1,40
1,21
0,917 0,542
–
–
–
–
–
–
–
–
6
3
5
7
25
4,15
5,28
0,179
0,798
17,3
6,91
1,81
2,51
1,47
0,689
–
–
–
–
–
–
–
–
6,5
3,5
5,3
7,7
33
5,45
6,94
0,218
0,928
33,4
11,1
2,19
4,79
2,31
0,830
–
–
–
–
–
–
–
–
4,4
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – PROFILATI
D.5. 13. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. D.5.13./11 ANGOLARI A LATI UGUALI – SPIGOLI TONDI – UNI 5783 – IN ACCIAIO FE 320 y
m
zm
n
A = p = U = J = W = i = Jxy =
ix
l
d
im
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
d
D.GETTAZIONE
iy i
ey
l m
n
z
s
ex
r
x
f
zm
x
B.STAZIONI DILEGIZLII
sezione del profilo peso di un metro di barra superficie di contorno per un metro di barra momento d’inerzia modulo di resistenza J/ A = raggio d’inerzia momento centrifugo
PRO TTURALE STRU
f
n
y
DESIGN. PROFILO 15 x 3 ▲ 20 x 3 20 x 4 25 x 3 25 x 4 25 x 5 30 x 3 30 x 4 30 x 5 30 x 6 u 35 x 3,5 ▲ 35 x 4 35 x 5 35 x 6 ▲ 40 x 3 40 x 4 40 x 5 40 x 6 45 x 4,5 ▲ 45 x 5 45 x 6 45 x 7 ▲ 50 x 5 50 x 6 50 x 7 50 x 9 ▲ 55 x 5 ▲ 55 x 6 ▲ 55 x 8 ▲ 60 x 6 60 x 8 ∞60 x 10 ∞65 x 7 u ∞65 x 9 u 70 x 7 ∞70 x 9 u ∞70 x 11 u ∞75 x 8 u ∞75 x 10 u ∞75 x 12 u 80 x 8 ∞80 x 10 ∞80 x 12 ∞90 x 8 90 x 9 ∞90 x 11 u ∞90 x 13 u ∞90 x 15 u ∞100 x 10 100 x 12 ∞120 x 12 120 x 15 ∞150 x 14 150 x 15 ∞150 x 18
e
n
POSIZIONE DEL BARICENTRO A p U l s r r1 cm2 kg/m m2/m ex=ey en zm mm mm mm mm cm cm cm 15 3 3,5 2 0,819 0,640 0,057 0,472 0,668 1,06 20 3 3,5 2 1,12 0,880 0,077 0,596 0,843 1,41 20 4 3,5 2 1,45 1,14 0,077 0,635 0,899 1,41 25 3 3,5 2 1,42 1,12 0,097 0,721 1,02 1,77 25 4 3,5 2 1,85 1,45 0,097 0,761 1,07 1,77 25 5 3,5 2 2,26 1,77 0,097 0,798 1,13 1,77 30 3 5 2,5 1,74 1,36 0,116 0,835 1,18 2,12 30 4 5 2,5 2,27 1,78 0,116 0,878 1,24 2,12 30 5 5 2,5 2,78 2,18 0,116 0,918 1,30 2,12 30 6 5 2,5 3,27 2,56 0,116 0,956 1,35 2,12 35 3,5 5 2,5 2,35 1,85 0,136 0,982 1,39 2,47 35 4 5 2,5 2,67 2,10 0,136 1,00 1,41 2,47 35 5 5 2,5 3,28 2,57 0,136 1,04 1,47 2,47 35 6 5 2,5 3,87 3,04 0,136 1,08 1,53 2,47 40 3 6 3 – 1,84 0,155 – – 2,83 40 4 6 3 3,08 2,42 0,155 1,12 1,58 2,83 40 5 6 3 3,79 2,97 0,155 1,16 1,64 2,83 40 6 6 3 4,48 3,52 0,155 1,20 1,70 2,83 45 4,5 7 3,5 3,90 3,06 0,174 1,26 1,78 3,18 45 5 7 3,5 4,30 3,38 0,174 1,28 1,81 3,18 45 6 7 3,5 5,09 4,00 0,174 1,32 1,87 3,18 45 7 7 3,5 5,86 4,60 0,174 1,36 1,92 3,18 50 5 7 3,5 4,80 3,77 0,194 1,40 1,99 3,54 50 6 7 3,5 5,69 4,47 0,194 1,45 2,04 3,54 50 7 7 3,5 6,56 5,15 0,194 1,49 2,10 3,54 50 9 7 3,5 8,24 6,47 0,194 1,56 2,21 3,54 55 5 8 4 5,32 4,18 0,213 1,52 2,15 3,89 55 6 8 4 6,31 4,95 0,213 1,56 2,21 3,89 55 8 8 4 8,23 6,46 0,213 1,64 2,32 3,89 60 6 8 4 6,91 5,42 0,233 1,69 2,39 4,24 60 8 8 4 9,03 7,09 0,233 1,77 2,50 4,24 60 10 8 4 11,1 8,69 0,233 1,85 2,61 4,24 65 7 9 4,5 8,70 6,83 0,252 1,85 2,61 4,59 65 9 9 4,5 11,0 8,62 0,252 1,93 2,73 4,59 70 7 9 4,5 9,40 7,38 0,272 1,97 2,79 4,95 70 9 9 4,5 11,9 9,34 0,272 2,05 2,90 4,95 70 11 9 4,5 14,3 11,2 0,272 2,13 3,01 4,95 75 8 10 5 11,5 9,03 0,291 2,13 3,01 5,30 75 10 10 5 14,1 11,1 0,291 2,21 3,13 5,30 75 12 10 5 16,7 13,1 0,291 2,29 3,24 5,30 80 8 10 5 12,3 9,66 0,311 2,26 3,19 5,66 80 10 10 5 15,1 11,9 0,311 2,34 3,30 5,66 80 12 10 5 17,9 14,1 0,311 2,41 3,41 5,66 90 8 11 5,5 13,9 10,9 0,351 2,50 3,53 6,36 90 9 11 5,5 15,5 12,2 0,351 2,54 3,59 6,36 90 11 11 5,5 18,7 14,7 0,351 2,62 3,70 6,36 90 13 11 5,5 21,8 17,1 0,351 2,70 3,81 6,36 90 15 11 5,5 24,9 19,5 0,351 2,77 3,92 6,36 100 10 12 6 19,2 15,1 0,390 2,82 3,99 7,07 100 12 12 6 22,7 17,8 0,390 2,90 4,11 7,07 120 12 13 6,5 – 21,4 0,469 – – 8,49 120 15 13 6,5 33,9 26,6 0,469 3,51 4,97 8,49 150 14 16 8 40,3 31,6 0,586 4,21 5,95 10,6 150 15 16 8 – 33,5 0,586 – – 10,6 150 18 16 8 51,0 40,1 0,586 4,37 6,17 10,6 DIMENSIONI
E.NTROLLO
n
CO NTALE AMBIE
zn cm 0,522 0,700 0,716 0,877 0,892 0,910 1,05 1,06 1,07 1,09 1,23 1,24 1,25 1,27 – 1,40 1,41 1,43 1,58 1,58 1,59 1,61 1,76 1,77 1,78 1,82 1,93 1,94 1,96 2,11 2,14 2,17 2,29 2,32 2,47 2,50 2,53 2,65 2,68 2,71 2,83 2,85 2,89 3,17 3,18 3,21 3,24 3,28 3,54 3,57 – 4,31 5,32 – 5,37
VALORI STATICI RELATIVI AGLI ASSI Jx=Jy Wx=Wy Ix=Iy Jm Wm Im Jn Wn In cm4 cm3 cm cm4 cm3 cm cm4 cm3 cm 0,150 0,150 0,430 0,240 0,220 0,540 0,060 0,100 0,280 0,390 0,280 0,590 0,610 0,430 0,740 0,160 0,190 0,380 0,490 0,360 0,580 0,760 0,540 0,730 0,210 0,230 0,380 0,800 0,450 0,750 1,26 0,710 0,940 0,330 0,320 0,480 1,01 0,582 0,739 1,60 0,903 0,929 0,426 0,396 0,480 1,20 0,710 0,730 1,89 1,07 0,910 0,520 0,460 0,480 1,40 0,650 0,900 2,22 1,05 1,13 0,580 0,500 0,580 1,80 0,850 0,890 2,85 1,34 1,12 0,750 0,610 0,580 2,16 1,04 0,880 3,41 1,61 1,11 0,920 0,710 0,570 2,49 1,22 0,870 3,91 1,84 1,09 1,08 0,800 0,570 2,63 1,04 1,06 4,17 1,68 1,33 1,09 0,78 0,680 2,95 1,18 1,05 4,68 1,89 1,32 1,23 0,860 0,680 3,56 1,45 1,04 5,64 2,28 1,31 1,49 1,01 0,670 4,13 1,71 1,03 6,50 2,63 1,30 1,75 1,15 0,670 – – – – – – – – – 4,47 1,55 1,21 7,09 2,51 1,52 1,86 1,17 0,780 5,53 1,91 1,20 8,59 3,04 1,51 2,26 1,38 0,770 6,31 2,26 1,19 9,98 3,53 1,49 2,65 1,56 0,770 7,15 2,20 1,35 11,3 3,56 1,70 2,97 1,67 0,872 7,84 2,43 1,34 12,4 3,90 1,70 3,26 1,80 0,870 9,16 2,88 1,34 14,5 4,56 1,69 3,83 2,05 0,870 10,4 3,31 1,33 16,4 5,16 1,67 4,38 2,28 0,860 11,0 3,05 1,51 17,4 4,92 1,90 4,55 2,29 0,970 12,8 3,61 1,50 20,4 5,76 1,89 5,34 2,61 0,970 14,6 4,16 1,49 23,1 6,54 1,88 6,11 2,91 0,960 17,9 4,20 1,47 28,1 7,95 1,85 7,63 3,46 0,960 14,7 3,70 1,66 23,3 6,00 2,09 6,10 2,84 1,07 17,3 4,39 1,66 27,4 7,04 2,08 7,18 3,25 1,07 22,0 5,72 1,64 34,8 8,96 2,06 9,24 3,98 1,06 22,8 5,29 1,82 36,2 8,52 2,29 9,46 3,96 1,17 29,2 6,89 1,80 46,1 10,9 2,26 12,2 4,86 1,16 34,9 8,41 1,78 55,1 13,0 2,23 14,8 5,67 1,16 33,4 7,18 1,96 53,0 11,5 2,47 13,9 5,31 1,26 41,4 9,05 1,94 65,4 14,2 2,44 17,3 6,35 1,26 42,3 8,42 2,12 67,1 13,6 2,67 17,5 6,28 1,36 52,5 10,6 2,10 83,1 16,8 2,64 21,8 7,52 1,36 61,8 12,7 2,08 97,6 19,7 2,61 26,1 8,65 1,35 58,9 11,0 2,26 93,3 17,6 2,85 24,4 8,10 1,46 71,2 13,5 2,25 113 21,2 2,83 29,7 9,49 1,45 82,6 15,8 2,23 130 24,6 2,80 34,9 10,8 1,45 72,2 12,6 2,42 115 20,3 3,06 29,9 9,37 1,56 87,5 15,5 2,41 139 24,5 3,03 36,4 11,0 1,55 102 18,2 2,39 161 28,4 3,00 42,7 12,5 1,55 104 16,1 2,74 166 26,0 3,45 43,1 12,2 1,76 116 17,9 2,73 184 28,9 3,44 47,9 13,3 1,76 138 21,6 2,71 218 34,3 3,41 57,2 15,4 1,75 158 25,1 2,69 250 39,3 3,38 66,2 17,4 1,74 177 28,5 2,67 279 43,9 3,35 75,1 19,2 1,74 177 24,6 3,04 280 39,6 3,83 73,0 18,3 1,95 207 29,1 3,02 328 46,3 3,80 85,7 20,9 1,94 – – – – – – – – – 445 52,4 3,62 705 83,1 4,56 185 37,1 2,33 845 78,3 4,58 1343 127 5,77 348 58,5 2,94 – – – – – – – – – 1050 98,7 4,54 1665 157 5,71 435 70,5 2,92
JXY cm4 0,090 0,240 0,290 0,480 0,586 0,690 0,840 1,05 1,25 1,42 1,54 1,72 2,08 2,37 – 2,62 3,20 3,66 4,18 4,58 5,23 6,01 6,41 6,41 8,58 10,2 8,62 10,1 12,7 13,4 17,0 20,3 19,6 24,1 24,8 30,6 35,8 34,5 41,6 47,7 42,7 51,6 59,0 61,2 68,2 80,9 92,1 102 104 121 – 260 498 – 612
(∞) 0FORATURA SULLE ALI d f mm mm
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
11 11 11 11 13 13 11 11 13 13 13 13 15 15 15 17 17 17 19 19 21 21 19 23 21 21 25 23 23 28 28 25 25 25 31 28 31 31 31 31 31
23 23 23 23 25 25 25 25 30 30 30 30 31 31 31 35 35 35 35 37 40 40 40 43 43 43 45 45 45 50 50 50 50 50 55 55 62 62 65 65 65
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
ILATI 13. D.5. IO – PROF ACCIA
D 173
D.5. 13.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE ACCIAIO – PROFILATI
•
STRUTTURE
TAB. D.5.13./12 ANGOLARI A LATI DISUGUALI – SPIGOLI TONDI – UNI 5784 – IN ACCIAIO FE 320 n
y
zm
A = p = U = J = W = i = Jxy =
d1 em
ix
l1
i
m
f1
x
l
ey
iy en y
DESIGNAZIONE PROFILO 20 x 30 x 4 ∞ 20 x 30 x 5 20 x 35 x 4 ∞ 20 x 35 x 5 20 x 40 x 4 ∞ 20 x 40 x 5 25 x 40 x 4 ∞ 25 x 40 x 5 ∞ 30 x 45 x 4 30 x 45 x 5 30 x 45 x 6 30 x 50 x 5 30 x 50 x 6 30 x 60 x 5 30 x 60 x 6 ∞ 30 x 60 x 7 40 x 60 x 5 40 x 60 x 6 ∞ 40 x 60 x 7 40 x 80 x 6 40 x 80 x 8 50 x 75 x 6 50 x 75 x 7 ∞ 50 x 75 x 9 50 x 100 x 8 50 x 100 x 10 60 x 80 x 7 60 x 80 x 8 ∞ 60 x 80 x 10 60 x 120 x 8 60 x 120 x 10 65 x 100 x 7 ∞ 65 x 100 x 9 ∞ 65 x 100 x 11 65 x 130 x 8 65 x 130 x 10 ∞ 65 x 130 x 12 ∞ 75 x 110 x 8 ∞ 75 x 110 x 10 80 x 120 x 8 80 x 120 x 10 80 x 120 x 12 ∞ 80 x 120 x 14 ∞ 90 x 200 x 9 ∞ 90 x 200 x 10 ∞ 90 x 200 x 11 ∞ 90 x 200 x 12 ∞ 90 x 200 x 15 ∞ 100 x 150 x 10 ∞ 100 x 150 x 12 100 x 150 x 14
D 174
d
ex
r
l mm 20 20 20 20 20 25 25 25 30 30 30 30 30 30 30 30 40 40 40 40 40 50 50 50 50 50 60 60 60 60 60 65 65 65 65 65 65 75 75 80 80 80 80 90 90 90 90 90 100 100 100
l1 mm 30 30 35 35 40 40 40 40 45 45 45 50 50 60 60 60 60 60 60 80 80 75 75 75 100 100 80 80 80 120 120 100 100 100 130 130 130 110 110 120 120 120 120 200 200 200 200 200 150 150 150
sezione del profilo peso di un metro di barra superficie di contorno per un metro di barra momento d’inerzia modulo di resistenza J/ A = raggio d’inerzia momento centrifugo
f i
zn
n
DIMENSIONI s r mm mm 4 3.5 5 3.5 4 3.5 5 3.5 4 3.5 5 3.5 4 3.5 5 3.5 4 4.5 5 4.5 6 4.5 5 4.5 6 4.5 5 6 6 6 7 6 5 6 6 6 7 6 6 7 8 7 6 7 7 7 9 7 8 9 10 9 7 7 8 7 10 7 8 10 10 10 7 10 9 10 11 10 8 11 10 11 12 11 8 10 10 10 8 11 10 11 12 11 14 11 9 13 10 13 11 13 12 13 15 13 10 13 12 13 14 13
r1 mm 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 3 3 3 3 3 3 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 4.5 4.5 3.5 3.5 3.5 5 5 5 5 5 5.5 5.5 5.5 5 5 5.5 5.5 5.5 5.5 6.5 6.5 6.5 6.5 6.5 6.5 6.5 6.5
A
p
U
cm2 1.85 2.27 2.06 2.52 2.25 2.77 2.46 3.02 2.87 3.53 4.17 3.78 4.47 4.29 5.08 5.85 4.79 5.68 6.55 6.89 9.01 7.18 8.30 10.5 11.5 14.1 9.36 10.6 13.1 13.9 17.1 11.2 14.2 17.1 15.1 18.6 22.1 14.3 17.6 15.5 19.1 22.7 26.2 25.5 28.2 30.9 33.6 41.4 24.2 28.7 33.2
kg/m 1.45 1.78 1.62 1.98 1.77 2.17 1.93 2.37 2.25 2.77 3.27 2.96 3.51 3.37 3.99 4.59 3.76 4.46 5.14 5.41 7.07 5.63 6.51 8.23 8.99 11.1 7.35 8.32 10.3 10.9 13.4 8.77 11.1 13.4 11.9 14.6 17.3 11.2 13.8 12.2 15.0 17.8 20.5 20.0 22.1 24.3 26.4 32.5 19.0 22.6 26.1
m2/m 0.097 0.097 0.097 0.097 0.117 0.117 0.120 0.120 0.146 0.146 0.146 0.150 0.150 0.175 0.175 0.175 0.195 0.195 0.195 0.234 0.234 0.250 0.250 0.250 0.292 0.292 0.290 0.290 0.290 0.300 0.300 0.321 0.321 0.321 0.381 0.381 0.381 0.350 0.350 0.391 0.391 0.391 0.391 0.560 0.560 0.560 0.560 0.560 0.489 0.489 0.489
ex cm 1.03 1.07 1.25 1.29 1.47 1.51 1.37 1.40 1.48 1.52 1.56 1.73 1.77 2.15 2.20 2.24 1.96 2.00 2.04 2.85 2.94 2.44 2.48 2.57 3.59 3.67 2.52 2.56 2.63 4.24 4.33 3.23 3.32 3.40 4.56 4.65 4.74 3.61 3.60 3.83 3.92 4.00 4.08 7.15 7.20 7.24 7.28 7.41 4.81 4.89 4.97
POSIZIONE DEL BARICENTRO ey en zn em cm cm cm cm 0.541 0.901 1.04 1.52 0.579 0.944 1.03 1.53 0.508 0.862 1.11 1.64 0.546 0.902 1.11 1.66 0.481 0.825 1.17 1.80 0.519 0.863 1.16 1.82 0.623 1.07 1.35 1.94 0.661 1.11 1.35 1.96 0.740 1.27 1.58 2.26 0.779 1.32 1.58 2.27 0.817 1.36 1.57 2.29 0.744 1.28 1.66 2.38 0.782 1.32 1.66 2.40 0.681 1.20 1.77 2.66 0.721 1.24 1.76 2.69 0.760 1.27 1.74 2.71 0.972 1.67 2.10 3.00 1.01 1.72 2.09 3.02 1.05 1.76 2.09 3.03 0.884 1.57 2.37 3.54 0.963 1.66 2.34 3.58 1.21 2.08 2.64 3.75 1.25 2.13 2.63 3.77 1.33 2.23 2.62 3.80 1.12 1.98 2.96 4.43 1.20 2.07 2.93 4.49 1.53 2.55 2.94 4.36 1.57 2.60 2.93 4.37 1.64 2.70 2.93 4.39 1.29 2.31 3.59 5.29 1.37 2.40 3.55 5.35 1.51 2.64 3.48 4.90 1.59 2.74 3.46 4.94 1.67 2.83 3.45 4.97 1.37 2.47 3.90 5.71 1.45 2.57 3.86 5.76 1.53 2.65 3.83 5.82 1.79 3.09 3.91 5.56 1.87 3.19 3.90 5.60 1.87 3.25 4.23 5.98 1.95 3.35 4.21 6.02 2.03 3.45 4.20 6.05 2.10 3.54 4.19 6.07 1.72 3.23 5.62 8.56 1.76 3.27 5.60 8.59 1.80 3.32 5.58 8.62 1.84 3.36 5.56 8.65 1.96 3.49 5.51 8.73 2.39 4.08 5.28 7.49 2.42 4.17 5.27 7.52 2.50 4.27 5.26 7.55
zm cm 2.02 2.00 2.30 2.27 2.57 2.54 2.68 2.66 3.07 3.05 3.03 3.33 3.31 3.90 3.86 3.83 4.09 4.07 4.05 5.20 5.14 5.12 5.10 5.06 6.49 6.43 5.54 5.53 5.50 7.83 7.77 6.84 6.79 6.74 8.51 8.45 8.39 7.55 7.51 8.24 8.19 8.15 8.11 13.0 12.9 12.9 12.8 12.7 10.3 10.2 10.2
TGA 0.423 0.412 0.318 0.309 0.252 0.245 0.382 0.375 0.436 0.430 0.423 0.353 0.348 0.256 0.252 0.248 0.437 0.433 0.429 0.255 0.253 0.437 0.435 0.431 0.258 0.252 0.547 0.545 0.540 0.260 0.257 0.419 0.415 0.410 0.263 0.259 0.255 0.455 0.452 0.441 0.438 0.433 0.429 0.223 0.222 0.221 0.220 0.217 0.442 0.439 0.435
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – PROFILATI
D.5. 13. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. D.5.13./13 TRAVI IPE UNI 5398 – EURONORM 44-63 – IN ACCIAIO FE 360B
r
x
h
a
h1 h2
ix
A p U J W i Sx sx
= = = = = = = =
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
sezione del profilo (A’, A” = sezione depurata dai fori) peso di un metro di barra superficie di contorno per un metro di barra momento d’inerzia modulo di resistenza (W’, W” = sezione depurata dai fori) J/ A = raggio d’inerzia momento statico di mezza sezione Jx / Sx = distanza tra centri di trazione e di compressione
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
d e f
b
E.NTROLLO
iy
CO NTALE AMBIE
DIMENSIONI DIMENSIONI PROFILO
H
B
A
E
R
H1
H2
A
P
U
mm
mm
mm
mm
mm
mm
mm
cm2
kg/m
m2/m
IPE 80
80
46
3,8
5,2
5
59,6–
69,6–
7,64
6,00
0,328
IPE 100
100
55
4,1
5,7
7
74,6
88,6
10,3
8,10
0,400
IPE 120
120
64
4,4
6,3
7
93,4
107,4
13,2
10,4
0,475
IPE 140
140
73
4,7
6,9
7
112,2
126,2
16,4
12,9
0,551
IPE 160
160
82
5
7,4
9
127,2
145,2
20,1
15,8
0,623
IPE 180
180
91
5,3
8
9
146
164
23,9
18,8
0,698
IPE 200
200
100
5,6
8,5
12
159
183
28,5
22,4
0,768
IPE 220
220
110
5,9
9,2
12
177,6
201,6
33,4
26,2
0,848
IPE 240
240
120
6,2
9,8
15
190,4
220,4
39,1
30,7
0,922
IPE 270
270
135
6,6
10,2
15
219,6
249,6
45,9
36,1
1,04
IPE 300
300
150
7,1
10,7
15
248,6
278,6
53,8
42,2
1,16
IPE 330
330
160
7,5
11,5
18
271
307
62,6
49,1
1,25
IPE 360
360
170
8
12,7
18
298,6
334,6
72,7
57,1
1,35
IPE 400
400
180
8,6
13,5
21
331
373
84,5
66,3
1,47
IPE 450
450
190
9,4
14,6
21
378,8
420,8
98,8
77,6
1,60
IPE 500
500
200
10,2
16
21
426
468
116
90,7
1,74
IPE 550
550
210
11,1
17,2
24
467,8
515,8
134
106
1,88
IPE 600
600
220
12
19
24
514
562
156
122
2,01
VALORI STATICI RELATIVI AGLI ASSI XX-YY DIMENSIONI PROFILO
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
(¯) FORATURA SULLE ALI
JX
WX
IX
JY
WY
IY
SX
SX
D
F
A'
W'X
A''
W''X
cm4
cm3
cm
cm4
cm3
cm
cm3
cm
mm
mm
cm2
cm3
cm2
cm3
IPE 80
80,1
20,0
3,24
8,49
3,69
1,05
11,6
6,90
–
–
–
–
–
–
IPE 100
171
34,2
4,07
15,9
5,79
1,24
19,7
8,68
–
–
–
–
–
–
IPE 120
318
53,0
4,90
27,7
8,65
1,45
30,4
10,5
–
–
–
–
–
–
IPE 140
541
77,3
5,74
44,9
12,3
1,65
44,2
12,3
11
40
14,9
60,8
13,4
58,0
IPE 160
869
109
6,58
68,3
16,7
1,84
61,9
14,0
11
45
18,5
88,3
16,8
84,9
IPE 180
1317
146
7,42
101
22,2
2,05
83,2
15,8
13
50
21,8
117
19,7
112
IPE 200
1943
194
8,26
142
28,5
2,24
110
17,6
13
56
26,3
159
24,1
154
IPE 220
2772
252
9,11
205
37,3
2,48
143
19,4
15
60
30,6
204
27,9
196
IPE 240
3892
324
9,97
284
47,3
2,69
183
21,2
15
67
36,2
268
33,2
259
IPE 270
5790
429
11,2
420
62,2
3,02
242
23,9
19
75
42,0
345
38,1
332
IPE 300
8356
557
12,5
604
80,5
3,35
314
26,6
21
80
49,3
449
44,8
432
IPE 330
11770
713
13,7
788
98,5
3,55
402
29,3
23
90
57,3
573
52,0
551
IPE 360
16270
904
15,0
1043
123
3,79
510
31,9
25
95
66,3
721
60,0
691
IPE 400
23130
1160
16,5
1318
146
3,95
654
35,4
25
101
77,7
941
71,0
904
IPE 450
33740
1500
18,5
1676
176
4,12
851
39,7
25
105
91,5
238
84,2
1192
IPE 500
48200
1930
20,4
2142
214
4,31
1100
43,9
28
110
107
573
98,1
1508
IPE 550
67120
2440
22,3
2668
254
4,45
1390
48,2
28
116
124
2021
115
2375
IPE 600
92080
3070
24,3
3387
308
4,66
1760
52,4
31
122
144
2512
132
2406
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
ILATI 13. D.5. IO – PROF ACCIA
D 175
D.5. 13.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE ACCIAIO – PROFILATI
•
STRUTTURE
TAB. D.5.13./14 TRAVI IPE SOLLECITATE A COMPRESSOINE ASSIALE – FLESSIONE NEL PIANO XX
Q
A Q = σk ω
Q
Q
Q
1 kg/mm2 = 9,8 N/mm2 H
σk = 1600 kg/cm2 Q = carico utile [kg]
σk = 2400 kg/cm2
σk = tensione unitaria di lavoro [kg/cm2]
A = sezione dell’asta [cm2] ω = coefficiente di aumento del carico (CNR-UNI 10011-67) H = lunghezza dell’asta [m] I = lunghezza libera di flessione [m] i y = raggio d’inerzia minimo [cm] λ = l /i Y = snellezza
l = 2H
l=H
l = 0,8H
l = 0,7H
CARICHI IN KG RIFERITI ALLE LUNGHEZZE LIBERE DEI PILASTRI IN METRI IPE 80 100 120 140 160 180 200 220 240 270 300 330 360 400 450 500 550 600
D 176
A 7,64 10,3 13,2 16,4 20,1 23,9 28,5 33,4 39,1 45,9 53,8 62,6 72,7 84,5 98,8 116,0 134,0 156,0
P 6,0 8,1 10,4 12,9 15,8 18,8 22,4 26,2 30,7 36,1 42,2 49,1 57,1 66,3 77,6 90,7 106,0 122,0
1
1,5
2
2,5
3
3,5
4
4,5
5
5,5
6
6,5
7
7,5
8
8,5
7,785
5,633
3,574
2,272
1,583
1,166
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
10,477
6,344
3,501
2,272
1,583
1,166
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
11,365
8,908
6,618
4,291
2,953
2,177
1,671
–
–
–
–
–
–
–
–
–
15,745
11,339
6,699
4,291
2,953
2,177
1,671
–
–
–
–
–
–
–
–
–
15,529
12,800
10,057
7,489
5,201
3,784
2,937
2,323
1,884
–
–
–
–
–
–
–
22,000
17,124
11,646
7,471
5,201
3,784
2,936
2,323
1,884
–
–
–
–
–
–
–
19,729
17,150
14,183
11,359
8,437
6,116
4,702
3,727
3,023
2,503
–
–
–
–
–
–
28,521
23,289
18,855
12,073
8,428
6,130
4,702
3,727
3,025
2,503
–
–
–
–
–
–
25,125
22,179
18,917
15,611
12,711
9,403
7,210
5,695
4,614
3,810
3,203
2,732
–
–
–
–
36,000
30,720
24,865
18,412
12,829
9,421
7,210
5,693
4,615
3,816
3,205
2,731
–
–
–
–
30,592
27,510
24,050
20,670
17,225
13,755
10,563
8,367
6,768
5,607
4,709
4,021
3,466
–
–
–
44,125
38,496
32,590
26,311
18,993
13,755
10,563
8,349
6,772
5,607
4,713
4,022
3,466
–
–
–
37,073
33,529
30,000
26,205
22,463
19,079
15,099
11,875
9,702
7,985
6,745
5,728
4,924
4,314
3,781
–
53,858
47,832
49,958
34,371
26,718
19,883
15,099
11,875
9,715
7,990
6,752
5,733
4,924
4,315
3,781
–
44,165
40,793
37,111
32,987
28,886
24,855
21,461
17,183
13,916
11,517
9,698
8,259
7,059
6,156
5,419
4,805
64,645
58,510
51,716
43,803
36,770
28,325
21,723
17,164
13,916
11,517
9,704
8,272
7,062
6,161
5,419
4,805
52,571
48,496
44,368
40,623
35,954
31,595
27,681
23,696
19,190
15,878
13,310
11,353
9,790
8,523
7,483
6,634
76,918
69,511
62,560
55,200
47,155
39,100
29,980
23,637
19,190
15,851
13,329
11,360
9,785
8,523
7,489
6,635
62,769
58,285
54,400
50,301
45,614
41,258
36,537
32,495
28,355
23,167
19,689
16,690
14,513
12,575
11,110
9,805
91,800
84,091
77,577
69,283
60,861
53,217
44,064
35,194
28,246
23,240
19,706
16,665
14,494
12,561
11,116
9,800
74,206
69,983
65,709
61,049
56,631
51,855
46,782
42,403
38,088
33,756
28,503
24,454
20,944
18,314
16,000
14,228
109,423
101,669
94,248
86,000
77,317
69,048
60,055
50,437
41,252
33,712
28,503
24,454
20,927
18,340
16,000
14,220
87,095
82,098
77,046
72,579
68,136
62,600
57,234
51,896
46,586
41,907
36,688
31,596
27,217
23,678
20,780
18,377
128,410
119,238
110,470
102,904
95,900
84,404
74,376
65,321
53,088
43,674
36,643
31,696
27,266
23,697
20,808
18,389
116,320
96,132
90,875
86,162
81,342
75,532
69,652
63,912
58,452
52,396
47,477
41,841
36,236
31,184
27,498
24,488
174,480
140,700
151,187
122,873
113,298
102,635
91,831
81,915
71,216
57,774
48,873
41,841
36,199
31,212
27,520
24,471
135,200
112,666
106,456
101,654
95,886
89,536
83,456
76,384
70,051
63,474
58,528
53,019
45,521
39,532
34,666
30,727
202,800
164,878
155,636
145,899
134,304
122,909
110,819
97,926
86,173
72,949
62,208
52,950
45,573
39,600
34,726
30,680
158,080
132,840
126,464
118,857
113,726
106,093
99,421
92,444
85,448
78,646
71,207
65,593
57,904
50,829
44,280
39,520
237,120
194,860
182,400
171,826
159,140
147,270
134,727
120,565
108,770
94,948
78,516
67,748
57,834
50,775
44,238
39,520
185,600
157,288
148,480
142,769
135,474
128,000
120,519
111,807
104,269
96,165
88,380
80,346
73,359
64,668
56,932
50,434
278,400
230,082
215,513
204,705
192,000
177,324
163,764
140,077
134,492
121,843
102,352
85,398
74,042
64,592
56,932
50,526
214,400
181,694
172,903
166,201
157,647
149,930
141,052
132,345
122,514
112,842
105,615
96,576
88,962
79,702
70,065
61,965
321,600
205,785
251,250
238,222
224,895
208,831
192,574
175,737
159,207
144,215
125,625
106,490
91,885
79,001
70,065
61,846
249,600
213,333
204,590
195,000
186,268
177,021
167,516
156,981
147,692
137,142
128,000
117,183
108,995
100,240
89,784
78,738
374,400
312,000
297,142
279,402
265,531
247,947
232,546
212,727
195,000
175,774
160,000
134,676
117,366
101,465
89,784
78,987
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – PROFILATI
D.5. 13. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. D.5.13./15 TRAVI IPE SOLLECITATE A FLESSIONE SEMPLICE – CARICO TOTALE UNIFORMEMENTE RIPARTITO
Q=
8σkWx 100 l
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
– pl
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
1 kg/mm2 = 9,8 N/mm2 Q σk Wk l p
= = = = =
carico utile [kg] tensione unitaria di lavoro [kg/cm2] modulo di resistenza [cm3] luce [m] peso proprio della trave [kg/m]
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
CARICHI UTILI IN KG RIFERITI A LUCI IN METRI IPE 80 100 120
A cm2 p kg/m Wx cm3 7,64 10,3 13,2
6,00 8,10 10,4
20,0 34,2 53,0
140
16,4
12,9
77,3
160
20,1
15,8
109
180 200 220
23,9 28,5 33,4
18,8 22,4 26,2
146 194 252
240
39,1
30,7
324
270
45,9
36,1
429
300 330 360 400 450 500 550 600
53,8 62,6 72,7 84,5 98,8 116 134 156
42,2 49,1 57,1 66,3 77,6 90,7 106 122
557 713 904 1160 1500 1930 2440 3070
2,00
2,20
2,50
2,80
3,00
3,20
3,50
3,80
4,00
4,20
4,50
4,80
5,00
5,50
6,00
6,50
1268
1150
1009
897
835
781
710
651
616
584
542
504
482
432
390
355
1908
1732
1521
1354
1262
1181
1076
987
936
889
826
771
738
665
604
552
2172
1972
1731
1541
1435
1342
1222
1121
1062
1008
936
873
835
751
681
621
3267
2967
2606
2322
2164
2026
1848
1697
1609
1529
1423
1329
1272
1149
1046
957
3371
3061
2687
2393
2230
2087
1902
1745
1654
1571
1460
1363
1305
1176
1068
976
5067
4602
4044
3605
3360
3147
2871
2638
2502
2379
2214
2070
1983
1793
1630
1498
4921
4469
3925
3497
3259
3051
2782
2554
2422
2301
2140
1999
1914
1728
1571
1438
7395
6718
5904
5264
4908
4597
4195
3856
3659
3479
3240
3030
2903
2627
2396
2199 2043
URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
6944
6307
5541
4938
4603
4309
3931
3611
3425
3255
3029
2831
2711
2450
2230
10432
9478
8331
7430
6928
6489
5924
5447
5169
4916
4579
4284
4106
3718
3393
3117
9306
8453
7428
6621
6173
5780
5273
4846
4597
4370
4068
3803
3643
3294
3002
2753
13978
12700
11166
9958
9287
8700
7943
7305
6933
6595
6144
5749
5512
4993
4559
4190
12371
11238
9876
8806
8210
7688
7016
6449
6118
5818
5417
5066
4854
4391
4004
3674
18579
16881
14843
13240
12348
11568
10564
9717
9222
8774
8176
7652
7337
6649
6073
5585
16075
14604
12837
11447
10673
9996
9124
8389
7959
7570
7050
6594
6320
5720
5219
4792
24139
21935
19288
17207
16049
15036
13732
12633
11991
11410
10634
9954
9546
8653
7907
7273
20674
18783
16512
14725
13732
12862
11741
10797
10245
9745
9078
8492
8141
7371
6728
6181
31042
28209
24806
22131
20644
19342
17666
16254
15429
14682
13686
12812
12288
11141
10184
9371
27384
24880
21874
19510
18195
17044
15563
14313
13583
12922
12040
11267
10802
9785
8935
8213
41112
37360
32857
29316
27347
25624
23407
21538
20447
19459
18141
16987
16293
14777
13511
12437
35563
32314
28413
25344
23638
22145
20222
18602
17655
16798
15653
14651
14048
12731
11629
10694
53387
48518
42672
38076
35521
33285
30407
27983
26567
25285
23575
22077
21178
19212
17570
16178
45534
41375
36383
32457
30274
28363
25903
23830
22619
21523
20060
18777
18007
16323
14916
13721
68350
62117
54635
48754
45484
42623
38941
35838
34027
32388
30200
28284
27133
24620
22521
20742
57742
52470
46142
41166
38399
35977
32860
30233
28699
27310
25457
23832
22857
20724
18942
17430
86670
78769
69284
61828
57680
54057
49391
45459
43163
41086
38313
35886
34428
31243
28585
26331
74107
67345
59226
52843
49294
46188
42191
38821
36855
35074
32697
30615
29364
26631
24350
22412
111227
101090
88922
79357
74041
69388
63402
58358
55415
52750
49195
46081
44212
40130
36722
33833
95845
87102
76606
68354
63767
59751
54585
50231
47689
45388
42317
39627
38012
34482
31534
29034
143845
130738
115006
102640
95767
89751
82014
75494
71689
68245
63650
59627
57212
51936
47534
43803
123338
112091
98589
87974
82074
76910
70265
64666
61397
58438
54490
51031
48954
44417
40629
37497
185098
168237
147997
132089
123248
115510
105557
97171
92277
87847
81938
76764
73658
66875
61215
56950
155948
141730
124663
111246
103788
97261
88863
81786
77656
73916
68927
64558
61934
56202
51417
47360
234028
212712
187127
167017
155842
146061
133480
122881
116696
111097 103629
97091
93166
84595
77444
71385
196236
178349
156879
140001
130620
122409
111847
102947
97752
93049
86775
81281
77982
70776
64761
59662
294476
267658
235471
210172
196114
183809
167984
154652
146872
139830 130437
122214
117278
106500
97508
89890
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
➥
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
ILATI 13. D.5. IO – PROF ACCIA
D 177
D.5. 13.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE ACCIAIO – PROFILATI
•
STRUTTURE
➦ TAB. D.5.13./15 TRAVI IPE SOLLECITATE A FLESSIONE SEMPLICE – CARICO TOTALE UNIFORMEMENTE RIPARTITO
σk = 1600 kg/cm2
σk = 2400 kg/cm2
L
CARICHI UTILI IN KG RIFERITI A LUCI IN METRI IPE
7,00
7,50
8,00
8,50
9,00
9,50
10,0
10,5
11,0
11,5
12,0
12,5
13,0
13,5
14,0
14,5
15,0
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
568
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
881
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
896
826
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
1381
1278
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
1323
1222
1133
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
2030
1882
1752
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
1882
1741
1617
1507
1408
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
2879
2672
2489
2328
2183
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
2538
2350
2185
2038
1907
1788
1681
1582
1492
1409
1331
1260
–
–
–
–
–
3873
3596
3353
3138
2945
2772
2615
2472
2341
2221
2110
2007
–
–
–
–
–
3390
3143
2925
2731
2557
2401
2259
2129
2011
1901
1800
1706
1619
1537
1460
–
–
5164
4798
4477
4191
3937
3708
3501
3312
3139
2981
2835
2699
2574
2456
2347
–
–
4424
4104
3822
3572
3348
3146
2963
2797
2644
2503
2373
2253
2140
2035
1937
1844
1757
6728
6254
5838
5469
5140
4844
4576
4333
4110
3906
3717
3543
3381
3230
3089
2957
2832
5709
5299
4938
4618
4331
4074
3840
3627
3432
3253
3087
2934
2791
2657
2532
2415
2304
8672
8064
7530
7057
6635
6256
5914
5602
5317
5056
4815
4593
4386
4193
4013
3845
3686
7592
7051
6575
6153
5776
5437
5130
4850
4595
4360
4143
3941
3754
3580
3417
3263
3119
11514
10711
10007
9383
8827
8327
7876
7465
7091
6747
6431
6138
5866
5614
5378
5157
4949
9889
9189
8574
8029
7542
7104
6707
6347
6017
5714
5435
5176
4935
4711
4501
4305
4120
14982
13942
13030
12223
11502
10856
10272
9742
9258
8814
8405
8028
7678
7352
7048
6763
6496
12694
11800
11015
10319
9698
9140
8635
8176
7756
7371
7016
6687
6382
6097
5831
5582
5347
19213
17884
16719
15688
14768
13943
13198
12522
11905
11339
10818
10338
9892
9477
9091
8729
8390
16130
15000
14007
13128
12343
11638
11000
10420
9891
9405
8957
8543
8158
7800
7465
7152
6857
24395
22714
21239
19934
18771
17728
16786
15930
15150
14436
13778
13171
12609
12086
11598
11142
10714
20747
19300
18029
16904
15901
14999
14185
13445
12769
12149
11577
11049
10559
10103
9677
9278
8904
31353
29198
27309
25639
24150
22814
21609
20515
19518
18604
17764
16989
16270
15602
14980
14398
13853
26885
25018
23379
21928
20635
19473
18424
17471
16601
15803
15069
14390
13760
13174
12628
12116
11636
40599
37818
35379
33222
31301
29578
28024
26613
25328
24151
23069
22070
21145
20285
19485
18736
18036
34656
32258
30154
28292
26632
25142
23797
22575
21460
20438
19498
18629
17824
17075
16376
15722
15109
52302
48727
45594
42824
40357
38144
36149
34339
32689
31179
29791
28511
27325
26224
25198
24240
23343
43875
40847
38192
35842
33748
31868
30172
28631
27226
25939
24754
23660
22646
21704
20824
20002
19231
66183
61669
57712
54214
51099
48306
45788
43504
41423
39518
37768
36153
34659
33271
31978
30772
29642
55283
51479
48144
45193
42564
40205
38076
36143
34381
32767
31282
29912
28641
27461
26260
25331
24367
83351
77677
72704
68308
64395
60887
57724
54856
52243
49852
47656
45630
43755
42015
40394
38882
37466
80
100
120
140
160
180
200
220
240
270
300
330
360
400
450
500
550
600
D 178
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – PROFILATI
D.5. 13. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. D.5.13./16 TRAVI HE SOLLECITATE A FLESSIONE SEMPLICE – CARICO TOTALE UNIFORMEMENTE RIPARTITO
Q=
8σkW 100 l
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
– pl
1 kg/mm2 = 9,8 N/mm2
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
Q = carico utile [kg] σk = Wk = l = p =
[kg/cm2]
tensione unitaria di lavoro modulo di resistenza [cm3] luce [m] peso proprio della trave [kg/m]
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CARICHI UTILI IN KG RIFERITI A LUCI IN METRI
CO NTALE AMBIE
HE
A cm2
p kg/m
Wx cm3
2,00
2,20
2,50
2,80
3,00
3,20
3,50
3,80
4,00
4,20
4,50
4,80
5,00
5,50
6,00
6,50
A 100
21,2
16,7
73
4638 6974
4210 6334
3696 5564
3290 4959
3064 4622
2866 4326
2611 3946
2395 3625
2269 3437
2154 3267
2001 3039
1866 2840
1785 2719
1607 2456
1457 2236
1329 2047
B
26,0
20,4
90
5719 8599
5191 7809
4557 6861
4057 6114
3778 5699
3534 5335
3220 4865
2954 4469
2798 4238
2657 4028
2468 3748
2302 3502
2202 3354
1972 3015
1797 2757
1639 2526
M
53,2
41,8
190
12076 18156
10962 16490
9623 14487
8568 12911
7981 12034
7466 11266
6802 10276
6241 9441
5912 8953
5614 8510
5216 7920
4865 7400
4654 7087
4191 6402
3802 5829
3469 5340
A 120
25,3
19,9
106
6744 10136
6123 9207
5377 8091
4789 7212
4463 6724
4176 6296
3807 5745
3494 5280
3312 5008
3147 4762
2925 4433
2731 4144
2614 3971
2357 3591
2142 3273
1958 3001
B
34,0
26,7
144
9162 13770
8319 12508
7306 10992
6508 9799
6063 9136
5674 8554
5172 7806
4749 7174
4501 6805
4276 6470
3975 6024
3712 5632
3553 5396
3204 4880
2911 4448
2662 4080
M
66,4
52,1
288
18327 27544
16641 25020
14615 21988
13019 19602
12131 18275
11353 17113
10350 15616
9502 14353
9007 13615
8558 12947
7957 12053
7430 11270
7112 10798
6416 9767
5771 8843
5332 8168
A 140
31,4
24,7
155
9870 14830
8963 13473
7874 11842
7016 10559
6539 9846
6121 9221
5582 8416
5127 7737
4861 7341
4620 6982
4297 6502
4014 6081
3844 5828
3471 5275
3158 4812
2891 4418
B
43,0
33,7
216
13756 20668
12492 18776
10974 16504
9779 14717
9114 13723
8532 12852
7781 11731
7147 10785
6777 10233
6441 9732
5992 9064
5598 8478
5361 8126
4841 7355
4405 6710
4034 6161
M
80,6
63,2
411
26177 39329
23773 35730
20884 31407
18611 28006
17346 26114
16237 24458
14809 22325
13603 20526
12899 19455
12260 18523
11406 17251
10378 15720
10205 15466
9217 14000
8388 12773
7682 11729
A 160
38,8
30,4
220
14019 21059
12733 19133
11187 16820
9971 15000
9295 13989
8702 13103
7939 11962
7294 11000
6918 10438
6577 9929
6120 9250
5720 8654
5480 8296
4952 7513
4511 6857
4134 6301
B
54,3
42,6
311
19818 29771
18000 27048
15816 23778
14097 21206
13141 19776
12303 18523
11224 16911
10313 15552
9781 14757
9299 14038
8654 13077
8088 12235
7748 11729
7003 10622
6379 9696
5847 8909
M
97,1
76,2
566
36070 54183
32762 49228
28788 43278
25660 38598
23920 35995
22395 33716
20432 30782
18775 28308
17806 26863
16929 25554
15756 23806
14727 22274
14108 21353
12753 19339
11617 17655
10650 16223
A 180
45,3
35,5
294
18744 28153
17027 25580
14963 22490
13340 20060
12437 18709
11646 17526
10627 16004
9768 14719
9265 13970
8810 13291
8202 12384
7669 11589
7348 11112
6646 10068
6059 9195
5558 8453
B
65,3
51,2
426
27161 40793
24672 37065
21682 32589
19330 29068
18022 27110
16875 25396
15399 23190
14154 21329
13427 20243
12767 19259
11886 17945
11114 16794
10649 16102
9632 14589
8780 13325
8055 12250
M
113
88,9
748
47693 71630
43323 65084
38074 57224
33944 51042
31647 47605
29635 44595
27043 40722
24857 37456
23580 35548
22422 33821
20876 31514
19519 29493
18704 28278
16918 25623
15423 23402
14151 21517
A 200
53,8
42,3
389
24810 37259
22539 33856
19810 29769
17664 26556
16470 24769
15424 23204
14078 21191
12942 19494
12278 18503
11677 17605
10874 16407
10170 15357
9746 14726
8820 13347
8044 12194
7385 11215
B
78,1
61,3
570
36356 54597
33028 49610
29030 43623
25885 38914
24135 36296
22603 34004
20630 31054
18966 28567
17994 27115
17113 25799
15937 24044
14905 22506
14285 21581
12928 19561
11792 17872
10826 16438
M
131
103
967
61680 92626
56033 84166
49251 74009
43916 66020
40948 61579
38349 57690
35003 52686
32180 48467
30531 46004
29037 43773
27041 40795
25291 38185
24239 36618
21937 33190
20011 30326
18372 27894
A 220
64,3
50,5
515
32858 49339
29945 44834
26241 39426
23401 35173
21821 32808
20438 30738
18657 28074
17155 25824
16277 24518
15482 23330
14421 21746
13490 20357
12931 19523
11707 17700
10683 16177
9813 14884
B
91,0
71,5
736
46960 70513
42663 64075
37503 56346
33440 50268
31187 46889
29210 43931
26665 40124
24519 36915
23265 35042
22129 33345
20612 31081
19283 29096
18483 27905
16735 25299
15272 23123
14028 21275
M
149
117
1220
77844 116886
70722 106215
62170 93403
55442 83329
51701 77729
48424 72825
44206 66516
40649 61197
38571 58092
36688 55280
34174 51526
31970 48238
30646 46263
27748 41945
25324 38338
23263 35276
A 240
76,8
60,3
675
43078 64679
39139 58776
34408 51689
30687 46116
28618 43019
26806 40307
24474 36817
22507 33876
21358 32158
20317 30603
18928 28528
17710 26710
16978 25618
15377 23232
14037 21238
12900 19546
B
106
83,2
938
59864 89881
54390 81678
47816 71830
42646 64087
39770 59782
37252 56013
34012 51165
31279 47077
29682 44691
28236 42530
26305 39646
24613 37120
23596 35603
21371 32287
19511 29517
19730 27166
M
200
157
1800
114883 172486
104379 156745
91765 137847
81844 122989
76327 14729
71496 107497
65277 98193
60033 90350
56970 85772
54196 81626
50492 76093
47245 71246
45294 68335
41026 61972
37457 56658
34424 52148
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
➥
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
ILATI 13. D.5. IO – PROF ACCIA
D 179
D.5. 13.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE ACCIAIO – PROFILATI
•
STRUTTURE
➦ TAB. D.5.13./16 TRAVI HE SOLLECITATE A FLESSIONE SEMPLICE – CARICO TOTALE UNIFORMEMENTE RIPARTITO
σk = 1600 kg/cm2
σk = 2400 kg/cm2
L
CARICHI UTILI IN KG RIFERITI A LUCI IN METRI HE
7,00
7,50
8,00
8,50
9,00
9,50
10,0
10,5
11,0
11,5
12,0
12,5
13,0
13,5
14,0
14,5
15,0
A 100
1218 1885
1120 1743
1034 1618
957 1507
888 1407
825 1316
767 1234
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
B
1502 2325
1383 2151
1276 1997
1181 1859
1096 1736
1018 1625
948 1524
883 1431
822 1346
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
M
3181 4919
2929 4550
2705 4225
2505 3936
2325 3677
2163 3442
2013 3230
1877 3035
1751 2856
1634 2691
1525 2538
1423 2396
1327 2262
1237 2138
1152 2020
1071 1909
994 1805
A 120
1799 2768
1660 2564
1536 2385
1427 2225
1328 2082
1239 1953
1157 1836
1083 1729
1014 1631
951 1541
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
B
2446 3762
2257 3486
2090 3242
1941 3025
1807 2831
1686 2656
1576 2498
1475 2352
1382 2219
1295 2097
1215 1983
1140 1878
1070 1779
1005 1687
– –
– –
– –
M
4901 7534
4524 6982
4191 6495
3894 6062
3627 5675
3385 5325
3165 5008
2963 4719
2778 4453
2606 4209
2446 3983
2297 3772
2158 3576
2027 3392
1903 3220
1787 3058
1676 2905
A 140
2661 4078
2460 3783
2282 3522
2124 3291
1982 3084
1853 2898
1737 2729
1630 2575
1532 2433
1441 2304
1357 2183
1278 2072
1205 1968
1136 1871
1071 1780
1010 1694
– –
B
3713 5688
3433 5277
3186 4914
2966 4592
2768 4304
2590 4045
2427 3810
2279 3596
2142 3399
2016 3218
1899 3051
1790 2896
1688 2752
1593 2617
1503 2490
1418 2371
1337 2259
M
7072 10830
6540 10047
6070 9358
5651 8746
5276 8199
4937 7706
4628 7259
4346 6852
4087 6478
3847 6135
3625 5817
3418 5523
3224 5248
3043 4992
2872 4751
2711 4526
2559 4313
A 160
3810 5821
3526 5404
3276 5037
3054 4711
2855 4419
2675 4157
2512 3920
2362 3703
2225 3505
2099 3323
1982 3155
1872 2999
1771 2854
1675 2718
1585 2591
1501 2420
1421 2360
B
5388 8232
4988 7642
4635 7123
4321 6662
4039 6251
3785 5880
3554 5545
3344 5239
3150 4959
2971 4702
2806 4465
2652 4244
2508 4039
2373 3848
2247 3668
2127 3500
2015 3342
M
9816 14991
9088 13918
8446 12974
7875 12137
7363 11389
6902 10715
6482 10105
6099 9549
5747 9041
5423 8573
5122 8141
4843 7741
4582 7368
4337 7021
4108 6695
3891 6389
3686 6102
A 180
5127 7815
4751 7260
4419 6772
4125 6339
3861 5952
3624 5604
3408 5290
3211 5003
3030 4741
2864 4500
2710 4278
2566 4072
2433 3880
2308 3702
2191 3535
2080 3378
1976 3230
B
7431 11326
6886 10521
6406 9814
5979 9187
5597 8627
5253 8123
4940 7667
4655 7252
4393 6872
4152 6523
3929 6201
3722 5903
3528 5625
3347 5367
3178 5125
3018 4898
2867 4685
M
13055 19894
12099 18482
11256 17241
10508 16140
9837 15157
9233 14273
8685 13472
8184 12744
7726 12078
7303 11466
6911 10901
6548 10378
6209 9891
5892 9438
5594 9013
5313 8615
5049 8241
A 200
6816 10373
6321 9641
5885 8997
5498 8427
5151 7918
4839 7460
4556 7046
4297 6669
4061 6324
3843 6008
3641 5716
3454 5446
3280 5195
3117 4961
2964 4742
2820 4537
2685 4344
B
9993 15205
9268 14132
8629 13189
8062 12354
7554 11608
7097 10937
6683 10331
6304 9779
5958 9274
5639 8811
5344 8384
5070 7989
4815 7621
4576 7279
4353 6959
4142 6658
3944 6376
M
16961 25802
15730 23982
14647 22384
13686 20967
12825 19702
12050 18565
11347 17536
10706 16600
10119 15745
9578 14960
9078 14236
8614 13565
8182 12943
7778 12362
7399 11819
7042 11311
6706 10832
A 220
9063 13772
8410 12805
7835 11956
7326 11203
6869 10532
6459 9928
6087 9383
5747 8887
5437 8433
5151 8017
4887 7634
4642 7279
4414 6949
4201 6642
4001 6356
3814 6087
3637 5834
B
12957 19687
12024 18305
11203 17092
10475 16017
9823 15057
9237 14195
8705 13416
8221 12707
7777 12059
7369 11465
6992 10918
6642 10411
6317 9940
6012 9502
5727 9092
5460 8709
5207 8348
M
21489 32643
19943 30354
18583 28344
17376 26563
16297 24973
15326 23545
14445 22254
13643 21080
12909 20007
12233 19023
11609 18116
11030 17276
10491 16497
9987 15771
9516 15093
9072 14458
8655 13861
A 240
11920 18092
11067 16827
10317 15717
9652 14734
9057 13857
8521 13069
8036 12357
7595 11709
7191 11118
6813 10570
6476 10076
6158 9614
5862 9185
5585 8786
5327 8412
5084 8063
4855 7735
B
16569 25145
15384 23388
14342 21846
13417 20480
12591 19261
11847 18167
11174 17177
10560 16278
9999 15457
9483 14703
9006 14009
8565 13367
8153 12771
7770 12217
7411 11699
7073 11214
6756 10758
M
31814 48272
29541 44902
27543 41944
25770 39324
24186 36987
22760 34887
21469 32990
20293 31265
19217 29691
18228 28246
17315 26916
16469 25685
15681 24543
14946 23480
14258 22487
13612 21558
13004 20685
➥
D 180
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – PROFILATI
D.5. 13. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
➦ TAB. D.5.13./16 TRAVI HE SOLLECITATE A FLESSIONE SEMPLICE – CARICO TOTALE UNIFORMEMENTE RIPARTITO CARICHI UTILI IN KG RIFERITI A LUCI IN METRI HE
A cm2
p kg/m
Wx cm3
2,00
2,20
2,50
2,80
3,00
3,20
3,50
3,80
4,00
4,20
4,50
4,80
5,00
5,50
6,00
6,50
A 260
86,8
68,2
836
53366 80119
48488 72810
42631 64034
38025 57134
35464 53299
33221 49942
30334 45621
27900 41981
26478 39855
25191 37930
23472 35362
21965 33112
21060 31761
19080 28809
17425 26343
16019 24250
B
118
93,0
1150
73412 110214
66702 100159
58646 88087
52309 78596
48786 73321
45701 68702
41730 62760
38382 57752
36427 54828
34656 52181
32291 48648
30219 45553
28974 43695
26251 39634
23974 36242
22041 33364
125291 188130
110159 165458
98258 147632
91641 37724
85847 129049
78390 117889
72102 108483
68430 102992
65104 98020
60664 91386
56773 85574
54434 82084
49322 74457
45047 68088
41416 62685
M
220
172
2160
137892 207016
A 280
97,3
76,4
1010
64485 96807
59779 87977
51519 77377
45956 69043
42863 64411
40154 60355
36668 55138
33729 50741
32013 48174
30459 45850
28384 42749
26566 40033
25473 38402
23084 34838
21087 31861
19392 29337
80062 20209
70396 105726
62795 94340
58569 88011
54869 82470
50106 75342
46091 69335
43747 65828
41623 62653
38789 58416
36304 54705
34812 52477
31549 47608
28821 43542
26505 40093
B
131
103
1380
88111 132274
M
240
189
2550
162818 244422
147944 222129
130084 195367
116039 174328
108230 162633
101392 152395
92593 139224
85174 128124
80842 121644
76918 115777
71681 107949
67091 101093
64333 96975
58304 97978
53264 80466
48985 74094
A 300
112
88,3
1260
80461 120783
73113 109769
64289 96547
57351 86153
53493 80375
50116 75317
45770 68811
42105 63327
39965 60127
38028 57229
35442 53362
33175 49976
31813 47942
28837 43500
26349 39790
24237 36644
B
149
117
1680
107283 161046
97485 146360
85721 128731
76470 114872
71327 107169
66824 100425
61029 91750
56143 84439
53290 80172
50707 76308
47259 71153
44237 66638
42422 63927
38453 58003
35137 53058
32321 48864
201944 303185
177576 266669
158415 237962
147762 222006
138435 208038
126432 190070
116313 174927
110405 166088
105055 158086
97913 147409
91655 138057
87895 132442
79678 120174
72810 109932
66980 101247
M
303
238
3480
222238 333604
A 320
124
97,6
1480
94522 141885
85892 128949
75530 113420
67382 101212
62852 94427
58886 88487
53782 80847
49480 74408
46968 70649
44693 67247
41657 62707
38997 58731
37399 56344
33906 51128
30987 46774
28509 43082
B
161
127
1930
123263 185026
112008 168157
98496 147906
87870 131987
81963 123139
76791 115393
70136 105429
64526 97033
61250 92132
58284 87695
54325 81775
50855 76590
48771 73477
44216 66676
40410 60998
37179 56183
M
312
245
3800
242704 364310
220546 331097
193942 291227
173074 259885
161394 242465
151212 227216
138110 207599
127066 191069
120617 181420
114777 172685
106983 161030
100155 150824
96052 144695
87086 131307
79594 120130
73236 110653
A 340
133
105
1680
107307 161070
97518 146387
85751 128761
76504 114906
71363 107205
66862 100464
61070 91792
56189 84485
53338 80220
50757 76359
47312 71207
44294 66696
42481 63987
38519 58069
35209 53130
32399 48942
B
171
134
2160
137968 207092
125374 188214
110254 165553
96936 145596
91755 137838
85969 129171
78523 118022
72246 108627
68582 103144
65264 98180
60835 91557
56955 85756
54624 82274
49530 74666
45274 68316
41663 62932
M
316
248
4050
258697 388304
235084 352909
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172051 258456
161202 242206
147242 221303
135475 203689
128604 193408
122383 184101
114081 171648
106806 160809
102437 154280
92888 140017
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78139 118018
A 360
143
112
1890
120732 181216
109714 164699
93965 142352
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80301 120621
75239 113041
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63235 95069
60030 90272
57128 85929
53254 80136
49861 75062
47822 72016
43368 65362
39646 59808
36489 55099
B
181
142
2400
153312 230116
139320 209142
122521 183956
109313 164173
101971 153174
95543 143545
87272 131160
80300 120723
76130 114632
72544 109117
67625 101761
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55072 83000
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M
319
250
4300
274693 412300
249625 374722
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195866 294157
182712 274450
171195 257200
156378 235010
143888 216313
136596 205400
129994 195521
121183 182341
113464 170800
108827 163870
98695 148734
90231 136100
83049 125390
A 400
159
125
2310
147586 221760
134121 201325
117956 177095
105247 158050
98182 147465
91997 138200
84040 126282
77333 116240
73418 110380
69873 105075
65142 97997
60998 91800
58509 88079
53133 80015
48528 73170
44675 67421
B
198
155
2880
184005 276170
167249 251035
147065 220796
131219 197485
122412 183855
114701 172304
104827 157492
96419 144926
91568 137651
87118 131006
81220 122182
76054 114456
72951 109817
66171 99685
60508 91230
55705 84063
M
326
256
4820
307960 462208
279886 420091
246137 369536
219620 329797
204880 307712
191975 288380
175373 263515
161381 242564
153212 230336
145816 219267
135946 204501
127301 191571
124748 187768
113163 170453
101288 152704
93250 140711
A 450
178
140
2900
185315 278120
168414 252782
148126 222370
132176 198465
123310 185180
115549 173552
105564 158595
97149 145994
92237 138640
87790 131983
81856 123103
76659 115328
73538 110660
66719 100466
61025 91960
56196 84751
B
218
171
3550
226852 340458
206163 309441
181327 272212
161802 242949
150949 226687
141449 212452
129226 194144
118926 178718
112913 169716
108190 161567
100205 150697
93843 141179
90022 135465
81675 122986
74705 112574
68794 103749
319413 479421
280935 421742
250685 376406
233871 351211
219152 329158
200217 300793
184259 276895
174943 262948
166510 250323
155256 233483
145400 218737
139481 209885
126550 190553
115752 174422
106595 160751
M
335
263
5500
351465 527474
A 500
197
155
3550
226884 340490
206199 309477
181368 272252
161847 242994
150997 226735
141500 212504
129282 194200
118986 178779
112977 169780
107536 161634
100227 150769
93920 141256
90102 135545
81763 123074
74801 112670
68898 103853
B
239
187
4290
274179 411466
249182 373988
219175 329004
195585 293647
182474 273999
170997 256811
156232 234682
143790 216046
136528 205172
129954 195328
121182 182198
113499 170702
108886 163801
98809 148731
90395 136158
83262 125504
M
344
270
6180
394970 592740
358960 538751
315733 473949
281751 423015
262863 394710
246329 369936
225060 338072
207137 311226
196675 295560
187204 281380
174567 262465
163499 245904
156854 235962
142336 214253
130216 196140
119940 180792
A 550
212
166
4150
265261 398068
241083 361816
212059 318305
184244 284106
176564 265102
165464 248469
151186 227076
139155 209053
132132 198536
125775 189017
117294 176319
109867 165203
105407 158530
95666 143959
87535 131804
80642 121505
B
254
199
4970
317674 476722
288718 433307
253960 381198
226637 340243
211451 317483
198158 297563
181059 271943
166650 250359
158240 237764
150627 226364
140469 211157
131575 197845
126234 189953
114568 172403
104830 157846
96574 145512
M
354
278
6920
442313 663764
401996 603315
353600 530761
315556 473736
294467 442201
275903 414310
252095 378638
232032 348585
220322 331048
209722 315175
195579 294002
183194 275465
175757 264338
159514 240042
145955 219772
134460 202599
A 600
226
178
4790
306196 459484
278292 417644
244797 367427
218467 327958
203834 106026
191025 286830
174549 262142
160667 241344
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145229 218224
135444 203572
126875 190745
121731 183046
110494 166235
101116 152212
93166 140332
B
270
212
5700
364367 546776
331161 496988
291302 437230
259971 390263
242558 364164
227316 341321
207773 312007
191189 287194
181547 272752
172819 259681
161239 242309
150978 226982
144856 217820
131485 197816
120325 181128
110971 167097
M
364
285
7660
489657 734790
445034 667882
391469 587575
349364 524459
325963 489385
305537 458745
279132 419208
256931 385948
243974 366540
232244 348974
216596 325544
202893 305032
194666 292719
176697 265836
161699 243410
148986 224412
➥
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
ILATI 13. D.5. IO – PROF ACCIA
D 181
D.5. 13.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE ACCIAIO – PROFILATI
•
STRUTTURE
➦ TAB. D.5.13./16 TRAVI HE SOLLECITATE A FLESSIONE SEMPLICE – CARICO TOTALE UNIFORMEMENTE RIPARTITO CARICHI UTILI IN KG RIFERITI A LUCI IN METRI HE
D 182
7,00
7,50
8,00
8,50
9,00
9,50
10,0
10,5
11,0
11,5
12,0
12,5
13,0
13,5
14,0
14,5
15,0
A 260
14809 22453
13756 20890
12830 19518
12009 18304
11257 17221
10616 16248
10018 15369
9475 14570
8977 13842
8520 13173
8098 12557
7708 11988
7344 11460
7005 10969
6688 10510
6390 10080
6110 9678
B
20377 30892
18975 28789
17655 26856
16526 25186
15518 23696
14610 22358
13789 21150
13042 20052
12358 19049
11730 18130
11150 17284
10613 16501
10113 15775
9648 15100
9212 14469
8803 13879
8418 13325
M
38292 58041
35573 54006
33183 50464
31064 47328
29171 44532
27468 42020
25927 39752
24524 37691
23242 35810
22063 34084
20975 32496
19968 31027
19031 29665
18157 28398
17340 27215
16572 26107
15851 25068
A 280
17933 27168
16664 25283
15548 23629
14559 22164
13676 20859
12882 19687
12163 18628
11509 17666
10912 16788
10363 15984
9856 15243
9387 14558
8951 13923
8544 13333
8164 12782
7807 12266
7472 11782
B
24512 37130
22779 34555
21255 32296
19905 30296
18699 28513
17614 26912
16633 25466
15741 24152
14924 22954
14175 21855
13483 20844
12843 19909
12248 19042
11693 18236
11174 17483
10688 16779
10230 16119
M
45304 68620
42101 63862
39287 59688
36792 55993
34564 52699
32561 49741
30749 47070
29100 44644
27593 42430
26208 40400
24931 38532
23749 36805
22650 35204
21625 33715
20667 32325
19769 31025
18924 29805
A 300
22421 33942
20841 31594
19453 29533
18223 27710
17125 26085
16181 24670
15244 23309
14432 22113
13690 21021
13008 20021
12380 19100
11798 18250
11258 17461
10754 16728
10283 16044
9842 15403
9427 14803
B
29900 45261
27793 42130
25943 39384
24303 36953
22839 34787
21523 32842
20333 31086
19251 29491
18261 28036
17353 26703
16515 25476
15740 24342
15020 23291
14349 22313
13721 21402
13133 20549
12580 19749
M
61966 93785
57605 87303
53774 81616
50380 76584
47350 72098
44626 68071
42163 64436
39922 61135
37865 58124
35996 55364
34263 52824
32659 50478
31169 48303
29781 46280
28484 44393
27268 42629
26125 40974
A 320
26379 39911
24526 37156
22898 34739
21456 32601
20170 30695
19013 28984
17967 27440
17016 26038
16147 24759
15350 23587
14615 22509
13935 21513
13306 20589
12714 19731
12164 18930
11649 18182
11165 17480
B
34401 52048
31985 48455
29863 45304
27983 42515
26305 40030
24797 37799
23433 35786
22193 33958
21060 32290
20020 30762
19062 29356
18175 28057
17351 26853
16584 25734
15867 24690
15195 23714
14564 22799
M
67769 102513
63014 95442
58038 89240
55139 83752
51838 78861
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46188 70510
43750 66913
41522 63632
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37592 57860
35848 55305
34229 52938
32721 50737
31312 48684
29991 46764
28751 44965
A 340
29984 45345
27883 42220
26039 39480
24405 37055
22947 34895
21637 32956
20453 31206
19376 29617
18393 28168
17491 26841
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15890 24492
15176 23447
14510 22475
13889 21570
13307 20722
12760 19929
B
38558 58307
35858 54291
33487 50768
31387 47651
29513 44874
27829 42381
26307 40132
24923 38090
23659 36227
22500 34521
21431 32952
20442 31502
19525 30159
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16421 25638
M
72319 109349
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62814 95216
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38370 59108
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32154 50031
30839 48120
A 360
33775 51056
31415 47544
29343 44464
27508 41739
25871 39312
24400 37133
23071 35168
21863 33384
20760 31757
19747 30266
18815 28896
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17152 26457
16407 25368
15711 24352
15059 23402
14447 22512
B
42890 64834
39893 60375
37263 56464
34933 53004
32854 49922
30986 47156
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26364 40328
25079 38436
23895 36696
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18349 28590
M
76876 116193
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47285 72304
44984 68916
42865 65800
40906 62923
39087 60257
37394 57780
35813 55471
34332 53313
32942 51290
A 400
41364 62485
38485 58198
35959 54440
33722 51116
31790 48217
29936 45498
28317 43102
26846 40927
25567 39007
24273 37129
23139 35460
22091 33919
21119 32492
20214 31165
19369 29930
18587 28775
17899 27755
B
51576 77909
47988 72565
44838 67880
42050 63736
39641 60122
37330 56733
35313 53746
33557 51113
31962 48719
30272 46301
28859 44220
27553 42299
26341 40520
25213 38867
24160 37327
23175 35887
22250 34539
M
86342 130413
80339 121471
75070 113632
70405 106699
66245 100522
63898 97066
59134 89984
56068 85449
53269 81314
50703 77529
48340 74048
46155 70835
44129 67859
42243 65095
40483 62518
38835 60111
37289 57856
A 450
52047 78562
48442 73190
45278 68480
42479 64315
39983 60606
37742 57280
35719 54280
33881 51558
32204 49078
30667 46807
29252 44720
27945 42794
26733 41010
25605 39354
24553 37811
23569 36370
22646 35020
B
63715 96174
59302 89597
55430 83832
52003 78734
49948 74194
46205 70122
43728 66450
41479 63118
39427 60082
37545 57302
35813 54748
34213 52390
32729 50207
31349 48180
30062 46291
28857 44527
27727 42875
M
98727 149016
91891 138827
85893 129896
80585 121999
75853 114966
71604 108659
67768 102970
64284 97809
61105 93107
58191 88801
55509 84844
53031 81192
50733 77711
48596 74671
46602 71746
44736 69013
42987 66455
A 500
63827 96286
59422 89717
55558 83960
52139 78870
49092 74338
46357 70274
43888 66610
41647 63286
39603 60258
37729 57486
36005 54940
34413 52590
32937 50415
31565 48396
30286 46515
29089 44759
27967 43115
B
77134 116359
71811 108421
67142 101464
63011 95313
59328 89837
56024 84926
53040 80498
50332 76482
47861 72823
45597 69473
43514 66396
41591 63556
42238 63359
36603 56216
38149 58488
35157 54093
33802 52107
M
111112 167618
103444 156183
96717 146160
90766 137300
85461 129410
80700 122336
76402 115956
72500 110170
68940 104899
65679 100074
62678 95640
59906 91549
57337 87763
54949 84248
52721 80974
50638 77916
48684 75054
A 550
74721 122666
69580 104995
65070 98272
61081 92330
57526 87039
54337 82296
51458 78020
48846 74142
46463 70610
44281 67378
42273 64408
40420 61670
38702 59134
37106 56781
35618 54590
34226 52544
32922 50630
B
89484 134927
83326 125739
77926 117688
73149 110572
68891 104235
65072 98555
61624 93434
58495 88790
55642 84560
53028 80688
50624 77132
48404 73851
46347 70816
44435 67998
42653 65374
40986 62924
39424 60631
M
124588 187859
116013 175067
108493 163856
101841 153947
95913 145124
90594 137216
85793 130084
81437 123618
77463 117727
73823 112337
70475 107384
67384 102816
64519 98589
61857 94664
59375 91011
57054 87599
54879 84406
A 600
86340 130137
80412 121289
75214 113536
70617 106684
66520 100584
62846 95117
59530 90188
56522 85719
53778 81469
51266 77925
48956 74504
46912 71438
45026 68608
43012 65721
41301 63199
39702 60845
38203 58642
B
102742 154859
95687 144330
89501 135104
84031 126951
79262 119798
74996 113398
70838 107320
67258 102002
63993 97159
61004 92727
58254 88656
55716 84902
55365 81428
51181 78204
49145 75203
47242 72402
45458 69780
M
138070 208108
128590 193958
120277 181560
112925 170603
106374 160848
100498 152105
95195 144222
90384 137076
85997 130567
81979 124611
78284 119140
74874 114095
71714 109427
68779 105094
66042 101061
63485 97296
61088 93773
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – PROFILATI
D.5. 13. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. D.5.13./17 ASTE HE SOLLECITATE A COMPRESSIONE ASSIALE – FLESSIONE NEL PIANO XX y
Q = σk
B.STAZIONI DILEGIZLII
A
I ED PRE NISM ORGA
W
1 kg/mm2 = 9,8 N/mm2 x
C.RCIZIO
Q = carico utile [kg]
x
σk = A = ω = H = l = iY = λ =
y
E ESE ESSIONAL PROF
[kg/cm2]
tensione unitaria di lavoro sezione dell’asta [cm2] coefficiente di aumento del carico (CNR-UNI 10011-67) lunghezza dell’asta [m] lunghezza libera di flessione [m] raggio d’inerzia minimo [cm] l/i Y = snellezza
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
CARICHI UTILI IN KG RIFERITI A LUCI IN METRI HE
A cm2
p kg/m
Wx cm3
2,00
2,25
2,50
2,75
3,00
3,25
3,50
3,75
4,00
4,25
4,50
4,75
5,00
A 100
21,2
16,7
2,51
2268 26778
19698 22826
17288 19720
15109 17062
13224 14679
11616 12603
10192 10871
9006 9408
7928 8149
7043 7137
6331 6348
5706 5703
5184 5166
B
26,0
20,4
2,53
27100 32928
24341 28273
21399 24547
18730 21174
16397 18256
14429 15690
12671 13535
11212 11735
9869 10149
8686 8904
7877 7911
7106 7098
6452 6435
M
53,2
41,8
2,74
58703 74232
53805 64387
48446 56000
42989 49221
37915 42845
33538 37333
29772 32439
26401 28304
23585 24748
20991 21677
18744 19113
16919 17042
15339 15396
A 120
25,3
19,9
3,02
29504 38823
27631 34500
25363 30314
23105 26480
20684 23663
18500 20937
16542 18489
14844 16278
13324 14364
11979 12729
10794 11286
9714 9995
8773 8812
B
34,0
26,7
3,06
39911 52747
37388 47004
34561 41463
31499 36493
28318 32497
25349 28752
22657 25381
20359 22436
18328 19839
16459 17574
14855 15590
13395 13830
12105 12374
M
66,4
52,1
3,25
80181 107602
75777 98067
70873 87177
65338 77434
59484 68719
53928 61767
48489 54876
43702 48898
39465 43493
35759 38717
32311 34515
29364 30823
26613 27585
A 140
31,4
24,7
3,52
39006 53522
37242 49319
35380 45125
33227 40472
30746 36248
28129 32524
25671 29403
23302 26432
21118 23683
19256 21324
17541 19117
16010 17181
14600 15464
B
43,0
33,7
3,58
53834 73872
51420 68480
48863 63042
45927 56578
42574 50737
39426 45603
35926 41230
32684 37122
29757 33441
27075 30131
24677 27001
22579 24339
20623 21976
98668 133683
93925 123524
88899 112596
83958 101971
77968 91417
71764 82843
65829 75444
60177 68256
54899 61683
50355 55939
46057 50388
42351 45654
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
M
80,6
63,2
3,77
102349 142235
A 160
38,8
30,4
3,98
49983 70438
48311 66277
46397 61832
44342 57410
42031 52285
39465 47365
36755 42952
33849 39027
31274 35815
28700 32548
26305 29533
24250 26936
22290 24396
B
54,3
42,6
4,05
70405 99178
68141 93687
65470 87816
62548 81551
59506 74468
56233 67981
52400 61413
48482 55979
44714 51307
41194 46759
37889 42657
34877 38855
32130 35345
M
97,1
76,2
4,26
127344 179399
123497 171605
119507 162510
114656 151817
109872 140980
104058 128822
98142 117400
91928 107391
85035 98080
79063 90571
72973 82785
67401 75785
62268 69398
A 180
45,3
35,5
4,52
60299 85471
58546 82551
56936 78441
54992 74110
52751 69380
51078 64407
48191 58990
45328 54387
42635 49643
39606 45680
36960 42352
34318 38925
31817 35869
B
65,3
51,2
4,57
87066 123693
84805 119451
82267 113812
79634 107859
76486 100914
73473 93732
69839 86252
66084 79111
62190 72690
58044 66974
54022 61993
50038 57051
46601 52661
M
113
88,9
4,77
152336 215980
148468 209169
144561 200827
139876 192033
135384 180318
130323 169737
124676 157088
119106 145256
112108 133555
105887 122873
98682 113774
92442 105929
86077 97707
A 200
53,8
42,3
4,98
72887 103961
71023 100717
69307 97670
67672 93294
65609 88742
63154 83572
60920 70349
58319 72580
55679 67250
52583 61957
49556 57361
46329 53333
43430 49738
B
78,1
61,3
5,07
106439 151896
103787 147127
101264 142648
98393 136518
95975 129986
92494 122429
89257 115703
85647 107169
81780 99808
77326 92108
73290 85200
68621 79188
64478 73940
M
131
103
5,27
179709 256403
175505 250095
171633 242400
167795 233076
162979 223647
158311 212488
152896 200969
147631 188356
141182 175358
135273 163359
128253 151064
121223 140427
113741 130972
A 220
64,3
50,5
5,51
88689 126595
86453 123653
84744 120186
83034 116997
81007 112314
78594 107241
76490 101526
73961 96389
71197 90351
68540 84143
65403 78454
62962 72930
58957 68222
B
91,0
71,5
5,59
125734 180794
123076 175703
120629 171025
118181 166463
114917 159765
112000 153478
108494 145406
106199 138053
101747 129922
97718 120729
93935 113454
89325 105558
84651 98245
M
149
117
5,79
207860 298800
204307 291512
199200 284120
195134 275815
191232 266389
186604 255931
181917 245757
176023 233133
170620 221060
164401 207020
158619 193711
151291 180999
144260 169052
A 240
76,8
60,3
6,00
107506 154501
105476 150465
103260 146634
100886 143105
99176 139636
96755 134344
94523 129256
92044 122880
89237 117177
86657 110702
83591 104135
80208 97782
76513 91247
B
106
83,2
6,08
148771 213961
146206 208524
142521 203357
139933 198439
137550 193754
134071 186373
130864 179661
127807 171428
123976 163496
120369 155311
116164 145371
112169 136627
107070 128032
M
200
157
6,39
281871 405966
277222 398535
272724 389147
266133 380190
261770 368492
255692 360451
251464 347634
245661 334058
239041 318934
232261 305121
225855 289800
218291 272646
210937 256857
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
➥
ILATI 13. D.5. IO – PROF ACCIA
D 183
D.5. 13.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE ACCIAIO – PROFILATI
•
STRUTTURE
➦ TAB. D.5.13./17 ASTE HE SOLLECITATE A COMPRESSIONE ASSIALE – FLESSIONE NEL PIANO XX Q
Q
Q
Q
H
σk = 1600 kg/cm2 σk = 2400 kg/cm2
l = 2H
l=H
l = 0.8H
l = 0.7H
CARICHI UTILI IN KG RIFERITI A LUCI IN METRI
D 184
HE
5,25
5,50
5,75
6,00
6,25
6,50
6,75
7,00
7,25
7,50
7,75
8,00
8,50
9,00
9,50
10,0
A 100
4738 4717
4355 4336
3997 3996
3653 3635
3358 3316
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
B
5896 5872
5421 5393
4976 4969
4555 4538
4188 4139
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
M
13986 13969
12832 12785
11820 11772
10943 10896
10112 10101
9315 9279
8617– 8520
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
– –
A 120
8000 8058
7324 7342
6730 6727
6218 6197
5768 5741
5371 5345
5006 4989
4656 4648
4322 4297
4029 3980
– –
– –
– –
– –
– –
– –
B
11025 11132
10104 10129
9276 9271
8561 8538
7936 7905
7386 7291
6902 6869
6427 6422
5968 5891
5564 5508
– –
– –
– –
– –
– –
– –
M
24189 24714
22082 22378
20329 20422
18737 18759
17336 17308
16121 16064
15031 14974
14077 14010
13189 13140
12337 12324
11501 11448
10772– 10652
– –
– –
– –
– –
A 140
13375 13981
12188 12580
11186 11416
10309 10421
9545 9587
8855 8866
8242 8230
7703 7677
7220 7192
6785 6755
6398 6375
6010 6001
5300 5261
– –
– –
– –
B
18890 19827
17282 17916
15852 16213
14579 14791
13492 13586
12525 12554
11657 11649
10884 10914
10200 10161
9583 9543
9031 8991
8512 8483
7715 7486
– –
– –
– –
M
38843 41439
35772 37553
32889 34134
30222 31034
27871 28363
25895 26115
24140 24210
22506 22500
21044 21010
19760 19690
18598 18526
17540 17474
15675 15636
13929 13862
– –
– –
A 160
20583 22208
18944 20239
17497 18465
16221 16878
14951 15386
13829 14113
12855 13018
12003 12079
11228 11272
10529 10523
9896 9880
9335 9210
8350 8314
7498 7484
6707 6675
– –
B
29702 32193
27320 29311
25263 26770
23436 24533
21633 22395
20046 20509
18591 18886
17369 17504
16254 16310
15239 15274
14310 14347
13486 13453
12063 12013
10866 10822
9738 9712
8755 8654
M
57604 63429
53498 58027
49493 53108
45910 48763
42611 44729
39582 41086
36710 37763
34175 34839
31973 32335
29980 30166
28170 28237
26525 26508
23675 23591
21317 21216
19299 19227
17383 17340
A 180
29535 32975
27802 30284
25539 27805
23771 25617
22090 23603
20590 21761
19261 20122
17927 18530
16742 17134
15637 15911
14710 14852
13861 13922
12341 12334
11089 11049
10038 9995
9144 9103
B
43245 48445
40277 44636
37623 40929
34931 37763
32447 34788
30292 32055
28383 29687
26397 27384
24629 25314
23038 23496
21635 21912
20394 20529
18173 18162
16309 16267
14754 14704
13451 13391
M
80141 90640
74631 83539
69669 77206
64951 71053
60811 65824
56632 60750
53083 56298
49706 52171
46613 48392
43535 44789
40801 41654
38358 38917
34203 34346
30673 30652
27722 27622
25219 25112
A 200
40546 45999
37870 42726
35365 39570
33120 36692
30964 33889
29075 31485
27180 29159
25527 27131
23957 25189
22534 23502
21092 21752
19824 20276
17624 17807
15814 15852
14261 14254
12967 12922
B
60192 68483
56440 63773
52681 59129
49391 55016
46315 50990
43449 47309
40769 43907
38190 40801
35908 37951
33800 35406
31707 32901
29773 30627
26463 26846
23756 23859
21426 21414
19452 19401
M
107074 122710
100181 114008
94079 106315
99083 98721
82773 92140
77807 85630
73147 79676
68811 74163
64580 69105
60857 64415
57367 60206
54144 56231
47996 49038
42969 43404
38788 38889
35159 35142
A 220
55460 63821
52329 59953
49060 55832
46196 52205
43354 48666
40857 45548
38531 42453
36340 39548
34259 37007
32210 34546
30473 32386
28761 30288
25636 26547
22913 23381
20658 20834
18739 18789
B
79693 91880
75362 86392
70817 80799
66788 75649
62921 70679
59235 66101
55785 61782
52582 56683
49726 53899
46861 50322
44174 47191
41767 44139
37400 38826
33394 34125
30033 30782
27445 27368
M
137064 158654
129210 148780
122208 140117
114978 131100
108753 122920
102592 115181
96895 108032
91376 101173
86327 94532
81834 88708
77259 83000
72944 77947
65490 68742
58703 60567
52721 53781
47846 48232
A 240
73142 85534
69423 80243
65816 75696
62375 71441
58709 66879
55601 62843
52512 58982
49748 55467
47026 52067
44521 48761
42284 45850
39986 43035
35898 38059
32422 33820
29077 29892
26295 26716
B
102353 120000
97471 112866
92073 106132
87422 100275
82570 94222
78264 88764
74028 83382
69966 78373
66327 73696
62791 69111
59529 64848
56476 61007
50748 54058
45825 47981
41245 42470
37241 37958
M
201743 241329
193434 226818
184601 213857
174800 201616
166680 191309
158020 180838
150004 170174
142190 160643
134524 150973
128000 144812
121522 134297
115375 126329
104366 112424
94373 100238
85550 89490
77439 78733
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – PROFILATI
D.5. 13. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
➦ TAB. D.5.13./17 ASTE HE SOLLECITATE A COMPRESSIONE ASSIALE – FLESSIONE NEL PIANO XX CARICHI UTILI IN KG RIFERITI A LUCI IN METRI HE
A cm2 p kg/m Wx cm3
2,00
2,25
2,50
2,80
3,00
3,20
3,50
3,80
4,00
4,20
4,50
4,80
5,00
5,50
6,00
6,50
120765 173600
118700 169365
116412 165333
113836 161238
112000 157818
109526 152280
107077 147014
104815 140661
101818 134573
99058 128196
95713 121045
92648 133960
89311 107770
85412 101224
81742 95210
A 260
86,8
68,2
3,50
122902 176842
B
118
93,0
6,58
167646 242044
164730 236800
161914 231024
159193 225882
155789 220964
153517 216255
150110 208634
146852 201531
143732 193833
139705 185000
135896 176716
131373 167547
128346 157866
123172 149243
117518 140187
112896 132105
M
220
172
6,90
311079 454551
308350 444586
303034 435049
298150 425912
292933 416822
287895 405600
281892 397347
276787 384034
270400 371323
265098 355789
258091 341502
251444 326085
243266 309436
235761 292608
228705 277369
218742 261029
A 280
97,3
76,4
7,00
138259 201310
136561 197730
134554 193471
132719 189391
129841 185333
127606 180463
125548 176909
122969 170951
120588 165499
118208 159508
115062 152328
112161 146224
108943 139082
105904 131932
102353 124810
98344 117701
B
131
103
7,09
187379 271862
184907 267254
182341 262144
179692 256390
176227 250285
172610 244844
170372 240000
166989 232052
163738 224615
160611 217639
156312 207610
152347 199594
148579 190434
144000 180102
139601 170741
134596 162222
M
240
189
7,40
343142 501286
340106 492717
334773 481202
330740 471751
324047 462664
320266 454278
314243 443446
308195 434423
302614 420481
297001 407694
291593 393233
284260 375312
277287 362338
270838 345611
272693 328291
255023 311442
159292 230769
157342 226130
155172 221857
152413 217566
150000 213607
147540 208172
145044 204390
142405 197947
139860 191897
137299 185950
133928 177865
130624 171428
127569 164333
123796 155799
120160 148107
A 300
112
88,3
7,49
161145 234782
B
149
117
7,58
214147 311165
211115 306632
209263 300705
205655 295004
202857 289514
198965 284000
195540 276965
193165 272121
189634 263505
186229 255417
182944 247811
178429 238083
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M
303
238
8,00
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A 320
124
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B
161
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M
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A 340
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B
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M
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A 360
143
112
7,43
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B
181
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M
319
250
7,83
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A 400
159
125
7,34
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B
198
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M
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A 450
178
140
7,29
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B
218
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7,33
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M
335
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A 500
197
155
7,24
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B
239
187
7,27
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M
344
270
7,46
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A 550
212
166
7,15
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B
254
199
7,17
363000 526177
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M
354
278
7,35
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487147 694901
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374531 456309
A 600
226
178
7,05
322419 468620
318173 460677
313766 451120
309743 441951
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287163 399118
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276009 373351
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230681 282096
B
270
212
7,08
385026 558620
379613 549152
374674 538653
369230 526829
361809 514285
354388 502715
350081 493150
342857 476470
336186 461209
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286662 350270
276214 332478
M
364
285
7,22
519571 754433
514063 739728
506017 727400
497367 709658
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465536 647057
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447630 607432
436549 583086
425380 560976
415064 537156
402156 510157
390026 483590
378854 459652
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
ILATI 13. D.5. IO – PROF ACCIA
➥
D 185
D.5. 13.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE ACCIAIO – PROFILATI
•
STRUTTURE
➦ TAB. D.5.13./17 ASTE HE SOLLECITATE A COMPRESSIONE ASSIALE – FLESSIONE NEL PIANO XX CARICHI UTILI IN KG RIFERITI A LUCI IN METRI HE
D 186
6,00
6,25
6,50
6,75
7,00
7,25
7,50
7,75
8,00
8,50
9,00
9,50
10,00
A 260
77760 89831
74108 85167
70497 80744
66609 75918
63386 71735
60225 67702
57128 63921
54313 60365
51589 56855
46745 50612
42238 45120
38396 40294
34789 36060
B
107943 124795
102400 117908
97498 111829
92545 105911
88070 99880
83637 94436
79263 88827
75444 84095
71839 79263
65166 70686
58814 63062
53438 56425
48699 50580
M
210491 246507
201906 233619
191668 220989
183465 210491
174624 199878
166439 188786
158271 178860
150672 169216
143594 160267
130434 143633
119038 128604
107927 115454
98547 103918
A 280
94695 111306
90722 105284
86633 99965
82676 95042
79025 90511
74954 85444
71609 81167
68250 76942
64920 72725
59126 65320
53924 58614
49033 52594
44812 47376
B
129298 153161
124181 144926
118779 137292
113398 130529
108259 124206
103159 117979
98565 111790
93899 106110
89349 100657
81583 90516
74342 80944
67819 72831
61981 65795
M
246043 296695
236504 280116
227812 266272
218861 252953
208642 239800
200166 229673
191203 218861
182574 207441
174453 197154
159138 178256
145630 160713
133398 145135
122122 131047
A 300
116731 141139
111870 133465
108043 126582
103926 120320
99228 114503
95036 109223
91185 104448
86788 98937
83179 94339
75821 85066
69605 77142
63716 69408
58441 62849
B
155718 189835
150132 179548
145021 170400
139427 161845
133497 154241
128051 147319
122464 140439
117113 133922
112210 127299
102606 115172
93847 104448
86029 94193
79071 85321
M
329904 410983
320528 390466
309878 378875
298620 354675
288666 337559
278232 322018
266169 306936
255780 293915
246172 281953
225772 256140
207247 232780
190703 212267
175710 192444
A 320
129079 156069
123704 147582
119471 139971
114919 133048
109724 126615
105089 120776
100830 115497
95969 109402
91977 104318
83841 94064
76968 85302
70456 76750
64623 69497
B
168349 205042
162212 193850
156697 183904
150659 174772
144259 166574
138380 159112
132280 151692
126447 144501
121164 137422
110716 124315
100970 112731
92834 101606
85343 92039
M
337525 419730
327989 400000
316952 380101
308529 362264
295209 344751
284606 328709
271747 313305
261361 300240
251866 287447
231325 261178
211167 236962
195000 216103
179827 195662
A 340
137984 166614
132260 157599
127674 149440
122758 142147
117041 135018
112184 128933
107552 123183
102396 116721
98116 111172
91360 100218
81996 90816
75105 81797
68858 73961
B
177905 215873
170900 204059
165120 193471
158699 184010
151995 175356
145601 167343
139367 159719
132886 151574
127359 144422
116110 130458
106562 118338
97483 106535
89593 96553
M
339341 421535
330032 402506
318587 381247
308285 362988
296874 345451
284985 329387
273272 314750
262756 301479
251633 288072
230932 261351
211591 237146
195088 216239
179368 195592
A 360
146932 177391
140950 167753
136000 159108
130784 151311
124580 143637
119560 137252
114354 130959
109007 124083
104328 118057
95120 106567
87073 96350
79776 86918
73160 78515
B
187392 226576
179589 214256
173445 203206
166836 193155
159294 183816
152565 175339
146382 167675
139324 158827
133530 151446
121718 136559
111740 123840
102286 111424
93818 100893
M
340962 420626
331651 401637
318800 380656
308391 361587
296903 344338
284642 328659
273354 314475
261713 300164
250653 286776
230076 260067
210951 236294
193946 214379
178474 194390
A 400
161523 193705
155786 183815
149559 174087
143001 165337
136995 157620
130931 150177
125012 142974
119605 135655
114080 128918
104091 116341
95138 104835
87212 94572
79524 85292
B
202612 244323
194756 230670
187599 219270
180227 208301
171813 197470
164833 189131
157452 180227
150346 170824
143658 162352
131047 146790
119924 132344
109850 119516
100565 107915
M
345447 420839
333512 401808
320985 381052
309732 362000
298215 344913
284386 327849
273207 313772
262081 300046
249774 284748
229436 258999
211730 234529
192995 212305
177608 192496
A 450
179571 214781
173130 203525
166258 192866
158928 183505
152218 175010
145380 166679
138521 157988
132526 150316
127029 142924
115397 128674
105325 115866
96476 104475
87982 94263
B
221179 265045
213333 251538
204815 238142
195735 226297
187526 215752
179979 205498
171064 195515
163602 185597
156132 176458
142425 159027
130100 143381
119288 129312
108762 116655
M
350516 427715
338147 405725
326622 385332
314008 364730
300638 347414
288516 331805
276049 316539
263964 302048
252893 286870
231310 259664
211525 235437
194013 212390
178285 192482
A 500
197871 236291
190706 223584
183082 212270
174875 201787
167107 192058
160081 183365
152069 173372
145555 165041
138901 156694
126602 142771
115666 126771
105720 114354
96488 103110
B
239949 286893
231369 271522
222211 257713
212442 245241
203171 233653
194378 222643
184871 210839
176904 200644
168845 190752
154059 171654
140663 154433
128668 139328
117392 125634
M
355865 429703
341102 406453
329276 385410
316597 366601
301852 348217
289327 332523
277381 317693
264084 301027
253045 286717
230686 258467
211470 234217
193699 210957
177588 190747
A 550
209443 249421
201954 236208
193867 224225
184374 212508
176684 202760
168429 192837
160759 182455
153200 173133
146258 164292
133102 148025
121245 132651
111254 119548
101339 107923
B
251895 300413
243012 284307
233253 269840
221800 255805
212524 244033
202975 232320
193415 219841
184548 208563
176228 198064
160315 178472
146192 159979
133736 144170
122126 130224
M
360483 432854
347877 410700
333749 388916
319459 369326
305681 351907
292439 335526
279192 319519
267093 302905
254849 287935
232488 260428
212533 234185
194859 211319
177644 190580
A 600
222058 262102
212800 247540
203139 234715
194316 223519
185276 212426
176350 201184
168167 191072
160496 181381
152653 171266
139223 154256
126890 138215
115782 124251
105594 111920
B
265519 314258
254867 297111
243517 281494
232633 267768
221993 254616
211557 245827
202057 229218
192513 217595
183050 205714
167312 185513
152380 165898
139040 149274
126984 134747
M
363245 433621
350343 410380
336175 389504
320617 370021
306434 352251
293602 336110
278964 317989
266935 302348
254781 287131
231933 258554
211915 232210
193844 209323
176875 188935
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE ACCIAIO – PROFILATI
D.5. 13. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. D.5.13./18 TRAVI HE AD ALI LARGHE PARALLELE – UNI 5397 – EURONORM 34–62 IN ACCIAIO FE 360B y y iy
A = sezione del profilo (A’, A’’ = sezione depurata dai fori) P = peso di un metro di barra U = superficie del contorno per un metro di barra J = momento d’inerzia W = modulo di resistenza (Wx’, Wx’’ per sezione depurata dai fori) i = J/A = raggio d’inerzia sx = Jx /Sx = distanza tra centri di trazione
h1
x
h
h2
r
e
d b
HE 100 A B M HE 120 A B M HE 140 A B M HE 160 A B M HE 180 A B M HE 200 A B M HE 220 A B M HE 240 A B M HE 260 A B M HE 280 A B M HE 300 A B M HE 320 A B M HE 340 A B M HE 360 A B M HE 400 A B M HE 450 A B M HE 500 A B M HE 550 A B M HE 600 A B M
DIMENSIONI h mm 96 100 120 114 120 140 133 140 160 152 160 180 171 180 200 190 200 220 210 220 240 230 240 270 250 260 290 270 280 310 290 300 340 310 320 359 330 340 377 350 360 395 390 400 432 440 450 478 490 500 524 540 550 572 590 600 620
b mm 100 100 106 120 120 126 140 140 146 160 160 166 180 180 186 200 200 206 220 220 226 240 240 248 260 260 268 280 280 288 300 300 310 300 300 309 300 300 309 300 300 308 300 300 307 300 300 307 300 300 306 300 300 306 300 300 305
a mm 5 6 12 5 6,5 12,5 5,5 7 13 6 8 14 6 8,5 14,5 6,5 9 15 7 9,5 15,5 7,5 10 18 7,5 10 18 8 10,5 18,5 8,5 11 21 9 11,5 21 9,5 12 21 10 12,5 21 11 13,5 21 11,5 14 21 12 14,5 21 12,5 15 21 13 15,5 21
e mm 8 10 20 8 11 21 8,5 12 22 9 13 23 9,5 14 24 10 15 25 11 16 26 12 17 32 12,5 17,5 32,5 13 18 33 14 19 39 15,5 20,5 40 16,5 21,5 40 17,5 22,5 40 19 24 40 21 26 40 23 28 40 24 29 40 25 30 40
r mm 12 12 12 12 12 12 12 12 12 15 15 15 15 15 15 18 18 18 18 18 18 21 21 21 24 24 24 24 24 24 27 27 27 27 27 27 27 27 27 27 27 27 27 27 27 27 27 27 27 27 27 27 27 27 27 27 27
h2 mm 80 80 80 98 98 98 116 116 116 134 134 134 152 152 152 170 170 170 188 188 188 206 206 206 225 225 225 244 244 244 262 262 262 279 279 279 297 297 297 315 315 315 352 352 352 398 398 398 444 444 444 492 492 492 540 540 540
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
Jx Wx A p U cm2 kg/m m2/m cm4 cm3 21,2 16,7 0,561 349 73 26,0 20,4 0,567 450 90 53,2 41,8 0,619 1143 190 25,3 19,9 0,677 606 106 34,0 26,7 0,686 864 144 66,4 52,1 0,738 2018 288 31,4 24,7 0,794 1033 155 43,0 33,7 0,805 1509 216 80,6 63,2 0,857 3291 411 38,8 30,4 0,906 1673 220 54,3 42,6 0,918 2492 311 97,1 76,2 0,970 5098 566 45,3 35,5 1,02 2510 294 65,3 51,2 1,04 3831 426 113 88,9 1,09 7483 748 53,8 42,3 1,14 3692 389 78,1 61,3 1,15 5696 570 131 103 1,20 10642 967 64,3 50,5 1,25 5410 515 91,0 71,5 1,27 8091 736 149 117 1,32 14605 1220 76,8 60,3 1,37 7763 675 106 83,2 1,38 11259 938 200 157 1,46 24289 1800 86,8 68,2 1,48 10455 836 118 93,0 1,50 14919 1150 220 172 1,57 31307 2160 97,3 76,4 1,60 13673 1010 131 103 1,62 19270 1380 240 189 1,69 39547 2550 112 88,3 1,72 18263 1260 149 117 1,73 25166 1680 303 238 1,83 59201 3480 124 97,6 1,76 22928 1480 161 127 1,77 30823 1930 312 245 1,87 68135 3800 133 105 1,79 27693 1680 171 134 1,81 36656 2160 316 248 1,90 76372 4050 143 112 1,83 33090 1890 181 142 1,85 43193 2400 319 250 1,93 84867 4300 159 125 1,91 45069 2310 198 155 1,93 57680 2880 326 256 2,00 104119 4820 178 140 2,01 63722 2900 218 171 2,03 79887 3550 335 263 2,09 131484 5500 197 155 2,11 86975 3550 239 187 2,12 107176 4290 344 270 2,18 161929 6180 212 166 2,21 111932 4150 254 199 2,22 136691 4970 354 278 2,28 197984 6920 226 178 2,31 141203 4790 270 212 2,32 171041 5700 364 285 2,37 237447 7660
Ix cm 4,06 4,16 4,63 4,89 5,04 5,51 5,73 5,93 6,39 6,57 6,78 7,25 7,45 7,66 8,13 8,28 8,54 9,00 9,17 9,43 9,89 10,1 10,3 11,0 11,0 11,2 11,9 11,9 12,1 12,8 12,7 13,0 14,0 13,6 13,8 14,8 14,4 14,6 15,6 15,2 15,5 16,3 16,8 17,1 17,9 18,9 19,1 19,8 21,0 21,2 21,7 23,0 23,2 23,6 25,0 25,2 25,6
Jy cm4 134 167 399 231 318 703 389 550 1144 616 889 1759 925 1363 2580 1336 2003 3651 1955 2843 5012 2769 3923 8153 3668 5135 10449 4763 6595 13163 6310 8563 19403 6985 9239 19709 7436 9690 19711 7887 10141 19522 8564 10819 19335 9465 11721 19339 10367 12624 19155 10819 13077 19158 11271 13530 18975
Wy cm3 27 33 75 38 53 112 56 79 157 77 111 212 103 151 277 134 200 354 178 258 444 231 327 657 282 395 780 340 471 914 421 571 1250 466 616 1280 496 646 1280 526 676 1270 571 721 1260 631 781 1260 691 842 1250 721 842 1250 751 902 1240
Iy cm 2,51 2,53 2,74 3,02 3,06 3,25 3,52 3,58 3,77 3,98 4,05 4,26 4,52 4,57 4,77 4,98 5,07 5,27 5,51 5,59 5,79 6,00 6,08 6,39 6,50 6,58 6,90 7,00 7,09 7,40 7,49 7,58 8,00 7,49 7,57 7,95 7,46 7,53 7,90 7,43 7,49 7,83 7,34 7,40 7,70 7,29 7,33 7,59 7,24 7,27 7,46 7,15 7,17 7,35 7,05 7,08 7,22
Sx cm3 41,5 52,1 118 59,7 82,6 175 86,7 123 247 123 177 337 162 241 442 215 321 567 284 414 710 372 527 1058 460 641 1262 556 767 1483 692 934 2039 814 1075 2217 925 1204 2359 1050 1341 2495 1281 1616 2785 1608 1991 3165 1974 2407 3547 2311 2795 3966 2675 3213 4386
sx cm 8,41 8,64 9,69 10,2 10,5 11,5 11,9 12,3 13,3 13,6 14,1 15,1 15,5 15,9 16,9 17,2 17,7 18,7 19,0 19,6 20,6 20,9 21,4 22,9 22,7 23,3 24,8 24,6 25,1 26,7 26,4 26,9 29,0 28,2 28,7 30,7 29,9 30,4 32,4 31,5 32,2 34,0 32,2 35,7 37,4 39,6 40,1 41,5 44,0 44,5 45,6 48,4 48,9 49,9 52,8 53,2 54,1
E.NTROLLO
(*) FORATURA SULLE ALI
VALORI STATICI RELATIVI AGLI ASSI xx–yy h1 mm 56 56 56 74 74 74 92 92 92 104 104 104 122 122 122 134 134 134 152 152 152 164 164 164 177 177 177 196 196 196 208 208 208 225 225 225 243 243 243 261 261 261 298 298 298 344 344 344 390 390 390 438 438 438 486 486 486
I ED PRE NISM ORGA
f
y
DESIGN. PROFILO (*)
e di compressione
y
B.STAZIONI DILEGIZLII
su 1 ala d mm 13 13 13 17 17 17 21 21 21 23 23 23 28 28 28 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31 31
f mm 55 55 65 65 65 70 75 75 80 85 85 90 95 95 100 105 105 115 110 110 115 115 115 125 120 120 130 120 120 130 125 125 140 125 125 140 130 130 140 130 130 140 130 130 140 130 130 140 130 130 140 130 130 140 130 130 140
A’ cm2 19,1 23,4 48,0 22,6 30,3 66,3 27,8 37,9 71,4 34,7 48,3 86,5 40,0 57,5 99,9 47,6 68,8 116 57,5 81,1 133 69,4 95,5 180 79,0 107 199 89,2 120 220 104 137 279 115 149 287 123 157 291 132 167 294 147 183 301 165 202 310 183 221 319 197 236 330 211 251 339
su 2 ali W’x cm3 57,6 71,1 152 82,1 111 228 118 162 314 170 239 438 220 317 563 293 426 728 398 566 942 535 741 1428 677 925 1747 834 1128 2099 1052 1397 2907 1235 1604 3169 1402 1797 3386 1581 2003 3594 1939 2414 4039 2433 2978 4624 2986 3602 5208 3498 4190 5852 4051 4821 6492
A’’ cm2 17,0 20,8 42,8 19,9 26,5 52,1 24,2 32,9 62,1 30,5 42,3 75,9 34,7 49,6 86,4 41,4 59,5 100 50,7 71,1 117 61,9 84,9 160 71,3 96,7 179 81,2 109 199 95,1 125 255 105 136 262 113 144 266 121 153 269 135 168 276 152 186 276 169 204 295 182 218 305 195 233 314
W’’x cm3 72,7 68,8 147 79,5 107 215 114 156 300 164 230 420 212 305 539 283 410 698 386 547 908 521 719 1380 661 902 1696 815 1102 2042 1031 1367 2834 1210 1569 3089 1373 1758 3301 1548 1957 3502 1895 2357 3935 2376 2906 4503 2915 3512 5069 3411 4082 5693 3947 4693 6312
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
ILATI 13. D.5. IO – PROF ACCIA
D 187
D.5. 13.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE ACCIAIO – PROFILATI
•
STRUTTURE
TAB. D.5.13./19 LAMIERE ZINCATE E PREVERNICIATE PER COPERTURA TIPO 105/75 – CARATTERISTICHE STATICHE DI UN ELEMENTO 16
15 SEZIONE REALE COMPLETA
45
X
187
t
47
5
140
5
SEZIONE TEORICA RIDOTTA PER IL CALCOLO ALLA FLESSIONE 1200-1400 kg/cm2
Tipo
Spessore mm
P kg/mq
b cm
ex cm
J’x cm4
W’x cm3
105/75
0,6
6,28
–
0,84
3,88
1,07
105/75
0,8
8,37
–
0,84
5,05
1,42
105/75
1,0
10,47
–
0,84
6,21
1,72
105/75
1,2
12,56
–
0,84
7,34
2,03
750 2 APPOGGI σ = 1400
4 APPOGGI σ = 1400
t
1,00
1,25
1,50
1,75
2,00
2,25
2,50
2,75
3,00
t
1,00
1,25
1,50
1,75
2,00
2,25
2,50
2,75
0,6
639
410
273
209
159
126
102
85
71
0,6
798
512
355
261
199
158
128
106
3,00 88
0,7
740
474
329
242
185
146
118
98
82
0,7
925
593
411
302
231
183
148
122
102
0,8
848
544
377
277
212
168
136
112
94
0,8
1060
679
471
346
265
209
170
140
117
1,0
1027
658
456
336
256
209
164
136
114
1,0
1284
823
571
420
321
254
205
170
142
1,2
1212
777
539
396
303
240
194
160
134
1,2
1515
971
673
495
378
299
242
199
168
TAB. D.5.13./20 LAMIERE GRECATE ZINCATE PER SOLAI TIPO SEZIONE REALE COMPLETA
710 80
20
45
80
177
80
2 APPOGGI carico max in kg/mq (*per freccia = 1/200) ml 0,6 0,8
1,00 881 1349
1,25 564 863
1,50 392 599
1,75 288 440
SEZIONE TEORICA RIDOTTA PER IL CALCOLO ALLA FLESSIONE 1200-1400 kg/cm2
Tipo
Spessore mm
P kg/mq
b cm
ex cm
J’x cm4
W’x cm3
45/71
0,6
6,85
2,8
1,70
3,6
2,12
45/71
0,8
8,72
3,5
1,75
5,0
2,85
45/71
1,0
10,91
4,0
1,8
6,6
3,68
45/71
1,2
13,57
4,7
1,88
8,3
4,30
4 APPOGGI carico max in kg/mq
2,00
2,25
2,50
2,75
3,00
ml
1,00
1,25
1,50
1,75
2,00
2,25
2,50
2,75
3,00
220
174 *166
141 *121
116 *91
98 *70
0,6
1101
705
490
360
275
217
176
145
122
0,8
1686
1078
748
550
421
332
270
222
187
266 *248
216 *181
178 *136
150 *104
1,0
2367
1515
1502
772
591
467
378
350
262
1,2
3115
1993
1385
1017
779
615
498
412
346
337
1,0
1894
1212
842
614
473
374 *333
303 *243
250 *182
210 *140
1,2
2492
1595
1108
814
623 *595
492 *418
399 *305
330 *229
277 *176
TAB. D.5.13./21 LAMIERE GRECATE PER SOLAI SEZIONE REALE COMPLETA
6628
157
20
55
65
92
63
2 APPOGGI carico max in kg/mq (*per freccia = 1/200) ml 0,6 0,8
D 188
1,00 1279 1928
1,25 819 1234
1,50 569 857
1,75 418 630
2,00 320 482
Tipo
Spessore mm
55/63 55/63
SEZIONE TEORICA RIDOTTA PER IL CALCOLO ALLA FLESSIONE 1200-1400 kg/cm2
P kg/mq
J’x cm4
W’x cm3
0.6
7,5
38,88
11,42
0.8
10,0
57,18
17,22
55/63
1.0
12,5
75,26
23,76
55/63
1.2
15,0
95,52
30,57
4 APPOGGI carico max in kg/mq
2,25
2,50
2,75
3,00
ml
1,00
1,25
1,50
1,75
2,00
2,25
2,50
2,75
3,00
253
205 *201
169 *151
142 *116
0,6
1958
1023
711
522
400
316
256
211
177
0,8
2410
1542
1071
787
602
476
385
318
267
308 *295
255 *222
214 *171
1,0
2862
2128
1478
1086
831
657
532
440
370
1,2
4280
2738
1902
1397
1070
845
685
570
475
381
1,0
2261
1703
1183
869
665
526
426 *388
352 *292
296 *225
1,2
3424
2191
1522
1118
856
676
548 *493
453 *370
380 *285
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE LEGNO LAMELLARE
D.5. 14. A.ZIONI
NORMATIVE Le essenze legnose vengono classificate dalle normative in: • conifere; • latifoglie. Per il LL in Europa vengono impiegate prevalentemente le conifere, tra cui: l’abete rosso, l’abete bianco, il pino silvestre e il larice. In funzione delle qualità e delle caratteristiche fisico-meccaniche, i legni vengono suddivisi in tre categorie, mentre il lamellare realizzato con le stesse essenze legnose, è raggruppato in due categorie o classi. Le DIN 1052, prevedono:
TAB. D.5.14./1 TENSIONI AMMISSIBILI PER ESSENZE DI CONIFERE SECONDO LE DIN 1052 (IN kg/cm2) I 130 105 0,5 110 20 9 9 10
I 140 105 2 110 25 9 12 16
TAB. D.5.14./3 MODULI ELASTICI PER IL L.L. DI CONIFERE EUROPEE SECONDO LE REGLES CB 71
TAB. D.5.14./2 TENSIONI AMMISSIBILI PER ESSENZE DI CONIFERE SECONDO LE REGLES CB 71 (IN kg/cm2)
TAB. D.5.14./4 MODULI ELASTICI PER L.L. DI CONIFERE EUROPEE SECONDO LE DIN 1052 kg/cm2
A flessione
Ef = 110.000
Perpendicolare alle fibre
EL = 3.000 kg/cm2
Al taglio
Gt = 5.000 kg/cm2
I 142 152 9 131 27 16 – –
I 15 167 – 144 27 12 – –
N
N 1
b
2
SEZ. 2 - 2
N
N
N ≤ σt// dove An = area netta An
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
b
2
B.STAZIONI DILEGIZLII
G.ANISTICA
SEZ. 1 - 1 1
Nel dimensionamento e nella verifica dell’asta deve essere considerata la sezione più debole, cioè l’area depurata dei fori, degli intagli, delle biette ecc.
σt// =
L.L. II 1230 96 7 113 22 12 – –
FIG. D.5.14./1
Ec = 10.500 √σc II kg/cm2 Et = 10.500 √σt II kg/cm2 Ef II = 10.500 √σ f II kg/cm2 Ef t = 9.000 √σt II kg/cm2 Gt = 310 √σf II kg/cm2 Go = 760 √σf II kg/cm2 Ect = 1420 √σc L kg/cm2
A compressione II fibre A trazione II fibre A flessione Per flessione e taglio A taglio A torsione A compressione trasversale
σf II σt II σt ⊥ σc II σc ⊥ τa II τa ⊥ τo
Flessione II fibre Trazione II fibre Trazione ⊥ fibre Compressione II fibre Compressione ⊥ fibre Taglio longitudinale Taglio trasversale Torsione
L. MASSICCIO III II 87 109 – 87 – 7 82 103 – 22 11 13 – – – –
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
H
σf II σt II σt ⊥ σc II σc ⊥ τ a II τa⊥ τo
Flessione II fibre Trazione II fibre Trazione ⊥ fibre Compressione II fibre Compressione ⊥ fibre Taglio longitudinale Taglio trasversale Torsione
L.L. II 110 85 2 85 25 9 12 16
II Categoria Legno scelto con tolleranze maggiori e con peso specifico non inferiore a 400 kg/m3.
h
L. MASSICCIO III II 70 100 – 85 – 0,5 60 85 20 20 9 9 9 9 9 10
I Categoria Legno scelto di peso specifico non inferiore a 500 kg/m3, con inclinazione massima delle fibre rispetto alla tavola non superiore al 10%, senza traccia di putredine e danni di insetti, con nodi non raggruppati del diametro massimo pari a 30 mm.
d
DIN 1052 (GERMANIA) REGLES C.B. 71 (FRANCIA) SIA 164 (SVIZZERA) ASTM (STATI UNITI) BRITISH STANDARD (INGHILTERRA) EUROCODICE N.5 (COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE). Le norme DIN 1052 sono quelle generalmente più utilizzate e a esse fanno prevalentemente riferimento le ditte produttrici italiane.
H
• • • • • •
PUNTONI La verifica viene fatta con la seguente relazione:
σc// =
FIG. D.5.14./2
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
FIG. D.5.14./3
N·ω ≤ σc// An
D.5. TURE T STRU
dove ω è il coefficiente di amplificazione del carico determinato in funzione della snellezza dell’asta
l0
N
N
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
N
N
h
imin b
imin =
l
Jmin A
l
l
λ = snellezza l0 = lunghezza libera d’inflessione imin = raggio d’inerzia minimo della sezione
l
λ=
imin =
l
Jmin = momento d’inerzia minimo della sezione Per sezione rettangolare, si ha:
b 12
1)
La lunghezza libera d’inflessione dell’asta è funzione dei vincoli di estremità dell’asta stessa. È possibile schematizzare quattro casi fondamentali (Fig. D.5.14./2): 1) lo = 0,5 · l
3) lo = l
2) lo = 0,7 · l
4) lo = 2 · l
2)
3)
4) ILATI 13. D.5. IO – PROF ACCIA RE 14. D.5. LAMELLA O LEGN
D 189
D.5. 14.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE LEGNO LAMELLARE
•
STRUTTURE
➦ PUNTONI CARICO DI PUNTA TAB. D.5.14./5 TABELLA COEFFICIENTI Ω (DIN 1052)
Nelle aste compresse può insorgere il fenomeno dell’instabilità dell’equilibrio elastico. Il carico che può provocare l’instabilità viene definito “carico critico” o “carico di Eulero” (Ncr). L’espressione del carico critico è la seguente:
Ncr = π·
COEFFICIENTE ω SNELLEZZA λ
E·Jmin lo2
Sono considerate ammissibili snellezze fino a 150, per elementi singoli, mentre per le aste composte da più elementi si può arrivare al valore
λ = 175.
LEGNO MASSICCIO I II III CONIFERE
COEFFICIENTE ω LEGNO LAMELLARE II
SNELLEZZA λ
LEGNO MASSICCIO I II III CONIFERE
LEGNO LAMELLARE II
0
1
1
1
130
5,07
5,07
4,63
10
1,04
1
1
140
5,88
5,88
5,37
20
1,08
1
1
150
6,75
6,75
6,17
30
1,15
1
1
160
7,68
7,68
7,02
40
1,26
1,03
1,03
170
8,67
8,67
7,92
50
1,42
1,13
1,11
180
9,72
9,72
8,88
60
1,62
1,28
1,25
190
10,83
10,83
9,89
70
1,88
1,51
1,45
200
12,00
12,00
10,96
80
2,20
1,92
1,75
210
13,23
13,27
12,08
90
2,58
2,43
2,22
220
14,52
14,52
13,26
100
3,00
3,00
2,74
230
15,87
15,87
14,50
110
3,63
3,63
3,32
240
17,28
17,28
15,78
120
4,32
4,32
3,95
250
18,75
18,75
17,13
FLESSIONE La verifica delle sezioni inflesse viene effettuata con la formula:
FIG. D.5.14./4 σfII
2
M σf// = ·y ≤ σf// J
M
M
Nelle travi composte, chiodate o incavigliate con anima continua, le tensioni vanno calcolate con le seguenti formule (Fig. D.5.14./4):
i=n
i=1
i=1
D 190
dove
γ =
1 1+K
ha bc/2
ba
σh1 bc/2
hc
dove i simboli utilizzati hanno il seguente significato: M = momento flettente in kg · cm; σa = tensioni massime riferite ai bordi dell’anima espresse in kg/cm2; σc = tensioni massime riferite ai bordi degli elementi del corrente in kg/cm2; σh1 = tensioni baricentriche nei componenti tesi del corrente in kg/cm2; ha = altezza dell’anima in cm; hc = altezza del corrente in cm; h1 = distanza in cm delle superfici della sezione non indebolita del corrente rispetto all’asse baricentrico; γ = coefficiente di riduzione per il calcolo di Iw; Iw = momento d’inerzia effettivo globale in cm (4) della sezione non indebolita (al lordo dei fori); Ian, Ial = momenti d’inerzia in cm (4) della sezione dell’anima, totale e indebolita; Icn, Icl= momenti d’inerzia in cm (4) delle sezioni, totali e indebolite, dei correnti, calcolati rispetto ai loro assi baricentrici paralleli all’asse principale baricentrico di tutta la sezione; Acn, Acl = superfici in cm2 delle sezioni dei correnti, totali e indebolite. i=n
Ac h1
Acl
ha
hc Icl σc = ± ·γ hi ± · Iw Acn 2 Icn
Iω = ∑ Ii +γ ·∑Ai· ai2
σa σc
bc hc
Acn
h1
M
·y·h1·
FIG. D.5.14./6
h1
Iw
FIG. D.5.14./5
Acl hc
M
2
hc
σh1 =
M ha Ial · · Iw 2 Ian
h1
σa ±
Ac ba
Per le sezioni con due assi di simmetria baricentrici, K è dato da:
K=
σh1
FIG. D.5.14./7 l
l
π2·E·Ac·e’ l2·C
Per le sezioni con un asse di simmetria K vale:
K=
π2·E·Ac·e’ l
l2·(Ac+Aa)·C
l'=l/2
dove i simboli hanno il seguente significato: i=n
∑li
= sommatoria dei momenti d’inerzia in cm(4) delle singole sezioni rispetto ai propri assi baricentrici paralleli all’asse baricentrico principale; Ai = superfici di ciascuna delle sezioni componenti in cm2 e’ = distanza dei punti di giunzione allineati in cm. E = modulo di elasticità del legno in kg/cm2; l = luce di calcolo in cm; c = coefficiente di deformazione in kg/cm.
l
l
l'=l/3
i=1
l
l
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE LEGNO LAMELLARE
D.5. 14. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.14./8 TIPI DI SEZIONI E COEFFICIENTI DI DEFORMAZIONE C IN Kg/cm
TIPO 1
Ac
TIPO DI GIUNZIONE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
TIPO 4
C.RCIZIO
Y
Y
Y ASSE BARICENTRICO PRINCIPALE PER FLESSIONE O PRESSOFLESSIONE
TIPO 3
TIPO 2
Ac
Ac
E ESE ESSIONAL PROF
Y
D.GETTAZIONE
Ac
X
X
X
X
X
PRO TTURALE STRU
X X
X
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI, Y
X - X
Y - Y
X - X E Y - Y
Y A c RISPETTO AD Y Y
CHIODI A UNA SEZIONE RESISTENTE
600
600
CHIODI A DUE SEZIONI RESISTENTI
1400
CHIODI A UNA SEZIONE RESISTENTE CHIODI A DUE SEZIONI RESISTENTI
Y
Y
900
900
-----
1800
-----
-----
900
600
-----
-----
1800
1400
-----
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
15000 PER CARICO AMMISSIBILE FINO A 1600 Kg 22500 PER SOLLECITAZIONI AMMISSIBILI DA 1600 KG A 3000 Kg 30000 PER SOLLECITAZIONI AMMISSIBILI OLTRE 3000 Kg
CAVIGLIE
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
TAGLIO
ELEMENTI DI COLLEGAMENTO NELLE TRAVI COMPOSTE
La verifica a taglio viene effettuata con la seguente formula (Fig. D.5.14./9):
τ=
Per le sezioni del tipo 1, 2 e 3, la tensione tangenziale massima, vale:
T ·S
τ max =
b·J
Tmax ba ·Iw
(γ ·S1·Sa )
τ max =
S1 = momento statico in cm3 dell’elemento da collegare,
Per sezioni rettangolari si ha:
rispetto all’asse neutro.
τ max =
3 2
·
T b·h
≤ τa⊥
Il flusso del taglio nel piano di una giunzione, si calcola con la relazione:
Tmax·γ ·S1
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
Iw
La distanza necessaria e, tra gli elementi di giunzione, viene definita con la formula:
FIG. D.5.14./9
e=
n·Namm tmax
Per sezioni composte da due parti, come il tipo 4, si ha:
τ max =
Tmax ba ·Iw
h
b
S2 = momento statico in
cm3,
rispetto all’asse neutro, della parte dell’anima posta al di sotto dell’asse neutro;
ba = spessore dell’anima.
Namm
= portata ammissibile nell’elemento di collegamento impiegato, espressa in kg;
n
= numero delle file parallele degli elementi di collegamento
·Sz
d
T RE 14. D.5. LAMELLA O LEGN
D 191
D.5. 14.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE LEGNO LAMELLARE
•
STRUTTURE
ASTE COMPOSTE SOLLECITATE A COMPRESSIONE A) ASTE COMPOSTE NON DISTANZIATE
B) ASTE COMPOSTE CON ELEMENTI DISTANZIATI (Aste calastrellate e reticolari)
I vari elementi possono essere collegati con colle, chiodi o caviglie. Nel caso si usino le colle, si può considerare la sezione come se fosse costituita da un unico elemento. Nel caso in cui l’unione sia effettuata mediante chiodi e/o caviglie, la stessa deve essere considerata elastica e il momento d’inerzia della sezione sarà Iw. In quest’ultimo caso inoltre, si deve considerare la lunghezza libera di inflessione al posto della luce di calcolo. Calcolato Iw si ricava la snellezza λw e conseguentemente il coefficiente di amplificazione del carico ωw. Gli elementi di collegamento devono essere dimensionati per uno sforzo di taglio, ritenuto convenzionalmente costante per tutta la lunghezza dell’asta valutato con la formula:
Ti =
Nel caso di aste calastrellate, il rapporto ideale di snellezza λw per l’inflessione nel piano perpendicolare all’asse baricentrico x – x, è dato dalla:
COLLEGAMENTI TRASVERSALI
na
Elementi in legno interposto
λw =
λx = λi =
Nmax ·ωw
TAB. D.5.14./6 FATTORE C PER ASTE CALASTRELLATE (TAB.5, DIN 1052)
l0 ix li ii
λx2+cx
2
λ12
dove:
La lunghezza libera di inflessione l1 delle aste è la distanza fra i centri dei collegamenti trasversali. La snellezza λ1 non deve essere superiore a 60 e l1 non deve superare il valore di lox /3. Se i collegamenti trasversali hanno interasse l1 < 30 i1, nella formula per la verifica al carico di punta, bisogna introdurre λ1 = 30.
Nmax = è la forza di compressione massima effettiva nell’asta. Per λ<60 il valore Ti può essere ridotto proporzionalmente al rapporto λ /60 fino al valore minimo Ti /2.
1,0 2,5 3,0 3,0 4,5
Nel caso di pilastri reticolari con diagonali inchiodate, per calcolare il rapporto ideale di snellezza λw si deve introdurre l’espressione ausiliare della DIN 1052:
snellezza di ogni singola asta
trasversale adottato; na = numero delle singole aste.
dove:
Colla Caviglie Chiodi Colla Chiodi
Elementi in legno riportati
snellezza totale della sezione
c = fattore dipendente del tipo di collegamento
60
MEZZI DI FATTORE COLLEGAMENTO C
4·π2·A1 a1·nc·C·sen 2 α con: A1 = sezione lorda della singola asta in cm2; C = 600 Kg/cm (coefficiente di deformazione per chiodatura e una sezione resistente); a = angolo di inclinazione delle diagonali; nc = numero complessivo dei chiodi che trasmettono la forza assiale dell’asta diagonale.
FIG. D.5.14./10
A)
B )
D)
C)
E)
F) LEGENDA
L1
DIN 1052 - TIPOLOGIE COSTRUTTIVE DI ASTE COMPOSTE CALASTRELLATE E RETICOLARI A) CON DISTANZIATORI IN LEGNO INTERPOSTI ED INCOLLATI B) CON GUANCIALI IN LEGNO, RIPORTATI ED INCOLLATI L1=<60i1
C) CON DISTANZIATORI IN LEGNO, INTERPOSTI E CHIODATI D) CON GUANCIALI IN LEGNO, RIPORTATI E CHIODATI L1=<60i1
E) CON DISTANZIATORI IN LEGNO, INTERPOSTI ED INCAVIGLIATI
L1
F) CON ASTE DIAGONALI CHIODATE
DIREZIONE DELLE FIBRE DEI GUANCIALI DI COLLEGAMENTO
a1 X
X
X
X
X
a1 X
A<1 Y
h1 A)
D 192
Y
X a
h1
Y
h1 B)
Y
X a
h1
Y
Y
h1 C)
X a
Y
Y
Y
Y
Y
Y
Ad h1
h1 D)
X a
h1
h1 E)
X a h1
h1 F)
X a
h1 D.5.11. LEGNO LAMELLARE
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE LEGNO LAMELLARE
D.5. 14. A.ZIONI
COLLEGAMENTI E GIUNTI 0,5 – 1 mm, tra i vari elementi componenti il giunto. In questo tipo di giunzioni, nor-
I collegamenti degli elementi strutturali in legno lamellare, vengono realizzati con: a) bullonature, chiodature, perni; b) connettori metallici (caviglie e anelli). Le giunzioni effettuate con bullonature, chiodature e perni, in presenza delle massime sollecitazioni, non devono dar luogo a sconnessioni o spostamenti superiori a
malmente il dimensionamento del giunto è condizionato dalle pressioni di rifollamento esercitate dai bulloni, chiodi o perni, sugli elementi in legno. e giunzioni effettuate con i connettori metallici presentano semplicità e razionalità sia in fase di preparazione, sia in sede di montaggio. Sono inoltre caratterizzate da una limitata deformabilità e da una elevata resistenza.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
GIUNZIONI CON BULLONI O PERNI I bulloni sono elementi cilindrici normalmente realizzati in acciaio dolce filettati a una estremità e dotati di testa dall’altra. Vanno inseriti in fori di diametro leggermente superiore al diametro del bullone stesso (di circa 1 mm). Sia la testa, sia il dado devono essere provvisti di rondelle aventi diametro di circa 4 volte quello del gambo del bullone. TAB. D.5.14./7 ACCOMPAGNAMENTO BULLONI CON RONDELLE (TAB. 11, DIN 1052) TIPO DI BULLONE
M12
M16
M20
TAB. D.5.14./8 DISTANZE MINIME PER PERNI, BULLONI CALIBRATI, BULLONI DISTANZE MINIME (1) PARALLELAMENTE ALLA DIREZIONE DELLA FORZA
Tra loro M22
M24
Perni e bulloni calibrati
Bulloni
II alla direz. delle fibre
5 dp
7 db ≥ 100 mm
⊥ alla direz. delle fibre
3 dp
5 db
II alla direz. delle fibre
6 dp
7 db ≥ 100 mm
Spessore rondella in mm
6
6
8
8
8
Dal bordo
φ esterno rondella tonda in mm
58
68
80
92
105
sollecitato
⊥ alla direz. delle fibre
3 dp
4 db
95
Dal bordo
II alla direz. delle fibre
3 dp
3 db
non sollecitato
⊥ alla direz. delle fibre
3 dp
3 db
Lato esterno rondella quadrata in mm
50
60
70
80
FIG. D.5.14./11
6dp 80 mm
3dp
3dp 5dp 3dp
6dp 3dp
5dp
3dp
3dp
3dp
3dp 3dp 3dp
Collegamenti a una sezione resistente
3dp
PERNI E BULLONI CALIBRATI 7dp 100 mm
7dp 100 mm
PERNI CILINDRICI E BULLONI CALIBRATI
σ’
A
σ’
A
40
170
40
230
elemento centrale
85
380
85
510
elementi laterali
55
260
55
330
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
4db
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
(100 mm)
UNA SEZIONE RESISTENTE
5db 3db
3db
5db 3db
BULLONI σ
rif
as2
am
as1
3db
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
3db
7db
3db
7db 7db 4db
3db
(100 mm)
F. TERIALI,
D.5. TURE T STRU
db (100 mm)
CO NTALE AMBIE
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
a2 a1
Collegamenti a due sezioni resistenti
E.NTROLLO
URB
TAB. D.5.14./9 VALORI Σ’ E A IN Kg /cm2 (Valevoli per legno lamellare e massiccio di conifere europee)
BULLONI
PRO TTURALE STRU
G.ANISTICA
(1) In collegamenti obliqui i valori intermedi devono essere interpolati
6dp 80 mm
D.GETTAZIONE
è la pressione ammissibile di rifollamento
a
è lo spessore minimo dell’elemento da collegare in cm
d
è il diametro del bullone o del perno in cm
A
è una costante ricavabile dalla Tab. D.5.14./9
db
DUE SEZIONI RESISTENTI
RE 14. D.5. LAMELLA O LEGN
D 193
D.5. 14.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE LEGNO LAMELLARE
STRUTTURE
•
➦ GIUNZIONI CON BULLONI O PERNI
6dp
TRAVE
3dp 3dp 3dp 3dp
Il valore di λ è tale da garantire la verifica a taglio dei bulloni. La tensione di rifollamento deve essere contenuta a valori di 35÷45 kg/cm2 in giunti formati da 2 soli elementi e 50÷80 kg/cm2 in giunti con più di 2 elementi. I perni sono elementi metallici che vanno inseriti forzatamente in fori di pari diametro. Un collegamento deve essere realizzato con almeno 2 perni e deve funzionare con almeno 4 sezioni resistenti. Il diametro dei perni deve essere superiore a 8 mm. Il diametro massimo dei perni e dei bulloni è di 30 mm. Per le distanze da rispettare sia per i bulloni che per i perni, va fatto riferimento alle Tab. D.5.14/8-9. La portata ammissibile per ciascun perno o bullone, per sollecitazione parallela alle fibre, risulta:
Q
N
PERNI E BULLONI CALIBRATI
7db =>10cm
Namm = σrif ·a ·d 2
Q
3dp
≅ 4 ÷7
3dp 3dp 3dp 3dp
N
7db =>10cm
φ
6db =>8cm
6db =>8cm
h/2
λ=
Smin
FIG. D.5.14./12
h/2
Nei collegamenti, i bulloni vengono sottoposti prevalentemente ad azioni taglianti. Ogni collegamento deve essere costituito almeno da 2 bulloni e il diametro minimo non può essere inferiore a 12 mm. Normalmente per la verifica del giunto viene valutata la pressione di rifollamento che i bulloni esercitano sul legno. In genere si stabilisce un rapporto ottimale λ fra lo spessore Smin dell’elemento in legno più piccolo che forma il giunto e il diametro φ del gambo del bullone
7db =>10cm TRAVE
h/2
5db
3db
5db 3db
3db
5db
5db 3db
Q h/2
h/2
Per azioni aventi direzione ortogonale alle fibre, le sollecitazioni ammissibili vanno ridotte del 25% (Fig. D.5.14./12). Per azioni con inclinazioni qualsiasi (a) rispetto alla direzione delle fibre, i coefficienti di riduzione delle sollecitazioni ammissibili sono riportati in Tab. D.5.14./10. Non si devono disporre più di 6 perni o bulloni calibrati in fila, parallelamente alla direzione dello sforzo. In caso contrario, degli n perni o bulloni calibrati, possono essere presi in considerazione solo n’, dove: in ogni caso il numero massimo da considerare non può essere superiore a 12 per ogni fila.
3db
N
n’ = 6 + 2 ·(n –6) 3
Q
3db
Namm = A · d 2
h/2
Il valore massimo può essere:
N
BULLONI
TAB. D.5.14./10 COEFFICIENTI DI RIDUZIONE DELLA SOLLECITAZIONE AMMISSIBILE PER BULLONI E PERNI PER SFORZI A DIREZIONE OBLIQUA
Pamm(α) = λ– Pamm λ = 1 – α / 360°
Pamm si ricava dalle Tabelle 20 e 21
D 194
α
λ
α
λ
α
λ
0
1,000
30
0,917
60
0,833
2
0,994
32
0,911
62
0,828
4
0,989
34
0,906
64
0,822
6
0,983
36
0,900
66
0,817
8
0,978
38
0,894
68
0,811
10
0,972
40
0,889
70
0,806
12
0,967
42
0,883
72
0,800
14
0,961
44
0,878
74
0,794
16
0,956
46
0,872
76
0,789
18
0,950
48
0,867
78
0,783
20
0,944
50
0,861
80
0,778
22
0,939
52
0,856
82
0,772
24
0,933
54
0,850
84
0,767
26
0,928
56
0,844
86
0,761
28
0,922
58
0,839
88
0,756
90
0,750
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE LEGNO LAMELLARE
A.ZIONI
GIUNZIONI CHIODATE I chiodi possono essere di tipo normale o con gambo sagomato. Una giunzione chiodata deve essere realizzata con almeno 4 chiodi resistenti a taglio. Il diametro, la lunghezza e il tipo dei chiodi da utilizzare dipendono dai seguenti parametri: • tipologia del giunto; • essenza legnosa e classe del legno; • spessore dell’elemento più piccolo facente parte dell’unione; • inclinazione delle azioni rispetto alla direzione delle fibre. Per legno di conifere europee, la forza di taglio da attribuire a ogni chiodo risulta:
T=
D.5. 14.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.14./13
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
500·dn2 (T in kg) 1+dn
PRO TTURALE STRU
dove dn è il diametro nominale del chiodo, espresso in cm. Per evitare possibili fessurazioni del legno lo spessore minimo degli elementi chiodati deve risultare:
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
Smin = dn · (3 + 8 · dn ) con dn ≥ 2,4 cm È inoltre necessario infiggere i chiodi in modo sfalsato rispetto all’asse teorico (Fig. D.5.14./12). L’infissione del gambo deve essere di almeno 12 á dn se attraversa un solo piano di taglio, di almeno 8 ádn se attraversa più sezioni di taglio (Fig. D.5.14./13). Nelle giunzioni chiodate devono essere rispettate le distanze minime tra i singoli chiodi e tra i chiodi e i rispettivi bordi (Tab. D.5.14./11).
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TAB. D.5.14./11 DISTANZE MINIME PARALLELAMENTE ALLA DIREZIONE DELLA FORZA senza perforatura Tra chiodo e chiodo
II Parallelamente alla direzione delle fibre ⊥ Perpendicolarmente alla direzione delle fibre
Dal bordo sollecitato
Dal bordo non sollecitato
con perforatura
10 dn 12 dn (1) 5 dn
5 dn
II Parallelamente alla direzione delle fibre
15 dn (1)
10 dn
⊥ Perpendicolarmente alla direzione delle fibre
7 dn 10 dn (1)
5 dn
II Parallelamente alla direzione delle fibre
7 dn 10 dn (1)
⊥ Perpendicolarmente alla direzione delle fibre
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
5 dn
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
5 dn 3 dn
5 dn
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
(1) Per dn > 4,2 mm
FIG. D.5.14./14
FIG. D.5.14./15 A) UN PIANO DI TAGLIO
B) DUE PIANI DI TAGLIO
N1
N1
N2
C) TRE PIANI
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
N3
N1
D.5. TURE T STRU
i
i
i N2
s1
CORRETTO
ERRATO
s2
N2
N
s1
sm
i = PROFONDITÀ D’INFISSIONE
s2
s1
s2
N4
s3
s4 RE 14. D.5. LAMELLA O LEGN
D 195
D.5. 14.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE LEGNO LAMELLARE
•
STRUTTURE
GIUNZIONI CON CAVIGLIE AD ANELLI Le caviglie e gli anelli sono elementi metallici che, inseriti in apposite fresature o a pressione nel legno, risultano idonei alla trasmissione degli sforzi di taglio. Ogni caviglia deve essere fissata con un bullone. In Fig. D.5.14./16 sono riportati alcuni tipi di caviglie.
FIG. D.5.14./16
s
de
hc hc/2
di
dc
dc
s
dc
hc
s
s1
he
s
A) CAVIGLIA CON PROFILO MONOCONICO SISTEMA APPEL
B) CAVIGLIA AD ANELLO A SEZIONE BICONICA SISTEMA APPEL s
C) CAVIGLIA AD ANELLO CON COSTOLE SISTEMA APPEL
hc
hc
hc
s
dc
dc1
dc
dc
2dc
dc
hc
s
dc
F) CAVIGLIA PER LEGNO DURO SISTEMA KUBLER
ss
hc
hc
E) CAVIGLIA CON PROFILO A T SISTEMA CHRISTOPH & UNMACK s
hc
D) CAVIGLIA AD ANELLO SISTEMA BEIER
G) CAVIGLIA AD ANELLO TAGLIATO SISTEMA TUCHSCHERER
D 196
H) CAVIGLIA AD ANELLO GRAPPANTE SISTEMA FREERS & NILSON
I) CAVIGLIA A GRAPPA SISTEMA SIEMENS BAUUNION
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE LEGNO LAMELLARE
D.5. 14. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
➦ FIG. D.5.14./16
B.STAZIONI DILEGIZLII
s
hc
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
s
hc
s
6
hc
I ED PRE NISM ORGA
dc
dc
dc
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
di
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB K) CAVIGLIA BIGRAPPANTE SISTEMA GEKA
M) CAVIGLIA AD ANELLO DENTATO SISTEMA ALLIGATOR
dc
hc
s
hc
s
s
hc
L) CAVIGLIA MONOGRAPPANTE SISTEMA GEKA
dc
dc
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
N) CAVIGLIA BIGRAPPANTE SISTEMA PFROMMER
O) PIASTRA BIGRAPPANTE ROTONDA SISTEMA BULLDOG
Nei collegamenti eseguiti con più file di caviglie o anelli vanno rispettate le dimensioni riportate nella nella Tab. D.5.14./12a
P) PIASTRA BIGRAPPANTE QUADRA SISTEMA BULLDOG
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
ec II = distanza minima tra caviglia e caviglia e tra l’ultima caviglia e la testa dell’elemento di legno (bordo in direzione delle fibre) (colonna 12, Tab. 1, fasc. 2 DIN 1052);
Il significato dei simboli in Tab. 8 (tab.2, fasc. 2, DIN 1052) è:
b dc = diametro esterno della caviglia (colonna 2, Tab. 1, fasc. 2, DIN 1052); tc = profondità di penetrazione della caviglia, di norma tc = hc/2 con hc determinato in base alla colonna 3, Tab. 1, fasc. 2, DIN 1052;
= larghezza minima dell’elemento con una fila di caviglie (colonna 10, Tab. 1, fasc. 2 DIN 1052).
Per il dimensionamento o la verifica dei collegamenti con caviglie e anelli può essere utilizzata la Tabella 9.
RE 14. D.5. LAMELLA O LEGN
D 197
D.5. 14.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE LEGNO LAMELLARE
•
STRUTTURE
➦ GIUNZIONI CON CAVIGLIE AD ANELLI TAB. D.5.14./12a
b/2
dc
ec1
ec1
LINEA DI CONGIUNZIONE DEGLI ELEMENTI
b/2
FIG. D.5.14./17 (TAB. 2, FASC. 2 DIN 1052)
ec''
ec''
ec''
ec''
Col. 1
Col. 2
Col. 3
Col. 4
Disposizione delle caviglie
Distanza minima fra caviglia e caviglia nella direzione delle fibre
Distanza minima fra la fila esterna e il bordo dell’elemento
Distanza minima fra due file contigue
ec ⊥
ec1 II
dc + tc
ec II
dc + tc
ec II
dc
1,1 x ec II
0,75 x dc
1,5 x ec II
0,5 (dc + tc)
1,8 x ec II
b/2
ec'' non sfalsate
b/2
tc tc
b/2
dc
ec1
ec1
LINEA DI CONGIUNZIONE DEGLI ELEMENTI
b/2
sfalsate
ec''
ec''
ec''
ec''
FRECCE ELASTICHE Nel calcolo delle frecce elastiche si deve far riferimento alle sezioni non indebolite e in particolare per le travi composte occorre determinare il momento d’inerzia effettivo Iw . Le frecce ammissibili, relative alla flessione, sono diverse a seconda che la trave sia dotata di controfreccia o meno e in funzione del tipo di calcolo eseguito (Tab. D.5.14./12b). Le norme DIN 1052 prevedono che nel calcolo della freccia totale si deve tener conto anche della sollecitazione di taglio.
La freccia elastica totale, nella sezione di mezzeria è data dalla somma dei due termini dovuti rispettivamente alla flessione e al taglio.
La valutazione della freccia per taglio, nel caso di travi a sezione costante semplicemente appoggiate e caricate uniformemente con carico p, può essere effettuata con la formula:
ft, max =
χ·P·I′′ 8 ·Gt ·A
fm =
dove Gt è il modulo di elasticità tangenziale e A è l’area della sezione dell’anima χ è il fattore di taglio e per sezioni rettangolari o quadrate assume il valore:
5 P·I 4 · 384 E·J
(deformazione flessionale)
P · l′′ ft = χ· 8 · Gt · A
χ = 1,2
(deformazione per taglio)
TAB. D.5.14./12b REALIZZAZIONE CON CONTROFRECCIA
REALIZZAZIONE SENZA CONTROFRECCIA
Travi reticolari (1) Calcolo approssimativo
Calcolo esatto
Carico utile
1/300
1/600
1/300
–
–
–
Carico totale
1/200
1/400
1/200
1/300
1/600
1/300
Carico
(1) Compreso travi ad anima piena composta con tavole disposte in un’unica direzione
D 198
Travi reticolari (1)
Travi in legno lamellare, travi composte, travi a parete piena
Travi in legno lamellare ravi composte, travi a parete piena
Calcolo approssimativo
Calcolo esatto
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE LEGNO LAMELLARE
D.5. 14. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. D.5.14./13 12
13
14
15
∆a cm2
db mm
dr/s mm
lr/s mm
α da 0° a 30° h/a cm
α da 0° a 30° h/a cm
ec cm
1o2 kg
3o4 kg
5o6 kg
65 80 95 126 128 160 190 108 130 153 173 196 218 60 80 100 120 140 160 180 200
30 30 30 30 45 45 45 20 26 29 32 36 40 20 25 30 35 40 45 50 55
5 6 6 6 8 10 10 4 5 6,5 6,5 8 8 4,5 5 5 5 5,5 6 6 7
– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – –
7,8 10,1 12,3 17,0 25,9 32,2 39,0 9,1 14,7 19,8 25,0 31,5 39,0 4,7 8,4 13,1 18,8 25,4 32,2 40,8 50,4
M 12 M 12 M 12 M 12 M 12 M 16 M 16 M 16 M 16 M 16 M 16 M 20 M 20 M 12 M 12 M 12 M 12 M 12 M 16 M 16 M 16
58/6 58/6 58/6 58/6 58/6 68/6 68/6 68/6 68/6 68/6 68/6 80/6 80/6 58/6 58/6 58/6 58/6 58/6 68/6 68/6 68/6
50/6 50/6 50/6 50/6 50/6 60/6 60/6 60/6 60/6 60/6 60/6 70/8 70/8 50/6 50/6 50/6 50/6 50/6 60/6 60/6 60/6
10/4 11/5 12/6 16/6 16/6 20/10 23/10 15/8 17/8 19/8 21/10 24/10 26/10 10/4–9/6 11/5 13/6 16/6 18/6 20/10 22/10 24/10
11/4 13/5 15/6 20/6 20/6 24/10 28/10 18/8 20/10 23/10 25/10 29/10 31/10 11/4 13/5 16/6 19/6 22/6 24/10 25/10 29/10
14 18 22 25 30 34 43 22 24 30 36 38 40 16 21 24 27 33 37 45 48
1150 1400 1700 2000 2800 3400 4800 1700 2200 3000 4000 4600 5200 1250 1600 2000 2300 3100 3600 4800 5400
1050 1250 1550 1800 2500 3050 4300 1550 2000 2700 3600 4100 4700 1100 1450 1800 2050 2800 3250 4300 4850
900 1100 1350 1600 2250 2700 3850 1350 1750 2400 3200 3700 4150 1000 1300 1600 1850 2450 2850 3850 4300
Caviglia rotonda in legno duro Sistema Kubler
66 100
32 40
– –
– –
8,2 16,8
M12 M12
58/6 58/6
50/6 50/6
10/4–9/6 13/6
10/4–9/6 16/6
13 20
1100 1800
1000 1600
900 1550
Mezza caviglia in acciaio (8) Sistema Kubler
45
25
–
–
6,4
M 16
–
–
10/6
12/6
15
1000
900
800
90 110 130 153 173 196 216 90 130 155 180 180
20 26 29 32 36 39 42 30 40 45 50 60
5 5 5 6,5 6,5 8 8 6,5 8 10 10 10
– – – – – – – 24 34 42 48 48
7,7 12,6 16,4 21,8 28,1 34,2 41,0 9,7 19,8 27,6 35,8 43,8
M 12 M 12 M 16 M 16 M 16 M 20 M 20 M 12 M 16 M 16 M 20 M 20
58/6 58/6 68/6 68/6 68/6 80/8 80/8 58/6 68/6 68/6 80/8 80/8
50/6 50/6 60/6 60/6 60/6 70/8 70/8 50/6 60/6 60/6 70/8 70/8
12/6 14/6 17/6 19/6 21/8 24/8 26/8 12/6 16/6 20/8 22/10 22/10
14/6 17/6 20/6 23/6 25/8 29/8 31/8 14/6 20/8 20/10 24/10 26/10
13 17 20 25 30 31 33 20 25 32 38 38
1200 1600 2000 2800 3800 4300 4800 1450 3200 3150 3850 4250
1100 1450 1800 2500 3400 3850 4300 1300 2000 2800 3450 3800
950 1300 1600 2250 3050 3450 3850 1150 1800 2500 3100 3400
55
30
3,5
16
3,9
M 12
58/6
50/6
10/4–8/6
10/4–9/6
12
80
37
5
20
7,9
M 12
58/6
50/6
11/5
12/5
15 14
1000 1200 1500 1900
900 1100 1350 1750
800 950 1200 1500
50 65 80 95 115 50 65 80 95 115 55 70 95 115 125
27 27 27 27 27 15 15 15 15 15 19 19 24 24 29
3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 1,45 1,45 1,5 1,5 1,65
8 12 18 24 32 8 14 22 24 32 11 15 17 20 18
2,8 3,6 4,6 5,6 7,0 3,4 4,5 5,5 6,9 8,6 2,0 2,6 4,5 5,6 7,3
M 12 M 16 M 20 M 22 M 24 M 12 M 16 M 20 M 22 M 24 M 12 M 16 M 20 M 22 M 24
58/6 68/6 80/8 92/8 105/8 – – – – – 58/6 68/6 80/8 92/8 105/8
50/6 60/6 70/8 80/8 95/8 – – – – – 50/6 60/6 70/8 80/8 95/8
10/4–8/6 10/4–9/6 11/5 12/6 14/6 10/4–8/6 10/4–9/6 11/5 12/6 14/6 10/4–8/6 10/5 12/6 15/8 16/8
10/4–9/6 11/4–10/6 13/5 14/6 17/6 10/4–9/6 11/4–10/6 13/5 14/6 17/6 10/4–9/6 12/5 14/6 18/8 19/8
12 14 17 20 23 12 14 17 20 23 12 14 17 20 23
800 1150 1700 2100 2700 800 1150 1700 2100 2700 600 800 1200 1600 1800
700 1000 1500 1900 2400 700 1000 1500 1900 2400 550 700 1100 1450 1600
650 900 1350 1700 2150
90/90
25
2
18
4,3
M 16
68/6
60/6
12/5
14/5
14
1250
1100
50 62 75 95 117 140 165
10 17 19 25 30 31 33
1,3 1,3 1,3 1,3 1,5 1,5 1,8
12 12 12 12 12; 13 16 24
0,9 2,0 2,6 4,7 6,9 8,7 11,0
M 12 M 12 M 16 M 16 M 20 M 22 M 24
58/6 58/6 68/6 68/6 80/8 92/8 105/8
50/6 50/6 60/6 60/6 70/8 80/8 95/8
10/4–8/6 10/4–9/6 10/5 12/5 15/8 17/8 19/8
10/4 11/4 12/5 14/5 18/8 20/10 23/10
12 12 14 14 17 20 23
500 700 900 1200 1600 2200 3000
450 650 800 1100 1450 2000 2700
100/100 130/130
15 18
1,4 1,5
28 28
2,7 4,5
M 20 M 22
80/8 92/8
70/8 80/8
13/6 16/6
16/6 19/8
17 20
1700 2300
1500 2050
Caviglia ad anello a sezione conica semplice (3) o biconica ad anello con costole Sistema Appel
Caviglia ad anello Sistema Beier
Caviglia ad anello con sezione a T e caviglie ad anello con diametri variabili (7) Sistema Cristoph e Unmack
Caviglia ad anello tagliato Sistema Tuchscherer
Caviglia ad anello grappante Sistema Freers e Nilson Caviglia a grappe Sistema Siemens-Raunion Caviglia bigrappante Sistema Geka
Caviglia monograppante Sistema Geka
Caviglia ad anello dentato Sistema Alligator Piastra bigrappante Sistema Pfrommer
Piastra bigrappante rotonda Sistema Bulldog
Piastra grappante quadra Sistema Bulldog
16
17
α da 0° a 30° da 30° a 60° da 60° a 90°
11
sollecitazione ammissibile per una caviglia con ipotesi di carico H a seconda dell’angolo di incidenza tra la direzione della forza e quella delle fibre
10
distanza minima tra caviglia e caviglia o tra l’ultima caviglia e la testa del legno
9
dimensione minima degli elementi con una fila di caviglie a seconda dell’angolo di incidenza tra la direzione della forza e quella delle fibre
8
rondelle quadre lato/spess
7
rondelle rotonde diam/spess
hc s mm mm
6
viti a testa esagonale conformi alla DIN 601 fasc 1
5
n° dei denti
spessore
4
superficie tolta dalla caviglia
dc mm
3
altezza (2)
FORMA DELLE CAVIGLIE
2 diametro esterno (1)
1
1o2 kg
1o2 kg
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
RE 14. D.5. LAMELLA O LEGN
D 199
D.5. 14.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE LEGNO LAMELLARE
•
STRUTTURE
RESISTENZA AL FUOCO Per resistenza al fuoco si intende l’attitudine di un elemento da costruzione a conservare, secondo un programma termico prestabilito e per un tempo determinato, in tutto o in parte, la stabilità R, la tenuta E, l’isolamento termico I. In particolare per quanto riguarda l’aspetto statico, si intende per stabilità R, l’attitudine di un elemento da costruzione a conservare la resistenza meccanica sotto l’azione del fuoco. Per tenuta E si intende la capacità dell’elemento costruttivo di impedire il passaggio di fiamme, gas o fumi. Per isolamento termico I si intende l’attitudine di un elemento da costruzione a ridurre, entro un dato limite la trasmissione del calore.
CLASSE “C” DI RESISTENZA AL FUOCO La classe di una struttura o di un compartimento strutturale, indica, in minuti primi,la durata equivalente di incendio e quindi il tempo minimo di resistenza al fuoco entro il quale la struttura o l’elemento costruttivo deve mantenere la sua capacità portante. Le classi di resistenza al fuoco sono distinte nei seguenti valori: 15, 30, 45, 60, 90,
120, 180. La classe di un locale o di un compartimento si determina con la formula:
C=K·Q
TAB. D.5.14/14 VALORI DEGLI INDICI DI VALUTAZIONE PER IL CALCOLO DEL COEFFICIENTE DI RIDUZIONE K FATTORI INDICI DI VALUTAZIONE 1.
Altezza dell’edificio e dei piani
1.2 Altezza totale dell’edificio • altezza di gronda fino a 7 m..........................................................................0 • altezza di gronda oltre 7 m fino a 14 m ......................................................+2 • altezza di gronda oltre 14 m fino a 24 m ....................................................+4 • altezza di gronda oltre 24 m fino a 30 m ....................................................+6 • altezza di gronda oltre 30 m fino a 45 m ..................................................+10 • altezza di gronda oltre 45m.......................................................................+20 1.2 Altezza dei piani in un edificio multipiano • fino a 4 m ....................................................................................................+2 • oltre 4 m fino a 8 m .....................................................................................+1 2.
Superficie interna, delimitata da muri tagliafuoco, pareti esterne o pareti antincendio suppletive (schermi, ripari di acqua ecc.) • • • • •
3.
fino 200 m2 ....................................................................................................0 oltre 200 m2 fino a 500 m2. .........................................................................+2 oltre 500 m2 fino a 1000 m2 ........................................................................+4 oltre 1000 m2 fino a 2000 m2 ......................................................................+6 oltre 2000 m2 .............................................................................................+10
Utilizzazione dell’edificio e dei locali
3.4 • Materiali infiammabili, come idrogeno, benzina, petrolio, celluloide e simili .................................................................................+(5÷10) • Materiali facilmente combustibili, come paglia, mobili di legno e simili ........0 • Materiali poco o difficilmente combustibili, come carta ammassata oli pesanti da caldaia, carboni minerali e simili .......................................–(5–15) 3.2 Destinazione dei locali • sale di riunione, locali soggetti ad affollamento, ambulatori e simili .........+10 • ospedali, cliniche, scuole e simili ................................................................+5 • abitazioni e uffici............................................................................................0 3.3 Uscite di soccorso a distanza superiore ai 20 m (1) 4.
Pericolo di propagazione • distanza dagli edifici circostanti fino a 10 m. ..............................................+3 • distanza dagli edifici circostanti da 10 m a 25 m. ...........................................+1 • distanza dagli edifici circostanti oltre 25 m ...................................................0
5.
Q = q+125
S A
Q è il carico d’incendio totale (kg/m2); q è il carico d’incendio dei materiali combustibili contenuti nel locale, escluse le strutture portanti in legno (kg/m2); S è la superficie esposta al fuoco delle strutture portanti in legno (m2); A è la superficie orizzontale del locale (m2). Il carico d’incendio q viene valutato con la relazione: n
∑ gi ·Hi
q=
i=1
4400 ·A
dove: gi è il peso in kg del generico combustibile che si prevede presente nel locale nelle condizioni più gravose di carico d’incendio; Hi è il potere calorifico superiore in Cal/kg del generico combustibile; 4400 è il potere calorifico superiore del legno in Cal/kg TAB. D.5.14./15 POTERE CALORIFICO SUPERIORE HI
Segnalazione, accessibilità e impianti di protezione antincendio
5.1 Squadra interno di soccorso • con impianto interno di idranti ...................................................................–25 • con impianto di estintori ............................................................................–15 5.2 Impianto Sprinkler, secondo la portata e la pressione (indici da ridurre ai valori -(3–5) in caso di coesistenza con la voce 5.1) .....(15–25) 5.3 Avvisatore automatico in diretto collegamento con la caserma VVFF (indice da ridurre al valore –2 in caso di coesistenza con la voce 5.1 oppure 5.2) ...................................................................................................–10 5.4 Guardiania permanente con telefono • con avvisatore automatico interno e impianto interno di idranti................–12 • con avvisatore automatico interno ............................................................–10 • con impianto interno di idranti .....................................................................–9 • con estintori oppure con impianto esterno di idranti ...................................–8 • senza altro corredo .....................................................................................–7 (Indici da non considerare in caso di coesistenza con la voce 5.1 e da ridurre al valore costante –3 in caso di coesistenza con la voce 5.2) ............... 5.5 Impianto interno di idranti senza guardiania (indice da ridurre al valore –2 in caso di coesistenza con le voci 5.1 e 5.2 .............................................–4 5.6 Impianto esterno di idranti in prossimità dell’edificio (indice da ridurre al valore –1 in caso si coesistenza con le voci 5.1 e 5.2) .............................–3 5.7 Estintori senza guardiania (indice da ridurre al valore –1 in caso di coesistenza con le voci 5.1 e 5.2)..................................................................–2 5.8 Tempo richiesto per l’arrivo dei VVFF • fino a 10 minuti............................................................................................–5 • oltre 10 fino a 15 minuti...............................................................................–2 • oltre 15 fino a 20 minuti.................................................................................0 • oltre 20 minuti ............................................................................................+ 5 5.9 Difficoltà di accesso interno non avente rapporto con l’altezza dell’edificio ...............................................................................................(0–3)
D 200
dove: C è il numero indicativo della classe; K è un coefficiente di riduzione che tiene conto delle condizioni reali di incendio nel locale; Q è il carico di incendio. Il valore di K viene determinato utilizzando la tabella e il grafico riportati nella circolare n.91 del 14 settembre 1961. Si sommano algebricamente gli indici di valutazione riportati in tabella e si legge in corrispondenza sulle ordinate il valore di K, nel grafico di correlazione tra indice totale di valutazione e coefficiente di riduzione del carico d’incendio. Il coefficiente K può variare fra 0.2 e 1. Per il calcolo del carico d’incendio Q si fa riferimento al DM 6 marzo 1986, relativo al calcolo del carico d’incendio per locali aventi strutture portanti in legno. Il valore del carico d’incendio è dato dalla relazione: dove:
POTERE CALORIFICO SUPERIORE IN Cal/kg
MATERIALE
Tessuti di cotone
4.000
Carta
4.000
Paglia
3.700 a) essenze forti
3.700–4.000
b) essenze deboli
2.800–3.000
Legname secco
Carbone fossile (antracite)
7.500–8.000
Carbone coke
6.500–7.200
Olio da forni
10.200–11.000
Nafta da motori
11.000
Benzina
11.300
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE LEGNO LAMELLARE
D.5. 14. A.ZIONI
COEFFICIENTE DI RIDUZIONE K
FIG. D.5.14./18 CORRELAZIONE TRA INDICE TOTALE DI VALUTAZIONE E COEFFICIENTE K DI RIDUZIONE DEL CARICO D’INCENDIO
1,0 0,9 0,8 0,7 0,6 0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0 -82 -80 -60
-40
-20
0
20
40
SOMMA ALGEBRICA DEGLI INDICI DI VALUTAZIONE
60 74
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
COMPORTAMENTO DEL LEGNO AL FUOCO Il legno è un materiale combustibile in quanto, sotto l’azione di una sorgente di calore avente sufficiente intensità, comincia a bruciare. L’infiammabilità è influenzata da vari fattori, tra cui la specie legnosa le condizioni ambientali, le dimensioni degli elementi lignei e lo stato superficiale degli stessi. Il processo di combustione inizia con il riscaldamento del legno, con l’evaporazione dell’acqua contenuta e con l’emissione di gas non infiammabili (come la CO2 ). Con l’aumentare della temperatura (intorno ai 300°C ) iniziano a svilupparsi i gas infiammabili (come il CO). A temperature superiori (300÷500°C ) le reazioni diventano di tipo esotermico con notevole sviluppo di calore e gas altamente infiammabili. Sono queste le condizioni per l’avvio del processo di carbonizzazione e del conseguente incenerimento. Il legno è caratterizzato da un basso valore del coefficiente di conducibilità termica (Kc = 0,13 Kcal/m2· h·° C) che rende lento il processo di carbonizzazione. La pellicola protettiva, che si forma durante la carbonizzazione iniziale della superficie esterna, riduce ulteriormente la velocità di propagazione di tale fenomeno verso l’interno della massa legnosa. Si è constatato sperimentalmente che la velocità di carbonizzazione del legno può variare tra 0,5÷0,8 mm al minuto. Gli elementi strutturali portanti, dopo un tempo pari al valore del carico di incendio calcolato come da Circolare del Ministero dell’Interno n.91 del 14 settembre 1961, debbono conservare la stabilità R, considerando che le dimensioni si riducono sotto l’azione del fuoco, secondo i seguenti valori:
TRAVI: estradosso e laterali TRAVI: intradosso PILASTRI: ALTRE STRUTTURE ORIZZONTALI:
0,8 mm/min. 1,1 mm/min. 0,7 mm/min.
B.STAZIONI DILEGIZLII
FIG. D.5.14./19
ESTRADOSSO Vc = 0,8 mm/min
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
LATERALE Vc = 0,8 mm/min
TRAVE
INTRADOSSO Vc = 1,1 mm/min
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
PILASTRO
Vc = 0,7 mm/min La verifica delle sezioni degli elementi strutturali consumati dal fuoco, va effettuata tenendo conto dei carichi effettivamente agenti e considerando, come termine di confronto, la tensione di rottura al posto della tensione ammissibile. Normalmente la tensione di rottura è 2,5÷3 volte la tensione ammissibile.
1,1 mm/min.
V rott. = K V
dove:
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
K = 2,5÷3
TIPOLOGIE STRUTTURALI D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
FIG. D.5.14./20a TRAVI SU DUE APPOGGI h1
h
h
D.5. TURE T STRU
y
y
h ~ L/17
y
h ~ L/30
y
h1 ~ L/14
L < 25 m
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
L < 20 m
TRAVE RETTILINEA
BIFALDA CURVATA h1
h
h
h1
y
y
h ~ L/30
y
h ~ L/30
L < 35 m
L < 35 m BIFALDA
y
h1 ~ L/15
BIFALDA CON GIUNTO RIGIDO
RE 14. D.5. LAMELLA O LEGN
D 201
D.5. 14.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE LEGNO LAMELLARE
•
STRUTTURE
➦ TIPOLOGIE STRUTTURALI FIG. D.5.14./20b TRAVI SU DUE APPOGGI
FIG. D.5.14./20c TRAVI SU DUE APPOGGI
h1
y
h ~ L/30
h
y
h1 ~ L/16 L < 25 m
y
y
h ~ L/30
TRAVE TRAPEZIA
L = 5 - 45 m CAPRIATA
h
h
h
y
y
h ~ L/17
x
L < 30 m y
y
h ~ L/30
TRAVE CURVA
L = 10-60 m PUNTONI SPINGENTI
h1
h
y
h ~ L/30
y
h1 ~ L/16 L < 30 m
TRAVE RASTREMATA
y
y
h ~ L/30
CAPRIATA RETICOLARE FIG. D.5.14./21 TRAVI SU PIÙ APPOGGI
x
h
x
y
y
y
h ~ L/20
y
h ~ L/50
L < 20 m
L = 20-100 m ARCO SPINGENTE
h
FIG. D.5.14./22 CASSETTONATO
y
x
x
h
h ~ L/25
y y
y
y
h ~ L/20
L = 10-25 m L < 25 m TRAVE CURVA E MONTANTE
D 202
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE LEGNO LAMELLARE
D.5. 14. A.ZIONI
FIG. D.5.14./23 PORTALI A TRE CERNIERE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.14./24 SISTEMI A TRE CERNIERE
B.STAZIONI DILEGIZLII
h
PORTALI A TRE CERNIERE
I ED PRE NISM ORGA
S2 h
C.RCIZIO S1
E ESE ESSIONAL PROF
x
y
D.GETTAZIONE
y
h L/30
x
PRO TTURALE STRU
L = 5-45 m
h ~ S1+S2 14
E.NTROLLO
CAPRIATA
y
y
CO NTALE AMBIE
h
L=20-40 m
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
CON PIEDRITTO METALLICO O IN C.A. x
x
S2 h y
G.ANISTICA
y
h L/30
URB
S1
L = 10-60 m
x
PUNTONI SPINGENTI
x TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
h
h ~ S1+S2 14 y
y
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
L=10-40 m CON MONTANTE SCOMPOSTO y
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
CAPRIATA
S1
h
y
h L/30
S2
x
x
x
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
x D.5. TURE T STRU
h ~ S1+S2 15
y
y
y
y
h L/50
L=10-45 m
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
L = 20-100 m
CON MONTANTE SCOMPOSTO ARCO
S1
h
h
h1
x
x
y
h ~ L/30
y
h1 ~ L/16
y
y L = 10-25 m
L<35 m TRAVE CON MONTANTE INCASTRATO
x
h L/25
TRAVE CURVA E MONTANTE
➥
RE 14. D.5. LAMELLA O LEGN
D 203
D.5. 14.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE LEGNO LAMELLARE
•
STRUTTURE
➦ TIPOLOGIE STRUTTURALI FIG. D.5.14./25 SISTEMI A SBALZO
FIG. D.5.14./26 TRAVI RETICOLARI
h
TRIANGOLARE
h
y
h
y
h ~ L/10
y
L/8
y
L=25-80 m L<30 m
TRAPEZOIDALE h
L1
h
y
y
L/12 L=25-100 m
h
A LEMBI PARALLELI
h ~ L/10 y
y
M L1
h
y
L<30 m
y
L/14 L=15-80 m
TAB. D.5.14./17 TABELLA PER SEZIONI DI TRAVI RETTILINEE BASE
ALTEZZA
h ~ L/10 y
y
M L1
L<30 m
TAB. D.5.14./16 TABELLA PER SEZIONI RETTANGOLARI SPESSORI b ..... (cm) 8,5
10,5
12,5
14,5
16,0
18,0
20,0
2,0
ALTEZZA TRAVE h ...... (cm)
D 204
3,35
1
39,7
12
76,9
23
113,7
34
150,6
45
187,4
56
6,2
2
43,1
13
80,2
24
117,1
35
153,9
46
190,8
57
9,6
3
46,4
14
83,6
25
120,4
36
157,3
47
194,1
58
12,9
4
50,1
15
86,9
26
123,8
37
160,6
48
197,5
59
16,3
5
53,4
16
90,3
27
127,1
38
164,0
49
200,8
60
19,6
6
56,8
17
93,6
28
130,5
39
167,3
50
204,2
61
23,0
7
60,1
18
97,0
29
133,8
40
170,7
51
207,5
62
26,3
8
63,5
19
100,3
30
137,2
41
174,0
52
210,9
63
29,7
9
66,8
20
103,7
31
140,5
42
177,4
53
214,2
64
33,0
10
70,2
21
107,0
32
143,9
43
180,7
54
217,6
65
36,4
11
73,5
22
110,4
33
147,2
44
184,1
55
220,9
66
8 10 12 12,8 14 16 18 19,2 20 22,4 24 25,6 28,8 32 35,2 38,4 41,6 48 54,4 64 70,4 80 86,4 96 102,4 112 118,4 128 140,8 150,4 160
8 8x8 8x10 8 x 12
10
12
14
16
18
10 x 10 10 x 12 12 x 12,8
8 x 14 8 x 16
10 x 14 10 x 16 10 x 18 10 x 20
12 x 16 12 x 18 12 x 19,2 12 x 20 12 x 22,4 12 x 24 12 x 25,6 12 x 28,8 12 x 32 12 x 35,2 12 x 38,4 12 x 41,6 12 x 48
14 x 16
18 x 22,4 14 x 25,6 14 x 32
16 x 32
18 x 32
14 x 41,6 14 x 48 14 x 54,4 14 x 64 14 x 70,4 14 x 80 14 x 86,4 14 x 96
16 x 41,6 16 x 48
18 x 41,6 18 x 48 18 x 54,4 18 x 64 18 x 70,4 18 x 80 18 x 86,4 18 x 96 18 x 102,4 18 x 112 18 x 118,4 18 x 128 18 x 140,8 18 x 150,4 18 x 160 18 x 182,4
16 x 64 16 x 80 16 x 96 16 x 112 16 x 118,4 16 x 128 16 x 140,8 16 x 150,4 16 x 160
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
•
STRUTTURE MURATURA
D.5. 15. A.ZIONI
EDIFICI IN MURATURA – NUOVE EDIFICAZIONI Le norme tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo di edifici in muratura sono state emanate con il DM (LLPP) del 20 novembre 1987. Nel caso che l’edificio debba sorgere in zona dichiarata soggetta a rischio sismico, oltre al rispetto delle norme di cui al citato DM debbono anche essere rispettate le prescrizioni specifiche contenute nel DM (LLPP) del 16-1-1996 ai punti C.2; C.3; C.4; D.5.1 per quanto riguarda
disposizioni di carattere generale (altezza massima, distacchi); al punto D.5.2 per quanto riguarda le prescrizioni specifiche per edifici con muratura ordinaria; nei punti da D.5.3.1 a D.5.3.6 per edifici con muratura armata. Per quanto riguarda le fondazioni debbono essere rispettate, in ogni caso, le prescrizioni previste nel DM (LLPP) del 11 marzo 1988.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
PRESCRIZIONI E VERIFICHE PREVISTE NEL DM 20 NOVEMBRE 1987 Per quanto riguarda le malte sono previsti quattro tipi M1, M2, M3, M4, con caratteristiche meccaniche definite dalla resistenza media a compressione.
M1 – R ≥ 120 kg/cm2 M3 – (50 ≤ R ≤ 80) kg/cm2
D.GETTAZIONE
RESISTENZE A COMPRESSIONE (fk) Per murature costituite da elementi lapidei artificiali pieni e semipieni si possono assumere i valori della Tab. D.5.15./1, in funzione della resistenza caratteristica dell’elemento (fbk) e del tipo di malta. Per murature costituite da elementi naturali in pietra squadrata si possono assumere gli stessi valori salvo per la prima riga dove per il valore della fbk si prevede 15 kg/cm2 (invece di 20 kg/cm2) e la resistenza vale (per tutti i tipi di malta) 10 kg/cm2 al posto dei 12 kg/cm2 (Tab. D. 5.15./2).
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
M2 – (80 ≤ R ≤ 120 kg/cm2
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
TAB. D.5.15./1 VALORE DELLA fk PER MURATURE IN ELEMENTI ARTIFICIALI PIENI E SEMIPIENI
M4 – (25 ≤ R ≤ 50) kg/cm2 Per quanto riguarda i componenti in volume sono previste: M1 – Cementizia: 1 parte cemento; 3 parti sabbia M2 – Cementizia: 1 parte cemento; 0,5 parte calce idraulica; 4 parti sabbia
Resistenza caratteristica a compressione fbk dell’elemento
URB M1
M3 – Bastarda:
1 parte cemento; 1 parte calce idraulica; 5 parti sabbia
M3 – Bastarda:
1 parte cemento; 2 parti calce idraulica; 9 parti sabbia
G.ANISTICA
TIPO DI MALTA
M2
M3
M4
N/mm2 kgf/cm2 N/mm2 kgf/cm2 N/mm2 kgf/cm2 N/mm2 kgf/cm2 N/mm2 kgf/cm2 2,0
20
1,2
12
1,2
12
1,2
12
1,2
12
M4 – Pozzolanica: 1 parte calce aerea; 3 parti pozzolana
3,0
30
2,2
22
2,2
22
2,2
22
2,0
20
M4 – Idraulica:
5,0
50
3,5
35
3,4
34
3,3
33
3,0
30
7,5
75
5,0
50
4,5
45
4,1
41
3,5
35
10,0
100
6,2
62
5,3
53
4,7
47
4,1
41
15,0
150
8,2
82
6,7
67
6,0
60
5,1
51
20,0
200
9,7
97
8,0
80
7,0
70
6,1
61
30,0
300
12,0
120
10,0
100
8,6
86
7,2
72
40,0
400
14,3
143
12,0
120
10,4
104
–
–
1 parte calce idraulica; 3 parti sabbia
Deve notarsi che l’uso di calce aerea è consentito solo con pozzolana.
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
MURATURA COSTITUITA DA ELEMENTI ARTIFICIALI • Laterizio normale • Calcestruzzo normale
}
elementi pieni elementi semipieni elementi forati
• Laterizio alleggerito in pasta • Calcestruzzo alleggerito
Nel caso di laterizio e calcestruzzo normale la percentuale dell’area dei fori deve risultare: Elementi pieni Elementi semipieni Elementi forati
ϕ ≤ 15% 15% < ϕ ≤ 45% 45% < ϕ ≤ 55%
TAB. D.5.15./2 VALORE DELLA fk PER MURATURE IN ELEMENTI NATURALI DI PIETRA SQUADRATA Resistenza caratteristica a compressione fbk dell’elemento
• Muratura di pietra non squadrata.
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
TIPO DI MALTA
M1 MURATURA COSTITUITA DA ELEMENTI NATURALI
M2
D.5. TURE T STRU
M3
M4
N/mm2
kgf/cm2
N/mm2
kgf/cm2
N/mm2
kgf/cm2
N/mm2
kgf/cm2
N/mm2
kgf/cm2
1,5
15
1,0
10
1,0
10
1,0
10
1,0
10
3,0
30
2,2
22
2,2
22
2,2
22
2,0
20
• Muratura listata: debbono essere presenti fasce in cemento (armato o non) oppure due filari di mattoni, a interasse ≤ 1,60m per tutto lo spessore e la lunghezza del muro.
5,0
50
3,5
35
3,4
34
3,3
33
3,0
30
7,5
75
5,0
50
4,5
45
4,1
41
3,5
35
• Muratura di pietra squadrata.
10,0
100
6,2
62
5,3
53
4,7
47
4,1
41
15,0
150
8,2
82
6,7
67
6,0
60
5,1
51
20,0
200
9,7
97
8,0
80
7,0
70
6,1
61
RESISTENZE CARATTERISTICHE DELLE MURATURE
30,0
300
12,0
120
10,0
100
8,6
86
7,2
72
A seconda del tipo di materiale lapideo e del tipo di malta si possono assumere i valori delle resistenze caratteristiche delle murature.
>40,0
>400
14,3
143
12,0
120
10,4
104
–
–
RE 14. D.5. LAMELLA O LEGN
➥
15. D.5. TURA MURA
D 205
D.5. 15.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE MURATURA
•
STRUTTURE
➦ EDIFICI IN MURATURA – NUOVE EDIFICAZIONI ➦ PRESCRIZIONI E VERIFICHE PREVISTE NEL DM 20 NOVEMBRE 1987 RESISTENZE AL TAGLIO Il valore di tale resistenza dipende sia dalle caratteristiche dei materiali lapidei e delle malte sia dalla tensione normale presente. Si assume:
fvk = fvk0 + 0,4σn
TAB. D.5.15./4 VALORE DI fvko PER MURATURE IN ELEMENTI ARTIFICIALI IN LATERIZIO PIENI E SEMIPIENI RESISTENZA CARATTERISTICA A COMPRESSIONE fbk DELL’ELEMENTO N/mm2
kgf/cm2
fbk ≤ 15
fbk ≤ 150
fbk > 15
fbk > 150
TIPO DI MALTA
Per i valori di si assumono i dati delle Tab. D.5.15./3-4-5.
TAB. D.5.15./3 VALORE DI fvko PER MURATURE IN ELEMENTI ARTIFICIALI IN CALCESTRUZZO PIENI E SEMIPIENI RESISTENZA CARATTERISTICA A COMPRESSIONE fbk DELL’ELEMENTO N/mm2
kgf/cm2
fbk ≤ 3
fbk ≤ 30
fbk > 3
TIPO DI MALTA
fbk > 30
M1 – M2 – M3
N/mm2
kgf/cm2
M1 – M2 – M3
0,1
1
M4
0,1
N/mm2
kgf/cm2
0,20
2
0,30
3
M4 M1 – M2 – M3 M4
TAB. D.5.15./5 VALORE DI fvko PER MURATURE IN PIETRA NATURALE SQUADRATA RESISTENZA CARATTERISTICA A COMPRESSIONE fbk DELL’ELEMENTO
fVKO
fVKO
kgf/cm2
M1 – M2 – M3
0,1
1
1
M4
0,1
1
M1 – M2 – M3
0,2
2
M4
0,1
1
0,2
2
M4
0,1
1
kgf/cm2
fbk ≤ 3
fbk ≤ 30
fVKO N/mm2
M1 – M2 – M3
N/mm2
TIPO DI MALTA
fbk > 3
fbk > 30
CONCEZIONE STRUTTURALE DELL’EDIFICIO L’edificio deve essere concepito come struttura tridimensionale costituita da: • muri verticali, in grado di assorbire azioni verticali e orizzontali; • solai. Per quanto concerne i solai la loro verifica deve essere effettuata tenendo conto delle norme relative ai solai in c.a., c.a.p, acciaio. Le murature verticali debbono essere staticamente connesse fra loro. In particolare il collegamento fra murature ortogonali deve avere la massima efficienza possibile per assorbire le tensioni tangenziali che si possono determinare nella sezione A-A di attacco. Tale collegamento si può ottenere: • ammorsando bene le murature fra loro ortogonali; • tramite “cuciture” armate.
FIG. D.5.15./2
SPESSORI MINIMI DELLE MURATURE A seconda delle tipologie murarie si hanno i seguenti valori minimi: Elementi artificiali pieni
12 cm
Elementi artificiali semipieni
20 cm
Elementi artificiali forati
25 cm
Pietra squadrata
24 cm
Pietra non squadrata listata
40 cm
Pietra non squadrata
50 cm
CORDOLI INTERNI
H = altezza cordolo FIG. D.5.15./1
ti
h = altezza solaio Af = = armatura longitudinale a
Per l’armatura relativa ai primi tre piani dall’alto:
Af ≥ 0,06 (t ·h) A
con Af ≥ 6 cm2 SOLAI
A
Dmin = 12 mm
staffe dmin = 8 mm
con passo ≤ 30 cm. Per ogni piano (oltre il terzo dall’alto): b
D 206
Af ≥ (6 + 2 · n) cm2
CORDOLI DI PIANO
n = numero dei piani sotto il terzo dall’alto.
In corrispondenza di ogni piano i solai debbono essere collegati alle sottostanti murature tramite cordoli. Questi debbono corrispondere a precise prescrizioni.
Se il numero totale dei piani (fuoriterra e entroterra) supera n = 6 il diametro minimo per le armature longitudinali deve essere D ≥ 14 mm e le staffe d = 8 mm.
Sono dei tipi previsti dalle Norme tecniche emanate in forza della Legge 1086/1971 [DM 9 gennaio 1996]. La presenza della soletta superiore facilita la realizzazione dell’incatenamento delle murature fra loro, comunque siano disposte rispetto alla tessitura dei solai. Essa permette di disporre armature trasversali all’orditura che possono essere adeguatamente ancorate ai cordoli delle murature disposte parallelamente alla direzione di orditura dei solai. Sono permesse coperture a volta con semplice o doppia curvatura purché siano rispettate precise disposizioni (punto 1-3 del DM).
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
•
STRUTTURE MURATURA
D.5. 15. A.ZIONI
CORDOLI PERIMETRALI
FIG. D.5.15./3
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.5.15./4
Negli incroci a L (in pianta) le barre debbono ancorarsi nel
H≥h
H≥
ti 2
t
Per le armature valgono le stesse prescrizioni dei cordoli interni.
cordolo ortogonale per almeno 40 diametri e lo squadro
b ≥ 2 ti 3
B ≥ ts
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
b ≥ 12 cm (Fig. D.5.15./3)
della barra dovrà abbracciare l’intero spessore del cordolo. Il collegamento fra murature e fondazione di regola viene realizzato con un cordolo.
B.STAZIONI DILEGIZLII
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
ti
H ≥ ts (Fig. D.5.15./4) 2
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
CONSOLIDAMENTO DEGLI EDIFICI IN MURATURA Al titolo II del DM 20 novembre 1987 sono definite le Norme tecniche per il consolidamento degli edifici in muratura. È opportuno premettere che nell’ambito di tali norme non rientrano gli interventi che riguardano il “restauro” di opere. Le prescrizioni sono specifiche per gli edifici che nella loro totalità debbano essere modificati per varie ragioni. La normativa definisce i casi in cui è obbligatorio procedere al consolidamento. L’obbligo sussiste se si intende: a) ampliare oppure sopraelevare;
F. TERIALI, Nella quasi totalità dei casi gli interventi strutturali da prevedere possono essere ricondotti ai seguenti tipi: a) inserimento di nuovi organismi (scale di sicurezza, gabbie per ascensori e montacarichi, locali da eseguire per le centrali tecnologiche, rampe di accesso a eventuali garage ecc.) In linea generale si adottano soluzioni che contemplano l’uso di tecniche relative al c.a. al c.a.p. all’acciaio. In tale caso per questi interventi, per l’aspetto statico, valgono le prescrizioni sancite dalla legge 1086/1971e relativi DM di attuazione;
b) apportare variazioni di destinazione d’uso con aumento dei carichi superiore al 20%; c) effettuare interventi strutturali di trasformazione, dell’edificio; d) effettuare interventi strutturali per rinnovare o sostituire parti strutturali esistenti che comportino sostanziali modifiche del comportamento di insieme; e) reintegrare l’organismo esistente nella sua funzionalità statica mediante un’insieme sistematico di opere. L’obiettivo che si propone è pertanto completamente diverso da quello di un intervento di “restauro”. Parlando di “restauro” è implicita l’ulteriore puntualizzazione “conservativo” oppure “reintegrativo”. Quindi nel caso di restauro gli interventi sulle strutture esistenti sono finalizzati a un aumento della resistenza (qualora necessario) degli elementi strutturali esistenti, senza modifiche sostanziali. Volendo utilizzare un edificio esistente per una qualsiasi destinazione d’uso, nella quasi totalità dei casi è necessario effettuare lavori che necessariamente implicano modifiche nell’assetto strutturale esistente. Le “esigenze” del vivere sono attualmente molto diverse dalle “esigenze” ottemperate al momento dell’edificazione. Basta pensare alle richieste attuali per quanto concerne gli impianti tecnici; servizi igienici; impianti di riscaldamento, ascensori ecc. Oltre a ciò nella redazione di un progetto architettonico per la utilizzazione di un edificio esistente occorre rispettare esigenze primarie per la sicurezza rispetto ai rischi di incendio, rispetto alla esistenza di percorsi preferenziali e di uscite di sicurezza; occorre inoltre prevedere tutti i provvedimenti necessari per l’abbattimento delle barriere architettoniche. Tutti questi aspetti debbono essere effettuati sulla base di quanto previsto in Norme Tecniche specifiche il cui rispetto è tassativo affinché il progetto di utilizzazione possa essere approvato.
b) sostituzione di elementi esistenti (solai, travi, volte ecc. Anche in tale caso le Norme da rispettare sono quelle relative alle tecniche adattate; c) interventi di rinforzo delle murature esistenti, tenendo conto della presenza di eventuali aperture da realizzare e di quanto provocato dagli interventi prima citati. In tali interventi valgono le prescrizioni del DM 20 novembre 1987 relative al consolidamento degli edifici in muratura; d) eventuali interventi in fondazione da realizzare tenendo conto anche di quanto previsto nel DM 11 marzo 1988. Per quanto riguarda gli interventi di cui ai punti “a” e “b” non esistono particolari difficoltà per la stesura di un progetto esecutivo. Si tratta di elementi strutturali nuovi per i quali vengono utilizzati materiali di caratteristiche note e tecniche usuali. L’unico aspetto specifico, del quale occorre tenere conto, è costituito dal fatto che il dovere eseguire lavori all’interno di un edificio esistente pone sempre problemi per il trasporto dei materiali qualora i pesi superino certi valori e che in molti casi la situazione dei luoghi è tale da rendere difficoltose operazioni che, in altre situazioni, risultano del tutto comuni. Occorre tenere presente che, oggettivamente sussistono situazioni di rischio, per le persone che dovranno eseguire le opere, molto più gravose di quelle usuali. Difficoltà nettamente maggiori si incontrano per la previsione progettuale degli interventi di cui ai punti “c” e “d”. In merito alla stesura del relativo progetto esecutivo le Norme si limitano a dare indicazioni generiche apparentemente ovvie, che nella realtà risultano, di difficile applicazione nella maggioranza dei casi.
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
PRESCRIZIONI DELLE NORME TECNICHE La premessa di quanto viene esposto nel capitolo I del titolo secondo è la seguente: “Valgono, in quanto applicabili ai fini del collaudo statico, le disposizioni di carattere generale indicate nel Titolo I della presente normativa”. Si noti bene: non si dice “se applicabili....” “qualora applicabili...” “nei limiti di una loro applicabilità...”. Si dice: “Valgono, in quanto applicabili, ...”. Quindi esse debbono essere rispettate. Il Titolo I è quello relativo alle nuove costruzioni e le disposizioni di carattere generale riguardano, tra l’atro, i seguenti aspetti: • i tipi di malta; • le tipologie murarie; • le tipologie dei solai; • l’obbligatorietà della presenza dei cordoli in corrispondenza dei solai. A proposito delle malte, si è visto che per le nuove costruzioni è esclusa quella costi-
tuita da “calce aerea e sabbia”. Questo però è il tipo di malta che quasi sempre si trova in murature esistenti. Analogamente, per quanto riguarda le tipologie murarie, in fabbricati esistenti si trovano murature di pietra non squadrata non listata e che hanno spessori inferiori ai valori indicati come minimi dalla Normativa. Per quanto riguarda i “cordoli” essi non esistono nella stragrande maggioranza dei fabbricati esistenti. Cosa si deve fare? Le Norme Tecniche non dicono nulla in merito e non potrebbero dirlo. Murature esistenti apparentemente simili, possono nella realtà avere caratteristiche assolutamente non confrontabili e pertanto le modalità di intervento per renderle idonee entro i limiti della sicurezza richiesta, possono essere prese volta per volta e caso per caso dopo avere accertato le condizioni generali su cui si interviene e lo stato di fatto presente realmente in ogni murario su cui si interviene.
15. D.5. TURA MURA
D 207
D.5. 15.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE MURATURA
•
STRUTTURE
➦ CONSOLIDAMENTO DEGLI EDIFICI IN MURATURA OPERAZIONI RELATIVE ALLA PROGETTAZIONE INDAGINI PRELIMINARI In una prima fase debbono essere acquisite tutte le “informazioni” necessarie per inquadrare l’edificio esistente nel contesto temporale, dalla sua prima edificazione al momento attuale. Tale acquisizione è conseguibile mediante due tipi di indagine: • la prima può definirsi di tipo storico-evolutivo. Si cerca di ricostruire la “storia” dell’edificio ponendo in modo particolare l’attenzione su eventuali modifiche, ampliamenti, variazioni di destinazione d’uso, individuandone (se possibile) la successione temporale e le relative entità. • la seconda può definirsi di primo approccio tecnico. Se nell’edificio sono presenti dissesti è opportuno accertare (se possibile) quando essi si sono manifestati e effettuare una analisi del comportamento globale strutturale per individuarne le cause e i meccanismi. Tale indagine dovrebbe essere particolarmente approfondita per quanto concerne le caratteristiche del sottosuolo interessato. Ambedue le indagini sono (nella totalità dei casi) di difficile espletamento. Per quanto riguarda gli aspetti “storici” è molto difficile reperire dati certi. Per quanto riguarda la seconda mancano sempre elementi certi di giudizio. Tale indagine viene effettuata quando ancora non è stata richiesta una concessione edilizia e pertanto non possono essere effettuati controlli specifici sulle caratteristiche delle murature e del sottostante terreno. Se è possibile è bene far chiedere dalla proprietà una “concessione” finalizzata al solo espletamento delle indagini conoscitive. Se la proprietà è una Amministrazione Pubblica si possono trovare notevoli difficoltà (a volte insormontabili) per l’espletamento della gara di appalto relativa ai lavori inerenti alle indagini.
RILIEVO STATICO E ANALISI DELLE STRUTTURE MURARIE Per rilievo statico si intende tutta una serie di elementi grafici e descrittivi che integrano il rilievo architettonico. Con il rilievo statico si debbono individuare: • Gli stati fessurativi in essere sia sulle strutture verticali che orizzontali (volte archi, solai). • Le caratteristiche tipologiche dei diversi elementi murari con definizione dei materiali lapidei, delle malte e del livello di eventuale degrado. Conseguentemente si potranno valutare le resistenze dei singoli elementi murari. • La presenza (e la localizzazione) di eventuali canne fumarie e comunque di vuoti (statici) nelle murature per chiusura di vani (porte o finestre) precedentemente esistenti. • La tipologia delle fondazioni. • Le caratteristiche geotecniche del suolo. Per l’esecuzione di tali indagini si può incontrare una resistenza dati gli oneri economici che esse comportano. Occorre tenere presente però che un’accurata campagna di indagini permette certamente una più corretta individuazione degli interventi da eseguire con conseguente risparmio in lavori di consolidamento. Le indagini debbono essere eseguite da Ditte specializzate di totale affidabilità.
INDAGINI SULLE MURATURE Possono essere di due tipi: • distruttive; • non distruttive. Le prime hanno scarsa importanza. Tramite esse si prelevano elementi significativi di muratura da sottoporre a prova di resistenza meccanica. Salvo casi eccezionali è molto difficile (in molti casi impossibile) prelevare campioni significativi (cubi o carote cilindriche) a causa dello sgretolamento della muratura durante le operazioni di prelevamento. In ogni caso il campione prelevato è fortemente “disturbato” e le prove meccaniche su di esso difficilmente forniscono risultati attendibili. Maggiore importanza hanno le indagini non distruttive. Tra queste le più importanti sono: Misure soniche Sono analoghe a quelle utilizzate per i conglomerati. La differenza sta nel fatto che invece di un impulso ultrasonico viene generato un impulso sonico mediante una percussione. Ciò è dovuto alla disomogeneità della muratura e pertanto per essa si utilizza tale tecnica di produzione dell’impulso. Tale tecnica ha il vantaggio che può essere ripetuta la prova nella stessa zona dopo che sia stato effettuato l’intervento di consolidamento (ad esempio tramite iniezioni). In relazione alla tipologia muraria l’aumento della velocità riscontrata permette di valutare l’entità del miglioramento conseguito. Indagini endoscopiche Tramite un carotaggio di piccolo diametro (2-4 cm) si realizza un foro che da un parametro esterno penetra all’interno della muratura per una profondità fino a circa 80-100 cm. Pulito il foro (tramite aria compressa) si introduce all’interno di esso una sonda televisiva a colori che permette di esaminare la consistenza della muratura per tutta la profondità mettendo in evidenza variazioni nella tipologia, l’eventuale presenza di lesioni interne e come esse si propagano. Si può altresì realizzare una documentazione fotografica relativa ai punti di maggiore interesse. Il materiale estratto a seguito del carotaggio può essere analizzato ricavando utili informazioni in merito alle caratteristiche dei materiali lapidei e delle malte presenti all’interno della muratura. Anche in tale caso si può valutare l’esito positivo di eventuali iniezioni. Dopo aver realizzato il foro e averlo esaminato lo si può riempire con elementi cilindrici in polistirolo pesante. Effettuate le operazioni di iniezione si distrugge il polistirolo e si prende visione del foro confrontando con quanto rilevato precedentemente. Indagini con martinetto piatto Vengono utilizzate per valutare lo stato di tensione presente nella muratura in corrispondenza di una determinata posizione. Si pongono nella zona da esaminare delle coppie di punti di riferimento che vengono fissate alla muratura. Per ogni coppia si misura la distanza fra i punti. Successivamente con una fresa si effettua un taglio orizzontale nella muratura per una larghezza di 35-45 cm, una profondità di 15-20 cm e uno spessore di circa 1 cm all’interno dello spazio delimitato dalle coppie di punti di riferimento.
D 208
A seguito del taglio la muratura si rilassa e le coppie si avvicinano. Si introduce all’interno del taglio un martinetto e si mette in contrasto con la muratura sottostante e soprastante, con olio in pressione. Con l’aumentare della pressione le coppie di punti tendono ad allontanarsi. Si definisce “pressione di ripristino” la pressione per la quale le coppie di riferimento ritornano nelle posizioni che avevano prima del taglio. È evidente che la pressione di ripristino risulti correlata alla tensione che la muratura aveva prima del taglio. Con l’uso temporaneo di due martinetti piatti si possono dedurre informazioni utili per valutare la resistenza a rottura delle murature, e i valori del modulo elastico e del coefficiente di Poisson. Indagini per l’individuazione delle eventuali differenze nelle tipologie murarie Presenti su un pannello murario e della presenza in esso di eventuali vuoti statici. Il problema si pone principalmente per pannelli intonacati sulla due facce. Se gli intonaci sono privi di valore e possono quindi essere rimossi l’indagine è quanto mai semplice. Si asporta l’intonaco per due fasce in diagonale sulle due pareti. È sconsigliabile l’asportazione totale degli intonaci in tale fase. In molti casi essi possono svolgere una funzione portante. È opportuno che le due fasce abbiano un’altezza di 20-30 cm e che vengano effettuate su una faccia secondo una diagonale del pannello e sull’altra faccia secondo l’altra diagonale. In tale modo si ha la possibilità di esaminare le murature costituenti il pannello per tutta l’altezza e tutta la larghezza e individuare: le eventuali differenze tipologiche; la eventuale presenza di lesioni interne alla muratura che siano state ricoperte con intonaco; la eventuale presenza di passaggi (porte o finestre) preesistenti; l’eventuale presenza di canne fumarie. A proposito di queste ultime è bene tenere presente che le più pericolose sono quelle che hanno un andamento sub-orizzontale in quanto tagliano tutto il pannello. In molti casi non è però possibile procedere alla rimozione, neppure parziale. Il caso si presenta se esistono affreschi o decorazioni che debbono essere mantenute. Si possono allora utilizzare le indagini termografiche. Indagini termografiche Tramite esse si procede a un riscaldamento della superficie da esaminare e a un rilevamento del susseguente raffreddamento. Quest’ultimo avviene in maniera differenziata nel tempo a seconda delle caratteristiche della muratura sottostante all’intonaco. Si possono così ottenere delle vere e proprie “radiografie” che evidenziano tutte le differenze tipologiche, la presenza di eventuali lesioni (risarcite o non risarcite) la presenza di tracce di canne fumarie, di vuoti preesistenti e successivamente riempiti. L’aumento di temperatura a cui sottoporre la parete è di modesta entità tale da non produrre effetti negativi nei confronti della conservazione degli elementi che si vogliono salvaguardare. È evidente che tale tecnica risulti notevolmente più onerosa di quella costituita dalla asportazione delle fasce di intonaco e dal susseguente esame a vista. Essa pertanto deve essere limitata a quelle parti per le quali risulti necessario indagare senza alcuna manomissione dell’esistente.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
•
STRUTTURE MURATURA
D.5. 15. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
INDAGINI SUL SUOLO E SULLE FONDAZIONI Per quanto riguarda le indagini necessarie per determinare le caratteristiche del suolo esse sono in tutto simili a quelle usate per edifici di nuova edificazione. Tali indagini debbono essere eseguite in ogni caso. Al punto 2-3-1 del Titolo II il DM 20 novembre 1987 contempla la possibilità di non eseguire interventi di fondazione. Condizione essenziale è che si sia a conoscenza delle caratteristiche dei terreni. Una volta note tali caratteristiche si possono evitare interventi se: a) non risultano dissesti attribuibili a cedimenti delle fondazioni; b) gli interventi previsti non determinano sostanziali modifiche nel modo in cui le sollecitazioni vengono trasmesse al terreno;
c) gli interventi non modificano sostanzialmente i pesi permanenti e i sovraccarichi; d) non sono in atto modificazioni sensibili dell’assetto idrogeologico. È necessario tenere presente che gli interventi in fondazione comportano in genere problemi di natura tecnico-esecutiva di particolare impegno. Nella quasi totalità dei casi occorre lavorare nei seminterrati dell’edificio dove l’uso di macchinari e attrezzature (anche le più semplici) può risultare estremamente difficoltoso. Le maestranze lavorano in situazioni ambientali molto disagevoli: ciò aumenta il livello di rischio di incidenti.
Occorre pertanto prevedere operazioni di estrema semplicità e le maestranze addette debbono essere veramente esperte per il tipo di lavoro che si vuole realizzare. Per tutti questi motivi gli interventi in fondazione (se necessari) costituiscono una voce sensibilmente impegnativa in merito ai costi finali strutturali e ai tempi di esecuzione. In merito ai tempi di esecuzione occorre tenere presente che mentre nelle nuove edificazioni essi possono essere diminuiti (entro certi limiti) aumentando personale e attrezzature, una analoga riduzione non è quasi mai possibile nei lavori di consolidamento in genere e negli interventi in fondazione in particolare.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
PROGETTO STRUTTURALE Sulla base delle indagini fatte e delle richieste proposte nel progetto architettonico si deve redigere il progetto strutturale. Logicamente tale progetto deve essere esauriente per piante, sezioni, particolari esecutivi, relazioni di calcolo ecc., come richiesto anche per un progetto di nuova edificazione. La normativa però, in tale caso, richiede (giustamente) un maggiore impegno e una maggiore responsabilizzazione al progettista. All’ultimo comma del punto 1-3 (DM 2011-88 titolo II) si richiede: “In ogni caso i disegni di progetto devono contenere le necessarie informazioni atte a definire le modalità di realizzazione degli interventi nonché, ogni qualvolta occorra, la descrizione e la rappresentazione grafica delle fasi di esecuzione con le relative prescrizioni specifiche”. Con tale precisazione si richiede al progettista un impegno non usuale per nuove edificazioni. Ad esempio se si deve realizzare un pilastro in c.a. il Progettista deve definire in termini grafici le dimensioni, le armature, la qualità del conglomerato (tramite il valore di Rck), la qualità dell’acciaio. Non deve certo entrare in merito alle modalità costruttive (salvo casi eccezionali). Per lavori di consolidamento, nel caso abbia previsto in una parete delle “cuciture” armate non è sufficiente che graficamente esponga gli interassi, verticale e orizzontale, il diametro delle armature e le caratteristiche della malta di sigillatura. Egli deve specificare anche: • la demolizione dell’intonaco è prevista o no? • se è prevista, quando si deve eseguire? Prima o dopo le cuciture? Con quale successione temporale e quali fasi successive (sbruffatura e rinzaffo)? Le pareti debbono essere preventivamente bagnate oppure no?
• che tipo di attrezzo occorre usare per realizzare i fori? A rotazione, a rotopercussione oppure a percussione? • è prevista la pulizia del foro una volta realizzato? È prevista la successiva bagnatura? Se è prevista quali debbono essere le modalità? Acqua normale o nebulizzata? • la malta di sigillatura deve essere iniettata nel foro prima o dopo aver introdotto le armature? • A quale pressione deve essere iniettata? Questo significa definire le modalità esecutive. E di queste, se occorre si deve fornire anche la rappresentazione grafica. Nella maggior parte dei casi si ottempera a tale giusta prescrizione con la redazione di opportune “schede di lavorazione”. Nelle piante e nelle sezioni vengono riportate le indicazioni che permettono di individuare a quali schede si debba far riferimento per tutte le relative descrizioni e specifiche. In un lavoro, anche modesto, si arriva facilmente a decine di schede di lavorazione. Difficilmente queste possono essere in tutto ripetibili in lavori diversi. È pressoché impossibile che per due edifici esistenti si ripetano le stesse situazioni di tipologie strutturali iniziali; che per ambedue si abbiano “storie” simili; che per ambedue il degrado (inevitabile) dei materiali sia avvenuto per le stesse cause e sia della stessa entità.
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
VALUTAZIONE DEI COSTI AFFIDAMENTO DEI LAVORI Al progettista dell’intervento nel suo complesso (quasi sempre un architetto) spetta la redazione dei computi metrici-estimativi e le relative analisi dei prezzi. Occorre ricordare che per quanto riguarda i lavori di consolidamento l’analisi dei prezzi unitari presenta notevoli difficoltà; queste difficoltà derivano principalmente dalle incertezze che si hanno nella valutazione della incidenza del personale addetto all’esecuzione. La realizzazione di un foro in una muratura a parità di dimensioni (diametro e lunghezza) può richiedere tem-
pi macroscopicamente diversi a seconda del tipo di muratura. E ciò si ripete per la quasi totalità delle lavorazioni previste. Esistono prezziari specifici ai quali si può fare riferimento. Occorre però tenere presente che nel caso di consolidamento strutturale ogni edificio rappresenta un caso pressoché unico. La realtà vera sotto ogni suo aspetto si manifesterà solo con il progredire dei lavori. Molte volte, a distanza di poche decine di centimetri da punti nei quali sono state fatte indagini anche accurate,
si può trovare qualcosa imprevista in quanto imprevedibile. È pertanto consigliabile che nel caso di tali valori venga valutata una percentuale di “imprevisti” superiore a quella (di prassi) che si considera per lavori di nuova edificazione. Una analoga prudenza dovrebbe usarsi nell’affidamento dei lavori. I lavori di consolidamento, proprio per la impossibilità di una puntuale previsione, si prestano a facili contestazioni da parte dell’esecutore qualora l’acquisizione dei medesimi sia avvenuta sulla base della minima offerta.
la base delle indagini, sono solo il Direttore dei Lavori e l’esecutore che possono (e debbono) rendersene conto. Essi hanno l’obbligo di essere (per lo meno nelle principali fasi) presenti in cantiere. Se non se ne rendono conto (imperizia) oppure se, rendendosene conto, non richiamano il progettista a prendere visione di quanto da lui non previsto in quanto imprevedibile sono potenzialmente responsabili (negligenza). Un altro aspetto particolarmente rischioso in lavori di consolidamento è quello connesso alla demolizione di parti dell’esistente. Può sembrare assurdo ma in moltissimi casi si sono avuti inconvenienti (anche con gravi o gravissime conseguenze) nella demolizione di elementi “apparentemente” ininfluenti sulla stabilità di quanto esistente: le tra-
mezzature. Per definizione a un tramezzo (quando viene realizzato) non viene attribuita alcuna funzione portante, con il passare degli anni, a causa di un degrado di elementi strutturali orizzontali, oppure a causa di variazioni nei carichi, oppure a causa di modifiche interne può verificarsi che il tramezzo abbia assunto una funzione portante. La sua eliminazione può avere gravi conseguenze, anche drammatiche. Si sono verificati casi nei quali il semplice distacco di elementi di finitura (rivestimenti in materiali ceramici o similari, oppure di semplici intonaci) ha innescato dissesti di notevole entità e in casi estremi il crollo di elementi. È pertanto indispensabile che il Direttore dei Lavori dia appropriate direttive nel merito e che l’esecutore a esse si attenga.
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
ESECUZIONE DI LAVORI Anche per quanto riguarda le mansioni di specifica competenza del Direttore dei Lavori e del costruttore le responsabilità e l’impegno conseguente sono molto maggiori nei lavori di consolidamento di quanto sono nei lavori di nuova edificazione. Occorre sempre ricordare che l’imperizia oppure la negligenza oppure l’imprudenza oppure il mancato rispetto di norme, leggi, ordinamenti può costituire l’elemento che innesca il presupposto di “reato per colpa”. Abbiamo visto che nei confronti del progettista la normativa pone richieste non usuali. Queste però sono un “campanello di allarme” nei confronti dell’esecutore e della persona preposta al controllo della corretta esecuzione. Se la realtà sulla quale si opera è diversa da quella prevista dal progettista sul-
15. D.5. TURA MURA
D 209
D.5. 16.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CONSOLIDAMENTO EDIFICI IN MURATURA – PRESCRIZIONI TECNICHE
1 – RIPARAZIONE DI LESIONE A “CUCI E SCUCI” 1) Rimuovere il vecchio intonaco mettendo a vivo la muratura; A
2) asportare gli elementi di muratura interessati dalla lesione e alcuni adiacenti fino a formare un vano di dimensioni atte a ricevere nuovi elementi murari, ponendo cura nel formare un andamento perimetrale del vano con buoni ammorsamenti fra nuova e vecchia muratura;
A
A
3) inserire i nuovi elementi (laterizio, pietrame), previa pulizia e lavaggio del vano ponendo particolare cura nella realizzazione dei detti ammorsamenti, usando malte a ritiro nullo o meglio leggermente espansive, confezionate comunque con inerti simili a quelli che costituiscono la malta esistente.
A
SEZ. A-A
SEZ. A-A
2 – RIPARAZIONE DI LESIONE CON INIEZIONI DI MALTA
3 – RIPARAZIONE DI LESIONE ISOLATA MEDIANTE INIEZIONI ARMATE
1) Rimuovere l’intonaco per una ampiezza di circa 40 cm a cavallo della lesione;
1) Rimuovere l’intonaco esistente mettendo a vivo la muratura su entrambe le facce per una striscia della larghezza di circa 80 cm a cavallo della lesione;
2) pulire i lembi della lesione asportando le parti di muratura degradate e lavare con getto di acqua a pressione; 3) scegliere accuratamente i punti in cui praticare i fori in funzione dell’andamento della lesione e delle porosità del muro; in genere sono sufficienti 3/4 fori a ml di fessura; 4) eseguire fori di 30 mm di diametro e di profondità uguale a quella della lesione; 5) disporre i boccagli di iniezione e stuccare la lesione con malta cementizia; 6) eseguire l’iniezione di malta idonea cementizia con l’ausilio di un tubicino secondario per lo spurgo dell’aria esistente nella lesione, procedendo dal basso verso l’alto; 7) a iniezione avvenuta, chiudere il tubicino di sfiato e tenere per qualche minuto la lesione sotto leggera pressione.
2) asportare le parti di muratura deteriorate, lavare con getto di acqua a pressione la zona di intervento e la lesione, eventualmente ripristinare la muratura, sigillare la lesione; 3) sbruffare la muratura con malta cementizia e applicare rete esl diametro 5/10x10; 4) eseguire con perforatrice a rotazione fori di diametro 36 mm (non passanti) disposti su ogni faccia della muratura a coppia, inclinati verso il basso di circa 15° e incrociati in modo tale da cucire la lesione con passo dei fori su ogni faccia pari a 80 cm; sfalsamento, rispetto ai fori dell’altra faccia, pari a 40 cm; 5) lavare accuratamente i fori; 6) iniettare idonea malta cementizia a ritiro compensato nei perfori con leggera pressione, procedendo dal basso verso l’alto; 7) inserire nei perfori le barre di armature sagomate come da disegno; 8) applicare intonaco di malta cementizia.
A
A
A
30-40
40 40
A
PERFORI φ 36 E BARRE φ 10 40cm.
S
RETE ELS. φ 5/10x10
TUBICINO PER INIEZIONI
0
D 210
FORO φ 30 SIGILLATURA
PERFORI φ 36 E BARRE φ 10
RETE ELS. L=80
SEZIONE A-A
SEZIONE A-A
SCALA DI RAPP. 1:50
SCALA DI RAPP. 1:50
50
150 cm
0
50
150 cm
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CONSOLIDAMENTO EDIFICI IN MURATURA – PRESCRIZIONI TECNICHE
D.5. 16. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
4 – PLACCATURA ARMATA 1) Rimuovere l’intonaco esistente riportando a vivo la muratura, pulire la superficie della stessa con getto di acqua e sbruffare con malta di cemento e sabbia; tale operazione va eseguita con le dovute cautele ed eventualmente a strisce alternate;
3) procedere alla realizzazione di perfori con attrezzo a rotazione (preferibilmente mediante carotatrice), come indicato nel grafico allegato;
2) applicare sulla parete una rete els diametro 6/10x10 cm, fissandola provvisoriamente con chiodi e tenendola convenientemente staccata dalla muratura;
5) iniettare nei perfori malta preconfezionata sino a completo assorbimento della malta da parte della muratura; la malta va iniettata a bassa pressione;
6) inserire nei perfori barre di acciaio, precedentemente tagliate e sagomate come indicato sul disegno, fissando opportunamente le estremità di queste alla rete elettrosaldata;
4) lavare i perfori; 7) applicare idonea malta cementizia preconfezionata, mediante apposita macchina miscelatrice e spruzzatrice, a passate successive, sino a realizzare lo spessore necessario (circa 4 cm).
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
2/3 S 06
CHIODATURE O 12 IN FORI O 36
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
CHIODATURE φ 12 IN FORI φ 36
F. TERIALI,
06
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
RETE ELS. φ 6 /10x10 cm.
G.ANISTICA URB
06
A
4
A
S SEZIONE B-B
60
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
60 B
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
4
B
S
S 3/2
CHIODATURE φ 12 IN FORI φ 36
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
SEZIONE A-A
RETE ELS. φ 6 /10x10 cm.
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
5 – PLACCATURA ARMATA TRA MURI ORTOGONALI
D.5. TURE T STRU
L’intervento va realizzato al fine di collegare validamente muri portanti tra di loro ortogonali. S
I perfori vanno realizzati come indicato nel grafico allegato e le modalità di intervento e le avvertenze sono come quelle riportate nella Scheda n.4 relativa alle Placcature.
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
1) asportazione dell’intonaco; 2) pulizia e lavaggio di eventuali lesioni;
RETE ELS φ 5/10x10 100
3) sigillatura delle lesioni (previa allargatura) con malta cementizia e sbruffatura dei muri; 4) fissaggio preventivo delle reti; 5) realizzazione dei perfori, come indicato nel grafico allegato, con il verso dell’inclinazione alternato;
PERFORI φ 36 ARMATI CON BARRE φ 12
6) iniezione di idonea malta cementizia e inserimento di barre diametro 12 ad aderenza migliorata e ancoraggio di queste alla rete; 7) esecuzione di malta cementizia fibrorinforzata nello spessore prescritto (4 cm).
100
S
100
TO 16. D.5. OLIDAMENTURA – CONS I IN MURA CNICHE E EDIFICRIZIONI T PRESC
D 211
D.5. 16.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CONSOLIDAMENTO EDIFICI IN MURATURA – PRESCRIZIONI TECNICHE
6 – PLACCATURA ARMATA DOPPIA
7 – CONSOLIDAMENTO DEI CORNICIONI
Le modalità esecutive sono in tutto identiche a quelle indicate sulla Scheda n.4 (Placcatura armata semplice) tranne che per i perfori, che vanno realizzati “passanti”.
Il presente intervento deve essere realizzato avendo cura di non danneggiare il materiale costituente i cornicioni e prendendo tutte le precauzioni al fine di garantire la sicurezza delle maestranze e di terzi.
I perfori passanti vanno riempiti di malta chiudendo provvisoriamente una delle due aperture; avvenuta una leggera “presa” da parte della malta, si infila la barra sino a farla fuoriuscire, facendo saltare il tappo provvisorio.
1) Realizzare i perfori con carotatrice, alternati a quelli realizzati dall’interno con la placcatura generale; 2) lavare accuratamente i perfori;
PROSPETTO 3) iniettare idonea malta preconfezionata sino a rifiuto; 30
60
4) inserire le barre di ancoraggio presagomate avendo cura di realizzare un ammorsamento “a scomparsa” nella muratura.
60
60
30
60
N.B. La D. L. disporrà se realizzare prima i perfori esterni oppure quelli interni che sono da realizzare contestualmente alla placcatura generale interna.
MALTA DI RIPRISTINO DEL CORNICIONE
RETE ELS. φ 5/10x10
A
A
60
PERFORI φ 36 E BARRE φ 12 / 60 cm. m.
0c
1φ
20 cm.
6 0/
1
PERFORI φ 36 E BARRE φ 10 PLACCATURA INTERNA
60
PERFORI φ 30 E BARRE φ 10 /60 cm.
60
20
PERFORI φ 36 E BARRE φ 12 / 60 cm.
RETE ELS. φ 5/10x10
SEZIONE A-A
8 – PLACCATURA ARMATA AGLI ANGOLI INTERNI DELLE MURATURE PERFORI φ 36 ARMATI CON BARRE φ 12
1) Asportazione dell’intonaco;
PERFORI φ 36 ARMATI CON BARRE φ 12
2) pulizia e lavaggio di eventuali lesioni;
50
4) fissaggio preventivo delle reti;
A
7) esecuzione di malta cementizia fibrorinforzata nello spessore prescritto (4 cm).
50
50
RETE ELS. φ 5/10x10
RETE ELS. φ 5/10x10 100
D 212
A
50
RETE ELS. φ 5/10x10
100
5) realizzazione dei perfori, come indicato nel grafico allegato, con il verso dell’inclinazione alternato; 6) iniezione di malta idonea aggrappante e inserimento di barre del diametro 12 ad aderenza migliorata e ancoraggio di queste alla rete;
PERFORI φ 36 CON BARRE φ 12
S
3) sigillatura delle lesioni (previa allargatura) con idonea malta cementizia e sbruffatura dei muri;
2/3 S S VISTA A-A
S
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CONSOLIDAMENTO EDIFICI IN MURATURA – PRESCRIZIONI TECNICHE
D.5. 16. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
9 – RINFORZO IN CORRISPONDENZA DELLE FINESTRE A. Le zone di muratura interessate dal presente intervento debbono essere attentamente regolarizzate, vanno asportati i materiali pulvurulenti, sigillati i giunti tra gli elementi lapidei e, eventualmente esistenti, sigillate le lesioni.
A
B.STAZIONI DILEGIZLII
50
I ED PRE NISM ORGA BARRE φ 10 PERFORI φ 30
1) Rimuovere in corrispondenza dell’intradosso della piattabanda, due strisce di muratura profonde 3 cm per una altezza di circa 10-12 cm; tale operazione deve essere eseguita con appositi attrezzi e con la massima attenzione;
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
25
3 φ 12
D.GETTAZIONE
CHIODATURE LEGGERE
2) eseguire una leggera sbruffatura di malta cementizia;
PRO TTURALE STRU
RETE ELS. φ 5/10x10
3) applicare la rete els, facendola passare accuratamente sotto l’intradosso dell’architrave;
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
4) realizzare i perfori come indicato nel grafico allegato; 5) lavare accuratamente i fori, asportando i materiali residui e facendo bagnare bene la muratura interessata;
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
6) iniettare idonea malta premiscelata modulando opportunamente la percentuale di acqua di impasto; l’immissione della malta va eseguita con attenzione, facendo fuoriuscire eventuali bolle di aria e saturando le eventuali cavità esistenti nei pressi del perforo;
G.ANISTICA URB
7) inserire le barre (piegate precedentemente) prima che la malta inizi a tirare; posizionare il gancio in modo da bloccare la rete els; 8) previa bagnatura delle superfici murarie, placcare la zona interessata dall’intervento.
A SEZIONE A-A
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
10 – RINFORZO IN CORRISPONDENZA DELLE FINESTRE 50
A
RETE ELS. φ 5/10x10
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
BARRE φ 10 PERFORI φ 30
A. Le zone di muratura interessate dal presente intervento debbono essere attentamente regolarizzate, vanno asportati i materiali pulvurulenti, sigillati i giunti tra gli elementi lapidei e, eventualmente esistenti, sigillate le lesioni.
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
3 φ 12 25
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
1) Asportare, in corrispondenza dell’intradosso della piattabanda, due strisce di muratura profonde circa 3 cm. per una altezza di circa 10-12 cm; tale operazione deve essere eseguita con appositi attrezzi e con la massima attenzione;
D.5. TURE T STRU
2) regolarizzare il vano porta, posizionare i ferri di rinforzo e la rete els ripiegandola opportunamente; procedere, quindi, per le successive fasi, come indicato nella Scheda n.9;
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
4) in corrispondenza del parapetto realizzare una placcatura leggera, ancorando la rete els con ganci di piccola dimensione.
BARRE φ 10 PERFORI φ 30
SEZIONE A-A S
2/3 S
A
RETE ELS. φ 5/10x10
TO 16. D.5. OLIDAMENTURA – CONS I IN MURA CNICHE E EDIFICRIZIONI T PRESC
D 213
D.5. 16.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CONSOLIDAMENTO EDIFICI IN MURATURA – PRESCRIZIONI TECNICHE
11 – RINFORZO PIATTABANDA TIPO – 1 A. Le zone di muratura interessate dal presente intervento debbono essere attentamente regolarizzate, vanno asportati i materiali pulvurulenti, sigillati i giunti tra gli elementi lapidei e, eventualmente esistenti, sigillate le lesioni.
A 50
50
S
50
2/3 S
1) Eseguire una leggera sbruffatura di malta cementizia;
50
2) applicare la rete els, facendola passare accuratamente sotto l’intradosso dell’architrave; 3) realizzare i perfori come indicato nel grafico allegato; 50
4) lavare accuratamente i fori, asportando i materiali residui e facendo bagnare bene la muratura interessata; 5) iniettare idonea malta cementizia, modulando opportunamente la percentuale di acqua di impasto; l’immissione della malta va eseguita con attenzione, facendo fuoriuscire eventuali bolle di aria e saturando le eventuali cavità esistenti nei pressi del perforo;
PERFORI φ 30 BARRE φ 10
6) inserire le barre (piegate precedentemente) prima che la malta inizi a tirare; posizionare il gancio in modo da bloccare la rete els;
RETE ELS. φ 5/10x10
7) previa bagnatura delle superfici murarie, placcare la zona interessata dall’intervento.
SEZIONE A-A
A
12 – RINFORZO PIATTABANDA TIPO – 2
S
A. Le zone di muratura interessate dal presente intervento debbono essere attentamente regolarizzate, vanno asportati i materiali pulvurulenti, sigillati i giunti tra gli elementi lapidei e, eventualmente esistenti, sigillate le lesioni.
25 25
A 50
2/ 3 S
50
05
1) Asportare, in corrispondenza dell’intradosso della piattabanda, due strisce di muratura profonde circa 3 cm per una altezza di circa 10-12 cm; tale operazione deve essere eseguita con appositi attrezzi e con la massima attenzione; procedere, quindi come indicato nella Scheda n.11.
05 3 φ16 50
PERFORI φ 30 BARRE φ 10
3+3 BARRE φ16 ZONA DA SCARIFICARE
RETE ELS. 0 5/10x10
A
D 214
3cm
50
SEZIONE A-A
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CONSOLIDAMENTO EDIFICI IN MURATURA – PRESCRIZIONI TECNICHE
D.5. 16. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
13 – ARMATURA DI RINFORZO IN CORRISPONDENZA DI APERTURE ESISTENTI 1) Si procede in maniera analoga per le Placcature avendo l’accortezza di predisporre l’armatura indicata nel grafico allegato prima di applicare la rete els e dopo aver sbruffato la muratura;
B.STAZIONI DILEGIZLII
ST. φ 8 /15 cm.
I ED PRE NISM ORGA
2x3 φ12
2) ripiegare la rete in corrispondenza degli spigoli e agganciarla ai ferri inseriti nelle iniezioni armate;
3 φ 12
ST. φ 8/15 cm.
3) procedere all’applicazione della malta cementizia, previa bagnatura del tutto.
2x1 φ16
2 φ 16
2x1 φ 14
B
2x1 φ 14
RETE ELS. φ 5/10x10
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
CO NTALE AMBIE
RETE ELS. φ 5/10X10
A
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
SEZIONE A-A
2 φ14
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
SEZIONE B-B
14 – RINFORZO PIATTABANDE CON PROFILATI IN ACCIAIO14 – RINFORZO PIATTABANDE CON PROFILATI IN ACCIAIO A
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
1) Puntellamento al centro del vano della muratura incombente sullo stesso; 2) esecuzione di uno scasso da un lato del muro e dei fori del diametro 30 in corrispondenza dei tiranti (minimo 3);
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
3) messa in opera di un profilato su letto di malta cementizia, forzatura dello stesso nello scasso dall’altro lato del muro; TRAVI IPE 5) messa in opera del secondo profilato con le stesse modalità del primo; 6) a maturazione avvenuta della malta del secondo profilato, procedere alla calzatura con zeppe e malta cementizia della muratura sovrastante;
E ESE ESSIONAL PROF
E.NTROLLO
B
RETE ELS. φ 5/10x10
C.RCIZIO
BULLONI M18 A
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
RETE ELS. φ 4/10x10
7) rimozione della puntellatura ed esecuzione delle opere di finitura.
SIGILLATURE CON MALTA CEMENTIZIA RETE ELS. φ 4/10x10
SEZIONE A-A
TO 16. D.5. OLIDAMENTURA – CONS I IN MURA CNICHE E EDIFICRIZIONI T PRESC
D 215
D.5. 16.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CONSOLIDAMENTO EDIFICI IN MURATURA – PRESCRIZIONI TECNICHE
15 – REALIZZAZIONE DI VANI PORTA 1) Tracciare sulla muratura la sagoma dell’apertura, che si va a realizzare, e la posizione dei fori; 2) realizzare dei fori del diametro di 30 cm con attrezzo a rotazione, inclinati di circa 10/15° e nella posizione indicata; 3) asportare l’intonaco esistente, su entrambe le facce della parete, per una ampiezza di circa 1.00 ml, come indicato nel grafico allegato;
RETE ELS. φ 5/10x10
3 φ10
2 φ10 DA DISPORRE DOPO LA DEMOLIZIONE
4) previa bagnatura della muratura messa a nudo, applicare su entrambe le facce un rinzaffo di malta di cemento di circa 0,5 cm di spessore; 5) applicare le barre di armatura, la rete di diametro 5/10x10 e i ferri di ripresa fissandoli con chiodi;
ST. φ 10 (RIPIEGARE I LEMBI DEMOLIZIONE ) DOPO LA DEMOLIZIONE)
6) asportare la polvere dai fori, lavarli e bagnarli accuratamente, quindi iniettare idonea malta cementizia e inserire le barre del diametro 10 di ancoraggio, presagomate agganciando la rete da un lato, formare il gancio dal lato opposto agganciando la rete dell’altra faccia della parete; 7) eseguire la placcatura su entrambe le facce della muratura, previa bagnatura eseguendo l’applicazione della malta “a forza”; 8) a indurimento avvenuto della placcatura, tagliare e asportare la muratura che costituisce il vano;
SEZIONE B-B
9) aggiungere i ferri indicati, ripiegare i ferri di ripresa, quindi, previa abbondante bagnatura, completare la placcatura lungo il bordo del vano realizzato.
B ST. φ 10 (RIPIEGARE I LEMBI DOPO LA DEMOLIZIONE)
1.00 ml.
RETE ELS. φ 5/10x10
3 φ10 FORI φ 30 INCLINATI DI 10-15 ARMATI CON BARRE φ10
2 φ 10 DA DISPORRE DOPO LA DEMOLIZIONE
2.00 ml.
LIMITE PLACCATURA
A
4 φ10
MURATURA DA DEMOLIRE RETE ELS. φ 5/10x10 DA RIPIEGARE DOPO LA DEMOLIZIONE
A
B
FORI φ 30 INCLINATI DI 10-15 ARMATI CON BARRE 0 10
RETE ELS. φ 5/10x10 DA RIPIEGARE DOPO LA DEMOLIZIONE
D 216
MURATURA DA DEMOLIRE
2 φ 10 DA DISPORRE DOPO LA DEMOLIZIONE
4 φ 10
4 φ 10
SEZIONE A-A
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CONSOLIDAMENTO EDIFICI IN MURATURA – PRESCRIZIONI TECNICHE
D.5. 16. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
16 – INTERVENTO SULLE CANNE FUMARIE MURATURA ESISTENTE
1) L’intervento, se localizzato alle canne fumarie, va predisposto asportando 2/3 cm di muratura per un tratto come indicato nel grafico allegato;
NUOVA CANNA FUMARIA
2) regolarizzare l’interno dei vani sistemando le canne;
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
3) applicare la rete els ancorata con perfori, come indicato nella Scheda n.4 per le Placcature, tenendo la massima cura nell’agganciare gli attacchi della muratura alla rete;
E ESE ESSIONAL PROF
4) applicare idonea malta cementizia per uno spessore di circa 4 cm.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
RETE ELS. φ 4/10x10 PERFORI φ 32 E BARRE φ 12 (OGNI 50 cm.)
17 – RINFORZO DI SOLAI ESISTENTI IN C.A. 1) Pulizia dell’estradosso del solaio e martellinatura della superficie;
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
2) esecuzione dei fori sui muri d’ambito, come indicato nel grafico allegato;
18 – RINFORZO DI SOLAI IN ACCIAIO CON VOLTINE O TAVELLONI
F. TERIALI,
3) applicazione di rete els del diametro di 8/15x15 cm, collegandola al solaio con ferri diametro 8 in numero di almeno 4 per ogni mq, (armatura da predisporre in fori non passanti praticati nel solaio);
1) Rimozione del pavimento e del massetto esistenti. Qualora lo spessore di massetto residuo sulla chiave della volta o sui tavelloni sia minimo o inesistente, è opportuno disporre dei congrui mezzi d’opera per consentire il transito delle persone. Eseguire ai due lati della trave gli incassi come da grafico allegato;
G.ANISTICA
4) predisposizione delle armature di collegamento ai campi di solaio contigui, (armatura minima 2 diametro 14/100 cm);
2) predisporre la rete elettrosaldata e le staffe di collegamento alle travi;
5) bagnatura del solaio esistente;
3) getto della soletta e delle nervature con calcestruzzo di cemento Rck: 250 kg/cm2;
6) getto della soletta e sigillatura delle armature poste nei fori sui muri d’ambito, usando cls avente CK 250 kg/cm2, additivato con opportuni prodotti per la ripresa di getto.
4) la soletta sarà collegata ai muri d’ambito da barre di acciaio nervate del diametro di 16/50 cm cementate in fori del diametro di 30 mm, con idonea malta cementizia. RETE ELS. φ 5 /15x15cm.
C
A
B
B
URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
RETE φ 8 /15x15cm. A
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
A
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
A
D.5. TURE T STRU
C RETE ELS φ5 /15x15 cm.
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
SEZIONE A-A
2 φ 14/100cm
X
10 10
RETE ELS φ5 /15x15 cm.
5
2 0 14/100cm
L 75
75
75
75
*
SEZIONE A-A
VARIAB. 100 SEZIONE B-B 5 5 COLLEG.TO DELLA SOLETTA AI MURI DI AMBITO STAFFA φ 6 /20cm. RETE φ 5 15x15cm.
75 75 2 φ 14 / 100cm IN FORI φ 80. 5
*
4 φ 8/mq
SEZIONE C-C 1 φ 16 /50cm IN FORO φ 30mm.
30
30
COLLEGAMENTO
TO 16. D.5. OLIDAMENTURA – CONS I IN MURA CNICHE E EDIFICRIZIONI T PRESC
D 217
D.5. 16.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CONSOLIDAMENTO EDIFICI IN MURATURA – PRESCRIZIONI TECNICHE
19 – RIPRISTINO DEI SOLAI IN C.A. GETTATO IN OPERA (con aumento di armatura) 1) Provvedere a disporre opere di presidio temporaneo;
5) bagnare il solaio sino a rifiuto;
2) asportare il calcestruzzo ammalorato costituente la caldana sino a scoprire i ferri dell’armatura superiore estendendo le operazioni alle zone di solaio adiacente;
6) disporre spondine per contenere il getto della nuova caldana; 7) colare malta superfluida autolivellante nello spessore convenuto;
3) asportare eventuali ossidi dalle armature mediante spazzola metallica e le parti pulvurulenti del cls;
8) ripetere le stesse operazioni per l’armatura inferiore; si completa con rinzaffi di malta antiritiro;
4) disporre le nuove barre di armatura e la rete elettrosaldata, legandola adeguatamente alle barre stesse;
9) proteggere tutta la zona di intervento con teli umidi per 24 ore.
MALTA AUTOLIVELLANTE MALTA AUTOLIVELLANTE
ARMATURA AGGIUNTA A
RETE ELETTROSALDATA
ARMATURA ESISTENTE
ARMATURA ESISTENTE + ARMATURA AGGIUNTA
SEZ. A-A
ARMATURA AGGIUNTA ARMATURA ESISTENTE + ARMATURA AGGIUNTA
MALTA ANTIRITIRO
RETE ELETTROSALDATA
ARMATURA ESISTENTE
MALTA ANTIRITIRO
A
20 – CONSOLIDAMENTO SOLAI IN LEGNO CON SOLETTA IN CEMENTO ARMATO 1) Puntellare adeguatamente il solaio esistente; 2) eliminare pavimento e riempimento;
VITI DI COLLEGAMENTO
SOLETTA IN CLS S=14CM.
3) dare, per quanto possibile, una leggera “monta” alla carpenteria esistente;
4 GANCI φ 6
1φ8/20 cm.
4) predisporre attacchi nella muratura come indicato nel grafico allegato; TRAVETTO ESISTENTE
5) disporre l’armatura principale poggiandola sul tavolato mediante distanziatori cementizi;
1φ8/20 cm.
TAVOLATO ESISTENTE
6) disporre i ripartitori e l’armatura superiore; 1φ12/50 cm. 50
1φ8/20 cm.
11
11
1φ8/20 cm.
11
1φ12/50 cm. 50 11
7) collegare mediante adeguati attacchi, tavolato e travetti esistenti, facendoli sporgere superiormente, affinché rimangano annegati nel getto; 8) procedere al getto della soletta.
N.B. Al fine di evitare di danneggiare gli ambienti sottostanti ai solai, sigillare adeguatamente tutte le connessure mediante silicone
21 – CONSOLIDAMENTO DI SOLAI IN LEGNO CON PROFILI IN ACCIAIO 1) Rimuovere pavimento e sottofondo esistenti fino a mettere in luce il tavolato; 2) disporre un foglio impermeabile, tipo polietilene, al fine di evitare caduta d’acqua dal getto al piano sottostante;
SOLETTA IN CLS
ARMATURA
1φ6/25 cm.
BARRE φ10/20 cm.
st. φ10/40 cm.
3) disporre su tutto il solaio un folfio di polistirolo e, quindi, posizionare i profilati metallici indicati in carpenteria e le staffe indicate in figura; 4) posizionare i blocchi di polistirolo di alleggerimento e sopra di essi l’armatura prevista; FOGLIO DI POLISTIROLO 5) eseguire quindi il getto di calcestruzzo con Rck: 250 kg/cm2.
D 218
FOGLIO IMPERMEABILE
POLISTIROLO
TAVOLATO ESISTENTE
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CONSOLIDAMENTO EDIFICI IN MURATURA – PRESCRIZIONI TECNICHE
D.5. 16. A.ZIONI
22 – PARTICOLARE APPOGGIO TRAVI NELLE MURATURE 1) Battere il piano esatto di intradosso delle nuove travi;
23 – COLLEGAMENTO DEI SOLAI AI MURI PERIMETRALI s = VAR. TRAVI PRINCIPALI (CON LE ALI SUPERIORI SCARTATE)
2) creare una nicchia di adeguate dimensioni e alla quota di imposta delle nuove travi;
2) inserire barre del diametro 12 presagomate, posizionate come nel grafico allegato;
B
3) preparare l’appoggio delle travi “ammarando” le piastre di appoggio in un getto di malta preconfezionata antiritiro;
1) Realizzare perfori diametro 30 ogni 60 cm, inclinati di circa 30°, lavarli e iniettare malta preconfezionata a bassa pressione, sino a riempire il foro;
3) collocare in opera i ferri di armatura della soletta, collegandoli adeguatamente ai ferri di armatura dei perfori;
2 φ 10
4) solo dopo che il getto di allettamento ha fatto presa, si può procedere al posizionamento in opera delle travi rendendole solidali alle piastre mediante saldatura a cordone;
ALLETTAMENTO CON MALTA PRECONFEZIONATA ANTIRITIRO FILO MURO ESISTENTE
5) inserire due molle del diametro 16 disposte come nel grafico allegato, saldandole alle ali della trave;
4) gettare il cls costituente la nuova soletta, con Rck: 250 kg/cm2;
PIANTA PERFORI φ 30 E BARRE φ 12
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
2/3 S
6) riempire, quindi, la cavità rimasta con idonea malta cementizia.
RIEMPIMENTO CON MALTA CEMENTIZIA
DIMENSIONE DELLE PIASTRE D’APPOGGIO a a1 b s per profilati mm mm mm mm IPE 160 150 80 250 10 IPE 180 CNP 180 IPE 200 200 100 250 12 IPE 220 IPE 240 IPE 270 220 100 300 12 IPE 300
SOLETTA IN CLS
TRAVI PRINCIPALI
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
2 0 16
URB
2 0 10 SALDATI ALLA PIASTRA NUOVE TRAVI PRINCIPALI TRAVETTO ESISTENTE
A
70
2/3 s
FILO MURO ESISTENTE
s SEZIONE
24 – CONSOLIDAMENTO DI UNA SCALA IN VOLTINE DI MATTONI PIENI 1) Puntellare adeguatamente le rampe e i pianerottoli in modo uniforme, evitando di forzare le voltine di mattoni;
7) realizzare perfori a rotazione nella muratura del diametro di 36 (1 perforo per gradino) nella posizione e con l’inclinazione di circa 30° come indicato nel grafico allegato;
2) rimuovere il rivestimento e il riempimento asportando il materiale con la massima attenzione, onde evitare danni alle voltine;
8) i fori realizzati vanno puliti asportando la polvere, quindi bagnati sino a rifiuto si passerà a sigillare le barre di acciaio precedentemente piegate e tagliate a misura, con idonea malta cementizia;
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
3) ricostruire il profilo del rustico della scala lungo la parete; 9) predisporre casseforme per la parte di gradino che va realizzata con cls; 4) asportare dall’estradosso delle voltine tutti i residui di polvere; 5) posizionare la rete metallica unendola alle voltine mediante resina epossidica;
10) gettare gli elementi di cui sopra e uno strato di circa 2 cm, a protezione della rete metallica;
6) predisporre i ferri indicati con la posizione 2 e 3, sigillandoli con resina epossidica a due componenti, alla voltina;
11) il riempimento delle zone vuote va quindi eseguito con materiale leggero, ad esempio argilla espansa stabilizzata.
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
B POS. 2 3 POS. 1 POS. 2 POS. 3
POS. 1
SIGILLATURA CON MALTA ANTIRITIRO
PARTE DI GRADINO IN C.A. PARTE DI GRADINO RIPORTATO VOLTINA IN MATTONI STRATO s = 2 MALTA CEMENTIZIA
POS.4
FORI φ 36 ESEGUITI A ROTAZIONE VOLTINA IN MATTONI STRATO DI RESINA EPOSSIDICA BICOMPONENTE
STRATO DI RESINA EPOSSIDICA BICOMPONENTE RETE ELS. φ 5/15x15
SEZIONE B-B
SEZIONE A-A
B
POS. 1
1φ16/GRADINO ADINO
φ10/GR OS. 4 1
P
POS.2 1φ14/GRADINO POS.3 1φ14/GRADINO
TO 16. D.5. OLIDAMENTURA – CONS I IN MURA CNICHE E EDIFICRIZIONI T PRESC
D 219
D.5. 16.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CONSOLIDAMENTO EDIFICI IN MURATURA – PRESCRIZIONI TECNICHE
25 – CONSOLIDAMENTO DI VOLTE CON DOPPIA SOLETTA IN C.A. 1) Pulire l’estradosso della volta asportando (con aria compressa) la polvere; 2) pulire le lesioni presenti. Bagnarle abbondantemente (anche con acqua nebulizzata). Sigillarle con malta fluida additivata con resine;
5) disporre un reticolo d’armatura diametro 10/20 cm e ripiegare i ferri diametro 8 predisposti nei fori. Gettare una crosta di malta di cemento (additivata con antiritiro) di circa 5/6 cm; 6) ripetere le operazioni suddette anche per l’intradosso della volta;
3) bagnare l’estradosso della volta e dare una sbruffata con malta di cemento e sabbia grossa di spessore 1 cm circa; 4) eseguire fori da circa 2 cm (con attrezzo a rotazione) passanti attraverso la volta. Pulire i fori con aria compressa. Bagnarli con acqua nebulizzata. Introdurre due ferri del diametro 8 (acciaio dolce) nei fori e sigillarli con malta fluida additivata con antiritiro. I fori debbono essere eseguiti con maglia 25 x 25 (circa);
7) eseguire il getto del rinfianco in cls alleggerito; 8) formazione della soletta superiore (h = 10 cm).
SOLETTA H=10cm. ARMATA CON RETE φ 8 /20x20cm.
SOLETTA DI MALTA DI CEMENTO S= 5-6cm.
1 φ 12 /50 cm IN FORO φ 30 mm.
MAGLIA φ 10 /20cm. 1 φ 12 /50cm. IN FORI φ 30 mm. FORI φ 20 /25cm. ARMATI CON 2 φ 8 1 φ 12 /50cm. IN FORI φ 30 mm.
1 φ 12 /50 cm IN FORO φ 30 mm.
A
MAGLIA φ 10 /20cm.
MAGLIA φ 10 /20cm.
FORI φ 20 /25cm. SOLETTA DI MALTA DI CEMENTO S= 5-6cm.
SEZIONE A-A A
26 – CONSOLIDAMENTO DI VOLTE CON LAVORAZIONI DALL’ESTRADOSSO 1) Predisporre puntelli al piano inferiore;
4) predisporre la rete elettrosaldata sull’estradosso della volta e gettare la soletta in cls Rck = 250 kg/cm2, h = 6 cm;
2) smantellare pavimento e rinfianco; 3) predisporre fori del diametro 30 mm nel corpo della volta, spolverare gli stessi e cementare le barre nei fori con idonea malta cementizia;
5) getto del rinfianco con cls confezionato con inerte espanso e avente peso specifico di 700 kg/m3; 6) formare i cordoli perimetrali e gettare la soletta h = 10 cm superiore.
1 φ 12 /50 cm IN FORO φ 30 mm. CORDOLO 30x20 ARM. 4 φ16 st φ 8/25cm. SOLETTA H=10cm ARM. RETE φ 8 /20x20cm. 1 φ 12 /50cm IN FORI φ 30mm. φ 12 /80x80 IN FORI φ 30mm. FERRI DI ANCORAGGIO.
1 φ 12 /50 cm IN FORO φ 30 mm.
A RETE φ 6 /20x20cm.
SOLETTA H=6cm ARM. RETE φ 6 /20x20cm.
A
D 220
1 φ 12 /50cm IN FORI φ 30mm.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CONSOLIDAMENTO EDIFICI IN MURATURA – PRESCRIZIONI TECNICHE
D.5. 16. A.ZIONI
1) Riparare le lesioni leggere mediante stuccature o iniezioni, secondo quanto indicato in precedenza; 2) rimuovere il pavimento esistente e uno strato di rinfianco dello spessore di 10 cm; eseguire uno scasso continuo sul perimetro del muro superiore; 3) eseguire delle perforazioni del diametro 30 come indicato nel grafico allegato e cementare con idonea malta preconfezionata delle barre di acciaio nervato. Se la muratura della volta risulta degradata, la cementazione delle barre va effettuata mediante iniezioni a pressione. Mettere in opera l’armatura dei cordoli e della rete els; 4) gettare i cordoli e la soletta con calcestruzzo di cemento avente resistenza caratteristica Rck: 250 kg/cm2. CORDOLI 25x25 ARMATI 4 φ12 ST. φ 6/20 cm.
CORDOLI 25x25 ARMATI 4 φ 12 ST. φ 6/20 cm.
28 – CONSOLIDAMENTO DI VOLTINE DI CONTROSOFFITTO (non portanti DALL’INTRADOSSO 1) Pulire e bagnare l’intradosso della voltina con spicconatura molto sommaria dell’intonaco; 2) applicare sulla superficie di intradosso della volta, pannelli tipo Pernervo-Metal, curando particolarmente il fissaggio lungo il muro perimetrale con chiodi a espansione; fissare alla voltina mediante barre di acciaio diametro 8 lavorate come nel grafico allegato; 3) applicare strato di malta cementizia dello spessore di 3 cm circa, a spruzzo o con altro idoneo mezzo meccanico.
1φ12 DI AGGANCIO ALLA STRUTTURA DEL TETTO Rc.25mm 15
1 φ16 /50cm. DISPOSTI A QUINCONCE
1 φ 16 /50cm. DISPOSTI A QUINCONCE
15 15
GANCI DI ANCORAGGIO 1φ8/m 2 IN ACCIAIO DOLCE
ZONA INIETTATA CON MALTA A PRESSIONE
CO NTALE AMBIE
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
29 – CONSOLIDAMENTO DI VOLTINE DI CONTROSOFFITTO (non portanti) DALL’ESTRADOSSO 5) posa in opera di rete els diametro 6/15x15 e delle zanche di ferro piatto 4x40, fissare le stesse alla struttura del tetto con chiodi zincati; 6) getto di soletta di calcestruzzo alleggerito con inerte di argilla espansa avente un peso specifico di 1440 kg/m3;
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
7) rimuovere il puntellamento e chiudere le lesioni con malta cementizia. 3) a consolidamento avvenuto delle barre, posa in opera degli elementi di cornice prefabbricati su allettamento di malta cementizia, previa abbondante bagnatura della muratura; 4) puntellare la volta con mezzi idonei e pulire l’estradosso con rimozione della polvere ed eventuale lavaggio;
E.NTROLLO
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
CHIODATURA CON STOP METALLICI OGNI cm 50
2) posa in opera, quindi, di barre di acciaio nervato di diametro 14 e sigillatura delle stesse con malta antiritiro;
D.GETTAZIONE
URB
20
50
1) Eseguire uno scasso nel punto di attacco della volta al muro portante; detti scassi vanno eseguiti a tratti alternati di 1,00 m; praticare dei fori di diametro 30 mm a interasse di 50 cm;
E ESE ESSIONAL PROF
G.ANISTICA
PANNELLI PERNERVO-METAL NERVATURE SPORGENTI DAL LATO DELLA VOLTA
1 φ 16 /50cm. 90
C.RCIZIO
ICHE TECN MA ONENTI, P COM STRATO DI MALTA CEMENTIZIA APPLICATO A SPRUZZO O CON ALTRO MEZZO MECCANICO IDONEO
ZONA INIETTATA CON MALTA A PRESSIONE
I ED PRE NISM ORGA
F. TERIALI,
RETE EL.SALD. φ 8/15x15
RETE EL.SALD. φ 8/15x15
B.STAZIONI DILEGIZLII
PRO TTURALE STRU
15
27 – RINFORZO DELLE VOLTE IN MURATURA
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
E ZION D.6. DI FONDA E OPER
1φ12/m 2
DI COLLEGAMENTO ALLA STRUTTURA DEL TETTO
A SOLETTA H=4:6cm IN C.L.S. ALLEGGERITO
VOLTINA LEGGERA IN MATTONI DI PIATTO
25
1φ14/50cm FORI φ30
RETE ELETTROSALDATA φ6/15x15cm
25
ELEMENTO PREFABBRICATO IN C.L.S. ARMATURA 4 φ8 E ST. φ6/15cm
A
5 SEZIONE A-A
➥
TO 16. D.5. OLIDAMENTURA – CONS I IN MURA CNICHE E EDIFICRIZIONI T PRESC
D 221
D.5. 16.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CONSOLIDAMENTO EDIFICI IN MURATURA – PRESCRIZIONI TECNICHE
30 – RINFORZO ARCO LESIONATO 1) Puntellare adeguatamente gli archi calzando bene i puntelli; B LESIONE
2) realizzare fori del diametro 30 a rotazione e con inclinazione di 15/20° su spalle, piedritti e zona sovrastante l’arco; 3) previa soffiatura e bagnatura dei fori, iniettare idonea malta premiscelata antiritiro a bassa pressione (sino a saturazione) e inserire barre di acciaio del diametro 10.
3φ10 2φ10 2φ10
RETE ELETTROSALDATA B PLACCATURA CON MALTA EXOCEM 22
PERFORI φ 30 BARRE φ 10 A
A
4φ12 SEZIONE B-B 40 PERFORI φ30 E BARRE φ10 RETE ELETTROSALDATA 3 φ 10
4φ12 3φ10
SEZIONE A-A
6) passare, quindi, a completare l’intonaco cementizio. N.B. L’intervento, quando possibile, deve essere effettuato da ambo i lati.
31 – IMPERMEABILIZZAZIONE DI MURATURE CON BENTONITE SOLIDA 1) Scavare lungo il muro attuando tutte le precauzioni del caso; 2) pulire la muratura messa in luce, regolarizzare la superficie con malta bastarda e applicare mediante chiodatura, pannelli di cartone biodegradabile, contenenti bentonite di sodio naturale; 3) rinterrare lungo il muro, avendo cura di non strappare i pannelli posti in opera. N.B. I pannelli vanno adeguatamente sovrapposti lungo il perimetro.
SCAVO PANNELLI DI BENTONITE SODICA
D 222
PERFORI φ30BARRE φ10
7φ10
N.B. La scarnificatura dell’intonaco esistente va eseguita con molta attenzione, controllando il comportamento della muratura. 5) spostando opportunamente le puntellature si passa a eseguire perfori e a inserire barre (come punti 2 e 3) sull’intradosso dell’arco e sulle due facce dello stesso, collegando le armature con quelle dell’intervento precedente ancora scoperte;
RETE ELETTROSALDATA
50
4) scarnificare l’intonaco di spalle, piedritti e zone sovrastanti gli archi, di cui al punto 2; inserire le armature di rinforzo, inserire rete els diametro 5/15x15 (o del diametro 4/10x10), legare opportunamente il tutto, bagnare a rifiuto la muratura, quindi passare a realizzare intonaco con betoncino cementizio dello spessore di 3/4 cm a passate successive, lasciando una zona di armatura non completata per realizzare la sovrapposizione delle armature con quelle della fase successiva.
3 φ 10
FILO MASSETTO
PROGETTAZIONE STRUTTURALE • STRUTTURE CONSOLIDAMENTO EDIFICI IN MURATURA – PRESCRIZIONI TECNICHE
D.5. 16. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
32 – COLLEGAMENTO DELLE MURATURE A LIVELLO FONDAZIONE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA 1 φ 12/50 cm.
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
2 RETI ELS. φ6/10x10 cm.
40
1015
PERFORI φ 36 E BARRE φ 12/50 cm.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
(ATTACCHI PLACCATURA)
MASSETTO MAGRONE
E.NTROLLO
30
40
A
50
50
CO NTALE AMBIE
FERRO ZINCATO
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
min. 2/3 S
MURATURA ESISTENTE
30
50
G.ANISTICA URB SCALA DI RAPP. 1:30
PERFORI φ 36 E BARRE φ 12
0
30
90 cm
A
33 – ATTACCHI DELLA PLACCATURA IN FONDAZIONE Le placcature armate delle murature vanno realizzate sempre partendo dalla fondazione di queste, secondo le seguenti modalità:
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
MIN. POSSIBILE
A
MURATURA ESISTENTE
2) realizzare perfori diametro 40/50 per una profondità di circa 20 cm con trapano a rotazione (o con carotatrice); 3) lavare i perfori e iniettare idonea malta per inghisaggi, quindi inserire una barra del diametro 16 (lunghezza totale circa 50 cm); i tratti di barre fuoriuscenti vanno successivamente collegati con la rete costituente l’armatura delle placcature e con l’eventuale rete di armatura del massetto da realizzare sui vespai (vedi sezione A-A Bis).
10-15
1) asportare pavimento, allettamento e tavelle sino a scoprire la risega delle fondazioni lungo i muri che vanno consolidati mediante placcatura armata;
50
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
50
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
50 PERFORI φ 40 E BARRE φ 16
D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E OPER
A
SCALA DI RAPP. 1:30 0
CALPESTIO PIANO TERRA
PERFORI φ 40 ARMATI CON BARRE φ 16
FONDAZIONE ESISTENTE
CALPESTIO PIANO TERRA
30
90 cm
RETE ELS φ 5/10x10
FONDAZIONE ESISTENTE
TO 16. D.5. OLIDAMENTURA – CONS I IN MURA CNICHE E EDIFICRIZIONI T PRESC
D 223
D.6. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE INDAGINI GEOTECNICHE
•
OPERE DI FONDAZIONE
NORME TECNICHE Criteri da seguire per il progetto e per l’esecuzione di indagini sui terreni intesi quali terre o rocce nella loro sede, volti a garantire la sicurezza e la funzionalità del complesso opera-terreno e la stabilità del territorio di intervento. Si applicano a tutte le opere pubbliche e private (legge n.64 del 2 febbraio1974) ivi comprese le zone dichiarate sismiche. Le scelte di progetto sono basate sempre sulla caratterizzazione geotecnica del sottosuolo ottenuta per mezzo di rilievi, indagini e prove. Il progetto comprende: verifiche di stabilità, valutazione dei coefficienti di sicurezza agli stati ultimi in fase di costruzione e in fase di esercizio, valutazione e ammissibilità dei prevedibili spostamenti dell’insieme opera-terreno. Dovrà essere esaminata in corso di opera la corrispondenza tra le caratteristiche geotecniche assunte in progetto e la situazione effettiva. In zone sismiche le prescrizioni si riferiranno alle norme tecniche per costruzioni in zone sismiche (DM 16 gennaio1996).
ELABORATI I dati ottenuti, seguendo le prescrizioni, saranno esposti in una relazione geotecnica che costituisce parte integrante dei documenti progettuali. Casi particolari richiedono obbligatoriamente uno studio geologico e quindi una relazione geologica.
COLLAUDO Accerterà la corrispondenza tra progetto ed esecuzione e la normativa vigente.
INDAGINI GEOTECNICHE Servono a raccogliere tutti i dati sul terreno utili alla redazione del progetto e alle verifiche di compatibilità opera-terreno. FASE PRELIMINARE: raccolta dei dati noti (indagini eseguite precedentemente sulla stessa zona); PROGETTO DI MASSIMA: indagini geotecniche (ed eventualmente geologiche) di massima; PROGETTO ESECUTIVO: approfondimento della indagine geotecnica per conoscere le caratteristiche fisiche e meccaniche del sottosuolo e quindi la scelta progettuale coi relativi calcoli e verifiche. Gli studi geotecnici devono essere estesi a tutto il volume del terreno influenzato dal manufatto. In relazione alla prevedibile costituzione del terreno, verrà formulato un programma delle indagini (perforazioni, prelievo campioni indisturbati, rilievo delle falde acquifere, prove in sito, prove di laboratorio, prospezioni geofisiche, ecc.); relazioni sulle indagini: la relazione geotecnica, oltre i calcoli, comprenderà l’illustrazione della situazione litostratigrafiche locale e sarà corredata da elaborati grafici e della documentazione delle indagini in sito e in laboratorio.
RELAZIONE GEOLOGICA E RELAZIONE GEOTECNICA La relazione geologica mette in evidenza le caratteristiche essenziali della situazione geologica del territorio. In essa, ad esempio, esaminato l’equilibrio idrogeologico del settore di territorio, o oggetto di indagine. Se su una porzione di area possono sussistere rischi di frana o se, nell’eventualità di azione sismica possono sussistere rischi di liquefazione. In essa viene esaminata l’interazione tra quello che si vuole realizzare e la preesistenza al fine di escludere l’eventuale rompersi di un equilibrio. La relazione geotecnica studia le caratteristiche della
zona ristretta di terreno dove dovrà sorgere in particolare, l’edificio definendo in maniera puntuale sia la sua tipologia, sia le sue caratteristiche meccaniche. Mentre la relazione geotecnica è sempre richiesta (eccetto art.2 DM LLPP 11 marzo 1988), quella geologica può non esserlo. Esiste una relazione biunivoca tra la relazione geologica e quella geotecnica specie quando si operi in situazioni tali da poter alterare un equilibrio preesistente. Nella prassi usuale a una preliminare relazione geologica, seguiranno i sondaggi geotecnici. I geologi ese-
INDAGINI IN SITU Il progetto di una fondazione di qualsivoglia opera non può essere elaborato in modo approssimato senza una conoscenza abbastanza precisa delle caratteristiche fisiche dei terreni interessati e cioè dei loro parametri di resistenza e deformabilità. L’insieme delle prove di cantiere e di laboratorio necessarie per acquisire tale conoscenza costituisce appunto l’indagine geognostica.
guiranno pertanto in via preliminare l’indagine geologica; a essa seguirà la relazione geotecnica che sulla base di adeguate indagini del terreno individuerà le caratteristiche del suo comportamento meccanico e la conseguente parametrizzazione. Sulla base dei dati forniti nella relazione geotecnica, il progettista della struttura sceglierà il tipo di fondazione eseguendo i relativi calcoli. Qualora vi sia la possibilità di cedimenti differenziali tali da influire sull’assetto statico essi dovranno essere tenuti presenti nella verifica d’insieme di quanto previsto.
FIG. D.6.1./1 PLATEE
TRAVI E PLINTI
B
B
D= (1 2)B
D =(1 2)B
PALIFICATE B
D=(1 2)B
FINALITÀ DELL’INDAGINE GEOGNOSTICA L=
1
Finalità dello studio geognostico è di quella caratterizzare il sottosuolo per: a) accertare la fattibilità dell’opera in progetto; b) preparare un progetto dell’opera valido dal punto di vista tecnico economico; c) individuare i procedimenti costruttivi più idonei; d) prevedere le eventuali modifiche che l’inserimento dell’opera in progetto può arrecare nella zona circostante; e) valutare il grado di sicurezza di opere esistenti o di situazioni naturali, per quanto attiene gli aspetti geotecnici, e, in entrambi i casi, progettarne gli eventuali interventi.
AMPIEZZA DELL’INDAGINE Lo studio geotecnico va condotto su quella parte del sottosuolo che verrà influenzata dalla costruzione del manufatto o che influenzerà il comportamento del manufatto stesso. Tale parte del sottosuolo definita come “volume significativo dell’indagine” deve essere individuata con riferimento al problema in esame: nel caso delle fondazioni l’indagine verrà estesa fin dove si verificheranno variazioni significative dello stato tensionale; per le opere di ritenuta (dighe e argini) e per scavi sotto il livello della falda si dovrà tenere conto anche delle modifiche apportate al regime idrogeologico. A titolo indicativo in figura sono rappresentati i volumi significativi per alcuni casi semplici e con riferimento a situazioni normali. La presenza nel sottosuolo di terreni particolarmente scadenti o di terreni molto resistenti può modificare, aumentandolo o diminuendolo, il volume significativo.
D 224
MURI DI SOSTEGNO
2H
TRINCEE B
H
H
D=(0.73
D=(0.73. 1.3)H
RILEVATI 2L
D=(0.5
1)L
1.3 )H
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
OPERE DI FONDAZIONE INDAGINI GEOTECNICHE •
D.6. 1. A.ZIONI
TECNOLOGIE DI ESECUZIONE DEI SONDAGGI PRELIEVO DI CAMPIONI DA SCAVI E PERFORAZIONI
I tipi di perforazione usati sono: • perforazione a percussione: l’utensile di perforazione viene infisso nel terreno per caduta dello strumento o per mezzo di una massa battente. L’uso del secondo metodo è limitato alle perforazioni nei terreni a grana grossa, in quanto esso disturba i terreni per una discreta profondità oltre il fondo del foro e impedisce quindi la possibilità, oltre il fondo del foro, di prelevare campioni indisturbati;
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. D.6.1./2
B.STAZIONI DILEGIZLII
Per la determinazione delle proprietà fisico meccaniche dei terreni devono essere prelevati campioni che ne mantengano la struttura, il contenuto in acqua e l’eventuale consistenza propria del terreno nella sua sede (campioni indisturbati). Il prelievo dei campioni deve essere eseguito con tecniche e strumenti adatti alle caratteristiche del terreno; non è di regola possibile prelevare campioni indisturbati di terre incoerenti.
• perforazione con trivelle: l’utensile consiste in una vite senza fine che avanza per rotazione asportando con il taglio continuo in terreno sull’intera sezione del foro; i campioni prelevati sono fortemente disturbati e la delimitazione degli strati è imprecisa;
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
PRELIEVO DI CAMPIONI DA SCAVO
• perforazione a rotazione: è il metodo più comunemente usato. La perforazione è eseguita mediante un utensile che ruota sul fondo del foro staccandone frammenti di materiale: si può attraversare qualsiasi tipo di materiale e ne permette il prelievo continuo del materiale con utensili speciali.
PRO TTURALE STRU
CAMPIONI DISTURBATI: devono essere raccolti in contenitori di buona tenuta (sacchetti di plastica, barattoli, ecc.). CAMPIONI INDISTURBATI: il prelievo va eseguito, su taglio fresco, con cilindri campionatori a tenuta stagna.
Gli utensili speciali possono essere: a) campionatori a pareti sottili previsto generalmente per terreni coerenti a grana fine poco o moderatamente consistenti;
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
PRELIEVO DI CAMPIONI DA FORI DI SONDAGGI pistone fisso
CAMPIONI RIMANEGGIATI: sono le campionature del carotaggio conservati in sacchetti o barattoli a tenuta d’aria. CAMPIONI INDISTURBATI: sono i campioni ottenuti con utensili appropriati, scelti in relazione alle caratteristiche del terreno. I tipi di utensili di campionamento più frequentemente usati sono quelli riportati in Fig. D.6.1./2.
b) campionatori a rotazione a doppia parete con scarpa tagliente avanzata si impiegano in terreni coesivi di elevata consistenza nei quali non sia possibile l’infissione del campionatore a pressione; c) campionatori pesanti a percussione generalmente predisposti con astuccio interno di contenimento, talvolta con dispositivo di ritenuta alla base.
campione di terreno scarpa tagliente
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
MEZZI E PROGRAMMAZIONE DELL’INDAGINE Nella tabella A sono indicati i mezzi di indagini di uso corrente i quali verranno esaminati singolarmente nei successivi paragrafi. Il programma delle indagini viene stabilito in base a: • finalità dello studio; • dati e conoscenza già a disposizione sulla natura dei terreni interessati; • costo dell’indagine e tempo occorrente per la sua esecuzione; • mezzi d’indagine a disposizione. Il programma di indagine deve essere riscontrato progressivamente nel corso dei lavori di sondaggio e campionamento, così che sia possibile provvedere in tempo utile alle eventuali correzioni o varianti. La posizione dei punti di sondaggio deve essere rilevata topograficamente, ed essere rintracciata in sito a distanza di tempo.
TAB. D.6.1./1 FINALITÀ
profilo stratigrafico
proprietà fisico-meccaniche dei terreni
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
MEZZI DI INDAGINE DIRETTI
INDIRETTI
1. 2. 3. 4.
Indagini geofisiche*
pozzi trincee cunicoli fori di sondaggio in laboratorio
in sito
rilevamento falda
prove su campioni indisturbati a) prove penetrometriche statiche b) prove scissometriche c) prove pressiometriche d) prove di carico su piastra e) indagini geofisiche piezometri
* i risultati delle indagini geofisiche dovranno sempre essere tarati mediante scavi o perforazioni di sondaggio
Con riferimento alla Tab. A le seguenti indagini sono svolte mediante:
1) trincee: con scavo a mano o con mezzi meccanici, generalmente a profondità di 2-4 m (al max fino a 8 m); 2) gallerie: generalmente con scavo a mano, con armature di sostegno; 3) pozzi: generalmente con scavi a mano, con armatura o muratura di sostegno.
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
E ZION D.6. DI FONDA E R E P O
FIG. D.6.1./3 Terreno di riporto
Limo
Marne
Terreno vegetale
Argilla
Argilliti
Sabbia
Torba
Calcari
Sabbia fine
Argilla organica
Argilloscisti
Le perforazioni di sondaggio, dette comunemente sondaggi, hanno lo scopo di ricostruire: 1) il profilo stratigrafico mediante l’esame visivo delle campionature; 2) consentire l’esecuzione di rilievi e misure delle acque sotterranee; 3) consentire, mediante l’esecuzione di prove in situ, la determinazione delle proprietà geotecniche del terreno in sede.
Sabbia compatta
Piroclastiti, Tufi
Scisti
Ghiaia
Conglomerati
Graniti
I dati raccolti nel corso delle perforazioni vengono illustrati nelle sezioni stratigrafiche di dettaglio; (Fig. D.6.1./4). Nella Fig. D.6.1./3 viene illustrata la simbologia più usata per i vari litotipi.
Ghiaia con sabbia
Arenarie
Lave
Gli scavi consentono l’osservazione diretta del sottosuolo per profondità poco elevata, si usano pertanto, in zone geologicamente note, per la determinazione della coltre superficiale generalmente alterata e degradata; essi presentano numerosi svantaggi soprattutto in riferimento alla necessità di armature di sostegno e alle difficoltà crescenti molto rapidamente con la profondità specialmente se in presenza di venute di acqua.
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
D.5. TURE T STRU
SCAVI E PERFORAZIONI DI SONDAGGIO
SCAVI
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
PERFORAZIONI DI SONDAGGIO
HE ECNIC 1. D.6. INI GEOT G A IND
D 225
PROGETTAZIONE STRUTTURALE INDAGINI GEOTECNICHE
•
OPERE DI FONDAZIONE
➦ SCAVI E PERFORAZIONI DI SONDAGGIO
PROVE PENETROMETRICHE STATICHE E DINAMICHE
FIG. D.6.1./4
Prove penetrometriche statiche: La prova consiste nella misura della resistenza alla penetrazione di una punta conica di dimensioni e caratteristiche standard, infissa a velocità costante nel terreno attraverso un dispositivo di spinta (10 o 20 tonn) che agisce su una batteria di aste cave alla cui estremità è collegata la punta. Generalmente sopra la punta vi è un manicotto per la misura dell’attrito laterale (Fig. D.6.1./5)
Prof. Spes. m.
m.
LITOACQUA PIEZO LOGIA
Campioni Rp VT
ROD S.P.T. N 0-100
DESCRIZIONE Riporto piroclastico più o meno argilloso
1
1-D < 1/2 38
2
34-30 75 cm 3
3,0
3,0
R pozzolana rossa ben addensata
4 34-30 79 cm. P 5
2-Y < 8:98
6 6,5
3,5
Limiti esecutivi e informazioni fornite dalla prova: le prove penetrometriche statiche possono essere eseguite, per profondità massime di circa 60 m. In tutti i tipi di terreno compresi tra argille e sabbie a grana grossa. Difficoltà anche notevoli possono aversi per l’attraversamento di livelli di ghiaia e terreni cementati. Dal punto di vista qualitativo, l’andamento della variazione della resistenza alla punta con la profondità consente di individuare la presenza nel sottosuolo di strati di terreni a bassa consistenza, dal rapporto tra la resistenza alla punta e la resistenza laterale locale, è possibile, mediante correlazioni empiriche risalire con una certa approssimazione alla natura dei terreni attraversati. Nella interpretazione dei risultati deve tenersi conto che le prove penetrometriche sono assimilabili a prove rapide in condizioni di drenaggio impedito. Nei terreni sabbiosi è possibile valutare lo stato di addensamento e in condizioni particolari, anche il valore dell’angolo di attrito interno Ø. Per una corretta interpretazione dei risultati delle prove penetrometriche è opportuno (in ogni caso), disporre del profilo stratigrafico e dei risultati di prove di laboratorio su campioni indisturbati.
32 tufo terroso marrone con intercalazioni pozzolaniche dello stesso colore
7
FIG. D.6.1./5
8
DATI FORNITI La documentazione fornita comprende: 1. grafico resistenza alla punta: Rp/profondità; 2. grafico resistenza laterale del manicotto: RL/profondità; 3. grafico: (Rp/RL)/profondità
INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI
9
10 10,0
10,8
Per un riconoscimento di massima dei terreni attraversati si utilizza il rapporto: F = Rp/RL La tabella sottostante indica, orientativamente, i valori di F in relazione ai vari terreni.
3,4
0,8
11
12
tufo litoide grigio chiaro con interc. di tufo dello stesso colore tufo terroso marrone con intercalazioni di livelli di tufo a consistenza litoide e semilitoide
TERRENO limi e argille.............................................................................................15 ≤ F limi sabbiosi e sabbie fini ...............................................................15 < F ≤ 30 sabbie e sabbie con ghiaia.....................................................................F > 60
VALUTAZIONE DEI PARAMETRI 1. per terreni esclusivamente coesivi:
13
• Cu = Rp/N cp • Cu = resistenza al taglio in condizioni non drenate • N cp = coefficiente adimensionale con valore compreso tra 15 e 25.
14
15
2. per terreni esclusivamente incoerenti: 16
17
18
19
20 20,0
D 226
9,2
la Tabella C allegata individua le correlazioni tra i risultati delle prove penetrometriche statiche e l’angolo di attrito interno. Esiste anche una relazione tra la resistenza alla punta Rp e il numero di colpi SPT che permette di utilizzare anche con le prove penetrometriche statiche, le tabelle di correlazione valide per i risultati delle prove dinamiche SPT, riportate nel paragrafo successivo. La succitata relazione tra la resistenza alla punta Rp in Kg/cm2 del penetrometro statico e N30 della prova SPT può essere espressa come segue:
TAB. D.6.1./2 RELAZIONE APPROSSIMATA TRA LA RESISTENZA ALLA PUNTA DEL PENETROMETRO STATICO E L’ANGOLO DI ATTRITO DI UNA SABBIA (Meyerhof 74) 400
300
200
100
Rp = n= n= n= n=
0
SCIOLTA COMPATTA DENSA M.DENSA
R m.
RESITENZA PENETROMETRICA STATICA
D.6. 1.
40 45 30 35 ANGOLO DI ATTRITO IN GRADI
n N30 con: 6 per sabbie argillose 5 per sabbie limose 4 per argille sabbiose 3 per argille limose
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
OPERE DI FONDAZIONE INDAGINI GEOTECNICHE •
A.ZIONI
PROVA SPT (Standard Penetration Test) È una prova penetrometrica dinamica consistente nell’infiggere a percussione una punta standard che, penetrando nel terreno, consente di valutarne la resistenza meccanica alla penetrazione (come numero di colpi di un apposito maglio per un dato avanzamento in cm). Vale come indagine in terreni sabbiosi, meno favorevolmente in terreni argillosi eccezionalmente e con scarso significato in terreni ghiaiosi. I risultati della prova consentono una valutazione orientativa anche dello stato di consistenza dei terreni coesivi limo-argillosi.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
DESCRIZIONE DELL’ATTREZZATURA Le aste di infissione devono avere il diametro non inferiore a 50 mm (peso 7.0 più o meno 0,5 Kg/m). In caso di prova a profondità superiore ai 15 m si raccomanda di completare tale strumento mediante aste con chiavette o riporti di centramento ogni 3 m di lunghezza. Il dispositivo di percussione deve comprendere: • una testa di battuta di acciaio avvitata sulle aste dotata di una scarpa di apertura Ø 35 mm (campionatore); in terreni ghiaiosi la scarpa può essere sostituita da una punta conica Ø 51, angolo 60° (Fig. D.6.1./6); • un maglio di acciaio da 63, 5 (±0,5 Kg); • un dispositivo di guida e di sganciamento automatico del maglio, che assicuri una corsa a caduta (detta “volata”) di 076 (± 0,20) m.
B.STAZIONI DILEGIZLII
FIG. D.6.1./6
I ED PRE NISM ORGA
RACCORDO TUBO TAGLIATO
SCARPA
MODALITÀ DI PROVA La prova consiste nel far penetrare il campionatore, posato in fondo al foro, per tre tratti successivi di 15 cm ognuno, registrando, per ogni singolo tratto, il numero di colpi di maglio. Il primo tratto, detto di avviamento, corrisponde all’avanzamento dei 15 cm comprendenti anche l’eventuale penetrazione iniziale per peso proprio; il relativo numero di colpi è designato con N1. Se con N1 = 50 l’avanzamento è minore di 15 cm, l’infissione deve essere sospesa; la prova è considerata conclusa e si annota la relativa penetrazione (ad es. N1 = 50/5 cm). Se il tratto di avviamento è superato con N1<> 50, la prova prosegue e il campionatore viene infisso per i successivi tratti di 15 cm ciascuno (N2 e N3) fino al limite di 100 colpi N2+N3 < 100). TAB. D.6.1./3 TABELLA DI CORRELAZIONE TRA I VALORI DI N30 (Numero dei colpi) E GLI ANGOLI DI ATTRITO NEI TERRENI COERENTI
φ
Se con N2+N3=100 non si raggiunge l’avanzamento di 30 cm. l’infissione viene sospesa e la prova è considerata conclusa, annotando la relativa penetrazione. Il ritmo della prova, eseguita sempre a fondo foro, ragionevolmente pulito, deve essere compreso tra i 10 e i 20 colpi a minuto.Il valore di N2+N3, ovvero il numero di colpi necessario per infiggere, nel terreno gli ultimi 30 cm., viene indicato come N30 e permette, attraverso l’uso di apposite tabelle e diagrammi di lettura, di valutare i parametri rappresentativi della resistenza a rottura dei terreni saggiati (Tab. D.6.1./3-4-5-6). La prova consiste nel valutare la resistenza dei terreni nell’ipotesi di rottura rapida consente di quantificare il valore dell’angolo di attrito interno Ø o della coesione Cu. Pertanto essa sarà valida solo per quei terreni la cui resistenza è funzione essenzialmente o di Ø o di Cu; per terreni a comportamento geotecnico di tipo misto, la prova fornisce solo valori indicativi sulla resistenza al taglio d’insieme del materiale ma non permette di valutare i relativi valori Ø e C.
TAB. D.6.1./4 TABELLA DI CORRELAZIONE TRA I VALORI DI N30 (numero dei colpi) E IL MODULO EDOMETRICO PER LE FORMAZIONI SABBIOSE SABBIA GHIAIOSA
700 Eed 600
SABBIA + GHIAIA
SABBIA + GHIAIA SABBIA GRADUATA SABBIA MONOGRANULARE SABBIA
500 400 300
SABBIA FINE
200 100 0
PECK, HANSON, THORNBURN (1953) MEYERHOF (1956) SOWERS (1961) MALCEV (1964)
0 10 20 30 40 50 NUMERO DEI COLPI N30
TAB. D.6.1./5 CLASSIFICA ORIENTATIVA DELLO STATO DI COMPATTEZZA DEI TERRENI INCOERENTI E COESIVI
σ'=0.5 bar σ'=1.0 bar
35
σ'=1.5 bar 30 25
SABBIE
σ'=0.2 bar
0 10 20 30 40 NUMERO DEI COLPI N30
50
60
N
TERRENI COESIVI
valutazione dello stato di addensamento
N
valutazione della consistenza
0–4
sciolto
<2
privo di consistenza
4 – 10
poco addensato
2–4
poco consistente (molle)
10 – 30
moderatamente addensato
4–8
moderatamente consistenze
30 – 50
addensato
8 –15
consistente
> 50
molto addensato
15 – 30 > 30
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
60
45 40
D.6. 1.
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
molto consistente
E ZION D.6. DI FONDA E R E P O
estremamente consistente (duro)
PROVE SCISSOMETRICHE La prova scissometrica si esegue per determinare la resistenza al taglio non drenata dei terreni coesivi saturi, a consistenza da bassa a media, con resistenza al taglio non drenata ≤1 Kg/cm2.
FIG. D.6.1./7 DETERMINAZIONE IN SITO DELLA RESISTENZA TANGENZIALE CON SCISSOMETRO ATTO A MISURARE LA COPPIA TORCENTE PER FAR RUOTARE IL “CILINDRO TERRENO”
COPPIA TORCENTE
TIPI DI APPARECCHI PER PROVE SCISSOMETRICHE
Determinazione in sito della resistenza tangenziale con scissometro atto a misurare la coppia torcente per far ruotare il “cilindro terreno”.
RESISTENZA TANGENZIALE Tf
H
L’apparecchio per prove in fori di sondaggio, si utilizza nel corso del sondaggio geotecnico. L’apparecchio autoperforante, costituito dalla paletta-scissometro è contenuta in una protezione metallica, collegata mediante tubi alla superficie; con un dispositivo di spinta si infigge la batteria nel terreno fino alla quota voluta.
d
A)
)ETNECROT OTNEMOM( FT ELAIZNEGNAT AZNETSISER
La prova è valida per profondità dal piano campagna minore di 30 m.
TF MAXIMUM
B)
ANGOLO DI ROTAZIONE
HE ECNIC 1. D.6. INI GEOT G A IND
D 227
D.6. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE INDAGINI GEOTECNICHE
•
OPERE DI FONDAZIONE
CARATTERISTICHE MECCANICHE DELLE ROCCE SCIOLTE PROVE DI LABORATORIO Per la definizione delle caratteristiche meccaniche delle terre è necessaria la conoscenza di alcune proprietà fondamentali quali: la deformabilità; la resistenza al taglio. DEFORMABILITÀ La deformabilità è la suscettibilità di un terreno, quando venga sottoposto a sforzi normali a subire riduzioni di volume per gli spostamenti delle sue particelle. Si differenzia tra i terreni incoerenti e terreni coesivi. Nel primo caso l’avvicinamento dei granuli sotto carico è di tipo immediato in quanto l’elevata permeabilità del materiale consente il rapido deflusso dell’acqua, dalle zone più sollecitate a quelle meno sollecitate, e di conseguenza la riduzione di volume per il mutuo avvicinamento dei granuli. Per questi terreni la deformabilità, essendo di tipo immediata, assume importanza relativa e lo stato di addensamento di cui tale deformabilità è funzione viene generalmente valutato attraverso prove in situ. Nel secondo caso invece la elevata impermeabilità dei materiali fa si che il deflusso dell’acqua contenuta nei pori avvenga in tempi relativamente lunghi così che il processo di riduzione di volume del terreno (consolidazione) viene a protrarsi per periodi anche molto lunghi dopo l’applicazione dei carichi. Assume grande importanza per questi terreni la conoscenza di quella che può essere l’entità della deformazione e il suo andamento nel tempo.Per la determinazione del modulo di compressibilità edometrica Ed e del coefficiente di consolidazione Cv, necessaria per le valutazioni di cui sopra, vengono eseguite in laboratorio, mediante edometro, prove di compressibilità a espansione laterale impedita. Il modulo edomedrico Ed premette, attraverso una formula empirica, di definire la “costante elastica del suolo” K (kg/cm3) cioè la pressione che agendo, sull’unità di superficie determina un’abbassamento unitario del terreno. In tabella sono riportati, indicativamente, i valori di K per i vari terreni.
FIG. D.6.1./8 SCHEMA DI UN EDOMETRO
TAB. D.6.1./6 K (kg/cm3)
NATURA DEL TERRENO
FA
PROVINO
SCHEMA DI UN EDOMETRO
torba leggera
0,6 ÷ 1,2
torba pesante
1,2 ÷ 1,8
torba vegetale
1,0 ÷ 1,5
depositi recenti
1,0 ÷ 2,0
sabbia di mare, fine
1,5 ÷ 2,0
sabbia poco coerente
2,0 ÷ 4,0
terra molto umida
2,0 ÷ 3,5
terra poco umida
3÷6
terra secca
5 ÷ 10
argilla con sabbia
8 ÷ 10
argilla grassa
10 ÷ 12
sabbia compatta
8 ÷ 15
ghiaia con sabbia
10 ÷ 25
ghiaia compatta
20 ÷ 30
pozzolana
20 ÷ 50
RESISTENZA AL TAGLIO Sotto il profilo geotecnico le rocce sciolte vengono suddivise nei seguenti tre gruppi:
1) Terreni incoerenti: prova di taglio diretto con scatola di Casagrande da cui si ricava il relativo grafico.
2) Terreni coesivi: prova triassiale di tipo U.U. e C.U. (a espansione laterale impedita e nella ipotesi di rottura a breve termine ovvero in condizioni non drenate).
FIG. D.6.1./9
FIG. D.6.1./11
1) rocce sciolte a comportamento geotecnico di tipo incoerente (sabbie, ghiaie e sabbie limose); 2) rocce sciolte a comportamento geotecnico di tipo coerente (argilla);
0.6
FA
0.5
Il primo gruppo presenta una resistenza al taglio funzione del solo angolo di attrito interno Ø mentre per quanto concerne i terreni del secondo gruppo la loro resistenza al taglio è funzione:
)qmc/gK( INOISNET
3) rocce sciolte a comportamento geotecnico di tipo misto (limi argillosi argille sabbiose, sabbia argillosa).
0.4
0.3
T
0.2
• in termini di tensioni totali (in condizioni di assenza di drenaggio, Ø=0) ovvero nell’ipotesi di rottura a breve termine, della sola coesione non drenata Cu; • in termini di tensioni efficaci, (in condizioni drenate), ovvero nell’ipotesi di rottura a lungo termine, della coesione efficace C’ e dell’angolo di attrito efficace Ø'.
0.1 FIG. D.6.1./10
0
y
Infine i terreni del terzo gruppo presentano resistenza al taglio sempre funzione sia di C che di Ø.
1
2 3 4 5 DEFORMAZIONI %
6
8
7
FIG. D.6.1./12 PROVA TRIASSIALE NON CONSOLIDATA NON DRENATA “U.U.”
)qmc/N(T
Le prove di laboratorio atte a valutare i parametri geotecnici sono:
0
ϕ
d)
τ
uC σ2 σ2
P (N/cmq)
D 228
x
σ1
σ1
σ
PROVA TRIASSIALE NON CONSOLIDATA NON DRENATA "UU"
σ'
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
OPERE DI FONDAZIONE INDAGINI GEOTECNICHE •
D.6. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
ANALISI DI LABORATORIO Le analisi di laboratorio sono finalizzate alla classifica delle rocce sciolte attraverso l’identificazione delle loro caratteristiche morfologiche e fisico-chimiche. Per le rocce sciolte incoerenti le prove di identificazione più significative sono quelle atte alla: • determinazione del peso specifico; • determinazione della porosità; • determinazione della granulometria. Per le rocce sciolte coerenti tali dati non sono da soli sufficienti alla identificazione e si ricorre pertanto anche all’uso dei limiti di Atterberg.
La porosità e il peso specifico sono alcune delle grandezze che definiscono le proprietà delle tre fasi (solida, liquida e gassosa) distinguibili nelle rocce sciolte; le operazioni atte alla identificazione di dette grandezze sono limitate a pesate prima e dopo l’essiccazione al forno del materiale. La granulometria, cioè l’assortimento delle varie particelle di materiale viene rappresentata graficamente dalla curva granulometrica in cui risultano le dimensioni prevalenti dei grani. Tale curva, detta anche curva caratteristica della roccia, si disegna su un diagramma semilogaritmico nel quale sulle ascisse sono segnate in scala logaritmica le dimensioni medie delle particelle in mm, detti diametri medi, e sulle ordinate le percentuali in peso rispetto al totale.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
ANALISI GRANULOMETRICA
E.NTROLLO
FIG. D.6.1./13 ARGILLA
LIMO 0,002
100
SABBIA 0,06
80 PASSANTE %
L’analisi granulometrica consente di determinare le dimensioni delle particelle che compongono un campione di terreno e a definire le percentuali in peso delle varie “frazioni”: ghiaia-sabbia-limo-argilla, definite da dimensioni limiti prefissate. Per determinare le percentuali in peso delle “frazioni” granulometriche sopra menzionate si usano dei setacci con apertura delle maglie standardizzata. L’analisi granulometrica mediante setacci viene effettuata sulla frazione più grossolana del terreno e cioè a quella percentuale di terreno non passante al setaccio “200” e quindi con diametro medio delle particelle > 0 074 mm che è appunto la dimensione della maglia del setaccio “200”. Per diametri delle particelle inferiori a 0,074 mm, ossia per materiali passanti al setaccio “200” si ricorre all’analisi per sedimentazione (aerometria). L’importanza di una curva granulometrica consiste principalmente nel poter correlare la curva stessa al comportamento geotecnico del materiale. Nella Fig. D.6.1./13 vengono rappresentate alcune curve caratteristiche di rocce sciolte.
CO NTALE AMBIE
GHIAIA 2
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
4
5
2
60 3
40
G.ANISTICA
1
6
URB
20 0
0,001
0,01
0,1
1
SEDIMENTAZIONE
10
VAGLIATURA
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
LIMITI DI ATTEMBERG I limiti di consistenza o di Atterberg sono definiti dai contenuti in acqua per i quali le rocce coerenti assumono determinati stati fisici. Essi sono, per un contenuto in acqua decrescente: 1) limite di liquidità o di fluidità (LL); 2) limite di plasticità (LP); 3) limite di ritiro (LR); e sono il contenuto in acqua per cui la roccia sciolta
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
l’indice di liquidità “IL” dato dal rapporto:
coesiva si trova negli stati di passaggio tra le consistenze, fluida, plastica, semisolida, solida. I contenuti in acqua ai quali un terreno presenta plasticità determinano il cosiddetto campo di plasticità che viene espresso numericamente dall’indice di plasticità
IL = (W – LP)/IP Infine lo stato di consistenza del terreno può essere efficacemente rappresentato dall’indice di consistenza IC che ha l’espressione:
IP = LL – LP
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
IC = (LL – W)/IP
Sempre dai contenuti in acqua del materiale si ricava
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE
CLASSIFICA DELLE TERRE MEDIANTE I LIMITI DI ATTEMBERG La classifica delle terre mediante i limiti di Atterberg viene eseguita attraverso l’uso della carta della plasticità (vedi Fig. D.6.1./14) e attraverso i valori IP IC e LR (vedi Tab. H). FIG. D.6.1./14 70
0
10
TAB. D.6.1./7 20
30
40
60
50
INDICE DI PLASTICITÀ J
40 30 20
70
80
90
p
suolo privo di coesione 4 CL - ML ML 0 LIMI INORGANICI DI BASSA COMPRESSIBILITÀ
E ZION D.6. DI FONDA E R E P O
VALORI DI IP Indice di plast.
0÷4
Grado di plast.
non plastico
5 ÷ 14 poco plastico
15 ÷ 39
> 40
plastico
molto plastico
A
Argille inorganiche di EA alta plasticità LIN ) CH 20 LW ( Argille organiche 3 0,7 di media plasticità = Ip CL Argille inorganiche di Limi organici di alta alta plasticità compressibilità CL e argille organiche MH o OH
10
100 LIMITE DI LIQUIDITÀ WL
WL = 50 WL = 30
50
60
D.5. TURE T STRU
ML o OL
VALORI DI IC fluido
molle
plastico
plastico
plastico
plastico
0
0,25
0,5
solido
semisolido
solido
Stato
Ic
0,75
1,0
WL
WP
Limi inorganici di media compressibilità e limi organici
WR
VALORI DI LR Giudizio
Buona
Discreta
Cattiva
WR
5%
10%
15%
Pessima
HE ECNIC 1. D.6. INI GEOT G A IND
D 229
D.6. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE INDAGINI GEOTECNICHE
•
OPERE DI FONDAZIONE
TIPOLOGIE DI PALI I pali possono essere suddivisi in due fondamentali categorie: 1. pali prefabbricati (o infissi); 2. pali gettati in opera: • battuti; • trivellati (percussione /rotazione).
PALI INFISSI (senza asportazione di terreno) Si tratta di pali prefabbricati in cls (tipo Scac, costituiti da elementi giuntabili a sezione tronco conica. Questi vengono infissi nel terreno mediante battitura così da avere sul terreno stesso un notevole effetto costipante e un conseguente miglioramento delle sue caratteristiche portanti.
PALI BATTUTI (senza asportazione di terreno) Questo tipo di palo viene realizzato procedendo prima alla infissione nel terreno mediante “battitura” o “vibrazione”, di un tubo a “punta chiusa” di diametro predeterminato producendo quindi nel terreno, come nel precedente caso, un effetto costipante. Successivamente e con modalità diversa verrà immesso nel tubo in cls per la realizzazione del palo e si procederà quindi, qualora la tipologia di palo battuto adottato lo richieda, alla estrazione del tubo.
PALI TRIVELLATI (con asportazione di terreno) Vengono realizzati attraverso le fasi che seguono: • perforazione del terreno mediante attrezzatura a rota-
zione o percussione i diametri e le profondità dei pali necessari a garantire le profondità richieste vengono predeterminati attraverso i vari procedimenti di calcoli; • posa in opera delle gabbie di armatura; • getto del cls. Per quanto attiene il getto di cls, questo viene effettuato mediante “tubi getto” che raggiungono il fondo scavo, così da evitare la sedimentazione gradata del cls stesso in special modo se in presenza di acqua. Qualora in fase di perforazione, la natura e la consistenza dei terreni non consentissero la stabilità delle pareti di scavo queste verranno sostenute mediante l’uso di “fanghi bentonitici” oppure attraverso la posa in opera di una “camicia di rivestimento” metallica, che verrà estratta durante la fase di getto del cls
CAPACITÀ PORTANTE DEI PALI PALI INFISSI E PALI BATTUTI Per questa tipologia di pali la portanza può essere calcolata sia mediante l’uso di formule statiche che attraverso l’analisi del comportamento dei pali durante la fase di “infissione” o “battitura” a mezzo di martelli battipalo. In quest’ultimo caso vengono in pratica applicate formule “dinamiche” che richiedono
la conoscenza dell’energia dinamica fornita dai martelli, dipendente dal peso di questi o dall’altezza di caduta, e dall’avanzamento medio di una “volata” cm/colpo. La battitura avrà termine allora quando si raggiunge il “rifiuto” intendendo a questo un avanzamento sotto battitura inferiore a un valore limite parametrato.
PALI TRIVELLATI La capacità portante viene determinata attraverso: 1. formule statiche; 2. correlazioni con i risultati di prove penetrometriche sia statiche che dinamiche; 3. sperimentazione diretta sui pali di prova. La capacità portante di un palo è data dalla somma di due termini di cui una esprime la resistenza alla base del palo (Qp), e l’altra la resistenza dovuta all’attrito laterale lungo il fusto del palo (Qc). La capacità portante viene espressa da:
Qamm =
Qp+Qc–Pp Fa
dove Pp esprime il peso proprio del palo e Fa il coefficiente di sicurezza richiesto. Le teorie sulla portanza delle fondazioni superficiali sono state estese alla base dei pali da vari autori quali: Terzaghi, Caquot, Berezantsen ecc. che esprimono la resistenza alla base dei pali con:
Qp =
ωδvNq
→ terreni incoerenti
ωCuNc+δv→ terreni coesivi
Dalle teorie relative alla resistenza al taglio dei terreni e della spinta degli stessi derivano le espressioni per la determinazione della resistenza per aderenza laterale:
Qc =
ω 1 γL2 Kf → terreni incoerenti 2 ωLα Cu → terreni coesivi
da cui:
Q = ω δv Nq+ω 1 γ L2 K f → terreni incoerenti 2 Q = ω CuNc+δv +ω Lα → terreni coesivi con: ω = sezione del palo ω = circonferenza del palo L = lunghezza del palo γ = peso di volume del terreno γ = peso di volume del terreno in falda δv = γ L = pressione litostatica alla base del palo Nei tratti di falda verrà inserito il valore γ .
Nc = Nq = coefficiente adimensionale di portanza funzione dell’angolo di attrito interno φ in condizioni non drenate. Si ha Nc ≅ 9 K = coefficiente di spinta del terreno (rapporto tra la pressione orizzontale del terreno e quella verticale) nei pali trivellati si usa assumere cautelativamente per K un valore pari al coeff. di spinta a riposo
Ko = tg2 (45– f = coeff. di aderenza = tan δ
ϕ ) 2
con δ = 2 ϕ 3
α = coeff. di aderenza scelto in funzione di Cu, del tipo di palo e del materiale che lo costituisce. Il campo di variabilità è tra 0,3 ÷ 1,5. Per pali trivellati si assume in genere α = 0,5
Cu = coesione in condizioni non drenate (ϕu = 0)
FIG. D.6.1./15 INTERAZIONE PALO-TERRENO
D
2b
Pm 1,08
Dl
Diagramma della diffusione del carico dal palo al terreno nel caso di palo resistente ad aderenza laterale
D 230
Diagramma della diffusione del carico dal palo al terreno nel caso di palo resistente alla punta
Sovrapposizione degli effetti nel diagramma della diffusione del carico dal palo al terreno nel caso di un palo resistente sia ad aderenza laterale che alla spinta
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
OPERE DI FONDAZIONE INDAGINI GEOTECNICHE •
A.ZIONI
MICROPALI
TRAVE C.A.
C) CON “MARTELLO A FONDO FORO” o a “DISTRUZIONE” (in presenza di materiale rigido) La sonda perforante utilizza un terminale a rotopercussione con testata a forma tricoidale ed espulsione del materiale con getti d’aria attraverso l’ugello posto al centro del tricono, al vidia, di scavo. Effettuato lo scavo e recuperate le aste dei sistemi A; B; C; si inserisce nella perforazione la sequenza delle aste modulari costituite da tubi cavi (Ø 8 ÷ 20 cm) connesse tra loro, ogni circa 2 ml, da manicotti filettati e aventi nella parte inferiore ugelli (2 x 10 cm) per garantire la fuoriuscita, alla pressione voluta, del cls. È buona norma, nella pratica, sovralimentare la pressione di pompaggio per effettuare lo “sbulbo” alla base del micropalo. Il pompaggio della boiacca di cemento avviene attraverso un macchinario di normale pompaggio di cls. La manichetta di iniezione della boiacca viene garantita alla camicia armata (il tubo-asta) di diametro inferiore di almeno 2 cm rispetto al diametro di perforazione. La saturazione del getto del micropalo viene controllata da tubi da 3/4” messi come sfogo aria tra la sigillatura della camicia armata e il fronte scavo. Quando la boiacca di cemento fuoriesce dai tubi spia di sfogo aria significa che tutto il micropalo è stato iniettato. A palo iniettato si deve garantire la connessione statica tra l’armatura del micropalo e la struttura progettata di consolidamento in CA. Per ottenere ciò è buona norma attraversare la testata della camicia di armatura del micropalo con tondini Ø 20 FeB 44k.
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO UGELLI PER USCITA ACQUA A PRESSIONE
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
CORONA DI VIDIA FIG. D.6.1./18 SONDA
B) CON TRIVELLA (in presenza di materiale relativamente compatto) Si effettua lo scavo del micropalo con una sonda tricoidale e l’espulsione del materiale avviene, meccanicamente, a merito della stessa.
B.STAZIONI DILEGIZLII
FIG. D.6.1./17
Sonda
A) IDRAULICA (in presenza di materiale compatto) Si effettua lo scavo del micropalo a mezzo di una sonda costituita da aste cave in acciaio, modulari, garantite le une alle altre a mezzo di manicotti filettati con terminale con corona di diamante sintetico o vidia (carotiere) ed espulsione del materiale idraulicamente perché la sonda presenta alla testata delle aste un ugello per l’uscita dell’acqua a pressione che oltre a essere vettore per l’espulsione dei detriti è nondimeno lubrificante. Con il carotiere, in presenza di materiali compatti, quali travertini e murature antiche è possibile recuperare il campione indisturbato del trovante attraversato.
E.NTROLLO MATERIALE SCAVATO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
ELICA DI SCAVO
G.ANISTICA URB FIG. D.6.1./19
Sonda
FIG. D.6.1./16
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
MODALITÀ TECNOLOGICHE
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
ROTO PERCUSSIONE aria
I micropali si usano per lo più per manufatti esistenti in presenza di dissesti di fondazione. Al contrario dei pali la giacitura del micropalo può essere inclinata, e nei casi limite possono anche lavorare a trazione. Questi requisiti ne rendono agevole l’uso e la progettazione in casi di consolidamento come in figura.
TRAVE C.A.
D.6. 1.
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA
JETGROUTING Il jetgrouting è una tecnica efficace per il consolidamento degli strati sottofondali specie in presenza di corpi di fabbrica limitrofi alla zona d’intervento non creando forti disturbi, vibrazioni e sollecitazioni all’intorno. Si basa su iniezioni di boiacca di cemento a elevatissima pressione (400-500 ATM) nei terreni poco compatti e resistenti. Per convenzione chiameremo i piloni di cls, gettati con il sistema jetgrouting pali, ma va chiarito che si tratta di masse di cls a base di boiacca ben compattata nel suolo, assimilabili un po’ a dei “piloni” o “pozzi” che serviranno, poi, eventualmente a ricevere nella loro sede il palo vero e proprio quand’esso vada costruito. Il diametro dei piloni può variare da pochi cm (20-30) fino a ml 1,20-1,40: i primi saranno costruiti, con le modalità che vedremo, con aste di Ø 35 mm, gli ultimi con aste Ø 150 mm. L’attrezzatura necessaria per il sistema jetgrouting è di notevoli dimensioni e soprattutto necessita di una poderosa stazione di pompaggio. In sintesi per le varie fasi della lavorazione, la squadra operativa dovrà essere di almeno 4-5 operatori. La sonda perforatrice è munita di un’asta cava di diametro Ø 80 mm per ottenere “pali” di circa 80 cm di diametro. La prima fase è quella della perforazione che avviene, appunto, grazie alla rotazione di questa lunga asta cava di acciaio inossidabile costituita da elementi modulari nella fattispecie lunghi ognuno ml 3. la testata chiamata “monitor” è un punto speciale di lunghezza 60 cm con funzioni diverse a seconda delle esigenze, dei terreni su cui si opera e sui trovanti che si possono incontrare.
FIG. D.6.1./20
JETGROUTING O TRATTAMENTO COLONNARE
SONDA
EVENTUALE PALO
La prima fase è, dunque, quella della perforazione che avviene con l’ausilio di acqua a fortissima pressione (500-700 ATM). L’acqua a pressione ha funzione di agevolare la perforazione agendo da lubrificante, ma soprattutto serve a riportare in superficie tutti i detriti e quant’altro il monitor triconico abbia attraversato lungo il suo percorso di scavo. Il monitor è completamente cavo e in questa prima fase l’acqua a pressione fuoriesce solo dal punto A. Raggiunta la quota desiderata di progetto, l’operatore dalla stazione di pompaggio arresto l’afflusso di acqua a pressione e inserisce, grazie a delle saracinesche speciali nelle condotte, anch’esse particolari perché devono sopportare la pressione di 700 atmosfere, una biglia d’acciaio di Ø 15 mm. La biglia viene spinta lungo le condotte e va a incontrarsi nel monitor nel punto “E” (dello schema) ostruendo il flusso principale “A”. A questo punto l’operatore comincia a pompare boiacca sempre a 500-700 ATM boiacca che, per l’ostruzione della uscita “A” principale fuoriesce dagli ugelli B/C/D laterali del monitor. Questi ugelli sono delle valvole coniche con nucleo di ceramica per sopportare il potentissimo attrito, con il foro di fuoriuscita del diametro di 1,5 mm. (variabile fino a Ø 3 mm). La boiacca di cemento 325 deve essere assolutamente fluida non deve e non può presentare elementi che potrebbero otturare l’ugello. In questa fase la boiacca di cemento viene pompata a 400 ATM e in questo tipo di lavorazione la figura dell’addetto alla stazione di pompaggio è di fondamentale
D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E R E P O
HE ECNIC 1. D.6. INI GEOT G A IND
D 231
D.6. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE INDAGINI GEOTECNICHE
•
OPERE DI FONDAZIONE
➦ JETGROUTING Gli operatori quando pompano la base del palo grazie a un leggero funzionamento e una ulteriore sovrappressione, realizzano un bulbo (“ammarro”).
importanza, infatti è lui che mantiene sotto controllo la situazione e sempre lui che raggiunta la quota desiderata, manda in pressione o decompressione i macchinari. Dopo che l’operatore ha sospeso il pompaggio di semplice acqua, per iniziare quella di boiacca la macchina viene “parametrata” cioè d’ora in poi funzionerà in automatismo e procederà automaticamente secondo i parametri inseriti in un particolare display della centralina. La macchina “parametrata” è ora predisposta per compiere un certo numero di giri (“alesaggio”) 20-25 volte, arrestarsi nella rotazione e tornare indietro, cioè sfila le aste con uno scatto di 2-7 cm. Per esempio nella pratica la macchina impiegata può essere una MACHINGATON. Utilizza aste Ø 76 mm, opera fino a 20 ml di profondità, alesa 22 giri di 360°, pompa cementi 325 sforzo a 500 ATM con “scatto di ritorno” di 4 cm. ottenendo dei piloni colonnati di ~ 80 cm Ø. Questo tipo di lavorazione necessita di personale specializzato e presenta qualche pericolo perché se il monitor si dovesse ostruire con la pressione che gli viene imposta avrebbe una forza d’urto devastante. Per ovviare a questo rischio le condotte atte a portare prima l’acqua e poi la boiacca dalla stazione di pompaggio fino al monitor, sono premunite di pezzi particolari costituiti da giunti con sezione e corpo meno resistente dello sviluppo della normale condotta e sono predisposte per scoppiare quando si verifichi una sovrappressione. Vengono per questo collocate e protette in luoghi predisposti per dirompere senza danni alle cose e persone. Le condotte sono costituite da tubi per alta
pressioni che possono sopportare pressioni anche di 900-1000 Atm. Nella costruzione delle “palificate” i singoli elementi hanno un’interasse di ~ 690 cm avendo un diametro di Ø 80 cm. Dapprima vengono realizzati i “pali vergine” ad esempio 1-4-8 e poi gli altri a incastro che andranno a inserirsi tra i primi, inglobandoli in parte, poiché il loro spessore è di circa 80 cm e l’interasse è di 60 cm essi si compenetrano per almeno 20 cm.
FIG. D.6.1./23
SCHEMA DI UN PALO DI CORROBORAMENTO OTTENUTO CON JETGROUTING 8 cm
Biglia di acciaio diametro 15 mm
FIG. D.6.1./21
PIANTA 15 mm.
FIG. D.6.1./22 80 cm. 1
2
4
5
6
perforazione sonda
zona trattata con pompaggio CLS per successivi cantieri contigui e consecutivi. Dopo l'esecuzione dei "pali vergine" (1-4-8) SCALA DI RAPP. 1:85 0
85
255 cm
FIG. D.6.1./24
"AMMARRO" SONDA
CONDOTTA CENTRALE POMPAGGIO
1) Alesa 360° pompando; 2) Scatta (4 cm verso l’alto); 3) Alesa 360° pompando; 4) Scatta e recupera; B
5) Alesa, ecc.
C CLS POMPATO
CLS POMPATO
D E
A SCATTA
O
POMPAGGIO MONITOR ALESA 360° DEFLUSSO PRINCIPALE 12 cm
SCALA DI RAPP. 1:25 0
D 232
25
75 cm
8
COMPENETRAZIONE: zona di costipamento reciproco tra cantiere e cantiere
FASI PARAMETRATE:
CLS POMPATO
7
Sequenza dei cantieri ed incastro dei successivi trattamenti colonnari
DIAFRAMMA A PERDERE SI DEVE ROMPERE ALL’AUMENTO DELLA PRESSIONE DI POMPAGGIO DEL CLS
La sinusoide laterale nasce dalle successive “pompate” in fase di “alesaggio” e dalla successione degli scatti. Questi pali possono poi essere armati con tubi, infissi con altri macchinari, di ferro con puntale “a fette di salame”.
3
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
OPERE DI FONDAZIONE INDAGINI GEOTECNICHE •
A.ZIONI
PROVE DI CARICO SU PALI TRIVELLATI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
PREMESSE
MODALITÀ DI ESECUZIONE DELLE PROVE
RESISTENZA LATERALE
È noto che la portanza ultima di un palo è data dalla somma dei valori limite della portanza laterale e della portanza alla punta:
Le prove da eseguire sono almeno due: una per valutare la resistenza alla punta, l’altra per valutare la resistenza laterale.
La preparazione del palo per eseguire la prova consiste nelle seguenti fasi (Fig. D.6.1./26). a) Si esegue un foro nel terreno di diametro D e profondità H. Si prepara una gabbia d’armatura con ferri aventi area totale di circa 8÷10 per mille dell’area del foro e di lunghezza H, con staffe circolari φ = (6÷8) mm ogni 20÷25 cm. Nella parte terminale della gabbia si predispone un blocco cilindrico di polistirolo (o di altro materiale non resistente) di altezza p = (1÷2)D. b) Si cala la gabbia nel foro e si getta il conglomerato nel foro tramite un tubo-getto. Si è così realizzato un palo la cui resistenza può essere solo laterale. La punta del palo è completamente isolata tramite l’elemento deformabile interposto. Occorre ora esaminare come può esplicarsi l’azione resistente del terreno sulla superficie cilindrica di contatto. Il peso specifico dei terreni varia di poco ed esso è comunque determinato tramite campioni i cui diversi valori, per i vari strati, sono riportati nella relazione geotecnica.
Nu = Nl + Np
RESISTENZA ALLA PUNTA
Il valore della portanza d’esercizio del palo si ottiene da quella ultima dividendola per un adeguato coefficiente di sicurezza. Indicando con Nes tale valore, si ha
Nes =
Nu η
La normativa stabilisce che il grado di sicurezza debba essere maggiore di 2,5 in assenza di prove preliminari. Qualora siano eseguite prove preliminari, effettuate in modo da accertare i carichi di rottura relativi al complesso palo-terreno, il grado di sicurezza può essere ridotto ma deve, in ogni caso, risultare η ≥ 2,00. È altresì noto che la portanza ultima laterale viene mobilitata per abbassamenti della sommità del palo aventi, come ordine di grandezza, alcuni millimetri. Fatta l’eccezione che la punta del palo si attesti in uno strato di natura litoide, la portanza ultima alla punta viene raggiunta per abbassamenti della testa del palo dell’ordine di alcuni centimetri
[≈ (4 ÷5)
D , dove D è il diametro del palo in cm]. 100
Da quanto sopra si deve concludere che il carico trasmesso dalla struttura sulla testa del palo deve risultare adeguatamente inferiore al valore della portanza ultima laterale. È opportuno che risulti:
Nes ≤
Ne 1,3÷1,5
considerando la resistenza alla punta come riserva per raggiungere il grado di sicurezza prescritto dalla normativa. Da quanto sopra emerge l’opportunità che le valutazioni possibili, da quanto deducibile dalle indagini preliminari di natura geologica e geotecnica, vengano integrate da prove preliminari che permettano di valutare in modo sperimentale le due possibilità di resistenza del complesso palo-terreno.
a) Si esegue nel terreno un foro fino alla profondità prevista di h metri e s’introduce in esso un tubo di lamierino (o plastica dura) avente diametro esterno di poco inferiore a quello del foro. S’introduce poi un secondo tubo in lamierino avente un diametro esterno di 2÷3 cm inferiore al diametro interno del primo tubo. Sia il primo che il secondo tubo devono avere una lunghezza inferiore alla profondità del foro. Deve risultare:
he ≅ (h–2÷3D) b) Tramite tubo-getto si riempie il foro con conglomerato. La tecnica d’esecuzione descritta è quella usuale per realizzare (qualora necessario), quelli che vengono definiti “pali-lubrificati”. Il palo così realizzato non ha alcun contatto con il terreno per la lunghezza hes . L’unico contatto con il terreno si ha per il tratto (h–hes) ≅ (2÷3)·D , dove D è il diametro del palo. c) Si realizza un dado sulla testa del palo e si effettua una normale prova di carico. Si applica un carico N1 e si controlla sui flessimetri la deformazione mantenendo il carico costante fino a quando i flessimetri si stabilizzano. Indichiamo con δ1 il valore della deformazione relativa. Si scarica riportando a zero il carico agente. Dopo un breve periodo i flessimetri si stabilizzano su un valore δ1r che indica la deformazione permanente del terreno sotto il carico N1. La differenza (δ1–δ1r) corrisponde alla deformazione elastica del complesso “palo in conglomerato + lamierino interno”. d) Si carica nuovamente con un valore N2 > N1 determinando il valore δ2 e scaricando nuovamente si ottiene la nuova deformazione permanente δ2r > δ1r . e) Si ripete la prova per carichi sempre crescenti. La prova si intende esaurita quando si ha con Ni :
δir ≥ (4 ÷ 5) D Si può così valutare la tensione unitaria di rottura (convenzionale) del terreno:
σtr ≅ FIG. D.6.1./25 PROVA DI RESISTENZA ALLA PUNTA
4 Ni π · D2
FIG. D.6.1./26 PROVA DI RESISTENZA LATERALE
No
g
2÷3 cm
h
hes
ferri φ = (6÷8) mm
No
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
URB σg
h TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
σo
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
Analogamente, tramite l’esame dei campioni prelevati e delle prove effettuate, nella relazione geotecnica sono indicati i valori dell’angolo d’attrito interno dei vari terreni interessati dal palo e i valori della coesione. Se indichiamo con γt il peso specifico medio dei terreni fino alla profondità y dalla superficie, il terreno soprastante esercita, a tale livello, una pressione detta “geostatica” di valore:
Si dimostra che su una superficie ortogonale alla direzione di σγ si esercita una pressione orizzontale il cui valore è dato da:
Il coefficiente λa = tang2 (45° –
tubo 1 tubo 2
C.RCIZIO
G.ANISTICA
y
ϕ σ0 = σg · tang2 (45° – ) = γt · y · λa 2
D
I ED PRE NISM ORGA
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
σg = γt y
δi
B.STAZIONI DILEGIZLII
F. TERIALI,
FIG. D.6.1./27
No
D
D.6. 1.
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU E ZION D.6. DI FONDA E R E P O
ϕ ) viene definito 2
“coefficiente di pressione (o spinta) attiva”. FIG. D.6.1./28
h
H
y
dy
h-hes ≅(2÷3)D
σo
cilindro in polistirolo p
➥
HE ECNIC 1. D.6. INI GEOT G A IND
D 233
D.6. 1.
PROGETTAZIONE STRUTTURALE INDAGINI GEOTECNICHE
•
OPERE DI FONDAZIONE
➦ PROVE DI CARICO SU PALI TRIVELLATI ➦ MODALITÀ DI ESECUZIONE DELLE PROVE Se consideriamo la superficie esterna del palo, detto p il perimetro della circonferenza, la superficie elementare alla quota y è data da:
Alla generica quota y si ha (Fig. D.6.1./29):
τa (y) = γt · y · λa · tang ϕ
dA = p · dy e su di essa si esplica la forza elementare, dovuta alla pressione geostatica, pari a:
σ0 · dA = p · γt · y · λa · dy
τ · dA = p · γt · y [λa · tang ϕ]· dy Prendiamo ora in esame il coefficiente λa · tang ϕ dove:
2 3
·
200 · 22,82
Si ha quindi che la resistenza laterale del palo varia con la legge:
0
y2 2
δ=·
N0 – N (h) = 0 → h =
N0 0,09γt π · D
(2)
Determiniamo ora lo spostamento della testa-palo sotto l’azione di un carico applicato staticamente. Indichiamo con E e A il modulo elastico e l’area omogeneizzata del palo. Alla quota generica y il carico residuo agente sulla sezione A vale:
tang ϕ
λa · tang ϕ
18
0,528
0,325
0,171
22
0,455
0,404
0,1838
26
0,390
0,487
0,189
30
0,333
0,577
0,192
dove per la (1) m = 0,09 γt p
34
0,2827
0,674
0,190
La deformazione unitaria risulta:
38
0,2378
0,781
0,1857
40
0,2174
0,839
0,1824
Supponiamo che nel tratto compreso tra y=0 e y=h si abbia una coesione di valore unitario medio c. Detto p il perimetro del palo e indicando con N0 il carico portato per sola coesione, vale la relazione di equilibrio:
N0 = c · p · h
ε (y) =
N (y) = N0 –cpy La deformazione unitaria è data da:
ε (y) =
1 (N0 –my2) EA
δ=
PRIMO CASO: SOLO ATTRITO LATERALE
√N30 EA √m
N0h EA
.
√N0 , risulta: √m
No
[N0h – cp
h2
]
2
N0 h · EA 2
(5)
Anche in tale caso si hanno piccoli valori della deformazione. Assumendo, come nel caso precedentemente preso in esame, i seguenti dati:
D = 0,8 m p = 2,513 m E = 2,867 · 106 t/m2
A = 0,55 m2
Perché un palo porti per sola coesione 100 t occorre che risulti dalla (4):
(3)
c·h=
2
Quindi il valore della deformazione non è proporzionale al carico. Le deformazioni sono comunque di modesta entità. Consideriamo alcuni esempi.
FIG. 6.1./29
EA
δ=
E poiché, sempre per la (2), si ha h =
2 δ= 3
1
e sostituendo la (4):
Con la (2) si ha: mh2 = N0 Sostituendo si ha: h 2 1 ( N0h – mh2 · )= 3 3 EA
1 (N0 –cpy) EA
Integrando tra 0 e h si ha:
1 m · h3 (N0h – ) 3 EA
δ=
(4)
Alla generica quota y il carico residuo agente sul tratto di palo sottostante vale:
Integrando tra 0 e h si ha lo spostamento totale:
dove c è il valore della coesione media tra 0,00 e la quota y. Vediamo ora le relazioni che legano il carico agente N0 sulla testa del palo con le caratteristiche geometriche del palo stesso (perimetro, area, lunghezza), la qualità del conglomerato (modulo elastico E ) e le caratteristiche del terreno (peso specifico e coesione).
= 27,95 m
2 300 · 27,95 ·10–6 = 3541 · 10–6 m = 3,541 mm 3 0,55 · 2,87
N0 – N (y) = N0 – my2
δ=
0,384
SECONDO CASO: SOLA COESIONE
λα
τ (y) = c + 0,18 · γt · y
300
h=
= (0,09γt · p) · y2 (1)
Indicando con N0 il carico agente sulla testa-palo, l’altezza h interessata è data dalla condizione:
ϕ
Come si vede la variazione è modesta: prudenzialmente si può assumere λa · tang ϕ = 0,18 per qualsiasi terreno con 20° ≤ ϕ ≤ 40° Se il terreni tra la testa-palo e il livello y hanno anche coesione, la resistenza tangenziale si può assumere come data da:
·10–6 = 1927 · 10–6 m = 1,927 mm
0,55 · 2,87
N0 = 300 t
dN = 0,18 · γt · p · y dy
N (y) = ∫ dN = (0,18γt · p)
e vediamo come esso varia al variare dell’angolo d’attrito ϕ, tenendo conto che per i terreni esso varia tra un minimo di 20° e un massimo di 45° (Tab. D.6.1./8). TAB. D.6.1./8 VARIAZIONE DEL COEFFICIENTE λa · tang ϕ
δ=
h = 22,82m
Indicando con p il perimetro del palo si ha:
y
ϕ ) 2
2 100 · 16,13 · 10–6 = 681 · 10–6 m = 0,681 mm 3 0,55 · 2,87
N0 = 200 t
Per qualsiasi angolo ϕ tale che 20° ≤ ϕ ≤ 40° si può assumere:
λa · tang ϕ = 0,18
Se l’elemento p · dy tende a spostarsi secondo la direzione y, a causa dell’attrito tra palo e terra, si sviluppa un’azione resistente il cui valore è dato da:
λa = tang2 (45°–
δ=·
σa (y) = γt · y · λa
100 = 39,73 t/m 2,513
Per h = 20 m si ha:
c=
39,73 = 1,98 t/m2 ≅ 0,2 kg/cm2 20
Siano dati e per la (5):
γ = 1,7 t/m3
D = 0,80 m
δ=
p = 0,80 · 3,141 = 2,513 m
y h (altezza interessata)
A = 0,5 · 1,1 = 0,55 m2 (tenendo conto dell’armatura) E = 2,87 · 106 t/m2
dy τ
σa
TERZO CASO: RESISTENZA PER COESIONE E ATTRITO
abbiamo:
m = 0,09 · 1,7 · 2,513 · 0,384 t/m2 N0 = 100 t
D 234
100 · 20 · 10–6 = 633,5 · 10–6 m → 0,633 mm 2,87 · 0,55 · 2
h=
100 0,384
= 16,13 m
Supponiamo che nel tratto 0 ≤ y = h risultino costanti i valori di γt e c. La resistenza tangenziale unitaria è uguale a:
c + γt (λa · tang ϕ) y = c + 0,18 · γt · y
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
OPERE DI FONDAZIONE INDAGINI GEOTECNICHE •
D.6. 1. A.ZIONI
Per l’area elementare p · dy si ha la resistenza elementare:
Dalla (6) abbiamo:
dN = (p · c + p · 0,18 · γ t y) dy
(pc) =
Integrando tra 0 e h si ottiene:
N0 = (p · c) · h +mh
(6)
con m = 0,09 · p · gt Se sono noti i valori p, c, γt si può determinare la lunghezza h interessata da N0 risolvendo l’equazione di II° grado in h rappresentata dalla: Determiniamo ora l’entità della deformazione: h=
N0 – mh h
(6a)
EA δ 0,015 γt p h 3
sostituendo abbiamo:
2
– (pc) +
FIG. D.6.1./30 RESISTENZA PER COESIONE E ATTRITO
3 2 δ = 1 [N0h – (pc) h – mh ] 2 3 EA
EA · δ = [N0h – ( = [ N0h –
(pc)2 + 4mN0 2m
N0
– mh)
h
N0h 2
h2
–
2 +
mh3 2
–
3 mh3 3
h
]
EA · δ = N0
Disegnata la legge di variazione di 0,015gt
N0h 2
La deformazione unitaria vale:
ε=
EA
=
[N0 – (pc)y –
N0 EAδ = h + 0,09 γt ph3 6 2
EA
Integrando tra 0 e h si ha:
δ=
1 EA
[N0 h – (pc)
2
–
mh3
(7a)
3
]
EAδ – N0
h = 0,015 · γ · p · h3 t 2
ph3
e la retta
(Fig. D.6.1./30) se dal punto A corrispondente
alla deformazione misurata sulla testa-palo tracciamo la parallela alla retta, individuiamo il punto B e quindi la lunghezza del palo interessata dal carico N0 . Dalla (7) si ricava:
Tale relazione si può porre nella forma:
h2
E.NTROLLO
(7)
Ricordando che m = 0,09 gt p si ha:
my2]
PRO TTURALE STRU
No h 2
h mh3 + 2 6
N (y) = N0 – (p · c) y + my2
N(y)
D.GETTAZIONE
h
e quindi:
Se N0 è il carico sulla testa-palo, il carico agente sulla porzione residua di palo, al livello y è dato da:
(8)
c=
N0 ph
–
mh p
=
I ED PRE NISM ORGA
E ESE ESSIONAL PROF
B
]=
B.STAZIONI DILEGIZLII C.RCIZIO
A
mh3
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
N0 ph
– 0,09gth
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TIVI D.1. TI NORMA T ASPE ICI SPECIF
MODALITÀ DI ESECUZIONE DELLA PROVA E INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI Per prima cosa è bene che il palo abbia un diametro non superiore a 60 cm Per diametri maggiori, i carichi di prova diventerebbero molto elevati, con aumento del costo relativo. È bene che durante l’esecuzione del getto venga effettuato un prelievo di due cubetti per la prova del comglomerato, da effettuare uno o due giorni prima della prova stessa, per valutare il valore del modulo elastico. Prima della prova è bene costruire un diagramma del tipo riportato nella Fig. D.6.1./31 che, a titolo di esempio, è in questo caso relativo a un palo di 60 cm di diametro, con πD2 armatura dell’otto per mille [A = · (1 + 15 · 8 ) ≅ 0,32m2] e con modulo elastico 1000 4
Ec = 18000 √ 250 = 284000 kg/cm2. La scala delle ordinate, espresse in tonn · m si ottiene imponendo la condizione δ = 1 mm. Si ha: E·A·
8
1000
= 2840000 · 0,32 ·
1 ≅ 900 tm 1000
La curva “a” rappresenta la legge di variazione della quantità 0,15γt · p · h3 dove si è assunto γt = 1,8 t/m3, p = 0,6π = 1,885 m. Nelle ordinate relative alla parte superiore, conviene valutare i carichi in funzione della deformazione. Ad esempio, nel nostro caso, se assumiamo δ = 1mm = 10–3m, esprimendo tutto in tonn e m si ha E · A · δ = 2840000 · 0,32 · 10–3 = 908 tonn. Abbiamo pertanto, per δ = 1 mm, un valore di circa 900 tonn. Supponiamo che per il carico di prova di 100 tonn si ha una deformazione di δ = 1mm. Tracciando la parallela alla retta corrispondente a 100 tonn, partendo dal valore di deformazione di 1 mm = 900 tm, il punto di intersezione con la curva relativa individuerà l’altezza h mobilitata. Per controllo si può sostituire il valore h nella formula (7a) riscontrando se il prodotto E · A · δ corrisponde al valore di ≅ 900. Se tale valore corrisponde in modo soddisfacente, si può ricavare il valore della coesione convenzionale dalla (6a):
TO D.2. ORTAMEN COMPATERIALI DEI M
Caso di un palo con D = 0,6 m
p = 1,885m
γt = 1,8t/m3
A = 0,32m2
E · A · δ – N · h = 0,015 · γt · p · h3 = 0,048 · h3 2 N C= – 0,09 · γt · h = (0,53 · N – 0,162 · h) t/m3 ph h FIG. D.6.1./31 CASO DI UN PALO CON D = 0,6 m
TI, MERA D.3. , CONGLO E T L MA I ACCIA D.4. DI STATI CITAZIONE SOLLE D.5. TURE T STRU
PALO D = 0,6 m (EAδ) tm δ mm
E ZION D.6. DI FONDA E R E P O
3300 2700 3,00 2100 2,30 1500 1,60 900 1,00
a (h)
300 5
10
15
20
h 25
600 c=
N0 h
– 0,09 · γt · h
50 t 1200 100 t
Aumentando ulteriormente il carico e portandolo, ad esempio a 200 tonn, operando in termini identici a quanto già esposto, possiamo ricavare sulla base della deformazione δ relativa, il nuovo valore convenzionale relativo al nuovo valore di altezza h determinato. Si possono così valutare anche incrementi o decrementi di coesione nei successivi strati attraversati.
1800 150 t 2400 3000
200 t
HE ECNIC 1. D.6. INI GEOT G A IND
D 235
E. CONTROLLO AMBIENTALE
E.1. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • CONTESTO AMBIENTALE BENESSERE TERMOIGROMETRICO GENERALITÀ Il corpo umano ha, dal punto di vista termico, un’esigenza fondamentale: mantenere la sua temperatura interna molto stabile, su valori di 37± 0,5°C. Allo stesso tempo il corpo produce costantemente calore, come risultato della sua attività metabolica. Per conseguire il primo obiettivo, il corpo deve quindi cedere all’ambiente questa quantità di calore: non di più, altrimenti la sua temperatura interna diminuirebbe, non di meno, altrimenti essa crescerebbe. Definiamo equilibrio termico la condizione in cui il corpo riesce, facendo eventualmente ricorso ai suoi meccani-
smi di autoregolazione a eguagliare i termini positivi e negativi relativi alla produzione interna di calore e agli scambi di calore con l’ambiente. Definiamo neutralità termica la condizione in cui il soggetto non richiede né più caldo né più freddo. Definiamo benessere termoigrometrico la condizione mentale che esprime soddisfazione nei confronti dell’ambiente termico. La condizione per cui si abbia la più alta percentuale di persone che esprimono un giudizio di benessere è definita di benessere ottimale.
L’equilibrio non coincide con la neutralità: il corpo può riuscire a mantenere l’equilibrio termico, ma a spese di autoregolazioni che danno sensazioni spiacevoli. Anzi, la spiacevolezza delle sensazioni è proprio un segnale, un indicatore della “fatica” che il corpo sta facendo per mantenere l’equilibrio. A sua volta, la neutralità è un concetto più ampio del benessere: si può essere in condizioni di neutralità senza essere in condizioni di benessere, a esempio in caso di forti asimmetrie spaziali nel campo termico.
Con il secondo, il corpo controlla la quantità di acqua che può affluire verso la cute, ove può evaporare, così asportando calore dal corpo. Indichiamo questo termine (livello di traspirazione) con Esw . Le sensazioni di caldo e di freddo sono proprio legate ai valori che, per effetto dell’autoregolazione, assumono ts e Esw . In altri termini, il corpo reagisce automaticamente alle condizioni ambientali agendo su ts e Esw , ma controlla questi valori mediante le terminazioni nervose, inviando al cervello messaggi di “allarme”, ovvero di
fastidio, tanto più intensi quanto più lontani dal “normale” sono questi valori. Da estesi studi sperimentali su un vasto campione di persone sono stati determinati i valori di ts e Esw cui corrispondono sensazioni di benessere. Si è trovato che tali valori dipendono solo dal livello di attività, nel senso che all’aumentare di questa il corpo richiede temperature cutanee decrescenti e livelli di traspirazione crescenti per provare sensazioni di benessere.
Il corpo scambia calore con l’ambiente in vari modi. I diversi termini, Qi, che rappresentano tali scambi di calore nell’unità di tempo possono essere espressi analiticamente, in funzione delle variabili che intervengono a governare i diversi tipi di scambio. Queste variabili sono di tipo ambientale (temperatura dell’aria e delle superfici, contenuto di umidità dell’aria, velocità dell’aria) e di tipo operativo, cioè legate agli occupanti: tipo di attività e abbigliamento. La somma di tutti i termini Qi deve dare risultato zero perché il corpo si trovi in condizioni di equilibrio (equazione di equilibrio termico). Ma, come detto, questa è una condizione necessaria, ma non sufficiente perché il corpo si trovi in condizioni di benessere. P.O. Fanger ha sviluppato un metodo in cui l’equazione viene scritta imponendo che ts e Esw assumano i valori ottimali, ovvero quelli che assumerebbero se non fosse necessario attivare nessun meccanismo di autoregolazione. In questo modo l’equazione darà un risultato, S, diverso da zero, a meno che le condizioni ambientali e operative non siano proprio tali da risultare di benessere. Questo valore diverso da zero, che viene definito sollecitazione termica, esprime il calore netto che verrebbe perso, o guadagnato, nell’unità di tempo, se non venisse attivata l’autoregolazione, ovvero se il corpo “pensasse” solo a mantenere le sensazioni piacevoli, permettendo variazioni della temperatura interna. Fanger è riuscito a correlare la sollecitazione termica con il giudizio che le persone danno delle qualità ambientali, espresse mediante un sistema basato sul Voto Medio Previsto (VMP), cui si può legare la percentuale di persone che si dichiarerebbe insoddisfatta nei confronti dell’ambiente. Riepilogando, se si intende valutare la confortevolezza di un ambiente dato, il metodo di Fanger prevede i seguenti passi: • definire i valori di ts e Esw che forniscono sensazioni di benessere;
Il metodo di Fanger si può anche usare per definire le condizioni di benessere, ovvero quelle combinazioni di valori dei parametri ambientali e operativi che assicurano il benessere ottimale. Queste combinazioni saranno, chia-
ramente, tutte quelle per le quali la somma dei termini Qi , calcolati con i valori di ts e Esw detti sopra, risulterà uguale a zero. In questo modo, infatti, sarebbero assicurati sia l’equilibrio termico, che la sensazione di benessere.
• calcolare analiticamente tutti i termini Qi , che dipendono dai parametri ambientali e operativi, oltre che da ts e Esw;
Gli indumenti intervengono nel regolare il flusso di calore tra cute e superficie esterna del corpo vestito, in quanto presentano una resistenza termica, Rcl , che viene solitamente espressa mediante una grandezza adimensionale, Icl , indice di abbigliamento, data da: Rcl /0,155, e viene espressa in un’unità di misura chiamata clo. Il valore 0.155 (m2K)/W è quello corrispondente al tipico abbigliamento invernale interno. L’indice Icl risulta pertanto uguale a 1 clo per tale abbigliamento, mentre è uguale a zero per il corpo nudo. Altri valori sono riportati in Tab. E.1.1./2. Un altro effetto del vestiario è quello di far aumentare la superficie di scambio del calore, sia per convezione che per irraggiamento. Si definisce quindi un’area del corpo vestito, Acl , ottenuta moltiplicando l’area del corpo, Adu , per un fattore di abbigliamento, fcl , dato in Tab. E.1.1./2.
MECCANISMI DI AUTOREGOLAZIONE I fondamentali meccanismi di autoregolazione di cui il corpo dispone per adattarsi alle mutevoli condizioni termiche ambientali sono: a) la variazione di sezione dei vasi che portano il sangue alla pelle; b) la variazione di sezione dei pori. Mediante il primo, il corpo regola l’afflusso di sangue ai tessuti cutanei, e quindi il calore che esso trasporta. Di conseguenza, la temperatura media cutanea, ts , varia.
METODO DI FANGER
• sommare i Qi e calcolare pertanto la sollecitazione termica, S; • ricavare da S il Voto Medio Previsto per l’ambiente; • definire su questa base la percentuale di insoddisfatti per le condizioni ambientali.
E2
EQUAZIONE DI BILANCIO TERMICO L’equazione dell’equilibrio termico, riferita all’unità di tempo, può essere posta nella forma:
H – Ed – Esw – Ere – L = K = R + C I diversi termini dell’equazione hanno questo significato:
H Calore interno da dissipare; Ed Perdite di calore latente per diffusione del vapore Esw Ere L K R C
d’acqua attraverso la pelle; Perdite di calore latente per traspirazione; Perdite di calore latente per respirazione; Perdite di calore sensibile per respirazione; Calore condotto attraverso gli indumenti; Calore scambiato per irraggiamento; Calore scambiato per convezione.
CALORE INTERNO DA DISSIPARE, H Il corpo “consuma” nell’unità di tempo una quantità di energia che chiamiamo M o calore metabolico (anche chiamato energia metabolica o tasso metabolico), una parte del quale si converte in potenza meccanica (W) e il resto in calore da dissipare (H): M = H + W. Chiamiamo rendimento il rapporto η = W/M (compreso tra 0 e 20%). Sarà quindi:
H = (1 – η) M M e η dipendono dal tipo di attività. Inoltre M varia sen-
sibilmente da persona a persona a causa della diversa corporatura. Valori più uniformi si hanno se ci si riferisce alla superficie cutanea, Adu , che si può calcolare mediante l’espressione
Adu = 0.202 m
0.425
h
0.725
dove m è il peso corporeo in kg e h l’altezza in m. Valori tipici di M/Adu (a volte espressa in met, dove 1 met = 58 W/m2, che corrisponde al valore medio per persona seduta e inattiva) e η per attività diverse sono riportati in Tab. E.1.1./1.
ABBIGLIAMENTO
L’anti-codice del linguaggio architettonico moderno (e antico-valido, cioè attuale) si articola in “sette invarianti”
CONTROLLO AMBIENTALE • CONTESTO AMBIENTALE BENESSERE TERMOIGROMETRICO
E.1. 1. A.ZIONI
TAB. E.1.1./1 CALORE METABOLICO E RENDIMENTO PER DIVERSE ATTIVITÀ ATTIVITÀ
Icl (CLO)
fcl
Nudi
0,0
1,0
Pantaloni corti
M/Adu (MET)
M/Adu (W/m2)
H
ABBIGLIAMENTO
Sonno
0,7
41
0,0
Riposo semisdraiati
0,8
47
0,0
Seduti, tranquilli
1, 0
58
0, 0
In piedi, rilassati
Cammino in piano con velocità:
Cammino in salita 5% con velocità: Cammino in salita 25% con velocità: Lavoro di falegnameria:
1,2
70
0,0
3,2 km/h
2,0
116
0,0
4,0 km/h
2,4
139
0,0
4,8 km/h
2,6
151
0,0
5,6 km/h
3,2
186
0,0
6,4 km/h
3,8
220
0,0
1,6 km/h
2,4
139
0,07
3,2 km/h
4,0
232
0,1
6,4 km/h
6,1
354
0,1
1,6 km/h
3,6
209
0,2
3,2 km/h
6,7
389
0,2
sega elettrica
1,8 – 2,2
104 – 128
00
sega a mano
4,0 – 4,8
232 – 278
0,1 – 0,2
pialla
5,6 – 6,4
325 – 371
0,1 – 0,2
Martello pneumatico
3,0 – 3,4
174 – 197
0,0 – 0,1
Lavoro in fonderia
5,0 – 7,0
290 – 406
0,1 – 0,2
Meccanico automobili
2,2 – 3,0
128 – 174
0,0 – 0,1
Pulizia della casa
2,0 – 3,4
116 – 197
0,0 – 0,1
Lavare e stirare
2,0 – 3,6
116 – 209
0,0
1,6
93
0,0
1,6 – 2,0
93 – 116
0,0
Lavare le stoviglie Cucinare
Guidare:
auto (traffico leggero)
1,0
58
0,0
auto (traffico pesante)
2,0
116
0,0
moto
2,0
116
0,0
camion
3,2
186
0,1
Lavoro in negozio
2,0
116
0,0 – 0,1
Insegnamento
1,6
93
0,0
Scrivere a macchina elettrica
1,0
58
0,0
Scrivere a macchina meccanica
1,2
70
0,0
1,0
0,3 – 0,4
1,05
Tenuta maschile estiva (pantaloni lunghi leggeri, camicia a maniche corte, calze e scarpe)
0,5
1,1
Tenuta da lavoro leggera (Pantaloni da lavoro, camicia di cotone, calze scarpe)
0,6
Tenuta militare da fatica (Biancheria leggera, pantaloni e camicia di cotone, calze, scarponi)
0,7
1,1
CO NTALE AMBIE
Vestito maschile (Pantaloni e giacca, camicia e cravatta, biancheria, calze e scarpe)
1,0
1,15
F. TERIALI,
Vestito maschile + impermeabile di cotone
1,5
1,15
Tenuta sportiva (Pantaloni e camicia di cotone, T-shirt, calze, scarpe e giubbetto)
0,9
1,15
Vestito maschile pesante (Pantaloni, gilet e giacca, camicia e cravatta, maglia a maniche lunghe, calze di lana, scarpe)
1,5
1,15 – 1,20
Vestito maschile pesante + cappotto
2,0
Tenuta polare
0,8
70
0,0 0,0
Lavoro di ufficio generico
1,1 – 1,3
64 – 75
0,0
Attività di laboratorio
1,4 – 1,8
81 – 104
0,0
Spingere una carriola da 57 kg a 4,5 km/h
2,5
145
0,2
Spostamento di sacchi da 50 kg
4,0
232
0,2
4,0 – 6,0
232 – 348
0,1 – 0,2
termini
leggero
2,0 – 2,4
116 – 139
0,0 – 0,1
pesante
3,5 – 4,5
203 – 261
0,0 – 0,1
Ballo
2,4 – 4,4
139 – 255
0,0
Ginnastica
3,0 – 4,0
174 – 232
0,0 – 0,1
Tennis singolo
3,6 – 4,6
209 – 267
0,0 – 0,1
Pallacanestro
5,0 – 7,6 7,0 – 8,7
290 – 441 406 – 505
0,0 – 0,1
H Ed Ere L K R C
TEMPERATURA MEDIA RADIANTE, Tmr È definita come la temperatura, in gradi Kelvin, che dovrebbe avere un corpo nero che circondasse interamente la persona per dar luogo allo stesso flusso di calore che si ha nella situazione reale. Calcolo della temperatura media radiante In primissima approssimazione, si può usare l’espressione:
Tmr =
n
∑ i=1
Ai ·T 4 Atot i
ovvero usare, come “peso” della temperatura i-esima, il rapporto tra la superficie i-esima, Ai, e la superficie totale “vista” dal corpo Atot, che è la somma di tutte le Ai.
Questa approssimazione è accettabile solo nel caso di posizione centrale del corpo nell’ambiente, e di ambiente con dimensioni poco diverse tra loro. La Tmr si può misurare mediante il termometro a globo, costituito da un termometro posto dentro una sottile sfera metallica di 15 cm di diametro, verniciata con pittura di emissività 0,95.
ALTRE VARIABILI I vari termini dell’equazione di bilancio termico dipendono dalle seguenti altre variabili: • il contenuto di vapore d’acqua nell’aria, che si può descrivere mediante la pressione parziale del vapore, Pa, o mediante l’umidità relativa, u • la temperatura dell’aria, Ta • la velocità dell’aria, v.
1,3
1,1
1,05
TAB. E.1.1./3 TERMINI DELL’EQUAZIONE DI EQUILIBRIO TERMICO E GRANDEZZE DA CUI DIPENDONO DEFINIZIONE
D.GETTAZIONE
1,1
3,0 – 4,0 1,3 – 1,5
Tenuta femminile estiva (Gonna e camicia di cotone, biancheria, sandali)
64 – 75
E ESE ESSIONAL PROF
E.NTROLLO
1,0
1,2
C.RCIZIO
PRO TTURALE STRU
Tenuta femminile invernale (Gonna di lana, camicia di cotone, golf, calze, stivali, biancheria)
1,1 – 1,3
Lotta
I ED PRE NISM ORGA
0,1
Disegnare
Lavoro in industria meccanica:
B.STAZIONI DILEGIZLII
Tipica tenuta tropicale (pantaloni corti, camicia a maniche corte, calzini e sandali)
Contabilità
Spalare e zappare
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. E.1.1./2
GRANDEZZE
calore da dissipare M, h calore latente per diffusione Pa calore latente per respirazione M, Pa calore sensibile per respirazione M, Ta Icl calore trasmesso attraverso i vestiti calore scambiato per irraggiamento fcl, Tmr calore scambiato per convezione v, fcl, Ta
RIEPILOGO Ognuno dei termini della equazione del bilancio termico può essere espresso analiticamente in funzione delle varie grandezze da cui dipende. Se si impongono i valori della temperatura cutanea e del livello di traspirazione corrispondenti al benessere seguendo l’impostazione di Fanger, le grandezze da cui dipendono i vari termini dell’equazione sono quelli indicati nella Tab. E.1.1./3. In definitiva il benessere dipende da 8 grandezze: • 4 che caratterizzano l’ambiente (variabili ambientali): Ta , Tmr , pa , v. • 4 che caratterizzano l’utenza (variabili operative) riconducibili a 2 condizioni: il tipo di attività da cui dipendono M e η, e l’abbigliamento, da cui dipendono Icl e fcl .
o principi o costanti: 1) elenco dei contenuti e delle funzioni; 2) asimmetria e dissonanze; 3) tridimensionalità
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. E.1.1SERE RICO S BENE IGROMET O TERM
E3
E.1. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • CONTESTO AMBIENTALE BENESSERE TERMOIGROMETRICO ➦ METODO DI FANGER Spesso si usa l’espressione semplificata:
TEMPERATURA OPERATIVA, Top A volte, per ridurre il numero delle variabili, si raggruppano la temperatura dell’aria e quella media radiante in un’unica grandezza, detta temperatura operativa, Top.
Si può ricavare come media pesata di Ta e Tmr, i pesi essendo i fattori di convezione e di irraggiamento:
dove A è fornito dalla seguente Tabella in funzione della velocità dell’aria, v, in [m/s]. Come si vede dalla v < 0,2 0,2–0,6 0,6–1,0 Tabella, nel caso, abbastanza freA 0,5 0,6 0,7 quente, che T a e Tmr differiscano di poco (meno di 4°C) e che la velocità dell’aria sia piccola (< 0,2 m/s), Top si può ricavare come semplice media aritmetica di Ta e Tmr:
Top = (hc Ta + hr Tmr)/(hc + hr)
Top = (Ta+ Tmr)/2
Questa è definita come la temperatura uniforme di una cavità nera in cui un soggetto scambierebbe la stessa quantità di calore per irraggiamento e per convezione che scambia nell’ambiente reale non uniforme.
In caso di contatto diretto cute-superfici, come si può avere camminando scalzi, si definiscono intervalli di temperature accettabili per i pavimenti, che dipendono dal materiale di cui è fatto il pavimento. TAB. E.1.1./4 INTERVALLI DI TEMPERATURA ACCETTABILI PER PAVIMENTI DI DIVERSI MATERIALI Acciaio Calcestruzzo Linoleum Legno
29-32 27-34 24-35 17-39
TAB. E.1.1./6 VMP LIVELLO DI ATTIVITÀ: 81,2 W/m2 (1,4 met) – UMIDITÀ RELATIVA: 50%
TAB. E.1.1./5 VMP LIVELLO DI ATTIVITÀ: 58 W/m2 (1 met) – UMIDITÀ RELATIVA: 50%
E4
CONTATTO DIRETTO CON SUPERFICI
Top = A Ta + (1–A) Tmr
Icl [clo]
Top [°C]
0
26 27 28 29 30 31 32 33
< 0,10 –1,62 –1,00 –0,39 0,21 0,80 1,39 1,96 2,50
0,10 –1,62 –1,00 –0,42 0,13 0,68 1,25 1,83 2,41
0,15 –1,96 –1,36 –0,76 –0,15 0,45 1,08 1,71 2,34
Va [m/s] 0,20 0,30 –2,34 –1,69 –1,05 –0,39 0,26 0,94 1,61 2,29
0,25
24 25 26 27 28 29 30 31
–1,52 –1,05 –0,58 –0,12 0,34 0,80 1,25 1,71
–1,52 –1,05 –0,61 –0,17 0,27 0,71 1,15 1,61
–1,80 –1,33 –0,87 –0,40 0,07 0,54 1,02 1,51
–2,06 –1,57 –1,08 –0,58 –0,09 0,41 0,91 1,43
–2,47 –1,94 –1,41 –0,87 –0,34 0,20 0,74 1,30
–2,24 –1,67 –1,10 –0,53 0,04 0,61 1,20
–2,48 –1,89 –1,29 –0,70 –0,10 0,50 1,12
–2,66 –1,97 –1,28 –0,58 0,11 0,83
0,50
23 24 25 26 27 28 29 30
–1,10 –0,72 –0,34 0,04 0,42 0,80 1,17 1,54
–1,10 –0,74 –0,38 –0,01 0,35 0,72 1,08 1,45
–1,33 –0,95 –0,56 –0,18 0,20 0,59 0,98 1,37
–1,51 –1,11 –0,71 –0,31 0,09 0,49 0,90 1,30
–1,78 –1,36 –0,94 –0,51 –0,08 0,34 0,77 1,20
–1,99 –1,55 –1,11 –0,66 –0,22 0,23 0,68 1,13
–2,16 –1,70 –1,25 –0,79 –0,33 0,14 0,60 1,06
–2,22 –1,71 –1,19 –0,68 –0,17 0,34 0,86
0,75
21 22 23 24 25 26 27 28
–1,11 –0,79 –0,47 –0,15 0,17 0,49 0,81 1,12
–1,11 –0,81 –0,50 –0,19 0,12 0,43 0,74 1,05
–1,30 –0,98 –0,66 –0,33 –0,01 0,31 0,64 0,96
–1,44 –1,11 –0,78 –0,44 –0,11 0,23 0,56 0,90
–1,66 –1,31 –0,96 –0,61 –0,26 0,09 0,45 0,80
–1,82 –1,46 –1,09 –0,73 –0,37 0,00 0,36 0,73
–1,95 –1,58 –1,20 –0,83 –0,46 –0,08 0,29 0,67
–2,36 –1,95 –1,55 –1,14 –0,74 –0,33 0,08 0,48
1,00
20 21 22 23 24 25 26 27
–0,85 –0,57 –0,30 –0,02 0,26 0,53 0,81 1,08
–0,87 –0,60 –0,33 –0,07 0,20 0,48 0,75 1,02
–1,02 –0,74 –0,46 –0,18 0,10 0,38 0,66 0,95
–1,13 –0,84 –0,55 –0,27 0,02 0,31 0,60 0,89
–1,29 –0,99 –0,69 –0,39 –0,09 0,21 0,51 0,81
–1,41 –1,11 –0,80 –0,49 –0,18 0,13 0,44 0,75
–1,51 –1,19 –0,88 –0,56 –0,25 0,07 0,39 0,71
–1,81 –1,47 –1,13 –0,79 –0,46 –0,12 0,22 0,56
1,25
16 18 20 22 24 26 28 30
–1,37 –0,89 –0,42 0,07 0,56 1,04 1,53 2,01
–1,37 –0,91 –0,46 0,02 0,50 –1,37 –0,89 –0,42
–1,51 –1,04 –0,57 –0,07 0,43 0,93 1,43 1,93
–1,62 –1,14 –0,65 –0,14 0,37 0,88 1,40 1,91
–1,78 –1,28 –0,77 –0,25 0,28 0,81 1,34 1,88
–1,89 –1,38 –0,86 –0,32 0,22 0,76 1,31 1,85
–1,98 –1,46 –0,93 –0,38 0,17 0,72 1,28 1,83
–2,26 –1,70 –1,14 –0,56 0,02 0,61 1,19 1,77
1,50
14 16 18 20 22 24 26 28
–1,36 –0,94 –0,52 –0,09 0,35 0,79 1,23 1,67
–1,36 –0,95 –0,54 –0,13 0,30 0,74 1,18 1,62
–1,49 –1,07 –0,64 –0,22 0,23 0,68 1,13 1,58
–1,58 –1,15 –0,72 –0,28 0,18 0,63 1,09 1,56
–1,72 –1,27 –0,82 –0,37 0,10 0,57 1,04 1,52
–1,82 –1,36 –0,90 –0,44 0,04 0,52 1,01 1,49
–1,89 –1,43 –0,96 –0,49 0,00 0,49 0,98 1,47
–2,12 –1,63 –1,14 –0,65 –0,14 0,37 0,89 1,40
0,40
0,50
1,00
Icl [clo]
Top [°C]
0
24 25 26 27 28 29 30 31
< 0,10 –1,14 –0,72 –0,30 0,11 0,52 0,92 1,31 1,71
0,10 –1,14 –0,72 –0,30 0,11 0,48 0,85 1,23 1,62
0,15 –1.35 –0.95 –0.54 –0.14 0.27 0.69 1.10 1.52
Va [m/s] 0,20 0,30 –1.65 –1.21 –0.78 –0.34 0.10 0.54 0.99 1.45
0,25
22 23 24 25 26 27 28 29
–0,95 –0,63 –0,31 0,01 0,33 0,64 0,95 1,26
–0,95 –0,63 –0,31 0,00 0,30 0,59 0,89 1,19
–1,12 –0,81 –0,50 –0,18 0,14 0,45 0,77 1,09
–1,33 –0,99 –0,66 –0,33 0,01 0,34 0,68 1,02
0,50
18 20 22 24 26 28 30 32
–1,36 –0,85 –0,33 0,19 0,71 1,22 1,72 2,23
–1,36 –0,85 –0,33 0,17 0,66 1,16 1,66 2,19
–1,49 –1,00 –0,48 0,04 0,56 1,09 1,62 2,17
0,75
16 18 20 22 24 26 28 30
–1,17 –0,75 –0,33 0,11 0,55 0,98 1,41 1,84
–1,17 –0,75 –0,33 0,09 0,51 0,94 1,36 1,79
1,00
14 16 18 20 22 24 26 28
–1,05 –0,69 –0,32 0,04 0,42 0,80 1,18 1,55
1,25
12 14 16 18 20 22 24 26
1,50
10 12 14 16 18 20 22 24
0,40
0,50
1,00
–1,64 –1,28 –0,92 –0,56 –0,20 0,16 0,53 0,89
–1,90 –1,51 –1,13 –0,75 –0,36 0,02 0,41 0,80
–2,11 –1,71 –1,31 –0,90 –0,50 –0,10 0,31 0,72
–2,38 –1,91 –1,45 –0,98 –0,51 –0,04 0,43
–1,66 –1,14 –0,61 –0,07 0,48 1,03 1,58 2,16
–1,93 –1,37 –0,80 –0,22 0,35 0,94 1,52 2,13
–2,12 –1,54 –0,95 –0,34 0,26 0,87 1,48 2,11
–2,29 –1,68 –1,06 –0,44 0,18 0,81 1,44 2,10
–2,15 –1,46 –0,76 –0,07 0,63 1,33 2,05
–1,29 –0,87 –0,45 –0,02 0,42 0,87 1,31 1,76
–1,42 –0,99 –0,55 –0,10 0,35 0,81 1,27 1,73
–1,62 –1,16 –0,70 –0,23 0,25 0,73 1,21 1,70
–1,77 –1,29 –0,82 –0,32 0,17 0,67 1,17 1,67
–1,88 –1,39 –0,91 –0,40 0,11 0,62 1,13 1,65
–2,26 –1,72 –1,19 –0,64 –0,09 0,47 1,02 1,58
–1,05 –0,69 –0,32 0,03 0,39 0,76 1,13 1,51
–1,16 –0,80 –0,43 –0,07 0,31 0,70 1,08 1,47
–1,26 –0,89 –0,52 –0,14 0,25 0,65 1,04 1,44
–1,42 –1,03 –0,64 –0,25 0,16 0,57 0,99 1,40
–1,53 –1,13 –0,73 –0,32 0,10 0,52 0,95 1,37
–1,62 –1,21 –0,80 –0,38 0,05 0,48 0,91 1,35
–1,91 –1,46 –1,02 –0,58 –0,12 0,35 0,81 1,27
–0,97 –0,65 –0,33 –0,01 0,32 0,65 0,99 1,32
–0,97 –0,65 –0,33 –0,02 0,29 0,62 0,95 1,28
–1,06 –0,75 –0,43 –0,10 0,22 0,56 0,90 1,25
–1,15 –0,82 –0,50 –0,17 0,17 0,52 0,87 1,22
–1,28 –0,94 –0,60 –0,26 0,09 0,45 0,81 1,18
–1,37 –1,02 –0,67 –0,32 0,03 0,40 0,77 1,14
–1,45 –1,09 –0,73 –0,37 –0,01 0,36 0,74 1,12
–1,67 –1,29 –0,91 –0,53 –0,15 0,25 0,65 1,05
–0,91 –0,63 –0,34 –0,05 0,24 0,53 0,83 1,13
–0,91 –0,63 –0,34 –0,06 0,22 0,50 0,80 1,10
–1,00 –0,71 –0,43 –0,14 0,15 0,45 0,75 1,06
–1,08 –0,78 –0,49 –0,19 0,11 0,40 0,72 1,03
–1,18 –0,88 –0,58 –0,27 0,04 0,34 0,67 0,99
–1,26 –0,95 –0,64 –0,33 –0,01 0,30 0,63 0,96
–1,32 –1,01 –0,69 –0,37 –0,05 0,27 0,60 0,94
–1,51 –1,17 –0,84 –0,50 –0,17 0,17 0,52 0,87
anti-prospettica; 4) scomposizione quadridimensionale; 5) coinvolgimento strutturale; 6) spazio temporalizzato;
CONTROLLO AMBIENTALE • CONTESTO AMBIENTALE BENESSERE TERMOIGROMETRICO
E.1. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
VOTO MEDIO PREVISTO, VMP La qualità termica di un ambiente può essere espressa con un voto secondo la seguente scala: –3 freddo –2 fresco –1 leggermente fresco 0 neutro +1 leggermente caldo 1 +2 caldo +3 molto caldo Definiamo Voto Medio Previsto (VMP) la media dei voti che un campione rappresentativo di persone esprimerebbe nei confronti di un ambiente. Fanger ha rilevato una correlazione tra il VMP e la sollecitazione termica S, definita in precedenza:
VMP = (0.352 e –0.042M/Adu +0.032)S In altri termini, immettendo nell’equazione di equilibrio i valori delle 8 variabili ambientali e operative non corrispondenti a condizioni di benessere, si ricava il valore del termine S, da cui si ricava, tramite l’equazione, il VMP, ovvero una stima di come le persone giudicherebbero quell’ambiente in quelle condizioni di attività e abbigliamento.
Le Tabelle seguenti (Tab. E.1.1./5-6-7-8) mostrano valori di VMP per diverse combinazioni di valori delle variabili ambientali e operative. In particolare, per quanto riguarda l’attività, ognuna delle quattro Tabelle si riferisce a un livello di attività: 1, 1.4, 2 e 3 met. Per le temperature dell’aria e media radiante si usa la temperatura operativa definita in precedenza. I valori riportati sono stati calcolati usando la procedura suggerita da Fanger fissando il valore della umidità relativa al 50%. I valori in neretto indicano condizioni ambientali accettabili (vedi sotto).
B.STAZIONI DILEGIZLII
VMP E PERCENTUALE DI INSODDISFATTI
D.GETTAZIONE
Esiste una relazione tra VMP e la percentuale di persone che si dichiarerebbero insoddisfatte dell’ambiente. Si considerano insoddisfatti coloro che darebbero voti –2, –3 o +2, +3. Chiamiamo percentuale prevista di insoddisfatti, PPI, tale percentuale. Analiticamente tale legame è dato dalla: 4
2
Graficamente il legame è dato dal grafico di Fig. E.1.1./1. Si vede che anche per un VMP = 0, si ha un 5% di insoddisfatti.
0,10
0,15
18 20 22 24 26 28 30 32
–2,00 –1,35 –0,69 –0,04 0,59 1,16 1,73 2,33
–2,02 –1,43 –0,82 –0,21 0,41 1,03 1,66 2,32
–2,35 –1,72 –1,06 –0,41 0,26 0,93 1,60 2,31
16 18 20 22 24 26 28 30
–1,41 –0,93 –0,45 0,04 0,52 0,97 1,42 1,88
–1,48 –1,03 –0,57 –0,09 0,38 0,86 1,35 1,84
–1,69 –1,21 –0,73 –0,23 0,28 0,78 1,29 1,81
–2,02 –1,50 –0,98 –0,44 0,10 0,65 1,20 1,76
–2,29 –1,74 –1,18 –0,61 –0,03 0,55 1,13 1,72
–2,51 –1,93 –1,35 –0,75 –0,14 0,46 1,07 1,68
–2,61 –1,93 –1,24 –0,54 0,16 0,86 1,57
14 16 18 20 22 24 26 28
–1,08 –0,69 –0,31 0,07 0,46 0,83 1,21 1,59
–1,16 –0,79 –0,41 –0,04 0,35 0,75 1,15 1,55
–1,31 –0,92 –0,53 –0,14 0,27 0,68 1,10 1,51
–1,53 –1,12 –0,70 –0,29 0,15 0,58 1,02 1,46
–1,71 –1,27 –0,84 –0,40 0,05 0,50 0,96 1,42
–1,85 –1,40 –0,95 –0,50 –0,03 0,44 0,91 1,38
–2,32 –1,82 –1,31 –0,81 –0,29 0,23 0,75 1,27
10 12 14 16 18 20 22 24
–1,16 –0,84 –0,52 –0,20 0,12 0,43 0,75 1,07
–1,23 –0,92 –0,60 –0,29 0,03 0,34 0,68 1,01
–1,35 –1,03 –0,70 –0,38 –0,05 0,28 0,62 0,97
–1,54 –1,20 –0,85 –0,51 –0,17 0,18 0,54 0,90
–1,67 –1,32 –0,97 –0,61 –0,26 0,10 0,48 0,85
–1,78 –1,42 –1,06 –0,69 –0,32 0,04 0,43 0,81
–2,14 –1,74 –1,34 –0,95 –0,55 –0,15 0,27 0,68
10 12 14 16 18 20 22 10 14 18 22 26
–0,68 –0,41 –0,13 0,14 0,41 0,68 0,96 –0,33 0,15 0,63 1,11 1,62
–0,75 –0,48 –0,21 0,06 0,34 0,61 0,91 –0,40 0,08 0,57 1,08 1,60
–0,84 –0,56 –0,28 0,00 0,28 0,57 0,87 –0,47 0,03 0,53 1,05 1,58
–0,97 –0,68 –0,39 –0,10 0,20 0,50 0,81 –0,56 –0,05 0,47 1,00 1,55
–1,07 –0,77 –0,47 –0,16 0,14 0,44 0,76 –0,64 –0,11 0,42 0,97 1,53
–1,15 –0,84 –0,53 –0,22 0,09 0,40 0,73 –0,69 –0,15 0,39 0,95 1,52
–1,38 –1,05 –0,72 –0,39 –0,06 0,28 0,62 –0,86 –0,29 0,28 0,87 1,47
12 16 20 24
0,15 0,58 1,01 1,47
0,09 0,53 0,97 1,44
0,05 0,49 0,94 1,43
–0,02 0,44 0,91 1,40
–0,07 0,40 0,88 1,38
–0,11 0,37 0,85 1,36
–0,22 0,28 0,79 1,32
Icl [clo]
Top [°C]
0
0,25
0,50
0,75
1,00
1,25
1,50
Un ambiente è da giudicare in una condizione accettabile dal punto di vista del benessere termo-igrometrico (Bibl. 3) se il VMP è compreso tra –0,5 e + 0,5 valori che corrispondono a una percentuale di insoddisfatti del 10%.
Va [m/s] 0,20 0,30
< 0,10
0,40
0,50
1,00
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
PPI = 100 – 95 exp(–0.03353 VMP + 0,2179 VMP )
CONDIZIONI AMBIENTALI ACCETTABILI TAB. E.1.1./7 VMP LIVELLO DI ATTIVITÀ: 116 W/m2 (2 met) – UMIDITÀ RELATIVA: 50%
I ED PRE NISM ORGA
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TAB. E.1.1./8 VMP LIVELLO DI ATTIVITÀ: 174 W/m2 (3 met) – UMIDITÀ RELATIVA: 50% Va [m/s] 0,20 0,30
Icl [clo]
Top [°C]
0
14 16 18 20 22 24 26 28
–1,92 –1,36 –0,80 –0,24 0,34 0,93 1,52 2,12
–2,49 –1,87 –1,24 –0,61 0,04 0,70 1,36 2,02
12 14 16 18 20 22 24 26
–1,19 –0,77 –0,35 0,08 0,51 0,96 1,41 1,87
–1,53 –1,07 –0,61 –0,15 0,32 0,80 1,29 1,78
–1,80 –1,31 –0,82 –0,33 0,17 0,68 1,19 1,71
–2,02 –1,51 –1,00 –0,48 0,04 0,57 1,11 1,65
–2,21 –1,61 –1,01 –0,41 0,21 0,83 1,45
10 12 14 16 18 20 22 24
–0,78 –0,43 –0,09 0,26 0,61 0,96 1,33 1,70
–1,00 –0,64 –0,27 0,10 0,47 0,85 1,24 1,63
–1,18 –0,79 –0,41 –0,02 0,37 0,76 1,16 1,57
–1,32 –0,92 –0,52 –0,12 0,28 0,68 1,10 1,53
–1,79 –1,34 –0,90 –0,45 0,00 0,45 0,91 1,38
0,75
10 12 14 16 18 20
–0,19 0,10 0,39 0,69 0,98 1,28
–0,34 –0,03 0,27 0,58 0,89 1,20
–0,45 –0,14 0,18 0,50 0,82 1,14
–0,54 –0,22 0,11 0,44 0,77 1,10
–0,83 –0,48 –0,12 0,24 0,59 0,95
1,00
10 14 18 22
0,22 0,73 1,24 1,77
0,12 0,64 1,18 1,73
0,04 0,58 1,13 1,69
–0,02 0,53 1,09 1,67
–0,22 0,38 0,97 1,59
1,25
12 16 20
0,75 1,20 1,66
0,68 1,15 1,62
0,63 1,11 1,59
0,59 1,08 1,57
0,47 0,98 1,50
1,50
10 14 18
0,76 1,17 1,58
0,70 1,12 1,54
0,66 1,09 1,52
0,62 1,06 1,50
0,52 0,98 1,44
0,25
0,50
< 0,10
1,11 1,59
0,10
0,15
0,40
0,50
1,00
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
7) continuità edificio-città-territorio. Sulle ultime sei invarianti avremo occasione di tornare, ma va detto subito
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. E.1.1SERE RICO S BENE IGROMET O TERM
E5
E.1. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • CONTESTO AMBIENTALE BENESSERE TERMOIGROMETRICO METODI SEMPLIFICATI Si basano sulla definizione di grandezze riassuntive delle condizioni ambientali. La più nota è la temperatura efficace, ET (Effective Temperature), definita come la temperatura di un ambiente con Ta = Tmr , Velocità dell’aria v = 0, e umidità relativa del 100%, che fornisce la stessa sensazione termica dell’ambiente in esame. Esistono due nomogrammi uno per abbigliamento leggero, uno per persone nude, che permettono di determinare la ET conoscendo le temperature di bulbo bagnato, Tbb e di bulbo asciutto ta e la velocità dell’aria, v. Se invece Tmr non è uguale a Ta , si possono usare gli stessi grafici, ma entrandovi con Tmr invece che con Ta . In questo caso il valore che si trova è definito temperatura efficace corretta, CET (Corrected Effective Temperature).
Esistono poi dei grafici che presentano delle zone di benessere ovvero degli intervalli delle variabili ambientali cui corrispondono condizioni di benessere. I grafici mostrano anche come queste zone si possono modificare per mezzo di altre variabili ambientali o progettuali. Come esempio si vedano le Fig. E.1.1./2, che presenta la “Bioclimatic Chart” sviluppata da V. Olgyay, e la Fig. E.1.1./3, che presenta la Carta proposta da E. Gonzalez per il clima di Maracaibo, Venezuela. Infine, in Fig. E.1.1./4, si riporta la zona del benessere suggerita dall’ASHRAE.
PPI [ % ]
60 40 30 20
40
50
%
%
% 60
%
%
70
%
0%
90
80
% 30
100 80
20 75 %
FIG. E.1.1./1 CURVA CHE FORNISCE LA PERCENTUALE PREVISTA DI INSODDISFATTI, PPI, IN FUNZIONE DEL VOTO MEDIO PREVISTO, VMP
30
10
PRESSIONE PARZIALE DEL VAPORE [mm Hg]
FIG. E.1.1./3 ZONA DEL BENESSERE PROPOSTA DA E. GONZALEZ, RIPORTATA SUL DIAGRAMMA PSICROMETRICO
16 mm Hg 15
24∞ (TE)
20
10
10%
5
10
%
29∞ 22∞
5 0 -0.5
0
0.5
1.0
1.5
2.0 PMV
15
20
TEMPERATURA DELL'ARIA [ °C ]
40 35 LINEA D'OMBRA V [m/s] 3.5 3 2.5 2 1.5 1 0.5 0.1
20 150 300 450 600 750 900 RADIAZIONE SOLARE [W/m 2]
15 10 5
La zona campita indica la zona di benessere, in un piano temperatura dell’aria in ordinata e umidità relativa in ascissa. Ipotesi: temperatura media radiante uguale alla temperatura dell’aria, velocità dell’aria uguale a 0, attività 1,3 met abbigliamento 0,8 clo. Le curve al di sopra del confine superiore indicano come la temperatura possa aumentare in presenza di velocità dell’aria crescente; le curve al di sotto indicano come la temperatura debba diminuire in caso di esposizione a radiazione solare crescente.
15
10 u=
E6
30
40
30
ESTATE 0
20
50
u=
5
-5
10
40 45 TEMPERATURA [ ∞C ]
INVERNO
0
0
35
FIG. E.1.1./4 ZONA DEL BENESSERE SUGGERITA DALL’ASHRAE, RIPORTATA SUL DIAGRAMMA PSICROMETRICO NEL CASO INVERNALE (abbigliamento 0,9 clo) E NEL CASO ESTIVO (0,5 CLO)
45
25
30
In ordinata si ha la pressione parziale del vapore invece dell’umidità specifica. Ipotesi: abbigliamento estivo, attività 1 met, aria ferma
FIG. E.1.1./2 BIOCLIMATIC CHART DI V. OLGYAY (semplificata)
30
25
u= 70
-1.0
u= 10 0
-1.5
UMIDITA' SPECIFICA [g/kg]
-2.0
50
60
70
80 90 100 UMIDITA' RELATIVA
15
20 25 30 TEMPERATURA DELL'ARIA [°C]
Ipotesi: attività fino a 1.2 met, velocità dell’aria fino a 0.15 m/s
che sono condizionate dalla prima, quella preliminare, sostanziale, ineliminabile. Rispetto alle impostazioni
CONTROLLO AMBIENTALE
CONTESTO AMBIENTALE CONDIZIONI CLIMATICHE
•
E.1. 2. A.ZIONI
RADIAZIONE SOLARE
E = 1367 · 1,267 · 1014 = 1,73 · 1017 W
FIG. E.1.2./1 DISTRIBUZIONE SPETTRALE DELLA RADIAZIONE SOLARE EXTRA-ATMOSFERICA E AL SUOLO DENSITA' DI POTENZA W/m 2 RADIANTE MONOCROMATICA
Il sole invia verso la Terra energia raggiante (onde elettromagnetiche) la cui quantità può essere espressa per mezzo della costante solare. Questa grandezza è definita come la potenza incidente sull’unità di superficie normale alla congiungente SoleTerra, al di fuori dell’atmosfera, alla distanza media tra i due corpi (circa 150 milioni di km). Le misurazioni più recenti indicano per la costante solare un valore pari a 1367 W/m2. La Terra è vista dal Sole come un disco di area apparente pari a 1,267 x 1014 m2; sulla sua superficie giunge quindi, mediamente, una potenza totale che è data dal prodotto della costante solare per tale area:
C.RCIZIO
O3 1500
E ESE ESSIONAL PROF
H2O O2
D.GETTAZIONE
H2 O
1000
PRO TTURALE STRU
500
0
E.NTROLLO
H 2 O, CO2 B
Nell’attraversare l’atmosfera l’energia raggiante solare, per effetto dei gas, del vapor d’acqua, delle goccioline d’acqua (nuvole) e delle particelle solide sospese che costituiscono l’atmosfera, subisce tre modifiche, tra loro connesse:
La consistenza di tali fenomeni dipende dallo spessore dello strato di atmosfera attraversato dalla radiazione e dalla composizione della stessa.
I ED PRE NISM ORGA
H2 O
La distribuzione spettrale di questa radiazione è simile a quella emessa da un corpo nero avente temperatura di circa 5700 K, ed è suddivisa così: circa il 7% nell’ultravioletto, circa il 47% nel campo del visibile, e il restante 46%, nell’infrarosso.
1. una consistente riduzione, dovuta al fatto che la radiazione viene in parte assorbita dall’atmosfera e in parte riflessa verso lo spazio esterno; 2. una variazione della distribuzione spettrale, dovuta al comportamento selettivo di alcuni dei componenti dell’atmosfera (O2, O3, CO2, H2O) (vedi Fig. E.1.2./1); 3. una dispersione nell’atmosfera (scattering) per effetto di riflessioni multiple a causa della quale al suolo, oltre alla radiazione proveniente direttamente dalla direzione del sole (radiazione diretta), giunge anche radiazione proveniente da tutta la volta celeste (radiazione diffusa).
B.STAZIONI DILEGIZLII
A
2000
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
CO NTALE AMBIE
H2 O
0.5
1.0
H2 O , CO 2
2.0
1.5
F. TERIALI,
3.0
A Extra-atmosferica
4.0
LUNGHEZZA D'ONDA
mµ
B Al suolo con massa d'aria = 1 e atmosfera limpida
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
SPESSORE DELL’ATMOSFERA Per definirlo si introduce la massa d’aria (grandezza adimensionale maggiore o uguale a 1) definita come il rapporto tra lo spessore attraversato e lo spessore minimo, corrispondente a radiazione perpendicolare alla superficie terrestre. La massa d’aria dipende dall’altitudine sul livello del mare e dalla posizione del sole nel cielo quindi da valori noti in relazione alla latitudine del luogo, al giorno e all’ora.
COMPOSIZIONE DELL’ATMOSFERA È variabile, sia nel tempo che con la località, in funzione sia delle condizioni meteorologiche, sia della presenza di sostanze disperse (fenomeni di evaporazione pulviscolo, inquinamento). La disponibilità di radiazione solare in una certa località può essere stimata ricorrendo a dati rilevati sperimentalmente in quella stessa località e per un tempo abbastanza lungo da essere rappresentativi delle condizioni locali (almeno dieci anni). Nel nostro Paese sono disponibili dati sperimentali con queste caratteristiche per una trentina di località. L’elaborazione di questi dati ha permesso di ricavare i valori della radiazione solare globale giornaliera media di ciascun mese su superficie orizzontale (kWh/m2giorno o MJ/m2. giorno). Algoritmi basati su complesse correlazioni hanno poi consentito di estrapolare questo tipo di dati per un numero molto elevato di località. Nella Tab. E.1.2./1 si riportano i valori di tale grandezza per cinque località italiane di riferimento.
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS
TAB. E.1.2./1 RADIAZIONE SOLARE GLOBALE GIORNALIERA MEDIA NEL MESE SU SUPERFICIE ORIZZONTALE (MJ/m2. giorno) LOCALITÀ
G
F
M
A
M
G
L
A
S
O
N
D
Milano
5,1
7,8
13,7
17,3
20,4
22,6
22,7
19,5
Bologna
5,2
7,8
13,7
17,3
21,1
23,0
23,3
19,9
14,2
9,8
5,8
4,2
15,0
10,3
6,1
Roma
6,7
9,2
14,1
17,6
21,8
23,5
23,7
4,4
20,6
15,7
11,5
7,5
5,7
Cagliari
7,7
10,6
15,4
18,6
22,3
24,1
Trapani
8,3
11,1
15,6
19,4
22,8
24,2
24,3
21,3
16,6
12,4
8,7
7,0
24,3
21,6
17,0
13,0
9,0
7,5
Fonte: ENEA, Profilo climatico dell’Italia, Volumi 0-7, 1999
L’energia incidente sull’unità di area nell’unità di tempo, (definita densità di potenza ed espressa in W/m2) dipende inoltre dalla giacitura del piano cui appartiene la superficie. Il valore complessivo dell’energia incidente è scomposto nelle componenti diretta e diffusa: • la componente diretta dipende dall’angolo di incidenza (angolo tra normale al piano e direzione della radiazione); il suo valore risulta massimo per angolo di incidenza nullo (radiazione normale); • la componente diffusa dipende dalla frazione di cielo “vista” dalla superficie (si assume infatti che provenga uniformemente da tutta la volta celeste) e quindi dalla sua inclinazione rispetto al piano orizzontale; il suo valore risulta massimo per superficie orizzontale. A queste due componenti, nel caso di superficie non orizzontale, va aggiunta una terza componente, quella riflessa dal terreno, che dipende dal coefficiente medio di riflessione del terreno (detto anche albedo) e dall’angolo di inclinazione della superficie rispetto all’orizzontale (vedi Fig. E.1.2./2).
La potenza totale (detta globale) incidente sulla superficie è data dalla somma delle tre componenti. L’energia incidente in un giorno è data dall’integrale di tale somma esteso all’intera giornata (vedi Fig. E.1.2./3). Come si può vedere, la superficie orizzontale è quella che riceve il massimo di radiazione in estate e il minimo in inverno (valori tipici del rapporto tra massimo e minimo alle nostre latitudini: 1:4-1:5). Da ciò si può ricavare l’indicazione che tale orientamento è particolarmente inadatto per aperture (lucernai) in climi quali i nostri, con inverni freddi ed estati calde. La superficie verticale Sud è quella che riceve il minimo di radiazione in estate e valori prossimi al massimo in inverno. Si tratta quindi della giacitura da preferire ad esempio, per l’orientamento delle finestre o di sistemi solari passivi. L’orientamento Sud con inclinazione di 60° risulta quello cui corrisponde il massimo di energia incidente nei mesi invernali e la massima area sottesa, ovvero il massimo di energia ricevuta nel corso dell’anno. Si tratta quindi dell’orientamento da preferire per sistemi che intendano raccogliere energia durante tutto l’anno, come, ad esempio, sistemi solari attivi per la produzione di acqua calda per uso sanitario. Per tali sistemi si suggerisce, infatti, di adottare una inclinazione pari alla latitudine +10-15°.
accademiche, tutte schematiche, livellatrici, appiattenti, quella moderna inneggia all’individualità, alla
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. E.1.1SERE RICO S BENE IGROMET O TERM E ATICH . E.1.2IZIONI CLIM D N CO
E7
E.1. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE CONDIZIONI CLIMATICHE
•
CONTESTO AMBIENTALE
➦ RADIAZIONE SOLARE FIG. E.1.2./3 ANDAMENTI TIPICI DELLA RADIAZIONE GLOBALE GIORNALIERA MEDIA
FIG. E.1.2./2 RADIAZIONE SOLARE SU SUPERFICIE ORIZZONTALE E SU SUPERFICIE INCLINATA DIRETTA
β = 0°
20
β = 30°
DIFFUSA
β = 45° β = 60°
β = 90°
10 MJ/m 2 giorno
RIF
SA LES
DIFFUSA
G
F
M
A
M
G
L
A
S
O
N
D
G
(per una latitudine di 45° e per cinque giaciture: superficie orizzontale (β = 0°), e superfici rivolte a Sud, e con angoli di inclinazione rispetto all’orizzontale, β, pari a 30°, 45°, 60° e 90°, in funzione dei mesi dell’anno.)
TAB. E.1.2/.2 RADIAZIONE SOLARE GLOBALE GIORNALIERA MEDIA NEL MESE SU SUPERFICIE VERTICALE SUD (MJ/m2. giorno) LOCALITÀ
G
F
M
A
M
G
L
A
S
O
N
D
Milano
6,6
8,7
11,9
10,9
10,0
10,0
11,0
12,4
13,2
12,3
8,4
6,1 7,6
Bologna
7,8
8,9
11,9
10,8
10,0
10,0
10,8
12,1
14,0
12,9
9,9
Roma
10,1
10,4
11,8
10,5
9,6
9,1
9,9
11,9
13,5
13,6
11,8
9,5
Cagliari
10,8
11,0
12,0
10,2
9,3
8,8
9,3
11,4
13,7
14,2
13,1
10,9
Trapani
11,4
11,4
12,1
10,3
8,7
8,1
8,3
10,9
13,7
14,9
13,7
12,1
TAB. E.1.2./3 RADIAZIONE SOLARE GLOBALE GIORNALIERA MEDIA NEL MESE SU SUPERFICIE SUD INCLINATA RISPETTO ALL’ORIZZONTALE DI UN ANGOLO β PARI ALLA LATITUDINE + 15° (MJ/m2. giorno) LOCALITÀ
G
F
M
A
M
G
L
A
S
O
N
D
Milano
7,7
9,1
16,8
16,2
16,5
16,9
18,9
19,5
18,0
13,5
7,4
6,5
Bologna
7,8
10,3
15,0
15,9
16,9
17,5
19,2
19,2
17,4
15,8
8,4
7,2
Roma
10,8
12,7
15,6
15,9
17,8
18,0
19,5
19,3
18,6
17,4
12,2
9,1
Cagliari
11,2
12,9
16,9
17,2
17,8
18,7
19,5
19,7
18,9
17,4
13,1
10,5
Trapani
12,1
13,9
17,0
18,1
18,7
21,7
23,1
20,7
19,7
18,1
13,7
11,4
Fonte: ENEA, Profilo climatico dell’Italia, Volumi 0-7, 1999 e Gruppo Energia Solare, Università di Napoli
DATI CLIMATICI IN ITALIA Nelle Tabelle che seguono sono riportati I principali dati climatici relativi ai capoluoghi di Provincia italiani, tratti dagli otto volumi pubblicati dall’ENEA, Profilo climatico dell’Italia, Volumi 0-7, 1999. I dati riguardano le seguenti grandezze:
Nome del capoluogo e Regione Altitudine [m] sul livello del mare, della stazione di misura dei dati, che non coincide, di solito, con il Municipio, ovvero con il centro cittadino Latitudine e longitudine In gradi sessagesimali, sempre della stazione di misura Gradi-Giorno (GG) della stagione di riscaldamento
Zona climatica: in base al numero di Gradi-Giorno: • zona A: GG ≤ 600 • zona B: 600 < GG ≤ 900 • zona C: 900 < GG ≤ 1400 • zona D: 1400 < GG ≤ 2100 • zona E: 2100 < GG ≤ 3000 • zona F: GG > 3000
Temperature mensili [°C]: • minima media (TmM) • massima media (TMM) • escursione giornaliera media (DT), pari a TMM – TmM • media (TM)
E8
Radiazione solare giornaliera media del mese su superficie orizzontale (H) [MJ/m2-giorno] Profilo climatico Il Profilo climatico è basato sulla classificazione dei mesi in cinque classi: Molto Freddi (Mf), Freddi (F), Confortevoli (Conf), Caldi (C), Molto Caldi (Mc), così definiti: • Molto Freddi: TMM ≤ 19°C, TmM ≤ 0°C e/o TM ≤ 10°C • Freddi: TMM ≤ 19°C, TmM > 0°C e/o TM > 10°C • Confortevoli: 19°C < TMM ≤ 27°C • Caldi: 27°C < TMM ≤ 32°C • Molto Caldi: TMM > 32°C Il Profilo è riassunto in due Tabelle: Nella prima Tabella si riportano i mesi nella riga superiore e la classe di appartenenza in quella inferiore. Ad esempio, per Aosta: Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug Conf
Ago Conf
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
La seconda Tabella contiene il riepilogo delle esigenze di climatizzazione: di riscaldamento (mesi MF + mesi F), di raffrescamento (mesi MC + mesi C), e i mesi che non richiedono interventi (mesi CONF). Ad esempio, sempre per Aosta:
MF F CONF C MC 5 2 5 0 0 RISC: 7 mesi 5 mesi RAFF: 0 mesi
differenziazione (e termina infatti con la settima invariante, proclama di socializzazione). Il compito basilare del
CONTROLLO AMBIENTALE
CONTESTO AMBIENTALE CONDIZIONI CLIMATICHE
•
A.ZIONI
DATI CLIMATICI IN ITALIA AOSTA (VALLE D’AOSTA)
Mesi Gen TmT –3,2 TMM 4,5 DT 7,7 TM 0,6 H 3,4
Feb –0,8 7,0 7,8 3,1 6,1
Mar 2,8 11,5 8,7 7,1 11,9
Latitudine 45°44’ Zona climatica: E Apr 6,5 15,4 8,9 10,9 16,1
Mag 10,5 20,9 10,4 15,7 19,3
Giu 13,6 24,1 10,5 18,8 21,7
Altitudine 536 m s.l.m. Gradi-Giorno 3012
Longitudine 7°19’
Lug 15,8 26,7 10,9 21,3 21,5
Ago 14,3 24,7 10,4 19,5 18,2
Set 12,0 20,8 8,8 16,4 13,5
Ott 6,8 14,5 7,7 10,6 9,4
Nov 1,8 8,4 6,6 5,1 5,4
Dic –1,4 5,5 6,9 2,1 3,6
Profilo climatico Gen Mf
Feb Mf
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug Conf
Ago Conf
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Latitudine 44°54’ Zona climatica: E
Mar 3,7 12,6 8,9 8,1 13,8
Apr 8,0 17,6 9,6 12,8 17,5
Mag 12,4 22,4 10,0 17,4 20,7
Giu 16,2 26,7 10,5 21,4 23,0
Longitudine 8°37’
Lug 18,5 29,5 11,0 24,0 22,8
Ago 17,9 28,6 10,7 23,3 19,6
Set 14,5 24,1 9,6 19,3 14,4
Ott 9,3 16,9 7,6 13,1 9,8
Nov 3,9 9,4 5,5 6,6 5,9
Dic –0,4 4,4 4,8 2,0 4,3
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Mar 3,0 13,1 10,1 8,1 13,8
Latitudine 44°54’ Zona climatica: E Apr 7,1 18,1 11,0 12,6 17,5
Mag 11,3 22,7 11,4 17,0 20,5
Giu 15,5 26,9 11,4 21,2 22,9
Longitudine 8°10’
Lug 17,7 29,6 11,9 23,7 22,7
Ago 16,9 28,2 11,3 22,5 19,5
Set 13,7 24,3 10,6 19,0 14,3
Ott 8,5 17,4 8,9 13,0 9,9
Nov 3,9 10,4 6,5 7,1 6,1
Dic –0,5 5,5 6,0 2,5 4,4
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Mar 3,4 12,1 8,7 7,7 13,1
Latitudine 45°34’ Zona climatica: E
Mar Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug Conf
Ago Conf
Nov 2,9 9,6 6,7 6,2 6,5
Dic –0,4 6,3 6,7 3,0 4,6
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
Mesi Gen TmT –1,3 TMM 4,4 DT 5,7 TM 1,6 H 5,0
Feb 0,6 7,2 6,6 3,9 7,9
Mar 4,3 12,5 8,2 8,4 13,7
Latitudine 45°27’ Zona climatica: E Apr 8,3 17,8 9,5 13,0 17,2
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag 12,6 23,3 10,7 18,0 20,2
Mag Conf
Giu 16,2 27,2 11,0 21,7 22,7
F. TERIALI,
Longitudine 8°36’
Lug 18,6 29,7 11,1 24,1 22,6
Ago 17,6 28,3 10,7 22,9 19,5
Giu C
Lug C
Ago C
Set 14,7 23,9 9,2 19,3 14,1
Ott 9,6 16,7 7,1 13,1 9,7
Nov 4,7 10,1 5,4 7,4 5,8
Dic 0,6 5,7 5,1 3,2 4,3
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Mesi Gen TmT –1,9 TMM 3,7 DT 5,6 TM 0,9 H 4,8
Feb 0,1 6,9 6,8 3,5 7,8
Mar 4,1 11,8 7,7 8,0 13,5
Apr 8,1 16,4 8,3 12,3 17,2
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag 12,2 21,0 8,8 16,6 20,0
Mag Conf
Apr 6,7 16,5 9,8 11,6 16,7
Mag 11,1 21,6 10,5 16,3 19,7
Giu 14,4 25,0 10,6 19,7 22,2
Lug 17,1 27,8 10,7 22,4 22,0
Ago 16,0 26,0 10,0 21,0 18,9
Set 13,6 22,1 8,5 17,9 13,8
Ott 8,3 16,0 7,7 12,2 9,7
Nov 4,1 10,9 6,8 7,5 5,8
Dic 1,0 7,0 6,0 4,0 4,1
Mesi Gen TmT 0,0 TMM 6,0 DT 6,0 TM 3,0 H 4,4
Feb 1,1 8,4 7,3 4,8 7,3
Mar 4,0 12,2 8,2 8,1 12,9
Giu 16,1 25,3 9,2 20,7 22,4
Longitudine 7°41’
Lug 18,4 27,8 9,4 23,1 22,2
Ago 17,7 26,6 8,9 22,2 19,0
Giu Conf
Lug C
Ago Conf
Set 14,5 22,8 8,3 18,6 14,0
Ott 9,2 16,1 6,9 12,6 10,0
Nov 3,8 9,3 5,5 6,5 6,1
Dic –0,2 4,9 5,1 2,3 4,4
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
Latitudine 45°55’ Zona climatica: E Apr 7,2 16,1 8,9 11,7 16,4
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
Latitudine 45°4’ Zona climatica: E
Altitudine 241 m s.l.m. Gradi-Giorno 2426
Longitudine 8°3’
Mag 10,9 19,6 8,7 15,3 19,4
Giu 14,7 24,0 9,3 19,4 21,9
Longitudine 8°33’
Lug 17,3 26,9 9,6 22,1 21,9
Ago 16,7 25,9 9,2 21,3 18,7
Set 13,8 22,4 8,6 18,1 13,5
Ott 9,0 17,2 8,2 13,1 9,5
Nov 4,2 10,5 6,3 7,4 5,6
Dic 0,9 6,7 5,8 3,8 4,0
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
Profilo climatico
Profilo climatico Feb Mf
Ott 7,8 15,4 7,6 11,6 10,3
VERBANIA (PIEMONTE)
Altitudine 412 m s.l.m. Gradi-Giorno 2617
Gen Mf
Set 13,0 21,5 8,5 17,2 14,3
MF F CONF C MC 5 2 4 1 0 RISC: 7 mesi 4 mesi RAFF: 1 mesi
BIELLA (PIEMONTE)
Feb –0,1 7,4 7,5 3,6 7,4
Ago 16,1 25,4 9,3 20,7 18,9
Profilo climatico
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT –0,6 TMM 5,8 DT 6,4 TM 2,6 H 4,5
Gen Mf
Altitudine 275 m s.l.m. Gradi-Giorno 2617
Profilo climatico Feb Mf
Lug 16,6 26,6 10,0 21,6 22,1
TORINO (PIEMONTE)
Altitudine 152 m s.l.m. Gradi-Giorno 2617
Gen Mf
Giu 13,9 23,6 9,7 18,8 22,3
MF F CONF C MC 5 2 2 2 0 RISC: 7 mesi 2 mesi RAFF: 2 mesi
ASTI (PIEMONTE)
Feb –1,2 7,6 8,8 3,2 8,2
Mag 9,9 19,1 9,2 14,5 20,2
Profilo climatico
Mar Mf
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT –2,7 TMM 4,2 DT 6,9 TM 0,7 H 5,2
Apr 6,1 14,7 8,6 10,4 17,2
Altitudine 162 m s.l.m. Gradi-Giorno 2463
Profilo climatico Feb Mf
Mar 2,6 10,9 8,3 6,7 13,7
NOVARA (PIEMONTE)
Altitudine 98 m s.l.m. Gradi-Giorno 2559
Gen Mf
Feb –0,7 7,0 7,7 3,1 8,0
Longitudine 7°32’
MF F CONF C MC 5 2 5 0 0 RISC: 7 mesi 5 mesi RAFF: 0 mesi
ALESSANDRIA (PIEMONTE)
Feb –0,6 6,6 7,2 3,0 8,0
Mesi Gen TmT –1,8 TMM 5,3 DT 7,1 TM 1,8 H 5,1
Latitudine 44°24’ Zona climatica: F
Profilo climatico
Mar Mf
MF F CONF C MC 5 2 5 0 0 RISC: 7 mesi 5 mesi RAFF: 0 mesi
Mesi Gen TmT –2,4 TMM 3,2 DT 5,6 TM 0,4 H 5,5
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
CUNEO (PIEMONTE)
Altitudine 583 m s.l.m. Gradi-Giorno 2850
E.1. 2.
Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 5 2 4 1 0 RISC: 7 mesi 4 mesi RAFF: 1 mese
Giu Conf
Lug C
Ago Conf
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug Conf
Ago Conf
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
MF F CONF C MC 5 2 5 0 0 RISC: 7 mesi 5 mesi RAFF: 0 mesi
progettista consiste nel registrare e interpretare i bisogni, nell’arricchire le esigenze, nel conferire all’ambiente
E ATICH . E.1.2IZIONI CLIM D N CO
E9
E.1. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE CONDIZIONI CLIMATICHE
•
CONTESTO AMBIENTALE
➦ DATI CLIMATICI IN ITALIA VERCELLI (PIEMONTE)
SAVONA (LIGURIA)
Altitudine 135 m s.l.m. Gradi-Giorno 2751 Mesi Gen TmT –3,4 TMM 4,6 DT 8,0 TM 0,6 H 5,0
Feb –2,0 8,4 10,4 3,2 8,0
Mar 1,5 13,1 11,6 7,3 13,7
Latitudine 45°20’ Zona climatica: E Apr 6,4 18,3 11,9 12,3 17,3
Mag 12,3 22,7 10,4 17,5 20,3
Giu 16,2 26,7 10,5 21,4 22,7
Longitudine 8°22’
Lug 17,7 29,2 11,5 23,4 22,6
Ago 16,2 28,3 12,1 22,2 19,4
Set 11,8 24,7 12,9 18,2 14,1
Ott 7,0 18,3 11,3 12,6 9,8
Nov 2,8 10,6 7,8 6,7 5,9
Altitudine 63 m s.l.m. Gradi-Giorno 1481 Dic –1,7 5,3 7,0 1,8 4,3
Profilo climatico Gen Mf
Feb Mf
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Latitudine 44°25’ Zona climatica: D
Mar 8,0 14,4 6,4 11,2 13,6
Apr 10,5 16,9 6,4 13,7 17,4
Mag 14,2 20,6 6,4 17,4 20,7
Giu 17,5 23,9 6,4 20,7 22,9
Longitudine 8°51’
Lug 20,7 27,3 6,6 24,0 22,9
Ago 20,7 27,4 6,7 24,1 19,7
Set 17,8 24,4 6,6 21,1 14,6
Ott 13,9 20,3 6,4 17,1 10,0
Nov 9,3 15,3 6,0 12,3 6,2
Dic 6,2 12,3 6,1 9,3 4,4
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Giu 17,3 25,0 7,7 21,2 22,9
Lug 20,1 28,0 7,9 24,1 22,8
Ago 20,0 27,8 7,8 23,9 19,6
Set 17,6 24,7 7,1 21,1 14,7
Ott 13,5 20,1 6,6 16,8 10,1
Nov 8,6 14,7 6,1 11,7 6,3
Dic 5,8 11,6 5,8 8,7 4,5
Feb Mf
Mar F
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Mesi Gen TmT –2,3 TMM 5,4 DT 7,7 TM 1,5 H 4,8
Feb –0,3 8,3 8,6 4,0 7,5
Mar 2,7 12,3 9,6 7,5 13,3
Latitudine 45°42’ Zona climatica: E Apr 6,3 16,9 10,6 11,6 16,9
Mag 10,6 21,9 11,3 16,3 19,9
Giu 14,2 25,7 11,5 19,9 22,1
Longitudine 9°40’
Lug 16,5 28,3 11,8 22,4 22,3
Ago 16,1 27,6 11,5 21,8 19,0
Set 13,2 23,9 10,7 18,5 14,0
Ott 8,2 18,0 9,8 13,1 9,7
Nov 3,6 11,1 7,5 7,4 5,7
Dic –1,7 6,1 7,8 2,2 4,1
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
IMPERIA (LIGURIA)
BRESCIA (LOMBARDIA)
Altitudine 54 m s.l.m. Gradi-Giorno 1201 Feb 7,1 13,1 6,0 10,1 8,6
Mag 13,8 20,9 7,1 17,3 20,7
Profilo climatico
Mar F
MF F CONF C MC 3 2 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT 6,9 TMM 12,8 DT 5,9 TM 9,8 H 5,8
Gen Mf
Altitudine 400 m s.l.m. Gradi-Giorno 2533
Profilo climatico Feb Mf
Apr 10,5 17,6 7,1 14,0 17,5
BERGAMO (LOMBARDIA)
Altitudine 2 m s.l.m. Gradi-Giorno 1435
Gen Mf
Mar 7,6 14,2 6,6 10,9 13,7
MF F CONF C MC 3 3 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
GENOVA (LIGURIA)
Feb 5,7 11,9 6,2 8,8 8,0
Feb 5,2 11,6 6,4 8,4 8,2
Longitudine 8°28’
Profilo climatico
Mar Mf
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT 5,2 TMM 11,2 DT 6,0 TM 8,2 H 5,4
Mesi Gen TmT 4,6 TMM 10,3 DT 5,7 TM 7,5 H 5,4
Latitudine 44°19’ Zona climatica: D
Latitudine 43°53’ Zona climatica: C
Mar 8,8 15,1 6,3 11,9 13,8
Apr 11,1 17,8 6,7 14,5 17,5
Mag 14,1 20,9 6,8 17,5 20,9
Giu 17,5 24,5 7,0 21,0 23,0
Longitudine 8°0’
Lug 20,2 27,4 7,2 23,8 22,8
Ago 20,3 27,3 7,0 23,8 19,7
Set 17,9 24,6 6,7 21,2 15,0
Ott 14,3 20,8 6,5 17,5 10,6
Nov 10,3 16,3 6,0 13,3 6,8
Altitudine 120 m s.l.m. Gradi-Giorno 2410 Dic 7,7 13,8 6,1 10,8 4,9
Mesi Gen TmT –1,5 TMM 5,0 DT 6,5 TM 1,8 H 5,0
Feb 0,3 8,5 8,2 4,4 7,6
Mar 4,9 14,2 9,3 9,6 13,5
Latitudine 45°32’ Zona climatica: E Apr 8,8 18,6 9,8 13,7 17,1
Mag 12,7 23,1 10,4 17,9 20,2
Giu 16,7 27,8 11,1 22,3 22,2
Longitudine 10°13’
Lug 19,0 30,3 11,3 24,6 22,5
Ago 18,4 29,4 11,0 23,9 19,2
Set 15,1 25,1 10,0 20,1 14,3
Ott 10,0 18,5 8,5 14,3 9,9
Nov 4,5 11,6 7,1 8,1 5,7
Dic 0,6 6,8 6,2 3,7 4,2
Profilo climatico Gen Mf
Feb F
Mar F
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic F
MF F CONF C MC 1 5 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
Latitudine 44°6’ Zona climatica: D
Mar 6,8 14,5 7,7 10,6 13,5
Apr 10,3 18,1 7,8 14,2 17,2
Mag 13,7 22,3 8,6 18,0 20,9
Giu 17,4 26,0 8,6 21,7 22,8
Longitudine 9°49’
Feb Mf
Mar F
Mag Conf
Giu C
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Lug 19,7 28,9 9,2 24,3 23,1
Ago 19,4 28,2 8,8 23,8 19,8
Set 16,9 25,3 8,4 21,1 14,8
Ott 13,1 20,8 7,7 16,9 10,2
Nov 8,8 15,7 6,9 12,2 6,3
Dic 5,9 12,7 6,8 9,3 4,6
Mesi Gen TmT 0,5 TMM 6,8 DT 6,3 TM 3,7 H 4,8
Feb 2,0 9,0 7,0 5,5 7,6
Mar 4,8 12,9 8,1 8,8 13,3
Latitudine 45°48’ Zona climatica: E Apr 8,2 17,2 9,0 12,7 16,8
Mag 11,8 21,1 9,3 16,4 19,8
Giu 15,8 25,6 9,8 20,7 22,1
Longitudine 9°5’
Lug 18,2 28,5 10,3 23,4 22,2
Ago 17,6 27,2 9,6 22,4 19,1
Set 14,1 23,7 9,6 18,9 13,8
Ott 10,0 18,1 8,1 14,0 9,6
Nov 5,3 11,7 6,4 8,5 5,7
Dic 1,5 7,8 6,3 4,7 4,1
Profilo climatico Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 3 3 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
E 10
Apr F
Altitudine 200 m s.l.m. Gradi-Giorno 2228
Profilo climatico Gen Mf
Mar Mf
COMO (LOMBARDIA)
Altitudine 5 m s.l.m. Gradi-Giorno 1413 Feb 4,7 11,9 7,2 8,3 8,0
Feb Mf
MF F CONF C MC 5 2 2 3 0 RISC: 7 mesi 2 mesi RAFF: 3 mesi
LA SPEZIA (LIGURIA)
Mesi Gen TmT 4,2 TMM 11,0 DT 6,8 TM 7,6 H 5,5
Gen Mf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
una valenza in più di quelle richieste. Prima di prendere il lapis in mano e di consultare il manuale, l’architetto
CONTROLLO AMBIENTALE
CONTESTO AMBIENTALE CONDIZIONI CLIMATICHE
•
E.1. 2. A.ZIONI
CREMONA (LOMBARDIA) Altitudine 50 m s.l.m. Gradi-Giorno 2389 Mesi Gen TmT –1,0 TMM 4,3 DT 5,3 TM 1,7 H 5,2
Feb 1,0 7,3 6,3 4,2 7,8
Latitudine 45°8’ Zona climatica: E
Mar 4,9 12,7 7,8 8,8 13,7
Apr 8,6 17,4 8,8 13,0 17,5
Mag 13,0 22,4 9,4 17,7 20,8
Giu 16,8 26,9 10,1 21,8 22,8
Longitudine 10°1’
Lug 19,2 29,3 10,1 24,3 23,1
Ago 18,1 27,9 9,8 23,0 19,7
Set 15,5 24,0 8,5 19,7 14,6
Ott 9,9 17,3 7,4 13,6 10,0
Nov 4,6 10,2 5,6 7,4 5,8
Altitudine 75 m s.l.m. Gradi-Giorno 2623 Dic 0,1 5,3 5,2 2,7 4,2
Profilo climatico Gen Mf
Feb Mf
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Latitudine 45°19’ Zona climatica: E
Mar 3,8 13,4 9,6 8,6 13,7
Apr 8,1 18,9 10,8 13,5 17,4
Mag 12,1 23,5 11,4 17,8 20,6
Giu 16,2 28,9 12,7 22,6 22,7
Longitudine 9°30’
Lug 18,1 30,9 12,8 24,5 22,9
Ago 17,4 29,4 12,0 23,4 19,6
Set 14,7 24,5 9,8 19,6 14,4
Ott 9,4 17,4 8,0 13,4 9,8
Nov 4,3 10,4 6,1 7,3 5,8
Dic 0,0 5,1 5,1 2,5 4,2
Apr F
Mag Conf
Giu C
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Mar 6,1 13,0 6,9 9,5 13,7
Latitudine 45°28’ Zona climatica: E Apr 9,6 17,6 8,0 13,6 17,3
Mag 13,3 21,8 8,5 17,6 20,4
Giu 17,1 26,3 9,2 21,7 22,6
Longitudine 9°11’
Lug 19,9 29,2 9,3 24,6 22,7
Ago 19,0 27,6 8,6 23,3 19,5
Set 16,2 23,9 7,7 20,0 14,2
Ott 11,2 17,4 6,2 14,3 9,8
Nov 6,0 10,6 4,6 8,3 5,8
Dic 1,6 6,4 4,8 4,0 4,2
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Latitudine 45°10’ Zona climatica: E
Mar 4,5 12,7 8,2 8,6 13,7
Apr 8,5 17,4 8,9 13,0 17,3
Mag 13,0 22,5 9,5 17,8 20,8
Giu 16,8 26,9 10,1 21,9 22,7
Longitudine 10°45’
Mar Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
Giu C
Lug C
Ago C
Nov 3,6 10,0 6,4 6,8 5,9
Dic –0,3 4,9 5,2 2,3 4,2
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
Mesi Gen TmT –3,9 TMM 5,7 DT 9,6 TM 0,9 H 3,9
Feb –1,7 8,8 10,5 3,6 6,5
Mar 2,1 13,3 11,2 7,7 12,2
Latitudine 46°10’ Zona climatica: E Apr 5,8 17,3 11,5 11,5 16,0
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag 9,6 21,7 12,1 15,6 19,1
Mag Conf
Giu 12,9 24,6 11,7 18,8 21,3
F. TERIALI,
Longitudine 9°50’
Lug 14,7 27,3 12,6 21,0 21,3
Ago 14,3 26,1 11,8 20,2 18,1
Giu Conf
Lug C
Ago Conf
Set 11,8 23,0 11,2 17,4 13,4
Ott 6,9 17,5 10,6 12,2 9,3
Nov 1,8 11,3 9,5 6,6 5,2
Dic –1,9 6,8 8,7 2,4 3,7
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Mesi Gen TmT –1,8 TMM 6,4 DT 8,2 TM 2,3 H 4,9
Feb –0,2 8,5 8,7 4,1 7,7
Mar 2,6 12,4 9,8 7,5 13,4
Apr 6,1 16,8 10,7 11,4 16,9
Mag 9,7 20,5 10,8 15,1 19,9
Giu 13,2 24,8 11,6 19,0 22,3
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Longitudine 8°54’
Lug 15,6 27,8 12,2 21,7 22,3
Lug C
Lug 19,0 29,6 10,6 24,3 23,1
Ago 18,5 28,6 10,1 23,6 19,7
Set 15,4 24,1 8,7 19,8 14,8
Ott 10,3 17,6 7,3 13,9 10,1
Nov 5,1 10,6 5,5 7,8 5,8
Dic 0,6 5,5 4,9 3,1 4,2
Mesi Gen TmT –1,2 TMM 5,1 DT 6,3 TM 1,9 H 5,2
Feb 0,5 8,2 7,7 4,4 7,8
Ago 15,0 26,5 11,5 20,7 19,2
Ago Conf
Latitudine 44°32’ Zona climatica: E
Mar 4,0 13,4 9,4 8,7 13,7
Apr 7,6 17,8 10,2 12,7 17,3
Mag 11,9 22,7 10,8 17,3 21,1
Giu 15,7 26,8 11,1 21,3 23,0
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
Latitudine 45°44’ Zona climatica: E
Altitudine 36 m s.l.m. Gradi-Giorno 2259
Profilo climatico Feb Mf
Ott 8,7 17,6 8,9 13,2 9,8
Set 12,3 23,0 10,7 17,7 13,9
Ott 7,8 17,6 9,8 12,7 9,6
Nov 2,9 11,1 8,2 7,0 5,7
Dic –0,7 7,5 8,2 3,4 4,2
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
BOLOGNA (EMILIA-ROMAGNA)
Altitudine 20 m s.l.m. Gradi-Giorno 2404
Gen Mf
Set 13,5 24,6 11,1 19,0 14,4
MF F CONF C MC 5 2 4 1 0 RISC: 7 mesi 4 mesi RAFF: 1 mese * mancano i dati per il capoluogo
MANTOVA (LOMBARDIA)
Feb 0,3 7,2 6,9 3,7 7,9
Ago 16,5 28,6 12,1 22,6 19,6
Profilo climatico
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT –1,3 TMM 4,0 DT 5,3 TM 1,3 H 5,2
Gen Mf
Altitudine 365 m s.l.m. Gradi-Giorno 2586
Profilo climatico Feb Mf
Lug 17,1 29,8 12,7 23,4 22,9
VARESE (VENEGONO INFERIORE*) (LOMBARDIA)
Altitudine 123 m s.l.m. Gradi-Giorno 2404
Gen Mf
Giu 15,0 27,2 12,2 21,1 22,9
MF F CONF C MC 5 2 4 1 0 RISC: 7 mesi 4 mesi RAFF: 1 mese
MILANO (LOMBARDIA)
Feb 2,7 8,1 5,4 5,4 7,8
Mag 11,4 23,3 11,9 17,3 20,7
Profilo climatico
Mar Mf
F CONF C MC 5 2 2 3 0 RISC: 7 mesi 2 mesi RAFF: 3 mesi
Mesi Gen TmT 0,8 TMM 5,4 DT 4,6 TM 3,1 H 5,1
Apr 7,1 18,4 11,3 12,7 17,5
Altitudine 298 m s.l.m. Gradi-Giorno 2755
Profilo climatico Feb Mf
Mar 3,4 13,4 10,0 8,4 13,8
SONDRIO (LOMBARDIA)
Altitudine 80 m s.l.m. Gradi-Giorno 2592
Gen Mf
Feb –0,4 7,7 8,1 3,7 7,9
Longitudine 9°10’
F CONF C MC 5 2 2 3 0 RISC: 7 mesi 2 mesi RAFF: 3 mesi
LODI (LOMBARDIA)
Feb –0,6 7,3 7,9 3,4 7,8
Mesi Gen TmT –2,0 TMM 3,9 DT 5,9 TM 1,0 H 5,2
Latitudine 45°11’ Zona climatica: E
Profilo climatico
Mar Mf
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT –1,8 TMM 3,7 DT 5,5 TM 1,0 H 5,1
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
PAVIA (LOMBARDIA)
Longitudine 11°18’
Lug 18,2 30,0 11,8 24,1 23,3
Ago 18,0 29,5 11,5 23,8 19,9
Set 14,9 25,4 10,5 20,2 15,0
Ott 10,0 18,7 8,7 14,3 10,3
Nov 4,7 11,2 6,5 8,0 6,1
Dic 0,3 6,4 6,1 3,3 4,4
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
Profilo climatico Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
si tuffa nella realtà, la immagina, l’impregna di muovi connotati creativi. In altri termini l’architettura nasce
E ATICH . E.1.2IZIONI CLIM D N CO
E 11
E.1. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE CONDIZIONI CLIMATICHE
•
CONTESTO AMBIENTALE
➦ DATI CLIMATICI IN ITALIA FERRARA (EMILIA-ROMAGNA) Altitudine 15 m s.l.m. Gradi-Giorno 2326 Mesi Gen TmT –0,9 TMM 4,1 DT 5,0 TM 1,6 H 5,1
Feb 0,8 7,4 6,6 4,1 7,9
PARMA (EMILIA-ROMAGNA)
Latitudine 44°50’ Zona climatica: E
Mar 4,7 12,7 8,0 8,7 13,7
Apr 8,6 17,3 8,7 12,9 17,3
Mag 12,8 22,0 9,2 17,4 21,1
Giu 16,5 26,4 9,9 21,5 23,0
Longitudine 11°37’
Lug 18,8 29,1 10,3 24,0 23,3
Ago 18,6 28,5 9,9 23,5 19,9
Set 15,4 24,2 8,8 19,8 15,0
Ott 10,4 17,6 7,2 14,0 10,3
Nov 5,4 10,8 5,4 8,1 5,9
Altitudine 57 m s.l.m. Gradi-Giorno 2502 Dic 1,1 5,6 4,5 3,3 4,2
Profilo climatico Gen Mf
Feb Mf
Feb 0,4 7,5 7,1 3,9 7,8
Mar 4,5 13,2 8,7 8,9 13,7
Apr 8,3 18,0 9,7 13,1 17,4
Mag 12,5 22,8 10,3 17,6 20,9
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
MF F CONF C MC 5 2 2 3 0 RISC: 7 mesi 2 mesi RAFF: 3 mesi
FORLÌ (EMILIA-ROMAGNA)
RAVENNA (EMILIA-ROMAGNA)
Mesi Gen TmT 0,8 TMM 5,4 DT 4,6 TM 3,1 H 5,1
Feb 2,7 8,2 5,5 5,5 7,8
Latitudine 44°13’ Zona climatica: E
Mar 6,2 13,0 6,8 9,6 13,6
Apr 9,5 17,2 7,7 13,3 17,2
Mag 13,9 22,3 8,4 18,1 21,2
Giu 17,7 26,6 8,9 22,2 23,0
Longitudine 12°2’
Lug 20,2 29,2 9,0 24,7 23,3
Ago 19,9 28,4 8,5 24,2 19,9
Set 16,7 24,6 7,9 20,7 14,9
Ott 11,9 18,4 6,5 15,1 10,3
Altitudine 2 m s.l.m. Gradi-Giorno 2227
Nov 6,5 11,4 4,9 9,0 6,1
Dic 2,0 6,5 4,5 4,2 4,3
Profilo climatico Gen Mf
Feb Mf
Mesi Gen TmT 0,2 TMM 5,9 DT 5,7 TM 3,0 H 5,0
Feb 1,7 8,3 6,6 5,0 7,7
Giu C
Mar 5,0 12,4 7,4 8,7 13,6
Apr 8,8 16,5 7,7 12,7 17,2
Mag 12,9 21,4 8,5 17,1 21,2
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
MODENA (EMILIA-ROMAGNA)
REGGIO EMILIA (EMILIA-ROMAGNA)
Altitudine 35 m s.l.m. Gradi-Giorno 2087
Latitudine 44°39’ Zona climatica: E
Mar 5,0 12,3 7,3 8,6 13,7
Apr 9,0 17,5 8,5 13,2 17,3
Mag 13,2 22,3 9,1 17,7 21,0
Giu 16,9 26,2 9,3 21,6 22,9
Longitudine 10°54’
Lug 19,5 29,0 9,5 24,2 23,3
Ago 18,7 27,7 9,0 23,2 19,8
Set 15,8 23,7 7,9 19,8 14,9
Ott 11,3 18,0 6,7 14,6 10,2
Nov 6,0 10,8 4,8 8,4 6,0
Altitudine 62 m s.l.m. Gradi-Giorno 2560 Dic 0,9 5,2 4,3 3,0 4,4
Profilo climatico Feb Mf
Mesi Gen TmT –1,6 TMM 4,2 DT 5,8 TM 1,3 H 5,3
Feb 1,0 7,2 6,2 3,7 7,8
Mar 4,2 12,8 8,6 8,5 13,7
Apr 8,1 17,2 9,1 12,6 17,4
Mag 12,3 22,3 10,0 17,3 20,9
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
PIACENZA (EMILIA-ROMAGNA)
BOLZANO (TRENTINO – ALTO ADIGE)
Altitudine 50 m s.l.m. Gradi-Giorno 2715
Latitudine 45°2’ Zona climatica: E
Mar 3,4 12,6 9,2 8,0 13,7
Apr 7,2 17,2 10,0 12,2 17,5
Mag 11,5 21,9 10,4 16,7 20,8
Giu 15,3 26,2 10,9 20,8 22,8
Longitudine 9°44’
Lug 17,7 28,9 11,2 23,3 23,1
Ago 17,3 27,9 10,6 22,6 19,7
Set 14,1 23,7 9,6 18,9 14,5
Ott 9,1 17,0 7,9 13,0 10,0
Nov 3,8 9,8 6,0 6,8 5,9
Altitudine 292 m s.l.m. Gradi-Giorno 2791 Dic –0,5 4,9 5,4 2,2 4,2
Profilo climatico Feb Mf
Mar Mf
Ott 10,1 17,8 7,7 13,9 10,1
Nov 4,8 10,3 5,5 7,6 5,9
Dic 0,4 5,4 5,0 2,9 4,3
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Longitudine 12°18’
Lug 18,9 28,1 9,2 23,5 23,3
Lug C
Giu 16,2 26,8 10,6 21,5 22,9
Giu Conf
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Gen Mf
Set 15,0 24,8 9,8 19,9 14,8
Ago 18,7 28,1 9,4 23,4 19,9
Set 15,7 24,4 8,7 20,1 15,0
Ott 11,2 18,7 7,5 14,9 10,4
Nov 6,1 11,9 5,8 9,0 5,9
Dic 1,8 7,1 5,3 4,4 4,2
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Longitudine 10°38’
Lug 18,5 29,6 11,1 24,0 23,2
Ago 18,1 28,8 10,7 23,4 19,8
Set 14,7 24,2 9,5 19,5 14,9
Ott 10,0 17,5 7,5 13,7 10,2
Nov 4,9 10,5 5,6 7,7 6,0
Dic 0,4 5,5 5,1 2,9 4,4
Profilo climatico
Mar Mf
Feb –0,6 7,1 7,7 3,2 7,8
Ago C
Latitudine 44°42’ Zona climatica: E
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT –2,3 TMM 3,7 DT 6,0 TM 0,7 H 5,2
Lug C
Giu 16,3 25,2 8,9 20,8 23,1
Giu Conf
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Gen Mf
Ago 18,2 29,3 11,1 23,8 19,8
Profilo climatico
Mar Mf
Feb 2,1 7,7 5,6 4,9 7,9
Lug 18,6 30,1 11,5 24,4 23,2
Latitudine 44°26’ Zona climatica: E
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT 0,1 TMM 4,4 DT 4,3 TM 2,2 H 5,3
Giu 16,3 27,3 11,0 21,8 22,8
Longitudine 10°19’
Profilo climatico
Mar Mf
Altitudine 45 m s.l.m. Gradi-Giorno 2087
Mesi Gen TmT –4,4 TMM 4,9 DT 9,3 TM 0,2 H 4,2
Feb –1,5 8,9 10,4 3,7 7,0
Mar 3,1 14,3 11,2 8,7 12,2
Lug C
Ago C
Set Conf
Latitudine 46°30’ Zona climatica: E Apr 7,3 18,8 11,5 13,0 15,9
Mag 11,0 23,2 12,2 17,1 19,2
Giu 14,2 26,3 12,1 20,2 20,9
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Longitudine 11°21’
Lug 15,9 28,4 12,5 22,2 21,0
Ago 15,1 27,5 12,4 21,3 17,8
Set 12,3 24,7 12,4 18,5 13,3
Ott 6,4 18,4 12,0 12,4 9,3
Nov 1,6 10,5 8,9 6,0 5,3
Dic –3,1 5,3 8,4 1,1 3,8
Profilo climatico Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
E 12
Mesi Gen TmT –1,5 TMM 4,1 DT 5,6 TM 1,3 H 5,3
Latitudine 44°48’ Zona climatica: E
prima, assai prima di rappresentarla.
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
CONTROLLO AMBIENTALE
CONTESTO AMBIENTALE CONDIZIONI CLIMATICHE
•
E.1. 2. A.ZIONI
TRENTO (TRENTINO – ALTO ADIGE) Altitudine 243 m s.l.m. Gradi-Giorno 2567 Mesi Gen TmT –1,8 TMM 5,1 DT 6,9 TM 1,6 H 4,8
Feb 0,0 7,9 7,9 4,0 7,5
Mar 3,6 12,8 9,2 8,2 12,9
Latitudine 46°4’ Zona climatica: E Apr 7,1 17,3 10,2 12,2 16,4
Mag 10,7 21,2 10,5 16,0 19,6
Giu 14,4 25,5 11,1 19,9 21,3
Longitudine 11°7’
Lug 16,6 28,2 11,6 22,4 21,7
Ago 16,1 27,0 10,9 21,6 18,4
Set 13,1 23,0 9,9 18,1 13,7
Ott 7,8 16,5 8,7 12,1 9,6
Altitudine 15 m s.l.m. Gradi-Giorno 2378
Nov 3,0 9,9 6,9 6,5 5,7
Dic –0,9 5,8 6,7 2,4 4,2
Profilo climatico Gen Mf
Feb Mf
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TREVISO (VENETO)
Mesi Gen TmT 0,0 TMM 5,9 DT 5,9 TM 3,0 H 5,0
Feb 1,1 7,9 6,8 4,5 7,8
Mar 4,6 12,0 7,4 8,3 13,0
Latitudine 45°40’ Zona climatica: E Apr 8,7 16,8 8,1 12,8 16,8
Mag 12,9 22,2 9,3 17,5 20,4
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago Conf
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
BELLUNO (VENETO)
VENEZIA (MESTRE) (VENETO)
Altitudine 404 m s.l.m. Gradi-Giorno 2936 Feb –2,4 6,2 8,6 1,9 7,6
Mar 1,8 11,1 9,3 6,4 12,6
Latitudine 46°7’ Zona climatica: E Apr 5,9 15,5 9,6 10,7 16,3
Mag 9,9 19,9 10,0 14,9 19,5
Giu 13,4 24,0 10,6 18,7 21,2
Longitudine 12°13’
Lug 15,3 26,5 11,2 20,9 21,6
Ago 14,9 26,0 11,1 20,4 18,4
Set 12,2 22,4 10,2 17,3 13,6
Ott 7,3 16,3 9,0 11,8 9,5
Nov 2,1 9,6 7,5 5,9 5,6
Altitudine 4 m s.l.m. Gradi-Giorno 2345 Dic –2,2 4,5 6,7 1,1 4,1
Profilo climatico Gen Mf
Feb Mf
Mesi Gen TmT –1,4 TMM 4,4 DT 5,8 TM 1,5 H 5,0
Feb –0,3 6,5 6,8 3,1 7,8
Mar 3,2 11,1 7,9 7,1 13,1
Apr 7,6 16,4 8,8 12,0 16,9
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago Conf
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
PADOVA (VENETO)
VICENZA (VENETO)
Altitudine 14 m s.l.m. Gradi-Giorno 2383
Latitudine 45°24’ Zona climatica: E
Mar 4,1 12,7 8,6 8,4 13,3
Apr 8,1 17,3 9,2 12,7 17,7
Mag 12,3 22,2 9,9 17,2 20,7
Giu 15,9 26,3 10,4 21,1 22,5
Longitudine 11°52’
Lug 17,9 28,8 10,9 23,3 22,9
Ago 17,3 28,1 10,8 22,7 19,6
Set 14,2 24,1 9,9 19,2 14,7
Ott 9,5 17,9 8,4 13,7 10,1
Nov 4,6 11,4 6,8 8,0 5,8
Altitudine 39 m s.l.m. Gradi-Giorno 2371 Dic 0,6 6,6 6,0 3,6 4,1
Profilo climatico Feb Mf
Mesi Gen TmT –1,8 TMM 6,5 DT 8,3 TM 2,4 H 5,1
Feb –0,3 9,0 9,3 4,3 7,9
Mar 3,2 13,3 10,1 8,2 13,3
Apr 6,9 17,6 10,7 12,2 16,9
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
ROVIGO (VENETO)
VERONA (VENETO)
Altitudine 9 m s.l.m. Gradi-Giorno 2466
Latitudine 45°4’ Zona climatica: E
Mar 4,2 13,0 8,8 8,6 13,5
Apr 8,2 17,6 9,4 12,9 17,3
Mag 12,4 22,8 10,4 17,6 21,0
Giu 15,9 27,1 11,2 21,5 22,9
Longitudine 11°46’
Lug 18,2 30,0 11,8 24,1 23,2
Ago 17,7 29,1 11,4 23,4 19,9
Set 14,7 24,8 10,1 19,7 15,0
Ott 9,8 18,0 8,2 13,9 10,2
Nov 4,9 10,9 6,0 7,9 5,9
Altitudine 60 m s.l.m. Gradi-Giorno 2468 Dic 0,6 5,8 5,2 3,2 4,1
Profilo climatico Feb Mf
Mar Mf
Nov 5,8 11,6 5,8 8,7 5,8
Dic 1,5 7,1 5,6 4,3 4,1
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
Giu 15,4 24,9 9,5 20,2 22,5
Giu Conf
Lug 17,2 27,4 10,2 22,3 22,8
Ago 16,5 26,9 10,4 21,7 19,5
Longitudine 12°14’
F. TERIALI,
Set 13,3 23,4 10,1 18,4 14,5
G.ANISTICA
Ott 8,7 17,4 8,7 13,1 10,0
Nov 4,7 10,5 5,8 7,6 5,8
Dic 0,1 5,6 5,5 2,9 4,1
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
URB
Lug C
Ago Conf
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Mesi Gen TmT 0,0 TMM 6,4 DT 6,4 TM 3,2 H 5,2
Feb 1,7 8,8 7,1 5,3 7,9
Mar 5,2 13,1 7,9 9,1 13,5
Giu 15,1 26,2 11,1 20,7 22,2
Longitudine 11°32’
Lug 17,2 29,0 11,8 23,1 22,6
Ago 16,7 28,3 11,6 22,5 19,3
Set 13,4 24,5 11,1 19,0 14,4
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott 8,2 18,7 10,5 13,4 10,0
Nov 3,4 12,0 8,6 7,7 5,8
Dic –0,6 7,3 7,9 3,4 4,3
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
Latitudine 45°26’ Zona climatica: E Apr 8,6 17,4 8,8 13,0 17,1
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
Mag 11,4 22,7 11,3 17,1 20,3
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Gen Mf
Ott 10,2 18,0 7,8 14,1 9,9
Profilo climatico
Mar Mf
Feb 0,3 7,6 7,3 4,0 7,9
Lug C
Latitudine 45°34’ Zona climatica: E
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT –1,3 TMM 4,4 DT 5,7 TM 1,6 H 5,1
Giu Conf
Mag 11,7 21,5 9,8 16,6 20,6
MF F CONF C MC 5 2 4 1 0 RISC: 7 mesi 4 mesi RAFF: 1 mese
Gen Mf
Set 14,8 23,5 8,7 19,2 14,3
Profilo climatico
Mar Mf
Feb 0,4 8,2 7,8 4,3 7,9
Ago 18,0 27,3 9,3 22,6 19,3
Latitudine 45°26’ Zona climatica: E
MF F CONF C MC 5 2 5 0 0 RISC: 7 mesi 5 mesi RAFF: 0 mesi
Mesi Gen TmT –1,1 TMM 5,3 DT 6,4 TM 2,1 H 5,1
Lug 18,5 28,1 9,6 23,3 22,6
Profilo climatico
Mar Mf
MF F CONF C MC 5 2 4 1 0 RISC: 7 mesi 4 mesi RAFF: 1 mese
Mesi Gen TmT –4,1 TMM 3,3 DT 7,4 TM –0,4 H 4,8
Giu 16,5 26,0 9,5 21,2 22,2
Longitudine 12°15’
Mag 12,2 21,6 9,4 16,9 20,4
Giu 16,0 25,9 9,9 20,9 23,3
Longitudine 10°59’
Lug 18,7 28,7 10,0 23,7 22,8
Ago 18,3 27,9 9,6 23,1 19,4
Set 15,2 23,9 8,7 19,5 14,6
Ott 10,3 18,0 7,7 14,1 10,0
Nov 5,4 11,4 6,0 8,4 5,8
Dic 0,5 7,1 6,6 3,8 4,3
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
Profilo climatico Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 5 2 2 3 0 RISC: 7 mesi 2 mesi RAFF: 3 mesi
Giu C
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf E ATICH . E.1.2IZIONI CLIM D N CO
E 13
E.1. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE CONDIZIONI CLIMATICHE
•
CONTESTO AMBIENTALE
➦ DATI CLIMATICI IN ITALIA GORIZIA (FRIULI-VENEZIA GIULIA) Altitudine 86 m s.l.m. Gradi-Giorno 2333 Mesi Gen TmT –0,2 TMM 7,0 DT 7,2 TM 3,4 H 4,6
Feb 0,7 8,8 8,1 4,7 7,4
REPUBBLICA DI S. MARINO
Latitudine 45°56’ Zona climatica: E
Mar 3,3 12,5 9,2 7,9 12,3
Apr 7,4 17,1 9,7 12,3 16,2
Mag 10,6 22,0 11,4 16,3 19,9
Giu 13,9 25,2 11,3 19,6 21,6
Longitudine 13°37’
Lug 15,8 27,8 12,0 21,8 21,9
Ago 15,7 27,8 12,1 21,7 18,7
Set 13,1 24,5 11,4 18,8 13,7
Ott 9,1 19,5 10,4 14,3 9,3
Nov 5,5 12,9 7,4 9,2 5,5
Altitudine 652 m s.l.m. Gradi-Giorno 2378 Dic 1,5 8,5 7,0 5,0 3,8
Profilo climatico Gen Mf
Feb Mf
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov Mf
Dic Mf
Altitudine 23 m s.l.m. Gradi-Giorno 2459
Feb Mf
Latitudine 45°58’ Zona climatica: E
Mar 3,8 13,3 9,5 8,5 12,6
Apr 7,6 17,8 10,2 12,7 16,4
Mag 12,0 23,2 11,2 17,6 19,9
Giu 15,8 27,2 11,4 21,5 21,6
Longitudine 12°40’
Lug 17,2 28,6 11,4 22,9 22,0
Ago 16,3 27,7 11,4 22,0 18,8
Set 13,1 23,5 10,4 18,3 13,9
Ott 8,0 18,0 10,0 13,0 9,6
Nov 3,7 12,1 8,4 7,9 5,7
Dic –0,5 7,5 8,0 3,5 4,0
Apr F
Mag Conf
Altitudine 146 m s.l.m. Gradi-Giorno 2323
Giu C
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Feb 0,9 7,9 7,0 4,4 7,5
Mar 4,0 11,9 7,9 7,9 12,4
Latitudine 46°4’ Zona climatica: E Apr 8,1 17,0 8,9 12,6 16,2
Mag 11,9 22,1 10,2 17,0 19,8
Giu 15,4 25,4 10,0 20,4 21,4
Longitudine 13°14’
Apr F
Mag Conf
Altitudine 8 m s.l.m. Gradi-Giorno 1929
Lug 17,1 28,0 10,9 22,6 21,8
Ago 16,8 27,4 10,6 22,1 18,7
Set 14,1 23,9 9,8 19,0 13,7
Ott 9,7 18,4 8,7 14,1 9,4
Nov 5,7 11,5 5,8 8,6 5,5
Dic 1,6 7,5 5,9 4,5 3,8
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Mar Mf
Ott 8,9 14,0 5,1 11,4 10,4
Nov 4,6 9,3 4,7 7,0 6,1
Dic 0,8 5,1 4,3 3,0 4,5
Mar Mf
Apr Mf
Mag F
Giu Conf
Lug Conf
Ago Conf
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Mesi Gen TmT 0,8 TMM 8,4 DT 7,6 TM 4,6 H 5,6
Feb 1,5 10,1 8,6 5,8 8,2
Mar 3,7 13,5 9,8 8,6 13,6
Latitudine 43°27’ Zona climatica: E Apr 6,4 17,1 10,7 11,8 17,1
Mag 9,9 21,8 11,9 15,9 21,2
Giu 13,3 26,2 12,9 19,7 22,9
Longitudine 11°53’
Lug 15,6 29,9 14,3 22,8 23,3
Ago 15,6 29,6 14,0 22,6 19,9
Set 13,1 25,3 12,2 19,2 15,0
Ott 9,2 19,2 10,0 14,2 10,5
Nov 5,2 13,3 8,1 9,3 6,7
Dic 2,1 9,3 7,2 5,7 5,1
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov Mf
Dic Mf
Mesi Gen TmT 1,4 TMM 10,2 DT 8,8 TM 5,8 H 5,6
Feb 2,4 11,9 9,5 7,2 8,1
Latitudine 43°48’ Zona climatica: D
Mar 4,7 15,1 10,4 9,9 13,5
Apr 7,5 18,8 11,3 13,1 17,0
Mag 11,3 23,5 12,2 17,4 21,1
Giu 14,7 27,4 12,7 21,1 22,9
Longitudine 11°12’
Lug 17,2 31,1 13,9 24,1 23,3
Ago 17,0 30,8 13,8 23,9 19,9
Set 14,2 26,7 12,5 20,4 14,9
Ott 9,9 20,9 11,0 15,4 10,4
Nov 5,4 14,7 9,3 10,0 6,5
Dic 2,5 10,6 8,1 6,5 4,9
Mar 6,3 12,1 5,8 9,2 12,5
Apr 10,0 16,8 6,8 13,4 16,4
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
Giu C
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
GROSSETO (TOSCANA)
Latitudine 45°39’ Zona climatica: D Mag 14,1 21,8 7,7 18,0 20,2
Giu 17,7 25,4 7,7 21,5 21,9
Longitudine 13°45’
Lug 20,1 28,3 8,2 24,2 22,2
Ago 19,9 27,8 7,9 23,8 19,0
Set 16,9 23,8 6,9 20,3 13,9
Ott 12,6 18,1 5,5 15,4 9,5
Nov 8,1 12,6 4,5 10,3 5,6
Altitudine 16 m s.l.m. Gradi-Giorno 1550 Dic 4,7 8,8 4,1 6,7 3,8
Mesi Gen TmT 2,6 TMM 11,9 DT 9,3 TM 7,3 H 6,4
Feb 3,0 13,0 10,0 8,0 9,1
Latitudine 42°45’ Zona climatica: D
Mar 4,5 15,2 10,7 9,9 14,1
Apr 6,6 18,0 11,4 12,3 17,7
Mag 10,1 22,4 12,3 16,3 21,8
Giu 13,8 26,6 12,8 20,2 23,6
Longitudine 11°6’
Lug 16,6 30,1 13,5 23,4 23,7
Ago 17,0 30,1 13,1 23,6 20,4
Set 14,7 26,7 12,0 20,7 15,6
Ott 11,1 21,7 10,6 16,4 11,3
Nov 6,9 16,4 9,5 11,6 7,1
Dic 3,9 12,9 9,0 8,4 5,7
Profilo climatico Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 4 3 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
E 14
Set 13,5 20,2 6,7 16,9 14,9
MF F CONF C MC 4 2 3 3 0 RISC: 6 mesi 3 mesi RAFF: 3 mesi
Profilo climatico Feb Mf
Feb Mf
Altitudine 40 m s.l.m. Gradi-Giorno 1821
TRIESTE (FRIULI-VENEZIA GIULIA)
Gen Mf
Ago 16,9 24,6 7,7 20,8 19,9
Profilo climatico
Mar Mf
Feb 3,8 8,5 4,7 6,1 7,5
Lug 16,9 25,0 8,1 21,0 23,3
FIRENZE (TOSCANA)
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT 3,3 TMM 7,3 DT 4,0 TM 5,3 H 4,6
Giu 14,6 22,3 7,7 18,5 23,1
MF F CONF C MC 5 1 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
Profilo climatico Feb Mf
Mag 10,0 17,0 7,0 13,5 21,2
Profilo climatico
Mar Mf
UDINE (FRIULI-VENEZIA GIULIA)
Gen Mf
Gen Mf
Altitudine 274 m s.l.m. Gradi-Giorno 2104
MF F CONF C MC 5 2 2 3 0 RISC: 7 mesi 2 mesi RAFF: 3 mesi
Mesi Gen TmT 0,1 TMM 6,2 DT 6,1 TM 3,1 H 4,6
Apr 6,2 12,6 6,4 9,4 17,2
AREZZO (TOSCANA)
Profilo climatico Gen Mf
Mar 2,8 8,4 5,6 5,6 13,5
MF F CONF C MC 6 2 4 0 0 RISC: 8 mesi 4 mesi RAFF: 0 mesi
PORDENONE (FRIULI-VENEZIA GIULIA)
Feb 0,8 9,6 8,8 5,2 7,6
Feb –0,1 4,6 4,7 2,3 7,8
Longitudine 12°17’
Profilo climatico
Mar Mf
MF F CONF C MC 5 1 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT –0,8 TMM 6,7 DT 7,5 TM 3,0 H 4,8
Mesi Gen TmT –0,7 TMM 3,7 DT 4,4 TM 1,5 H 5,2
Latitudine 43°56’ Zona climatica: E
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov F
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 4 2 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
CONTROLLO AMBIENTALE
CONTESTO AMBIENTALE CONDIZIONI CLIMATICHE
•
E.1. 2. A.ZIONI
LIVORNO (TOSCANA) Altitudine 3 m s.l.m. Gradi-Giorno 1408 Mesi Gen TmT 4,8 TMM 10,8 DT 6,0 TM 7,8 H 5,9
Feb 5,4 12,0 6,6 8,7 8,5
Latitudine 43°33’ Zona climatica: D
Mar 7,5 14,3 6,8 10,9 13,7
Apr 10,2 17,2 7,0 13,7 17,3
Mag 13,7 21,0 7,3 17,3 21,4
Giu 17,4 24,9 7,5 21,1 23,3
Longitudine 10°18’
Lug 20,0 27,7 7,7 23,8 23,5
Ago 19,9 27,5 7,6 23,7 20,2
Set 17,3 24,8 7,5 21,1 15,2
Ott 13,3 20,2 6,9 16,7 10,7
Nov 9,1 15,3 6,2 12,2 6,7
Altitudine 61 m s.l.m. Gradi-Giorno 1668 Dic 6,1 11,8 5,7 8,9 5,1
Profilo climatico Gen Mf
Feb Mf
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Latitudine 43°51’ Zona climatica: D
Mar 5,6 14,2 8,6 9,9 13,5
Apr 8,6 18,1 9,5 13,4 17,1
Mag 12,2 22,8 10,6 17,5 21,1
Giu 15,6 26,4 10,8 21,0 22,9
Longitudine 10°29’
Lug 18,0 29,6 11,6 23,8 23,3
Ago 17,8 28,8 11,0 23,3 19,9
Set 15,0 25,1 10,1 20,1 14,9
Ott 10,6 19,8 9,2 15,2 10,4
Nov 7,6 14,3 6,7 11,0 6,5
Dic 3,7 10,1 6,4 6,9 4,9
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Latitudine 44°2’ Zona climatica: D
Mar 6,3 14,3 8,0 10,3 13,5
Apr 9,4 17,5 8,1 13,5 17,1
Mag 12,8 21,6 8,8 17,2 20,9
Giu 16,1 25,1 9,0 20,6 22,8
Longitudine 10°8’
Lug 18,7 27,7 9,0 23,2 23,1
Ago 18,4 27,5 9,1 23,0 19,8
Set 15,8 25,0 9,2 20,4 14,8
Ott 12,1 21,0 8,9 16,5 10,3
Nov 8,0 15,7 7,7 11,8 6,3
Dic 5,0 12,3 7,3 8,6 4,7
Mar F
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Latitudine 43°43’ Zona climatica: D
Mar 5,4 14,9 9,5 10,2 13,6
Apr 8,3 18,3 10,0 13,3 17,2
Mag 11,7 22,2 10,5 16,9 21,2
Giu 15,3 26,1 10,8 20,7 23,1
Longitudine 10°24’
Mar F
Feb Mf
Mar F
Apr Conf
Mag Conf
Giu C
Lug C
Ago C
Set Conf
Nov 7,3 14,3 7,0 10,8 6,5
Dic 3,4 10,5 7,1 7,0 4,9
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
Mesi Gen TmT 1,7 TMM 10,0 DT 8,3 TM 5,8 H 5,6
Feb 2,5 11,6 9,1 7,0 8,1
Latitudine 43°56’ Zona climatica: D
Mar 4,8 14,7 9,9 9,8 13,5
Apr 7,3 18,5 11,2 12,9 17,0
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag 10,8 22,9 12,1 16,8 21,1
Mag Conf
Giu 14,2 26,9 12,7 20,5 22,9
F. TERIALI,
Longitudine 10°53’
Lug 16,7 30,6 13,9 23,7 23,2
Ago 16,4 30,0 13,6 23,2 19,9
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set 13,8 26,3 12,5 20,0 14,8
Set Conf
Ott 9,7 20,8 11,1 15,3 10,4
Nov 5,5 14,5 9,0 10,0 6,5
Dic 2,2 10,5 8,3 6,3 4,8
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
Ott Conf
Nov Mf
Dic Mf
Mesi Gen TmT 2,0 TMM 8,0 DT 6,0 TM 5,0 H 5,9
Feb 2,3 9,1 6,8 5,7 8,5
Mar 4,2 11,9 7,7 8,1 13,7
Apr 7,3 16,0 8,7 11,7 17,2
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag 10,5 21,4 10,9 15,5 21,4
Mag Conf
Lug 17,4 29,3 11,9 23,3 23,4
Ago 17,5 28,9 11,4 23,2 20,0
Set 14,7 25,9 11,2 20,3 15,0
Ott 10,6 21,2 10,6 15,9 10,5
Nov 6,6 15,9 9,3 11,2 6,6
Dic 3,5 21,1 17,6 7,8 5,0
Mesi Gen TmT 1,5 TMM 6,9 DT 5,4 TM 4,2 H 5,8
Feb 2,0 8,4 6,4 5,2 8,4
Mar 4,1 11,7 7,6 7,9 13,7
Giu 14,1 24,6 10,5 19,4 23,1
Longitudine 11°20’
Lug 16,6 27,9 11,3 22,2 13,4
Ago 16,6 27,4 10,8 22,0 20,1
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set 14,1 23,4 9,3 18,7 15,1
Set Conf
Ott 10,0 18,0 8,0 14,0 10,7
Nov 6,6 12,5 5,9 6,5 6,8
Dic 3,5 9,0 5,5 6,3 5,3
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
Latitudine 43°7’ Zona climatica: E Apr 7,1 15,7 8,6 11,4 17,2
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
Latitudine 43°19’ Zona climatica: D
Altitudine 520 m s.l.m. Gradi-Giorno 2289
Profilo climatico Feb Mf
Ott 11,7 20,9 9,2 16,3 10,4
PERUGIA (UMBRIA)
Altitudine 6 m s.l.m. Gradi-Giorno 1694
Gen Mf
Set 15,8 27,0 11,2 21,4 14,8
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
PISA (TOSCANA)
Feb 3,5 12,7 9,2 8,1 8,3
Ago 17,9 30,7 12,8 24,3 19,9
Profilo climatico
MF F CONF C MC 3 3 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT 2,9 TMM 11,2 DT 8,3 TM 7,1 H 5,7
Gen Mf
Altitudine 348 m s.l.m. Gradi-Giorno 1943
Profilo climatico Feb Mf
Lug 18,1 30,5 12,4 24,3 23,3
SIENA (TOSCANA)
Altitudine 65 m s.l.m. Gradi-Giorno 1525
Gen Mf
Giu 16,1 27,6 11,5 21,9 22,9
MF F CONF C MC 5 1 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
MASSA (TOSCANA)
Feb 4,3 11,6 7,3 8,0 8,0
Mag 12,7 23,6 10,9 18,2 21,1
Profilo climatico
Mar Mf
MF F CONF C MC 4 2 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT 3,6 TMM 10,9 DT 7,3 TM 7,2 H 5,6
Apr 9,0 19,2 10,2 14,1 17,0
Altitudine 88 m s.l.m. Gradi-Giorno 1885
Profilo climatico Feb Mf
Mar 5,4 14,8 9,4 10,1 13,5
PISTOIA (TOSCANA)
Altitudine 31 m s.l.m. Gradi-Giorno 1715
Gen Mf
Feb 3,1 11,2 8,1 7,1 8,1
Longitudine 11°6’
MF F CONF C MC 3 2 4 3 0 RISC: 5 mesi 4 mesi RAFF: 3 mesi
LUCCA (TOSCANA)
Feb 4,1 11,6 7,5 7,8 8,2
Mesi Gen TmT 2,0 TMM 9,4 DT 7,4 TM 5,7 H 5,6
Latitudine 45°53’ Zona climatica: D
Profilo climatico
Mar F
MF F CONF C MC 3 3 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT 3,1 TMM 9,8 DT 6,7 TM 6,5 H 5,7
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
PRATO (TOSCANA)
Mag 10,9 20,4 9,5 15,7 21,3
Giu 14,7 24,9 10,2 19,8 22,9
Longitudine 12°23’
Lug 17,3 28,2 10,9 22,8 23,3
Ago 17,4 28,0 10,6 22,7 20,0
Set 14,6 23,6 9,0 19,1 15,1
Ott 10,4 17,6 7,2 14,0 10,7
Nov 6,2 12,0 5,8 9,1 6,9
Dic 2,9 8,1 5,2 5,5 5,2
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
Profilo climatico Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 3 3 4 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf E ATICH . E.1.2IZIONI CLIM D N CO
E 15
E.1. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE CONDIZIONI CLIMATICHE
•
CONTESTO AMBIENTALE
➦ DATI CLIMATICI IN ITALIA TERNI (UMBRIA)
PESARO (MARCHE)
Altitudine 170 m s.l.m. Gradi-Giorno 1650 Mesi Gen TmT 2,4 TMM 10,2 DT 7,8 TM 6,3 H 6,2
Feb 3,5 12,6 9,1 8,0 8,7
Mar 5,6 16,1 10,5 10,8 13,8
Latitudine 42°34’ Zona climatica: D Apr 8,1 19,7 11,6 13,9 17,3
Mag 11,9 24,6 12,7 18,2 24,1
Giu 15,7 28,9 13,2 22,3 23,0
Longitudine 12°39’
Lug 18,3 32,7 14,4 25,5 23,3
Ago 18,3 32,2 13,9 25,3 20,1
Set 15,5 27,9 12,4 21,7 15,3
Ott 10,8 21,8 11,0 16,3 11,0
Nov 6,6 15,3 8,7 10,9 7,1
Altitudine 11 m s.l.m. Gradi-Giorno 2083 Dic 3,5 10,8 7,3 7,2 5,5
Profilo climatico Gen Mf
Feb Mf
Feb 1,9 8,7 6,8 5,3 7,8
Mar 4,6 12,4 7,8 8,5 13,5
Apr 7,9 16,5 8,6 12,2 17,4
Mag 11,8 20,8 9,0 16,3 21,3
Apr Conf
Mag Conf
Giu C
Lug Mc
Ago Mc
Set C
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 3 2 3 2 2 RISC: 5 mesi 3 mesi RAFF: 4 mesi
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
ANCONA (MARCHE)
URBINO (MARCHE)
Mesi Gen TmT 3,4 TMM 8,4 DT 5,0 TM 5,9 H 5,4
Feb 4,5 9,7 5,2 7,1 8,0
Mar 6,6 12,1 5,5 9,4 13,6
Latitudine 43°37’ Zona climatica: D Apr 9,9 15,8 5,9 12,9 17,6
Mag 14,0 20,1 6,1 17,0 21,4
Giu 17,8 24,0 6,2 20,9 23,4
Longitudine 13°31’
Lug 20,4 27,0 6,6 23,7 23,5
Ago 20,4 26,7 6,3 23,5 20,0
Set 17,6 23,4 5,8 20,5 15,3
Ott 13,4 18,6 5,2 16,0 10,6
Nov 9,2 14,1 4,9 11,6 6,3
Altitudine 451 m s.l.m. Gradi-Giorno 2545 Dic 5,0 9,8 4,8 7,4 4,7
Profilo climatico Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Mesi Gen TmT 0,4 TMM 6,6 DT 6,2 TM 3,5 H 5,2
Feb 1,1 7,4 6,3 4,3 7,9
Mar 3,6 10,9 7,3 7,2 13,5
Apr 6,4 14,6 8,2 10,5 17,3
Mag Conf
Giu Conf
Lug Conf
Ago Conf
Set Conf
Ott F
Nov F
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
FROSINONE (LAZIO)
Altitudine 166 m s.l.m. Gradi-Giorno 1698 Mar 5,1 15,2 10,1 10,2 13,5
Latitudine 42°51’ Zona climatica: D Apr 8,3 18,9 10,6 13,6 17,5
Mag 11,9 23,3 11,4 17,6 21,2
Giu 15,6 27,7 12,1 21,7 23,1
Longitudine 13°34’
Lug 17,8 30,8 13,0 24,3 23,1
Ago 17,7 30,8 13,1 24,3 19,8
Set 15,0 26,9 11,9 21,0 15,2
Ott 10,9 21,5 10,6 16,2 10,8
Nov 7,1 16,1 9,0 11,6 6,7
Altitudine 180 m s.l.m. Gradi-Giorno 2196 Dic 3,8 12,5 8,7 8,2 5,2
Profilo climatico Feb Mf
Mar F
Mesi Gen TmT 0,5 TMM 10,8 DT 10,3 TM 5,6 H 6,5
Feb 1,6 12,3 10,7 6,9 9,1
Mar 3,8 15,0 11,2 9,4 13,8
Apr 6,1 17,8 11,7 12,0 17,4
Mag Conf
Giu C
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
LATINA (LAZIO)
Altitudine 342 m s.l.m. Gradi-Giorno 2005 Mar 5,6 12,1 6,5 8,9 13,5
Latitudine 43°18’ Zona climatica: D Apr 8,8 16,1 7,3 12,4 17,6
Mag 12,9 20,9 8,0 16,9 21,3
Giu 16,7 25,1 8,4 20,9 23,2
Longitudine 13°27’
Lug 19,4 28,2 8,8 23,8 23,4
Ago 19,0 27,5 8,5 23,3 19,9
Set 16,3 23,9 7,6 20,1 15,2
Ott 21,1 18,3 –2,8 15,2 10,7
Nov 7,5 13,0 5,5 10,2 6,5
Altitudine 21 m s.l.m. Gradi-Giorno 1220 Dic 3,8 8,9 5,1 6,4 4,9
Profilo climatico Feb Mf
Mar Mf
Set 15,0 23,5 8,5 19,3 15,0
Ott 10,9 18,4 7,5 14,6 10,5
Nov 6,5 12,8 6,3 9,7 6,1
Dic 2,6 8,5 5,9 5,5 4,5
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Longitudine 15°38’
Lug 16,9 27,1 10,2 22,0 23,3
Ago 16,5 26,2 9,7 21,3 19,9
Set 13,5 22,1 8,6 17,8 15,0
Ott 9,0 16,2 7,2 12,6 10,4
Nov 4,8 11,3 6,5 8,0 6,2
Dic 1,6 7,8 6,2 4,7 4,6
Lug C
Ago Conf
Set Conf
Giu 13,3 26,7 13,4 20,0 23,2
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Longitudine 13°18’
Lug 15,9 30,4 14,5 23,2 23,4
Ago 16,3 30,7 14,4 23,5 20,4
Set 13,6 26,7 13,1 20,1 15,6
Ott 9,4 21,2 11,8 15,3 11,3
Nov 5,1 15,4 10,3 10,2 7,4
Dic 1,8 11,6 9,8 6,7 5,7
Profilo climatico Apr F
MACERATA (MARCHE)
Gen Mf
Giu 14,4 24,2 9,8 19,3 23,0
Giu Conf
Mag 9,7 22,7 13,0 16,2 21,5
MF F CONF C MC 4 2 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
Feb 3,3 9,0 5,7 6,2 8,0
Lug C
Latitudine 41°38’ Zona climatica: E
MF F CONF C MC 3 3 3 3 0 RISC: 6 mesi 3 mesi RAFF: 3 mesi
Mesi Gen TmT 2,4 TMM 7,6 DT 5,2 TM 5,0 H 5,5
Ago 17,8 27,1 9,3 22,5 20,0
Profilo climatico Apr F
ASCOLI PICENO (MARCHE)
Gen Mf
Giu Conf
Mag 10,2 19,6 9,4 14,9 21,2
MF F CONF C MC 5 2 4 1 0 RISC: 7 mesi 4 mesi RAFF: 1 mese
Feb 2,5 12,3 9,8 7,4 8,2
Lug 18,0 27,7 9,7 22,8 23,4
Latitudine 43°44’ Zona climatica: E
MF F CONF C MC 4 3 5 0 0 RISC: 7 mesi 5 mesi RAFF: 0 mesi
Mesi Gen TmT 1,8 TMM 10,4 DT 8,6 TM 6,1 H 5,8
Giu 15,7 25,0 9,3 20,3 23,2
Longitudine 15°53’
Profilo climatico
Mar F
Altitudine 103 m s.l.m. Gradi-Giorno 1688
Mesi Gen TmT 4,8 TMM 12,6 DT 7,8 TM 8,7 H 6,7
Feb 5,2 13,2 8,0 9,2 9,3
Mar 6,8 15,6 8,8 11,2 14,1
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Latitudine 41°28’ Zona climatica: C Apr 9,3 18,5 9,2 13,9 17,7
Mag 12,6 22,5 9,9 17,6 21,8
Giu 16,6 26,6 10,0 21,6 23,6
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Longitudine 12°54’
Lug 18,9 29,5 10,6 24,2 23,8
Ago 19,0 29,4 10,4 24,2 20,7
Set 16,8 26,5 9,7 21,7 15,8
Ott 12,8 22,3 9,5 17,6 11,6
Nov 9,3 17,2 7,9 13,3 7,6
Dic 6,4 14,1 7,7 10,2 5,8
Profilo climatico Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 4 3 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
E 16
Mesi Gen TmT 0,9 TMM 6,8 DT 5,9 TM 3,8 H 5,2
Latitudine 43°53’ Zona climatica: D
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov F
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar F
Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 2 4 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic F
CONTROLLO AMBIENTALE
CONTESTO AMBIENTALE CONDIZIONI CLIMATICHE
•
E.1. 2. A.ZIONI
RIETI (LAZIO) Altitudine 402 m s.l.m. Gradi-Giorno 2324 Mesi Gen TmT –0,5 TMM 8,1 DT 8,6 TM 3,8 H 6,2
Feb 0,0 9,9 9,9 4,9 8,7
Mar 2,1 13,0 10,9 7,5 13,8
Latitudine 42°24’ Zona climatica: E Apr 4,9 16,8 11,9 10,8 17,2
Mag 8,0 21,4 13,4 14,7 21,3
Giu 11,5 25,4 13,9 18,5 22,9
Longitudine 12°52’
Lug 13,3 29,0 15,7 21,2 23,2
Ago 13,4 29,2 15,8 21,3 20,0
Set 11,3 25,0 13,7 18,2 15,2
Ott 7,3 19,4 12,1 13,4 11,1
Nov 4,1 13,6 9,5 8,8 7,2
Altitudine 320 m s.l.m. Gradi-Giorno 1556 Dic 1,0 9,4 8,4 5,2 5,5
Profilo climatico Gen Mf
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
CHIETI (ABRUZZO)
Feb Mf
Mesi Gen TmT 4,2 TMM 8,6 DT 4,4 TM 6,4 H 6,0
Feb 4,4 10,0 5,6 7,2 8,5
Mar 7,0 13,1 6,1 10,0 13,5
Latitudine 42°21’ Zona climatica: D Apr 10,5 17,0 6,5 13,8 17,9
Mag 14,5 21,7 7,2 18,1 21,5
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov Mf
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar F
Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 3 3 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
ROMA (LAZIO)
PESCARA (ABRUZZO)
Altitudine 18 m s.l.m. Gradi-Giorno 1415
Gen Mf
Feb Mf
Feb 3,1 13,7 10,6 8,4 9,2 Mar F
Latitudine 41°57’ Zona climatica: D
Mar 4,7 16,2 11,5 10,5 14,1 Apr Conf
Apr 7,1 19,0 11,9 13,0 17,6
Mag 10,7 23,7 13,0 17,2 21,8
Mag Conf
Giu 14,4 27,7 13,3 21,1 23,5
Giu C
Longitudine 12°30’
Lug 16,8 31,1 14,3 23,9 23,7
Lug C
Ago 17,0 31,2 14,2 24,1 20,6
Ago C
Set 14,5 27,5 13,0 21,0 15,7 Set C
Ott 10,4 22,5 12,1 16,5 11,5 Ott Conf
Nov 6,2 16,8 10,6 11,5 7,5 Nov F
Altitudine 10 m s.l.m. Gradi-Giorno 1718 Dic 3,3 13,0 9,7 8,1 5,7
Mesi Gen TmT 1,6 TMM 10,7 DT 9,1 TM 6,1 H 6,0
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Feb 2,2 11,7 9,5 7,0 8,5
Mar 4,0 14,1 10,1 9,1 13,6
Mar Mf
Apr F
Apr 6,8 17,6 10,8 12,2 17,9
Mag Conf
VITERBO (LAZIO)
TERAMO (ABRUZZO)
Altitudine 307 m s.l.m. Gradi-Giorno 1989 Mar 2,9 13,9 11,0 8,4 14,1
Latitudine 42°26’ Zona climatica: D Apr 5,0 16,4 11,4 10,7 17,6
Mag 8,5 21,2 12,7 14,9 21,8
Giu 12,0 25,5 13,5 18,7 23,4
Longitudine 12°3’
Lug 14,7 29,4 14,7 22,1 23,6
Ago 15,4 29,5 14,1 22,4 20,4
Set 12,9 25,5 12,6 19,2 15,6
Ott 9,2 19,8 10,6 14,5 11,3
Altitudine 402 m s.l.m. Gradi-Giorno 1834
Nov 4,8 14,3 9,5 9,5 7,3
Dic 2,0 10,5 8,5 6,2 5,6
Profilo climatico Gen Mf
Feb Mf
Mesi Gen TmT 2,9 TMM 14,4 DT 11,5 TM 5,5 H 5,9
Feb 3,4 15,7 12,3 6,4 8,3
Mar 5,4 18,5 13,1 8,6 13,5
Apr 8,6 21,8 13,2 12,2 17,6
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov Mf
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
L’AQUILA (ABRUZZO)
CAMPOBASSO (MOLISE)
Altitudine 735 m s.l.m. Gradi-Giorno 2514 Mar 2,2 11,4 9,2 6,8 13,5
Latitudine 42°21’ Zona climatica: E Apr 5,4 15,4 10,0 10,4 17,3
Mag 8,9 19,9 11,0 14,4 21,1
Giu 12,5 24,5 12,0 18,5 22,8
Longitudine 13°24’
Lug 14,8 27,9 13,1 21,3 22,9
Ago 14,7 27,8 13,1 21,3 19,8
Set 12,0 23,5 11,5 17,7 15,2
Ott 7,9 17,4 9,5 12,7 11,0
Nov 3,9 11,2 7,3 7,6 7,0
Altitudine 793 m s.l.m. Gradi-Giorno 2346 Dic 0,4 6,6 6,2 3,5 5,4
Profilo climatico Feb Mf
Mar Mf
Ott 13,7 19,4 5,7 16,5 11,1
Nov 9,2 14,2 5,0 11,7 6,9
Dic 6,2 10,9 4,7 8,6 5,4
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Mesi Gen TmT 1,2 TMM 6,6 DT 5,4 TM 3,9 H 6,2
Feb 1,4 7,5 6,1 4,4 8,8
Mar 3,2 10,2 7,0 6,7 13,6
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
CO NTALE AMBIE
Giu 14,7 26,0 11,3 20,3 23,5
Giu Conf
Lug 17,0 28,9 11,9 23,0 23,3
Lug C
F. TERIALI,
Longitudine 14°12’ Ago 17,1 28,8 11,7 22,9 20,1
Ago C
Set 14,4 25,6 11,2 20,0 15,5
Set Conf
Ott 10,5 20,5 10,0 15,5 11,1 Ott Conf
Nov 6,3 15,7 9,4 11,0 6,8 Nov F
Dic 3,2 12,1 8,9 7,6 5,4 Dic Mf
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
Giu 15,7 30,0 14,3 20,0 23,1
Longitudine 13°44’
Lug 18,0 32,9 14,9 22,4 23,1
Ago 18,4 33,0 14,6 22,7 19,9
Giu Conf
Lug Conf
Ago Conf
Set 15,6 29,0 13,4 19,2 15,3
Set Conf
Ott 11,4 22,4 11,0 14,4 11,0
Nov 8,0 20,0 12,0 10,8 6,8
Dic 3,9 15,5 11,6 6,4 5,3
Ott F
Nov F
Dic Mf
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
Latitudine 41°34’ Zona climatica: E Apr 5,9 13,6 7,7 9,8 17,9
B.STAZIONI DILEGIZLII
E.NTROLLO
Mag 12,2 26,1 13,9 16,3 21,3
MF F CONF C MC 4 3 5 0 0 RISC: 7 mesi 5 mesi RAFF: 0 mesi
Gen Mf
Set 17,7 24,5 6,8 21,1 15,5
Profilo climatico
Mar Mf
Feb –0,4 7,6 8,0 3,6 8,4
Lug C
Latitudine 42°40’ Zona climatica: D
MF F CONF C MC 5 1 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT –1,2 TMM 5,5 DT 6,7 TM 2,1 H 6,0
Giu Conf
Mag 10,9 22,1 11,2 16,5 21,5
MF F CONF C MC 4 2 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
Feb 1,7 11,3 9,6 6,5 9,1
Ago 20,7 28,2 7,5 24,4 20,1
Latitudine 42°26’ Zona climatica: D
MF F CONF C MC 3 2 3 4 0 RISC: 5 mesi 3 mesi RAFF: 4 mesi
Mesi Gen TmT 0,8 TMM 9,7 DT 8,9 TM 5,2 H 6,5
Lug 20,7 28,4 7,7 24,5 23,2
Profilo climatico
Mar Mf
MF F CONF C MC 5 1 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT 2,2 TMM 12,3 DT 10,1 TM 7,2 H 6,7
Giu 18,2 25,6 7,4 21,9 23,4
Longitudine 14°10’
Mag 10,4 18,7 8,3 14,5 21,7
Giu 13,8 22,8 9,0 18,3 23,6
Longitudine 14°39’
Lug 16,8 26,2 9,4 21,5 23,4
Ago 17,1 26,4 9,3 21,7 20,3
Set 14,0 22,3 8,3 18,2 15,7
Ott 9,9 16,8 6,9 13,4 11,3
Nov 5,7 11,5 5,8 8,6 7,3
Dic 2,6 7,8 5,2 5,2 5,8
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
Profilo climatico Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr Mf
Mag F
MF F CONF C MC 6 2 4 0 0 RISC: 8 mesi 4 mesi RAFF: 0 mesi
Giu Conf
Lug Conf
Ago Conf
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf E ATICH . E.1.2IZIONI CLIM D N CO
E 17
E.1. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE CONDIZIONI CLIMATICHE
•
CONTESTO AMBIENTALE
➦ DATI CLIMATICI IN ITALIA ISERNIA (MOLISE)
NAPOLI (CAMPANIA)
Altitudine 402 m s.l.m. Gradi-Giorno 1866 Mesi Gen Feb TmT 2,2 2,6 TMM 9,6 10,5 DT 7,4 7,9 TM 5,9 6,5 H 6,2 8,9 Profilo climatico Gen Mf
Feb Mf
Mar 4,8 13,1 8,3 9,0 13,5
Latitudine 41°36’ Zona climatica: D Apr 7,6 16,7 9,1 12,1 17,7
Mag 11,0 21,4 10,4 16,2 21,5
Giu 14,5 26,0 11,5 20,2 23,4
Longitudine 14°13’
Lug 17,0 29,1 12,1 23,1 23,2
Ago 17,1 29,8 12,7 23,5 20,2
Set 14,8 25,4 10,6 20,1 15,6
Ott 9,9 18,7 8,8 14,3 11,2
Nov 6,3 13,5 7,2 9,9 7,3
Altitudine 88 m s.l.m. Gradi-Giorno 1034 Dic 4,5 11,4 6,9 8,0 5,8
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
Mar 4,4 13,6 9,2 9,0 13,7
Latitudine 40°55’ Zona climatica: D Apr 6,7 17,4 10,7 12,0 17,9
Mag 9,5 22,0 12,5 15,8 21,7
Giu 13,1 26,6 13,5 19,8 23,7
Longitudine 14°48’
Lug 15,2 29,7 14,5 22,5 23,5
Ago 15,2 29,8 14,6 22,5 20,6
Set 13,4 25,2 11,8 19,3 15,9
Ott 10,0 19,9 9,9 15,0 11,5
Nov 6,3 14,5 8,2 10,4 7,6
Dic 3,9 11,2 7,3 7,6 6,0
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Mar 6,5 14,9 8,4 10,7 13,6
Latitudine 41°48’ Zona climatica: C Apr 9,2 19,1 9,9 14,2 17,9
Mag 12,5 23,6 11,1 18,0 21,7
Giu 16,0 28,2 12,2 22,1 23,7
Longitudine 14°46’
Mar F
Lug 18,0 31,3 13,3 24,7 23,5
Ago 18,2 31,2 13,0 24,7 20,5
Set 16,1 27,3 11,2 21,7 15,8
Ott 11,9 21,7 9,8 16,8 11,4
Nov 8,5 16,0 7,5 12,3 7,5
Dic 6,2 12,6 6,4 9,4 5,9
Mag Conf
Giu C
Lug C
Ago C
Set C
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Mar 9,0 16,1 7,1 12,5 13,8
Latitudine 41°4’ Zona climatica: C Apr 11,5 19,9 8,4 15,7 17,9
Mag 14,8 24,1 9,3 19,5 21,8
Giu 18,9 28,7 9,8 23,8 23,7
Longitudine 14°20’
Mar F
Nov 8,4 17,2 8,8 12,8 7,8
Dic 5,7 13,6 7,9 9,7 6,1
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Mesi Gen TmT 7,3 TMM 13,6 DT 6,3 TM 10,4 H 6,7
Feb 7,6 14,4 6,8 11,0 9,3
Latitudine 40°41’ Zona climatica: C
Mar 9,2 17,3 8,1 13,2 13,9
Apr 12,0 20,4 8,4 16,2 17,9
Mag 15,3 24,6 9,3 19,9 21,8
Giu 18,9 28,7 9,8 23,8 23,8
Longitudine 14°46’
Lug 21,1 31,6 10,5 26,4 23,6
Ago 21,2 31,7 10,5 26,4 20,7
Set 19,0 28,5 9,5 23,7 16,0
Ott 15,9 24,1 8,2 20,0 11,7
Nov 11,7 18,8 7,1 15,2 7,8
Dic 9,3 15,3 6,0 12,3 6,1
Gen F
Feb F
Mar F
Apr Conf
Mag Conf
Giu C
Lug C
Ago C
Set C
Ott Conf
Nov F
Dic F
Mesi Gen TmT 5,0 TMM 12,2 DT 7,2 TM 8,6 H 6,6
Feb 5,2 12,9 7,7 9,0 9,1
Latitudine 41°8’ Zona climatica: C
Mar 6,6 14,9 8,3 10,7 14,1
Apr 9,0 18,0 9,0 13,5 18,3
Mag 12,9 22,3 9,4 17,6 22,0
Giu 16,8 26,3 9,5 21,5 24,1
Longitudine 16°47’
Lug 19,3 28,7 9,4 24,0 23,8
Ago 19,4 28,9 9,5 24,1 20,8
Set 16,6 25,7 9,1 21,2 16,3
Ott 12,9 21,2 8,3 17,1 11,6
Nov 9,2 17,1 7,9 13,1 7,4
Dic 6,5 13,8 7,3 10,1 6,1
Gen Mf
Feb Mf
Mar F
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic F
Lug 21,2 31,5 10,3 26,3 23,6
Ago 21,2 31,4 10,2 26,3 20,6
Set 18,8 28,0 9,2 23,4 15,9
Ott 14,9 22,7 7,8 18,8 11,5
Nov 11,3 18,0 6,7 14,6 7,7
Dic 8,5 14,6 6,1 11,5 6,0
Mesi Gen TmT 6,3 TMM 12,8 DT 6,5 TM 9,6 H 6,8
Feb 6,5 13,3 6,8 9,9 9,4
Latitudine 40°39’ Zona climatica: C
Mar 7,8 15,1 7,3 11,5 14,4
Apr 10,0 18,1 8,1 14,1 18,4
Mag 13,7 22,1 8,4 17,9 22,1
Giu 17,6 26,1 8,5 21,9 24,3
Longitudine 17°57’
Lug 20,4 28,6 8,2 24,5 24,1
Ago 20,7 28,9 8,2 24,8 20,9
Set 18,1 26,1 8,0 22,1 16,4
Ott 14,7 21,7 7,0 18,2 11,9
Nov 10,7 17,5 6,8 14,1 7,6
Dic 7,8 14,2 6,4 11,0 6,1
Profilo climatico Apr Conf
Mag Conf
MF F CONF C MC 1 4 3 4 0 RISC: 5 mesi 3 mesi RAFF: 4 mesi
E 18
Mar F
Altitudine 6 m s.l.m. Gradi-Giorno 1083
Profilo climatico Feb F
Ott 12,1 22,0 9,9 17,1 11,7
BRINDISI (PUGLIA)
Altitudine 90 m s.l.m. Gradi-Giorno 1013
Gen Mf
Set 15,9 26,5 10,6 21,2 16,1
MF F CONF C MC 2 4 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
CASERTA (CAMPANIA)
Feb 6,9 13,4 6,5 10,2 9,2
Ago 18,4 29,7 11,3 24,0 20,8
Profilo climatico Apr Conf
MF F CONF C MC 3 2 3 4 0 RISC: 5 mesi 3 mesi RAFF: 4 mesi
Mesi Gen TmT 6,6 TMM 12,6 DT 6,0 TM 9,6 H 6,6
Feb Mf
Altitudine 34 m s.l.m. Gradi-Giorno 1185
Profilo climatico Feb Mf
Lug 18,2 29,5 11,3 23,8 23,7
BARI (PUGLIA)
Altitudine 170 m s.l.m. Gradi-Giorno 1316
Gen Mf
Giu 15,9 26,5 10,6 21,2 23,8
MF F CONF C MC 0 5 3 4 0 RISC: 5 mesi 3 mesi RAFF: 4 mesi
BENEVENTO (CAMPANIA)
Feb 4,6 12,3 7,7 8,5 9,0
Mag 12,2 22,5 10,3 17,4 21,9
Profilo climatico
Mar Mf
MF F CONF C MC 4 2 4 2 0 RISC:6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT 4,1 TMM 11,1 DT 7,0 TM 7,6 H 6,4
Gen Mf
Altitudine 40 m s.l.m. Gradi-Giorno 994
Profilo climatico Feb Mf
Apr 8,8 18,4 9,6 13,6 18,0
SALERNO (CAMPANIA)
Altitudine 351 m s.l.m. Gradi-Giorno 1742
Gen Mf
Mar 6,4 15,4 9,0 10,9 14,0
MF F CONF C MC 3 3 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
AVELLINO (CAMPANIA)
Feb 2,8 10,5 7,7 6,7 9,1
Feb 4,8 13,2 8,4 9,0 9,4
Longitudine 14°18’
Profilo climatico
Mar Mf
MF F CONF C MC 5 2 3 2 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT 2,7 TMM 9,7 DT 7,0 TM 6,2 H 6,5
Mesi Gen TmT 4,4 TMM 12,4 DT 8,0 TM 8,4 H 6,8
Latitudine 40°51’ Zona climatica: C
Giu C
Lug C
Ago C
Set C
Ott Conf
Nov F
Dic F
Gen Mf
Feb Mf
Mar F
Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 2 4 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic F
CONTROLLO AMBIENTALE
CONTESTO AMBIENTALE CONDIZIONI CLIMATICHE
•
E.1. 2. A.ZIONI
FOGGIA (PUGLIA) Altitudine 80 m s.l.m. Gradi-Giorno 1530 Mesi Gen TmT 4,0 TMM 11,1 DT 7,1 TM 7,5 H 6,4
Feb 4,5 12,2 7,7 8,4 8,9
Latitudine 41°28’ Zona climatica: D
Mar 6,4 15,2 8,8 10,8 13,8
Apr 9,1 18,9 9,8 14,0 18,3
Mag 13,2 24,3 11,1 18,7 21,9
Giu 17,4 28,7 11,3 23,1 23,8
Longitudine 15°32’
Lug 20,3 31,7 11,4 26,0 23,5
Ago 20,2 31,3 11,1 25,8 20,5
Set 17,4 27,5 10,1 22,4 15,9
Ott 12,9 21,6 8,7 17,3 11,4
Nov 8,5 16,6 8,1 12,5 7,3
Altitudine 820 m s.l.m. Gradi-Giorno 2472 Dic 5,3 12,4 7,1 8,8 5,8
Profilo climatico Gen Mf
Feb Mf
Apr F
Mag Conf
Giu C
Lug C
Ago C
Set C
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Mar 7,6 15,2 7,6 11,4 14,5
Apr 10,5 19,1 8,6 14,8 18,5
Mag 14,1 23,7 9,6 18,9 22,1
Giu 18,4 28,4 10,0 23,4 24,3
Lug 20,7 30,6 9,9 25,7 24,1
Longitudine 18°10’
Mar F
Ago 21,1 30,8 9,7 25,9 20,9
Set 18,0 27,1 9,1 22,5 16,5
Ott 14,7 22,4 7,7 18,5 12,0
Nov 11,1 17,7 6,6 14,4 7,8
Dic 8,1 14,3 6,2 11,2 6,2
Mag Conf
Giu C
Lug C
Ago C
Set C
Ott Conf
Nov F
Dic F
Latitudine 40°27’ Zona climatica: C
Mar 7,8 15,0 7,2 11,4 14,4
Apr 10,2 17,8 7,6 14,0 18,4
Mag 14,0 22,4 8,4 18,2 22,0
Giu 18,0 26,7 8,7 22,3 24,2
Longitudine 17°18’
Mar F
Lug 20,5 29,8 9,3 25,1 23,9
Ago 20,7 29,6 8,9 25,1 20,9
Set 18,0 26,5 8,5 22,2 16,4
Ott 14,4 21,8 7,4 18,1 11,9
Nov 10,4 17,3 6,9 13,8 7,7
Dic 7,2 13,6 6,4 10,4 6,3
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic F
Mar 5,1 12,8 7,7 8,9 14,2
Latitudine 40°41’ Zona climatica: D Apr 8,0 17,1 9,1 12,6 18,3
Mag 11,7 21,9 10,2 16,8 21,9
Giu 15,8 27,2 11,4 21,5 23,9
Longitudine 16°37’
Mar Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr Mf
Mag F
Giu Conf
Lug Conf
Ago Conf
Set Conf
Nov 5,2 11,5 6,3 8,3 7,6
Dic 2,4 8,1 5,7 5,3 6,2
Ott F
Nov Mf
Dic Mf
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
Mesi Gen TmT 3,8 TMM 11,4 DT 7,6 TM 7,6 H 7,0
Feb 4,1 12,6 8,5 8,3 9,6
Mar 5,7 14,9 9,2 10,3 14,4
Latitudine 39°17’ Zona climatica: C Apr 7,7 18,1 10,4 12,9 18,2
Gen Mf
Feb Mf
Mar F
Apr F
Mag 11,2 23,2 12,0 17,2 22,0
Mag Conf
Giu 15,1 28,3 13,2 21,7 24,0
F. TERIALI,
Longitudine 16°15’
Lug 17,6 31,7 14,1 24,7 23,7
Ago 17,6 32,0 14,4 24,8 20,8
Giu C
Lug C
Ago Mc
Set 15,2 28,3 13,1 21,8 16,3 Set C
Ott 11,4 22,0 10,6 16,7 12,1
Nov 8,2 16,9 8,7 12,6 8,2
Dic 5,6 13,3 7,7 9,4 6,5
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Mesi Gen TmT 6,3 TMM 11,5 DT 5,2 TM 8,9 H 7,1
Feb 6,6 11,7 5,1 9,1 9,8
Mar 7,7 13,2 5,5 10,4 14,6
Apr 10,0 16,1 6,1 13,0 18,3
Gen Mf
Feb Mf
Mar F
Apr F
Mag 14,2 20,9 6,7 17,5 22,1
Mag Conf
Lug 18,4 30,5 12,1 24,5 23,6
Ago 19,0 31,3 12,3 25,1 20,6
Set 16,0 26,7 10,7 21,3 16,2
Ott 11,7 20,3 8,6 16,0 11,7
Nov 8,3 15,1 6,8 11,7 7,6
Dic 5,2 11,6 6,4 8,4 6,4
Mesi Gen TmT 6,3 TMM 11,5 DT 5,2 TM 8,9 H 7,1
Feb 6,6 11,7 5,1 9,1 9,8
Giu 17,9 25,0 7,1 21,5 24,0
Longitudine 16°35’
Lug 20,3 27,8 7,5 24,1 23,8
Ago 20,9 28,1 7,2 24,5 20,9
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set 18,2 25,1 6,9 21,7 16,4
Set Conf
Ott 14,3 20,5 6,2 17,4 12,3
Nov 10,8 16,3 5,5 13,6 8,3
Dic 7,8 13,2 5,4 10,5 6,7
Ott Conf
Nov F
Dic F
Apr 10,0 16,1 6,1 13,0 18,3
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
Latitudine 39°5’ Zona climatica: B
Mar 7,7 13,2 5,5 10,4 14,6
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
Latitudine 38°54’ Zona climatica: C
Altitudine 6 m s.l.m. Gradi-Giorno 899
Profilo climatico Feb Mf
Ott 9,0 16,6 7,6 12,8 11,5
CROTONE (CALABRIA)
Altitudine 401 m s.l.m. Gradi-Giorno 1776
Gen Mf
Set 12,8 21,9 9,1 17,4 15,8
MF F CONF C MC 2 4 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
MATERA (BASILICATA)
Feb 2,9 10,2 7,3 6,6 9,2
Ago 15,6 25,8 10,2 20,7 20,3
Profilo climatico
MF F CONF C MC 2 4 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT 2,9 TMM 9,1 DT 6,2 TM 6,0 H 6,8
Gen Mf
Altitudine 400 m s.l.m. Gradi-Giorno 1328
Profilo climatico Feb Mf
Lug 15,2 25,5 10,3 20,4 23,3
CATANZARO (CALABRIA)
Altitudine 22 m s.l.m. Gradi-Giorno 1071
Gen Mf
Giu 12,7 22,2 9,5 17,5 23,7
MF F CONF C MC 3 3 2 3 1 RISC: 6 mesi 2 mesi RAFF: 4 mesi
TARANTO (PUGLIA)
Feb 6,2 12,8 6,6 9,5 9,4
Mag 9,2 18,1 8,9 13,6 21,7
Profilo climatico Apr Conf
MF F CONF C MC 2 3 3 4 0 RISC: 5 mesi 3 mesi RAFF: 4 mesi
Mesi Gen TmT 6,0 TMM 12,3 DT 6,3 TM 9,1 H 6,9
Apr 5,1 13,3 8,2 9,2 18,0
Altitudine 250 m s.l.m. Gradi-Giorno 1317
Profilo climatico Feb Mf
Mar 2,6 9,9 7,3 6,2 13,8
COSENZA (CALABRIA)
Altitudine 78 m s.l.m. Latitudine 40°21’ Gradi-Giorno 1153 Zona climatica: C
Gen Mf
Feb 1,0 7,1 6,1 4,0 8,9
Longitudine 15°48’
MF F CONF C MC 6 2 4 0 0 RISC: 8 mesi 4 mesi RAFF: 0 mesi
LECCE (PUGLIA)
Feb 6,0 13,2 7,2 9,6 9,6
Mesi Gen TmT 0,9 TMM 6,5 DT 5,6 TM 3,7 H 6,6
Latitudine 40°38’ Zona climatica: E
Profilo climatico
Mar F
MF F CONF C MC 3 3 2 4 0 RISC: 7 mesi 3 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT 6,0 TMM 12,4 DT 6,4 TM 9,2 H 7,0
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
POTENZA (BASILICATA)
Mag 14,2 20,9 6,7 17,5 22,1
Giu 17,9 25,0 7,1 21,5 24,0
Longitudine 17°8’
Lug 20,3 27,8 7,5 24,1 23,8
Ago 20,9 28,1 7,2 24,5 20,9
Set 18,2 25,1 6,9 21,7 16,4
Ott 14,3 20,5 6,2 17,4 12,3
Nov 10,8 16,3 5,5 13,6 8,3
Dic 7,8 13,2 5,4 10,5 6,7
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
Profilo climatico Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 4 2 3 3 0 RISC: 6 mesi 3 mesi RAFF: 3 mesi
Giu C
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Gen F
Feb F
Mar F
Apr Conf
Mag Conf
MF F CONF C MC 0 5 3 2 2 RISC: 5 mesi 3 mesi RAFF: 4 mesi
Giu C
Lug Mc
Ago Mc
Set C
Ott Conf
Nov F
Dic F E ATICH . E.1.2IZIONI CLIM D N CO
E 19
E.1. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE CONDIZIONI CLIMATICHE
•
CONTESTO AMBIENTALE
➦ DATI CLIMATICI IN ITALIA REGGIO CALABRIA (CALABRIA) Altitudine 15 m s.l.m. Gradi-Giorno 772 Mesi Gen TmT 8,1 TMM 14,9 DT 6,8 TM 11,5 H 7,5
Feb 8,1 15,3 7,2 11,7 10,4
CATANIA (SICILIA)
Latitudine 38°6’ Zona climatica: B
Mar 9,1 16,8 7,7 12,9 15,0
Apr 11,0 19,2 8,2 15,1 18,6
Mag 14,6 23,4 8,8 19,0 22,4
Giu 18,3 27,3 9,0 22,8 24,1
Longitudine 15°39’
Lug 21,4 30,6 9,2 26,0 24,0
Ago 21,9 30,7 8,8 26,3 21,1
Set 19,3 28,0 8,7 23,6 16,7
Ott 15,8 23,7 7,9 19,8 12,7
Altitudine 75 m s.l.m. Gradi-Giorno 833
Nov 12,3 19,7 7,4 16,0 8,6
Dic 9,5 16,3 6,8 12,9 7,0
Nov Conf
Dic F
Profilo climatico Gen F
Feb F
Mar F
Mag Conf
Giu C
Lug C
Ago C
Set C
Ott Conf
Altitudine 107 m s.l.m. Gradi-Giorno 880 Feb 9,9 14,4 4,5 12,2 9,9
Feb F
Mar 10,7 15,8 5,1 13,2 14,6
Latitudine 38°44’ Zona climatica: B Apr 12,3 17,9 5,6 15,1 18,3
Mag 16,1 22,4 6,3 19,3 22,2
Giu 19,8 26,1 6,3 22,9 24,0
Longitudine 16°10’
Lug 22,3 28,8 6,5 25,6 23,8
Ago 23,0 29,6 6,6 26,3 21,0
Set 20,5 26,8 6,3 23,7 16,5
Ott 17,3 23,0 5,7 20,1 12,3
Nov 14,0 18,8 4,8 16,4 8,3
Dic 11,5 15,6 4,1 13,5 6,7
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic F
Mar 9,1 16,4 7,3 12,8 15,5
Latitudine 37°19’ Zona climatica: B Apr 11,2 18,9 7,7 15,1 19,2
Mag 14,8 23,6 8,8 19,2 22,9
Giu 19,2 28,2 9,0 23,7 24,2
Longitudine 13°34’
Lug 21,8 30,9 9,1 26,4 24,3
Ago 22,1 30,9 8,8 26,5 21,6
Set 19,8 27,5 7,7 23,7 17,1
Ott 16,1 23,5 7,4 19,8 13,0
Nov 12,6 19,3 6,7 15,9 9,2
Dic 9,7 15,8 6,1 12,7 7,6
Mag Conf
Giu C
Lug C
Ago C
Set C
Ott Conf
Nov Conf
Dic F
Mar 5,2 13,9 8,7 9,6 15,3
Latitudine 37°29’ Zona climatica: D Apr 7,4 17,2 9,8 12,3 18,9
Mag 11,3 22,5 11,2 16,9 22,7
Giu 15,9 27,8 11,9 21,9 24,1
Longitudine 14°4’
Mar Mf
Nov 12,3 19,4 7,1 15,8 9,0
Dic 9,3 15,9 6,6 12,6 7,5
Apr Conf
Mag Conf
Giu C
Lug C
Ago C
Set C
Ott Conf
Nov Conf
Dic F
Mesi Gen TmT 3,0 TMM 7,2 DT 4,2 TM 5,1 H 7,9
Feb 2,8 7,9 5,1 5,4 10,9
Mar 4,0 9,8 5,8 6,9 15,2
Latitudine 37°33’ Zona climatica: E Apr 6,2 12,6 6,4 9,4 18,8
Mag 10,8 18,3 7,5 14,5 22,7
Giu 15,2 23,6 8,4 19,4 24,1
Longitudine 14°17’
Lug 18,1 26,7 8,6 22,4 24,1
Ago 18,4 26,9 8,5 22,7 21,2
Set 15,3 22,6 7,3 19,0 16,9
Ott 11,2 16,9 5,7 14,1 12,8
Nov 7,7 12,5 4,8 10,1 8,9
Dic 4,6 8,8 4,2 6,7 7,4
Gen Mf
Feb Mf
Mar Mf
Apr Mf
Mag F
Giu Conf
Lug Conf
Ago Conf
Set Conf
Ott F
Nov F
Dic Mf
Mesi Gen TmT 9,2 TMM 14,1 DT 4,9 TM 11,7 H 7,4
Feb 9,2 14,5 5,3 11,8 10,4
Latitudine 38°12’ Zona climatica: B
Mar 10,3 16,1 5,8 13,2 15,0
Apr 12,2 18,5 6,3 15,4 18,6
Mag 15,5 22,5 7,0 19,0 22,4
Giu 19,4 26,7 7,3 23,0 24,1
Longitudine 15°33’
Lug 22,4 29,8 7,4 26,1 24,0
Ago 22,9 30,2 7,3 26,6 21,1
Set 20,7 27,3 6,6 24,0 16,7
Ott 17,2 23,1 5,9 20,2 12,6
Nov 13,7 18,9 5,2 16,3 8,5
Dic 10,8 15,6 4,8 13,2 7,0
Gen F
Feb F
Mar F
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set C
Ott Conf
Nov F
Dic F
Lug 18,5 30,7 12,2 24,6 24,2
Ago 18,6 30,6 12,0 24,6 21,3
Set 16,1 26,9 10,8 21,5 17,0
Ott 12,5 20,8 8,3 16,7 12,9
Nov 8,6 15,7 7,1 12,2 9,0
Dic 5,8 12,2 6,4 9,0 7,5
Mesi Gen TmT 8,8 TMM 14,5 DT 5,7 TM 11,6 H 7,9
Feb 8,6 14,8 6,2 11,7 10,8
Mar 9,7 16,4 6,7 13,0 15,3
Latitudine 38°7’ Zona climatica: B Apr 11,5 18,6 7,1 15,0 18,9
Mag 14,9 22,8 7,9 18,8 22,7
Giu 18,7 26,6 7,9 22,7 24,2
Longitudine 13°18’
Lug 21,6 29,5 7,9 25,5 24,3
Ago 22,2 29,9 7,7 26,0 21,3
Set 20,1 27,3 7,2 23,7 16,9
Ott 16,4 23,1 6,7 19,7 12,8
Nov 13,0 19,2 6,2 16,1 8,7
Dic 10,2 15,7 5,5 12,9 7,3
Nov Conf
Dic F
Profilo climatico Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 4 2 3 3 0 RISC: 6 mesi 3 mesi RAFF: 3 mesi
E 20
Mar F
Altitudine 107 m s.l.m. Gradi-Giorno 751
Profilo climatico Feb Mf
Ott 15,9 23,1 7,2 19,5 13,0
PALERMO (SICILIA)
Altitudine 570 m s.l.m. Gradi-Giorno 1550
Gen Mf
Set 19,9 27,5 7,6 23,7 17,0
MF F CONF C MC 0 6 3 3 0 RISC: 6 mesi 3 mesi RAFF: 3 mesi
CALTANISSETTA (SICILIA)
Feb 4,0 11,5 7,5 7,8 11,0
Ago 22,4 30,8 8,4 26,6 21,3
Profilo climatico Apr F
MF F CONF C MC 0 5 3 4 0 RISC: 5 mesi 3 mesi RAFF: 4 mesi
Mesi Gen TmT 3,9 TMM 10,5 DT 6,6 TM 7,2 H 8,0
Feb F
Altitudine 51 m s.l.m. Gradi-Giorno 707
Profilo climatico Mar F
Lug 22,2 30,6 8,4 26,4 24,1
MESSINA (SICILIA)
Altitudine 313 m s.l.m. Gradi-Giorno 729
Feb F
Giu 19,2 27,4 8,2 23,3 24,2
MF F CONF C MC 5 3 4 0 0 RISC: 8 mesi 4 mesi RAFF: 0 mesi
AGRIGENTO (SICILIA)
Gen F
Mag 15,5 23,6 8,1 19,5 22,6
Profilo climatico
Mar F
Feb 8,0 14,5 6,5 11,2 11,3
Gen F
Altitudine 996 m s.l.m. Gradi-Giorno 2248
MF F CONF C MC 0 6 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
Mesi Gen TmT 8,0 TMM 14,0 DT 6,0 TM 11,0 H 8,3
Apr 11,4 19,4 8,0 15,4 18,9
ENNA (SICILIA)
Profilo climatico Gen F
Mar 9,6 17,1 7,5 13,3 15,2
MF F CONF C MC 0 4 4 4 0 RISC: 4 mesi 4 mesi RAFF: 4 mesi
VIBO VALENTIA (PIZZO CALABRO) (CALABRIA)
Gen 10,1 14,2 4,1 12,2 7,1
Feb 8,2 15,6 7,4 11,9 11,0
Longitudine 15°5’
Profilo climatico Apr Conf
MF F CONF C MC 0 4 4 4 2 RISC: 4 mesi 4 mesi RAFF: 4 mesi
Mesi TmT TMM DT TM H
Mesi Gen TmT 8,0 TMM 14,7 DT 6,7 TM 11,3 H 8,0
Latitudine 37°30’ Zona climatica: B
Giu C
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Gen F
Feb F
Mar F
Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 0 5 4 3 0 RISC: 5 mesi 3 mesi RAFF: 3 mesi
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set C
Ott Conf
CONTROLLO AMBIENTALE
CONTESTO AMBIENTALE CONDIZIONI CLIMATICHE
•
E.1. 2. A.ZIONI
RAGUSA (SICILIA) Altitudine 515 m s.l.m. Gradi-Giorno 1324 Mesi Gen TmT 3,9 TMM 12,3 DT 8,4 TM 8,1 H 8,5
Feb 4,3 12,8 8,5 8,6 11,5
Mar 5,7 15,0 9,3 10,4 15,5
Latitudine 36°56’ Zona climatica: C Apr 7,5 17,4 9,9 12,4 19,2
Mag 11,4 23,2 11,8 17,3 22,9
Giu 16,1 28,7 12,6 22,4 24,3
Longitudine 14°44’
Lug 18,3 31,6 13,3 25,0 24,2
Ago 18,6 32,0 13,4 25,3 21,6
Set 15,9 28,0 12,1 21,9 17,3
Ott 12,0 22,4 10,4 17,2 13,3
Nov 8,6 18,0 9,4 13,3 9,4
Altitudine 545 m s.l.m. Gradi-Giorno 1602 Dic 5,3 14,0 8,7 9,7 7,8
Profilo climatico Gen Mf
Feb Mf
Apr F
Mag Conf
Giu C
Lug C
Ago C
Set C
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Latitudine 37°3’ Zona climatica: B
Mar 8,7 17,1 8,4 12,9 15,5
Apr 10,7 19,7 9,0 15,2 19,2
Mag 13,9 23,7 9,8 18,8 22,8
Giu 17,8 28,2 10,4 23,0 24,3
Longitudine 15°17’
Lug 20,7 31,3 10,6 26,0 24,3
Ago 21,2 31,2 10,0 26,2 21,6
Set 19,2 28,1 8,9 23,7 17,3
Ott 16,0 24,0 8,0 20,0 13,3
Nov 12,1 19,6 7,5 15,8 9,4
Dic 9,0 16,3 7,3 12,6 7,8
Apr Conf
Mag Conf
Giu C
Lug C
Ago C
Set C
Ott Conf
Nov Conf
Dic F
Latitudine 37°55’ Zona climatica: B
Mar 8,5 16,6 8,1 12,6 15,6
Apr 10,1 18,9 8,8 14,5 19,4
Mag 13,2 23,1 9,9 18,1 22,8
Giu 16,6 26,8 10,2 21,7 24,2
Longitudine 12°30’
Lug 19,3 29,6 10,3 24,5 24,3
Ago 20,3 30,2 9,9 25,3 21,6
Set 18,4 27,8 9,4 23,1 17,0
Ott 15,6 23,9 8,3 19,7 13,0
Nov 12,0 19,5 7,5 15,7 9,0
Dic 9,2 16,1 6,9 12,7 7,5
Mar F
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set C
Ott Conf
Nov Conf
Dic F
Mar 8,3 16,6 8,3 12,5 15,4
Latitudine 39°13’ Zona climatica: C Apr 10,4 19,3 8,9 14,8 18,6
Mag 13,4 23,2 9,8 18,3 22,3
Giu 17,1 27,4 10,3 22,2 24,1
Longitudine 9°9’
Mar F
Feb Mf
Mar Mf
Apr F
Mag Conf
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Nov 6,7 14,3 7,6 10,5 8,1
Dic 3,8 11,1 7,3 7,4 6,3
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
Mesi TmT TMM DT TM H
Gen 5,0 15,1 10,1 10,1 7,3
Feb 5,5 15,7 10,2 10,6 10,0
Latitudine 39°52’ Zona climatica: C
Mar 7,1 17,7 10,6 12,4 15,1
Apr 9,0 20,2 11,2 14,6 18,4
Gen F
Feb F
Mar F
Apr Conf
Mag 12,0 24,0 12,0 18,0 22,2
Mag Conf
Giu 15,5 28,2 12,7 21,9 24,0
F. TERIALI,
Longitudine 8°37’
Lug 17,1 30,9 13,8 24,0 24,1
Ago 17,5 31,3 13,8 24,4 21,2
Set 16,4 29,2 12,8 22,8 16,5
Giu C
Lug C
Ago C
Set C
Ott 13,0 24,6 11,6 18,8 21,1
Nov 9,4 19,6 10,2 14,5 8,3
Dic 6,7 16,3 9,6 11,5 6,6
Nov Conf
Dic F
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
Ott Conf
Mesi Gen TmT 5,6 TMM 11,8 DT 6,2 TM 8,7 H 7,1
Feb 5,8 12,5 6,7 9,2 9,7
Mar 7,3 14,8 7,5 11,0 14,9
Apr 9,4 17,6 8,2 13,5 18,2
Gen Mf
Feb Mf
Mar F
Apr F
Mag 12,5 21,4 8,9 17,0 22,0
Mag Conf
Lug 19,8 30,5 10,7 25,1 24,3
Ago 20,2 30,3 10,1 25,3 21,3
Set 18,3 27,4 9,1 22,9 16,6
Ott 14,9 23,2 8,3 19,0 12,4
Nov 11,1 18,8 7,7 14,9 8,7
Dic 7,9 15,1 7,2 11,5 7,0
Mesi Gen TmT 5,3 TMM 13,3 DT 8,0 TM 9,3 H 7,0
Feb 5,7 13,8 8,1 9,7 9,9
Giu 16,1 25,6 9,5 20,9 24,1
Longitudine 8°37’
Lug 18,9 28,9 10,0 23,9 24,0
Ago 19,2 28,9 9,7 24,0 21,1
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set 17,1 25,9 8,8 21,5 16,3
Set Conf
Ott 13,3 21,2 7,9 17,3 11,9
Nov 9,7 16,4 6,7 13,1 8,0
Dic 7,0 13,0 6,0 10,0 6,3
Ott Conf
Nov F
Dic Mf
Apr 9,0 17,8 8,8 13,4 18,1
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
Latitudine 40°55’ Zona climatica: C
Mar 7,2 15,5 8,3 11,3 14,8
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
Latitudine 40°44’ Zona climatica: C
Altitudine 1 m s.l.m. Gradi-Giorno 1142
Profilo climatico Feb F
Ott 11,4 21,1 9,7 16,3 11,9
OLBIA (SARDEGNA)
Altitudine 55 m s.l.m. Gradi-Giorno 990
Gen F
Set 14,4 25,6 11,2 20,0 16,2
MF F CONF C MC 3 3 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
CAGLIARI (SARDEGNA)
Feb 7,0 14,7 7,7 10,8 10,6
Ago 17,1 30,4 13,3 23,8 20,9
Profilo climatico
MF F CONF C MC 0 5 4 3 0 RISC: 5 mesi 4 mesi RAFF: 3 mesi
Mesi Gen TmT 6,6 TMM 13,9 DT 7,3 TM 10,2 H 7,7
Gen Mf
Altitudine 224 m s.l.m. Gradi-Giorno 1185
Profilo climatico Feb F
Lug 16,8 30,4 13,6 23,6 23,9
SASSARI (SARDEGNA)
Altitudine 7 m s.l.m. Gradi-Giorno 810
Gen F
Giu 13,1 25,7 12,6 19,4 23,8
MF F CONF C MC 0 4 4 4 0 RISC: 4 mesi 4 mesi RAFF: 4 mesi
TRAPANI (SICILIA)
Feb 7,8 15,2 7,4 11,5 11,1
Mag 10,3 21,7 11,4 16,0 21,9
Profilo climatico
Mar F
MF F CONF C MC 0 4 4 4 0 RISC: 4 mesi 4 mesi RAFF: 4 mesi
Mesi Gen TmT 7,9 TMM 14,9 DT 7,0 TM 11,4 H 8,3
Apr 6,6 15,8 9,2 11,2 18,2
Altitudine 10 m s.l.m. Gradi-Giorno 1060
Profilo climatico Feb F
Mar 4,4 13,0 8,6 8,7 14,8
ORISTANO (SANTA GIUSTA) (SARDEGNA)
Altitudine 23 m s.l.m. Gradi-Giorno 799
Gen F
Feb 3,7 10,9 7,2 7,3 9,9
Longitudine 9°20’
MF F CONF C MC 4 2 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
SIRACUSA (SICILIA)
Feb 7,5 15,3 7,8 11,4 11,5
Mesi Gen TmT 3,3 TMM 10,1 DT 6,8 TM 6,7 H 7,0
Latitudine 40°19’ Zona climatica: D
Profilo climatico
Mar F
MF F CONF C MC 3 3 2 4 0 RISC: 6 mesi 2 mesi RAFF: 4 mesi
Mesi Gen TmT 7,3 TMM 14,8 DT 7,5 TM 11,1 H 8,5
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
NUORO (SARDEGNA)
Mag 12,3 21,5 9,2 16,9 21,9
Giu 16,1 25,4 9,3 20,7 24,0
Longitudine 9°30’
Lug 18,6 28,6 10,0 23,6 24,0
Ago 18,8 28,5 9,7 23,6 21,0
Set 16,7 25,9 9,2 21,3 16,2
Ott 13,1 21,5 8,4 17,3 11,9
Nov 9,5 17,6 8,1 13,5 7,9
Dic 7,1 14,8 7,7 10,9 6,2
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
Profilo climatico Apr Conf
Mag Conf
MF F CONF C MC 0 5 3 4 0 RISC: 5 mesi 3 mesi RAFF: 4 mesi
Giu C
Lug C
Ago C
Set C
Ott Conf
Nov F
Dic F
Gen Mf
Feb Mf
Mar F
Apr F
Mag Conf
MF F CONF C MC 2 4 4 2 0 RISC: 6 mesi 4 mesi RAFF: 2 mesi
Giu Conf
Lug C
Ago C
Set Conf
Ott Conf
Nov F
Dic F E ATICH . E.1.2IZIONI CLIM D N CO
E 21
E.1. 3.
CONTROLLO AMBIENTALE PERCORSO DEL SOLE
CONTESTO AMBIENTALE
•
GRAFICI DEL PERCORSO DEL SOLE Per descrivere la posizione del sole rispetto a un punto sulla superficie terrestre è sufficiente, stabilito un sistema di riferimento quale quello dei punti cardinali (vedi Fig. E.1.3./1), definire due angoli: • α (altezza del sole), angolo tra la retta sole-punto e il piano orizzontale, • λ (angolo azimutale), angolo tra due piani passanti per la verticale del luogo, uno contenente il sole, l’altro passante per il Sud. Di conseguenza γ sarà uguale a zero quando il sole è sul piano meridiano, cioè a mezzogiorno, e avrà valori positivi verso Ovest, negativi verso Est. Il complemento a 90° di α cioè l’angolo tra la retta sole-punto e la verticale locale, è indicato come θz, ed è chiamato angolo zenitale. Le posizioni che il sole occupa nel cielo nel corso di un anno possono essere rappresentate mediante grafici quali quello di Fig. E.1.3./2, valido per una data latitudine nel quale sono riportati due famiglie di curve. Una famiglia rappresenta le traiettorie del sole in sette giorni dell’anno: la curva più in alto, contrassegnata all’estremità sinistra dal numero romano VI si riferisce al solstizio d’estate, cioè al 21 giugno. Le curve sottostanti sono distinte dalle coppie di numeri romani V – VII (maggio e luglio), IV – VIII (aprile e agosto), III – IX (marzo e settembre), II – X (febbraio e ottobre), I – XI (gennaio e novembre), sempre per il giorno 21 del mese. Infine la curva più in basso, contrassegnata con il XII, si riferisce al 21 dicembre, solstizio d’inverno. Ogni curva rappresenta quindi due giorni, il 21 dei due mesi a cui si riferisce, giorni in cui il sole compie circa la stessa traiettoria nel cielo. Infatti il sole percorre circa la stessa traiettoria in ognuna delle coppie di giorni collocati simmetricamente rispetto ai solstizi. Ad esempio, due giorni prima del solstizio d’estate (il 19 giugno), il sole segue la stessa traiettoria che due giorni dopo (il 23 giugno). In particolare questo è vero per le coppie di giorni posti uno, due, ecc. mesi prima e dopo di un solstizio, cioè proprio le coppie indicate in precedenza. La curva che passa esattamente per i punti Est e Ovest, rappresenta, evidentemente, i due equinozi, cioè il 21 marzo e il 21 settembre. La seconda famiglia di curve è costituita dalle linee che uniscono punti con uguale ora: le 5, 6, 7, ecc. Esempi Il diagramma della Fig. E.2.1./3. è relativo a una latitudine di 44° (circa quella di Firenze o di Ancona). Il punto A appartiene alla curva I – XI, alla linea delle ore 10 del mattino, alla circonferenza dei 20° e al raggio dei 30° verso Est. Questo significa che alle 10 del mattino del 21 gennaio, o del 21 novembre, il sole si trova a una altezza di 20° sull’orizzonte, e che il suo angolo azimutale è di –30°.
FIG. E.1.3./2 GRAFICO DEL PERCORSO DEL SOLE
NORD
SOLE
Qz
a EST
OVEST g
SUD FIG. E.1.3./3 LETTURA DEL GRAFICO DEL PERCORSO DEL SOLE
0°
15
14 0°
10°
10 10°
20°
10°
S
E 22
0° 12
110 °
13 II
XII
° 40
°
10°
30
I
40 °
90° 80°
60° 50° 40°
30
°
20°
10°
90° 90
90°
80 80°
80° 10°
E 80°
80°
14
XI
20°
15
70° 60° 60
60°
50° 50
50°
40 40°
40°
30 30°
30°
20 20°
20°
10 10°
10°
S
10°
20°
70°
20° 20
70°
20°
X
°
30° 30
10 11
60
30°
III
IX
50 °
40°
40° 40
100°
0° 12 100°
110 °
50 50°
16
W
° 50
°
60 60°
50°
VIII 17
°
° 50
30
60°
18
60
°
60 40 °
70° 70
IV
70°
70° I
13
E
VII
100°
II
8 9
80° 80
14 0°
VI
80°
80°
70°
90 90°
100°
VIII
7 16 90° 15 80°14
III
0°
° 110
° 110
W
17
15
V 19
VII
6
18
IV
160 °
15
0°
0°
5
170°
12
12
VI 19
N
0° 13
0° 13
V
0° 14
170°
20°
0°
1
° 160
XI °
160 °
60
170°
50 °
N
13 0°
170°
13 0°
0° 14
° 50
° 160
0°
0°
α = altezza del sole; θz = angolo zenitale; γ = angolo azimutale
Il punto corrisponde alle ore 10 del mattino del 21 novembre (o del 21 gennaio). La posizione è data da α = 20°, γ = – 30°
0°
0°
FIG. E.1.3./1 DETERMINAZIONE DELLA POSIZIONE DEL SOLE IN CIELO
I grafici e le tabelle che seguono si riferiscono al percorso del sole per sei latitudini tipiche del nostro Paese: 46°N (Bolzano); 44°N (Firenze, Ancona); 42°N (Roma, Campobasso); 40°N (Taranto, Potenza, Nuoro); 38°N (Reggio Calabria, Palermo, Messina); 36°N (Pantelleria). Per le località poste a latitudini diverse dalle sei mostrate, sarà necessario costruire le tabelle e i grafici relativi mediante interpolazione tra i
0°
0°
valori corrispondenti alle latitudini maggiore e minore di quella in esame. Le tabelle riportano i valori degli angoli α (altezza solare) e γ (Angolo azimutale), ora per ora, per il giorno 21 di ciascun mese, o meglio, come visto, per i due solstizi (21 giugno e 21 dicembre) e per ciascuna coppia di mesi posti simmetricamente rispetto ai solstizi. Nelle tabelle sono riportati i valori degli angoli per le sole ore del mattino, dall’alba a mezzogiorno. La posizione del sole nelle ore pomeridiane si trova facilmente ricordando la simmetria del percorso del sole rispetto a mezzogiorno, quando il sole si trova a passare per il piano meridiano (il piano verticale che contiene il Sud), e quindi ad avere un angolo zenitale pari a zero. Due ore dopo il mezzogiorno (ore 14), ad esempio, il sole si troverà in posizione simmetrica ripetto a due ore prima (ore 10), avrà cioè lo stesso valore di altezza (a), mentre il suo angolo azimutale avrà lo stesso valore assoluto, ma segno diverso. Ad esempio, dalla tabella relativa alla latitudine 46°N si vede che alle ore 10 del 21 giugno il sole ha una altezza di 56°57’ e un angolo azimutale di –57°15’ (il segno – è dovuto alla convenzione prima detta, che assegna gli angoli azimutali corrispondenti alle ore del mattino valori negativi, cioè verso Est). Alle ore 14 dello stesso giorno, il sole sarà di nuovo a una altezza di 56°57’, con un angolo azimutale pari a 57°15’ (positivo, cioè verso Ovest).
A ° 40
30
°
CONTROLLO AMBIENTALE
•
CONTESTO AMBIENTALE PERCORSO DEL SOLE
E.1. 3. A.ZIONI
L’ora cui si riferiscono i grafici è quella solare, Hs, definita con riferimento al mezzogiorno solare, cioè al momento in cui il sole si trova sul piano meridiano passante per la località. Questa differisce dall’ora legale, Hl (quella letta sull’orologio) per tre termini: Hs = Hl + ET + LON + EST • ET (equazione del tempo) tiene conto della non uniformità del moto della terra attorno al sole e dipende dal giorno dell’anno. Ad esempio: i valori di ET in minuti primi per i giorni 21 di ciascun mese sono: gennaio, – 11,1; febbraio, – 13,7; marzo, – 7,4; aprile, 1,3; maggio, 3,5; giugno, – 1,4; luglio, – 6,2; agosto, – 3,5; settembre, 6,8, ottobre, 15,4; novembre, 14,2; dicembre, 2,7 • l’ora legale si riferisce all’ora del meridiano centrale del fuso orario (per l’Italia, il meridiano di longitudine 15° Est). Per longitudini diverse, si deve introdurre un termine correttivo, LON, pari a 4 minuti per ogni grado di differenza di longitudine (positivo, per longitudini maggiori di quella del meridiano centrale, negativo per longitudini inferiori). • l’ora legale si riferisce all’ora del meridiano centrale del fuso orario (per l’Italia, il meridiano di longitudine 15° Est). Per longitudini diverse, si deve introdurre un termine cor-
rettivo, LON, pari a 4 minuti per ogni grado di differenza di longitudine (positivo, per longitudini maggiori di quella del meridiano centrale, negativo per longitudini inferiori). Ad esempio: per Ventimiglia, con una longitudine di 7,6°: LON = – 7,4 x 4 = – 29,6 minuti per Otranto, con longitudine 18,5: LON = 3,5 x 4 = 14 minuti. • nei mesi estivi si deve tener conto dello spostamento in avanti di 1 ora introdotto per motivi di risparmio energetico (EST = – 60 primi). Hs= Hl – 13,7 – 29,6 = Hl – 43,3 Ad esempio: Ventimiglia il 21 febbraio: cioè il sole arriverà sul piano meridiano di Ventimiglia (mezzogiorno solare) quando gli orologi segneranno le 12 e 43. Se ci riferiamo invece al 21 luglio:
° 50
170°
N
170°
160 °
cioè il mezzogiorno solare corrisponderà circa alle ore 13 e 36.
15
0°
14
0°
21 giu
V 19
° 110
VII
IV
6 7
17
III
VIII
W
90°
16
80°
14
II
13
70°
IX
8
80°
15
X
70°
70°
XII
20 20° °
20°
10°
S
° 60
° 40
10°
30
21 gen – 21 nov
°
° 50
30 30°
10°
21 dic
° 30
20°
21 feb – 21 ott
50
°
60
XI
40 40°
°
21 apr – 21 ago
21 mar – 21 set
50° I
21 mag – 21 lug
E
9 10
11
60° 60
40
100°
100°
18
ora
5:00
α
6°58’
γ a
5
80°
12 0°
VI
0° 12
110 °
0° 13
13 0°
14
γ
6:00
7:00
8:00
9:00
10:00
11:00
12:00
16°38’ 26°49’ 37°13’ 47°28’ 56°57’ 64°24’ 67°27’ 0°00’
0°
° 50
170°
N
170°
160 °
α
–
8°26’
98°13’ 87°32’ 76°03’ 62°45’ 46°16’ 25°11’
0°00’
18°49’ 29°07’ 38°52’ 47°21’ 53°28’ 55°45’
γ
–
α
–
–
10°13’ 20°10’ 29°15’ 36°48’ 41°57’ 43°48’
γ
–
–
78°57’ 67°19’ 54°08’ 38°38’ 20°22’
α
–
–
1°41’
γ
–
–
71°06’ 59°47’ 47°16’ 33°05’ 17°08’
α
–
–
–
4°15’
0°00’
0° 13
0° 12
110 °
0°
5
6
18 17
VIII
7 90 90° 15 14
8 9
80 80°
80°
13
II
70° °
°
60
XII ° 50
50
30 30°
°
20° 20 10° 10
30
°
20°
10°
S
21 feb – 21 ott
10°
20°
° 30
40
60
70°
XI
40° 40
°
21 mar – 21 set
X
50 50°
40
21 apr – 21 ago
IX
10
70° 70 11 60 60°
I
21 mag – 21 lug
E 80°
III
100°
IV
° 110
VII
16
W
21 giu
12
100°
0°
VI 19
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
12°04’ 18°13’ 22°11’ 23°34’
g
–
–
–
54°28’ 42°39’ 29°33’ 15°11’
–
–
–
1°51’
γ
–
–
–
52°39’ 41°07’ 28°25’ 14°34’
9°28’
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
0°00’
0°00’
15°24’ 19°14’ 20°33’ 0°00’
LATITUDINE 44° N 14
13
V
F. TERIALI,
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS
0°
14
CO NTALE AMBIE
0°00’
11°09’ 19°32’ 26°16’ 30°41’ 32°15’
α
15
0°
1
E ESE ESSIONAL PROF
14°33’ 24°49’ 35°13’ 45°21’ 54°35’ 61°38’ 64°26’
114°44’ 104°31’ 94°18’ 83°22’ 70°33’ 53°56’ 30°42’
FIG. E.1.3./5 GRAFICO DEL PERCORSO DEL SOLE PER LATITUDINE 44° N ° 160
C.RCIZIO
E.NTROLLO
116°47’ 106°46’ 96°48’ 86°09’ 73°40’ 57°15’ 33°20’ 4°45’
I ED PRE NISM ORGA
PRO TTURALE STRU
LATITUDINE 46°N
0°
1
B.STAZIONI DILEGIZLII
D.GETTAZIONE
Hs = Hl – 6,2 – 29,6 – 60 = Hl – 95,8
FIG. E.1.3./4 GRAFICO DEL PERCORSO DEL SOLE PER LATITUDINE 46° N ° 160
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
21 gen – 21 nov
°
21 dic
ora
5:00
α
6°04’
γ α γ
6:00
7:00
8:00
9:00
10:00
11:00
16°03’ 26°34’ 37°20’ 48°00’ 57°59’ 66°03’ 69°27’
116°59’ 107°20’ 97°48’ 87°40’ 75°47’ 59°55’ 35°48’ 3°54’
12:00
0°00’
14°02’ 24°39’ 35°25’ 45°59’ 55°44’ 63°20’ 66°26’
114°53’ 105°01’ 95°13’ 84°46’ 72°29’ 56°18’ 32°43’
0°00’
α
–
8°08’
γ
–
98°31’ 88°13’ 77°09’ 64°13’ 47°54’ 26°24’
α
–
–
10°35’ 20°56’ 30°25’ 38°21’ 43°49’ 45°48’
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
18°54’ 29°35’ 39°45’ 48°43’ 55°16’ 57°45’
γ
–
–
79°19’ 68°00’ 55°05’ 39°37’ 21°01’
α
–
–
2°20’
γ
–
–
71°10’ 60°09’ 47°49’ 33°39’ 17°30’
α
–
–
–
5°25’
γ
–
–
–
54°36’ 42°58’ 29°54’ 15°25’
α
–
–
–
3°04’
γ
–
–
–
52°43’ 41°22’ 28°41’ 14°45’
0°00’
0°00’
12°10’ 20°53’ 27°56’ 32°36’ 34°15’
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
0°00’
13°32’ 19°57’ 24°07’ 25°34’ 0°00’
10°58’ 17°10’ 21°10’ 22°33’ 0°00’
. OLE E.1.3 RSO DEL S PERCO
E 23
E.1. 3.
CONTROLLO AMBIENTALE PERCORSO DEL SOLE
CONTESTO AMBIENTALE
•
➦ GRAFICI DEL PERCORSO DEL SOLE FIG. E.1.3./6 GRAFICO DEL PERCORSO DEL SOLE PER LATITUDINE 42° N
° 160
° 50
170°
N
170°
160 °
0°
1
14 0°
12 0°
5
VII 6 7
17 90 90° 15 13
70° 70
E
11
10
II
70°
70°
50° 50
XI
° 50
°
30°
XII
20° 20 °
20°
10°
S
21 dic
° 40
10 10°
30
21 gen – 21 nov
50 °
°
60
40° 40
40 °
21 feb – 21 ott
X
60° 60 I
21 mar – 21 set
IX
60
80°
14
8 9
80° 80
21 apr – 21 ago
80°
16
W III
VIII
100°
100°
18
21 mag – 21 lug
° 110
110 °
0° 12
VI 19
V IV
21 giu
0° 13
13 0°
0° 14
LATITUDINE 42°N 15
5:00
α
5°09’
6:00
7:00
8:00
9:00
10:00
11:00
12:00
15°27’ 26°17’ 37°23’ 48°27’ 58°57’ 67°38’ 71°27’
γ 117°10’ 107°52’ 98°47’ 89°12’ 77°58’ 62°47’ 38°37’ 0°00’ α
3°04’
13°31’ 24°27’ 35°35’ 46°34’ 56°48’ 65°00’ 68°26’
γ 114°59’ 105°29’ 96°08’ 86°12’ 74°30’ 58°50’ 35°01’ 0°00’ α
–
7°50’
96°47’ 88°54’ 78°16’ 65°45’ 49°39’ 27°46’
18°57’ 30°00’ 40°36’ 50°02’ 57°03’ 59°45’
γ
–
α
–
–
10°57’ 21°40’ 31°33’ 39°53’ 45°41’ 47°48’
γ
–
–
79°41’ 68°44’ 56°04’ 40°40’ 21°45’
α
–
–
2°59’
γ
–
–
71°15’ 60°32’ 48°24’ 34°16’ 60° 17°54’
α
–
–
–
6°34’
γ
–
–
–
54°46’ 43°19’ 30°17’ 40° 15°40’
α
–
–
–
γ
–
–
–
ora
5:00
α
4°14’
0°00’
0°00’
13°09’ 22°13’ 29°35’ 34°30’ 36°15’ 0°00’
15°00’ 21°41’ 26°02’ 27°34’ 0°00’
30° 12°28’ 18°55’ 23°06’ 24°33’ 20° 52°49’ 41°38’ 29°00’ 14°58’ 0°00’ 4°17’
0°
3
20°
10°
ora
FIG. E.1.3./7 GRAFICO DEL PERCORSO DEL SOLE PER LATITUDINE 40° N
0°
170°
N
170°
160 °
15
0°
15
14 0°
LATITUDINE 40° N
6 7 16
VIII
8 15 90°
70° I 60 ° ° 50 40 °
20°
10°
10° S
E
21 apr – 21 ago
11 X
21 mar – 21 set
70°
80°
II
80° 90° 70° 80° 60° 70° 50° 60° 40° 50° 30° 40° 20° 30° 10° 20°
XI XII
°
13
IX
10
21 feb – 21 ott
60
14
30 °
21 mag – 21 lug
9
50 °
W III
E 24
VII
100°
100°
17
21 giu
80°
12
IV
5
° 110
VI V 19 18
0°
110 °
12
0°
0° 13
13 0°
0° 14
° 160
21 gen – 21 nov
° 40
10°
20°
° 30
21 dic
6:00
7:00
8:00
9:00
10:00
11:00
12:00
14°49’ 25°57’ 37°23’ 48°50’ 59°49’ 69°10’ 73°27’
γ 117°18’ 108°23’ 99°45’ 90°43’ 80°12’ 65°50’ 41°53’ 0°00’ α
2°13’
12°58’ 24°13’ 35°41’ 47°04’ 57°48’ 66°37’ 70°26’
γ 115°04’ 105°56’ 97°02’ 87°38’ 76°34’ 61°32’ 37°40’ 0°00’ α
–
7°31’
γ
–
99°03’ 89°35’ 79°24’ 67°21’ 51°32’ 29°17’
α
–
–
11°18’ 22°23’ 32°39’ 41°23’ 47°32’ 49°48’
γ
–
–
80°04’ 69°29’ 57°07’ 41°48’ 22°32’
α
–
–
3°37’
γ
–
–
71°22’ 60°58’ 49°02’ 34°56’ 18°21’
α
–
–
–
7°43’
γ
–
–
–
54°59’ 43°42’ 30°42’ 15°56’
α
–
–
–
5°29’
γ
–
–
–
52°57’ 41°57’ 29°21’ 15°11’
18°58’ 30°24’ 41°24’ 51°18’ 58°48’ 61°45’ 0°00’
0°00’
14°08’ 23°32’ 31°14’ 36°24’ 38°15’ 0°00’
16°27’ 23°24’ 27°58’ 29°34’ 0°00’
13°57’ 20°40’ 25°02’ 26°33’ 0°00’
CONTROLLO AMBIENTALE
•
CONTESTO AMBIENTALE PERCORSO DEL SOLE
E.1. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. E.1.3./8 GRAFICO DEL PERCORSO DEL SOLE PER LATITUDINE 38° N
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
LATITUDINE 38°N
21 giu
21 mag – 21 lug
21 apr – 21 ago
21 mar – 21 set
21 feb – 21 ott
21 gen – 21 nov
21 dic
ora
5:00
α
3°19’
6:00
7:00
8:00
9:00
10:00
11:00
12:00
14°11’ 25°36’ 37°20’ 48°08’ 60°35’ 70°37’ 75°27’
γ 117°25’ 108°52’ 100°42’ 92°15’ 82°28’ 69°03’ 45°40’ 0°00’ α
1°22’
12°25’ 23°58’ 35°45’ 47°29’ 58°42’ 68°10’ 72°26’
γ 115°08’ 106°22’ 97°55’ 89°04’ 78°40’ 64°25’ 40°42’ 0°00’ α
–
7°12’
99°19’ 90°16’ 80°34’ 69°00’ 53°33’ 31°00’
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
18°58’ 30°44’ 42°08’ 52°31’ 60°32’ 63°45’
γ
–
α
–
–
11°38’ 23°04’ 33°43’ 42°52’ 49°22’ 51°48’
γ
–
–
80°28’ 70°16’ 58°13’ 43°01’ 23°25’
α
–
–
4°16’
γ
–
–
71°30’ 61°25’ 49°43’ 35°39’ 18°50’
α
–
–
–
8°52’
γ
–
–
–
55°13’ 44°07’ 31°10’ 16°15’
α
–
–
–
6°41’
γ
–
–
–
53°07’ 42°18’ 29°45’ 15°27’
0°00’
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
0°00’
15°05’ 24°50’ 32°52’ 38°18’ 40°15’ 0°00’
17°53’ 25°07’ 29°53’ 31°34’ 0°00’
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
15°26’ 22°24’ 26°57’ 28°33’ 0°00’
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE
FIG. E.1.3./9 GRAFICO DEL PERCORSO DEL SOLE PER LATITUDINE 36° N
0°
170°
N
170°
160 °
E.4. ICA T ACUS
15
0°
15
14 0°
LATITUDINE 36°N
18 7 8 15
W III
9
90 90°
14 13
80° 80
11
IX E
10
X
60
°
XI
°
40° 40 XII ° 50
30° 30 20°
40 °
30 °
10°
S
21 mar – 21 set
21 feb – 21 ott
21 gen – 21 nov
° 40
10°
20°
21 apr – 21 ago
70°
50°
I
21 mag – 21 lug
60
70°
60°
50 °
80°
70°
II
80°
12
16
VIII
100°
17
IV
VII
6
° 110
110 °
VI
V
21 giu
0°
100°
12
0°
0° 13
13 0°
0° 14
° 160
°
10°
20°
30
21 dic
ora
5:00
α
2°24’
6:00
7:00
8:00
9:00
10:00
11:00
12:00
13°32’ 25°13’ 37°14’ 49°21’ 61°15’ 71°57’ 77°27’
γ 117°31’ 109°20’ 101°38’ 93°46’ 84°46’ 72°27’ 50°03’ 0°00’ α
0°31’
11°51’ 23°40’ 35°45’ 47°51’ 59°31’ 69°38’ 74°26’
γ 115°09’ 106°47’ 98°48’ 90°30’ 80°50’ 67°28’ 44°12’ 0°00’ α
–
6°53’
γ
–
99°33’ 90°58’ 81°45’ 70°43’ 55°44’ 32°57’
α
–
–
11°58’ 23°44’ 34°45’ 44°19’ 51°12’ 53°48’
γ
–
–
80°53’ 71°05’ 59°23’ 44°20’ 24°24’
α
–
–
4°53’
γ
–
–
71°39’ 61°55’ 50°27’ 36°26’ 19°22’
α
–
–
–
10°00’ 19°19’ 26°49’ 31°48’ 33°34’
γ
–
–
–
55°29’ 44°36’ 31°40’ 16°35’
α
–
–
–
7°53’
γ
–
–
–
53°20’ 42°41’ 30°10’ 15°44’
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
18°57’ 31°03’ 42°50’ 53°41’ 62°14’ 65°45’ 0°00’
0°00’
16°02’ 26°07’ 34°29’ 40°11’ 42°15’
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
0°00’
0°00’
16°55’ 24°08’ 28°53’ 30°33’ 0°00’
. OLE E.1.3 RSO DEL S PERCO
E 25
E.1. 4.
CONTROLLO AMBIENTALE • CONTESTO AMBIENTALE DIAGRAMMI DI SCHERMATURA USO DEI GRAFICI DEL PERCORSO DEL SOLE L’utilità di questi diagrammi è molteplice. 1. Permettono di determinare se e quando una certa parte di un edificio vedrà il sole e da che direzione arriveranno i raggi solari nei diversi periodi dell’anno ovvero di conoscere l’angolo di incidenza dei raggi (informazione che può essere utile per sapere se i raggi saranno trasmessi o riflessi da una superficie vetrata). 2. Servono a prevedere le ombre che altri edifici circostanti, alberi, rilievi montuosi ecc. proietteranno su una data superficie e quando. 3. Consentono di progettare elementi atti a provocare le ombre che si desiderano.
La parte visibile del percorso del sole (qui per una latitudine di 44° N) permette di valutare in quali ore dell’anno un punto sulla parete “verde” il sole, e quale è la sua posizione rispetto alla parete N
170°
160
°
0°
0° 14
14 0°
0°
0°
12
110 ° 100°
12
110 ° 100°
17
VIII
7 16
8
E 80°
80°
70°
70°
70°
°
°
60 ° 50
° 50
50 °
60
° 60
° 60
10°
VII
6
18
IV
° 40
10° 20°
5
XI XII
20° 20 30 °
14 0°
80°
70°
30° 30
20° 40 °
0°
X
50°
30°
15
IX
60°
40° 40
°
VI 19
V
W
E
10
70° 11
40°
160
100°
100°
13
170°
° 110
° 110
8 9
80°
N
170°
0°
0°
VIII
7 90°
°
12
12
VII 6
160
0° 13
0° 13
5
W
0° 15
15
10°
S
20°
50 °
170°
13 0°
° 160
13 0°
0° 14
0° 15
80°
Una superficie orizzontale, a meno della presenza di ostacoli circostanti, vedrà tutta la volta celeste, e riceverà sempre i raggi solari. Le superfici verticali, quali le pareti di un edificio, vedono sempre, prescindendo da eventuali ostacoli, solo metà del cielo, cioè un quarto di sfera. Questo si rappresenta molto semplicemente sul diagramma, tracciando una linea orientata come la parete in questione. In Fig. E.1.4./1, sempre per una latitudine di 44°, è riportata una parete che guarda verso Sud-Est. Questa parete vedrà solo la parte del cielo mostrata in figura; da questa si possono individuare i periodi di soleggiamento e la direzione dei raggi. In Fig. E.1.4./2, per la stessa latitudine, è riportato il caso di una parete che guardi a Nord. Si vede come la parete veda il sole soltanto per una piccola parte dell’anno e cioè nelle prime ore del mattino e nelle ultime del pomeriggio dei soli mesi estivi.
FIG. E.1.4./2 PORZIONE DEL CIELO VISTA DA UNA PARETE VERTICALE CON ORIENTAMENTO NORD
FIG. E.1.4./1 PORZIONE DEL CIELO VISTA DA UNA PARETE VERTICALE CON ORIENTAMENTO SUD-EST
° 40
40 °
° 30
30
°
20°
normale
10°
S
30
20°
10°
°
OMBRE PORTATE DA OCCLUSIONI ESTERNE ALBERO Per quanto riguarda le ombre portate da altri edifici, alberi, ecc., su un punto del terreno, il procedimento per determinarle è molto semplice. Consideriamo il caso di un albero (Fig. E.1.4./3). Il punto P non vedrà il sole a causa dell’albero quando il sole si troverà nella regione del cielo “oscurata” dall’albero, ossia all’interno dell’angolo solido con vertice nel punto, definito dal contorno dell’albero, così come lo vede il punto. Si tratta allora di descrivere tale contorno in termini di angoli, cioè coppie di angoli che individuino le rette passanti per punti significativi del contorno, usando lo stesso sistema di riferimento adottato per definire la posizione del sole. Nell’esempio di Fig. E.1.4./3, ci si limita a considerare quattro punti: il punto estremo di sinistra della chio-
FIG. E.1.4/4 TRACCIAMENTO DELL’OCCLUSIONE (albero) SUL PIANO CHE RAPPRESENTA LA VOLTA CELESTE
15
14
0° 14
0° 13
13
° 12 0
0° 12
110 °
°
100°
100° 110
7 16
W
80°
70 ° ° 60 50 °
10° S
° 40
20° 10°
10°
20°
30
°
70°
10
IX
11 X
60° 50°
XI 40°XII
40 40° ° 50
20°
13
E
9
80°
14
°
α1
°
30°
8
90°
15
60
30
α2
40°
β1 β2
VIII
6 17
40 °
30
latitudine 44° N
°
30 30°
30°
20 20°
20° ° 40
10° 20°
10°
S
100°
IV
VII
° 110
18
70°
Sezioni
β' 2 40 °
14
5
80°
E 26
0° ° 10
α3
β3 P
Pianta
110
3
° 50
SUD
15
VI 19
I
50°
°
1
P
60°
60
β2
160 °
0°
II
70° β3
170°
°
0°
2
2
E
80°
70°
3
β'2
N
0°
III
80°
α1 α2 α3
V
90°
W
170°
0 12
12
P
2'
°
0°
0°
β1
160
13
13
1 P
°
80°
0°
15
0 15
70°
170° 160 °
°
N
60
0° ° 17
0°
1
° 40
160
0°
0°
FIG. E.1.4./5 PORZIONE DI CIELO E RELATIVI PERIODI DI OCCLUSIONE (albero)
50 °
FIG. E.1.4/3 DETERMINAZIONE DELLE COPPIE DI ANGOLI CHE DETERMINANO IL CONTORNO DI UNA OCCLUSIONE (in questo caso un albero)
ma (punto 1), la base (punto 2) e la cima (punto 2’), e l’estremo destro (punto 3). In pianta i tre piani verticali che passano per questi punti sono individuati dagli angoli (angoli azimutali) α1, α2 e α3. Sulle sezioni effettuate con tali piani, la posizione dei punti è definita dagli angoli (altezze) β1, β2, β2’ e β3. Si ottengono così le coppie di angoli, che definiscono la posizione angolare dei quattro punti del contorno. Se si tracciano sul grafico del percorso del sole i quattro punti di coordinate angolari (α1, β1), (α2, β2), (α2, β2’), (α3, β3) e li si unisce tra di loro si ottiene la rappresentazione della porzione di cielo occupata dall’albero, ovvero il periodo dell’anno in cui l’albero mette in ombra il punto P (Fig. E.1.4./4 e E.1.4./5).
10°
20°
30
°
CONTROLLO AMBIENTALE • CONTESTO AMBIENTALE DIAGRAMMI DI SCHERMATURA
A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
40°
MONTAGNA
30° 20°
Nelle Figg. E.1.4./6, E.1.4./7, E.1.4./8 è mostrato il procedimento nel caso di un rilievo montuoso. Anche in questo caso si tratta di descrivere il profilo del rilievo, individuato da un certo numero di punti significativi, per mezzo di coppie di angoli (α1, β1), (α2, β2), ecc. I punti significativi possono essere i punti del profilo che si trovano alle quote corrisponden-
E.1. 4.
ti alle linee isolivello, così che il procedimento può essere applicato usando la cartografia. L’area del grafico del percorso del sole definita da questi punti rappresenta la porzione di cielo non vista dal punto P a causa della presenza del rilievo e quindi permette di conoscere i periodi dell’anno in cui il punto è in ombra a causa della montagna.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
0°
13
12 0°
VI
V
19
5
17 16
α2
30 °
α1
β2 20°
10°
10°
20°
IX
10
70° 11 X
50°
XII
30° 30 20 20° 30 °
°
10° 20°
latitudine 44° N
10°
S
60 °
XI
40° 40
40 °
G.ANISTICA URB
70°
60°
° 40
° 30
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
50 °
80°
70° 60 °
20° 10° S
13
F. TERIALI,
E
9
80°
14
50 °
30°
8
90° 15
80°
W
° 50
°
40°
VIII
7
° 60
40
50°
CO NTALE AMBIE
VII
6
18
IV
70°
β7 = 0
β4 β3
E.NTROLLO
14
0°
0° 13
12 0°
100° 110 °
70° 60°
α3
15 0°
0° ° 10 110
E
80°
° 50
P
160 °
PRO TTURALE STRU
0° 12
90°
° 60
α4
170°
14
80°
α5
N
0°
β5 β4
70°
P
β6
(B) Sezioni
β6
0° 15
α6 80°
β5 6
(A) Pianta
0°
0° ° 10 110
α7 W
P
5 SUD
0°
14
0° ° 17 160
13
P
β4 1
15 0°
0° 12
β3 4
3 2
0° ° 17 160
0°
4
0° 15
170° 160 °
14
3
α1 α2 α3 α4 α5 α6 α7
5
0°
N
D.GETTAZIONE
FIG. E.1.4/8 PORZIONE DI CIELO E RELATIVI PERIODI DI OCCLUSIONE (montagna)
13
7 6
β1 = 0 β2 P
2
P
FIG. E.1.4/7 TRACCIAMENTO DELL’OCCLUSIONE (montagna) SUL PIANO CHE RAPPRESENTA LA VOLTA CELESTE
100° 110 °
FIG. E.1.4/6 DETERMINAZIONE DELLE COPPIE DI ANGOLI CHE DETERMINANO IL CONTORNO DI UNA OCCLUSIONE (in questo caso montagna)
10°
° 30
20°
40
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
latitudine 44° N
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
EDIFICIO
40° 30°
0¡
14
¡08
II
30 °
latitudine 44° N
20°
10° 10°
S
10°
20°
° 30
α1
α2
11
7
VIII
IX
10
X
60¡ 50¡
I
XI XII
40¡
¡06
70° 60 °
20° ° 40 α3
13
90¡ 80¡
8
70¡
5 ¡0
50 °
20°
14
9
¡001
0°
° 100° 110
°
15
30¡
20¡
40
¡
30
¡
10¡
20¡
10¡
S
E
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
5
40
α4
¡07
III
17 16
VII
¡08
W
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
5 6
¡0
D4
H1
30°
30°
°
D2
β4
P
40° β2 β1
0¡
¡06
50
β2
P
H2
β4
14
¡07
40°
¡ 1 50 ¡
¡0 31
50°
° 60
D3
β3
60°
¡001
H1
¡011
D1
β3'
70°
β3
P
β3'
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
160
1
80°
80° 70°
170¡
¡02
0° ° 10
H2 H2
IV
E
90°
W
β1
P
110
P
N
VI V 19 18
0° 12
(α1 , β1 ) (α2 , β2 ) (α3 , β3 ) (α3 , β3' ) (α4 , β4 )
¡ 170¡
160
14
0°
14
0¡
15
1
15 0°
3 ¡0
160 °
E.6. MIDA U ARIA
1
170°
0°
D2 D3
N
FIG. E.1.4/11 PORZIONE DI CIELO E RELATIVI PERIODI DI OCCLUSIONE (edificio)
13
D4
0°
40° α4 30° α3 α2 20° α1
D1
0° ° 17 160
13
H2
0° 15
12 0°
H1
H1
E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM
FIG. E.1.4/10 TRACCIAMENTO DELL’OCCLUSIONE (edificio) SUL PIANO CHE RAPPRESENTA LA VOLTA CELESTE
H2 SUD
ostruzione su un punto non sono le dimensioni assolute degli oggetti (alberi montagne, edifici), ma gli angoli, solidi e piani, sotto i quali essi sono visti dal punto ossia i rapporti tra dimensioni e distanze.
80°
FIG. E.1.4/9 DETERMINAZIONE DELLE COPPIE DI ANGOLI CHE DETERMINANO IL CONTORNO DI UNA OCCLUSIONE (in questo caso un altro edificio)
20°
¡02 ¡011
Procedimento del tutto analogo si può seguire per un edificio come illustrato in Fig. E.1.4./9, E.1.4./10 e Fig. E.1.4./11. Si noti come in tutte le applicazioni viste, così come in quelle successive, i parametri rilevanti per definire le ombre portate da una
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE
10¡
20¡
¡
30
40
¡
. E.1.4AMMI DI R DIAG MATURA SCHER
E 27
E.1. 4.
CONTROLLO AMBIENTALE • CONTESTO AMBIENTALE DIAGRAMMI DI SCHERMATURA OMBRE PORTATE DA PARTI DELL’EDIFICIO SURRISCALDAMENTO FIG. E.1.4/12 PERIODO DI SURRISCALDAMENTO, DURANTE IL QUALE È DA EVITARE LA PENETRAZIONE DI RADIAZIONE SOLARE DIRETTA, E POSIZIONI DEL SOLE CORRISPONDENTI
0°
0° ° 17
13 0°
12 0° 100°
7 8
16 15 III
13 II
E
9
90°
14
IX
10
80°
W
VIII
6 17
80° 11 X
70°
70° 60°
I
XI
50°
XII
40° 30°
40
°
20°
30
°
latitudine 44° N
20°
10°
10° S
60 °
110 °
18
IV
VII
10°
20°
30
°
40
°
La Fig. E.1.4./16 mostra un grafico che permette di tracciare i diagrammi di mascheramento. Nella metà inferiore del grafico compaiono due famiglie di curve. 1 La prima si riferisce a configurazioni quali quella mostrata in Fig. E.1.4./13. I numeri indicano il valore in gradi dell’angolo α tra piano inclinato e piano orizzontale.
r α A
14
100°
π
° 1 50 °
5
° 50
r
160
0°
° 60
π
170°
VI V 19
FIG. E.1.4./13 DIAGRAMMA DI MASCHERAMENTO DI ELEMENTI ORIZZONTALI DI DIMENSIONE TRASVERSALE INDEFINITA CHE SI ESTENDONO FINO ALLA RETTA r A. Il piano che passa per la base della superficie da proteggere e la retta r divide il semispazio di fronte alla superficie in due parti. Quando il sole si trova in una qualunque posizione nella parte al di sopra del piano la superficie è sicuramente tutta in ombra. Quando invece il sole è al di sotto almeno una parte della superficie è esposta alla radiazione diretta B. Rappresentando la volta celeste come una semisfera l’intersezione tra piano e volta è data da una semicirconferenza. C. Proiezione della semicirconferenza sul piano orizzontale; la zona tratteggiata rappresenta la porzione di cielo che nessun punto della superficie può vedere.
N
14
70°
A questo va aggiunta l’ulteriore porzione occlusa dall’elemento in questione. Le Figg. E.1.4/13 e 14 presentano i diagrammi di mascheramento per elementi orizzontali (tettoie) e verticali (setti laterali), che proteggono una superficie verticale data. La Fig. E.1.4./15 mostra come ottenere la curva relativa a piani inclinati.
160
80°
Per la progettazione di elementi di schermature è necessario individuare i “diagrammi di mascheramento” dei diversi elementi edilizi che possono proteggere una data superficie dal sole. Qui ci si limita al caso di sole pareti verticali. Come si è detto, la parete stessa occlude metà del cielo e cioè metà del cerchio che rappresenta la volta celeste.
°
° 110
DIAGRAMMI DI MASCHERAMENTO
0 15
0° 12
In Fig. E.1.4./12 il periodo caldo è rappresentato dall’area tratteggiata (mesi estivi soprattutto nelle ore pomeridiane). Questo si ottiene “marcando” i punti del grafico che corrispondono a ore e giorni in cui la temperatura localesupera un valore “di soglia”, ad esempio 25°.
50 °
L’elemento schermante dovrà quindi ostruire rispetto ai punti della superficie da proteggere la porzione di cielo in cui si trova il sole nei periodi dell’anno nei quali si potrebbe verificare surriscaldamento.
0° 13
I grafici del percorso del sole possono essere usati a scopi progettuali per il dimensionamento e il posizionamento di diversi possibili componenti edilizi atti a produrre ombre su superfici. In questa applicazione prendiamo in considerazione superfici verticali. L’esigenza di proteggere dalla radiazione solare diretta è particolarmente sentita per le superfici trasparenti a causa dell’”effetto serra”. In assenza di adeguata protezione infatti i guadagni di energia solare nei periodi caldi costituirebbero un aumento rilevante del carico termico.
B
C
FIG. E.1.4./14 DIAGRAMMA DI MASCHERAMENTO DI ELEMENTI VERTICALI DI DIMENSIONE VERTICALE INDEFINITA CHE SI ESTENDONO FINO ALLA RETTA r A. Il piano che passa per il lato della superficie da proteggere e la retta r divide il semispazio di fonte alla superficie in due parti. Quando il sole si trova in una qualunque posizione nella parte al di là del piano la superficie è sicuramente tutta in ombra. Quando invece il sole è al di qua almeno una parte della superficie è esposta alla radiazione diretta. B. Rappresentando la volta celeste come una semisfera l’intersezione tra piano e volta è data da una arco di circonferenza. C. Proiezione dell’arco di circonferenza sul piano orizzontale; la zona tratteggiata rappresenta la porzione di cielo che nessun punto della superficie può vedere.
2 La seconda famiglia formata da coppie simmetriche rispetto al diametro verticale corrisponde a situazioni del tipo di Fig. E.1.4./15. Il valore dell’angolo γ tra piano inclinato e orizzontale si può leggere nella parte superiore del grafico sulle semicirconferenze concentriche corrispondenti a ciascuna coppia di curve. 3 Nella metà superiore la famiglia di raggi corrisponde alla proiezione di piani verticali quali quelli di Fig. E.1.4./14 e i numeri rappresentano il valore dell’angolo β.
π r π
β
FIG. E.1.4/16 GRAFICO CHE PERMETTE DI TRACCIARE I DIAGRAMMI DI SCHERMATURA
r
°
B
°
C
50 40
° 30
40° 50° 60°
80°
70° 60° 50°
π
γ
40° 30° 20°
A
E 28
r'
10°
B
C
°
50
°
70°
80°
r
60
10°
π
70°
20 °
20°
30°
80°
°
10°
20°
90°
r
r'
90° 10°
30
Tali piani servono a descrivere l’effetto schermante di elementi orizzontali o verticali di dimensioni finite. A. il piano è definito da due rette r e r’ normali alla superficie. B. L’intersezione del piano con la volta celeste è un arco di circonferenza. C. Proiezione dell’arco di circonferenza sul piano orizzontale.
80°
°
FIG. E.1.4.15 RAPPRESENTAZIONE DI PIANI INCLINATI NORMALI ALLA SUPERFICIE DA PROTEGGERE
70°
40
°
A
60
CONTROLLO AMBIENTALE • CONTESTO AMBIENTALE DIAGRAMMI DI SCHERMATURA
E.1. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TETTOIA INDEFINITA
TETTOIA FINITA
SETTI VERTICALI INDEFINITI
La Fig. E.1.4./17 è relativa al caso di una parete verticale di altezza H larghezza L sormontata da una tettoia sporgente orizzontale indefinitamente lunga profonda S.
La Fig. E.1.4./19 è relativa al caso di una parete verticale di altezza H larghezza L sormontata da una tettoia sporgente orizzontale profonda S di larghezza pari a L+2D. Supponiamo, ad esempio, D = 2m. Allora:
La Fig. E.1.4/21 mostra un’altra configurazione tipica è data dalla presenza di setti verticali di altezza indefinita profondi S posti ai lati della parete di altezza H e larghezza L. Gli angoli β sono dati da β = arctg (S/L) e il diagramma di mascheramento da curve del tipo della Fig. E.1.4./12. Ad esempio: con L pari a 2 m e s pari a 1 m:
L’angolo sarà dato da α = arctg (H/S).
γ = arctg (3/2) = 56,3°
Ad esempio se H è uguale a 3 m e S è pari a 1,2 m
α = arctg (3/1,2) = arctg (2,5) = 68,2°
Gli angoli γ saranno dati da γ = arctg (H/D).
Il diagramma di mascheramento corrispondente è dato dalla curva di tipo 1 corrispondente al valore di α calcolato (vedi Fig. E.1.4./18).
FIG. E.1.4/17 TETTOIA DI LARGHEZZA INDEFINITA
β = arctg (1/2) = 26,6°
La parete sarà completamente in ombra quando il sole si trovi all’interno della porzione di cielo delimitata dalla curva di Fig. E.2.3./20 e dalle due curve di tipo 2 corrispondenti ad angoli γ pari.
e il diagramma di mascheramento è mostrato in Fig. E.1.4./22.
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
FIG. E.1.4/21 SETTI VERTICALI LATERALI DI ALTEZZA INDEFINITA
FIG. E.1.4/19 TETTOIA DI LARGHEZZA FINITA
B.STAZIONI DILEGIZLII
F. TERIALI, D
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
D
G.ANISTICA URB
L
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
L S D
D
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
L H α
γ
γ
β
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE
S
L
E.4. ICA T ACUS
FIG. E.1.4/18 DIAGRAMMA DI MASCHERAMENTO RELATIVO A UNA TETTOIA ORIZZONTALE DI LARGHEZZA INDEFINITA
° 50
50
°
30
°
°
60°
90° 80°
10°
90° 10° 20° 30°
80°
70°
60
°
50
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
°
40° 50° 60°
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
70° 80° 90°
10°
80°
80°
20°
20 °
50°
70°
°
30
° 50
°
° 60
30
20°
50
10°
10°
60 °
20°
80°
30°
70°
70° 10°
90°
20°
80°
°
20°
70° 80°
90° 10°
30
°
60°
80°
40° 30
50°
70°
E.6. MIDA U ARIA
° 40
40°
° 60
40 °
°
°
60
° 40
30°
70°
30
20°
80°
20°
90° 10°
FIG. E.1.4/22 DIAGRAMMA DI MASCHERAMENTO RELATIVO A SETTI VERTICALI LATERALI DI ALTEZZA INDEFINITA
10°
80°
° 40
40 °
° 50
70°
40 °
°
60
FIG. E.1.4/20 DIAGRAMMA DI MASCHERAMENTO RELATIVO A UNA TETTOIA ORIZZONTALE DI LARGHEZZA FINITA
A E.5. INOTECNIC ILLUM
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
80°
70° 68.2° 60°
70° 60°
60°
50°
50°
50°
40°
40°
40°
30°
30°
30°
20°
20°
20°
10°
10°
10°
70°
. E.1.4AMMI DI R DIAG MATURA SCHER
E 29
E.1. 4.
CONTROLLO AMBIENTALE • CONTESTO AMBIENTALE DIAGRAMMI DI SCHERMATURA ➦ OMBRE PORTATE DA PARTI DELL’EDIFICIO SETTI VERTICALI FINITI
TETTOIA + SETTI VERTICALI E BRISE-SOLEIL
Caso analogo è quello in cui i setti abbiano altezza finita e pari a: H + B (Fig. E.1.4./.23). Con B pari ad esempio a 1,8 m gli angoli γ saranno dati da:
La presenza contemporanea di tettoia orizzontale e di setti verticali laterali (vedi Fig. E.1.4/25) causa diagrammi di mascheramento come quello mostrato in Fig. E.1.4./26.
γ = arctg (B/L) = arctg (0,9) = 42°
Anche i brise-soleil possono essere studiati o progettati utilizzando gli stessi strumenti.
Il relativo diagramma di mascheramento è quello di Fig. E.1.4./24.
Si consideri il caso di Fig. E.1.4./27 con elementi di profondità S spessore s altezza h e distanziati di d sempre su una parete LxH. Se si trattasse di una tettoia continua come si è visto il diagramma di mascheramento sarebbe del tipo di Fig. E.1.4./18 con angolo α = arctg (H/S).
Ma trattandosi di elementi discontinui il loro effetto schermante si potrà assimilare a quello di una tettoia continua solo quando il sole si trovi al di sotto del piano π di Fig. E.1.4./27 individuato dall’angolo:
γ = arctg(h/d) Supponiamo che H sia pari a 3 m e S a 1,2 m come nel primo esempio e che d = 0,3 m e h = 0,6 e quindi:
γ = arctg (0,l6/0,3) = arctg (2,3) = 66,8° Il diagramma di mascheramento sarebbe quello di Fig. E.1.4./28.
FIG. E.1.4/23 SETTI VERTICALI LATERALI DI ALTEZZA FINITA
FIG. E.1.4./27 BRISE- SOLEIL s FIG. E.1.4/25 TETTOIA + SETTI VERTICALI h
d s
B γ
s
p
H h L
γ d FIG. E.1.4/26 DIAGRAMMA DI MASCHERAMENTO RELATIVO A UNA COMBINAZIONE DI TETTOIA ORIZZONTALE E SETTI VERTICALI LATERALI
50
°
° 30
20°
30°
70°
60
° 50
°
50° 60°
80° 90°
90° 80°
90° 80°
70°
70°
70°
60°
60°
60°
50°
50°
50°
40°
40°
40°
30°
30°
30°
20°
20°
20°
10°
10°
10°
80°
10°
70°
20°
10°
20°
80°
40°
10°
10°
80°
90° 10°
°
60°
80°
30
50°
70°
°
°
50
° 60
40
30
°
20°
20°
°
50
°
20°
10°
60 °
30
°
E 30
30°
70°
70°
70° 80°
20°
80°
°
30
60°
90° 10°
40°
40° 50°
80°
°
°
50
70°
°
°
° 60
30
60
40
30°
70°
20°
20°
80°
10°
90° 10°
°
°
80°
° 40
40 °
50
6
70°
40
0°
FIG. E.1.4/28 DIAGRAMMA DI MASCHERAMENTO RELATIVO A BRISE-SOLEIL
40
FIG. E.1.4/24 DIAGRAMMA DI MASCHERAMENTO RELATIVO A SETTI VERTICALI LATERALI DI ALTEZZA FINITA
CONTROLLO AMBIENTALE • CONTESTO AMBIENTALE DIAGRAMMI DI SCHERMATURA
E.1. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. E.1.4/29 TIPICI ELEMENTI DI SCHERMATURA E DIAGRAMMI DI SCHERMATURA CORRISPONDENTI Tettoia Brise-soleil paralleli alla facciata con lame verticali Brise-soleil paralleli alla facciata con lame inclinate Brise-soleil perpendicolari alla facciata
SEZIONE VERTICALE
100%
E F G H
Tenda Brise-soleil verticali Setti verticali perpendicolari alla facciata Setti verticali inclinati rispetto alla facciata
100%
100%
I Brise-soleil con lame verticali fisse L/M Brise-soleil con lame verticali orientabili N Nido d’ape
100%
50%
50%
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
100%
50% 50%
50%
100%
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
50%
B
C
D
E
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
50%
VISTA IN PIANTA
100%
A
G.ANISTICA
DIAGRAMMA DI MASCHERAMENTO
URB
100%
100%
100%
50%
50%
50%
100%
50% 50%
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
VISTA IN PIANTA
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE
100%
100%
100% 50%
50%
G
H
100%
50%
E.4. ICA T ACUS
50%
I
L
A E.5. INOTECNIC ILLUM
M
E.6. MIDA U ARIA
VISTA FRONTALE VISTA LATERALE
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
N
DIAGRAMMA DI MASCHERAMENTO
A B C D
100%
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
100%
50% . E.1.4AMMI DI R DIAG MATURA SCHER
E 31
E.2. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
Il termine bioclimatico venne usato per la prima volta dal botanico e climatologo tedesco Köppen che, nel primo decennio di questo secolo, sviluppò un sistema di classificazione del macroclima terrestre basato sull’adattamento climatico della vegetazione nelle diverse zone del pianeta. L’applicazione del termine alla progettazione architettonica è di molto successiva e risale ai primi anni sessanta. Essa è dovuta ai fratelli Olgyay, architetti americani di origine ungherese, che per primi studiarono, secondo un approccio scientifico, le problematiche connesse con le interazioni tra clima e architettura, approfondendo in modo particolare l’aspetto del controllo solare. Un edificio bioclimatico è caratterizzato da soddisfacenti condizioni di comfort interne e contemporaneamente da bassi consumi di energie fossili non rinnovabili. Questo è ottenuto mediante un complesso di regole di progettazione e costruzione: corretto orientamento; forma, grandezza e esposizione delle finestre per catturare l’energia solare, per illuminare e riscaldare; grande massa termica per ridurre i picchi del microclima interno; isolamento delle chiusure esterne per conservare l’energia contenuta; opportuna ventilazione naturale. In sostanza, ci sono due principali strategie, in funzione del clima e delle prevalenti esigenze di riscaldamento e raffrescamento: • nel periodo freddo, massimizzare i guadagni di calore gratuiti, creare buona distribuzione e accumulo di calore nell’edificio e ridurre le perdite termiche permettendo una sufficiente ventilazione; • nel periodo caldo, minimizzare i guadagni termici, evitare il sovrariscaldamento e ottimizzare la circolazione di aria più fresca e altre forme di raffrescamento naturale. In Europa, l’approccio bioclimatico alla progettazione architettonica si sviluppa a partire dalla crisi energetica e viene successivamente sostanziato dalla crisi ambientale tutt’ora in atto. Dietro la scelta bioclimatica c’è l’esigenza di una diminuzione dell’impatto ambientale del costruire senza che ciò comporti un peggioramento del livello dei sevizi resi. Le Corbusier
CRITERI DI PROGETTAZIONE PER IL RISCALDAMENTO DELL’EDIFICIO Nei periodi freddi, la radiazione solare può fornire un contributo positivo al fabbisogno energetico per il riscaldamento degli edifici. A questo scopo è opportuno utilizzare le seguenti strategie: Captazione: l’energia solare è captata e convertita in calore. Accumulo termico: la radiazione solare ha un ciclo stagionale e giornaliero. Il calore deve essere prodotto nei periodi soleggiati e accumulato per utilizzarlo in seguito. Distribuzione del calore: il calore captato viene distribuito a quelle parti dell’edificio che richiedono calore. Conservazione del calore: il calore è trattenuto nell’edificio il più a lungo possibile, così come quello generato da un sistema di riscaldamento ausiliario.
CAPTAZIONE PARETI TRASPARENTI Quando la radiazione solare colpisce una superficie trasparente o traslucida, una parte viene riflessa, una parte assorbita e la restante parte viene trasmessa. La radiazione assorbita è riemessa sia verso l’interno che verso l’esterno, sia per convezione che per radiazione termica infrarossa (vedi Fig. E.2.1./1). Per questo motivo la maggior parte dell’energia incidente penetra all’interno dell’edificio, ma la quantità dipende dalla temperatura dell’aria, dalla temperatura della parete trasparente e dalla velocità dell’aria su entrambi i lati della superficie. La trasmissione totale attraverso l’elemento è la somma della radiazione diretta trasmessa dalla parete e di quella assorbita dalla parete stessa e riemessa verso l’interno. La radiazione solare trasmessa dalla parete, può colpire un’altra superficie che può essere anch’essa trasparente (un’altra finestra) oppure opaca come ad esempio
E 32
una parete, un pavimento, il soffitto o un elemento di arredo. Se questa seconda superficie è opaca la radiazione verrà parzialmente assorbita, riemessa in entrambe le direzioni e la restante parte riflessa. Se invece è trasparente una quota parte sarà anche trasmessa. La radiazione solare attraverso una vetrata verticale varia con l’orientamento. Le superfici esposte a Sud ricevono più radiazione solare in inverno e meno in estate rispetto a pareti con altre esposizioni. Ciò è perfettamente in sintonia con il fabbisogno di calore dell’edificio. Durante l’anno, i guadagni solari attraverso le superfici esposte a Ovest e Sud-Ovest sono paragonabili a quelli relativi alle esposizioni Est e Sud-Est. In estate le finestrature esposte a Ovest costituiscono un rischio di sovrariscaldamento se non protette dai raggi solari che si trovano a bassi angoli di incidenza. Un altro fattore che incide sui guadagni solari è l’inclinazione della parete. In estate, i guadagni solari attraverso una parete vetrata verticale sono inferiori di quelli relativi a pareti con altre inclinazioni, perché in questa stagione il sole è alto nel cielo e la radiazione ha un alto angolo di incidenza che si traduce in maggior radiazione riflessa. Al contrario vetrature con bassi angoli di inclinazione (ad es. 30°) possono causare sovrariscaldamento in estate e captare poca radiazione solare in inverno. Generalmente questo tipo di vetrature dovrebbe essere evitato a meno di dotarle di efficienti schermature quando necessario. Esse possono comunque essere utilizzate in serre addossate o atri se divise dagli altri spazi occupati dell’edificio e dotate di un loro sistema di ventilazione.
Il principale elemento trasparente utilizzato per la captazione è il vetro: ne esistono differenti tipi che favoriscono il guadagno solare e limitano le perdite termiche in differenti proporzioni. Si possono anche utilizzare pannelli traslucidi realizzati con materiali sintetici. In questo caso si rende necessario un giunto di dilatazione a causa dell’entità della dilatazione termica dei materiali sintetici esposti alla radiazione solare diretta. Le tensioni interne, infatti, possono provocare la deformazione o persino la rottura dell’elemento.
FIG. E.2.1./1
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
E.2. 1. A.ZIONI
PARETI OPACHE Quando la radiazione solare colpisce una parete esterna o altre superfici opache, parte dell’energia è assorbita e trasformata in calore, la restante parte è riflessa. In questo caso non c’è radiazione trasmessa. Parte dell’energia assorbita si propaga attraverso la parete. Quella restante si perde come emissione infrarossa verso il cielo o altre superfici adiacenti o per convezione verso l’esterno. La quantità di energia assorbita dalla parete dipende dalla quantità di radiazione incidente, dall’angolo con il quale colpisce la parete, dal colore della superficie esterna. Superfici scure e non levigate assorbono più energia di quelle chiare e levigate. Il concetto della captazione del calore attraverso le pareti è applicabile soprattutto nelle regioni calde dove c’è necessità di riscaldamento durante la notte ma non è necessario l’isolamento termico. Nelle regioni più fredde dove le pareti esterne necessitano di un isolamento, questo impedisce la diffusione del calore attraverso la parete. Il processo di captazione del calore nel pavimento è simile. Dove il pavimento è coperto da un tappeto, questo costituisce una sorta di isolamento. La Fig. E.2.1./2 mostrano le variazioni della temperatura superficiale di due tipi di pareti esposte a Sud a un intervallo di sei ore. Viene mostrato anche un tipico orizzontamento posto esternamente e un altro posto dietro a una vetrata esposta a Sud. Le temperature dell’aria interna sono in tutti i casi di 20°C, durante una giornata serena di marzo con una velocità del vento di 4 m/s.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. E.2.1./2 h
t(°C)
B.STAZIONI DILEGIZLII
t(°C)
I ED PRE NISM ORGA
16
16
C.RCIZIO 8
E ESE ESSIONAL PROF
8
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
24
12 18 24
0
18 12 6
0
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
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EFFETTO SERRA L’effetto serra consiste in un processo costituito da tre fasi dove la radiazione solare (visibile) attraverso le pareti trasparenti penetra nell’edificio, viene assorbita da elementi opachi interni all’edificio e riemessa come radiazione infrarossa alla quale le superfici vetrate risultano opache (Fig. E.2.1./3). L’efficienza di questo sistema di captazione è influenzato dalla sua geometria, dalle caratteristiche delle vetrature, e da quelle degli elementi opachi colpiti dalla radiazione solare (assorbanza e emittanza). La radiazione solare che colpisce la superficie terrestre ha lunghezze d’onda comprese tra 0,25 micron e 4 micron (un micron è un millesimo di mm), ed è composta da ultravioletti (UV), infrarossi “vicini” (IR) e radiazione visibile. Quando i raggi solari colpiscono il vetro, la maggior parte della radiazione visibile e di quella infrarossa è trasmessa attraverso il vetro ma la maggior parte della radiazione con lunghezza d’onda inferiore a 2,5 micron è bloccata. La radiazione che passa attraverso la vetratura è assorbita dalle pareti, dal pavimento e da altri corpi solidi che scaldandosi riemettono radiazione infrarossa “lontana” in ogni direzione. Quando questa colpisce il vetro, parte viene riflessa e il resto viene assorbita. L’energia assorbita è quindi riemessa da entrambi i lati della vetratura. Come risultato di questo processo parte della radiazione rimane intrappolata all’interno, producendo un innalzamento della temperatura, fenomeno chiamato appunto “effetto serra”. Con un doppio vetro, la radiazione totale trasmessa è minore rispetto a quella trasmessa da un vetro singolo. Di conseguenza si riduce anche l’emissione dalle pareti all’interno della superficie vetrata, poiché queste sono colpite da una quantità inferiore di radiazione. Con un doppio vetro basso emissivo (vetro con uno speciale trattamento superficiale che lo rende riflettente alla radiazione infrarossa), l’energia trasmessa è comunque inferiore rispetto a un vetro singolo ma una maggior quantità di energia termica rimane trattenuta nell’edificio.
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FIG. E.2.1./3 EFFETTO SERRA
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CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA ➦ CRITERI DI PROGETTAZIONE PER IL RISCALDAMENTO DELL’EDIFICIO ACCUMULO TERMICO
FIG. E.2.1./4
FIG. E.2.1./5
L’energia solare è disponibile secondo cicli giornalieri e annuali che non corrispondono ai periodi di richiesta di riscaldamento dell’edificio. Lo scopo dell’accumulo è di trattenere l’eccedenza del calore captato rispetto alla necessità del momento per utilizzarlo in seguito, quando diverrà necessario.
ACCUMULO DIRETTO Quando la radiazione solare colpisce un materiale, sia direttamente sia attraverso un vetro, parte di essa è assorbita, trasformata in calore e accumulata nella massa del materiale. Il calore contenuto nel materiale aumenta progressivamente per conduzione al diffondersi del calore al suo interno (Figg.E.2.1./4, 5). Nei materiali con alta diffusività termica, il calore penetra più velocemente. Tale coefficiente è direttamente proporzionale alla conducibilità termica e inversamente proporzionale alla capacità termica. Una alta diffusività termica impedisce alla temperatura della superficie di salire rapidamente quando questa viene colpita dalla radiazione solare e permette l’incremento della temperatura dell’intera massa. Materiali con alta capacità termica come il cemento, i mattoni e l’acqua si riscaldano e si raffreddano lentamente. Materiali termicamente isolanti come la fibra di vetro e le schiume, a causa della bassa capacità termica, hanno scarsa capacità di accumulo termico.
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ACCUMULO INDIRETTO Si può parlare di accumulo indiretto quando un componente dell’edificio si scalda per assorbimento del calore irradiato da altri componenti più caldi (come pareti e pavimenti) o per convezione dall’aria circostante (Fig. E.2.1./6). L’accumulo indiretto per irraggiamento è influenzato dalla differenza di temperatura tra i componenti dalla loro posizione relativa e dall’emissività. Al contrario della radiazione visibile, l’assorbimento della radiazione infrarossa non è influenzato dal colore della superficie. È invece influenzato dalle condizioni della superficie come rugosità e sporcizia, che ne inibiscono l’emissione. Il guadagno indiretto per convezione è influenzato dalla differenza di temperatura tra l’aria e il componente, dalla velocità dell’aria e dalla ruvidità della superficie del componente. Superfici ruvide sviluppano una maggiore superficie e quindi favoriscono il trasferimento del calore per convezione. Lo scambio di calore tra masse a differente temperatura si innesca spontaneamente in osservanza del secondo principio della termodinamica che concerne l’equilibrio termico tra masse a temperature differenti. In alcuni casi è opportuno utilizzare un sistema di accumulo remoto per accumulare il calore trasferito, ad esempio, da una serra per mezzo di condotti dotati di ventole (Fig. E.2.1./7). Un tale sistema permette di diffondere il calore nell’edificio in modo controllato in funzione delle necessità. La funzionalità di questo sistema dipende dal corretto dimensionamento e isolamento termico dell’accumulo. Va considerato da un punto di vista del consumo energetico che una certa quantità di energia sarà necessaria per il funzionamento delle ventole. Per migliorare l’efficienza termica del sistema è preferibile collocare la massa di accumulo all’interno dell’edificio in modo che eventuali perdite termiche si disperdano all’interno dell’edificio stesso.
E 34
Variazioni di temperatura in un muro di mattoni di 20 cm di spessore, orientato a Sud,con il cielo sereno e vento a 4 m/s, nel mese di marzo.
Le masse colpite dal sole attraverso un vetro, accumulano rapidamente una parte della radiazione. Questo fenomeno (accumulo diretto) permette di ritardare l’effetto della captazione evitando il rapido riscaldamento dell’ambiente.
FIG. E.2.1./6
FIG. E.2.1./7
Accumulo indiretto del primo tipo: si effettua naturalmente per scambio di calore per convezione e per irraggiamento.
Accumulo indiretto del secondo tipo: si effettua volontariamente trasportando meccanicamente il calore a una massa accumulatrice. La figura illustra l’accumulo del calore in eccesso di una serra in una massa di pietreper mezzo di un ventilatore collegato a un termostato.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
E.2. 1. A.ZIONI
MATERIALI PER L’ACCUMULO TERMICO La capacità di un materiale di accumulare il calore è espressa dalla capacità termica per unità di volume (il calore accumulato nell’unità di volume per ogni grado di incremento di temperatura). Materiali compatti come la pietra, il calcestruzzo e il mattone sono tradizionalmente scelti per le parti dell’edificio per le quali è richiesto un buon accumulo di calore. La capacità di accumulo del calcestruzzo varia da 0.204 kWh/m3 per il calcestruzzo cellulare a 0.784 kWh/m3 per il calcestruzzo pesante. Negli edifici con struttura leggera o per parti di edifici dove si richiede un accumulo senza utilizzare materiali massivi, possono essere utilizzati materiali con alta capacità termica. Esempi sono l’acqua (che ha una capacità termica a 20°C di 1.157 kWh/m3), o altri liquidi, e materiali a cambiamento di fase. Con materiali tradizionali come il calcestruzzo e il mattone, il processo di accumulo avviene per calore sensibile, cioè calore che può essere misurato dall’innalzamento della temperatura che ne deriva. Materiali a cambiamento di fase, invece, accumulano il calore per il principio del calore latente, che è il calore necessario per il cambiamento di stato del materiale da solido a liquido senza variazione di temperatura.
FIG. E.2.1./8
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FIG. E.2.1./9
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C.RCIZIO
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D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
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F. TERIALI, L’irraggiamento solare che colpisce un materiale è in parte assorbito, trasformato in calore e accumulato nel materiale stesso: questo processo è chiamato accumulo diretto per calore sensibile.
Contrariamente all’accumulo tradizionale secondo il principio del calore sensibile, l’accumulo a cambiamento di fase si definisce a calore latente, cioè quando il materiale cambia stato, da solido a liquido, senza variazione di temperatura.
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
DISTRIBUZIONE DEL CALORE
FIG. E.2.1./10
Idealmente un edificio solare passivo dovrebbe fornire calore direttamente alle aree che ne necessitano, in questo caso non si avrebbe la necessità di un sistema di distribuzione. Ciò non è sempre possibile come nel caso di locali esposti a Nord ai quali il calore accumulato deve essere fornito al momento opportuno. Per far questo si può ricorrere a sistemi naturali o meccanici.
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
DISTRIBUZIONE NATURALE Nel caso di distribuzione naturale, il calore accumulato è trasferito per convezione e irraggiamento. La convezione si realizza quando la temperatura superficiale del materiale di accumulo è maggiore di quella dell’aria dell’ambiente da riscaldare. L’irraggiamento infrarosso si attiva quando la temperatura superficiale del materiale di accumulo è maggiore della temperatura superficiale degli oggetti circostanti. Quando l’energia viene accumulata nella parete di un edificio, la diffusione del calore avviene abbastanza rapidamente sul lato esposto alla radiazione. Il calore raggiungerà il lato opposto solo dopo un certo tempo. Lo sfasamento temporale, cioè il tempo tra il momento in cui la faccia irradiata della parete raggiunge la massima temperatura e il momento in cui la faccia opposta raggiunge a sua volta la massima temperatura è influenzato dall’inerzia termica della parete. Tale sfasamento dipende dalle dimensioni e dalle proprietà fisiche della parete. Se la parete ha al suo interno uno strato isolante, ogni parte della parete stessa ha una sua propria inerzia termica. Quando la superficie interna della parete raggiunge temperature elevate, l’aria che lambisce tale superficie si scalda per convezione mentre le altre superfici vicine alla parete si scaldano per irraggiamento. Come risultato si ottiene che il calore è stato trasferito dalla parete allo spazio che non può beneficiare della radiazione solare diretta. Lo sfasamento temporale nel processo di trasferimento del calore contribuisce al mantenimento di temperature confortevoli per un certo tempo anche dopo la cessazione dell’irraggiamento solare. Ciò comporta la riduzione del fabbisogno termico dell’edificio. Una parete con alta inerzia termica permetterà al calore accumulato durante il giorno di essere utilizzabile la notte. Una parete di questo tipo non isolata è particolarmente appropriata nei climi caldi dove gli spazi interni richiedono di essere riscaldati esclusivamente la notte.
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS
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Un modo per distribuire il calore è la termocircolazione dell’aria dovuta all’irraggiamento solare. 1. Quando è colpita dal sole, una parete interna si scalda e cede parte del calore accumulato all’aria ambiente per convezione. (A) 2. L’aria acquisisce un moto ascendente che richiama aria più fresca. (B) 3. Si innesca una circolazione d’aria tra le zone esposte al sole e le alte non esposte. (C) 4. Nei periodi nuvolosi o di notte, al fine di evitare una circolazione inversa che porterebbe a un effetto di raffrescamento, si deve impedire il movimento d’aria. Un sistema di isolamento mobile permette di evitare questo fenomeno. (D)
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E.2. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA ➦ CRITERI DI PROGETTAZIONE PER IL RISCALDAMENTO DELL’EDIFICIO ➦ DISTRIBUZIONE DEL CALORE
FIG. E.2.1./12
FIG. E.2.1./13
Un’altra forma di circolazione naturale si ottiene quando l’aria stessa si riscalda. Quando ciò accade, la densità dell’aria diminuisce e comincia a muoversi verso l’alto. Una attenta distribuzione degli spazi dell’edificio permette di sfruttare questo fenomeno per distribuire il calore generato dalla radiazione solare diretta in una certa zona, a favore di un’altra zona più fredda. Quando la radiazione solare scalda una parete interna, il calore accumulato viene rilasciato e incrementa la temperatura dell’aria nella stanza attraverso uno scambio convettivo. Non appena l’aria diventa più calda, tende a salire richiamando aria più fresca. Quando l’aria calda raggiunge un ambiente non scaldato dalla radiazione solare diretta, si raffredda. Nello stesso momento, l’aria più fredda venuta in contatto con le superfici calde si scalda a sua volta. Una circolazione di questo tipo tra le zone direttamente scaldate dal sole e quelle non colpite direttamente dalla radiazione solare è possibile solo con una adeguata articolazione degli spazi. Questo movimento d’aria, che può essere controllato dall’apertura e chiusura di porte e finestre interne, è chiamato termocircolazione. (Figg.E.2.1./10 e 12) Nelle giornate nuvolose o durante la notte, può essere necessario impedire la circolazione dell’aria isolando le differenti zone dell’edificio o utilizzando sistemi di isolamento mobile, allo scopo di eliminare il rischio di una termocircolazione inversa che può realizzare un indesiderato raffreddamento degli ambienti. Il calore può essere distribuito anche utilizzando sistemi meccanici come ventilatori e pompe. L’utilizzo di un ventilatore per forzare l’aria calda dagli spazi scaldati direttamente dal sole verso quelli più freddi permette di ottenere una rapida distribuzione del calore. Una distribuzione differita nel tempo può essere ottenuta inserendo masse di accumulo nell’edificio. Un ventilatore è utilizzato per trasferire il calore da una massa solida verso zone da riscaldare. In caso di accumulo realizzato con masse liquide, si utilizza una pompa. (Fig. E.2.1./13) La combinazione del solare passivo e sistemi di riscaldamento convenzionali può essere utile per una migliore regolazione dei movimenti d’aria nell’edificio.
L’utilizzo del fenomeno della termocircolazione dell’aria richiede un organizzazione spaziale aperta. Questo permette di evitare il sovrariscaldamento e di ottenere una migliore distribuzione delle temperature interne.
La distribuzione meccanica necessita di un ventilatore per spingere l’aria calda all’interno dello spazio abitato.
FIG. E.2.1./11
CONSERVAZIONE DEL CALORE
TERMOCIRCOLAZIONE
L’involucro edilizio può perdere calore per conduzione termica, convezione e irraggiamento oltre che per ventilazione e indesiderate infiltrazioni di aria. Nei periodi freddi queste perdite devono essere minimizzate al fine di trattenere nell’edificio il calore generato dai guadagni solari o dal sistema di riscaldamento ausiliario.
FIG. E.2.1./14
RIDUZIONE DELLE PERDITE DI CALORE Le perdite termiche consistono in un flusso di calore attraverso l’involucro edilizio. Queste dipendono principalmente dalla differenza di temperatura tra l’interno e l’esterno e dalla resistenza termica dei materiali che compongono l’involucro edilizio. Tali perdite avvengono per conduzione, convezione e irraggiamento. Per contenerle esistono vari metodi, dei quali i principali sono descritti di seguito. Il più comune consiste nel ridurre la conduzione termica aggiungendo strati di isolamento termico all’involucro edilizio allo scopo di incrementarne la resistenza termica complessiva. Un’altra possibilità è quella di progettare l’edificio con geometrie compatte, che riducendo la superficie esterna esposta, limitano le perdite termiche trasmesse. Inoltre, la temperatura interna dell’edificio, ove possibile viene mantenuta bassa allo scopo di ridurre la differenza di temperatura tra l’interno dell’edificio e l’aria esterna con la conseguenza di ridurre anche la trasmissione di calore che è proporzionale a questa differenza di temperatura. Un metodo più avanzato può essere quello di aggiungere delle barriere riflettenti all’irraggiamento infrarosso, come ad esempio fogli di alluminio posizionati dietro ai radiatori e vetri basso-emissivi per le finestre.
E 36
Giusto
Errato
Una parete deve essere concepita in modo da evitare i ponti termici. Intendendo per ponte termico tutti i punti di discontinuità, giunture, connessioni, non adeguatamente isolati tra le facce interne ed esterne dell’involucro edilizio che permettono il passaggio di un flusso di calore significativo, provocando dispersione di calore e condensa, proprio per la repentina variazione localizzata delle temperature. Lo schema illustra un esempio di buona e cattiva posa in opera.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
E.2. 1. A.ZIONI
FIG. E.2.1./15
FIG. E.2.1./16
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. E.2.1./17
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
Le infliltrazioni o apporti involontari d’aria fresca esterna attraverso i giunti dell’involucro edilizio, i telai mobili degli infissi, etc... provocano dispersioni importanti. Una buona progettazione degli elementi costruttivi e una corretta posa in opera, permettono di ridurre queste infiltrazioni.
Questi agiscono abbattendo lo scambio termico radiativo tra due componenti poiché riflettono la radiazione infrarossa all’interno dell’edificio. La resistenza termica di una parete è uguale alla somma delle resistenze termiche dei suoi componenti più i coefficienti (adduttanza liminare) dovuti alla pellicola d’aria che si trova su ambedue le facce della parete. La resistenza termica di uno strato di materiale dipende dalla conduttività termica del materiale stesso e dallo spessore dello strato. I fattori principali che determinano la conduttività termica sono la densità, il contenuto di acqua, la porosità del materiale. I coefficienti superficiali contribuiscono alla resistenza termica perché il calore deve cambiare il suo modo di propagazione dalla conduzione alla convezione e all’irraggiamento, o viceversa, a ogni superficie della parete. Questi sono determinati da vari parametri come la ruvidità della superficie, la differenza di temperatura tra le pareti o tra la parete e l’aria, la velocità dell’aria, la direzione del flusso di calore e l’emissività delle superfici in questione e di quelle adiacenti. ELEMENTI OPACHI Per ridurre le perdite di calore il più possibile le pareti, i tetti e gli altri elementi opachi dell’edificio devono essere dotati di isolamento termico. Ciò migliora le proprietà termiche di questi elementi mantenendoli a una temperatura maggiore di quella che si avrebbe senza l’isolamento. Ne risulta un miglioramento del livello di comfort. (Fig. E.2.1./15) L’isolamento costituisce una barriera al flusso di calore per conduzione. Materiali scelti a questo scopo devono avere ovviamente una bassa conducibilità termica. Il migliore fra i materiali isolanti più comuni è l’aria purché sia secca e ferma. Materiali porosi con molte piccole bolle d’aria forniscono un buon isolamento. Anche in questo caso è importante che il materiale rimanga asciutto. Quando l’acqua imbeve il materiale riempendo le microcavità la conduttività aumenta rapidamente. Lo strato isolante può essere posto sul lato esterno di una parete, sul lato interno, o all’interno della parete stessa senza che ciò modifichi le caratteristiche isolanti complessive della parete. Il posizionamento dell’isolante, invece, influisce sull’inerzia termica e sul rischio di formazione di condensa nell’edificio. L’isolamento all’esterno permette di utilizzare l’inerzia di tutta la massa della parete riducendo al tempo stesso il rischio di formazione di condensa. Si riduce anche il problema dei ponti termici. Questi sono dei punti dove differenti superfici si incontrano con scarso o nullo isolamento.
ELEMENTI TRASPARENTI Gli elementi trasparenti come le vetrate costituiscono sedi di notevoli perdite per le scarse proprietà termiche dei materiali trasparenti e degli infissi. (Fig. E.2.1./16) Le perdite di calore di questi elementi possono ridursi della metà se costituiti da due lastre (invece di una) e l’intercapedine riempita con aria secca o speciali gas a bassa conduttività. Speciali trattamenti delle vetrate possono ridurre ulteriormente le perdite. Per esempio la faccia interna di un doppio vetro può essere rivestita da un film di ossidi metallici con bassa emissività. Questo film riflette la radiazione infrarossa verso l’interno mentre permette normalmente la trasmissione della radiazione solare. La conducibilità termica di questi vetri chiamati bassoemissivi, è di circa il 30% di quella di un vetro semplice ed è paragonabile a quella di un vetro triplo. La resistenza termica degli elementi trasparenti è migliorata dall’uso di tende, schermature o altri sistemi mobili di isolamento. Attualmente si stanno diffondendo sistemi di isolamento trasparenti che riducono le perdite termiche permettendo al tempo stesso la trasmissione di una certa quantità di luce naturale. È preferibile che le schermature per le finestre siano collocate all’esterno piuttosto che all’interno dell’edificio. Ciò perché proteggono la superficie del vetro riducendo le perdite di calore per convezione o irraggiamento verso il cielo. La collocazione esterna permette di utilizzarle anche come schermatura solare per ridurre il rischio di sovrariscaldamento. RIDUZIONE DELLE INFILTRAZIONI Il ricambio d’aria in un edificio è necessario per eliminare l’aria viziata, fumo e odori sgradevoli, al fine di controllare l’inquinamento e di mantenere adeguati livelli di ossigeno e umidità. Un rinnovo d’aria ottimale è usualmente di circa 30 m3*/ora per occupante se ci sono dei fumatori e 20 m3/ora per occupante in assenza di fumatori. Il parametro varia in funzione delle zone e del tipo di utilizzo dell’edificio e generalmente si esprime in numero di
ricambi d’aria per ora. Cioè il volume di aria fresca introdotta, espresso come multiplo o frazione del volume totale dell’ambiente considerato. Per gli ambienti abitativi tale parametro può variare da 0,5 a 2 vol/ora, ma può aumentare significativamente per altri utilizzi come ad esempio bar o ristoranti. Le infiltrazioni d’aria nell’edificio si hanno attraverso buchi e fessure dell’involucro (finestre aperte, camini e condotti di ventilazione), intercapedini tra componenti dell’edificio, giunti intorno alle parti mobili di porte e finestre per effetto della pressione del vento. Tali infiltrazioni dipendono dalla velocità e pressione del vento e dalla differenza di temperatura tra l’interno e l’esterno dell’edificio. (Figg.E.2.1./17, 18) Non è necessario cercare di eliminare totalmente tali infiltrazioni d’aria. Sarebbe sufficiente ridurle fino a eliminare la ventilazione non necessaria controllando così più facilmente il rinnovo d’aria. Ogni aspetto che può avere effetto sulla penetrazione del vento dovrebbe essere attentamente considerato nella fase progettuale. Per esempio dovrebbe essere posta attenzione alla topografia, alla forma dell’edificio, alle schermature per il vento e alla posizione della vegetazione. In fase costruttiva va posta particolare attenzione a giunti e sistemi di chiusura.
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E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM
ZONE A DIFFERENTE TEMPERATURA Quando la differenza di temperatura tra l’interno e l’esterno dell’edificio aumenta, le perdite termiche per conduzione e ventilazione salgono proporzionalmente. Poiché la temperatura di una superficie esterna sale quando questa è colpita dalla radiazione solare e diminuisce se soggetta a forti venti, si dovrebbero ridurre il più possibile le superfici dell’edificio esposte a Nord e verso i venti prevalenti. Gli edifici protetti da riporti in terra hanno minori perdite di calore specialmente in aree caratterizzate da forti venti e basse temperature. Ciò perché la temperatura del terreno rimane relativamente costante durante l’anno mentre il terreno stesso fornisce all’edificio una resistenza termica aggiuntiva. Tale soluzione non fornirà significativi vantaggi se l’edificio è già di per sé molto isolato. Nell’organizzare gli spazi è fondamentale applicare il concetto di “zona termica” al fine di creare una distribuzione razionale del calore, riducendo, al tempo stesso, le perdite termiche. Un criterio è quello di esporre verso Sud i locali con più alta richiesta di energia mentre quelli con minor fabbisogno energetico verso Nord. In alternativa la parte più calda dell’edificio può essere circondata da cerchi concentrici di ambienti con decrescente richiesta di temperatura. Esempi di questo principio sono locali non riscaldati come garage, cantine, androni scala e lavanderie collocati sul lato Nord dell’edificio in modo da costituire uno
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E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
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E.2. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA ➦ CRITERI DI PROGETTAZIONE PER IL RISCALDAMENTO DELL’EDIFICIO ➦ CONSERVAZIONE DEL CALORE spazio tampone protettivo. Locali al piano terra e all’attico possono assolvere alla stessa funzione. Per rendere efficace uno spazio tampone di questo tipo, si dovrà posizionare l’isolamento tra questo e il volume riscaldato dell’edificio invece di posizionarlo all’esterno dello spazio tampone. Una serra non riscaldata addossata alla parete Sud dell’edificio costituisce un altro tipo di spazio tampone. La sua funzione infatti è quella di accumulare il calore durante il giorno per effetto serra. Nelle zone fredde è utile porre uno spazio tampone a protezione dell’ingresso principale dell’edificio. Ciò permette di ridurre l’ingresso di aria fredda ogni volta che si apre la porta.
FIG. E.2.1./18
FIG. E.2.1./19
FIG. E.2.1./20
A
B
Il rinnovo dell’aria interna dell’ambiente è necesario al fine di eliminare l’aria viziata, i fumi e gli odori così come per mantenere il tasso di umidità a un livello comfortevole. Anche le infiltrazioni d’aria concorrono al ricambio d’aria degli ambienti. È quindi inutile cercare di eliminarle del tutto, è invece opportuno limitarle allo stretto necessario.
Le infiltrazioni possono essere contenute da una corretta posa in opera dei componenti e dalla messa a punto dei dettagli dei giunti degli elementi costruttivi, in particolare delle chiusure e degli infissi. Nella illustrazione si mostra lo schema di un infisso a “giunto aperto” dove la battuta è dotata di una guarnizione (A) accoppiata a una camera di decompressione (B) per abbattere le infiltrazioni d’aria dovute al vento.
CRITERI DI PROGETTAZIONE PER IL RAFFRESCAMENTO DELL’EDIFICIO Nei periodi caldi dell’anno, i raggi solari, l’infiltrazione di aria calda all’interno dell’edificio e i guadagni interni derivanti dall’attività degli occupanti e dalle apparecchiature possono contribuire al sovrariscaldamento dell’edificio. Per mantenere un livello di temperatura interna confortevole si devono prendere in considerazione i seguenti aspetti: Controllo solare: per impedire ai raggi solari di colpire e penetrare nell’edificio. Guadagni esterni: per impedire l’aumento della temperatura per conduzione attraverso la pelle dell’edificio o per infiltrazione di aria calda esterna. Guadagni interni: per prevenire indesiderati aumenti di temperatura interna dovuti agli occupanti e alle apparecchiature. Ventilazione: l’aria calda deve essere espulsa e rimpiazzata da aria più fresca. Raffrescamento naturale: per trasferire l’eccesso di calore dall’edificio all’ambiente esterno.
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CONTROLLO SOLARE In certi momenti dell’anno, anche nei climi temperati, i guadagni solari attraverso le vetrate possono essere eccessivi e creare non confortevoli incrementi di temperatura. Ciò può essere controllato impedendo ai raggi solari di penetrare all’interno dell’edificio. Possono essere utilizzati sistemi di schermatura permanenti o mobili stagionalmente. Fra questi i più comuni sono ad esempio gli aggetti, le tende, le lamelle mobili e la vegetazione. SCHERMATURE In estate, quando il sole colpisce la facciata Sud di un edificio, questo è abbastanza alto sull’orizzonte. In questo caso la parete verticale Sud riceve la radiazione solare in maniera radente e quindi con minore intensità. Inoltre, a causa dell’angolo di incidenza, è abbastanza facile schermare le aperture collocate su pareti con questa esposizione realizzando un aggetto orizzontale posto superiormente all’apertura (Fig. E.2.1./21).
FIG. E.2.1./21
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
E.2. 1. A.ZIONI
Per ottenere il massimo beneficio in inverno, quando la radiazione solare può fornire un utile contributo al riscaldamento dell’edificio, è importante dimensionare l’aggetto in modo tale da non intercettare i raggi solari invernali che hanno un angolo minore. Non è altrettanto facile schermare le aperture poste sulle pareti Est e Ovest, poiché il sole quando le colpisce si trova basso nel cielo, così da rendere inutili gli aggetti od altri sistemi schermanti posti orizzontalmente sopra le finestre, che oltretutto sono colpite dalla radiazione solare con grande intensità. In questo caso bisogna limitare le superfici vetrate esposte e schermarle con elementi posti verticalmente e lateralmente alle aperture. Poiché, a causa della simmetria dei percorsi solari rispetto ai solstizi, in alcuni periodi a parità di posizione relativa del sole si hanno esigenze termiche differenti (in aprile il sole ha lo stesso percorso che in agosto), si rende opportuno utilizzare sistemi di schermatura mobile. Questi del resto, se opportunamente progettati, possono anche essere utilizzati in inverno per migliorare l’isolamento termico delle aperture. L’efficacia di questi sistemi schermanti è espressa dal coefficiente di schermatura (rapporto tra la radiazione solare che passa attraverso una apertura schermata e quella che sarebbe passata se non ci fosse stata la schermatura). Nel progettare i sistemi schermanti mobili si dovrebbe porre attenzione alla riduzione dei guadagni solari indesiderati, senza oscurare gli ambienti al punto tale da rendere necessario l’utilizzo dell’illuminazione artificiale. È preferibile posizionare le schermature all’esterno delle finestre piuttosto che all’interno, in modo da intercettare la maggior parte della radiazione solare prima che questa colpisca l’edificio. Gli schermi interni, a meno che non siano riflettenti, intercettano la radiazione solare con scarsa efficacia e solo dopo che questa ha superato il vetro con la conseguenza che sia l’intercapedine d’aria tra lo schermo e il vetro sia lo schermo stesso si scaldano inopportunamente. (Fig. E.2.1./22) Schermature possono essere posizionate anche nell’intercapedine di un doppio vetro con il vantaggio di eliminare le inefficienze delle schermature interne, evitando i problemi di manutenzione tipici dei sistemi schermanti esterni.
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FIG. E.2.1./22
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
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È preferibile posizionare le schermature all’esterno (C) delle finestre piuttosto che all’interno (B), in modo tale da intercettare la maggior parte della radiazione solare prima che questa colpisca l’edificio
FIG. E.2.1./23
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE
100%
100%
E.4. ICA T ACUS
45% 24%
5%
43%
50% VETRI SPECIALI 28% Per gli edifici difficili da schermare si può ricorrere all’utilizzo di vetri speciali. Vetri assorbenti riducono la trasmissione totale di radiazione solare attraverso la finestra, riducendo la percentuale di radiazione trasmessa a favore di quella assorbita che a sua volta viene riemessa come radiazione infrarossa da ambedue le parti. (Fig. E.2.1./23A) Vetri riflettenti, incrementando la percentuale di radiazione riflessa, riducono la radiazione totale trasmessa, con la conseguenza che il vetro non scaldandosi eccessivamente riemette verso l’interno una minore radiazione infrarossa. (Fig. E.2.1./23B) Vetri assorbenti o riflettenti sono raccomandati principalmente per le finestre esposte a Est o Ovest, ma vengono utilizzati prevalentemente in edifici commerciali. Sebbene non ancora commercialmente disponibili o convenienti, sono in forte sviluppo vetri speciali come i fotocromatici, i termocromici e gli elettrocromici che modificando le proprietà ottiche di trasparenza permettono od ostacolano la penetrazione dei raggi solari nell’ambiente.
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
A) VETRI ASSORBENTI
D) VETRI RIFLETTENTI + VETRO CHIARO
100%
27%
5%
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
100%
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
52% 7%
37%
21% 50%
B) VETRI RIFLETTENTI
6%
C) VETRI ASSORBENTI + VETRO CHIARO
ICO . LIMAT E.2.1 CCIO BIOC IONE Z O A APPR ROGETT P A ALLA ETTONIC IT ARCH
E 39
E.2. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA ➦ CRITERI DI PROGETTAZIONE PER IL RAFFRESCAMENTO DELL’EDIFICIO GUADAGNI ESTERNI
GUADAGNI INTERNI
Nelle zone con clima caldo, le pareti e i tetti sono scaldati dal sole e dall’aria calda esterna. Ciò può produrre condizioni interne di scarso comfort. I guadagni possono essere minimizzati con l’isolamento, la riduzione della superficie finestrata, l’uso dell’inerzia termica, la riflessione della radiazione solare e l’uso di geometrie compatte. I guadagni per infiltrazione d’aria possono essere limitati riducendo le infiltrazioni stesse e raffrescando l’aria in ingresso.
L’illuminazione artificiale, le apparecchiature e le attività degli occupanti comportano guadagni interni di calore. Nei periodi caldi questi guadagni dovrebbero essere ridotti al minimo. Tale riduzione si può ottenere sfruttando la luce naturale e usando un’illuminazione artificiale più efficace, operando controlli accurati, scegliendo apparecchiature efficienti che generano poco calore, ed evacuando il calore generato. La distribuzione dei guadagni interni in ogni parte di un edificio varierà notevolmente da un edificio all’altro secondo il livello di occupazione e il tipo di uso. Anche nel settore residenziale le caratteristiche di una famiglia differiscono da quelle di un’altra. Pertanto, per il progettista, è difficile conoscere con precisione quali saranno i reali guadagni interni di un edificio. È comunque possibile fare una valutazione basata su profili standard relativi a tipologie di abitazione, per una famiglia tipo.
GUADAGNI NELLA TRASMISSIONE Sebbene il concetto di ridurre il flusso di calore, aumentando il livello d’isolamento dell’involucro dell’edificio, sia più comunemente applicato per la conservazione del calore nelle regioni più fredde durante le stagioni invernali, esso può anche essere considerato per prevenire il surriscaldamento estivo per conduzione nelle regioni più calde. In estate, ovviamente, il flusso di calore si trasmette dall’esterno all’interno dell’edificio – direzione opposta rispetto al flusso nel periodo invernale. Oltre all’isolamento, ci sono altri tre modi per ridurre il flusso del calore attraverso l’involucro. Il primo sfrutta l’inerzia termica dell’involucro dell’edificio. Il secondo prevede una barriera per riflettere la radiazione lontano dall’edificio. Nel terzo, la superficie dell’involucro dell’edificio viene ridotta compattandone il perimetro. INERZIA TERMICA Questo metodo si basa sul fatto che vi è un ritardo, dovuto all’inerzia termica delle pareti, della copertura, ecc., nella trasmissione del calore attraverso l’involucro dell’edificio, che può essere sfruttato per ragioni di raffrescamento negli edifici massicci surriscaldati. Il concetto è particolarmente utile dove, nelle 24 ore, ci sono escursioni della temperatura esterna significative – per esempio nei climi caldi e secchi. Quando la radiazione solare incontra una superficie opaca, come una muratura o un tetto, tale superficie assorbe parte della radiazione convertendola in calore. FIG. E.2.1./24
Parte del calore è direttamente restituita all’esterno. Quella restante viene condotta attraverso le pareti o la copertura in una misura che dipende dalle caratteristiche di trasmissione termica dei materiali. Quando la temperatura delle superfici esterne scende a causa di un decremento della temperatura dell’ambiente il calore conservato viene parzialmente ceduto. Durante la notte, la temperatura dell’aria all’interno dell’edificio è più alta della temperatura esterna, pertanto la trasmissione del calore è diretta verso l’esterno e la temperatura delle pareti o della copertura tende a scendere. Ciò può anche comportare il raffreddamento dell’ambiente interno. RIFLESSIONE I colori chiari hanno la proprietà di riflettere la componente visibile della radiazione solare ed è per questo motivo che spesso nei climi caldi gli edifici sono dipinti di bianco. Nelle intercapedini delle murature o nelle coperture dove vi è aria ferma e la convezione è pertanto bassa, la radiazione termica è il primo meccanismo di trasferimento del calore. La radiazione termica può essere riflessa lontano dalle parti occupate dell’edificio, ricoprendo le superfici delle partizioni che separano l’intercapedine dalle aree occupate tramite un materiale altamente riflettente, come i fogli d’alluminio. Tali fogli incrementano anche la resistenza termica degli strati isolanti, se posti in una posizione a questi adiacente, interponendo tra l’elemento coibente e i fogli un piccolo spessore d’aria. Le barriere alla radiazione sono consigliate per quelle parti di edifici leggeri in climi caldi e umidi dove è difficile fornire protezione dal calore. Esse sono particolarmente efficaci nei casi di flusso di calore proveniente dall’alto, come in un attico in estate (Fig. E.2.1./25). La riduzione della trasmissione del calore può essere anche del 90% circa se un semplice foglio riflettente viene posto sul solaio di un attico. È comunque importante considerare che quando a questo sistema viene accoppiato uno strato di isolante termico, in inverno, quando il flusso di calore è nella direzione inversa, vi è il rischio di condensa.
L’impianto urbano estremamente compatto a volte presente nei climi caldi e secchi può aiutare a mantenere le temperature più fresche dentro e intorno agli edifici. Gli edifici progettati secondo una configurazione compatta hanno superfici esposte ridotte e questo, conseguentemente, aiuta a ridurre la trasmissione. Gli impianti urbani densi consentono agli edifici di beneficiare anche delle ombre reciproche.
Quando l’elettricità è usata per l’illuminazione, non tutta l’energia è realmente trasformata in luce. Una parte di essa (la proporzione dipende dall’efficienza dell’apparecchio illuminante) viene convertita in calore e dissipata nella stanza. È opportuno, pertanto, ridurre questi guadagni applicando adeguate strategie per l’illuminazione naturale. Questo è particolarmente importante in quegli edifici dove il condizionamento dell’aria potrebbe essere altrimenti necessario. In ogni caso è importante usare apparecchi di illuminazione ad alta efficienza per massimizzare la porzione di energia trasformata in luce. Inoltre, l’illuminazione artificiale può essere localizzata e controllata localmente, quando e dove necessario. Infatti, con particolari soluzioni impiantistiche, l’intensità dell’illuminazione artificiale può anche essere variata automaticamente in funzione della disponibilità di luce naturale. La scelta e il posizionamento delle luci dipenderà dal tipo di spazio da illuminare e dalle attività previste. In una abitazione, per esempio, la sostituzione delle convenzionali lampadine a incandescenza con elementi fluorescenti può fornire notevoli risparmi energetici e riduzione dei guadagni. La durata degli elementi fluorescenti è generalmente otto volte quella delle lampadine incandescenti. Negli edifici commerciali e industriali esiste un’ampia scelta di opzioni per quanto concerne l’illuminazione efficiente dal punto di vista energetico, dalle lampade fluorescenti ad alta frequenza alle lampade con gas ad alta e bassa pressione. Risparmi energetici significativi si possono ottenere tramite una scelta corretta dei sistemi di illuminazione artificiale e il controllo automatico dell’illuminazione può incrementare ulterioremente tali risparmi.
GUADAGNI DOVUTI ALL’INFILTRAZIONE D’ARIA
APPARECCHI ED EQUIPAGGIAMENTI ELETTRICI
Quando le escursioni di temperatura sono significative (come, per esempio, nei climi caldi e secchi), le infiltrazioni d’aria dovrebbero, se possibile, essere evitate durante il giorno e gli edifici dovrebbero essere ventilati durante la notte così da liberare le masse murarie dal calore residuo. Inoltre, bisognerebbe prendere alcuni accorgimenti, creando una zona fredda intorno agli edifici per ridurre la temperatura delle infiltrazioni d’aria e, se necessario, aumentare il contatto con il terreno. (Fig. E.2.1./24)
Tutte le apparecchiature elettriche, oltre a quelle relative all’illuminazione, cedono calore quando sono in uso. Per minimizzare i guadagni interni di questo tipo, gli apparecchi domestici quali frigoriferi, lavatrici o altro (computers, fotocopiatrici e così via) dovrebbero essere selezionati, scegliendo quelli efficienti dal punto di vista energetico, che in uso cedono la minor quantità di calore possibile. Buoni apparecchi energeticamente efficienti potrebbero consentire di ridurre le spese (bollette) e i guadagni della metà.
FIG. E.2.1./25
GLI OCCUPANTI
IL SITO
FUNZIONAMENTO DIURNO
FUNZIONAMENTO NOTTURNO
Camera d'aria
Foglio di alluminio
Un tetto isolato con una barriera riflettente all’irraggiamento
E 40
ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE
Chiunque, in relazione al proprio metabolismo e livello di attività, cede all’ambiente una quantità di calore. Per questo motivo, quando molte persone sono insieme in una stanza, i guadagni di calore dovuti agli occupanti possono essere talvolta eccessivi. Per minimizzare questi guadagni, è importante considerare al momento del progetto il possibile livello di occupazione di ogni stanza e il ventaglio delle possibili attività, assicurando, per esempio, una ventilazione adeguata nelle stanze densamente occupate. Inoltre, nei periodi caldi può essere di aiuto organizzare gli spazi esterni adiacenti alle stanze molto occupate cosicché l’eccedenza di persone possa spostarsi lì quando i guadagni interni negli edifici diventano troppo alti. Bisogna provvedere a ombreggiare e a fornire di vegetazione tali spazi per renderli freschi e attraenti.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
E.2. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
VENTILAZIONE Anche quando si è provveduto a ombreggiare un edificio, per ridurre i guadagni di riscaldamento e minimizzare il flusso del calore esterno verso l’interno, le temperature interne nei climi caldi durante l’estate possono spesso essere più alte di quelle esterne. La ventilazione, usando una corrente d’aria di raffrescamento guidata naturalmente attraverso l’edificio sfruttando cambiamenti di direzione del vento o di pressione, può aiutare a risolvere questo problema.
I principi generali della circolazione dell’aria, sfruttando i gradienti di temperatura, sono già stati descritti in precedenza (vedi il paragrafo sulla termocircolazione nella sezione “criteri di progettazine per il riscaldamento dell’edificio”). In sintesi, quando due masse d’aria hanno temperature diverse, sono differenti anche le loro densità e questo genera movimenti dalle zone con aria più densa (più fredda) verso quelle con aria meno densa (più calda). In situazioni dove l’aria interna di un edificio è più calda rispetto a quella dell’ambiente circostante ed è richiesto il raffrescamento, l’effetto del gradiente della temperatura può essere usato per far defluire l’aria calda dall’edificio. Un modo per far ciò è provocare l’effetto camino fornendo aperture alla sommità e alla base dell’edificio. L’aria calda salirà naturalmente e uscirà dall’alto mentre l’aria fredda entrerà attraverso le aperture alla base. La ventilazione più efficace si ottiene quando le aperture sono posizionate verticalmente (Fig. E.2.1./26).
È possibile incrementare la dispersione di calore di un edificio usando l’effetto della pressione del vento. Quando il vento investe un edificio si genera un’alta pressione sul lato esposto e una bassa pressione su quello opposto, che diventa la facciata riparata. Generalmente, la velocità e la direzione dei venti locali sono variabili. In un determinato luogo comunque, un edificio, spesso, può essere posizionato in relazione agli edifici circostanti, alla presenza di vegetazione e ad altri ostacoli cosicché il vento può essere orientato in una direzione costante e nota secondo un regime ragionevolmente stabile. Le condizioni per la ventilazione sono migliori quando il vento investe l’edificio secondo un’angolazione superiore ai 45°. Il movimento dell’aria in un luogo va dalle zone a alta pressione verso quelle a bassa pressione, attraverso le aperture dell’involucro di un edificio. La dimensione e la posizione delle aperture determina la velocità e la dire-
zione della corrente d’aria nell’edificio. La velocità dell’aria è maggiore quando le aperture dalle quali l’aria lascia l’edifico sono più grandi di quelle attraverso le quali essa entra. In ogni caso le aperture di entrata devono avere dimensioni adeguate. La migliore distribuzione dell’aria fresca nell’edificio si raggiunge quando le aperture sono diagonalmente opposte e il flusso d’aria non è eccessivamente ostacolato dalle partizioni, dagli arredi, ecc. Bisognerebbe fornire la massima ventilazione durante il giorno negli ambienti occupati nelle zone alte dell’edificio. Inoltre, ci dovrebbe sempre essere un buon flusso di aria fresca lungo gli elementi più massicci dell’edificio così da dissipare il maggior calore possibile da questi incamerato. Nel progetto dell’edificio possono essere previsti deflettori per il vento esterno per alterare la pressione sulle aperture cosicché talune zone possano essere preferibilmente ventilate da flussi d’aria specificatamente indotti. Il corretto posizionamento dei deflettori richiede un’analisi preventiva dei venti locali. (Fig. E.2.1./30) L’effetto Venturi può anche essere usato per provocare la circolazione dell’aria in una particolare direzione. L’aria viene spinta attraverso una parte ristretta dell’edificio. In questa situazione, la sua velocità aumenta e la pressione diminuisce di conseguenza. La riduzione di pressione crea un flusso d’aria che può essere utilizzato per dirigere l’aria calda fuori dall’edificio causando un effetto di ventilazione. Quando non è possibile collocare le aperture in posizioni appropriate per una buona ventilazione, il vento può essere diretto intorno all’edificio secondo un orientamento conveniente mediante schermature, pareti, barriere e piantumazioni.
FIG. E.2.1./26
FIG. E.2.1./28
FIG. E.2.1./30
EFFETTO DEL GRADIENTE DELLA TEMPERATURA
L’effetto camino può anche essere utilizzato per evacuare il calore non desiderato da un edificio attraverso una serra o un atrio. Il movimento dell’aria in una serra può essere attivato tramite l’immissione dell’aria dell’edificio nella serra. La stessa aria poi può essere dissipata verso l’esterno (Fig. E.2.1./28). Lo stesso effetto può essere sfruttato per creare una ventilazione incrociata. In questo caso, l’aria entra nell’edificio da cavità create negli spazi esterni sul lato in ombra, muove attraverso l’edificio in direzione del lato soleggiato e sale in quanto riscaldata dal sole. (Fig. E.2.1./27) EFFETTO DELLA PRESSIONE DEL VENTO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA
FIG. E.2.1./29 FIG. E.2.1./31
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
FIG. E.2.1./27 E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
ICO . LIMAT E.2.1 CCIO BIOC IONE Z O A APPR ROGETT P A ALLA ETTONIC IT ARCH
E 41
E.2. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA ➦ CRITERI DI PROGETTAZIONE PER IL RAFFRESCAMENTO DELL’EDIFICIO RAFFRESCAMENTO NATURALE L’ultima operazione in una strategia di raffrescamento è quella di fornire fresco tramite mezzi naturali. Le velocità dell’aria interna possono essere incrementate per massimizzare il raffrescamento previsto. L’aria adiacente l’edificio può essere raffreddata tramite evaporazione. La temperatura dell’aria di ventilazione può essere ridotta con il raffrescamento dal terreno. L’edificio può essere raffreddato dalla cessione del calore radiante al cielo durante la notte e dalla ventilazione trasversale. Le percezioni di comfort degli occupanti dell’edificio sono influenzate da una quantità di parametri. Alcuni di questi quali la temperatura dell’aria, la temperatura media radiante, l’umidità relativa e la velocità dell’aria sono relazionati all’ambiente. Altri sono relazionati agli occupanti e comprendono il livello di attività e l’abbigliamento. Gli stessi livelli di comfort possono essere raggiunti da diverse combinazioni di tali parametri. Un’alterazione di uno o più di questi può, pertanto, portare a un aumento del livello di raffrescamento richiesto dagli occupanti. In certe circostanze, è possibile cambiare una delle variabili in modo tale che il comfort venga incrementato senza danneggiare il bilancio energetico della stanza. Un innalzamento ragionevole della velocità dell’aria nella stanza, per esempio, può migliorare il comfort purché la temperatura dell’aria sia più bassa di quella della pelle. Questo perché il flusso d’aria causa perdite di calore per convezione che aumentano con la velocità. Il raffrescamento percepito può anche essere indotto con l’incremento del livello di evaporazione sulla superficie della pelle, creando un movimento d’aria per rompere lo stato di saturazione che circonda il corpo. Questi effetti possono essere prodotti con la ventilazione naturale. Se questa risulta insufficiente si ricorrerà a ventilatori meccanici. RAFFRESCAMENTO PER EVAPORAZIONE Per cambiare il suo stato da liquido a vapore, l’acqua richiede una certa quantità di calore nota come calore latente di evaporazione. Quando questo calore è fornito da aria calda si ha una riduzione della temperatura dell’aria, accompagnata, ovviamente, da un innalzamento di umidità. L’effetto dl raffrescamento da evaporazione può essere massimizzato aumentando l’area di contatto aria/acqua e i relativi movimenti dell’aria e dell’acqua. L’effetto può essere utilizzato in modo positivo prevedendo piscine, fontane e getti d’acqua, ecc., negli spazi esterni intorno all’edificio per raffreddare l’aria di ventilazione prima che essa entri all’interno. Il raffrescamento da evaporazione non può essere usato nei climi umidi dove l’aria è già satura o vicina alla saturazione. RAFFRESCAMENTO DAL TERRENO L’utilizzo del terreno per il raffrescamento dell’edificio si basa sul fatto che la temperatura del terreno, a certe profondità, è pari alla temperatura media annuale dell’aria esterna e quindi risulta inferiore a questa nel periodo estivo. Lo scambio di calore può effettuarsi in due modi principali. L’edificio può essere progettato in modo da avere una significativa quantità di superficie a diretto contatto con il terreno; oppure introducendo nell’edificio aria che si è raffrescata circolando in condotti sotterranei. Un sistema tipico di questo tipo, è costituito da uno o più tubi posizionati orizzontalmente nel terreno. L’aria ambiente è fatta circolare nei condotti da ventole elettriche. (Fig. E.2.1./32) Il sistema di circolazione dell’aria può essere a circuito aperto o a circuito chiuso. Nel sistema a circuito chiuso sia l’ingresso che l’uscita dell’aria sono collocati all’interno dell’edificio. Nel sistema a circuito aperto l’aria immessa proviene dall’esterno. Il livello di raffrescamento dipende dalla temperatura dell’aria d’ingresso, la temperatura del terreno intorno ai condotti, la conducibilità termica dei condotti, la diffusività termica del terreno, la velocità dell’aria e la dimensione dei condotti. • La lunghezza dei condotti dovrebbe essere almeno di 10 m; • il diametro tra i 20 e i 30 cm;
E 42
• la profondità tra 1,5 e 3 m; • la velocità dell’aria tra i 4 e gli 8 m/s.; • la temperatura del terreno alla profondità dei condotti dovrebbe essere di circa 5-6°C inferiore a quella dell’aria; • i condotti possono essere realizzati con materiali vari (PVC, acciaio inox, cemento ecc.) ma devono essere completamente impermeabili alla pioggia e alla terra.
FIG. E.2.1./32
Nello scambio termico tra aria e terreno, si può creare della condensa all’interno del condotto. Pertanto si deve prevedere un drenaggio adeguato e una sufficiente velocità dell’aria per ridurre il rischio di condensa. CESSIONE DEL CALORE RADIANTE VERSO IL CIELO FIG. E.2.1./33 Il trasferimento del calore per irraggiamento si verifica sempre tra due masse a diversa temperatura. Pertanto, siccome i cieli tersi notturni sono (anche nelle stagioni calde) inevitabilmente freddi, di notte una consistente quantità di calore, accumulata in un bacino d’acqua o in un edificio durante il giorno, viene irradiata verso il cielo. Verso la fine della notte, l’acqua o gli edifici risultano sensibilmente raffreddati. L’effetto è meno evidente nei climi umidi perché l’aria umida è meno trasparente dell’aria secca alla radiazione infrarossa. Il fenomeno del raffreddamento per irraggiamento è ben applicato con l’uso dei bacini d’acqua sulle coperture. In detti sistemi, il calore accumulato dall’edificio durante il giorno viene catturato e conservato dall’acqua. Di notte, il soleggiamento viene meno e il calore incamerato viene ceduto per irraggiamento al cielo. Qualsiasi elemento dell’edificio che “vede” il cielo scambia calore con esso. Per ottenere un apprezzabile flusso di calore tra due corpi la differenza di temperatura deve essere significativa, almeno 7°C. Il raffrescamento per irraggiamento può essere ostacolato dalla convezione dell’aria ambiente sulla superficie irradiante. Questo effetto può ridurre in maniera significativa l’efficacia di questo sistema e può, quindi, richiedere l’uso di frangivento trasparenti alle radiazioni a onda lunga (infrarosse). Polvere o formazione di condensa su questi schermi possono anch’essi ridurre il processo di raffrescamento per irraggiamento.
FIG. E.2.1./34 fino a 2H
VENTILAZIONE TRASVERSALE La perdita di calore ceduta per convezione dall’involucro dell’edificio può essere accelerata dal vento. Allo stesso modo, solai e pavimenti negli edifici leggeri possono essere mantenuti freschi con la ventilazione trasversale attraverso i basamenti e i piani d’attico. La procedura è particolarmente raccomandata per i climi caldi e umidi. Nei climi caldi e secchi dove le temperature notturne sono basse, la ventilazione trasversale notturna è un metodo appropriato di raffrescamento. Esso è un complemento necessario all’accumulo di calore. La ventilazione dell’aria durante la notte deve circolare preferibilmente attraverso le masse ad alta inerzia termica, per rimuovere il calore accumulato durante il giorno.
Profondità utile per una ventilazione monoaffaccio con una sola finestra.
fino a 3H
INFILTRAZIONI D’ARIA Occupandosi dell’ubicazione di un edificio e della sistemazione degli spazi al suo intorno, è possibile usare gli effetti del raffrescamento naturale per ridurre la temperatura dell’aria intorno all’edificio. La topografia e la vegetazione dell’area, per esempio, possono catturare l’aria fredda che scende nelle valli durante la notte e entra nelle depressioni del suolo. Anche la presenza dell’acqua può produrre un effetto di raffrescamento. Un’attenta organizzazione delle stanze secondo la loro funzione e le richieste di comfort termico, può aiutare a mantenere il più fresco possibile gli spazi da vivere. Un modo per raggiungere questo scopo è quello di esporre le zone da vivere a Nord e usare spazi tampone ben ventilati sul lato Sud. Un approccio alternativo è quello di creare un nucleo fresco circondato da spazi ben ventilati. Questo si ha nelle case a corte spesso presenti nei climi caldi.
Profondità utile per una ventilazione monoaffaccio con un’apertura doppia con h > = 0.5H.
fino a 3H
Profondità utile in caso di ventilazione trasversale.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
E.2. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. E.2.1./35
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF La posizione dell’apertura di entrata influisce sensibilmente sull’andamento del flusso d’aria. L’apertura di entrata posta a mezza altezza provoca un andamento del flusso d’aria ideale per il raffrescamento dell’ambiente.
Con l’apertura di entrata posta in basso, il flusso tenderà a lambire il pavimento.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
Quando l’apertura di entrata è posta in alto, il flusso d’aria tende a lambire il soffitto riducendo l’effetto rinfrescante.
La posizione dell’apertura di uscita influisce minimamente sull’andamento del flusso d’aria, come evidenziato dagli ultimi tre schemi.
DETERMINAZIONE DEL BENESSERE IN RELAZIONE ALLE STRATEGIE Dl PROGETTAZIONE BIOCLIMATICA I parametri che concorrono alla definizione di confortevolezza, sono legati naturalmente alle combinazioni dettate dal tipo di individuo, dal tipo di attività, stato di salute, età, abitudini ambientali e modi di vita: ciò non toglie che sia ragionevolmente possibile stabilire dei limiti alla variabilità di temperatura, umidità e ventilazione entro cui può essere mantenuto uno stato di confortevolezza igrotermica accettabile, e oltre cui è lecito supporre uno stato di disagio fisiologico. La carta bioclimatica di Givoni La zona di benessere viene rappresentata nel diagramma psicrometrico, in funzione della temperatura e dell’umidità, come un parallelogramma compreso fra i 18 e i 27°C di temperatura e il 20 e l’80% di umidità relativa, escludendo la parte di esso più calda e umida. (Fig. E.2.1./37, zona E) La zona di benessere indicata da Givoni è in buon accordo con quanto può desumersi dall’applicazione di un bilancio termico al sistema uomo-ambiente (equazioni di Fanger) qualora si tenga conto della variabilità dell’abbigliamento al variare della stagione (circa 1,5 clo nella stagione invernale e circa 0,5 clo nella stagione estiva). Se le condizioni ambientali della località ricadono all’interno e nell’immediato intorno (data l’approssimazione) della zona di benessere, la condizione di benessere è data, teoricamente, senza il bisogno di un involucro edilizio come termoregolatore. Nelle condizioni ambientali che nel diagramma si collocano al di fuori di tale zona occorre – per ricondursi a uno stato di benessere – operare con opportune strategie di controllo a seconda delle esigenze o di riscaldamento (a sinistra e in basso della zona di benessere) o di raffrescamento (a destra in basso o in alto della zona di benessere). I dati di temperatura e umidità associate in andamento orario (giorno medio mensile), vengono riportati, per i mesi più significativi, sul diagramma psicrometrico come delle figure chiuse irregolari. Ognuna di queste figure, che rappresenta graficamente la condizione climatica giornaliera di riferimento per quel mese e per quelle località, viene poi compresa nell’insieme di figure che rappresentano le varie strategie di controllo ambientale utili all’ottenimento del benessere, per quel dato intorno.
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G.ANISTICA
CRITERI DI PROGETTAZIONE PER ALCUNE LOCALITÀ ITALIANE I primi a proporre una procedura sistematica di progettazione degli edifici per il controllo delle condizioni climatiche e il mantenimento dei requisiti di confortevolezza, furono i fratelli Olgyay. Il metodo è basato su una “carta bioclimatica” che riporta le due zone di confortevolezza igrotermica, estiva e invernale, separate, in relazione alla temperatura e all’umidità relativa dell’aria ambiente. La temperatura e l’umidità rappresentano le coordinate di un piano cartesiano, in cui entrano in gioco altre variabili come la temperatura media radiante, la velocità del vento, la quantità di radiazione solare, il fenomeno del raffrescamento mediante evaporazione, il vestiario, come misure correttive (quantificate) necessarie a ricondurre in zona di confortevolezza ogni situazione al di fuori di essa. Il metodo ha il limite di considerare esclusivamente le variabili ambientali esterne e di non tener conto delle possibilità che ha l’edificio, con tutte le sue caratteristiche morfologiche e tecnologiche, di operare come strumento di controllo dei requisiti di confortevolezza. Questa lacuna è stata colmata da un metodo molto simile proposto nel 1960 da B. Givoni basato su una carta psicrometrica che è in grado di fornire al progettista una rappresentazione accurata degli effetti potenziali del processo di progettazione architettonica nel controllo e nella regolazione del benessere igrotermico negli edifici, date le condizioni climatiche esterne, in combinazione con altre strategie ambientali di controllo (basate sugli effetti naturali del sole, del vento, dell’irraggiamento notturno).
F. TERIALI,
URB Le strategie di controllo ambientale mediante la progettazione sono quelle riportate nella leggenda al diagramma e sono riassumibili nelle due fondamentali esigenze: a) strategie di progettazione bioclimatica per il riscaldamento, che comprendono il guadagno solare passivo diretto o indiretto, quello solare attivo e l’umidificazione dell’aria riscaldata; b) strategie di progettazione bioclimatica per il raffrescamento che sfruttano come elementi di controllo la massa dell’edificio, la ventilazione naturale, il raffrescamento per evaporazione, la deumidificazione (e le necessarie combinazioni). La definizione delle zone del diagramma psicrometrico entro le quali le singole strategie sono applicabili, è stata fatta da Givoni sulla scorta di considerazioni quantitative e qualitative sui fenomeni che sono alla base delle strategie stesse. Così per quanto riguarda i limiti di applicabilità del riscaldamento solare passivo di edifici dotati di elevata capacità termica (zone A, B e C sulla carta bioclimatica) le temperature limite di 6,0°C, 7,8°C e 9,5°C sono quello che, per una giornata di cielo sereno alle latitudini indicate in leggenda del diagramma e con le insolazioni che ne conseguono (rispettivamente 32° Lat. con 5400 Wh/m2 g, 40° Lat. con 4700 Wh/m2 g, 48° Lat. con 4100 Wh/m2 g), consentono di mantenere la temperatura interna confortevole senza alcuna sorgente ausiliaria di energia in un edificio di circa 300 m2 con circa 60 m2 di superficie vetrata esposta a Sud; i limiti indicati hanno evidentemente valore orientativo e possono variare con le caratteristiche dell’edificio di riferimento (principalmente capacità termica, nonché entità, tipo e disposizione delle superfici vetrate). Per quanto riguarda invece il raffrescamento passivo, se i valori giornalieri estremi cadono nelle zone H, I, M, L, O della carta bioclimatica e le medie giornaliere cadono nella zona di benessere, si possono ottenere condizioni confortevoli all’interno di un edificio di elevata capacità termica, eventualmente facendo ricorso a dispositivi di ventilazione notturna (per la zona contrassegnata O). Quando i valori giornalieri di umidità e temperatura cadono entro la zona contrassegnata con F (clima umido tropicale) sulla carta bioclimatica, è possibile mantenere all’interno di un edificio condizioni confortevoli semplicemente sfruttando le brezze dominanti per accentuare il movimento dell’aria alI’interno. A parità di temperatura delI’aria e temperatura media radiante è necessaria una maggior velocità dell’aria, al crescere dell’umidità relativa, per mantenere le condizioni di benessere (a parità di abbigliamento e attività metabolica). Le zone contrassegnate con D, G, H e L sulla carta bioclimatica sono luoghi di punti corrispondenti a condizioni termoigrometriche dalle quali l’aria può essere portata alle condizioni di confortevolezza mediante umidificazione adiabatica: condizioni climatiche di questo tipo (climi caldi e secchi) si prestano ad accorgimenti quali il raffrescamento evaporativo. La zona contrassegnata con N sulla carta bioclimatica richiede evidentemente l’utilizzazione della refrigerazione “tradizionale” (mediante macchine a compressione o ad assorbimento) per conseguire condizioni di benessere all’interno degli edifici. Per il successo dei vari accorgimenti presi in esame si fa ovviamente l’ipotesi che, in tutte le considerazioni relative al raffrescamento degli ambienti (a esclusione dell’ultima, relativa alla zona N) i carichi termici dovuti alla radiazione solare attraverso le superfici siano ridotti al minimo mediante opportuni sistemi di schermatura od ombreggiamento. Nel seguito si presentano, a titolo di esempio di applicazione del metodo di Givoni, i casi di: Bolzano, Milano, Roma, Messina. Per ogni località si definiscono, sulla base dei dati climatici, le condizioni di temperatura (vedi tabella) e di radiazione solare, nelle quattro stagioni, sulle pareti Sud, Est, Ovest, Nord e sulla copertura (Fig. E.2.1./36).
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
ICO . LIMAT E.2.1 CCIO BIOC IONE Z O A APPR ROGETT P A ALLA ETTONIC IT ARCH
E 43
E.2. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA ➦ CRITERI DI PROGETTAZIONE PER ALCUNE LOCALITÀ ITALIANE BOLZANO 46°28’ LATITUDINE NORD Definiamo condizione climatica di base la situazione alla quale l’edificio è esposto più frequentemente e che ne determina le esigenze prevalenti per il raggiungimento del comfort. MF GEN
X
FEB
X
MAR
X
F
COM
CA
MCA
MF: (molto freddo) teperature minime vicine a 0°C. F: (freddo, fresco) temperature medie nell’intorno di 10°C.
APR
COM: (confortevole) temperature massime comprese fra i 19 e i 27°C, con tassi di umidità relativa compresi fra il 30 e il 70-80%.
X
MAG
X
GIU
X
LUG
X
AGO
X
SET
X
OTT
CA: (caldo) temperature massime intorno ai 27-32°C. MCA: (molto caldo) temperature massime oltre i 32°C.
X
NOV
X
DIC
X
TOT
5
X100/12
1.6
RADIAZIONE L’indice di soleggiamento medio, relativo nella stagione fredda, è dei migliori (40%) e di pochi punti percentuali inferiore alla media nell’arco dell’anno che è pari al 46%. Ciò rende disponibile nella stagione fredda gran parte della radiazione solare diretta (2350 Wh/m2 g media su parete a Sud) per una progettazione di sistemi passivi per la captazione e l’utilizzo degli apporti termici gratuiti che ne derivano. Sui quattro lati esposti alla radiazione solare diretta in inverno insiste un flusso medio di radiazione di 5300 Wh/m2 g di cui la metà solo a Sud, in primavera di 8200 Wh/m2 g di cui un quinto a Sud, mentre in estate su Est e Ovest cade un flusso di radiazione diretta, difficilmente schermabile, di un sesto inferiore a quella a Sud. Tenuto conto delle forti escursioni termiche giornaliere che caratterizzano la stagione calda gli effetti di aumento di temperatura che la radiazione non schermata produce durante il giorno sull’involucro edilizio, possono essere differiti alla notte in cui le temperature si abbassano a 10-15°C e dispersi per irraggiamento dalla massa in cui sono stati accumulati verso la volta celeste nelle notti serene. Questa possibilità anche se è legata a occasionali concomitanze di temperatura e radiazione è in ogni modo da usare con molta accortezza perché dati gli alti tassi di umidità relativa della stagione fredda e della mezza stagione, può aumentare il rischio del fenomeno della condensa sulle superfici più emissive e nella massa. FENOMENI METEREOLOGICI
2
5
6.7
41.6
58.3 % riscaldam.
41.7 % comfort
% raffresc.
La condizione climatica definita sulla base delle temperature, caratterizza Bolzano come località a due stagioni: una molto fredda che si protrae a lungo (sette mesi) interessando anche le mezze stagioni, e una definibile “confortevole “ dato che non richiede rilevanti interventi per il mantenimento dello stato di benessere ambientale. Per l’assenza di una stagione calda, la maggior attenzione progettuale deve essere posta al contenimento delle dispersioni di calore verso l’esterno, da perseguire con un forte isolamento termico con una buona massa con sufficiente inerzia termica all’interno dello strato isolante, e un attento dimensionamento delle superfici vetrate per gli apporti di calore dovuti alla captazione della radiazione solare. TEMPERATURA Gli andamenti dei valori di temperature minime caratterizzano fortemente Bolzano come una località molto fredda: nei mesi di novembre, dicembre, gennaio, febbraio, l’incidenza media della frequenza di temperature inferiori a 0°C è del 42%, con punte minime a gennaio e a dicembre del 60 e del 50%. In questo periodo, la frequenza della temperatura inferiore a 12°C è circa pari alla totalità dei valori registrati e le temperature minime assolute vanno dai –9°C di marzo ai –17°C di gennaio. Le escursioni giornaliere che si registrano mediamente nella stagione fredda sono attorno agli 11°C con punte in aprile di 14°C, assumono quindi una notevole importanza per gli effetti di dispersione del calore per conduzione e reirraggiamento. A partire da maggio e per tutta la stagione calda, le temperature non offrono particolari problemi anche se le escursioni giornaliere aumentano nelle mezze stagioni. Anche se a luglio è possibile raggiungere temperature massime di 37°C, Ia frequenza delle temperature superiori ai 26°C in luglio e agosto è relativamente bassa, è mediamente pari solo al 20% dei valori registrati.
La bassa incidenza della nebbia, durante la stagione fredda concorre a mantenere buono il valore dell’indice di soleggiamento in questi mesi critici per le temperature e quindi a favorire l’utilizzo della radiazione solare per il codizionamento. La pioggia raggiunge valori d’incidenza notevoli sopratutto durante la stagione calda e nelle mezze stagioni, che essendo ancora abbastanza fredde, risentono negativamente sia del dilavamento degli edifici, che aumenta le dispersioni termiche, che della copertura del cielo, che limita gli apporti della radiazione diretta. BILANCIO DEI VANTAGGI E DEGLI SVANTAGGI CLIMATICI La situazione è abbastanza semplice perchè la temperatura, che è il fattore che influenza di più le decisioni progettuali nella stagione fredda, richiede massicci interventi di risparmio energetico anche se per contro nella stagine calda non pone esigenze di raffrescamento peraltro difficilmente controllabili attraverso il vento poichè la sua capacità ventilante è relegata a un’unica direzione. Le forti escursioni termiche giocano un ruolo fondamentale in questo senso, perchè permettono attraverso il reirraggiamento, l’unica possibile strategia naturale per il raffrescamento notturno nella stagione calda. L’umidità è invece un fattore doppiamente sfavorevole perché d’estate è troppo alta e può, con le temperature, creare disagi data la scarsa ventilazione naturale e d’inverno è troppo bassa costringendo a umidificare l’aria riscaldata prima di immetterla negli ambienti. FIG. E.2.1./36 7.2 1.7
1.7
3.1
3.1
0.6
1.2
3.0
1.2
2.6
UMIDITÀ RELATIVA Nella stagione fredda si hanno valori di umidità relativa massima in corrispondenza dei valori minimi di temperatura (notturni) inferiori a quelli della stagione calda: ciò impone oltre che di riscaldare anche di umidificare in maniera rilevante l’aria esterna, tanto più che durante il giorno l’umidità specifica rimane costante. Nelle mezze stagioni la tendenza si inverte: i valori notturni e diurni di umidità relativa tendono a salire così come le escursioni di temperatura, cosicché bastano 1-2°C di differenza di temperatura fra superfici e aria ambiente per generare il fenomeno della condensa. In estate alle buone escursioni termiche si accompagna un’irrilevante escursione di umidità specifica fra la notte e il giorno, ma il giorno medio estivo resta in ogni caso entro limiti di media confortevolezza ambientale. Le condizioni eccezionali di picco delle temperature, possono essere controllate solo attraverso la capacità di accumulo diurno degli effetti termici da parte di cospicue masse da raffreddare per irraggiamento durante la notte. VENTO Il vento che mediamente rimane durante la stagione fredda su valori di velocità trascurabili, impone controlli nelle direzioni Nord e Nord-Est sia per le frequenze raggiunte (> 30%) sia per i valori di velocità (> 4 m/s). Durante la stagione calda, i valori medi di velocità sono abbastanza bassi, ma da Sud il vento ha un’efficace azione raffrescante sia per frequenza (> 60%) sia per i valori di velocità (> 3 m/s).
E 44
PRIMAVERA
SU
SU
AUTUNNO
D
D
5.2 2.3
1.5
3.0 ESTATE
3.0
0.7
1.5
3.3
1.5
3.0
SU
D
FLUSSO DI RADIAZIONE GLOBALE PER STAGIONE: primavera: aprile, maggio, giugno estate: luglio, agosto, settembre autunno: ottobre, novembre, dicembre inverno: gennaio, febbraio, marzo
INVERNO
SU
D
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
E.2. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. E.2.1./37
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
INDICAZIONI PROGETTUALI
sia attivi sia passivi che usano la radiazione solare può portare notevoli economie nei costi del condizionamento invernale.
La conservazione del calore è la strategia ambientale più efficace Prevedere edifici da 2 a 4-5 piani, in tipologie edilizie addossate utilizzando al massimo lo spazio disponibile. Proteggersi dalla radiazione estiva Prevedere uno strato continuo di materiale isolante per evitare ponti termici. Prevedere un opportuno isolamento dell’ultimo solaio e del sottotetto e del primo solaio qualora il piano terra sia garage o su porticato. Se si usano serramenti metallici, in acciaio o alluminio, prevedere quelli a taglio termico per migliorare le prestazioni termiche anche in relazione a quelle delle pareti e per evitare la formazione di condensa sull’infisso. Usare sistemi a guadagno diretto; accumulare il calore della radiazione nella massa dell’edificio o in materiali opportuni ad alta capacità termica e ridistribuirlo nei locali durante la notte attraverso sistemi meccanici di aria forzata. L’integrazione di sistemi COEFFICIENTE DI FORMA: S/V = SUPERFICIE ESTERNA VOLUME 2.50
Controllare il tasso di umidità Evitare che la radiazione solare diretta cada su vasi di piante o vegetazione all’interno dei locali per ridurre l’evaporazione nei mesi caldi: fare il contrario nei mesi freddi in cui l’aria esterna fredda una volta riscaldata avrebbe un tasso di umidità relativa insufficiente al benessere termoigrometrico. Lasciare entrare la radiazione solare quando è freddo Orientare le superfici vetrate in modo da massimizzare l’esposizione verso il Sud e il basso sole invernale. La dimensione dell’apertura viene definita in rapporto al guadagno termico solare diretto che si vuol ottenere. Nei climi freddi (temperature medie invernali intorno ai –5°C) è consigliabile una finestratura a Sud da 0.19 a 0.38 m2 per ogni m2 di superficie di pavimento. Nei climi temperati (temperature medi e invernali intorno ai +5°C) il rapporto è invece da 0.11:1 a 0.25:1.
6
2 2.50
3
4.13 2.75
s/v
1
3.25
6
5 7 4 5
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
1
3.25 3.00 ICO . LIMAT E.2.1 CCIO BIOC IONE Z O A APPR ROGETT P A ALLA ETTONIC IT ARCH
E 45
E.2. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA ➦ CRITERI DI PROGETTAZIONE PER ALCUNE LOCALITÀ ITALIANE MILANO 45°26’ LATITUDINE NORD MF GEN
X
FEB
X
F
COM
CA
MCA
MF: (molto freddo) teperature minime vicine a 0°C. F: (freddo, fresco) temperature medie nell’intorno di 10°C.
MAR
X
APR
X
MAG
X
GIU
X
LUG
COM: (confortevole) temperature massime comprese fra i 19 e i 27°C, con tassi di umidità relativa compresi fra il 30 e il 70-80%.
X
AGO
X
SET
X
OTT
CA: (caldo) temperature massime intorno ai 27-32°C. MCA: (molto caldo) temperature massime oltre i 32°C.
X
NOV
X
DIC
X
TOT
3
X100/12
25
4
1
33.3
33.3
8.3
% riscaldam.
Nei mesi freddi invernali, sia per le condizioni rigide di temperatura ma soprattutto per il bassissimo indice di soleggiamento relativo che caratterizza il periodo (17- 33% delle ore teoriche di sole), il contributo termico dato dalla captazione della radiazione solare è da ritenersi trascurabile. Durante la stagione calda invece l’intensità della radiazione diretta che investe l’edificio è in grado di provocare, se non regolata, effetti indesiderati di aumento di temperatura. Per evitare l’inconveniente, dato il bassissimo contributo termico che le finestre a Est e a Ovest danno in inverno, è bene evitare di prevederne su questi lati, in cui in estate cade un flusso pari (e quindi doppio se sommato sui due lati Est e Ovest) a quello a Sud. Data la probabile forte compattezza che l’edificio dovrà avere, i lati a Est e a Ovest, avranno dimensioni di poco inferiori al lato a Sud, dovendo aumentare la profondità del corpo di fabbrica: diviene quindi più conveniente orientare l’edificio con l’asse maggiore da Nord-Est a Sud-Ovest. FENOMENI METEOROLOGICI
4 58.3
RADIAZIONE
33.3 % comfort
8.3 % raffresc.
Durante la stagione fredda la nebbia che tocca una frequenza di 14-18 giorni nei mesi di novembre, dicembre e gennaio pregiudica seriamente la possibilità di adottare sistemi solari passivi per il riscaldamento che utilizzino la radiazione solare. Durante le mezze stagioni e l’estate, la piovosità rimane su valori di frequenza abbastanza elevati mitigando le giornate più calde e afose. Durante la stagione fredda, la pioggia accompagnata a ventosità, sui lati investiti può richiedere particolari cure nella tenuta alI’acqua e alle infiltrazioni d’aria. BILANCIO DEI VANTAGGI E DEGLI SVANTAGGI CLIMATICI
L’esigenza principale è il riscaldamento durante la stagione fredda, che va da ottobre ad aprile. Per più di metà dell’anno si verificano condizioni di freddo o di molto freddo, con punte minime di gelo. La progettazione dovrà essenzialmente adottare misure rilevanti di risparmio energetico per minimizzare le dispersioni di calore verso l’esterno con tecniche di controllo che operino sull’involucro edilizio (coibentazione, massa e inerzia termica, compattezza volumica, superfici finestrate, ecc.). Per il resto dell’anno vi sono quattro mesi caratterizzati da condizioni di naturale benessere ambientale, e un periodo caldo in luglio e parte di agosto, in cui possono verificarsi condizioni di disagio dovute al surriscaldamento indotto dalla radiazione solare in aggiunta alle alte temperature. Di conseguenza le scelte progettuali dovranno assicurare contemporaneamente la ventilazione interna dei locali, il controllo delle oscillazioni di temperatura più sfavorevoli attraverso la massa delle chiusure esterne, il controllo della radiazione solare estiva sulle superfici vetrate.
Nei mesi della lunga stagione fredda gli svantaggi maggiori sono associabili ai valori rigidi della temperatura. Viene a mancare anche il beneficio degli apporti gratuiti di calore che derivano dalla captazione della radiazione solare, dati i limiti imposti dall’alta frequenza di nuvolosità e nebbia. Nel periodo estivo unita alla forte radiazione crea disagi dovuti al surriscaldamento degli ambienti se non si predispongono tecniche di controllo della radiazione. L’umidità è sempre su valori notturni elevati, e necessita di essere controllata mediante il raffrescamento degli ambienti nel periodo estivo e impone durante la stagione fredda, dato il basso contenuto, l’umidificazione dell’aria una volta riscaldata. Il vento, durante la stagione fredda, diventa abbastanza fastidioso solo in alcune direzioni, mentre durante la stagione calda è appena sufficiente per la ventilazione naturale. FIG. E.2.1./38
TEMPERATURA La frequenza dei valori di temperatura che scendono al di sotto dello zero gradi centigradi è nei tre mesi invernali più freddi contenuta tra il 20 e il 40%, ma quella dei valori inferiori ai 12 gradi centigradi rappresenta la totalità dei dati registrati. Pur registrando ancora ad aprile e ottobre temperature minime assolute inferiori allo zero a favore giocano le minori escursioni termiche giornaliere. Le mezze stagioni sono più calde ma con tassi di umidità relativa più elevati, il che può diventare uno svantaggio notevole perché aumenta il rischio di condensa interstiziale in pareti isolate male (strato isolante interno o intermedio). La stagione estiva è abbastanza confortevole dato che la frequenza delle temperature che superano i 26°C in luglio e agosto oscilla tra il 20 e il 30% dei valori registrati e che si toccano temperature massime superiori ai 34 °C con tassi di umidità relativa del 40%.
5.5 1.5
PRIMAVERA
0.9
0.5
0.9
3.0
3.2
UMIDITÀ RELATIVA Rimane per tutti i mesi dell’anno su valori elevati nelle fasce di temperatura giornaliera minima notturna e scende a valori più bassi solo nella tarda mattinata e nel pomeriggio in conseguenza dell’innalzarsi della temperatura. Diventa uno svantaggio nei mesi freddi in cui occorre umidificare quando, per effetto delle basse temperature esterne, il contenuto di umidità dell’aria riscaldata scende al di sotto del limite di benessere igrotermico (20-25%). In estate, nel mese più caldo che è luglio, si mantiene, date le temperature su valori di comfort diurno (4560%) ma nel mese di settembre, durante la notte e la prima mattinata è su valori di caldo molto umido abbastanza disagevole.
3.2
1.7
SU
1.9 SU
AUTUNNO
D
D
5.4 1.9
1.6
3.1
3.1
0.7
1.2
3.3
1.2
2.2
VENTO È su valori di velocità media abbastanza bassi durante tutto l’anno. Durante la stagione fredda può preoccupare il vento da Nord e Nord-Est dati i valori di frequenza (+40%) e di velocità (+3,5 m/s) registrati: è bene, per la concomitanza con le basse temperature di questo periodo, ridurre sia nel numero, sia nelle dimensioni le superfici vetrate esposte al vento. Durante la stagione calda è appena sufficiente per la ventilazione naturale, in luglio raggiunge da Nord e Sud-Ovest i 2-3 m/s ma scende su valori di quasi calma durante la notte.
E 46
ESTATE
SU
D
FLUSSO DI RADIAZIONE GLOBALE PER STAGIONE: primavera: aprile, maggio, giugno estate: luglio, agosto, settembre autunno: ottobre, novembre, dicembre inverno: gennaio, febbraio, marzo
INVERNO
SU
D
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
E.2. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. E.2.1./39
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
INDICAZIONI PROGETTUALI Proteggersi dalle temperature troppo fredde Occorre minimizzare i flussi termici in uscita dall’edificio sia per conduzione, sia per convezione che per irraggiamento ed evitare le infiltrazioni d’aria fredda. Occorre utilizzare al massimo tutti i flussi d’energia provenienti dall’esterno (radiazione) e dall’interno (apporti gratuiti termici da apparecchiature e persone).
φI
Proteggersi dal vento invernale Sul lato riparato della casa il vento crea una buona pressione, mentre sul lato esposto crea un’alta pressione; la differenza di pressione sottrae aria alla casa
φ IRRAGGIAMENTO
φ CONDUZIONE
φV
RR
AG GI AM OL φR EN TA AD TO SO IA CE LA TIV LE RE O ST E
Proteggersi dalla radiazione estiva Proteggere dalla radiazione incidente nei mesi più caldi sia le superfici opache che quelle trasparenti dell’edificio con schermature orizzontali fisse, o più complesse e mobili. Progettare edifici molto compatti e ben isolati per limitare la termo-dispersione per conduzione e convezione attraverso le superfici esterne. Aumentare l’efficienza termica della chiusura esterna, mantenedo all’interno la massa e all’esterno lo strato isolante, il che assicura oltre una buona resistenza termica anche una buona capacità di accumulo termico (inerzia termica). Se si usano serramenti metallici, in acciaio o φ RADIAZIONE alluminio, prevedere DIFFUSA quelli a taglio termico per migliorare le prestazioni termiche e garantire una continuità con la barriera isolante delle chiusure esterne φ IRRAGGIAφ IRRAGGIAMENTO opache. MENTO
φ CONVENZIONE
creando una depressione all’interno che richiama a sua volta aria esterna dalla parte di su cui soffia il vento, generando tante dispersioni quanti più sono i giunti e le fessure (discontinuità). Prevedere di installare con cura finestre e porte di modo che migliorino le prestazioni nei confronti delle infiltrazioni di aria e tenuta all’acqua. L’edificio va aperto di notte, riducendone la compattezza mediante immissioni nella direzione delle brezze prevalenti per ventilare e raffrescare la massa termica interna. È opportuno che le aperture comunicanti abbiano la stessa dimensione e quelle per l’uscita siano collegate sui lati e sulle zone di bassa pressione, in modo da facilitare l’espulsione dell’aria calda. Proteggere dalla radiazione incidente nei mesi più caldi sia le superfici te ti tei opache che quelle trasparenti dell’edificio con schermature orizzontali fisse, o più complesse e mobili. Usare imposte isolanti anche per trattenere durante la notte invernale il calore guadagnato durante il giorno con la captazione della radiazione solare. ti ≥ tei > te Controllare il tasso di umidità Evitare che la radiazione solare diretta cada su vasi di piante o vegetazione all’interno dei locali per ridurre l’evaporazione nei mesi caldi: fare il contrario nei mesi freddi in cui l’aria esterna fredda una volta riscaldata avrebbe un tasso di umidità relativa insufficiente al benessere termoigrometrico. Evitare i ponti termici strutturali e quelli tra componenti per evitare il rischio di condensa in quei punti di labilità termica e nei giunti.
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
ICO . LIMAT E.2.1 CCIO BIOC IONE Z O A APPR ROGETT P A ALLA ETTONIC IT ARCH
E 47
E.2. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA ➦ CRITERI DI PROGETTAZIONE PER ALCUNE LOCALITÀ ITALIANE ROMA 41° 48’ LATITUDINE NORD MF
F
GEN
X
FEB
X
MAR
X
APR
X
COM
CA
MF: (molto freddo) teperature minime vicine a 0°C. F: (freddo, fresco) temperature medie nell’intorno di 10°C.
MAG
X
GIU
X
COM: (confortevole) temperature massime comprese fra i 19 e i 27°C, con tassi di umidità relativa compresi fra il 30 e il 70-80%.
LUG
X
AGO
X
SET
X
OTT
MCA
CA: (caldo) temperature massime intorno ai 27-32°C. MCA: (molto caldo) temperature massime oltre i 32°C.
X
NOV
X
DIC
X
TOT
6
3
3
X100/12
50
25
25
50 % riscaldam.
25 % comfort
25 % raffresc.
esterne a tenuta d’aria e d’acqua. Durante la stagione estiva soffia prevalentemente da Ovest e Sud-Ovest con velocità superiori ai 4 m/s, e date le alte temperature diurne e notturne, è utile al raffrescamento pomeridiano dei lati dell’edificio interessati dalla radiazione nelle ore precedenti il tramonto che investe tangenzialmente. RADIAZIONE Durante i mesi invernali il flusso di radiazione diretta sui lati soleggiati dell’edificio è su valori utili all’impiego di sistemi solari passivi > 5,5 kWh/m2 g, dato anche che l’indice di soleggiamento relativo oscilla mediamente intorno al 50%. In questi periodi le temperature non sono molto basse e, anche se le escursioni termiche sono abbastanza sensibili, la temperatura media è superiore agli 8°C; I’apporto termico solare, dovrebbe quindi consentire una discreta copertura dei fabbisogni termici per il riscaldamento. Nel corso della stagione calda, le pareti verticali orientate a Est e Ovest, assorbono insieme una quantità di radiazione diretta di un terzo inferiore a quella sul piano orizzontale e pari a quella sulla parete Sud. È evidente che il maggior contributo al surriscaldamento della struttura dell’edificio, è imputabile alle pareti Est-Ovest e alle coperture prossime all’orizzontale, qualora su di esse siano ricavate delle finestrature che sono difficilmente schermabili dalla radiazione data la geometria solare a questa latitudine. Il contributo termico complessivo di queste aperture nella stagione fredda è invece molto basso, poco più della metà della parete verticale a Sud, ragione per cui è bene ridurne il numero o non prevederne affatto ma, se inevitabili per una buona profondità del corpo di fabbrica, orientarle possibilmente a Sud o Sud-Est e Sud-Ovest. Per il controllo della radiazione sulle coperture piane o prossime all’orizzontale viene utile prevedere sottotetti o doppi tetti ventilabili e coperture riflettenti. FENOMENI METEOROLOGICI
La condizione climatica di Roma è caratterizzata, negli andamenti dei valori di temperatura, da una stagione invernale moderatamene fredda, che va dall’ultima decade di novembre fino a tutto marzo e parte di aprile. Inizia poi un periodo di naturale benessere ambientale equivalente nella durata a quello che segue più caldo, che va da fine giugno a tutto settembre e che tocca in luglio e agosto, valori di temperatura prossimi a condizioni di molto caldo. Le scelte progettuali devono orientare l’edificio verso una compattezza variabile stagionalmente in grado di difendersi dalle temperature sia durante l’inverno sia durante l’estate e di aprirsi alle condizioni della stagione favorevole, alla ventilazione estiva e in grado di utilizzare i benefici della radiazione solare nelle mezze stagioni e nella stagione fredda. Gli orientamenti progettuali vanno verso tipologie a corti interne ombreggiate d’estate e coperte con serre nella stagione fredda, dotate di massa con buona inerzia termica per il controllo della temperatura e della radiazione, e di fontane interne per il raffrescamento dell’aria per evaporazione nell’estate. TEMPERATURA Anche se la stagione fredda non è rigida, la frequenza dei valori di temperatura inferiori ai 12°C è molto alta nei tre mesi invernali, 75-85%, e abbastanza rilevante nei mesi di marzo, 64%, aprile 35% e novembre 45%. Nei due mesi più freddi, gennaio e febbraio, è apprezzabile anche la frequenza dei valori inferiori a zero gradi, che seppur non elevata, a 4.5%, e con una temperatura media attorno a 7-8°C, indica il ruolo non trascurabile che le buone escursioni termiche giornaliere giocano nel mantenimento del benessere fisiologico in una condizione climatica mediamente favorevole come questa. Durante la stagione estiva, nei mesi di luglio e agosto che sono i più caldi, più di un terzo dei valori registrati è maggiore di 25°C e le temperature massime assolute toccate nel periodo 37-39°C, danno la misura dell’importanza che il controllo della temperatura e della radiazione assumono per il raggiungimento del benessere nel giorno estivo. Le condizioni esterne di temperatura si accoppiano a tassi di umidità relativa abbastanza bassi, e ciò consente sia l’uso del raffrescamento evaporativo, sia l’uso della massa come elementi di controllo e smorzamento dei disagi indotti dal surriscaldamento. L’involucro dell’edificio e la massa, il grado di variabilità della compattezza volumica, la scelta di sistemi prestazionali a corti interne, e l’uso di giardini e fontane ombreggiate, possono diventare elementi molto efficaci per il raggiungimento e il controllo del benessere igrotermico.
La nebbia ha nel periodo invernale e autunnale una buona frequenza: almeno una settimana al mese, il che impone, anche se le temperature non sono molto basse alcune misure di risparmio energetico. La pioggia invece è un elemento molto frequente in tutte le stagioni tranne che nel mese di luglio: supera mediamente i 10 giorni al mese in tutte le stagioni fatta eccezione per l’estate in cui varia dai due ai sette giorni al mese. Quando si accompagna a basse temperature e forte vento la sua è un’azione raffrescante per il rilavamento e la ventilazione e progettualmente svantaggiosa perché richiede alle chiusure esterne prestazioni migliorate nei confronti delle infiltrazioni di aria e acqua. BILANCIO DEI VANTAGGI E DEGLI SVANTAGGI CLIMATICI Nei mesi della stagione fredda, tranne rare occasioni, la temperatura non scende a livelli rigidi, mantiene nella tarda mattinata e nelle prime ore pomeridiane valori abbastanza miti e si accompagna a tassi di umidità favorevoli. Il vento però può peggiorare sensibilmente la situazione sui lati ventilati delI’edificio, anche perché accompagnato a frequenti precipitazioni piovose che raffreddano per dilavamento. La temperatura diventa un proFIG. E.2.1./40 6.3 2.2
3.5
1.8
1.4
3.1
3.5
PRIMAVERA
1.4
0.7
SU
3.1 SU
AUTUNNO
D
D
6.3 UMIDITÀ RELATIVA È sempre su valori elevati in concomitanza con gli andamenti di temperatura giornaliera minima (notturna) durante tutto il corso dell’anno. Associata nella stagione più fredda a temperature esterne non molto basse, rivela un tasso tale da non richiedere umidificazione dell’aria una volta riscaldata. Durante il giorno estivo è su valori abbastanza contenuti e ciò facilita il controllo delle temperature diurne più elevate con strategie naturali in tal senso efficaci come il raffrescamento evaporativo. Durante la notte estiva, richiede ventilazione solo eccezionalmente, perché è su combinazioni di temperature abbastanza confortevoli (vedi diagramma psicrometrico mese di luglio). VENTO Durante la stagione fredda soffia prevalentemente da Est e Nord-Est con velocità superiori ai 3,5 m/s e da Nord con valori superiori ai 5,5 m/s. Si rivela quindi un notevole svantaggio da cui difendersi per non incrementare le dispersioni a dispetto delle non rigide temperature. Quando si accompagna a precipitazioni richiede sui lati interessati chiusure
E 48
2.6
3.5
1.6
3.5
3.5 ESTATE
1.6
0.8
3.1
1.6 SU
D
FLUSSO DI RADIAZIONE GLOBALE PER STAGIONE: primavera: aprile, maggio, giugno estate: luglio, agosto, settembre autunno: ottobre, novembre, dicembre inverno: gennaio, febbraio, marzo
INVERNO
SU
D
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
E.2. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. E.2.1./41
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
blema durante il giorno estivo in cui tocca valori elevati impone esigenze di raffrescamento e controllo della radiazioni per non sommarsi agli effetti termici del surriscaldamento da captazione. Il vento estivo è utile al raffrescamento tardo pomeridiano delle pareti a Ovest e a Sud ma durante la notte scende a valori appena sufficienti alla ventilazione notturna. L’umidità relativa permette il controllo delle temperature esterne mediante il raffrescamento evaporativo con fontane e giardini interni all’edificio, se si prevedono tipologie a corti interne. La radiazione, dati i buoni valori di soleggiamento, consente nella stagione fredda un utilizzo favorevole degli apporti gratuiti da captazione solare per l’integrazione ai metodi tradizionali di riscaldamento. INDICAZIONI PROGETTUALI Lasciare entrare la radiazione solare quando è freddo. Proteggersi dalle temperature troppo fredde. Proteggersi dalla radiazione estiva. Proteggere dalla radiazione incidente nei mesi più caldi sia le superfici opache che quelle trasparenti dell’edificio con schermature orizzontali fisse, o più complesse e mobili. Usare imposte isolanti anche per trattenere durante la notte invernale il calore guadagnato durante il giorno con la captazione della radiazione solare. È opportuno prevedere edifici o tessuti edilizi a compattezza variabile con corti interne copribili durante la stagione fredda con elementi trasparenti per la captazione solare e ombreggiabili e ventilabili durante la stagione calda. Usare sistemi a guadagno diretto; accumulare il calore della radiazione nella massa dell’edificio o in materiali opportuni ad alta capacità termica e ridistribuirlo negli te ti tei ambienti durante la notte attraverso sistemi meccanici di aria forzata. L’integrazione di sistemi sia attivi sia passivi che usano la radiazione solare può portare notevoli economie nei costi del condizionamento invernale. ti ≥ tei > te
Sul lato riparato della casa il vento crea una buona pressione mentre sul lato esposto crea un’alta pressione; la differenza di pressione sottrae aria alla casa creando una depressione all’interno che richiama a sua volta aria esterna dalla parte su cui soffia il vento, generando tante dispersioni quanti più sono giunti e le fessure (discontinuità).
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS
N
A E.5. INOTECNIC ILLUM
O
E
Favorire la ventilazione notturna L’edificio va aperto di notte, riducendone la compattezza mediante immissioni nella direzione delle brezze prevalenti per ventilare e raffrescare la S massa termica interna. È opportuno che le aperture comunicanti abbiano la stessa dimensione e quelle per l’uscita siano collegate sui lati e sulle zone di bassa pressione, in modo da facilitare l’espulsione dell’aria calda. Un metodo per schermare i vetri disposti su facciate rivolte a Est e a Ovest consiste nell’orientarli a Nord o a Sud. Orientando il vetro a Nord, si lascia entrare solo la luce indiretta; orientandolo a Sud, si lascia entrare il sole durante la stagione fredda. Usare la massa dell’edifico per il controllo delle temperature estive Selezionando i materiali da usare e creando una massa opportuna, si può differire alla notte gli effetti del surriscaldamento diurno. Prevedere fontane e specchi d’acqua per il raffrescamento evaporativo dell’aria ambiente.
E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
ICO . LIMAT E.2.1 CCIO BIOC IONE Z O A APPR ROGETT P A ALLA ETTONIC IT ARCH
E 49
E.2. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA ➦ CRITERI DI PROGETTAZIONE PER ALCUNE LOCALITÀ ITALIANE MESSINA 38° 12’ LATITUDINE NORD MF
F
GEN
X
FEB
X
MAR
X
APR
X
COM
CA
MCA
F: (freddo, fresco) temperature medie nell’intorno di 10°C.
MAG
X
GIU
X
LUG
COM: (confortevole) temperature massime comprese fra i 19 e i 27°C, con tassi di umidità relativa compresi fra il 30 e il 70-80%.
X
AGO
X
SET
X
OTT
X
NOV
MF: (molto freddo) teperature minime vicine a 0°C.
CA: (caldo) temperature massime intorno ai 27-32°C. MCA: (molto caldo) temperature massime oltre i 32°C.
X
DIC
X
TOT
5
5
2
X100/12
41.6
1.6
6.8
41.6
16,8
41.6 % riscaldam.
% comfort
% raffresc.
Il clima di Messina è caratterizzato da una stagione fredda abbastanza lunga ma essenzialmente mite: la mancanza di condizioni di temperature esterne rigide, riduce i fabbisogni energetici per il riscaldamento e fa sì che diventi più importante difendersi dalle temperature esterne durante la stagione calda che non durante la stagione più fredda. Il periodo in cui le temperature consentono un benessere ambientale naturale è altrettanto lungo e copre interamente le mezze stagioni. Nei mesi caldi il controllo delle temperature e della radiazione diventa capitale per il mantenimento del benessere: occorre chiudere l’edificio alla radiazione e all’aria-ambiente ricambiando con aria più fredda di sotterraneo o raffrescata per evaporazione e aprirlo durante la notte in cui la temperatura dell’aria è inferiore. Si favorisce così la ventilazione degli ambienti e delle strutture.
confronto relativo avviene di fatto su valori che oscillano tra i 2 e i 3 m/s, il vento non sembra dare particolari preoccupazioni nella stagione fredda né essere granché utile durante la stagione calda. RADIAZIONE I valori dell’indice relativo di soleggiamento si mantengono superiori al 40% durante tutto l’arco dell’anno: nella stagione fredda è mediamente nell’intorno del 46% e ciò rende solo parzialmente disponibile la radiazione per un condizionamento passivo degli interni, ma in inverno la parete a Sud riceve più radiazione diretta che non in estate: 2441 Wh/m2 g contro 1915 cioè il 27% in più. Durante il giorno estivo, un indice relativo medio del 75% pone, unito agli alti valori di radiazione sui piani verticali e orizzontali, seri problemi di surriscaldamento se non si prevedono efficaci sistemi di ombreggiamento e schermatura sia delle superfici trasparenti verticali, che delle superfici opache orizzontali. Il flusso medio di radiazione diretta sulla parete verticale a Sud è in inverno superiore di circa un terzo a quello sul piano orizzontale e due volte e mezzo quello sulle pareti Est e Ovest. Dato che in estate è addirittura inferiore del 13% a quello sulle pareti Est e Ovest, non è conveniente prevedere aperture finestrate su questi due lati perché ricevono in estate, cioè quando serve se non al surriscaldamento, I’equivalente della parete Sud con però maggior difficoltà di schermatura, e appena il 40% della radiazione a Sud, in inverno, quando cioè è utile alla captazione diretta e al guadagno termico che ne deriva. L’uso dell’inerzia termica della struttura per differire gli effetti di innalzamento della temperatura diurni alla notte quando per irraggiamento è più facile dissipare il calore residuo, non sembra essere idonea per le basse escursioni di temperatura che si registrano nella località. Ciò, unito alla bassa efficacia raffrescante del vento, impone al controllo della radiazione un’importanza fondamentale per evitare i disagi del surriscaldamento. La previsione e l’utilizzo di sistemi di captazione solare passiva, possono soddisfare e integrare per buona parte i fabbisogni termici dell’edificio, nei mesi invernali e nella mezza stagione fredda autunnale. FENOMENI METEOROLOGICI Il fenomeno della nebbia è del tutto irrilevante, ma quello della pioggia raggiunge nei mesi invernali e nelle mezze stagioni (da ottobre ad aprile) valori medi di 13 giorni piovosi al mese, con punte di 16 giorni a dicembre. Durante l’estate non si scende al di sotto dei 3 giorni al mese, con precipitazioni al suolo di 20 mm contro una media annua di 66 mm.
TEMPERATURA Gli andamenti dei valori di temperatura minima e media durante la stagione più fredda, si mantengono su livelli di mitezza: il valore più basso della media delle temperature minime è di 9,6°C e la media invernale delle temperature medie è superiore ai 10,5°C. La frequenza dei valori che si mantengono al di sotto dello zero gradi centigradi è praticamente nulla e la temperatura minima assoluta registrata è di 0°C, quella dei valori inferiori ai 12°C è mediamente nella stagione più fredda del 34% con punte a gennaio e febbraio del 41%, ma la temperatura più bassa che lascia al di sotto di sé il 2,5% dei valori registrati è di 6,4°C. La stagione calda, dall’analisi dei dati dell’anno tipo, non sembra toccare valori rilevanti di temperatura massima, la frequenza dei valori superiori ai 26°C è in agosto del 51% circa ma la temperatura massima registrata è di 36°C che non è una temperatura elevatissima dati i bassi valori di u.r. e la latitudine. Le escursioni giornaliere di temperatura non sono elevate e ciò non favorisce la dispersione notturna del calore accumulato nella massa durante il giorno rendendo più difficile, data anche la scarsa ventosità notturna, il raffrescamento. Eventuali ricambi diurni e notturni con aria più fresca dell’aria ambiente, ad esempio con aria di sotterraneo o preraffreddata mediante scambio con superfici più fredde, può rivelarsi una opzione praticabile per il raffrescamento.
FIG. E.2.1./42
6.6 2.7
1.7
SU
PRIMAVERA
E 50
3.5 SU
AUTUNNO
D
D
6.6 3.1
3.6
1.6
1.9
3.4
3.6 ESTATE
1.9
0.9
SU
D
VENTO Sulla direzione prevalente e sulla frequenza non abbiamo disponibili informazioni, ma dagli andamenti di velocità media dell’anno tipo, Messina sembra non essere molto ventosa, se si eccettuano i mesi primaverili in cui si superano mediamente i 3 m/s. La stagione fredda è leggermente più ventosa della stagione calda, il che può far supporre che il vento sia più uno svantaggio che un elemento a favore, ma dato che il
1.7
0.8
2.9
3.6
UMIDITÀ RELATIVA Gli andamenti dei valori di umidità relativa, sia quelli associati alle temperature minime sia quelli associati alle temperature massime, fanno di Messina una località mediamente caldo-secca. Durante la stagione calda i valori di umidità si associano a temperature che consentono il benessere fisiologico solo con opportune misure di controllo delle temperature. Il raffrescamento evaporativo sembra essere durante il giorno l’unico metodo efficace di raffrescamento data la scarsa efficacia del vento e la difficoltà di raffreddamento notturno della massa per conduzione e irraggiamento, per le basse escursioni termiche giornaliere. Anche la stagione fredda è abbastanza secca e ciò se può non richiedere l’umidificazione dell’aria riscaldata, rende meno probabile la condensa nella massa delle chiusure esterne isolate internamente.
3.6
1.8
FLUSSO DI RADIAZIONE GLOBALE PER STAGIONE: primavera: aprile, maggio, giugno estate: luglio, agosto, settembre autunno: ottobre, novembre, dicembre inverno: gennaio, febbraio, marzo
3.3 INVERNO
SU
D
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
E.2. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. E.2.1./43
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
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D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
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E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS
BILANCIO DEI VANTAGGI E DEGLI SVANTAGGI CLIMATICI Gli andamenti della temperatura nella stagione fredda, proprio perché caratterizzati da valori non elevati, anche se il vento gioca a sfavore, non ne fanno un elemento notevolmente sfavorevole anche perché possono essere compensati dagli apporti gratuitida captazione della radiazione. Durante la stagione calda la temperatura va controllata attentamente con i metodi consigliati per evitare il surriscaldamento che la forte radiazione e la scarsa ventosità tendono a incrementare. L’umidità relativa è su valori diurni che consentono il raffrescamento evaporativo dell’aria nei patii o nelle corti interne, con effetto benefico per il controllo della temperatura. INDICAZIONI PROGETTUALI Lasciare entrare la radiazione solare quando è freddo Orientare le superfici vetrate in modo da massimizzare la esposizione verso il Sud e il basso sole invernale. Regolare la quantità di radiazione che entra ponendo cura alla profondità e alla morfologia dell’edificio. La radiazione invernale integra i fabbisogni termici.
Prevedere fontane e specchi d’acqua per il raffrescamento evaporativo dell’aria ambiente. Favorire la ventilazione notturna L’edificio va aperto di notte, riducendone la compattezza mediante immissioni nella direzione delle brezze prevalenti per ventilare e raffrescare la massa termica interna. È opportuno che le aperture comunicanti abbiano la stessa dimensione e quelle per l’uscita siano collegate sui lati e sulle zone di bassa pressione, in modo da facilitare l’espulsione dell’aria calda. Selezionando i materiali da usare e creando una massa opportuna, si possono differire alla notte gli effetti del surriscaldamento diurno e il raffreddamento notturno al giorno successivo.
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
Controllare le temperature nella stagione calda L’edificio viene aperto di notte, quando la temperatura esterna è bassa, per raffreddare la massa termica interna, e viene chiuso durante il giorno, per tenere fuori il caldo e mantenere fresche la superficie della massa termica e la temperatura interna. Proteggersi dalla radiazione estiva Proteggere dalla radiazione incidente nei mesi più caldi sia le superfici opache che quelle trasparenti dell’edificio con schermature orizzontali fisse, o più complesse e mobili. Usare imposte isolanti anche per trattenere durante la notte invernale il calore guadagnato durante il giorno con la captazione della radiazione solare.
ICO . LIMAT E.2.1 CCIO BIOC IONE Z O A APPR ROGETT P A ALLA ETTONIC IT ARCH
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E.2. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA SISTEMI SOLARI PASSIVI Un sistema per il riscaldamento ambientale di un edificio viene definito solare passivo quando la fonte energetica principale è costituita dalla radiazione solare incidente sull’edificio, e gli scambi e i trasferimenti del calore avvengono per effetto di fenomeni “naturali”. L’impianto di riscaldamento tradizionale svolge una funzione di integrazione. Si definiscono ibridi quei sistemi in cui sono presenti moti di fluidi di origine “meccanica”, ma con un ruolo secondario rispetto ai trasferimenti di calore spontanei. In un sistema solare passivo le funzioni di captazione della radiazione solare, la sua conversione in calore, e l’immagazzinamento e la distribuzione di tale calore, sono svolte da parti dell’edificio. Nella progettazione solare passiva si combinano in maniera opportuna quattro componenti fondamentali dell’edificio: a. le superfici trasparenti; b. le capacità termiche (muri, solai, ...); c. la coibentazione; d. i sistemi di schermatura, fissi o mobili.
FIG. E.2.1./44
A
C
B
D
In Fig. E.2.1./44 è rappresentato schematicamente un “edificio ideale” nelle condizioni estive e invernali, diurne e notturne; l’edificio dovrebbe consentire le seguenti funzioni: A. capacità di “aprirsi” alla radiazione solare quando questa è disponibile e utile (ore diurne della stagione fredda) e di immagazzinare il calore corrispondente. B. possibilità di “chiudersi” nelle ore notturne della stagione fredda riducendo le dispersioni attraverso le superfici trasparenti, e sfruttando il calore immagazzinato. C. protezione delle superfici trasparenti dalla radiazione solare quando questa sia indesiderabile (ore diurne della stagione calda). D. capacità di efficiente dissipazione di calore nelle ore notturne della stagione calda.
La presenza di un sistema passivo permette una effettiva riduzione del fabbisogno termico e quindi dei consumi di energia da fonte fossile, solo se l’impianto di riscaldamento è dotato di un sistema di regolazione, comandato da sensori di temperatura capace di modulare l’erogazione del calore in funzione della disponibilità di calore fornito dal sole.
GUADAGNO DIRETTO Le superfici trasparenti, generalmente esposte a Sud, (Fig. E.2.1./45) permettono l’ingresso della radiazione solare direttamente nell’ambiente abitato. L’assorbitore è costituito dalle superfici che delimitano l’ambiente (pareti e pavimento) direttamente investite dalla radiazione solare, mentre la massa di tali elementi costituisce l’accumulo. Nelle ore diurne la radiazione solare incide sulle pareti interne da cui viene parzialmente assorbita e convertita in calore. Si determina quindi un aumento della temperatura dei corpi, e una conseguente cessione di calore all’ambiente (per convezione all’aria, per irraggiamento alle altre pareti). La capacità termica dei corpi consente l’immagazzinamento e il successivo rilascio di calore nelle ore notturne e nelle giornate con insolazione ridotta. Una elevata capacità termica riduce il rischio di surriscaldamenti causati da un eccedenza del calore “solare” ceduto all’ambiente. L’adozione di schermi e di protezioni mobili per le superfici vetrate consente di ridurre le dispersioni di calore nelle ore notturne e il surriscaldamento nelle ore diurne contribuendo a migliorare l’efficienza del sistema. Il “guadagno diretto” fornendo energia solare alle stanze esposte al sole attraverso le normali finestre durante le giornate soleggiate, può essere sfruttato in ogni clima da qualsiasi edificio che abbia una facciata esposta al sole, indipendentemente dal numero di piani. Gli edifici a un solo piano possono anche ricevere la radiazione solare attraverso lucernari nel tetto, indipendentemente dalla geometria, dalle dimensioni e dalla superficie pavimentata dell’edificio. Gli edifici non residenziali, occupati prevelenetemente durante il giorno – come scuole e uffici, sono potenzialmente adatti al “guadagno diretto”, a patto che vengano risolti i problemi di abbagliamento e surriscaldamento. Una possibilità per risolvere il problema dell’abbagliamento è quella di riflettere la radiazione penetrante verso il soffitto, tramite appropriati accorgimenti di schermature interne. La capacità di accumulare energia solare per la notte, o anche per una giornata nuvolosa, dipende dalla disponibilità di accumulo termico.
E 52
Negli edifici con chiusure e partizioni verticali di spessori massicci, come quelli in calcestruzzo o in mattoni, la capacità di accumulare il calore solare per la notte è una proprietà intrinseca della struttura. Negli edifici leggeri, una più ampia applicazione del riscaldamento solare tramite il “guadagno diretto” dipende dallo sviluppo di nuovi elementi di accumulo che possono essere parti integranti la struttura dell’edificio, come pannelli a parete e a soffitto comprendenti nella loro composizione materiali a cambiamento di fase. Questi sono materiali che si trasformano da solidi a liquidi quando assorbono calore e da liquidi a solidi quando cedono calore. Il processo è reversibile e il cambio di stato avviene a un livello relativamente costante di temperatura del materiale. PRESTAZIONI a) Un sistema solare passivo a guadagno diretto deve consentire il raggiungimento, in un tempo sufficientemente breve, del livello desiderato di comfort termico interno, e il mantenimento di tale livello per un tempo sufficientemente lungo, quando viene a cessare il contributo dell’energia solare (rendere minime le fluttuazioni della temperatura interna). L’irraggiamento solare che colpisce la superficie vetrata viene in parte riflesso, in parte assorbito, in parte trasmesso dal vetro stesso. La quota parte di energia assorbita dal vetro va a innalzare la sua temperatura. Esso quindi riemette energia termica su entrambe le facce; si assume convenzionalmente che 1/3 di tale energia venga irradiata verso l’interno. Naturalmente per un sistema a guadagno diretto (finestra solare) in linea di principio è opportuno adottare un vetro con fattore solare elevato, al fine di massimizzare la quantità di energia termica entrante. b) L’area della superficie vetrata di un sistema a guadagno diretto va posta in relazione al volume dell’ambiente servito (oppure, data l’altezza interna
delI’ambiente, anche alla sua superficie di pavimento). Infatti un sottodimensionamento renderebbe insufficiente il contributo termico solare, mentre un sovradimensionamento potrebbe elevare eccessivamente la temperatura interna e dare luogo a condizioni di comfort inaccettabili. Le dimensioni di una finestra solare determinano la temperatura media di uno spazio nell’arco della giornata. Durante una tipica giornata di sole, se uno spazio diventa troppo caldo per una eccessiva insolazione, significa o che le finestre solari sono sovradimensionate o che all’interno dello spazio non è distribuita una massa termica sufficiente ad assorbire in modo adeguato la radiazione entrante. Se uno spazio diventa troppo caldo, l’aria calda viene espulsa all’esterno aprendo le finestre o attivando un aspiratore. Ciò riduce il rendimento del sistema, dato che viene disperso calore utile. c) La presenza nell’ambiente di elementi edilizi costituiti da materiali dotati di una buona capacità termica è condizione essenziale per accumulare il calore eccedente il fabbisogno durante il giorno (calore che viene poi restituito durante la notte) e per limitare quindi le oscillazioni di temperatura. L’esperienza insegna che lo spessore di tali elementi (solai e pareti) deve essere almeno di 10 cm. Un incremento di tale spessore (da 20 a 40 cm) non modifica sensibilmente le condizioni di comfort ambientale. È opportuno che le strutture interne leggere (tramezzature in forati o in legno) le quali non costituiscono apprezzabili masse di accumulo, siano dipinte di colori chiari, in modo che possano riflettere l’energia incidente verso le masse di accumulo primarie. Perchè uno spazio rimanga confortevole per tutto il giorno, l’area delle superfici murarie esposte alla radiazione diretta dovrebbero essere almeno nove volte l’area della superficie vetrata.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
E.2. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. E.2.1./45 GUADAGNO DIRETTO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
A
B
E.NTROLLO
C
CO NTALE AMBIE
Configurazione inverno-giorno
Configurazione inverno-notte
Pannello isolato riflettente
d) È indispensabile assicurare un buon isolamento termico della finestra solare durante le ore notturne o comunque quando è nullo il contributo di energia termica del sole. Infatti il vetro monolitico incolore in lastra ha un coefficiente di conducibilità termica abbastanza elevato che, tenuto conto dei bassi spessori comunemente usati, consente un passaggio di flusso termico consistente per conduzione e irraggiamento. L’isolamento termico viene realizzato con elementi mobili situati all’esterno dell’edificio (persiane avvolgibili in legno o in materiale plastico, portelloni di legno, ecc. tali comunque da limitare al massimo il contatto fra l’aria esterna e la lastra vetrata) oppure all’interno (imposte o pannelli isolanti, tendaggi). Si possono anche adottare, per la finestra solare, vetri a camera d’aria. In tal modo si abbassa il valore del coefficiente di trasmissione termica (e si migliora quindi il comportamento notturno), ma si ottiene un valore più basso del fattore solare (e quindi un minore guadagno termico diurno).
serramento, il sistema di apertura e l’esposizione della finestra rispetto ai venti dominanti. Sempre ai fini di ottimizzare il guadagno termico e tenendo conto della forma del percorso apparente del sole, le finestre solari sul fronte a Sud è bene che abbiano uno sviluppo prevalentemente verticale, mentre per quelle sui fronti Est e Ovest è preferibile uno sviluppo prevalentemente orizzontale. Anche la forma planimetrica dell’edificio può essere determinata dalla opportunità di realizzare finestre a guadagno diretto anche quando l’orientamento dell’edificio non è quello ottimale. La forma architettonica dell’edificio può essere caratterizzata da sbalzi orizzontali (pensiline piene o a brisesoleil oppure da aggetti di parti dell’edificio su quelle sottostanti) e da quinte verticali (elementi edilizi o brise-soleil), ubicati e dimensionati a seconda della latitudine del luogo al fine di evitare un eccessivo soleggiamento sulle superfici vetrate durante la stagione più calda (e anche in quella intermedia) e di consentire altresì l’incidenza della radiazione solare durante la stagione più fredda. Anche la distribuzione interna degli ambienti, la loro forma e destinazione d’uso, i materiali impiegati (in quanto costituiscono un sistema di accumulo), i colori delle parti edilizie e degli elementi di arredo, devono essere posti in relazione con le finestre solari, al fine di ottimizzare il rendimento.
Vantaggi • Il vantaggio più evidente consite nel fatto che, dal punto di vista costruttivo, tale sistema può essere realizzanto utilizzando normali componenti edilizi e materiali comuni; • il sistema non altera la normale estetica dell’edificio al quale si applica; • fornisce luce naturale e percezione dell’esterno in aggiunta al risparmio energetico; • i costi aggiuntivi sono estremamente contenuti in confronto a un edificio identico ma senza caratteristiche “solari”; Inoltre, in alcuni casi, il minor costo derivante dall’ottimizzazione dell’impianto può compensare il costo addizionale del sistema solare; • la combinazione di forte isolamento termico, finestre ad alta efficienza energetica e contenimento delle infiltrazioni, migliorano il comfort complessivo.
È opportuno notare come la dispersione termica verso l’esterno non si verifichi soltanto attraverso la lastra vetrata, ma anche attraverso gli elementi costituenti il serramento e attraverso le battute del serramento stesso, e inoltre come essa sia influenzata dalla condizione di quiete dell’aria esterna o dalla velocità del vento. È importante quindi il materiale con cui è costruito il
Svantaggi • Vetrate a Sud di grandi dimensioni possono causare abbagliamento e riduzione della “privacy”; • La componente ultravioletta della radiazione solare che penetra nell’edificio può danneggiare rivestimenti e arredi se non si utilizzano vetri che riducono tale componente luminosa; • Le movimentazione delle schermature isolanti, che permettono un’alta efficienza di un sistema a guadagno diretto, richiedono una attenzione continua e regolare da parte degli utenti.
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G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM
MURO TROMBE Il nome deriva dal ricercatore francese che ha per primo sviluppato e fatto conoscere questa soluzione. La superficie trasparente è separata dall’ambiente interno da una parete massiccia, con la faccia esterna di colore scuro, con funzione di assorbitore e di accumulo. (Fig. E.2.1./46) Una intercapedine d’aria (10-15 cm di spessore) separa la superficie trasparente dal muro. Il muro presenta una doppia fila di aperture, in alto e basso, che collegano l’intercapedine e l’ambiente. Nei periodi freddi (ore diurne) la radiazione solare attraversa la superficie trasparente, viene assorbita dalla parete e determina un innalzamento della temperatura dello strato superficiale del muro. Il calore viene ceduto all’aria nell’intercapedine (per convezione); alla superficie trasparente (per irraggiamento) e, in parte, trasmesso per conduzione verso l’interno del muro. L’energia termica attraversa il muro per conduzione e viene poi trasmessa al vano abitato per irraggiamento e per convezione. Il guadagno e lo sfasamento dell’onda termica dipendono dallo spessore del muro, dal coefficiente di conducibilità termica e dal calore specifico del materiale con cui il muro stesso è realizzato. Per il calcestruzzo, il ritardo è, approssimativamente di 18 minuti per ogni centimetro di spessore. Volendo ottenere un ritardo di 6-8 ore (idoneo in una casa di abitazione per conseguire beneficio, durante la stagione invernale, anche nel cuore della notte) è opportuno uno spessore di calcestruzzo rispettivamente di 20 e di 26.7 cm.
F. TERIALI,
L’innalzamento della temperatura nell’intercapedine innesca un moto convettivo ascensionale (termocircolazione), che determina l’ingresso nell’ambiente di aria calda attraverso le bocchette superiori mentre una equivalente portata di aria fredda passa dall’ambiente all’intercapedine attraverso le bocchette inferiori. Il risultato è un trasferimento netto di calore all’ambiente. Nei periodi freddi (ore notturne) il raffreddamento dell’aria nell’intercapedine, dovuto al contatto di questa con la superficie trasparente fredda determina un moto convettivo verso il basso (termocircolazione inversa) che provocherebbe una perdita netta di calore per l’ambiente; ciò viene impedito mediante la chiusura delle bocchette, ottenuta con saracinesche o valvole. Per conseguire un vantaggio in termini di comfort ambientale e in termini energetici il progettista dovrà far si che la restituzione all’ambiente del calore accumulato sia in fase con la domanda di calore, mediante scelte opportune dei materiali impiegati e dei relativi spessori. Nei periodi caldi si dovrà evitare il surriscaldamento degli ambienti adottando opportune schermature. La realizzazione di aperture nella parte alta della superficie trasparente innesca un “effetto camino” che determina una ventilazione forzata naturale. Al fine di ottimizzare il rendimento del sistema, è bene che il coefficiente di assorbimento della superficie del muro sia quanto più prossimo a 1; al colore nero ai fini
estetici si possono sostituire altri colori come rosso scuro, marrone, blu scuro, evitando evidentemente quelli chiari, senza un sensibile scadimento dell’efficienza. La regolazione del muro Trombe deve prevedere una riduzione della dispersione del calore verso l’esterno durante la notte o nei giorni con cielo coperto. Tale obiettivo può essere conseguito mediante imposte isolate esterne mobili, usando lastre di vetro a elevata resistenza termica (vetri doppi), oppure applicando sulla superficie esterna del muro una vernice selettiva, caratterizzata da un elevato fattore di assorbimento e da un basso fattore di emissione. Le parete Sud calda comporta perdite termiche verso l’esterno significative di giorno e elevate di notte, a meno di coibentazioni mobili notturne di tale parete tecnicamente difficoltose e costose. La termocircolazione e l’energia ceduta dalla parete all’edificio interessano solo le zone dell’edificio prossime alla parete Sud rendendo impossibile le progettazioni di edifici a doppio o triplo corpo lungo l’asse Nord-Sud. L’asportazione di calore da parte della parete (con conseguente sottrazione di energia disponibile per l’innesco della convezine naturale) e la semplicità fluidodinamica del profilo del camino rendono di non elevata entità il fenomeno della convezione naturale, il che
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CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA ➦ SISTEMI SOLARI PASSIVI ➦ MURO TROMBE comporta una moderata ventilazione estiva; nonostante ciò essendo l’aria calda direttamente immessa nell’ambiente, non remoto è il rischio di surriscaldamento anche in condizioni esterne invernali con spreco di energia, la quale in tali casi deve essere rigettata all’esterno tramite l’apertura di finestre. Vantaggi • assenza di abbagliamento nello spazio abitativo; • bassa escursione termica nello spazio abitativo; • ritardo dell’onda termica, utile per particolari destinazioni d’uso.
Svantaggi • basso rendimento a causa dell’alta temperatura della superficie estema del muro; • extra-costo dovuto alla presenza della lastra vetrata, alla realizzazione delle aperture, all’eventuale trattamento della superficie esterna del muro oppure alla presenza di sistemi isolanti esterni; • problemi derivanti dalla necessità di accedere alla lastra vetrata per la periodica pulizia, dalla possibilità di fenomeni di condensa sulla stessa lastra vetrata; • il muro Trombe è una superficie opaca, che non consente la illuminazione naturale dello spazio abitativo servito.
• in estate, anche solamente per effetto “albedo” (riflessione della radiazione solare dal suolo) la superficie del muro riceve radiazione solare indiretta che ne innalza la temperatura. Ciò produce un favorevole effetto camino, ma in mancanza di isolamento interno alla parete stessa, questa rilascia del calore all’ambiente interno con ovvie conseguenze negative sul comfort. Nelle regioni con periodi estivi soleggiati e caldi è quindi auspicabile assicurare il completo ombreggiamento delle pareti, per proteggere non solo dai raggi solari diretti ma anche dalle radiazione indiretta.
FIG. E.2.1./46 MURO DI TROMBE
A Configurazione inverno-giorno
B
C
Configurazione inverno-notte con termocircolazione inversa inibita
Configurazione estate-giorno
PARETE DI ACCUMULO (muro massiccio) Vengono così definite configurazioni simili al muro di Trombe ma prive di bocchette, e quindi senza termocircolazione (dette anche “non ventilate”). Il calore si trasmette solo per diffusione attraverso la parete, con una perdita di rendimento, ma senza i problemi connessi alla circolazione dell’aria.
ROOF POND Viene così definito un sistema in cui captazione e accumulo siano rappresentati da volumi d’acqua collocati sul tetto dell’edificio. Alle nostre latitudini una superficie orizzontale riceve, rispetto a una superficie verticale Sud, meno radiazione nei mesi invernali rispetto a quelli estivi. Si tratta quindi di tecnologie che trovano il loro campo di applicazione a latitudini minori e, dato l’ottimo comportamento estivo in presenza di elevati scambi radiativi notturni, in climi di tipo desertico. Il funzionamento del sistema prevede per le ore diurne del periodo caldo, l’esposizione diretta alla radiazione solare del volume d’acqua (senza superfici trasparenti) contenuto in recipienti opportuni. In questo modo l’acqua si scalda, e il calore viene trasmesso agli ambienti sottostanti attraverso il solaio che deve quindi presentare bassa resistenza termica. Nelle ore notturne la cessione di calore attraverso il solaio continua, mentre pannelli di materiale isolante o altro accorgimento equivalente, vengono spostati in modo da contenere le perdite di calore dal volume d’acqua verso l’esterno. Nelle ore diurne del periodo caldo, gli stessi pannelli vengono impiegati per proteggere dalla radiazione solare il volume d’acqua, che viene invece esposto di notte, in modo da dissipare calore per irraggiamento verso il cielo. È bene notare come l’efficacia del sistema roof pond si estenda soltanto agli ambienti immediatamente sottostanti alla massa di accumulo. Vantaggi • consente una climatizzazione sia durante la stagione fredda sia durante quella calda; • la temperatura degli spazi abitativi è distribuita uniformemente;
E 54
FIG. E.2.1./47 ROOF POND
A
B
C A. inverno-giorno
D B. inverno-notte
C. estate-giorno
D. estate-notte
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
E.2. 1. A.ZIONI
• non esistono problemi di abbagliamento per l’aperture di finestre sulle pareti verticali dell’edificio; • il sistema può essere usato indipendentemente dall’orientamento dell’edificio. Svantaggi • il sistema è utile per climatizzare un solo piano di edificio;
• il sistema non è utilizzabile per latitudini medie e alte, nelle condizioni, cioè, nelle quali la radiazione solare forma un angolo molto piccolo con il piano orizzontale durante la stagione invernale; • data la tecnologia costruttiva, è possibile usare solo certi tipi di solai di copertura, nei quali, comunque, la massa d’acqua dà luogo a condizioni di carico onerose;
• il sistema non è utilizzabile nei climi dove si verificano abbondanti precipitazioni nevose; • possono verificarsi dei problemi per la non perfetta tenuta dei contenitori e quindi per eventuali infiltrazioni d’acqua verso l’interno; • la manovra dei pannelli termo-isolanti (nelle posizioni “giorno” e “notte”) è laboriosa e delicata.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
BARRA-COSTANTINI turbolenza dell’aria nel camino con conseguente aumento del coefficiente di scambio convettivo ariaassorbitore: tutto ciò si traduce in una considerevole estrazione di calore da parte dell’aria del camino e in una buona efficienza del sistema. c) Soffitti con ruolo di canali per l’immissione del calore nei vari locali e di accumulatori termici; l’aria calda proveniente dai camini infatti non viene immessa direttamente nell’ambiente ma fatta passare attraverso opportuni canali orizzontali realizzati nei solai (uno per ogni apertura di estrazione esistente sulla parete Sud e delle stesse dimensioni dell’apertura) nei quali essa immagazzina, per scambio termico con le superfici
laterali dei canali, parte dell’energia termica estratta dai camini, mentre la parte rimanente viene introdotta negli ambienti, per un utilizzo diretto, attraverso opportune bocche di immissione realizzate a soffitto (essenzialmente una per canale per ogni locale sulla parte Nord): la regolazione differenziata di tali bocche di immissione (più “chiuse” le bocche relative ai locali più a Sud) consente l’introduzione di un flusso termico uniforme nei locali. Nell’assetto inverno-notte gli orifizi di comunicazione camino-canali del soffitto (superiori) e camino-ambiente interno (inferiori) sono chiusi e il soffitto caldo funge da grande radiatore per gli ambienti.
FIG. E.2.1./48 SISTEMA BARRA-COSTANTINI
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
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MATERIALE ISOLANTE ASSORBITORE RADIAZIONE SOLARE
Il principio di funzionamento è parzialmente simile a quello del muro Trombe, ma diverse sono la configurazione fisica e le prestazioni fornite. (Fig. E.2.1./48). Questa soluzione prevede la separazione tra collettori (ad aria) e accumulo ricavato dalla struttura dei solai. Il sistema nasce dallo studio per il superamento delle caratteristiche negative del sistema Trombe. A differenza di quest’ultimo, la parete esposta al sole nel Sistema Barra-Costantini è una parete isolata con la capacità di evitare il riscaldamento. Il sistema ha un rendimento maggiore di quello di un muro di Trombe, in quanto l’accumulo ha luogo lontano dall’involucro disperdente. L’elemento di captazione, collocato sulla parete Sud dell’edificio, comprende una lastra trasparente esterna, una intercapedine d’aria, una massa muraria (che può svolgere anche funzioni statiche per l’edificio) isolata termicamente sulla sua faccia esterna. Nell’intercapedine è posto un elemento di captazione specifico, costituito da una lastra metallica di colore scuro sulla faccia esposta verso il sole. L’energia termica è immessa nello spazio interno abitato mediante i moti convettivi dell’aria calda (e non per conduzione, come avviene nel muro Trombe) che si verificano nell’intercapedine della facciata esposta a Sud (“camino solare”) e nei canali orizzontali realizzati nella struttura dei solai o al di sopra di eventuali controsoffitti. Mediante una opportuna regolazione manuale od automatica delle aperture realizzate sulla lastra trasparente e sulla massa muraria della facciata esposta a Sud e di quelle realizzate sulla facciata esposta a Nord è possibile ottenere buone condizioni di comfort ambientale sia nella stagione fredda sia in quella calda, nelle due condizioni caratteristiche: giorno e notte. Durante le ore di soleggiamento il calore viene trasferito al soffitto e di conseguenza allo spazio interno, mentre di notte e nei periodi nuvolosi il flusso termico è frenato e l’isolamento delle pareti minimizza la perdita termica. In estate l’isolamento delle pareti riduce il guadagno di calore solare indiretto. Di conseguenza, questo sistema è applicabile in un più ampio raggio di condizioni climatiche rispetto al muro massiccio. Nel Sistema Barra-Costantini l’accumulo avviene nei solai massicci, ossia è una soluzione applicabile soltanto agli edifici con sistemi strutturali di masse notevoli. Dato che ogni piano ha la sua parete di raccordo e i suoi elementi orizzontali di accumulo, questo sistema può essere applicato a edifici di qualsivoglia numero di piani. Lo spazio riscaldato da questo sistema può essere limitato, tramite la traiettoria orizzontale del flusso d’aria, a una profondità di circa 8-10 m. Ragionando per la configurazione “ inverno-giorno “ si vede che i principali interventi sono: a) Isolamento termico su tutta la superficie esterna dell’edificio (cappotto termico), parete Sud inclusa, tale da costituire una trappola per l’energia termica che una volta entrata all’interno dell’edificio per trasporto convettivo da parte dell’aria proveniente dai camini non trova più facile via di uscita; l’adozione del cappotto termico inoltre consente di poter considerare come capacità termica per l’accumulo di energia l’intera massa dell’edificio, non obbligando più alla realizzazione di grandi masse concentrate nella parete Sud. b) Assorbitore disaccoppiato dall’accumulo e costituito da una sottile lastra metallica a piccola capacità termica posta nell’intercapedine fra vetro e parete Sud; l’introduzione di tale assorbitore nel camino consente di raddoppiare la superficie di scambio aria-assorbitore (poiché l’aria lambisce l’assorbitore su entrambe le sue facce) e, se sagomato opportunamente dal punto di vista fluidodinamico, facilita l’innesco della
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SUNFITE O VETRO
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CAMINO SOLARE
INVERNO-GIORNO
A E.5. INOTECNIC ILLUM
INVERNO-NOTTE
E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
ESTATE-GIORNO
ESTATE-NOTTE
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E.2. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA ➦ SISTEMI SOLARI PASSIVI ➦ BARRA-COSTANTINI La configurazione estiva-diurna è analoga a quella del sistema Trombe, giovandosi in più rispetto a questo di una maggiore ventilazione (per maggior efficienza fluidodinamica del tiraggio dei camini) e dell’isolamento sulla parete Sud, che limitando l’ingresso di energia, realizza una riduzione del carico termico. Peculiare del presente sistema è infine la configurazione estate-notte, in cui lasciando innescare fra camino, canali e ambienti una circolazione inversa si ottiene un raffred-
damento notturno della struttura che presentandosi raffrescata al seguente sorgere del sole, riduce le possibilità di surriscaldamento degli ambienti. Vantaggi • flessibilità di adattamento alle diverse condizioni climatiche stagionali per assicurare un buon comfort interno; • soddisfacente efficienza di conversione dell’energia solare;
• possibilità di climatizzare anche i vani dell’edificio non adiacenti alla facciata esposta a Sud. Svantaggi • complessità di realizzazione della parete di captazione esposta a Sud (camino solare); • necessità di solai particolari, tali da consentire la realizzazione dei canali orizzontali e comunque tali da costituire una sufficiente massa di accumulo.
COLLETTORI AD ARIA CON LETTO DI PIETRE Si tratta di sistemi non compatibili con tipologie edilizie multi-familiari, in quanto richiedono, per l’accumulo del calore, notevoli volumi occupati da pietre. (Fig. E.2.1./49) Il sistema prevede superfici captanti costituite da collettori ad aria, dai quali l’aria riscaldata a contatto con la piastra metallica captante giunge all’accumulo, dove cede calore percorrendo gli interstizi tra pietra e pietra. Le modalità di funzionamento sono tre: a) ore diurne con richiesta di riscaldamento: l’aria calda viene mandata direttamente dai collettori agli ambienti da riscaldare (A); b) ore diurne senza richiesta di riscaldamento: l’aria calda percorre il circuito chiuso collettori-accumulocollettori, caricando, l’accumulo (B); c) ore notturne o di scarsa insolazione: l’aria calda viene prelevata dall’accumulo e inviata agli ambienti, da cui viene prelevata aria fredda, secondo un circuito di “scarica” (C). Le diverse modalità vengono attuate mediante la chiusura e apertura di valvole. Il collettore a lastra vetrata, generalmente realizzato
con materiali leggeri, è collocato all’esterno dell’edificio e separato da questo, nella migliore posizione di orientamento a una quota inferiore a quella dell’accumulatore termico. La circolazione d’aria fra collettore e spazio abitato avviene senza l’intervento di mezzi meccanici, ma soltanto grazie alla densità più bassa dell’aria calda, che tendendo a salire, richiama l’aria fredda (più densa) dello spazio abitato. Il sistema a termosifone fornisce allo spazio abitato aria calda a una temperatura tanto più elevata quanto maggiore è la superficie dell’elemento collettore. Una parte dell’energia termica fornita dal collettore può essere dirottata verso la massa di accumulo e da questa restituita all’ambiente durante le ore notturne per convezione, o per conduzione e convezione. Il collettore costituisce una superficie di dispersione termica durante le ore notturne. È indispensabile quindi isolarlo adeguatamente, oppure realizzare delle chiusure a tenuta fra collettore e spazio interno abitato affinché, durante le ore notturne, non si instauri una circolazione inversa di aria che disperderebbe il calore accumulato. È importante poi determinare corretta-
mente la quantità della massa di accumulo e l’entità della sua interfaccia con lo spazio interno abitato per ottimizzare il comfort ambientale ed evitare eventuali fenomeni di surriscaldamento. Vantaggi non esistono problemi di abbagliamento e per l’apertura di finestre sulle pareti dell’edificio interessato; • I’installazione del sistema è indipendente dall’orientamento dell’edificio; • è possibile l’applicazione a edifici preesistenti; • le dispersioni termiche durante la notte possono essere inferiori rispetto ad altri sistemi passivi. Svantaggi • per evitare una circolazione inversa di aria, la progettazione e l’esecuzione del sistema deve essere molto accurata; • I’accumulo di energia termica risulta meno efficace dato che si usa l’aria calda piuttosto che la radiazione solare diretta; • il collettore deve essere collocato a una quota più bassa dell’accumulatore termico.
FIG. E.2.1./49 COLLETTORI AD ARIA CON LETTO DI PIETRE
A
Ore diurne con richiesta di riscaldamento
B
C
Ore diurne con senza richiesta di riscaldamento
Ore notturne o di scarsa insolazione
FACCIATA A DOPPIA PELLE Il sistema detto a doppia pelle è stato spesso impiegato nelle architetture bioclimatiche della seconda generazione, in cui viene privilegiato l’isolamento degli edifici e l’uso consapevole dei diversi sistemi esistenti, piuttosto che la scelta di uno specifico sistema. (Fig. E.2.1./50) Un sistema a doppia pelle consente un miglior isolamento termico rispetto a quello garantito da una parete a intercapedine, poiché funziona come un cappotto posto all’esterno dell’involucro, da cui viene separato per mezzo di un’ampia zona vuota, talvolta anche praticabile. I diversi tipi di doppia pelle forniscono altrettante diverse prestazioni in relazione alle richieste interne: ad esempio, il sistema in cui circola l’aria si avvale di uno strato esterno opaco, comportandosi come una parete ventilata, con la sola differenza che in esso non si verifica l’effetto camino, ma l’aria riscaldata dal sole durante le giornate estive viene utilizzata per innalzare le temperature degli ambienti interni durante la notte. In inverno la doppia pelle funziona come un sistema a elevata inerzia termica, generando un accumulo interno e un conseguente ritardo nella dispersione di calore.
E 56
Nei sistemi a parete esterna vetrata, a causa dell’elevata dimensione della zona vuota tra i due muri, l’effetto serra che si verifica in inverno provvede alla formazione di una riserva di calore da utilizzare per i momenti di mancato guadagno termico diretto. In altri sistemi a doppia pelle i due muri, entrambi opachi, sono tuttavia disomogenei, ma soprattutto presentano aperture sfalsate, che consentono l’ingresso di aria per la ventilazione, ma non di guadagno solare diretto; tali sistemi sono particolarmente idonei ai climi caldi, in cui è necessaria la protezione dalla luce e dal calore, mentre risulta gradevole la presenza di vento. I materiali costituenti i due involucri possono essere diversi ma comunemente, si intende per facciata a doppia pelle quella costituita da due superfici distinte di vetro oppure da un involucro interno opaco (laterizio, legno, metallo) e da uno esterno trasparente (vetro). Le caratteristiche dei sistemi di facciata a doppia pelle possono essere così sintetizzate: • Basso coefficiente di trasmissione termica; in funzione delle proprietà tecniche del tipo di facciata (dimensione e ventilazione dell’intercapedine, tipologia delle vetrate
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
E.2. 1. A.ZIONI
• • • • •
•
– semplici o doppie – e posizione di queste rispetto all’intercapedine; spessore e caratteristiche tecniche del vetro) si può ottenere un valore della trasmittanza termica K fino a 0.50 W/m2 · K (come parametro di riferimento si consideri il coeffficiente di trasmissione termica di 0.90 W/m2 · K, relativo a una muratura a doppio strato di mattoni con interposto un materiale isolante; Basso coefficiente di trasmissione di energia solare (g = 0.10 – 0.12); – Recupero passivo di energia solare durante le stagioni invernali; Riduzione della trasmissione acustica; approssimativamente, tale diminuzione varia da 30-32 dB a 36-40 dB; Possibilità di ridurre o eliminare i ponti termici; Protezione della facciata interna dagli agenti atmosferici (pioggia, vento); Migliore abitabilità delle aree perimetrali interne situate in prossimità della facciata; la temperatura della pelle interna risulta simile a quella dell’intercapedine, diminuendo la sensazione spiacevole provocata dalla presenza di una superficie fredda a contatto con un ambiente riscaldato; Razionale recupero dell’energia luminosa all’interno dell’edificio attraverso l’illuminazione diffusa entro l’intero volume del vano retrostante l’involucro e con conseguente riduzione dell’utilizzo di luce artificiale. Attraverso la modulazione della direzione e dell’intensità di circolazione dell’aria si possono gestire le caratteristiche prestazionali dell’involucro; in particolare, la ventilazione degli ambienti interni, il controllo delle dispersioni termiche invernali e del surriscaldamento estivo, con la possibilità di mediare inoltre tali parametri tra le condizioni diurne e notturne.
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TIPOLOGIE DI FACCIATA Le caratteristiche tecnologiche e architettoniche della struttura di supporto delle due superfici vetrate influiscono sulla conformazione e dimensione delle intercapedini; si possono classificare i sistemi di facciata, in funzione dei tipi di camera d’aria configurabili, secondo tre tipologie:
G.ANISTICA URB
• Sistemi a tutta superficie; in questa tipologia di facciata l’involucro esterno risulta indipendente rispetto a quello interno, creando una quinta architettonica completamente separata dall’edificio. L’intercapedine che si crea è di tipo continuo e si sviluppa senza soluzioni di continuità lungo tutta la superficie di facciata. Le intercapedini possono essere dimensionate con spessori tali (80-90 cm) da assumere l’aspetto e la funzione di serre, con la possibilità di contenere percorsi grigliati ai vari livelli dell’edificio. I serramenti della facciata interna, completamente apribili, possono essere sia ad anta sia scorrevoli, permettendo la ventilazione naturale degli ambienti attraverso l’intercapedine e l’accesso diretto a quest’ultima attraverso i percorsi esterni. La facciata esterna può essere costituita da pannelli fissi o da elementi apribili (frangisole in vetro, serramenti) in funzione delle caratteristiche tecniche e strutturali che la definiscono. In fase di gestione, la presenza di percorsi interni all’intercapedine e la completa ispezionabilità di entrambe le facciate semplifica le operazioni di manutenzione evitando anche l’onere di eventuali ponteggi esterni. La notevole distanza tra le due facciate può però agevolare l’ingresso nell’intercapedine di agenti inquinanti, con il conseguente aumento dei costi per la pulizia delle superfici interne. A queste tipologie di involucro appartengono anche le facciate in vetro applicate nelle ristrutturazioni di edifici esistenti; la nuova pelle, grazie alla sua struttura completamente separata dalla tradizionale chiusura verticale esterna, si adatta con semplicità al fabbricato, migliorando le prestazioni complessive dell’involucro senza vincolare le aperture e le caratteristiche architettoniche esistenti. • Sistemi a canali; la struttura di supporto della facciata esterna identifica, attraverso la sua conformazione fisica, dei canali di intercapedine orizontali o verticali; ad esempio, nel caso (più frequente) di canali orizzontali, corrispondenti generalmente allo sviluppo dell’interpiano, si avrà un numero di canali equivalente al numero dei livelli dell’edificio. Le dimensioni (profondità e larghezza) del canale di intercapedine dipendono dal tipo di supporto di facciata adottato e dalle caratteristiche dimensionali del telaio portante dell’edificio. Rispetto ai sistemi a tutta superficie i sistemi a canali non creano una facciata esterna completamente separata dal fabbricato: I’involucro esterno viene fissato a quello interno, solidale alla struttura portante dell’edificio, attraverso un telaio comune o elementi puntuali di collegamento. Lo spessore dell’intercapedine varia da 20 a 50 cm, riducendo in parte l’effetto architettonico della doppia parete. La facciata interna si compone da serramenti apribili, parzialmente o completamente, ad anta o scorrevoli utilizzabili per le operazioni di manutenzione; se realizzate, le parti fisse dell’involucro interno possono essere costituite da pannelli sandwich isolanti opachi (rivestiti in legno, metallo, cotto o materiale lapideo) o da vetrate fisse. Tali elementi possono essere applicati in ogni tipologia di facciata. La facciata esterna, in funzione delle caratteristiche tecniche delle vetrate che la costituiscono e del telaio con cui è realizzata può essere anche apribile verso l’interno. Anche in fase di esercizio, nelle operazioni di pulizia e manutenzione (sostituzione e ripristino), i costi risultano contenuti in quanto si ha la possibilità di agire su entrambe le facciate direttamente da ogni livello di solaio, riducendo al minimo l’uso di ponteggi. • Sistemi a singoli elementi; I sistemi a singoli elementi sono costituiti dall’aggregazione di celle vetrate indipendenti tra loro che individuano singole unità di facciata. Di conseguenza, I’intero involucro dell’edificio è caratterizato dal sequenziale accostamento di celle aventi intercapedini indipendenti tra loro. La maglia strutturale dell’edificio influisce quindi in modo determinante sulla compartimentazione
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA Schemi di funzionamento di un edificio con la facciata a doppia pelle: 1. Effetto tampone: lo spazio tampone dovuto alla facciata a doppia pelle minimizza le perdite termiche. 2. Accumulo termico: 2a. In estate l’inerzia termica delle strutture massive è utilizzabile per assorbire il calore in eccesso e mantenere una temperatura più fresca all’interno durante in giorno. L’edificio è raffrescato di notte per effetto della ventilazione trasversale. 2b. In inverno, il calore assorbito dalla massa termica di notte è irradaito nelle stanze durante il giorno. 3. Effetto schermante: schermature mobili integrate nella doppia facciata possono essere movimentate sia singolarmente da ogni occupante dell’edificio, al pari delle finestre, sia da un sistema di controllo centralizzato. 4. Ventilazione trasversale naturale: la pressione negativa, dovuta al moto ascensionale naturale dell’ aria nell’intercapedine della facciata è utilizzata per introdurre aria fresca all’interno dell’edificio. Quando le finestre su ambedue le esposizioni vengono aperte, si produce una ventilazione trasversale nell’edificio. Il movimento d’aria è poco influenzato dalle condizioni esterne a causa della differenza di pressione che si realizza nell’intercapedine vetrata rispetto allo spazio interno.
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I E.9. NTI TECNIC IMPIA
ICO . LIMAT E.2.1 CCIO BIOC IONE Z O A APPR ROGETT P A ALLA ETTONIC IT ARCH
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E.2. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA ➦ SISTEMI SOLARI PASSIVI ➦ FACCIATA A DOPPIA PELLE dell’intercapedine, che seguirà la scansione degli elementi portanti del fabbricato a cui si fissano le celle. Come nel sistema a canali, la tipologia del telaio che sostiene entrambe le facciate vincola la profondità dell’intercapedine che generalmente non supera i 30 cm. L’involucro esterno può essere continuo o strutturale; in entrambi i casi, si possono predisporre sistemi di apertura per facilitare le operazioni di pulizia e manutenzione sia della facciata interna che di quella esterna. Sono presenti inoltre dei sistemi misti costituiti, ad esempio, da singole celle alternate a canali verticali; questi ultimi si sviluppano lungo tutta l’alteza dell’edificio e svolgono solamente la funzione di recupero dell’aria calda dalle celle adiacenti convogliandola verso l’esterno o verso accumulatori di calore. PRINCIPI DI FUNZIONAMENTO Gestendo le condizioni interne di movimento o inerzia dell’aria presente nell’intercapedine, si rende la facciata attiva in funzione delle variazioni climatiche esterne modificando le prestazioni complessive dell’involucro. Il movimento dell’aria è ottenuto sfruttandone l’effetto naturale di risalita (effetto camino) causato dal suo surriscaldamento a opera della radiazione solare incidente e generato dalla differenza di temperatura e di pressione presenti all’interno e all’esterno dell’intercapedine; in alternativa, o per ottimizare le prestazioni offerte dal movimento naturale dell’aria, si può inserire all’interno dell’intercapedine una ventilazione artificiale prodotta da impianti meccanici. Le aperture per l’afflusso e il deflusso dell’aria all’interno dell’intercapedine sono poste nella facciata esterna e vengono comandate elettronicamente attraverso un sistema di rilevazione che verifica e corregge la loro permeabilità in funzione delle condizioni termiche, solari e di pressione esterne; in aggiunta, possono essere realizzate anche in facciata interna, al fine di ottenere una ventilazione naturale degli ambienti dove l’aria entrante e uscente viene costantemente estratta e immessa nell’intercapedine. Nei sistemi a tutta superficie o a canali verticali si può creare il rischio di commistione tra l’aria espulsa dai locali inferiori e quella immessa nei locali superiori; tale problema non sussiste in caso di sistemi a canali orizzontali e a singoli elementi, dove l’aria di intercapedine circola solamente in corrispondenza di ogni piano di edificio. Chiudendo le griglie di immissione e uscita della facciata esterna si impedisce l’ingresso di aria fredda nell’intercapedine; contestualmente viene ridotta la circolazione e la velocità dell’aria presente all’interno dei due involucri creando un cuscinetto isolante che migliora le prestazioni termiche della facciata. La ventilazione dell’intercapedine, anche se ridotta al minimo, deve essere sempre presente per evitare la formazione di condensa. La temperatura dell’aria interna di intercapedine, riscaldata dai raggi solari incidenti, si attesta in un valore intermedio tra esterno e interno dell’edificio; tale calore accumulato viene ceduto ai locali del fabbricato attraverso la superficie dell’involucro interno; inoltre, le aree perimetrali dei vani adiacenti la facciata divengono maggiormente abitabili, riducendo l’effetto negativo prodotto da un ambiente caldo a contatto con una superficie fredda. Nelle facciate con sistemi a tutta superficie le dimensioni dell’intercapedine (profondità e altezza) risultano tali da non riuscire a realizzare un vero e proprio cuscinetto isolante con il conseguente continuo movimento dell’aria e il suo minore riscaldamento a opera dei raggi solari incidenti. Al contrario, i sistemi a canali e a singoli elementi, dotati di intercapedini di spessore e dimensioni ridotte, riescono a scaldare, attraverso la radiazione solare, con più facilità e più velocemente l’aria presente al loro interno. Il calore accumulato dalla facciata nei periodi invernali può essere trasferito direttamente agli impianti di riscaldamento, contribuendo a ridurre il consumo energetico totale dell’edificio. Aprendo i dispositivi di ventilazione della facciata esterna, nei periodi di forte irraggiamento solare, i moti convettivi generati dall’aria fresca entrante e dall’aria calda uscente raffreddano la pelle interna dell’edificio. In condizioni climatiche in cui il calore risulti elevato, per ridurre il surriscaldamento dell’aria all’interno dell’intercapedine, si può suddividere la pelle esterna in lamelle mobili o ante apribili (Fig. E.2.1./61). Questo sistema di aperture risulta vantaggioso soprattutto per i sistemi di facciata a tutta superficie in edifici di notevole altezza; la temperatura dell’aria presente nell’intercapedine ai piani più alti risulta infatti elevata con la conseguente diminuzione dell’effetto di raffrescamento. La compartimentazione della facciata (sistemi a singoli elementi o sistemi a canali) viene privilegiata in caso di temperature esterne elevate, in quanto l’aria tende a riscaldarsi progressivamente con l’aumento dell’altezza. Attraverso l’uso di lamelle in vetro, orientate secondo la direzione di riflessione dei raggi luminosi incidenti, si può ridurre la quantità di radiazione luminosa che colpisce la parete interna, evitandone il surriscaldamento e annullando l’effetto di abbagliamento che la radiazioni solari dirette producono all’interno dell’edificio. Con l’apertura delle griglie di aerazione della facciata interna si controlla la ventilazione degli ambienti adiacenti l’involucro; tali dispositivi, posti al livello del pavimento per l’ingresso di aria fresca e pulita, e del soffitto per l’emissione di aria calda di rifiuto, contribuiscono, insieme ai sistemi di condizionamento, a ridurre la temperatura interna dell’edificio. I sistemi a tutta superficie, ammettendo l’apertura diretta sull’intercapedine di elementi finestrati, possono evitare il contributo degli impianti di condizionamento; al contrario, i sistemi a canali o a singoli elementi devono avvalersene necessariamente in quanto le griglie di aerazione non sono sufficienti per il completo ricambio d’aria e l’abbassamento della temperatura interna. La ventilazione dei locali interni e dell’intercapedine può essere controllata, oltre che durante l’anno solare, anche nell’arco dell’intera giornata, seguendo le escursioni termiche che si alternano nel passaggio dalla condizione diurna a quella notturna.
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Ampie dimensioni degli elementi di afflusso e deflusso della facciata esterna facilitano il ricambio dell’aria all’interno dell’intercapedine, ma in circostanze esterne sfavorevoli provocano ripercussioni negative sull’isolamento acustico. DISPOSITIVI DI PROTEZIONE SOLARE Generalmente, i dispositivi di protezione solare (persiane orientabili, avvolgibili, frangisole) delle facciate a doppia pelle vengono inseriti all’interno dell’intercapedine; essi, orientati in funzione della direzione dei raggi luminosi, contribuiscono alla determinazione delle condizioni di temperatura e illuminazione dei vani interni. Nelle stagioni calde, la posizione migliore per inserire gli elementi di schermatura, soprattutto nelle facciate poste a Est o a Ovest dove il sole è crescente o calante, risulterebbe essere quella esterna rispetto al doppio involucro. Con sistemi oscuranti esterni le radiazioni solari vengono infatti intercettate dalla schermatura prima di raggiungere l’edificio. Il costo della manutenzione e della gestione di sistemi di oscuramento posti in tale posizione rispetto alla facciata risulta essere però notevolmente superiore rispetto a quelli inseriti nell’intercapedine in quanto maggiormente esposti agli agenti atmosferici e difficilmente raggiungibili; inoltre, in edifici che si sviluppano oltre i tre piani fuori terra essi vengono generalmente investiti da venti anche di forte intensità diventando pericolosi e di precario funzionamento. A causa di questi fattori negativi si rende conveniente l’inserimento dei dispositivi di protezione solare all’interno della facciata, adottando però quelle soluzioni che permettano, attraverso un sistema di elementi orientabili, di riflettere verso l’esterno dell’edificio i raggi luminosi incidenti, riducendo il surriscaldamento dell’aria di intercapedine. Nelle stagioni fredde invece, i sistemi di oscuramento interni alla facciata risultano essere molto efficaci in quanto gli elementi che li compongono si comportano come radiatori che assorbono le onde corte e le alte frequenze e le trasformano in radiazioni a lunga frequenza o onda lunga, con conseguente produzione di calore trasferito all’aria di intercapedine. FIG. E.2.1./51 SCHEMA DI FACCIATA A DOPPIA PELLE
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
E.2. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
SERRA ADDOSSATA Una delle più interessanti tecniche per lo sfruttamento “passivo” dell’energia solare per il riscaldamento invernale nell’edilizia esistente è quella della realizzazione di una “serra aggiunta” (dall’ inglese: “attached greenhouse”). Questo si ottiene applicando a una parete dell’edificio una struttura trasparente che permetta che si produca l’”effetto serra”, in altre parole che le radiazioni emesse dalla parete che riceve i raggi solari siano in larga parte intercettati dalla superficie trasparente, che è tale rispetto ai raggi solari (radiazioni visibili e infrarosse “vicine”), mentre risulta opaca rispetto alle radiazioni emesse dalla parete (infrarosso “lontano”). Questo complesso di fenomeni fa sì che la temperatura della parete e dell’aria dentro la serra risultino più alte rispetto a quella che si avrebbe in assenza della serra, con conseguente diminuzione delle dispersioni di calore attraverso la parete. In Fig. E.2.1./52 sono riportati alcune delle configurazioni più frequenti. Gli schemi a, b e c indicano tipiche configurazioni in pianta, con tre, due o una sola parete verticale trasparente. Gli schemi 1, 2, 3 e 4 indicano invece tipiche sezioni con piani verticali ortogonali rispetto alla parete principale, con superfici trasparenti orizzontali presenti o meno, e con superfici, sia orizzontali sia verticali, più o meno estese. La gran parte delle situazioni possibili è data dalla combinazione di uno degli schemi in pianta con uno di quelli in sezione. In realtà la pratica di installare chiusure trasparenti che delimitano e creano nuovi spazi chiusi è molto diffusa. Nella quasi totalità dei casi, tuttavia, si tratta di interventi che hanno come fine l’ampliamento, spesso abusivo, della superficie coperta a spese di balconi e terrazze, senza alcun obiettivo di risparmio energetico. Anzi, a volte questi interventi si risolvono in un aumento dei consumi energetici, in quanto si estende il riscaldamento dell’abitazione anche a questi nuovi spazi, che, a causa del tipo di chiusura (di solito serramenti di bassa qualità) richiedono molta energia per essere riscaldati, specie se esposti a Nord. Il rendimento energetico della serra dipende da due fattori: • dal miglioramento dell’isolamento termico della parete esterna, perché la serra rappresenta uno spazio non riscaldato che funziona come uno spazio tampone dal punto di vista termico. Si risparmia energia perché la differenza fra la temperatura all’interno dell’abitazione e quella nella serra è minore rispetto alla differenza di temperatura tra abitazione e spazio aperto. Effetto che non dipende dalla radiazione solare o dall’orientamento della costruzione. La struttura vetrata inoltre, può ridurre la trasmissione del calore e le relative perdite dovute alla ventilazione; • dall’aumento della temperatura dovuto alla radiazione solare che entra attraverso le superfici vetrate della serra. Ci sono metodi diversi per trasmettere quel calore all’interno della casa. Una parte della radiazione solare entra nell’abitazione direttamente attraver-
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
PORTA FINESTRA CHIUSURA TRASP. CHIUSURA OPACA CHIUSURA VERTICALE TRASPARENTE
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
SOLE SOLE
G.ANISTICA
ARIA CALDA
URB CALORE ARIA FREDDA INVERNO - GIORNO
ESTATE - GIORNO E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
ARIA CALDA CALORE ARIA FREDDA INVERNO - NOTTE
Per parlare di interventi efficaci dal punto di vista energetico si devono osservare alcune regole: a) La parete, e di conseguenza la serra, devono essere orientate verso Sud, con una tolleranza di più o meno 30-40°. Assolutamente da evitare gli orienta-
IN SEZIONE
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menti Est e, ancora di più, Ovest, che provocherebbero surriscaldamenti difficili da controllare ed eliminare. Una esposizione a Nord non pone, ovviamente, problemi di surriscaldamento, ma riceve, nei mesi invernali, radiazione solare in quantità molto modesta. b) Il volume della serra non deve essere riscaldato o raffrescato artificialmente. Questo comporta che le condizioni termiche all’interno della serra non siano sempre confortevoli: tipicamente ci saranno periodi della giornata con temperature troppo alte (primo pomeriggio), e periodi con temperature troppo base (ore notturne). In altri termini la serra non sarà sempre utilizzabile in condizioni di comfort. c) L’efficacia della serra risulterà tanto maggiore quanto maggiore è la capacità termica al suo interno, come nel caso in cui la parete cui è addossata e il pavimento siano pesanti. Quando ciò si possibile, ad esempio quando non vi siano problemi di tipo statico, o legati all’ingombro, si può pensare all’inserimento di capacità termiche aggiuntive, quali, ad esempio, contenitori pieni di acqua, possibilmente di colore scuro. Elevata capacità termica comporta limitata escursione termica, vale a dire temperature più stabili dentro la serra.
C)
4)
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE
ESTATE - NOTTE
so le superfici vetrate della parete divisoria, ed è assorbita dalle superfici interne della zona abitata e trasformata in calore (rendimento termico diretto).
B)
2)
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
IN PIANTA
1)
I ED PRE NISM ORGA
SCHERMATURA COPERTURA TRASPARENTE SCHERMATURA PARETE
FIG. E.2.1./52
A)
B.STAZIONI DILEGIZLII
FIG. E.2.1./53
d) La serra deve essere ventilabile. Per limitare i surriscaldamenti nelle stagioni intermedie e, soprattutto, d’estate, l’aria calda che si forma all’interno della serra deve essere espulsa e sostituita con aria esterna. Di conseguenza la struttura della serra deve essere quanto più possibile apribile, consentendo una accentuata variabilità di assetto: da molto chiuso in
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E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
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E.2. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA ➦ SISTEMI SOLARI PASSIVI ➦ SERRA ADDOSSATA inverno, a molto aperto in estate. Oltre alla ventilazione naturale, ottenuta tramite l’apertura delle superfici trasparenti, si può prevedere una ventilazione forzata, per mezzo di aeratori motorizzati. La ventilazione della serra è indispensabile non solo per ragioni di comfort, ma anche per garantire i necessari ricambi d’aria agli ambienti che sulla serra si affacciano. Inoltre si possono verificare fenomeni di condensazione del vapore sulle superfici più fredde, specie se l’ambiente della serra è molto umido, ad esempio per la presenza di piante. Per risolvere il problema è necessario assicurare adeguati ricambi dell’aria interna, calda e umida, con quella esterna. e) Sempre per ragioni di comfort la serra deve essere munita di schermature mobili per la protezione delle superfici trasparenti, in particolare quelle orizzontali e quelle verticali con esposizione Ovest, dai raggi solari nei periodi caldi. Tali schermature possono essere di moltissimi tipi, quali tende, veneziane, pannelli, vegetazione, ecc. Affinché esse siano efficaci è opportuno che siano collocate all’esterno delle superfici trasparenti e che siano di colore chiaro. f) Come ultimo, ma certo non per importanza, requisito, si deve assicurare una gestione corretta della serra, che va considerata alla stregua di una macchina. Gli abitanti devono capire il funzionamento di tale macchina e sapere come modificarne l’assetto in funzione delle condizioni ambientali esterne. Nella figura sono riportati, a titolo d’esempio, alcuni assetti-tipo di una serra dotata di tutti gli elementi indicati. Come si vede, anche la corretta gestione delle aperture tra serra ed ambiente interno è importante. Tali aperture (tipicamente porte-finestre o finestre) dovrebbero essere dotate di chiusure trasparenti e di pannelli opachi (imposte o serrande), che permettano un maggiore o minore accoppiamento tra i due ambienti. Come materiali trasparenti si possono usare il vetro o il policarbonato scatolare. Quest’ultimo presenta vantaggi di costo e di leggerezza, ma è translucido, e quindi non permette una buona visione, e risulta molto rumoroso in caso di pioggia o, peggio, grandine, qualora lo si usi per la copertura della serra. Per assicurare un buon comportamento termico e per ridurre il pericolo di condensa superficiale. È raccomandabile l’uso di vetrocamera. Per le coperture, poi, si deve assolutamente impiegare cristallo anti-sfondamento. I telai possono essere realizzati in vari materiali, come per le finestre: legno, PVC, alluminio. Sempre per ridurre le dispersioni di calore e i problemi di condensa, almeno nelle zone più fredde, è consigliabile l’uso di profili con taglio termico. La copertura della serra costituisce la parte più delicata dell’intero sistema. Come si è detto, infatti, le superfici orizzontali sono quelle che ricevono la maggiore quantità di radiazione solare nei mesi estivi, e devono quindi essere schermate rispetto ai raggi solari e, se possibile, essere apribili. Per ottenere l’operabilità delle superfici orizzontali si può ricorrere a pannelli scorrevoli, come quelli indicati schematicamente in figura, che possono essere raccolti “a pacchetto” sotto i primi, fissi e ancorati alla parete. In questo modo si può ottenere che due terzi, o tre quarti, della superficie sia aperta. In realtà, per consentire il deflusso delle acque piovane la copertura non potrà essere orizzontale, ma presentare un’inclinazione verso il bordo esterno, dove sarà presente una gronda di raccolta. Nel caso di pannelli scorrevoli, se il movimento è attuato manualmente, tale inclinazione non dovrà superare il 5-6%. Nel caso di movimentazione motorizzata si potranno usare inclinazioni maggiori. La schermatura si può ottenere mediante tende da sole avvolgibili, che scorrano su guide appoggiate alla struttura, all’esterno delle lastre trasparenti. L’apertura delle pareti verticali presenta problemi più modesti, e si può ottenere in vari modi, ad esempio con aperture “a libro”, che permettono di raccogliere più pannelli in uno spazio ridotto.
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FIG. E.2.1./54
A
B
Serra con parete di accumulo
Serra con guadagno diretto
TIPI DI SERRE
Logge e balconi vetrati Caratteristiche: in case a più piani le strutture vetrate sono separate l’una dall’altra da solai; la loggia vetrata corrisponde alla serra incorporata, il balcone vetrato corrisponde alla serra addossata; sono strutture lunghe, profondità da ca. 1,5 a 2,5 m, di solito l’altezza è limitata a un piano; Orientamento: da Sud-Est a Sud-Ovest; • non è necessaria una eccessiva massa di accumulo del calore. Problema principale: • il surriscaldamento. Requisiti: • superfici a Sud completamente o parzialmente vetrate (il parapetto può essere opaco); • copertura inclinata possibilmente opaca; • superfici laterali trasparenti, opache o incorporate • buoni sistemi di ombreggiamento; • possibilità di un’efficiente ventilazione trasversale; • aperture negli ambienti confinanti che danno sull’esterno, se non sono possibili, occorre provvedere a vetrate smontabili, scorrevoli o ribaltabili per poter utilizzare la serra anche nei mesi estivi;
Esiste un gran numero di forme diverse di strutture vetrate che ampliano lo spazio abitabile di una casa. Tuttavia ci sono alcuni tipi principali: La serra addossata (chiamata anche “veranda solare”) Caratteristiche: copertura vetrata o opaca con isolamento; pareti laterali vetrate o opache con isolamento; profondità di 2,5 m ca., area di 10 m2 ca., sono possibili strutture a più piani, rapporto profondità: larghezza –1:3 (rapporto più favorevole); orientamento: da Sud-Ovest a Sud-Est; rapporto superficie/volume alto; esposizione al vento. Problemi principali: d’inverno le temperature notturne possono scendere notevolmente; d’estate si surriscalda e necessità di ombreggiamento in caso di coperture realizzate convetrate; Requisiti per realizzazioni delle coperture opache: le pareti a Est e a Ovest se trasparenti vanno protette dal sole tramite appositi sistemi di ombreggiamento; utilizzare, per il pavimento della serra e la parete divisoria tra veranda e casa, materiali capaci di accumulare il calore. Requisiti per realizzazioni delle coperture vetrate: altezze maggiori possibili; ombreggiamento della copertura; aperture nella parte superiore; pareti e pavimenti con elevata capacità di accumulare il calore; gli ambienti confinanti del secondo piano devono avere aperture verso l’esterno. La serra incorporata Caratteristiche: larghezza di 3 m ca., profondità di 2,5 m ca., sono possibili strutture a più piani; orientamento da Est a Ovest; è possibile anche l’orientamento verso Nord se la costruzione serve come spazio tampone; escursioni termiche più contenute rispetto alla serra addossata; è possibile la coltivazione delle piante durante tutto l’anno. Problemi principali: pericolo di surriscaldamento in estate anche dei locali confinanti Requisiti: pareti vetrate, copertura vetrata o opaca a seconda della quantità desiderata di luce naturale; pavimenti e, in caso di copertura vetrata, anche pareti con elevata capacità di accumulare il calore; necessità di ombreggiamento delle superfici vetrate verticali; grandi aperture di ventilazione (sia nella copertura sia nelle pareti); aperture verso l’esterno degli ambienti confinanti. Questo tipo non si trova quasi mai nella sua forma integrale. Serra parzialmente incorporata Caratteristiche: profondità di ca. 3 m, area di ca 10 m2, sono possibili strutture a più piani; orientamento: da Sud-Est a Sud-Ovest; rapporto favorevole tra superficie esposta al sole e volume; Problemi principali: necessità di ombreggiamento in caso di copertura vetrata; Requisiti: come la serra addossata.
Serra ad angolo Caratteristiche: profondità di 3 m ca., area di 10 m2 ca., sono possibili strutture a più piani; orientamento da Sud-Est a Ovest; protezione dal vento; protezione dal gelo; Problemi principali: necessità di ombreggiamento in caso di copertura vetrata; ventilazione trasversale nei mesi estivi; ombreggiamento da parte dell’edificio. Requisiti: simili a quelli della serra addossata; aperture negli ambienti confinanti che affacciano verso l’esterno. “Bow-window” Caratteristiche: vedi la loggia o il balcone vetrati, ma con dimensioni più piccole e spesso non adibito alla permanenza di persone. Se la serra è concepita quale collettore, occorre assicurare un efficace scambio termico con lo spazio abitabile adiacente, per convezione o conduzione. Le forti variazioni di temperatura di cui prima si diceva possono essere limitate collocando nello spazio-serra opportune masse di accumulo (murarie o d’acqua) che funzionano quale volano termico. In presenza di sole, parte della energia termica entrante va a riscaldare l’aria ambiente, parte va a riscaldare le masse di accumulo: la temperatura dell’aria raggiunge così livelli meno elevati. In assenza di sole, le masse di accumulo restituiscono all’ambiente l’energia termica immagazzinata mantenendo la temperatura dell’aria a livelli accettabili per un certo tempo residuo. L’efficacia del volano termico dipende dalla quantità delle masse di accumulo e dallo loro natura (in particolare dalla capacità termica del materiale).
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
E.2. 1. A.ZIONI
FIG. E.2.1./55
pc sv
dv 1
dv
sv 2
sv
dv
dv
3
dv 4
sv
sv 5
dv 6
dv special sv 7
di chiusura assicuri un coefficiente di trasmissione termica sufficientemente basso, od anche tende di idonei materiali termoisolanti (fibra di vetro, tessuti plastici, tessuti di alluminio, ecc.), che presentano diversi coefficienti di trasmissione alle radiazioni infrarosse, ultraviolette e alla luce visibile. In entrambi i casi, trattandosi di sistemi mobili, è necessario prevedere sistemi di comando manuali od elettrici, nonché opportuni spazi di raccolta dei brise-soleil e/ o delle tende, spazi che, essendo ubicati preferibilmente all’estemo della serra, devono essere adeguatamente protetti dagli agenti atmosferici. Se le superfici da schermare sono abbastanza ampie, il volume di ingombro per la raccolta degli elementi schermanti è tutt’altro che trascurabile e quindi deve essere previsto e risolto in sede di progettazione. Nel caso in cui la serra sia concepita quale collettore, si presentano tutti i problemi sopra descritti, anche se in misura meno accentuata. Se lo scambio termico fra spazio-serra e gli ambienti adiacenti deve avere luogo più rapidamente, occorre prevedere adeguate aperture nella parete di contatto per dare luogo a moti convettivi dell’aria. Al fine di assicurare condizioni di comfort nell’ambiente adiacente alla serra, è bene che le masse di accumulo siano collocate nell’ambiente stesso. Inoltre, poiché l’efficacia della massa di accumulo è migliore quando essa viene colpita direttamente dalla radiazione solare, è opportuno che le masse di accumulo della serra siano in diretta comunicazione con quelle dell’ ambiente adiacente, anche a mezzo di canalizzazioni dotate di ventole, se il percorso dell’aria è lungo. Vantaggi • la serra costituisce comunque uno spazio cuscinetto fra l’ambiente estemo e l’intemo dell’edificio, migliorandone le condizioni di comfort; • la serra si presta a essere addossata a edifici preesistenti, migliorandone le prestazioni temmiche; • la serra consente le coltivazioni di piante e ortaggi, con vantaggi di ordine economico che si sommano a quelli derivanti dal risparmio energetico.
mobili (brise-soleil) che impediscano l’incidenza della radiazione solare sulle superfici vetrate. Nel secondo caso, soprattutto nelle zone climatiche fredde e temperate, è opportuno prevedere una schermatura mobile isolante al fine di ridurre la trasmissione termica attraverso i vetri (e la struttura portante della serra) quando la temperatura estema è più bassa di quella intema. A tal fine possono essere usati gli stessi brise-soleil prima menzionati, purché la loro struttura e il loro sistema
Svantaggi • costo relativamente elevato, quando la serra funziona solo quale collettore e non costituisce una estensione dello spazio abitabile; • necessità di sistemi di controllo abbastanza laboriosi (come detto precedentemente) al fine di evitare fenomeni di surriscaldamento e di trasmissione termica; • nei climi freddi, la coltivazione delle piante aumenta il tasso di umidità nella serra e può provocare fenomeni di condensa sulla parete cui la serra è addossata; • la serra, sia che venga usata come collettore, sia (e ancor più) se costituisce una estensione dello spazio abitabile, pone nei problemi nei confronti degli strumenti urbanistici vigenti e degli indici (di fabbricabilità, di copertura, ecc.) da essi stabiliti. In carenza di una regolamentazione specifica, può verificarsi il caso che il volume della serra venga considerato “volume costruito” a tutti gli effetti, con conseguente riduzione del volume edilizio vero e proprio.
È di aiuto considerare un atrio come un’evoluzione di uno spazio aperto che deve fornire all’edificio luce e ventilazione naturale e, se esposto a sole invernale, utili guadagni termici passivi. Un atrio è un ambiente la cui tradizionale funzione è quella di zona-filtro per il passaggio e la distribuzione delle diverse attività di un grande edificio, e quando assume considerevole ampiezza ed è coperto da una grande vetrata, può essere considerato come sistema solare passivo, purché al suo interno si verifichino i fenomeni dell’effetto serra in inverno e dell’effetto camino durante l’estate: queste condizioni infatti sono determinanti affinché — con un piccolo impianto ausiliario — si riesca a ottenere un buon livello di comfort. La costruzione di un atrio accanto a un edificio non porta automaticamente a risparmi energetici. Il consumo ener-
getico di un edificio di questo tipo può essere superiore a quello di un edificio simile sprovvisto di atrio. Ciò è dovuto all’incremento dell’energia occorrente per l’illuminazione artificiale. Per la ventilazione meccanica e talvolta per il raffrescamento. L’atrio può inoltre consumare energia se è a sua volta, illuminato artificialmente e condizionato. Per essere certi che la presenza di un atrio non incrementi il consumo energetico dell’edificio originario occorre osservare le seguenti prescrizioni: • I livelli di luminosità diurna all’interno dello spazio vetrato devono essere resi massimi mediante l’uso di finiture riflettenti e di vetri chiari. Questi accorgimenti permettono alle stanze adiacenti di essere illuminate ed eliminano la necessità di illuminare l’atrio artificialmente durante il giorno; • L’atrio deve avere una circolazione di aria esterna
Variazioni di temperatura interna per una serie di serre con la stessa configurazione, in funzione del tipo di vetratura e di parete di separazione. I valori corrispondono alla seguente ipotesi: serra orientata a Sud, in una giornata serena di marzo, con una velocità del vento di 4 m/s. La serra non è riscaldata e ha una superficie di 10 m2 e un volume di 25 m3. Il tasso di ventilazione è di 0.7 vol/h. È addossata a un’abitazione di 200 m2, con 15 m2 di finestre a Sud, 10 m2 a Est, 10 m2 a Ovest e 5 m2 a Nord. La temperatura media di riferimento è di 18 °C durante la giornata. Il coefficiente di trasmissione termica è di 0.4 W/m2 K per le pareti e di 2.9 W/m2 K per i doppi vetri.
La sola presenza di massa di accumulo non consente, generalmente, di mantenere condizioni di benessere nella serra sia durante la stagione (o le ore) più calda, sia durante la stagione (o le ore) più fredda. Nel primo caso, soprattutto nei climi temperati o caldi, occorre prevedere dei sistemi di apertura delle parti vetrate che assicurino una adeguata ventilazione sfruttando il cosidetto “effetto camino” (aperture nella zona bassa e in quella alta della serra), e inoltre è opportuno prevedere una schermatura a elementi
ATRIO Una tipologia che è oggetto di particolare attenzione è quella dei così detti “edifici ad atrio”, nei quali gli ambienti affacciano verso l’estemo e/o verso un grande spazio interno, comprendente in altezza di più piani, coperto da superfici vetrate o comunque trasparenti. L’atrio, che è una vera e propria tipologia costruttiva, può essere considerato un sistema solare passivo quando siano usati particolari accorgimenti per adattare questa tipologia alle esigenze del risparmio energetico. L’aumento di temperatura in un atrio riduce le perdite di calore dell’edificio e può fornire tiepida aria di ricambio utile per ridurre il carico termico per ventilazione. Tuttavia, normative antincendio locali possono limitare queste possibilità di ventilazione. Le maggiori temperature unite alla protezione dalla pioggia e dal vento aumentano di molto la buona fruibilità di un atrio rispetto a uno spazio aperto.
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C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
ICO . LIMAT E.2.1 CCIO BIOC IONE Z O A APPR ROGETT P A ALLA ETTONIC IT ARCH
E 61
E.2. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA ➦ SISTEMI SOLARI PASSIVI ➦ ATRIO che permetta la ventilazione naturale delle stanze adiacenti se le locali normative sulla prevenzione degli incendi lo permettono; • Per prevenire il surriscaldamento in estate occorre realizzare schermature mobili e assicurare una ventilazione notevole. Funzionamento invernale L’effetto serra che si genera al suo interno garantisce il funzionamento invernale dell’atrio: la presenza delle ampie superfici vetrate sulla copertura e in posizione orizzontale ne assicura la capacità di captare elevati livelli di radiazione solare durante l’intero corso dell’anno, mantenendo le temperature più elevate, mentre le dispersioni termiche dall’involucro dell’edificio, a contatto con lo spazio vetrato, si riducono. Lo stesso ambiente può anche essere considerato come un esterno climatizzato, e perciò tiepido e protetto dalla pioggia. Anche se l’atrio non è riscaldato. La sua temperatura è sempre superiore alla temperatura ambiente. La differenza di temperatura dipende da diversi fattori: • il rapporto tra la superficie vetrata dell’atrio e la superficie dei muri esterni dell’edificio protetto dall’atrio; • Ia trasmittanza termica del muro di separazione tra l’atrio e l’edificio; essa dipende normalmente dalla quantità di vetrature nel muro; • l’orientamento, l’inclinazione e la trasmittanza delle vetrature esterne dell’atrio o della serra. Funzionamento estivo Il funzionamento estivo è più complesso. Onde evitare il surriscaldamento all’interno di un atrio si possono adottare tre accorgimenti diversi, la schermatura, la ventilazione e l’uso di masse termiche. La schermatura rappresenta il metodo più efficace perché riduce alla fonte l’ingresso delle radiazioni solari, e può anche abbassare le temperature effettive di 8 °C, mediante sistemi mobili, e così consentire l’ingresso della luce del sole durante l’inverno. La ventilazione può essere usata per sottrarre calore all’edificio quando la temperatura esterna è inferiore a quella dell’atrio. La ventilazione dell’atrio e dell’edificio può essere indotta mediante un effetto camino, ma le aperture necessarie alla sommità e alla base del camino devono avere una superficie tra il 5% e il 10% di quella della copertura vetrata. L’effetto camino funziona solo se la temperatura media dell’aria nel camino è maggiore di quella dell’aria ambiente. In estate essa può essere troppo elevata per avere condizioni di comfort. Tuttavia, di notte il calore immagazzinato negli elementi a forte inerzia termica, presenti nell’atrio, può creare l’effetto camino fornendo un utile raffrescamento. Una serie di finestre può spesso assolvere alle funzioni di ventilazione estiva e di sbocco per il fumo. Schermature e aperture possono essere mosse automaticamente e regolate da sensori termici. Vantaggi • Realizzazione di uno spazio semi-aperto riparato dal freddo e dall’umidità; • recupero dello spazio a terra “dell’atrio” per varie funzioni (circolazione pedonale, ristoranti, ricreazione, collocazione di fontane e di piante anche ad alto fusto); • uso dell’atrio per convogliare l’aria calda estratta dall’edificio oppure per preriscaldare l’aria destinata alla ventilazione degli ambienti; • riduzione delle dispersioni termiche nelle pareti prospicenti l’atrio; • riduzione dei costi di manutenzione delle stesse pareti, dato che sono protette dalle intemperie; • possibilità di schermare la copertura vetrata contro la penetrazione della radiazione solare diretta, al fine di evitare il surriscaldamento dell’aria.
FIG. E.2.1./56 EDIFICIO AD ATRIO Benefici ambientali di un atrio in confronto a una corte aperta
1 ventilazione trasversale 2 ventilazione da un solo lato 3 luce diurna
A sole in inverno, ombra in estate B preriscaldamento dell’aria di ricambio C riduzione delle perdite termiche D spazio utilizzabile
A
1
2
C
3
D
FIG. E.2.1./57
A
B
FIG. E.2.1./58 30
30 type C
20
20
Nomogramma per stimare la temperatura media in un atrio non riscaldato. La linea puntinata mostra un tipico esempio per un atrio di tipo A e C, (vedi figura) con una parete di separazione atrio/edificio, vetrata al 50%.
type A 10
10
0.25
0.75 1.25
4
2
1
3
1.5
0.75 1.25
0.25
6 2
scala A: vetro doppio esterno / vetro semplice di separazione scala B: vetro doppio / vetro doppio o vetro semplice / vetro semplice
10
0 0.5
4
scala C: vetro semplice esterno / vetro doppio di separazione
10
-10
scale B 0.5
1
1.5
3
0.75 1.25
0.25
6
2
4
scale C 0.5
1
Atrio nomogramma
E 62
C
Il rapporto tra la superficie vetrata esterna e la superficie della parete di separazione tra l’edifico e l’atrio, ha una forte influenza sulla prestazione termica del sistema.
scale A Svantaggi • Incremento dei pericoli derivanti dal fuoco e dal fumo, in caso di incendio; • necessità di ventilazione artificiale per gli ambienti affaccianti sullo spazio dell’atrio; • minore luminosità degli stessi ambienti, a causa dell’ingombro della struttura portante la copertura e della sua non perfetta trasparenza; • costo della copertura dell’atrio; • pericolo di surriscaldamento dell’aria dell’atrio stesso.
B
1.5
3
6
1 Tracciare un linea retta tra i punti che indicano il valore della temperatua esterna e della temperatura interna sulle rispettive scale. 2 Scegliere la scala relativa al tipo di vetro 3 Tracciare una linea verticale dal rapporto di superficie vetrata 4 Dall’intersezione tracciare orizzontalmente verso una delle due scale per detrminare la temperatura dell’atrio.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
A.ZIONI
STRUMENTI RILIEVO DEL PROFILO DELL’ORIZZONTE (METODO GRAFICO) Per comprendere quali sono gli effetti del sole sull’ubicazione e la progettazione dei luoghi, e tenerne debitamente conto, è necessario conoscere la posizione del sole nella volta celeste in ogni determinato momento. Questo dato è necessario per calcolare il guadagno termico solare e disporre conseguentemente gli edifici, gli spazi esterni, la disposizione interna delle stanze, le finestre, le schermature, la vegetazione e i collettori solari. Poiché il percorso del sole varia a seconda della posizione sulla superficie terrestre dalla quale esso viene calcolato, per le diverse latitudini sono necessari differenti diagrammi solari. Per determinare esattamente le ore del giorno in cui qualche ostacolo impedisce che la radiazione solare diretta raggiunga un punto di sito, è necessario disegnare questi ostacoli così come sono visti da quel punto. Ciò si fa disegnando il “profilo dell’orizzonte” direttamente sul diagramma solare. Se l’orizzonte verso Sud è basso, senza nessun ostacolo come alberi, edifici o ripide colline, la seguente procedura non è necessaria, dato che tutti i punti del sito riceveranno il sole durante l’inverno. Per rilevare il profilo dell’orizzonte, bisogna usare un teodolite o una bussola (per trovare gli angoli azimutali dell’orizzonte) e una livella (per trovare l’altezza dell’orizzonte), e una copia del diagramma solare per la latitudine della località in esame. Ci si deve porre nel punto del sito in cui si desidera porre l’edificio e disegnare il profilo dell’orizzonte (da quel punto) sul diagramma solare nel modo seguente:
E.2. 1.
FIG. E.2.1./59 (da Mazria, Edward, The Passive Solar Energy Book, Rodale Press, 1979)
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
Passo 1: E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
Usando il teodolite o la bussola, si determina in quale direzione è il Sud geografico. Passo 2: Rivolgendo il teodolite o la livella verso il Sud geografico, si determina l’altezza dell’orizzonte (angolo formato dall’orizzonte reale del sito con il piano orizzontale). Questo punto va segnato sul diagramma solare sopra l’angolo azimutale 0° (Sud geografico). (Fig. E.2.1./59)
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
FIG. E.2.1./60 (da Mazria, Edward, The Passive Solar Energy Book, Rodale Press, 1979)
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE
Passo 3: Procedendo in modo analogo, si determina e si segna l’angolo di altezza dell’orizzonte per ogni 15° (angolo azimutale) lungo l’orizzonte, sia a Est che a Ovest del Sud, per almeno 120°. Questi punti vanno segnati, sopra i rispettivi angoli azimutali, sul diagramma solare, e quindi si traccia la linea che li collega. (Fig. E.2.1./60)
E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM
Passo 4:
E.6. MIDA U ARIA
Per tutti gli oggetti alti isolati che bloccano il sole durante l’inverno, come alte piante sempreverdi, si determini l’altezza e l’angolo azimutale di ciascun oggetto e lo si segni sul diagramma.
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
Passo 5:
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
Infine, le piante caducifoglie vanno segnate sul diagramma in modo analogo, ma con una linea tratteggiata. Il profilo dell’orizzonte è ora completo. Le zone aperte sul diagramma solare indicano le ore in cui il sole raggiunge quel punto del sito.
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
ICO . LIMAT E.2.1 CCIO BIOC IONE Z O A APPR ROGETT P A ALLA ETTONIC IT ARCH
E 63
E.2. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA ➦ STRUMENTI PROSPETTIVE (ASSONOMETRIE) SOLARI L’assonometria solare consente di vedere l’edificio così come questo è “visto dal sole”. (Fig. E.2.1./61-62) Passo 1: Considerando l’obiettivo progettuale, determinare periodi critici del giorno e dell’anno per i quali si devono studiare le ombre. Prese le altezze solari e gli azimut del sole per i periodi interessati dai diagrammi solari, interpolando i dati se necessario, per ottenere i valori per latitudini intermedie. Passo 2: Selezionare la prima ora da analizzare. Quindi dalla tabella allegata, leggere i fattori di correzione verticale e orizzontale per l’altezza solare di riferimento.
Passo 6: Passando alla sezione verticale, prendere l’altezza “v” moltiplicata per il fattore di correzione verticale. Nel caso specifico moltiplicare per 0,91. Le altezze verticali si disegnano ovviamente in verticale con dimensione 0,91v. Unire i punti ottenuti per ottenere l’assonometria solare. Poiché il disegno ottenuto è una prospettiva così come la vedrebbe un osservatore posto
FIG. E.2.1./61 N
METODO PER DISEGNARE DA UNO SPECIFICO PUNTO DI VISTA Passo 1: Prendere i dati per disegnare l’assonometria solare per la seguente posizione del sole: Altezza solare 25° Azimuth solare –50°
N
(a)
50°
Passo 2: Prendere il fattori di correzione dalla tavola allegata. Fattore di correzione orizzontale 0,42 Fattore di correzione verticale 0,91.
Passo 4: Lasciando uno spazio sufficiente, disegnare in basso una linea di base orizzontale. Tracciare una linea verticale dai punti chiave alla linea di base.
(b)
Protezione del sole
Passo 3: Ruotando il foglio da disegno, disegnare la pianta correttamente orientata verso la direzione del sole, ponendo l’azimuth solare verticalmente.
sul sole, non si vedranno le ombre sulle superfici in vista. Ciò vuol dire che tutto ciò che è in vista è illuminato dal sole mentre ciò che non sarà visibile è in ombra. Procedendo in questo modo si può realizzare una seria di viste che posizionate come mostrato in figura, restituiranno con efficacia l’andamento delle ombre nei periodi prescelti.
Pianta corretta (c) hx0.42
Passo 5: Per ogni vertice, misurare la distanza equivalente alla distanza “h”. Disegnate ogni vertice della pianta dell’assonometria a una distanza = fattore di correzione orizzontale x h. Nel caso specifico a 0,42h dalla linea di base. Rimisurare “h” per ogni vertice. Linea base orizzontale
E 64
ANGOLI DI ALTEZZA SOLARE
FATTORE DI CORREZIONE ORIZZONTALE
FATTORE DI CORREZIONE VERTICALE
0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 90
0,00 0,09 0,17 0,26 0,34 0,42 0,50 0,57 0,64 0,71 0,77 0,82 0,87 0,91 0,94 0,97 0,98 1,00 1,00
1,00 1,00 0,98 0,97 0,94 0,91 0,87 0,82 0,77 0,71 0,64 0,57 0,50 0,42 0,34 0,26 0,17 0,09 0,00
FIG. E.2.1./62
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
E.2. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
METODO LT Il metodo LT (Lighting Thermal) sviluppato dall’Energy Research Group, University College Dublin, costituisce per il progettista uno strumento per valutare le prestazioni energetiche degli edifici confrontando varie ipotesi alternative. LT utilizza le curve del comportamento energetico elaborate da un modello matematico in cui la maggior parte dei dati sono predefiniti, lasciando al progettista la possibilità di variare alcuni parametri principali caratterizzanti l’edificio quali: isolamento dell’involucro, rapporto di vetratura delle facciate, orientamento delle stesse, sistemi di schermatura. Si ottengono in uscita, i consumi energetici annui per l’illuminazione, il riscaldamento e il raffrescamento. Questo metodo è stato perfezionato ampliandone il campo di applicazione dagli edifici per uffici a quelli misti sino a quelli residenziali. La Fig. E.2.1./64 è relativa al metodo LT4 specifico per la valutazione del riscaldamento degli edifici residenziali, per il quale, in tali edifici, l’energia è prevalentemente finalizzata. Data l’importanza del comfort estivo, è inclusa la determinazione di un indicatore del rischio di sovrariscaldamento. Il metodo LT non è da considerarsi tanto preciso da produrre un’accurata valutazione del comportamento di un dato edificio, bensì un metodo per confrontare soluzioni alternative, valutando anche il peso dei parametri coinvolti rispetto al risultato finale. Il metodo mostrato richiede solo l’uso di una calcolatrice e di una matita. Il metodo LT4 richiede i seguenti parametri in ingresso: 1. Il clima 2. la forma dell’edificio 3. la conduttanza termica delle pareti e del tetto 4. superficie e distribuzione delle vetrature 5. tipo di vetro (singolo, doppio o basso-emissivo) 6. infiltrazioni d’aria 7. presenza di serre solari 8. efficienza dell’impianto di riscaldamento Si 1. 2. 3.
ottengono le seguenti valutazioni parziali: perdite termiche dall’involucro perdite termiche per infiltrazioni d’aria risparmio di energia per guadagni solari e interni
B.STAZIONI DILEGIZLII
4. effetto tampone di eventuali verande solari 5. effetto dell’efficenza dell’impianto
I ED PRE NISM ORGA
Come uscita finale si ottiene: 1. consumo annuale di energia 2. consumo annuale di energia per metro quadro di pavimento Quest’ultimo valore permette di confrontare il comportamento di edifici differenti anche per forma e dimensione.
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
FIG. E.2.1./63
PRO TTURALE STRU
lighting power
E.NTROLLO daylighting heating
lighting gains
solar gain
cooling casual
conduction through glass
conduction through opaque
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ICHE TECN MA ONENTI, P COM
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ventilation heat loss
FIG. E.2.1./64 METODO LT E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
ICO . LIMAT E.2.1 CCIO BIOC IONE Z O A APPR ROGETT P A ALLA ETTONIC IT ARCH
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E.2. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA ➦ STRUMENTI NUOVO METODO 5000 Il Nuovo Metodo 5000 è un metodo di calcolo semplificato per la valutazine del carico termico mensile e annuale per il riscaldamento di un edificio unifamiliare o collettivo. Il nome deriva dal fatto che è stato originariamente elaborato per il concorso di progettazione “5000 maisons solaires” bandito nel 1980 dal Ministero dell’Urbanistica e dell’Edilizia francese. Il metodo in esame è stato, nel corso di questi anni, più volte verificato ed è pertanto garantita l’attendibilità dei risultati, con un margine d’errore dell’ordine del 5% circa. In particolare, il metodo permette di valutare i carichi termici mensili e annuali, per edifici in linea o per singole abitazioni, e definisce il fabbisogno energetico in riferimento agli apporti gratuiti di energia. Vengono infatti considerati dati inerenti il funzionamento dei principali sistemi solari passivi che, una volta elaborati, consentono di determinare l’effettivo contributo energetico dovuto al sole. Più precisamente, i dati necessari per i calcoli si possono così riassumere: (Fig. E.2.1./65)
FIG. E.2.1./65 NUOVO METODO 5000
A: CALCOLO DELLE DISPERSIONI TERMICHE
muri e tetti
finestre
pavimenti e ponti termici
attraverso spazi cuscinetto
infiltrazione e ventilazione
A1
A2
A3
A4
A5
somma delle dispersioni e calcolo di G A6
• dati ambientali e climatici che, oltre a comprendere i valori medi mensili della temperatura esterna e della radiazione solare, tengono in considerazione anche l’effetto delle ostruzioni esterne (colline, montagne, alberi, edifici, aggetti ecc.) mediante il fattore Sf.
fabbisogno mensile di riscaldamento senza guadagni solari o interni A7
• dati relativi all’ediflcio riassunti nell’unico valore φi che indica la quantità totale giornaliera di guadagni interni; • dati relativi alla tipologia costruttiva, l’area delle superfici opache e di quelle vetrate, i coefficienti di dispersione termica, la resistenza termica dei materiali ecc. Alcuni di questi dati possono influire direttamente sulla quantità di energia solare captata. È importante sottolineare che il Metodo 5000 consente, inoltre, di calcolare le dispersioni dell’edificio, arrivando a determinare quello che la normativa francese definisce coefficiente G. Tale coefficiente equivale al coefficiente di dispersione termica (Cd), definito dalle leggi italiane (legge 10/1991 e legge 373/1976), che stabilisce la qualità termica di un edificio imponendo un livello minimo di isolamento termico. Da ciò consegue che il Metodo 5000 può essere utilizzato anche per il calcolo del coefficiente di dispersione termica previsto dalla normativa italiana. Il fabbisogno energetico di un edificio viene, infatti, determinato a partire dagli apporti gratuiti di origine solare, superando il fattore correttivo per bilanciare gli sbalzi di temperatura dovuti ai contributi termici solari, tipico della legge 373/1976. Questa caratteristica qualifica ulteriormente il Metodo 5000 rendendolo conforme alle disposizioni della legge n.10 del 10 gennaio 1991 che definisce il nuovo Piano Energetico Nazionale, in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili. Il metodo è stato anche concepito in modo tale da permettere all’utilizzatore di acquisire consapevolezza del ruolo dei vari componenti dell’edificio nel determinare le prestazioni complessive dei relativi fenomeni termici. La versione informatizzata riproduce la procedura manuale in modo da avere la possibilità di valutare oltre ai dati complessivi (con grafici interattivi) anche quelli intermedi, al fine di fornire la comprensione dei fenomeni coinvolti a guidare progressivamente alla definizione della soluzione progettuale ottimale. Il calcolo presuppone che l’edificio sia dotato di un impianto di riscaldamento termostatato che si attiva quando la temperatura interna scende sotto a un valore prefissato e si spegne quando questa viene superata. Il carico termico ottenuto, rappresenta quindi una prestazione ottimale del sistema di riscaldamento. Questa assunzione ha il merito di rapportare i risultati esclusivamente alle caratteristiche dell’edificio e non a quelle dell’impianto.
B: CALCOLO DEI GUADAGNI SOLARI LORDI
serre addossate
finestre
finestre con serra addossata
muri massicci con serre
collettore ad aria a circuito aperto
preriscaleffetto damento cuscinetto dell'aria di ricambio
muro trombe
somma dei guadagni solari B
C: CALCOLO DEGLI APPORTI UTILI
TOTALE calcolo degli apporti interni: GUADAGNI LORDI calcolo dei guadagni solari mensili: calcolo della categoria di massa termica e determinazione del fattore di utilizzo guadagni utili = guadagni lordi x fattore di utilizzazione fabbisogno mensile di riscaldamento ausiliario-guadagni utili C
Schema 5000
E 66
muro solare a circuito aperto
muro massiccio
sistema BarraCostantini
CONTROLLO AMBIENTALE • ARCHITETTURA BIOCLIMATICA APPROCCIO BIOCLIMATICO ALLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
E.2. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
ENERGY-10 Energy-10 è un software in ambiente Windows per analizzare e graficizzare, il risparmio in termini di energia e di costi che si può ottenere con una dozzina di diverse strategie progettuali finalizzate al risparmio energetico. Simulazioni orarie aiutano a quantificare e riportare graficamente i benefici dovuti all’illuminazione naturale, ai sistemi solari passivi, alla ventilazione naturale, all’isolamento dell’involucro edilizio, agli infissi efficienti, al sistema di illuminazione artificale e all’impianto integrativo. Delle speciali funzioni permettono di valutare le scelte sin dalle prime fasi del processo progettuale. Il programma valuta edifici simulando una o due zone termiche, il chè lo rende adatto per edifici fino a 1.000 m2, o edifici che possono essere scomposti in multipli di una o due zone termiche della stessa misura. Questo significa che si possono simulare piccoli edifici commerciali e edifici pubblici come scuole, biblioteche, uffici, oltre che edifici residenziali. In alcuni minuti si ottengono simulazioni orarie e grafici relativi all’intero anno di funzionamento con valutazioni su base oraria, mensile o annuale dell’effettivo uso dell’energia e del carico termico con i relativi picchi di domanda.
Si può creare automaticamente un edificio di riferimento fornendo solamente cinque dati di ingresso: la localizzazione, la categoria di utilizzo, la dimensione, la tipologia d’impianto e il costo dell’energia. Gli output grafici permettono sin dalle prime fasi progettuali di rilevare dove si possono ottenere i maggiori risparmi di energia nel riscaldamento, raffrescamento e illuminazione. Intervenendo sull’edificio di riferimento si individua il risparmio energetico dovuto a ogni singola strategia e si rimodella l’edificio applicando le strategie più efficaci. Si ha anche la possibilità di dimensionare automaticamente l’impianto ausiliario calcolando le relative emissioni inquinanti (CO2, SO2 e NOX ). Il progetto è stato sviluppato dalla collaborazione tra il National Renewable Energy Laboratory, il Lawrence Berkeley National Laboratory, il Berkeley Solar Group e il Sustainable Buildings Industry Council, con il finanziamento del U.S. Department of Energy. Il software è reperibile presso il Sustainable Building Industry Council (SBIC), Washington DC, al sito www.SBICouncil.org.
FIG. E.2.1./66 GRAFICI DI OUTPUT PER L’ENERGIA CONSUMATA DALL’IMPIANTO SU BASE ORARIA
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
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FIG. E.2.1./67 RISPARMIO DI ENERGIA RELATIVO ALLE DIFFERENTI STRATEGIE APPLICATE
FIG. E.2.1./68 DUE GIORNI DI SIMULAZIONE ORARIA DI UN EDIFICIO
E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
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E 67
E.3. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI PRINCIPALI RIFERIMENTI NORMATIVI E STANDARD INTERNAZIONALI PRINCIPI GENERALI Con qualità dell’aria interna (IAQ) si intende l’insieme delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche dell’aria interna che possano influenzare il comfort e la salute degli occupanti limitatamente ai luoghi di lavoro nei quali non avvengano operazioni o processi di tipo industriale, o a uso residenziale. Per salute si intende lo stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non solamente l’assenza di disagi o malattie. (fonte [1]) I fattori interni ed esterni che influenzano la qualità dell’aria all’interno di un edificio sono da attribuirsi a diversi responsabili: il proprietario dell’edificio, il progettista, l’ingegnere impiantista, il manager, i manutentori e gli occupanti. Alcuni dei fattori che possono influenzare l’IAQ sono: • progetto dell’edificio e sua collocazione; • qualità dell’aria esterna; • valori di temperatura e umidità relativa dell’aria di mandata; • progetto e potenzialità dell’impianto; • ventilazione e tasso di aria di rinnovo;
• • • • • • • • •
strategie di controllo dell’impianto; prestazione della sezione filtrante; ore di funzionamento dell’impianto; procedure di pulizia e manutenzione dell’impianto; procedure di pulizia ordinaria dei locali, prodotti utilizzati; finiture interne (muri, pavimenti, partizioni ecc.); migrazione dei contaminati; livello di occupazione; attività svolte.
In questo settore dalle spiccate caratteristiche multidisciplinari architetti, ingeneri e costruttori possono intervenire: • adottando la qualità dell’aria interna come uno degli obiettivi del progetto; • assicurando almeno la conformità agli standard di ventilazione; • specificando i requisiti di bassa emissività nei progetti e acquistando dei prodotti a bassa emissività; • provvedendo a separare persone e fonti inquinanti;
• indicando il confinamento o la ventilazione di fonti inquinanti note; • mantenendosi al corrente delle nuove acquisizioni in tema di qualità dell’aria (interior design, sistemi di trattamento dell’aria ecc.). Deve essere inoltre compito delle associazioni di progettisti di: • adottare norme per la progettazione, la costruzione e requisiti di ventilazione finalizzati ad assicurare la qualità dell’aria interna; • adottare procedure di prova per rilevare le emissioni inquinanti dei prodotti; • diffondere presso i membri l’informazione tecnica; • incoraggiare la ricerca; • allestire dei mezzi per lo scambio di informazioni. Le sezioni che seguiranno vogliono fornire indicazioni di orientamento per chi si accosta per la prima volta a questo tipo di problematiche.
Il controllo dell’IAQ può essere affrontato essenzialmente in due tempi differenti: 1. Fase progettuale; 2. Fase di verifica sul costruito
RIFERIMENTI PER LA FASE PROGETTUALE Le indicazioni fornite in questo ambito sono essenzialmente di tipo esigenziale-prestazionale, di attestazione di conformità e sicurezza rivolte verso l’edificio, i materiali e i componenti e verso gli impianti. Il principale riferimento normativo a livello comunitario è costituito dalla Direttiva 89/106 CEE del 21 dicembre 1989, e successive modificazioni, recepita in parte dal nostro paese con il DPR n.246 del 21 aprile 1993, “Regolamento di attuazione della Direttiva 89/106 CEE relativa ai prodotti da costruzione” (in GU n.170 del 22 luglio 1993), riguardante la certificazione dei prodotti edilizi per la libera circolazione nel mercato europeo. Tra i requisiti certificabili c’è il requisito esigenziale “Igiene, Salute e Ambiente”, successivamente interpretato da un documento emanato il 16 luglio 1993 (GU Comunità Europea C62 del 26 febbraio 1994). Tale requisito garantisce che l’opera (ovvero l’intero complesso dell’edificio o dell’opera di ingegneria) è stata concepita “in modo da non costituire una minaccia per l’igiene o la salute degli occupanti o dei vicini, causata, in particolare, dalla formazione di gas nocivi, dalla presenza nell’aria di particelle o gas pericolosi, dall’emissione di radiazioni pericolose, dall’inquinamento o dalla contaminazione dell’acqua o del suolo, da difetti di evacuazione delle acque, dai fumi e dai residui solidi o liquidi e dalla formazione di umidità in parti o sulle superfici interne dell’opera” (fonte: DPR n.246 del 21 aprile 1993). A tutt’oggi vi sono però ancora problemi di carattere interpretativo, di recepimento e formulazione di standard in linea con le direttive comunitarie e di strutturazione di commissioni e laboratori di certificazione. È stato comunque individuato nell’Istituto Centrale per l’Industrializzazione e la Tecnologia Edilizia (ICITE) del CNR l’organo di competenza per l’assegnazione del marchio comunitario (CE) per quanto riguarda il requisito su menzionato di “Igiene, Salute e Ambiente”.
In attesa dell’avviamento del sistema di certificazione ambientale comunitario è stato istituito presso i laboratori “Controllo della Qualità Ambientale” del Politecnico di Milano un marchio italiano denominato Ecocerto, finalizzato al riconoscimento della capacità di prodotti per l’edilizia, sistemi impiantistici e arredi, di promuovere la qualità dell’ambiente interno ed esterno. Dal 1992 è stato istituito, a livello Comunitario, un marchio di qualità ecologica (Ecolabel), con validità quinquennale, che coinvolge diverse categorie merceologiche di prodotti tra cui i prodotti per l’edilizia. A tale proposito ricordiamo: Regolamento CEE/UE n.880 del 23 marzo 1992 “Sistema comunitario di assegnazione di un marchio di qualità ecologica” in GU Comunità Europea legge n.99 del 11 aprile 1992 aggiornato e modificato dal Regolamento CE n.1980 del 17 luglio 2000 in GU Comunità Europea legge n.237 del 21 settembre 2000. Decisione CEE/CEEA/CECA n.13 del 15 dicembre 1995 “Criteri di assegnazione del marchio di qualità ecologica dei prodotti vernicianti per interni” in GU Comunità Europea legge n.4 del 6 gennaio 1996 modificata dalla Decisione CE n.10 del 18 dicembre 1998 in GU Comunità Europea legge n.5 del 9 gennaio 1999 e con validità prorogata fino al 30 giugno 2003 dalla Decisione CE n.608 del 19 luglio 2001 in GU Comunità Europea legge n.214 del 8 agosto 2001. Decisione CE n.178 del 17 febbraio 1999 “Criteri per l’assegnazione di un marchio comunitario di qualità ecologica ai prodotti tessili” in GU Comunità Europea legge n.57 del 5 marzo 1999 con validità fino al 31 maggio 2003 modificata e aggiornata da Decisione CE n.371 del 15 maggio 2002 in GU Comunità Europea legge n.133 del
18 maggio 2002 con validità fino al 31 maggio 2007. I testi delle decisioni e dei regolamenti della comunità europea sono consultabili nella sezione legislazione del sito della Comunità Europea http://europa.eu.int/eurlex/it/index.html DM n.413 del 2 agosto 1995 “Regolamento recante le norme per l’istituzione e il funzionamento del Comitato per l’Ecolabel e l’Ecoaudit” Da segnalare inoltre il recente Accordo tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome sul documento concernente: “Linee-guida per la tutela e la promozione della salute negli ambienti confinati” pubblicate sul Suppl. Ord. GU n.252 del 27 novembre 2001, rintracciabile su internet, tra gli altri, al sito dell’associazione Aicarr, www.aicarr.it sezione normativa. Tale accordo, frutto della Commissione Indoor istituita dal Ministero della Salute con apposito Decreto, ha il merito di fornire “informazioni fondamentali per la valutazione e gestione, in termini di sanità pubblica, dei rischi per la salute connessi all’inquinamento dell’aria indoor (IAQ) e indicazioni tecniche per orientare le azioni di prevenzione e controllo di tali rischi.”. Ci sarà quindi da attendersi, nei prossimi anni, la pubblicazione di indirizzi e norme che centrino il problema nello specifico dei singoli aspetti tecnici, costruttivi e manutentivi fornendo quegli strumenti progettuali e gestionali ancora oggi frammentati e scarsi. Nella seguente tabella sono elencati i principali riferimen ti normativi nazionali, regionali (validi come utile riferimento) e alcuni standard ormai accettati internazionalmente suddivisi secondo alcuni requisiti cogenti in ambito IGIENE, SALUTE E AMBIENTE secondo quanto stabilito dal DM 18 gennaio 1988 “Inquadramento della normativa tecnica nazionale per l’edilizia residenziale”.
TAB. E.3.1./1 RIFERIMENTI NORMATIVI IN MATERIA DI REQUISITI IN AMBITO DI IGIENE, SALUTE E AMBIENTE ASSENZA DI EMISSIONI DI SOSTANZE NOCIVE • Risoluzione sulla qualità dell’aria negli ambienti chiusi in GU Comunità Europea C290 del 14 novembre 1988 • DLgs n.277 del 15 agosto 1991 “Attuazione delle direttive n.80/1107/CEE, n.82/605/CEE, n.83/477/CEE, n.86/188/CEE e n.88/642/CEE in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizioni ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro, a norma del art.7 della legge 30 luglio 1990, n.212” in Suppl. Ord. GU n.200 del 27 agosto 1991 • legge n.257 del 27 marzo 1992 “Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto” in Suppl. Ord. GU n.81 del 13 aprile 1992 • DLgs n.114 17 marzo 1995 “Attuazione direttiva 87/217/CEE in materia di prevenzione e riduzione dell’inquinamento dell’ambiente causato dall’amianto” in GU n.92 del 20 aprile 1995 • DM 20 agosto 1999 “Ampliamento delle normative e delle metodologie tecniche per gli interventi di bonifica, ivi compresi quelli per rendere innocuo l’amianto, previsti dall’art.5, c.1, lettera f) della legge 27 marzo 1992, n.257, recante norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto.” In GU n.249 del 22 ottobre 1999 • Circolare Min. Sanità n.57 del 22 giugno 1983 “Usi della formaldeide. Rischi connessi alle possibili modalità di impiego”. • Circolare Min. Sanità n.5 del 14 marzo 1991 “Esposizione professionale ad anestetici in sale operatorie” in Bollettino Ufficiale Min. della Sanità – marzo 1991 • Circolare Min. Sanità n.25 del 25 novembre 1991 “Usi delle fibre di vetro. Problematiche igienico sanitarie – Istruzioni per il corretto impiego” in SO GU n.87 del 20 dicembre 91 • Raccomandazione CEE n.90/143/EURATOM del 21 febbraio 1990 “Protezione del pubblico contro l’esposizione al radon” in GU Comunità Europea legge n.80 del 27 marzo 1990 • Raccomandazione CE n.2001/928/EURATOM del 20 dicembre 2001”Tutela della popolazione contro l’esposizione al radon nell’acqua potabile” in G.U. Comunità Europea legge n.344 del 28 dicembre 2001
E 68
CONTROLLO AMBIENTALE • QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI PRINCIPALI RIFERIMENTI NORMATIVI E STANDARD INTERNAZIONALI
E.3. 1. A.ZIONI
QUALITÀ DELL’ARIA: SMALTIMENTO DEI GAS DI COMBUSTIONE, PORTATA DELLE CANNE DI ESALAZIONE E DELLE RETI DI SMALTIMENTO • • • • • • • • • • • • • •
Legge n.1083 del 6 dicembre 1971 “Norme per la sicurezza dell’impiego del gas combustibile” in Leggi e Decreti anno 1971 DM 23 novembre 1972 “Approvazione tabelle UNI-CIG di cui alla legge 6 dicembre 1971 n.1083” in GU n.309 del 28 novembre 1972 Legge n.46 del 5 marzo 1990 “Norme per la sicurezza degli impianti” in GU n.59 del 12 marzo 1990 DPR n.447 del 6 dicembre 1991 “Regolamento di attuazione della legge n.46 del 5 marzo.1990” in GU n.38 del 15 febbraio 1992, e successive modificazioni (DPR n.392 del 18 aprile 1994 e DM del 20 febbraio 1992) Su vari aspetti del DPR. cfr. Circolare Min. Industria n.297556 del 30 aprile 1992 DPR n°412 del 26 agosto 1993 “Regolamento di attuazione del art.c.4 della legge n.10 del 9 gennaio 1991” in Suppl. Ord. GU n.242 del 14 ottobre 1993 Comunicato Ministero Industria, Commercio e Artigianato del 30 maggio 1995 “Indicazioni di un ulteriore elenco di norme tecniche valide ai sensi della legge 6 dicembr e1971 n.11083 recante le norme per la sicurezza di impiego di gas combustibile” in GU n.124 del 30 maggio 1995 Deliberazione della Giunta Regionale Regione Lombardia n.3/49784 del 28 marzo 1985 “Regolamento locale di igiene tipo (ex art.53 della LR 26 ottobre 1981, n.64)”. Deliberazione della Giunta Regionale Regione Emilia Romagna n.593 del 28 febbraio 1995 “Approvazione dello schema di regolamento edilizio tipo” UNI-CIG 7129 “Impianti a gas di uso domestico alimentati a rete di distribuzioni. Progettazione, installazione e manutenzione” (e aggiornamenti) UNI-CIG 7131 “Impianti a gas di petrolio liquefatti di uso domestico non alimentati da rete di distribuzione. Progettazione, installazione e manutenzione” (FA 196-85)” UNI-CIG 7271 “Caldaie ad acqua funzionanti a gas con bruciatore atmosferico. Prescrizioni di sicurezza” (FA 1-90 e FA 2-90) UNI 9615 “Calcolo delle dimensioni interne dei camini. Definizioni. procedimenti di calcolo fondamentali” UNI EN 1319 “Generatori di aria calda a convezione forzata alimentati a gas, per il riscaldamento di ambienti domestici, equipaggiati con bruciatore munito di ventilatore, con portata termica nominale riferita al potere calorifico inferiore, non maggiore di 70 kW” UNI EN 778 “Generatori di aria calda a convezione forzata per il riscaldamento di ambienti domestici, alimentati a gas con portata termica, riferita al potere calorifico inferiore, non maggiore di 70 kW, non equipaggiati con ventilatore nel circuito di combustione” VENTILAZIONE (naturale e meccanica)
• DM 13 dicembre 1993 “Approvazione dei modelli tipo per la compilazione della relazione tecnica di cui al art.28 della legge 9 gennaio 1991, n.9, attestante la rispondenza alle prescrizioni in materia di contenimento dei consumi energetico degli edifici” in GU n.297 del 20 dicembre 1993 • Decreto Giunta Regionale Emilia Romagna n.593 del 28 febbraio 1995 “Approvazione dello schema di regolamento edilizio tipo” • UNI 7832 “Filtri d’aria per particelle a media efficienza. Prova in laboratorio e classificazione.” • UNI EN 779 “Filtri d’aria antipolvere per ventilazione generale. Requisiti, prove, marcatura.” • UNI 10339 “Impianti aeraulici ai fini di benessere. Generalità, classificazione e requisiti. Regole per la richiesta d’offerta, l’ordine e la fornitura.” (sostituisce la UNI 5104) • ENV 12097 “Reti delle condotte aerauliche. Requisiti relativi ai componenti atti a facilitare la manutenzione delle reti delle condotte” • UNI EN 12599 “Ventilazione per edifici – Procedure di prova e metodi di misurazione per la presa in consegna di impianti installati di ventilazione e di condizionamento dell’aria” • ANSI/ASHRAE standard 62 1989 “Ventilazione per una qualità dell’aria accettabile”
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
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UMIDITÀ RELATIVA • DM 13 dicembre 1993 “Approvazione dei modelli tipo per la compilazione della relazione tecnica di cui al art.28 della legge 9 gennaio 1991, n.9, attestante la rispondenza alle prescrizioni in materia di contenimento dei consumi energetico degli edifici” in GU n.297 del 20 dicembre 1993 • Decreto Giunta Regionale Emilia Romagna n.593 del 28 febbraio 1995 “Approvazione dello schema di regolamento edilizio tipo” • UNI 10339 “Impianti aeraulici ai fini di benessere. Generalità, classificazione e requisiti. Regole per la richiesta d’offerta, l’ordine e la fornitura.” (sostituisce la UNI 5104) • UNI 10351 “Materiali da costruzione. Valori di resistenza termica e metodi di calcolo” (sostituisce il punto 7.1.2. del UNI 7357-74 e successive integrazioni) • UNI 10350 “Componenti edilizi e strutture edilizie – Prestazioni igrotermiche – Stima della temperatura superficiale interna per evitare umidità critica superficiale e valutazione del rischio di condensazione interstiziale” • Linee Guida per la prevenzione e controllo della legionellosi, in GU S.G. n.103 del 5 maggio 2000 Per aver un panorama più dettagliato della normativa tecnica italiana vigente è possibile consultare il sito Internet dell’UNI all’indirizzo: www.unicei.it
RIFERIMENTI PER LA FASE DI VERIFICA SUL COSTRUITO Afferiscono a questa sezione le indicazioni in merito ai valori limiti di soglia (Threshold Limit Values – TLV), stabiliti sulla base delle concentrazioni medie nel tempo degli inquinanti presenti nell’aria, per sostanze presenti nell’aria interna in ambienti di lavoro di tipo non industriale o residenziale. Nella tabella seguente sono riportate le concentrazioni massime per gli inquinanti di
più frequente monitoraggio unitamente alla fonte da cui il dato è stato tratto. Non sempre standard o riferimenti normativi differenti riportano gli stessi valori limite. Questi valori sono da intendersi come linee guida, o raccomandazioni, per il controllo di potenziali effetti sulla salute; essi comunque non garantiscono la totale assenza di disturbi e/o lamentele da parte degli occupanti.
TAB. E.3.1./2 VALORI LIMITE PER AMBIENTI CONFINATI NON INDUSTRIALI PER BREVI O LUNGHI PERIODI PER LE SOSTANZE PIÙ FREQUENTEMENTE MONITORATE PARAMETRO Particolato sospeso Monossido di carbonio – CO Biossido di carbonio (anidride carbonica) – CO2 Formaldeide HCHO Biossido di azoto NO2 Biossido di zolfo SO2 Ozono – O3 VOC Stirene Tetracloroetilene Toluene Tricloroetilene Asbesto (amianto) Radon
LIVELLO DI SOGLIA
TEMPO ESPOSIZIONE
50 µg/m3 150 µg/m3 10 µg/m3 (9 ppm) 40 µg/m3 (35 ppm)
media annuale max 24 h media 8 h media 1h
1,8 g/m3 (1000 ppm)
esposizione continua
RIFERIMENTO ASHRAE standard 62-89 (fonte 2) ASHRAE standard 62-89 ASHRAE standard 62-89
0,1 µg/m3 (0.1 ppm) media in 30 minuti 100 µg/m3 (0.055 ppm) media annuale 80 µg/m3 (0.03 ppm) media annuale 365 µg/m3 (0.14 ppm) media 24 h 100 µg/m3 (0.05 ppm) esposizione continua Sono stati proposti in sede di convegni alcune metodologie di misura e linee guida per le concentrazioni di composti organici volatili, ma non esistono ancora standard di riferimento. 800 µg/m3 (192 ppm) media su 24 h 5 µg/m3 (0.7 ppm) media su 24 h 8 µg/m3 (2.1 ppm) media su 24 h 1 µg/m3(0.18 ppm) media su 24 h 0,6 ff/cm3 crisotilo 0,2 ff/cm3 altre fibre
WHO (World Health Organisation) ASHRAE standard 62-89
200 Bq/m3
Edifici nuovi
400 Bq/m3
Edifici esistenti
Raccomandazione CEE n.90/143 “Protezione del pubblico contro l’esposizione al radon” note: unità di misura Becquerel al metro cubo corrispondente a 1 disintegrazione al secondo
ASHRAE standard 62-89 ASHRAE standard 62-89 European Collaborative Action Report n.11: Guidelines for ventilation requirements in building WHO WHO WHO WHO
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
legge n.257 del 27 marzo 1992 TI . RIMEN E.3.1IPALI RIFE ANDARD C T S PRIN ATIVI E I L NORM AZIONA N INTER
E 69
E.3. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE CONTROLLI E MISURE
•
QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI
FASE PROGETTUALE Nella progettazione di un intervento per il controllo o il monitoraggio della qualità dell’aria all’interno di un edificio è indispensabile definirne le finalità e il grado di approfondimento dei dati da conseguire. Principalmente le motivazioni che rendono necessari i controlli sull’IAQ sono: verifica dello stato di manutenzione e gestione di un immobile e degli impianti annessi; verifiche indotte da lamentele o sintomi correlati alla presenza di occupanti all’interno di una zona dell’edificio; monitoraggi di carattere prevalentemente scientifico. Una fase fondamentale comune a tutti e tre i casi è l’ispezione visiva preliminare dell’edificio finalizzata alla presa di conoscenza delle caratteristiche e delle condizioni reali dell’immobile e degli impianti. La fase ispettiva consiste nel fornire una risposta a una serie di quesiti riguardanti lo stato di conservazione dei materiali da costruzione e finitura, arredi, indici di affollamento, lavorazioni e attività svolte in ogni zona con relative apparecchiature, procedure e programmi di manutenzione, pulizia ordinaria e straordinaria dell’edificio e degli impianti. Prima della conduzione di una ispezione è consigliabile procedere alla stesura di schede finalizzate all’individuazione e alla gestione ordinata dei dati da rilevare, utilizzando un grado di affinamento proporzionale all’approfondimento desiderato. Nelle tabelle E.3.2./3 e 4 sono schematizzati i passi da compiere nella raccolta delle informazioni.
TAB. E.3.2./2 RACCOLTA DATI SULL’EDIFICIO STRATEGIE Revisione della documentazione di progetto esistente
Raccolta di: piante e sezioni originali e varianti (informazioni sulla tecnologia edilizia, ubicazione, orientamento)
Colloquio con il personale tecnico
Presa di conoscenza circa: • modalità di manutenzione ordinaria e straordinaria , • lamentele emerse tra gli occupanti per sensazioni di discomfort o sintomi particolari con l’individuazione di eventuali correlazioni all’interno di aree specifiche
Ispezione degli ambienti
Annotazione di: • materiali di finitura presenti (pareti, pavimentazioni ecc.); • macchinari e attrezzature presenti (VDU, stampanti, fotocopiatrici, fax); • presenza di depositi di materiale cartaceo, prodotti chimici, prodotti per lavorazioni speciali; • presenza di fenomeni di degrado (muffe, sfogliazioni, corrosioni, perdite); • esistenza di comunicazioni dirette o vie preferenziali con garage o luoghi in cui si svolgono attività inquinanti; • presenza di fumatori; • indici di affollamento; • fenomeni di abbagliamento su VDU o sul piano di lavoro; • presenza attività rumorose all’interno e/o all’esterno dell’edificio; • presenza di odori sgradevoli o deodoranti; • infestazioni di artropodi e/o roditori.
Un’altra parte di informazioni può essere desunta attraverso colloqui, interviste e/o questionari rivolti agli occupanti dell’edificio. Questionari e interviste puntano a verificare se esiste una correlazione tra la percezione dell’ambiente dal punto di vista termoigrometrico, acustico, visivo e olfattivo e i sintomi o disturbi accusati. Si tratta inoltre di identificare la distribuzione spaziale e temporale di detti sintomi. Le domande fanno riferimento a eventuali discomfort registrati negli ultimi due mesi per permettere alla memoria storica di sedimentarsi ed essere epurata da fenomeni accidentali. Una guida per la formulazione delle domande è schematizzata in tabella E.3.2./5. La formulazione di quesiti circa l’interesse per il proprio lavoro o il rapporto con i colleghi permette di valutare alcuni aspetti psicosociali che potrebbero attenuare o esaltare TAB. E.3.2./1 RACCOLTA INFORMAZIONI SULL’IMPIANTO DI CONDIZIONAMENTO STRATEGIE
E 70
MEZZI
Revisione della documentazione dell’impianto di condizionamento, disegni, procedure di installazione, procedure operative
Raccolta di: • disegni, documenti, rapporti di collaudo e calibrazione, schede tecniche • istruzioni operative e di funzionamento, controllo dei dati di installazione forniti dal produttore dei componenti
Colloquio con il personale tecnico
Circa osservazioni sulle modalità di funzionamento dell’impianto, procedure manutentive, eventuali inefficienze rilevate
Ispezione del layout, delle condizioni e dell’operatività del sistema
Annotare: • zona per zona posizionamento dei dispositivi di immissione e ripresa dell’aria in ambiente • stato di funzionamento delle più importanti apparecchiature. • apparecchiature meccaniche: • sistemi di controllo (tipo, sistema operativo, ultime calibrazioni); • centrale termica (verifiche potenzialità, gas di combustione); • chiller (perdite di refrigerante, problemi di condensa, adeguato smaltimento oli e refrigeranti); • unità di trattamento aria: • posizione delle prese di aria esterna (vicinanza di sorgenti inquinanti come scarichi di gas, prodotti di combustione, espulsione aria, torri di raffreddamento); • stato delle griglie di protezione delle prese d’aria esterna; • controllo del corretto funzionamento delle serrande e dei ventilatori; • stato ed efficacia dei filtri; • incrostazioni e perdite nelle batterie di scambio e nelle vasche di raccolta acqua di condensa; • stato dell’acqua nelle vasche di raccolta degli umidificatori, presenza di incrostazioni, sedimentazioni, muffe; • volume aria esterna introdotto nell’ambiente; • stato di manutenzione delle bocchette (presenza di baffi neri intorno a esse); • verifica della distribuzione delle bocchette di ripresa e di mandata dell’aria negli ambienti; • stato di manutenzione e operatività di fan-coil e filtri; • corretto settaggio e operatività di termostati e/o umidostati.
MEZZI
alcune sensazioni di discomfort (ad esempio chi ha un interesse o un impegno particolari per il proprio lavoro percepisce in misura minore le sollecitazioni impresse dall’ambiente). Una fase abbastanza delicata è la valutazione dei valori statistici che emergono dall’analisi dei questionari, soprattutto se il campione non è molto numeroso. È stato rilevato, attraverso una serie di campagne di monitoraggi, che un edificio si può considerare salubre se si verificano meno del 10-15% di disturbi correlati alle sensazioni termiche e circa il 5% di lamentele riferite a discomfort uditivo e visivo.
TAB. E.3.2./3 PUNTI SALIENTI PER LA REDAZIONE DI UN QUESTIONARIO Si spesso CONDIZIONI DI DISCOMFORT Correnti d’aria Variazioni di temperatura Aria pesante, polverosa Odore di fumo o sgradevoli Rumorosità Scarsa illuminazione/abbagliamenti CONDIZIONI DI LAVORO Interesse per il lavoro Livello di occupazione Potenzialità di intervento sulle condizioni di lavoro Livello di cooperazione SINTOMI Asma, eczema, febbre da fieno Stanchezza Mal di testa, testa pesante, sonnolenza Difficoltà di concentrazione Bruciore e secchezza agli occhi, alla gola Naso chiuso, irritato secco Prurito alla pelle, secchezza Dolori muscolari
Qualche volta
No
CONTROLLO AMBIENTALE
•
QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI CONTROLLI E MISURE
E.3. 2. A.ZIONI
Nella Tab. E.3.2./4 sono riportate la prevalenza media e minima di tre categorie di sintomi, suddivisi per sesso, riscontrati durante un monitoraggio eseguito in diversi edifici (abitazioni e terziario) nei paesi scandinavi. Nel caso di uffici pubblici le percentuali sono amplificate di un fattore pari a circa 1,5.
TAB. E.3.2./4 PERCENTUALE MEDIA E MINIMA DI DISCOMFORT UFFICI
ABITAZIONI
uomini donne uomini donne SINTOMI GENERALI (mal di testa, affaticamento, sonnolenza) SINTOMI ALLE MUCOSE (occhi, naso, gola)
media
15-20
25-35
8-12
15-20
15-20
25-35
5-10
5-10
5
15
15-20
25-35
15
5 10
min. media
5
min. media
Nella Tab. E.3.2./6 sono descritte le caratteristiche salienti di alcuni strumenti impiegati nella misura dei parametri ambientali. I campionatori possono essere, di massima, distinti in: • Personali: se l’apparecchio può venir facilmente trasportato o addirittura indossato; • Portatili: se l’apparecchio può essere trasportato a mano da un posizione all’altra ma non offre la maneggevolezza dei personali; • Stazionari: se l’apparecchio deve operare in una posizione prefissata. Oltre alla mobilità è possibile fare una distinzione in base alle caratteristiche operative: • Attivi: se per la misura è richiesta una fonte di energia per l’aspirazione del contaminate; • Passivi: se l’assorbimento avviene per diffusione naturale. È infine identificata un’ulteriore classe che permette di distinguere strumentazioni a lettura diretta da quelli che richiedono analisi di laboratorio: • Analizzatori: se fornisce una lettura del parametro da rilevare già in fase di misura; • Collettori: se il campione raccolto deve essere inviato in laboratorio.
TAB. E.3.2./6a CARATTERISTICHE PRINCIPALI DI ALCUNI STRUMENTI PER IL MONITORAGGIO
SINTOMI ALLA PELLE 5
Nel caso in cui la dimensione del campione sia particolarmente ridotta, risulta difficile stabilire se una elevata percentuale di sintomi sia frutto di una coincidenza statistica. Nel caso in cui l’ispezione visiva, supportata da schede da compilare, da colloqui con il personale e con addetti ed eventualmente anche da un questionario, sia stata scrupolosamente condotta da personale esperto in problemi di IAQ, questa permette di individuare punti critici, potenziali o in atto, su cui mirare gli interventi correttivi ed effettuare una valutazione del rischio relativo a una scarsa qualità dell’aria. Nel caso in cui dalle osservazioni emerse durante l’ispezione visiva appaiano evidenti carenze e sintomatologie correlate a una cattiva gestione dell’ambiente, può risultare opportuno progettare una campagna di monitoraggio. Come per la stesura delle schede di rilevazione, è importante individuare l’obbiettivo che si intende perseguire. Così in una campagna di monitoraggio è fondamentale chiarire quali parametri sia più significativo misurare, in quale condizione effettuare le misure (condizioni standard o condizioni estreme) e di quali altri parametri correlati ai precedenti si ha comunque bisogno per avere una visione chiara ed esaustiva del problema.
Parametro
TEMPERATURA DELL’ARIA
min.
Nella Tab. E.3.2./5 sono riportate, secondo un criterio generale, i parametri da misurare suddivisi per grado di approfondimento crescente; appare comunque ovvio che se in fase ispettiva un particolare parametro (ad esempio Formaldeide, VOC o Asbesto) risulta essere il maggior imputato delle condizioni di discomfort occorrerà procedere alla misurazione di quel, o quei, parametri specifici.
Temperatura PARAMETRI FONDAMENTALI
Umidità relativa Velocità dell’aria Pressione differenziale CO2 Polveri totali
PARAMETRI DI APPROFONDIMENTO
Carica batterica totale in aria e superficiale CO
UMIDITÀ/ PUNTO DI RUGIADA
TAB. E.3.2./5 PARAMETRI DA RILEVARE IN ORDINE DI APPROFONDIMENTO
Rumore
Ossidi di azoto (NOx) Ozono (O3) Idrocarburi totali PARAMETRI SPECIFICI
Formaldeide (HCHO) Composti Organici Volatili Asbesto (amianto) Radon Specie microbiologiche specifiche
VELOCITÀ DEL VENTO
Illuminamento
Principio operativo
Precisione Risoluzione
Sensore di temperatura a resistenza (RDT): la resistenza elettrica di un metallo nobile aumenta con la temperatura.
±0,3°C
Deformazione igrometrica: i cambiamenti di dimensione dei materiali igroscopici sono correlati all’umidità relativa.
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
Campo
ICHE TECN MA ONENTI, P COM ±0,2°C
Psicrometria: il punto di rugiada o l’umidità relativa sono misurate dalla riduzione della temperatura causata dalla evaporazione. Due termometri ventilati, l’uno mantenuto secco l’altro umido. sono richiesti per il funzionamento del trasduttore.
B.STAZIONI DILEGIZLII
F. TERIALI,
Termistore: la resistenza di un semiconduttore termosensibile varia in modo inversamente proporzionale alla temperatura assoluta. La risposta lineare è garantita da un sensore composto da due o più termistori e da un resistore con resistenza fissa.
Termocoppia: la giunzione di due metalli dissimili genera una piccola corrente in funzione della temperatura. La temperatura è misurata confrontando tale corrente con quella emessa da un’identica giunzione mantenuta a temperatura nota.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
0,1°C
0,1°C
da –50 a 50°C
da –200 a più di 50°C
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
±1°C
0,1°C
molto ampio
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS
funzione funzione delle delle temperature temperature
tutte le condizioni ambientali
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA
±5% UR
0,5 m/s
da 0 a 50 m/s
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
Modulazione di tensione: il movimento rotatorio di una ventola accoppiata a un generatore elettrico viene trasformato in una tensione che misura la velocità del vento.
±5%
0,5 m/s
da 0 a 50 m/s
Modulazione di frequenza: la frequenza con la quale un fascio di luce che attraversa un obbiettivo corrisponde alla velocità del vento tale frequenza è poi convertita in un segnale analogico di tensione.
±5%
0,5 m/s
da 0 a 50 m/s
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
URE . E.3.2 OLLI E MIS R T N CO
E 71
E.3. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE CONTROLLI E MISURE
•
QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI
➦ FASE PROGETTUALE TAB. E.3.2./6b CARATTERISTICHE PRINCIPALI DI ALCUNI STRUMENTI PER IL MONITORAGGIO CAMPIONATORI DI CONTAMINANTI AERODISPERSI CONTAMINANTE
Correlazione di filtri gassosi: la radiazione infrarossa passa attraverso un filtro rotante a disco che contiene una cella di CO di riferimento e una di azoto. Il fascio infrarosso passa attraverso una camera contenete il campione ed è infine misurato
Stazionario
Attivo
Analizzatore
Infrarosso non dispersivo (NDIR): la radiazione infrarossa attraversa celle ottiche parallele, delle quali una contiene iaria pura e l’altra i campione
Stazionario
Attivo
Collettore
Ossidazione elettrochimica: il campione d’aria passa attraverso una cella elettrochimica nella quale l’ossidazione del CO in CO2 produce un segnale che misura la concentrazione del CO
Personale Personale Portatile
Attivo Passivo Attivo
Analizzatore Analizzatore Analizzatore
Chimico a umido: la formaldeide è asportata dal campione da una soluzione reagente standard. L’aggiunta di un reagente provoca un viraggio cromatico, l’intensità del quale misura la concentrazione di HCHO.
Personale
Attivo
Analizzatore
Assorbimento/spettrofotometria: la formaldeide viene assorbita su un substrato e successivamente liberata in laboratorio per la sua quantificazione.
Personale Stazionario
Attivo Passivo
Collettore Collettore
Filtrazione: il campione passa attraverso un vaglio. La particelle di dimensioni interessanti sono trattenute da un filtro per la determinazione della loro massa in laboratorio.
Personale Portatile
Attivo Attivo
Collettore Collettore
Impatto: Il campione attraversa una serie di stadi selettivi; l’effetto inerziale forza le particelle di dimensioni interessanti a impattare sulla superficie del collettore
Portatile
Attivo
Collettore
Diffusione ottica: il campione d’aria attraversa un vaglio micrometrico prima di entrare in una cella ottica. Una immediata diffusione ottica da una fonte luminosa controllata permette di misurare la concentrazione delle particelle
Stazionario
Attivo
Collettore
Risonanza piezoelettrica: il campione attraversa un vaglio selettivo. Le particelle di dimensioni interessanti vengono fatte precipitare elettrostaticamente su cristalli di quarzo. Le alterazioni della frequenza di oscillazione misurano la massa raccolta
Portatile Stazionario
Attivo Attivo
Analizzatore Analizzatore
Assorbimento a tritanolamina: l’NO2 viene assorbito su un substrato per una successiva quantificazione in laboratorio.
Personale
Passivo
Collettore
Chemioluminescenza della fase gassosa: l’emissione di fotoni associata alla reazione tra NO2 e O3 viene misurata per quantificare simultaneamente l’NO e NOx formatisi. L’NO2 è la differenza algebrica tra NOx e NO.
Personale Stazionario
Attivo Attivo
Analizzatore Analizzatore
Idrocarburi poliaromatici e altre particelle organiche
Raccolta per le filtrazione/analisi di laboratorio: i materiali organici associati a particelle sono raccolti da appositi filtri. I composti organici possono venire quantificati in svariati modi.
Personale Portatile Stazionario
Attivo Attivo Attivo
Collettore Collettore Collettore
Composti organici volatili
Raccolta/analisi di laboratorio: il campione passa attraverso un’apposita colonna assorbente. I composti interessati vengono estratti in laboratorio per la quantificazione cromatografica.
Personale Portatile Stazionario
Attivo Attivo Attivo
Collettore Collettore Collettore
Amianto e altri aerosol fibrosi
Filtrazione: i filtri sui quali è passato il campione vengono analizzati in laboratorio.
Personale
Attivo
Collettore
Carica batterica
Impatto: i filtri sono costituiti da appositi terreni di coltura, i quali vengono incubati e analizzati in laboratorio.
Portatile
Attivo
Collettore
Radon
Rilevatori nucleari di traccia: su un filtro in policarbonato o nitrato di cellulosa sono raccolte le tracce delle particelle alfa emesse dal radon.
Stazionario
Passivo
Collettore
CO
Formaldeide
Particelle solide
NO2
In linea generale la scelta di uno strumento piuttosto che un altro deve esser effettuata in base alle finalità del campionamento. Campionatori attivi, che comportano problemi di costo e in alcuni casi di maneggevolezza e rumorosità, sono consigliabili in monitoraggi a breve termine, quanto cioè è necessario un buon tempo di risoluzione e si prevedono variazioni sensibili nella concentrazione del parametro da rilevare. Campionatori passivi sono indicati invece, per la loro relativa semplicità d’uso, nei casi in cui si vogliano monitorare situazione medie nel tempo e per tempi piuttosto lunghi. Infatti la risposta che questi restituiscono è la concentrazione totale durante tutto l’arco del campionamento. Una volta stabilito quale tipo di strumento è necessario, o disponibile, per le misure occorre progettare il monitoraggio individuando: • le condizioni di riferimento durante le misure (livello di attività degli occupanti e delle sorgenti interne, operatività del sistema di ventilazione, condizioni microclimatiche esterne ecc.). Le condizioni in cui si possono effettuare le misure possono essere quelle abituali di utilizzo dell’ambiente oppure quelle ottenute simulando condizioni estreme con ad esempio il massimo livello di attività, il minimo tasso di ventilazione, in periodo appena precedente l’accensione dell’impianto, con la massima attività della sorgente inquinante, ecc. • ubicazione e numero dei punti più significativi per effettuare le misure. I punti di misura o di prelievo vanno in genere individuati al centro dell’ambiente entro un’altezza di 1.2-2.0 m. È sconsigliabile posizionarsi in prossimità di angoli o a una distanza inferiore ai 0.6 m dalle pareti. Per misure in condizioni estreme può essere utile posizionarsi in prossimità della sorgente inquinante. Il numero di campionamenti dipende dalla grandezza dell’ambiente e dalla significatività complessiva del campione. • durata nel tempo dei campionamenti. La durata deve essere stabilità in funzione alle caratteristiche degli strumenti di misurazione utilizzati, della significatività complessiva del campione, del tipo di parametro che si intende misurare e delle condizioni ambientali che si vogliono monitorare. Nella Tab. E.3.2./7 sono riportati alcuni esempi.
E 72
PERSONALE ATTIVO ANALIZZATORE PORTATILE O O STAZIONARIO PASSIVO COLLETTORE
PRINCIPIO OPERATIVO
TAB. E.3.2./7 DURATA DEI CAMPIONAMENTI PER ALCUNI PARAMETRI PARAMETRO
CONCENTRAZIONE MEDIA
CONCENTRAZIONE MASSIMA
Particolato sospeso
> 24 h se è richiesta l’analisi gravimetrica
ventilazione naturale: 30 min. condizionamento: usare strumenti a lettura diretta (piezo bilancieri o monitor con diffusione di luce in aerosol) almeno due ore dopo che l’impianto è stato spento
Formaldeide
≥ 1 giorno
30-60 minuti
Biossido di azoto
≥ 1 giorno
30-60 minuti
VOC
5-14 giorni
30-60 minuti
1-3 mesi (passivo tracciante) Radon
1-7 gg. (passivo, assorbimento su carbone di legna) 24 h (monitoraggio continuo)
> 1 h (monitoraggio continuo)
CONTROLLO AMBIENTALE
•
QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI QUALITÀ DELL’ARIA NELLA PROGETTAZIONE
E.3. 3. A.ZIONI
Efficaci misure di prevenzione per garantire la qualità dell’aria interna devono essere prese in sede progettuale. I campi entro cui il progettista può operare sono: 1. rispondenza del progetto ai requisiti igienico-sanitari vigenti in materia; 2. scelta di componenti e materiali mirata al massimo contenimento del potenziale rilascio di sostanze nocive;
3. attuazione di misure specifiche contro inquinamento da radon; 4. progettazione di impianti di condizionamento o ventilazione secondo i requisiti richiesti dalla specifica destinazione d’uso, ponendo attenzione al numero di ricambi d’aria, all’efficienza di ricambio d’aria (misura di quanto efficacemente l’aria presente nell’ambiente è sostituita con aria pulita), all’efficienza di ventilazione (misura di quanto velocemente un con-
taminante è rimosso dall’ambiente), all’efficienza dei sistemi di filtrazione, e progettando sistemi di distribuzione dell’aria locali tecnologici tali da essere facilmente ispezionabili e manutenibili; 5. stesura di indicazioni o direttive contenenti procedure di manutenzione tecnologico-sanitarie del manufatto edilizio, di specifici componenti e/o dell’impianto di condizionamento/ventilazione.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
MATERIALI
PRO TTURALE STRU Una scelta consapevole dei materiali, dati gli strumenti oggi a disposizione, può essere effettuata avendo cura di: • raccogliere informazioni, per quanto possibile, circa le sostanze componenti il materiale [tramite il produttore]; • raccogliere informazioni, per quanto possibile, circa la potenzialità e le caratteristiche di emissione di alcuni tipi di materiali o manufatti [informazioni di tale genere si possono reperire in pubblicazioni di carattere scientifico o da letteratura tecnica specializzata, in bibliografia alcuni titoli]; • identificare la posizione del materiale o del componente in funzione dell’ambiente (interno, confinato o esterno) [da progetto]; • determinare l’estensione o la massa del materiale in funzione del volume dell’ambiente [da progetto]; • verificare se gli occupanti possono trovarsi in prossimità del materiale [da progetto]; • determinare l’estensione o la massa di materiali adsorbenti in funzione del volume dell’ambiente, quali tessuti e materiale cartaceo [da progetto in relazione alla destinazione d’uso]; • identificare i materiali che richiedono prodotti umidi per la pulizia [in molti casi gli stessi prodotti per la pulizia possono risultare anch’essi fonte di inquinamento]; • verificare le possibilità di ventilazione dei locali. Nella Tab. E.3.3./1 sono riportati, per grandi famiglie, i materiali che più di altri possono compromettere la qualità dell’aria interna.
TAB. E.3.3./1 MATERIALI COMPROMETTENTI LA QUALITÀ DELL’ARIA INTERNA
Nella Tab. E.3.3./2 sono riportate più in dettaglio le caratteristiche che occorre valutare per stabilire, a grandi linee, se il materiale può rappresentare un rischio per l’ambiente confinato. TAB. E.3.3./2 CARATTERISTICHE DEL MATERIALE CHE INFLUENZANO LA QUALITÀ DELL’ARIA FATTORI
ASPETTI PRINCIPALI CHE INFLUENZANO LA QUALITÀ DELL’ARIA
Costituzione chimico-fisica del materiale
• Materiale friabile • Materiale contenete Composti Organici Volatili • Materiale contenente elementi naturalmente radioattivi • Materiale facilmente attaccabile da microrganismi • Materiale con spiccate caratteristiche di assorbimento
Condizioni che influenzano il rilascio di sostanze
• Intensità della sorgente • Condizioni microclimatiche favorevoli
Modalità di rilascio di sostanze
• Emissione lenta
Modalità di stoccaggio dei materiali
• Scarsa ventilazione prima della posa
Tecniche di posa
• Posa a umido
Posizione all’interno dell’edificio
• Elevato rapporto tra estensione superficiale, area trasversale o massa del materiale e volume dell’ambiente • Contatto diretto con flussi d’aria di ventilazione • Materiale non confinato • Materiale a diretto contatto fisico con le persone
Comportamento del materiale in esercizio
• Effetti in condizioni di usura • Effetti in condizioni di frattura • Effetti in condizioni di sollecitazione
Comportamento del materiale in presenza di agenti aggressivi
• Effetti degli agenti atmosferici • Effetti degli agenti chimici
Comportamento in caso di incendio
• Emissione di gas tossici
Comportamento sotto sollecitazioni
• Rilascio di fibre e particolato • Rottura delle strutture che realizzano il confinamento di materiali contenenti sostanze potenzialmente nocive
Ventilazione
• Scarso numero di ricambi d’aria
Abitudini di vita
• Lunghi periodi di permanenza nell’ambiente • Settori di popolazione potenzialmente più a rischio (bambini anziani, ammalati)
Cicli manutentivi
• Scarsa o errata manutenzione • Scarsa o errata pulizia
MATERIALI A RISCHIO Fondazioni
Insetticidi e altri trattamenti impermeabilizzanti del terreno derivati del petrolio Umidità di risalita Prodotti di preservazione del legno Sigillanti
Struttura
Collanti Siliconi Membrane impermeabilizzanti Composti smaltati Isolante termico
Isolamento
Isolante acustico Isolante al fuoco Adesivi per pavimentazioni e moquette Rivestimenti resilienti per pavimentazioni Moquette Rivestimenti per pareti Adesivi
Interni finiture
Vernici Coloranti Partizioni Rivestimenti con pannelli Arredo Controsoffitto Isolante nei condotti
Impianti di climatizzazione/ventilazione
Sigillanti per i condotti Trattamento chimico dell’acqua
Le modalità di volatilizzazioni di alcune sostanze costituenti i prodotti per l’edilizia avvengono in genere in modo differenziato durante nel tempo: concentrazioni molto alte al momento della posa in opera con successivo decadimento rapido, oppure livelli di concentrazioni bassi ma stabili nel tempo (più pericolose). Oltre alle caratteristiche intrinseche della sorgente anche le condizioni ambientali al contorno, (temperatura, tasso di umidità dell’aria e all’interno del materiale, velocità dell’aria che lambisce la superficie), possono influenzare l’intensità dell’emissione. Ad esempio aldeidi (formaldeide) e chetoni hanno la proprietà di decuplicare il proprio rilascio all’aumentare del contenuto di vapore acqueo dell’ambiente dovuto, ad esempio, a una temporanea concentrazione persone.
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
URE . E.3.2 OLLI E MIS R T N CO . RIA E.3.3 À DELL’A ZIONE IT A QUAL PROGETT NELLA
E 73
E.3. 3.
CONTROLLO AMBIENTALE • QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI QUALITÀ DELL’ARIA NELLA PROGETTAZIONE ➦ MATERIALI Nella Tab. E.3.3./3 sono riportati, in modo schematico alcuni materiali, e loro derivati, costituenti prodotti per l’edilizia. Per ciascuno di essi sono riportati le caratteristiche salienti, gli impieghi correnti e una valutazione del rischio associata all’uso. La valutazione del rischio è comunque suscettibile di modificazioni nel momento in cui le condizioni specifiche di impiego del materiale si discostassero troppo da quelle usuali. È da rammentare inoltre che per molti materiali o prodotti per l’edilizia l’azione tossica si sviluppa in modo rilevante soprattutto durante fasi di posa in opera.
In tutti i casi in cui si utilizzano materiali o prodotti capaci di emettere sostanze nocive nell’ambiente interno è indispensabile consigliare una maggiore ventilazione dell’ambiente. Esiste inoltre una tecnica detta del bake-out, la quale consiste in una serie forzata di cicli di riscaldamento e ventilazione degli ambienti in cui siano stati posti materiali nuovi, per indurre un invecchiamento forzato del materiale. Indispensabili sono anche le valutazioni sul rilascio di sostanze tossiche in caso di incendio, le quali possono essere la maggior causa di decessi.
TAB. E.3.3./3 LEGNO E DERIVATI
Essenze non trattate
Il legno non trattato può divenire sede di colture di microrganismi. Sono preferibili le stagionature e le disinfestazioni che utilizzano microonde o autoclave con aria compressa a 60°C. Le seguenti essenze contengono sostanze allergizzanti o irritanti per le vie respiratorie, gli occhi e/o la pelle, soprattutto in fase di lavorazione: Cuor Verde (Ocotea Rodiaci) Iroko (Chlorophora Excelsa) Mogano americano (Switenia Macrophilla) Opepe (Nauclea Trillesu) Ebano (Diospyros) Obeche (Triplochiton Scleroxylon) Sequoia (Sequoia Sempervirens) Mogano Africano (Khaya Ivorensis) Marokè (Tieghemella Heckelii) Mansonia (Mansonia Altissima) Palissandro Brasiliano (Dalbergia Nigra) Palissandro Indiano (Dalbergia Latifolia) Citrino Indiano (Chloroxilon Swietenia) Satinwood West India (Fagara Flava) Teak (Tectonia Granifs) Ramin (Gonystylus Bancanus)
Pannelli di sughero
Prodotto corticale della Quercus Suber. La corteccia subisce trattamenti ad alte temperature che, per alcuni tipologie di prodotti, evitano l’uso di additivi e collanti.
Legno lamellare
Il materiale è prodotto utilizzando strati di legno sottili o a lamelle impregnati con delle resine e collanti. Se sono utilizzati collanti a base di urea-formaldeide, questi rilasciano dosi elevate di formaldeide libera. Per gli impregnanti vedere più avanti alla voce trattamenti superficiali.
Truciolari, compensati, MDF (medio densit)
Il prodotto è ottenuto tramite l’essiccazione, l’incollaggio e la pressatura di trucioli, fibre o di sottili fogli di legno. Se sono utilizzati collanti a base di urea-formaldeide, questi rilasciano dosi elevate di formaldeide libera.
Legno minerale
Il materiale è formato tramite l’impregnazione, con cemento o magnesite, della lignina ottenuta attraverso l’eliminazione delle sostanze organiche deperibili del legno. Il materiale si presenta in genere in forma di pannelli.
Impieghi
Strutturali, rivestimento.
Valutazione del rischio
Ridotta dal punto di vista chimico, elevata dal punto di vista microbiologico. Le problematiche maggiori sono comunque collegate ai trattamenti superficiali, ai collanti e sigillanti o schiume utilizzati per la posa a umido e ai prodotti utilizzati per la manutenzione (cere).
Impieghi
Isolamento termico, rivestimento.
Valutazione del rischio
Associata esclusivamente alla presenza di collanti, soprattutto se il materiale è composto da residui, e alle modalità di posa (a secco o a umido con collanti e sigillanti). Il materiale presenta anche un buon grado di permeabilità al vapore.
Impieghi
Strutturali.
Valutazione del rischio
Elevata, associata all’uso di impregnati e collanti tossici o altamente tossici. Possibilità di rilasci lenti nel tempo.
Impieghi
Arredo, pannelli leggeri.
Valutazione del rischio
È strettamente legato al tipo di collante utilizzato e al tempo di stagionatura ricevuto dopo la produzione. Inoltre, in genere, il pannello di truciolare risulta confinato o rivestito con vari tipi di finitura (laminati plastici, PVC, melammine, lacche), il grado di inquinamento può quindi essere legato più strettamente allo strato superficiale o una combinazione dei due. Il truciolare presenta anche un discreto potere di adsorbimento.
Impieghi
Isolante termico.
Valutazione del rischio
Scarsa, il materiale risulta inoltre inattaccabile da agenti biologici. Problemi possono sorgere in funzione del tipo di fissaggio adottato (ancoraggi o collanti).
TRATTAMENTI SUPERFICIALI DEL LEGNO Imprimitura
E 74
La sostanza base è l’olio di lino (classificato come sostanza irritante per l’uomo). Altre sostante sono presenti in quantità minime o in tracce.
Impregnanti
I composti riscontrabili negli impregnanti in commercio, con funzioni di biocida e protettivo, sono: fluoruro alcani, lindano, benzolo, tetracloruro di carbonio, paradiclorobenzene, cloropicrina, cianuro di calcio, solfuro di carbonio, oleato di fenilmercurio, arseniati, policloronaftaline.
Vernici oleo-alchidiche
I componenti base di questi prodotti sono un olio naturale (olio di lino) unito a componenti con funzione filmogena (prodotti di policondensazione tra alcoli polivalenti e acidi polibasici) e un diluente (trementina).
Vernici uretaniche mono/bicomponenti
I composti di questo gruppo di vernici sono gli isocianti, resine epossidiche, poliestere o olio di ricino, più i solventi (acquaragia minerale, acetato di butile, toluolo, acetato di cellosolve, xilolo).
Impieghi
Impermeabilizzante, base per prodotti vernicianti.
Valutazione del rischio
Blando potere irritante. Aerare il locale durante e dopo la stesura.
Impieghi
Conservazione del legno.
Valutazione del rischio
Evitare impregnati contenenti acido fluoridrico, alcoli, arsenati, benzene, bicloruro di mercurio, fluoruri alcalini, cianuro di calcio, cloronafltalina, cloropicrina, composti di stagno tributile, paradiclorobenzene, lindano, solfuro di carbonio (DDT), tetracloruro di carbonio, pentaclorofenolo (PCP), xilofeni in quanto altamente tossici. Le fasi più pericolose sono associate alla stesura ed essiccazione del prodotto per effetto della volatilizzazione dei solventi e lo sprigionamento di vapori. Solo i fluosilicati sono innocui all’uomo.
Impieghi
Vernici per la finitura di superfici lignee.
Valutazione del rischio
Rischio connesso all’effetto tossico del diluente e alla dispersione di particelle in fase di posa in opera. Arieggiare il locale durante e dopo la stesura. Scarsa volatilizzazione residua.
Impieghi
Vernici per la finitura di superfici lignee.
Valutazione del rischio
Elevatissima; tutti i solventi sono altamente tossici e nel complesso le vernici poliuretaniche hanno evidenziato effetti cancerogeni. Evitare contatti con pelle e occhi e di inalarne i vapori durante le fasi di stesura. Durante la fase di vita del prodotto sono riscontrabili rilasci a emissione lenta di composti organici volatili.
CONTROLLO AMBIENTALE
•
QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI QUALITÀ DELL’ARIA NELLA PROGETTAZIONE
E.3. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
MATERIALI LITOIDI NATURALI E ARTIFICIALI
Materiali lapidei naturali
Materiali ceramici
Vi possono essere problemi legati all’emissività di radon da parte di rocce eruttive sia massive (granito, sienite, dioriti, gabbro, porfido, trachite, diabase, basalto, porfiriti) che detritiche (pomice usata come legante in calcestruzzi alleggeriti, tufo). Misure di radioattività hanno però dimostrato ampi range di variabilità per rocce simili estratte in zone anche poco distanti tra loro. È stato inoltre rilevato che la pietra levigata ha una emissività notevolmente inferiore della pietra grezza.
Impieghi
Strutturali, leganti, rivestimento.
Valutazione del rischio
Alta per pietre come tufo, peperino soprattutto se utilizzati in locali non ventilati. Possibile aumento di radioattività se utilizzati in congiunzione con cementi pozzolanici. Tra le pietre da rivestimento è da segnalare il granito che in alcuni casi ha mostrato elevati livelli di radioattività. Per le pietre da rivestimento è inoltre sconsigliato l’uso di cere e prodotti lucidanti utilizzati per la manutenzione ordinaria in quanto contengono un’elevata quantità di composti volati.
Ottenuti per cottura dell’argilla impastata con l’acqua. Il costituente principale è il silicato di alluminio idrato a cui sono aggiunti in varia percentuale carbonato di calcio (terrecotte e laterizi), quarzo, feldspato (porcellane, terraglie), allumina (grès). Durante il processo produttivo possono avvenire delle contaminazioni in funzione del tipo di combustibile utilizzato. Il contenuto di radioattività naturale è legato alle caratteristiche delle materie prime impiegate.
Impieghi
Strutturali, rivestimento, sanitari.
Calcestruzzi
Costituenti base sono acqua e cemento (il più utilizzato è il tipo Portland) con l’eventuale aggiunta, in concentrazioni molto base, di additivi fluidificanti e/o ritardanti.
Malte per intonaci
Il componente principale è la calce miscelata con acqua e sabbie di idonea composizione e granulometria.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
Valutazione del rischio
Non sussistono rischi associabili a questo tipo di prodotto durante la sua vita in opera.
E.NTROLLO
Impieghi
Strutturali.
F. TERIALI,
Valutazione del rischio
Crepe e fessurazioni nelle strutture che si realizzano, specie se di fondazione, possono costituire delle vie per la propagazione del gas radon. Alti livello di radioattività per i cementi contenenti pozzolana e derivati.
Impieghi
Strutturali.
Valutazione del rischio
Il livello di radiazione, per altro basso, dipende dalle cave di provenienza delle materie prime.
CO NTALE AMBIE ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TRATTAMENTI SUPERFICIALI DELLE MURATURE
Idropittura
Pittura al solvente
Pittura plastica
Vernici
Il prodotto è costituito da quattro componenti: legante, pigmenti, cariche e solventi. Come leganti possono essere utilizzati resine acriliche o viniliche. Pigmenti tossici, anche se già vietati per legge, sono i derivati del titanio, del cromo e del piombo. Le cariche sono costitute da sostanze inorganiche come il caolino, i silicati, carbonato di calcio. Il solvente è costituto dall’acqua. Generalmente vengono aggiunte altre sostanze con funzione plastificante e di miglioramento delle caratteristiche di idrorepellenza e inattaccabilità da parte di microrganismi.
Impieghi
Finitura.
Valutazione del rischio
Scarsa, concentrata nelle fasi di stesura del prodotto e di essiccamento. Aerare i locale durante queste fasi.
In questo tipo di pitture il legante è costituto da resine alchidiche, di urea-formaldeide, poliuretaniche o epossidiche. I pigmenti sono in genere sostanze di composizione chimica complessa. Le cariche sono costitute da sostanze inorganiche come il caolino, i silicati, carbonato di calcio. I solventi più comuni sono a composti organici volatili come i chetoni, gli idrocarburi, gli idrocarburi clorurati, gli alcoli, gli esteri, l’essenza di trementina, toluene e xilene. Generalmente vengono aggiunte altre sostanze (0,2%-2%) con funzione plastificante e di miglioramento delle caratteristiche di idrorepellenza e inattaccabilità da parte di microrganismi.
Impieghi
Il legante è composta da copolimeri di resine acriliche o viniliche. I pigmenti sono generalmente di origine organica. Le cariche sono costituite da polveri di quarzo, carbonato di calcio e biossido di titanio rutilo. Come solvente è utilizzata l’acqua con ridotte concentrazioni di ammoniaca, glicole etilenico e pentaclorofenato di sodio. Generalmente vengono aggiunte altre sostanze (0,2%-2%) con funzione plastificante e di miglioramento delle caratteristiche di idrorepellenza e inattaccabilità da parte di microrganismi.
Impieghi
Finitura.
Valutazione del rischio
Concentrato durante la fase di stesura per inalazione di particelle resinose. Non sono stati riscontrati effetti nocivi del prodotto durante il suo periodo di vita.
Il prodotto è costituito essenzialmente da un legante e un solvente. Componenti secondari risultano essere, pigmenti, antiossidanti, cariche e ritardanti di fiamma (sostanze di derivazione naturale o sintetica). I tipi di leganti maggiormente utilizzati sono le resine acriliche o quelle alchidiche. I solventi più comuni sono a composti organici volatili come i chetoni, gli idrocarburi, gli idrocarburi clorurati, gli alcoli, gli esteri, l’essenza di trementina, toluene e xilene.
Impieghi
Finitura, protettivo.
Valutazione del rischio
Elevata, associata alle fasi di stesura ed essiccamento del prodotto. Possono evidenziarsi anche effetti allergizzanti o irritanti anche al livello cutaneo. Le modalità di rilascio del solvente dipendono dalle caratteristiche dello stesso, e possono perdurare per un certo periodo. Ventilare abbondantemente i locali durante e dopo la stesura del prodotto verniciante e quando possibile effettuare un invecchiamento precoce del prodotto tramite i su menzionati cicli di bake-out. Durante il resto della vita del prodotto non sono state ancora evidenziate azioni tossiche o nocive.
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE
Finitura.
E.4. ICA T ACUS
Valutazione del rischio
Elevata, associata alla volatilizzazione dei solventi (concentrata in un breve periodo) e al rilascio prolungato nel tempo dei composti costituenti il legante (formaldeide, resine epossidiche). Ventilare abbondantemente durante la stesura e prima del riutilizzo del locale.
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
➥
. RIA E.3.3 À DELL’A ZIONE IT A QUAL PROGETT NELLA
E 75
E.3. 3.
CONTROLLO AMBIENTALE • QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI QUALITÀ DELL’ARIA NELLA PROGETTAZIONE ➦ MATERIALI ➦ TAB. E.3.3./3 VETRI E DERIVATI Vetro
Fibre minerali artificiali (MMVF)
Non presenta alcun problema dal punto di vista della qualità dell’aria.
Questi prodotti sono costituiti a base di silicati amorfi, trattati con oli minerali e resine termoindurenti.
Impieghi
Isolante termoacustico.
Valutazione del rischio
Allo stato attuale sono stati accertati sono effetti irritativi alle mucose, alle prime vie dell’apparato respiratorio, agli occhi e alla pelle. Effetti cancerogeni non sono ancora del tutto evidenti. Misure di protezione agli occhi e sul corpo devono essere prese soprattutto in fase di posa in opera. Oli e resine impiegati possono rilasciare diversi composti organici durante il periodo di invecchiamento.
MATERIE PLASTICHE ED ELASTOMERICHE Impieghi
L’impiego dei siliconi è vastissimo. In edilizia si utilizza come sigillante, adesivo con proprietà idrofughe, come additivo per vernici, smalti e prodotti impermeabilizzanti, come base per guarnizioni.
Valutazione del rischio
In forma fluida vi è una elevata volatilizzazione dei composti organici durante la posa in opera. In forma elastomerica è caratterizzato da rilasci a emissione lenta nel tempo.
Il polivinilcloruro è un polimero del cloruro di vinile, a cui vengono aggiunti plastificanti (esteri ftalati o esteri di acidi pluribasici, alcoli monovalenti), stabilizzanti (gesso, caolino, fibre di vetro, grafite, carbonio, kevlar ecc.) e ritardanti di fiamma (idrossidi di alluminio o composti di cloro e bromo). Nell’utilizzo come rivestimento lo strato di finitura viene trattato con protettivi a base di resine acriliche o poliuretaniche (PVC plastificato).
Impieghi
Diversi in diverse forme: rivestimento, film impermeabili, schiume, tubazioni ecc.
Valutazione del rischio
Il cloruro di vinile è una sostanza cancerogena. Il cloro contenuto nel polimero tende a volatilizzare nel tempo così come lo strato di resine acriliche o poliuretaniche. L’utilizzo di collanti per la posa in opera aumenta l’intensità delle emissioni. In alcuni tipi di lavorazioni (schiume ed elastomeri) le emissioni sono lente e costanti nel tempo.
Impieghi
Rivestimenti, guarnizioni.
Gomma
Elastomeri naturali o sintetici ottenuti dopo un processo di vulcanizzazione. In queste fasi vengono inoltre aggiunte cariche di origine naturale, plastificanti (esteri pluribasici, alcoli monovalenti, esteri ftalati o particolari mescole polimeriche più stabili), e pigmenti. Nel caso di rivestimenti lo strato superficiale può essere rinforzato con un film protettivo di acriliche o poliuretaniche.
Valutazione del rischio
Le gomme sono soggette a invecchiamento precoce rispetto alle resine viniliche con conseguente polverizzazione a causa della scarsa tenuta dei legami intermolecolari dello zolfo. Scarse emissioni di composti volatili. Problematiche possono essere associabili all’eventuale strato protettivo acrilico o poliuretanico e all’uso di collanti (policloroprenici ed epossi-poliammidici) che possono rilasciare composti anche lentamente nel tempo.
Impieghi
Utilizzati in colle e additivi, isolanti temoacustici, arredo.
Poliuretano
Polimeri caratterizzati dalla presenza di una macromolecola del gruppo uretanico ottenuto per reazione tra gli isocianati e alcoli polivalenti.
Valutazione del rischio
Anche se le reazioni tra le materie prime sono teoricamente complete si verificano emissioni di composti volatili lente nel tempo correlate anche a una diminuzione di volume, soprattutto nel caso delle schiume.
Impieghi
Pannelli termoisolanti, coperture trasparenti.
Valutazione del rischio
Rilasci elevati di stirene sono stati riscontrati alla fabbricazione del prodotto seguiti da un veloce decadimento; anche il tipo di lavorazione del materiale (sinterizzato o estruso) influisce sulle modalità di emissione. Nel caso del polistirene espanso sinterizzato (polistirolo) il rilascio è condizionato anche dall’invecchiamento del materiale e dalla perdita di tenuta delle celle.
Sigillanti, siliconi
PVC
Polistirene
Materiali, presenti in forma liquida o semisolida, costituiti da una macromolecola di silicio e ossigeno o cloro, e radicali alchilici (etile, metile ecc.). Le soluzioni siliconiche possono essere trattate con resine sintetiche di vario tipo (alchidiche, poliestere ecc.) per ottenere i corrispondenti copolimeri.
Polimero dello stirene (vinilbenzene). Nelle forme espanse è additivato con pentano.
MATERIALI TESSILI
Moquette
Tappezzeria
E 76
Le fibre possono essere di origine naturale (lana) o sintetica (poliammidi variamente trattate). Nel secondo caso esiste inoltre un sottofondo gommato ottenuto con PVC o gomma. La moquette, come tutti i materiali tessili e cartacei, ha un elevato potere di adsorbimento e rilascio di sostante volatili aerodisperse.
Questi prodotti sono costituiti da una base in cellulosa o pasta di legno a cui vengono aggiunte cariche (gesso, caolino), pigmenti, leganti per i pigmenti (materiali adesivi, lattici, materiali colloidi e resine sintetiche), additivi sintetici protettivi contro l’umidità (urea, resine di ureaformaldeide e melammina aldeide) e ad azione biocida (pentaclorofenolo). In alcuni prodotti lo stato superficiale può essere costituito da una pellicola vinilica (PVC) o da fibre naturali (vegetali, animali o minerali) o chimiche (artificiali o sintetiche). Questo tipo di materiali hanno un elevato potere di adsorbimento e successivo rilascio di sostante volatili aerodisperse.
Impieghi
Rivestimenti.
Valutazione del rischio
Non vi è nessun rischio per l’uso di fibre naturali. Per moquette sintetiche oltre al rilascio di sostante dal sottofondo, se non sottoposte a ventilazione preventiva prima della messa in commercio, si verificano forti emissioni collegate all’impiego di collanti. Aerare sempre il locale prima e dopo la posa in opera. Per entrambe i tipi di fibre possono esservi possibilità di contaminazione microbiologica nel caso di locali umidi.
Impieghi
Finitura.
Valutazione del rischio
Nel prodotto finito non si riscontrano tracce degli additivi impiegati in fase di lavorazione. È’ però elevata la contaminazione provocata dai collanti (a base di resine acriliche o epossidiche) utilizzati per la posa in opera. Aerare sempre il locale prima e dopo la posa. Nelle operazioni di manutenzione evitare prodotti contenenti VOC, solventi organici (tricolroetilene, percloroetilene, tricloroetano, acetone, acetati di etile e amile) e propellenti spray come i clorofluorocarburi, gli idrofluorocarburi e anidride carbonica.
CONTROLLO AMBIENTALE
•
QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI QUALITÀ DELL’ARIA NELLA PROGETTAZIONE
E.3. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
METALLI Non presentano alcun problema dal punto di vista della qualità dell’aria, al contrario dei trattamenti, vernicianti e ignifughi a cui sono sottoposti.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
TRATTAMENTI SUPERFICIALI DEI METALLI Impieghi
Protettivo di base.
Trattamento antiruggine
I componenti di base sono un pigmento passivante (cromati e ossidi di zinco, ossido di alluminio), un agente filmogeno (resine oleofenoliche, alchidiche o olio di lino) e un solvente diluente (acquaragia minerale, nafta). Esistono anche pitture protettive per il ferro costituite da resine epossidiche, cloropolietileniche, alchidiche o clorocaucciù, con cloroparaffine e xilolo.
Valutazione del rischio
Effetti tossici dovuti ai solventi che hanno proprietà irritanti per le vie respiratorie ed effetti allergizzanti per la pelle a causa dei pigmenti durante la fase di applicazione del prodotto. Aerare il locale prima e dopo la posa.
Impieghi
Finitura.
Vernici oleosintetiche
I costituenti base di questi prodotti sono una resina filmogena (alchidiche o acriliche) e un solvente costituito in genere da composti organici volatili come i chetoni, gli idrocarburi, gli idrocarburi clorurati, gli alcoli, gli esteri, toluene e xilene. A questi vengono poi aggiunte sostanze per migliorare la resistenza agli agenti biologici, per sviluppare azioni idrorepellenti ecc.
Valutazione del rischio
Rischio connesso all’effetto tossico del solvente e alla dispersione di particelle in fase di posa in opera. Aerare il locale durante e dopo la stesura. Scarsa volatilizzazione residua. Possibilità di proliferazione interna di agenti biologici a causa dell’effetto impermeabilizzante.
Impieghi
Vernici per la finitura di superfici metalliche.
Valutazione del rischio
Rischio connesso all’effetto tossico del diluente e alla dispersione di particelle in fase di posa in opera. Arieggiare il locale durante e dopo la stesura. Scarsa volatilizzazione residua. Finitura.
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
Vernici oleo-alchidiche
I componenti base di questi prodotti sono un olio naturale (olio di lino) unito a componenti con funzione filmogena (prodotti di policondensazione tra alcoli polivalenti e acidi polibasici) e un diluente (trementina)
Impieghi
Vernici a base vinilica
In questo tipo di vernici il legante è costituto da resine viniliche. I pigmenti possono essere di origine organica, inorganica naturale e artificiale. Le cariche sono costitute da sostanze inorganiche come il caolino, i silicati, carbonato di calcio. I solventi più comuni contengono composti organici volatili come i chetoni, gli idrocarburi, gli idrocarburi clorurati, gli alcoli, gli esteri, l’essenza di trementina, toluene e xilene. Generalmente vengono aggiunte altre sostanze con funzione plastificante e di miglioramento delle caratteristiche di idrorepellenza e inattaccabilità da parte di microrganismi.
Impieghi
Finitura.
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
Vernici bicomponenti
In questo tipo di prodotti il legante è costituito da resine epossidiche sciolte in solventi specifici impiegati in miscele (xilolo-butanolo-metilsobutichetone, xilolo-butanolo, xilolo-metilisobutichetone, toluolo-isopopanolo, toluolo-metiletilchetone-metilglicole). Sono aggiunte inoltre cariche e pigmenti di composizione chimica complessa. Nelle vernici bicomponenti il processo di filmazione non avviene attraverso un fenomeno fisico ma mediante reazioni chimiche a cui va soggetto il legante.
Valutazione del rischio
Sia durante la fase di stesura che nel corso della vita del prodotto vengono rilasciate in quantità e modalità variabile sostanze altamente tossiche.
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE
Impieghi
Finitura.
Pittura al clorocaucciù (Vernici tixotropiche)
Il legante è costituito da lattice di gomma naturale trattato con il cloro. A questo viene in genere aggiunto un elastomero sintetico (alloprene) abbinato a plastificanti (cloroparaffine) e a sostanze che migliorano le prestazioni in fase di stesura del prodotto (agenti tixotropici come bentoniti e oli di ricino idrogenati). I pigmenti utilizzati sono di origine organica o inorganica artificiale. I solventi più comuni sono l’alcol etilico, l’acetato di cellosolve, la trementina e lo xilolo.
Valutazione del rischio
Effetti irritativi e allergizzanti da parte di solventi e pigmenti durante la posa in opera. La presenza di agenti toxotropici permette di utilizzare solventi a veloce volatilizzazione pur mantenendo a lungo la lavorabilità dello strato pittorico. Ciò limita a un breve periodo l’azione inquinante del prodotto. Aerare durante e dopo la posa.
G.ANISTICA URB
Valutazione del rischio
Volatilizzazione elevata dei solventi (concentrata in un breve periodo) all’atto della posa in opera. Ventilare abbondantemente durante la stesura e prima del riutilizzo del locale. Durante la vita del prodotto non sono stati evidenziati particolari rischi.
FIG. E.3.3./1 FLUSSI D’ARIA E ZONE CONTAMINATE
Presa di aria esterna Un posizionamento non corretto della presa di aria esterna ha come effetto l’immissione di aria nell’impianto di qualità notevolmente peggiore di quelle media esterna. Per individuare la miglior collocazione delle prese d’aria è importante: • verificare le direzioni e le intensità dei flussi d’aria che investono l’edificio (venti e correnti) per individuare vortici, zone di ristagno d’aria soprattutto nel caso in cui è inserita una sorgente inquinante (camini, espulsioni d’aria, torri evaporative), livello delle pressioni sulle pareti dell’edificio È preferibile: • posizionare le prese sulla copertura dell’edificio (nel caso di coperture orizzontali). Su tetti molto estesi collocare la presa dove le correnti d’aria riaderiscono alla copertura ma non in prossimità dei bordi dove si verificano i vortici.
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
PROGETTAZIONE DI IMPIANTI DI CONDIZIONAMENTO Sono di seguito riportati alcuni punti critici da valutare in fase di progettazione di un sistema di condizionamento finalizzati a un miglior controllo della qualità dell’aria.
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
• che la bocca di prese sia di tipo a “fungo” o a “collo d’oca” a 180° per minimizzare l’influenza delle pressioni dell’aria e per prevenire l’ingresso della pioggia. Prevedere dei sistemi di griglie per impedire l’ingresso di uccelli o altri animali. • Nel caso in cui la presa debba essere posizionata su una parete, non collocarla in prossimità di angoli, sporgenze e/o rientranze e sempre oltre la metà superiore della parete, per evitare i vortici che si creano alla base dell’edificio.
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
Posizionare la presa d’aria lontano da fonti inquinanti, (traffico veicolare, camini, espulsioni d’aria, torri evaporative, sorgenti inquinanti) ad almeno 4 m dal suolo. Portata d’aria esterna Funzione dell’attività svolta nei locali; per i valori di riferimento minimi richiesti consultare la norma UNI 10339.
. RIA E.3.3 À DELL’A ZIONE IT A QUAL PROGETT NELLA
E 77
E.3. 3.
CONTROLLO AMBIENTALE • QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI QUALITÀ DELL’ARIA NELLA PROGETTAZIONE ➦ PROGETTAZIONE DI IMPIANTI DI CONDIZIONAMENTO Sistemi di filtrazioni dell’aria È elemento che contribuisce alla purificazione dell’aria da polveri, microrganismi. Per l’individuazione delle sezioni da installare, in funzione di specifiche destinazioni d’uso, consultare la norma UNI 10339. FILTRI SPECIALI Filtri a carbone attivo Sono in grado di intercettare quasi tutti i composti organici e inorganici. Per l’utilizzazione di questi filtri occorre valutare la quantità di carbone attivo necessaria (kg) in relazione al tipo di inquinate da abbattere. Nella tabella seguente sono indicate le quantità approssimative necessarie per un metro cubo d’aria trattata, prevedendo un utilizzo dell’impianto di 8 ore al giorno per 5 giorni alla settimana. TAB. E.3.3./4 QUANTITÀ APPROSSIMATIVA DI CARBONE ATTIVO PER VARIE DESTINAZIONI D’USO DESTINAZIONE D’USO
kg/m3
Abitazioni
0,01
Alberghi, camere
0,025
Auditorio
0,025
Bagni
0,025
Banche Banche, camere di sicurezza
0,025-0,065 0,2
Bar, caffetterie
0,025
Birrerie, club, night club
0,065
Edifici uffici
0,065
Laboratori chimici
0,065
Librerie
0,025
Magazzini
0,025
Musei
0,025
Negozi di lusso
0,065
Ospedali, camere di degenza
0,065
Ospedali, sale operatorie
0,065
Ristoranti
0,025
Sale conferenze
0,065
Scuole
0,065
Teatri
0,065
Non tutte le sostanze vengono adsorbite con ugual efficienza. L’indice di adsorbimento risulta trascurabile per sostanze come monossido di carbonio, metano, metil-butil-chetone, idrogeno, etano, etilene. Per composti come ammine, ammoniaca, anidride solforosa, bromuro di idrogeno, floruro di idrogeno, ossido di etilene, propano, propilene e selinuro di idrogeno l’impiego di carboni attivi può risultare del tutto insufficiente. È da tenere presente che le modalità di adsorbimento variano anche in funzioni dello stato termoigrometrico dell’aria (minore adsorbimento con elevati valori di UR e/o temperatura), e delle concentrazioni del gas (diminuisce al diminuire della concentrazione). In particolare condizioni i filtri a carbone attivo possono anche dar luogo a rilasci di sostante precedentemente adsorbite. I filtri a carboni attivi vengono in genere impiegati tra una sezione prefiltrante e una sezione ad alta efficienza.
E 78
Filtri chemio-assorbenti Sono filtri costituiti da allumina impregnata con reagenti attivi (permanganato di sodio) e impiegati in applicazioni speciali per la rimozione di vapori di mercurio, anidride solforosa, ossidi di azoto e altri gas corrosivi. L’effetto filtrante si esplica attraverso uno stadio di adsorbimento da parte dell’allumina e una reazione chimica (assorbimento) tra permanganato e il gas, il quale rimane fissato al substrato del filtro. Questi filtri hanno una efficienza costante, non rilasciano sostanze. Filtri elettronici ed elettrostatici Il principio di funzionamento di questi filtri si basa sulla ionizzazione delle particelle tramite un campo elettrico e la loro raccolta su piastre caricate positivamente e negativamente. Una sezione prefiltrante capta le particelle più grossolane e rende uniforme la distribuzione del flusso d’aria su tutta la superficie del filtro. In genere sono previsti sistemi di lavaggio delle piastre di raccolta delle particelle; in questo caso è importante verificare che non vi siano le condizioni affinché si formino proliferazioni di microrganismi o formazioni di incrostazioni che possono contaminare l’aria in passaggio (vedi manutenzione). I filtri elettronici hanno una efficienza variabile che diminuisce all’aumentare della portata d’aria. Questi tipi di filtri producono anche una certa quantità di ozono che può risultare dannosa soprattutto in caso di ambienti museali. Batterie di raffreddamento Il problema della qualità dell’aria per le batterie di raffreddamento è collegato al possibile ristagno dell’acqua di condensazione con la formazione di incrostazioni e proliferazione di microrganismi, alghe e muffe. È quindi importante verificare anche in sede di installazione che il drenaggio dell’acqua di efficacie. Umidificatori Le potenzialità di inquinamento da parte degli umidificatori è correlata alla proliferazione di microrganismi, alla formazione di incrostazioni nelle vasche di pescaggio dell’acqua o ai trattamenti chimici cui viene sottoposta l’acqua per ovviare al problema precedente. Gli umidificatori si distinguono in: Umidificatori a ugelli: sono quelli a più alto rischio di contaminazione se non mantenuti correttamente. L’acqua, soprattutto se raggiunge i 20°C, diviene terreno di coltura di batteri che vengono nebulizzati nell’aria raggiungendo gli ambienti occupati. L’uso di biocidi è comunque sconsigliato in quanto questi vengono aerodispersi con l’acqua di umidificazione. Con acque particolarmente dure si possono formare incrostazioni sugli ugelli e nelle vasche; l’uso però di trattamenti addolcenti produce un’acqua maggiormente corrosiva. Indispensabile una manutenzione continua.
Umidificatori a getto di vapore: microbiologicamente sterile, l’acqua però può essere trattata con sostante chimiche tossiche come il dietilamminoetanolo (DEAE), il cicloexilama (CHA) o l’ancor più tossico amiometil propanolo (AMP). Umidificatori con media: questi sistemi utilizzano una superficie di metallo corrugato, carta di cellulosa impregnata o materassini di fibra di vetro bagnati dall’alto. Questi sistemi progettati per un raffrescamento evaporativo, presentano numerosi inconvenienti dati dalla presenza di superfici mantenute costantemente umide sulle quali inevitabilmente si formano muffe e alghe. Umidificatori ad atomizzazione (generatori di nebbia): l’atomizzazione dell’acqua coinvolge anche l’aerodispersione dei depositi delle vasche di alimentazione. Ciò può comportare un aumento della carica batterica e dell’accumulo di polveri calcaree all’interno dell’ambiente. L’uso di una sezione filtrante a valle dell’umidificatore costituisce un terreno di coltura preferenziale per microrganismi. È vivamente sconsigliato l’uso di umidificatori portatili in ambiente, in quanto la scarsa manutenzione e l’elevata temperatura dell’acqua, rendono questi componenti sorgenti di contaminazione biologica. Canalizzazioni È da evitare al massimo l’uso di isolanti termoacustici all’interno delle canalizzazioni, in quanto impossibili da pulire e maggiormente aggredibili da polveri e microrganismi sedimentati. Prevedere inoltre il passaggio dei canali in punti facilmente accessibili, con l’inserimento di portelli e accessi per operazioni di pulizia meccanica interna. Nel caso di plenum in controsoffitto o pavimento, fare in modo che possano essere facilmente pulibili. Diffusori e griglie di ripresa Il posizionamento e la scelta delle prestazioni di diffusori e griglie di ripersa è funzionale alle modalità di immissione dell’aria previste nel progetto (miscelazione completa o dislocamento). È fondamentale evitare zone di ristagno d’aria in ambiente mentre occorre creare zone a pressione differenziale variabile in modo tale che non vi sia la possibilità di contaminazione tra zone a rischio (garage, servizi fotocopiatrici, laboratori, depositi, servizi igienici ecc.) e zone occupate. Fan coil Usualmente i carter dei fan coil divengono dei raccoglitori di poveri e sporcizia. È importante prevedere, soprattutto nel caso di elementi integrati, la possibilità di accessi facilitati per operazioni di pulizia. Prevedere inoltre sistemi di drenaggio dell’acqua di condensazione affinché non si formino ristagni o zone ad alto tasso di umidità.
PROGETTAZIONE DELLA MANUTENZIONE DI UN EDIFICIO Poiché un edificio fin dal momento della sua ultimazione è soggetto a una azione continua di degrado in ciascuna delle sue parti (dall’Edificio Salubre, alla Sindrome da Edificio Malato fino all’Edificio Malato in senso stretto), è importate che già in sede progettuale siano previsti sistemi, facilitazioni e vere e proprie procedure finalizzate all’ottimizzazione delle operazioni di manutenzione di componenti e impianti. Riguardo al controllo della qualità dell’aria sono basilari le ope-
razioni di manutenzione igienico sanitaria degli ambienti interni (scelta di materiali di finitura facilmente manutenibili senza l’impiego di prodotti a loro volta inquinanti, arredi che non costituiscano ricettacoli di polveri e sedimentazioni, procedure di manutenzione igienica sistematica del sistema di ventilazione/condizionamento in ciascuna delle sue parti e in special modo umidificatori, bacini di raccolta acqua, filtri, canalizzazioni, fan coil).
CONTROLLO AMBIENTALE • QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI RADON: PRESENZA E INTERVENTI DI MITIGAZIONE
A.ZIONI
GENERALITÀ Ogni individuo è costantemente esposto a radiazioni di origine cosmica e a quelle emesse da sostanze radioattive presenti nel suolo, nell’aria e nelle acque. Il livello di esposizione “naturale” è estremamente variabile e funzione delle caratteristiche geografiche e geologiche del sito. Il Radon (Rn-222), e i suoi prodotti di decadimento, è un gas inodore, incolore e radioattivo prodotto a sua volta dal decadimento del radio (Ra-226), il quale appartiene alla catena di isotopi radioattivi che ha come capostipite l’uranio-238 il più abbondante isotopo dell’uranio. Il radon trae la sua origine principalmente dalle rocce, dal suolo, dalle falde sotterranee profonde che scorrono in terreni ricchi di uranio e radio e in misura minore dai materiali da costruzione. Date le elevate capacità migratorie del gas legate alle caratteristiche di permeabilità del terreno, alla presenza di falde ecc., la quantità di radon che si trova in uno certo sito non è attribuibile solamente agli strati di terreno immediatamente sottostanti. In caso di alte concentrazioni di gas radon nel sottosuolo, questo diventa la sorgente principale di inquinamento; in presenza invece di concentrazioni di radon relativamente basse nel terreno i materiali da costruzione possono rappresentare la sorgente principale di generazione del gas. La presenza di radon all’interno di materiali da costruzione è strettamente legata all’uso di materie prime ricche di uranio e radio. Alcuni studi dell’ENEA condotti nel decennio scorso, hanno infatti consentito di determinare il contenuto medio di radioattività in materiali lapidei naturali e artificiali utilizzati nel nostro Paese. I risultati hanno evidenziato come i tufi e le pozzolane dell’Alto Lazio e della Campania, di uso prevalentemente locale, presentino un contenuto di radio-226 notevolmente più elevato di quanto non sia stato rilevato negli altri materiali da costruzione impiegati su scala nazionale come laterizi, gessi e cementi portland. Valori molto elevati di radioattività sono inoltre stati riscontrati in alcuni prodotti industriali, e in particolari nei gessi artificiali che fanno uso di materiali fosfatici (fosfogesso) o di alcuni cementi basati sull’impiego di ceneri prodotte dalla combustione del carbone. Questi prodotti non trovano comunque una larga diffusione nel nostro paese. Nella Tab. E.3.4./1 sono riportati i primi risultati di emissioni di radon in alcuni materiali da costruzione. L’elenco dei campioni presi in esame si sta arricchendo con risultati di nuove ricerche in corso presso il Centro Radioisotopi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. TAB. E.3.4./1 EMANAZIONE DI RADON-222 IN ALCUNI MATERIALI DA COSTRUZIONE ITALIANI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. E.3.4./1 LINEE DI INGRESSO DEL RADON
(2) (6) (4) (5)
(7)
(1) attraverso fessurazioni (2) attraverso giunzioni (3) attraverso fessure a livello del terreno (4) attraverso fessurazioni della pavimentazione (5) attraverso le murature (6) attraverso gli spazi intorno alle tubazioni (7) attraverso gli spazi tra le murature
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
(3) (1)
B.STAZIONI DILEGIZLII
CO NTALE AMBIE
(2)
certo con l’A.N.P.A., hanno rilevato i valori medi nazionali e regionali di concentrazione del radon all’interno delle abitazioni. Tale valore è risultato pari a circa 75 Bq/m3 , valore medio alto se confrontato con la media mondiale di 40 Bq/m3. In particolare è stato rilevato che il 5% delle abitazioni (circa 1.000.000 di edifici) presentano concentrazioni superiori a 200 Bq/m3 e un ulteriore 1% (circa 200.000 edifici) supera i 400 Bq/m3. Le regioni a più alta concertazione sono risultate Lazio, Lombardia, FriuliVenezia Giulia e Campania, le cui medie si aggirano tra i 90 e i 120 Bq/m3. In alcune abitazioni dell’Alto Lazio sono inoltre stai rilevati valori fino a 1000 Bq/m3. Ciò è dovuto alla particolare origine vulcanica di parte dei terreni e dei materiali da costruzione utilizzati. (vedi Fig. E.3.4./2). La concentrazione media di gas radon nell’aria esterna si aggira invece intorno ai 3 Bq/m3, con una variabilità tra 0,1 (zone costiere) fino a 10 Bq/m3.
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
FIG. E.3.4./2 MAPPA DELLE CONCENTRAZIONI DI RADON IN ITALIA
TASSO DI EMANAZIONE DI 222RN ± DEVIAZIONE STANDARD (Bq/kg h)
CAMPIONE
valore aspettato
misurato
% di emanazione
Pozzolana
1,307
0,26 ± 0,06
19,9
Mattoni
0,293
0,02 ± 0,005
6,8
Sabbia
0,160
0,03 ± 0,005
18,7
Porfido
0,305
0,03 ± 0,005
9,8
Tufo
2,430
0,33 ± 0,02
13,6
Gesso
0,052
n.d
n.d
0,52
0,030,001
5,7
Cemento
E.3. 4.
La ricerca ha inoltre messo in luce come le capacità migratorie del gas siano influenzate dalla presenza, nella composizione del muro, di strati meno permeabili. Il meccanismo di base che trasporta il radon dal suolo o dall’aria esterna all’interno di ambienti chiusi è la differenza di pressione esistente tra questi e l’ambiente confinato. Poiché generalmente un edificio si trova in depressione rispetto all’esterno, anche di pochi Pascal, per effetto dell’azione combinata del vento e di gradienti termici, si genera un fenomeno di continua aspirazione di aria e di radon dal suolo attraverso fessure, giunti, tubazioni presenti nella struttura del fabbricato stesso (vedi Fig. E.3.4./1). La capacità di accumulo di radon negli ambienti confinati dipende poi da diversi fattori come il microclima, le concentrazioni di polveri e aerosol, la tipologia edilizia, le abitudini di vita, e in particolare modo dal grado di ventilazione dell’ambiente. Campagne di raccolta dati promosse sia dall’ENEA che dall’Istituto Superiore della Sanità di con-
TUFI E LAVE LAZIALI E CAMPANE (15-60 ppm) ROCCE METAMORFICHE ED ERUTTIVE MESO E PERSILICICHE (5 ppm) SEDIMENTI ALLUVIONALI PADANO VENETI (4 ppm) CALCARI E DOLOMIE DI MARE "SOTTILE" (3 ppm) SABBIE,ARGILLE,MARINE; ALLUVIONI SUD-PADANE PENINSULARI E INSULARI (2ppm) CALCARI DI MARE PROFONDO (<2 ppm) ROCCE ERUTTIVE BASICHE (0.5-2 ppm) ROCCE ERUTTIVE ULTRABASICHE (<0.5 ppm)
1 Bq/m3 = 0,027 pCi/l Una grandezza spesso impiegata nella metrologia del radon è la cosiddetta concentrazione del radon equivalente all’equilibrio (EECRn). Essa rappresenta la concentrazione in aria di radon in equilibrio con i suoi prodotto di decadimento a vita media breve, a cui è associata la stessa concertazione di energia potenziale alfa (J/m3) della miscela effettiva in disequilibrio dei prodotti a vita media breve del radon presenti nel volume considerato. Poiché le concentrazioni in aria di radon e dei suoi prodotti di decadimento in genere non si trovano in condizioni di equilibrio, a causa di una deposizione differenziata
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
UNITÀ DI MISURA E PARAMETRI DI RIFERIMENTO Di seguito sono riportate, a titolo informativo, alcune tra unità di misura principali utilizzate nella metrologia e nella dosimetria del radon, espresse nel Sistema Internazionale. L’unità di misura dell’attività di un radionuclide è il Becquerel (Bq), equivalente a 1 disintegrazione al secondo (1Bq = 27pCi) L’attività per unità di volume è denominata concentrazione:
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
dei prodotti di decadimento del radon sulle superfici di un ambiente dovuta sia a fenomeni naturali sia alle attività antropiche, è necessario introdurre, per il calcolo della concentrazione dei prodotti di decadimento del radon, un fattore di equilibrio in aria F definito come il rapporto tra la concentrazione del radon equivalente all’equilibrio EECRn e la concentrazione effettiva del gas radon nel volume considerato. Il valore convenzionalmente accettato è compreso tra 0,3-0,5 con una media di 0,4. Un altro parametro importante, per la determinazione della l’esposizione cumulata al radon, è il cosiddetto fattore occupazionale definito come frazione di tempo media trascorsa da un individuo all’interno di ambienti chiusi nell’arco della giornata, termine che per le società industrializzate si aggira intorno all’80% (19 ore in ambienti chiusi su 24) con un 65% trascorso in casa. Per poter confrontare le conseguenza associate a diverse sorgenti di radiazioni ionizzanti è stata introdotta una grandezza non fisica, denominata dose equivalente (misurata in sievert (1J Kg–1) Sv). La dose equivalente è il prodotto dell’energia trasmessa da una radiazione ionizzante a una quantità di materia (in questo caso tessuti del corpo), per il fattore di qualità della radiazione (funzione del tipo di radiazione) per un fattore correttivo, convenzionalmente fissato pari a 1 dal Comitato internazionale di radio protezione.
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. RIA E.3.3 À DELL’A ZIONE IT A QUAL PROGETT NELLA . ZA E.3.4N: PRESEN RADO RVENTI DI E E INT AZIONE MITIG
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E.3. 4.
CONTROLLO AMBIENTALE • QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI RADON: PRESENZA E INTERVENTI DI MITIGAZIONE ASPETTI PATOLOGICI L’esposizione ai prodotti di decadimento del radon aumenta il rischio di tumore polmonare per gli esseri umani; al radon viene attribuito un rischio collettivo molto rilevante dell’ordine del 5-20% di tutti i tumori polmonari, per cui l’esposizione al radon viene generalmente considerata come la probabile seconda causa di tali tumori, dopo il fumo di sigaretta. L’inalazione di aria contenente radon e i suoi prodotti di decadimento, anch’essi radioattivi, comporta un irraggiamento dei polmoni con radiazioni ionizzanti di tipo alfa. Fin dal 1987 il radon e i suoi prodotti di decadimento sono stati
classificati come cancerogeni di gruppo 1, come cioè una di quelle sostanze per le quali vi è evidenza sufficiente dell’effetto cancerogeno sulla base di studi su esseri umani, nel caso del radon sulla base delle indagini epidemiologiche sui minatori. Per quanto riguarda l’entità del rischio esso è proporzionale alla quantità di radon e non vi sono evidenze o fondati sospetti della esistenza di una soglia, per cui occorre minimizzare il rischio espositivo residenziale in assenza di un limite sanitario oltre il quale ci sarebbe rischio per la salute.
NORMATIVA DI RIFERIMENTO Al momento l’Italia ha emanato un solo decreto in materia di radiazioni ionizzanti (DL 17 marzo 1995 n.230) riferito esclusivamente ad ambienti di lavoro. Tale decreto, di carattere generale, prevede l’emanazione di altri decreti attuativi, in via di elaborazione, che stabiliscano le condizioni e le modalità applicative in materia di sicurezza da esposizione al radon. Sempre in campo nazionale non esistono normative che facciano riferimento ad ambienti domestici. In campo europeo sia al livello comunitario che di organismi internazionali sono state divulgate una serie di raccomandazioni (prima tra tutte la raccomandazione sulla tutela della popolazione contro l’esposizione al radon in ambienti chiusi del 21 febbraio 1990), e normative specifiche in materia che mostrano una sostanziale convergenza nel delineare un quadro di riferimento per l’adozione di normative nazionali. L’International Commission on Radiological Protection (ICPR) e l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) concordano nell’individuare un intervallo di concentrazione media annuale di radon all’interno di abitazioni compresa tra 200-600 Bq/m3 come limite oltre il quale adottare interventi atti a ridurne la concentrazione. In particolare l’Unione Europea ha individuato due soglie di
attenzione differenziate per edifici di nuova costruzione e vecchia costruzione. Tali livelli fanno riferimento rispettivamente a 200 e 400 Bq/m3. Nel quadro degli ambienti di lavoro la Direttiva Europea 96/29/EURATOM, in qualche modo anticipata dal DL 350/1995, richiede di individuare le attività lavorative che possano costituire oggetto di attenzione per l’esposizione dei lavoratori (come stabilimenti termali, grotte, miniere ecc.) e della popolazione al radon, imponendo una adeguata sorveglianza e la messa a punto di sistemi di protezione. Le soglia di attenzione proposte da ICPR e IAEA per di gli ambienti di lavoro è compresa tra 500-1000/1500 Bq/m3, valore sensibilmente più elevato di quello per edifici residenziali dato il minor tempo di esposizione e la possibilità di mettere a punto più efficaci sistemi di protezione e controllo. Nel 1997 la Commissione Europea ha inoltre emanato ulteriori linee guida riguardo le misure preventive per quanto concerne la radio protezione in ambienti di lavoro (radon, processi industriali, equipaggio aereo).
PRINCIPALI RIFERIMENTI LEGISLATIVI • DL 17 marzo 1995, n.230, Attuazione delle direttive Euratom 80/836,84/467, 84/466, 89/618, 90/641 e 92/3 in materia di radiazioni ionizzanti. • UE Raccomandazione della Commissione del 21 febbraio 1990 sulla tutela della popolazione contro l’esposizione al radono in ambienti chiusi (in GUCE NL 80/26 del 27 marzo 1990) • UE Direttiva 96/29/Euratom del Consiglio, del 13 maggio 1996, che stabilisce le norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione sanitari della popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti (in GUGE NL 159 del 29 giugno 1996)
• European Commission radio portection 88 Raccomandations for the implementation of Title VII of European Basic Safety Standard Directive (BSS) concerning significant increase in exposure due to natural radiation sources 1997 • Regione Lombardia - Giunta regionale Settore Sanità e Igiene, Circolare 103/san, Rischio radon - Interventi di sorveglianza negli ambienti di vita e negli ambienti di lavoro, aprile 1991
INTERVENTI DI MITIGAZIONE DEL RADON Tutti gli interventi si basano sulla riduzione, per quanto è possibile, della differenza di pressione tra il sottosuolo e l’interno dell’edificio, agendo su eventuali gradienti termici (effetto camino), sul funzionamento di estrattori o di apparecchi di combustione, e sul miglioramento della ventilazione naturale soprattutto nei piani bassi e nei locali interrati o seminterrati. Infatti il radon riesce a fare il suo ingresso all’interno dell’abitazione solo se nelle parti più vicine al terreno è presente una differenza di pressione negativa rispetto al suolo circostante. Il gas viene così aspirato all’interno dell’ambiente. Limitando al massimo condizioni che possano favorire questa aspirazione, si può ottenere una riduzione delle concertazioni del gas nell’aria. Ricerche in campo hanno rilevato come non esista un intervento in assoluto migliore rispetto agli altri soprattutto quando si tratta di edifici esistenti, in quanto differenti tipologie edilizie e caratteristiche costruttive dell’edificio possono incidere notevolmente sulle prestazioni generali del sistema impiegato. Il parametro principale con cui si valuta l’efficacia delle azioni di rimedio è rappresentato dal fattore di riduzione FR, definito come rapporto tra la concentrazione di radon prima e dopo la messa a punto dell’intervento. Buone azioni di rimedio si considerano quelli con fattori di riduzione almeno pari a 4-5. In Fig. E.3.4./3 è riportato a titolo esemplificativo il grado di efficacia riscontrato in relazione a differenti interventi, finalizzati alla mitigazione della concentrazione del radon, attuati nel Regno Unito. Da rilevare che la differenza di tecnologie costruttive presente tra questo paese e il nostro, soprattutto in ambito residenziale, non permette di riportare integralmente le esperienze in esso fatte. Accanto agli interventi sopra elencati si può adottare un altro sistema di mitigazione del radon che però ha un rapporto costo beneficio non particolarmente favorevole, in particolare per ambienti residenziali. Questo tipo di intervento mira a eliminare il gas all’interno dell’aria ambiente tramite unità ventilanti locali dota-
te di precipitatori elettrostatici, generatori ioni e filtri a carbone attivo. Questi sistemi hanno dei fattori di riduzione relativamente bassi; di qualche utilità possono essere in ambienti di lavoro nei casi in cui vi sia un lieve superamento dei livelli di azione. A titolo informativo, a differenza di altri tipi di contaminati che possono essere rimossi tramite l’estrazione dell’aria dagli ambienti o in prossimità della sorgente, per il radon questo intervento non può essere assolutamente applicato, perché la depressurizzazione del locale automaticamente richiamerebbe dal sottosuolo o dai materiali quantitativi ancora maggiori di gas. FIG. E.3.4./3 EFFICACIA DEI DIVERSI INTERVENTI DI MITIGAZIONE DEL RADON
400
600
800
1000 1200 1400 1600 1800 2000
SIGILLATURA VENTILAZIONE NATURALE VENTILAZIONE VESPAIO PRESSURIZZAZ. EDIFICIO DEPRESSURIZ. DEL SUOLO
VALUTAZIONE DEL RISCHIO In ogni situazione in cui sia presente un potenziale pericolo per la salute dell’uomo riconducibile a fattori esterni, è necessario effettuare una preventiva valutazione del rischio, attraverso misurazioni idonee che evidenzi le caratteristiche del sito, la concentrazione dell’inquinante, il rischio affettivo e indichi azioni di rimedio efficaci per la messa in sicurezza del sito stesso. A titolo informativo in Italia è presente personale com-
E 80
petente in materia presso enti di ricerca (ENEA), l’Agenzia Nazionale di Protezione dell’Ambiente ANPA, presso alcune ASL e inoltre si è costituita una associazione di professionisti in radioprotezione, denominata ANPEQ con sede a Bologna. La Regione Lombardia in una relazione, collegata alla citata circolare del settore sanità 103/san, ha delineato alcune linee guida per l’esecuzione di campionamenti di radon in ambienti chiusi;
gli esperti comunque suggeriscono cautela nel generalizzare le indicazioni in essa contenute. Monitoraggi corretti dovrebbero avere una durata da un minimo di tre mesi fino a un anno. Le valutazioni del rischio, corredate di riferimenti al sito, delle metodiche di misura e degli aspetti dosimetrici connessi alle rilevazioni, possono essere consegnate alle ASL affinché predispongano una adeguata opera di vigilanza.
CONTROLLO AMBIENTALE • QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI RADON: PRESENZA E INTERVENTI DI MITIGAZIONE
E.3. 4. A.ZIONI
Principali interventi di mitigazione della concentrazione del radon in ambienti confinati: • Ventilazione naturale • Ventilazione meccanica • Pressurizzazione dell’edificio • Sigillatura delle vie di ingresso • Depressurizazione del suolo – Radon Sumps • Ventilazione del vespaio
depressione all’interno del locale. • Utilizzare solo caldaie stagne (anche per altri motivi di sicurezza) o istallarle all’esterno del fabbricato. • Canne fumarie non utilizzate devono essere richiuse per evitare una non necessaria aspirazione dell’aria dal locale, e nel caso di camini ancora in uso bloccare la canna fumaria con le apposite serrandine quando non sono accesi.
VENTILAZIONE NATURALE
VENTILAZIONE MECCANICA
L’intervento ha lo scopo di fornire informazioni generali per operare una diluizione delle concentrazioni di gas e instaurare un adeguato regime di pressioni interne utilizzando la ventilazione naturale finalizzato a limitare l’ingresso del gas radon quando questo si trovi in concentrazioni non molto elevate (vedi Fig. E.3.4./4). Gli aspetti fondamentali che occorre cogliere sono: • Favorire l’ingresso/uscita dell’aria dai locali situati a piano terra o in seminterrati/interrati, utilizzando serramenti con una scarsa tenuta all’aria, o posizionando griglie o rosette di ventilazione nelle parti superiori del muro o della finestra, per evitare fastidiose correnti d’aria se i locali sono utilizzati per lungo tempo. • Posizionare le aperture delle finestre su pareti contrapposte in modo da favorire la naturale ventilazione degli ambienti prediligendo flussi d’aria caratterizzati da movimenti orizzontali (flussi incrociati) piuttosto che ascensionali. • Evitare che l’aria fluisca liberamente dai piani interrati e/o dal piano terra verso i piani superiori (naturalmente favorita in questo dall’effetto camino), attraverso scale o passaggi aperti, utilizzando porte con una buona tenuta e eventualmente dotate sistemi a pompa che ne permettano la chiusura automatica (tipo porte tagliafuoco). • Dotare eventuali piani superiori di serramenti con una migliore tenuta all’aria spigare meglio. • Sigillare fori o aperture che comunicano con un eventuale sottotetto o dotare di buone guarnizioni eventuali botole di servizio. • Non installare estrattori o canne fumarie nei locali interrati/seminterrati. • Limitare l’uso di estrattori per bagni e cucine allo stretto indispensabile, e non istallare potenze di aspirazione maggiorate rispetto alla necessità dell’ambiente. • Non installare caldaie con bruciatori a fiamma libera in locali seminterrati/interrati, o a diretto contatto con il terreno. L’aria che occorre alla combustione viene infatti “aspirata” dall’ambiente, generando così una
La ventilazione meccanica, come integrazione della ventilazione naturale, nel caso in cui la sua applicazione non sia finalizzata allo stretto controllo del regime di pressioni all’interno di un ambiente confinato, può comunque essere utile per effettuare una mitigazione della concentrazione del gas nell’aria, quando questo si trovi a concentrazioni non molto elevate. La finalità è quella di realizzare un impianto di ventilazione meccanica a tutta aria esterna, per evitare di mettere in circolo aria già contaminata. Le portate in gioco sono quelle normalmente utilizzate per il controllo delle necessità termoigrometriche. Per utilizzare la ventilazione come strumento di diluizione è importante tenere conto di una variabile, sovente trascurata, è cioè l’efficacia di ventilazione, definita come la capacità del sistema immissione/espulsione dell’aria di rimuovere un contaminate. In particolare influenzano l’efficacia di ventilazione le caratteristiche fluido-dinamiche e la posizione dei diffusori, la posizione della ripresa dell’aria. Importante, come sempre è controllare anche la posizione della espulsione dell’aria in atmosfera che non deve interferire con aperture o prese di aria.
pressione positive. Generalmente le portate di aria immesse per soddisfare bisogni termoigrometrici o di qualità dell’aria sono sufficienti a mantenere in sovrapressione un ambiente. Ciò che è importante è il controllo e la valutazione delle vie di uscita dell’aria in termini di portate di aria di ripresa, grado di tenuta dell’edificio, comportamenti e abitudini degli occupanti in merito all’apertura di porte o finestre. È inoltre molto importante, come per la ventilazione naturale, adottare una serie di accorgimenti tali da limitare flussi indesiderati di aria, e valutare le caratteristiche climatiche della località, soprattutto in relazione ai venti dominati, i quali possono generare delle inversioni nei regimi di pressioni interne anche abbastanza consistenti. In ogni caso ciò che è fondamentale è che l’impianto di ventilazione prima del collaudo sia opportunamente bilanciato e tarato, in modo da assicurare una corretta distribuzione delle portate d’aria e un corretto regime di pressioni interne.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
SIGILLATURA DELLE VIE DI INGRESSO L’intervento si riferisce a una metodica atta alla riduzione dell’ingresso del radon all’interno delle abitazioni mediante la sigillatura sistematica, o l’apposizione di idonee barriere, finalizzata all’eliminazione delle principali vie di ingresso presenti nel solaio, nei muri controterra e in corrispondenza di tubazioni verticali passanti.
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
FIG. E.3.4./5 VIE DI INGRESSO DEL RADON FESSURE DELLA PAVIMENTAZIONE FESSURE CONNESSIONI MURALI FESSURE INTORNO ALLE TUBATURE
PRESSURIZZAZIONE DELL’EDIFICIO L’intervento mira a creare attraverso sistemi attivi una pressione positiva all’interno dell’edificio, o in sue porzioni, in modo da impedire l’ingresso del radon per infiltrazione. L’intervento consiste nel realizzare un sistema di ventilazione meccanica e/o di condizionamento. Le portate di aria immesse devono essere tali da garantire all’interno dell’edificio, o limitatamente a eventuali zone seminterrate a maggior rischio di ingresso del gas, una differenza di pressione positiva rispetto a quella che il gas possiede nel terreno. Le considerazioni qui fatte entrano nel merito solo di portate funzionali alla realizzazione di tali differenze di
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS
FIG. E.3.4./4 BUONA E CARENTE VENTILAZIONE NATURALE A E.5. INOTECNIC ILLUM
(D)
(C)
INTERVENTI SU SOLAI
(E) (C) (D)
(B) (B)
(C)
(A) (B) (C)
(A)
(D)
(A)
BUONA VENTILAZIONE
CATTIVA VENTILAZIONE
(A) LASCIARE ALCUNE FESSURE INTORNO A PORTE E FINESTRE DEL PIANO TERRA (B) DISPOSITIVI DI VENTILAZIONE ALLE FINESTRE (C) VALVOLE DI CHIUSURA AI CAMINI (D) SIGILLATURA DELLE FESSURE ALLE FINESTRE AL PRIMO PIANO
(A) FINESTRE AL PIANO TERRA SIGILLATE (B) FINESTRE DEL PRIMO PIANO NON SIGILLATE (C) UTILIZZO DI ESTRATTORI PER LUNGHI PERIODI (D) CAMINI CON TIRAGGIO LIBERO (E) CARENTE SIGILLATURA INTORNO A BOTOLE E CANNE PRESENTI NEL SOTTO TETTO
Nel caso di interventi su solai si procede nel verificare se siano presenti punti di discontinuità, fessure o fratture sul solaio e in particolare in corrispondenza dell’attacco solaio muratura perimetrale rimuovendo l’eventuale battiscopa. L’ispezione deve essere condotta su tutto il perimetro del solaio sia lungo i muri interni che esterni. Un altro passaggio preferenziale del gas che occorre controllare è in corrispondenza di tubazioni, per lo più idriche, provenienti dal sottosuolo. Poiché raramente è possibile osservare il punto di ingresso delle condotte senza dover demolire qualche divisorio, si può ovviare a ciò avendo cura di sigillare i punti in cui le tubazioni fuoriescono dalla parete per l’attacco con i rispettivi sanitari. Verificare anche possibili fessure intorno a pozzetti dell’acqua e pilette. I prodotti utilizzabili per la sigillatura di fessure di ridotte dimensioni sono siliconi a “basso modulo” o sigillanti a base acrilica in dispersione acquosa entrambe facilmente applicabili con le apposite pistole. Per fessure di una certa entità si può ricorre a cementi additivati con lattici di gomma sintetica i quali hanno il compito di migliorarne l’adesione al sottofondo e compensare i ritiri. Sono adatte anche le schiume poliuretaniche, ma è probabile che possano emettere composti volatili anche dopo l’espansione. In ogni caso prima di stendere il sigillante, pulire con cura le superfici, rimuovendo polvere e parti incoerenti.
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E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. ZA E.3.4N: PRESEN RADO RVENTI DI E E INT AZIONE MITIG
E 81
E.3. 4.
CONTROLLO AMBIENTALE • QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI RADON: PRESENZA E INTERVENTI DI MITIGAZIONE ➦ VALUTAZIONE DEL RISCHIO ➦ INTERVENTI SU SOLAI Nel caso di realizzazione di nuovi edifici o di consistenti ristrutturazioni è consigliabile apporre, prima del massetto, delle guaine (in genere di polietilene rinforzato) certificate come impermeabili al gas radon. Nelle applicazioni a pavimento è importante inoltre che i fogli vengano applicati anche alla base di eventuali colonne, montanti di scarichi per una altezza di 10-15 cm, mediante opportune aggiunte e ritagli, sempre sigillate perfettamente. Un efficace intervento dovrebbe interrompere anche la continui-
tà tra pavimento e divisori interi, (portanti e non) per conseguire un efficace isolamento di tutto il solaio controterra. In corrispondenza di eventuali giunti di dilatazione piegare la guaina a soffietto in modo da lasciarle la possibilità di una extra lunghezza per assecondare i movimenti del giunto. In corrispondenza dei muri esterni (sia in applicazioni a pavimento che a parete) far passare la guaina anche attraverso il muro di tamponamento, interrompendo così eventuali risalite attraverso le murature e le even-
tuali camere d’aria. Nella Fig. E.3.4./11 è illustrata una tecnica per l’eventuale isolamento anche dei plinti di fondazione in strutture in cemento armato. Si ricorda però che se il calcestruzzo è di buona fattura, eseguito secondo quanto previsto dalla norma Uni 9858, e confezionato con un basso rapporto acqua/cemento eventualmente utilizzando appositi fluidificanti, oltre a un miglioramento generale della qualità del prodotto, si ottiene un materiale con elevate caratteristiche di impermeabilità.
FIG. E.3.4./6 SIGILLATURA DI FESSURE PERIMETRALI
FIG. E.3.4./7 SIGILLATURA DI TUBAZIONI
FIG. E.3.4./8 SIGILLATURE IN CORRISPONDENZA DI CONDOTTI E MONTANTI VERTICALI
RIMOZIONE DEL BATTISCOPA
RIEMPIMENTO CON ACRILICO RIEMPIMENTO DELLE FESSURE CON SIGILLANTE
FIG. E.3.4./9 PIEGATURA DELLA GUAINA IN CORRISPONDENZA DI GIUNTI DI DILATAZIONE
CONDOTTO
MALTA CEMENTIZIA A BASE DI POLIMERI MODIFICATI
FASCETTA MEMBRANA
FIG. E.3.4./11 ISOLAMENTO DI PLINTI-TRAVI DI FONDAZIONE
FIG. E.3.4./10 ISOLAMENTO SOLAIO
MEMBRANA
MEMBRANA
PLINTO MEMBRANA
POSIZIONE ALTERNATIVA MEMBRANA
MEMBRANA
INTERVENTI SU PARETI CONTROTERRA Per la protezione di muri controterra occorre realizzare internamente una barriera che abbia la caratteristica di essere impermeabile al radon. Questi tipi di intervento necessitano dell’ausilio di una impresa edile per la loro esecuzione e comportano la demolizione e il rifacimento di alcune parti. I prodotto applicabili vanno da intonaci/pitture totalmente inorganiche ad alta resistenza e rapido indurimento testate anche per questi scopi, a membrane, in genere in polietilene ad alta densità, anch’esse sottoposte a prove di diffusione del radon (a questo proposito va segnalato che non esistono dei test standardizzati riconosciuti da organismi ufficiali). L’applicazione di pitture e intonaci cementizi, con interventi simili a quelli di impermeabilizzazione interna di locali interrati, permette di intervenire direttamente anche su murature umide previa una pulizia accurata di parti deterioriate, incoerenti e distaccate. Questi prodotti non hanno però la caratteristica di pedonabilità, quindi non possono essere impiegati per la protezione di pavimenti se non previa ricostituzione di un sovrastante massetto di protezione. Anche i fogli di polietilene devono essere protetti da uno strato esteriore, meglio se mattoni in foglio, o se stesi a pavimento dal massetto. Nell’applicazione dei fogli è indispensabile eseguire un perfetta sigillatura dei fogli, facendoli sovrapporre per una decina di centimetri, assicurandosi che siano puliti, asciutti e sigillati con specifici colanti forniti dallo stesso produttore dei fogli. Una imperfetta sigillatura inficerebbe l’intero intervento. Anche nelle applicazioni a parete è importante che la membrana sia fatta passare attraverso il muro, con un intervento tipo cuci e scuci, a una quota appena superiore alla quota del terreno per impedire al gas di continuare la sua risalita attraverso la muratura alla volta dei piani superiori.
FIG. E.3.4./12 APPLICAZIONE DELLA MEMBRANA NEL CASO DI LOCALI INTERRATI
FORATI
FILE: B-4-4-F5
MASSETTO
FIG. 5 - Piegatura della guaina in corrispondenza di giunti di dilatazione
E 82
DIVISORIO
MEMBRANA
TERRENO
MEMBRANA
CONTROLLO AMBIENTALE • QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI RADON: PRESENZA E INTERVENTI DI MITIGAZIONE
E.3. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
DEPRESSURIZAZIONE DEL SUOLO – RADON SUMPS L’intervento si riferisce a una metodica atta alla riduzione dell’ingresso del radon all’interno delle abitazioni mediante l’uso di sistemi attivi i quali mirano a creare una via preferenziale di diffusione del gas radon, grazie a gradienti di pressione negativi instaurati nel terreno sottostante l’edificio. Il sistema necessita della realizzazione di un pozzetto appena sotto il livello vespaio, la realizzazione di un sistema di condotte a tenuta in PVC del diametro di 100 mm, e l’installazione di un ventilatore che aspiri l’aria dal pozzetto. La posizione del pozzetto può essere all’interno del perimetro della abitazione o immediatamente all’esterno. È stato valutato, da esperienze inglesi, che un pozzetto di circa 0,5 m3 (circa 60x60x20 cm) esercita la sua influenza per una superficie complessiva di 250 m2. Per edifici in cui il piano terra abbia una estensione maggiore è necessario installare più pozzetti, eventualmente collegati tra loro, piuttosto che realizzarne uno di dimensioni maggiori. Nel caso di edifici che abbiano più quote poggianti tutte sul terreno si devono installare più pozzetti, in corrispondenza di ciascuna quota di solaio, eventualmente collegati a uno stesso ventilatore. L’instaurarsi di un buon gradiente di pressione nel suolo, dipende soprattutto dalla permeabilità del terreno e dalla presenza o meno di intercapedini di aria tra il terreno e il primo solaio.
B.STAZIONI DILEGIZLII
FIG. E.3.4./13 SCHEMA DI INSTALLAZIONE POZZETTO (interno o esterno)
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
φ110 mm VENTILATORE RIEMPIMENTO GRANULARE RIEMPIMENTO PROTETTIVO IN CEMENTO MEMBRANA IN POLIETENE SPECIALE
VENTILATORE TUBO FLESSIBILE
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
SIGILLATURA INTORNO AL CONDOTTO
G.ANISTICA
PARETE
URB
SUMP
FIG. E.3.4./14 INSTALLAZIONE DI UNA SERIE DI POZZETTI
FIG. E.3.4./15 PRESENZA DI PIANI INTERRATI O A VARI LIVELLI
SISTEMA SINGOLO
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS
(A)- CONDOTTI RACCORDATI AD UN VENTILATORE ESTERNO
(B)- CONDOTTI RACCORDATI A UN VENTILATORE INTERNO
SISTEMA RACCORDATO VENTILATORE SUMP
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
SUMP
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
VENTILATORE CONDOTTO
MINI SUMP I E.9. NTI TECNIC IMPIA
(C)- GRIGLIA DI VENTILAZIONE NEL MURO DI SEPARAZIONE
VENTILATORE
SUMP . ZA E.3.4N: PRESEN RADO RVENTI DI E E INT AZIONE MITIG
E 83
E.3. 4.
CONTROLLO AMBIENTALE • QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI RADON: PRESENZA E INTERVENTI DI MITIGAZIONE ➦ VALUTAZIONE DEL RISCHIO POZZETTO
VENTILATORE
Il pozzetto può essere realizzato con paretine di mattoni forati, distanziati tra loro in modo da permettere il passaggio dell’aria, oppure da un semplice scavo eventualmente riempito con materiale granulare. È importante che superiormente il pozzetto sia protetto da una soletta di cemento con sottostante telo in polietilene per evitare che possa esserci una aspirazione prevalente di aria proveniente dall’ambiente sovrastante. Per questo motivo se il pozzetto è esterno all’abitazione è importante che su di esso venga creata una piattaforma di 5-10 m2 in cemento a scarso ritiro, rinforzato con rete elettrosaldata, dello spessore di 10 cm, con sotto il già citato telo di polietilene. Ciò al fine di prevenire la diffusione di aria esterna verso l’interno del pozzetto, limitando così l’effetto aspirante nei confronti del gas contenuto nel terreno.
Nel caso in cui le condotte passino all’interno dell’abitazione la posizione più idonea del ventilatore è al termine delle condotte di espulsione in modo da mantenere al loro interno una depressione continua, impedendo così fughe incontrollate dell’aria aspirata ricca di radon. Nel caso invece in cui tutto il sistema sia collocato esternamente questa precauzione non è determinate. Fattori da non sottovalutare sono comunque la possibilità di accesso per eventuali ispezioni e controlli e la rumorosità del sistema. Il tipo di ventilatore più appropriato per questi usi è di tipo centrifugo; poiché il suo uso è finalizzato alla creazione di una depressione e non al mantenimento di una portata d’aria, è essenziale che il ventilatore non vada in stallo al crescere della pressione per diminuzioni di portata. Non sono disponibili curve di prestazione di riferimento , quella riportata in grafico 1 rappresenta delle condizioni generali minime di riferimento. Valori di pressione nel punto più distante dal pozzetto, maggiori o uguale a 10 [P a] e valori di pressioni di 50 Pa nel pozzetto sono indice di un buon funzionamento del sistema.La potenza richiesta dal ventilatore, per la maggior parte dei casi si aggira intorno ai 75-90W. Il ventilatore dovrebbe essere inoltre tale da richiedere il minimo possibile di manutenzione e il massimo dell’affidabilità, essendo chiamato a operare ininterrottamente, in qualunque condizione di pressione e portata. Importante ricordare ancora una volta che il sistema condotte-ventilatore deve essere a tenuta d’aria, per evitare fuoriuscite d’aria non controllabili, che possano contaminare l’aria ambiente. Il principio su cui si basa l’intervento è quello di creare, tramite il sistema aspiratore-pozzetto, un gradiente di pressione negativo nelle zone immediatamente sottostanti il fabbricato tale da richiamare il gas, per poi espellerlo tramite un condotto al di sopra del tetto dell’abitazione o comunque lontano da possibili altre vie di ingresso. Creandosi una pressione negativa al di sotto dall’abitazione, si verificherà anche un fenomeno di richiamo di aria dall’interno dell’ambiente verso il vespaio, attraverso le fessure e i giunti per mezzo dei quali il radon faceva prima il suo ingresso; ciò contribuisce a una ulteriore diluizione della concentrazione ambientale di radon. Da ricerche sperimentali condotte dall’ANPA è stato rilevato un abbassamento del livello di radon nell’arco di poche ore dalla messa in funzione del sistema, mentre allo spegnimento dello stesso, il tempo necessario al ripristino dei valori iniziali è stato sensibilmente più lungo.
FIG. E.3.4./16 POZZETTO
COPERTURA MATTONI FORATI SPAZI PER LA VENTILAZIONE
FIG. E.3.4./17 POZZETTO (sezione) TUBO IN PVC DA Ø110 mm CEMENTO RETE ELETTROSALDATA GUAINA DI POLIETILENE RIEMPIMENTO MATTONI FORATI
FIG. E.3.4./19 EFFETTI DELLA DEPRESSURIZZAZIONE DEL SUOLO
IL RADON PENETRA ALL'INTERNO
SOLAIO
CONDOTTE Le condotte che mettono in collegamento il pozzetto con l’estrattore e consentono l’espulsione del gas in zone sicure, devono avere giunti il più possibile a tenuta, per evitare perdite di carico del sistema o l’aspirazione di aria esterna a discapito dell’efficienza del sistema. Le condotte devono compiere inoltre il minor numero possibile di curve e i tratti orizzontali devono essere ridotti al minimo indispensabile. Importante è anche prevedere dei sistemi per lo smaltimento dell’acqua di condensa nel caso in cui possa danneggiare il ventilatore, fenomeno che può verificarsi in particolare modo nelle condotte esterne. Nel caso in cui le condotte attraversino dei muri esterni è necessario sigillare eventuali intercapedini all’interno della muratura e richiudere accuratamente il foro intorno alla condotta. L’espulsione deve essere posizionata al disopra della copertura e in ogni caso lontano da finestre o griglie di ventilazione.
A) IL RADON ENTRA NELL'EDIFICIO ATTRAVERSO FESSURE DEL PAVIMENTO
FIG. E.3.4./18 SIGILLATURA DEL FORO DELLE CONDOTTE IN CORRISPONDENZA DEL MURO ESTERNO L'ARIA E' RICHIAMATA ALL'ESTERNO CONDOTTO DI ESPULSIONE SOLAIO
GUARNIZIONE DI GOMMA SCHIUMA POLIURETANICO
GUARNIZIONE DI GOMMA SCHIUMA POLIURETANICO
SUMP B) IL RADON VIENE VEICOLATO ALL'ESTERNO ATTRAVERSO IL SUMP
E 84
CONTROLLO AMBIENTALE • QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI RADON: PRESENZA E INTERVENTI DI MITIGAZIONE
E.3. 4. A.ZIONI
VENTILAZIONE DEL VESPAIO L’intervento mira a creare attraverso sistemi attivi o passivi una ventilazione del vespaio atta a diluire la concentrazione di gas o a mantenere in sovrappressione/depressione il vespaio in modo da bloccare le infiltrazioni del gas verso l’interno dell’abitazione. Nel caso di edifici senza piani interrati o semi interrati, la ventilazione del vespaio può essere una alternativa alla depressurizzazione del suolo, anche se i risultati dipendono fortemente dalle caratteristiche del vespaio. La ventilazione naturale del vespaio è indicata per vespai vuoti, ma di altezza contenuta (50-60 cm max), realizzati su muretti. In questi casi è possibile attivare una ventilazione naturale trasversale, avendo cura di permettere il passaggio dell’aria tra un comparto e l’altro del vespaio, installando delle griglie passanti lungo i muri perimetrali (vedi Fig. E.3.4./20). È importante proteggere queste griglie dall’ingresso di animali e provvedere a una loro periodica pulizia da polveri, detriti ecc. che possano occluderle. Nel caso di vespai riempiti con pietrame è più indicato l’uso di una ventilazione meccanica degli stessi che può funzionare come estrazione o come mandata di aria. Come nel caso della depressurizzazione del suolo, occorre inserire nel vespaio a qualche decimetro dal muro una tubazione in PVC collegata all’esterno con un ventilatore (vedi Fig. E.3.4./21). Se il ventilatore immette aria la presa può essere installata in qualsiasi punto del perimetro; nel caso in cui il ventilatore estragga aria dal vespaio è necessario assicurarsi che l’espulsione non avvenga in prossimità di porte o finestre per non immettere, per altra via, aria contaminata all’interno dell’abitazione. Nell’ installazione del ventilatore occorre prestare attenzione alla protezione dello stesso da acqua e condense, e alla generazione di rumori indesiderati. Nel caso di estrazione dell’aria possono essere impiegati anche ventilatori assiali da parete (vedi Fig. E.3.4./22). Il funzionamento di questi sistemi deve essere continuativo.
FIG. E.3.4./20 VENTILAZIONE NATURALE DEL VESPAIO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. E.3.4./21 VENTILAZIONE MECCANICA DEL VESPAIO VENTILATORE MONTATO ESTERNAMENTE A MURO
B.STAZIONI DILEGIZLII SIGILLATURA INTORNO AL CONDOTTO CONDOTTO IN PVC φ110 mm
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
CASSETTA DI PROTEZIONE CON GRIGLIA DI VENTILAZIONE
URB
FIG. E.3.4./22 VENTILAZIONE MECCANICA DEL VESPAIO CON VENTILATORE ASSIALE
SIGILLATURA INTORNO AL CONDOTTO
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS
A) DISPOSIZIONE CORRETTA PER UNA BUONA VENTILAZIONE
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
VENTILATORE ASSIALE MONTATO A MURO
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
DIREZIONE DEL FLUSSO D'ARIA
La ventilazione naturale mira solamente a diluire le concentrazioni del gas appena al di sotto del solaio riducendone parzialmente l’ingresso in ambienti chiusi. La ventilazione forzata, se immette aria all’interno del vespaio, opera una pressurizzazione dello stesso, impedendo al gas di infiltrarsi nel vespaio a causa di una pressione positiva che lo spinge verso altre vie di uscita (con un principio simile alla pressurizzazione dell’edificio). Se la ventilazione è attuata tramite un’estrazione (depressurizzazione del vespaio), il gas viene aspirato via prima che possa penetrare attraverso il primo solaio (con un principio simile a quello della depressurizzazione del suolo).
I risultati conseguiti da una ventilazione meccanica sono senz’altro migliori rispetto alla sola ventilazione naturale che può essere indicata, come metodo integrativo quanto applicabile, unitamente alla sigillatura di fessure, nel caso di livelli relativamente bassi di radon indoor (200-300 Bq/m3). L’uso della ventilazione meccanica in estrazione o in mandata, da esperienze in campo, forniscono più o meno gli stessi risultati. Non sono disponibili ancora dati sufficienti a indicare in quali casi le due tecniche sono da preferirsi l’una all’altra. Da esperienze in campo si è rilevato che con ventilatori di potenza 75-90 W si possono ottenere dei risultati soddisfacenti nei valori di pressione raggiunti (alcune decine di Pa).
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. ZA E.3.4N: PRESEN RADO RVENTI DI E E INT AZIONE MITIG
E 85
E.3. 5.
CONTROLLO AMBIENTALE • QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI PRESENZA DI AMIANTO E INTERVENTI SU MANUFATTI IN CEMENTO ARMATO PRESENZA DI AMIANTO – GENERALITÀ L’amianto (dal greco amiantos o incorruttibile) o asbesto (incombustibile) è un termine usato per la forma fibrosa di numerosi minerali di silicati presenti in natura, i quali sono stati sfruttati commercialmente per le loro caratteristiche con diversi impieghi. Attualmente la legislazione italiana ne ha decretato la cessazione di tutte le attività di estrazione, produzione e commercializzazione. L’amianto è in genere esternamente flessibile e per questo può essere filato e tessuto; è resistente agli agenti chimici, al calore e al fuoco. L’amianto possiede inoltre una elevata resistenza meccanica, con una resistenza a trazione paragonabile a quella dell’acciaio. Una caratteristica delle fibre di amianto, che le differenzia da tutte le altre fibre naturali e artificiali, è l’attitudine di suddividersi longitudinalmente in fibre di diametro sempre più piccolo fino a non essere più visibili a occhio nudo, pur mantenendo delle lunghezze proporzionalmente notevoli. Appartengono agli amianti due famiglie petro-minerarie: serpentini e anfiboli. Fra tutti i tipi di amianto i più utilizzati nell’edilizia sono i seguenti: • Crisotilo (serpentino – Mg3(Si2O3)) chiamato anche amianto bianco/grigio; le fibre sono flessibili e si dividono facilmente in fibre di diametri estremamente sottili. Ha una scarsa resistenza agli acidi, un elevatissimo punto di fusione, una buona resi-
stenza al calore anche se può divenire fragile alle alte temperature. Il crisotilo presenta una filabilità e una flessibilità molto buone. • Crocidolite (anfiboli – Na2Fa3, ++Fe2+++(Si8O22)(OH)2) chiamato anche amianto blu per la sua tipica colorazione che varia dall’azzurognolo al blu scuro; Presenta una buona resistenza agli acidi, ma una scarsa resistenza al calore, associata a una fusione del materiale. La crocidolite possiede una buona filabilità e flessibilità. • Amostite (anfiboli – Mg Fe)7(Si8O22)(OH)2) o amianto bruno per la sua colorazione bruno-gialla/grigia; le fibre sono elastiche e aghiformi di aspetto vitreo con una filabilità e flessibilità discreta; ottimo isolante, come il crisotilo ha una buona resistenza al calore anche se diviene friabile alle alte temperature; L’amostite presenta una resistenza alla trazione inferiore a quella del crisotilo, mentre è molto migliore la sua resistenza agli acidi. Nella Tab. E.3.5./1 sono indicate le tipologie di prodotti e il periodi di fabbricazione di manufatti contenenti amianto.
TAB. E.3.5./1 TIPOLOGIE DI PRODOTTI E PERIODI DI FABBRICAZIONE DI MANUFATTI CONTENENTI AMIANTO
CATEGORIA
TIPO DI MATERIALE
PERCENTUALE DI AMIANTO
Materiali superficiali
Ricopertura isolante a spruzzo
Fino all’85%. Spesso anfiboli (amosite e crocidolite) prevalentemente spruzzati su strutture portanti in acciaio
Isolanti termici in fogli
Rivestimenti per pareti e tubazioni
PERIODO DI UTILIZZO
LEGANTE
FRIABILITÀ
1935-1979
Silicato di sodio, cemento portland, leganti organici
Elevata
Miscela di tutti i tipi di amianto al 6-10%
1920- 1993
Silicato di calcio
Elevata se lo strato superficiale non è ricoperto con uno strato sigillante uniforme e intatto
Indumenti
Crisotilo 100%
1920- 1993
Nessuno
Coperte
50-95%
1920- 1993
Cotone/lana
Teli
crisotilo, amosite 80-100%
1920- 1993
Cotone/lana
Corde
crisotilo 80-85%
1920- 1993
Cotone/lana
Tubi
90%
1920- 1993
Cotone/lana
Nastri
60-65%
1945- 1993
Cotone/lana
Pannelli estrusi
In prevalenza crisotilo 8%
1965-1977
Cotone
Pannelli corrugati
20-45%
1930-1993
Cemento portland
Pannelli piatti
40-50%
1930-1993
Cemento portland
Pannelli flessibili
30-50%
1930-1993
Cemento portland
Pannelli laminati
35-50%
1930-1993
Cemento portland
Tegole
20-30%
1930-1993
Cemento portland
Doghe
12-30%
1930-1993
Cemento portland
Materiali cartacei (guarnizioni)
Alta temperatura
Generalmente crisotilo 90%
1935-1993
Silicato di sodio
Media temperatura
35-70%
1910-1993
Amido
Guaine e pavimentazioni viniliche
Guaine
10-15%
Possibilità di rilascio fibre quando grandi quantità di materiale vengono immagazzinate, durante la loro manipolazione o quando il materiale si presenta usurato
Materiali tessili
Materiali cementizi
Asfalto 1910-1993
Mattonelle
10-25%
PVC
Possono rilasciare fibre se abrasi segati o spazzolati
Carte e cartoni non hanno una struttura compatta e sono soggetti a facili abrasioni e a usura Improbabile rilascio di fibre. Possibilità di rilascio di fibre se tagliati, abrasi o perforati
TAB. E.3.5./2 LOCALIZZAZIONE PIÙ PROBABILE DI MANUFATTI CONTENENTI AMIANTO Su strutture portanti metalliche o in intonaci di vecchie centrali termiche posato a spruzzo o a cazzuola come trattamento ignifugo. L’uso di amianto in questa forma è relativamente limitata, anche se la più pericolosa. Su condotti metallici di fluidi termovettori (linea caldo) o per gas di scarico, come coibentazione costituita da miscele con gesso, miscele con magnesio e silicati (consistenza polverosa), o in forma di garze (marmitte di scarico funi di gruppi elettrogeni). Questo tipo di utilizzo è più diffuso nel nord Italia rispetto al centro e al sud ed è peculiare anche di grandi impianti industriali che fanno largo uso di fluidi caldi.
E 86
L’impiego di materiale telato contenete amianto su gruppi elettrogeni è stato molto diffuso. Parte di questi gruppi sono già stati bonificati o sostituiti.
possibile trovarle su grossi generatori di calore costruiti in muratura, come elemento isolante tra il mantello esterno e quello interno.
Su macchinari che utilizzano elevate temperature come guarnizioni e/o come coibentazione (caldaie, forni ecc. in forma di lastre, corde, miscele). La presenza di amianto in forma di code o lastre su forni industriali o per applicazioni specifiche, vecchie caldaie centralizzate, è frequentissima. La pericolosità sta nello sfarinamento del materiale dovuto alle alte temperature e alle operazioni di manutenzione a cui il macchinario è soggetto. Elevate quantità di amianto, ormai in forma friabile è
Tra flange di circuiti idraulici (in forma di cartoni) , tra i giunti di canalizzazioni dell’aria in impianti di condizionamento (informa di cordini). Utilizzo diffuso pressoché ovunque, ma le frequenti manutenzioni sugli impianti stanno portando a una progressiva sostituzione del materiale, tranne nei casi in cui per eliminare vecchie scorte di lastre, la ditta esecutrice dei lavori, non rimpiazza vecchie guarnizioni con altre contenenti sempre amianto (sporadicamente è successo).
CONTROLLO AMBIENTALE • QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI PRESENZA DI AMIANTO E INTERVENTI SU MANUFATTI IN CEMENTO ARMATO
E.3. 5. A.ZIONI
L’impiego di cordini in amianto su impianti di condizionatori è limitato a pochi casi:
sfondate o attaccate dagli agenti atmosferici (acqua, gelo, sole) non vi è possibilità di contaminazione dell’aria.
Come pannelli termoisolanti all’interno di strutture prefabbricate metalliche (in forma di lastre). Presenti su vecchie carrozze di treni (ormai dismesse, anche se spesso poi abbandonate a se stesse in attesa della bonifica) o su unità container utilizzate anche come moduli abitativi. L’amianto in questo ultimo caso è costituito da lastre in matrice cementizia, confinate entro pareti metalliche o cartongesso, o in alcuni casi semplicemente verniciate. Se le lastre non sono forate, abrase,
Come coperture leggere in cemento amianto (in forma di lastre ondulate). Diffusissime su tutto il territorio nazionale, se integre e con la matrice cementizia non deteriorata non rilasciano fibre. Forti rilasci si hanno invece se vengono rotte, forate, abrase, ecc. Cassoni idrici, canne fumarie, condotte passacavi (varie forme). Anche questo impiego è stato abbastanza diffuso. Studi epidemiologici relativi a tumori gastrointestinali
associati all’ingestione di amianto presente nell’acqua proveniente da condotte e cassoni idrici in cemento amianto, non hanno rilevato delle evidenti correlazioni, anche se a tutt’oggi non vi è una identità di vedute. Dispersione di fibre dell’aria non sono in genere possibili, se i manufatti non vengono rotti, forati o abrasi o sono particolarmente deteriorati. Sono quasi del tutto scomparse, perché di breve produzione e già sostituite nel tempo, pavimentazioni e guaine contenenti amianto.
Le principali malattie causate da esposizioni a fibre aerodisperse di amianto sono:
anche a basse concentrazioni di fibre di amianto; quanto più limitata è stata l’esposizione tanto più tardi si manifesta la malattia.
• Asbestosi, consistente in una progressiva fibrosi interstiziale del polmone (ispessimento del tessuto connettivo polmonare) che provoca una diminuzione della capacità respiratoria. Tale patologia è causata da tutte le tipologie di amianto e si manifesta dopo dieci anni e più dall’esposizione. È una malattia in fase di regressione.
• Cancro del polmone si può avere per esposizione della durata di 25 anni a tutte le tipologie di amianto; il tumore maligno può manifestarsi dopo 20 anni o più dalla prima esposizione; l’abitudine al fumo ne aumenta il rischio.
• Mesotelioma pleurico, mesotelioma peritoneale sono tumori maligni delle sierose di rivestimento dei polmoni (pleura) e dell’addome (peritoneo); si sospetta che la crocidolite sia la maggiore responsabile di tali patologie che possono manifestarsi dopo un periodo di latenza di 20-40 anni dall’esposizione
Attualmente i soggetti maggiormente a rischio di esposizione da fibre di amianto aerodisperse sono gli addetti alle opere di bonifica di materiali contenenti amianto Un fattore di aumento del rischio risulta essere l’abitudine al fumo, per l’effetto collante che questo provoca nei polmoni.
A un anno dalla pubblicazione della legge n.257/1992, l’estrazione, la lavorazione e la commercializzazione dell’amianto sono state definitivamente messe al bando. Una serie di decreti ministeriali e decreti legge successivi hanno affrontato ed esplicitato metodologie, procedure e obblighi sia in merito ad aspetti preventivi per scongiurare eventuali contaminazioni, sia in merito a interventi di bonifica di siti contaminati. La legislazione ha individuato inoltre una serie di organi competenti per il censimento, il controllo e il coordinamento di iniziative volte alla limitazione di rischi da esposizione di amianto. Il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti, tra cui l’amianto, sono stati oggetto di adeguamento a direttive europee, tramite il DL 5 febbraio 1997, n.22 e successive modificazioni e integrazioni.
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
LEGISLAZIONE Al contrario di altri inquinanti, relativamente all’amianto la legislazione italiana ha prodotto e recepito una discreta quantità di norme che regolano tutte le operazioni che coinvolgano la manipolazione dell’amianto e le misure preventive da attuare nei confronti di questo materiale. Nel 1991 l’Italia recepiva con il DL n.277 una serie di Direttive Europee tra cui la 83/477/CEE le quali prescrivevano obblighi e misure di tutela e controllo a favore di lavoratori esposti a condizioni fisiche, biologiche o chimiche particolarmente gravose e tra queste le fibre e polveri di amianto. Nello specifico il DL fissava il valore limite per esposizioni a fibre di amianto per lavoratori impiegati in operazioni di produzione, o estrazione di tale materiale. Tali valori limite, espressi come media ponderata su un periodo di riferimento di otto ore (0,6 ff/ml per amianto crisotilo e 0,2 ff/ml per gli amianti di anfibolo comprese le miscele contenenti crisotilo) risultano ancora validi per operazioni di bonifica di manufatti contenenti amianto.
I ED PRE NISM ORGA
E.NTROLLO
ASPETTI PATOLOGICI
Fattori determinanti per la respirabilità delle fibre sono il diametro e la forma. Le fibre di crisotilo avendo forma serpentina sono meno penetranti, mentre quelle di amosite e crocidolite, essendo aghiformi, penetrano più facilmente negli alveoli polmonari. Le fibre più dannose, in quanto non neutralizzabili dalle difese dell’organismo, hanno una lunghezza di 5 micron e larghezza inferiore a 3 micron, con un rapporto tra lunghezza e larghezza superiore a 3:1.
B.STAZIONI DILEGIZLII
D.GETTAZIONE
Impianti, macchinari posteriori al 1993 non montano più manufatti contenenti amianto. Interventi di ristrutturazione su impianti ed edifici, non possono aver ripristinato manufatti con altri contenenti amianto.
Le fibre di amianto sono dannose per l’uomo e possono penetrare nell’organismo attraverso due vie: • per via respiratoria (la più significativa e pericolosa) • per via digestiva (mangiando, bevendo, inghiottendo fibre respirate e inglobate nel muco oro-faringeo).
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
RUOLI E COMPITI DEI PRINCIPALI SOGGETTI Commissione per la valutazione dei problemi ambientali e dei rischi sanitari connessi all’impiego dell’amianto presso il Ministero della Sanità (Capo II legge 257/1992) • Ha predisposto normative e metodologie tecniche per gli interventi di bonifica; • Ha predisposto un piano di coordinamento per la formazione professionale del servizio sanitario nazionale addetto al controllo di bonifica; • Predispone disciplinari tecnici sulle modalità per il trasporto e il deposito di rifiuti di amianto; • Acquisisce i dati dei censimenti elaborati dalle regioni; • Individua i requisiti per l’omologazione di materiali sostitutivi dell’amianto e di prodotti che contengono tali materiali, in relazione alle necessità d’uso e ai rischi sanitari; Competenze dello Stato. Con il DL 5 febbraio 1997, n.22 rientrano tra le competenze dello Stato, tra l’altro: • La determinazione e la disciplina delle attività di recupero dei prodotti di amianto e dei beni e dei prodotti contenenti amianto, oltre a una serie di atti di coordinamento e di indirizzo in materia di rifiuti. • Presso l’ANPA (Agenzia Nazionale Protezione Ambiente) di Roma è fissata la sede del Catasto Nazionale dei rifiuti, oggetto di riordino da parte del Ministero dell’Ambiente, e aggiornato annualmente con i dati provenienti dalle ARPA o dalle Regioni. Competenze delle Regioni e delle Provincie autonome (DPR 8 agosto 1994): • Censiscono le imprese che abbiano utilizzato amianto nelle rispettive attività produttive o che svolgono attività di smaltimento e bonifica dell’amianto; • Predispongono dei programmi per realizzare la rela-
tiva bonifica di siti impiegati nell’attività estrattiva; • Predispongono dei piani di smaltimento di amianto classificato come tossico nocivo e individuano i siti che devono essere destinati all’attività di smaltimento; • Controllano le attività di gestione del rifiuto e le attività di bonifica per mezzo di organi territoriali (ASL, ARPA); • Predispongono il censimento e il controllo sistematico delle situazioni di pericolo derivanti dalla presenza di amianto (siti dismessi, edifici pubblici e privati, con amianto friabile); • Istituiscono corsi di formazione professionale e rilasciano titoli di abilitazione. Con il DL 5 febbraio 1997, n.22 rientrano tra le competenze dello Regioni, tra l’altro: • Autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e di recupero di rifiuti, anche pericolosi; • Le Agenzie Regionali dell’ARPA, (Agenzie Regionali Protezione Ambiente), o la Regione devono raccogliere anche dalle imprese produttrici, raccoglitrici e trasportatrici di rifiuti, le comunicazioni annuali circa i quantitativi e la tipologia di rifiuti prodotti e smaltiti. Le Aziende Sanitarie Locali rappresentano l’organo di controllo territoriale; vigilano e controllano i siti interessati da operazioni di bonifica verificando: • la corretta classificazione dei rifiuti; • le modalità di confezionamento, manipolazione e ammasso temporaneo dei rifiuti di amianto; • la corretta valutazione e rilevamento di inquinamento interno ed esterno dell’area interessata, prima, durante e dopo l’intervento medesimo; • la documentazione di legge relativa all’affidamento delle operazioni di bonifica;
➥
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
IANTO . E.3.5NZA DI AM E U PRES RVENTI S .A. E E INT FATTI IN C U MAN
E 87
E.3. 5.
CONTROLLO AMBIENTALE • QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI PRESENZA DI AMIANTO E INTERVENTI SU MANUFATTI IN CEMENTO ARMATO ➦ PRESENZA DI AMIANTO – GENERALITÀ ➦ LEGISLAZIONE • la documentazione di legge relativa alla consegna dei rifiuti di amianto a un trasportatore autorizzato e a una discarica idonea e autorizzata; • vigilando e controllando sulle imprese che provvedono alle operazioni di bonifica; • vigilando e controllando le imprese che trasportano i rifiuti di amianto; • vigilando e controllando le discariche che trattano rifiuti di amianto Le ASL inoltre: • Istituiscono e conservano un Registro nel quale è indicata la localizzazione dell’amianto floccato o in matrice friabile presente negli edifici a disposizione delle imprese incaricate di eseguire lavori di manutenzione negli edifici. • Relazionano le Regioni sul proprio operato ISPESL (Cap III DLgs 626/194 e successive integrazioni) Riceve dalle aziende con lavoratori a rischio il Registro delle Esposizioni e le cartelle sanitarie aggiornate, per conto del datore di lavoro, dal medico competente.
PRINCIPALI RIFERIMENTI LEGISLATIVI • DLgs 15 agosto 1991, n.277 “Attuazione delle direttive n.80/1107/CEE “ in materia di protezione di lavoratori contro i rischi derivanti dall’esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici, durante il lavoro a norma dell’art.76 della legge 30 luglio 1990, n.212” • Legge 27 marzo 1992, n.257 “Norme relative alla cessazione dell’impegno dell’amianto” • DM 6 settembre 1994 “Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art.6 c.3, e dell’art.12, c.2, della legge 27 marzo 1992, n.257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto.” • DPR 8 agosto 1994 “Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e alle provincie autonome di Trento e Bolzano per l’adozione di piani di protezione, di decontaminazione, di smaltimento e di bonifica dell’ambiente ai fini della difesa dai pericoli derivati dall’amianto. • DLgs 17 marzo 1995 n.114 “Attuazione della direttiva 87/217/CEE in materia di prevenzione e riduzione dell’inquinamento dell’ambiente causato dall’amianto” • DM 14 maggio 1996 “Normativa e metodologie tecniche per gli interventi di bonifica, ivi compresi quel-
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•
li per rendere innocuo l’amianto previsti dall’art.5, c.1, lettera f , della legge 27 marzo 1992 n.257 relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto” DLgs 14 agosto 1996, n.494 “Attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili” DLgs 3 febbraio 1997 n.52 “Attuazione della direttiva 92/32/CEE concernente la classificazione imballaggio ed etichettatura delle sostanze pericolose” DL 5 febbraio1997, n.22 “Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio” DLgs 8 novembre 1997, n.389 “ Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.22 in materia di rifiuti, di rifiuti pericolosi, di imballaggi e di rifiuti di imballaggio.” DM 20 agosto 1999 “Ampliamento delle normative e delle metodologie tecniche per gli interventi di bonifica, ivi compresi quelli per rendere innocuo l’amianto, previsti dall’art.5, c.1, lettera f) della legge 27 marzo 1992, n.257, recante norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto.”
VALUTAZIONE DEL RISCHIO “La presenza di materiali contenenti amianto non comporta di per sé un pericolo per la salute degli occupanti. Se il materiale è in buone condizioni e non viene manomesso è estremamente improbabile che esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibre di amianto. Se invece il materiale viene danneggiato per interventi di manutenzione o di vandalismo, si verifica un rilascio di fibre che costituisce un rischio potenziale. Analogamente se il materiale è in cattive condizioni, o se è altamente friabile, le vibrazioni dell’edificio, i movimenti di persone o macchine, le correnti d’aria, possono causare il distacco di fibre legate debolmente al resto del materiale” (paragrafo 2 – DM 6 settembre 1994). L’attuazione delle procedure inerenti la valutazione del rischio è di fondamentale importanza per verificare la necessità di interventi di rimozione, incapsulamento o confinamento di manufatti contenenti amianto, oppure per dare corso a programmi di controllo dell’amianto in sede, in modo da realizzare congrui piani di spesa, e poter assicurare in ogni caso la salubrità dell’aria per quanti si trovano a operare in prossimità di manufatti contenenti amianto. La valutazione del rischio, secondo quanto specificato nel DM 6 settembre 1994, consta di una fase ispettiva di tipo visivo e una fase strumentale con prelievo di campioni di materiale solido e prelievi di aria da inviarsi presso laboratorio specializzato per le dovute analisi. Il programma di ispezione si articola sinteticamente secondo le seguenti fasi: 1. Ricerca e verifica della documentazione tecnica disponibile sull’edificio per accertarsi dei vari tipi di materiali usati nella costruzione; 2. Ispezione diretta dei materiali per identificare quelli potenzialmente contenenti fibre di amianto 3. Verifica in situ dello stato di conservazione di manufatti contenenti o costituiti da materiali fibrosi sospetti, per fornire una prima valutazione approssimativa del potenziale di rilascio di fibre nell’ambiente, con particolare riguardo al grado di friabilità e allo stato di conservazione, al grado di confinamento del materiale in esame, alla suscettibilità di danneggiamento, di manomissione o effettuazione di interventi di manutenzione che coinvolgano il materiale sospetto; 4. Campionamento dei materiali friabili sospetti secondo le metodologie standardizzate IRSA-CNR; 5. Evidenziazione in planimetria delle zone in cui sono presenti materiali sospetti;
E 88
• Microscopia Ottica a Contrasto di fase (MOCF) (rientrano nella conta sia fibre di amianto che fibre di altra natura le quali abbiano caratteristiche dimensionali normalizzate dal DM su menzionato)
Utilizzare per il campionamento filtri in policarbonato con porosità 0,8 micron, una portata tra 6-9 l/min, campionando un volume di aria di almeno 3000 l. Il monitoraggio permette di valutare se all’interno di un ambiente sia presente una condizione di inquinamento in atto, ovvero di acquisire informazioni specifiche al fine della redazione della valutazione del rischio negli ambienti di lavoro (DL 626/94 e successive modificazioni). I valori di riferimento fissati dal Decreto, che indicano la soglia oltre la quale si può parlare di inquinamento da fibre di amianto, sono di 20 ff/l per analisi su filtri eseguite in Microscopia Ottica (MOCF) o di 2 ff/l per analisi in Microscopia Elettronica (SEM). La quantificazione del potenziale di rilascio di un materiale, valutata attraverso la conoscenza della tipologia di amianto presente e il suo quantitativo in percentuale nonché lo stato di integrità, friabilità e confinamento del materiale, permette di disporre di informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui delle persone sono destinate a operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza da adottare. La valutazione del rischio oltre allo stato di pericolosità potenziale o di fatto, indicherà gli interventi migliorativi che il responsabile dell’ambiente a rischio dovrà realizzare. Tali interventi sostanzialmente si dividono in: • Incapsulamento o confinamento dei manufatti contenenti amianto e relativo programma di controllo dell’amianto in sede; • Rimozione dei manufatti contenenti amianto; • Bonifica di aree contaminate da fibre di amianto (terreni, edifici, reti fognarie), particolarmente importante in siti industriali in cui vi sia una massiccia presenza di amianto come prodotto di lavorazione (siti dismessi) o variamente utilizzato in forma friabile; • Informazione dei soggetti interessati sullo stato di pericolosità dei siti, e adozione di misure di prevenzione e controllo previste nella normativa già menzionata.
Utilizzare per il campionamento filtri in esteri misti di cellulosa con porosità tra 0,8-1,2 micron, una portata tra 1-12 l/min, campionando un volume di aria di almeno 480 l.
Le principali tipologie di intervento riguardano: • la rimozione di materiali in amianto in forma friabile; • l’incapsulamento di materiali in cemento amianto; • il confinamento di cemento amianto.
• Microscopia Elettronica a Scansione (SEM) (permette di contare le sole fibre di amianto e individuarne la tipologia);
A questi interventi è opportuno far seguire la realizzazione di un Programma di manutenzione e controllo dell’amianto in sede.
6. Registrazione di tutte le informazioni in apposite schede che conterranno dati generali sull’edificio e i suoi impianti, e informazioni dettagliate sui materiali sospetti (un esempio è contenuto nel già citato DM 6 settembre 1994 allegato 5). Nel caso in cui vi sia la presenza di materiali friabili o materiali di incerta classificazione è consigliabile effettuare dei campionamenti di aria, (la normativa ne prevede tre per ambiente per poter ricavare un valore medio attendibile). Le analisi che si possono eseguire, una in alternativa all’altra, per la determinazione di amianto in campioni solidi o su filtri aria, sono le seguenti: Analisi per la determinazione quantitativa e qualitativa delle varie forme di amianto su campioni solidi (almeno 5-10 gr di materiale) • Diffrattometria a Raggi X (DRX) (più usata ed economica) • Spettroscopia Infrarossa in Trasformata di Fourier (FT.IR) • Microscopia Elettronica a Scansione (SEM) (molto costosa) • Microscopia Ottica a Contrasto di Fase (MOCF) (di complessa interpretazione) Analisi di filtri da campionamenti di aria per la conta delle fibre aerodisperse (ff/litro) di dimensioni inferiori o uguali a quanto stabilito dal DM 6 settembre 1994
CONTROLLO AMBIENTALE • QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI PRESENZA DI AMIANTO E INTERVENTI SU MANUFATTI IN CEMENTO ARMATO
E.3. 5. A.ZIONI
FIG. E.3.5./1 CANTIERE DI BONIFICA AMIANTO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. E.3.5./2 GLOVEBAG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
AREA DEPOSITO TEMPORANEO RIFIUTI
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
AREA BONIFICA
UNITA' EQUIP.
DOCCIA
CHIUSA D'ARIA
SPOGLIATOIO
Dp
AREA DI LAVORO
ASPIRATORE FILTRI HEPA
PASSAGGIO SACCHI CON RIFIUTI
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
FILTRI HEPA
ASPIRATORE FILTRI HEPA
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
RIMOZIONE DI MATERIALI IN AMIANTO IN FORMA FRIABILE L’intervento prevede innanzitutto la messa in sicurezza dell’area del cantiere, prendendo tutte le precauzioni previste dalle norme antinfortunistiche dei cantieri edili, per evitare rischi di caduta dall’alto, sfondamento delle lastre ecc. Il manufatto contenente amianto prima della sua manipolazione deve essere preventivamente bagnato utilizzando impregnanti (prodotti vinil-acrilici in soluzione acquosa comunemente usati nell’incapsulamento) o prodotti surfattanti (soluzioni acquose di etere ed estere di poliossietilene che cercano in superficie un reticolato chimico che blocca la liberazione di polveri o fibre) per evitare che possano liberarsi fibre durante lo smontaggio. Nel caso di rimozione di lastre o canne fumarie queste devono essere disancorate dai supporti (ganci, viti e chiodi) evitando di romperle. Nel caso in cui si renda necessario intervenire con dei tagli del manufatto non possono essere adottati trapani, seghetti, mole abrasive ad alta velocità, ma solo attraverso utensili manuali o utensili meccanici provvisti di apposito tubo aspiratore dotato di filtri assoluti in uscita. Una volta a terra il manufatto deve essere nuovamente bagnato con incapsulanti, accatastato con cura in modo da poter essere spostato agevolmente senza pro-
durne delle rotture. I rifiuti vanno immediatamente confezionati ed etichettati a norma di legge, e depositati in un’area appositamente dedicata e identificata, prima della raccolta e del conferimento in discarica. Eventuali pezzi taglienti o acuminati devono essere sistemati in modo tale da non provocare la lacerazione dell’imballaggio. Nel caso in cui si operi una rimozione delle lastre di copertura deve essere effettuata anche una bonifica del canale di gronda. Per la rimozione di manufatti in cemento amianto, non è obbligatorio l’allestimento di un cantiere di decontaminazione nel caso in cui la preventiva valutazione del rischio indicata nel piano di bonifica abbia indicato che lo stato del materiale e le lavorazioni che si andranno a eseguire non produrranno significativa liberazione di fibre nell’aria. Indispensabili e obbligatori rimangono i dispositivi di protezione individuale che gli operatori devono adottare per la loro incolumità, come maschere con filtri assoluti, tute a perdere, guanti, sovrascarpe ecc. (per maggiori specifiche consultare l’allegato 4 del DM 6 settembre). Il decreto indica anche una serie di norme comportamentali da tenersi durante le lavorazioni per scongiurare eventi di contaminazione.
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM
INCAPSULAMENTO DI MATERIALI IN CEMENTO AMIANTO Questo tipo di intervento interessa primariamente le coperture in cemento amianto; non comporta la sostituzione del manufatto e non comporta necessariamente l’inagibilità dell’edificio durante gli interventi. Protegge l’elemento tratto dall’irraggiamento solare, dagli agenti atmosferici e dalla proliferazione organica, eliminando il rilascio spontaneo di fibre di amianto. L’obiettivo dell’intervento è quello di creare un film protettivo o un impregnare il manufatto con un consolidante affinché gli agenti atmosferici e organici non producano un ulteriore deterioramento della matrice cementizia con conseguente liberazione delle fibre di amianto. I prodotti presenti sul mercato, come i prodotti verniciati, sono costituiti da una base, un solvente (a base di acqua per le resine viniliche), pigmenti e additivi per preservare il formulato dall’azione degradante degli agenti atmosferici, raggi ultravioletti e in alcuni casi da agenti biologici. I prodotti incapsulanti per l’amianto sono sul mercato da relativamente poco tempo, non è quindi possibile conoscere l’effettiva “durabilità” di questi prodotti. L’allestimento del cantiere deve avvenire secondo le disposizioni di sicurezza vigenti e quanto indicato nell’eventuale piano di sicurezza (per lavori sulle coperture è obbligatorio prendere tutte le precauzioni per eliminare rischi di caduta dall’alto o di sfondamento delle lastre). Anche durante le operazioni di incapsulamento, soprattutto nelle fasi preliminari e di pulizia delle lastre, gli operatori devono indossare tutti i mezzi di protezione personale previsti dalla legge (maschere con filtri assoluti P3, tute a perdere, guanti ecc.); durante l’intervento di incapsulamento di coperture in cemento amianto è possibile utilizzare gli ambienti sottostanti. L’intervento di incapsulamento consta di una pulizia preliminare preventiva del substrato da trattare (spesso incrostato da muschi e licheni) per facilitare l’adesione del prodotto. La pulizia avviene tramite delle piccole apparecchiature dotate di spazzole rotanti e getti d’acqua ad alta pressione. Le acque di scolo, contaminate dalle fibre asportate durante la pulizia, devono essere intercettate prima dei discendenti, o nel caso in cui non vi sia la grondaia devono essere raccolte con sistemi ausiliari e filtrate opportunamente (DM 6.set-
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
tembre 1994). Il materiale di risulta deve essere smaltito come rifiuto contenente amianto. Durante le operazioni di pulizia è possibile un rilascio di fibre di amianto anche nell’aria. L’intervento di incapsulamento vero e proprio prevede la nebulizzazione, con pompe airless a bassa pressione per ridurre la liberazione di fibre per l’impatto del prodotto, di specifici prodotti incapsulanti sul manufatto da trattare. L’azione dell’incapsulante può essere di tipo pellicolante, in genere a base di resine viniliche o schiume poliuretaniche, o impregnate, a base di oli sintetici. Molti prodotti oggi presenti sul mercato sono accompagnati da una certificazione attestante l’idoneità del prodotto stesso per questi scopi. In ogni caso si consiglia di far testare preventivamente il prodotto su una porzione del manufatto per verificarne l’effettiva efficacia. Durante le operazioni di incapsulamento gli operatori devono adottare i dispositivi di protezione individuali previsti nella manipolazione di amianto, e indumenti a perdere. Al termine delle operazioni, là dove sono presenti canali di gronda, occorre bonificare le stesse.
SMALTIMENTO DEI RIFIUTI Come in un intervento di bonifica, i materiali di risulta contaminati (morchia dell’acqua di pulizia e dei canali di gronda, indumenti a perdere, filtri ecc.) devono essere imballati, etichettati a norma di legge e conferiti in discarica autorizzata da trasportatore autorizzato, il quale deve curare la compilazione dei formulari di identificazione del rifiuto (DL 22/1997; DL 389/1997, Deliberazione CI 27 luglio 1984, DPR 8 agosto 1994). Il detentore del rifiuto (il proprietario dell’immobile o il responsabile dell’attività che vi si svolge) deve riceve, entro tre mesi dalla presa in carico del rifiuto da parte del trasportatore, il formulario di identificazione del rifiuto controfirmato dalla discarica o, allo scadere del termine, comunicare alla regione la mancata ricezione (DL 22/1997).
E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
IANTO . E.3.5NZA DI AM E U PRES RVENTI S .A. E E INT FATTI IN C U MAN
E 89
E.3. 5.
CONTROLLO AMBIENTALE • QUALITÀ DELL’ARIA IN AMBIENTI CONFINATI PRESENZA DI AMIANTO E INTERVENTI SU MANUFATTI IN CEMENTO ARMATO CONFINAMENTO CEMENTO AMIANTO Gli interventi si riferiscono alla procedure per la creazione di una barriera fisica distinta dal manufatto in cemento amianto che di fatto impedisca eventuali ulteriori danneggiamenti o deterioramenti dello stesso, prevenendo così il rilascio spontaneo di fibre di amianto L’intervento ripristina le funzionalità dell’elemento confinato, in termini di prestazioni fisiche e meccaniche, senza dover produrre rifiuti sostanziosi e con procedure e costi inferiori a operazioni di bonifica. Il confinamento inoltre protegge in modo efficiente l’elemento tratto dall’irraggiamento solare, dagli agenti atmosferici e dalla proliferazione organica, eliminando il rilascio spontaneo di fibre di amianto, conferendo inoltre resistenza agli urti. L’intervento di confinamento potrebbe essere utilizzato come intervento tampone in situazioni particolarmente degradate, quando si è impossibilitati, per motivi contingenti, a eseguire una bonifica nell’immediato. Le prestazioni finali in termini di resistenza meccanica e caratteristiche termofisiche sono in funzione dell’elemento confinante utilizzato. Al confinamento si richiede comunque (DM 6 settembre 1996) di essere leggero, infrangibile, di avere elevata durata e una dilatazione termica compatibile con il supporto. Come confinamento si utilizzano in genere pannelli metallici in lamiera o alluminio, accoppiati a pannelli isolanti in funzione delle necessità di protezione termica richieste dell’elemento da confinare che può trattarsi di una copertura, di pannelli sotto finestra ecc. Nel caso di pareti interne rivestite con lastre contenenti amianto, il confinamento può essere realizzato anche con pannelli in cartongesso di adeguato spessore, utilizzabili anche per separare l’intradosso di coperture in eternit dall’ambiente sottostante. In ogni caso è necessario creare una struttura di supporto secondaria per l’elemento confinante che non deve gravare sul manufatto in cemento amianto. L’allestimento del cantiere deve avvenire secondo le disposizioni di sicurezza vigenti e quanto indicato nell’eventuale piano di sicurezza (per lavori sulle coperture è obbligatorio prendere tutte le precauzioni per eliminare rischi di caduta dall’alto o di sfondamento delle lastre). Anche durante le operazioni di confinamento, soprattutto nelle fasi preliminari e durante l’esecuzione di eventuali fori, gli operatori devono indossare tutti i mezzi di protezione personale previsti dalla legge (maschere con filtri assoluti, tute a perdere, guanti ecc.).
Prima della posa dell’elemento confinante, il manufatto da confinare viene irrorato con prodotti incapsulanti a base di resine viniliche mediante pompe airless a bassa pressione, per evitare la dispersione di fibre durante le lavorazioni fissando le fibre più superficiali. Per il confinamento di coperture in cemento amianto, deve essere seguita anche la bonifica dei canali di gronda, ove presenti. In alternativa il canale di gronda può essere trattato con prodotto incapsulante e successivamente confinato mediante idonea sopracopertura. Nel caso in cui è necessaria la movimentazione delle lastre di gronda, gli operatori devono liberare i vecchi ancoraggi senza fratturare le lastre, per poi riagganciarle utilizzando gli stessi fori e nuovi gruppi di fissaggio. Dopo queste operazioni preliminari va installata sul manufatto da confinare, ove necessario, una nuova orditura in modo da non gravare sull’elemento in amianto. Se si rende necessaria l’esecuzione di fori sul manufatto in amianto, questi devono essere eseguiti con idonee attrezzature supportate da sistemi di aspirazione con filtri assoluti. Nel caso in cui si operi in ambienti chiusi potrebbe essere necessario creare dei piccoli confinamenti (tipo glove bag) intono al punto da forare. È importante inoltre, per elementi collocati in ambienti chiusi, assicurare una sigillatura di tutti i possibili passaggi di aria tra elemento confinato e ambiente circostante. Nel caso di coperture in cemento amianto la nuova orditura secondaria, sempre necessaria, è costituita da listelli di legno o elementi metallici alleggeriti, i quali devono essere fissati alla struttura portante della copertura in modo da non gravare direttamente sulle lastre. Anche questa operazione prevede la foratura delle lastre e deve essere eseguita con procedure idonee e mezzi di protezione personali atti a evitare la contaminazione da amianto e un rischio per gli operatori. Una volta fissata l’orditura si procede all’installazione della nuova copertura secondo le specifiche del produttore, corredata di chiusura inferiore delle lastre gronda, colmo e scossaline, Caso per caso e secondo le necessità, può essere consigliabile l’installazione anche di una barriera al vapore, e di uno strato isolante con eventuale protezione impermeabilizzante, per garantire una migliore protezione termoigrometrica dell’ambiente sottostante.
PROGRAMMA DI MANUTENZIONE E CONTROLLO DELL’AMIANTO IN SEDE Gli interventi si riferiscono alle procedure da mettere in atto conseguentemente alla presenza di manufatti contenenti amianto in edifici a uso civile, commerciale o industriale aperti al pubblico o di utilizzazione collettiva, secondo quanto disposto dal DPR n.277 dell’8 agosto 1991, dal DM 6 settembre 1994, e dal DPR 8 agosto 1994. Dal momento in cui viene rilevata la presenza di materiali contenenti amianto in un edificio è necessario che sia messo in atto un programma di controllo e manutenzione al fine di ridurre al minimo l’esposizione degli occupanti.
Tale programma implica mantenere in buone condizioni i manufatti contenenti amianto, prevenire il rilascio e la dispersione secondaria di fibre, intervenire quando si verifichi un rilascio, verificare periodicamente le condizioni dei materiali contenenti amianto, formare e informare gli occupanti dell’edificio e il personale chiamato a intervenire su, o in prossimità di, manufatti in amianto. Il programma di controllo e manutenzione, secondo quanto specificato nel DM 6 settembre 1994, costa di due momenti: la messa a punto di un programma di controllo e la programmazione di attività di manutenzione e custodia dell’amianto in sede o dei suoi confinamenti.
PROGRAMMA DI CONTROLLO Il responsabile dell’immobile e/o il responsabile dell’attività che vi si svolge deve: • designare una figura responsabile con compiti di controllo e coordinamento delle attività manutentive che possono coinvolgere manufatti in amianto; • tenere una idonea documentazione da cui risulti dove è ubicato l’amianto. Su installazioni soggette a frequenti manutenzioni devono essere apposte idonee avvertenze in modo da evitare che l’amianto venga inavvertitamente disturbato; • garantire il rispetto di efficaci misure di sicurezza durante tutte le attività che possono causare un disturbo dei materiali in amianto. A tale fine deve essere inoltre
predisposta una specifica procedura di autorizzazione per attività di manutenzione e di tutti gli interventi effettuati deve esser tenuta una documentazione verificabile; • fornire una corretta informazione agli occupanti sui rischi e i comportamenti da adottare; • in caso in cui sia presente amianto in forma friabile deve provvedere a far ispezionare l’edificio almeno una volta all’anno, da personale in grado di valutare le condizioni dei materiali (DM 14 maggio 1996), redigendo un dettagliato rapporto, corredato da documentazione fotografica, il quale dovrà essere trasmesso alla ASL competente. La ASL potrà a discrezione, prescrivere monitoraggi ambientali periodici delle fibre aerodisperse all’interno dell’edificio.
ATTIVITÀ DI MANUTENZIONE E CUSTODIA Le operazioni di manutenzione vera e propria possono essere raggruppate in 3 categorie:
3. interventi che intenzionalmente disturbano zone limitate di materiali contenenti amianto.
manipolazione di manufatti in amianto. L’area deve essere isolata con idonee misure in relazione al potenziale di rischio di rilascio di fibre, eventualmente utilizzando anche la tecnica glove bag; devono essere adottati mezzi di rimozione a umido; dopo gli interventi i locali devono esser puliti a umido o con aspiratori portatili muniti di filtri ad alta efficienza. I personale operante deve essere munito di idonei dispositivi di protezione personale, e tutto il materiale a perdere utilizzato (indumenti, teli, stracci per la pulizia ecc.) deve essere smaltito come rifiuto contaminato, in sacchi impermeabili chiusi ed etichettati. Misure più specifiche sono indicate al punto 4 del DM 6 settembre 1994.
Operazioni che comportino un esteso interessamento dell’amianto non sono consentite, se non nell’ambito di un intervento di bonifica. Durante tutte le operazioni di manutenzione che comportino un disturbo accidentale o intenzionale dell’amianto devono essere prese le precauzioni imposte dalla
Un programma di manutenzione e controllo dell’amianto in sede è conseguente a interventi di confinamento o incapsulamento di manufatti in amianto, e comunque da applicarsi i tutti i casi in cui un manufatto in amianto, anche integro e in buone condizioni, rimane all’interno di un edificio.
1. interventi che non comportano contatto diretto con l’amianto 2. interventi che possono interessare accidentalmente i materiali contenenti amianto
E 90
CONTROLLO AMBIENTALE
ACUSTICA GENERALITÀ •
A.ZIONI
DEFINIZIONI I principali aspetti acustici che interessano la progettazione architettonica, e che sono fortemente influenzati dalle scelte progettuali, sono i seguenti: a. la qualità acustica delle sale destinate all’ascolto (di spettacoli di conferenze di musica) b. la trasmissione del rumore attraverso le pareti di separazione tra due ambienti adiacenti; c. la trasmissione del rumore di calpestio attraverso i solai; d. la riduzione del rumore generato da sorgenti esterne, in particolare quelle associate ai sistemi di trasporto, nelle vicinanze di centri abitati.
PRESSIONE ACUSTICA (O SONORA), p
TAB. E.4.1./3 BANDE DI TERZO D’OTTAVA [Hz]
La sensazione che definiamo suono è legata a variazioni periodiche della pressione atmosferica, dovute a cause diverse, quali la vibrazione di un corpo o di una superficie, che provoca susseguirsi di compressioni e rarefazioni. Detto P(τ ) il valore istantaneo della pressione atmosferica, il valore istantaneo della variazione della pressione in un dato punto è quindi
NUMERO FREQUENZA D’ORDINE NOMINALE
∆p (τ ) = P(τ )–P Definiamo tono puro, un suono descrivibile mediante una funzione sinusoidale:
∆p (τ ) = P(τ )–P = pn sin (2 πfτ )
RUMORE Suono non desiderato, o anche suono con spettro di frequenze privo di regolarità distinguibile.
dove f è la frequenza del tono puro pn è l’ampiezza di pressione.
SUONO, O TONO, PURO
Chiamiamo pressione acustica, o sonora, p(τ ), il valore efficace della variazione di pressione:
∆p (τ )
Suono emesso a una sola frequenza, o in una banda di frequenze molto stretta.
T
p=
SUONO COMPLESSO Suono risultante dalla combinazione di suoni emessi a più frequenze.
PRESSIONE ATMOSFERICA, P Pressione dell’aria in una località. Questa grandezza varia nel tempo per effetto di perturbazioni meteorologiche, e da località a località, in funzione della latitudine e dell’altezza sul livello del mare (vedi Tab. E.4.1./1). Per l’atmosfera standard (valore medio a 0° di latitudine e 0 m s.l.m.) si assume il valore:
P = 101, 325 kPa = 1 atmosfera = 760 mmHg TAB. E.4.1./1 ATMOSFERA STANDARD ALTITUDINE [m]
E.4. 1.
TEMPERATURA [°C]
PRESSIONE [kPa]
0
15,0
101,325
500
11,8
95,461
1000
8,5
89,874
2000
2,0
79,495
3000
–4,5
70,108
4000
–11,0
61,640
5000
–17,5
54,020
6000
–24,0
47,181
7000
–30,5
41,061
8000
–37,0
35,600
2
∫ 0 ∆p(τ ) dτ T
dove T è l’intervallo di tempo di osservazione. La pressione acustica ha valori molto piccoli rispetto alla pressione atmosferica. Esempio Un suono di media intensità corrisponde a una pressione dell’ordine di un milionesimo della pressione atmosferica, cioè 10-1 Pa.
OTTAVA Intervallo di frequenze tra un valore e il suo doppio. Ad esempio sono ottave gli intervalli 22-44 Hz, oppure 250-500 Hz. Normalmente si assumono come ottave gli intervalli di frequenza compresi tra i limiti (in Hz) dati nella Tab. E.4.1./2.
Ogni ottava può essere suddivisa in tre intervalli di frequenze, che prendono il nome di terzi d’ottava, le cui frequenze centrali e di limite sono indicate nella Tab. E.4.1./3. Ogni terzo ha un numero d’ordine, da 1 a 43. I primi 11 numeri sono riservati alle frequenze più basse (<12.5 Hz).
TAB. E.4.1./2 BANDE D’OTTAVA [Hz] FREQUENZA NOMINALE
FREQUENZE LIMITE inferiore
superiore
–43,5
30,742
16
11,2
22,4
–50,0
26,436
31,5
22,4
45
63
45
90
Esempio nell’acqua, sempre a 20°C, è pari circa a 1437 m/s, nell’acciaio a 5000 m/s.
Nella musica classica si usano suoni con frequenze comprese tra 30 e 4000 Hz. Assunto un suono di data frequenza come riferimento, si dice intervallo tra questo suono e un altro, di frequenza diversa, il rapporto tra le loro frequenze. Se prendiamo l’ottava come unità di misura delle frequenze, nella musica classica si adottano sei intervalli: NOME INTERVALLO
9000
Velocità di propagazione delle onde sonore nel mezzo. Tale velocità varia con la temperatura del mezzo (nel caso di aeriformi, cresce al crescere di questa). Nel caso dell’aria, la velocità del suono a una temperatura di 20°C è pari a circa 344 m/s, ovvero 1238,4 km/h. La velocità del suono è maggiore nei liquidi e nei solidi che nell’aria.
16 20 25 31,5 40 50 63 80 100 125 160 200 250 315 400 500 630 800 1000 1250 1600 2000 2500 3150 4000 5000 6300 8000 10000 12500 16000 20000
FREQUENZE LIMITE inferiore superiore 14,3 18 18 22,4 22,4 28 28 35,5 35,5 45 45 56 56 71 71 90 90 112 112 140 140 180 180 224 224 280 280 355 355 450 450 560 560 710 710 900 900 1120 1120 1400 1400 1800 1800 2240 2240 2800 2800 3550 3550 4500 4500 5600 5600 7100 7100 9000 9000 11200 11200 14000 14000 18000 18000 22400
ACUSTICA MUSICALE TERZI D’OTTAVA
10000
VELOCITÀ DEL SUONO, c
12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
125
90
180
250
180
355
500
355
710
1000
710
1400
2000
1400
2800
4000
2800
5600
8000
5600
11200
16000
11200
22400
Unisono
2 3/2
Quarta
4/3
Terza maggiore
5/4
Terza minore
6/5
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
1
Quinta
I ED PRE NISM ORGA
E.6. MIDA U ARIA
RAPPORTO TRA LE FREQUENZE
Ottava
B.STAZIONI DILEGIZLII
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
Si chiama scala temperata la successione di suoni ottenuti dividendo una ottava in dodici intervalli uguali. I suoni corrispondenti, detti note, si chiamano come è noto: DO, DOd, RE, REd, MI, FA, FAd, SOL, SOLd, LA, LAd, SI. La frequenza di una nota si ottiene da quella della nota precedente moltiplicandola per il fattore 1,05946. Il pianoforte presenta 8 ottave. La nota di riferimento è il LA della quarta ottava, cui corrisponde la frequenza di 440 Hz.
➥
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
IANTO . E.3.5NZA DI AM E U S PRE RVENTI S .A. E E INT FATTI IN C U MAN . E.4.1 ALITÀ R GENE
E 91
E.4. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE GENERALITÀ
ACUSTICA
•
➦ DEFINIZIONI ➦ ACUSTICA MUSICALE
DECIBEL (dB)
TAB. E.4.1./4 RAPPORTO TRA LIVELLO SONORO E SENSAZIONI
Unità di misura adimensionale usata per misurare i livelli. La misura in decibel è data da:
LIVELLO SONORO [dB]
SENSAZIONE
0
soglia udibilità
10
appena udibile
20
molto silenzioso
SITUAZIONE TIPICA ESTERNO
SITUAZIONE TIPICA INTERNO
respiro normale stormire di foglie
sussurri
30
zona residenziale tranquilla
abitazione senza radio
40
cinguettio di uccelli
ristorante tranquillo
50
silenzio
ufficio silenzioso
60
moderato
conversazione tra 2 persone
70
forte
80
piuttosto forte
ufficio rumoroso
90 100
molto forte
camion a 60 km/h a 15 metri
dentro auto ad alta velocità
strada urbana rumorosa
fabbrica rumorosa
passaggio di jet a 300 m
interno di un aereo a elica
treno soprelevato
gruppo rock
soglia del dolore assordante
jet vicino artiglieria
TIPO DI RUMORI Continui: variano meno di 5 dB; intermittenti: se di durata maggiore di 1 secondo e interruzione maggiore di 1 secondo; impulsivi: il livello sonoro varia di almeno 40 dB in meno di 0.5 secondi e dura meno di 1 secondo.
LIVELLO DI INTENSITÀ SONORA, Li Tale livello, espresso in dB, è dato dall’espressione:
INTENSITÀ ACUSTICA, J Flusso di energia sonora che attraversa l’unità di area disposta normalmente rispetto alla direzione di propagazione
W S
W J= 4πd2 Nel caso di onde sferiche (sorgente puntiforme): dove d rappresenta la distanza dalla sorgente. J risulta quindi decrescere con il quadrato della distanza dalla sorgente. J si misura in [W/m2].
dove J0 è l’intensità sonora di riferimento assunta pari a 10–12 W/m2. Questo valore corrisponde alla intensità minima percepita dall’orecchio a una frequenza di 1000 Hz (soglia di udibilità), cui corrispondono 0 dB.
RAPPORTO TRA I LIVELLI DI PRESSIONE E DI INTENSITÀ
In prima approssimazione si può dire che le variazioni di livello sonoro vengono percepite dall’orecchio secondo la tabella seguente. Per una trattazione più accurata vedi scala dei son.
Nel caso dell’aria i due livelli sono espressi praticamente dallo stesso numero di decibel, infatti:
Lp = 20log10
EFFETTO SOGGETTIVO
= 10log10
3
appena percettibile
5
chiaramente percepibile
10
raddoppio della sensazione
J J0
p p 400J = 10 log10 = 10 log10 = p0 p02 400J0 = Li
LIVELLI DI BANDA D’OTTAVA RAPPORTO TRA PRESSIONE E INTENSITÀ In ogni istante le due grandezze sono legate dalla relazione:
dove W è la potenza acustica e S la superficie. Nel caso di onde piane, ipotizzando trascurabili gli effetti dissipativi nel mezzo attraversato si ha quindi che J è costante su tutte le superfici piane perpendicolari alla direzione di propagazione.
J1 J0
SENSIBILITÀ ALLA VARIAZIONE DI LIVELLO
VARIAZIONE DI LIVELLO [dB]
J=
Esempio. 60 dB corrispondono a un valore di f1 106 volte più grande di f0. Un aumento di 3 dB equivale quindi circa a un raddoppio di f1 (infatti il log10 di 2 è pari a 0,30103).
Lp = 10log10
120
140
f1 f0
dove f0 è la grandezza di riferimento.
motocicletta a pochi metri
110
130
10 log10
J = u ·p =
p2 ρ ·c
dove u è la velocità delle particelle del mezzo, ρ è la densità del mezzo e c è la velocità del suono nel mezzo. Nel caso dell’aria ρ = 1,2 kg/m3 e c = 340 m/s. In conclusione, nel caso dell’aria, si ha la relazione:
p2 = 400 ·J
LIVELLO DI PRESSIONE ACUSTICA, Lp
Si tratta di un modo di descrivere la distribuzione del suono prodotto da una sorgente in funzione delle frequenze. Il suono viene analizzato per mezzo di analizzatori in bande d’ottava, che permettono di determinare il livello di pressione sonora, o di intensità, in ciascuna banda larga una ottava.
LIVELLI DI TERZI DI BANDA D’OTTAVA Per avere una descrizione più dettagliata della distribuzione del suono con la frequenza si usano i livelli misurati per ogni terzo di banda d’ottava.
LIVELLO SONORO PONDERATO A
Tale livello, espresso in dB, è dato dall’espressione:
LIVELLO Logaritmo del rapporto tra una grandezza e una grandezza di riferimento della stessa specie. Si usa per esprimere rapporti tra grandezze variabili in un campo molto vasto ad esempio da 1 a 1010.
E 92
Lp = 10 log10
p1 p1 = 20 log10 p0 p0
dove p0 è la pressione acustica di riferimento assunta pari a 20 µPa. Questo valore corrisponde alla pressione sonora minima percepita dall’orecchio a una frequenza di 1000 Hz (soglia di udibilità), cui corrispondono 0 dB.
A partire dalla conoscenza dei livelli di banda d’ottava di un dato rumore si può calcolare il livello ponderato riferito alla curva di ponderazione A (vedi “Fonometria”) nel seguente modo. Per ciascun livello di banda di ottava si calcola il livello ponderato modificando i livelli noti con i corrispondenti coefficienti correttivi. Poi si determina il livello complessivo combinando tra loro i livelli ponderati, a partire da due, e proseguendo combinando il livello risultante con un altro, e così via.
CONTROLLO AMBIENTALE
ACUSTICA GENERALITÀ •
E.4. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
COMBINAZIONE DI LIVELLI
Esempio. Due suoni, ciascuno da 50 dB, non danno un livello di 100 dB. Si è già visto che in questo caso, che corrisponde a un raddoppio della intensità, corrisponde un aumento di 3 dB. Il livello risultante sarebbe, quindi, pari a 53 dB. In generale, per combinare due suoni diversi si procede utilizzando la Fig. E.4.1./1, in cui, in ascissa, L1- L2 indica la differenza di valore tra i due livelli e, in ordinata, si ha il numero di dB da aggiungere al livello più alto per ottenere il livello equivalente.
B.STAZIONI DILEGIZLII
FIG. E.4.1./1 COMBINAZIONE DI DUE LIVELLI SONORI
I ED PRE NISM ORGA
∆L è l’aumento del livello L1 a causa di L2, con L1 > L2
3
C.RCIZIO
∆L [dB]
Quando in un punto giungono più onde sonore, generate da sorgenti diverse o corrispondenti a frequenze diverse, il livello dei suoni combinati non è la somma dei diversi livelli, a causa della scala logaritmica usata per definire i livelli.
E ESE ESSIONAL PROF
2
D.GETTAZIONE
Esempio. Se L1 = 60 dB e L2 = 56 dB quindi L1- L2 = 6 dB l’aumento ∆L deve essere di 1 dB, per cui il livello risultante è pari a 61 dB. Con L2 = 50 dB, invece, cioè con L1- L2 = 10 dB, non si ha nessun aumento significativo del livello equivalente rispetto a L1. Nel caso di più rumori, si procede a partire dal livello più alto combinato con quello immediatamente inferiore. Il livello equivalente così trovato viene poi combinato con quello immediatamente inferiore, e così via.
1
PRO TTURALE STRU
0
E.NTROLLO 0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
L1-L2 [dB]
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
AUDIOGRAMMA NORMALE Il grafico di Fig. E.4.1./2 mostra la dipendenza delle sensazioni uditive dalla frequenza (si riferisce infatti a suoni puri) e dalla intensità (o dalla pressione). La curva più bassa indica le intensità o le pressioni (scale a sinistra delle ordinate) alle quali l’orecchio medio inizia a percepire una sensazione uditiva (soglia di udibilità). L’andamento mostra che la sensibilità dell’orecchio è massima per frequenze comprese tra 500 e 6000 Hz, mentre decresce (infatti servono potenze maggiori) per frequenze esterne a questo intervallo. Esempio. A 60 Hz è necessaria una intensità 105 volte maggiore che a 1000 Hz perché il suo-
no venga avvertito. La curva superiore mostra le intensità, o le pressioni, alle quali si inizia ad associare alla percezione una sensazione di dolore (soglia del dolore) alle diverse frequenze. Le curve intermedie sono curve iso-sensazione. Sulla scala di destra delle ordinate sono riportati i livelli (di intensità e di pressione, coincidenti, come detto), riferiti ai rispettivi valori di intensità e di pressione della soglia di udibilità a 1000 Hz. Il valore dei livelli sarà quindi pari a 0 dB in corrispondenza di tale punto per crescere al crescere della sensazione, fino al valore di circa 120 dB in corrispondenza della soglia del dolore a 1000 Hz. Alla condizione considerata in precedenza (soglia di udibilità a 60 Hz) corrisponde un valore di 50 dB.
FIG. E.4.1./2 AUDIOGRAMMA NORMALE IN phon
110 100 1 90
-4 10
-1
110 100
-6 -2
80
80
70
70
60
60
50
50
40
40
30
30
20
20
10
10
0
0
10
SO
-8 10
G
LI
-3
A
10
DI
UD
IB
IL
IT
A'
-10 10
-4 10 -12
10
-5
URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS
90
10
10
LIVELLI LP E LI
10
LIVELLO IN PHON
PRESSIONE SONORA
INTENSITA' SONORA
-2 10
120
120
SOGLIA DEL DOLORE
G.ANISTICA
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
130 1
CO NTALE AMBIE
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
10 50
100
500
1000
5000
10000
FREQUENZA [Hz]
. E.4.1 ALITÀ R GENE
E 93
E.4. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE GENERALITÀ
•
ACUSTICA
➦ DEFINIZIONI LIVELLO IN PHON
SCALA DEI SON E LOUDNESS
Il phon è una unità di misura introdotta per caratterizzare condizioni di uguale sensazione. A ogni curva iso-sensazione viene associato il valore in dB corrispondente alla frequenza di 1000 Hz. (Fig. E.4.1./3).
La scala dei phon esprime l’equivalenza tra suoni puri a frequenze diverse ma i valori numerici non forniscono informazioni circa i rapporti tra le sensazioni a livelli diversi. 70 phon non significa una sensazione 10 volte maggiore di 60 phon, come i valori rispettivi indicherebbero. Si definisce allora la scala in son (ISO) che assegna alle diverse intensità valori proporzionali alla sensazione. Il rapporto tra scala in phon e scala in son è ricavabile dal diagramma di Fig. E.4.1./4, o dalla seguente relazione: S = 2 (L–40)/10) dove S e L sono i livelli in son e in phon, rispettivamente. La grandezza misurata in son è detta loudness. Esempio. Riprendendo i due livelli citati sopra, 60 e 70 phon, questi corrispondono, rispettivamente a 4 e 8 son, ovvero il più alto provoca una sensazione due volte, e non dieci volte, più forte rispetto al più basso. Questo si può generalizzare: a una variazione di 10 phon corrisponde un raddoppio in son, cioè un raddoppio della sensazione.
Esempio. Si parlerà di curva isofonica a 70 phon per indicare tutti i punti appartenenti alla curva dell’audio-gramma normale passante per il valore di 70 dB a 1000 Hz. La soglia di dolore è la curva isofonica di 120 phon.
140 PHON 120
FIG. E.4.1./4 SCALA DEI son
114
s [ SON ]
LIVELLI Lp [dB]
FIG. E.4.1./3 AUDIOGRAMMA NORMALE IN phon
104 100
94
300 200 100
84 50
74
80
30
64
20 54
60
10
44 40
34
5
24
3 2
20
14 1
0
100
500
1000
0.5
5000
0.3
FREQUENZA [Hz]
0.2 0.1 0
10
20
30
40
50
60
70
80
90 100 110 120 L [ PHON ]
LOUDNESS DI UN SUONO COMPLESSO
n
dove S è l’indice di loudness e Sm è il più alto tra gli n valori Sk trovati, essendo n il numero di bande d’ottava considerate. Esempio. Si abbia un suono caratterizzato dai livelli in banda d’ottava (n = 6) mostrati nella tabella seguente. FREQUENZA DI LIVELLO CENTRO BANDA [Hz] SONORO [dB]
LOUDNESS Sk [son]
1
125
62
1,3
2
250
64
4
3
500
91
22
4
1000
90
33
5
2000
85
27
6
4000
87
40
Come si vede il valore massimo tra gli Sk è 40 son in corrispondenza dell’ottava centrata su 4000 Hz, che è quindi il valore di Sm. Applicando l’espressione si trova quindi che l’indice di loudness vale: S=40+0.30[(1.3–40)+(4–40)+(22–40)+(33–40)+(27–0)]=6.2 son cioè (vedi Fig. E.4.1./2) circa 66 phon.
E 94
130 120
INDICE DI SONORITA' 150 100 80 60 50 40 30 25 20 15 12 10 8 6 5 4 3 2.5 2 1.5
110
S = Sm+0.30 ∑ Sk–Sm = 20log10
BANDA D’OTTAVA K
FIG. E.4.1./5 CURVE PER LA DETERMINAZIONE DELL’INDICE DI LOUDNESS PER BANDE DI OTTAVA
]Bd[ ADNAB ID ARONOS ENOISSERP ID OLLEVIL
Si può definire un indice di valutazione (indice di loudness) di un suono complesso usando le curve di Fig. E.4.1./5. Ogni curva rappresenta livelli di uguale sensazione, espressa dall’indice di loudness corrispondente in son. Per ogni banda d’ottava si riporta sul grafico il livello di pressione in corrispondenza della frequenza di centro banda, e si legge il valore in son per interpolazione tra le curve vicine. I valori Sk in son così trovati si sommano tenendo conto del mascheramento per mezzo dell’espressione:
100 90 80 70
60 50 40
20 10
10
20
50
100 200
PHON 130 120
100 50
110 100 90 80
10 5
1 0.7 0.5 0.3 0.2 0.1
30
SON 500
70 60 50
500 1000 2000 5000 10000 20000
FREQUENZA [Hz]
1
40
0.5
30
CONTROLLO AMBIENTALE
ACUSTICA GENERALITÀ •
E.4. 1. A.ZIONI
L’audiogramma normale indica come la risposta dell’orecchio varia con la frequenza. Se si vogliono effettuare misure del suono che rispecchino questa variabilità, sarà quindi necessario “correggere” le misure di intensità (o di pressione) sonora con dei coefficienti che riproducano il diverso “peso” che la stessa intensità ha, in termini di sensazione auditiva, al variare della sua frequenza. Questo tipo di considerazioni è alla base del fonometro, strumento per la misura dei livelli sonori. Senza entrare nei dettagli, si può dire che tale strumento consiste essenzialmente di un microfono, che raccoglie il suono e lo converte in impulsi elettrici, e di una rete ponderatrice, ovvero di un componente che analizza la distribuzione della intensità in funzione delle frequenze, e attribuisce a ciascuna frazione un “peso”, ovvero un termine, in dB, da aggiungere o da sottrarre alla misura del livello. I pesi hanno il compito di ricostruire curve simili a quelle dell’audiogramma normale, ovvero di “interpretare” la misura fisica (di una pressione) in termini di sensazioni auditive. Si possono scegliere curve diverse, cui corrisponderanno valori diversi dei pesi, ovvero curve di ponderazione diverse. Le curve dell’audiogramma normale più comunemente usate sono: 1. linea isofonica a 40 phon, cui corrisponde la curva di ponderazione “A”; 2. linea isofonica a 70 phon, cui corrisponde la curva di ponderazione “B”; 3. linea isofonica a 100 phon, cui corrisponde la curva di ponderazione “C”. Esistono altre curve di ponderazione, per condizioni specifiche. In Fig. E.4.1./6 sono riportate le tre curve A, B e C, mentre i valori dei pesi, per terzi di bande d’ottava, sono riportati nella Tabella seguente. I pesi sono espressi in dB, con l’indicazione della curva cui si riferiscono. La curva A è di gran lunga la più usata, anche a livello internazionale. FREQUENZA [Hz]
CURVA A [dB A]
CURVA B [dB B]
CURVA C [dB C]
10 12,5 16 20 25 31,5 40 50 63 80 100 125 160 200 250 315 400 500 630 800 1000 1250 1600 2000 2500 3150 4000 5000 6300 8000 10000 12500 16000 20000
–70,4 –63,4 –56,7 –50,5 –44,7 –39,4 –34,6 –30,2 –26,2 –22,5 –19,1 –16,1 –13,4 –10,9 –8,6 –6,6 –4,8 –3,2 –1,9 –0,8 0 0,6 1,0 1,2 1,3 1,2 1,0 0,5 –0,1 –1,1 –2,5 –4,3 –6,6 –9,3
–38,0 –33,2 –28,5 –24,2 –20,4 –17,1 –14,2 –11,6 –9,3 –7,4 –5,6 –4,2 –3,0 –2,0 –1,3 –0,8 –0,5 –0,3 –0–1 0 0 0 0 –0,1 –0,2 –0,4 –0,7 –1,2 –1,9 –2,9 –4,3 –6,1 –8,4 –11,1
–14,3 –11,2 –8,5 –6,2 –4,4 –3,0 –2,0 –1,3 –0,8 –0,5 –0,3 –0,2 –0,1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 –0,1 –0,2 –0,3 –0,5 –0,8 –1,3 –2,0 –3,0 –4,4 –6,2 –8,5 –11,2
A seconda dei tempi tipici di misurazione del livello, si distinguono una misura breve (“Fast”), con tempi di 125 ms, adatta per segnali che variano rapidamente, e una lunga (“Slow”), con tempi di 1 s.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
FIG. E.4.1./6 CURVE DI PONDERAZIONE A, B, C, D RISPOSTA [Hz]
FONOMETRIA
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
20
C.RCIZIO
D
E ESE ESSIONAL PROF
10 A 0
D.GETTAZIONE
B,C C
PRO TTURALE STRU
10 20
E.NTROLLO
B
CO NTALE AMBIE
30
F. TERIALI,
40
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
A 50 100
10000
1000
FREQUENZA [Hz]
G.ANISTICA URB
LIVELLO EQUIVALENTE CONTINUO, Leq Dato un tempo di osservazione T, Leq è il livello stazionario cui corrisponde, nel tempo considerato, la stessa energia del livello variabile L(t) analizzato:
Leq = 10log10
1 T L(t)/10 ∫ 10 dt T0
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
INTELLEGIBILITÀ DEL LINGUAGGIO La possibilità di comprendere le parole pronunciate da un interlocutore dipende dal livello del rumore disturbante, dovuto a fonti interne o esterne all’ambiente. Uno dei modi di esprimere tale fenomeno è indicato nella tabella, che riporta le distanze massime dalla fonte alle quali una conversazione è comprensibile, per due livelli di voce, normale e alta, in funzione del livello sonoro del rumore disturbante.
LIVELLO AMBIENTALE, LA Livello equivalente continuo risultante dalla combinazione del rumore residuo e dei rumori delle specifiche sorgenti disturbanti. DISTANZE MASSIME ALLE QUALI UNA CONVERSAZIONE RISULTA COMPRENSIBILE Livello rumore disturbante [dB]
Distanza con voce normale [m]
Distanza ad alta voce [m]
35
7,5
15
40
4,2
8,4
45
2,3
4,6
50
1,3
2,6
55
0,75
1,5
60
0,42
0,85
65
0,25
0,50
70
0,13
0,26
LIVELLO RESIDUO, Lr
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
Livello sonoro che si ottiene escludendo i rumori prodotti dalle specifiche sorgenti disturbanti. Esempio Uno stesso livello di pressione acustica di 60 dB viene misurato da un fonometro che usi la curva di ponderazione A a seconda della frequenza: • a 1000 Hz la misura è proprio pari a 60 dB, e si indicherà: 60 dB (A) • a 50 Hz la misura sarà pari a 60 – 30,2 = 29,8 dB(A) • a 250 Hz la misura sarà pari a 60 – 8,6 = 51,4 dB(A) • a 2000 Hz la misura sarà pari a 60 + 1,2 = 61,2 dB(A) • a 4000 Hz la misura sarà pari a 60 – 1,0 = 59 dB(A)
COEFFICIENTE DI ASSORBIMENTO SONORO, α Proprietà di un materiale che indica la frazione della potenza acustica incidente sul materiale che viene da questo assorbita, cioè non riflessa. Dipende dalla frequenza dell’onda sonora e dall’angolo di incidenza. Per quanto riguarda questo secondo aspetto, i valori di a sono, solitamente, riferiti a onde incidenti con angoli di incidenza casuali, quali quelle ottenute in una camera a riverberazione.
. E.4.1 ALITÀ R GENE
E 95
E.4. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE ACUSTICA DI UNA SALA
•
ACUSTICA
CRITERI DI PROGETTAZIONE Gli obiettivi fondamentali della progettazione acustica di una sala destinata a funzioni specifiche sono: 1. assicurare un livello sonoro adeguato in tutti i punti della sala; 2. eliminare, o ridurre a livelli accettabili, i rumori disturbanti; 3. garantire tempi di riverberazione ottimali.
In aggiunta a questi, la qualità di una sala va valutata tenendo conto di altri aspetti quali: intimità, calore, vivezza, diffusione, distorsione, disuniformità ecc. Per quanto riguarda gli aspetti progettuali, il conseguimento di tali obiettivi è legato a: A. la forma e le dimensioni della sala; B. i materiali e i componenti impiegati.
RIVERBERAZIONE E CODA SONORA Tutti gli aspetti problematici nell’acustica di un ambiente confinato sono legati al fenoAl contrario, è proprio l’uso accorto di tale fenomeno a permettere che la densità meno della riflessione da parte delle pareti delle onde sonore emesse da una sorgensonora nei diversi punti di una sala sia maggiore di quella, spesso inadeguata, del te sonora S. Di conseguenza il suono raggiunge un punto R dell’ambiente sia direttacampo diretto. mente, sia a seguito delle riflessioni da parte delle pareti (Fig. E.4.2./1). Essendo il D.3.2./2 A questo fineDIlaFORMA forma delle deve assicurare CON una distribuzione FIG. - SALE NONpareti PARALLELEPIPEDA SOFFITTI quanto più unipercorso del suono riflesso più lungo di quello diretto, il suono riflesso giungerà al punforme possibile del suono (Fig. E.4.2./2b). RIFLETTENTI, CON BUONA DISTRIBUZIONE DEL SUONO to R con un ritardo. Questo fenomeno riguarda, evidentemente tutti i punti delle pareti, così che la densità sonora nel punto R sarà il risultato della combinazione di infiniti FIG. E.4.2./2 SALE DI FORMA NON PARALLELEPIPEDA CON SOFFITTI suoni che giungono con ritardi proporzionali alla lunghezza del percorso che hanno RIFLETTENTI CON BUONA DISTRIBUZIONE DEL SUONO seguito. A tale complesso di fenomeni si dà il nome di riverberazione, e si parla di campo sonoro diretto e di campo sonoro riverberato. La conseguenza più importante è che il suono continua ad arrivare in un punto anche dopo che la sorgente ha cessato di emetterlo (coda sonora). Questo comporta dei problemi di sovrapposizione dei suoni emessi in tempi succesFIG. D.3.2./1 - SUONO DIRETTO E SUONO RIFLESSO, O RIVERBERATO sivi che può comportare dei problemi di intellegibilità del messaggio sonoro. Si deve notare, tuttavia, che la riflessione del suono da parte delle pareti non costituisce sempre e necessariamente un problema. S FIG. E.4.2./1 SUONO DIRETTO E SUONO RIFLESSO, O RIVERBERATO
A A
S
R S
B
ECO L’eco è un fenomeno che deve essere sempre evitato. Si ha eco al verificarsi di queste tre condizioni: 1. il suono riflesso giunge all’ascoltatore con un ritardo di almeno 70-100 ms rispetto a quello diretto. Questo significa che, considerando la velocità del suono nell’aria, il tragitto SAR, sorgente-parete-ascoltatore, deve essere più lungo di almeno 24 m rispetto al tragitto SR diretto sorgente-ascoltatore (vedi Fig. E.4.2./1); 2. l’intensità del suono riflesso non è molto diversa, dall’intensità del suono diretto; 3. nell’intervallo di tempo tra i due suoni non c’è un alto livello di riverberazione.
TEMPO CONVENZIONALE DI RIVERBERAZIONE, T60 Tempo necessario perché l’intensità sonora all’interno di un ambiente una volta raggiunta la condizione di regime e al cessare dell’emissione da parte della sorgente, si riduca a un milionesimo dell’intensità iniziale, ovvero il tempo perché il livello sonoro si riduca di 60 dB rispetto al livello di regime. Questo tempo dipende dalla frequenza del suono emesso.
RELAZIONE DI SABINE Relazione, di origine sperimentale, che permette di valutare il tempo convenzionale di riverberazione di un ambiente di volume V (in m3) in funzione dei coefficienti di assorbimento, ai, di ciascuna superficie Si che delimita l’ambiente e dei coefficienti di assorbimento, Aj, di ciascun arredo e di ciascuna delle persone presenti:
T60 =
0.16V ∑j Aj +∑i ai Si
Il denominatore di questa relazione viene anche indicato con il simbolo A: ha le dimensioni di una superficie [m2], e viene chiamato potere fonoassorbente dell’ambiente. L’unità di misura adottata spesso per indicare i valori delle grandezze ai Si, Aj , e A è il sabin (1 sabin = 1 m2). T60 dipende dalla frequenza in quanto i coefficienti ai e Aj sono funzione della frequenza (vedi Tab. E.4.2./1, E.4.2./2).
E 96
TAB. E.4.2./1 ASSORBIMENTO GLOBALE DI PERSONE E ARREDI (A, [m2]) FREQUENZA [Hz] ELEMENTO 125
250
500
1000
2000
4000
Persona in piedi o seduta su sedia di legno
0,15
0,30
0,50
0,55
0,60
0,50
Persona seduta su sedile imbottito
0,20
0,40
0,55
0,60
0,60
0,50
Orchestrale con strumento
0,40
0,80
1,00
1,40
1,30
1,20
Sedile in legno non occupato
0,01
0,01
0,02
0,03
0,05
0,05
Sedile imbottito in stoffa non occupato
0,10
0,30
0,35
0,45
,.50
0,40
Sedile imbottito in cuoio non occupato
0,10
0,25
0,35
0,35
0,10
0,10
CONTROLLO AMBIENTALE • ACUSTICA ACUSTICA DI UNA SALA
E.4. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. E.4.2./2 COEFFICIENTI DI ASSORBIMENTO DI MATERIALI VARI FREQUENZA [Hz]
MATERIALE
125
250
500
1000
2000
4000
Parete intonacata Intonaco dipinto Mattoni porosi Mattoni porosi dipinti Marmo lucidato Piastrelle di ceramica Cemento greggio Cemento dipinto
0,01 0,02 0,03 0,01 0,01 0,01 0,36 0,10
0,01 0,02 0,03 0,01 0,01 0,01 0,44 0,05
0,02 0,02 0,03 0,02 0,01 0,01 0,31 0,06
0,02 0,02 0,04 0,02 0,02 0,02 0,29 0,07
0,03 0,02 0,05 0,02 0,02 0,02 0,39 0,09
0,03 0,02 0,07 0,03 0,02 0,02 0,25 0,08
Pavimento in marmette Parquet su cemento Parquet su travetti Pavimento in linoleum Pavimento in gomma
0,01 0,04 0,16 0,02 0,04
0,01 0,04 0,14 0,02 0,04
0,02 0,07 0,12 0,03 0,06
0,02 0,06 0,11 0,03 0,06
0,03 0,06 0,09 0,04 0,08
0,03 0,07 0,07 0,04 0,09
Moquette pesante su cemento Moquette di crine o gomma espansa da 1350 g/m2 Moquette con parte posteriore in lattice impermeabile
0,02 0,08 0,08
0,06 0,24 0,27
0,14 0,57 0,39
0,37 0,69 0,34
0,60 0,71 0,48
0,65 0,73 0,63
Vetro 4 mm Doppio vetro Vetro 6 mm
0,30 0,15 0,10
0,20 0,05 0,06
0,10 0,03 0,04
0,07 0,03 0,03
0,05 0,02 0,02
0,02 0,02 0,02
Tendaggi in cotone non drappeggiati Tendaggi in velluto sottile poco drappeggiati Tendaggi in velluto pesante molto drappeggiati
0,03 0,08 0,50
0,05 0,30 0,50
0,10 0,50 0,70
0,15 0,50 0,90
0,25 0,60 0,90
0,30 0,60 0,90
Tappeto Tappeto Tappeto Tappeto
0,05 0,10 0,05 0,17
0,10 0,20 0,05 0,18
0,15 0,25 0,10 0,21
0,20 0,30 0,20 0,50
0,20 0,30 0,45 0,63
0,20 0,30 0,65 0,83
0,02 0,10 0,10 0,30 0,10 0,60 0,02 0,25 0,10 0,28 0,20 0,40 0,10 0,10 0,75 0,50 0,50 0,50 0,14 0,40 0,008
0,05 0,10 0,40 0,60 0,30 0,80 0,04 0,35 0,15 0,22 0,10 0,25 0,08 0,25 0,70 0,70 0,75 0,40 0,10 0,60 0,008
0,05 0,30 0,60 0,90 0,50 0,90 0,01 0,60 0,20 0,17 0,05 0,15 0,05 0,70 0,65 0,80 0,75 0,45 0,06 0,80 0,013
0,10 0,20 0,75 0,90 0,60 0,90 0,20 0,85 0,25 0,09 0,03 0,10 0,05 0,85 0,85 1,00 0,85 0,45 0,08 0,60 0,015
0,20 0,30 0,80 0,90 0,70 0,90 0,55 0,90 0,30 0,10 0,03 0,10 0,04 0,70 0,85 1,00 0,75 0,60 0,10 0,60 0,020
0,10 0,20 0,80 0,90 0,80 0,90 0,90 0,90 0,40 0,11 0,03 0,05 0,04 0,60 0,80 1,00 0,70 0,70 0,10 0,50 0,025
sottile pesante di corda di lana tessuta a ricciolo altezza pelo 0,5 mm min max min max min max min max
Intonaco poroso non verniciato (15 mm) Lana di vetro o roccia a parete Pannello poroso di fibra di vetro bachelizzata Feltro soffice Pannello poroso in fibra di legno pressata Pannello di compensato da 1 cm
min max
Pannello in legno con intercapedine verso la parete Soffitto sospeso in gesso (25 mm) Soffitto con pannelli lana minerale spessi 13 mm Soffitto con pannelli come sopra, ma staccati di 50 cm Lastre di metallo scanalate Lamierino di alluminio, 15% forato, con lana di vetro Mobili da ufficio Porta di legno Pannello in gesso, 12% forato, con lana di vetro Superficie d’acqua
TEMPO OTTIMO DI RIVERBERAZIONE
Per frequenze diverse da 1000 Hz i tempi ottimi di riverberazione si possono ottenere per mezzo della Fig. E.4.2./3B.
Per determinare il tempo ottimo di riverberazione di una sala si possono usare le curve delle Fig. E.4.2./3 o E.4.2./4. Valori approssimati si possono ottenere per mezzo della seguente espressione di origine empirica: n
Esempio. Nel caso di una sala da conferenze, il tempo ottimo di riverberazione a 7000 Hz risulterebbe il doppio di: Tott,1000
Tott,1000 = K· V dove Tott,1000 è il tempo ottimo di riverberazione a 1000 Hz, V è il volume in m3, K e n sono costanti dipendenti dalla destinazione d’uso della sala secondo la tabella seguente. DESTINAZIONE
K
n
Conferenze
0,3÷0,4
6÷9
Musica leggera
0,5÷0,6
6÷9
Musica d’organo
0,7÷0,8
6÷9
COEFFICIENTE DI RIDUZIONE DEL RUMORE, NRC
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
Coefficiente riferito a un materiale, si ottiene come media dei coefficienti di assorbimento del materiale alle frequenze: 250, 500, 1000, 2000 Hz, arrotondata allo 0.05 superiore. Esempio. Nel caso di un pannello di compensato da 1 cm (vedi tabella) si ha:
NRC = (0,22 + 0,17 + 0,09 + 0,10)/4 = 0,145 = 0,15
A . A SAL E.4.2 ICA DI UN T S U AC
E 97
E.4. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE ACUSTICA DI UNA SALA
ACUSTICA
•
➦ CRITERI DI PROGETTAZIONE FIG. E.4.2./3 TEMPI OTTIMI DI RIVERVERAZIONE
[sec]
3 2.5
k 0.8
0.4 V MUSICA 0.3 V
0.5 0.4
0.4 V PAROLA 0.3 V
2 1.5
1 A
0.3
0.5 10 2
10 3
10 4
10 5 V [m 3]
COEFFICENTE DI ASSORBIMENTO
FIG. E.4.2./5 COEFFICIENTE DI ASSORBIMENTO DI MATERIALI POROSI PER DIFFERENTI SPESSORI
A, per la frequenza 1000 Hz, in funzione del volume e per diverse destinazioni della sala; B, coefficiente correttivo, per frequenze diverse da 1000 Hz.
A = 2.5 cm B = 5 cm
C = 7.5 cm D = 10 cm
E = 12.5 cm F = 15 cm
1 0.8 0.6 F E D C B
0.4 0.2
A 0 3
4
5
6
7
8
15
9 10
20
25
60
30 [m]
100
200
400 600
1000
2000
4000 6000 FREQUENZA [Hz]
Tott Tott,1000
3
5 B) Pannelli vibranti
PAROLA
2
4
B
MUSICA
1 10 2
10 3
10 4 FREQUENZA [Hz]
Pannelli non porosi montati a distanza dalla parete con vincoli cedevoli. In questo modo le variazioni di pressione sonora sollecitano il pannello che si comporta come una massa mobile con vincolo elastico (molla), con proprie frequenze di risonanza, di solito comprese tra 50 e 300 Hz, alle quali si ha il massimo assorbimento (Fig. E.4.2./6). Nell’intercapedine è opportuno porre materiale poroso.
3.5
A RG RO
3
SIC
A
PE
NO ICA SS CLA
ICA US ERA OM T EGG R 2.5 AL CE C I N S CO NE ) MU DA ZIO TO LA TRA CER S I SA N O EG AC DI R 2 AD DIO SAL U T O (S ) ERT TRO ONC C A D TEA ( A 1.5 L A SA ZE IC EN IST LLO ER A BA PER A NF D O A M O L A E SA RC SIC CIN PE MU A 1 L R PE SA AUDITORI PARLATO
MU
0.5
0
DIO ICO STU IOFON D RA
100
IO STUD
500
0.6
0.4
0.2
50 5000
10000
100
MATERIALI E PANNELLI FONOASSORBENTI Il controllo del tempo di riverberazione viene effettuato agendo sull’assorbimento dell’ambiente, mediante l’adozione di materiali e pannelli a elevato assorbimento. Questi possono essere di tre tipi: A) Materiali porosi Materiali come la lana di vetro, o schiume a celle aperte, presentano canali e pori di piccole dimensioni (meno di 1 mm), quindi più piccole delle lunghezze d’onda tipiche delle onde sonore. L’aria contenuta dissipa le variazioni di pressione sotto forma di calore, a causa dell’attrito, specie alle alte frequenze (ad esempio sopra i 500 Hz). L’assorbimento cresce con lo spessore, interessando frequenze man mano più basse (Fig. E.4.2./5).
200
500
1000
2000
5000 FREQUENZA
50000
VOLUME DELLA SALA [m 3 ]
E 98
0.8
0
O VISIV
TELE
1000
FIG. E.4.2./6 ANDAMENTO TIPICO DEL COEFFICIENTE DI ASSORBIMENTO DI PANNELLI VIBRANTI
COEFF. DI ASSORBIMENTO
TEMPO DI RIVERBERAZIONE [s]
FIG. E.4.2./4 TEMPI OTTIMI DI RIVERVERAZIONE PER VARI TIPI DI MUSICA IN FUNZIONE DEL VOLUME DELLA SALA
10000 [Hz]
C) Pannelli forati Un elemento di pannello forato separato dalla parete da una intercapedine d’aria si può schematizzare come un risonatore acustico (Fig. E.4.2./7). Anche in questo caso si crea una situazione tipo massa (l’aria nei fori) – molla (l’aria nell’intercapedine), che dissipa energia. La frequenza cui corrisponde il massimo assorbimento (Fig. E.4.2./8) è detta frequenza di risonanza che dipende dal diametro dei fori, dallo spessore del pannello e dal volume della cavità. Il comportamento assorbente del pannello con solo aria è molto selettivo (linea continua). Introducendo, ad es., lana di vetro nell’intercapedine (Fig. E.4.2./9), la frequenza di risonanza resta la stessa, ma si allarga lo spettro di frequenze con buon assorbimento (linea tratteggiata), ma con un abbassamento dell’assorbimento, massimo. Le frequenze tipiche sono quelle intermedie (500-1000 Hz). L’andamento tipico del coefficiente di assorbimento di un pannello forato con più fori è mostrato in Fig. E.4.2./10. Come si vede ciascuna delle tre strutture copre un diverso campo di frequenze per cui si ha la possibilità di affrontare qualunque situazione.
CONTROLLO AMBIENTALE • ACUSTICA ACUSTICA DI UNA SALA
E.4. 2. A.ZIONI
FIG. E.4.2./7 RISONATORE ACUSTICO CON SOLO ARIA NELL’INTERCAPEDINE
FIG. E.4.2./10 ANDAMENTO TIPICO DEL COEFFICIENTE DI ASSORBIMENTO DI PANNELLI FORATI COEFF.DI ASSORBIMENTO
AREA S
L
VOLUME V
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
1.0
C.RCIZIO
0.8
E ESE ESSIONAL PROF
0.6
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
0.4
E.NTROLLO
0.2
CO NTALE AMBIE
0 50
COEFF.DI ASSORBIMENTO
FIG. E.4.2./8 ANDAMENTO TIPICO DEL COEFFICIENTE DI ASSORBIMENTO DI UN RISONATORE SINGOLO
200
500
1000
2000 5000 10000 FREQUENZA [Hz]
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
SALE PRIVE DI AMPLIFICAZIONE
URB
Nel caso la sala sia sprovvista di un impianto di amplificazione, i volumi massimi consigliati in funzione del tipo di sorgente sonora prevista sono indicati nella tabella seguente.
1
0.8
VOLUMI MASSIMI PER SALE PRIVE DI AMPLIFICAZIONE TIPO DI SORGENTE
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
VOLUME MASSIMO [m3]
0.6
0.4
0.2
0 50
100
200
500
1000
2000
Parlatore medio
3000
Oratore esperto
6000
Solista strumentale o vocale
10000
Grande orchestra sinfonica
20000
Cori di massa
50000
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE
5000 10000
FREQUENZA [Hz] linea continua = solo aria nell’intercapedine; linea tratteggiata = anche lana di vetro nell’intercapedine
FIG. E.4.2./9 PANNELLO FORATO CON LANA DI VETRO
D
L
100
PANNELLO PERFORATO
LANA DI VETRO H
ARIA
PARETE
E.4. ICA T ACUS
DIFETTI ACUSTICI E CORREZIONI La conformazione concava delle pareti può produrre concentrazioni o focalizzazioni, locali del suono (Fig. E.4.2./11A). Per evitare questo fenomeno si possono disporre pannelli (Fig. E.4.2./11B) che spezzino la continuità della curvatura. Questo accorgimento è anche efficace nei confronti dell’eco. Un altro difetto possibile è l’eco multipla, che si verifica in presenza di segnali brevi e superfici riflettenti parallele, come può verificarsi nella parte della platea sottostante la galleria. Rimedi: evitare gallerie troppo profonde, evitare che pavimento della platea e soffitto della galleria siano paralleli, rivestire il soffitto di pannelli fonoassorbenti. Nel caso di aule, sale per conferenze ecc., con la sorgente sonora posta vicino a una parete, le superfici che possono svolgere un utile ruolo come riflettore del suono diretto verso l’uditorio (rinforzo), quali quelle poste alle spalle della sorgente e il soffitto a essa sovrastante, non devono essere rivestite di pannelli assorbenti, in quanto la piccola distanza assicura ritardi molto piccoli. Allo stesso scopo il soffitto può essere sagomato in modo tale da assicurare riflessioni utili anche nelle zone lontane dalla sorgente con piccoli ritardi (Fig. E.4.2./2A). La parete di fondo può essere riflettente, per favorire le aree a essa prospicienti, ma non deve riflettere verso la sorgente per evitare l’eco, e dovrà quindi essere inclinata verso l’interno. Un’altra soluzione prevede il rivestimento con materiali fonoassorbenti di questa parete, come pure quelle parti delle superfici laterali e del soffitto che non possono contribuire in modo utile con la riflessione del suono specie verso il fondo della sala. Le superfici non destinate alle prime riflessioni devono assicurare la diffusione del suono che non assorbono, mediante opportune variazioni di orientamento dei pannelli. Per assicurare una buona ricezione del suono diretto da parte di tutti gli spettatori si deve assicurare che tutte le teste non siano schermate dalle teste degli spettatori antistanti. Per ottenere questo risultato solitamente le file di sedili vengono collocate su gradoni ad altezze crescenti all’allontanarsi dalla sorgente. La curva che ne deriva (curva di visibilità) soddisfa una analoga esigenza che riguarda la capacità di visione, per cui si rimanda alla sezione B.3.3. (Teatri) per la trattazione relativa.
➥
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
A . A SAL E.4.2 ICA DI UN T S U AC
E 99
E.4. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE ACUSTICA DI UNA SALA
•
ACUSTICA
➦ CRITERI DI PROGETTAZIONE FIG. D.3.2./11 - CONFORMAZIONE DI PARETE CON PERICOLO DI ➦ DIFETTI ACUSTICI E CORREZIONI
INDICE DI RUMORE, NR
CONCENTRAZIONA LOCALIZZATA DI ENERGIA SONORA E CONFORMAZIONE DI FIG. E.4.2./11 CONFORMAZIONE DI PARETE CON PERICOLO DI
LOCALIZZATA DI ENERGIA SONORA: PANNELLI DI RIVESTIMENTO CONCENTRAZIONE CHE EVITANO TALE PERICOLO S = SORGENTE, R = RICEVITORE (A) E CONFORMAZIONE DI PANNELLI DI RIVESTIMENTO CHE EVITANO TALE PERICOLO (B)
Per valutare in modo più accurato l’accettabilità di un rumore in un ambiente, prendendone in considerazione la distribuzione spettrale, si può usare il metodo dell’indice di rumore, NR (Noise Rating Index). Il metodo consiste nel riportare sul grafico di Fig. E.4.2./13 i valori del livello di pressione sonora del rumore per bande di ottava. Il grafico contiene una famiglia di curve indicate dal valore di un parametro (N) dato dal livello, in dB, letto sulla curva in corrispondenza della frequenza di 1000 Hz. La spezzata della figura rappresenta i livelli del rumore considerato. Si attribuisce al rumore il valore di NR indicato dalla curva tangente alla spezzata del punto più alto. Nell’esempio di figura, NR sarebbe circa pari a 47 dB. Nella Tabella sono indicati i valori che NR non deve superare per diversi tipi di ambiente. VALORI MASSIMI AMMISSIBILI DI NR
S
R
A
AMBIENTE
NR
Studio radiofonico
15
Sala da concerto
20
Aula, studio TV, sala da conferenze
25
Camera da letto
25
Cinema, ospedale, chiesa, tribunale, biblioteca
30
Soggiorno
30
Ufficio
40
Ristorante
45
Palestra
50
Ufficio con macchine da scrivere
55
Officina
65
FIG. E.4.2./13 CURVE PER LA DETERMINAZIONE DELL’INDICE DI RUMORE NR (Noise Rating Index)
B 130
RUMORE DI FONDO All’interno di una sala è presente un rumore di fondo, sia generato all’interno (apparecchiature varie), sia proveniente dall’esterno (traffico ecc.) che può compromettere la qualità acustica della sala. La Fig. E.4.2./12 indica in funzione della frequenza, i livelli di pressione acustica del rumore di fondo ammissibili in una sala: la curva inferiore indica i valori massimi consigliati, quella superiore i livelli massimi ammissibili, al disopra dei quali la qualità sarebbe decisamente compromessa.
115
130
120
110 105
125
110
100 95 90
100
120 115 110
85
105
80 75 90
Curva inferiore: valori massimi consigliati; Curva superiore: livelli massimi ammissibili, al di sopra dei quali la qualità sarebbe decisamente compromessa
LIVELLO DI PRESSIONE [ dB ]
60
50 LIVELLI MASSIMI DI RUMORE AMMISSIBILI 40
30 LIVELLI MASSIMI DI RUMORE CONSIGLIATI
20
10 20 75
E 100
75 150
150 300
300 600
600 1200
1200 2400 4800 2400 4800 10000 FREQUENZA [ Hz ]
LIVELLO DI PRESSIONE SONORA PER BANDE DI OTTAVA [dB]
FIG. E.4.2./12 LIVELLI DI PRESSIONE ACUSTICA DEL RUMORE DI FONDO AMMISSIBILI IN UNA SALA IN FUNZIONE DELLA FREQUENZA
80
70
60
50
40
100 95
70 65
90
60 55 50
85
45 40 35
75
30 25
65
80
70
60
20 15 10
55 50
5
45
N=0
40
30
35 30
20
25 20
10
15 10
0 62.5
125
250
500 1000 2000 4000 8000 FREQUENZA [Hz]
CONTROLLO AMBIENTALE • ACUSTICA TRASMISSIONE DEL SUONO ATTRAVERSO PARETI
E.4. 3. A.ZIONI
TRASMISSIONE DEL SUONO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
PROPAGAZIONE DEL SUONO Il suono si propaga all’interno di uno spazio confinato essenzialmente in due modi: • per via aerea: quando si ha una sorgente che emette un rumore, che si propaga nell’aria e attraverso le pareti divisorie ad ambienti confinanti; • per via solida: quando si ha una sorgente di vibrazioni (ad esempio una macchina) che si trasmettono attraverso le strutture dell’edificio, fino a giungere all’ambiente dove si trasmettono all’aria, generando cioè, rumore.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
LEGGE DI MASSA Nel caso di pareti omogenee compatte, cioè costituite da un solo materiale senza discontinuità, e di campo sonoro di tipo diffuso, il potere fonoisolante può essere calcolato per mezzo della legge di massa:
R ≈ 20log10 (f ·M)–48
FIG. E.4.3./1 POTERE FONOISOLANTE (dB) DI UN PANNELLO IN FUNZIONE DELLA FREQUENZA
dove f è la frequenza dell’onda incidente e M è la massa frontale [kg/m2] della parete, che, nel caso di pareti omogenee compatte è data dal prodotto densità x spessore. L’espressione indica che raddoppiando la frequenza si ha una variazione di circa 6 dB, cioè R aumenta di 6 dB per ottava. Questa legge spiega, ad esempio, l’impiego di strati di piombo quali elementi fonoisolanti.
POTERE FONOISOLANTE [dB]
REGIONE 1
Esempio. Parete costituita da un pannello di legno di spessore 5 cm. Assumendo una densità del materiale di 600 kg/m3, la massa frontale della parete risulta pari a: 0.05 x 600 = 30 kg/m2. Applicando la legge di massa per le frequenze 250, 500, 1000, 2000 e 4000 Hz si trovano i poteri fonoisolanti seguenti:
R250 = 29.5 dB R500 = 35.5 dB R1000= 41.5 dB R2000= 47.6 dB R4000= 53.6 dB In realtà la legge di massa è valida soltanto in un certo campo di frequenze, come mostrato in Fig. E.4.3./1. Si vede che nella regione centrale effettivamente il potere fonoisolante cresce linearmente con la frequenza. Ma nelle regioni prima e dopo questo non avviene. Nella regione 1 si hanno fenomeni di risonanza, legati alla rigidità dei vincoli che tengono la struttura considerata. Nella regione 3 si hanno fenomeni di coincidenza, dovuta alle componenti dell’onda incidente parallele alla struttura, con una frequenza, fc , detta frequenza critica, cui corrisponde il valore minimo in questa regione, che segna praticamente il limite superiore di validità della legge di massa. La posizione delle tre regioni varia da struttura a struttura. Con i materiali normalmente usati per le murature (mattoni, calcestruzzo ecc.) e con gli spessori tipici, la legge di massa non è praticamente applicabile, in quanto la frequenza critica risulta molto bassa (ad esempio 100-200 Hz).
PRO TTURALE STRU
REGIONE 2
E.NTROLLO
REGIONE 3
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM SA
G.ANISTICA
AS AM
URB
L EL E D ttava G G B/o LE 6d
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
RISONANZE F0
FC FREQUENZA [Hz]
PICCOLO SMORZAMENTO MEDIO SMORZAMENTO GRANDE SMORZAMENTO
COEFFICIENTE DI TRASMISSIONE DI UNA PARETE, t
POTERE FONOISOLANTE DI UNA PARETE, R
Rapporto tra intensità sonora trasmessa dalla parete, Jt, e intensità incidente sulla parete, J:
Il potere fonoisolante di una parete è definito dalla espressione:
t=
D.GETTAZIONE
Regione 2: segue la legge di massa Regione 1: ci sono risonanze, con fo frequenza fondamentale Regione 3: coincidenze, con fc frequenza critica
Jt J
R = 10 log10
Jt 1 = 10 log10 J t
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS
[dB]
PARETI MULTISTRATO
A E.5. INOTECNIC ILLUM
In generale si può dire che le pareti a più strati isolano meglio di quelle omogenee, a parità di massa frontale, specie se si ha alternanza di strati rigidi e di strati cedevoli.
E.6. MIDA U ARIA
INDICE DI VALUTAZIONE STC
ISOLAMENTO ACUSTICO 10 dB 125
A: per la determinazione dell’Indice di valutazione STC che caratterizza il comportamento fonoisolante di una parete; B: per la determinazione dell’Indice di valutazione del rumore impattivo, normalizzato, che caratterizza il comportamento di un pavimento nei confronti della trasmissione del rumore di calpestio
10 dB
Posizionata così la curva limite, si legge il valore del potere fonoisolante corrispondente, sulla curva limite, al valore di 500 Hz. Il valore così trovato è l’indice STC cercato. La curva limite è costituita da tre segmenti con diversa pendenza: nell’intervallo 125400 Hz la pendenza è di 9 dB/ottava; nell’intervallo 400-1250 è di 3 dB/ottava; nell’intervallo 1250-4000 Hz il segmento è orizzontale.
FIG. E.4.3./2 CURVE LIMITE
250
500 1000 2000 4000 125 FREQUENZA [ Hz ] A
250
500 1000 2000 4000 FREQUENZA [ Hz ] B
LIVELLO DI RUMORE DI CALPESTIO
Al fine di caratterizzare con un solo indice il comportamento fonoisolante di una parete si adotta il Sound Transmission Class (STC) proposto dalla ISO (ISO 717). Il metodo per determinare questo indice è il seguente. Si riportano in un grafico avente in ascissa le frequenze, i valori del potere fonoisolante (curva caratteristica della struttura), di solito per bande di ottava, ricavati sperimentalmente o valutati come visto in precedenza. Su tale grafico si posiziona, spostandola in senso verticale quanto più in alto possibile, la curva limite riportata in Fig. E.4.3./2A, in modo tale che vengano rispettati i due seguenti criteri: a) la media degli scarti sfavorevoli tra le due curve (somma degli scarti negativi divisa per il numero di bande di ottava considerate) non superi 2 dB; b) il massimo scarto negativo non ecceda 5 dB (bande di ottava).
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
A . A SAL E.4.2 ICA DI UN T S U AC . DEL E.4.3 ISSIONE RSO E M TRAS O ATTRAV SUON I T PARE
E 101
E.4. 3.
CONTROLLO AMBIENTALE • ACUSTICA TRASMISSIONE DEL SUONO ATTRAVERSO PARETI ➦ TRASMISSIONE DEL SUONO POTERE FONOISOLANTE DI STRUTTURE DIVERSE [dB] STRUTTURA Vetro da 4 mm con infisso apribile di alluminio Lastra di vetro 4 mm Lastra di vetro 6 mm Lastra di vetro laminata 6,4 mm Lastra di vetro 12 mm Lastra di vetro 19 mm Lastra sigillata vetro-aria-vetro (33 mm) Lastra sigillata vetro-aria-vetro (4-12-4 mm) Lastra sigillata vetro-aria-vetro (6-12-6 mm) Lastra sigillata vetro-aria-vetro (4-12-12 mm) Lastra sigillata vetro-aria-vetro (6-12-10 mm) Lastra sigillata vetro-aria-vetro (6-20-12 mm) Vetri doppi su infissi (6-150-4 mm) Vetri doppi su infissi (6-200-6 mm) Vetri doppi su infissi (4-200-4 mm) Vetri su ante apribili da 25 mm (4-200-4) Vetri su ante apribili da 100 mm (4-200-4) Muratura a laterizio singolo (102 mm) Muratura doppia intonacata sui due lati (480 kg/m2) Muratura leggera in laterizi (125 kg/m2) Muratura leggera intonacata sui due lati (100 mm) Muratura leggera intonacata sui due lati (200 mm) Muratura tre strati laterizi intonacata sui due lati (720 kg/m2) Muratura calcestruzzo-aria-calcestruzzo (100-50-100 mm) Pannello compensato 9 mm su telaio (5 kg/m2) Pannello legno 25 mm (14 kg/m2) Pannello compensato-piombo-compensato (5-1,5-5 mm) Lastra di acciaio 1,2 mm (10 kg/m2) Lastra di acciaio 6 mm (50 kg/m2) Lamiera metallica profilata Pannello truciolato 50 mm laminato lato sorgente (28 kg/m2) Pannello truciolato 100 mm laminato lato sorgente (50 kg/m2) Porta di legno pieno (43 mm) Porta di acciaio ben sigillata (50 mm) Porta acustica di metallo con doppi sigilli Pavimento-solaio calcestruzzo rinforzato 100 mm (250 kg/m2) Pavimento-solaio calcestruzzo rinforzato 200 mm (460 kg/m2) Pavimento-solaio calcestruzzo rinforzato 300 mm (690 kg/m2)
FREQUENZA DI CENTRO BANDA 125 10 20 18 22 26 25 21 22 20 25 26 26 29 37 27 15 10 36 41 32 32 37 44 35 7 21 26 13 27 18 26 28 17 21 36 37 42 40
250 10 22 25 24 30 31 20 17 19 22 26 34 35 41 33 23 16 37 45 32 34 39 43 41 13 17 30 20 35 20 28 28 21 27 39 36 41 45
500 11 28 31 30 35 30 22 24 29 33 34 40 45 48 39 34 27 40 48 33 37 56 49 49 19 22 34 24 41 21 30 32 26 32 44 45 50 52
1000 12 34 36 36 34 32 29 37 38 41 40 42 56 54 42 32 25 46 56 41 45 53 57 58 25 24 38 29 39 21 32 34 29 34 49 52 57 59
2000 12 34 30 33 39 45 35 41 36 44 39 40 52 47 46 28 27 54 58 49 52 57 66 67 19 30 42 33 39 25 33 33 31 36 54 59 60 63
4000 13 29 38 38 47 47 25 38 46 44 48 50 51 47 44 32 27 56 60 57 57 61 70 75 22 36 44 39 46 25 36 38 34 39 57 62 65 67
media 11 28 29 30 35 35 25 30 30 35 34 39 44 46 39 27 22 45 51 41 43 49 55 52 18 25 36 26 38 22 30 31 26 32 47 49 53 54
CRITERI DI ISOLAMENTO ACUSTICO Nella Tabella sono riportati i valori minimi suggeriti per l’indice STC per diverse combinazioni di ambienti disturbanti e ambienti disturbati
AMBIENTE DISTURBANTE Uffici direzionali, studi medici, sale riunione Uffici normali Grandi uffici, saloni di banca, studi di progettazione Uffici in laboratori Stanze con macchinari Residenze multifamiliari:
Camere da letto
Soggiorni
Edifici scolastici Grandi ambienti per musica o recitazione Aule prova musica Spazi interni occupati Teatri, sale da concerto, sale da conferenza, studi radio e TV
E 102
AMBIENTE DISTURBATO Spazi e uffici adiacenti Uffici adiacenti Spazi e uffici adiacenti Spazi e uffici adiacenti Qualunque spazio adiacente Altra abitazione: Camere da letto Bagni Cucine Soggiorni Corridoi Soggiorni Bagni Cucine Aule Laboratori Corridoi Altri ambienti simili Altri ambienti simili Spazi esterni Qualunque spazio adiacente
STC 50-55 45-50 40-45 40-45 50-60 48-55 52-58 52-58 50-57 52-58 48-55 50-57 48-50 50 50 45 60 55 35-60 Necessario uno studio particolare
CONTROLLO AMBIENTALE • ACUSTICA RUMORE DI CALPESTIO – RUMORI ESTERNI
A.ZIONI
TRASMISSIONE DEL RUMORE DI CALPESTIO Un solaio del genere permette un aumento dell’attenuazione rispetto a un solaio tradizionale di 10-15 dB.
RUMORI DA IMPATTO Rumori causati dall’impatto, continuo o intermittente, di una massa su una superficie della struttura edilizia, solitamente i pavimenti. Esempi: calpestio, caduta di oggetti, macchine ed elettrodomestici. Si possono propagare, oltre che all’ambiente sottostante, anche ad ambienti lontani, attraverso le strutture. Nel caso di macchine il rimedio consiste nell’interposizione, tra macchina e pavimento, di un elemento elastico-smorzante. Similmente, per ridurre la trasmissione attraverso le strutture, si possono inserire elementi smorzanti tra travi e pilastri.
PAVIMENTI GALLEGGIANTI Per ridurre la trasmissione di rumori da impatto, si interpone tra pavimento e struttura portante un elemento elastico. Una configurazione tipica prevede: • un massetto ripartitore del carico; • un foglio di cartone bitumato armato con rete metallica; • uno strato di materiale resiliente (ad esempio, lana di vetro a fibra lunga trattata con resine termoindurenti) rivoltato verso l’alto ai bordi; • un letto di sabbia.
MACCHINA NORMALIZZATA GENERATRICE DI CALPESTIO Dispositivo che aziona cinque martelletti del peso di 500 g, che colpiscono il piano di calpestio a intervalli di 0.1 s.
LIVELLO DI RUMORE DI CALPESTIO, Lc Livello di pressione sonora, misurato per bande d’ottava, in un ambiente (disturbato) quando sul pavimento dell’ambiente sovrastante (disturbante) agisca la macchina normalizzata generatrice di calpestio.
INDICE DI VALUTAZIONE DEL RUMORE IMPATTIVO
ri del livello sonoro impattivo normalizzato misurato per bande d’ottava sei (curva caratteristica). Su tale grafico si posiziona spostandola in senso verticale quanto più in basso possibile, la curva limite riportata in Fig. E.4.3./2B, in modo tale che vengano rispettati i due seguenti, criteri: a. la media degli scarti sfavorevoli tra le due curve (somma degli scarti positivi divisa per il numero di bande di ottava considerate) non superi 2 dB; b. il massimo scarto positivo non ecceda 5 dB (bande di ottava). Posizionata così la curva limite, si legge il valore del livello sonoro corrispondente, sulla curva limite, al valore di 500 Hz. Il valore così trovato è l’indice di valutazione cercato.
Valore definito dall’espressione:
Analogamente all’indice STC, per il rumore di calpestio si definisce un indice globale di valutazione, detto indice di valutazione del rumore impattivo normalizzato. Tale indice si trova con una procedura analoga a quella vista per STC. Si riportano su un grafico con le frequenze in ascissa i valo-
Ln = Lc–10 log10
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
LIVELLO DI RUMORE DI CALPESTIO NORMALIZZATO, Lc
E.NTROLLO
A0 A
CO NTALE AMBIE
dove A0 è un potere fonoassorbente standard di riferimento pari a 10 m2 (o sabin), mentre A è il potere fonoassorbente del locale disturbato, sempre in m2 (o sabin).
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
PROTEZIONE DAI RUMORI ESTERNI
URB
In presenza di nuove specifiche sorgenti disturbanti, esiste anche un criterio differenziale, che pone limiti all’incremento, rispetto al rumore ambientale (o residuo) esistente, massimo ammissibile. Tale limite è fissato in 3 dB(A) nelle ore notturne e 5 dB(A) nelle ore diurne. Questo ulteriore criterio si applica a tutte le aree, meno quelle VI (esclusivamente industriali).
CLASSE DI APPARTENENZA DELLE AREE COMPRESE NELLE FASCE DI RISPETTO TRAFFICO STRADALE (veicoli/giorno) Classe
Strade esistenti
Strade in progetto
IV
fino a 10.000
fino a 20.000
V
da 10.000 a 30.000
da 20.000 a 40.000
VI
oltre 30.000
oltre 40.000
Esempio. Supponiamo di trovarci in un’area di classe III (misto) nella quale sia presente un rumore residuo diurno di livello equivalente pari a 53 dB(A). L’installazione di una nuova sorgente sonora fissa che portasse a un incremento del livello di 6 dB(A) non sarebbe ammissibile, pur essendo il livello totale risultante (59 dB(A)) inferiore al valore massimo ammissibile (60 dB(A)). MASSIMI LeqA AMMISSIBILI PER CLASSI DI DESTINAZIONI D’USO DEL TERRITORIO E TEMPI DI RIFERIMENTO [dB(A)] CLASSI DI DESTINAZIONE D’USO DEL TERRITORIO
E.4. 4.
TRAFFICO FERROVIARIO (convogli/giorno) Classe
Linee esistenti
Linee in progetto
V
50
tutte, meno quelle A. V.
VI
50
linee Alta Velocità
TEMPI DI RIFERIMENTO Diurno
Intermedio
Notturno
I – Aree particolarmente protette
50
45
40
II – Aree prevalentemente residenziali
55
50
45
III – Aree di tipo misto
60
55
50
IV – Aree di intensa attività umana
65
60
55
V – Aree prevalentemente industriali
70
65
60
VI – Aree esclusivamente industriali
70
70
70
RUMORE MASSIMO AMMISSIBILE ALL’INTERNO DI ABITAZIONI DOVUTO A SORGENTI ESTERNE Il DPCM 1 marzo 1991 stabilisce tre criteri: • Il rumore ambientale va considerato sempre inaccettabile qualora all’interno delle abitazioni il livello superi i 45 dB(A) di notte e i 60 dB(A) di giorno (non si precisa se a finestre aperte o chiuse). • Il rumore ambientale a finestre chiuse va considerato sempre accettabile qualora all’interno delle abitazioni non superi i 30 dB(A) di notte e i 40 dB(A) di giorno. • Nel caso di specifiche sorgenti disturbanti, la differenza tra i livelli misurati a finestre aperte, tra rumore totale e rumore residuo (senza sorgente disturbante) non deve eccedere i 3 dB(A) di notte e i 5 dB(A) di giorno.
FASCE DI TRANSIZIONE Si definiscono così aree collocate a cavallo tra fasce di rispetto e aree con esse confinanti. Si introducono per consentire la transizione, appunto, tra i valori di livello sonoro accettabili nella fasce di rispetto e quelli ammissibili nelle aree confinanti. Si considera una fascia larga 30 m dei quali 10 nella fascia di rispetto e 20 nell’area confinante. I valori massimi ammissibili entro queste aree dipendono dalle classi della fascia di rispetto e da quella prevista per l’area confinante, secondo la tabella. LIMITI MASSIMI DEL LIVELLO SONORO EQUIVALENTE NELLE FASCE DI TRANSIZIONE [dB(A)] CLASSE DELL’AREA CONFINANTE I
II
III
FASCE DI RISPETTO Per le vie di comunicazione stradale e le linee ferroviarie sono fissate delle fasce di rispetto, di ampiezza, a partire dal ciglio, pari a: • 60 m, per le autostrade; • 40 m, per le strade di grande comunicazione; • 30 m, per le strade di media importanza; • 20 m, per strade locali. Tale aree sono da considerare assimilate ad aree di tipo IV, V o VI a seconda delle condizioni di traffico, come mostrato in tabella, e vi sono quindi consentiti insediamenti compatibili con tale classificazione.
IV
V
VI
CLASSE DELLA FASCIA DI RISPETTO
LIMITE DIURNO
LIMITE NOTTURNO
IV V VI IV V VI IV V VI IV V VI IV V VI IV V VI
57 60 60 60 62 62 62 65 65 65 67 67 67 70 70 67 70 70
47 50 55 50 52 57 52 55 60 55 57 62 57 60 65 62 65 70
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. DEL E.4.3 ISSIONE RSO E M TRAS O ATTRAV SUON I T PARE . PESTIO E.4.4 RE DI CAL I RUMORI ESTERN RUMO
E 103
–
E.4. 4.
CONTROLLO AMBIENTALE • ACUSTICA RUMORE DI CALPESTIO – RUMORI ESTERNI ➦ PROTEZIONE DAI RUMORI ESTERNI ATTENUAZIONE SONORA DOVUTA ALLA DISTANZA E AL TIPO DI TERRENO
ATTENUAZIONE SONORA PRODOTTA DA UNA BARRIERA
Il livello equivalente su base oraria dovuto a traffico stradale a 15 m dalla sorgente può essere valutato per mezzo della seguente espressione:
In assenza di barriere, il livello sonoro decresce con la distanza in relazione alla natura del terreno. Detta D la distanza in metri tra sorgente e ricevitore si può dire che il livello sonoro decresce linearmente in funzione del doppio della distanza, 2D, secondo questi coefficienti: • 3 dB per ogni raddoppio della distanza con terreno duro o pavimentato; • 4,5 dB per ogni raddoppio della distanza con terreno soffice, coperto di vegetazione, cespugli, alberi isolati.
Una trattazione semplificata per determinare l’attenuazione di livello sonoro causata da una barriera in un punto R rispetto al livello che si avrebbe senza barriera è mostrata in Fig. E.4.4./3, dove l’attenuazione [in dB(A)] è funzione dell’altezza efficace e dell’angolo di diffrazione. Per aumentare le altezze efficaci e gli angoli di diffrazione, e quindi l’attenuazione a parità di altre condizioni, si possono adottare piegature, o curvature, della parte superiore delle barriere verso la sorgente (Fig. E.4.4./4).
Esempio. Il livello sonoro in corrispondenza di un ricevitore posto a 15 m da una sorgente, ad esempio il traffico di camion pesanti visto in precedenza, sia pari a 81,7dB(A). A 30 m il livello sarebbe pari a 81,7 – 3 = 78,7 dB(A) con suolo duro, oppure a 81,7 – 4,5 = 77,2 dB(A) con suolo soffice. A 60 m i livelli sarebbero, rispettivamente, 78,7 – 3 = 75,7, oppure 77,2 – 4, 5 = 72,7 dB(A).
FIG. E.4.4./3 ATTENUAZIONE PRODOTTA DA UNA BARRIERA [IN dB(A)] IN FUNZIONE DELL’ALTEZZA EFFICACE E DELL’ANGOLO DI DIFFRAZIONE
Leq = L0–10log10
N –13 V
dove:
L0 è il livello medio di emissione, in dB(A), ricavabile dalla Fig. E.4.4./1, in funzione della velocità, in km/h, e per tre tipi di traffico: automobilistico, autocarri medi, autocarri pesanti; N è il numero di veicoli di quella classe (automobili, autocarri medi, autocarri pesanti) che passa in un’ora; V è la velocità media in km/h. Esempio. Il livello equivalente orario dovuto a traffico di 1000 autocarri pesanti all’ora, che si muovano a una velocità media di 60 km/h, per cui risulta dalla Fig. E.4.4./1 pari a 82,5 dB, risulta pari a:
1000 –13 = 82,5+12,2–13 = 81,7 60 dB(A) dove: L0 è il livello sonoro di riferimento, per velocità Vo e per un ricevitore posto a distanza do e altezza ho. Leq = 82,5+10log10
RUMORE DOVUTO AL TRAFFICO FERROVIARIO Il livello sonoro massimo, Lmax , corrispondente al passaggio di un convoglio ferroviario può essere stimato per mezzo della seguente espressione:
Lmax = L0–K log10
d V +30log10 d0 V0 dB(A)
dove: L0 è il livello di riferimento, corrispondente al passaggio a velocità Vo in km/h, per un ricevitore posto a distanza do m sulla perpendicolare alla linea, e ad altezza ho. Il valore di questa grandezza dipende dal tipo di treno, dalle condizioni delle ruote e delle rotaie ecc. Per i diversi treni sono disponibili valori tipici, per varie velocità, misurati per distanze do pari a 7,5, 15 e 25 m. d è la distanza del ricevitore, in m, sempre sulla perpendicolare alla linea; h è l’altezza del ricevitore; V è la velocità in km/h; K è un coefficiente funzione della lunghezza del convoglio, compreso tra 10 (sorgente puntuale, valore usato per treno corto e ricevitore lontano) e 20 (sorgente lineare infinita, usato per treni lunghi e ricevitore vicino). FIG. E.4.4./1 LIVELLO MEDIO DI EMISSIONE, LO, IN FUNZIONE DELLA VELOCITÀ, IN Km/h E PER TRE TIPI DI TRAFFICO: AUTOMOBILISTICO, AUTOCARRI MEDI, AUTOCARRI PESANTI
ATTENUAZIONE SONORA DOVUTA A VEGETAZIONE La presenza di una fascia di terreno alberata tra sorgenti e ricevitori introduce un’attenuazione dovuta alla dissipazione di parte dell’energia sonora sotto forma di calore al passaggio attorno ai rami e al fogliame, e alla riflessione di parte delle onde sonore specie di quelle ad alte frequenze, da parte delle foglie. Si comprende quindi che, oltre che dalla altezza e dalla profondità, l’efficacia di una barriera vegetale dipende dalla distanza tra i tronchi e dalla densità del fogliame, e che le piante siano sempreverdi. Valori tipici della attenuazione dovuta a fasce di alberi sono 0,06 – 0,15 dB per metro di profondità della fascia.
FIG. E.4.4./2 GRANDEZZE CARATTERISTICHE DI UNA BARRIERA ACUSTICA Heff, altezza efficace; θ, angolo di diffrazione
R
S
L 0 [dB(A)]
CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE COMUNI A TUTTE LE BARRIERE CAMION PESANTI
70 CAMION MEDI
60 AUTOMOBILI DISTANZA: 15 m 40
E 104
50
60
70
80
90
V [km/h] 100
Si deve evitare il ristagno di acqua. Nel caso di pannelli scatolari con materiali fono-assorbenti, si deve prevedere la possibilità di fuoriuscita dell’acqua eventualmente penetrata, attraverso fori sul fondo del pannello. Sempre nel caso di pannelli scatolari, è bene che ci sia, grazie a opportuni distanziatori, un’intercapedine d’aria tra strato di materiale fono-assorbente e parete del pannello, sia per aumentarne l’assorbimento acustico, sia per facilitare lo scolo dell’acqua e l’aerazione e l’asciugamento del materiale. Interasse tipico tra i montanti: 3 m. I pannelli devono essere autoportanti e resistere alla pressione causata dal vento e dal passaggio di veicoli o di convogli ferroviari. Le guarnizioni tra pannelli e con i montanti devono essere acusticamente ermetiche, cioè non consentire passaggio d’aria
5
25
10
50
0° φ=9 ° 30 φ= 0° φ=1 ° φ=5 φ=1°
20 15 10
φ=0°
5 0,2
0,5
5
1
10 15 20 H eff [m]
FIG. E.4.4./4 AUMENTO DELL’ANGOLO DI DIFFRAZIONE, A PARITÀ DI ALTRE CONDIZIONI DOVUTO A PIEGATURE VERSO LA SORGENTE DELLA PARTE SUPERIORE DI UNA BARRIERA Θ
Qualunque ostacolo, naturale o artificiale, sufficientemente opaco al suono e di altezza tale da intercettare la retta S-R (Fig. E.4.4./2) congiungente la posizione della sorgente sonora con quella del ricevitore. In tal modo il rumore giunge al ricevitore solo per effetto della diffrazione delle onde sonore che si verifica in corrispondenza dei bordi della barriera. La diffrazione può essere studiata in analogia con i fenomeni ottici.
P Θ H eff
1
30
0
BARRIERA ACUSTICA
90
80
ATTENUAZIONE [dB(A)]
RUMORE DOVUTO AL TRAFFICO STRADALE
S
ΘI
R
R
S
MATERIALI IMPIEGATI PER LA REALIZZAZIONE DI BARRIERE ACUSTICHE Le barriere acustiche possono essere realizzate nei seguenti materiali: a) pannelli metallici. Scatolari, in acciaio o in alluminio, riempiti di materiale fono-assorbente come lana di vetro. Le superfici verso le sorgenti di rumore possono presentare fori per aumentare l’assorbimento, che devono essere opportunamente protetti da pioggia e polvere. Sono in genere caratterizzati da una forte attenuazione, ma hanno costi elevati. b) pannelli in calcestruzzo. Di solito con argilla espansa al posto dell’inerte, e con costolature sulla faccia rivolta verso le sorgenti. È possibile sagomare tali barriere in modo da ottenere incavi e terrazzamenti che possono accogliere terreno ed essenze vegetali (muri verdi). c) pannelli di legno. Anche in questo caso si possono adottare strutture a sandwich, con riempimento in materiale fono-assorbente, e costolature sulle facce interne. Presentano meno problemi di inserimento paesaggistico, ma presentano minori attenuazioni. d) barriere trasparenti. Su tutta la lunghezza, o in “finestre” su strutture opache viste in precedenza. È opportuno dotarle, ai bordi di contatto con le strutture portanti, o con le pareti opache di guarnizioni elastiche, che conservino tale proprietà nel tempo. I materiali usati sono: vetro temperato stratificato, di spessore non inferiore a 12 mm; metacrilati di tipo colato, meglio se antiurto, di spessore minimo 15 mm; policarbonati ad alta resistenza ai raggi UV, di spessore minimo 8 mm.
GEOMETRIA DI UNA BARRIERA ACUSTICA Con riferimento alla Fig. E.4.4./2, si definisce altezza efficace della barriera Heff , la distanza del punto P posto alla sommità della barriera dalla congiungente tra sorgente S e ricevitore R. Si definisce angolo di diffrazione, q l’angolo tra retta S-P e retta P-R.
CONTROLLO AMBIENTALE • ILLUMINOTECNICA LUCE E GRANDEZZE FOTOMETRICHE
E.5. 1. A.ZIONI
LUCE E VISIBILITÀ La luce è energia raggiante costituita da onde elettromagnetiche che, quando colpiscono l’occhio, determinano la sensazione della visione. La natura dell’energia luminosa è la stessa di quella delle altre radiazioni elettromagnetiche tra cui ricordiamo, in particolare, le onde radio, i raggi X e le radiazioni gamma. Tutte le radiazioni elettromagnetiche, compresa quindi la luce, si propagano in linea retta alla stessa velocità, velocità che è di circa 300.000 km/s. Le varie famiglie di onde elettromagnetiche differiscono fra loro, invece, per quanto riguarda (Fig. E.5.1./1): • la lunghezza d’onda (λ) che è la distanza fra i due punti di “ampiezza” massima di due “onde” successive; • la frequenza (ν) che corrisponde al numero di “onde” complete che passano per un determinato punto dello spazio in un secondo; • l’ampiezza (a). Lunghezza d’onda λ e frequenza ν sono legate dalla relazione:
λ . ν = velocità di propagazione = 300.000 km/s Per alcuni tipi di radiazioni elettromagnetiche, come ad esempio le onde radio, la lunghezza d’onda ha un valore molto elevato tanto da essere espressa, usualmente, in metri o in km. Per le radiazioni luminose, invece, il valore della lunghezza d’onda è molto ridotto per cui come unità di misura si adotta il nanometro (simbolo νm) che corrisponde a un miliardesimo di metro, oppure il micrometro (simbolo nm), pari a un milionesimo di metro. In Fig. E.5.1./2 è riportato il cosiddetto spettro delle radiazioni elettromagnetiche. In esso la “banda” delle radiazioni visibili è compresa tra la lunghezza d’onda di circa 380 nm e quella di circa 780 nm ( ovvero 0,38-0,78 mm). Le radiazioni di lunghezza d’onda compresa fra 100 e 380 nm sono definite ultraviolette e non sono visibili. Pure invisibili sono le radiazioni Infrarosse (lunghezza d’onda compresa fra 780 nm e qualche decimo di millimetro). Una proprietà molto importante dei nostri occhi è la facoltà di distinguere i diversi colori, la capacità cioè di stabilire un confronto fra radiazioni di differente lunghezza d’onda dello spettro visibile. Quando l’occhio riceve una radiazione la cui lunghezza d’onda è, ad esempio, di 470 nm, noi diciamo di vedere una luce blu, mentre una radiazione di 600 nm corrisponde a una luce di colore arancione. I vari colori fondamentali corrispondenti alle diverse oscillazioni comprese nei limiti suindicati di 380 e 780 nm sono ben distinguibili nell’arcobaleno e sono: violetto (380-420 nm); blu (420-495 nm); verde (495-566 nm); giallo (566-589 nm); arancione (589-627 nm); (rosso (627-780 nm). Quando le varie oscillazioni corrispondenti alle sopraindicate lunghezze d’onda colpiscono contemporaneamente l’occhio i loro effetti si integrano dando luogo alla cosiddetta luce bianca.
SENSIBILITÀ DELL’OCCHIO Uguali quantità di energia raggiante di differenti lunghezze d’onda non provocano, in generale, un’impressione luminosa di uguale intensità. Cioè l’occhio umano valuta in misura diversa l’intensità corrispondente alle varie lunghezze d’onda. Se, ad esempio, si considerano uguali quantità di energia per tutte le varie lunghezze d’onda e si paragona l’intensità dell’impressione luminosa ricevuta, si constata che alla radiazione giallo-verde (lunghezza d’onda = 555 nm) corrisponde l’impressione luminosa più intensa. FIG. E.5.1./2
Le radiazioni rosse e violette determinano invece un’impressione luminosa notevolmente più debole. A seguito di esperimenti effettuati su di un gran numero di persone è stato possibile rappresentare graficamente la sensibilità spettrale relativa dell’occhio umano (Fig. E.5.1./3). La sensibilità dell’occhio alla radiazione giallo-verde (555 nm) è stata considerata come pari al 100%. A tale lunghezza d’onda corrisponde dunque un fattore di sensibilità visiva uguale a uno. La sensibilità a tutte le altre lunghezze d’onda può essere espressa in rapporto a questa sensibilità massima. Così, ad esempio, il fattore di sensibilità dell’occhio per la radiazione di colore arancio (corrispondente alla lunghezza d’onda di 600 nm) è di 0,63. Per definire questa dipendenza si possono confrontare sorgenti luminose che emettono a lunghezze d’onda diverse (sorgenti monocromatiche) e variare le potenze emesse, W, fino a ottenere sensazioni equivalenti. A questo punto si può dire che l’occhio riceve la stessa quantità di luce. Questa equivalenza si può esprimere mediante la:
V (λ1) W (λ1) = V (λ2) W (λ2) dove si è introdotta la nuova grandezza, V(λ), che esprime proprio il “peso” diverso che le potenze emesse hanno in termini di stimolo per l’occhio. Questa grandezza è chiamata fattore di visibilità, e si misura in [lm/W]. La sensibilità dell’occhio risulta massima al centro dell’intervallo (λ = 0.555 mm, colore giallo-verde), dove V(λ) assume il valore massimo, Vmax, con un valore di 683 lm/W. Esempio. Una sorgente che emetta 10 W a una lunghezza d’onda di 555 nm emette 6830 lm, mentre una sorgente che emette la stessa potenza di 10 W, ma a una lunghezza d’onda di 490 nm emette solo 1370 lm. Si definisce fattore di visibilità relativa il rapporto tra il fattore di visibilità a una certa lunghezza d’onda e il fattore di visibilità massimo, V(λ)/Vmax, che presenta l’andamento mostrato nella Fig. E.5.1./3, risulta, cioè, pari a 1 per λ = 555 nm, per tendere a zero verso gli estremi dell’intervallo. Riprendendo l’esempio, il fattore di visibilità relativo a λ = 490 nm è pari a 0,2.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
FIG. E.5.1./3 555
1,0
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
0,8
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
0,6
0,4
0,2
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE
0
E.4. ICA T ACUS
400 450 500 550 600 650 700 750 800 l [nm] ULTRAVIOLETTO VIOLETTO AZZURRO VERDE GIALLO ARANCIONE ROSSO INFRAROSSO
350
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
FIG. E.5.1./1
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
lunghezza ampiezza
. PESTIO E.4.4 RE DI CAL I RUMORI ESTERN RUMO . ZZE E.5.1 GRANDE E LUCE ETRICHE M FOTO
E 105
–
E.5. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • ILLUMINOTECNICA LUCE E GRANDEZZE FOTOMETRICHE PRINCIPALI GRANDEZZE FOTOMETRICHE Le grandezze fotometriche più importanti nel campo dell’illuminotecnica sono: flusso luminoso, intensità luminosa, illuminamento e luminanza.
FLUSSO LUMINOSO
Per area apparente si intende la proiezione di una sorgente luminosa, primaria o secondaria, su una superficie piana perpendicolare alla direzione secondo cui la sorgente stessa viene vista. Il simbolo della luminanza è L e l’unità di misura è la candela per metro quadrato (cd/m2) Per misurare i valori della luminanza si impiegano speciali strumenti chiamati luminanzometri. Nell’ambito delle brevi note di cui sopra, relative alle principali grandezze fotometriche, si ritiene opportuno ricordare due importanti relazioni fra l’intensità luminosa e l’illuminamento.
FIG. E.5.1./6
Il flusso luminoso rappresenta l’energia, riferita alla sensibilità spettrale relativa dell’occhio umano, irradiata in ogni secondo dalla sorgente di luce. Il simbolo del flusso luminoso è Φ e l’unità di misura è il lumen (simbolo lm). Il flusso luminoso di una sorgente può essere misurato, in laboratorio, mediante uno strumento denominato fotometro integratore o sfera di Ulbricht.
INTENSITÀ LUMINOSA L’intensità luminosa (simbolo I) si misura in candele (simbolo cd). Essa è correlata con il concetto di concentrazione, in una specifica direzione, della luce irradiata in un secondo. La definizione esatta di intensità luminosa è la seguente (Fig. E.5.1./4): L’intensità luminosa corrisponde al flusso irradiato, in una determinata direzione, per unità di angolo solido
Prima relazione L’illuminamento in un punto di un piano perpendicolare alla direzione di incidenza della luce e uguale al valore dell’intensità luminosa nella direzione di quel punto diviso per il quadrato della distanza fra la sorgente e il punto stesso cioè:
L’unità di misura degli angoli solidi è lo steradiante. FIG. E.5.1./4
E=
l d2
L’esempio di Fig. E.5.1./7 si riferisce al caso di una sorgente che emette un’intensità di 100 cd nella direzione perpendicolare alla superficie. Questa relazione è nota come legge dell’inverso del quadrato. ω FIG. E.5.1./7
I
Ep 11 lux Ep 25 lux E 100 lux 100cd
ILLUMINAMENTO L’illuminamento è il rapporto fra il flusso luminoso ricevuto da una superficie e l’area di tale superficie. Il simbolo è E; l’unità di misura è il lux [lx]. Il valore degli illuminamenti si misura mediante strumenti denominati luxmetri. A seconda che per la lettura dei valori la cellula del luxmetro venga posta in posizione orizzontale, oppure verticale si parla di illuminamenti orizzontali o di illuminamenti verticali. Nel caso di presenza di persone dato che esse sono, per un osservatore, assimilabili non a un piano ma a un semicilindro è importante considerare, oltre ai suddetti illuminamenti anche i valori del cosiddetto Illuminamento semicilindrico (Fig. E.5.1./5). FIG. E.5.1./5
1m 2m 3m
Seconda relazione L’illuminamento in un punto di un piano non perpendicolare alla direzione dell’intensità luminosa è uguale al valore dell’intensità luminosa nella direzione di quel punto diviso per il quadrato della distanza (misurata tra la sorgente e il punto stesso) e moltiplicato per il coseno dell’angolo γ compreso tra la direzione di incidenza della luce e la perpendicolare al piano (Fig. E.5.1./8) cioè:
zero K = – 273 °C Questa relazione è nota come legge del coseno. I
FIG. E.5.1./8
a
P b
I
h
d
LUMINANZA Una fonte di luce (sorgente luminosa primaria) o una superficie illuminata (cioè una sorgente secondaria di luce) che emettano una determinata intensità luminosa in una data direzione sono caratterizzate da una luminanza in tale direzione (Fig. E.5.1./6). La luminanza viene definita come il rapporto tra l’intensità proveniente in una data direzione da una superficie luminosa e l’area apparente di quest’ultima.
E 106
I
γ P
CONTROLLO AMBIENTALE • ILLUMINOTECNICA LUCE E GRANDEZZE FOTOMETRICHE
E.5. 1. A.ZIONI
COLORIMETRIA DEFINIZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
QUALITÀ DEL COLORE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
Il colore è caratterizzato da tre qualità:
C.RCIZIO
a) tono (o tinta): legato alla (o alle) lunghezza d’onda; è il colore visto: giallo, blu, rosso, verde;
E ESE ESSIONAL PROF
b) saturazione: vivacità del colore; c) luminosità: intensità luminosa nella direzione della visione.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
TEMPERATURA DI COLORE
Questo comportamento fa sì che la parte di energia emessa nel campo del visibile abbia una distribuzione diversa a seconda della temperatura. A temperature più basse (ad es. 3000 K) si ha una prevalenza di energia emessa verso il limite destro del campo del visibile (rosso) mentre a temperature più elevate (ad es. 20000 K) si ha una prevalenza della radiazione verso il limite sinistro (violetto). La luce risultante è quindi rossastra, o bianca, o bluastra ecc., a seconda della temperatura.
FIG. E.5.1./9 ENERGIA RELATIVA EMESSA DAL CORPO NERO A DIVERSE TEMPERATURE
Questo insieme di fenomeni è alla base della definizione della temperatura di colore
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
20000¡K 3000¡K
180
10000¡K
G.ANISTICA
160
URB
140 4000¡K
120 6000¡K
5000¡K
100 80
6000¡K
5000¡K
[K], che serve per caratterizzare una sorgente luminosa. Questa è definita come la temperatura alla quale il corpo nero emette con la stessa distribuzione spettrale nel campo del visibile e quindi con lo stesso colore, della sorgente considerata.
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
200
7000¡K
Nella Fig. E.5.5./1 sono riportati i valori relativi delle energie emesse a diverse temperature, normalizzate rispetto al valore delle emissione a l = 555 nm per ogni temperatura.
E.NTROLLO
posto = 100 il valore dell’energia emessa a λ = 555 m ENERGIA RELATIVA
Come noto i corpi neri emettono radiazione con continuità a tutte le lunghezze d’onda, con una distribuzione spettrale del tipo di quelle mostrate in Fig. E.5.1./9. Al crescere della temperatura aumenta l’energia totale emessa, e il massimo della emissione si ha in corrispondenza di lunghezze d’onda minori.
60
7000¡K
4000¡K
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
10000¡K 20000¡K
40 3000¡K 20 0 400
500
600
700 λ [ nm ]
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE
DESCRIZIONE DI UN COLORE – IL SISTEMA RGB (CIE) Ogni colore è descrivibile mediante combinazioni di radiazioni a tre colori: Rosso R (λ = 700 nm), Verde, G (λ = 546,1 nm), Blu, B (λ = 435,8 nm) di opportuna intensità.
E.4. ICA T ACUS
FIG. E.5.1./10 DIAGRAMMA COLORIMETRICO CIE
A E.5. INOTECNIC ILLUM
0.9
A ogni colore corrisponde un punto sul diagramma colorimetrico di Fig. E.5.1./10, in cui gli assi riportano i valori di due delle coordinate tricromatriche X e Y. La terza coordinata, Z, si ricava facilmente in quanto X + Y + Z = 1. Le coordinate
(G’) 530 520
0.8
540 (G)
510
x=
X X+Y+Z
y=
Y X+Y+Z
z=
Z X+Y+Z
E.6. MIDA U ARIA
550 0.7 505 0.6
dove X, Y e Z sono le componenti tricromatriche di quel colore che rappresentano le combinazioni di radiazioni, emesse alle tre lunghezze d’onda dei colori fondamentali, necessarie per ottenere uno stimolo uguale allo stimolo dato dal colore in esame. Sul diagramma sono indicate le regioni dei tre colori fondamentali, rosso, verde e blu, e quelle dei colori complementari (giallo, magenta e ciano). La regione centrale del diagramma corrisponde al bianco. Ad esempio il punto M del diagramma, di coordinate X = 0,227 e Y = 0,132 (e quindi Z = 0,641), rappresenta un colore nella regione del blu. Il colore perfettamente bianco corrisponde al punto di coordinate x = y = z = 0,3333. I punti della linea a campana rappresentano le radiazioni monocromatiche, da 380 a 780 nm.
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
560
tricromatriche sono parametri adimensionali, date dai rapporti:
570
VERDE 500 0.5
580 BIANCO
495
0.4
E ROSSO 0.3
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
590
GIALLO
600 610 620 650
CIANO
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
770 (R)
490 0.2 MAGENTA M 480 0.1
BLU 470 450
480 (B)
(B) 0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
. ZZE E.5.1 GRANDE E LUCE ETRICHE M FOTO
E 107
E.5. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE BENESSERE VISIVO
•
ILLUMINOTECNICA
DEFINIZIONI COMPITO VISIVO
PRESTAZIONE VISIVA
Capacità di riconoscere un dettaglio.
Concetto che riassume l’influenza che le condizioni di illuminazione hanno sulla velocità e sull’accuratezza con cui viene svolto il compito visivo desiderato. Ci sono varie tecniche di misurazione di questa grandezza. Tutti gli esperimenti mostrano che la prestazione dipende dalle seguenti grandezze: • l’illuminamento sull’area di osservazione; • il contrasto di luminanza (vedi dopo) e/o di colore tra dettaglio e sfondo; • le dimensioni angolari del dettaglio e la difficoltà del compito.
UNIFORMITÀ DELL’ILLUMINAMENTO Nell’ambito del compito visivo (ad es. la scrivania) la distribuzione dell’illuminamento deve essere tale da garantire che il rapporto tra valore minimo e valore massimo sia maggiore o uguale e 0,8. Nell’ambito dello stesso ambiente (ad es. tra scrivania e pavimento nei passaggi) non si devono avere rapporti inferiori a 1/3. Fra locali contigui il rapporto non deve essere inferiore a 1/5. Esempio. Illuminamento richiesto sul piano di lavoro: 500 lx; minimo illuminamento sul pavimento della stessa stanza: 160 lx; minimo illuminamento sul pavimento del corridoio adiacente; 100 lx. TAB. E.5.2./1 ILLUMINAMENTI (E) INDICI DI RESA CROMATICA (Ra) RACCOMANDATI (Fonte: Standard CIE S 008/E-2001) TIPO DI AREA O DESTINAZIONE AREE GENERICHE Ingressi Corridoi, aree di circolazione Scale, ascensori, scale mobili Depositi, magazzini Mense Bagni Palestre Spogliatoi Infermerie Centralini ATTIVITÀ LAVORATIVE VARIE Stalle Preparazione e cottura pane Essiccazione laterizi Assemblaggio apparecchi elettrici Laboratori elettronica Laboratori chimici Lavorazione vetro, ceramica Decorazione, lavorazioni fini vetro Lavorazione pietre preziose Orologeria Produzione insaccati Fonderie Parrucchieri Lavanderie Manifattura di scarpe Lavorazioni meccaniche medie Lavorazioni meccaniche di precisione Assemblaggio apparati meccanici Micromeccanica Lavorazione carta Rilegatura libri Locali di controllo Tipografie Ispezione colore stampe Produzione tessuti Sartoria Linee montaggio automobili Verniciatura automobili Ispezione finale automobili Falegnameria (macchine) Finitura e verniciatura legno UFFICI Archiviazione, fotocopie Battitura, scrittura Disegno tecnico Stazioni CAD Sale riunione
E 108
E [lx ]
Ra
100 100 150 100 200 100 300 200 500 500
60 40 40 60 80 80 80 80 90 80
50 300 50 300-750 1500 500 300 750 1500 1500 500 200-500 500 300 500 300
40 80 20 80 80 80 80 80 90 80 80 80 90 80 80 60
500
60
200-750 1000 300 500 500 1000 1500 200-300 750 500 750 1000 500 750
80 80 80 60 80 80 90 80 90 80 80 80 80 80
200-300 500 750 500 500
80 80 80 80 80
TIPO DI AREA O DESTINAZIONE E [lx ] ESERCIZI COMMERCIALI E VARIE Piccole zone di vendita 300 Grandi zone di vendita 500 Ristoranti 200 Cucine 500 Sale conferenza 500 Zona ricezione albergo 300 Teatri 200 Camerini, sale prova 300 Sale multi-funzione 300 Musei (generale) 300 Librerie: scaffali libri 200 Librerie: zone lettura 500 Luoghi di culto: generale 100 Luoghi di culto: altari, pulpiti 300 Parcheggi coperti: zone sosta 75 Parcheggi coperti: rampe (giorno) 300 Parcheggi coperti: rampe (notte) 75 EDIFICI SCOLASTICI Classi 300 Classi per corsi serali 500 Lavagna 500 Classi arte in scuole d’arte 750 Laboratori 500 Laboratori linguistici 300 Sale riunioni studenti 200 Sala docenti 300 Palestre, piscine 300 EDIFICI DI CURA Sale attesa 200 Corridoi (giorno) 200 Corridoi (notte) 50 Corsie (illuminazione generale) 100 Corsie (lettura, visite) 300 Ambulatori 1000 Stanze personale 300 Bagni per pazienti 200 Stanze terapie 300-500 Visite 500 Visite oculistiche 1000 Tavoli operatori 10000-100000 AEROPORTI Sale arrivi/partenze, ritiro bagagli 200 Corridoi, scale mobili 150 Banchi informazioni, accettazione 500 Zone controlli di sicurezza 300 Aree di attesa 200 Deposito bagagli 200 Hangars 500 Torre di controllo 500
CONTRASTO DI LUMINANZA, C Ra 80 80 80 80 80 80 80 80 80 80 80 80 80 80 40 40 40 80 80 80 90 80 80 80 80 80 80 80 80 80 80 90 80 80 80 90 90 90 80 80 80 80 80 60 80 80
Se osserviamo un oggetto, o dettaglio, che presenta luminanza Lo contro uno sfondo (il resto del campo visivo) con luminanza Ls, si definisce contrasto di luminanza il rapporto:
C=
|Lo–Ls| Ls
La prestazione visiva aumenta al crescere del contrasto. Si può definire un contrasto minimo, o di soglia, al disotto del quale non si riesce a distinguere il dettaglio dallo sfondo. Tale soglia diminuisce al crescere della luminanza dello sfondo. Ad esempio, con Ls = 10 cd/m2 serve un contrasto pari a 1 circa (Lo deve essere circa il doppio di Ls, oppure essere circa = 0, come nel caso di caratteri tipografici nero opachi su sfondo chiaro debolmente illuminato), mentre con Ls = 100 cd/m2 il contrasto di soglia è circa pari a 0,1 (Lo = 110 o 90 cd/m2).
LUMINANZE E ILLUMINAMENTO Salvo il caso in cui l’oggetto o lo sfondo siano essi stessi sorgenti luminose primarie le loro luminanze saranno il risultato delle riflessione di parte del flusso luminoso che li investe, provenendo da una o più sorgenti. Nel caso di superficie perfettamente diffondente, con coefficiente di riflessione r e investita da un illuminamento E la luminanza è uguale in tutte le direzioni e vale:
L=r
E π
Se l’illuminamento è uniforme, e se il comportamento riflettente del dettaglio e dello sfondo è simile (ad esempio perfetti diffusori, vedi sotto), le luminanze dipenderanno solo dai coefficienti di riflessione delle due superfici. Esempio. Carattere tipografico con inchiostro nero (r = 0,2) su carta bianca (r = 0,9). La luminanza del segno sta alla luminanza della carta nel rapporto 2/9, e il contrasto varrà C = 0,7/0,9 = 0,78. Assumendo questo valore come valore di soglia, la luminanza dello sfondo minima richiesta è di circa 20 cd/m2, ovvero, l’illuminamento minimo richiesto per distinguere i caratteri sarà di circa 70 lx.
VOLUME D’OFFESA In realtà le superfici (ad esempio carta e inchiostro) solo raramente sono perfettamente diffondenti. Spesso sono piuttosto di tipo diffondente-speculare presentano cioè una intensità maggiore in direzione speculare rispetto ai raggi incidenti. Questo riduce il contrasto, e quindi la prestazione visiva, per un osservatore posto specularmente rispetto alla sorgente (velo luminoso). Si introduce allora il concetto di volume d’offesa, definito come il volume che comprende tutte le direzioni speculari a quelle di osservazione dell’area di lavoro, o di osservazione (Fig. E.5.2./1). Per evitare la perdita di prestazione dovuta al velo luminoso, è opportuno che tutte le sorgenti luminose siano collocate al di fuori di questo volume specie in presenza di superfici con elevato comportamento speculare. La Fig. E.5.2./2 mostra un esempio di corretta disposizione e scelta degli apparecchi illuminanti.
CONTROLLO AMBIENTALE
•
ILLUMINOTECNICA BENESSERE VISIVO
E.5. 2. A.ZIONI
FIG. E.5.2./1 VOLUME D’OFFESA
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. E.5.2./2 ESEMPIO DI ILLUMINAZIONE CORRETTA
A: area di lavoro – B: area di osservazione (esempio: museo)
A
B
D
L’apparecchio A presenta una curva fotometrica asimmetrica, in modo da ridurre le perdite di flusso luminoso attraverso la finestra; l’apparecchio B presenta una curva simmetrica (ad “ali di pipistrello”) e attenua le ombre causate dal corpo A. Non ci sono sorgenti di luce nel volume d’offesa.
VOLUME D’OFFESA
C VOLUME D’OFFESA
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
D1
C1
AREA DI LAVORO A1
B1
E.NTROLLO
ABBAGLIAMENTO A
ZONA DI POSSIBILE POSIZIONAMENTO DEI CORPI ILLUMINANTI α VOLUME DI OFFESA α AREA DI OSSERVAZIONE α α
B
FIG. E.5.2./3 ILLUMINAZIONE DI SCALE A: sbagliato. L’occhio è attratto dalla luce proveniente dalla finestra e i gradini sono illuminati troppo uniformemente; B: corretto. Se il bordo inferiore della finestra è posto al disopra della linea che unisce i gradini, il bordo di questi è più illuminato delle alzate e della parte posteriore delle battute, e i gradini sono quindi ben visibili
Si parla di abbagliamento quando si ha la presenza, nel campo visivo, di sorgenti luminose con una luminanza molto maggiore della media delle luminanze delle altre sorgenti presenti. Le sorgenti possono essere primarie (lampade, cielo) o secondarie (superfici riflettenti). Se la sorgente disturbante è del primo tipo si parla di abbagliamento diretto, nel secondo di abbagliamento riflesso (o indiretto). A seconda dell’entità si parla di fastidio da abbagliamento, o, nei casi più gravi, di riduzione della capacità visiva, dovuta all’abbagliamento. Il progetto illuminotecnico deve evitare già il primo tipo di abbagliamento. La Fig. E.5.2./3 mostra un esempio di problemi di abbagliamento in relazione alla posizione delle aperture su scale. Per evitare l’abbagliamento indiretto è, solitamente, sufficiente l’uso di superfici non speculari (scabre, diffondenti) in vicinanza all’area di osservazione (ad es. la superficie della scrivania), oppure il posizionamento opportuno della sorgente (Fig. E.5.2./4). Per l’abbagliamento diretto, si deve evitare che le sorgenti luminose presenti nel campo visivo presentino luminanze eccessive. In genere, per normali posizioni di lavoro, ci si limita a considerare come campo visivo un angolo di 45° al disopra dell’orizzontale (Fig. E.5.2./5).
Il massimo valore ammissibile per le luminanze dipende da tre fattori: a. la difficoltà del compito visivo. Sono definite 5 classi di difficoltà, cui corrispondono 5 classi di qualità dell’impianto: da A a E, con qualità decrescente; b. la posizione angolare nel campo visivo (i punti più lontani dal centro del campo “contano” di meno); c. la forma dell’apparecchio “vista” dall’osservatore. La CIE ha prodotto delle curve limite che permettono di trovare i massimi valori della luminanza in funzione di questi fattori. Gli apparecchi illuminanti sono divisi in due categorie: • provvisti di schermo (diffondente, rifrangente, a lamelle); • interamente a vista. Nel caso di soffitti uniformemente luminosi la luminanza non deve superare il valore di 500 cd/m2. Nel caso di uffici con monitor di computer, videoterminali ecc., la luminanza degli apparecchi posti alle spalle degli operatori e da questi visibili per riflessione sullo schermo, non deve presentare luminanze superiori a 200 cd/m2.
FIG. E.5.2./5 ABBAGLIAMENTO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE
A: parte del corpo illuminante si trova entro l’angolo di 45° rispetto all’osservatore e va quindi opportunamente schermato; B: il corpo è del tutto fuori dell’angolo, e quindi non presenta pericoli di abbagliamento
E.4. ICA T ACUS
A
D
A E.5. INOTECNIC ILLUM
H
45°
45°
E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
B
A
B
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
FIG. E.5.2./4 ABBAGLIAMENTO DA LUCE RIFLESSA
CARATTERIZZAZIONE DELLE PARETI COEFFICIENTE DI ASSORBIMENTO, a Rapporto tra flusso luminoso assorbito da una superficie e flusso luminoso incidente.
A
B
VALORI DI r CONSIGLIATI PER LE SUPERFICI INTERNE DI UNA STANZA TIPO DI SUPERFICIE
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
COEFFICIENTE DI RIFLESSIONE
COEFFICIENTE DI RIFLESSIONE, r
Soffitti
Rapporto tra flusso luminoso riflesso da una superficie e flusso luminoso incidente. Per corpi opachi (non trasparenti) vale la relazione: r = 1 – a
Pareti laterali
0,3 – 0,8
Pavimenti
0,2 – 0,4
minimo 0,6 O . E.5.2SERE VISIV S BENE
E 109
E.5. 3.
CONTROLLO AMBIENTALE ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE
•
ILLUMINOTECNICA
LAMPADE E APPARECCHI DI ILLUMINAZIONE LAMPADE PARAMETRI CHE CARATTERIZZANO LE LAMPADE I parametri di maggiore importanza per caratterizzare le lampade sono: il flusso luminoso emesso, la tonalità della luce emessa, l’indice di resa cromatica, l’efficienza luminosa e la durata di vita.
Indice di resa cromatica (Ra) Tale indice vale a quantificare l’attitudine della luce emessa da una sorgente luminosa a consentire l’apprezzamento delle sfumature di colore degli oggetti illuminati. Al riguardo le lampade vengono classificate mediante un indice numerico compreso tra 0 e 100. Quanto più tale indice si avvicina a 100, tanto maggiore è l’attitudine della sorgente luminosa a consentire l’apprezzamento delle sfumature di colore. Le lampade a incandescenza, tradizionali e con alogeno, sono caratterizzate da un indice di resa cromatica pari a 100, cioè massimo. L’indice di resa cromatica che contraddistingue le lampade a scarica in gas è invece in generale minore di 100 anche se alcuni particolari tipi hanno un Ra molto vicino a tale valore massimo.
Flusso luminoso Quantità di luce emessa per unità di tempo. Si misura in lumen [lm]. Tonalità della luce La tonalità di luce emessa da una lampada è caratterizzata dalla temperatura di colore, Tc, già definita, che è la temperatura, espressa in gradi Kelvin, alla quale si deve portare il “corpo nero” perché emetta una radiazione di “colore” uguale. Si rammenta che la relazione tra gradi Kelvin [K] e gradi centigradi [°C] è:
T (K) = T (°C) + 273
Efficienza luminosa Tale parametro viene definito mediante il rapporto tra il flusso luminoso emesso, espresso in lumen e la potenza elettrica assorbita, espressa in watt e si indica con il simbolo η [lm/W]. Il valore dell’efficienza luminosa varia fra circa 12 lm/W per le lampade a incandescenza tradizionali e circa 200 lm/W per quelle a vapore di sodio a bassa pressione.
Secondo la norma UNI 10380 le lampade vengono definite, a seconda della loro temperatura di colore: • a tonalità “bianco-calda”, se Tc < 3300 k • a tonalità “bianco-neutra” se 3300 K < Tc < 5300 k • tonalità “bianco-fredda” se Tc > 5300 k
Durata di vita Per quantificare la durata delle lampade in generale, i parametri cui frequentemente si fa riferimento sono i seguenti:
Dal punto di vista psicologico esiste una stretta relazione tra la tonalità della luce e il comfort ambientale. Si veda al riguardo il diagramma di Kruitoff di cui alla Fig. E.5.1./1.
• “durata di vita media” che si riferisce al numero di ore di funzionamento dopo il quale, in un determinato lotto di lampade e in ben definite condizioni di prova, il 50% delle lampade abbia cessato di funzionare. • “durata di vita media economica”. Per un determinato lotto di lampade dello stesso tipo tale parametro definisce il numero di ore dopo il quale il flusso luminoso residuo abbia raggiunto, per effetto somma del decadimento del flusso e della percentuale di mortalità, il 70% del valore nominale iniziale.
FIG. E.5.3./1 50000 lux 10000 colori irreali sgraditi
5000
zona di illuminamento favorevole
Le sorgenti che hanno la durata di vita media più breve (1000-1500 ore) sono le lampade a incandescenza tradizionali; quelle la cui durata di vita media è la più elevata in assoluto (oltre 60000 ore) sono le lampade a induzione.
1000 500
Altri parametri che condizionano la scelta Altri parametri che condizionano in misura notevole la scelta delle sorgenti luminose da adottare nei vari casi di impiego sono i seguenti:
100 50
• il tempo necessario perché la lampada, dopo che in essa è avvenuto l’innesco, arrivi a emettere un flusso pari allo 80% di quello nominale; • il tempo necessario perché la lampada, se spentasi (ad esempio per mancanza di tensione di rete, possa riaccendersi al ripristino della normalità di alimentazione); • l’influenza sulle condizioni di funzionamento della temperatura ambiente e delle variazioni della tensione di alimentazione; • la possibilità di funzionare o meno in tutte le posizioni.
colori freddi
10 0 2000
3000
4000 5000
10000 temperatura di colore
TIPI DI LAMPADE Le lampade si possono classificare secondo lo schema seguente: Lampade a incandescenza • tradizionali • con alogeni Lampade a scarica di gas • fluorescenti lineari o tubolari • fluorescenti compatte – integrate – non integrate • a vapori di sodio ad alta pressione • a vapori di sodio ad alta pressione compatte • a vapori di mercurio con alogenuri – con tubo di scarica in materiale ceramico – con tubo di scarica in quarzo – prive del bulbo esterno di scarica
di alimentazione senza l’impiego né di reattori, né di starter; forniscono istantaneamente il flusso luminoso nominale e, se spente, si riaccendono immediatamente; possono funzionare anche a temperature molto basse. Presentano i seguenti svantaggi: hanno efficienza luminosa piuttosto bassa ( per quelle da 100 W a 220 V l’efficienza è di circa 12 lm/W); la loro durata di vita media è, in condizioni di alimentazione normali, di appena 1000 ore. Le lampade a incandescenza tradizionali sono munite di attacco a vite od a baionetta (Fig. E.5.3./2).
Lampade a incandescenza con alogeno All’interno di queste lampade viene introdotta una piccola quantità di alogeno (generalmente iodio o bromo) che consente l’attuazione del cosiddetto “ciclo di rigenerazione” del tungsteno da cui è costituito il filamento. Grazie a tale ciclo viene efficacemente contrastata l’evaporazione del filamento e il conseguente progressivo annerimento della parete interna dell’ampolla. In queste condizioni è possibile far passare attraverso il filamento una corrente di valore notevolmente maggiore rispetto al caso delle lampade a incandescenza tradizionali.
FIG. E.5.3./2 39.4
26
17
26
21.9
45
Lampade a incandescenza tradizionali Emettono luce di tonalità corrispondente alla temperatura di colore di 2500 K. Offrono i seguenti vantaggi: hanno indice di resa cromatica pari a 100; sono direttamente collegabili alla rete
E 110
27
25
25
22
15
E 27/27
E 14/25x17
B 22d/25x26
20 6.5
6.5 E 40/45
19
19
B 22d/22
B 15s/19
S 19/20
CONTROLLO AMBIENTALE • ILLUMINOTECNICA ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE
E.5. 3. A.ZIONI
Per le suddette ragioni le lampade a incandescenza con alogeno offrono, rispetto a quelle tradizionali, i seguenti vantaggi: sono caratterizzate da un’efficienza e da una durata di vita notevolmente superiori, il decadimento del flusso luminoso è molto minore, non presentano annerimento del bulbo ed emettono luce più “bianca” (circa 3000 K contro circa 2500). D’altra parte recenti importanti innovazioni tecnologiche nell’ambito della fabbricazione di queste lampade hanno consentito l’introduzione di nuovi tipi caratterizzati dalle seguenti peculiari prerogative: • non emettono raggi ultravioletti e affrancano quindi dalla eventualità di dar luogo a effetti di degrado quali, ad esempio lo scolorimento; • la loro efficienza luminosa e la loro durata di vita sono notevolmente superiori rispetto ai tipi precedenti; in alcuni tipi l’efficienza è di circa il 40% superiore e la durata di vita media raggiunge le 5000 ore. • in alcuni tipi l’emissione di luce può essere regolata con variatori di luce. Tra le lampade alogene attualmente maggiormente diffuse particolare menzione meritano quelle dei seguenti tipi: • dicroiche a 12 V da 20 – 30 – 35 e 45 W (Fig. E.5.3/3) • lineari a doppio attacco a tensione di rete da 60 a
2000 W • con riflettore a tensione di rete; a doppio involucro (Fig. E.5.3/4). FIG. E.5.3./3
FIG. E.5.3./4
Le lampade rivestite con polveri fluorescenti “standard” sono caratterizzate da una buona efficienza luminosa (circa 80 lm/W) ma da un indice di resa cromatica piuttosto modesto (compreso tra circa 65 e circa 75 a seconda del tipo). Quelle il cui tubo è rivestito con polveri “trifosforo” sono caratterizzate da un’efficienza molto elevata (oltre 100 lm/W) e da un indice di resa cromatica compreso tra 80 e 85. Le lampade, infine, per la cui fabbricazione vengono adottate polveri “pentafosforo” emettono luce caratterizzata da un indice di resa cromatica elevatissimo (uguale o superiore a 95) ma la loro efficienza è alquanto inferiore rispetto a quella delle lampade rivestite con polveri del tipo “trifosforo”. Particolarmente adatte a realizzare impianti d’illuminazione pienamente rispondenti alle più severe esigenze di qualità della luce, di efficienza energetica, di ergonomia e di ecologia sono le nuove lampade aventi diametro di 26 mm, nella versione in cui: la quantità di mercurio che si trova al loro interno è fortemente limitata (3 millesimi di grammo contro gli usuali 15 millesimi di grammo), il tubo, di vetro speciale, assorbe in misura molto ridotta il mercurio contenuto all’interno (ciò che vale a contenere il decadimento del flusso luminoso emesso); le speciali polveri fluorescenti “trifosforo” sono dotate di una resistenza molto marcata all’invecchiamento e possono essere recuperate, rigenerate e riutilizzate al 100 %. Le lampade di cui sopra sono disponibili nelle potenze di 15; 18; 23; 30; 36; 58 W e nelle tonalità corrispondenti alle temperature di colore di 2700; 3000; 4000 e 6500 K. L’indice di resa cromatica è 85; la durata di vita media supera le 12000 ore. Pure molto interessanti sono le nuove lampade fluorescenti lineari aventi diametro di 16 mm la cui efficienza luminosa è, in relazione anche al diametro molto ridotto, particolarmente elevata. D’altra parte esse si prestano a essere installate in apparecchi d’illuminazione caratterizzati da proprietà ottico-fotometriche ottimali e dotati, quindi, di rendimento assai alto. Dette lampade sono disponibili in una vasta gamma di potenze (da 14 W a 80 W) e nelle versioni a temperatura di colore di 3000 e di 4000 K. Per quanto attiene all’indice di resa cromatica e alla durata di vita vale quanto detto a proposito di quelle sopra descritte. Il collegamento alla rete di alimentazione delle lampade fluorescenti lineari può essere attuato: • tramite reattore di tipo convenzionale e starter (Fig. E.5.3/6); • tramite reattori elettronici ad alta frequenza; • tramite reattori elettronici ad alta frequenza regolabili. FIG. E.5.3./6
Lampade fluorescenti lineari Sono caratterizzate dalle seguenti caratteristiche peculiari: luce di qualità ottimale; disponibilità in un’ampia gamma di sfumature di luce “bianca”; elevata efficienza luminosa; lunga durata di vita; accensione immediata o quasi immediata.
lampada
Lampade fluorescenti compatte Nelle lampade fluorescenti compatte il principio di generazione della luce è analogo a quello delle fluorescenti lineari da cui sono state derivate grazie a una miniaturizzazione molto spinta. Attualmente sono disponibili: lampade fluorescenti compatte integrate (che incorporano un reattore di alimentazione di tipo elettronico) e lampade fluorescenti compatte non integrate che richiedono un alimentatore separato. Compatte integrate Essendo munite (Fig. E.5.3/7) di attacco a vite E 27 od E 14 possono essere direttamente sostituite, negli stessi apparecchi di illuminazione, alle lampade a incandescenza tradizionali. Rispetto a queste ultime presentano i seguenti vantaggi: • consumo di energia fino all’80% inferiore a parità di luce; • durata di vita fino a 15 volte superiore; • bassi costi di manutenzione; • ampia gamma di applicazioni grazie alla notevole disponibilità di tipi.
FIG. E.5.3./5
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
FIG. E.5.3./7
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
La loro potenza varia, a seconda dei tipi, da 9 fino a 23 W. Sono disponibili nelle versioni a luce con temperatura di colore di 2700, 4000 e 6500 K. L’indice di resa cromatica è di circa 80; la durata di vita media arriva alle 12000 ore. Compatte non integrate Queste lampade (Fig. E.5.3/8) non incorporano, come detto, alcun reattore e richiedono apparecchi di illuminazione con portalampada e reattore appropriati. La gamma di potenze varia da 10 a 55 W. A seconda del tipo emettono luce di tonalità corrispondente alle temperature di colore di: 2700; 3000; 4000 K. Per quanto riguarda l’indice di resa cromatica e la durata di vita vale quanto detto a proposito delle compatte integrate. FIG. E.5.3./8
starter
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
condensatore di rifasamento
alimentatore
Sono costituite (Fig. E.5.3/5) da un tubo di vetro che contiene vapore di mercurio a bassa pressione ed è internamente rivestito da uno strato di speciali polveri fluorescenti. La scarica nel vapore di mercurio dà luogo a radiazioni ultraviolette invisibili che incidono sulle suddette polveri dalle quali vengono, per la legge di Stockes, trasformate in radiazioni di lunghezza d’onda maggiore rientranti nel campo del visibile. I tipi di polveri fluorescenti più generalmente adottati sono i seguenti: “standard”; “trifosforo” e “pentafosforo”.
I reattori elettronici ad alta frequenza, oltre a essere caratterizzati da una durata di vita molto elevata, offrono, rispetto a quelli induttivi tradizionali, i seguenti vantaggi: una maggiore efficienza della lampada e del sistema nel suo complesso; elevato fattore di potenza senza dovere impiegare condensatori di rifasamento; accensione istantanea; durata di vita delle lampade particolarmente elevata; assenza di effetto stroboscopico e di ronzio. I reattori elettronici ad alta frequenza regolabili consentono la variazione del flusso luminoso dal 100% al 3%. La regolazione del flusso può essere automatica, cioè comandata da speciali fotocellule opportunamente installate o attuata manualmente mediante potenziometri. Nel caso di regolazione automatica del flusso è possibile realizzare, rispetto ai sistemi tradizionali, risparmi energetici fino al 60%.
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
Lampade a vapore di sodio ad alta pressione Queste lampade derivano da quelle al sodio a bassa pressione (introdotte nel lontano 1932) all’interno delle quali la pressione del vapore di sodio è di 0,5 Pa. Si tratta di un valore ottimale perché in corrispondenza di esso l’emissione di radiazioni da parte del sodio avviene per risonanza e l’energia di eccitazione richiesta è minima.
➥
. E.5.3INAZIONE ILLUM IALE IC ARTIF
E 111
E.5. 3.
CONTROLLO AMBIENTALE ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE
•
ILLUMINOTECNICA
➦ LAMPADE E APPARECCHI DI ILLUMINAZIONE ➦ TIPI DI LAMPADE È per questo che le lampade al sodio a bassa pressione sono caratterizzate da un’efficienza luminosa superiore a quella di tutte le altre sorgenti (fino a 200 lm/W). Le lampade al sodio a bassa pressione, però, emettono luce monocromatica gialla e quindi il loro campo d’impiego è andato sempre più riducendosi. La via seguita per riuscire a realizzare sorgenti luminose a vapore di sodio atte a consentire una buona distinzione dei colori è stata quella di aumentare, all’interno del tubo di scarica, la pressione del sodio stesso dal valore di 0,5 Pa a valori considerevolmente più elevati. Strutturalmente le lampade a vapore di sodio ad alta pressione sono costituite (Fig. E.5.3/9) da:
Lampade a vapore di sodio ad alta pressione compatte Queste lampade, che vengono definite “a luce bianca” sono costituite (Fig. E.5.3/10) da un tubo di scarica in alluminio sinterizzato, di dimensioni assai ridotte, disposto entro un bulbo esterno coassiale. FIG. E.5.3./10
Lampade con tubo di scarica in quarzo Questa famiglia di sorgenti ad alogenuri comprende lampade compatte (dotate di attacco doppio e disponibili nelle potenze di 70-150 e 250 W) e lampade tradizionali (disponibili nelle versioni a bulbo da 250 W e da 400 W e tubolare da 250-400-1000 e 2000 W). Le lampade compatte (Fig. E.5.3/12) emettono luce di tonalità corrispondente a 3000 od a 4200 K con indice di resa cromatica compreso tra 75 e 85. La loro efficienza varia da 85 a 95 e la durata di vita è di circa 8000 ore. FIG. E.5.3./12
• un tubo di scarica in ossido di alluminio sinterizzato entro cui viene introdotta la necessaria quantità di sodio unitamente a un gas raro; • un bulbo o un tubo coassiale, entrambi in vetro duro, entro cui è alloggiato il tubo di scarica. La pressione del sodio all’interno del tubo a scarica raggiunge il valore di 95 kPa. La luce emessa è caratterizzata da: spettro di emissione molto calibrato, tonalità corrispondente a temperatura di colore di 2500 K, indice di resa cromatica pari a 85. La loro efficienza luminosa è meno elevata rispetto a quella delle lampade al sodio ad alta pressione a luce “standard” e “comfort”. Sono disponibili nelle potenze di 35-50 e 100 W e sono munite di attacco PG 12-1. La durata di vita media è di circa 10000 ore. Debbono essere collegate alla rete di alimentazione tramite un alimentatore (cui è demandata la funzione di limitare la corrente di scarica) e una speciale apparecchiatura elettronica che funge sia da stabilizzatore di tensione che da accenditore.
FIG. E.5.3./9
1 2 3 4 5 6 7 8 9
1) 2) 3) 4) 5)
supporto collegamento elettrico bulbo esterno tubo di scarica rivestimento diffondente
6) 7) 8) 9)
terminale tubo di scarica collegamento elettrico getter attacco
Nell’intercapedine tra il tubo a scarica e il bulbo (o il tubo) esterni viene fatto il vuoto per ridurre al massimo ogni dispersione termica e assicurare così condizioni di efficienza molto elevata. Le lampade in cui la pressione del sodio all’interno del tubo di scarica è di 10 kPa hanno efficienza luminosa compresa tra 95 e 140 lm/W ed emettono luce caratterizzata da tonalità corrispondente alla temperatura di colore di circa 2000 K e da indice di resa cromatica 25. Queste lampade sono definite “a luce standard” Le lampade in cui la pressione del sodio all’interno del tubo di scarica è di 40 kPa, invece, hanno efficienza alquanto inferiore rispetto a quelle “a luce standard” ma emettono luce di qualità migliore perché caratterizzata da indice di resa cromatica 65 e da temperatura di colore di 2150 K. Queste lampade vengono definite “a luce comfort”. Recentemente la famiglia delle lampade al sodio ad alta pressione si è arricchita di nuovi tipi caratterizzati da un livello prestazionale notevolmente più elevato. Al riguardo sono da menzionare, in particolare, le lampade con antenna integrata. Le antenne integrate affrancano dai guasti prematuri causati da quelle di tipo precedente e assicurano la riduzione dei tempi di riaccensione a caldo da alcuni minuti a circa 30 secondi. Le lampade a vapore di sodio ad alta pressione a “luce standard” e “a luce comfort” sono disponibili, nelle versioni tubolare e a bulbo, in un’ampia gamma di potenze da 50 a 1000 W. Gli attacchi sono, a seconda della potenza, dei tipi E 27 o E 40. La durata di vita media arriva alle 15000 ore. Il collegamento alla rete delle suddette lampade viene realizzato attraverso un alimentatore induttivo e un accenditore elettronico cui è demandata la funzione di fornire i picchi di tensione necessari per l’innesco della scarica.
E 112
Le lampade tradizionali (Fig. E.5.3/13) emettono luce caratterizzata da temperatura di colore compresa tra 4300 e 4900 K e da indice di resa cromatica compreso tra 65 e 70. Hanno efficienza luminosa compresa tra 75 e 90 lm/W. Sono munite di attacco a vite E 40. FIG. E.5.3./13
Lampade ad alogenuri All’interno del loro tubo di scarica vengono introdotti, oltre al mercurio, determinati alogenuri che intervengono nel fenomeno della scarica dando luogo alla produzione di radiazioni luminose atte a integrare le deficienze dello spettro corrispondente al vapore di mercurio. Gli alogenuri adottati sono quelli formati dalla combinazione di determinati metalli con elementi della famiglia degli alogeni quali: il fluoro, il bromo, il cloro e lo iodio. Le lampade ad alogenuri attualmente disponibili possono essere suddivise nelle seguenti famiglie: • compatte con tubo interno di scarica di materiale ceramico; • con tubo interno di scarica di quarzo; • prive del bulbo esterno al tubo di scarica. Lampade con tubo di scarica in materiale ceramico I tubi di scarica in tale materiale offrono, rispetto a quelli in quarzo, il vantaggio di essere inattaccabili da parte del sodio presente nel tubo di scarica e di essere dotati di una maggior resistenza al calore. Le lampade con tubo di scarica di questo tipo (Fig. E.5.3/11) emettono luce caratterizzata da tonalità corrispondente a 3000 od a 4200 K e da indice di resa cromatica compreso tra 80 e 95; la loro efficienza luminosa arriva a circa 90. Sono disponibili, nelle versioni con attacco singolo o doppio nelle potenze di 35-70 e 150 W. La loro durata è di circa 10000 ore. Per la loro alimentazione si può far ricorso, oltre che a reattori elettromagnetici, a reattori elettronici.
Lampade prive del bulbo esterno al tubo di scarica Si tratta di lampade (Fig. E.5.3/14) a doppio attacco realizzate per essere montate in appositi apparecchi di dimensioni compatte e dotati di ottiche speciali ad altissimo rendimento. FIG. E.5.3./14
FIG. E.5.3./11 Sono disponibili nelle potenze di 1000-1800 e 2000 W ed emettono luce caratterizzata da temperatura di colore di 5600 K o di 4200 K. L’indice di resa cromatica e l’efficienza luminosa variano rispettivamente da 80 a 90 e da 85 lm/W a 110 lm/W a seconda dei tipi. Queste lampade sono particolarmente adatte per i casi d’illuminazione sportiva in cui sia necessario rispondere ai più severi requisiti illuminotecnici e in cui si desideri ottenere un’ottima definizione per quanto attiene alle riprese televisive.
CONTROLLO AMBIENTALE • ILLUMINOTECNICA ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE
E.5. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. E.5.3./1 CLASSIFICAZIONE DELLE LAMPADE TIPO LAMPADA
TONALITÀ INDICE DI EFFICIENZA DURATA DELLA RESA CRO- LUMINOSA DI VITA VANTAGGI LUCE [K] MATICA (Ra) [lm/W] [ore]
SVANTAGGI
CAMPI DI IMPIEGO CONSIGLIATI
B.STAZIONI DILEGIZLII
Ambienti domestici
C.RCIZIO
I ED PRE NISM ORGA
LAMPADE A INCANDESCENZA tradizionali
2800
100
12-15
Luce di qualità ottimale; accensione immediata; forcompatta; possibilità di regolarne il flusso lumino- Efficienza luminosa 1000-1500 ma so; possono funzionare in qualsiasi posizione anche molto modesta a temperatura molto bassa
con alogeni
3000 (3200 alcune dicroiche)
100
20-25
3000 (4000 Luce molto brillante di qualità ottimale; forma com- Efficienza e durata relati- Ambienti domestici, negoalcune patta; accensione immediata; per molti tipi è con- vamente modeste zi, alberghi, bar, ristoranti, dicroiche) sentita la regolazione del flusso musei e gallerie d’arte
D.GETTAZIONE
Ampia gamma di scelta per quanto riguarda la Negozi, scuole, uffici, indudi luce; durata ed efficienza elevatissime; Forma piuttosto ingom- strie, edifici pubblici, grandi 8000-10000 tonalità accensione praticamente immediata; per molti tipi brante magazzini, alberghi, ristoè consentita la regolazione del flusso ranti
E.NTROLLO F. TERIALI,
E ESE ESSIONAL PROF
LAMPADE A SCARICA DI GAS fluorescenti lineari
2700 3000 4000 4300 6500
80-98
fluorescenti compatte integrate
2700 4000 6500
78-82
50-55
Risparmio energetico fino all’80% rispetto alle lama incandescenza tradizionali; possono esse Non consentono la rego- Ambienti domestici, alber8000-10000 pade sostituite a queste ultime direttamente negli stessi lazione del flusso ghi, ristoranti e bar apparecchi
fluorescenti compatte non integrate
2700 3000 4000
78-82
60-70
Elevato risparmio energetico; riducono i costi di manutenzione in quanto gli accessori di alimenta8000-10000 zione possono essere riutilizzati al termine della vita delle lampade
a vapori di sodio ad alta pressione
2000 2150
25-65
70-95
85-140
1000015000
Non sono direttamente Illuminazione generale e intercambiabili con le decorativa in ambienti prolampade a incandescen- fessionali e domestici za tradizionali
Elevatissima efficienza luminosa; soprattutto nella L’accensione pur richie- Illuminazione stradale e versione con antenna integrata sono molto resi- dendo meno di un minuto industriale stenti agli urti e alle vibrazioni non è immediata
APPARECCHI DI ILLUMINAZIONE Gli apparecchi di illuminazione sia per interno che per esterno devono in particolare: • assicurare la razionale direzionalità della luce e la massima riduzione dell’abbagliamento; • essere idonei a soddisfare tutti i requisiti tecnici connessi con la sicurezza d’impiego; • essere adatti a garantire un buon funzionamento e un’adeguata durata della o delle lampade in essi montate. • consentire l’agevole sostituzione delle lampade e degli accessori; • soddisfare in misura sufficiente le esigenze di costo, durata ed estetica. Negli apparecchi di illuminazione le modalità di emissione del flusso luminoso sono strettamente connesse con il tipo di “sistema ottico” di cui essi sono dotati. Si possono distinguere, in particolare, due versioni di “sistema ottico”: la versione prevista per riflettere la luce e quella cui è, invece, affidata la funzione di ottenere la rifrazione della luce stessa. Ma ai fini del controllo del flusso luminoso possono giocare un ruolo di notevole importanza anche altri componenti degli apparecchi, quali ad esempio quelli destinati a diffondere la luce e quelli previsti per schermare la luce allo scopo di limitare l’abbagliamento.
zioni ben determinate. Per quanto attiene alla forma i riflettori speculari vengono realizzati utilizzando superfici sia piane che curve. Tra quelli realizzati con superfici curve ricordiamo in particolare: i riflettori circolari (Fig. E.5.3./16), quelli parabolici (Fig. E.5.3./17) e quelli ellittici (Fig. E.5.3./18). FIG. E.5.3./16
I riflettori a riflessione diffusa sono particolarmente adatti quando occorra ottenere una distribuzione della luce su aree relativamente ampie. Per ottenere la finitura a riflessione diffusa si ricorre, ad esempio, a superfici metalliche ricoperte con vernici matte o all’acciaio smaltato. Infine i riflettori a riflessione mista (per la cui fabbricazione si fa ricorso all’alluminio lucidato e martellato) vengono utilizzati nei casi in cui sia richiesto un discreto controllo ottico e quando si voglia conseguire una distribuzione luminosa abbastanza uniforme. SISTEMI PER LA RIFRAZIONE DEI RAGGI LUMINOSI Servono a ottenere un controllo direzionale del flusso. La Fig. E.5.3./19 mostra un rifrattore per plafoniere per interno equipaggiate con lampade fluorescenti lineari; la superficie superiore del pannello è piana mentre quella inferiore è munita di un numero molto elevato di piccoli prismi conici o piramidali.
CO NTALE AMBIE ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM
FIG. E.5.3./19 E.6. MIDA U ARIA
FIG. E.5.3./17
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
SISTEMI PER LA RIFLESSIONE DEI RAGGI LUMINOSI
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
Sfruttano, generalmente, i seguenti princìpi: la riflessione speculare, la riflessione diffusa e la riflessione mista (Fig. E.5.3./15). FIG. E.5.3./15 FIG. E.5.3./18
Ai riflettori speculari (molto spesso realizzati in lastra di alluminio lucidato meccanicamente, chimicamente od elettroliticamente) si fa ricorso quando si desideri realizzare apparecchi d’illuminazione nei quali il flusso luminoso venga orientato con molta precisione in dire-
PRO TTURALE STRU
Diffusione della luce Per ottenere la diffusione della luce si fa ricorso a componenti in vetro smerigliato od in materiale plastico atti, tra l’altro, ad attenuare la luminanza della sorgente così da contenere l’abbagliamento. Schermi Gli schermi (normalmente costituiti da lamelle in materiale plastico od in metallo) valgono a ottenere un particolare tipo di controllo direzionale della luce o comunque a nascondere alla vista le lampade evitando così l’abbagliamento.
➥
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. E.5.3INAZIONE ILLUM IALE IC ARTIF
E 113
E.5. 3.
CONTROLLO AMBIENTALE ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE
•
ILLUMINOTECNICA
➦ LAMPADE E APPARECCHI DI ILLUMINAZIONE ➦ APPARECCHI DI ILLUMINAZIONE ➦ SISTEMI PER LA RIFRAZIONE DEI RAGGI LUMINOSI FIG. E.5.3./20
FIG. E.5.3./21
Le Figg.E.5.3./20 e E.5.3./21 si riferiscono rispettivamente a uno schermo per apparecchi per interno e per esterno. In pratica l’ottica degli apparecchi di illuminazione è essenzialmente costituita dal riflettore e/o dal sistema di rifrazione che controlla la direzione della luce e definisce il tipo del fascio luminoso. È disponibile una grande varietà di modelli di ottiche ognuna progettata per una particolare funzione. La scelta è determinata soprattutto dal tipo di area da illuminare e dai compiti visivi che dovranno esservi svolti. In molti casi è essenziale, in particolare, l’attitudine a garantire il controllo ottimale dell’abbagliamento e della luminanza. Di notevole importanza al riguardo sono le Norme: DIN 5035 –7; CIBSE Lighting Guide 3 (LG3) e CIE/CEN 752. Queste ultime in particolare permettono di stabilire il valore dell’indice UGR (Unified Glare Rating, Indice di abbagliamento unificato). Le categorie fondamentali al riguardo sono UGR 16 per uffici dove sia richiesto un controllo perfetto dell’abbagliamento e UGR 19 per applicazioni standard in uffici. CURVE INDICATRICI DELL’EMISSIONE LUMINOSA Il modo in cui un determinato apparecchio di illuminazione distribuisce nello spazio il flusso emesso dalla sorgente luminosa in esso installata è individuato mediante il diagramma “di ripartizione delle intensità”. A evidenziare la ripartizione valgono le cosiddette “curve fotometriche” che possono essere rappresentate graficamente mediante un sistema di coordinate polari o di coordinate cartesiane. FIG. E.5.3./22
Nel primo caso (Fig. E.5.3./22) i valori delle intensità luminose sono tracciati come vettori radiali nelle direzioni di misura; i punti terminali di tali vettori vengono poi raccordati così da formare una linea che costituisce appunto la curva fotometrica. Nella Fig. 8 la curva continua si riferisce al piano perpendicolare all’asse longitudinale dell’apparecchio mentre la curva tratteggiata si riferisce al piano passante per l’asse longitudinale dell’apparecchio. Nel secondo caso (Fig. E.5.3./23) invece, i valori degli angoli in corrispondenza dei quali sono state valutate le intensità luminose vengono riportati sull’asse orizzontale (ascisse) mentre i valori delle intensità sono riportati sull’asse verticale (ordinate). In entrambi i casi i valori delle intensità luminose sono generalmente espressi facendo riferimento a un flusso di 1000 lm. Per ottenere i valori reali si dovrà moltiplicare ciascun valore riportato sul diagramma per l’indice che si ottiene dividendo per mille il flusso emesso dalla lampada.
Se gli apparecchi di illuminazione sono montati su materiali non infiammabili essi non devono essere contrassegnati da nessun simbolo relativo all’infiammabilità. Gli apparecchi che, disponendo di adeguate protezioni contro l’aumento di temperatura all’interno dovuto, in particolare, a guasto del reattore o del condensatore o della lampada, possono essere montati anche su materiali facilmente infiammabili. TAB. E.5.3./2 PROTEZIONE CONTRO SHOCK ELETTRICI Classe SIMBOLO PROTEZIONE isolamento 0
isolamento base (sconsigliato)
1
isolamento base con connettore a terra
2
doppio isolamento o rinforzato (senza conduttore di terra)
3
alimentazione a bassissima tensione
RENDIMENTO DEGLI APPARECCHI DI ILLUMINAZIONE È dato dal rapporto tra il valore del flusso luminoso effettivamente emesso dall’apparecchio e quello del flusso generato dalla lampada in esso installata. Il rendimento di un apparecchio dipende tra l’altro dal livello qualitativo del sistema ottico. Da notare inoltre che il rendimento degli apparecchi progettati per alloggiare sorgenti luminose di dimensioni molto contenute è maggiore rispetto a quello degli apparecchi previsti per sorgenti di dimensioni notevoli. PROTEZIONE CONTRO LA PENETRAZIONE DI CORPI SOLIDI, POLVERE E ACQUA Per indicare il grado di protezione di un apparecchio contro la penetrazione di corpi solidi, polvere e acqua ci si avvale della sigla IP (International Protection) seguita da due cifre (cifre caratteristiche) che indicano la conformità dell’apparecchio alle condizioni stabilite in apposite tabelle generalmente riportate sui cataloghi dei costruttori. La prima cifra si riferisce al grado di protezione contro l’ingresso della polvere e di corpi estranei. La seconda cifra indica invece il grado di ermeticità rispetto alla penetrazione dell’acqua.
Gli apparecchi non caratterizzati da tale prerogativa devono essere installati su superfici con temperature di innesco superiore a 200°C. D’altra parte la distanza tra la sorgente luminosa e la superficie illuminata deve essere tale da escludere che quest’ultima raggiunga temperature troppo elevate. I valori delle distanze di sicurezza sono indicati sulla confezione degli apparecchi. I simboli relativi alle condizioni di cui sopra sono riportati nella tabella seguente. TAB. E.5.3./3 SIMBOLI PER INFIAMMABILITÀ E DISTANZE MINIME SIMBOLO APPLICAZIONE
nessuno
PROTEZIONE CONTRO GLI URTI MECCANICI La norma Europea EN 50102 definisce i gradi di protezione contro gli impatti esterni di natura meccanica (codice IK). Il grado di resistenza agli urti viene espresso con un indice alfanumerico (per esempio IK 0,6) riferito all’energia in Joule dell’impatto. SICUREZZA ELETTRICA Per quanto riguarda la sicurezza elettrica in rapporto al contatto accidentale diretto con le parti dell’apparecchio che sono normalmente in tensione (ad esempio il portalampada) o con la carcassa esterna gli apparecchi di illuminazione vengono suddivisi nelle seguenti quattro classi: 0; I ; II e III.
FIG. E.5.3./23
INFIAMMABILITÀ E DISTANZA MINIMA PER IL MONTAGGIO
adatto per installazione su superfici non infiammabili
Pietra, cemento
adatto per installazione su superfici normalmente infiammabili
Materiali con temperature d’innesco > 200°C, ritardo di combustione
adatto per installazione su superfici facilmente infiammabili
Materiali con temperatura d’innesco < 200°C, senza ritardo di combustione
distanza minima tra la sorgente luminosa e la superficie illuminata
FIG. E.5.3./24 GLI APPARECCHI A SOFFITTO PROVVEDONO A FORNIRE UNA ILLUMINAZIONE GENERALE L’apparecchio C, collocato fuori dal volume d’offesa, fornisce l’illuminamento restante
VOLUME D’OFFESA
C
E 114
CARATTERISTICHE DEL SOFFITTO
CONTROLLO AMBIENTALE • ILLUMINOTECNICA ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE
E.5. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
DISTANZA MINIMA TRA GLI APPARECCHI, d TAB. E.5.3./4
La distanza tra corpi e pareti si pone pari a d/2.
TIPO DI CORPO A B C D
d 1,1 h 1,1 h h 0,9 h
L’illuminamento necessario sul piano di lavoro può essere fornito in parte (ad es. 3050%) dagli apparecchi a soffitto (illuminazione generale) e parte da apparecchi collocati vicino all’utente, fuori del volume d’offesa (illuminazione locale). (Fig. E.5.3./1).
PRO TTURALE STRU • si passa poi all’individuazione del tipo di lampade (vedi Tab. E.5.3./1) e di apparecchi da adottare; • si calcola (vedi avanti) il numero di centri luce che è necessario installare per ottenere i valori prescritti per ciascuno dei parametri illuminotecnici presi in considerazione; • si determina la disposizione ottimale dei suddetti centri; • si allega all’insieme dei disegni e degli elaborati di progetto una dettagliata relazione tecnica corredata da un adeguato piano di manutenzione.
CALCOLO COMPUTERIZZATO DEL NUMERO DI CENTRI LUCE DA INSTALLARE I calcoli necessari per un’adeguata valutazione dei diversi parametri di cui le varie Norme e Raccomandazioni prescrivono che si debba tenere conto a seconda della destinazione funzionale dell’impianto in esame, sono notevolmente lunghi e complessi, soprattutto nel caso di impianti di illuminazione stradale o di grandi impianti sportivi. Per i calcoli connessi con lo studio dei progetti di illuminazione in generale, ci si serve perciò, ormai, di appositi programmi computerizzati, utilizzabili su normali Personal Computer. Tali programmi sono, a richiesta, messi a disposizione dei progettisti da varie Case costruttrici di lampade e di apparecchi di illuminazione. DESCRIZIONE DI UN PROGRAMMA COMPUTERIZZATO TIPO A titolo d’esempio viene di seguito illustrata la struttura del programma “Calculux for Windows”, relativo all’illuminazione stradale, distribuito dalla Philips. Dati di ingresso: • anzitutto il programma chiede i dati necessari per l’individuazione del progetto in esame e per l’eventuale successivo richiamo; • il progettista deve immettere nel computer i dati relativi alla prevista disposizione dei pali lungo la strada tenendo presente che sono possibili le soluzioni seguenti: lungo il lato sinistro, lungo il lato destro, bilaterale affacciata, bilaterale alternata, lungo lo spartitraffico centrale; • devono poi essere immessi i dati relativi alla soluzione illuminotecnica prevista e cioè: l’interdistanza tra i pali, l’altezza degli stessi, il loro sbraccio e la loro inclinazione, la larghezza della strada, il numero di corsie e la larghezza dello spartitraffico; • il programma richiede infine la classificazione della superficie stradale prevista e il tipo degli apparecchi e delle lampade di cui si è deciso l’impiego.
Dati di uscita Alla fine della fase di immissione dei dati relativi alla soluzione illuminotecnica prevista, sul monitor del computer vengono visualizzati i dati seguenti: • la distribuzione dei valori di luminanza; • i valori della luminanza media, dell’uniformità di luminanza generale e dei parametri relativi alla limitazione dell’abbagliamento; • i valori dell’illuminamento orizzontale unitamente a diversi parametri di qualità; • i valori d’illuminamento semicilindrico. Sulla base di un attento esame dei risultati ottenuti il progettista potrà valutare se la soluzione ottenuta sia adeguatamente rispondente alle “specifiche” richieste. In caso contrario sarà sufficiente impostare nuovamente il calcolo, modificando convenientemente la geometria dell’impianto, fino a ottenere la soluzione ottimale.
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM
CALCOLO MANUALE • il tipo di corpo illuminante (in questo caso, i quattro tipi di Fig. E.5.3./2) e delle corrispondenti curve fotometriche; • il fattore di manutenzione, FU, cioè la pulizia del corpo: b = buona, m = mediocre, n = scarsa; • Il coefficiente di riflessione del soffitto rs , con tre valori: 0,75, 0,50, 0,30, e, per ognuno di questi, tre valori dei coefficienti di riflessione delle pareti, rp: 0,5, 0,3, 0,1. Il numero di apparecchi illuminanti necessari per assicurare l’illuminamento desiderato deve anche tenere conto del fatto che il flusso emesso dalle lampade va diminuendo nel corso della vita della lampada, dal valore iniziale Φ i a quello finale Φ u , tipicamente minore del 15-20%. Di questo si tiene conto mediante un coefficiente di deprezzamento f cui si può attribuire un valore di 0,9-0,95. Inoltre l’armatura dell’apparecchio illuminante riduce il flusso uscente, rispetto al flusso prodotto dalle lampade, con un rendimento µ che si può assumere pari a 0,9. Il numero di apparecchi è dato dall’espressione:
Si definisce indice del locale, i, il rapporto:
Il coefficiente di utilizzazione si può ricavare dalla Tab. E.5.3./1, in funzione delle seguenti grandezze: l’indice di locale, ora definito;
C.RCIZIO
D.GETTAZIONE
Il procedimento per l’impostazione di un progetto di illuminazione si articola nelle seguenti fasi: • si stabilisce quali siano i compiti visivi che dovranno essere svolti nel caso dell’impianto in esame: • sulla base della scelta di cui sopra e di un attento esame delle varie Norme e Raccomandazioni vigenti relative alla specifica destinazione funzionale dell’impianto, si decide quali siano i parametri illuminotecnici da prendere in considerazione e i relativi valori cui attenersi; in particolare, dalla Tab. E.5.2./1 si possono ricavare l’illuminamento sul piano di lavoro e l’indice di resa cromatica desiderati;
a·b i= h · (a+b)
I ED PRE NISM ORGA
E ESE ESSIONAL PROF
PROGETTO DI ILLUMINAZIONE E METODI DI CALCOLO
Al calcolo manuale, basato sul metodo cosiddetto del “flusso totale” o del “coefficiente di utilizzazione”, si fa ormai ricorso soltanto quando si desideri calcolare in prima approssimazione il numero dei centri luce da installare in un dato locale al fine di assicurare un illuminamento medio prefissato, Em, sul piano di lavoro. Sia Φ il flusso luminoso emesso da ciascuna lampada nuova, dato fornito dal costruttore. Si definisce coefficiente di utilizzazione Cu, il rapporto tra flusso luminoso che arriva sul piano di lavoro e il flusso emesso dai corpi illuminanti. Consideriamo il solo caso di illuminazione diretta. Siano: h, distanza verticale tra piano del corpi illuminanti e piano di lavoro (di solito posto a 0,8 m dal pavimento) a e b, dimensioni in pianta del locale in metri Su la superficie utile, ovvero l’area del piano di lavoro da illuminare, che si può assumere pari ad a x b.
B.STAZIONI DILEGIZLII
N=
Em · Su Φi · FU · Cn · f · µ
La distanza tra gli apparecchi non deve superare i limiti mostrati nella Tab. E.5.3./1 per assicurare una uniformità accettabile, in funzione della distanza h e del tipo di corpo illuminante.
Esempio Illuminamento desiderato Em: 800 lx; dimensioni in pianta dell’ambiente: 5 x 6 m quindi Su = 30 m2. Il flusso luminoso totale richiesto è quindi pari a 800 x 30 = 24000 lm. Le lampade siano fluorescenti tubolari, con riflettori a fascio largo del tipo C di Fig. D.5.3./24, con un flusso emesso da ciascuna, Φ , pari a 4000 lm. Se non ci fossero tutti i coefficienti prima definiti, sarebbero quindi sufficienti 6 lampade per fornire il flusso richiesto. La distanza tra corpi illuminanti e piano di lavoro sia pari a 1,5 m. Con questi dati l’indice del locale, i, risulta pari a: 30/16,5 = 1,82. Il coefficiente di riflessione del soffitto sia 0,75 e quello delle pareti 0,50. Dalla Tab. E.5.3./1 si trova che il coefficiente di utilizzazione è pari a 0,62.
E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
Assumendo un fattore di manutenzione buono (0,80), un rendimento dell’armatura pari a 0,90 e un coefficiente di deprezzamento pari a 0,95, il numero di lampade risulta quindi pari a:
N=
800 · 30 = 14 4000 · 0,80 · 0,62 · 0,95 · 0,90
. E.5.3INAZIONE ILLUM IALE IC ARTIF
E 115
E.5. 3.
CONTROLLO AMBIENTALE ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE
•
ILLUMINOTECNICA
➦ PROGETTO DI ILLUMINAZIONE E METODI DI CALCOLO TAB. E.5.3./1 COEFFICIENTE DI UTILIZZAZIONE PER I QUATTRO TIPI DI CORPO ILLUMINANTE DI FIG. E.4.3./2 Cu FU TIPO DI CORPO b
A
B
C
D
rs=,75
rs=,50
rs=,3
rp
rp
rp
i
0,8
0,75
0,75
0,75
m
n
0,7
0,7
0,65
0,65
0,5
0,3
0,1
0,5
0,3
0,1
0,3
0,1
0,6
0,50-0,70 0,70-0,90 0,90-1,12 1,12-1,38 1,38-1,75 1,75-2,25 2,25-2,75 2,75-3,50 3,50-4,50 4,50-6,00
0,28 0,35 0,39 0,45 0,49 0,56 0,60 0,64 0,68 0,70
0,22 0,29 0,33 0,38 0,42 0,50 0,55 0,59 0,62 0,65
0,18 0,25 0,30 0,33 0,37 0,44 0,50 0,54 0,59 0,62
0,26 0,33 0,37 0,40 0,43 0,49 0,53 0,56 0,61 0,65
0,21 0,27 0,32 0,36 0,39 0,44 0,48 0,51 0,56 0,62
0,18 0,24 0,28 0,32 0,34 0,40 0,44 0,47 0,53 0,60
0,20 0,26 0,30 0,33 0,37 0,42 0,47 0,50 0,54 0,58
0,17 0,24 0,27 0,30 0,33 0,38 0,44 0,47 0,52 0,57
0,65
0,50-0,70 0,70-0,90 0,90-1,12 1,12-1,38 1,38-1,75 1,75-2,25 2,25-2,75 2,75-3,50 3,50-4,50 4,50-6,00
0,26 0,32 0,37 0,40 0,42 0,46 0,50 0,52 0,55 0,57
0,23 0,29 0,33 0,36 0,39 0,43 0,46 0,48 0,52 0,54
0,21 0,27 0,31 0,34 0,36 0,40 0,43 0,45 0,49 0,51
0,23 0,28 0,31 0,34 0,36 0,41 0,44 0,46 0,48 0,49
0,21 0,26 0,29 0,31 0,33 0,38 0,40 0,44 0,46 0,47
0,19 0,24 0,27 0,30 0,32 0,35 0,39 0,41 0,45 0,46
0,19 0,23 0,26 0,28 0,30 0,32 0,34 0,37 0,39 0,42
0,17 0,21 0,24 0,26 0,28 0,30 0,33 0,36 0,38 0,41
0,55
0,50-0,70 0,70-0,90 0,90-1,12 1,12-1,38 1,38-1,75 1,75-2,25 2,25-2,75 2,75-3,50 3,50-4,50 4,50-6,00
0,38 0,46 0,50 0,54 0,58 0,62 0,67 0,69 0,72 0,47
0,32 0,42 0,46 0,50 0,54 0,59 0,64 0,66 0,70 0,71
0,28 0,38 0,43 0,48 0,51 0,56 0,61 0,63 0,67 0,69
0,37 0,46 0,50 0,53 0,56 0,60 0,65 0,67 0,70 0,72
0,32 0,41 0,46 0,50 0,53 0,58 0,63 0,65 0,68 0,70
0,28 0,38 0,43 0,47 0,50 0,56 0,61 0,63 0,66 0,68
0,31 0,41 0,46 0,49 0,52 0,58 0,62 0,64 0,67 0,69
0,28 0,38 0,43 0,47 0,50 0,56 0,61 0,62 0,66 0,67
0,55
0,50-0,70 0,70-0,90 0,90-1,12 1,12-1,38 1,38-1,75 1,75-2,25 2,25-2,75 2,75-3,50 3,50-4,50 4,50-6,00
0,35 0,43 0,48 0,53 0,57 0,61 0,64 0,66 0,68 0,69
0,32 0,39 0,45 0,50 0,53 0,57 0,61 0,63 0,66 0,67
0,30 0,37 0,42 0,47 0,50 0,55 0,59 0,61 0,63 0,66
0,35 0,42 0,47 0,52 0,55 0,59 0,62 0,63 0,66 0,67
0,32 0,39 0,44 0,49 0,52 0,57 0,60 0,61 0,64 0,66
0.30 0.37 0.42 0.47 0.50 0.54 0.58 0.60 0.63 0.64
0,32 0,39 0,43 0,48 0,52 0,56 0,59 0,61 0,63 0,65
0,30 0,37 0,41 0,46 0,50 0,54 0,57 0,59 0,62 0,63
FIG. E.5.3./22 QUATTRO TIPI DI CORPO ILLUMINANTE E CURVE FOTOMETRICHE CORRISPONDENTI A: plafoniera nuda, o con coppa diffondente; B: plafoniera con diffusore; C: plafoniera con riflettore a fascio largo; D: lampada con riflettore a fascio medio
A
C
0° 80°
25° 65°
PLAFONIERA NUDA O CON COPPA DIFFONDENTE
A RIFLETTORE A FASCIO LARGO D
B
0° 70°
40° 40°
DIFFUSORE
E 116
RIFLETTORE A FASCIO MEDIO
CONTROLLO AMBIENTALE • ILLUMINOTECNICA ILLUMINAZIONE NATURALE
A.ZIONI
DEFINIZIONI
Il flusso luminoso totale che raggiunge un punto di una superficie all’interno di un ambiente è il risultato di tre contributi (vedi Fig. E.5.4./1): a) il flusso che arriva sul punto direttamente dal cielo (componente cielo); b) il flusso che arriva sul punto per effetto di riflessioni da parte di superfici poste all’esterno (componente riflessa esterna); c) il flusso che arriva sul punto per effetto di riflessioni da parte di superfici poste all’interno (componente riflessa interna).
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FATTORE DI LUCE DIURNA (O DAYLIGHT FACTOR), D Il fattore di luce diurna in un punto appartenente a una superficie interna è definito come il rapporto tra l’illuminamento in quel punto, dovuto a una distribuzione di luminanza del cielo nota o assegnata, e l’illuminamento su superficie orizzontale esterna in assenza di ostruzioni, prodotto dalla volta celeste con la stessa distribuzione di luminanza. Per entrambi gli illuminamenti si esclude la componente solare diretta. Per quanto riguarda l’illuminamento esterno, Fig. E.5.4./2 riporta i valori dell’illuminamento naturale all’aperto prodotto dalla volta celeste con cielo sereno in funzione dell’ora del giorno, e dei mesi.
FIG. E.5.4./2 ILLUMINAMENTO NATURALE ALL’APERTO PRODOTTO DALLA VOLTA CELESTE CON CIELO SERENO IN FUNZIONE DELL’ORA DEL GIORNO E DEI MESI E TRE COMPONENTI DELL’ILLUMINAMENTO INTERNO
COMPONENTE RIFLESSA ESTERNA
VI
VI V
IV III
VII VIII II
X I
C.RCIZIO
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
IX
XI XII XII
CO NTALE AMBIE
Esempio Sia l’illuminamento misurato in un punto di una scrivania all’interno di un ufficio pari a 700 lx, e quello misurato, nello stesso istante, su un piano orizzontale all’esterno in assenza di occlusioni, ma evitando che lo strumento di misura sia raggiunto dalla luce diretta dal sole, pari a 45,000 lx.
I ED PRE NISM ORGA
D.GETTAZIONE
10 4 FIG. E.5.4./1 LE TRE COMPONENTI DELL’ILLUMINAMENTO INTERNO
B.STAZIONI DILEGIZLII
E ESE ESSIONAL PROF
10 5 [LUX]
ILLUMINAMENTO INTERNO DOVUTO ALLA VOLTA CELESTE
COMPONENTE CIELO
E.5. 4.
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM 10 3
G.ANISTICA URB
Il coefficiente di luce diurna è pari a: 700/45000 = 0,015, ovvero, in termini percentuali, 1.5%. 10 2
COMPONENTE RIFLESSA INTERNA
3
6
9
12
15
18
21 [ ORE ]
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
CALCOLO DEL FATTORE DI LUCE DIURNA Trattandosi di un rapporto, si può ipotizzare che, in prima approssimazione il valore di D in un dato punto dipenda solo dalla configurazione e non dalle condizioni di luce esterna (al variare di questa, varierà circa allo stesso modo l’illuminamento interno). Per configurazione deve intendersi: le dimensioni e la posizione delle pareti e i loro coefficienti di riflessione; la forma, posizione e dimensioni delle aperture e i coefficienti di trasmissione delle superfici vetrate; forma, posizione e dimensioni delle occlusioni esterne, e coefficienti di riflessione delle superfici che li costituiscono. In definitiva D dipende fortemente dalle scelte progettuali. Esistono vari metodi per il calcolo, più o meno accurato, di D, ai quali si rimanda:
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE
TAB. E.5.4./1 VALORI MINIMI CONSIGLIATI PER IL FATTORE DI LUCE DIURNA TIPO DI AMBIENTE
D MINIMI (%)
Edifici in generale
Ingressi
1
Uffici e studi
Generale
2
Banche
Banconi, aree pubbliche
2
Aeroporti e stazioni
Banchi di accettazione, aree per dogana, immigrazione Aree di transito
2 1
Sale da concerto e da riunione
Corridoi Atrii, auditorium Scale
0,5 1 1
E.6. MIDA U ARIA
• quando è richiesta una maggiore precisione, oppure in presenza di geometrie di aperture piuttosto complesse o su piani non verticali: Diagrammi di Waldram (British Standard Institution); Goniometri del British Research Establishment.
Chiese
Navate Pulpito, coro Altare Sagrestie
1 1,5 3-6 2
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
Biblioteche
Scaffali Aree di lettura
1 1
• strumenti più semplici: Metodo tabulare del British Research Establishment; Diagrammi puntinati (Lynes, 1968; Turner 1969); Diagrammi di Pleijel.
Musei e gallerie
Generale
1
Scuole e università
Sale di riunione e aule Aule per arte Banchi di laboratorio Uffici
2 4 3 1
Ospedali
Sale di attesa e ricevimento Corsie Farmacie Camere operatorie Laboratori
2 1 3 2 3
Edifici sportivi
Generale
2
Piscine
Superficie della vasca Zone adiacenti alla vasca
2 1
Il metodo del fattore di luce diurna è stato sviluppato assumendo i modelli di cielo C.I.E. coperto o uniforme a luminanza uniforme: in quest’ultimo caso il fattore non dipende né dall’ora del giorno, né dal periodo dell’anno. Ciò non significa che l’illuminamento sia costante al variare del tempo, ma che è costante il rapporto tra illuminamento interno ed esterno. Più recentemente sono state proposte estensioni del metodo anche a condizioni di cielo differenti, come la distribuzione clear e average, che rappresenta una media di distribuzioni di cielo reali.
E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. E.5.3INAZIONE ILLUM IALE IC ARTIF . E.5.4INAZIONE ILLUM ALE R NATU
E 117
E.5. 4.
CONTROLLO AMBIENTALE ILLUMINAZIONE NATURALE
•
ILLUMINOTECNICA
MATERIALI Le caratteristiche fotometriche dei materiali giocano un ruolo fondamentale nel determinare la distribuzione spaziale e la qualità della luce in un ambiente. Il flusso luminoso che raggiunge l’involucro di un edificio penetra all’interno di questo attraverso strati di materiali trasparenti o traslucidi. Il flusso trasmesso dal materiale risulta, in generale, diverso da quello incidente sia come distribuzione spettrale che come direzione, in funzione della composizione dei raggi incidenti, dell’angolo di incidenza, e delle caratteristiche del materiale. Successivamente, i raggi luminosi incidono sulle diverse superfici che delimitano l’ambiente interno, e vengono da queste in parte assorbite e in parte riflesse, ancora con una modifica tanto della distribuzione spettrale che della direzione, in funzione dello spettro del flusso incidente, dell’angolo di incidenza e delle caratteristiche dei diversi materiali. In definitiva, quindi, le caratteristiche spettrali, di livello e direzionali della luce disponibile, ad esempio, su un piano di lavoro dipendono fortemente, oltre che dalla geometria e morfologia, dalle proprietà dei vari materiali “incontrati” dai raggi luminosi nel loro percorso dalla sorgente al piano di utilizzazione. Una semplice classificazione dei materiali, sia opachi che trasparenti, si può fare sulla base della forma e dell’ampiezza del solido fotometrico riflesso (materiali opachi) o trasmesso (materiali trasparenti). Le categorie sono mostrate in Fig. E.5.4./3.
MATERIALI TRASPARENTI INNOVATIVI
FIG. E.5.4./3 CLASSIFICAZIONE DI MATERIALI OPACHI (prima colonna) E TRASPARENTI (seconda colonna)
Pannelli composti da più strati, che sono trasparenti od opachi a seconda che sia o meno attivato un campo elettrico, generato da una differenza di potenziale tra due degli strati, che fungono da elettrodi. È quindi possibile “accenderli” o “spegnerli” per mezzo di un interruttore, ottenendo variazioni del coefficiente di trasmissione nel visibile, ad esempio da 0,7 a 0,2.
TIPICI MATERIALI RIFLETTENTI (OPACHI): A. speculari: specchi; B. diffondenti: moquette, pannelli di fibre minerali, calcestruzzo poroso; C. con diffusione ampia: vernici opache, tessuti di poliestere calcestruzzo; D. con diffusione stretta: vernici satinate, alcuni rivestimenti plastici; E. diffondenti-speculari: vernici a smalto, superfici lucidate; F. complessi, superfici corrugate e irregolari, metalli piegati o deformati.
Sviluppati di recente, o in via di sviluppo, presentano, proprietà e comportamenti molto differenziati e il cui impiego in edilizia appare, almeno potenzialmente, molto interessante. MATERIALI FOTOCROMICI Si tratta di materiali le cui proprietà fotometriche cambiano in funzione del valore del flusso luminoso che li investe. Ad esempio il loro coefficiente di trasmissione diminuisce se il flusso incidente supera una certa soglia, ovvero si “scuriscono” in presenza di alti flussi (occhiali da sole fotocromici). MATERIALI ELETTROCROMICI
MATERIALI TERMOCROMICI
A
B
TIPICI MATERIALI TRASPARENTI: A. speculari: vetri chiari o colorati, vetri basso-emissivi policarbonati; B. diffondenti: acrilici, rivestimenti di PVC su tessuti in poliestere carta; C. con diffusione ampia: alcuni vetri laminati, policarbonati multi-strato; D. con diffusione stretta: vetri o materiali acrilici goffrati; E. diffondenti-speculari: tessuti per tende e tendine; F. complessi, PVC e policarbonati strutturati, pannelli prismatici acrilici.
Materiali il cui coefficiente di trasmissione varia con la temperatura. Ad esempio, sono stati sviluppati pannelli contenenti gelatine con catene di polimeri con una temperatura di soglia al disopra della quale le catene si “raggomitolano” formando nuclei che rendono opaco il pannello con una riduzione del coefficiente di trasmissione nel visibile anche di due terzi. Questa caratteristica consente una sorta di regolazione automatica, nel senso di
ridurre drasticamente il flusso di energia radiante entrante quando si raggiungano temperature dell’ambiente troppo elevate. FILM OLOGRAFICI È possibile produrre pellicole impressionate con frange olografiche, da applicare sui vetri di una finestra, ad esempio, tali da generare la diffrazione, totale o parziale, della luce incidente, in modo da variare nel senso desiderato la direzione del fascio di luce emergente. L’angolo di diffrazione può essere fatto dipendere in modo prestabilito dall’angolo di incidenza dei raggi incidenti. Questo permette di differenziare il comportamento del componente a seconda delle condizioni esterne: ad esempio, il film può riflettere all’esterno i raggi solari diretti in corrispondenza di certe posizioni del sole (quelle corrispondenti alle ore calde del periodo estivo), e lasciarli invece penetrare, ma con una deviazione verso il soffitto, così da aumentare la penetrazione della luce naturale all’interno, nelle ore fredde. Un problema è costituito dalla dipendenza dell’angolo di diffrazione dalla lunghezza d’onda, che provoca la scomposizione cromatica del raggio uscente. Per correggere tale effetto si può adottare un secondo film con impressioni olografiche casuali, che provochino il mescolamento dei raggi uscenti, e quindi la ricomposizione di una luce “bianca”. Attualmente i film olografici sono disponibili solo in dimensioni limitate (poche decine di cm) e a costi elevati.
MATERIALI TRASPARENTI ISOLANTI
C
D
E
Per tali nuovi materiali è stato coniato un acronimo: TIM (Transparent Insulating Materials). Una categoria di materiali trasparenti isolanti è costituita da materiali con struttura alveolare o capillare , disposta perpendicolarmente rispetto alla giacitura dell’apertura. In genere si tratta di elementi cilindrici o prismatici cavi, con sezione piccola rispetto alla lunghezza, riuniti a formare lastre, in genere poste tra due lastre di vetro piane, se l’impiego è quello di “finestre”. Nella tabella che segue si riportano valori tipici delle seguenti grandezze: coefficiente di trasmissione della radiazione nel campo del visibile a incidenza normale (t) coefficiente di trasmissione energetica globale, ovvero tenendo conto anche della frazione assorbita e riemessa (G); trasmittanza termica (K) e rapporto tra G e K. Quest’ultima grandezza, anche se dimensionalmente poco comune esprime il rapporto tra le due grandezze interessanti dal punto di vista energetico: l’energia radiante trasmessa all’interno (G) che vorremmo grande, sia per il suo contenuto termo-energeti-
co, che per quello luminoso, nei periodi freddi, e l’energia termica ceduta all’esterno negli stessi periodi (proporzionale a K) che vorremmo piccola. Il rapporto dà quindi una idea circa i benefici globali che conseguono alla adozione di materiali diversi dal vetro, rispetto al quale diminuiscono di solito entrambi i termini ma in modo diverso. Così, ad esempio, l’ultima configurazione della Tabella presenta un valore di G minore di quello del vetro singolo ma presenta anche una trasmittanza termica molto minore, così che il rapporto G/K risulta oltre sette volte maggiore (1,07 contro 0,14). Un tipico esempio di applicazione di questi materiali è in finestre o lucernari esposti a Nord, che possono essere grandi quanto serve per illuminare gli ambienti, senza per questo disperdere calore in quantità eccessive, come farebbero lastre di vetro, anche doppio. A questa categoria appartengono anche gli aerogels solidi composti per oltre il 90% di cavità, trasparenti alla luce ma con conducibilità termica molto bassa (fino a 0,008 W/m K).
TAB. E.5.4./2 CARATTERISTICHE DI MATERIALI TRASPARENTI TRADIZIONALI E TIM
F A: B: C: D: E: F:
E 118
speculari, se c’è assenza totale di diffusione; perfettamente diffondenti, se il solido fotometrico è una sfera; con diffusione ampia; con diffusione stretta; diffondenti-speculari, quando i due comportamenti coesistono; complessi, quando il flusso emergente forma un solido fotometrico molto irregolare o con discontinuità, spesso molto variabile con l’angolo di incidenza, e anche a parità di questo, con la direzione.
MATERIALE
t
G
K [W/m2K]
G/K
Vetro singolo
0,78
0,80
5,80
0,14
Vetro doppio
0,62
0,67
2,90
0,23
Vetro doppio low-e
0,62
0,68
1,80
0,38
TIM fra 2 vetri
0,45
0,61
0,93
0,66
0,45/0,00
0,62/0,02
0,58
1,07
TIM fra 2 vetri c. schermo
CONTROLLO AMBIENTALE • ILLUMINOTECNICA ILLUMINAZIONE NATURALE
A.ZIONI
PROGETTAZIONE DELLA LUCE NATURALE Il principale problema cui la progettazione deve dare una risposta per quanto riguarda l’impiego razionale della luce naturale è rappresentato dall’esigenza di far pervenire la luce quando c’è, naturalmente, anche nelle zone più interne dell’edificio. La quantità di luce disponibile sulla superficie dell’involucro nelle ore diurne è, infatti, molto elevata. Basti pensare che la radiazione solare ha valori tipici di qualche centinaio di W/m2. Essendo l’efficienza luminosa della radiazione solare pari a 100-120 lm/W, si può stimare il flusso luminoso naturale incidente su, ad esempio, un m2 di finestra, dell’ordine di alcune decine di migliaia di lumen, cioè quanto basterebbe, se opportunamente distribuito, a illuminare varie decine di metri quadrati di superficie di lavoro. La distribuzione di questo flusso all’interno dell’edificio è però molto disomogenea. Il flusso che penetra, infatti, si distribuisce attraverso una serie di riflessioni da pavimento, pareti, arredi, a ognuna delle quali corrisponde l’assorbimento di una parte del flusso, così che il livello di illuminamento decresce molto rapidamente al crescere della distanza dall’apertura. Nel corso del tempo l’architettura e la tecnologia hanno sviluppato una serie di idee, concretizzatesi poi in componenti edilizi o in schemi funzionali, finalizzate a ottenere la penetrazione della luce quanto più profondamente possibile dentro gli edifici. Fig. E.5.4./4 rappresenta schematicamente un grande edificio a più piani. Il problema è costituito dall’esigenza di distribuire al suo interno il flusso luminoso che colpisce il suo involucro. La soluzione convenzionale consiste nel forare le pareti perimetrali (Fig. E.5.4./5). Questa soluzione risolve il problema di una illuminazione adeguata solo per una fascia limitata, e un aumento delle dimensioni delle aperture – al limite, fino alla facciata tutta trasparente – non rappresenta un rimedio risolutivo, perché se da un lato, aumenta la profondità della fascia interessata dall’altro può generare condizioni di eccessiva illuminazione nella zona più vicina alle aperture, specie in presenza di radiazione diretta dal sole, con valori dell’illuminamento anche dell’ordine di molte decine di migliaia di lux. Per ovviare a questa situazione si è costretti a ridurre il flusso luminoso attraverso le aperture con tende veneziane, schermature varie, il che riduce corrispondentemente l’illuminazione delle zone più lontane, che perdono così il vantaggio dell’aumento delle aperture. Un’altra soluzione tradizionale è data da aperture sulla copertura (lucernari, cupolini, shed ecc., vedi Fig. E.5.4./6). Questa permette di illuminare zone lontane dal perimetro, ma limitatamente a un solo piano. Inoltre le superfici orizzontali, come è noto ricevono una quantità di radiazione nei periodi estivi che tipicamente è quattro-cinque volte maggiore di quella invernale. Questo significa che aperture sulla copertura richiedono controlli molto attenti per evitare surriscaldamenti degli ambienti sottostanti. FIG. E.5.4./4
E.5. 4.
Il problema è stato affrontato introducendo nel progetto architettonico soluzioni quali le chiostrine, i cortili ecc. che hanno l’evidente funzione di aumentare la superficie laterale dell’involucro, aumentando così l’area “illuminabile” con luce naturale (Fig. E.4.4./7). Rispetto al caso da cui si è partiti si tratta di soluzioni che comportano modifiche sostanziali dell’organismo edilizio, una volumetria maggiore, maggiori costi, e un sostanziale aumento delle dispersioni di calore in inverno. Inoltre, il flusso luminoso entrante dalle aperture diminuisce andando verso i piani bassi. Per quanto riguarda l’aumento delle dispersioni, l’adozione di una copertura trasparente (Fig. E.5.4./8), ovvero la creazione di una configurazione (atrio), permette di creare un ambiente-tampone a temperatura sostanzialmente più elevata di quella esterna così limitando le dispersioni. Una variazione su questo tema è costituita dal litrium (light + atrium), atrio che presenta dimensioni decrescenti con la quota, in modo da garantire più luce ai piani inferiori (Fig. E.5.4./9). Esistono poi una serie di soluzioni innovative mirate a ottenere una maggiore penetrazione della luce entrante dalle aperture laterali rappresentate schematicamente nelle Figg. E.5.4./10-11 (mensole di luce, pannelli prismatici, film olografici ecc.).0 Tutte queste soluzioni hanno in comune l’idea di deviare una parte del flusso luminoso incidente verso il soffitto, in modo di alterare il percorso naturale finestra-pavimento. Se il soffitto ha un coefficiente di riflessione elevato, e se, in più, è anche sagomato opportunamente, la luce può essere rinviata in profondità nell’ambiente, aumentando così la profondità della fascia illuminata. Questo aumento è ottenuto mediante una riduzione, dell’illuminamento in prossimità delle aperture. Di conseguenza si può riuscire a evitare l’inconveniente ricordato in precedenza: le aperture possono essere grandi, senza pericolo di eccesso di luce e di abbagliamento nelle zone vicine a esse. Un altro tema di rilievo è la capacità di utilizzare la luce solare diretta, che può rappresentare, come si è appena detto, un grave problema a causa degli elevati valori di luminanza della fonte e di illuminamento sulle superfici esposte. A questo proposito sono state sviluppate soluzioni costruttive basate sul trasferimento del flusso luminoso corrispondente all’interno del corpo edilizio mediante condotti rivestiti di materiali altamente riflettenti, che possono essere orizzontali (Fig. E.5.4./12), chiamati condotti di luce, o verticali (Fig. E.5.4./13), pozzi di luce, alimentati, da captatori solari, fissi o mobili, collocati sulle pareti verticali o sulla copertura rispettivamente. Infine, si sono sperimentati anche sistemi complessi, aventi sempre la funzione di portare il flusso luminoso a penetrare nell’edificio costituiti da fasci di fibre ottiche che trasmettono il flusso concentrato da veri collettori solari parabolici (Fig. E.5.4./14).
FIG. E.5.4./5
FIG. E.5.4./6
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE
FIG. E.5.4./7
FIG. E.5.4./8
FIG. E.5.4./9 E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA
FIG. E.5.4./10
FIG. E.5.4./11
FIG. E.5.4./12
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
FIG. E.4.5./13
FIG. E.5.4./14
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. E.5.4INAZIONE ILLUM ALE R NATU
E 119
E.5. 4.
CONTROLLO AMBIENTALE ILLUMINAZIONE NATURALE
•
ILLUMINOTECNICA
➦ PROGETTAZIONE DELLA LUCE NATURALE COMPONENTI EDILIZI PER L’ILLUMINAZIONE NATURALE LUCERNARIO ORIZZONTALE Apertura situata su una copertura, orizzontale o inclinata, con superfici di chiusura trasparenti o traslucide verticali o inclinate. Consente la penetrazione zenitale di luce naturale proteggendo dalla radiazione solare diretta e/o convogliandola verso lo spazio inferiore così aumentando il livello luminoso, generalmente con luce diffusa. A seconda dell’orientamento si possono individuare vari tipi di lucernari verticali: 1. captatore di luce diretta: orientato verso Sud, Est e Ovest riesce a captare i raggi solari con basso angolo d’incidenza. Per questo motivo è adatto per le alte latitudini. In inverno riesce a captare una quantità di luce maggiore che in estate. La
luce diretta viene intercettata e diffusa dalle pareti del condotto, generalmente trattate con finiture realizzate con materiali riflettenti come specchi, alluminio o vernici altamente riflettenti o da appositi elementi di controllo che evitano l’abbagliamento; 2. captatore di luce diffusa: è orientato verso Nord e riceve luce dalla volta celeste e luce riflessa dalla copertura. Offre un livello di luce uniforme anche se molto più basso del raccoglitore di sole. Le altezze sopra la copertura variano tra 1 e 3 m. È realizzato con gli stessi materiali della copertura; la superficie di chiusura, generalmente realizzata con materiali trasparenti e traslucidi è portata da infissi metallici.
COPERTURA A DENTI DI SEGA (SHED) Serie di superfici parallele successive inclinate con aperture lineari verticali o inclinate per ogni superficie. Tradizionalmente orientate verso Nord, possono anche avere un orientamento Sud, purché siano provviste di elementi che intercettino la radiazione diretta diffondendola (Fig. E.5.4./15). Consente la penetrazione della luce naturale diffusa offrendo allo spazio elevati e omogenei livelli di luminosità. È possibile la ventilazione naturale dello spazio attraverso le aperture che possono essere dotate di infissi mobili. L’altezza delle aperture varia tra 1 e 2,5 m e la lunghezza normalmente coincide con la larghezza dello spazio sottostante. Le parti opache sono realizzate con gli stessi materiali della copertura. Le aperture invece sono composte generalmente da superfici traslucide con infissi metallici.
FIG. E.5.4./15 Θmin
Θmax
CONDOTTO SOLARE È uno spazio non abitabile con una dimensione predominante verticale o orizzontale, progettato in modo da convogliare i raggi solari verso le zone interne dell’edificio. Le superfici interne sono rifinite con materiali con elevato indice di riflessione, con specchi o alluminio o superfici lucide o pitture brillanti. Consente l’illuminazione naturale di zone interne, lontane, dall’involucro esterno dell’edificio e ne permette anche la ventilazione. Sezioni tipiche variano tra 0,5 x 0,5 e 1,2 x 1,2 m, mentre la lunghezza può superare i 15 m. All’estremità è necessario prevedere un componente fisso o mobile, progettato per captare la radiazione diretta. In Fig. E.5.4./16 è rappresentato schematicamente un condotto solare verticale, (pozzo solare) con captatore fisso, sagomato in modo da riflettere verso il basso i raggi solari diretti limitando al massimo il numero di riflessioni successive all’interno del condotto.
FIG. E.5.4./16
MENSOLA RIFLETTENTE (lightshelf) Elemento di controllo usualmente messo in posizione orizzontale al di sopra del livello degli occhi in un’apertura verticale dividendola in un’area superiore e un’altra inferiore (Fig. E.5.4./17). Protegge le zone adiacenti all’apertura dalla radiazione solare diretta riflettendola verso il soffitto, da cui viene ulteriormente riflessa e diffusa verso le zone più interne dell’ambiente, aumentandone il livello luminoso. Rispetto alla chiusura trasparente, può essere interno, esterno, o su entrambi i lati. In estate ombreggia la finestra dalla radiazione diretta, creando all’interno un livello luminoso uniforme grazie alla riflessione dalla superficie superiore dello schermo verso il soffitto. È realizzato con materiali di costruzione come mattoni, calcestruzzo ecc., oppure da strutture in metallo o in legno. La superficie superiore è riflettente e può essere fatta di materiali come specchi, alluminio o superfici lucide. Le dimensioni variano a seconda della latitudine del luogo e dell’orientamento della facciata, dipendendo dagli angoli d’incidenza della radiazione solare.
E 120
FIG. E.5.4./17
CONTROLLO AMBIENTALE • ARIA UMIDA DEFINIZIONI GENERALI
E.6. 1. A.ZIONI
Per molte applicazioni è possibile considerare l’aria come un unico gas, invece che come una miscela di gas. Per quanto riguarda l’aria umida, la considereremo un sistema costituito da una miscela di aria “secca” e di vapor d’acqua. Una grande varietà di fenomeni e trasformazioni che riguardano l’aria umida hanno luogo a pressione atmosferica, specie nel settore del condizionamento ambientale. Se ci si limita a questi fenomeni, si può assumere che la pressione totale della miscela sia costante, e pari a quella atmosferica P. Il contenuto di vapore che l’aria può contenere è limitato. Raggiunto il valore limite si parla di saturazione.
PRESSIONE ATMOSFERICA, P La pressione atmosferica è funzione di molte variabili tra cui: l’altitudine sul livello del mare, la latitudine, le condizioni meteorologiche. In particolare al livello del mare si assume: 3
È il valore dell’umidità specifica alla quale il miscuglio raggiunge la saturazione senza variazioni di temperatura (lungo l’isoterma T = cost). È data dalla condizione:
pv (ws) = ps (T) risolta rispetto a ws. È quindi funzione esclusivamente di T.
2
UMIDITÀ SPECIFICA, w È definita come il rapporto tra massa del vapore, mv e massa di aria secca, ma , presenti nella miscela: w = mv /ma. L’umidità specifica si misura in [kg di vapore/kg di aria secca], oppure in [g di vapore/kg di aria secca]. In quest’ultimo caso si parla a volte di umidità assoluta.
w = 0,622
pv p-pv
pv =
oppure
p ·w 0,622+w
Le pressioni si intendono espresse in [kPa] Esempio. Se w = 10 g vapore/kg aria secca = 0,01 kg
vapore/kg aria secca, pv (w) = 101,325 · 0,01/(0,622 + 0,01) = 1,603 kPa
La pressione di saturazione è la pressione parziale del vapore alla quale si raggiunge lo stato di saturazione della miscela. È funzione solo della temperatura T secondo l’espressione approssimata, in cui T è espressa in °C, valida tra 0 e 40°C: 2
ps = c1 + c2 · T + c3 · T + c4·T c1 = 0,64207 -1 c2 = 0,45822 · 10
3
kPa dove: -3
c3 = 0,5436678 · 10-4 c4 = 0,6300422 · 10
cp,a è il calore specifico a pressione costante dell’aria alla temperatura di circa 20°C, pari a circa 1 kJ/kg·K
È definita come il rapporto tra la pressione parziale del vapore pv, funzione di w, e la pressione di saturazione, ps funzione di T:
cp,v è il calore specifico a pressione costante del vapor d’acqua, pari a circa 1,9 kJ/kg·K.
u=
pv(w) ps(T)
TEMPERATURA A BULBO BAGNATO, Tbb
GRADO DI SATURAZIONE, Φ È il rapporto tra l’umidità specifica della miscela e l’umidità specifica di saturazione alla temperatura della miscela:
φ=
w ws(T)
ovvero, esprimendo le due umidità in funzione delle rispettive pressioni parziali:
φ=
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
L’entalpia risulta quindi funzione sia di w che di T.
pv P-ps P-ps · = u· ps P-pv P-pv
È la temperatura alla quale si raggiunge la saturazione a seguito di una trasformazione isentalpica,lungo la quale il calore (latente) necessario per aumentare il contenuto di vapore viene fornito dal miscuglio stesso,senza apporti dall’esterno,a spese del calore sensibile,cioè della temperatura. Si ottiene dalla condizione: J1 = J2, avendo indicato con J1 l’entalpia dello stato in esame, e con J2 l’entalpia corrispondente al raggiungimento della saturazione con una trasformazione isentalpica. Risulta sempre:
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
Tbb ≤ T
La differenza tra grado di saturazione e umidità relativa è quindi il rapporto (P–ps)/(P–pv) che, in considerazione della differenza di ordine di grandezza tra P e le due pressioni parziali, risulta circa uguale a uno per cui φ ≅ u.
avendosi il segno di uguale solo quando w = ws cioè se il miscuglio è saturo. La temperatura del miscuglio viene anche chiamata temperatura a bulbo secco (o asciutto). Si vede allora che Tbb è funzione sia di w che di T.
TEMPERATURA DI RUGIADA, Tr
RIEPILOGO
È la temperatura alla quale si raggiunge la saturazione diminuendo la temperatura del miscuglio mediante asportazione di calore senza variarne l’umidità specifica. Si ottiene dalla condizione di uguaglianza: ps(Tr) = pv(w). Tr risulta quindi funzione della sola w.
Lo stato di un miscuglio è definito da due qualsiasi delle dieci grandezze definite e riportate in Tabella purché indipendenti tra loro, ovvero scelte in due colonne diverse. Allo stesso modo, ogni grandezza è ricavabile conoscendo i valori assunti da altre due purché indipendenti tra loro.
ENTALPIA, J
PRESSIONE DI SATURAZIONE, pS
B.STAZIONI DILEGIZLII
dove:
r è il calore latente di evaporazione dell’acqua pari a circa 2500 kJ/kg
PRESSIONE PARZIALE DEL VAPORE, pv La pressione parziale del vapore dipende solo dal contenuto di vapore, ovvero dall’umidità specifica, w. Il legame tra pressione parziale del vapore e umidità specifica si può esprimere, esplicitando l’una o l’altra delle due grandezze:
J = cp,a · T + w (r + cp,v · T)
UMIDITÀ RELATIVA, u
Si tratta pertanto di una funzione di T e w.
P = 760mmHg = 101,325 · 10 N/m = 101,325 kPa
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
Ha la seguente espressione:
UMIDITÀ SPECIFICA DI SATURAZIONE, ws
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS
GRANDEZZE FUNZIONE DI:
Trattandosi di trasformazioni che, per ipotesi, avvengono a pressione costante, considerando la miscela come un gas perfetto, le variazioni di entalpia risultano pari al calore scambiato con l’esterno lungo la trasformazione.
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
w
T
weT
w
T
u
pv
ps
J
Tr
ws
Tbb
A E.5. INOTECNIC ILLUM
Si assume come stato di riferimento lo stato:
J = 0 per w = o e T = 0°C. Si misura in [kJ/kg di aria secca]. Si ricordi che 1 kJ/kg = 0,2388 kcal/kg.
DIAGRAMMA PSICROMETRICO Lo stato di una miscela aria secca-vapore d’acqua può essere descritto graficamente come un punto sul diagramma psicrometrico. Il diagramma psicrometrico ha in ascissa la temperatura e in ordinata l’umidità specifica (vedi Fig. E.6.1./2). La Fig. E.6.1./1 mostra come sia possibile leggere sul diagramma le dieci grandezze prima viste. Le pressioni parziali, del vapore o di saturazione, si ottengono dalle corrispondenti umidità specifiche numericamente, per mezzo della espressione:
p = P · w / (0,622 + w) Una trasformazione, che porti la miscela da uno stato a un altro è rappresentabile da una linea, o successione di linee, che collegano i due punti rappresentanti gli stati iniziale e finale.
FIG. E.6.1./1 GRANDEZZE LEGGIBILI SUL DIAGRAMMA PSICROMETRICO CON RIFERIMENTO A UNO STATO A
E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
W Ws,Ps J u,φ Wa,Pa
Tr
Tbb
Ta
T
. E.5.4INAZIONE ILLUM ALE R NATU LI . NERA E.6.1IZIONI GE IN F DE
E 121
E.6. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE • ARIA UMIDA DIAGRAMMA PSICROMETRICO E TRASFORMAZIONI ➦ DIAGRAMMA PSICROMETRICO FIG. E.6.1./2 DIAGRAMMA PSICROMETRICO P = 101.325 kPa 50
60
%
%
% 70
%
% 80
90
0% 10
30
100
-∞
+∞
1.00 .82 .70 .60 .52 .46 .418 .3 .32 8 .2 5 .2
∆J ∆ω
25
90
80
20
.2 .18 2 .16 .13 .10 .07 .03 0.00
20
1.00 1.28 1.78 3.00 10.8 -6.2 -2 -1. .3 -. 3 -.6 92 7
40 %
25
1 -.5 .39 - .30 - 23 -. -.172 -.1 -.08 -.04
UMIDITÀ ASSOLUTA [g/kg a.s.]
30
70
%
30 60
15
15 50
%
20
40
10
10 30 20
10%
ENTALPIA (KJ/Kg a.s.)
5
10
5
0
0
-10
-5
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
0
TRASFORMAZIONI NEL DIAGRAMMA PSICROMETRICO TRATTAMENTO DELL’ARIA
RISCALDAMENTO E RAFFREDDAMENTO
In molte applicazioni di climatizzazione si ricorre al trattamento dell’aria. Questo significa sottoporre un certo quantitativo di aria umida a trasformazioni che ne cambino lo stato. In genere ci si riferisce a portate, cioè a deflussi di aria umida entro condotti. In generale la portata è la massa che attraversa una sezione di un condotto nell’unità di tempo, e si misura quindi in kg/s. Nei processi di trattamento dell’aria umida si fa riferimento alla sola aria secca. Si parla, cioè, di kg di aria secca al secondo (kg a.s./s), sottintendendo che ogni kg di aria porti con sé w g (o kg) di vapore. Si ricordi che anche l’entalpia è riferita al kg di aria secca.
Trasformazioni che comportino solo variazioni di temperatura, senza variazioni del contenuto di vapore, sono rappresentate sul diagramma psicrometrico da segmenti orizzontali, che portano, dallo stato iniziale A, verso destra, in caso di riscaldamento, verso sinistra, in caso di raffreddamento. Si noti che, in queste come in qualsiasi altra trasformazione, la differenza tra le entalpie dei due stati, finale e iniziale Jfin - Jin rappresenta il calore scambiato (da fornire o da sottrarre) per kg di aria secca. Se si deve trattare una portata G, quindi, il prodotto G(Jfin - Jin) che ha le dimensioni kJ/s, ovvero kW, è la potenza (termica o frigorifera, a seconda del segno) necessaria per compiere la trasformazione.
MISCELA DI DUE PORTATE FIG. E.6.1./3 MISCELAZIONE DI DUE PORTATE Si supponga che due portate (kg a.s./s) Ga e Gb negli stati A e B caratterizzati rispettivamente da umidità specifica wa e wb e da entalpia Ja e Jb si miscelino dando origine a una portata Gc (Fig. E.6.1./3) di una miscela nello stato C caratterizzato da wc e Jc .
Gb
FIG. E.6.1./4 PUNTO RAPPRESENTATIVO DELLO STATO DELLA MISCELA RISULTANTE DALLA MISCELAZIONE DI DUE PORTATE W
Si trovano facilmente le relazioni:
wa -wc wc-wb
=
Gb Ga
e
Ja -Jc Jc-Jb
=
Gb Ga
le quali dicono che il punto rappresentativo dello stato C del miscuglio risultante si trova, nel diagramma psicrometrico, sul segmento che unisce i punti rappresentativi degli stati A e B in una posizione tale (Fig. E.6.1./4) da dividere il segmento in due parti proporzionali ai rapporti Ga/Gc e Gb/Gc.
E 122
B C Ga
Gc
A Gb Gc
Ga Gc
T
CONTROLLO AMBIENTALE • ARIA UMIDA DIAGRAMMA PSICROMETRICO E TRASFORMAZIONI
E.6. 2. A.ZIONI
UMIDIFICAZIONE CON ACQUA POLVERIZZATA
DEUMIDIFICAZIONE
UMIDIFICAZIONE CON IMMISSIONE DI VAPORE
Se si suppone di introdurre nella miscela allo stato A acqua polverizzata alla stessa temperatura, grazie alla grande superficie di contatto tra goccioline e aria ci sarà una evaporazione che farà aumentare l’umidità specifica da wa a wb. La trasformazione sarà una adiabatica non essendovi alcuno scambio di calore con l’esterno e quindi, con le ipotesi fatte, anche una isentalpica. La trasformazione sarà quindi del tipo mostrato in Fig. E.6.1./5.
Si immagini di voler trattare un miscuglio nello stato iniziale A fino a uno stato finale B (Fig. E.6.1./6), che comporti una riduzione del contenuto di vapore e una riduzione di temperatura. Si può operare una prima trasformazione di sottrazione di calore, che permette di raggiungere la curva di saturazione (punto C) e di seguirla fino alla umidità specifica desiderata (punto D), seguita da una seconda trasformazione, detta di post-riscaldamento, che permetta di giungere alla temperatura desiderata. Dal punto di vista energetico, la prima trasformazione comporta una sottrazione di calore per unità di aria secca trattata pari alla variazione di entalpia Jd – Ja; la seconda trasformazione comporta una cessione di calore al miscuglio pari a Jb – Jd .
L’umidificazione può anche essere ottenuta per mezzo di introduzione direttamente di vapore, secondo lo schema illustrato in Fig. E.6.1./7. La trasformazione è (circa) una isoterma, ovvero un segmento verticale sul diagramma psicrometrico (Fig. E.6.1./8).
FIG. E.6.1./5 TRASFORMAZIONE DI UMIDIFICAZIONE CON ACQUA POLVERIZZATA
FIG. E.6.1./7 SCHEMA DI UMIDIFICAZIONE DI UNA PORTATA CON VAPORE
Jw
A
J = cost
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
Gw
FIG. E.6.1./8 TRASFORMAZIONE DI UMIDIFICAZIONE CON VAPORE
D
Wb
G.ANISTICA URB
W B
E ESE ESSIONAL PROF
CO NTALE AMBIE
W
C
C.RCIZIO
E.NTROLLO
FIG. E.6.1./6 TRASFORMAZIONE DI DEUMIDIFICAZIONE
W
I ED PRE NISM ORGA
PRO TTURALE STRU
Jb Wb
Ja Wa
B.STAZIONI DILEGIZLII
D.GETTAZIONE
Gb
Ga
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
Jb
B
A B
Ja Td
T
Tc Tb
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
Ta T
A T
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE
CENNI SUL CONDIZIONAMENTO DELL’ARIA
E.4. ICA T ACUS
FIG. E.6.1./9 SCHEMA DI CONDIZIONAMENTO DELL’ARIA Si immagini di voler mantenere condizioni di temperatura e umidità costanti in un ambiente in presenza di apporti di calore e di vapor d’acqua all’ambiente stesso (“apporti” che possono essere sia in ingresso (>0) che in uscita (<0)).
Di sicuro si può dire che, dati W e V, tutti i possibili stati I si troveranno sulla retta (retta di introduzione):
Ja - Ji wa-wi
=
W V
cioè
∆J ∆w
La posizione del punto rappresentativo dello stato I su tale retta dipenderà dal valore di G: tanto minore sarà G tanto più il punto si troverà lontano dal punto rappresentativo dello stato A.
La soluzione (Fig. E.6.1./9) è costituita dalla estrazione dall’ambiente di una portata d’aria G nello stato A e dall’immissione di una ugual portata nello stato I cioè wi e Ti , con corrispondente entalpia Ji tali che risultino soddisfatte le due equazioni:
La portata in ingresso allo stato I sarà, in generale, il risultato del trattamento operato su una portata prelevata alle condizioni dell’ambiente esterno E, cioè we e Je .
G·(wa-wi) = V conservazione della massa di vapore G·(Ja-Ji) = W conservazione dell’energia
Oppure, per evidenti motivi di risparmio energetico, di una miscela di due portate G1 e G2 , l’una prelevata all’esterno, l’altra ripresa dalla portata estratta dall’ambiente, allo stato A.
Si tratta di un sistema di due equazioni nelle tre incognite G, wi e Ji (o Ti ) che ammette quindi infinite soluzioni.
La portata in ingresso sarà quindi in uno stato M tale che il suo stato wm e Jm sia definito dalle (Fig. E.6.1/10):
G · Jm = G1 · Je + G2 · Ja
W
Wa
V
Ja
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
Wi Ji FIG. E.6.1./10 CONDIZIONAMENTO DELL’ARIA
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
W
E M A I
G · wm = G1 · we + G2 · wa
essendo, ovviamente G = G1 + G2 .
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA
= costante
Siano Ta e wa le condizioni da mantenere, e di conseguenza Ja l’entalpia corrispondente a tale stato A, W la potenza termica entrante nell’ambiente e V la massa di vapore entrante nell’unità di tempo.
Si può pensare di fissare G in base a considerazioni igieniche (esigenze di ricambio dell’aria), e trovare quindi wi e Ji.
Wa Ja
retta ∆j / ∆w T
. E.6.2 AMMA R E DIAG METRICO I N PSICOORMAZIO F TRAS
E 123
E.7. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE TRASMISSIONE DEL CALORE
•
FLUSSI ATTRAVERSO LE PARETI
Il calore si trasmette all’interno di un corpo, o tra corpi diversi, solo se esistono differenze di temperatura. Il calore si trasferisce spontaneamente solo nella direzione delle temperature decrescenti, cioè da temperature maggiori a temperature minori. Esistono tre meccanismi fondamentali mediante cui il calore si trasferisce: conduzione interna, convezione e irraggiamento.
CONDUZIONE INTERNA
Si parla di conduzione interna quando si ha flusso di calore all’interno di un corpo senza trasferimento di massa. Il flusso di calore è legato alla esistenza di differenze (gradienti) di temperatura.
tura T, si può ottenere mediante l’espressione seguente, dove λ è una proprietà dei materiali detta conduttività termica interna.
Q=λ
Definiamo superfici isoterme le superfici tali che tutti i loro punti abbiano la stessa temperatura. Se si considera il caso di due superfici isoterme poste a distanza ∆n, e caratterizzate da temperature T e T–∆T rispettivamente, si può verificare sperimentalmente che la quantità di calore, Q, che passa nel tempo ∆T attraverso l’areola ∆A della superficie isoterma a tempera-
∆t·∆A·∆T ∆n
Definiamo flusso di calore, Q, la quantità di calore trasmesso per unità di tempo, ovvero:
Q=λ
∆t·∆A·∆T ∆n
PARETE PIANA IN REGIME STAZIONARIO Il caso più semplice di trasmissione di calore per conduzione interna è costituito da uno strato piano di spessore s, di area A, di un materiale omogeneo e isotropo con conduttività termica interna l con le due facce mantenute a temperature diverse, T1 e T2, in regime stazionario, ovvero senza variazioni nel tempo delle temperature.
ovvero che varia linearmente da T1 a T2 mentre il flusso di calore da 1 a 2 è dato da:
q=
λ ·A·(T1-T2) s
Questa espressione può anche essere messa nella forma:
Supponiamo T1 > T2 .
q=
Si trova che le superfici piane parallele alle facce sono superfici isoterme e che la temperatura della superficie posta a distanza x dalla faccia 1 è data dall’espressione:
T1-T2 T(x) = T1-x· s
(T1-T2) R
dove il termine
R=
s λ ·A
è definito resistenza termica dello strato.
PARETE PIANA A PIÙ STRATI IN REGIME STAZIONARIO Se la parete è formata da n strati di materiali omogenei di spessore si e con conduttività termica interna λi , con i = 1, 2, ..., n, si possono definire n resistenze termiche
Ri =
si in serie. λ i ·A
Le due facce limite siano ancora alle temperature T1 e T2 costanti nel tempo. La resistenza totale, Rtot , della
parete è data dalla somma di tutte le resistenze dei singoli strati: n
Rtot = ∑Ri = i=1
s1 s2 sn sn 1 s1 s2 + + = + +...+ λ 1·A λ 2·A λ n·A A λ 1 λ 2 λn
Analogamente a quanto visto per lo strato singolo il flusso di calore è dato da:
q=
(T1-T2) Rtot
Per quanto riguarda le temperature, si trova che l’andamento è lineare all’interno di ogni strato, ma con pendenze diverse.
E 124
Se chiamiamo caduta di temperatura ∆Ti , la differenza tra le temperature delle due facce limite dello strato iesimo, e caduta totale, ∆Ttot la differenza (T1 – T2), sussiste la seguente relazione:
∆T1 ∆Ttot
=
Ri Rtot
ovvero il salto totale si ripartisce tra i diversi strati in proporzione al contributo che ciascuno strato fornisce alla resistenza termica totale della parete: in corrispondenza degli strati più resistenti (grande spessore e/o piccola conduttività interna) si avranno i salti più grandi. Il tracciamento del profilo di temperatura all’interno di una parete a più strati è quindi del tipo di quello mostrato in Fig. E.7.1./1A, in cui si sono ipotizzati 5 strati di cui uno, il terzo, costituito da un materiale isolante, cioè con λ3 piccola e quindi grande resistenza. Si vede che quindi ∆T3 risulterà grande cioè che vi sarà una brusca variazione di temperatura in corrispondenza di tale strato.
FIG. E.7.1./1 PROFILI DI TEMPERATURA E PRESSIONE DEL VAPORE – DIAGRAMMA DI GLASER
CONTROLLO AMBIENTALE
•
FLUSSI ATTRAVERSO LE PARETI TRASMISSIONE DEL CALORE
A.ZIONI
CONVEZIONE Si parla di trasmissione di calore per convezione quando almeno uno dei corpi che partecipano allo scambio è un fluido. Qui ci limiteremo ai casi di scambio tra pareti solide e fluido. La convezione è caratterizzata dal moto del fluido, per cui il trasporto del calore è associato a un trasporto di massa, ovvero al trasferimento di parti di fluido con temperature diverse. La convezione può essere naturale, quando il moto del fluido è causato dalle differenze di densità derivanti dalle differenze di temperatura. Si parla di convezione forzata quando il moto è causato da agenti esterni quali vento, pompe, ventilatori, ecc.
Per calcolare il flusso di calore, anche per la convezione si adotta una espressione del tipo:
q = hc·A·(T1-T2) dove T1 e T2 sono le temperature della parete e del fluido, rispettivamente e dove hc , definito fattore di convezione, è funzione di molte grandezze che caratterizzano il fenomeno, e in particolare delle caratteristiche del fluido della geometria della parete (superfici piane, cilindriche, spigoli, verticali, inclinate ecc.), delle dimensioni, e del fatto che si tratti di convezione naturale
oppure forzata. Valori tipici di hc sono facilmente reperibili nella letteratura. Anche per la convezione si può parlare di resistenza termica convettiva Rc , definita dalla espressione:
q=
(T1-T2) Rc
Rc =
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
In questo caso la resistenza è quindi pari a:
E ESE ESSIONAL PROF
1 hc·A
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
IRRAGGIAMENTO Ogni corpo emette energia raggiante in funzione della sua temperatura. Se due corpi a temperatura diversa si trovano separati da un mezzo trasparente all’energia raggiante si ha uno scambio di calore per irraggiamento. I CORPI RICEVONO ENERGIA RAGGIANTE L’energia raggiante incidente su un corpo può essere in parte assorbita in parte trasmessa (trasparenza), in parte riflessa. Si definiscono 3 coefficienti: r di rinvio, a, di assorbimento, t, di trasparenza, che esprimono le frazioni di energia incidente rispettivamente riflessa, assorbita e trasmessa. Risulta r + a + t = 1. In generale, r, a, t sono funzione oltre che della natura del corpo, della temperatura del corpo e della lunghezza d’onda della radiazione incidente. A seconda dei valori che assumono questi coefficienti i corpi sono definiti: • corpo nero, se t = r = 0, a = 1, ovvero se il corpo assorbe tutta l’energia radiante che riceve • corpo grigio, se i coefficienti non dipendono dalla lunghezza d’onda • corpo opaco: corpo grigio con t = 0, r + a = 1, cioè che non trasmette energia radiante • corpo perfettamente riflettente: corpo grigio con r=1 e a=t=0 I corpi non grigi, ovvero che hanno comportamenti (valori dei tre coefficienti) che dipendono dalla lunghezza d’onda, sono detti corpi selettivi. Praticamente tutti i materiali impiegati nelle costruzioni si comportano come corpi grigi per quanto riguarda gli scambi di energia che hanno luogo alle temperature “normali” (da qualche grado sotto lo zero fino a qualche decina di gradi centigradi), cioè quando le lunghezze d’onda in gioco sono nel campo dell’infrarosso lontano.
I CORPI EMETTONO ENERGIA RADIANTE Come detto, tutti i corpi emettono energia radiante. L’energia emessa dipende dalla natura del corpo e dalla temperatura. L’energia viene emessa a varie lunghezze d’onda. La distribuzione di energia alle varie lunghezze d’onda è chiamata spettro di emissione. Nel caso dei gas, ogni corpo emette solo ad alcune lunghezze d’onda (spettro d’emissione discreto). I corpi condensati (solidi e liquidi) invece emettono a tutte le lunghezze d’onda (spettro di emissione continuo). L’energia emessa dall’unità di superficie di un corpo nell’unità di tempo è chiamata emittanza globale, J, e si misura in [W/m2]. Nel caso dei corpi neri l’emittanza globale, indicata con J0 , dipende dalla sola temperatura, ed è data dalla legge di Stefan-Boltzmann:
J0 = σ0 · T 4 dove T è la temperatura assoluta, in gradi Kelvin [K], e σ0 è una costante universale, detta costante di Boltzmann pari a 5,6696 x 10-8 W/m2K. I corpi grigi emettono con legge analoga:
J = σ ·T4 dove è σ una costante caratteristica del corpo. σ risulta sempre minore, o al più uguale, a σ0 . Questo significa che, a parità di temperatura, il corpo nero è quello che ha la massima emissione. Si può anche porre σ = η · σ0, dove η è un coefficiente caratteristico del corpo, minore o uguale a 1, chiamato emissività. L’emissività indica quanto un corpo emette, a parità di temperatura, rispetto al corpo nero. Ad esempio, emissività uguale a 0,5 significa che il corpo emette la metà di quanto emetterebbe un corpo nero alla stessa temperatura.
RELAZIONE TRA EMISSIONE E ASSORBIMENTO I due comportamenti di qualsiasi corpo, di emissione e di assorbimento, sono legati dal principio di Kirchhoff, che afferma la uguaglianza tra emissività η e coefficiente di assorbimento a a parità di lunghezza d’onda e di temperatura. Per i corpi grigi si ha quindi, per una data temperatura:
a=η Riprendendo l’esempio precedente, un corpo con emissività uguale a 0,5 ha anche coefficiente di assorbimento pari a 0,5, cioè assorbe la metà della radiazione incidente. Trasmissione di calore per irraggiamento Lo scambio di calore per unità di tempo per irraggiamento tra due corpi grigi di area A1 e A2, con emissività η1 e η2, a temperature T1 e T2, trascurando gli effetti delle riflessioni, si può esprimere con la formula generale:
q = η1 η2 σ0 F1-2 A (T14 - T24) = hr · A · (T1 - T2) dove F1-2 è un fattore, compreso tra 0 e 1, chiamato fattore di forma o di vista, che dipende dalla geometria dei corpi, ed esprime la frazione dell’energia emessa dal corpo 1 che incide sul corpo 2. I valori di questo fattore per le configurazioni più frequenti sono reperibili in letteratura. Sovente si usa la seconda espressione, in cui compare un coefficiente di scambio radiativo, hr , anch’esso reperibile in letteratura. Anche in questo caso si parla di resistenza termica radiativa, Rr , data da:
1 hr ·A
Rr =
Si parla di adduzione quando coesistono scambi di calore per convezione e irraggiamento che si possano esprimere in funzione della stessa differenza di temperatura:
q = h · A · (T1 - T2) dove h = hc + hr è detto coefficiente di scambio o fattore di adduzione. Esempi tipici di adduzione sono gli scambi tra una parete e il fluido e l’ambiente adiacenti, purché la temperatura dell’ambiente (altre superfici con cui la parete scambia per irraggiamento) sia molto vicina a quella del fluido. È questo il caso cui può, in prima approssimazione, essere ricondotta la gran parte degli scambi tra le superfici di un edificio e l’aria, interna o esterna. Le norme UNI forniscono una serie di valori di h per diverse situazioni tipo, come mostrato nella Tab. E.7.1./1.
TAB. E.7.1./1 COEFFICIENTE DI SCAMBIO PER ADDUZIONE PER DIVERSE CONFIGURAZIONI CONFIGURAZIONE
dallo spessore dell’intercapedine dalle temperature delle due facce dall’orientamento delle facce e dalla direzione del flusso del calore dalle emissività delle due facce
9
Come sopra, ma con flusso di calore discendente (pavimento locale riscaldato)
7
Superfici verticali, aria calma (pareti locale riscaldato)
8
Superfici orizzontali e verticali esterne, flusso ascendente, vento fino a 4 m/s (tetti e muri)
23
Superfici orizzontali esterne, flusso discendente, vento fino a 4 m/s (solai)
16
Limitandoci a considerare materiali da costruzione comuni, con emissività circa uguali a 0,9, e temperature delle facce con differenze fino a pochi gradi centigradi con valori medi intorno ai 10-15°C, le resistenze in funzione dei due parametri restanti (spessore e orientamento) sono indicati nella Tab. E.7.1./2.
Superfici orizzontali esterne, flusso discendente, vento con velocità v > 4 m/s
23 + 10,4 x √v 0,7 (2,3 + 10,4 x √v)
TAB. E.7.1./2 RESISTENZA DOVUTA A INTERCAPEDINI D’ARIA ORIENTAMENTO DELL’INTERCAPEDINE Orizzontale Inclinato a 45° Verticale Inclinato a 45° Orizzontale
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE
A E.5. INOTECNIC ILLUM
H [W/m2K]
Superficie orizzontale, aria calma, flusso di calore ascendente (soffitto locale riscaldato)
Superfici orizzontali e verticali esterne, flusso ascendente, vento con velocità v > 4 m/s RESISTENZA DOVUTA A INTERCAPEDINI D’ARIA La presenza di una intercapedine d’aria chiusa (senza flussi d’aria esterna) introduce una resistenza termica aggiuntiva, che dipende:
E.NTROLLO
E.4. ICA T ACUS
ADDUZIONE
• • • •
E.7. 1.
DIREZIONE DEL FLUSSO DI CALORE verso l’alto verso l’alto orizzontale verso il basso verso il basso
SPESSORE [cm] 12 2 4 9 0,132 0,136 0,141 0,148 0,143 0,144 0,148 0,151 0,158 0,166 0,158 0,158 0,160 0,174 0,176 0,176 0,160 0,180 0,201 0,215
E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. E.7.1 ISSIONE M TRAS LORE A DEL C
E 125
E.7. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE TRASMISSIONE DEL CALORE
•
FLUSSI ATTRAVERSO LE PARETI
PARETE PIANA TRA DUE AMBIENTI IN REGIME STAZIONARIO Consideriamo una parete composta da n strati posta tra due ambienti a temperatura Ti (interno) e Te (esterno) rispettivamente con i quali scambi calore per adduzione con coefficienti si scambio hi e he. La resistenza termica totale al passaggio di calore dall’ambiente i a quello e è data dalla somma delle n + 2 resistenze offerte dagli n strati e dai due scambi adduttivi sulle facce limite, attraverso i due strati liminari:
s1 s2 sn 1 1 1 + + +...+ + = hi·A λ 2·A λ 2·A λ n·A he·A A
sn 1 1 s1 s2 + + +...+ + hi λ 1 λ 2 λ n he
TAB. E.7.1./3 PROPRIETÀ TERMOFISICHE DI SOLIDI DIVERSI (valori tipici) (ρ, densità - cp , calore specifico - λ, conduttività interna)
MATERIALE
ρ [kg/m3]
λ Cp [kJ/kg K] [W/m K]
Metalli Alluminio
2700
0,902
236
Bronzo-alluminio (Al 2% - Cu 76% - Zn 22%)
8280
0,400
100
Ferro
7870
0,440
80
Acciaio
7800
0,500
45
Acciaio Inox AISI 316
8238
0,468
13
Ottone rosso (Cu 85% - Zn 15%)
8780
0,400
150
Ottone giallo (Cu 65% - Zn 35%)
8310
0,400
120
Piombo
11340
0,129
35
Nickel
8890
0,440
59
Rame
8933
0,385
399
Zinco
7140
0,388
117
Gomma
1200
2,000
0,15
Linoleum
1800
1,25
0,40
Asfalto
2115
0,920
0,74
• 6 cm di mattoni forati;
Gesso
2290
0,900
0,83
• 4 cm di polistirolo espanso;
Bitume
1100
2,500
0,88
Calcestruzzo di sabbia e ghiaia
2200
0,880
1,49
Calcestruzzo con argilla espansa
1400
0,880
0,50
Calcestruzzo cellulare da autoclave
800
0,880
0,25
Latero-cemento
250
0,880
0,80
Blocchetti di calcestruzzo cavi
180
0,880
1,10
Intonaco di sabbia e gesso
1400
0,900
0,70
Intonaco di calce o cemento e sabbia
1800
0,910
0,90
Intonaco di gesso e vermiculite (o perlite)
720
1,090
0,23
Cemento
2000
0,670
1,40
Mattoni pieni alta densità
1800
0,840
0,72
Mattoni pieni bassa densità
800
0,840
0,30
Lastre di carton-gesso
900
1,090
0,21
Vetro in lastre
2700
0,800
0,76
Pyrex
2230
0,840
1,00
Marmo
2600
0,808
2,80
Pietra
1500
0.800
2,00
Rtot = 1,530 [m2 K/W ]
Tufo
1500
0,700
0,63
K = 0,653 [W/m2K ]
Terra
2000
1,840
0,52
Ghiaccio
913
1,930
2,22
Legno (pino)
550
1,660
0,15
Legno (acero)
720
1,220
0,18
Legno (quercia)
850
1,260
0,22
Legno (abete)
450
1,380
0,12
Moquette su supporto di gomma
80
1,380
0,045
Lana di vetro in pannelli
25
0,670
0,040
Lana di roccia in pannelli rigidi
80
0,670
0,039
Perlite espansa in granuli
100
1,340
0,066
Sughero espanso
80
1,880
0,036
Polistirolo espanso in pannelli rigidi
15
1,220
0,054
Resine ureiche espanse
12
1,610
0,054
Poliuretano espanso
35
1,600
0,035
Schiuma di formaldeide
10
1,400
0,040
Rtot =
Il flusso di calore tra i due ambienti attraverso la parete si può esprimere:
q = K · A · (Ti - Te) dove il termine:
K=
1 1 = sn 1 Rtot 1 s1 s2 + + +...+ + hi λ 1 λ 2 λ n he
è chiamato trasmittanza termica della parete, e si misura, come tutti i coefficienti di scambio termico, in [W/m2 K]. Esempio. Si calcoli la trasmittanza termica della parete verticale di Fig. E.7.1./1A, costituita, a partire dall’interno, dai seguenti 5 strati: • 2 cm di intonaco;
• 20 cm di blocchetti di calcestruzzo alleggerito; • 2 cm di intonaco. I valori delle conduttività termiche dei diversi materiali si possono trovare nella Tab. E.7.1./3, mentre i valori dei coefficienti liminari si trovano nella Tab. E.7.1./1. Per effettuare il calcolo risulta utile servirsi di una Tabella (ad esempio di un foglio elettronico): s [m]
STRATO Liminare interno
–
Intonaco interno
0,02
Mattoni forati
0,06
Polistirolo espanso
0,04
λ [W/m2K] – 0,70 0,36 0,054
Ri 0,125 0,028 0,167 0,740
Ri / Rtot 0,082 0,018 0,109 0,484
Blocchetti di calcestruzzo alleggerito
0,20
0,50
0,400
0,261
Intonaco esterno
0,02
0,90
0,027
0,018
Liminare esterno
–
–
0,043
0,028
Come si vede il salto di temperatura più rilevante si ha in corrispondenza dello strato di isolante, che fornisce il 48,4% della resistenza totale della parete. Il salto di temperatura corrispondente sarà quindi il 48,4% del salto totale.
Materiali da costruzione e vari
Materiali isolanti
PROFILO DELLA TEMPERATURA Il profilo della temperatura si ricava molto semplicemente sottraendo, man mano, i vari salti di temperatura a partire dalla temperatura più alta (nella nostra ipotesi Ti ), e riportando i valori così ottenuti su un grafico che abbia in ascissa i diversi spessori e in ordinata le temperature, come mostrato in Fig. E.7.1./1B. Un metodo grafico molto semplice consiste nel riportare in ascissa, invece degli spessori s j, le resistenze unitarie (per unità di superficie) s j /λ j e 1/h, ovvero deformare la scala delle ascisse in base alle resistenze. Se si traccia un linea retta che congiunge i punti rappresentativi, in ordinata delle due temperature Ti e Te, i valori che si leggono in corrispondenza delle linee di separazione tra due strati sono le temperature di tali punti.
E 126
CONTROLLO AMBIENTALE • FLUSSI ATTRAVERSO LE PARETI RADIAZIONE SOLARE SU PARETI
A.ZIONI
RADIAZIONE SOLARE SU PARETI OPACHE Consideriamo il caso di una parete piana opaca investita da radiazione solare. Supponiamo che la parete sia composta da n strati, e che separi due ambienti a temperature Test e Tint, rispettivamente, in regime stazionario. La parete sia caratterizzata da una trasmittanza termica, K, data da: Supponiamo che la parete sia investita da radiazione solare, I [W/m2], sulla faccia esterna. La parete assorbe aI, essendo a il suo coefficiente di assorbimento nel campo di lunghezze d’onda tipico della radiazione solare (visibile e infrarosso vicino).
K=
• quello corrispondente alla parte di radiazione solare assorbita che andrebbe verso l’interno, se ci fosse solo l’assorbimento di radiazione solare, che si può dimostrare essere pari a:
q’’ = K
Se assumiamo come positivo il calore che esce e negativo quello che entra, il flusso totale uscente sarà dato dalla espressione:
1 s1 s2 sn 1 1 + + +...+ + hest λ 1 λ 2 λ n hint
al hest
q = qtemp - q’’ = K (Tint - Test) - K
Tas = Test +
TAB. E.7.2./4 COEFFICIENTE DI ASSORBIMENTO Il valore del coefficiente a dipende, in sostanza, dal colore della parete. Si possono assumere i seguenti valori tipici:
MATERIALE
a
Asfalto, bitume, vernici nere
0,85 - 0,95
Mattoni rossi, cemento, pietra da taglio, vernici scure, lamiera di ferro ossidata 0,65 - 0,80 Cemento bianco nuovo
0,40 - 0,60
Cemento bianco dopo 6 anni
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
al hest
= K (Tint - Tas)
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
avendo indicato con Tas la temperatura equivalente aria-sole, definita come:
PRO TTURALE STRU
al hest
In altri termini, il flusso di calore totale che attraversa la parete viene espresso in funzione della differenza tra la temperatura interna e questa nuova temperatura fittizia, o equivalente, il che equivale a trattare l’effetto della radiazione come un aumento della temperatura dell’ambiente esterno. Si vede che, in presenza di radiazione, il flusso di calore totale può risultare negativo, ovvero rivolto verso l’interno, non solo quando Test > Ti nt, come può essere il caso estivo, ma anche con Test < Ti nt, cioè d’inverno, purché l’effetto della radiazione assorbita dalla parete, riassunto nel termine aI/hest , risulti maggiore di Ti nt .
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
0,80
Tinteggiature chiare
0,30 - 0,50
Latte di calce
FIG. E.7.2/1 SCHEMATIZZAZIONE DEL FLUSSO DI CALORE ATTRAVERSO UNA PARETE OPACA EST.
0,30 - 0,50
Lo strato superficiale della parete che assorbe la radiazione si porterà a una temperatura, Ts , tale da assicurare l’equilibrio, ovvero che la radiazione assorbita dall’unità di superficie nell’unità di tempo venga ceduta dallo strato in parte q’ verso l’esterno a temperatura Test , in parte q” verso l’interno, cioè verso la parete e, da questa, verso l’ambiente a temperatura Tint :
INT. AI
T est 1 h est
Per descrivere ciò che succede si possono, come si dice, sovrapporre gli effetti, cioè considerare separatamente, e poi sommare, due flussi di calore: quello che attraverserebbe la parete se ci fosse solo la differenza di temperatura tra Test e Tint , che può entrare o uscire, pari a:
q
s1 λ1
s2 λ2
s3 λ3
1 h int
q Tint
Possiamo considerare separatamente i due fenomeni: il flusso di calore totale, q, da/verso la stanza viene considerato come somma (algebrica) di due flussi indipendenti: il flusso di calore dovuto alla trasmissione attraverso il vetro a causa della differenza di temperatura tra
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS
RADIAZIONE SOLARE SU PARETI TRASPARENTI interno ed esterno in assenza di radiazione, che chiameremo qtrasm, e il flusso, diretto verso l’interno, dovuto alla cessione di una parte della radiazione solare assorbita dal vetro, in assenza di differenza di temperatura, che chiameremo qint.
q = qtrasm - qint il segno – è giustificato dal fatto che prendiamo come positivi i flussi uscenti e come negativi quelli entranti nella stanza. Il flusso q int è sempre entrante, quindi negativo. Il flusso q trasm sarà positivo se Tint > Test (caso invernale). Qualora così non fosse, anche q trasm risulterebbe negativo, ovvero sia il flusso per differenza di temperatura che quello dovuto alla radiazione assorbita sarebbero entranti nella stanza, come potrebbe accadere d’estate. Definiamo K la trasmittanza termica della superficie trasparente, che possiamo assumere pari a:
K=
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
Ts
qtemp = K (Tint - Test)
Quando una superficie vetrata è investita da radiazione solare, I, [W/m2], si hanno due effetti che interessano i flussi di energia interno-esterno. Il primo effetto consiste nella trasmissione di una frazione della radiazione incidente, tI, essendo t il coefficiente di trasmissione, o di trasparenza, del vetro. Il secondo effetto consiste nell’assorbimento da parte del vetro di un’altra frazione della radiazione incidente, indicata con aI, dove a è il coefficiente di assorbimento. La parte restante della radiazione incidente, indicata come rI, dove r è il coefficiente di riflessione, o di rinvio, viene riflessa, e non interviene nel bilancio energetico della superficie (Fig. E.7.2/2). Tornando alla radiazione assorbita, e supponendo di trovarci in regime stazionario, ciò che succede è che la temperatura del vetro, a causa dell’assorbimento, si porta a una temperatura di equilibrio, Tvs, più alta rispetto a quella, Tv, che avrebbe, in assenza di radiazione, a causa della differenza tra le temperature esterna e interna. Di conseguenza il flusso di calore attraverso la superficie vetrata viene alterato rispetto al caso di assenza di radiazione, in cui il flusso sarebbe dovuto alla sola differenza di temperatura tra interno ed esterno.
G.ANISTICA URB
0,15
Vernici all’alluminio
•
E.7. 2.
1 sv 1 1 + + hest λ v hint
≅
1 1 1 + hest hint
trascurando il termine Rv = sv/λ v, che risulta molto piccolo rispetto agli altri due, almeno nel caso di lastra singola.
Ad esempio, una lastra di vetro di spessore 4 mm, assumendo una conducibilità termica λ v = 0.8 W/m-K, presenta una resistenza termica Rv pari a 0.004/0.8 = 0.005. Le due resistenze adduttive, Rest e Rint, assumendo i valori dei coefficienti di adduzione, indicati dall’UNI (hest = 23 W/m2K, hint = 8.3 W/m2K), risultano invece pari a 0.043 e 0.120, rispettivamente, per cui la loro somma è 0.163, che rappresenta quindi, in questo caso, circa il 3% della resistenza totale. Si può facilmente dimostrare che il flusso di calore totale, dovuto ai due effetti, attraverso la superficie vetrata è dato dall’espressione:
q = K (Tint - Test) - al
K hest
Come si vede, si è trovata una espressione analoga a quella, relativa a una parete opaca esposta a irraggiamento solare, che ha permesso la definizione della temperatura aria-sole. Nel caso di superfici trasparenti, tuttavia, si preferisce sommare i due contributi energetici dovuti alla radiazione solare: la frazione trasmessa, tI, e q int:
tl + al
K K = (t + a ) l = Gl hest hest
dove il termine tra parentesi, indipendente con G, è chiamato coefficiente di guadagno solare, e risulta adimensionale e minore di uno.
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. E.7.1 ISSIONE M TRAS LORE A DEL C . LARE E.7.2 ZIONE SO RADIARETI SU PA
E 127
E.7. 2./3.
CONTROLLO AMBIENTALE • FLUSSI ATTRAVERSO LE PARETI RADIAZIONE SOLARE SU PARETI ➦ RADIAZIONE SOLARE SU PARETI TRASPARENTI Le superfici trasparenti vengono caratterizzate rispetto a una superficie di riferimento.
FIG. E.7.2./2 BILANCIO ENERGIA INCIDENTE SU UNA PARETE TRASPARENTE
L’ASHRAE indica un vetro di riferimento (lastra singola di vetro chiaro di spessore s = 3 mm), caratterizzato dai seguenti valori dei coefficienti caratteristici per incidenza normale:
I
Nella Tab. E.7.2./2 sono riportati i valori del coefficiente di ombreggiamento per alcuni materiali tipici, assumendo sempre hest = 23 W/m2K. TAB. E.7.2./2 VALORI DEL COEFFICIENTE DI OMBREGGIAMENTO PER ALCUNI MATERIALI TIPICI
a = 0,06 t = 0,86 r = 0,08
s [mm]
t
SC
Vetro singolo chiaro
3
0,86
1,00
Vetro singolo chiaro
6
0,78
0,94
Vetro singolo chiaro
9
0,72
0,90
Vetro singolo chiaro
12
0,67
0,87
Vetro atermico
3
0,64
0,83
Vetro atermico
6
0,46
0,69
Vetro atermico
9
0,33
0,60
Vetro atermico
12
0,24
0,53
Vetro doppio: chiaro esterno, chiaro interno
3
0,71
0,88
Vetro doppio: chiaro esterno, chiaro interno
6
0,61
0,81
Vetro doppio: chiaro esterno, atermico interno
6
0,36
0,55
SUPERFICIE TRASPARENTE tl
rl al
GI
Assumendo come valori standard per i coefficienti di adduzione i valori hest = 23 W/m2K, hint = 8,3 W/m2K, la trasmittanza assume il valore K = 6,1 W/m2K.
q int
q est
Tali valori possono essere assunti come validi per angoli di incidenza compresi tra 0 e 60.
q trasm
Con questi valori, il coefficiente di guadagno solare assume il valore di riferimento, indicato con Gs:
Il complesso dei flussi di energia attraverso la superficie vetrata è quindi ridotto a due soli termini: il flusso di calore dovuto alla differenza di temperatura qtrasm , entrante o uscente, e il guadagno solare GI, entrante (Fig. E.7.2./3). FIG. E.7.2/3 BILANCIO ENERGIA INCIDENTE SU UNA PARETE TRASPARENTE
Gs = 0,86 + 0,06
6,1 = 0,876 23
Il comportamento nei confronti della radiazione solare di qualsiasi altra superficie trasparente viene indicato per mezzo del rapporto tra il coefficiente di guadagno solare di tale superficie, G, e il coefficiente di guadagno solare del vetro di riferimento, Gs:
G SC = Gs A tale rapporto si dà il nome di coefficiente di ombreggiamento (in inglese Shading Coefficient, da cui il simbolo SC). SC è adimensionale come G, e assume valori < 1.
GI q trasm
Noto il valore di SC della superficie trasparente in esame, se I è la radiazione solare che la investe, il guadagno solare attraverso tale superficie è quindi dato da:
Guadagno solare = SC · Gs · l
Dai dati riportati nella Tabella si vede come il guadagno solare si riduce, di solito, molto meno di quanto faccia t. In altri termini, i materiali che trasmettono poca radiazione (t piccolo) di solito presentano però alti valori di a (assorbono molto) e quindi cedono all’interno flussi di calore consistenti. Ad esempio un vetro atermico da 12 mm trasmette per trasparenza solo il 33% della radiazione incidente contro l’86% del vetro di riferimento (trasmette cioè il 38% di quanto trasmette il vetro di riferimento), ma il suo guadagno solare è il 60% di quello del vetro di riferimento.
TRASMISSIONE DEL VAPORE TRASMISSIONE DI VAPORE ATTRAVERSO UNA PARETE Se tra i due ambienti separati da una parete omogenea di spessore s esiste una differenza di pressione parziale del vapore contenuto nell’aria dei due ambienti si genera un flusso di vapore, qv, misurato in grammi (o kg) di vapore trasmesso per unità di tempo, attraverso la parete che si può esprimere mediante una legge simile a quella che fornisce il flusso di calore dovuto a una differenza di temperatura:
qv =
δ ·A· (pvi - pve) s
dove δ è una costante caratteristica del materiale di cui è fatta la parete, che si chiama coefficiente di permeabilità al vapore che si misura in:
gvap / (m · s · Pa)
E 128
e si può quindi interpretare come la massa di vapore che attraversa lo spessore unitario del materiale per unità di area nell’unità di tempo in presenza di una differenza di pressione parziale unitaria. La pressione parziale dipende solo dal contenuto di vapore nell’aria, ovvero dalla umidità specifica, w. Per il calcolo della pressione parziale del vapore si può ricorrere al diagramma psicrometrico (vedi E.6.1./2) per trovare l’umidità specifica, w, e da questa la pressione parziale. Oppure si può ricavare direttamente dalla Tab. E.7.3./1, in funzione della temperatura e dell’umidità specifica. Tipicamente si hanno consistenti differenze tra le pressioni parziali nel periodo invernale Esempio. Si considerino le seguenti condizioni invernali: interno: temperatura 20°C, umidità relativa 50%; esterno: temperatura -5°C, umidità relativa 80%.
Dalla Tab. E.7.2./4 si ricava: pvi = 1,170 kPa e pve = 0,322 kPa. Anche per la trasmissione del vapore si può parlare di resistenza al passaggio del vapore, Rv, data dall’espressione:
qv =
(pvi -pve ) Rv
in cui cioè:
Rv =
s δ ·A
Anche in questo caso, quando si abbiano pareti costituite da n strati omogenei si può parlare di cadute di pressione per ogni stato ∆pv,j, con j = 1, 2, ..., n, legate alla resistenza dello strato attraverso l’espressione:
∆pv,j
∆pv,tot
=
Rv,j
Rv,tot
dove ∆pv,j = pv,i - pv,e è la differenza di pressione parziale di vapore tra i due ambienti, e Rv,tot è la resistenza totale al passaggio del vapore, pari alla somma di tutte le resistenze.
CONTROLLO AMBIENTALE
•
FLUSSI ATTRAVERSO LE PARETI TRASMISSIONE DEL VAPORE
E.7. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. E.7.3./1 PRESSIONE PARZIALE DEL VAPORE [kPa] IN FUNZIONE DELLA TEMPERATURA E DELL’UMIDITÀ RELATIVA TEMPERATURA [°C]
UMIDITÀ RELATIVA [%] 10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
-10
0,026
0,052
0,078
0,104
0,130
0,156
0,182
0,208
0,234
0,260
-5
0,040
0,080
0,121
0,161
0,201
0,241
0,281
0,322
0,362
0,402
0
0,061
0,122
0,183
0,244
0,306
0,367
0,428
0,489
0,550
0,611
5
0,087
0,174
0,262
0,349
0,436
0,523
0,610
0,698
0,785
0,872
10
0,123
0,246
0,368
0,491
0,614
0,737
0,860
0,982
1,105
1,228
15
0,171
0,341
0,512
0,682
0,853
1,023
1,194
1,364
1,535
1,705
20
0,234
0,468
0,702
0,936
1,170
1,403
1,637
1,871
2,105
2,339
25
0,317
0,634
0,951
1,268
1,585
1,901
2,218
2,535
2,852
3,169
30
0,425
0,849
1,274
1,698
2,123
2,548
2,972
3,397
3,821
4,246
35
0,563
1,126
1,688
2,251
2,814
3,377
3,940
4,502
5,065
5,628
Nota: l’ultima colonna, corrispondente a umidità relativa 100% esprime la pressione di saturazione a quella temperatura
Il problema che può sorgere, e che deve essere evitato, è la formazione di condensa all’interno della parete. L’accumularsi di acqua, infatti, può recare grave danno all’integrità dei materiali, in particolare i ferri di armatura e riduce la resistenza termica, specie nel caso di materiali isolanti fibrosi. La condensazione di acqua può avvenire se la pressione parziale del vapore in qualche punto all’interno della parete raggiunge la pressione di saturazione (vedi E.7.3./1). La pressione di saturazione dipende solo dalla temperatura che, vedi capitolo precedente varia all’interno della parete. Il procedimento è il seguente:
Nel caso si riscontri la possibilità di condensa, è necessario prevedere un rimedio, dato dall’inserimento, all’interno della parete, di uno strato di materiale con elevata resistenza al passaggio del vapore, detto barriera al vapore. L’effetto di tale strato è di causare una brusca diminuzione della pressione parziale del vapore che si può così allontanare dal profilo della pressione di saturazione. Tale strato va collocato quindi prima che i due profili si intersechino, cioè tipicamente, prima dello strato di materiale isolante. Porre una barriera dopo lo strato isolante è addirittura controproducente, in quanto ostacola lo smaltimento del vapore verso l’esterno. Materiali adatti come barriere sono gli ultimi indicati in Tab. E.7.3./2, con coefficienti µ dell’ordine delle migliaia, o decine di migliaia.
passo 1: tracciare il profilo di temperatura attraverso la parete; passo 2: tracciare il profilo delle pressioni di saturazione ps, che si ricavano dalle temperature mediante l’espressione riportata in E.6.1 cioè:
ps = c1 + c2 · T + c3 · T 2 + c4 · T 3 oppure direttamente dall’ultima colonna di Tab. E.7.3./1. Come si vede l’andamento della pressione di saturazione non è lineare come quello della temperatura. Sarà quindi necessario calcolarne il valore in vari punti di uno strato non solo sulle facce limite, specie per strati di spessori maggiori, e interpolare. passo 3: definire le due pressioni parziali sulle due facce limite verso i due ambienti, sempre dalla Tabella E.7.3./1, in funzione delle temperature che si hanno in corrispondenza delle facce e delle umidità relative. Circa queste ultime in assenza di dati precisi, si assumono i valori: 50% per l’interno e 80% per l’esterno. passo 4: tracciare il profilo delle pressioni parziali. Si devono trovare le cadute di pressione, ∆pv,j, relative a ogni strato, proporzionali alle resistenze relative degli strati, Rv,i/Rv,tot. Le pressioni parziali hanno invece andamento lineare dentro uno strato, perché dipendono linearmente da x; passo 5: verifica della possibilità di formazione di condensa, che si verifica quando il profilo delle pressioni parziali incrocia quello delle pressioni di saturazione.
Nella Fig. E.7.1./1C sono riportati i profili delle pressioni per la parete a 5 strati già vista, senza barriera al vapore. Si vede come, in corrispondenza dell’isolante si crei una zona di condensa. La Fig. E.7.7./1D mostra la stessa parete, ma con la barriera posta prima dell’isolante. Il profilo delle pressioni di saturazione non cambia, essendo l’effetto della barriera sulle temperature assolutamente insignificante. Quello che cambia drasticamente è il profilo delle pressioni parziali, che presenta una brusca caduta in corrispondenza della barriera, che introduce una nuova, consistente resistenza al passaggio del vapore, nonostante il modesto spessore.
TAB. E.7.3./2 COEFFICIENTE DI RESISTENZA RELATIVA AL PASSAGGIO DEL VAPORE MATERIALE
µ
Intonaco malta di calce e cemento
15
Intonaco malta di cemento
19
Intonaco malta di gesso e calce Rasatura di gesso
Anche in questo caso, come già per il profilo della temperatura, si può utilizzare un metodo grafico molto semplice, analogo a quello visto, che consiste nel riportare in ascissa le resistenze unitarie (per unità di superficie) sj /δj. Se si traccia un linea retta che congiunge i punti rappresentativi in ordinata, delle due pressioni parziali pv, j e pv,e i valori che si leggono in corrispondenza delle linee di separazione tra due strati sono le pressioni di tali punti.
Calcestruzzo pesante
Solitamente, invece che i valori di d si usano i valori del coefficiente di resistenza relativa al passaggio del vapore, µ, numero adimensionale che esprime la resistenza offerta da uno spessore di materiale rispetto alla resistenza che offrirebbe lo stesso spessore di aria. In tal modo le resistenze sono proporzionali al prodotto µj sj e le resistenze relative sono date dai rapporti:
Fibre minerali o vegetali
Rv,j Rv,tot
=
µj ·sj n
∑µj·sj
j=1
Calcestruzzo di pomice Calcestruzzo cellulare
Valori tipici del coefficiente m per diversi materiali sono riportati nella Tab. E.7.3./2.
6,2 24-32 7
Mattoni pieni o forati (densità 1400 kg/m3)
6-7
Mattoni pieni o forati (densità 1500 -1800 kg/m3)
9-10 1,2
Polistirolo (densità 10 kg/m3)
15-50
Polistirolo (densità 20 kg/m3)
40-100
Polistirolo (densità 40 kg/m3)
80-200
Cartonfeltro bitumato (densità 500 kg/m3)
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN L F A N QU NTI CO AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
50-100 3600-18000
Cartonfeltro bitumato ricoperto (densità 500 kg/m3)
80000
Foglio di cloruro di polivinile
50000
Foglio di alluminio
E ESE ESSIONAL PROF
7 5-8
Foglio di cloruro di polietilene Il grafico costituito dai tre profili è chiamato diagramma di Glaser (Fig. E.7.1./1).
11,5
Calcestruzzo di argilla espansa
Poliuretano espanso
C.RCIZIO
URB
BARRIERE AL VAPORE
L’intersezione si può verificare solo nelle zone in cui si hanno brusche diminuzioni della pressione di saturazione, cioè della temperatura. Questo accade in particolare in corrispondenza degli strati di materiale isolante.
I ED PRE NISM ORGA
G.ANISTICA
CONDENSAZIONE INTERSTIZIALE – DIAGRAMMA DI GLASER Le due curve spezzate, che rappresentano i profili delle pressioni, sono entrambe decrescenti andando dall’interno all’esterno, con quello della pressione di saturazione più in alto.
B.STAZIONI DILEGIZLII
80000 infinito
. LARE E.7.2 ZIONE SO RADIARETI SU PA . E.7.3 ISSIONE M TRAS PORE A DEL V
E 129
E.8. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE PROGETTAZIONE ENERGETICAMENTE CONSAPEVOLE RIFERIMENTI NORMATIVI LEGGE 10/1991 Con la legge 10 del 1991 contenente “Norme per l’applicazione del piano Energetico Nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia” vengono regolamentati tutti gli edifici pubblici e privati, di nuova costruzione o soggetti a ristrutturazione, qualunque sia la loro destinazione d’uso. Con la legge 10, il progettista è chiamato a considerare il rapporto del sistema edificio-impianto con il contesto ambientale non solo in termini di perdite di calore da parte dell’edificio, a cui sopperire con la progettazione architettonica e impiantistica, ma sulla base di un bilancio complessivo che tenga conto dell’insieme dei fattori climatici e morfologici che sono in relazione con l’intervento architettonico: In sintesi i fattori che occorre valutare e definire in termini progettuali sono i seguenti:
oggi rappresentano su base comunitaria oltre il 40% dei consumi finali di energia – determinano un progressivo e significativo aumento delle emissioni di biossido di carbonio in atmosfera. La proposta di direttiva indica le principali linee di intervento istituendo un quadro di riferimento in relazione al quale sarà compito dei diversi Stati dell’UE predisporre programmi di intervento e approntare i meccanismi di attuazione.
• condizioni climatiche del luogo dove sorgerà l’edificio, nelle diverse stagioni (temperatura, umidità relativa, ventosità ed irraggiamento solare);
Le principali indicazioni della Commissione implicano per gli Stati membri: • l’obbligo di predisporre una metodologia per il calcolo integrato del rendimento energetico degli edifici; • l’obbligo di individuare i limiti minimi di rendimento energetico degli edifici di nuova costruzione e di verificare la fattibilità dell’installazione di sistemi alternativi di fornitura energetica per gli edifici nuovi di grandi dimensioni; • l’obbligo di applicare opportuni standard di rendimento energetico nel caso di edifici di grandi dimensioni sottoposti a interventi di ristrutturazione; • introduce la “certificazione energetica” degli edifici (nuovi ed esistenti) e ne rende obbligatoria l’attestazione all’atto della costruzione, compravendita o locazione; • impone la certificazione energetica ogni cinque anni di tutti gli edifici pubblici; • fissa regole e modalità relative all’ispezione dei sistemi di climatizzazione.
• caratteristiche dell’area (orientamento, morfologia del terreno, vegetazione, presenza e/o disponibilità di corsi o specchi d’acqua o di altre fonti di energia rinnovabile presenti sul territorio).
LEGGE 10/1991 – REGOLAMENTI DI ATTUAZIONE, CIRCOLARI E NORME TECNICHE DI RIFERIMENTO
Fattori ambientali e morfologici:
Fattori tipologici: • caratteristiche tipologiche dell’insediamento e reciproca disposizione e distanza degli edifici; • orientamento e relativa distribuzione delle unità abitative e dei singoli locali costituenti l’edificio con riferimento alla loro destinazione d’uso prevalente; • distribuzione e orientamento delle superfici trasparenti (rapporto superficie trasparente-superficie opaca, in relazione allo sfruttamento degli apporti solari diretti nel periodo invernale; sistemi di protezione riguardo al controllo dell’irraggiamento nel periodo estivo e all’ottenimento di un adeguato livello di illuminazione naturale); • utilizzo di sistemi solari passivi atti allo sfruttamento degli apporti solari in forma diretta o indiretta e relativa capacità di accumulo termico; • azione dei venti dominanti sull’involucro edilizio e sui serramenti come fattore di infiltrazione e raffreddamento invernale e di raffrescamento estivo. Fattori tecnico-costruttivi: • caratteristiche delle strutture dell’edificio in relazione al loro comportamento in regime termico stazionario e variabile, volte a massimizzare il contenimento dei consumi energetici; • caratteristiche delle strutture per gli aspetti relativi alla condensazione superficiale e interstiziale, alla presenza di ponti termici ed ai parametri di benessere (massima temperatura estiva interna, fattore di luce diurna); • caratteristiche specifiche dei materiali e dei componenti impiegati e loro reciproca compatibilità. Fattori impiantistici finalizzati all’efficienza energetica del sistema edificioimpianto e dei suoi sottosistemi e componenti: • rendimenti dei generatori di calore e dei corpi scaldanti; • recupero scarti di calore; • utilizzo di fonti rinnovabili di energia. Fattori impiantistici finalizzati alla qualità ambientale: • benessere termoigrometrico;
Per una corretta applicazione della legge e per il raggiungimento degli obiettivi che si prefigge sono stati emanati regolamenti di attuazione e circolari esplicative e interpretative riguardanti alcuni degli aspetti tecnici e normativi trattati. Nel seguito, oltre al testo della legge n.10/1991, si farà riferimento anche ai seguenti atti normativi: • Circolare MICA n.219/F del 2 marzo 1992 (GU n.57 del 9 marzo 1992). • Articolo 19 della legge 10/1991 – Obbligo di nomina e comunicazione annuale del tecnico responsabile per la conservazione e l’uso razionale dell’energia. • Circolare MICA n.226/F del 3 marzo 1993 (GU n.56 del 9 marzo 1993). • Articolo 19 della legge 10/1991 – Obbligo di nomina e comunicazione annuale del tecnico responsabile per la conservazione e l’uso razionale dell’energia. • DPR 412/1993 (SO GU n.242 del 14 ottobre 1993). • Regolamento recante norme per la progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell’art.4 comma 4 della legge 10/1991. • Circolare MICA n.231/F del 13 dicembre 1993 (GU n.297 del 20 dicembre 1993). • Art. n.28 della legge 10/1991 – Relazione tecnica sul rispetto delle prescrizioni in materia di contenimento del consumo di energia negli edifici. Indicazioni interpretative e di chiarimento. • DM Industria del 13 dicembre 1993 (GU n.297 del 20 dicembre 1993). • Approvazione dei modelli tipo per la compilazione della relazione tecnica di cui all’art.28 della legge 10/1991, attestante la rispondenza alle prescrizioni in materia di contenimento del consumo energetico degli edifici. • Circolare MICA n.233/F del 12 aprile 1994. • Art.11 del DPR 26 agosto 1993, n.412, recante norme per la progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici. Indicazioni interpretative e di chiarimento. • Decreto 6 agosto 1994. • Recepimento delle norme UNI attuative del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n.412, recante il regolamento per il contenimento dei consumi di energia degli impianti termici degli edifici, e rettifica del valore limite del fabbisogno energetico normalizzato. • DL 8 luglio 1994, n.438. • DM 12 aprile 1996 (Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione e l’esercizio degli impianti termici alimentati da combustibili gassosi). • DPR n.218 del 13 maggio 1998 (GU n.158 del 9 luglio 1998). • Regolamento recante disposizioni in materia di sicurezza degli impianti alimentati a gas combustibile per uso domestico. • DPR 21 dicembre 1999 n.551 (GU n.81 del 4 aprile 2000) “Regolamento recante modifiche al DPR 26 agosto 1993, n.412 in materia di progettazione, installazione, esercizio e manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia”.
• qualità dell’aria; NORMATIVA UNI • protezione dai rumori.
PROPOSTA DI DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO SUL RENDIMENTO ENERGETICO NELL’EDILIZIA Nel maggio 2001 la Commissione Europea ha presentato una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul rendimento energetico nell’edilizia; nel febbraio del 2002 è stato redatto un nuovo testo che recepisce alcuni degli emendamenti approvati da parte del Parlamento europeo. Obiettivo principale della proposta di direttiva è quello di incidere, attraverso il miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici, in un settore i cui consumi – che già
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• UNI 10344 Riscaldamento degli edifici. Calcolo del fabbisogno di energia. (Sostituisce UNI 8066). • UNI 10345 Riscaldamento e raffrescamento degli edifici. Trasmittanza termica dei componenti edilizi finestrati. Metodo di calcolo. • UNI 10346 Riscaldamento e raffrescamento degli edifici. Scambi di energia termica tra terreno ed edificio. Metodo di calcolo. • UNI 10347 Riscaldamento e raffrescamento degli edifici. Energia termica scambiata tra una tubazione e l’ambiente circostante. Metodo di calcolo. • UNI 10348 Riscaldamento degli edifici. Rendimento dei sistemi di riscaldamento. Metodo di calcolo. • UNI 10349 Riscaldamento e raffrescamento degli edifici. Dati climatici. (Sostituisce appendice B della UNI 8477/1 e i prospetti III e IV della UNI 7144).
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE PROGETTAZIONE ENERGETICAMENTE CONSAPEVOLE
E.8. 1. A.ZIONI
• UNI 10351 Materiali da costruzione. Conduttività termica e permeabilità al vapore. (Sostituisce Fa 101/1983 alla UNI 7357 e quindi punto 7.1.2 della stessa norma). • UNI 10355 Murature e solai – valori della resistenza termica e metodi di calcolo. • UNI 10376 Isolamento termico degli impianti di riscaldamento e raffrescamento degli edifici. (Attuativa dell’allegato B del DPR 412/1993). • UNI 10379 Riscaldamento degli edifici – fabbisogno energetico convenzionale normalizzato – Metodo di calcolo. (Attuativa dell’articolo 8, c.3 del DPR 412/1993). • UNI 10389 Generatori di calore – misurazione in opera del rendimento di combustione. (Attuativa dell’articolo 11, c.14 del DPR 412/1993).
PRINCIPALI PRESCRIZIONI DELLA LEGGE 10/1991 La legge 10/1991, con i relativi regolamenti di attuazione, si applica a impianti di climatizzazione invernale di qualsiasi potenzialità installati in edifici sia pubblici che privati. Si riporta nel seguito quanto stabilito dal regolamento di attuazione del c.4 dell’art.4 della legge 10/1991, emanato col DPR 412/1993 e successive modifiche e integrazioni, per le varie fasi di realizzazione ed esercizio degli impianti di climatizzazione invernale. PROGETTAZIONE La progettazione e la relazione tecnica relativa agli impianti di climatizzazione invernale deve essere effettuata nei seguenti casi: • opere relative alla sostituzione di generatori di calore di potenza nominale superiore a 35 kW; • opere relative agli impianti termici di nuova installazione in edifici esistenti e opere relative alla ristrutturazione degli impianti termici; • opere relative a edifici di nuova costruzione o a ristrutturazione di edifici (con riferimento all’intero sistema edificio-impianto termico). IMPIANTI CENTRALIZZATI Zone climatiche • l’edificio deve essere suddiviso in zone climatiche omogenee (zona climatica omogenea o zona termica è lo spazio racchiuso da un involucro edilizio e riscaldato a una temperatura uniforme con gestione del riscaldamento definita); Sistemi di regolazione e controllo • È prescritto l’impiego di sistemi di termoregolazione in grado di mantenere la temperatura ambiente entro i valori prescritti con una tolleranza di ±2 °C; la termoregolazione deve essere pilotata da una sonda di rilevamento della temperatura esterna con una incertezza non superiore a ±2 °C; • È prescritto l’impiego di un sistema per la programmazione degli orari di riscaldamento secondo quanto prescritto per ciascuna zona climatica (vedi Tab. E. 8.1./1); tale sistema dovrà consentire la regolazione della temperatura ambiente almeno su due livelli, a valori sigillabili, nell’arco delle 24 ore. • Il sistema di termoregolazione deve consentire una conduzione dell’impianto con programmi di attenuazione in funzione delle caratteristiche climatiche della zona, delle caratteristiche termofisiche dell’involucro dell’edificio e del regime di conduzione secondo gli obblighi previsti dall’art.9 del DPR 412/1993 (3); • le temperature di mandata e di ritorno del fluido termovettore devono essere misurate con una incertezza non superiore a ±2 °C;
TAB. E 8.1./1 DURATA DEL RISCALDAMENTO PER ZONA CLIMATICA
ZONA CLIMATICA
GRADI-GIORNO
ORE GIORNALIERE DI RISCALDAMENTO
PERIODO DI RISCALDAMENTO
A
< 600
6
dall’1/12 al 15/03
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
SISTEMI DI CONTABILIZZAZIONE DEL CALORE • È prescritta l’installazione di sistemi per la contabilizzazione dell’energia termica per ogni zona omogenea (in relazione al livello di temperatura e alle condizioni di utilizzo) che consentano una equa ripartizione delle spese di riscaldamento condominiali (4);
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
RENDIMENTO GLOBALE MEDIO STAGIONALE • il rendimento globale medio stagionale dell’impianto termico è definito come rapporto tra il fabbisogno di energia termica utile per la climatizzazione invernale e l’energia primaria delle fonti energetiche, compresa l’energia elettrica, calcolato nel periodo annuale di esercizio. • il rendimento globale medio stagionale risulta dal prodotto dei seguenti rendimenti medi stagionali: rendimento di produzione, rendimento di regolazione, rendimento di distribuzione, rendimento di emissione, e deve essere calcolato secondo le metodologie e le indicazioni riportate nella norma tecnica UNI 10348. • L’art.5 c.1 del DPR 412/1993 prescrive che, per impianti di nuova installazione o sottoposti a ristrutturazione, il rendimento globale medio stagionale non deve essere inferiore al valore calcolato con la seguente espressione: ηg = (65 + 3logPn)% dove logPn è il logaritmo in base 10 della potenza nominale espressa in kW.
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
RENDIMENTO DI COMBUSTIONE • deve essere realizzato un punto di prelievo dei prodotti della combustione sul condotto tra la cassa dei fumi del generatore stesso e il camino allo scopo di consentire l’inserzione di sonde per la determinazione del rendimento di combustione; GENERATORI DI CALORE • nel caso di impianti termici ad acqua calda per la climatizzazione invernale con potenza nominale superiore a 350 kW la potenza deve essere ripartita almeno su due generatori di calore (è ammessa deroga nel caso di sostituzione di generatore di calore già esistente, qualora ostino obiettivi impedimenti di natura tecnica o economica quali ad esempio la limitata disponibilità di spazio nella centrale termica); • nel caso di installazione di più generatori di calore in centrale termica, il loro funzionamento deve essere attivato in maniera automatica in base al carico termico dell’utenza; • per gli impianti termici di nuova installazione, con potenza complessiva superiore o uguale a 350 Kw è prescritto l’impiego di sistemi di trattamento dell’acqua nei limiti e con le specifiche indicate nella norma tecnica UNI 8065; • i generatori di calore per la produzione centralizzata di acqua calda per usi igienici e sanitari per una pluralità di utenze di tipo abitativo devono: – essere dimensionati secondo le norme UNI 9182 [UNI 9182: Sperimentale. Edilizia. Impianti di alimentazione e distribuzione d’acqua fredda e calda. Criteri di progettazione, collaudo e gestione, contenuta nel volume UNI M10], – disporre di un sistema di accumulo dell’acqua calda di capacità adeguata [Capacità di accumulo: appendice L della norma UNI 9182.[Contenuta nel volume UNI M10], coibentato in funzione del diametro dei serbatoi secondo le indicazioni valide per le tubazioni (3), – essere progettati e poter essere condotti in modo che la temperatura dell’acqua, misurata nel tempo, immessa nella rete di distribuzione, non superi i 48°C + 5°C di tolleranza (4); • la produzione centralizzata dell’energia termica necessaria alla climatizzazione invernale degli ambienti e la produzione di acqua calda per usi igienici e sanitari per una pluralità di utenze deve essere effettuata con generatori di calore separati, fatte salve eventuali situazioni per le quali si possa dimostrare che l’adozione di un unico generatore di calore non determini maggiori consumi di energia o comporti impedimenti di natura tecnica o economica; • gli edifici multipiano costituiti da più unità immobiliari devono essere dotati di appositi condotti di evacuazione dei prodotti di combustione, con sbocco sopra il tetto dell’edificio alla quota prescritta dalle norme tecniche UNI 7129 [UNI 7129: Impianti a gas per uso domestico alimentati da rete di distribuzione: progettazione, installazione e manutenzione, contenuta nel volume UNI M11-1] nei seguenti casi: – nuove installazioni di impianti termici, anche se al servizio delle singole unità immobiliari, – ristrutturazioni di impianti termici centralizzati, – ristrutturazioni della totalità degli impianti termici individuali appartenenti a uno stesso edificio, – trasformazioni da impianto termico centralizzato a impianti individuali, – impianti termici individuali realizzati dai singoli previo distacco dall’impianto centralizzato.
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
RETE DI DISTRIBUZIONE
B
600 – 900
8
dall’1/12 al 31/03
C
900 – 1400
10
dal 15/11 al 31/03
D
1400 – 2100
12
dall’1/11 al 15/04
E
2100 – 3000
14
15/10 al 15/04
F
> 3000
nessuna limitazione
nessuna limitazione
• la rete di distribuzione deve essere progettata in modo da assicurare: – che il valore del rendimento medio stagionale di distribuzione sia compatibile con le disposizioni di cui al c.1 relative al rendimento globale medio stagionale, – che tutte le tubazioni di distribuzione del calore siano installate e coibentate [Coibentazione delle tubazioni: allegato B al DPR 412/1993], – che le tubazioni portanti fluidi a temperature diverse, quali ad esempio le tubazioni di mandata e ritorno dell’impianto termico, siano coibentate separatamente; – che l’impianto termico per la climatizzazione invernale sia dotato di un sistema di distribuzione a zone che consenta la parzializzazione di detta climatizzazione in relazione alle condizioni di occupazione dei locali qualora siano circoscrivibili zone di edifici a diverso fattore di occupazione (ad esempio singoli appartamenti e uffici, zone di guardiania, uffici amministrativi nelle scuole);
➥
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. E E.8.1ETTAZION TE PROG ETICAMEN G ENER APEVOLE CONS
E 131
E.8. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE PROGETTAZIONE ENERGETICAMENTE CONSAPEVOLE ➦ RIFERIMENTI NORMATIVI ➦ PRINCIPALI PRESCRIZIONI DELLA LEGGE 10/1991 ➦ RETE DI DISTRIBUZIONE • nel caso di edifici, o porzioni di edificio, normalmente soggetti a una occupazione discontinua nel corso della settimana o del mese è necessaria l’installazione di un programmatore settimanale o mensile che consenta lo spegnimento del generatore di calore o l’intercettazione o il funzionamento in regime di attenuazione del sistema di riscaldamento. RICORSO A FONTI RINNOVABILI DI ENERGIA • Il ricorso a fonti rinnovabili di energia o assimilate è obbligatorio per gli edifici di proprietà pubblica o adibiti a uso pubblico, salvo impedimenti di natura tecnica o economica; tale limite di convenienza economica è determinato dal recupero, calcolato come tempo di ritorno semplice, entro un periodo di otto anni degli extracosti dell’impianto che utilizza le fonti rinnovabili o assimilate rispetto a un impianto convenzionale; il tempo di ritorno semplice è elevato da otto a dieci anni per edifici siti nei centri urbani dei comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti. [E1 EDIFICI ADIBITI A RESIDENZA CON CARATTERE CONTINUATIVO: Impianti con pannelli solari piani per produzione di acqua calda per usi igienici e sanitari destinati ad abitazioni civili, case di pena, caserme, collegi, conventi, comunità religiose, siti in località con irradianza media annuale su piano orizzontale maggiore di 150 W/m2]; IMPIANTI AUTONOMI Il progetto deve prevedere: • l’impiego di un sistema di termoregolazione ambientale e di programmazione, pilotato da una o più sonde di misura della temperatura ambiente, che consenta la regolazione della temperatura ambiente su almeno due livelli di temperatura nell’arco delle 24 ore; • l’impiego di generatori isolati rispetto all’ambiente abitato (ad esempio apparecchi del tipo C, nei quali il circuito di combustione è stagno rispetto al locale in cui sono installati), • i nuovi impianti termici individuali o gli impianti realizzati dai singoli previo distacco dall’impianto centralizzato devono essere dotati di appositi condotti di evacuazione dei prodotti di combustione, con sbocco sopra il tetto dell’edificio (UNI 7129: Impianti a gas per uso domestico alimentati da rete di distribuzione: progettazione, installazione e manutenzione). RELAZIONE TECNICA • Secondo l’art.28 della legge 10/1991 il progettista è tenuto a redigere una relazione tecnica corredata, ove occorra, di elaborati grafici. La relazione tecnica è obbligatoria per i seguenti interventi secondo le modalità previste dal DM 13 dicembre 93: – opere relative alla sostituzione di generatori di calore di potenza nominale superiore a 35 kW; – opere relative agli impianti termici di nuova installazione in edifici esistenti e opere relative alla ristrutturazione degli impianti termici; – opere relative a edifici di nuova costruzione o a ristrutturazione di edifici (con riferimento all’intero sistema edificio-impianto termico). • Per opere relative alla sostituzione di generatori di calore di potenza inferiore a 35 kW, il Comune dovrà stabilire le modalità e la documentazione che dovrà essere presentata. • Il proprietario dell’edificio, o chi ne ha titolo, deve depositare in Comune, in doppia copia insieme alla denuncia dell’inizio dei lavori relativi, il progetto delle opere stesse corredate della relazione tecnica, sottoscritta dal progettista o dai progettisti, che ne attesti la rispondenza alle prescrizioni della presente legge. • Nel caso in cui la denuncia e la documentazione non sono state presentate al Comune prima dell’inizio dei lavori, il Sindaco, fatta salva la sanzione amministrativa di cui all’art.34 (1) della legge 10/1991, ordina la sospensione dei lavori sino al compimento del suddetto adempimento. L’art.34 della legge 10/1991 prescrive che: • l’inosservanza dell’obbligo di cui al c.1 dell’art.28 è punita con la sanzione amministrativa non inferiore a L. 1.000.000 (€ 516,46) e non superiore a L. 5.000.000 (€ 2.582,28). • il proprietario dell’edificio nel quale sono eseguite opere difformi dalla documentazione depositata ai sensi dell’art.28 e che non osserva le disposizioni degli artt.26 e 27 della legge 10/1991 è punito con la sanzione amministrativa in misura non inferiore al 5% e non superiore al 25% del valore delle opere. INSTALLAZIONE DEGLI IMPIANTI • La rete di distribuzione deve essere realizzata in modo da assicurare: – che il valore del rendimento medio stagionale di distribuzione sia compatibile con le disposizioni di cui al c.1 relative al rendimento globale medio stagionale; – che tutte le tubazioni di distribuzione del calore siano coibentate; – che le tubazioni portanti fluidi a temperature diverse, quali ad esempio le tubazioni di mandata e ritorno dell’impianto termico, siano coibentate separatamente; • i lavori di esecuzione di impianti termici devono essere effettuati da soggetti in possesso dei requisiti di cui agli artt.2 e 3 della legge 46/1990, attenendosi alle prescrizioni contenute nella relazione tecnica di cui all’art.28 della legge 10/1991; • nel caso di installazione in centrale termica di più generatori di calore, l’impianto deve essere realizzato in modo da consentire il funzionamento dei generatori, in funzione del carico termico, in maniera automatica;
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• nel caso di deroghe al valore di temperatura ambiente, i lavori potranno avere inizio solo dopo il benestare del comune o se siano trascorsi almeno 60 giorni dalla richiesta di deroga. ESERCIZIO E MANUTENZIONE DEGLI IMPIANTI Per l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici è necessario che: • l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici siano affidati al proprietario, o per esso a un terzo che se ne assume la responsabilità; • nel caso di abitazioni utilizzate non dal proprietario, l’occupante a qualsiasi titolo dell’unità immobiliare, subentra, per la durata dell’occupazione, alla figura del proprietario; • nel caso di impianti termici individuali è fatto obbligo all’occupante l’unità immobiliare di affidare la manutenzione dell’impianto a persona fisica o giuridica che risponda ai requisiti previsti dalla legge qualora non possegga esso stesso i requisiti ivi richiesti; • nel caso di impianti termici centralizzati con potenza nominale superiore a 350 kW e in ogni caso qualora gli impianti termici siano destinati esclusivamente a edifici di proprietà pubblica o esclusivamente a edifici adibiti a uso pubblico, il possesso dei requisiti richiesti al “terzo responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto termico” può essere dimostrato mediante l’iscrizione ad albi nazionali tenuti dalla pubblica amministrazione e pertinenti per categoria; • le operazioni di manutenzione dell’impianto termico devono essere eseguite secondo le prescrizioni delle vigenti normative UNI e CEI e devono essere effettuate almeno una volta all’anno salvo indicazioni più restrittive delle suddette normative; • gli impianti termici con potenza nominale superiore o uguale a 35 kW devono essere muniti di un “libretto di centrale”; gli impianti termici con potenza nominale inferiore a 35 kW devono essere muniti di un “libretto di impianto”; sul libretto deve essere riportato il nominativo del responsabile dell’esercizio e della manutenzione degli impianti termici, firmato per accettazione; • la compilazione iniziale del libretto di centrale o di impianto deve essere effettuata da un installatore che possegga i requisiti richiesti per l’installazione e manutenzione degli impianti; • il responsabile dell’esercizio e della manutenzione degli impianti termici è tra l’altro tenuto: – al rispetto del periodo annuale di esercizio; – all’osservanza dell’orario prescelto, nei limiti della durata giornaliera di attivazione consentita; – al mantenimento della temperatura ambiente entro i limiti consentiti dalle disposizioni vigenti; • gli elementi da sottoporre a verifica periodica sono quelli riportati sul “libretto di centrale” o sul “libretto di impianto”; • le suddette verifiche vanno effettuate almeno una volta l’anno, normalmente all’inizio del periodo di riscaldamento, per i generatori di calore con potenza nominale superiore o uguale a 35 kW e almeno con periodicità biennale per i generatori di calore con potenza nominale inferiore, ferma restando la periodicità almeno annuale delle operazioni di manutenzione; • per le centrali termiche dotate di generatore di calore o di generatori di calore con potenza termica nominale complessiva maggiore o uguale a 350 kW è inoltre prescritta una seconda determinazione del solo rendimento di combustione da effettuare normalmente alla metà del periodo di riscaldamento; • i generatori di calore per i quali, durante le operazioni di verifica in esercizio, siano stati rilevati rendimenti di combustione inferiori a quelli prescritti e non riconducibili a tali valori mediante operazioni di manutenzione, devono essere sostituiti entro 300 giorni solari a partire dalla data della verifica e sono comunque esclusi dalla possibilità di conduzione continua; • la legge 10/1991 all’art.31 prevede che vi sia un responsabile per la gestione, cioè per l’esercizio e la manutenzione, degli impianti di climatizzazione invernale sia centralizzati che autonomi; • la responsabilità della gestione può essere assunta dal proprietario, dall’amministratore del condominio o dall’inquilino purché questi siano in possesso dei requisiti necessari, per la gestione, secondo la normativa vigente; • nel caso di mancanza dei requisiti richiesti, dovrà essere nominato un terzo responsabile che si assumerà ogni responsabilità nella gestione degli impianti compresa la corresponsione di eventuali sanzioni amministrative pecuniarie, di cui all’art.34 c.5 della citata legge n.10/1991, per irregolarità di conduzione o manutenzione; • durante l’esercizio degli impianti di climatizzazione invernale il proprietario, o per esso il terzo responsabile, si assume la responsabilità di adottare tutte le misure necessarie per contenere i consumi di energia entro i limiti di rendimento previsti dalla normativa vigente in materia; • inoltre, deve assumersi la responsabilità di conduzione degli impianti e della loro manutenzione, ordinaria e straordinaria, secondo le prescrizioni della vigente normativa UNI e CEI. • In particolare, il terzo responsabile degli impianti di climatizzazione invernale deve: – effettuare la manutenzione ordinaria e straordinaria come previsto dalle indicazioni riportate sul libretto di centrale o di impianto; – verificare che i valori dei rendimenti riscontrati durante i controlli periodici non siano inferiori a quelli minimi stabiliti per legge; – adottare le misure necessarie all’ottimizzazione dell’uso dell’energia.
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE PROGETTAZIONE ENERGETICAMENTE CONSAPEVOLE
E.8. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
OBBLIGHI DELL’UTENTE Durante l’esercizio degli impianti l’utente, o per esso un terzo, che se ne assume la responsabilità, deve adottare misure necessarie per contenere i consumi di energia, entro i limiti di rendimento prevista dalla normativa vigente in materia ed è tenuto a condurre gli impianti e a disporre tutte le operazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria secondo le prescrizioni della vigente normativa UNI e CEI. Nel caso di inadempienza viene comminata una sanzione amministrativa non inferiore a L. 1.000.000 (€ 516,46) e non superiore a L. 5.000.000 (€ 2.582,28). Nel caso in cui venga sottoscritto un contratto nullo ai sensi del c.4 del medesimo art.31 della legge 10/1991, le parti sono punite ognuna con la sanzione amministrativa pari a un terzo dell’importo del contratto sottoscritto, fatta salva la nullità dello stesso. In tutti gli edifici l’utente è tenuto a esporre, presso ogni impianto termico centralizza al servizio di una pluralità di utenti, una tabella che riporti:
spese del committente, dell’acquirente dell’immobile, del conduttore, ovvero dell’esercente gli impianti. 3. In caso di accertamento di difformità in corso d’opera, il Sindaco ordina la sospensione dei lavori. 4. In caso di accertamento di difformità su opere terminate il sindaco ordina, a carico del proprietario, le modifiche necessarie per adeguare l’edificio alle caratteristiche previste dalla presente legge. 5. Nei casi previsti dal c.3 e c.4 il Sindaco informa il Prefetto per la irrogazione delle sanzioni di cui all’art.34.
• l’indicazione del periodo annuale di esercizio dell’impianto termico e dell’orario di attivazione giornaliera prescelto nei limiti di quanto disposto dal presente articolo;
Art.34 – Sanzioni
• le generalità e il domicilio del soggetto responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto termico.
1. L’inosservanza dell’obbligo di cui al c.1 dell’art.28 (deposito al comune della relazione tecnica) è punita con la sanzione amministrativa non inferiore a L. 1.000.000 (€ 516,46) e non superiore a L. 5.000.000 (€ 2.582,28).
L’esercizio e la manutenzione degli impianti termici sono affidati all’utente, o per esso a un terzo, che abbia i requisiti previsti dalla normativa vigente, che se ne assume la responsabilità. Nel caso di unità immobiliari dotate di impianti termici individuali la figura dell’occupante, a qualsiasi titolo, dell’unità immobiliare stessa subentra, per la durata dell’occupazione, alla figura del proprietario, nell’onere di adempiere agli obblighi previsti dal presente regolamento e nelle connesse responsabilità limitatamente all’esercizio, alla manutenzione dell’impianto termico e alle verifiche periodiche di cui all’art.11 del c.12 del DPR 412/1993. Per la ristrutturazione di impianti esistenti o la realizzazione di nuovi impianti l’utente deve depositare in Comune, in doppia copia, insieme alla denuncia dell’inizio dei lavori, il progetto delle opere stesse corredate da una relazione tecnica, sottoscritta dal progettista o dai progettisti, che ne attesti la rispondenza alle prescrizioni della legge 10/1991. Per la mancata o ritardata denuncia al comune prima dell’inizio dei lavori, oltre alla sanzione amministrativa da uno a cinque milioni di lire (€ 2.582,28), il sindaco ordina la sospensione dei lavori sino al compimento del suddetto adempimento. La seconda copia della documentazione di cui al punto precedente, restituita dal comune con l’attestazione dell’avvenuto deposito, deve essere consegnata dall’utente al direttore dei lavori ovvero, nel caso l’esistenza di questi non sia previsto dalla legislazione vigente all’esecutore dei lavori. Il direttore ovvero l’esecutore dei lavori sono responsabili della conservazione di tale documentazione in cantiere. In caso di accertamento di difformità su opere terminate il sindaco ordina, a carico del proprietario, le modifiche necessarie per adeguare l’edificio alle caratteristiche previste dalla presente legge e punisce l’utente con una sanzione amministrativa in misura non inferiore al 5% e non superiore al 25% del valore delle opere. Il sindaco, con il provvedimento mediante il quale ordina la sospensione dei lavori, ovvero le modifiche necessarie per l’adeguamento dell’edificio, deve fissare il termine per la regolarizzazione. L’inosservanza del termine comporta la comunicazione al prefetto, l’ulteriore irrogazione della sanzione amministrativa e l’esecuzione forzata delle opere con spese a carico del proprietario. L’utente può richiedere al Comune ove è ubicato l’edificio la certificazione energetica dell’intero immobile o della singola unità immobiliare. Le spese relative di certificazione sono a carico del soggetto che ne fa richiesta. L’attestato relativo alla certificazione energetica ha una validità temporale di cinque anni a partire dal momento del suo rilascio. Qualora l’acquirente o il conduttore dell’immobile riscontri difformità dalle norme della presente legge, anche non emerse da eventuali precedenti verifiche, deve farne denuncia al comune entro un anno dalla constatazione, a pena di decadenza dal diritto di risarcimento del danno da parte del committente o del proprietario.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
G.ANISTICA
4. l collaudatore che non ottempera a quanto stabilito dall’art.29 è punito con la sanzione amministrativa pari al 50% della parcella calcolata secondo la vigente tariffa professionale. 5. Il proprietario o l’amministratore del condominio, o l’eventuale terzo che se ne è assunta la responsabilità, che non ottempera a quanto stabilito dall’art.31, c.1 e 2, è punito con la sanzione amministrativa non inferiore a L. 1.000.000 (€ 516,46) e non superiore a L. 5.000.000 (€ 2.582,28). Nel caso in cui venga sottoscritto un contratto nullo ai sensi del c.4 del medesimo art.31(esercizio e manutenzione degli impianti), le parti sono punite ognuna con la sanzione amministrativa pari a un terzo dell’importo del contratto sottoscritto, fatta salva la nullità dello stesso. 6. L’inosservanza delle prescrizioni di cui all’art.32 (certificazioni e informazioni ai consumatori dei componenti degli edifici e degli impianti) è punita con la sanzione amministrativa non inferiore a L. 5.000.000 (€ 2.582,28) e non superiore a L. 50.000.000 (€ 25.822,84), fatti salvi i casi di responsabilità penale. 7. Qualora soggetto della sanzione amministrativa sia un professionista, l’autorità che applica la sanzione deve darne comunicazione all’ordine professionale di appartenenza per i provvedimenti disciplinari conseguenti. 8. L’inosservanza della disposizione che impone la nomina, ai sensi dell’art.19 (nomina del responsabile per la conservazione e l’uso razionale dell’energia), del tecnico responsabile per la conservazione e l’uso razionale dell’energia, è punita con la sanzione amministrativa non inferiore a L. 10.000.000 (€ 5.164,57) e non superiore a L. 100.000.000 (€ 51.645,69).
1. Il Sindaco, con il provvedimento mediante il quale ordina la sospensione dei lavori, ovvero le modifiche necessarie per l’adeguamento dell’edificio, deve fissare il termine per la regolarizzazione.
ai controlli e alle verifiche; alle sanzioni; ai provvedimenti di sospensione dei lavori; alle irregolarità rilevate dall’acquirente o dal conduttore.
E ESE ESSIONAL PROF
3. Il costruttore e il direttore dei lavori che omettono la certificazione di cui all’art.29 (certificazione delle opere e collaudo), ovvero che rilasciano una certificazione non veritiera nonché il progettista che rilascia la relativa relazione tecnica di cui al c.1 dell’art.28 non veritiera, sono puniti in solido con la sanzione amministrativa non inferiore all’1% e non superiore al 5% del valore delle opere, fatti salvi i casi di responsabilità penale.
Si riportano i seguenti articoli della legge 10/1991: relativo relativo relativo relativo
C.RCIZIO
F. TERIALI,
Art.35 – Provvedimenti di sospensione dei lavori
art.33 art.34 art.35 art.36
I ED PRE NISM ORGA
2. Il proprietario dell’edificio nel quale sono eseguite opere difformi dalla documentazione depositata ai sensi dell’art.28 e che non osserva le disposizioni degli artt.26 (progettazione, messa in opera ed esercizio di edifici e di impianti) e 27 (limiti ai consumi di energia) è punito con la sanzione amministrativa in misura non inferiore al 5% e non superiore al 25% del valore delle opere.
CONTROLLI, VERIFICHE E SANZIONI
• • • •
B.STAZIONI DILEGIZLII
L’inosservanza del termine comporta la comunicazione al Prefetto, l’ulteriore irrogazione della sanzione amministrativa e l’esecuzione forzata delle opere con spese a carico del proprietario.
Art.33 – Controlli e verifiche
Art.36 – Irregolarità rilevate dall’acquirente o dal conduttore
1. Il Comune procede al controllo dell’osservanza delle norme della presente legge in relazione al progetto delle opere, in corso d’opera ovvero entro cinque anni dalla data di fine dichiarata dal committente. 2. La verifica può essere effettuata in qualunque momento anche su richiesta e a
Qualora l’acquirente o il conduttore dell’immobile riscontri difformità dalle norme della presente legge, anche non emerse da eventuali precedenti verifiche, deve farne denuncia al comune entro un anno dalla constatazione, a pena di decadenza dal diritto di risarcimento del danno da parte del committente o del proprietario.
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. E E.8.1ETTAZION TE PROG ETICAMEN G ENER APEVOLE CONS
E 133
E.8. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE PROGETTAZIONE ENERGETICAMENTE CONSAPEVOLE ➦ RIFERIMENTI NORMATIVI PROGETTAZIONE CON LA LEGGE 10/1991 L’iter progettuale suggerito con i decreti di attuazione della legge 10 consta di due fasi fondamentali: la determinazione del “Coefficiente di dispersione volumica” dell’edificio, Cd e il calcolo del “Fabbisogno Energetico Normalizzato”, FEN; quest’ultimo valore dovrà quindi essere confrontato con il valore limite, (FEN lim) imposto dal DPR 26 ottobre 1993 n.412.
Terzo passo Verifica che tra i valori di Cd e Cd* così determinati sussista la relazione:
Determinazione del coefficiente di dispersione volumica, Cd Il Cd è il coefficiente di dispersione volumica per trasmissione dell’edificio, esso rappresenta la potenza termica in W per m3 e per grado Kelvin, necessaria per compensare le dispersioni termiche per trasmissione attraverso la superficie esterna totale (S) che delimita il volume riscaldato (V). La procedura di calcolo prevede i seguenti passi:
Verifica del fabbisogno energetico normalizzato, FEN
Primo passo • Individuazione del Cd imposto per legge in funzione del rapporto S/V e della zona climatica da effettuarsi sulla base della Tab. E.8.1./2 (DM 30 luglio 1986). • Le Regioni sono tenute, secondo quanto prevede l’art.16 della legge 10/1991, a deliberare in merito alle norme di attuazione della legge stessa e quindi anche per quanto riguarda i valori massimi di Cd per ogni Comune di loro competenza. • In caso di non disponibilità di tali valori, se l’edificio in esame presenta un rapporto di forma S/V compreso tra 0,2 e 0,9, si può procedere a partire dalla Tab. E. 8.1./2 interpolando linearmente sui gradi giorno e sul valore di S/V.
dove:
S/V
B gradi giorno
C gradi giorno
Il DPR del 26 agosto 93 n.412 introduce il Fabbisogno Energetico Normalizzato, F.E.N. per la climatizzazione invernale e lo definisce con la formula:
FEN = Q/GG*V
Q
è la quantità di energia da fornire all’edificio nel corso di un anno per mantenere negli ambienti riscaldati una temperatura interna costante (vedi DPR 412/1993) con un adeguato ricambio di aria (Q è espresso in kJ); V è il volume dell’edificio, al lordo delle strutture, delimitato dall’involucro edilizio e riscaldato da un unico impianto (V è espresso in mc); GG sono i gradi giorno della località. Il FEN può quindi essere considerato come la quantità di energia necessaria a mantenere la temperatura voluta all’interno di un edificio per mc di volume riscaldato e per grado giorno.
TAB. E.8.1./2 VALORI DI Cd (W/mK) (DM 30 luglio 1986) A gradi giorno
Cd* ≤ Cd
D gradi giorno
E gradi giorno
F gradi giorno
<600
601
900
901
1400
1401
2100
2101
3000
>3000
≤ 0,2
0,49
0,49
0,46
0,46
0,42
0,42
0,34
0,34
0,30
0,30
≥ 0,9
1,16
1,16
1,08
1,08
0,95
0,95
0,78
0,78
0,73
0,73
Secondo passo Calcolo del Cd* dell’edificio Questo si calcola mediante l’espressione:
Il calcolo del FEN dovrà essere effettuato – per ciascuna porzione del volume riscaldato da uno stesso impianto – utilizzando il metodo di calcolo UNI-CTI 10344. Qualora il rapporto stimato tra gli apporti gratuiti di calore e le dispersioni dell’edificio sia al massimo pari al 60% si potrà ricorre a un metodo semplificato di calcolo (UNI-CTI 10379). Nella determinazione di Q – ai fini del calcolo del FEN – si tiene conto del bilancio tra tutti i guadagni energetici (impianto, radiazione solare, apporti gratuiti interni) e tutte le perdite (trasmissione del calore, ventilazione, rendimenti dell’impianto) nonché della capacità termica delle strutture (da calcolare secondo quanto previsto dall’appendice B della norma UNI-CTI 10344). La ventilazione, naturale o forzata, deve garantire il benessere degli utenti e la protezione delle strutture edilizie da fenomeni di condensazione; il valore di progetto deve comunque essere confrontato con un valore limite che il DPR 412 fissa, nel caso di edifici residenziali, in 0,5 ricambi per ora.
TAB. E.8.1./4 CLASSIFICAZIONE DEGLI EDIFICI IN BASE ALLA LORO DESTINAZIONE D’USO (DPR 412/93)
Cd* = Q/V* ∆ T (W m3 *K) dove: Q sono le dispersioni orarie per trasmissione, maggiorate dal coefficiente di esposizione (vedi Tab. E.8.1./3); V è pari al volume lordo riscaldato dell’edificio; ∆ T è il salto di temperatura interno-esterno.
Edifici adibiti a residenza e assimilabili
E.1
Q rappresenta la somma delle dispersioni: • • • • •
E.1.1. residenza con carattere continuativo (abitazioni civili e rurali collegi, conventi, case di pena, caserme) E.1.2. residenza a carattere saltuario
attraverso le pareti opache verso l’esterno, attraverso le pareti opache verso ambienti non riscaldati, attraverso le pareti opache verso il terreno, attraverso le superfici trasparenti, per eterogeneità e ponti termici.
E.1.3. alberghi, pensioni e similari
E.2
Edifici adibiti a ufficio e assimilabili pubblici o privati sia indipendenti che contigui ad edifici adibiti ad attività produttive purché da queste scorporabili ai fini dell’isolamento termico
E.3
Edifici adibiti a ospedali, cliniche, case di cura e assimilabili
E.4
Edifici adibiti ad attività ricreative, associative, di culto e assimilabili
E.5
Edifici adibiti ad attività commerciali e assimilabili
Il calcolo del Cd dovrà essere effettuato sulla base delle indicazioni contenute nei decreti attuativi e con particolare riferimento alle norme contenute in Tab. E.8.1./3. TAB. E.8.1./3 NORME DI RIFERIMENTO PER IL CALCOLO DI Cd *
E 134
Valori della temperatura esterna di progetto
UNI-CTI 5364-64
Temperatura dell’aria interna
DPR 412/93
Coefficiente di correzione per esposizione
UNI-CTI 7357-74
Coefficienti di scambio termico
UNI-CTI 10344-93
Conduttività termica
UNI-CTI 10351 e UNI-CTI 10355
Temperatura dell’aria nei locali non riscaldati
UNI-CTI 7357-74
Schemi di isolamento
UNI-CTI 10346
Coefficienti di protezione dal vento
UNI-CTI 10346
Dispersioni attraverso componenti finestrati
UNI-CTI 10345-93
Dispersioni per eterogeneità e ponti termici
UNI-CTI 7357-74 e UNI FA 3
Edifici adibiti ad attività sportive: E.6.1. piscine, saune e assimilabili E.6 E.6.2. palestre e assimilabili E.6.3. servizi a supporto delle attività sportive E.7
Edifici adibiti ad attività scolastiche di ogni livello e assimilabili
E.8
Edifici adibiti ad attività industriali e artigiane e assimilabili
CONTROLLO AMBIENTALE
•
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE IMPIANTI DI RISCALDAMENTO
A.ZIONI
GENERALITÀ L’impianto di riscaldamento ha la funzione di garantire nella stagione fredda le condizioni di benessere all’interno di un ambiente abitato. A questo fine l’impianto integra le perdite di calore tra l’involucro edilizio e l’ambiente esterno fornendo all’ambiente abitato il calore necessario a mantenere le condizioni di benessere. Nel compiere questo servizio l’impianto deve rispettare le normative vigenti, in particolare quelle contenute nella legge 9 gennaio 1991, n.10. Un approccio “energeticamente consapevole” impone, nella progettazione di un impianto di riscaldamento, l’attenta verifica del sistema edificio-impianto-contesto ambientale e la massima integrazione nella fase di scelta delle soluzioni tecnologiche. Dovranno essere quindi affrontate le problematiche di interfaccia dell’impianto: • con il contesto territoriale (analisi dei fattori climatici, verifica della disponibilità delle fonti di energia e relativi costi);
• con l’involucro edilizio (analisi della tipologia, analisi e verifica delle caratteristiche termofisiche); • con l’utenza (destinazione d’uso, profili di occupazione, abitudini o esigenze specifiche, opzioni future). L’analisi delle condizioni di interfaccia fornisce gli elementi che concorrono a operare le scelte progettuali (ricorso alle fonti di energia, tipologia di impianto, sistemi di distribuzione del calore, sistemi di regolazione e controllo, ...). Particolare attenzione dovrà essere dedicata alle verifiche di interfaccia con l’involucro edilizio le cui prestazioni svolgono un ruolo di primaria importanza ai fini del benessere ambientale. Secondo questo approccio l’obiettivo da conseguire in fase di progettazione è realizzare la massima integrazione tra la progettazione dell’impianto e quella dell’involucro edilizio.
Il trasferimento ai sistemi di utilizzazione del calore così prodotto (generalmente sotto forma di acqua calda e in qualche caso di acqua surriscaldata o vapore) avviene mediante una rete di tubazioni. La rete garantisce l’alimentazione dei sistemi di utilizzazione in relazione alle loro specifiche di funzionamento: per questo motivo è critico il dimensionamento della rete e il livello di isolamento termico delle tubazioni. La rete trasferisce il calore ai sistemi di utilizzazione localizzati negli ambienti da riscaldare (corpi radianti), ovvero, nel caso di termoventilazione centralizzata, a unità di trattamento aria installate a livello di abitazione o di edificio. Altri tipi di impianto prevedono una produzione del calore localizzata a livello di singolo ambiente da riscaldare: l’impianto è costituito in questo caso da una rete di gas che alimenta direttamente unità autonome di produzione e distribuzione del calore disponibili anche per piccole potenzialità. Per la generazione del calore si utilizza in prevalenza una caldaia dotata di bruciatore specifico per il tipo di combustibile impiegato.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
FIG. E.8.2./1 CALDAIA IN ACCIAIO F
I
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
D 1000 - 1600
4
H L
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
B
G 500 - 900
G.ANISTICA
900 - 1800
VISTA POSTERIORE
URB
VISTA FRONTALE
VISTA LATERALE
F
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
E D H
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL B
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE
A
TIPI DI CALDAIE
E.4. ICA T ACUS
G C F - USCITA ACQUA RISCALDAMENTO G - INGRESSO ACQUA H - PORTELLONE I - PANNELLO COMANDI L - MANTELLO
A - CAMERA DI COMBUSTIONE B - BRUCIATORE C - CONDOTTO COMBUSTIBILE D - CAMERA FUMI E - CANNA FUMARIA
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA
FIG. E.8.2./2 CALDAIA MURALE ALIMENTATA A GAS B A
D
C E
F
570 - 950
Le caldaie per impianti di riscaldamento possono essere in acciaio o in ghisa; la caldaia in acciaio (Fig. E.8.2./1) è oggi sempre più utilizzata anche per i rendimenti particolarmente elevati che può raggiungere in regime di combustione pressurizzata. Le caldaie in acciaio sono costituite da elementi componibili cavi: questa caratteristica consente una modulazione praticamente continua delle potenzialità disponibili e la possibilità di assemblare i moduli in opera ne rende più agevole l’installazione anche in caso di grandi dimensioni. La potenzialità di una caldaia viene espressa come potenzialità nominale, potenzialità al focolare e potenzialità resa all’acqua. Il rapporto tra la potenzialità resa all’acqua e la potenzialità al focolare indica, in percentuale, il rendimento della caldaia. Sono definite ad alto rendimento le caldaie in cui detto rapporto supera il 90%. Le normative di legge impongono l’obbligo di ripartire la produzione del calore su più caldaie di uguale potenzialità quando questa risulti superiore a 350 kW (art.5 c.5 DPR 412/1993 e successive modifiche e integrazioni). Il bruciatore è specifico per il tipo di combustibile utilizzato; i bruciatori a gas possono essere ad aria soffiata con ventilatore e dispositivo di miscela aria/gas o di tipo atmosferico con o senza accensione piezoelettrica e regolazione della portata. I bruciatori a gasolio sono in genere del tipo a polverizzazione meccanica dotati di pompa, ugello polverizzatore, sistema di accensione e controllo. Per evitare dannosi sbalzi di temperatura al focolare i bruciatori possono essere dotati di due stadi di funzionamento o di modulatore di fiamma per fornire la potenza necessaria in relazione alle condizioni di funzionamento dell’impianto. Per piccole potenzialità si utilizza solitamente una caldaia murale alimentata a gas (Fig. E.8.2./2). Tali caldaie, realizzate con componenti in rame, alluminio o acciaio inox, contengono al loro interno tutti i dispositivi d’impianto necessari alla produzione del calore (bruciatore, sistema di accensione, sistema di sicurezza, sistema di controllo) e alla distribuzione del calore nella rete (serpentina/e di scambio termico, pompa di circolazione, vaso di espansione). Sono disponibili anche modelli con produzione combinata di acqua calda sanitaria; a questo fine la caldaia può essere dotata di un piccolo accumulo isolato che migliora la distribuzione dell’acqua alle utenze. Per migliorare ulteriormente il rendimento di una caldaia sono state messe a punto e sono disponibili sul mercato caldaie chiamate “a condensazione” perché consentono, ai fini di conseguire un rendimento più elevato, il recupero del calore latente di condensazione prodotto dalla caldaia stessa.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
D.GETTAZIONE
PRODUZIONE DEL CALORE La scelta del sistema di produzione del calore è connessa all’entità del fabbisogno di calore e alla fonte di energia disponibile. Tipicamente il calore necessario all’impianto viene prodotto da un generatore di calore alimentato a gasolio o a gas (con l’estensione della rete di distribuzione del gas metano in Italia, questo tipo di alimentazione ha fortemente ridotto il ricorso al gasolio per l’alimentazione delle caldaie). L’uso dell’energia elettrica per la produzione del calore a bassa temperatura per il servizio di riscaldamento delle abitazioni risulta quasi sempre poco vantaggioso e costituisce un inutile spreco di energia nobile. Cionostante è ancora diffuso l’impiego dello scaldabagno elettrico per la produzione di acqua calda a cui andrebbe preferito un impianto a gas o solare. Gli unici casi in cui il ricorso all’energia elettrica per il riscaldamento ambientale può presentare dei vantaggi riguardano il riscaldamento saltuario e limitato di piccoli ambienti che può essere soddisfatto con radiatori elettrici a basso assorbimento o l’utilizzo di sistemi a pompa di calore in particolare di tipo reversibile (per il riscaldamento e il condizionamento estivo). Generalmente la produzione del calore è concentrata a livello di: • singola unità abitativa (caldaia di piccola potenzialità, per lo più di tipo “murale”); • edificio o di più edifici contigui (centrale termica); • quartiere (teleriscaldamento).
E.8. 2.
1 2 360 - 600
320 - 450
3 4
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
1 - RITORNO RISCALDAM. 2 - MANDATA RISCALDAM. 3 - ALIMENTAZ. GAS 4 - USCITA ACQUA SANITARIA 5 - ENTRATA ACQUA SANITARIA
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
5
A - VASO DI ESPANSIONE B - SCAMBIATORE CIRCUITO RISCALDANTE C - BRUCIATORE D - VALVOLA DI SICUREZZA E - POMPA DI CIRCOLAZIONE F - SCAMBIATORE CIRCUITO ACQUA SANITARIA
➥
. E E.8.1ETTAZION TE PROG ETICAMEN G ENER APEVOLE CONS . E.8.2NTI DI IMPIALDAMENTO RISCA
E 135
E.8. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE IMPIANTI DI RISCALDAMENTO ➦ GENERALITÀ ➦ PRODUZIONE DEL CALORE CALDAIA A CONDENSAZIONE Queste caldaie, a differenza di quelle convenzionali che emettono i fumi a una temperatura di circa 150 °C (come ad esempio quelle ad alto rendimento), rilasciano i fumi a temperature tra 40 °C e 65 °C. I fumi cedono al fluido termovettore non solo il calore sensibile, ma anche il calore latente dovuto alla condensazione del vapore d’acqua contenuto nei prodotti della combustione: da 1 m3 di gas naturale si hanno quasi 2 m3 di vapore d’acqua. Il rendimento di queste caldaie è pertanto superiore al rendimento di quelle tradizionali. Il raffreddamento dei fumi dà luogo, come si è detto, alla formazione di condensa, che, se da un lato consente il recupero del calore latente del vapore d’acqua contenuto nei fumi, dall’altro può provocare la corrosione delle parti metalliche con cui viene a contatto. La migliore utilizzazione di una caldaia a condensazione si ha laddove il fluido termovettore opera a temperature non elevate e quindi nel riscaldamento residenziale con corpi scaldanti a bassa temperatura (per es. pannelli radianti a pavimento) e nel riscaldamento di acqua sanitaria e di piscine. CENTRALE TERMICA La centrale termica (vedi schema in Fig. E.8.2./3) costituisce il cuore di un impianto: la sua progettazione è fortemente vincolata da una serie di prescrizioni di ordine tecnico dettate da motivi di sicurezza, funzionalità e manutenibilità.
FIG. E.8.2./3 SCHEMA DI CENTRALE TERMICA 2 9 12
7
8
11
5
5
3
13 6
10 4 1
14
1 - CALDAIA 2 - CENTRALINA ELETTRONICA 3 - SONDA ESTERNA 4 - VASO DI ESPANSIONE 5 - SONDA DA TUBAZIONE
6 - VALVOLA MISCELATRICE A TRE VIE 7 - TERMOSTATO DI BLOCCO 8 - TERMOSTATO DI REGOLAZIONE 9 - VALVOLA DI SICUREZZA 10 - POMPA ANTICONDENSA
11 - TERMOMETRO 12 - MANOMETRO 13 - MANDATA UTENZE 14 - RITORNO UTENZE
TRASFERIMENTO DEL CALORE
E 136
FIG. E.8.2./4 RETE DI DISTRIBUZIONE A COLONNE MONTANTI
FIG. E.8.2./5 RETE DI DISTRIBUZIONE A ZONE
Negli impianti l’acqua viene trasportata dalla caldaia attraverso la rete di distribuzione ai sistemi di utilizzazione tramite opportune pompe (di circolazione) di tipo centrifugo, direttamente accoppiate a motori elettrici. Per evitare la trasmissione delle vibrazioni dalla centrale termica alla distribuzione le pompe sono installate interponendo opportuni giunti; sono altresì installati, oltre alle val-
vole di intercettazione e di ritegno, manometri per il controllo della pressione e filtri per l’intercettazione delle impurità presenti nella rete che potrebbero danneggiare le giranti. Per compensare la dilatazione dell’acqua dovuta all’aumento di temperatura, l’impianto è corredato di un vaso di espansione che può essere di tipo aperto (a pressione atmosferica) ovvero di tipo chiuso (pressurizzato).
CONTROLLO AMBIENTALE
•
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE IMPIANTI DI RISCALDAMENTO
E.8. 2. A.ZIONI
Nel caso di vaso aperto a questo viene collegata la rete di sfogo aria dell’impianto; nel caso di vaso chiuso questo sarà corredato di separatori d’aria e i corpi scaldanti saranno dotati di valvole per lo sfogo dell’aria. La rete di distribuzione in un edificio può essere costituita da un percorso orizzontale, ad esempio al piano cantine, da cui partono le colonne montanti che servono i sistemi di utilizzazione del calore: si tratta in questo caso di una distribuzione a “colonne montanti” (Fig. E.8.2./4). Tale tipologia è stata ormai soppiantata dalla tipologia “a zone” che presenta notevoli vantaggi in quanto la produzione del calore è sempre centralizzata ma la distribuzione è realizzata mediante reti autonome ognuna afferente a una utenza (Fig. E.8.2./5). La distribuzione a zone, corredata di opportuni dispositivi – quali valvole motorizzate o pompe di circolazione per ciascun alloggio – consente una gestione del calore personalizzata a livello di singola utenza sia per quanto concerne i parametri e le modalità di funzionamento, che per la contabilizzazione del calore e quindi la valutazione dei costi. La distribuzione a zone consente inoltre la trasformazione in impianti autonomi delle utenze servite da un unico impianto (centralizzato) attraverso l’inserimento nel circuito di una caldaia per ogni utenza. Per le reti di distribuzione vengono usate tubazioni in acciaio nero senza saldatura (tipo Mannessman), in rame o in materiale plastico (polietilene reticolato). La rete di alimentazione dei collettori di zona può essere realizzata in acciaio o in rame; la distribuzione ai sistemi di utilizzazione è generalmente realizzata in rame – isolato secondo le normative – e le tubazioni vengono incluse nel massetto del pavimento. La rete primaria in acciaio prevede una tubazione di mandata e una di ritorno; i circuiti secondari di distribuzione possono essere realizzati secondo due principali tipologie: monotubo o a due tubi con diversi schemi di collegamento ai corpi scaldanti (Fig. E.8.2./6).
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. E.8.2./6 SCHEMI ESEMPLIFICATIVI DI COLLEGAMENTO AI CORPI SCALDANTI (Distribuzione a zone)
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
UTILIZZAZIONE DEL CALORE
URB
I sistemi di utilizzazione del calore negli ambienti realizzano lo scambio termico tra la rete di distribuzione e l’aria: si tratta quindi di particolari tipi di scambiatori di calore. Il loro funzionamento si basa su processi di scambio termico di tipo principalmente radiativo (radiatori, piastre, pannelli radianti a pavimento), radiativo e convettivo (termoconvettori, ventilconvettori), solo convettivo (unità termoventilanti, aerotermi). RADIATORI
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
Sono costituiti da elementi modulari accoppiabili tra loro e ogni elemento è costituito da un certo numero di colonne. Sono realizzati in ghisa, in alluminio o in acciaio (Fig. E.8.2./7). L’emissione termica di questi componenti è fornita dal costruttore, espressa per elemento e per numero di colonne in funzione della temperatura di mandata della caldaia e del salto termico (mandata/ritorno). I radiatori in ghisa sono in genere caratterizzati da una più elevata capacità termica.
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
PANNELLI RADIANTI L’utilizzo di pannelli incorporati nel pavimento e percorsi da acqua costituisce una soluzione alternativa ai sistemi più tradizionali di terminali utilizzati per il riscaldamento ambientale e tra l’altro è utilizzabile anche per il raffrescamento estivo (Fig. E.8.1./9).
FIG. E.8.2./7 TIPI DI RADIATORI
E.4. ICA T ACUS
60 60-170
B
300 - 900
300 - 900
200 - 900
FIG. E.8.2./9 PANNELLI RADIANTI A PAVIMENTO
A
50 70-160
C
1 - KRAFT ALLUMINIO 2 - ISOLANTE 3 - TUBAZIONI 4 - PAVIMENTO 3 3
60 60-170
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA
1 RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
2
PIASTRE RADIANTI
4 A
Sono realizzate generalmente in acciaio o in alluminio (Fig. E.8.1./8). L’emissione termica di questi componenti è espressa per metro quadrato e per spessore. Questi dati sono forniti dal costruttore in funzione della temperatura di mandata della caldaia e del salto termico.
B
I benefici determinati dall’utilizzo di tale sistema derivano dal fatto che presentando elevate superfici di scambio termico i pannelli scambiano calore con l’ambiente mediante differenze di temperatura anche molto limitate. Il funzionamento a bassa temperatura consente inoltre di utilizzare nelle migliori condizioni sistemi di produzione del calore quali le pompe di calore e i pannelli solari. I principali benefici si rilevano sul piano del comfort, sul piano dell’utilizzo dello spazio, sul piano dell’economia di esercizio.
300 - 900
FIG. E.8.2./8 TIPI DI PIASTRE RADIANTI
60-170
• Comfort: il sistema radiante a pavimento, nelle condizioni ottimali di funzionamento invernale che prevede basse temperature di esercizio dell’acqua nel circuito, determina una distribuzione uniforme del calore nell’ambiente con conseguenti condizioni ottimali di benessere fisiologico, determinate anche dalla mancanza di movimenti di aria, e quindi di polvere, nell’ambiente.
➥
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. E.8.2NTI DI IMPIALDAMENTO RISCA
E 137
E.8. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE IMPIANTI DI RISCALDAMENTO ➦ GENERALITÀ ➦ UTILIZZAZIONE DEL CALORE ➦ PANNELLI RADIANTI
UNITÀ TERMOVENTILANTI
• Utilizzo dello spazio: l’adozione di tale sistema consente di recuperare gli spazi occupati da altri tipi di terminali (radiatori, convettori, canali di aria, ecc.).
Consentono di realizzare impianti di riscaldamento ad aria con le stesse modalità degli altri sistemi di utilizzazione. Nel caso di impianto autonomo la caldaia alimenta la singola unità termoventilante; nel caso di impianto centralizzato multiutenza il generatore di calore alimenta, attraverso una rete di distribuzione, le unità termoventilanti collegate. L’unità termoventilante è, sostanzialmente, un ventilconvettore dimensionato in modo tale da fornire il calore necessario per l’intera unità abitativa, ed è costituito da: • batteria di scambio termico, in tubi di rame o di alluminio alettati generalmente a più ranghi; • ventilatore di tipo assiale, generalmente a più velocità o a velocità variabile; • contenitore metallico predisposto per i collegamenti con i condotti d’aria completi dei relativi filtri.
• Economia di esercizio: la migliore distribuzione del calore all’interno dell’ambiente abitato consente una situazione di migliore comfort con livelli inferiori della temperatura media dell’aria con la conseguente riduzione del carico termico; si riducono anche le dispersioni di calore che sono proporzionali alla temperatura dell’acqua nelle tubazioni (significativamente più bassa nel caso del sistema a pannelli), inoltre il sistema a pannelli, incorporato nel pavimento, è molto affidabile e non necessita di manutenzione alcuna. Non esistono controindicazioni all’utilizzo di tale sistema compresa la scelta del rivestimento che può essere praticamente di qualsiasi materiale. Il principio di funzionamento del sistema a pannelli incorporati nel pavimento è noto sino dai tempi degli antichi romani che lo utilizzavano per riscaldare gli edifici termali e le ville più importanti. Applicazioni di questo tipo sono state in uso più recentemente negli anni ‘30 e ‘50 ma abbandonate sia per i danni arrecati dai fenomeni di corrosione e di rottura delle tubazioni che per gli effetti negativi sul comfort e sulla salute determinati dall’alta temperatura dell’acqua circolante. I sistemi attuali sono privi di questi difetti: infatti i pannelli sono costituiti da tubi continui privi di saldature di materiali (rame e materiali plastici) che garantiscono una durata praticamente illimitata e, quanto alle temperature di esercizio, queste sono tali da determinare temperature superficiali del pavimento comprese tra 18 e 29 °C in quanto il livello di isolamento imposto dalle leggi ha fatto sì che il fabbisogno degli ambienti sia diminuito con corrispondente diminuzione del salto di temperatura. Il sistema a pannelli integrati nel pavimento trasferisce calore all’ambiente mediante processi di scambio termico per convezione e irraggiamento tra la superficie del pavimento e l’ambiente e di tipo conduttivo tra i tubi e la superficie del pavimento. La resa termica di un sistema a pannelli dipende essenzialmente dalla differenza tra la temperatura superficiale del pavimento (generalmente compresa tra 25°C e 27°C) e quella dell’aria ambiente. La resa termica migliora con la riduzione dell’interasse tra i tubi che costituiscono il pannello e la riduzione del salto termico tra le temperature di mandata e di ritorno (generalmente compreso tra 5 e 10°C).
TERMOCONVETTORI E VENTILCONVETTORI Sono costituiti da uno scambiatore di calore a serpentina alettata (generalmente di rame) posto all’interno di un involucro di lamiera dotato di un’apertura (per la ripresa dell’aria) nella parte bassa e una (di mandata) nella parte alta. Il ventilconvettore è dotato anche di un ventilatore di tipo assiale (solitamente a più velocità) che favorisce lo scambio termico tra l’aria ambiente e la serpentina alettata contenente il fluido primario (Fig. E.8.2./10). Le rese termiche sono indicate dal costruttore in funzione della temperatura di mandata e della portata d’aria del ventilatore (nel caso del ventilconvettore). Il ventilconvettore, più diffuso del termoconvettore, funziona con acqua a temperature che possono essere anche relativamente basse ed è quindi utilizzabile, come il sistema a pannelli radianti, anche con impianti solari o a pompa di calore.
FIG. E.8.2./10 VENTILCONVETTORI
5
5
4
FIG. E.8.2./11 UNITÀ DI TERMOVENTILAZIONE
REGOLAZIONE E CONTROLLO Un sistema di regolazione e controllo si avvale di due sezioni: una con funzioni di acquisizione dati (sensori), l’altra con funzioni di intervento sul funzionamento dell’impianto (attuatori). Il sistema agisce tipicamente sui principali componenti dell’impianto con il compito di intervenire su alcuni parametri di funzionamento al fine di vigilare sulla sicurezza dell’impianto mantenendone i parametri di funzionamento all’interno dei valori di progetto; evitare sprechi di energia e rispettare le normative di legge; consentire il raggiungimento e il mantenimento delle condizioni di benessere in funzione delle esigenze dell’utente e delle caratteristiche climatiche. Le funzioni di regolazione e controllo sono realizzate attraverso singoli dispositivi e sistemi la cui natura e complessità sono correlati al sistema su cui operano (un intero impianto, suoi sottosistemi o componenti) e alle funzioni che sono destinati a svolgere. La funzione di regolazione e controllo può essere effettuata con sistemi meccanici: ad esempio attraverso una valvola termostatica che regola il flusso del circuito di alimentazione in funzione della temperatura ambiente richiesta. A tal fine la valvola è corredata di un elemento termostatico, di un sensore di temperatura e di un sistema di regolazione (Fig. E.8.2./12). FIG. E.8.2./12 VALVOLA TERMOSTATICA
4
3 1
1
1 3
3
2 1 - VENTILATORE ASSIALE E MOTORE 2 - RIPRESA ARIA E FILTRO 3 - CIRCUITO CONDENSA 4 - BATTERIA SCAMBIO TERMICO 5 - RIVESTIMENTO
E 138
Tale unità è collegata agli ambienti da riscaldare attraverso canali d’aria isolati termicamente, e collegati alla macchina attraverso un “polmone d’aria”: La diffusione dell’aria avviene mediante opportune saracinesche o bocchette. Tale sistema di distribuzione può talvolta essere semplificato potendo destinare a tale funzione un’intercapedine ricavata nel soffitto di un ambiente contiguo a quelli da riscaldare (Fig. E.8.2./11).
2
CONTROLLO AMBIENTALE
•
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE IMPIANTI DI RISCALDAMENTO
E.8. 2. A.ZIONI
Il controllo della temperatura dell’acqua di mandata dalla centrale termica in funzione delle condizioni ambientali esterne e della domanda di calore dalle utenze può essere invece effettuato mediante un sistema elettronico (Fig. E.8.2./13) che si avvale di: • sonda di temperatura dell’acqua di mandata (A nella figura), • sonda della temperatura esterna (C nella figura), • “cronotermostato” (E nella figura), dispositivo installato in un ambiente pilota dell’unità abitativa che raccoglie informazioni relative alla temperatura ambiente e alla temperatura desiderata dall’utente, • regolatore elettronico (D nella figura), riceve informazioni dalle sonde di temperatura e dal “cronotermostato” e, sulla base dei valori di funzione su cui è programmato, influisce sulla valvola motorizzata a tre vie (B nella figura).
L’alternativa più efficace è l’adozione di tubazioni pre-isolate e protette predisposte per la sigillatura in opera delle giunzioni. Le tubazioni sono generalmente in acciaio adatto al trasporto di acqua surriscaldata e di vapore; devono essere previsti giunti di dilatazione. La rete è alimentata da una stazione di pompaggio dotata di filtri, impianto di trattamento dell’acqua, vaso di espansione e organi di regolazione controllo e sicurezza.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
FIG. E.8.2./14 SCHEMI DI RETI DI TELERISCALDAMENTO
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
FIG. E.8.2./13 SCHEMA DI REGOLAZIONE ELETTRONICA
PRO TTURALE STRU 4 3
A
CO NTALE AMBIE
1
2
E.NTROLLO F. TERIALI,
T AC
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
T MI
B
T AR
T RC
G.ANISTICA URB
T RI 5 E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
TELERISCALDAMENTO E COGENERAZIONE Gli impianti di teleriscaldamento (district heating) e cogenerazione civile sono sistemi per la produzione e la distribuzione del calore con produzione combinata di energia elettrica. La centralizzazione è un obbligo derivante dalla disponibilità di cascami di calore provenienti dalla produzione necessariamente concentrata di energia elettrica. Tale soluzione consente un maggiore controllo delle emissioni di anidride carbonica e presenta inoltre maggiori possibilità per l’impiego di sistemi a policombustibile o comunque potenzialmente riconvertibili per l’utilizzo di altre fonti di energia o di cascami di calore che si dovessero rendere disponibili in momenti successivi all’installazione. La soluzione cogenerativa, inoltre, risulta competitiva con quella tradizionale, di produzione separata di energia elettrica e calore anche senza monetizzare i vantaggi di tipo ambientale in quanto l’aumento dei costi che comporta viene compensato dalla minore spesa per la centrale elettrica e per le caldaie di edificio. Qualora sussistano condizioni generali favorevoli al contorno, la valutazione complessiva di questa opzione sarà fatta sulla base di un approfondito studio di fattibilità.
C
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE
FIG. E.8.2./15 TUBAZIONE IN CUNICOLO E TUBAZIONE PRE-ISOLATA
RIVESTIMENTO ESTERNO IN POLIETILENE
SCHIUMA POLIURETANICA TUBO ACCIAIO
• motori a gas: impianti con turboalternatore alimentato a gas dai quali il calore per il teleriscaldamento viene ottenuto dai gas di scarico.
E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
Per impianti di grande taglia (> 10 MW) si utilizzano sistemi a ciclo combinato con turbine a gas e vapore.
SISTEMA DI DISTRIBUZIONE DEL CALORE È costituito dalla rete di distribuzione (che convoglia il fluido termovettore dalla centrale di produzione alle sottostazioni di utenza) e dalla stazione di pompaggio. Da un punto di vista tipologico si possono distinguere tre principali tipologie di rete: ramificata (A), ad anello (B), a maglie (C) (Fig. E.8.2./14). Una rete di distribuzione può essere posata in superficie o in sottosuolo; il tracciato in superficie, se tecnicamente fattibile, presenta caratteristiche di maggiore economicità. Nel caso di posa sotterranea i costi sono condizionati dalle caratteristiche del terreno e dal tipo di infrastrutture e canalizzazioni presenti (rete stradale, linee ferroviarie, linee elettriche, reti di acqua e gas). La protezione delle tubazioni interrate è realizzata mediante l’inserimento dei tubi, opportunamente isolati e protetti, in appositi cunicoli realizzati con elementi di calcestruzzo prefabbricati con una soletta di fondazione gettata in opera (Fig. E.8.2./15).
E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM
CENTRALE DI PRODUZIONE DEL CALORE Per realizzare centrali di quartiere si ricorre tipicamente a: • turbine a gas: impianti basati su motori endotermici dai quali il calore per il teleriscaldamento viene ottenuto dalla refrigerazione delle camere di combustione, dal circuito dell’olio lubrificante e dal circuito dei gas di scarico;
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
SOTTOSTAZIONI DI UTENZA La rete principale è collegata alle utenze essenzialmente con due tipi di sistema: diretto o indiretto. Nel sistema diretto la rete di distribuzione è collegata direttamente alla rete di utilizzazione che quindi funziona alle stesse condizioni di temperatura e pressione, che deve essere quindi progettato e realizzato ad hoc. Non possono quindi essere utilizzate reti preesistenti e l’adozione di nuovi sistemi comporta oneri più elevati. Il sistema indiretto si avvale di scambiatori di calore interposti tra la rete di distribuzione e quella di utenza. In questo modo i due circuiti sono disgiunti ed è quindi possibile utilizzare per la rete delle utenze un impianto esistente ovvero impianti di tipo standard per il riscaldamento. Tale sistema consente l’installazione di sistemi di contabilizzazione del calore a livello di singola utenza e di sottocentrali con funzioni di integrazione (utilizzate quando la sorgente del sistema primario non possa garantire costantemente il livello di temperatura necessario all’utenza).
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. E.8.2NTI DI IMPIALDAMENTO RISCA
E 139
E.8. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE IMPIANTI DI RISCALDAMENTO COMPONENTI D’IMPIANTO PER LA PRODUZIONE DEL CALORE CENTRALE TERMICA La centrale termica è il luogo ove sono ubicati gli organi principali, per la produzione del calore, dell’impianto di riscaldamento. Generalmente si tratta di un locale, che per ubicazione, dimensioni, accessi, caratteristiche costruttive e strutturali deve rispondere alle norme di prevenzione incendi, e deve normalmente avere un’entrata attestata su uno spazio a cielo libero e una finestra per l’aerazione. Nella centrale termica sono collocati: uno o più generatori di calore, con i relativi bruciatori e i dispositivi di sicurezza; la rete di tubazioni, termicamente isolate, per la distribuzione del fluido termovettore alle utenze; le elettropompe per la circolazione del fluido termovettore; le apparecchiature di termoregolazione e di controllo; il vaso o i vasi di espansione (per gli impianti a vaso chiuso). Nel locale della centrale termica possono eventualmente trovare posto altre apparecchiature quali: il serbatoio di servizio per gli impianti a nafta, qualora il serbatoio principale sia oltre i limiti di aspirazione della pompa del bruciatore; l’impianto di addolcimento dell’acqua di reintegro dell’impianto termico; eventuali scambiatori di calore. Oltre alla normativa regolante l’aspetto strutturale, una centrale termica è assoggettata a una normativa di sicurezza riguardante sia l’installazione e le caratteristiche delle apparecchiature presenti, che l’organizzazione e la conduzione della centrale stessa. Le norme concernono la progettazione, la costruzione e l’esercizio di impianti termici di potenzialità superiore a 35 kW alimentati con: combustibili liquidi derivati dal petrolio (oli combustibili e gasoli); gas di petrolio liquefatto (GPL); gas di rete con densità inferiore a 0,8 (metano). REQUISITI DEL LOCALE CALDAIA
Il generatore di calore, o caldaia, è l’apparecchio destinato a trasferire il calore prodotto da una combustione a un fluido circolante al suo interno; per effetto del calore ricevuto il fluido subisce pertanto, nell’attraversamento della caldaia, un incremento di temperatura. La caldaia è costituita da una parte ove circola il fluido da riscaldare e da una camera di combustione (o focolare) in cui avviene la combustione. Il trasferimento di calore dai prodotti della combustione al fluido ha inizio nella camera di combustione e prosegue lungo il successivo percorso, denominato “giri di fumo”. La parte del generatore rivolta verso la camera di combustione riceve la maggior parte del calore per irraggiamento, le altre parti ricevono calore per convezione, lambite dai gas della combustione. L’insieme delle superfici che ricevono il calore costituiscono la “superficie riscaldata”, attraverso la quale avviene lo scambio termico, cioè la trasmissione del calore dai prodotti della combustione al fluido circolante nel generatore. Il valore, espresso in m2, della superficie riscaldata, detta anche “superficie di scambio”, viene assunto convenzionalmente per definire la grandezza del generatore di calore. Il percorso del fluido da riscaldare avviene nell’intercapedine tra la superficie riscaldata (la superficie di scambio) interna e la superficie esterna della caldaia, seguendo un percorso diretto normalmente dal basso verso l’alto. La superficie esterna è isolata con uno strato di materiale coibente, protetto all’esterno da un’opportuna lamiera; questa struttura è detta “mantello isolante” e ha la funzione di ridurre le dispersioni di calore verso l’esterno. Caratteristiche principali dei generatori di calore
I locali in cui vengono installate le apparecchiature della centrale termica devono avere i requisiti previsti dal DM 12 aprile 1996 per impianti a gas che, tra l’altro, prescrive: Disposizione degli apparecchi all’interno dei locali: le distanze tra un qualsiasi punto esterno degli apparecchi e le pareti verticali e orizzontali del locale, nonché le distanze fra gli apparecchi installati nello stesso locale devono permettere l’accessibilità agli organi di regolazione, sicurezza e controllo nonché la manutenzione ordinaria. Caratteristiche costruttive: l’altezza del locale di installazione deve rispettare le seguenti dimensioni minime, in funzione della portata termica complessiva: • • • •
GENERATORI DI CALORE
2.00 m per portate fino a 116 kW; 2.30 m per portate tra 116 e 350 kW; 2.60 m per portate tra 350 e 580 kW; 2.90 m per portate superiori a 580 kW.
• Potenza termica utile: la quantità di calore trasferita nell’unità di tempo al fluido termovettore, corrispondente alla potenza termica del focolare diminuita della potenza termica scambiata dall’involucro del generatore con l’ambiente e della potenza termica persa al camino; l’unita di misura utilizzata e il kW (DPR 412/1993). • Potenza termica al focolare: il prodotto del potere calorifico inferiore del combustibile impiegato e della portata di combustibile bruciato. Si misura in kW (DPR 412/1993). I generatori di calore possono essere classificati in funzione di diverse caratteristiche, come risulta dalla tabella seguente.
TAB. E.8.1./2 CLASSIFICAZIONE DEI GENERATORI DI CALORE • assenza di comunicazione con altri locali destinati ad altro uso, compreso vano scale e ascensore; • superficie in pianta: deve essere tale da consentire l’installazione di due caldaie per impianti di potenza superiore a 350 kW (art.5 c.5 DPR 412/1993 e successive modifiche e integrazioni); è ammessa deroga nel caso di sostituzione di generatore di calore già esistente, qualora ostino obiettivi impedimenti di natura tecnica o economica (es. scarsa disponibilità di spazio); • accesso alla centrale termica: per fabbricati pubblici e di uso pubblico e per quelli con altezza di gronda superiore a 24 m, deve essere realizzato direttamente da spazi a cielo aperto e per gli altri deve essere realizzato attraverso un disimpegno opportunamente ventilato; • ventilazione: nel locale devono essere previste una o più aperture libere per la ventilazione la cui superficie (S in cm2) deve rispettare le seguenti dimensioni minime espresse in funzione della portata termica complessiva (Q in kW): - S ≥ Q x 10 per locali fuori terra; - S ≥ Q x 15 per locali seminterrati e interrati, fino a 5 m al di sotto del piano di riferimento; - S ≥ Q x 20 (con un minimo di 5.000 cm2) per locali interrati, a quota compresa tra 5 m e 10 m al di sotto del piano di riferimento (consentiti solo per i locali con particolari caratteristiche indicate al punto 4.2 del citato DM 12 aprile 1996).
ELEMENTO DI CARATTERIZZAZIONE
TIPO DI GENERATORE Caldaie ad acqua calda Caldaie ad acqua surriscaldata
FLUIDO TERMOVETTORE
Caldaie a vapore Caldaie a olio diatermico Generatori di aria calda
VOLUME D’ACQUA PRESSIONE IN CAMERA DI COMBUSTIONE
Caldaie a grande volume d’acqua Caldaie a piccole volume d’acqua Caldaie con focolare in depressione Caldaie con focolare pressurizzato Caldaie in ghisa
MATERIALE DI COSTRUZIONE
Caldaie in acciaio A tubi d’acqua A tubi di fumo
TEMPERATURA DEI FUMI IN USCITA
Caldaie ad alto rendimento Caldaie a condensazione
TAB. E.8.2./1 SUPERFICIE IN PIANTA DELLA CENTRALE IN FUNZIONE DELLA POTENZIALITÀ TOTALE
E 140
POTENZA TERMICA (Kcal/h)
SUPERFICIE (m 2 )
40.000 80.000 100.000 200.000 300.000 500.000 600.000 800.000 1.000.000
10 15 20 25 30 45 50 60 65
RENDIMENTO TERMICO DI UNA CALDAIA Si definisce rendimento termico utile di un generatore di calore, il rapporto tra la potenza termica utile e la potenza termica del focolare (DPR 412/1993). Le perdite più significative si hanno con l’espulsione dei prodotti della combustione, sia per effetto del calore sensibile posseduto dai gas caldi in uscita, sia per l’eventuale incompleta reazione del combustibile con formazione di monossido di carbonio e di incombusti. Oltre a queste vi sono le cosiddette perdite a vuoto, cioè le perdite attraverso le superfici calde del generatore e quelle per tiraggio naturale al camino a bruciatore spento. Le perdite per irraggiamento e convezione dall’involucro esterno della caldaia sono limitate se questa è provvista di mantello isolante in buone condizioni come anche le perdite per tiraggio naturale, presenti anche durante le fasi di inattività del bruciatore.
CONTROLLO AMBIENTALE
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE IMPIANTI DI RISCALDAMENTO
•
E.8. 2. A.ZIONI
PROGETTAZIONE E NORMATIVA La potenzialità del generatore di calore viene stabilita in base ai criteri indicati nei DPR 412/1993 e 551/1999 e dalle norme UNI 10344, 10345 e 10379. Per potenzialità inferiori a 500.000 Kcal/h si utilizzano caldaie in ghisa o in acciaio; per potenzialità superiori, invece, solo in acciaio. Se la potenzialità è maggiore di 350 kW (circa 300.000 Kcal/h), nel caso di trasformazione dell’impianto o di nuova installazione, si deve ripartire la potenza su almeno due generatori di calore (DPR 412/1993, art.5 c.5); se invece si deve effettuare una semplice sostituzione della caldaia con altra uguale, qualora esistano oggettivi impedimenti di natura tecnica o economica (ad es. superficie insufficiente del locale caldaia), si può evitare di effettuare tale suddivisione. La ripartizione su almeno due unità, rispetto ai maggiori costi di installazione, consente di aumentare l’affidabilità del sistema e di ridurre i costi di esercizio grazie al maggior rendimento delle caldaie quando funzionano al disopra del 60% della potenzialità. Inoltre, per potenze superiori a 350 kW, devono essere installati apparecchi per il trattamento dell’acqua secondo quanto prescritto dalla norma UNI 8065. Se è prevista la produzione centralizzata di acqua calda sanitaria oltre a quella per riscaldamento, è necessario adottare 2 generatori di calore anche per potenze inferiori
a 350 kW, a meno di dimostrare che l’adozione di un unico generatore di calore realizzi effettivi risparmi di ordine economico e/o impiantistico (minori costi di installazione e/o gestione); di tale scelta dovrà essere riportata documentazione nella relazione tecnica di cui all’art.28 legge 10/1991. Negli impianti termici di nuova installazione e in quelli sottoposti a ristrutturazione, i generatori di calore destinati alla produzione di acqua calda sanitaria per più utenze di tipo abitativo devono essere dimensionati secondo le norme tecniche UNI 9182, devono disporre di un sistema di accumulo dell’acqua calda di capacità adeguata, coibentato in funzione del diametro dei serbatoi secondo le indicazioni valide per le tubazioni (vedi tabella dell’allegato “B” al DPR 412/1993 e successive modifiche e integrazioni) e devono essere progettati e condotti in modo che la temperatura dell’acqua, misurata nel punto di immissione della rete di distribuzione, non superi i 48 °C + 5 °C di tolleranza. Nel caso di edifici di nuova costruzione, la cui concessione edilizia sia successiva al 30 giugno 2000, gli impianti termici devono inoltre essere dotati di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del consumo energetico per ogni singola unità immobiliare (DPR 21 dicembre 1999 n.551 “Regolamento recante modifiche al DPR 26 agosto 1993, n.412 in materia di progettazione, installazione, esercizio e manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia”).
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
IMPIANTI DI RISCALDAMENTO AUTONOMI – TIPOLOGIE IMPIANTO CON DISTRIBUZIONE A COLLETTORE L’impianto è costituito da una tubazione di mandata e una di ritorno, di solito in rame, e facenti capo al generatore di calore già predisposto con gli attacchi necessari per gli allacci alle utenze. Ciascun corpo scaldante viene alimentato singolarmente dai collettori con una tubazione di mandata e una di ritorno. Gli sfoghi per l’eliminazione dell’aria contenuta nel circuito idraulico devono essere predisposti direttamente sui corpi scaldanti; tali sfoghi possono essere realizzati mediante valvole di tipo manuale o automatico. Il sistema a collettori consente la “separazione termica” e la conseguente termoregolazione di ciascuna zona riscaldata dal gruppo di radiatori alimentati da ciascun collettore mediante l’installazione, sul rispettivo collettore di mandata, di una elettrovalvola comandata da un termostato ambiente. Tale elettrovalvola consente di regolare la temperatura di ogni singola zona alimentata dal rispettivo collettore secondo le necessità dell’utente rendendo possibile l’eventuale esclusione dal riscaldamento dei radiatori (installati nei vari ambienti) alimentati dal relativo collettore con conseguente risparmio energetico.
A – IMPIANTO AUTONOMO PER UN APPARTAMENTO CON POSSIBILITÀ DI INSTALLAZIONE DELLA CALDAIA SU BALCONE; IMPIANTO DI DISTRIBUZIONE A DUE TUBI: ANDATA E RITORNO
G.ANISTICA URB
FIG. E.8.2./16 IMPIANTO DI DISTRIBUZIONE A DUE TUBI: ANDATA E RITORNO (caldaia all’esterno) E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
3
4
IMPIANTO MONOTUBO
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
2
1 6
L’impianto monotubo è formato da un circuito ad anello costituito da un unico tubo, normalmente in rame, lungo il quale sono disposti in serie tutti i corpi scaldanti. Il collegamento è realizzato mediante speciali raccordi inseriti nella parte bassa o in quella alta del corpo scaldante stesso. Proprio per il fatto che ciascun radiatore è alimentato con l’acqua uscente dal radiatore che lo precede (disposizione dei radiatori in serie), le temperature dell’acqua di entrata nei vari radiatori dell’impianto risultano via via decrescenti a partire dal primo (più vicino al generatore e quindi con una temperatura dell’acqua più elevata) per finire all’ultimo (più lontano dal generatore e quindi con una temperatura dell’acqua più bassa). Per questi motivi è consigliabile non alimentare, con un unico anello, più di 5 o 6 corpi scaldanti. In caso contrario si correrebbe il rischio di alimentare gli ultimi radiatori con temperature dell’acqua troppo basse che, a parità di calore fornito, comporterebbero eccessive superfici di scambio (radiatori di grosse dimensioni). Un percorso del fluido termovettore eccessivamente lungo genererebbe, inoltre, notevoli perdite di carico per superare le quali sarebbe necessario installare pompe con maggiori prevalenze e/o tubazioni di maggior diametro interno. Per impianti particolarmente estesi si ricorre a un tipo di impianto misto con due o più anelli derivati da un collettore. Gli sfoghi per l’eliminazione dell’aria contenuta nel circuito idraulico devono essere predisposti direttamente sui corpi scaldanti; tali sfoghi possono essere realizzati mediante valvole come negli impianti a collettore. Per quanto esposto, questo impianto necessita di un’attenta progettazione.
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
6
5
CAMERA
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE
BAGNO CUCINA
6
6
CAMERA E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM
CAMERA CAMERA
E.6. MIDA U ARIA
6
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
INGRESSO
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
Nella Fig. E.8.2./16 sono indicati schematicamente tutti gli elementi che compongono l’impianto di riscaldamento, e cioè:
ESEMPI 1) presa di alimentazione del gas dalla rete principale; Di seguito si riportano alcune tipologie d’impianto con la definizione delle caratteristiche costruttive e delle norme da rispettare per ogni sua parte. A. Impianto autonomo per un appartamento con possibilità di installazione della caldaia su balcone realizzato mediante impianto di distribuzione a due tubi (andata e ritorno); B. Impianto autonomo per un appartamento con possibilità di installazione della caldaia su balcone realizzato mediante impianto di distribuzione a monotubo; C. Impianto autonomo per un appartamento con possibilità di installazione della caldaia solo all’interno dell’appartamento realizzato mediante impianto di distribuzione a due tubi (andata e ritorno).
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
2) generatore di calore; 3) canna fumaria; 4) collettore di distribuzione del fluido termovettore; 5) tubazioni di distribuzione del fluido termovettore; 6) elementi radianti.
➥
. E.8.2NTI DI IMPIALDAMENTO RISCA
E 141
E.8. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE IMPIANTI DI RISCALDAMENTO ➦ IMPIANTI DI RISCALDAMENTO AUTONOMI – TIPOLOGIE ➦ ESEMPI
FIG. E.8.2./18 IMPIANTO DI DISTRIBUZIONE MONOTUBO (caldaia all’esterno)
B – IMPIANTO AUTONOMO PER UN APPARTAMENTO CON POSSIBILITÀ DI INSTALLAZIONE DELLA CALDAIA SU BALCONE; IMPIANTO DI DISTRIBUZIONE A MONOTUBO.
1
7
3
4 6
Nella Fig. E.8.2./17 sono indicati schematicamente tutti gli elementi che compongono l’impianto di riscaldamento, e cioè: 1) presa di alimentazione del gas dalla rete principale; 2) generatore di calore; 3) canna fumaria; 4) tubazioni di distribuzione del fluido termovettore; 5) elementi radianti.
2
5
CAMERA
6
BAGNO CUCINA
CAMERA
FIG. E.8.2./17 IMPIANTO DI DISTRIBUZIONE MONOTUBO (caldaia all’esterno)
2
1
3
6
4
5
5
5
4
CAMERA
CAMERA
BAGNO CAMERA
CUCINA
INGRESSO 4
CAMERA 4
4
CAMERA
5
INGRESSO
In questo caso i corpi scaldanti (preferibilmente non più di 3-5) vengono collegati in serie a una sola tubazione di mandata e di ritorno. Le temperature di ingresso e di uscita ai singoli corpi scaldanti, in questo caso, non assumono gli stessi valori (come nel caso del collegamento in parallelo); la temperatura di ingresso di un corpo scaldante, infatti, coincide con la temperatura di uscita del precedente con una conseguente variazione di efficienza tra il primo e l’ultimo corpo scaldante. Questa soluzione può essere adoperata, oltre che per impianti autonomi, anche per impianti di maggiori dimensioni inserendo in parallelo, sulle colonne montanti tradizionali, gli impianti monotubo degli appartamenti che in tal modo possono essere inseriti o disinseriti autonomamente. Dovranno essere rispettate tutte le prescrizioni di sicurezza già indicate per l’impianto a due tubi, in particolare quelle relative alla presa di alimentazione del gas dalla rete principale e quelle relative alle tubazioni di adduzione del gas (esterne, interrate o sotto traccia). Anche in questo caso la caldaia a servizio dell’impianto, se posizionata all’esterno dell’appartamento, può essere di tipo B (secondo la UNI 7129) e sarà installata secondo le prescrizioni del costruttore con opportuno riparo dagli agenti atmosferici. La caldaia, sia che si tratti di tipo B che di tipo C, dovrà essere collegata al relativo condotto di evacuazione dei prodotti della combustione (camino singolo o canna fumaria) per lo scarico dei fumi, controllando la perfetta tenuta del relativo canale da fumo (condotto di collegamento tra caldaia e canna fumaria). Anche in questo caso dovranno essere rispettate le prescrizioni relative alla coibentazione delle tubazioni di trasporto del fluido termovettore secondo quanto previsto dal DPR 412/1993. C – IMPIANTO AUTONOMO PER UN APPARTAMENTO CON POSSIBILITÀ DI INSTALLAZIONE DELLA CALDAIA SOLO ALL’INTERNO DELL’APPARTAMENTO; IMPIANTO DI DISTRIBUZIONE A DUE TUBI: ANDATA E RITORNO Nella Fig. E.8.2./18 sono indicati schematicamente tutti gli elementi che compongono l’impianto di riscaldamento, e cioè: 1) presa di alimentazione del gas dalla rete principale; 2) generatore di calore; 3) canna fumaria; 4) collettore di distribuzione del fluido termovettore; 5) tubazioni di distribuzione del fluido termovettore; 6) elementi radianti; 7) canale da fumo. In questo caso la tubazione di adduzione del combustibile (gas di rete o GPL) dall’esterno dell’appartamento, attraversando il muro perimetrale, si collegherà al generatore di calore posto all’interno dell’appartamento.
E 142
6
4
4
5
CAMERA
In tali condizioni dovrà essere previsto: • è preferibile l’installazione di una caldaia di tipo “C”, secondo le definizioni della normativa UNI 7129/92; • protezione della tubazione, come riportato in Fig. E.8.2./18, nel tratto di attraversamento del muro perimetrale; • installazione di un secondo rubinetto (valvola di intercettazione) sulla tubazione di adduzione del combustibile posizionata immediatamente all’interno dell’appartamento (indipendentemente dal rubinetto previsto all’esterno. Dovranno essere rispettate tutte le prescrizioni di sicurezza già indicate per gli impianti precedenti, in particolare quelle relative alla presa di alimentazione del gas dalla rete principale e quelle relative alle tubazioni di adduzione del gas (esterne, interrate o sotto traccia). In questo caso la caldaia a servizio dell’impianto, posizionata all’interno dell’appartamento, è consigliabile che non sia di tipo B ma sia di tipo C (secondo le definizione della UNI 7129) e che dovrà essere installata secondo le prescrizioni del costruttore. Pertanto, nei casi di installazione all’interno dell’appartamento è opportuno che siano installate preferibilmente caldaie di tipo C. Per queste non vi è alcuna prescrizione particolare da osservare sulla ventilazione del locale (stagne rispetto all’ambiente). Anche in questo caso dovranno essere rispettate le prescrizioni relative sia al corretto collegamento della caldaia al condotto di evacuazione dei prodotti della combustione (camino o canna fumaria) controllando la perfetta tenuta del relativo canale da fumo, che quelle relative alla coibentazione delle tubazioni del trasporto del fluido termovettore secondo quanto previsto dai DPR 412/1993 e 551/1999.
PRESCRIZIONI DI SICUREZZA CALDAIE AD ACQUA ALIMENTATE A GAS CON BRUCIATORE ATMOSFERICO (Caldaie di tipo A – Norma UNI 7271) • I raccordi delle canalizzazioni del gas e dell’acqua devono essere facilmente accessibili. • Deve essere possibile raccordare le caldaie a una canalizzazione del gas rigida, mediante raccordi filettati e flangiati (controflangia e guarnizione per la tenuta forniti dal costruttore). • Tutte le tubazioni del gas facenti parte delle caldaie devono essere metalliche. • La tubazione di mandata e ritorno del circuito idraulico devono essere chiaramente evidenziate. • La tenuta tra pezzi del circuito gas, suscettibili di essere smontati per le normali operazioni di manutenzione, deve essere assicurata per mezzo di giunti meccanici (metallo su metallo, guarnizioni o giunti toroidali). • È escluso l’uso di prodotti sigillanti quali nastri, paste o liquidi per assicurare la tenuta. • È invece ammesso l’uso di tali sigillanti per montaggi di particolari che non sono suscettibili di rimozione. CALDAIE DI TIPO B • Le caldaie di tipo B devono essere munite di interruttore di tiraggio antivento (o dispositivo equivalente) fornito dal costruttore. • Il tubo di evacuazione deve essere inserito nell’apposito attacco sulla caldaia per una lunghezza di 15 mm (per caldaie con potenza fino a 70 kW) o 25 mm (per caldaie con potenza maggiore di 70 kW). CALDAIE DI TIPO C • È richiesto il solo adattamento, allo spessore del muro, della lunghezza dei tubi di ingresso dell’aria comburente e di evacuazione dei fumi.
CONTROLLO AMBIENTALE
•
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE IMPIANTI DI RISCALDAMENTO
E.8. 2. A.ZIONI
COMPONENTI PER GLI IMPIANTI AUTONOMI Si possono definire impianti autonomi quegli impianti che servono una singola utenza; la maggioranza di tali impianti sono alimentati a gas dalla rete (metano) o da bombole (GPL). Nel seguito si descrivono le tipologie dei generatori di calore, le principali modalità di installazione e la normativa che disciplina l’installazione (o il rifacimento) e la gestione degli impianti autonomi di riscaldamento. Si tratta in genere di impianti di piccola taglia per cui vengono presi in considerazione impianti di potenzialità fino a 34,8 kW (circa 30.000 kcal/h); per gli impianti autonomi di potenzialità superiore verrà evidenziata la normativa specifica da seguire.
GENERATORI DI CALORE La tipologia dei generatori di calore è definita dalla norma UNI 7129/1992; di seguito si riportano le caratteristiche e gli schemi di installazione per i vari tipi di generatori previsti da tale norma (vedi Fig. E.8.2./19).
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
FIG. E.8.2./19 SCHEMA DI RIFERIMENTO TIPOLOGIE DEI GENERATORI DI CALORE
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
LEGENDA:
CO NTALE AMBIE
ARIA FUMI VENTILATORE
FUMI
F. TERIALI,
ARIA
G.ANISTICA
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
BRUCIATORE APERTURA ROMPITIRAGGIO - ANTIVENTO
URB Tipo A
Tipo B 11
Apparecchi previsti per non essere collegati a un contratto o a un dispositivo speciale di evacuazione dei prodotti della combustione verso l’esterno
Camino singolo, scarico diretto all’esterno tiraggio naturale
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS
Tipo B11
Tipo B12
Tipo B22
Camino singolo, scarico diretto all’esterno tiraggio naturale – altra configurazione di camino
Camino singolo, scarico diretto all’esterno, rompi-tiraggio antivento prima del ventilatore
Camino singolo, scarico diretto all’esterno, ventilatore dopo la camera di combustione, senza rompi-tiraggio antivento
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
Tipo B22
Tipo B23
Tipo B23
Camino singolo, scarico diretto all’esterno, ventilazione dopo la camera di combustione, senza rompi-tiraggio antivento
Camino singolo, scarico diretto all’esterno, ventilazione dopo la camera di combustione, senza rompi-tiraggio antivento – altra conformazione di camino
Camino singolo, scarico diretto all’esterno, ventilazione dopo la camera di combustione, senza rompi-tiraggio antivento – altra conformazione di camino
➥
. E.8.2NTI DI IMPIALDAMENTO RISCA
E 143
E.8. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE IMPIANTI DI RISCALDAMENTO ➦ COMPONENTI PER GLI IMPIANTI AUTONOMI ➦ GENERATORI DI CALORE ➦ FIG. E.8.2./19 SCHEMA DI RIFERIMENTO TIPOLOGIE DEI GENERATORI DI CALORE
AI R
A
A
AI R
FUMI
FUMI
R AI
R AI
A
ARIA
A
FUMI
Tipo C11
Tipo C11
Tipo C12
Ricevono aria comburente e scaricano i prodotti della combustione direttamente all’esterno mediante due orifizi (nella figura gli orifizi sono sulla stessa parete e non c’è il ventilatore)
Ricevono aria comburente e scaricano i prodotti della combustione direttamente all’esterno mediante due orifizi (nella figura gli orifizi sono concentrici e non c’è il ventilatore)
Ricevono aria comburente e scaricano i prodotti della combustione direttamente all’esterno mediante due orifizi (nella figura gli orifizi sono concentrici e il ventilatore si trova dopo la camera di combustione)
Tipo C13
Tipo C22
Tipo C22
Ricevono aria comburente e scaricano i prodotti della combustione direttamente all’esterno mediante due orifizi (nella figura gli orifizi sono sulla stessa parete e il ventilatore si trova prima della camera di combustione)
Ricevono aria comburente e scaricano i prodotti della combustione attraverso una canna fumaria (nella figura il ventilatore si trova dopo la camera di combustione)
Ricevono aria comburente e scaricano i prodotti della combustione attraverso una canna fumaria (nella figura il ventilatore si trova dopo la camera di combustione)
Tipo C22
Tipo C22
Tipo C32
Ricevono aria comburente e scaricano i prodotti della combustione attraverso una canna fumaria (nella figura il ventilatore si trova prima della camera di combustione)
Ricevono aria comburente e scaricano i prodotti della combustione attraverso una canna fumaria (nella figura il ventilatore si trova prima della camera di combustione)
Ricevono aria comburente da una presa esterna e scaricano i prodotti della combustione attraverso un dispositivo di evacuazione (nella figura gli orifizi sono su pareti diverse e il ventilatore si trova dopo la camera di combustione)
Tipo C32
Tipo C33
Tipo C33
Ricevono aria comburente da una presa esterna e scaricano i prodotti della combustione attraverso un dispositivo di evacuazione (nella figura gli orifizi sono su pareti diverse e il ventilatore si trova dopo la camera di combustione)
Ricevono aria comburente da una presa esterna e scaricano i prodotti della combustione attraverso un dispositivo di evacuazione (nella figura gli orifizi sono su pareti diverse e il ventilatore si trova prima della camera di combustione)
Ricevono aria comburente da una presa esterna e scaricano i prodotti della combustione attraverso un dispositivo di evacuazione (nella figura gli orifizi sono su pareti diverse e il ventilatore si trova prima della camera di combustione)
FUMI ARIA
E 144
CONTROLLO AMBIENTALE
•
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE IMPIANTI DI RISCALDAMENTO
E.8. 2. A.ZIONI
APPARECCHI DI TIPO “A” Apparecchi previsti per non essere collegati a un condotto o a un dispositivo speciale di evacuazione dei prodotti della combustione verso l’esterno
• l’aria comburente è prelevata direttamente dall’ambiente in cui sono installati; il collegamento a camini e a canne fumarie o lo scarico diretto all’esterno devono ottemperare alla norma UNI 7129/1992. • è vietata la trasformazione di un apparecchio a tiraggio naturale in uno a tiraggio forzato.
Applicazioni principali • scaldacqua istantanei fino a 11 kW (9.460 kcal/h); • apparecchi ad accumulo fino a una capacità di 50 litri e fino a 4,65 kW (4.000 kcal/h); • apparecchi indipendenti per il riscaldamento fino a 3,5 kW (3.010 kcal/h); • tutti gli apparecchi a gas di portata termica fino a 2,9 kW (2.494 kcal/h).
Applicazioni principali • riscaldamento ambienti, • produzione di acqua calda sanitaria.
Sono escluse le cucine a gas.
Requisiti • non possono essere installati nei locali in cui siano presenti camini senza afflusso di aria propria.
Requisiti • devono essere muniti di dispositivi di sicurezza per l’accensione; contro lo spegnimento; per il controllo dell’atmosfera; • non devono essere installati in locali da bagno, in camere da letto o in locali di volume inferiore a 12 m3; • il volume del locale deve essere di almeno 1,5 m3 per ogni kW di portata termica; • la potenza complessiva di più apparecchi di TIPO “A” installati in un unico locale non può superare i 15 kW (12.900 kcal/h); • devono essere previste due aperture di ventilazione dotate di grata di protezione che non riduca la sezione utile di efflusso, delle dimensioni di almeno 100 cm2 ciascuna. Gli apparecchi di tipo “A” si distinguono in: “A1” = apparecchio senza ventilatore; “A2” = apparecchio con ventilatore prima della camera di combustione; “A3” = apparecchio con ventilatore dopo la camera di combustione. APPARECCHI DI TIPO “B” Apparecchi previsti per essere collegati a una canna fumaria o a un dispositivo di scarico dei prodotti della combustione verso l’esterno del locale. L’aria comburente è prelevata direttamente dall’ambiente in cui sono installati. Applicazioni principali • riscaldamento ambienti, • produzione di acqua calda sanitaria. Requisiti Non possono essere installati nei locali in cui siano presenti camini senza afflusso di aria propria; il collegamento a camini e a canne fumarie o lo scarico diretto all’esterno devono ottemperare alla norma UNI 7129/1992. apparecchi per riscaldamento ambienti: • non possono essere installati in locali da bagno o in camere da letto.
Gli apparecchi di tipo “B” si distinguono nei seguenti sottotipi: “B1” = apparecchi con dispositivo rompitiraggio – antivento; “B2” = apparecchi senza dispositivo rompitiraggio – antivento;
F. TERIALI,
Le dimensioni delle tubazioni in rame devono rispettare quanto prescritto dalla norma UNI 6507. Le giunzioni devono essere realizzate con saldatura di testa o a giunzione capillare; sono ammesse anche giunzioni meccaniche (a esclusione delle tubazioni
CO NTALE AMBIE ICHE TECN MA ONENTI, P COM
APPARECCHI DI TIPO “C” Apparecchi con il circuito di combustione (presa dell’aria comburente, camera di combustione, scambiatore, evacuazione dei prodotti della combustione) stagno rispetto al locale in cui sono installati. Requisiti del locale • non sono soggetti ad alcun vincolo sulla loro ubicazione e sull’apporto di aria comburente. • non è consentito l’impiego di condotti corrugati per il collegamento dei generatori di calore ai camini o canne fumarie. Gli apparecchi di tipo C ricevono aria comburente e scaricano prodotti della combustione direttamente all’esterno secondo tre principali sistemi impiantistici: • attraverso due orifizi distinti entrambi situati sulla stessa parete e contenuti in un quadrato di lato 0,5 m, • attraverso due orifizi distinti, ambedue su pareti anche diverse del locale in cui è situato l’apparecchio e lontani uno dall’altra, • attraverso due orifizi concentrici.
Le caratteristiche complete delle apparecchiature di tipo “A”, “B” e “C” sono contenute nella normativa UNI 10642/97.
COLLEGAMENTO DEL GENERATORE DI CALORE ALLA RETE ESTERNA DI DISTRIBUZIONE
TUBI IN RAME
D.GETTAZIONE E.NTROLLO
Le apparecchiature di tipo “A” e “B” possono essere dotati dei seguenti dispositivi di sicurezza: • dispositivo di sicurezza AS: per il controllo dell’atmosfera; • dispositivo di sicurezza BS: per il controllo dello scarico dei prodotti della combustione.
Devono essere in acciaio senza saldatura o con saldatura longitudinale (dimensioni secondo la UNI 8863). Le giunzioni devono essere realizzate mediante filettatura o a mezzo saldatura di testa per fusione. Nelle giunzioni filettate non è escluso l’utilizzo di canapa con mastici adatti (tranne che per impianti a GPL) e di nastri di politetrafluoruro di etilene (teflon). È assolutamente da escludere l’uso di biacca, minio o altri materiali simili. Tutti i pezzi speciali devono essere in acciaio (filettati o saldati) o ghisa malleabile (solo filettati). I rubinetti devono essere in acciaio, ottone o ghisa sferoidale con facile individuazione della posizione di “aperto” e “chiuso”.
E ESE ESSIONAL PROF
Apparecchi per produzione di acqua calda sanitaria: • non possono essere installati in camere da letto; • possono essere installati in locali da bagno di volume superiore a 20 m3 (e almeno 1,5 m3 per ogni kW di portata termica).
APPARECCHI DI TIPO “B” A TIRAGGIO FORZATO
TUBI IN ACCIAIO
I ED PRE NISM ORGA
PRO TTURALE STRU
Apparecchi per riscaldamento ambienti: • non possono essere installati in locali da bagno o in camere da letto.
Possono essere a tiraggio naturale (senza ventilatore) o con tiraggio forzato (il ventilatore può trovarsi prima o dopo la camera di combustione.
Le tubazioni che costituiscono la parte fissa degli impianti possono essere di acciaio nero o zincato, rame o polietilene (Norma UNI 7129).
B.STAZIONI DILEGIZLII C.RCIZIO
apparecchi per produzione di acqua calda sanitaria: • non possono essere installati in camere da letto, • se installati in locali da bagno il volume del locale deve essere superiore a 20 m3 e pari ad almeno 1,5 m3 per ogni kW di portata termica.
Apparecchi per i quali l’evacuazione dei prodotti della combustione verso l’esterno del locale avviene tramite un dispositivo meccanico (ventilatore) facente parte integrante dell’apparecchio.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
sotto traccia e interrate). Tutti i pezzi speciali devono essere in rame, ottone o bronzo. Le giunzioni miste (tubo rame-tubo acciaio) devono essere realizzate mediante brasatura forte o raccordi misti. I rubinetti devono essere in ottone, bronzo o acciaio con facile individuazione della posizione di “aperto” e “chiuso”.
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
TUBI IN POLIETILENE I tubi in polietilene sono da impiegare esclusivamente per tubazioni interrate e le loro dimensioni devono essere conformi a quanto previsto nella norma UNI ISO 4437 con spessore minimo di 3 mm. Tutti i pezzi speciali devono essere in polietilene; le giunzioni devono essere realizzate mediante saldatura di testa o saldatura per elettrofusione. Le giunzioni miste (tubo polietilene-tubo metallico) devono essere realizzate mediante raccordo speciale polietilene-metallo (saldatura di testa) o raccordi metallici filettati o saldati. I rubinetti possono essere oltre che in polietilene, con corpo in ottone, bronzo o acciaio con facile individuazione della posizione di “aperto” e “chiuso”. Il rubinetto di intercettazione è preferibile che venga installato all’esterno ma può essere posto anche all’interno dell’unità immobiliare. Tutti i rubinetti e le giunzioni filettate devono essere a vista o inseriti in scatole ispezionabili non a tenuta.
➥
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. E.8.2NTI DI IMPIALDAMENTO RISCA
E 145
E.8. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE IMPIANTI DI RISCALDAMENTO ➦ COMPONENTI PER GLI IMPIANTI AUTONOMI ➦ COLLEGAMENTO DEL GENERATORE DI CALORE ALLA RETE ESTERNA DI DISTRIBUZIONE POSA IN OPERA DELLE TUBAZIONI Tubazioni in vista per gas metano e GPL Le tubazioni installate in vista devono rispettare le seguenti prescrizioni: • devono avere andamento rettilineo (orizzontale, verticale) ed essere protette da urti e danneggiamenti; • se installate in locali ventilati possono avere le giunzioni saldate o filettate; • se installate in locali non ventilati, cioè privi di aperture rivolte verso l’esterno, le giunzioni devono essere unicamente saldate.
Attraversamenti di pareti: È ammesso l’attraversamento di intercapedini chiuse, purché, nell’attraversamento la tubazione non presenti giunzioni o saldature e venga collocata in tubo guaina passante di acciaio, murata con malta di cemento e di diametro superiore di almeno 10 mm rispetto al diametro esterno della condotta passante, il tubo di guaina deve avere l’estremità verso l’esterno aperta e quella verso l’interno sigillata come indicato in Fig. E.8.2./21. Nell’attraversamento di solette, pavimenti o soffitti, la guaina deve sporgere almeno 20 mm e deve essere sigillata con materiali idonei, per esempio: cemento plastico, asfalto, è tassativamente vietato l’impiego del gesso. Inoltre, nella posa in opera delle tubazioni del gas è necessario tenere presente che: • è vietata la posa in opera dei tubi del gas a contatto con le tubazioni dell’acqua;
Tubazioni interrate per gas metano e GPL Le tubazioni installate sotto terra devono rispettare le seguenti prescrizioni: • è assolutamente sconsigliato l’impiego delle tubazioni di rame; • è sconsigliato l’impiego delle tubazioni di acciaio con saldatura longitudinale; • è preferibile l’impiego delle tubazioni di acciaio senza saldature; • è consigliato l’impiego delle tubazioni in polietilene per gas di rete e GPL canalizzato;
• nel caso di installazioni di tubazioni del gas sottostanti a quelle dell’acqua (parallelismi, incroci ecc.) le tubazioni del gas devono essere protette con guaina impermeabile di materiale incombustibile e non propagante la fiamma; • è vietato adoperare le tubazioni del gas come dispersori, conduttori di terra o conduttori di protezione di impianti e di apparecchiature elettriche, compreso l’impianto telefonico (CEI 64-8); • è vietata l’installazione delle tubazioni del gas nelle canne fumarie, nei condotti dello scarico delle immondizie, nei vani per ascensori e nei vani e cunicoli destinati a contenere servizi elettrici e telefonici.
• tutte le tubazioni metalliche devono avere un rivestimento protettivo anti corrosione ed essere dotate di giunti dielettrici; • la protezione anti corrosione deve essere in tela di juta catramata o bitumata, di lana di vetro catramata o bitumata, di adesivi plastici o simili; • i giunti dielettrici devono essere conformi alla norma UNI 10284; FIG. E.8.2./21 ATTRAVERSAMENTO DI PARETI • le giunzioni tra rame e rame o rame e acciaio non devono essere impiegate per tubazioni interrate; tali giunzioni sono ammesse solo per installazioni a vista; INTERNO
ESTERNO
• tubazioni per metano e GPL installate sotto traccia; • le tubazioni installate sotto traccia devono rispettare le seguenti prescrizioni: • è vietato effettuare giunzioni filettate tra tratti di tubi di rame (UNI 7129/1992); • è sconsigliato alcun tipo di giunzione tra tubi di rame, nemmeno saldate; • è consigliato l’impiego di verghe di rame o rotoli di tubo di rame non giuntati per collegare punti in vista o ispezionabili;
TUBO
• le tubazioni devono essere posate a una distanza non maggiore di 200 mm dagli spigoli paralleli alla tubazione come indicato in Fig. E.8.2./20.
INTERCAPEDINE SIGILLATA GUAINA
FIG. E.8.2./20 TUBAZIONI PER METANO E GPL INSTALLATE SOTTO TRACCIA
cm
20
FIG. E.8.2./22 ATTRAVERSAMENTO DI SOLETTE
TUBO
20
cm
INTERCAPEDINE SIGILLATA
20cm
20cm
GUAINA
20
cm
cm
20
ZONA PER TUBAZIONI SOTTO TRACCIA
E 146
CONTROLLO AMBIENTALE
•
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE IMPIANTI DI RISCALDAMENTO
E.8. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
APPARECCHI DI COTTURA Apparecchi di cottura, lavabiancheria, scalda acqua istantanei e con accumulo, e comunque tutti gli apparecchi a gas aventi portata termica non maggiore di 2.500 kcal/h, possono essere installati senza alcun condotto di scarico qualora vengano rispettati determinati requisiti e prescrizioni quali: • il rispetto delle norme sulla ventilazione; • siano muniti di dispositivi di sicurezza contro lo spegnimento; • non vengano installati in locali adibiti a bagno o doccia; • vengano installati in locali di volume non minore di 12 m3; • portata termica complessiva massima degli apparecchi: 15 kW; • e il volume del locale deve essere almeno pari a 1,5 m3 per ogni kW di portata termica installata.
PRESCRIZIONI DI CARATTERE GENERALE
• tutti gli apparecchi a gas muniti di attacco per tubo di scarico devono avere un collegamento diretto a canne fumarie o scaricare i prodotti della combustione direttamente all’esterno;
• avere sopra l’interruttore di tiraggio o, nel caso di una cappa, sopra il foro di questa, un tratto verticale di lunghezza non minore di 3 diametri del foro; • essere forniti di interruttori di tiraggio, qualora l’apparecchio non ne sia già provvisto; • al termine del tratto orizzontale di uscita deve essere applicato un dispositivo che rispetti le prescrizioni indicate nelle figure seguenti.
FIG. E.8.2./25 INSTALLAZIONE ERRATA (A filo del muro lo scarico non è ben assicurato a causa della mancanza di tiraggio)
FIG. E.8.2./26 INSTALLAZIONE ERRATA (Lo sbocco è troppo vicino al balcone sovrastante e lo scarico non è assicurato)
Per tutti gli impianti a gas è necessario verificare che:
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
Il collegamento alla rete di distribuzione del gas degli apparecchi di cottura con potenza al focolare inferiore a 34,8 kW può essere effettuato con tubo rigido di acciaio o rame oppure con tubo flessibile di acciaio inossidabile o di materiale non metallico con lunghezza massima di 2 m (vedi Fig. E.8.2./23 e Fig. E.8.2./24).
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
FIG. E.8.2./23 COLLEGAMENTO ALLA RETE DI DISTRIBUZIONE DEL GAS DEGLI APPARECCHI DI COTTURA
URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
FIG. E.8.2./27 INSTALLAZIONE ERRATA (La differenza di quota D per assicurare lo scarico è troppo piccola)
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE
FIG. E.8.2./28 INSTALLAZIONE CORRETTA
E.4. ICA T ACUS
3 VOLTE IL DIAMETRO DEL CONDOTTO
3 VOLTE IL DIAMETRO DEL CONDOTTO
1,5 m (MINIMO)
1,5 m (MINIMO)
1m (MINIMO)
3 VOLTE IL DIAMETRO DEL CONDOTTO
FIG. E.8.2./24 COLLEGAMENTO ALLA RETE DI DISTRIBUZIONE DEL GAS DEGLI APPARECCHI DI COTTURA
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
APPARECCHIATURE DI SICUREZZA A monte di ogni derivazione di apparecchio deve essere inserito un rubinetto di intercettazione posto in posizione visibile e facilmente accessibile. Se il contatore del gas è all’esterno dell’alloggio, è necessario inserire anche un rubinetto, sempre in posizione visibile e facilmente accessibile, immediatamente all’interno dell’alloggio. I rubinetti possono essere, in funzione del materiale utilizzato per le tubazioni realizzati in: acciaio, ottone, ghisa sferoidale, polietilene (per tubazioni in polietilene), bronzo.
La sezione libera di passaggio deve essere non inferiore al 75% di quella del tubo sul quale vengono inseriti; devono, inoltre, essere di facile manovrabilità e manutenzione e con immediata rilevazione delle posizioni di “aperto” e “chiuso”. La normativa che regola l’installazione degli impianti a gas è la norma UNI 7129/1992 “Impianti a gas per uso domestico alimentati da rete di distribuzione”.
. E.8.2NTI DI IMPIALDAMENTO RISCA
E 147
E.8. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE IMPIANTI DI RISCALDAMENTO CAMINI E CANNE FUMARIE La tutela del funzionamento degli apparecchi a tiraggio naturale, è tra le funzioni principali dell’impianto fumario. Tale funzione si esplica assicurando una depressione costante e una velocità nota dei fumi, rende sicura e costante l’evacuazione dei prodotti della combustione dal locale ove è installato l’apparecchio di combustione. Un sistema fumario efficiente deve ridurre al minimo l’utilizzo di energia termica atta al proprio funzionamento, assicurare l’arrivo dei fumi in atmosfera impedendo qualsiasi
tipo di disagio, agli ambienti abitati vicini e soprastanti, con particolare attenzione agli aspetti legati alla statica, l’estetica, e la funzionalità dell’edificio tutto. A conclusione del processo di evacuazione dei prodotti della combustione, l’impianto ha la funzione di assicurare la massima diluizione dei fumi con l’aria esterna, con conseguente diminuzione dell’inquinamento ad “altezza uomo” ottenuta ottimizzando il “pennacchio del fumo”, verticalizzando e accelerando l’uscita dei fumi dal comignolo.
ELEMENTI COSTITUENTI Il camino è una macchina termica che funziona secondo il principio dei vasi comunicanti, in cui la differenza di pressione tra l’ingresso dell’aria al focolare e la bocca del camino (da non confondere con la bocca del caminetto), determina il tiraggio, ossia l’evacuazione dei fumi verso l’alto. Naturalmente tale effetto si determina solo in presenza di un adeguato sistema di immissione di aria di ricambio che deve quindi essere opportunamente dimensionato. Gli elementi che compongono l’impianto fumario sono: a) il raccordo (chiamato anche canale di fumo); b) il camino; c) il comignolo. a) Il raccordo è l’elemento che unisce l’apparecchio di combustione al camino e deve adattarsi alle caratteristiche dimensionali dell’impianto nonché di portata e chimico-fisiche dei fumi. b) Il camino è il “motore” del sistema, rappresenta quindi una parte essenziale dell’impianto fumario, ed è costituito dalla base (raccolta fuliggine) e dal torrino (tratto fuoriuscente dal piano delle coperture). Il camino con la sua azione di tiraggio deve “vincere” tutte le resistenze al moto e, in particolare, deve rispondere ai seguenti requisiti: • essere a tenuta dei prodotti della combustione, impermeabile e adeguatamente isolato e coibentato alla stregua delle condizioni di impiego (UNI 9615); • essere realizzato in materiali adatti a resistere alle normali sollecitazioni meccaniche, al calore, all’azione dei prodotti della combustione e alle eventuali condense; • avere andamento prevalentemente verticale; • essere adeguatamente distanziato da materiali combustibili o infiammabili mediante intercapedine d’aria od opportuno isolante; • avere sezione interna preferibilmente circolare: le sezioni quadrate o rettangolari devono avere angoli arrotondati con raggio non inferiore a 20 mm; • avere sezione interna costante, libera e indipendente; • avere le sezioni rettangolari con rapporto massimo tra i lati di 1,5. c) Il comignolo termina l’impianto e lo preserva dalle intemperie e dai venti che potrebbero influire negativamente sul tiraggio globale dell’impianto stesso, e come per il raccordo, deve adattarsi alle più diverse necessità, tra le quali:
• • • •
adattarsi all’architettura senza diminuire le prestazioni globali dell’impianto fumario; consentire un facile accesso per la manutenzione del camino; la corrispondenza alla sezione idraulica e forma geometrica di uscita fumi dal camino; la sopraelevazione rispetto alla zona di reflusso, creata dall’inclinazione del tetto o dai volumi tecnici per i lastrici solari.
Il • • •
comignolo deve rispondere ai seguenti requisiti: avere sezione interna equivalente a quella del camino; avere sezione utile di uscita non minore del doppio di quella interna del camino; essere costruito in modo da impedire la penetrazione nel camino della pioggia, della neve, di corpi estranei e in modo che anche in caso di venti di ogni direzione e inclinazione sia comunque assicurato lo scarico dei prodotti della combustione; • essere posizionato in modo da garantire un’adeguata dispersione e diluizione dei prodotti della combustione e comunque al di fuori della zona di reflusso in cui è favorita la formazione di contropressioni. Per definizione una canna fumaria deve essere sempre costituita da tre gusci concentrici. Questa prescrizione è contenuta sia nel DPR 22 dicembre 1970, n.1391, art.6, sia nella Norma UNI-CIG 7129/1992, punto 4.3.2, ed è volta a garantire il corretto funzionamento della canna fumaria, la quale necessita dello spazio per potersi dilatare, della coibentazione per raggiungere i valori minimi di resistenza termica di parete (attualmente stabiliti dalla Norma UNI-CIG 9731/1990) e di una sufficiente protezione dalle azioni meccaniche esterne dal sistema. Su queste basi, va da sé che qualsiasi tipo di canna fumaria realizzata con un unico blocco, senza in pratica l’interposizione di isolante o di intercapedine fra la parete a contatto dei fumi e la parete di rivestimento, deve essere considerata non conforme alle norme. Gli elementi costituenti devono essere realizzati con materiali non combustibili idonei a resistere ai prodotti della combustione e alle loro eventuali condensazioni. Il guscio interno, chiamato anche elemento a contatto, deve essere impermeabile ai gas, resistente ai fumi, al calore e alla corrosione delle eventuali condense. Il guscio intermedio, chiamato anche coibentazione, deve mantenere costante la temperatura dei fumi e acconsentire le dilatazioni del guscio interno. Infine il guscio esterno, anche detto involucro, è di contenimento, collega il tutto alla struttura edilizia e deve garantire una sufficiente resistenza meccanica agli agenti atmosferici quanto a urti.
TIPOLOGIE IMPIANTISTICHE Ogni impianto fumario è costituito essenzialmente da un circuito di estrazione dei fumi e da un circuito che consente l’adduzione del necessario flusso di aria di ricambio; nel seguito si descrivono sinteticamente le tipologie più diffuse di impianti di estrazione.
FIG. E.8.2./29 CANNE FUMARIE – TIPOLOGIE
• impianto fumario singolo, inteso quale singolo sistema fumario di servizio a un unico apparecchio di combustione, costruito isolatamente all’interno, addossato o all’esterno dell’edificio (vedi Fig. E.8.2./1C) • impianto fumario a batteria inteso quale insieme di sistemi fumari di tipo singolo, costruito posizionando gli impianti adiacenti. La serie di camini fuoriuscente dal piano delle coperture è racchiusa in un unico torrino e il comignolo è dotato di adeguate separazioni al suo interno se del tipo collettivo, oppure una serie di comignoli sono dedicati singolarmente a ogni camino terminando gli impianti stessi. • canna fumaria detta anche canna collettiva, che consente lo smaltimento dei fumi di più apparecchi di combustione disposti a differenti quote (piani dell’edificio) (vedi Fig. E.8.2./1B) • impianto fumario collettivo ramificato, indicato anche dalla sigla cfcr, che consente, come la canna collettiva, di servire più apparecchi di combustione posti a differenti quote (vedi Fig. E.8.2./1A) • sistema fumario combinato, che come i precedenti collettivi è di servizio a più apparecchi con la particolarità di svolgere l’evacuazione dei fumi e l’arrivo di aria comburente ai singoli apparecchi.
E 148
A) Canna collettiva ramificata
B) Canna collettiva
C) Camino per apparecchi singoli
CONTROLLO AMBIENTALE
•
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE IMPIANTI DI RISCALDAMENTO
E.8. 2. A.ZIONI
IMPIANTO FUMARIO SINGOLO
CANNA FUMARIA (detta anche canna collettiva)
È la tipologia base sulla quale viene esemplificato il funzionamento fluido dinamico di un impianto fumario. È costituito dai seguenti elementi: il raccordo o canale da fumo, il camino e il comignolo, è utilizzato per una singola utenza, oppure, dove consentito dalla normativa, da due utenze poste alla stessa quota (piano dell’edificio). Maggiormente utilizzato per centrali termiche, caminetti e termocaminetti, stufe e barbecue viene comunque utilizzato anche per gli impianti termici. Ha il pregio di essere facilmente dimensionabile in quanto collegato a un unico apparecchio di combustione o a due apparecchi collocati nella stessa unità abitativa, inoltre è di facile manutenzione e altrettanto semplificate risultano le operazioni di controllo e verifica d’idoneità. In edifici di tipo condominiale è quasi sempre presente a servizio della centrale termica e per caminetti e stufe costruiti dopo la realizzazione dell’edificio stesso e normalmente collocati nelle unità abitative degli ultimi piani. Le attività artigiane e di ristorazione fanno largo uso di questa tipologia per l’evacuazione dei vapori raccolti dalle cappe aspiranti delle cucine. L’impianto fumario singolo può essere utilizzato anche per lo smaltimento di fumi prodotti da due apparecchi di combustione a condizione che vengano rispettati i requisiti minimi richiesti da alcune normative che trattano l’argomento. Per i generatori di calore a legno o apparecchi destinati anche alla cottura di cibi alimentati a legno naturale di potenzialità al focolaio inferiore ai 35 kW (alimentazione a legno naturale in tronchetti o bricchette compresse prive di additivi), è ammessa la realizzazione di un apparecchio composto da un caminetto e un forno di cottura aventi un unico punto di scarico verso il camino, per il quale il costruttore dell’apparecchio stesso dovrà fornire le caratteristiche costruttive del raccordo. In qualsiasi caso è comunque vietato convogliare nello stesso canale da fumo lo scarico proveniente da cappe sovrastanti gli apparecchi di cottura, cioè cappette aspiranti per cucine. Per quanto riguarda gli impianti termici a combustibile gassoso (apparecchi di combustione aventi portata termica nominale non maggiore di 35 kW), è consentito convogliare nello stesso canale da fumo un massimo di due apparecchi purché siano rispettate le seguenti condizioni:
La canna collettiva è una particolare tipologia che consente a più apparecchi collocati a differenti quote (piani dell’edificio-unità abitative), di scaricare in un unico condotto. La normativa di riferimento è nuovamente la UNI-CIG 7129 per la quale è consentito l’utilizzo di una canna fumaria per apparecchi a camera stagna. Vista la particolarità dell’impianto tali sistemi sono soggetti a progettazione, per la quale è necessaria la presenza della competenza di un professionista, così come richiesto dal DPR 447 (art.4 c.e), decreto attuativo della ormai famosa legge 46/1990.
1. i due apparecchi abbiano una portata termica diversa al massimo del 30% l’uno rispetto all’altro e siano installati nello stesso locale; 2. la sezione della parte di canale da fumo comune ai due apparecchi sia almeno uguale alla sezione del canale da fumo dell’apparecchio di maggior portata moltiplicata per il rapporto Pc/P1, essendo Pc la somma delle portate termiche dei singoli apparecchi e P1 la portata termica più elevata (vedi UNI-CIG 7129). Per quanto concerne infine le centrali termiche, gli impianti di riscaldamento di acqua per utenze civili, cucine e apparecchi per il lavaggio stoviglie, sterilizzatori, lavaggio biancheria e simili nonché la distruzione rifiuti (fino a una tonnellata/giorno) e forni da pane e di altre imprese artigiane, così come già ammesso per le altre tipologie di apparecchi di combustione, è possibile scaricare nello stesso camino più focolari. In questo caso gli apparecchi di combustione dovranno collegarsi in un collettore di sezione pari a una volta e mezza quella del camino e dovranno essere dotati ciascuno di una propria serranda di intercettazione, distinta dalla valvola di regolazione del tiraggio. L’impianto fumario singolo quindi nella sua semplicità consente l’allaccio di due apparecchi che, oltre alle caratteristiche sopra menzionate, dovranno utilizzare il medesimo combustibile.
IMPIANTO FUMARIO A BATTERIA È la tipologia derivante dall’impianto singolo in quanto costituita da una serie di camini singoli tra loro affiancati. È costituito dai medesimi elementi del camino singolo, quindi raccordo, camino e comignolo, con la prerogativa di sfruttare meglio le predisposizioni e gli spazi fisici a disposizione. Il camino a batteria per eccellenza è costruito lungo l’intera altezza dell’edificio in quanto posizionato con la sua base e relativo sportello d’ispezione al piano cantine dell’edificio stesso, a prescindere dal piano servito. È molto più frequente però incontrare sistemi in batteria costituiti da singoli camini posizionati a partire dai piani ai quali sono di servizio. In ambo i casi sono evidenti due punti deboli del sistema: 1. i fianchi dei camini tra loro adiacenti raramente sono coibentati e spesso determinano una perdita della temperatura della parete interna dei camini in funzione 2. i comignoli di chiusura determinano delle fastidiose zone di reflusso tali da limitare il tiraggio degli uni agli altri perché troppo vicini tra loro. Come nel caso del camino singolo anche in questo sistema risulta facilitata la manutenzione, in special modo per i sistemi a batteria previsti sin dalla costruzione dell’edificio con sportelli d’ispezione al piano cantine. Un ulteriore aspetto positivo è la riduzione dello spazio utilizzato per la costruzione della serie di impianti nei confronti di più camini singoli dislocati in luoghi diversi tra loro all’interno dell’edificio. Utile è ricordare che è possibile servire una centrale termica a combustibile solido o liquido con un impianto fumario a batteria, in quanto il DPR 1391 (legge 615/1966 provvedimenti inquinamenti atmosfera impianti termici), acconsente l’installazione di più camini affiancati, anche di sezione diverse, con funzionamento indipendente o abbinato ottenuto per mezzo di serrande di intercettazione opportunamente disposte, a servizio di un medesimo impianto.
Se la prerogativa è la compattezza e quindi la riduzione dello spazio occupato da tale impianto, resta ardua la progettazione in considerazione del fatto che l’accensione degli apparecchi è casuale e quindi difficoltoso il dimensionamento della sezione idraulica della canna fumaria stessa.
IMPIANTO FUMARIO COLLETTIVO RAMIFICATO (CFCR) Il collettivo ramificato, come ci indica il nome, è costituito da una canna fumaria collettiva detta anche condotto primario o collettore e una serie di condotti secondari posti verticalmente l’uno sopra l’altro. I singoli apparecchi sono collegati al proprio condotto secondario tramite il raccordo (canale da fumo) e i fumi si immettono nel collettore principale (una canna fumaria collettiva) dopo un percorso di circa 3 m di tratto verticale. Anche per questo sistema la norma UNI-CIG 7129 indica i requisiti e i limiti di utilizzo per gli apparecchi a gas con potenzialità inferiore ai 35 kW. Tali apparecchi potranno essere collegati a un sistema collettivo ramificato se: • il raccordo si immette in condotto secondario immediatamente sopra l’elemento deviatore, cioè l’elemento che consente ai fumi provenienti dal condotto secondario del piano inferiore di immettersi nel collettore principale; • l’elemento deviatore si raccorda al collettore principale con un angolo non inferiore ai 135°; • il sistema ha un andamento perfettamente rettilineo e verticale e non subisce restringimenti o variazioni di sezione; • il comignolo è del tipo antivento, di sezione utile di uscita non minore del doppio di quella della canna fumaria ed è conformato in modo da impedire la penetrazione all’interno del sistema della pioggia e della neve; • non sono presenti mezzi ausiliari di aspirazione o compressione nonché mezzi meccanici di aspirazione posti alla sommità del sistema stesso. Anche per questo tipo di impianto fumario non è consentito l’allaccio di apparecchi alimentati con diversi combustibili, diverse tipologie d’impianto termico e portate termiche nominali che differiscono più del 30% in meno rispetto alla massima portata termica allacciabile. L’esalazione degli odori provenienti dalle cappe delle cucine deve avvenire sempre tramite una canna fumaria collettiva ramificata nettamente separata e adibita esclusivamente a tale uso, mentre deve essere assicurato il collegamento di un solo apparecchio per piano o due se compatibili con quanto già descritto per gli impianti fumari singoli, per un numero massimo di piani rapportato alle effettive capacità di evacuazione del collettore principale che comunque non deve ricevere più di 5 immissioni provenienti dai relativi condotti secondari (5 + 1 in quanto l’ultimo piano potrà scaricare direttamente nell’atmosfera tramite il proprio condotto secondario). Particolarmente critico è l’utilizzo di questo sistema collettivo ramificato per i caminetti: infatti in questo caso una progettazione e una realizzazione approssimative sono causa di diffusi malfunzionamenti e disagi per gli utenti. Sistema fumario combinato In questo sistema, oltre al condotto secondario in aggiunta ai 3 elementi base (raccordo, camino, comignolo) previsto dal sistema precedentemente descritto, si aggiunge un ulteriore elemento: il canale dell’aria comburente. Il sistema combinato permette infatti non solo l’evacuazione dei prodotti della combustione ma anche l’adduzione dell’aria comburente dall’esterno all’apparecchio di combustione tramite presa d’aria per gli apparecchi a camera aperta e direttamente all’apparecchio per le caldaie di tipo stagno. Come per il sistema precedente anche il sistema combinato necessita di particolari attenzioni per la progettazione, sfrutta gli spazi “edili” al massimo ma potrebbe creare qualche difficoltà alla manutenzione. Può essere costituito da due canali tra loro concentrici dei quali quello interno è adibito ai fumi e lo spazio creato dalla concentricità dei due canali, adibito all’aria proveniente dall’esterno verso gli apparecchi di combustione. Ma vi sono molte altre possibilità di realizzazione, la maggior parte delle quali richiamate dalla norma che ha seguito un po’ tutto il presente paragrafo e cioè la UNI-CIG 7129. Si sottolinea l’importanza che riveste il montaggio degli impianti fumari, per ribadire che anche in presenza di impianti apparentemente semplici è necessario prestare la dovuta attenzione (posatori qualificati e centri assistenza) al fine di garantire il comfort abitativo per il quale sono progettati.
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. E.8.2NTI DI IMPIALDAMENTO RISCA
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E.8. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE IMPIANTI DI RISCALDAMENTO ➦ CAMINI E CANNE FUMARIE MATERIALI Tra i fattori che influenzano la scelta del materiali per la costruzione dei raccordi, dei camini e dei comignoli sono considerati valori condizionanti la resistenza meccanica e la stabilità (in particolare durante l’esposizione al calore), l’igiene, la salute, l’ambiente, l’impermeabilità ai gas, la resistenza alla corrosione dovuta agli acidi e la resistenza ai procedimenti di pulizia e manutenzione. Inoltre è da considerarsi condizionante il tipo di focolare da allacciare, la temperatura dei fumi in uscita dall’apparecchio, il tipo di combustibile, gli agenti atmosferici, la collocazione e i requisiti statici, estetici e funzionali dell’edificio stesso. Nel
caso dei materiali leggeri occorre prestare particolare attenzione all’isolamento termico, mentre per tutti quei materiali con particolari capacità di inerzia termica, sarà utile ricordare che il buon funzionamento di un impianto fumario è valutato soprattutto dalla velocità con la quale raggiunge la temperatura di esercizio, cioè il tempo necessario per riscaldare la parete interna a contatto dei fumi alla temperatura ottimale per il tiraggio. In Fig. E.8.2./30 è schematizzata la sezione di un camino mentre nelle Fig. E.8.2./31, Fig. E.8.2./32 e Fig. E.8.2./33 sono riportati alcuni particolari costruttivi di impianti fumari.
FIG. E.8.2./30 SEZIONE DI UN CAMINO
FIG. E.8.2./32 PARTICOLARI COSTRUTTIVI DI IMPIANTI FUMARI
PARETE A CONTATTO CON I FUMI INTERCAPEDINE O COIBENTAZIONE
scossalina contropiastra in c.a. piastra di chiusura in c.a. condotto aria camino in refrattario
allacciamento caldaia camicia in conglomerato cementizio vibrocompresso
aspirazione
ispezione con portello inox
canale di compensazione
INVOLUCRO ESTERNO
FIG. E.8.2./31 PARTICOLARI COSTRUTTIVI DI IMPIANTI FUMARI
piastra di chiusura manicotto di protezione in acciaio inox per circolo aerazione semicoppella coibente
scarico caldaia a combustione stagna e/o a flusso bilanciato
scarico condensa zoccolo raccolta condensa griglia aerazione
FIG. E.8.2./33 PARTICOLARI COSTRUTTIVI DI IMPIANTI FUMARI piastra di chiusura manicotto di protezione in acciaio inox
cordolo isolante allacciamento caldaia scarico condensa piastra intermedia raccordo
camicia in conglomerato cementizio vibrocompresso
condotto principale in refrattario condotto secondario in refrattario
camicia in conglomerato cementizio vibrocompresso
allacciamento caldaia
allacciamento caldaia
scarico condensa piastra intermedia
ispezione con portello inox ispezione con portello inox
scarico condensa griglia di aerazione zoccolo di raccolta condensa
E 150
scarico condensa zoccolo di raccolta condensa
CONTROLLO AMBIENTALE
•
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE IMPIANTI DI RISCALDAMENTO
E.8. 2. A.ZIONI
LATERIZIO
ARGILLA REFRATTARIA (chamotte)
Come altri materiali tradizionali, il laterizio non trova più applicazione nella costruzione delle canne fumarie. Composto di creta e argilla, la qualità del laterizio si esprime nelle sue caratteristiche di resistenza a compressione, porosità, gelività, espansione termica e densità. Tali mattoni pieni nonostante la loro ottima resistenza alla compressione, non sono idonei per la costruzione delle canne fumarie a causa della loro scarsa ermeticità, tenendo conto inoltre che per la costruzione dei torrini (parte esterna al tetto), è necessaria la resistenza al gelo. Ma nell’attività quotidiana troviamo spesso vecchi camini e comignoli costruiti un tempo in mattoni pieni con diverse misure. Nella loro riparazione occorre fare attenzione nell’applicazione di mattoni di nuovo formato onde mantenere inalterato il diametro interno della canna fumaria e l’uscita dei fumi in atmosfera.
La malta di argilla refrattaria trova applicazione nella riparazione di canne fumarie e la costruzione di pozzetti di ispezione. I mattoni realizzati con tale materiale, non deformano ne alterano notevolmente la propria resistenza a compressione fino a una temperatura di 1580, inoltre non sono particolarmente sensibili a improvvisi cambiamenti di temperatura e ad agenti chimici. Cemento/amianto L’amianto è un minerale cristallizzato in fibre microscopiche. Le fibre raffinate vengono mischiate nella fabbricazione con cemento e acqua. Questo impasto, oggi fuori norma per l’elevata nocività riscontrata delle fibre d’amianto, nonostante le scarse prestazioni termiche è stato utilizzato in passato, anche per la prefabbricazione di tubi e canne fumarie e oggi sono molti gli impianti fumari a essere realizzati con tale materiale. Gli interventi su tale materiale sono sottoposti a rigide norme di prevenzione sanitaria sul lavoro.
ARGILLA/CERAMICA Altro materiale tradizionale è l’argilla-ceramica, che al contrario del laterizio, ha saputo adeguarsi nel tempo alle mutate esigenze dei nuovi sistemi di combustione. Un mixer di argille cotte a una temperatura vicina ai 1000 può assicurare grazie alle sue caratteristiche peculiari: • resistenza e stabilità alla compressione, alla trazione, ai carichi laterali, all’abrasione e a tutti gli effetti dovuti alla pulizia dei camini; • resistenza al calore e all’incendio dovuto sia a fuliggine che da condizioni operative. • caratteristiche di igiene e difesa della salute e dell’ambiente (impermeabilità ai gas, resistenza alla condensa, inattaccabilità da acidi); • caratteristiche di contenimento delle dispersioni di calore e sicurezza nell’uso (raggiungimento di temperature accettabili da parte dei materiali combustibili, ma soprattutto accettabili da parte dell’uomo a seguito di contatti accidentali). La posa in opera dei camini in argilla ceramica, come per altri materiali simili, deve essere effettuata con attenzione, vale a dire mettendo nei giunti una quantità adeguata di sigillante e lisciando la quantità in esubero sulle pareti interne in modo da renderle il più possibile liscie, allo scopo di non rallentare il deflusso dei fumi stessi. L’isolamento deve essere effettuato con materiale idoneo, con particolare cura per i punti di passaggio su solai e tetti, in modo da renderle indipendenti dalle altre strutture, soggette a dilatazioni e assestamenti.
LAMIERA DI ACCIAIO La lamiera che viene adoperata nella costruzione delle canne fumarie deve essere resistente alla corrosione e agli acidi a causa dell’aggressività dei gas di combustione. A tale scopo vengono utilizzati gli acciai inossidabili, leghe a base di ferro, cromo e carbonio, ma anche di altri elementi come il nichel, il titano, il molibdeno, il silicio, il manganese. Hanno la proprietà di essere particolarmente resistente a diversi tipi di corrosione. L’acciaio AISI 304 è il tipo di acciaio inox che viene maggiormente impiegato. L’AISI 316 presenta una maggiore resistenza alla corrosione e risulta essere anche l’acciaio inossidabile più inattaccabile nei confronti del maggior numero di ambienti corrosivi. L’utilizzo del tipo di acciaio per le canne fumarie è correlato all’ubicazione e la destinazione dell’impianto fumario in quanto, come per gli altri materiali, il combustibile impiegato e la zona in cui viene installato il camino sono variabili da considerare attentamente. Le condense interne al sistema fumario hanno un’acidità elevata, tale da minacciare seriamente l’acciaio della parete interna del camino. L’inox 304 è consigliato per gas/metano mentre l’INOX 316 può essere consigliato per combustibili quali l’olio pesante, la legna e il carbone, (condense maggiormente acide), per fumi contenenti zolfo e per ambienti industriali e urbani. Le canne fumarie in acciaio inox hanno la caratteristica di aumentare lo scorrimento dei gas combusti, a causa della specularità della parete interna, con conseguente diminuzione delle perdite di carico.
Il dimensionamento del camino è un intervento progettuale di base sia per il risanamento dell’esistente che per la costruzione del nuovo. Deve tener conto di molteplici variabili contestualmente alla scelta dei materiali. La normativa vigente affida ruoli e competenze chiare e definite per quanti sono coinvolti nella progettazione, nella costruzione, nell’utilizzo, nell’esercizio, nella manutenzione e nel controllo di un camino. È indispensabile quindi avere un progetto redatto con serietà e competenza, a partire da alcuni concetti fondamentali quali:
• Controllo della corrispondenza alle norme tecniche; • Scelta dei materiali da usare; • Individuazione degli spazi necessari per la collocazione del camino puntando sulla massima verticalità; • Reperimento della documentazione attestante i requisiti dei materiali usati; • Direzione lavori con controllo sulla corretta metodologia di installazione secondo le istruzioni dei costruttori.
• Volume da riscaldare; • Tipo di caldaia, o altro generatore da collegare; • Progetto e dimensionamento del camino;
Il Progettista firmando il suo progetto, non solo ne assume le responsabilità ma raccorda l’intervento progettuale all’operato dell’installatore del generatore di calore, per cui tutto il sistema potrà definirsi sicuro.
UNI 8364 – Febbraio 1984 – Impianti di riscaldamento. Controllo e manutenzione. UNI 9731 – Giugno 1990 – Camini. Classificazione in base alla resistenza termica. Misure e prove. UNI 9615 – Dicembre 1990 – Calcolo delle dimensioni interne dei camini. Definizioni, procedimenti di calcolo fondamentali. UNI 7129 – Gennaio 1992 – Impianti a gas per uso domestico alimentati da rete di distribuzione. Progettazione, installazione e manutenzione. UNI 10389 – Giugno 1994 – Generatori di calore. Misurazione in opera del rendimento di combustione. UNI 10436 – Giugno 1996 – Caldaie a gas di portata termica nominale non maggiore di 34,8 kW. Controllo e manutenzione. UNI 10640 – Giugno 1997 – Canne fumarie collettive ramificate per apparecchi di tipo B a tiraggio naturale. Progettazione e verifica. UNI 10641– Giugno 1997 – Canne fumarie e camini a tiraggio naturale per apparecchi a gas di tipo C con ventilatore nel circuito di combustione. Progettazione e verifica.
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QUADRO DI RIFERIMENTO LEGISLATIVO
NORMATIVA TECNICA ITALIANA
B.STAZIONI DILEGIZLII
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
PROGETTAZIONE
Attualmente il corpus legislativo e normativo di riferimento appare alquanto articolato. Tuttavia è continua la sua evoluzione, soprattutto in relazione agli sforzi profusi dal Comitato CEN TC 166, organo preposto all’emanazione di norme omogenee valide per tutta la Comunità Economica Europea. Sono indicate nel seguito alcune norme e leggi di riferimento.
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LEGISLAZIONE VIGENTE IN ITALIA Legge 13 luglio 1966, n.615 – Provvedimenti contro l’inquinamento atmosferico; DPR 22 dicembre 1970, n.1391 – Regolamento per l’esecuzione della legge 13 luglio 1966, n.615, recante provvedimenti contro l’inquinamento atmosferico, limitatamente al settore degli impianti termici; Legge 6 dicembre 1971, n.1083 – Norme per la sicurezza dell’impiego del gas combustibile; Legge 5 marzo 1990, n.46 – Norme per la sicurezza degli impianti; DPR 6 dicembre 1991, n.447 – Regolamento di attuazione della legge 5 marzo 1990, n.46, in materia di sicurezza degli impianti; Legge 9 gennaio 1991, n.10 – Norme per l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia; DM 20 dicembre 1992 – Approvazione del modello di dichiarazione di conformità dell’impianto alla regola díarte di cui all’art.7 del regolamento di attuazione della legge 5 marzo 1990, n.46, recante norme per la sicurezza degli impianti. DM 21 aprile 1993 – Approvazione e pubblicazione delle tabelle UNI-CIG, di cui alla legge 6 dicembre 1971, n.1083, recante norme per la sicurezza dell’impiego del gas combustibile (15 Gruppo). UNI 7129. DPR 26 agosto 1993, n.412 – Regolamento recante norme per la progettazione , l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell’art.4, c.4, della legge 9 gennaio 1991, n.10. DM 13 dicembre 1993 – Approvazione dei modelli tipo per la compilazione della relazione tecnica di cui all’ art.38 della legge 9 gennaio 1991, n.10, attestante la rispondenza alle prescrizioni in materia di contenimento del consumo energetico negli edifici.
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E.8. 3.
CONTROLLO AMBIENTALE CLIMATIZZAZIONE ESTIVA
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IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE
GENERALITÀ L’impianto di condizionamento ha il compito di garantire condizioni di benessere all’interno di un ambiente abitato in ogni condizione climatica. A questo fine l’impianto oltre che funzionare ai fini del riscaldamento integrando le perdite di calore tra l’involucro edilizio e l’ambiente esterno, ha il compito di raffreddare l’aria asportando in questo caso, calore dagli ambienti da trattare. Per conseguire un effettivo benessere ambientale l’impianto deve provvedere, oltre che al controllo della temperatura dell’aria al controllo della sua umidità relativa e a un adeguato ricambio dell’aria. Un impianto completo dovrà quindi provvedere,in ogni condizione di clima esterno ai seguenti trattamenti dell’aria interna agli ambienti: • riscaldamento e raffreddamento; • rinnovo dell’aria estratta con immissione di aria esterna; • ricircolo dell’aria interna; • filtrazione dell’aria sia esterna che di ricircolo; • espulsione dell’aria estratta; • controllo dell’umidità relativa dell’aria interna.
Vale, per questo tipo di impianto, quanto detto per gli impianti di riscaldamento (E.8.2.) riguardo l’approccio “energeticamente consapevole” alla progettazione con l’avvertenza che, in questo caso, le verifiche con il contesto territoriale (in particolare l’analisi dei fattori climatici) e con l’involucro edilizio (per cui si rimanda al capitolo E.8.1.) assumono, dal punto di vista dei costi – non solo di realizzazione dell’impianto ma soprattutto di gestione – una rilevanza ancora maggiore. Altro aspetto da segnalare, e che in questo caso assume particolare rilevanza, è relativo all’impatto dei volumi in qualche modo connessi all’impianto con l’insieme dei volumi e con lo spazio progettato: ne consegue la necessità di procedere operando in regime di massima integrazione progettuale nell’ambito del sistema complessivo edificio-impianto. Nel seguito viene fornita una descrizione sintetica degli impianti più diffusi a livello di componenti, di sistemi e di tipologie.
CICLO FRIGORIFERO Compito di un impianto frigorifero è quello di trasferire calore da una sorgente più fredda a una più calda (Fig. E.8.3./1.) L’impianto frigorifero segue il “ciclo inverso di Carnot” in cui una macchina, spendendo del lavoro, sottrae calore da una sorgente fredda per cederlo a una più calda. In un ciclo teorico (ciclo di Carnot, 1-2-3-4 in Fig. E.8.3./1) un fluido riceve durante la trasformazione 1-2 la quantità di calore Q1 (area 1-2-20-30) maggiore di quella Q2 che cede durante la trasformazione 3-4 (area 4-3-30-20). La differenza tra Q1 e Q2 (area 1-23-4) viene trasformata in lavoro. Se si fa percorrere al fluido il ciclo inverso (1-2-3-4 in Fig. E.8.3./2B) il fluido riceverà nella trasformazione 12 una quantità di calore (Q2) inferiore a quella (Q1) che cederà nella trasformazione 3-4. La differenza tra Q1 e Q2 (sempre rappresentata dall’area 1-2-3-4) rappresenta, a meno di un fattore di equvalenza termica del lavoro, il lavoro che deve essere speso per consentire al fluido di eseguire il ciclo.
Evaporazione (fase 1) Il fluido refrigerante assorbe calore dalla sorgente da raffreddare (circuito “freddo”) evaporando in uno scambiatore di calore (evaporatore). In questa fase, evaporando, il fluido refrigerante passa dallo stato liquido a temperatura costante allo stato di vapore (a bassa pressione).
Condensazione (fase 3) Il fluido refrigerante, sotto forma di vapore caldo ad alta pressione, viene fatto condensare a temperatura costante in un secondo scambiatore di calore (condensatore); in questa fase, condensando, il fluido refrigerante torna allo stato liquido e cede calore al fluido del circuito “caldo”. Espansione (fase 4) Il fluido del circuito di refrigerazione ad alta pressione viene fatto espandere attraverso una opportuna valvola (valvola di espansione); in questa fase, espandendo, il fluido torna a una pressione e a una temperatura più basse e si riporta alle condizioni iniziali del ciclo.
E 152
CONDENSATORE FLUIDO REFRIGERANTE (liquido ad alta pressione) VALVOLA DI ESPANSIONE FLUIDO REFRIGERANTE (liquido a bassa pressione) CIRCUITO DI REFRIGERAZIONE EVAPORATORE
FIG. E.8.3./2 CICLI DI CARNOT
Q1 T1
T2
A 2
1
T1 Q1
L>0
4
M 3
20
ENTROPIA (S)
Q2
30
Q1 T1
T2
B 3
4
L
T2
Q2
)T( ARUTAREPMET
Compressione (fase 2) Il compressore agisce sul vapore così generato aumentandone pressione e temperatura (il fluido refrigerante assorbe l’energia meccanica [lavoro] spesa per la compressione).
CIRCUITO "FREDDO" TRASFERIMENTO CALORE FLUIDO REFRIGERANTE (vapore a bassa pressione) COMPRESSORE E MOTORE FLUIDO REFRIGERANTE (vapore ad alta pressione) TRASFERIMENTO DI CALORE CIRUITO "CALDO"
)T( ARUTAREPMET
Nell’impianto frigorifero si dovrà quindi disporre di un fluido a temperatura sufficientemente bassa, affinché possa estrarre calore dall’ambiente da condizionare e si dovrà poi spendere un certo lavoro per portare lo stesso fluido a una temperatura sufficientemente alta per poter cedere il calore estratto all’ambiente. In un ciclo frigorifero a compressione il fluido frigorifero esegue questo trasferimento di calore a spese dell’energia fornita al fluido mediante compressione secondo una sequenza di quattro fasi: evaporazione, compressione, condensazione, espansione (Fig. E.8.3./1).
FIG. E.8.3./1 SCHEMA CICLO REFRIGERAZIONE
T1 Q1
L<0
1
MF 2
Q2 20
ENTROPIA (S)
Q2 T2
30
A) CICLO DIRETTO (MACCHINA TERMICA) B) CICLO INVERSO (MACCHINA FRIGORIFERA O POMPA DI CALORE)
L
CONTROLLO AMBIENTALE
•
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE CLIMATIZZAZIONE ESTIVA
E.8. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. E.8.3./3 SISTEMI DI REFRIGERAZIONE
B.STAZIONI DILEGIZLII
B
A
I ED PRE NISM ORGA
AMBIENTE ESTERNO RIPRESA ARIA
ENERGIA FORNITA AL SISTEMA
CONDENSATORE VALVOLA DI ESPANSIONE
CONDENSATORE
ESPULSIONE ARIA
COMPRESSORE
EVAPORATORE
ARIA ESTERNA
MOTORE ELETTRICO
ARIA SATURA (calore espulso)
MOTORE ELETTRICO
EVAPORATORE ARIA CALDA (calore estratto)
TORRE DI RAFFREDDAMENTO
COMPRESSORE
ARIA FREDDA AMBIENTE DA CONDIZIONARE
CALORE ESTRATTO
AMBIENTE DA CONDIZIONARE
APPORTI DI CALORE
POMPA CIRCUITO DI CONDENSAZIONE
C
TORRE DI RAFFREDDAMENTO ARIA ESTERNA
B) CONDIZIONATORE CON CIRCUITO DI CONDENSAZIONE AD ACQUA (TORRE DI RAFFREDDAMENTO) C) CONDIZIONATORE CON CIRCUITO DI CONDENSAZIONE AD ACQUA E BATTERIA PER L'ACQUA REFRIGERATA
MOTORE ELETTRICO
ARIA SATURA (calore espulso) POMPA CIRCUITO DI CONDENSAZIONE
COMPRESSORE
BATTERIA DI RAFFREDDAMENTO
EVAPORATORE ARIA CALDA (calore estratto)
• tipo di evaporatore: è normalmente a fascio tubiero; il liquido refrigerante evapora all’interno dei tubi regolato da una valvola di espansione termostatica e raffredda l’acqua all’interno del mantello, in cui i tubi sono immersi. In alcuni casi (impianti di condizionamento a espansione diretta) l’evaporatore, del tipo a batteria alettata, è installato direttamente nell’unità di trattamento dell’aria.
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
• tipo di condensatore: nel condensatore avviene la condensazione del fluido refrigerante dallo stato di vapore surriscaldato allo stato liquido, questo può essere: – raffreddato ad acqua: in questo caso l’acqua, proveniente da una torre evaporativa passa attraverso tubi alettati immersi nel fluido refrigerante, all’interno del mantello (la normativa regolamentando l’utilizzo di acqua per questo tipo di impieghi limita oggi fortemente il ricorso a questo tipo di sistemi); – raffreddato ad aria: in questo caso le batterie alettate contenenti il fluido refrigerante, sono investite da un flusso di aria esterna forzata attraverso ventilatori. In quest’ultimo caso la temperatura di condensazione è più alta e il rendimento energetico è più basso. Tali sistemi presentano notevoli semplificazioni sia a livello di impianto che di installazione. Sono chiamati Gruppi “a recupero di calore” i gruppi frigoriferi che consentono il recupero del calore di condensazione producendo, contemporaneamente all’acqua refrigerata acqua calda (a una temperatura di circa 50°C) utilizzabile anche per alimentare le batterie di post-riscaldamento dell’impianto di condizionamento. Altri tipi di macchine frigorifere sono quelle a “pompa di calore” e “ad assorbimento”.
MACCHINE FRIGORIFERE A POMPA DI CALORE I condizionatori autonomi, sia del tipo monoblocco che “split” possono essere dotati di sistemi a “pompa di calore”. Si tratta di sistemi con ciclo di refrigerazione reversibile in cui, cioè, il condizionatore, con l’inversione del suo ciclo di funzionamento è in grado di fornire caldo in inverno e freddo in estate: infatti la batteria che in estate funziona come evaporatore funzionerà in inverno come condensatore. Le pompe di calore più diffuse per la funzione di condizionamento ambientale sono del tipo aria-aria o aria-acqua: dove il primo termine indica il fluido al quale viene sottratto o ceduto calore (a seconda della modalità di funzionamento inverno-estate e il secondo il fluido attraverso il quale viene fornito all’utente il servizio (di riscaldamento o di refrigerazione). Valgono per le pompe di calore le considerazioni fatte per i gruppi frigoriferi in ordine all’utilizzo dell’acqua come fluido di raffreddamento del circuito di condensazione; va detto però che tali sistemi possono avvalersi per tale funzione di particolari soluzioni quali:
PRO TTURALE STRU
AMBIENTE DA CONDIZIONARE
MACCHINE FRIGORIFERE A COMPRESSIONE
• tipo di compressore che può essere: – alternativo di tipo aperto, semi-ermetico, ermetico: negli ultimi due tipi il motore è in blocco con il compressore e nel tipo ermetico, che viene utilizzato per piccole potenzialità (fino a 50 kW), non è accessibile; – centrifugo, utilizzato per potenzialità superiori a 350 kW: può essere di tipo aperto, o ermetico, monostadio o bistadio, con compressore singolo o multiplo; la potenza è parzializzabile in continuo; – altri tipi di compressori (a vite, rotativo, scroll).
D.GETTAZIONE
ARIA FREDDA
COMPONENTI DELL’IMPIANTO
Sono deputate alla refrigerazione dell’acqua del circuito nella funzione di raffreddamento estivo, (per il funzionamento nel periodo invernale si veda E.8.2.. La centrale frigorifera è costituita dal gruppo frigorifero vero e proprio e dai sistemi di circolazione, regolazione e controllo. I principali componenti di un gruppo frigorifero sono il compressore, l’evaporatore e il condensatore. Il gruppo frigorifero è caratterizzato da:
E ESE ESSIONAL PROF
E.NTROLLO
CONDENSATORE A) CONDIZIONATORE AUTONOMO TIPO ARIA-ARIA
C.RCIZIO
a) l’utilizzo del terreno; b) l’utilizzo di una sorgente geotermica; c) l’utilizzo di un impianto a energia solare a bassa temperatura. Il vantaggio particolare che può derivare dell’uso della pompa di calore è connesso alla sua versatilità e al suo rendimento particolarmente elevato. Tale rendimento (nel caso della pompa di calore il Coefficient Of Performance, COP), dato dal rapporto tra quantità di calore fornita e quantità di energia elettrica assorbita, presenta valori compresi 2 e 3 nel caso di pompe di calore aria-aria nei climi europei fino a COP di 5 nel caso di pompe acqua-acqua nei nostri climi. La pompa di calore si presenta quindi come una soluzione particolarmente vantaggiosa se confrontata con l’uso diretto dell’energia elettrica per riscaldamento e, in certe situazioni, confrontabile con altre soluzioni impiantistiche. Un particolare tipo di pompa di calore è quella funzionante sulla base di un ciclo frigorifero “ad assorbimento” basate su un ciclo di funzionamento reversibile consentono la produzione di acqua refrigerata nel periodo estivo e di acqua calda nel periodo invernale.
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. NE E.8.3TIZZAZIO CLIMA A ESTIV
E 153
E.8. 3.
CONTROLLO AMBIENTALE CLIMATIZZAZIONE ESTIVA
•
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE
➦ COMPONENTI DELL’IMPIANTO MACCHINE FRIGORIFERE AD ASSORBIMENTO Sono macchine che utilizzano una soluzione chimica (acqua e bromuro di litio acqua e ammoniaca) per condensare (mediante un processo di assorbimento) i vapori di refrigerante e trasmettere il calore di condensazione all’acqua di raffreddamento. Nel ciclo ad assorbimento (Fig. E.8.3./4) il trasferimento del vapore del circuito di raffreddamento da pressione e temperatura più bassa a quella più alta viene effettuata, anziché per compressione come avviene per il ciclo frigorifero “tradizionale”, secondo due fasi successive di assorbimento e separazione del fluido del circuito di refrigerazione: • il fluido refrigerante, allo stato di vapore a bassa pressione e temperatura viene fatto assorbire, da un liquido pompato con un minimo lavoro meccanico, alla pressione più alta;
FIG. E.8.3./4 SCHEMA DI CICLO AD ASSORBIMENTO
POMPA
CONDENSATORE
GENERATORE
EVAPORATORE
CONDENSATORE
AMBIENTE DA CONDIZIONARE
AMBIENTE ESTERNO
ENERGIA FORNITA AL SISTEMA
• il liquido pompato viene quindi di nuovo separato dalla soluzione mediante un processo di riscaldamento (il calore fornito in questa fase corrisponde a quello estratto dall’assorbitore). Macchine con soluzioni Acqua-bromuro di litio a un solo effetto funzionano con vapore surriscaldato o acqua calda generalmente intorno a 100 °C ma anche a temperatura inferiore nel caso di macchine progettate per alimentazione a energia solare. Sono prodotte macchine frigorifere del tipo ad assorbimento alimentate direttamente con bruciatore a gas (ad acqua-ammoniaca), tra queste hanno una certa diffusione quelle di piccola potenzialità, progettate per l’installazione in camper e imbarcazioni.
CALORE ESTRATTO
TORRI EVAPORATIVE In un impianto di condizionamento condensato ad acqua la torre evaporativa ha il compito di raffreddare il circuito proveniente dal condensatore. A questo fine all’interno della torre viene spruzzata acqua in una corrente d’aria che provoca l’evaporazione di una parte di questa e utilizza per il raffreddamento il calore latente di evaporazione che viene così liberato.
FIG. E.8.3./5 SCHEMA TORRE EVAPORATIVA
Queste macchine si avvalgono di sistemi di tiraggio forzato; i ventilatori di cui sono dotate possono essere sia dl tipo assiale che centrifugo e, per grandi potenze installate presentano notevoli dimensioni e problemi di rumorosità. Le prestazioni di una torre evaporativa variano molto in funzione delle condizioni climatiche essendo la temperatura del circuito di ritorno al condensatore influenzata dalla temperatura a bulbo umido della corrente d’aria immessa. L’utilizzo di una torre evaporativa impone il reintegro dell’acqua utilizzata per il raffreddamento e il trattamento dell’acqua di reintegro nonchè periodici interventi di manutenzione (controllo della durezza e sterilizzazione con ozono dell’acqua utilizzata, interventi per evitare fenomeni di congelamento nel periodo invernale).
UNITÀ DI TRATTAMENTO ARIA
E 154
Tali macchine sono costituite dall’insieme di più “sezioni” ognuna delle quali è destinata a una specifica funzione. Lo schema funzionale di una unità di trattamento aria è riportato in Fig. E.8.3./6, e nella Fig. E.8.3./7 le principali sezioni che costituiscono una macchina di trattamento dell’aria:
post-riscaldamento e la refrigerazione nel caso di condizionamento estivo, il riscaldamento nella funzione invernale). Il dimensionamento delle batterie va eseguito in funzione dei dati di progetto tenendo conto che la velocità dell’acqua nei circuiti e quella di immissione dell’aria non possono superare valori ben definiti di soglia per non creare situazioni di disconfort.
SEZIONI FILTRANTI
SEZIONI DI UMIDIFICAZIONE
Sono di grande importanza ai fini delle prestazioni complessive del sistema sia in termini di efficienza che di qualità del processo. I filtri possono essere catalogati per la loro forma (piani rotativi ...) e per la loro composizione (a perdere o rigenerabili). È necessario contenere la velocità dell’aria nelle sezioni filtranti. Appositi sistemi di monitoraggio informano il gestore dell’impianto della necessità di sostituire i filtri.
L’acqua utilizzata deve essere controllata per la sua durezza, al fine di non determinare incrostazioni nei circuiti, e per la sua qualità, al fine di evitare la diffusione di batteri; in relazione a quest’ultimo punto, nel caso di situazioni a rischio (ospedali scuole, ricoveri per anziani) è consigliabile ricorrere a circuiti di acqua a perdere o a sistemi di umidificazione a vapore per evitare i rischi di diffusione di contaminazioni batteriche dell’acqua (morbo del legionario).
SEZIONI DI SCAMBIO TERMICO
SEZIONI DI MISCELAZIONE E DI BY-PASS
Contengono le batterie di scambio termico, solitamente realizzate con tubi di rame con alettatura in alluminio. Attraverso tali batterie, che possono essere a uno o più ranghi, circola acqua calda o fredda in funzione dei diversi processi previsti dall’impianto (il pre-riscaldamento, il
Consentono di regolare con apposite serrande la miscela costituita dall’aria di ricircolo e dall’aria esterna ovvero, nel caso della sezione di by-pass di regolare in modo graduale la temperatura dell’aria deviando il flusso nel caso di batterie raffreddanti a espansione diretta.
CONTROLLO AMBIENTALE
•
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE CLIMATIZZAZIONE ESTIVA
E.8. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. E.8.3./6 SCHEMA FUNZIONALE DI UNITÀ DI TRATTAMENTO ARIA
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
FIG. E.8.3./7 SCHEMA DEI PRINCIPALI SOTTOSISTEMI DI UNA UNITÀ DI TRATTAMENTO ARIA
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
SEZIONE VENTILANTE
SEZIONE CON DOPPIA BATTERIA
CAMERA MIX CON FILTRI PIANI
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
UMIDIFICAZIONE EFF. 60-90%
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE
SEPARATORE DUE PIEGHE
SEZ. FILTRI PIANI CON SERRANDA
SEZIONE CON BATTERIA CALDA
SEZIONE CON BATTERIA FREDDA
E.4. ICA T ACUS
UNITÀ TERMINALI DELL’IMPIANTO
A E.5. INOTECNIC ILLUM
VENTILCONVETTORI Autonomamente, o in connessione con un circuito di trattamento dell’aria primaria, provvedono al raffrescamento o al riscaldamento degli ambienti condizionati. Si tratta di componenti (a installazione verticale o orizzontale) del tutto simili a quelli utilizzati negli impianti di riscaldamento. Dispongono però di un circuito di scarico della condensa e presentano la possibilità, nel caso di impianti a quattro tubi, di installare due distinte batterie di scambio termico, una per il raffreddamento e una per il riscaldamento. Nel caso di impianti in cui non è previsto il trattamento dell’aria primaria, i ventilconvettori possono essere dotati di una presa di aria esterna che consente la miscelazione di questa con l’aria di ricircolo.
E.6. MIDA U ARIA
FIG. E.8.3./8 CONDIZIONATORE A INDUZIONE
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
CONDIZIONATORI A INDUZIONE Fungono da terminali di un sistema ad aria primaria a media o alta velocità e presentano caratteristiche esterne del tutto simili ai ventilconvettori. Sono costituiti essenzialmente da un “plenum” rivestito di materiale fonoassorbente, collegato al circuito dell’aria primaria che viene immessa nell’ambiente attraverso particolari ugelli che “inducono” aria ambiente (aria secondaria) provocando una miscela di questa con l’aria primaria. Il controllo della temperatura è realizzato attraverso una batteria di scambio termico, alimentata con acqua calda o fredda, che viene attraversata dal flusso dell’aria secondaria.
➥
. NE E.8.3TIZZAZIO CLIMA A ESTIV
E 155
E.8. 3.
CONTROLLO AMBIENTALE CLIMATIZZAZIONE ESTIVA
•
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE
➦ COMPONENTI DELL’IMPIANTO ➦ UNITÀ TERMINALI DELL’IMPIANTO UNITÀ AUTONOME DI TRATTAMENTO
FIG. E.8.3./9 UNITÀ DI CONDIZIONAMENTO SPLIT
Si tratta di macchine monoblocco costituite da un compressore, un condensatore solitamente raffreddato ad aria, un evaporatore a espansione diretta e un ventilatore. Sono disponibili anche sistemi di tipo reversibile a pompa di calore. Per quanto pratici e di basso costo questi componenti presentano però limiti legati sia alle prestazioni che al comfort per la rumorosità della sezione motocondensante (compressore e sistema di raffreddamento del condensatore). La complessità di un impianto di condizionamento di tipo “tradizionale”, connessa a una sempre maggiore domanda di sistemi di condizionamento ambientale, ha favorito la diffusione di sistemi che, pur presentando molti dei vantaggi dei sistemi monoblocco, superano gli svantaggi di questi ultimi al punto di porsi, per un certo ambito di applicazioni di piccola e media taglia, come alternativa rispetto all’impianto di condizionamento. Va comunque ricordato che questo tipo di sistema non è in grado di umidificare l’aria e, in generale, non è predisposto per l’immissione di aria esterna. Questo tipo di condizionatore autonomo (sistema “split”) è costituito da una unità motocondensante da installare all’esterno e una, o più unità ventilanti (ventilconvettori) contenenti filtro, batteria a espansione diretta ventilatore e sistema di regolazione e controllo.Sono anche disponibili sistemi con unità ventilante canalizzabile. Tali sistemi possono essere disponibili in versioni a pompa di calore che consentono anche la funzione di riscaldamento.
TAB. E.8.3./1 LIMITI DI RIFERIMENTO PER L’OBBLIGATORIETÀ DELL’INSTALLAZIONE DI UN RECUPERATORE DI CALORE DA 1400 A 2100 GRADI GIORNO
RECUPERATORI DI CALORE Sono sistemi che recuperano, tipicamente, il calore dall’aria espulsa per il rinnovo; si rendono obbligatori qualora sussistano le condizioni di cui in Tab. E.8.3./1. I recuperatori possono essere realizzati con scambiatori statici del tipo a piastre in controcorrente, o in flusso incrociato tra aria da espellere e aria esterna da immettere nell’impianto. Sono disponibili sistemi di diversa concezione e funzionamento tra questi anche sistemi a pompa di calore che alimentano, a seconda del regime di funzionamento, il sistema di riscaldamento o di preriscaldamento.
OLTRE 2100 GRADI GIORNO
Portata (mc/h)
Ore annue funzionamento
Portata (mc/h)
Ore annue funzionamento
2.000
3.400
2.000
2.400
7.000
2.400
7.000
1.700
12.000
2.300
12.000
1.600
30.000
1.800
30.000
1.350
60.000
1.800
60.000
1.250
CANALI DELL’ARIA Sono deputati al trasporto dell’aria dalle unità di trattamento agli ambienti da trattare; in relazione alla velocità e alla pressione dell’aria che li attraversa vengono definiti a “bassa velocità” (se inferiore a 12 m/s), e ad “alta velocità” (se superiore a 12 m/s). In quest’ultimo caso l’aria non può essere direttamente immessa nell’ambiente; sono quindi previste cassette riduttrici di pressione da installare a monte dei terminali. La velocità dell’aria nei canali e nell’immissione in ambiente costituisce uno dei principali fattori che determinano il comfort dell’impianto di condizionamento: dovrà quindi essere trovato un compromesso ragionevole che non penalizzi quest’ultimo per contenere i costi di installazione. La sezione ottimale per un canale d’aria è quella circolare; quando si debba adottare una sezione rettangolare si dovrà avere cura che il rapporto tra i due lati non sia superiore di 1/4 al fine di evitare la formazione di vortici possibile anche a basse velocità dell’aria. Per impianti con portate medio-alte si ricorre generalmente a canali in lamiera zincata di spessore variabile tra i 6/10 di un canale a sezione circolare di 20 cm e i 12/10 di un canale rettangolare la cui dimensione maggiore superi i 90 cm. Per impianti in cui sono in gioco portate limitate e per i collegamenti ai terminali è prevalente l’uso di canali flessibili a sezione circolare. In Fig. E.8.3./10 sono esemplificate alcune reti di canalizzazioni dell’aria con plenum di distribuzione.
FIG. E.8.3./10 RETI DI CANALIZZAZIONI CON PLENUM DI DISTRIBUZIONE
DISTRIBUZIONE LINEARE
DISTRIBUZIONE CON TUBI FLESSIBILI
DISTRIBUZIONE AD ANELLO
VENTILATORI I ventilatori generalmente utilizzati negli impianti di condizionamento dell’aria sono di tipo elicoidale, centrifugo o assiale. ELICOIDALE È utilizzato esclusivamente per estrazione di aria a bocca libera o con minima canalizzazione. È generalmente accoppiato al motore e presenta quindi problemi di rumorosità. CENTRIFUGO Presenta un più ampio campo di applicazione potendo essere utilizzato oltre che per estrazione anche per mandata e ricircolo dell’aria.
È necessario che siano installati su supporti antivibranti e che le bocche di mandata o di aspirazione siano collegate con raccordi flessibili. Il loro dimensionamento deve tenere conto della rumorosità. ASSIALE Consente di trattare portate d’aria elevate con limitate prevalenze. Il loro impiego è molto diffuso nelle unità di termoventilazione, soprattutto di piccole dimensioni, in quanto il loro ingombro è particolarmente contenuto in relazione alle prestazioni fornite e la loro geometria consente il montaggio in linea con i sistemi di canalizzazione e distribuzione dell’aria.
ALTRI COMPONENTI DELL’IMPIANTO
E 156
TORRINO ESTRATTORE Si tratta di un dispositivo di applicazione specifica utilizzato per l’estrazione dell’aria dall’alto; utilizza ventilatori sia del tipo elicoidale che centrifugo.
variabile, di tipo monocanale o miscelatrici per impianti a doppio canale. A valle della cassetta viene installato un sistema di riduzione della rumorosità; spesso la stessa cassetta è ricoperta con materiale fonoassorbente.
CASSETTE RIDUTTRICI DI PRESSIONE Sono utilizzate, a monte dei terminali (bocchette e diffusori) per ridurre pressione e velocità dell’aria su impianti ad alta velocità. Possono essere a portata costante o
Le cassette monocanale a portata variabile e quelle miscelatrici a doppio canale sono dotate di un sistema motorizzato per la regolazione delle portate azionato dai termostati ambiente.
CONTROLLO AMBIENTALE
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE CLIMATIZZAZIONE ESTIVA
•
E.8. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
ISOLAMENTO TERMICO DELLE CANALIZZAZIONI In particolare le operazioni da effettuare sono le seguenti: 1. Il diagramma delle perdite per attrito (Fig. E.8.3./11) fornisce in ascissa le portate d’aria in mc/h; 2. lo stesso diagramma fornisce in ordinata la resistenza in mm di colonna d’acqua per metro lineare di canale; 3. le rette inclinate verso sinistra danno le velocità dell’aria del canale in m/s; 4. le rette inclinate verso destra il diametro del canale in mm; 5. la sezione rettangolare equivalente al diametro di cui al punto 3) sono ricavabili nella parte inferiore del diagramma suddetto.
PROCEDIMENTO PER IL DIMENSIONAMENTO DEI CANALI D’ARIA Un primo dimensionamento di massima dei canali si effettua con un metodo che si basa sul mantenimento di un valore della perdita di carico lineare costante su tutta la canalizzazione. Tale metodo impone di verificare che le velocità nei vari tratti siano sempre al di sotto della soglia di accettabilità. Si fissa la velocità dell’aria che si vuole avere nel canale principale e la portata dell’aria del ventilatore, quindi, utilizzando il diagramma delle perdite per attrito, (Fig. E.8.3./11), si determina il valore della perdita di carico in quel tratto di canale; tale valore sarà mantenuto costante lungo tutta la canalizzazione.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
FIG. E.8.3./11 DIAGRAMMA PER LA SCELTA DEI CANALI IN LAMIERA ZINCATA
PRO TTURALE STRU PORTATA mc/h 1000
F. TERIALI,
TA
'D
15 14
EL
L'A
RI
AI
N
/s
URB
15 0
10 9 20 0
8 25 0
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
7 30 0
DIA ME TR OD EL CO ND OT TO IN mm
6
5
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
40 0
3
50 0
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE
70 0
4
3
90 0 10 00
60 0
E.4. ICA T ACUS
0.03 1
15 00
RESISTENZA IN mm DI H 2 O PER m DI CONDOTTO
G.ANISTICA
11
A E.5. INOTECNIC ILLUM
12
E.6. MIDA U ARIA
0.01 0
50
16
00
0
90
30
10
0
35
0
20
0
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
25
0
00
0
10
0
70
0
0
0
50
16
0 40
12
0
40
0
12
35
90
66
50 17 00 20
0
80 70
0
60
0
90
250
300
400
00
35
00
10
200
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
00 23 00 25 00 27 00 30
70
80
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
00
15
0
0
0
10
0 45 0 50
0
50
0
0
35
60
20
30
80
0
25
SEZIONE RETTANGOLARE
SEZIONE TONDA
13 12
mm
2
0.04
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
80 0
CI
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
LO
0.3
0.05
50000
20
0.4
0.1 0.09 0.08 0.07 0.06
10000
VE
0.5
0.2
5000
30
10 0
2 1.8 1.6 1.4 1.2 1 0.9 0.8 0.7 0.6
100
00
40
500
600
700
800 900 1000
1500 DIAMETRO EQUIVALENTE (mm)
. NE E.8.3TIZZAZIO CLIMA A ESTIV
E 157
E.8. 3.
CONTROLLO AMBIENTALE CLIMATIZZAZIONE ESTIVA
•
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE
DIFFUSIONE DELL’ARIA: CRITERI E COMPONENTI La velocità e la distribuzione dell’aria negli ambienti sono i principali parametri indicativi del livello di comfort raggiunto. La velocità di immissione dovrà quindi essere opportunamente regolata affinché il livello sonoro non superi il rumore di fondo nell’ambiente, a impianto spento, per più di 3-5 dB(A). D’altro canto si dovrà fare in modo che le zone di miscelazione dell’aria non interessino direttamente le zone occupate dell’ambiente da condizionare. I processi di miscelazione dell’aria ambiente con quella introdotta dall’impianto
dovranno quindi avvenire al di fuori della zona occupata e, per ottenere una buona uniformità della temperatura, dovranno essere contrastate le correnti convettive che si vengono a determinare. Per intervenire su questi fattori si opera, oltre che sul controllo della velocità di immissione dell’aria, sulla scelta del tipo di diffusore sul suo posizionamento e orientamento. Per quanto riguarda la qualità dell’aria negli ambienti condizionati si veda E.3.3. “Qualità dell’aria nella progettazione, Progettazione degli impianti di condizionamento”.
DIFFUSORI I diffusori possono essere distinti in bocchette, diffusori lineari e a soffitto (vedi schemi semplificati in Fig. E.8.3./12). Le bocchette sono dotate di alette (verticali e orizzontali) fisse o orientabili e possono essere dotate di serranda per la regolazione della portata dell’aria; per piccole portate vengono utilizzate particolari bocchette circolari costituite da un elemento elicoidale (per favorire l’effetto induttivo) regolabile inserito all’interno di un anello circolare. I diffusori lineari sono dotati di più feritoie; quelli a soffitto sono costituiti da elementi conici concentrici a effetto induttivo e presentano le forme più varie. Un diffusore può essere caratterizzato attraverso la “gittata” e la “caduta”. La “gittata” corrisponde alla distanza tra lo stesso diffusore e il punto da questo più lontano in cui la velocità dell’aria immessa è ridotta a un valore prefissato (solitamente 25 cm/s). La “caduta” corrisponde invece alla distanza verticale tra la quota di installazione del diffusore e il punto più basso in cui si può misurare una velocità prefissata dell’aria (solitamente 25 cm/s).
In Fig. E.8.3./13 sono schematizzati i profili dei flussi d’aria che si determinano in un ambiente in relazione a diverse configurazioni di immissione e di ripresa dell’aria. In particolare: A: diffusore a parete vicino al soffitto; B: diffusore a soffitto con getto orizzontale; C: diffusore a pavimento con getto verticale; D: diffusore a pavimento con getto orizzontale. FIG. E.8.3./13 SCHEMI DI PROFILI DEI FLUSSI D’ARIA
FIG. E.8.3./12 DIFFUSORI D’ARIA A
B
D
A
C B
C
D
CONTROLLO DEL RUMORE Obiettivo di una corretta progettazione e installazione dell’impianto, e non solo per esigenze di comfort, deve essere anche quello di controllare l’impatto del sistema e dei suoi componenti sia verso l’ambiente interno che verso quello esterno (vedi anche E.4. “Acustica”). Il rumore costituisce un problema non indifferente cui far fronte attraverso il corretto dimensionamento dei componenti e attraverso l’adozione di specifiche soluzioni tecniche. Negli impianti di condizionamento le fonti di rumore sono concentrate nelle macchine (in particolare gruppi di condensazione ad aria o ad acqua e ventilatori), lungo i percorsi canalizzati dell’aria e nei punti di immissione di aria negli ambienti. Un approccio progettuale corretto impone che, effettuato il dimensionamento di ogni componente questo sia selezionato sulla base delle sue specifiche tecniche e prestazionali: sono infatti disponibili sul mercato sistemi e componenti che, attraverso il sovra-dimensionamento degli organi più critici, e l’adozione di soluzioni tecnicamente più sofisticate, sono in grado di fornire, riguardo al problema in esame prestazioni nettamente superiori. Si dovranno comunque adottare tutti quegli accorgi-
menti finalizzati al contenimento delle rumorosità provocate dalla trasmissione delle vibrazioni prodotte dalle macchine alle canalizzazioni d’aria (manicotti elastici) e alle tubazioni (giunti flessibili) e all’interno dei canali d’aria (isolamento interno e silenziatori). Il rumore prodotto dalle macchine viene attutito effettuando il montaggio delle diverse parti su supporti elastici. Questi, realizzati con diverse soluzioni tecniche saranno costituiti da molle di acciaio o in elementi realizzati in gomma o in elastomero accuratamente selezionati in funzione delle frequenze di vibrazione aspettate. Il rumore prodotto dalle macchine installate all’esterno potrà essere invece contenuto con schermature fonoassorbenti del tipo “a cappotto” opportunamente sigillate all’esterno. Non deve essere trascurato, in particolare nel caso di impianti di notevole potenzialità, il problema costituito dall’incidenza sulla sagoma dell’edificio o sull’ambiente circostante (a seconda del tipo di installazione) dei volumi dei sistemi di condensazione, sia ad aria che ad acqua e dell’impatto ambientale delle emissioni di calore sui confinanti. A tal fine è opportuno studiare soluzioni architettoniche ad-hoc già nella fase preliminare del progetto.
ISOLAMENTO TERMICO DELLE CANALIZZAZIONI Tutte le canalizzazioni di aria utilizzate per la mandata o per la ripresa devono essere isolate termicamente al fine di contenere le dispersioni di energia; solo i canali di espulsione a valle dei recuperatori non necessitano di isolamento. L’isolamento può essere effettuato sia internamente che esternamente ai canali stessi. Per questo tipo di applicazione è sempre più diffuso l’uso di materiali sintetici a cellula chiusa i quali presentano caratteristiche elevate di resistenza termica e di stabilità nel tempo; sono inoltre utilizzabili per il rivestimento interno (e in questo caso svolgono anche funzioni di fonoassorbenza) e svolgono la funzione di barriera al vapore necessaria per evita-
E 158
re la formazione di condensa sulle pareti del canale. È invece sconsigliabile per il rivestimento interno l’uso di materiali a base di fibre, in particolare quelle di vetro o di roccia che potrebbero introdursi nei canali con danni alle persone occupano gli ambienti da condizionare. Quanto alle tubazioni di acqua per quella calda valgono le norme previste per gli impianti di riscaldamento. Per le tubazioni di acqua fredda è opportuno utilizzare spessori di isolante con elevate caratteristiche di resistenza termica e rivestimento costituito da barriera al vapore.
CONTROLLO AMBIENTALE
•
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE CLIMATIZZAZIONE ESTIVA
E.8. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
CONTROLLO DELL’UMIDITÀ RELATIVA In condizioni climatiche temperate il riscaldamento invernale può provocare una eccessiva diminuzione dell’umidità relativa dell’aria e rendere quindi necessario un intervento di umidificazione. Si tratta di dispositivi che comportano un notevole dispendio di energia: il loro impiego è quindi limitato a situazioni particolari in cui il controllo igrometrico deve essere costante. I dispositivi per l’umidificazione dell’aria installabili in un impianto di trattamento dell’aria possono essere:
B.STAZIONI DILEGIZLII
TAB. E.8.3./2 UMIDITÀ RELATIVA – TEMPERATURE
I ED PRE NISM ORGA
Temp. BU = temperatura Bulbo Umido Temp. BS = temperatura Bulbo Secco
• umidificatori a bacinella con serpentina di riscaldamento costituita da una bacinella ripiena d’acqua, una serpentina che ne provoca l’evaporazione e un dispositivo per il reintegro dell’acqua; • umidificatori a vapore in questo caso il vapore viene immesso direttamente nel flusso dell’aria di trattamento attraverso una tubazione forata; • umidificatori a ugelli nebulizzano l’acqua a monte della batteria di scambio termico spillandola da un proprio circuito di acqua che nel periodo invernale viene opportunamente riscaldata. La Tab. E.8.3./2 fornisce, per alcuni valori di temperatura a Bulbo Secco (BS) i valori corrispondenti di Umidità Relativa (UR) in funzione del valore della temperatura misurato a Bulbo Umido (BU).
TEMP. BS
TEMP. BU
TEMP. BU
TEMP. BU
TEMP. BU
TEMP. BU
(°C)
40% UR
45% UR
50% UR
55% UR
60% UR
18
10,8
11,5
12,1
12,8
13,4
19
11,6
12,2
13,0
13,7
14,3
20
12,3
13,0
13,8
14,6
15,2
21
13,1
13,8
14,6
15,4
16,0
22
13,9
14,6
15,4
16,2
16,8
23
14,6
15,4
16,2
17,0
17,7
24
15,4
16,2
17,0
17,8
18,6
25
16,2
17,0
17,8
18,6
19,5
26
16,9
17,8
18,7
19,5
20,4
27
17,7
18,7
19,5
20,4
21,2
28
18,5
19,5
20,4
21,2
22,1
29
19,3
20,3
21,2
22,1
22.9
30
20,1
21,1
22,0
22,9
23,8
31
20,8
21,9
22,8
23,8
24,7
32
21,6
22,7
23,7
24,6
25,6
TIPOLOGIE DI IMPIANTO A seconda del fluido vettore utilizzato nel circuito di distribuzione un impianto di condizionamento dell’aria può essere:
sante e evaporante-ventilante), Questi sistemi utilizzano macchine frigorifere a espansione diretta (per solo raffrescamento) o a pompa di calore (raffrescamento e riscaldamento). Gli impianti realizzati con questo tipo di sistemi sono caratterizzati da una notevole semplicità di installazione ma da prestazioni inferiori; in particolare questo tipo di sistemi non consente il controllo dell’umidità relativa dell’aria e talvolta neanche il ricircolo dell’aria stessa. Di contro oltre che dalla grande semplicità, di cui si è detto, sono caratterizzati da costi di impianto più contenuti e, nel caso dei sistemi a pompa di calore, da costi di gestione particolarmente contenuti e da una grande flessibilità d’uso.
• a tutta aria, quando la centrale tratta direttamente l’aria che viene distribuita alle utenze; • ad aria-acqua, quando la centrale tratta oltre a una quota di aria anche acqua distribuita a unità locali (induttori o ventilconvettori). Sono sempre più diffusi, inoltre, impianti realizzati ricorrendo a sistemi “autonomi” di tipo “monoblocco” o “split” (costituiti questi ultimi da due sezioni separate: conden-
F1
ARIA ESTERNA
SCHEMA CONDIZIONATORI DELL’ARIA
ARIA ESPULSA
F2
DESCRIZIONE
SOLAIO INDUTTORI TERMINALE INDUZIONE
INDUTTORI BATTERIE CALDO/FREDDO
ARIA PRIMARIA ARIA IMMESSA BATTERIE CALDO/FREDDO
ARIA ESPULSA
PAVIMENTO
ARIA INDOTTA
G1
ARIA ESTERNA
G2
SOLAIO
ARIA ESPULSA ARIA PRIMARIA CONTROSOFFITTO ARIA PRIMARIA PAVIMENTO
CIRCUITO CALDO/FREDDO VENTILCONVETTORE
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS
FIG. E.8.3./14 TIPOLOGIE DI IMPIANTI DI CONDIZIONAMENTO AD ARIA-ACQUA
SCHEMA DI IMPIANTO
C.RCIZIO
VENTILCONVETTORE ARIA ESPULSA
ARIA PRIMARIA E CONDIZIONATORI A INDUZIONE L’aria primaria è convogliata a pressione ai condizionatori. La zona di depressione che si crea induce una certa portata di aria ambiente attraverso la batteria alimentata con acqua calda o refrigerata: la miscela di aria viene distribuita all’ambiente. Per ogni locale trattato deve essere previsto un sistema di espulsione dell’aria.
ARIA PRIMARIA E VENTILCONVETTORI Il ventilconvettore tratta solo l’aria di ricircolo mentre l’aria primaria è trattata dall’ampianto centrale di condizionamento. Si tratta di impianto di particolare semplicità. Come nel caso degli induttori ogni ambiente deve essere dotato di un sistema di espulsione dell’aria tale da mantenere gli ambienti in leggera sovra-pressione (l’aria viene estratta dai servizi igienici).
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. NE E.8.3TIZZAZIO CLIMA A ESTIV
E 159
E.8. 3.
CONTROLLO AMBIENTALE CLIMATIZZAZIONE ESTIVA
•
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE
➦ DIFFUSIONE DELL’ARIA: CRITERI E COMPONENTI FIG. E.8.3./15 TIPOLOGIE DI IMPIANTI DI CONDIZIONAMENTO A TUTTA ARIA
SCHEMA DI IMPIANTO
A1
SCHEMA CONDIZIONATORI DELL’ARIA
ARIA ESTERNA
A2
SOLAIO
ARIA IMMESSA
CONTRO SOFFITTO
RIPRESA ARIA
ARIA ESPULSA
ARIA ESPULSA
VENTILATORE
B1
ARIA ESTERNA
DESCRIZIONE
PAVIMENTO
B2
SOLAIO ALLA ZONA 2
ALLA ZONA 1 ZONA 1
ARIA IMMESSA
ZONA 2 ZONA 3
C1
ARIA ESPULSA
RIPRESA ARIA
ARIA ESPULSA
PAVIMENTO
C2
SOLAIO BATTERIA DI POST-RISCALD.
BATTERIA DI POST-RISCALD.
CIRCUITO ACQUA DI POST-RISCALD.
ARIA IMMESSA RIPRESA ARIA
ARIA ESPULSA
ARIA ESPULSA
VENTILATORE
ARIA ESTERNA
D2
CASSETTA RIDUT. DI PRESSIONE
ARIA IMMESSA RIPRESA ARIA
ARIA ESPULSA
ARIA ESPULSA
VENTILATORE
CASSETTA DI MISCELAZIONE
ARIA ESTERNA
CANALE CALDO
E2
PAVIMENTO
SOLAIO CANALE FREDDO
CANALE FREDDO
CANALE CALDO
CASSETTA DI MISCELAZIONE
ARIA ESPULSA
E 160
ARIA IMMESSA RIPRESA ARIA VENTILATORE
ARIA ESPULSA
A CONDOTTO SINGOLO E BATTERIE DI POST-RISCALDAMENTO Le batterie di post-riscaldamento installate in corrispondenza di ogni zona o ambiente da trattare consentono un controllo locale della temperatura. In questo caso l’unità centrale di trattamento dell’aria sarà dotata soltanto di batteria di raffreddamento e di batteria di pre-riscaldamento.
PAVIMENTO
SOLAIO
CASSETTA RIDUTTRICE DI PRESSIONE
E1
MULTIZONA L’impianto consente un controllo locale dell’aria di immissione degli ambienti; in questo caso la macchina per il trattamento dell’aria consente il collegamento fino a circa 10 zone ognuna dotata di un sistema autonomo di regolazione. Questo tipo di impianto consente una modulazione ambiente per ambiente in funzione dei fabbisogni reali dell’utenza.
VENTILATORE
ARIA ESTERNA
D1
MONOZONA L’impianto è costituito da una macchina per il trattamento dell’aria collegata alla centrale (termica e frigirifera) e da una reta di canalizzazioni che distribuiscono l’aria negli ambienti mediante bocchette e diffusori. Il sistema è regolato centralmente attraverso sonde colocate in punti significativi e l’area viene distrubuita ai diversi ambianti alla stessa temperatura.
PAVIMENTO
A CONDOTTO SINGOLO E PORTATA VARIABILE Il controllo della temperatura negli ambienti viene effettuato agendo sulla portata dell’aria di immissione (elevata). Per contenere la rumorosità si ricorre a silenziatorie si prevede normalmente un tratto di tubazione terminale a bassa velocità. Particolarmente adatto ad ambienti soggetti a profili di uitenza molto variabili nel tempo.
A DOPPIO CANALE Consente un controllo fine della temperatura in quanto l’unità di trattamento aria opera contemporaneamente sui due circuiti caldo e freddo. I canali confluiscono in miscelatori regolati da sonde di temperatura ambiente che fungono anche da riduttori di pressione; per il controllo della velocità di immissione dell’area ai fini della rumorosità vale quanto detto sopra.
CONTROLLO AMBIENTALE
•
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE SOLARE ATTIVO
A.ZIONI
IMPIANTI PER LA PRODUZIONE DI CALORE DA FONTE SOLARE Sono impianti in grado di convertire energia radiante di origine solare in calore. In un edificio questa tipologia di impianto può essere utilizzata per produrre acqua calda sanitaria e per il riscaldamento ambientale. Attraverso successivi processi di conversione il calore così prodotto può essere utilizzato per la produzione del freddo attraverso sistemi frigoriferi ad assorbimento. In un impianto solare “termico” la conversione dell’energia radiante di origine solare in calore avviene attraverso i “collettori solari”, dispositivi di diversa concezione e architettura che fungono da caldaia e costituiscono il sistema di captazione. Schematicamente l’impianto, a valle del sistema di captazione (i collettori solari), è costituito dal sistema di trasferimento del calore (“circuito primario” dai collettori all’accumulo), dal sistema di accumulo e dal sotto-sistema di utilizzazione (“circuito secondario” dall’accumulo alle utenze). Nelle ore in cui la radiazione incidente sulla superficie dei collettori supera una soglia utile, si attiva il circuito primario che trasferisce calore dal sistema di captazione all’accumulo. Da questo un circuito secondario preleva calore a seconda delle esigenze trasferendolo all’utilizzo. Per mantenere distinti i due circuiti il trasferi-
E.8. 4.
mento di calore avviene attraverso uno scambiatore di calore. In caso di disponibilità di calore inferiore alla domanda, interviene il sistema di riscaldamento ausiliario. Tutte le operazioni e le diverse modalità di funzionamento, sono gestite da un sistema di regolazione e controllo. Il sistema di captazione è costituito da uno o più collettori solari tra loro collegati con il compito di raccogliere l’energia solare incidente e di convertirla in calore con le minori perdite possibili Il tipo più semplice e più diffuso di collettore solare è il collettore solare piano. Il sistema di captazione viene installato, nel nostro emisfero, con orientamento Sud e con una inclinazione variabile in relazione al tipo di utilizzo dell’impianto; per un utilizzo sia estivo che invernale si adotta una inclinazione pari al valore della latitudine del luogo di installazione. Il sistema di trasferimento del calore: il circuito principale trasferisce calore dal sistema di captazione a quello di accumulo e il circuito secondario da quest’ultimo al sistema di utilizzazione. Fluido termovettore è generalmente l’acqua o l’aria. Si può prevedere un utilizzo diretto del calore del circuito primario solo nei casi in cui lo consentono il tipo di collettore e il tipo di utilizzazio-
ne. Per la produzione di acqua per usi sanitari o industriali è necessario prevedere due circuiti distinti e un adeguato sistema di scambio termico. La presenza di un accumulo nel sistema di utilizzazione consente di compensare lo sfasamento dei diversi andamenti temporali dell’afflusso di calore dai collettori e della richiesta di calore dal sistema di utilizzazione. Per garantire la produzione di acqua calda, indipendentemente dalla disponibilità della fonte solare, si ricorre a un sistema di riscaldamento ausiliario che, quando necessario, fornisce calore, o integra quello disponibile. Il sistema di regolazione e controllo ha il compito di gestire l’utilizzo della fonte solare e il ricorso a eventuali fonti integrative in funzione della domanda di calore e dei livelli di temperatura nel sistema di accumulo. È costituito da una centralina elettronica, sensori di temperatura, e attuatori, che intervengono sulle pompe e/o sulle valvole del circuito idraulico. Sono disponibili sistemi che presentano diverse caratteristiche di complessità: da semplici sistemi on-off comandati da termostati differenziali a complessi sistemi gestiti da microprocessore.
FIG. E.8.4./1 SCHEMA DI IMPIANTO SOLARE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
COLLETTORI SOLARI SENSORE E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS
TERMOMETRO
A E.5. INOTECNIC ILLUM
SCALDACQUA
SENSORE TERMOMETRO SERBATOIO MANOMETRO VALVOLA POMPA VASO DI ESPANSIONE
SCAMBIATORE DI CALORE
TERMOSTATO DIFFERENZIALE
E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. NE E.8.3TIZZAZIO CLIMA A ESTIV . E.8.4 E ATTIVO R SOLA
E 161
E.8. 4.
CONTROLLO AMBIENTALE SOLARE ATTIVO
•
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE
COLLETTORI SOLARI FIG. E.8.4./2 TIPI DI COLLETTORI SOLARI
COLLETTORE SOLARE PIANO La tipologia più diffusa di collettore solare piano è costituita da un assorbitore, da una copertura trasparente e da un contenitore coibentato. L’assorbitore è un elemento con elevato coefficiente di assorbimento alle lunghezza d’onda tipiche della radiazione solare (visibile e infrarosso vicino); generalmente è utilizzata a questo scopo una piastra di metallo con buone caratteristiche di trasmissione termica, trattata superficialmente al fine di favorire l’assorbimento del calore. L’assorbitore trasmette il calore al fluido termovettore (aria o acqua) che attraversa il circuito primario essendo a contatto con questo (canali nel caso di sistemi ad aria, fascio di tubi o serpentina nel caso di sistemi ad acqua), ovvero incorporandolo (sistema a canali ricavati tra due piastre). La copertura trasparente, costituita da uno strato di vetro o di estruso plastico, svolge la funzione di limitare le perdite di calore per irraggiamento (effetto serra) e per convezione dalla parte frontale della piastra assorbente. Il contenitore coibentato ha la funzione di limitare le perdite di calore dalla parte posteriore e dai lati della piastra assorbente.
ALTRI TIPI DI COLLETTORI SOLARI Si ricorre talvolta, ad esempio nel caso del riscaldamento dell’acqua delle piscine in cui il collettore lavora con un gradiente termico limitato, a sistemi di captazione particolarmente semplici ed economici con assorbitore in materiale plastico privi generalmente sia di copertura trasparente che di contenitore coibentato. Quando invece sia richiesto calore a livelli di temperatura più elevati si ricorre a sistemi di captazione in grado di minimizzare le perdite di calore. Si ricorre in questi casi a sistemi che si avvalgono di specchi, generalmente cilindro-parabolici, che riflettono il calore concentrandolo su un assorbitore tubolare per il cui isolamento si ricorre generalmente a sistemi trasparenti sotto-vuoto. Per un ulteriore miglioramento delle prestazioni a tali sistemi vengono associati dispositivi che assicurino la focalizzazione dei raggi solari sull’fassorbitore modificando l’forientamento dei captatori. Nel caso di piccoli impianti destinati alla produzione di acqua calda è sempre più frequente il ricorso a sistemi di captazione con accumulo integrato che offrono vantaggi in termini di semplificazione, nonché di minori dispersioni dell’impianto e quindi spesso di economicità complessiva del sistema.
copertura trasparente
copertura trasparente
A
cofano di contenimento isolamento B assorbitore con tubi saldati (paralleli o a serpentina)
copertura trasparente
copertura trasparente
C
cofano di contenimento isolamento assorbitore metallico copertura trasparente
E
cofano di contenimento isolamento tubo di vetro assorbitore
G
cofano di contenimento isolamento assorbitore metallico con alette
D
F
cofano di contenimento isolamento assorbitore metallico
tubo di vetro assorbitore
A - C COLLETTORI AD ACQUA B - D COLLETTORI AD ARIA E - F COLLETTORI SOTTO VUOTO G COLLETTORI A CONCENTRAZIONE
RENDIMENTO DI UN COLLETTORE SOLARE Ciascun componente del sistema di captazione può essere realizzato con materiali e con configurazioni diversi. L’obiettivo è quello di massimizzare l’assorbimento della radiazione incidente, minimizzare le perdite di calore, contenere i costi. I primi due aspetti possono essere riassunti nel termine rendimento di conversione del collettore che deve essere il più possibile prossimo all’unità. Il rendimento di conversione, η, di un collettore può essere definito come il rapporto tra la energia solare incidente sull’unità di area in un intervallo di tempo, I, e la quantità di calore ceduta all’accumulo sempre per unità di area (detta utile), qu nello stesso tempo. Se si riferisce all’unità di tempo si parla di rendimento istantaneo.
η = qu/I Il calore utile può essere espresso come:
qu = m cp (tu – ti) dove m è la portata del fluido per unità di superficie di collettore cp il calore specifico del fluido, ti e tu, le temperature del fluido all’ingresso e all’uscita del collettore, rispettivamente. D’altra parte, il calore utile è anche dato dalla differenza tra il calore assorbito, qa, e il calore perso qp:
In realtà il prodotto (ta) rappresenta un insieme di fenomeni piuttosto complesso: assorbimento, riemissione, riflessioni multiple nel caso di più strati ecc. Inoltre dipende fortemente dall’angolo di incidenza e quindi dalla posizione del sole e dalla ripartizione della radiazione incidente tra componenti diretta e diffusa. Il calore perso è dato dalla somma di tutte le perdite di calore, convettive e radiative, dal collettore, e può essere espresso in funzione di un coefficiente di dispersione termica del collettore, Uc, e della differenza tra la temperatura media della piastra, tmp, e temperatura dell’ambiente, ta:
qa =Uc (tmp – ta) Il problema di questa espressione è che la temperatura media della piastra solitamente non è nota. Ci si riferisce allora a una temperatura che è invece solitamente conosciuta, o meglio valutabile, cioè alla temperatura di ingresso del fluido nel collettore, ti. Si introduce allora una grandezza, FR, chiamato fattore di asporto termico (heat removal factor), che esprime l’efficacia del meccanismo di scambio termico tra piastra e fluido, ed è definito come il rapporto tra il calore effettivamente asportato, cioè qu, e il calore che sarebbe asportato se tutta la piastra si trovasse a una temperatura pari a quella di ingresso del fluido:
Il fattore FR dipende dallo scambio termico all’interno della piastra e dei condotti, e tra condotti e fluido. Dipende quindi da un grande numero di parametri. In primissima approssimazione, nel caso di collettori a liquido, si assume FR = 0,9. Se si assume che FR, (τα) e Uc siano costanti, si vede che il rendimento è funzione lineare della variabile (ti –ta)/I. A parità delle altre condizioni, il rendimento diminuisce all’aumentare della temperatura del fluido e al diminuire della temperatura ambiente (aumentano le dispersioni), mentre cresce al crescere della radiazione incidente (Fig. E.8.4./3). Il valore massimo che può assumere il rendimento, cioè FR(τα), si ottiene quando ti = ta, condizione realizzabile solo idealmente. Valori tipici di FR(τα) sono compresi tra 0,6 per collettori con piastra non selettiva e un solo strato di copertura trasparente e 0.8, per collettori con piastra selettiva e doppio strato trasparente (Fig. E.8.4./4). Il rendimento si annulla per la condizione:
FR(τα) = FRUc(ti –ta) / I cioè per un valore dell’intensità di radiazione, Ic, detta intensità critica, pari a:
FR = qu / [(τα)I – Uc(ti – ta)]
Ic = Uc(ti – ta) / (ta)
Il calore utile può, quindi, essere definito per mezzo dell’espressione:
Il significato fisico di questa grandezza è il seguente: con intensità inferiori a questo valore, non si ha calore utile, perché la radiazione assorbita pari a (τα)Ic, va tutta spesa in perdite, date da Uc (ti –ta). Solo per radiazione di intensità superiore a Ic si ha raccolta di calore utile. Indicativamente, si può assumere che i collettori solari piani con piastra non selettiva e uno strato trasparente presentino rendimenti medi giornalieri compresi tra 0,2 e 0,4.
qu = qa – qp Il calore assorbito è costituito dalla frazione dell’energia solare incidente che riesce ad attraversare la copertura trasparente e che viene assorbita dalla piastra cioè:
qa =(τa)I dove τ è il coefficiente di trasmissione della copertura trasparente e a è il coefficiente di assorbimento della piastra.
E 162
qu = FR [(τα)I – Uc(ti –ta)] Il rendimento istantaneo, h diventa quindi:
η =FR [(τα) – Uc(ti –ta)/I]
CONTROLLO AMBIENTALE
•
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE SOLARE ATTIVO
E.8. 4. A.ZIONI
FIG. E.8.4./3 CONFRONTO FRA CURVE DI TIPI DI COLLETTORI SOLARI PIANI
[µ]
0.7 0.6 0.5
sup. nera doppio vetro
0.4
0.4 0.2
0.20 [ t i -t a /l]
0.05
0.10
0.15
0.20 [ t i -t a /l]
pompa
re l’energia solare incidente e di convertirla in calore con le minori perdite possibil. Il tipo più semplice e più diffuso di collettore solare è il collettore solare piano. Il sistema di captazione viene installato, nel nostro emisfero, con orientamento Sud e con una inclinazione variabile in relazione al tipo di utilizzo dell’impianto; per un utilizzo sia estivo che invernale si adotta una inclinazione pari al valore della latitudine del luogo di installazione, di solito aumentata di 10-15 °C. Il sistema di trasferimento del calore: il circuito principale trasferisce calore dal sistema di captazione a quello di accumulo e il circuito secondario da quest’ultimo al sistema di utilizzazione. Fluido termovettore è generalmente l’acqua o l’aria. Si può prevedere un utilizzo diretto del calore del circuito primario solo nei casi in cui lo consentono il tipo di collettore e il tipo di utilizzazione. Per la produzione di acqua per usi sanitari o industriali è necessario prevedere due circuiti distinti e un adeguato sistema di scambio termico. La presenza di un
• • • • • • • • •
numero persone: 6; temperatura acqua calda richiesta: 50 °C; orientamento collettori: sud; fabbisogno acqua calda: 50 l · persona · giorno; località: Roma (latitudine 42 °C); inclinazione collettori: 57° (latitudine + 15°); temperatura acqua alimentazione: 15 °C; rendimento medio collettori: 0,35; accumulo: 75 lt per m2 collettori.
Il fabbisogno giornaliero di calore è dato da 6 x 50 x 1 x 35 = 10500 kcal = 44 MJ = 12,2 kWh. Dai valori mensili della radiazione solare giornaliera incidente mediamente su una superficie inclinata a Roma (Tab. E.8.4./1) si ricava che nel mese più svantaggiato dicembre, in cui la radiazione è di 2,4 kWh/m2, un m2 di collettore fornirebbe in un giorno una quantità di calore utile pari a: 2,4 x 0,35 = 0,84 kWh. Per coprire completamente il fabbisogno di calore sarebbe quindi necessaria una superficie di collettori pari a: Sc = 12,2/0,84 = 14,5 m2
Tale superficie risulta difficilmente accettabile dal punto di vista economico. Essa infatti, risulta produrre calore utile eccedente, anche largamente, il fabbisogno in tutti i mesi, salvo dicembre. D’altra parte si ricordi anche che il rendimento dei collettori qui assunto costante, assume i valori più bassi proprio nei mesi più sfavoriti (dicembre-gennaio). Non esiste un criterio unico e certo per la determinazione della superficie ottimale dei collettori dal punto di vista costi-benefici; di seguito ne vengono proposti due molto generali. PRIMO CRITERIO Un possibile criterio di larga massima può consistere nel determinare la superficie di collettori che consente di coprire il 50% del fabbisogno di calore in relazione al valore medio annuo della radiazione solare incidente. Usando questo criterio, essendo il fabbisogno da coprire pari a 0,5 x 12, 2 = 6,6 kWh ed essendo il valore medio annuo della radiazione incidente pari a circa 4,5 kWh/m2 giorno e quindi il calore utile pari a: 4,5 x 0,35 = 1.57 kWh/m2 giorno, e quindi la superficie richiesta è: Sc = 6,6/1,57 = 4,2 m2 valore sicuramente accettabile. Il serbatoio di accumulo dovrebbe contenere 75 x 4,2 = 315 l d’acqua.
E ESE ESSIONAL PROF
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
URB
accumulo nel sistema di utilizzazione consente di compensare lo sfasamento dei diversi andamenti temporali dell’afflusso di calore dai collettori e della richiesta di calore dal sistema di utilizzazione. Per garantire la produzione di acqua calda, indipendentemente dalla disponibilità della fonte solare, si ricorre a un sistema di riscaldamento ausiliario che, quando necessario, fornisce calore, o integra quello disponibile. Il sistema di regolazione e controllo ha il compito di gestire l’utilizzo della fonte solare e il ricorso a eventuali fonti integrative in funzione della domanda di calore e dei livelli di temperatura nel sistema di accumulo. È costituito da una centralina elettronica, sensori di temperatura e attuatori, che intervengono sulle pompe e/o sulle valvole del circuito idraulico. Sono disponibili sistemi che presentano diversi livelli di complessità: da semplici sistemi on-off comandati da termostati differenziali a complessi sistemi gestiti da microprocessori.
ESEMPIO DI DIMENSIONAMENTO DI UN IMPIANTO SOLARE PER IL RISCALDAMENTO DI ACQUA CALDA PER USO SANITARIO DATI DEL PROBLEMA:
C.RCIZIO
G.ANISTICA
IMPIANTI SOLARI PER LA PRODUZIONE DI ACQUA CALDA L’impianto è caratterizzato da un sistema di captazione costituito dai collettori solari e da un sistema di trasferimento del calore costituto da un circuito primario (dai collettori all’accumulo) e da un circuito secondario (dall’accumulo al sistema di utilizzazione). Nelle ore in cui la radiazione incidente sulla superficie dei collettori supera una soglia utile si attiva il circuito primario che trasferisce calore dal sistema di captazione all’accumulo. Da questo un circuito secondario preleva calore a seconda delle esigenze trasferendolo all’utilizzo. Per mantenere distinti i due circuiti il trasferimento di calore avviene attraverso uno scambiatore di calore. In caso di disponibilità di calore inferiore alla domanda, interviene il sistema di riscaldamento ausiliario. Tutte le operazioni e le diverse modalità di funzionamento, sono gestite da un sistema di regolazione e controllo. Il sistema di captazione è costituito da uno o più collettori solari tra loro collegati con il compito di raccoglie-
I ED PRE NISM ORGA
PRO TTURALE STRU
dall'impianto 0
B.STAZIONI DILEGIZLII
D.GETTAZIONE
collettori
0.1 0.15
all'impianto
0.5
0.2 sup.neravetro semplice 0.05 0.10
riscaldamento ausiliario
0.6
0.3
0
accumulo
0.7
0.3 0.1
valvola 3 vie
0.8 selettivo (sup. nera alta eff.) vetro semplice
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. E.8.4./5 SCHEMA DI IMPIANTO SOLARE
[µ]
zona utile
0.8
FIG. E.8.4./4 CURVA TIPICA DI RENDIMENTO DI UN COLLETTORE
In Tab. E.8.4./1 abbiamo: fabbisogno medio giornaliero di calore (A) radiazione incidente su 4,2 m2 di collettori (B), calore utile (C), e frazione del fabbisogno coperto dall’impianto solare (C/A). Tutti i valori sono in kWh/giorno. Come si vede non si raggiunge mai il 100% del fabbisogno.
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
SECONDO CRITERIO Un altro criterio può essere quello di determinare la superficie di collettori che permetta di coprire il 100% del fabbisogno nel mese più favorito (in questo caso luglio). La radiazione incidente è di 6,1 kWh/m2 il calore utile è quindi pari a 6,1 x 0,35 = 2,1 kWh/m2, e quindi la superficie richiesta è Sc = 12,2/2,1 = 5,8 m2. Il serbatoio di accumulo dovrebbe allora contenere 5,8 x 75 = 435 l di acqua. In Tab. E.8.4./2 abbiamo: fabbisogno medio giornaliero di calore (A), radiazione incidente su 5,8 m2 di collettori (B), calore utile (C), e frazione del fabbisogno coperto dall’impianto solare (C/A). Tutti i valori sono in kWh/giorno. Come si vede in questo caso il risparmio energetico raggiunge un valore del 75% su base annua, senza che si verifichi mai la condizione di spreco di calore.
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. E.8.4 E ATTIVO R SOLA
E 163
E.8. 4.
CONTROLLO AMBIENTALE SOLARE ATTIVO
•
IMPIANTI PER LA CLIMATIZZAZIONE
➦ IMPIANTI SOLARI PER LA PRODUZIONE DI ACQUA CALDA TAB. E.8.4./1
Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Media
TAB. E.8.4./2
A
B
C
C/A
12,2 12,2 12,2 12,2 12,2 12,2 12,2 12,2 12,2 12,2 12,2 12,2 12,2
12,2 13,9 17,2 19,7 22,7 23,1 25,6 25,2 24,4 21,0 13,0 10,1 18,9
4,3 4,9 6,0 6,9 7,9 8,1 9,0 8,8 8,5 7,4 4,6 3,6 6,6
34,9 39,8 49,4 56,6 65,0 66,3 73,5 72,3 69,9 60,2 37,3 28,9 50,0
Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Media
FIG. E 8.4./6 SISTEMA INTEGRATO PER LA PRODUZIONE DI ACQUA CALDA
A
B
C
C/A
12,2 12,2 12,2 12,2 12,2 12,2 12,2 12,2 12,2 12,2 12,2 12,2 12,2
16,8 19,1 23,8 27,3 31,3 31,9 35,4 34,8 33,6 29,0 18,0 13,9 26,1
5,9 6,7 8,3 9,5 11,0 11,2 12,4 12,2 11,8 10,1 6,3 4,9 9,1
48,2 54,9 68,2 78,2 89,8 91,5 100,0 100,0 96,5 83,2 51,6 39,9 75,0
1 - COLLETTORE SOLARE 2 - SERBATOIO AD INTERCAPEDINE 3 - RESISTENZA ELETTRICA
2
3 1
IMPIANTI SOLARI PER IL RISCALDAMENTO AMBIENTALE L’utilizzo della fonte solare in un impianto per il riscaldamento ambientale è particolarmente critico in quanto il periodo di maggiore fabbisogno termico corrisponde al periodo in cui è minima la quantità di energia solare disponibile. Ciò implica una progettazione molto accurata del sistema complessivo edificio-impianto anche perché il costo non irrilevante dell’impianto stesso (in particolare del sistema di captazione) pone problemi di convenienza economica. La progettazione dovrà prendere in esame in primo luogo l’involucro edilizio con l’obiettivo di minimizzare le perdite di calore e ottimizzare gli apporti gratuiti di calore (vedi impianti solari passivi). La scelta e il dimensionamento dei vari componenti dell’impianto dovrà quindi tenere conto: • dell’andamento teorico della curva di disponibilità di energia solare; • dell’andamento teorico della curva del fabbisogno di calore (riscaldamento ambientale e altri usi); • del grado di copertura solare richiesto; • della capacità termica dell’involucro edilizio; • della possibilità di realizzare un sistema di accumulo del calore; • delle fonti di energia integrativa disponibili. In linea di massima valgono le seguenti indicazioni molto generali: A) SISTEMA DI CAPTAZIONE Scegliere soluzioni a basso costo ed elevata affidabilità ma soprattutto privilegiare, sia nel caso di nuove costruzioni che di retrofit, soluzioni che permettano l’integrazione del sistema nella struttura edilizia (copertura e/o pareti con orientamento Sud). B) SISTEMA DI ACCUMULO In questo tipo di impianti assume particolare rilievo lo sfasamento tra domanda e disponibilità di calore; per massimizzare l’utilizzo dell’energia da fonte solare si ricorre ad accumuli di grande capacità come serbatoi isolati, spesso interrati o tubi interrati da dimensionare in funzione del surplus di energia previsto nel periodo estivo. Nel caso di impianti ad aria si prevedono sistemi di accumulo a carattere giornaliero su pietre a elevata capacità termica (Fig. E.8.4./7).
FIG. E 8.4./7 SCHEMA DI IMPIANTO SOLARE AD ARIA PER RISCALDAMENTO AMBIENTALE espulsione 6 1
4
aria esterna 2
3
ambiente da riscaldare FIG. E 8.4./8 SCHEMA DI IMPIANTO SOLARE AD ACQUA PER RISCALDAMENTO AMBIENTALE
5
D) SISTEMA DI INTEGRAZIONE Nella definizione progettuale del sistema vanno privilegiate quelle soluzioni impiantistiche che consentano l’utilizzo della fonte solare anche a bassi livelli di temperatura. La soluzione più diffusa prevede l’installazione di una caldaia a gas che interviene sul circuito di utilizzazione attraverso un opportuno scambiatore di calore. Non va trascurata la possibilità di utilizzare una pompa di calore del tipo acqua-acqua che, in considerazione dei bassi livelli di temperatura e di gradiente termico può lavorare con valori di rendimento particolarmente elevati.
E 164
ripresa aria
5
ricircolo
C) SISTEMA DI UTILIZZAZIONE Per ottimizzare il contributo della fonte solare l’impianto dovrà infatti operare a temperature il più possibile vicine a quelle di funzionamento ottimale del sistema di captazione. Saranno quindi utilizzati sistemi di distribuzione a bassa temperatura, caratterizzati da ampie superfici di scambio termico come pannelli radianti a pavimento o a parete o sistemi di termoventilazione opportunamente dimensionati (quest’ultima soluzione è praticamente obbligata nel caso di sistema di captazione ad aria).
E) SISTEMA DI REGOLAZIONE E CONTROLLO Indispensabile per assicurare una corretta gestione dell’energia: è solitamente affidato a un microprocessore. Aspetti da non trascurare nella progettazione e realizzazione sono la manutenzione dei vari componenti dell’impianto, il sistema di regolazione e controllo, il sistema di smaltimento del calore in eccesso nella stagione estiva. Lo schema di impianto ricalca quello degli impianti per la produzione di acqua calda e se ne differenzia, oltre che per il sistema di captazione solare, per la cura particolare necessaria nella sua realizzazione al fine di contenere al massimo le perdite di calore.
1 - COLLETTORE AD ARIA 2 - ACCUMULO 3 - TERMOVENTILATORE 4 - VALVOLE 5 - SISTEMA DI INTEGRAZIONE 6 - CANALIZZAZIONE PER L'ARIA
6
1
7
4
2 3
1 - SCAMBIATORE DI CALORE 2 - SERBATOIO DI ACCUMULO 3 - VALVOLA 4 - SISTEMA DI INTEGRAZIONE 5 - SISTEMA DI CAPTAZIONE 6 - SERPENTINA RISCALDAMENTO 7 - POMPA CIRCUITO RISCALDAMENTO
CONTROLLO AMBIENTALE
IMPIANTI TECNICI IMPIANTI ELETTRICI
•
E.9. 1. A.ZIONI
GENERALITÀ Gli impianti elettrici negli edifici di uso civile hanno la funzione di assicurare l’alimentazione delle utenze elettriche. Tali impianti per assicurare una adeguata protezione devono attenersi alle regole normative e legislative, previste per gli impianti elettrici a bassa tensione; devono quindi essere progettati ed eseguiti in conformità con queste.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
AMBITO NORMATIVO DI RIFERIMENTO NORME DEL COMITATO ELETTROTECNICO ITALIANO CEI (norma CEI 64.8, in vigore dall’1 marzo 1993 riferita a “impianti tecnici utilizzatori a tensione nominale non superiore a 1000 V c.a.”): • le prescrizioni tendono ad assicurare la sicurezza contro i pericoli e i danni che possono derivare da un impianto elettrico usato con ragionevole attenzione e nei limiti dimensionali previsti (passaggio di corrente pericolosa per il corpo umano, elevate temperature o archi elettrici che possono provocare ustioni o incendi, danni connessi ad allacci o distacchi elettrici); • per prevenire i pericoli suesposti gli impianti devono essere dotati di protezione contro: – contatti diretti e indiretti; – effetti termici, sovracorrenti, correnti di guasto; – sovratensioni e abbassamenti di tensione; • la progettazione dell’impianto deve assicurare la protezione e il corretto funzionamento per l’uso previsto, in particolare il progetto deve prevedere: – una prima fase di analisi (caratteristiche dell’alimentazione natura dei carichi, alimentazione dei servizi di sicurezza o riserva condizioni ambientali); – una seconda fase di scelta (tipo delle conduzioni e sezioni dei conduttori, dispositivi di protezione, di comando di emergenza di sezionamento, modalità di indipendenza dell’impianto accessibilità dei componenti elettrici); – tutti i componenti elettrici devono essere conformi alle prescrizioni di sicurezza delle relative norme CEI, in particolare si dovranno essere dotati di marchio di qualità o certificati secondo le disposizioni vigenti; • gli impianti devono essere realizzati da personale qualificato dotato delle necessarie attrezzature e controllati ai fini della sicurezza e funzionalità prima della loro messa in servizio e a seguito di ogni modifica significativa; – la norma (Parte 7 – Ambienti e applicazioni particolari) detta le prescrizioni a cui devono soddisfare gli impianti elettrici nei seguenti ambienti: – locali contenenti bagni e docce (art.701); – piscine (art.702); – locali contenenti riscaldatori per sauna (art.703); – cantieri di costruzione o demolizione (art.704); – strutture adibite a uso agricolo o zootecnico (art.705); – luoghi conduttori ristretti (art.706); – apparecchiature di elaborazione dati (messa a terra (art.707); – aree di campeggio per caravan e caravan (art.708); – ambienti a maggior rischio di incendio (art.751); – luoghi di pubblico spettacolo e intrattenimento (art.752); – impianti elettrici per lampade a scarica a catodo freddo ad alta tensione (art.753).
DPR 27 aprile 1955 n.547 e smi integrazioni Anche se per lo più superato da più recenti norme CEI fissa i principi e le prescrizioni alla base della sicurezza. Legge 1 marzo 1968 n.186 Sancisce l’obbligo della realizzazione a “regola d’arte” per tutti i materiali, le apparecchiature, i macchinari, le installazioni e gli impianti elettrici e elettronici; definendo come realizzati a “regola d’arte” quelli che rispondono alle norme CEI.
•
• Legge 18 ottobre 1977 n.791 Costituisce l’attuazione della direttiva CEE del 19 dicembre 1973 relativa alle garanzie di sicurezza che deve possedere il materiale elettrico destinato a impianti utilizzatori fino a 1000 V c.a. a eccezione di alcuni materiali per applicazioni particolari; definisce le procedure di accertamento della rispondenza dei materiali alle norme di sicurezza; prevede la “dichiarazione di conformità” rilasciata dal produttore. Legge 5 marzo 1990 n.46 • È finalizzata al conseguimento della sicurezza degli impianti: impone la “regola d’arte” quale criterio da adottarsi nelle fasi di progettazione, esecuzione e verifica degli impianti e la manutenzione quale strumento di controllo del livello di sicurezza nel tempo; • la legge si applica nel caso di installazione, trasformazione ampliamento e manutenzione di impianti (elettrici in genere, riscaldamento e climatizzazione, idrosanitari, gas, di sollevamento, di protezione antincendio) relativi agli edifici adibiti a uso civile; limitatamente agli impianti elettrici si applica inoltre agli immobili destinati ad attività produttive; • il progetto di un impianto elettrico, redatto da professionisti iscritti negli albi professionali, nell’ambito delle rispettive competenze si rende obbligatorio: nel caso di edifici civili – per unità di abitazione superiore a 400 mq (utenze domestiche); – con potenza impegnata superiore a 6 kW (utenze condominiali); – con potenza impegnata superiore a 1,5 kW nel caso di unità immobiliari provviste anche solo parzialmente di ambienti a uso medico con pericolo di esplosione o a maggior rischio di incendio; – con potenza impegnata superiore a 1 kW nel caso di impianti con lampade fluorescenti a catodo freddo con potenza complessiva maggiore di 1200 VA. nel caso di immobili adibiti ad attività produttive commercio, terziario e altri usi – in tutte le utenze alimentate a tensione superiore a 1000 V;
•
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– in tutte le utenze alimentate in BT con superficie superiore a 200 mq; – con potenza impegnata superiore a 1,5 kW nel caso di unità immobiliari provviste anche solo parzialmente di ambienti a uso medico con pericolo di esplosione o a maggior rischio di incendio; il progetto dovrà essere consegnato in Comune contestualmente al progetto edilizio, o presso gli organi competenti al rilascio di licenze di impianto o autorizzazione alla costruzione; il progetto dovrà contenere gli schemi dell’impianto e i disegni planimetrici, nonché una relazione tecnica sulla consistenza e sulla tipologia dell’installazione (della trasformazione o dell’ampliamento), con particolare riguardo a materiali e componenti da utilizzare e alle misure di prevenzione e sicurezza da adottare (in conformità alle norme UNI e CEI); l’installazione, trasformazione, ampliamento e manutenzione degli impianti può essere eseguita da imprese iscritte al registro delle ditte o nell’albo provinciale delle imprese artigiane in possesso del “certificato di riconoscimento” rilasciato secondo competenza dalle Commissioni Provinciali o dalla Camera di Commercio a favore dell’impresa e al responsabile tecnico, quale attestato dei necessari requisiti tecnico-professionali; le opere devono essere eseguite a “regola d’arte” utilizzando materiali e componenti conformi alle norme CEI; la legge prevede che gli impianti preesistenti debbano essere adeguati alla regola d’arte entro il 30 ottobre 1995 per il settore privato e entro il 30 giugno 1998 per il settore pubblico; i soggetti abilitati sono tenuti a rilasciare al committente al termine dei lavori, una dichiarazione che attesti la rispondenza degli impianti alla regola d’arte; l’installatore si assume con tale dichiarazione una responsabilità totale o una corresponsabilità nel caso di progetto eseguito da un professionista; il committente, o proprietario, ha l’obbligo di far redigere i progetti (nel caso siano obbligatori) a professionisti e di affidarne l’esecuzione a soggetti abilitati richiedendone la dichiarazione di conformità. Tutta la documentazione relativa dovrà essere conservata e trasmessa a eventuali nuovi proprietari o utilizzatori; il Sindaco può rilasciare il certificato di abitabilità e di agibilità solo dopo aver acquisito agli atti la dichiarazione di conformità o il certificato di collaudo degli impianti installati a seconda di quanto previsto dalle leggi vigenti. La legge affida al Comune, alle ASL, ai Vigili del Fuoco e all’ISPESL il compito di accertare il rispetto di quanto disposto dalle norme.
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
CRITERI DI PROGETTAZIONE Per potenze inferiori a 50 kVA l’Ente che eroga l’energia elettrica fornisce la stessa in bassa tensione mediante un gruppo di misura. Da questo si diparte una rete principale, che viene definita “primaria” che può essere di tipo dorsale o radiale ed è suddivisa in circuiti sezionabili che alimentano i quadri delle singole utenze. Nel caso di edifici per abitazione per ogni unità abitativa viene installata una colonna montante, che alimenta il quadro di distribuzione. Dal quadro di zona si diparte la distribuzione secondaria che va opportunamente sezionata per motivi di sovraccarico e per evitare che in caso di corto circuito, tutto l’impianto sia fuori uso. Nel caso di civili abitazione è opportuno prevedere almeno due circuiti separati: uno per le utenze di illuminazione e l’altro per le utenze a maggiore assorbimento. La distribuzione principale viene realizzata con cavi installati su apposite canalette; la distribuzio-
C.RCIZIO
ne secondaria con conduttori inseriti in guaine di protezione (di tipo rigido o flessibili) da cui possano essere sfilati, generalmente in traccia nelle murature nel pavimento, in controsoffitto o in apposite canalette esterne; i conduttori a corrente debole (telefonici, di comunicazione e di allarme) devono essere installati in tubi o canalette separate da quelle che contengono cavi a bassa tensione. Le norme CEI stabiliscono il colore delle guaine di protezione (giallo-verde per il conduttore di terra, blu per il neutro e nero, marrone e grigio per la fase). Sulla base del carico totale da alimentare nell’unità abitativa si determina il numero dei circuiti interni necessari; e di conseguenza le protezioni, la sezione dei conduttori, le prese e gli apparecchi utilizzatori che si possono collegare. Gli interruttori automatici consentono una portata che nel caso di presenza di carico continuo si consiglia d ridurre all’80% della corrente nominale.
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. E.8.4 E ATTIVO R SOLA . ICI E.9.1NTI ELETTR IMPIA
E 165
E.9. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE IMPIANTI ELETTRICI
•
IMPIANTI TECNICI
➦ CRITERI DI PROGETTAZIONE In generale, con riferimento alla Tab. E.9.1./1, si possono fornire le seguenti indicazioni: • È opportuno sezionare l’impianto in circuiti separati per diversi sistemi di utilizzazione quali: - illuminazione generale; - illuminazione supplementare e piccoli utilizzatori; - utilizzatori fissi; - utilizzatori non fissi. • Nel caso di circuito per illuminazione generale e supplementare il carico relativo all’illuminazione generale non dovrebbe superare il 50% del carico massimo del circuito. • Nel caso di circuito che alimenta un solo utilizzatore tutti i componenti relativi al circuito devono avere le stesse caratteristiche elettriche. • Nel caso di circuito che alimenta più utilizzatori non possono essere inseriti carichi contemporanei la cui somma sia superiore alle singole potenzialità. • Prevedere circuiti singoli per utilizzatori con corrente nominale superiore a 16 A.
TAB. E.9.1./1 PORTATE CIRCUITI E SEZIONE CONDUTTORI CORRENTE NOMINALE INTERRUT. AUT.
CORRENTE IMPIEGO CIRCUITO
POTENZA MASSIMA 220V
SEZIONE MINIMA DEL CAVO
(A)
(A)
(VA)
mmq
10
8
1760
1,5
16
12,8
2815
2,5
20
16
3520
4
20
16
3520
4
25
20
4400
4
32
25,6
5630
6
40
32
7040
10
50
40
8800
10
CANALIZZAZIONI Le canalizzazioni saranno scelte in funzione della tipologia edilizia: una prima distinzione dipende dal caso che si tratti di edilizia prefabbricata o di edilizia tradizionale. In quest’ultimo caso l’installazione di un impianto elettrico è condizionata in particolare: • dal tipo di tramezzatura e dallo spessore dell’intonaco; • dal tipo di solaio e dalla relativa finitura; • dal tipo di pavimento e dal relativo sottofondo. Nel caso di edilizia prefabbricata la scelta delle soluzioni non può che essere studiata contestualmente al progetto strutturale e architettonico e sarà specifica per la particolare soluzione adottata.
A: di murature isolate termicamente (cavi con o senza guaina in tubi protettivi circolari, cavi con guaina senza tubi protettivi); B: di murature tradizionali o in cemento (cavi con o senza guaina in tubi protettivi circolari o non circolari, cavi con guaina senza tubi protettivi); C: di cavità strutturali (cavi con o senza guaina in tubi protettivi circolari o non circolari, cavi con guaina senza tubi protettivi); D: di stipiti di porte e finestre (cavi senza guaina in tubi protettivi o cavi con guaina posati in stipiti di porte o finestre).
In Fig. E.9.1./1 sono riportati alcuni esempi di installazione all’interno:
In Fig. E.9.1./2 sono riportati alcuni esempi di installazione a vista:
A: cavi senza guaina in tubi protettivi circolari; B: cavi con guaina in tubi protettivi circolari; C: cavi senza guaina in tubi protettivi non circolari; D: cavi con o senza guaina in canali provvisti di elementi di separazione. In Fig. E.9.1./3 sono riportati alcuni esempi di installazione: A: a pavimento con o senza guaina in tubi protettivi non circolari; B: a pavimento con o senza guaina in tubi protettivi circolari; C: cavi senza guaina in tubi protettivi circolari posati entro cunicoli ventilati incassati nel pavimento; D: cavi con guaina interrati con protezione meccanica.
FIG. E.9.1./1 CANALIZZAZIONI ALL’INTERNO DI STRUTTURE A
B
C
C
FIG. E.9.1./2 CANALIZZAZIONI A VISTA A
B
C
D
FIG. E.9.1./3 CANALIZZAZIONI INTERRATE A
E 166
B
C
D
CONTROLLO AMBIENTALE
IMPIANTI TECNICI IMPIANTI ELETTRICI
•
E.9. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TUBI PROTETTIVI I tubi protettivi disponibili sul mercato appartengono a tre principali famiglie: • rigidi in PVC, autoestinguenti (norme CEI 23-8); • flessibili in PVC, autoestinguenti (norme CEI 23-14); • pieghevoli, in materiale termoplastico, non autoestinguenti (norme CEI 23-17). In funzione delle loro proprietà meccaniche sono distinti in tipo “leggero” (L) o “pesante” (M). Per la selezione della protezione dei cavi è opportuno seguire alcune regole generali: • I tubi di materiale plastico installati sotto pavimento o a vista a una altezza inferiore a 2,5 m dal piano di calpestio devono essere del tipo pesante (rigido o flessibile) secondo le norme CEI 23-8 e 23-14 e del tipo medio (grado 3) secondo le norme CEI 23-25. • I tubi da annegare in strutture prefabbricate devono rispondere alle sollecitazioni previste dal processo di produzione; se la struttura è del tipo incombustibile il tubo dovrà essere del tipo autoestinguente. • Il diametro interno dei tubi deve essere pari ad almeno 1,3 volte il diametro del cerchio circoscritto al fascio dei cavi che dovranno essere inseriti, con un minimo di 10 mm. • Il diametro dei condotti circolari deve essere pari ad almeno 1,8 volte il diametro del cerchio circoscritto al fascio dei cavi che dovranno essere inseriti, con un minimo di 15 mm; per i condotti a sezione diversa il rapporto tra la sezione stessa e l’area della sezione retta occupata dai cavi deve essere almeno pari a 2. • I cavi posati in tubi o condotti dovranno essere sfilabili e reinfilabili; quelli inseriti in canali, su passerelle o in vani devono poter essere sempre rimossi o sostituiti. • I cavi interrati devono essere opportunamente protetti per evitare che vengano accidentalmente danneggiati. A tale scopo possono essere utilizzate canalette di cemento o in PVC; qualora siano previste frequenti ispezioni è opportuno che vengano utilizzati sistemi di protezione amovibili. • Nei tubi e condotti non devono essere presenti congiunzioni o morsetti. • Le canalizzazioni devono essere conformi al livello di protezione richiesto (vedi grado di protezione IP degli involucri in Tab. E.9.1./3). I cavi sono contrassegnati da lettere e numeri che ne identificano le caratteristiche dell’involucro. Sono disponibili cavi che presentano caratteristiche diverse a seconda dell’utilizzazione prevista: • di tipo non propagante la fiamma; • di tipo non propagante l’incendio; • con ridotta emissione di gas corrosivi. Le norme tecniche vigenti definiscono, attraverso il valore del grado di protezione (IP), l’idoneità di un materiale, componente o sistema di un impianto elettrico agli agenti esterni (il primo numero si riferisce alla protezione contro corpi solidi, il secondo alla protezione contro l’acqua, la lettera, recentemente introdotta dalla norma CEI 70-1 contro l’accesso a parti pericolose).
MESSA A TERRA Ogni impianto deve prevedere il circuito di messa a terra opportunamente dimensionato in funzione dei carichi previsti e almeno un nodo collettore a cui vengono collegati i vari conduttori di protezione; questo deve essere dotato di un dispositivo di apertura che permetta l’accesso per le misure di resistenza di terra del dispersore (vedi Fig. E.9.1./4).
TAB E.9.1./2 CODICE DI CLASSIFICA DEI TUBI PROTETTIVI NORME CEI 23-25 codice prima cifra
tipo di tubo
1
leggero
3
NORME PRECEDENTI (IN VIGORE) forza forza compres compres (N) (N) 320
medio
750
4
pesante
1250
5
molto pesante
4000
impiego
320
23-17 F/NA
annegato in calcestruzzo
350
23-8
R/L
incassato a parete
350
23-14
F/L
incassato a parete
350
23-8
750
23-8
R/p
pavimento in vista
750
23-14
F/P
pavimento in vista
750
23-8
R
interrato traffico leggero
1000
23-8
R
interrato traffico pesante
2200
23-8
R
IP 55/CEI 64-2
R
protetto da magrone
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TAB E.9.1./3 GRADO DI PROTEZIONE IP DEGLI INVOLUCRI PROTEZIONE DA SOLIDI 1a cifra
PROTEZIONE ALL’ACQUA
PROTEZIONE DALL’ACCESSO
descrizione
2a cifra
descrizione
lettera
0
non protetto
0
non protetto
A
dall’accesso con il dorso della mano
1
da solidi > 50 mm
1
da gocce d’acqua
B
dall’accesso con un dito
2
da solidi > 12 mm
2
da gocce d’acqua (incl. 15°)
C
dall’accesso con un attrezzo
3
da solidi > 2,5 mm
3
da gocce d’acqua (incl. 30°)
D
dall’accesso con un filo
4
da solidi > 1 mm
4
da spruzzi d’acqua
5
da polvere
5
da getti d’acqua
6
totalmente da povere
6
da ondate o getti potenti
7
dagli effetti di immersione
8
da immersione permanente
descrizione
FIG. E.9.1./5 MESSA A TERRA DEI FERRI DI PILASTRI 2
1 MORSETTO
condotto
R = rigido L = leggero NA = non autoestinguente F = flessibile P = pesante
FIG. E.9.1./4 DISPERSIONE DI TERRA CON POZZETTO ISPEZIONABILE POZZETTO
CEI tubo
B.STAZIONI DILEGIZLII
1
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
CAVO DI RAME 3 1
1 4
5 DISPERSORE
1 - TONDINO DELL'ARMATURA 2 - PIATTINA IN ACCIAIO 3 - STAFFE DI SERRAGGIO 4 - CAPOCORDA BULLONATO 5 - CORDA DI RAME NUDO 6 - MORSETTO A PETTINE
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
6 . ICI E.9.1NTI ELETTR IMPIA
E 167
E.9. 1.
CONTROLLO AMBIENTALE IMPIANTI ELETTRICI
•
IMPIANTI TECNICI
➦ CRITERI DI PROGETTAZIONE FIG. E.9.1./6 SCHEMA INDICATIVO DELLE QUOTE DI INSTALLAZIONE
INSTALLAZIONE DELLE APPARECCHIATURE Per gli apparecchi di comando (interruttori, deviatori, ...) le prese, e tutti gli altri componenti di un impianto di cui è previsto l’accesso diretto da parte dell’utente sono consigliate quote di installazione che tengono conto di fattori funzionali e di criteri di sicurezza.In particolare:
PRESE A SPINA la distanza dal piano di calpestio deve essere: • • • •
cm 225
cm 210
17,5 cm se a parete con montaggio incassato o sporgente; 7 cm se in canalina o zoccolo; 4 cm se da torretta (impianto a pavimento); 100-120 cm nelle cucine e nei locali da lavoro;
le prese per motivi di sicurezza non devono essere poste al di sotto delle prese telefoniche.
COMANDI LUCE • l’altezza è in genere a livello maniglie porte; • nelle camere da letto il comando del punto luce deviato viene posto a 70-80 cm ai lati del letto; • nei bagni l’altezza consigliata è 110-120 cm nella zona specchi.
cm 170
In Fig. E.9.1./6 è riportato uno schema indicativo delle quote di installazione consigliate per le diverse tipologie di comandi e di ambienti.
PROTEZIONE DALLE SCARICHE ATMOSFERICHE La necessità di realizzare un impianto di protezione dalle scariche atmosferiche è legato alla valutazione di questo tipo di evento (frequenza) e dei rischi connessi (norma CEI 81.1). Trova impiego a tal fine un sistema di protezione a “gabbia di Faraday”. Questo è costituito da maglie di captazione poste sulla copertura dell’edificio e sulla facciata (realizzate in genere con nastro di acciaio zincato a caldo o di rame), sostenute da appositi supporti e da collegamenti verticali che vengono collegati a un collettore interrato che realizza un anello di dispersione perimetrale all’edificio.
cm 140
I collegamenti verticali all’anello di dispersione di terra possono essere costituiti dai ferri di armatura dei pilastri (nel caso di struttura in c.a.),o dei pilastri stessi (se la struttura è in travi di acciaio) se opportunamente saldati tra loro al fine di garantire la continuità elettrica.
DIAMETRO TUBAZIONE
MASSIMA VELOCITÀ DELL’ACQUA
1/2”
0,7 m/s
3/4”
0,9 m/s
1”
1,2 m/s
1e1/2”
1,7 m/s
2”
2 m/s
FIG. E.9.1./7 GABBIA DI FARADAY
cm 120
cm 100
cm
80
cm
70
cm
35
cm 25
cm 17,5
E 168
CONTROLLO AMBIENTALE
•
IMPIANTI TECNICI IMPIANTI IDRICI
A.ZIONI
GENERALITÀ Le acque a servizio di un edificio possono provenire dall’acquedotto o da impianti privati di captazione. In ogni caso è necessario interporre, tra la rete di adduzione all’edificio e la rete di distribuzione, un sistema per la misurazione delle quantità d’acqua fornite. Negli edifici gli impianti idrici provvedono • all’adduzione e alla distribuzione di acqua calda e fredda per i servizi; • allo scarico delle acque usate; • allo smaltimento delle acque meteoriche
Se l’acqua non è resa disponibile alle utenze in modo da soddisfare le esigenze di consumo – a causa di pressione insufficiente o discontinuità di erogazione – deve essere previsto un impianto di pompaggio, dotato eventualmente di un sistema di accumulo dell’acqua. Riguardo alle caratteristiche delle acque a servizio di un edificio (sia potabili che non potabili) queste devono rispondere ai requisiti di legge (vedi Caratteristiche e requisiti delle acque e trattamento delle acque). Per effettuare un primo dimensionamento delle reti idriche a servizio di un edificio si può ricorre a metodi semplificati di calcolo (vedi Calcolo delle reti di distribuzione; reti di scarico e ventilazione; smaltimento delle acque meteoriche).
ACQUA “POTABILE” • il decreto si applica alle acque, qualunque sia la loro origine, destinate al consumo umano a eccezione delle acque minerali riconosciute tali da specifica normativa; • per acque destinate al consumo umano si intendono le acque, qualunque sia la loro origine, fornite direttamente al consumo umano, o utilizzate nella manipolazione di prodotti o sostanze destinate al consumo umano; • le acque destinate al consumo umano devono rispondere a determinati requisiti corrispondenti alle norme UNI 9182 (Allegato I al DPR); • vengono inoltre riportati (Allegati II e III) i modelli e le frequenze minime delle analisi, nonché i metodi di analisi prescritti; • le acque per essere considerate idonee al consumo umano non devono superare, i valori limite fissati per i parametri considerati, i valori indicati in tabella sono da considerarsi valori, ottimali o comunque soddisfacenti, verso cui tendere;
• le competenti autorità possono prevedere deroghe a tali limiti (esclusi i parametri tossici e microbiologici) in caso di situazioni particolari connesse alla natura o alla struttura della zona geologica di alimentazione delle acque, e di situazioni connesse a condizioni meteorologiche eccezionali o di calamità. ACQUA “NON POTABILE” O “PULITA” Il decreto prevede che questo tipo di acqua, pur non avendo le caratteristiche fisiche e batteriologiche dell’acqua potabile, non deve contenere alcuna sostanza inquinante o pericolosa per chi ne venga a contatto. L’uso di questo tipo di acqua è limitato: • • • • •
all’alimentazione di vasi e orinatoi, agli impianti di innaffiamento, alle reti antincendio, ai circuiti idraulici degli impianti di riscaldamento, a tutti gli altri usi con esclusione di quelli destinati a persone.
TRATTAMENTO DELLE ACQUE Al fine di assicurare il rispetto della normativa di legge (si veda in particolare il DPR 236/1988), o comunque per migliorare la qualità dell’acqua destinata al consumo delle persone può essere necessario intervenire sulla durezza, e sui caratteri organolettici di acque – già fornite con caratteristiche di potabilità – attraverso sistemi e impianti di trattamento.
DUREZZA DELL’ACQUA La durezza misura la presenza di sali disciolti nell’acqua; il contenuto totale di sali minerali contenuti (residuo fisso) indica la maggiore o minore “leggerezza” dell’acqua. Una normale acqua potabile ha un residuo fisso contenuto tra 300 e 1000 mg/lt (milligrammi per litro). Oltre i 1500 mg/lt l’acqua non viene più considerata potabile. La durezza di un’acqua è responsabile del fenomeno delle incrostazioni, in particolare di calcio, provocate dal riscaldamento dell’acqua che fa precipitare il bicarbonato, disciolto nell’acqua, in carbonato.
• Sistemi a osmosi inversa: riducono la salinità di un’acqua sulla base del principio chimico-fisico di permeazione attraverso una membrana semipermeabile Tali apparecchiature sono soggette al rispetto della normativa vigente che prevede le seguenti disposizioni: – il funzionamento deve essere automatico; – deve essere garantito il non ritorno dell’acqua anche sullo scarico; – tutti i componenti a contatto con l’acqua devono rispondere alle prescrizioni previste per l’utilizzazione in campo alimentare; – in caso di presenza di un serbatoio di raccolta a valle del trattamento deve essere previsto un impianto di disinfezione che utilizzi cloro o lampade UV (in caso di modalità diverse le stesse devono essere approvate sulla base del DM della Sanità n.443 del 21 dicembre 1990; – per il pretrattamento dell’acqua è consentito l’uso di filtri a carboni attivi e microfiltri che rispondano alle prescrizioni previste per l’utilizzazione in campo alimentare o nel trattamento delle acque potabili.
Per eliminare, o ridurre, gli effetti di una elevata durezza dell’acqua e per migliorarne le caratteristiche organolettiche sono disponibili sistemi di trattamento basati su processi fisici o chimico-fisici. • Filtri meccanici: svolgono una funzione di barriera nei confronti delle particelle sospese nell’acqua; sono ammessi quelli realizzati in materiali sintetici o metallici in grado di trattenere particelle sospese di diametro non inferiore a 50 micron; devono essere facilmente lavabili.
TAB. E.9.2./1 VALORI LIMITE DI CAMPO CONSENTITI NEL CASO DI DISPOSITIVI MAGNETICI ED ELETTROMAGNETICI
• Filtri a struttura composita: sono di questo tipo i filtri a carboni attivi, utilizzabili per la filtrazione di acque potabili solo se integrati con dispositivi atti a eliminare i rischi di proliferazione batterica e di rilascio incontrollato di microinquinanti, questi filtri sono soggetti ad approvazione da parte del Ministero della Sanità • Addolcitori a scambio ionico: sono dispositivi che utilizzano particolari resine o altri scambiatori per sostituire gli ioni che determinano la durezza dell’acqua con ioni sodio; tali sistemi devono essere dotati di dispositivi automatici di rigenerazione degli scambiatori (del tipo utilizzato nel campo alimentare) e di disinfezione (che utilizzano cloro ovvero di tipo approvato dal Ministero della Sanità). Tali sistemi devono essere inoltre dotati di miscelatore dell’acqua trattata con quella originaria che mantenga i valori di durezza e la concentrazione degli ioni sodio nei limiti prescritti.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
• Sistemi a campo magnetico o elettromagnetico: questi sistemi inibiscono la formazione di incrostazioni mediante applicazione all’acqua di campi magnetici statici o di campi elettromagnetici. In attesa di recepire una normativa specifica riguardo all’esposizione a detti campi è stabilito che a distanza di 5 cm da dette apparecchiature non si debbano superare i valori di campo elettrico riportati in Tab. E.9.2./1: la rispondenza a tali norme dovrà essere adeguatamente certificata.
IMPIANTI E SISTEMI DI TRATTAMENTO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
D.GETTAZIONE
CARATTERISTICHE E REQUISITI DELLE ACQUE Le caratteristiche delle acque a servizio di un edificio residenziale sono classificate in “potabili” o “non potabili” e regolamentate con il DPR 24 maggio 1988 n.236 (e successive modificazioni e integrazioni) e con il DM della Sanità del 26 marzo 1991.
E.9. 2.
TIPO DI CAMPO APPLICATO
VALORI LIMITE CONSENTITI (a 5 cm dal dispositivo)
campo magnetico statico (frequenze fino a 50 Hz)
B = 1µ T (10 G, 800 A/m)
campo elettrico statico (frequenze fino a 50 Hz)
E = 5 kV/m
campo elettromagnetico (frequenze superiori a 50 Hz)
E = 300/Vm B = 2µ T (20 G, 1.6 A/m)
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. ICI E.9.1NTI ELETTR IMPIA
. E.9.2NTI IDRICI IMPIA
E 169
E.9. 2.
CONTROLLO AMBIENTALE IMPIANTI IDRICI
•
IMPIANTI TECNICI
RETI DI ADDUZIONE E DISTRIBUZIONE MATERIALI DELLE TUBAZIONI Le tubazioni utilizzate sono in acciaio zincato, in PVC (cloruro di polivinile) o in rame. L’uso contemporaneo di ferro zincato e di rame può determinare fenomeni elettrochimici indesiderati. Non sono ammesse tubazioni in piombo per le sue caratteristiche di
tossicità. Sui tubi zincati non sono ammesse saldature. Le tubazioni di adduzione principale ai fabbricati sono generalmente in ghisa o in acciaio con rivestimento esterno catramato per consentirne l’interramento.
TAB. E.9.2./3 CONSUMI DI ACQUA PER OGNI USO E PERSONA AL GIORNO
TAB. E.9.2./2 PORTATE MINIME PREVISTE PER ACQUA FREDDA E CALDA NEGLI EDIFICI RESIDENZIALI
CONSUMO MEDIO DI ACQUA IN FUNZIONE DEGLI APPARECCHI SANITARI PER OGNI USO
CONSUMO DI ACQUA PER PERSONA AL GIORNO
lavabo
litri 10
lavello
litri 10-15
bidè
litri 10
lavabiancheria
litri 10-20
vaso
litri 15
lavastoviglie
litri 20-40
doccia
litri 60
vasca
litri 160-200
TAB. E.9.2./4 VALORI MASSIMI DI VELOCITÀ DELL’ACQUA NELLE TUBAZIONI DIAMETRO TUBAZIONE
MASSIMA VELOCITÀ DELL’ACQUA
APPARECCHI SANITARI O PRESE IDRICHE
ACQUA FREDDA (l/s)
ACQUA CALDA (l/s)
idranti (diam. 1/2”; 3/4”; 1”)
0.4; 0.6; 0.8
–
idranti (diam. 45 mm; 70 mm)
3; 8
–
vaso con cassetta
0..1
–
vaso con passo rapido (diam. æ”)
1.5
–
vaso con flussometro (diam. æ”)
1.5
–
lavabo
0.1
0.1
bidè
0.1
0.1
vasca da bagno
0.2
0.1
lavello di cucina
0.2
0.1
beverino o fontanella
0.05
–
0.15
0.15
1/2”
0,7 m/s
doccia
3/4”
0,9 m/s
orinatoio
0.1
–
1,2 m/s
vuotatoio
0.15
–
1e1/2”
1,7 m/s
lavatrice
0.1
–
2”
2 m/s
lavastoviglie
0.1
–
1”
CALCOLO DELLE RETI DI DISTRIBUZIONE Per determinare i diametri da assegnare alle reti di distribuzione di acqua calda e fredda si propone un metodo di tipo semplificato che si basa sul calcolo preliminare delle portate contemporanee d’acqua. Per questo primo passo si può utilizzare il diagramma, riportato in Fig. E.9.2./1, estratto da una procedura proposta dall’ASSISTAL con le “Norme Idrosanitarie Italiane”. Le curve (1) e (2) del diagramma consentono di determinare le percentuali di contemporaneità di esercizio (r) in funzione del numero (N) degli apparecchi serviti dall’impianto. La curva (1) si riferisce a edifici per abitazione con esigue punte di contemporaneità, la curva (2) a edifici per comunità aventi elevati indici di contemporaneità di utilizzo. Riportando i valori delle portate d’acqua contemporanee così ricavati sul diagramma di Fig. E 9.2./2 è possibile quindi determinare i diametri da assegnare alle reti di acqua calda e fredda. A tal fine per il dimensionamento della rete dell’acqua fredda si utilizza la curva (2) o la curva (1) a seconda che siano, o no, disponibili pressioni elevate. Per la rete di acqua calda si utilizza la curva (2). Per le diramazioni interne dei bagni e delle cucine si impiegano in genere tubazioni da “ a eccezione dei passi rapidi e dei flussometri che si collegano direttamente alle colonne con tubazioni da 3/4”.
FIG. E.9.2./2 DIAGRAMMA PER IL CALCOLO RAPIDO DEL DIAMETRO DEI TUBI 100
50
FIG. E.9.2./1 DIAGRAMMA PER IL CALCOLO DELLE PORTATE CONTEMPORANEE τ PERCENTUALE DI CONTEMPORANEITÀ [ % ]
4" 1/2
3" 1/2
CU
φ DIAMETRI IN POLLICI
2" 1/2
CU
RV RV
A1 A2
1/4
1" 3/4 1/2 3/8
0
0,5
1
5
10
20
Q PORTATE IN l/s
E 170
CU
RV
CU
A2
RV
A
1
10
5
0 0
5
10
50
100
500
N [numero degli apparecchi]
1000
CONTROLLO AMBIENTALE
•
IMPIANTI TECNICI IMPIANTI IDRICI
E.9. 2. A.ZIONI
RETI DI SCARICO La rete di scarico e ventilazione, realizzata prevalentemente in ghisa e in PVC, è costituita dai seguenti principali elementi:
• collettore orizzontale di scarico: raccoglie le acque di scarico della colonna e le convoglia all’innesto con la rete fognante;
• colonna di esalazione primaria: è la tubazione che collega il terminale superiore della colonna di scarico con l’atmosfera (oltre la copertura dell’edificio); • colonna di ventilazione: è la tubazione verticale di areazione, (anch’essa portata oltre la copertura dell’edificio) collegata alla base con la colonna di scarico e, a ogni piano, con le diramazioni di ventilazione; • colonna di ventilazione secondaria: collega gli scarichi dei singoli apparecchi sanitari con la colonna di ventilazione (può essere sostituita da una diramazione “a gancio” tra le “braghe” di scarico dei servizi con la colonna di ventilazione).
• diramazione di scarico: sono le tubazioni che connettono i singoli apparecchi alle colonne di scarico:
La colonna di scarico e quella di ventilazione trovano corretta installazione nella stessa nicchia. In Fig. E.9.2./3 è schematizzato l’impianto di scarico di un bagno.
• colonna di scarico: raccoglie le acque di scarico delle diramazioni dei vari servizi e le convoglia al collettore orizzontale;
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU FIG. E.9.2./3 SCHEMA SISTEMA DI SCARICO DI UN BAGNO
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
VASO
LAVABO
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
φ35
VASCA φ30
G.ANISTICA
φ30
URB
COLONNA DI
VENTILAZIONE φ60
BIDET
φ30
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
φ30
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
BRAGA φ90 - 100
φ35
φ35
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE
SIFONE E.4. ICA T ACUS
COLONNA DI SCARICO φ100
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA
SMALTIMENTO DELLE ACQUE METEORICHE Le acque meteoriche, raccolte attraverso una rete indipendente da quella delle acque usate, devono essere convogliate in un “sistema ricettore” (fognatura pubblica, terreno, corso d’acqua, ...) previa approvazione da parte dell’autorità competente. Lo smaltimento delle acque meteoriche si avvale di un sistema di raccolta che dipende dal tipo di copertura dell’edificio – canali di gronda e converse nel caso di tetti a falde, bocchettoni nel caso di coperture piane, caditoie nel caso di superfici piane come strade e cortili – tale sistema trasferisce le acque al “sistema ricettore” attraverso tubazioni di raccordo: pluviali (verticali) e collettori (orizzontali). La determinazione delle portate di acqua meteorica da smaltire implica calcoli complessi che devono necessariamente tenere conto di molti fattori quali: • le caratteristiche climatologiche e geomorfologiche del sito;
• le caratteristiche urbanistiche e le volumetrie in gioco; • le caratteristiche tecniche e geometriche della rete di raccolta e smaltimento. Il dimensionamento di un canale a servizio di un bacino di raccolta è funzione del volume teorico di acqua che detto bacino può raccogliere nell’unità di tempo; la portata è quindi data dal prodotto tra la superficie del bacino e l’altezza della pioggia moltiplicato per un fattore di riduzione che tiene conto della diversa permeabilità delle superfici del bacino. L’altezza della pioggia sarà ricavata sulla base dei dati raccolti dalle stazioni meteorologiche e pubblicati dall’ISTAT (Annuario statistico meteorologico) avendo cura di scegliere valori che hanno la maggiore probabilità di verificarsi in un periodo non inferiore a 10 anni. Per il calcolo dei diametri interni delle tubazioni di raccordo
(pluviali e collettori) si fa riferimento alle norme UNI 9184. I materiali utilizzati per i sistemi di raccolta e raccordo sono: • per le gronde: acciaio zincato, PVC, rame, acciaio inox; • per le tubazioni verticali: ghisa, PVC, polietilene ad alta densità, lamiera zincata, rame, acciaio inox e acciaio smaltato per tubazioni interne; • per i collettori orizzontali: ghisa, PVC, polietilene ad alta densità, cemento, fibrocemento, grès. In relazione a tali materiali si farà riferimento alle seguenti norme UNI: • tubi in ghisa: UNI 7385, UNI ISO 6594; • tubi in PVC (policloruro di vinile): UNI 7443, UNI 7447; • tubi in polietilene ad alta densità: UNI 8451, UNI 7613; • tubi in grès: UNI 9180/1,2,3; • tubi in acciaio inox: UNI 6901, UNI 8317; • tubi in fibrocemento: UNI 5341/FA86
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. E.9.2NTI IDRICI IMPIA
E 171
E.9. 3.
CONTROLLO AMBIENTALE IMPIANTI ANTINCENDIO
•
IMPIANTI TECNICI
CLASSI DI INCENDIO E USO DEGLI ESTINTORI Le classi di incendio sono così definite dalla norma UNI EN 2: A – Fuochi con materiali solidi: (generalmente di natura organica, la cui combustione avviene con formazione di braci, come legno, carta, cartoni, gomma, tessuti, ...); B – Fuochi di liquidi e solidi liquefattibili: (alcoli, vernici, solventi, oli minerali, benzina, petrolio, ...); C – Fuochi di gas: (idrogeno, metano, propano, etilene, propilene, ...); D – Fuochi di metalli: (sostanze chimiche spontaneamente combustibili in presenza di aria reattiva, di acqua, di idrogeno come nitrati, nitriti, clorati, perclorati perossidi, magnesio, potassio, ...).
ESTINTORI La presenza di estintori nei luoghi a rischio è prevista per ridurre al minimo il tempo di intervento. Gli estintori sono classificati in base al tipo di estinguente usato: • idrici (di tipo pressurizzato o con bomboletta di anidride carbonica che consente di pressurizzare l’apparecchio all’atto dell’uso); • a schiuma (di tipo pressurizzato, l’erogazione viene effettuata con tubo flessibile e lancia o con bomboletta di anidride carbonica che consente di pressurizzare l’apparecchio all’atto dell’uso) l’uso del tipo di schiumogeno è in funzione della natura dell’incendio; • a povere (di tipo pressurizzato con aria o azoto l’erogazione viene effettuata con tubo flessibile e ugello erogatore o con bomboletta di anidride carbonica
che consente di pressurizzare l’apparecchio all’atto dell’uso, in cui l’erogazione viene effettuata con tubo flessibile e pistola di intercettazione) l’uso del tipo di schiumogeno è in funzione della classe di incendio; • ad anidride carbonica (costituiti da una bombola di anidride carbonica compressa e liquefatta, l’erogazione avviene, attraverso una valvola con comando a pulsante, con tubo flessibile e cono erogatore); • alogenati (di tipo pressurizzato con aria o azoto, l’erogazione viene effettuata con tubo flessibile e ugello erogatore) sostanze estinguente utilizzate sono il BC e il Fluobrene; • a doppia sostanza estinguente (sono in genere carrellabili e consentono di erogare in modo contemporaneo e indipendente sia polvere che schiuma).
CRITERI DI INSTALLAZIONE DEGLI ESTINTORI All’esterno della zona protetta: • quando la zona non è destinata a ospitare persone (archivio, deposito, cabina elettrica, centrale termica, ...) • quando esiste un minimo rischio per le persone o le persone sono presenti in modo saltuario (uffici, sale di attesa, spogliatoi, ...).
COLLOCAZIONE DEGLI ESTINTORI • in prossimità degli accessi; • nei punti di maggior pericolo; • lungo i corridoi di accesso; • in prossimità di apparecchiature a rischio.
TAB E.9.3./1 TIPO DI ESTINTORE PER CLASSE DI INCENDIO
All’interno della zona protetta: • quando nella zona si svolgono attività che prevedono rischi, • quando sono presenti in permanenza persone.
All’interno e all’esterno della zona protetta: • quando la zona da proteggere è estesa e si ha un’elevata concentrazione di persone e materiali • quando nella zona si eseguono lavorazioni pericolose • quando le apparecchiature contenute nella zona sono di elevato valore.
SISTEMAZIONE DEGLI ESTINTORI • in posizione ben visibile; • di facile accesso; • protetta da urti; • non esposta al gelo.
Estintori a polvere CLASSE
PRINCIPIO DI ESTINZIONE ABC
BC
D
CO2
schiuma
idrici
Alogenati
A
raffreddamento da acqua o inibizione della combustione
SI *
NO
NO
NO
SI
SI *
SI
B
inibizione fiamme o tappeto superficiale e raffreddamento
SI *
SI *
NO
SI
SI *
NO
SI
C
inibizione delle fiamme
SI
SI
NO
SI
NO
NO
SI
D
inclusione di ossigeno e raffreddamento
NO
NO
SI *
NO
NO
NO
NO
Rischi elettrici
inibizione delle fiamme
SI
SI
NO
SI *
NO
NO
SI *
* indica la soluzione ottimale
IMPIANTI ANTINCENDIO L’impianto antincendio, nel caso di edificio per abitazione, è richiesto quando l’edificio supera i 24 metri di altezza. L’impianto è costituito schematicamente da: • rete di adduzione idrica in ferro zincato; • bocche d’incendio in cassetta di contenimento con idrante incorporato e relativo corredo (manichette antincendio flessibili e lance idriche); • gruppi di attacco per gli automezzi dei Vigili del Fuoco. La rete idrica di adduzione, costituita da un sistema di tubazioni in genere interrate, fornisce l’acqua a ogni parte dell’edificio da proteggere alimentando le varie utenze antincendio (idranti, impianti a erogazione d’acqua, impianti a schiuma, ...). In Fig. E.9.3./1 è riportato lo schema di impianto antincendio per un edificio con due scale e un solo ingresso al piano terra. La corretta progettazione deve garantire le seguenti caratteristiche: • indipendenza da ogni altra rete di acqua; • dotazione di saracinesche di intercettazione che con-
E 172
sentano il sezionamento della rete in occasione di interventi (di manutenzione modifica, ampliamento) sulla rete stessa;
• la bocca d’incendio va installata in una custodia ben visibile con sportello in vetro trasparente, aventi le dimensioni minime di 55 cm per 35 cm;
• alimentazione continua in pressione della rete ottenibile mediante un serbatoio sopraelevato o mediante pompe ad azionamento automatico;
• ogni custodia deve contenere almeno 15 m di manichetta e relativa lancia, la sua lunghezza deve comunque, essere tale da raggiungere con la lancia ogni punto degli appartamenti del piano;
• dotazione di un serbatoio di acqua di capacità adeguata alla dimensione della rete; • presenza di almeno due pompe per mandata acqua azionate da motori a diversa alimentazione (motore elettrico, motore a combustione interna); • struttura della rete ad anello per consentire l’alimentazione degli idranti da più provenienze e contenere le perdite di carico. La rete interna a un edificio per l’alimentazione degli idranti è soggetta al rispetto delle seguenti principali prescrizioni minime: • in ogni scala dell’edificio, in corrispondenza di ogni piano va installata una bocca antincendio da UNI 45; • la bocca d’incendio va derivata con una tubazione di 1” e 1/2 da una tubazione di almeno 50 mm di diametro;
• l’impianto idrico di adduzione deve essere realizzato in ferro zincato protetto contro il gelo, distinto e indipendente dai servizi sanitari; • l’impianto idrico di adduzione deve essere costantemente sotto pressione; • l’impianto idrico di adduzione deve essere previsto con attacco per il collegamento alle autopompe dei Vigili del Fuoco, da installarsi nell’atrio di ingresso a piano terreno in posizione ben visibile e comoda per il collegamento della tubazione dell’autopompa (ogni attacco non può servire più di due scale); • la portata minima d’acqua deve essere tale da garantire alla bocca d’incendio più elevata di ogni scala una portata di almeno 120 l al minuto a una pressione di 2 atmosfere;
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI TECNICI IMPIANTI ANTINCENDIO
E.9. 3. A.ZIONI
TAB. E.9.3./2 CATEGORIE DI IMPIANTO
PRIMA CATEGORIA
impianti composti da bocche incendio UNI 70 o maggiori per uso Vigili del Fuoco e bocche incendio UNI 45.
SECONDA CATEGORIA
impianti composti da bocche incendio UNI 45 o inferiori.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. E.9.3./3 CRITERI DI PROGETTO IN RELAZIONE ALLA CLASSE DI RISCHIO
• i locali adibiti a posteggio auto, indipendentemente dal numero di piani, devono essere dotati di bocche di incendio UNI 45, disposte in modo che ogni lancia possa coprire un raggio minimo di 15 m (se l’edificio non dispone di impianto antincendio, in quanto non supera i 24 m di altezza, tali bocche possono essere collegate alla rete idrica.
PORTATA (L/MIN)
CLASSE DI RISCHIO
DESCRIZIONE
RL Rischio Lieve
edifici di uso civile, edifici pubblici con basso carico di incendio (centri sportivi, scuole, alberghi, ...)
impianti di 2° categoria: devono garantire il funzionamento contemporaneo di 2 lance UNI 45 idranti interni all’edificio
300
RN Rischio Normale
edifici commerciali e industriali depositi di materiali di ordinaria combustibilità magazzini con altezza di impilamento fino a 3,5 metri.
impianti di 1° categoria: devono garantire il funzionamento: contemporaneo di 4 lance UNI 45 (idranti interni all’edificio); non contemporaneo di 4 lance UNI 70 (idranti esterni all’edificio).
600 (int) 1800 (est)
RG Rischio Grave
edifici dove si producono, confezionano, conservano materiali a elevata combustibilità o dove la velocità di propagazione del fuoco può essere elevata, magazzini con altezza di impilamento superiore a 3,5 metri.
impianti di 1¡ categoria: devono garantire il funzionamento: contemporaneo di 4 lance UNI 45 (idranti interni all’edificio); contemporaneo di 6 lance UNI 70 (idranti esterni all’edificio) senza contemporaneità con gli idranti interni.
600 (int) 2700 (est)
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
IMPIANTI ANTINCENDIO AUTOMATICI Nel caso di edifici industriali, magazzini, depositi, autorimesse, officine, nonché di cinema, teatri e altri luoghi a elevato affollamento vengono installati impianti automatici di spegnimento (secondo le Norme del Concordato Italiano Incendio e alle richieste del locale Comando dei Vigili del Fuoco). Tali impianti possono essere classificati in due tipologie principali: impianti automatici a pioggia (“sprinkler”) e impianti ad acqua frazionata (di cui il tipo più diffuso – a parte alcune applicazioni speciali – è quello “a diluvio”).
In caso di incendio il fusibile determina la fuoriuscita diretta dell’acqua (nel caso di impianto “umido”) o dell’aria dell’acqua (nel caso di impianto “a secco”), che si esaurisce rapidamente e determina, di conseguenza, la fuoriuscita dell’acqua.
IMPIANTO SPRINKLER L’impianto sprinkler è caratterizzato da ugelli terminali di erogazione (“sprinkler”) muniti di fusibile tarato per una temperatura limite (circa 70 °C). L’impianto può essere del tipo “a umido” (Fig. E.6.3./2-A), cioè con tubazioni di adduzione contenenti acqua tenuta costantemente sotto pressione o del tipo “a secco”, quando, per evitare fenomeni di gelo, le tubazioni contengono aria a pressione (Fig. E.6.3./2-B).
IMPIANTO “A DILUVIO” L’impianto “a diluvio” (a protezione di locali di classe Rischi Gravi) è costituito da una rete normalmente vuota con ugelli sempre aperti. Un sistema dotato di sensori a rilevazione di fumo o di temperatura comanda una valvola motorizzata che, aprendosi, determina la fuoriuscita dell’acqua dagli ugelli (Fig. E.9.3./2-D). Una variante a questo sistema (Fig. E.9.3./2-C) prevede ugelli normalmente chiusi e aria nel circuito: la fuoriuscita dell’acqua anche a valvola aperta, avviene solo in corrispondenza degli ugelli aperti da sensibili sensori locali di fumo o temperatura (sistema utilizzato quando un allagamento accidentale potrebbe recare gravi danni). In Fig. E.9.3./2-E-F sono schematizzati sistemi di distribuzione con terminali a parete e a soffitto.
FIG. E.9.3./1 SCHEMA RETE ANTINCENDIO PER EDIFICIO
FIG. E.9.3./2 SCHEMI DI IMPIANTI AUTOMATICI
IDRANTE UNI 45
URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE
VIII¡ PIANO 2"
G.ANISTICA
2"
VII¡ PIANO
E.4. ICA T ACUS
VI¡ PIANO
A
B
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA
IV¡ PIANO
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
m 72 = 1H
V¡ PIANO
III¡ PIANO
C
D
II¡ PIANO
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
I¡ PIANO P.T.(ATRIO) 2 1/2
A A ATTACCO AUTOPOMPA 2 1/2
2"
E
F
IO . CEND E.9.3NTI ANTIN IA P IM
E 173
E.9. 4.
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI TECNICI TRATTAMENTO DELLE ACQUE REFLUE GENERALITÀ Si fa qui riferimento ai processi di trattamento delle acque di rifiuto di origine domestica di cui non è prevista l’immissione nella rete pubblica fognante: il paragrafo “I Riferimenti di legge” riporta le principali indicazioni, tecniche e normative previste dalla legislazione vigente; nel paragrafo “Tecnologie e sistemi per il trattamento dei liquami” vengono trattate alcune delle soluzioni tecniche più diffuse e attuali.
RIFERIMENTI DI LEGGE Vengono di seguito riportati i principali riferimenti legislativi a carattere nazionale rappresentati dal DLgs 11 maggio 1999 n.152. Data l’ampia delega in materia a livello locale prima di procedere allo studio e alla progettazione di un sistema di depurazione è sempre necessario verificare procedure, normativa e regolamenti operanti in sede locale interpellando le autorità preposte (Uffici Regionali, Provinciali, Comunali).
NOTE DELLA TAB. E.9.4./1 (*) I limiti per lo scarico in rete fognaria sono obbligatori in assenza di limiti stabiliti dall’autorità competente ai sensi dell’art.33, c.1 del presente decreto o in mancanza di un impianto finale di trattamento in grado di rispettare i limiti di emissione dello scarico/inalo. Limiti diversi devono essere resi conformi a quanto indicato alla nota 2 della tabella 5 relativa a sostanze pericolose. 1. Per i corsi d’acqua la variazione massima tra temperature medie di qualsiasi sezione del corso d’acqua a monte e a valle del punto di immissione non deve superare i 3 °C. Su almeno metà di qualsiasi sezione a valle tale variazione non deve superare 7 °C. Per i laghi la temperatura dello scarico non deve superare i 30 °C e l’incremento di temperatura del corpo recipiente non deve in nessun caso superare i 3 °C oltre 50 m di distanza dal punto di immissione. Per i canali artificiali, il massimo valore medio della temperatura dell’acqua di qualsiasi sezione non deve superare i 35 °C, la condizione suddetta è subordinata all’assenso del soggetto che gestisce il canale. Per il mare e per le zone di foce di corsi d’acqua non significativi, la temperatura dello scarico non deve superare i 35°C e l’incremento di temperatura del corpo recipiente non deve in nessun caso superare i 3 °C oltre i IMO metri dì distanza dal punto di immissione. Deve inoltre essere assicurata la compatibilità ambientale dello scarico con il corpo recipiente ed evitata la formazione di barriere formiche alla foce dei fiumi. 2. Per quanto riguarda gli scarichi dì acque reflue urbane valgono il limiti indicati in tabella I e, per le zone sensibili anche quelli di tabella 2. Per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue industriali recapitanti in zone sensibili la concentrazione di fosforo totale e di azoto totale deve essere rispettivamente di 1 e 10 mg/L. 3. Tali limiti non valgono per lo scarico in mare, in tal senso le zone di foce sono equiparate alle acque marine costiere, purché almeno sulla metà di una qualsiasi sezione a valle dello scarico non vengano disturbate le naturali variazioni della concentrazione di solfati o di cloruri. 4. In sede di autorizzazione alto scarico dell’impianto per il trattamento di acque reflue urbane, da parte dell’autorità competente andrà fissato il limite più opportuno in relazione alla situazione ambientale e igienico sanitaria del corpo idrico recettore e agli usi esistenti. Si consiglia un limite non superiore ai 5000 UFC/IOOmL 5. Il saggio di tossicità è obbligatorio. Oltre al saggio su Daphnia magna, possono essere eseguiti saggi di tossicità acuta su Ceriodaphnia dubia, Selenastrum capricomutum, batter! bioluminescenti o organismi quali Artemia salina, per scarichi di acqua salata o altri organismi tra quelli che saranno indicati ai sensi del punto 4 del presente allegato. In caso di esecuzione di più test di tossicità si consideri il risultato peggiore. Il risultato positivo della prova di tossicità non determina l’applicazione diretta delle sanzioni di cui al Titolo V, determina altresì l’obbligo di approfondimento delle indagini analitiche, la ricerca delle cause di tossicità e la loro rimozione.
E 174
TAB. E.9.4./1 VALORI LIMITI DI EMISSIONE IN ACQUE SUPERFICIALI E IN FOGNATURA N. PARAMETRO
PARAMETRI
1 2
pH Temperatura
3
colore
4
odore
5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49
materiali grossolani Solidi sospesi totali (2) BOD5 (comeO1) (2) COD (come O2) (2) Alluminio Arsenico Bario Boro Cadmio Cromo totale Cromo VI Ferro Manganese Mercurio Nichel Piombo Rame Selenio Stagno Zinco Cianuri totali (comeCN) cloro attivo libero Solfuri (come H2S) Solfiti (come SO3) Solfati (come SO4 (3) Cloruri(3) Fluoruri Fosforo totale (come P) (2) Azoto ammoniacale (come NH4) Azoto nitroso (come N) (2) Azoto nitrico (come N)(2) Grassi e olii animali/vegetali Idrocarburi totali Fenoli Aldeidi Solventi organici aromatici Solventi organici azotati Tensioattivi totali Pesticidi fosforati Pesticidi totali (esclusi i fosforati) tra cui: aldrin dieldrin endrin isodrin Solventi clorurati
50
Escherichia coli (4)
51
Saggio di tossicità acuta (5)
UNITÀ DI MISURA °C
– – mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L mg/L UFC/lO Om L
SCARICO IN ACQUE SUPERFICIALI
SCARICO IN RETE FOGNARIA (*)
5,5-9,5 (1)
5,5-9,5 (1)
non percettibile con diluizione 1:20
non percettibile con diluizione 1:40
non deve essere causa di molestie
non deve essere causa di molestie
assenti <=80 <=40 <=160 <= 1 <= 0,5 <= 20 <= 2 <= 0,02 <= 2 <= 0,2 <= 2 <= 2 <= 0,005 <= 2 <= 0.2 <= 0,1 <= 0,03 <= 10 <= 0.5 <= 0.5 <= 0,2 <= 1 <= 1 <= 1000 <= 1200 <= 6 <= 10 <= 15 <= 0.6 <= 20 <= 20 <= 5 <= 0,5 <= 1 <= 0,2 <= 0,1 <= 2 <= 0,10 <= 0,05
assenti <=200 <=250 <=500 <= 2.0 <= 0,5 – <= 4 <= 0,02 <= 4 <= 0,20 <= 4 <= 4 <= 0,005 <= 4 <= 0,3 <= 0,4 <= 0,03 – <= 1,0 <= 1,0 <= 0,3 <= 2 <= 2 <= 1000 <= 1200 <= 12 <= 10 <= 30 <= 0.6 <= 30 <= 40 <= 10 <= 1 <= 2 <= 0,4 <= 0,2 <= 4 <= 0,10 <= 0,05
<= <= <= <= <=
<= <= <= <= <=
0.01 0,01 0.002 0.002 1
0.01 0,01 0.002 0.002 2
nota
<=
il campione non è accettabile quando dopo 24 ore il numero degli organismi immobili è uguale o maggiore del 50% del totale
il campione non è accettabile quando dopo 24 ore il numero degli organismi immobili è uguale o maggiore del 80% del totale
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI TECNICI TRATTAMENTO DELLE ACQUE REFLUE
E.9. 4. A.ZIONI
DLgs 11 MAGGIO 1999 N.152: “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271 CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676 CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole” . Il Decreto abroga le norme: • legge n.319 del 10 maggio 1976 • legge n.650 del 24 dicembre 1979 • legge n.172 del 17 maggio 1995 Questi i principali aspetti della Legge: • Competenze: la maggior parte delle competenze sono a carico delle regioni in quanto responsabili sia dell’effettiva attuazione delle norme, che della programmazione e del monitoraggio delle acque presenti nel proprio territorio. • Obiettivi di qualità: entro il 30 aprile 2003 le regioni dovranno identificare per ogni corpo idrico significativo la classe di appartenenza ovvero identificare lo stato di ognuno di essi sulla base di una scala che va da elevato a pessimo; in base a tale classificazione dovrà adottare misure tali da raggiungere gli obiettivi individuati dalla legge a seconda dell’utilizzo delle acque di quel determinato corpo idrico. • Tutela dei corpi idrici: le regioni dovranno identificare le aree che richiedono specifiche misure di prevenzione per la tutela delle acque dall’inquinamento, la legge identifica già alcune aree di questo tipo: laguna di Orbetello, Ravenna ecc. le aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano, inoltre prevede la pianificazione del bilancio idrico e del risparmio idrico mediante azioni tese anche al riutilizzo di acqua.
• Disciplina degli scarichi: 1. Agglomerati: devono essere provvisti di reti fognarie per acque reflue urbane: – entro il 31 dicembre 2.000 gli agglomerati con numero di abitanti uguale o superiore a 15.000; – entro il 31 dicembre 2005 quelli con numero di abitanti compreso tra 2.000 e 15.000; – gli agglomerati con numero di abitanti maggiore di 10.000 le cui acque si immettono in aree sensibili. 2. Insediamenti isolati: le regioni identificano sistemi individuali adeguati che raggiungano un grado di protezione ambientale indicato dalla seguente tabella. • Autorizzazione agli scarichi: le domande per l’autorizzazione allo scarico vanno inoltrate alla provincia ovvero al comune se lo scarico è in pubblica fognatura. L’autorizzazione è valida per quattro anni dal momento del rilascio e va inoltrata richiesta di rinnovo un anno prima della scadenza dell’autorizzazione.
• Competenze: la Legge precisa dettagliatamente le competenze di Stato, Regioni, Provincie, Comuni e Consorzi di Comuni. A Comuni e Consorzi di Comuni vengono specificatamente attribuiti i servizi pubblici di acquedotto, fognature, depurazione delle acque usate, smaltimento dei fanghi residuati dai processi produttivi e impianti di trattamento delle acque di scarico. • Norme finanziarie: Il costo di raccolta, allontanamento e depurazione delle acque di rifiuto, è previsto che sia coperto con apposite tariffe. • Sanzioni: le sanzioni sono di tipo amministrativo per gli scarichi civili, mentre permangono penali per gli scarichi industriali: a) per superamento dei limiti di legge: da 5 a 50 milioni; b) per scarico non autorizzato in rete fognaria da 10 a 100 milioni; c) per scarico non autorizzato isolato da 1 a 5 milioni.
TAB. E.9.4./2 PERCORSO AUTORIZZATIVO RELATIVO AGLI IMPIANTI CIVILI NON ESITANTI IN PUBBLICA FOGNATURA NUOVI IMPIANTI
IMPIANTI ESISTENTI
proprietario proprietario
tecnico abilitato
riceve la denuncia di scarico aggiorna il catasto degli scarichi
presenta denuncia scarico
presenta progetto
provincia
esegue progetto
autorizza con relative prescrizioni
tecnico abilitato
provincia
presenta denuncia scarico
riceve la denuncia di scarico aggiorna il catasto degli scarichi
presenta progetto
dà parere preventivo con relative prescrizioni a seguito di realizzazione autorizza con prescrizioni
esegue progetto
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
TIPOLOGIE DI IMPIANTO GENERALITÀ I liquami trattati devono essere esclusivamente quelli provenienti dall’interno delle abitazioni, quindi solo liquami domestici, con esclusione di immissione di acque meteoriche. Lo smaltimento dei liquami provenienti dagli insediamenti civili sul suolo o in sottosuolo può avvenire in particolare mediante: a) accumulo e fermentazione (pozzi neri) con estrazione periodica del materiale, suo interrimento o immissione in concimaia o altro idoneo smaltimento b) chiarificazione e ossidazione: con chiarificazione in vasca settica tradizionale o vasca settica di tipo Imhoff, seguita da ossidazione per dispersione nel terreno mediante sub-irrigazione o per dispersione nel terreno mediante pozzi assorbenti o per percolazione nel terreno mediante sub-irrigazione con drenaggio (per terreni impermeabili). POZZI NERI (Non accettabili per nuove installazioni; i parametri che seguono si riportano per una valutazione delle installazioni esistenti). I pozzi neri possono essere utilizzati solo per abitazioni o locali in cui non vi sia distribuzione idrica interna, con dotazione in genere non superiore a 30-40 l giornalieri pro capite, e quindi con esclusione degli scarichi di lavabi e bagni, di cucina e lavanderia. Dovranno essere costruiti con caratteristiche tali da assicurare una perfetta tenuta delle pareti e del fondo, in modo da proteggere il terreno circostante e l’eventuale falda da infiltrazioni, da rendere agevole l’immissione degli scarichi e lo svuotamento periodico per aspirazione dell’intero contenuto; saranno interrati e posti all’esterno dei fabbricati a distanza di almeno 50 cm da muri di fondazione e almeno 10 m da condotte, pozzi o serbatoi per acqua potabile. Il proporzionamento sarà stabilito tenendo presente una capacita di 300-400 l per utente; per un numero di utenti in genere non superiore 18÷20 persone è opportuno l’abbinamento di due pozzi con funzionamento alternato; lo svuotamento periodico, mediante aspirazione con pompa mobile consentirà il
trasferimento in carro botte in zone idonee all’interrimento o in concimaia, in quei casi ove le condizioni locali e le colture lo consentano, o consentirà altro idoneo smaltimento, secondo quanto ammesso dalla normativa sullo smaltimento dei fanghi. VASCHE SETTICHE DI TIPO TRADIZIONALE (Non accettabili per nuove installazioni; i parametri che seguono si riportano per una valutazione delle installazioni esistenti). Le vasche settiche di tipo tradizionale, caratterizzate dal fatto di avere compartimenti comuni al liquame e al fango, devono permettere un idoneo ingresso continuo, permanenza del liquame grezzo e uscita continua del liquame chiarificato; devono avere le pareti impermeabilizzate, devono essere completamente interrate e avere tubo di ventilazione con caratteristiche tali da evitare cattivi odori. Nelle vasche vi deve essere possibilità di accesso dall’alto a mezzo di pozzetto o vano per l’estrazione, tra l’altro, del materiale sedimentato. L’ubicazione deve essere esterna ai fabbricati e distante almeno 1 m dai muri di fondazione, a non meno di 10 m da qualunque pozzo, condotta o serbatoio destinato ad acqua potabile, con disposizione planimetrica tale che le operazioni di estrazione del residuo non rechino fastidio. II proporzionamento deve tener conto del volume di liquame sversato giornalmente per circa 12 ore di detenzione, con aggiunta di capacita per sedimento che si accumula al fondo (5-10 l per utente); la capacita media e per 10-15 persone, con dotazione di 150-200 l pro-capite al giorno (che può essere notevolmente inferiore nel caso di scuole, uffici, officine). L’estrazione del fango e della crosta viene effettuata periodicamente, in genere da una a quattro volte all’anno e il materiale estratto viene trasportato con carro-botte in idonee zone per l’interramento (il materiale ha subito una fermentazione putrida) o in altra idonea sistemazione. VASCHE SETTICHE DI TIPO IMHOFF Le vasche settiche di tipo Imhoff, caratterizzate dal fatto di avere compartimenti distinti per il liquame e il fan-
go, devono essere costruite a regola d’arte, sia per proteggere il terreno circostante e l’eventuale falda, in quanto sono anch’esse completamente interrate, sia per permettere un idoneo attraversamento del liquame nel primo scomparto, permettere un’idonea raccolta del fango nel secondo scomparto sottostante e l’uscita continua, come l’entrata, del liquame chiarificato. Devono avere accesso dall’alto a mezzo di apposito vano ed essere munite di idoneo tubo di ventilazione. Per l’ubicazione valgono le stesse prescrizioni delle vasche settiche tradizionali. Nel proporzionamento occorre tenere presente che il comparto di sedimentazione deve permettere circa 4-6 ore di detenzione per le portate di punta; se le vasche sono piccole si consigliano valori più elevati; occorre aggiungere una certa capacità per persona per le sostanze galleggianti. Come valori medi del comparto di sedimentazione si hanno circa 40-50 l per utente; in ogni caso, anche per le vasche più piccole, la capacità non dovrebbe essere inferiore a 250-300 l complessivi. Per il compartimento del fango si hanno 100-200 l procapite, in caso di almeno due estrazioni all’anno; per le vasche più piccole è consigliabile adottare 180-200 l pro capite, con una estrazione all’anno. Per scuole, uffici o officine, il compartimento di sedimentazione va riferito alle ore di punta con un minimo di tre ore di detenzione; anche il fango si ridurrà di conseguenza. Il liquame grezzo entra con continuità, mentre quello chiarificato esce; l’estrazione del fango e della crosta avviene periodicamente da una a quattro volte l’anno; buona parte del fango viene asportato, essiccato all’aria e usato come concime, o interrato, mentre l’altra parte resta come innesto per il fango (all’avvio dell’impianto si mette calce); la crosta superiore del comparto fango e il materiale galleggiante sono, come detto, asportati e interrati o portati ad altro idoneo smaltimento. DISPERSIONE NEL TERRENO MEDIANTE SUBIRRIGAZIONE Il liquame proveniente dalla chiarificazione, mediante condotta a tenuta, perviene in vaschetta in muratura
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. E.9.4AMENTO TRATT ACQUE DELLE E REFLU
E 175
E.9. 4.
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI TECNICI TRATTAMENTO DELLE ACQUE REFLUE ➦ TIPOLOGIE DI IMPIANTO o in calcestruzzo a tenuta con sifone di cacciata, per l’immissione nella condotta o rete disperdente, di tipo adatto al liquame di fogna. La condotta disperdente è in genere costituita da elementi tubolari di cotto, grès, calcestruzzo o cemento amianto, di 10÷12 cm di diametro e lunghezza di 30÷50 cm, con estremità tagliate dritte e distanziate di 1÷2 cm, coperta superiormente con tegole o elementi di pietrame e con pendenza fra lo 0,2 e 0,5%. La condotta viene posta in trincea profonda circa 2/3 di metro, dentro lo strato di pietrisco collocato nella metà inferiore della trincea stessa; l’altra parte della trincea viene riempita con il terreno proveniente dallo scavo adottando accorgimenti acciocché il terreno di rinterro non penetri, prima dell’assestamento, nei vuoti del sottostante pietrisco; un idoneo soprassetto eviterà qualsiasi avvallamento sopra la trincea. La trincea può avere la condotta disperdente su di una fila o su di una fila con ramificazioni o su più file; la trincea deve seguire l’andamento delle curve di livello per mantenere la condotta disperdente in idonea pendenza. Le trincee con condotte disperdenti sono poste lontane da fabbricati, aie, aree pavimentate o altre sistemazioni che ostacolano il passaggio dell’aria nel terreno; la distanza fra il fondo della trincea e il massimo livello della falda non dovrà essere inferiore al metro; la falda non potrà essere utilizzata a valle per uso potabile o domestico o per irrigazione di prodotti mangiati crudi a meno di accertamenti chimici e microbiologici caso per caso da parte dell’autorità sanitaria. Fra la trincea e una qualunque condotta, serbatoio o altra opera destinata al servizio di acqua potabile ci deve essere una distanza minima di 30 m. Lo sviluppo della condotta disperdente, da definirsi preferibilmente con prove di percolazione, deve essere in funzione della natura del terreno; di seguito si riportano comunque altri elementi di riferimento: • sabbia sottile, materiale leggero di riporto: 2 m per abitante; • sabbia grossa e pietrisco: 3 m per abitante; • sabbia sottile con argilla: 5 m per abitante; • argilla con un po’ di sabbia: 10 m per abitante; • argilla compatta: non adatta. La fascia di terreno impegnata o la distanza tra due condotte disperdenti deve essere di circa 30 m. Per l’esercizio si controllerà, di tanto in tanto, che non vi sia intasamento del pietrisco o del terreno sottostante, che non si manifestino impaludamenti superficiali, che il sifone funzioni regolarmente, che non aumenti il numero delle persone servite e il volume di liquame giornaliero disperso; occorre effettuare nel tempo il controllo del livello della falda.
DISPERSIONE NEL TERRENO MEDIANTE POZZI ASSORBENTI Il liquame proveniente dalla chiarificazione, tramite condotta a tenuta, perviene al pozzo di forma cilindrica, con diametro interno di almeno un metro, In muratura di pietrame, mattoni, o di calcestruzzo, privo di platea. Nella parte inferiore che attraversa il terreno permeabile si praticano feritoie nelle pareti o si costruisce la parete in muratura a secco; al fondo, in sostituzione della platea, si pone uno strato di pietrame e pietrisco per uno spessore di circa mezzo metro; uno strato di pietrisco è sistemato ad anello esternamente intorno alla parte di parete con feritoie per uno spessore orizzontale di circa mezzo metro; in prossimità delle feritoie e alla base dello strato di pietrisco il pietrame è in genere di dimensioni più grandi del rimanente pietrisco sovrastante. La copertura del pozzo viene effettuata a profondità non inferiore a 2/3 di metro e sulla copertura si applica un pozzetto di accesso con chiusini, al di sopra della copertura del pozzo e del pietrisco che lo circonda si pone uno strato di terreno ordinario con soprassetto per evitare ogni avvallamento e si adottano accorgimenti per non avere penetrazioni di terreno (prima dell’assestamento) nei vuoti del pietrisco sottostante. Si pongono dei tubi di aerazione in cemento amianto di opportuno diametro, penetranti dal piano di campagna almeno un metro nello strato di pietrisco. I pozzi assorbenti debbono essere lontani dai fabbricati, aie, aree pavimentate e sistemazioni che ostacolino il passaggio dell’aria nel terreno. La differenza di quota tra il fondo del pozzo e il massimo livello della falda non dovrà essere inferiore a 2 m; la falda a valle non potrà essere utilizzata per usi potabili e domestici, o per irrigazione di prodotti da mangiare crudi a meno di accertamenti microbiologici e chimici caso per caso da parte dell’Autorità sanitaria; occorre evitare pozzi perdenti in presenza di roccia fratturata o fessurata; la distanza da qualunque condotta, serbatoio, o altra opera destinata al servizio potabile deve essere almeno di 50 m. Lo sviluppo della parete perimetrale del pozzo, da definirsi preferibilmente con prove di percolazione, deve essere dimensionato in funzione della natura del terreno; di seguito si riportano comunque altri elementi di riferimento: • sabbia grossa o pietrisco: 1 mq per abitante; • sabbia fina: 1,5 mq per abitante; • argilla sabbiosa o riporto: 2,5 mq per abitante; • argilla con molta sabbia o pietrisco: 4 mq per abitante; • argilla con poca sabbia o pietrisco: 8 mq per abitante; • argilla compatta impermeabile: non adatta. La capacità del pozzo non deve essere inferiore a quella della vasca di chiarificazione che precede il pozzo stesso; è consigliabile disporre di almeno due pozzi con funzionamento alterno; in tal caso occorre un pozzetto
di deviazione con paratoie per inviare il liquame all’uno o all’altro pozzo. La distanza fra gli assi dei pozzi non deve essere inferiore a quattro volte il diametro dei pozzi. Per l’esercizio si controllerà di tanto in tanto che non vi sia accumulo di sedimenti o di fanghiglia nel pozzo, o intasamento del pietrisco e terreno circostante e che non si verifichino impantanamenti nel terreno circostante; occorre controllare nel tempo il livello massimo della falda; se i pozzi sono due si alterna il funzionamento in genere ogni quattro-sei mesi. PERCOLAZIONE NEL TERRENO MEDIANTE SUBIRRIGAZIONE CON DRENAGGIO (per terreni impermeabili) Il liquame, proveniente dalla chiarificazione mediante condotte a tenuta, perviene nella condotta disperdente. Il sistema consiste in una trincea, profonda in genere 1 1,5 m avente al fondo uno strato di argilla, sul quale si posa la condotta drenante sovrastata in senso verticale da strati di pietrisco grosso, minuto e grosso; dentro l’ultimo strato si colloca la condotta disperdente. Le due condotte, aventi in genere pendenza tra lo 0,2% e 0,5%, sono costituite da elementi tubolari di cotto, grès, calcestruzzo o cemento amianto del diametro di circa 10-12 cm, aventi lunghezza di circa 30÷50 cm con estremità tagliate dritte e distanziate di 1 o 2 cm, coperte superiormente da tegole o da elementi di pietrame per impedire l’entrata del pietrisco e del terreno dello scavo, che ricoprirà la trincea con idoneo soprassetto per evitare avvallamenti; si dovranno usare precauzioni affinché il terreno di rinterro non vada a riempire i vuoti prima dell’assestamento. Tubi di aerazione di conveniente diametro vengono collocati verticalmente, dal piano di campagna fino allo strato di pietrisco grosso inferiore, disposti alternativamente a destra e a sinistra delle condotte e distanziati due. quattro metri l’uno dall’altro. La condotta drenante sbocca in un idoneo ricettore (rivolo, alveo, impluvio, ecc.), mentre la condotta disperdente termina chiusa 5 m prima dello sbocco della condotta drenante. La trincea può essere con condotte su di una fila, con fila ramificata, con più file. Per quanto riguarda le distanze di rispetto da aree pavimentate, da falde o da manufatti relativi ad acqua potabile, vale quanto detto per la sub-irrigazione normale. Lo sviluppo delle condotte si calcola in genere in duequattro metri per utente. Occorre verificare che tutto funzioni regolarmente: dal sifone della vaschetta di alimentazione, allo sbocco del liquame, ai tubi di aerazione. Il numero delle persone servite e il volume giornaliero di liquame da trattare non deve aumentare; il livello massimo della falda va controllato nel tempo.
TECNOLOGIE E SISTEMI L’uso per lo smaltimento dei liquami dei cosiddetti “Pozzi neri” e delle “fosse settiche” di tipo tradizionale non è oggi consentito dalla normativa nel caso di nuovi impianti: le considerazioni relative alle fosse settiche vengono riportate al fine di fornire elementi per una valutazione tecnica di installazioni esistenti mentre considerazioni sui “pozzi neri” sono contenute nel paragrafo “Tipologie di impianto” Qualunque impianto di trattamento deve essere comunque integrato con un adeguato processo secondario di depurazione, quale la subirrigazione o altro sistema di smaltimento nel terreno.
FOSSA SETTICA (vasca settica) La fossa settica, costituisce uno degli impianti più antichi di depurazione biologica dei liquami domestici: è costituita da una o più vasche, disposte in parallelo, la cui conformazione interna obbliga i liquami ad attraversare tutta la massa liquida contenuta all’interno della vasca. Qui i liquami subiscono un processo biologico di fermentazione che determina la solubilizzazione di una parte dei solidi sospesi e la sedimentazione dei restanti (vedi in Fig. E.9.4./1 uno schema di vasca settica dimensionata per una utenza unifamiliare). Parte delle sostanze sedimentano sul fondo (fanghi) mentre una parte si accumula in superficie sotto forma di una spessa crosta di schiuma consolidata.
E 176
Il processo di fermentazione, che avviene in assenza di aria (anaerobica), trasforma in breve tempo le materie di rifiuto in gas innocui, in particolare anidride carbonica, e in liquidi non putrescibili che possono essere dispersi nel terreno per il successivo processo di ossidazione. Le fosse settiche hanno di solito pianta rettangolare (anche se possono avere varie forme) e sono caratterizzate da una divisione interna, generalmente in due sezioni, che tende a concentrare nella prima la fase di sedimentazione dei fanghi. Sono disponibili sul mercato vari tipi di fosse prefabbricate in calcestruzzo. La fossa deve essere dotata di un opportuno sistema che ne garantisca la ventilazione esterna: infatti la fermentazione anaerobica produce gas come metano e idrogeno solforato, non solo fastidiosi per il loro odore, ma anche pericolosi in quanto infiammabili. Per un buon funzionamento della fossa si dovrà limitare la diluizione del liquame separando dal flusso destinato alla fossa settica, le acque meteoriche e, se possibile, anche le acque “chiare” di scarico. L’esistenza di un sistema di ventilazione non modifica le caratteristiche del processo di fermentazione anaerobica in quanto la crosta che si forma nella parte superiore della vasca impedisce il contatto del liquame con l’aria. Per consentire lo spurgo delle sostanze solide sedimentate la fossa settica deve essere dotata di un opportuno pozzetto. La canalizzazione alla fossa settica deve essere realizzata in leggera pendenza con l’interposizione di pozzetti di ispezione in corrispondenza di curve con angoli superiore a 45° (vedi Fig. E.9.4./2). Nello schema in figura è indicato anche un pozzetto per la raccolta dei grassi delle cucine, necessario
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI TECNICI TRATTAMENTO DELLE ACQUE REFLUE
E.9. 4. A.ZIONI
solo nel caso in cui l’eccessiva distanza dalla fossa settica possa determinare intasamenti nelle tubazioni. Il dimensionamento di una vasca settica è di fondamentale importanza affinché la successiva fase di smaltimento nel terreno possa essere realizzata con efficacia e in condizioni di sicurezza: la normativa fornisce tal senso alcune indicazioni generali. Va tenuto comunque conto che un dimensionamento scarso costringerebbe a più frequenti interventi di prelievo del fango. In Tab. E.9.4./3 sono riportati alcuni dati di dimensionamento ricavati dalla normativa francese: con riferimento a questi dati per ogni utente in più si prevede un volume aggiuntivo pari a 300 l di capacità.
FIG. E.9.4./1 SCHEMA DI IMPIANTO DI CHIARIFICAZIONE DELLA FOSSA SETTICA
FOGNA NERA
EDIFICIO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
VASCHE SETTICHE DI TIPO IMHOFF La vasca o fossa settica di tipo Imhoff, dal nome del tecnico tedesco i cui primi brevetti risalgono al 1904, è caratterizzata da una netta distinzione tra i due comparti in cui è divisa: quello superiore, dedicato al processo di sedimentazione, e quello inferiore, dedicato all’accumulo e alla digestione anaerobica dei fanghi sedimentati (un vero e proprio “digestore anaerobico”). Il funzionamento di questo tipo di fossa settica si basa sul fatto che i solidi sedimentabili presenti nei liquami precipitano dal comparto superiore nel sottostante comparto di accumulo e di digestione: qui le sostanze organiche subiscono un processo di fermentazione anaerobica, con conseguente stabilizzazione. In questo modo i fanghi possono essere sottoposti a successivi trattamenti e manipolazioni; il processo anaerobico, determina la trasformazione di parte delle sostanze organiche in acqua, anidride carbonica e gas metano (gas biologico). La conformazione delle vasche è tale da evitare interferenze da parte dei gas che si sviluppano nel comparto inferiore con il processo di sedimentazione che si realizza nel comparto superiore. Una tipica fossa Imhoff per piccole utenze è realizzata con elementi prefabbricati modulari in calcestruzzo vibrocompresso ed è provvista di paratie interne che obbligano i liquidi di scarico a urtare contro di esse e a depositare le materie solide. La parte alta della fossa si chiama camera di chiarificazione, la parte bassa vano dei fanghi pesanti. Nella parte alta si trova un chiusino attraverso il quale si provvede, quando necessario, allo spurgo dei depositi. Nella Fig. E.9.4./2 è schematizzata una fossa settica Imhoff in cemento costituita da elementi prefabbricati ad anello sovrapposti con giunto a bicchiere.
INTERCETTATORE DI GRASSO DALLE CUCINE
USARE CURVE PER ANGOLI <45°
FIG. E.9.4./2 SCHEMA DI FOSSA SETTICA PREFABBRICATA
USARE POZZETTO PER ANGOLI >45°
FOGNA EFFLUENTE
CAMERA DI CHIARIFICAZIONE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
VANO FANGHI GALLEGGIANTI
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
FOSSA SETTICA SIFONE
SISTEMA PERDENTE
CASSETTA DISTRIBUTRICE
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
CAMERA DI CHIARIFICAZIONE
VANO FANGHI GALLEGGIANTI h
DISTANZA FRA I TUBI MIN. 3 m
POZZI PERDENTI
E.4. ICA T ACUS
VANO DI COLMO
RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA
TAB E.9.4/3 DIMENSIONAMENTO DI UNA FOSSA SETTICA SECONDO LA NORMATIVA FRANCESE CAPACITÀ
min.
max
(m3)
1
4
1.00
2
6
1.50
2
8
2.00
3
10
2.50
3
12
3.00
4
14
3.50
4
16
4.00
5
18
4.50
5
20
5.00
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA
H
NUMERO DI UTENTI
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE
E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA
VANO FANGHI PESANTI
Come per la fossa settica tradizionale si deve prevedere anche nel caso della fossa Imhoff un opportuno sistema che ne garantisca la ventilazione esterna: la fossa sarà quindi dotata di una tubazione di ventilazione indipendente, ovvero potrà utilizzare per la ventilazione la tubazione di ventilazione della colonna di scarico (vedi schema in Fig. E.9.4./2). A differenza di quanto avviene nelle fosse settiche, i liquami che attraversano le fosse Imhoff escono chiarificati senza che si siano determinati dei fenomeni putrefattivi.
I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. E.9.4AMENTO TRATT ACQUE DELLE E REFLU
E 177
E.9. 4.
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI TECNICI TRATTAMENTO DELLE ACQUE REFLUE SISTEMI DI SMALTIMENTO NEL TERRENO Come si è detto le tecniche di smaltimento che utilizzano “Fosse settiche” o “Fosse Imhoff” devono essere integrate con un adeguato processo secondario di depurazione, quale la sub-irrigazione o altro sistema di smaltimento nel terreno. È importante sottolineare che le acque di pioggia non vanno mai immesse al liquame da smaltire: ne deriverebbe infatti il dilavamento dei fanghi nell’elemento depuratore primario, e un rapido intasamento dell’elemento assorbente. Le acque di pioggia vanno sempre smaltite separatamente, e quindi vanno costituiti sistemi separati di condotti.
DISPERSIONE NEL TERRENO MEDIANTE SUB-IRRIGAZIONE Secondo questo processo, a valle di un sistema di trattamento con fossa settica o fossa Imhoff, il liquame viene immesso, tramite apposite tubazioni, direttamente sotto la superficie del terreno. È il terreno che, senza contatti diretti con l’atmosfera e quindi senza problemi derivanti dallo sviluppo di esalazioni moleste, assorbe e assimila il liquame degradandolo biologicamente. La parte di liquame depurata nel suo passaggio attraverso il terreno che non venga assorbita dalle piante o dispersa per evapotraspirazione, perviene alla falda idrica sotterranea dove subisce una ulteriore diluizione. Questo sistema viene applicato soprattutto nei casi di trattamento individuale di liquami di case e ville isolate. La dispersione del liquame nel terreno è realizzata prevalentemente a mezzo di speciali tubi in polietilene forati inferiormente e avvolti da una membrana sintetica che funge da filtro, disposti entro trincee di subirrigazione, vedi Fig. E.9.4./4. Questa tecnica non è applicabile su terreni con pendenze superiori al 15% in quanto si potrebbero determinare fenomeni di riemergenza del liquame distribuito. Per i sistemi di smaltimento dei liquami nel terreno devono essere rispettate adeguate distanze dei vari elementi dell’impianto (fossa settica, tubazioni di subirrigazione). In Tab. E.9.4./4 sono riportati alcuni valori di riferimento. Al fine di evitare dispersioni di liquami in zone abitate è inoltre necessario che il tratto di condotta fino all’area di subirrigazione abbia caratteristiche di tenuta idraulica.
FIG. E.9.4./3 SCHEMA IMPIANTO DI SMALTIMENTO CON FOSSA IMHOFF
VENTILAZIONE COLONNA DI SCARICO
SIFONI
FOSSA SETTICA TIPO IMHOFF
FIG. E.9.4./4 PARTICOLARE TUBAZIONI DI SUB-IRRIGAZIONE
TERRENO DI RIEMPIMENTO
TAB. E.9.4/4 DISTANZE DAGLI ELEMENTI DI UN IMPIANTO DI TRATTAMENTO Fabbricati
10 m
motivi igienici e protezione dall’umidità
Alberi di alto fusto
10 m
evitare rischi di danneggiamento da parte delle radici
Pozzi acqua potabile
30 m
motivi igienici (evitare contaminazioni)
Corsi d’acqua
30 m
motivi igienici (evitare contaminazioni)
Tubazioni acqua potabile
10 m
motivi igienici (evitare contaminazioni)
VENTILAZIONE FOSSA SETTICA
VENTILAZIONE SECONDARIA
GHIAIA 2-6 cm COPERTURA A PROTEZIONE DEI GIUNTI TUBO DI DISPERSIONE φ10-15 cm TERRENO NATURALE
“VASSOIO ASSORBENTE” E SISTEMI A EVAPOTRASPIRAZIONE Il “vassoio assorbente” è un sistema di smaltimento del liquame per subirrigazione nel terreno che ha trovato da molto tempo un’ampia diffusione in Francia. (Vedi scheda tecnica – estratto dalla normativa francese). A differenza dei sistaparte delle piante, degli elementi organici dei liquami. Gli strati di ghiaia realizzano inoltre un trattamento di depurazione del liquame non assorbito per effetto di evapotraspirazione. In Fig. E.9.4./5 è rappresentato, in pianta e sezione, un tipico impianto a vassoio assorbente. In Tab. E.9.4./5 è riportato un elenco di piante particolarmente adatte per la piantumazione dei vassoi
E 178
assorbenti in quanto avide d’acqua e particolarmente resistenti all’umidità. Sistemi analoghi, che utilizzano esclusivamente l’evapotraspirazione sono realizzati utilizzando, per la separazione, una membrana in tessuto plastico impermeabile invece di una platea in calcestruzzo. Tali sistemi sono applicabili solo in aree con forte evaporazione: il dimensionamento infatti va effettuato adottando una superficie del bacino tale che la quantità d’acqua evaporata sia maggiore della somma delle quantità di acqua apportate dai liquami e dalle precipitazioni, con riferimento alla stagione più favorevole. Molte analogie con il vassoio assorbente sono riscontrabili nel Cumulo assorbente, un sistema applicato negli USA a partire dagli anni ‘40.
In questo caso il liquame, naturalmente pre-trattato con una fossa settica, viene immesso attraverso un sistema di pompaggio su di un cumulo di sabbia, o di altro materiale di riempimento permeabile, sopraelevato rispetto al terreno circostante, e ricoperto di terreno vegetale. Le tubazioni di distribuzione sono circondate da uno strato di ghiaia con funzioni di isolamento. II cumulo va disposto in zone convesse ben drenate, evitando quindi il più possibile le depressioni, e comunque evitando che vengano canalizzate acque di origine meteorica. DISPERSIONE NEL TERRENO MEDIANTE POZZI ASSORBENTI L’effluente chiarificato che fuoriesce da una fossa set-
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI TECNICI TRATTAMENTO DELLE ACQUE REFLUE
E.9. 4. A.ZIONI
tica o da una fossa Imhoff può essere disperso nel terreno mediante pozzi perdenti o con tubi percolatori installati a pettine nel terreno. I pozzi o i tubi servono a canalizzare i liquami verso strati del sottosuolo particolarmente assorbenti. Si ricorre a questi sistemi quando non siano disponibili aree sufficienti di terreno oppure quando il terreno sia adeguatamente permeabile solo ad una certa profondità. Il sistema presenta aspetti molto critici per la sua utilizzazione: è infatti tassativo verificare che il livello massimo della falda idrica in qualsiasi condizione di funzionamento e in qualsiasi situazione al contorno, inferiore alla quota di fondo del pozzo di almeno qualche metro, e che fra il fondo del pozzo e la falda esista uno strato di terreno a granulometria fine a protezione della falda.
TAB E.9.4/5 PIANTE UTILIZZATE PER LA PIANTUMAZIONE DEI VASSOI ASSORBENTI
In Tab. E.9.4./6. sono sintetizzati i principali criteri da adottare nella scelta del tipo di sistema di dispersione dell’effluente.
ARBUSTI
ERBE E FIORI
Aucuba
Auruncus sylvester
Bambous (bambù)
Astilbe
Calycanthus floridus
Elymus arenarius
Cornus alba
Iris pseudoacorus
Cornus florida
Iris kaempferi
Cornus stolonifera
Joxes
Cotoneaster salicifolia
Lytrum officinalis
Kalmia latifolia
Nepeta musini
Laurier cerise (lauro ceraso)
Petasites officinalis
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
Rhamnus frangula
F. TERIALI,
Spiroea salicifolia
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
FIG. E.9.4./5 IMPIANTO DI IRRIGAZIONE A VASSOIO ASSORBENTE
VASSOIO ASSORBENTE SCHEDA TECNICA (estratto dalla normativa francese)
TERRENO VEGETALE
G.ANISTICA
CIOTTOLI GROSSI VEGETAZIONE
Il “vassoio assorbente” è costituito da un bacino a tenuta stagna a fondo orizzontale, con ciottoli nella parte inferiore e terra vegetale nella parte superiore. In superficie, saranno piantati arbusti a foglie persistenti, di preferenza, o qualsiasi altra vegetazione avida d’acqua. II vassoio assorbente dovrà avere una superficie, che sarà funzione del quantitativo di acque di rifiuto; in nessun caso esso sarà inferiore a 1 m2 per utente, la superficie totale non essendo mai inferiore a 4 m2. La profondità del dispositivo potrà variare fra 0,60 e 0,80 m; esso sarà costituito di materiali in strati sovrapposti, comportanti, dal basso verso l’alto, dei grossi ciottoli su uno spessore di 0,15-0,20 m circa, della ghiaia per 0,10 m circa, e terra vegetale, per uno spessore di 0,35-0,50 m circa. Nella misura del possibile, le pareti del bacino costituente il vassoio assorbente, dovranno elevarsi sulla superficie della terra vegetale di circa 0,10 m. Gli effluenti provenienti dalla fossa settica, sfoceranno in un pozzetto disposto in testa al vassoio assorbente, in modo da permettere di verificare il buon scorrimento del liquido, come pure la sua ripartizione nell’interno del vassoio assorbente, al livello superiore della coltre di ciottoli. All’estremità opposta, sarà disposto un troppo pieno di sicurezza, la cui quota sarà di 5 cm inferiore a quella di arrivo dell’effluente. Questo troppo pieno sarà raccordato, a mezzo di un pozzetto di controllo, a tubi di subirrigazione, disposti a bassa profondità, e della lunghezza minima di 1 m. Si verificherà che l’entrata e l’uscita del vassoio assorbente siano mantenute a profondità tale da evitare l’intasamento con terra vegetale. I vassoi assorbenti possono ricevere tutti i tipi di acque di rifiuto domestiche. La tenuta del bacino dovrà essere assicurata non solo in vista di proteggere la falda freatica dall’inquinamento, ma anche per evitare l’invasione del vassoio assorbente da parte di acque meteoriche. La granulometria della ghiaia e dei ciottoli dovrà essere scelta in modo tale che gli elementi più piccoli non possano colmare i vuoti compresi fra gli elementi più grossi, e che cosi sia mantenuto uno spazio libero sufficiente per il passaggio dell’acqua. Lo strato di terra vegetale non dovrà essere troppo sottile, poiché rischierebbe di lasciare passare i cattivi odori; né troppo spesso poiché nuocerebbe all’evaporazione, che si dovrà favorire rimuovendo la superficie del terreno. In periodo di gelo, si ricoprirà la superficie del vassoio assorbente di paglia, di foglie morte.
URB CARTA DA IMBALLO
INGRESSO
PLATEA IN CALCESTRUZZO
GHIAIA 40/80 SEZIONE
GHIAIA 20/40
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE
USCITA
A-A
POZZETTO
E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL
DI ISPEZIONE E DI DISTRIBUZIONE
A
A
RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE
USCITA
INGRESSO
E.4. ICA T ACUS A E.5. INOTECNIC ILLUM TUBAZIONI DI DISTRIBUZIONE
φ15
POZZETTO DI ISPEZIONE E RACCOLTA DRENAGGIO
TAB. E.9.4./6 CRITERI PER LA SCELTA DEL TIPO DI SISTEMA DI DISPERSIONE PARAMETRI CARATTERISTICI
POZZO A DISPERSIONE
TUBI PERDENTI
Porosità del terreno
terreno adiacente poroso
spessore di terreno poroso (80 cm)
Falda acquifera
distanza dal fondo del pozzo almeno 3 m
distanza dei tubi dal fondo almeno 1,5 m
Ubicazione
distanza dall’edificio almeno 5 m
devono seguire la pendenza del terreno
Spazio richiesto
molto limitato
è necessaria una grande superficie di dispersione
Manutenzione
interventi di spurgo (in media ogni 2 anni)
l’assorbimento può durare anche molti anni
Costo
più contenuto
più elevato
E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. E.9.4AMENTO TRATT ACQUE DELLE E REFLU
E 179
E.9. 5.
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI TECNICI SICUREZZA DEGLI IMPIANTI – LEGGE 46/1990
La legge è finalizzata al conseguimento della sicurezza degli impianti inseriti in edifici adibiti a uso civile (unità immobiliari o parte di queste destinate a uso abitativo, a studio professionale o a sede di persone giuridiche private, associazioni, circoli, conventi e simili). Per conseguire tale risultato la legge impone il rispetto delle norme UNI-CEI.
La legge si applica nel caso di installazione, trasformazione, ampliamento e manutenzione di impianti di: • riscaldamento e climatizzazione; • idrosanitari e di sollevamento dell’acqua; • trasporto e utilizzazione del gas all’interno degli edifici; • protezione antincendio.
REGOLAMENTI DI ATTUAZIONE DELLA LEGGE • DPR 6 dicembre 1991 n.447 Regolamento di attuazione della legge 46/1990. • DM 20 febbraio 1992 Approvazione del modello di dichiarazione di conformità dell’impianto alla “regola d’arte” (come previsto all’art.7 del regolamento di attuazione alla legge 4/1990).
• DM 22 aprile 1992 Formazione degli elenchi dei soggetti abilitati alle verifiche in materia di sicurezza degli impianti. • DM 11 giugno 1992 Approvazione dei modelli dei certificati di riconoscimento dei requisiti tecnico-professionali delle imprese e del responsabile tecnico ai fini della sicurezza degli impianti.
• DM 24 agosto 1992 Modificazioni al DM 22 aprile 1992, Formazione degli elenchi dei soggetti abilitati alle verifiche in materia di sicurezza degli impianti. • DL 2 marzo 1993 n.48 Disposizioni urgenti in materia di differimento dei termini previsti dalle disposizioni legislative.
EFFETTI DELLA LEGGE OBBLIGO DEL PROGETTO È previsto l’obbligo del progetto, eseguito da un professionista iscritto nel rispettivo albo di competenza, per i seguenti impianti:
• la documentazione per l’Unità Sanitaria Locale relativa agli aspetti concernenti la sicurezza, l’igiene e le emissioni in atmosfera.
PREVENZIONE INCENDI • riscaldamento e climatizzazione - canne fumarie collettive ramificate - impianti di climatizzazione con potenza frigorifera a partire da 40.000 Frigorie/ora; • trasporto e utilizzazione gas (combustibili e medicali) - impianti con potenzialità termica superiore a
Nel caso di potenzialità totale al focolare superiore a 30.000 kCal/ora occorre rispettare, per la prevenzione incendi, le prescrizioni delle circolari n.68 e n.73 del MICA. La presentazione del progetto ai Vigili del Fuoco si rende obbligatoria:
30.000 kCal/ora - impianti di gas medicali per uso ospedaliero e simili (nel caso di stoccaggi);
• al di sopra delle 100.000 kCal/ora di potenzialità dell’impianto nel caso di combustibile gassoso;
• idrici e antincendio quando relativi ad attività soggetta al rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi e nel caso di idranti in numero superiore a 4.
• al di sopra delle 30.000 kCal/ora di potenzialità dell’impianto nel caso di combustibile liquido o solido.
D’altra parte nel caso di impianti di riscaldamento l’obbligatorietà del progetto è prevista dalla legge 10/1991 e dal DPR 447/1991, decreto attuativo della legge 46/1990. Tale decreto prevede l’obbligo di presentare presso gli uffici competenti del Comune, il progetto dell’impianto di riscaldamento corredato da una relazione tecnica. Il progetto – che il decreto rende obbligatorio indipendentemente dalla potenzialità e dalla destinazione d’uso dell’edificio – deve essere eseguito da un professionista abilitato iscritto all’albo professionale. La legge 46/1990 prescrive che il progetto degli impianti venga presentato in Comune contestualmente a quello edilizio. Per quanto riguarda gli impianti di riscaldamento è opportuno redigere il progetto in modo da ottemperare sia alle norme per la sicurezza quanto alle norme sull’uso razionale dell’energia (legge 10/1991). Il progetto conterrà, in tutto o in parte, le informazioni necessarie a redigere: • la pratica Vigili del Fuoco deve contenere oltre a tutti i riferimenti planimetrici con l’indicazione dei principali componenti (centrali, idranti) nonché il progetto esecutivo delle canne fumarie, dell’impianto antincendio, delle reti di adduzione del combustibile; • la pratica ISPESL in cui si richiede di evidenziare: - dispositivi di sicurezza, protezione e controllo dei generatori di calore; - sistema di espansione e calcolo dei recipienti di espansione; - calcolo analitico dei dispositivi di sicurezza; - certificati di omologazione di materiali e componenti.
E 180
Al di sopra delle 100.000 kCal/ora di potenzialità dell’impianto si rende inoltre obbligatoria la richiesta del Certificato di Prevenzione Incendi.
PREVENZIONE SCOPPI Quando la potenzialità complessiva al focolare dell’impianto supera le 30.000 kCal/ora è necessario rispettare le norme riguardanti la sicurezza antiscoppio dei generatori ad acqua calda, compresi boiler e scambiatori di calore (DM 1 dicembre 1975). In questo caso il proprietario, o l’utente dell’impianto, è tenuto a predisporre una pratica da presentare all’ISPESL per la preventiva approvazione e, successivamente, a progetto approvato, a presentare allo stesso ISPESL che effettuerà verifiche in loco, domanda di omologazione dell’impianto.
CONTENUTO DEL PROGETTO In relazione alla legge 4/1990 e al DPR 447/1991 il progetto deve contenere: • gli schemi dell’impianto; • i disegni planimetrici; • una relazione tecnica sulla consistenza e sulla tipologia dell’installazione (trasformazione o ampliamento); • l’individuazione dei materiali e dei componenti da utilizzare (in conformità alle norme UNI e CEI); • le misure di sicurezza e di prevenzione da adottare.
• lo schema altimetrico della canna fumaria, con tutte le immissioni a ogni piano; • l’indicazione schematica in planimetria di caldaia, raccordo della canna fumaria e camino; • lo schema funzionale dell’espulsione dei fumi con l’indicazione della quota di installazione della caldaia, della pendenza dell’eventuale tratto sub-orizzontale e di tutte le altre indicazioni significative ai fini della sicurezza; • lo sbocco in atmosfera; • la presa d’aria di combustione. per gli impianti di climatizzazione con potenzialità pari o superiore a 40.000 Frigorie/ora: • il calcolo delle rientrate di calore e dei carichi termici interni; • l’ubicazione dei principali componenti e sottosistemi dell’impianto (scambiatori di calore; gruppo frigorifero; unità di trattamento dell’aria; percorsi dei canali di mandata, di ripresa e di espulsione; i percorsi delle tubazioni di acqua e di gas frigorifero; le reti di smaltimento condensa); • l’indicazione della natura e dello spessore del materiale isolante previsto per tubi e canali d’aria; • il dimensionamento di tubi e canali d’aria; • gli eventuali schemi altimetrici; • gli schemi funzionali della centrale (termica e frigorifera); • i dispositivi di espansione, di protezione e di sicurezza (per gli impianti ad acqua refrigerata).
ESECUZIONE DEGLI INTERVENTI L’installazione, trasformazione, ampliamento e manutenzione (con esclusione di quella ordinaria) degli impianti può essere eseguita da imprese iscritte al registro delle ditte o nell’albo provinciale delle imprese artigiane in possesso del “certificato di riconoscimento” rilasciato secondo competenza dalle Commissioni Provinciali o dalla Camera di Commercio a favore dell’impresa e al responsabile tecnico, quale attestato dei necessari requisiti tecnico-professionali
DICHIARAZIONE DI CONFORMITÀ I soggetti abilitati sono tenuti a rilasciare al committente, al termine dei lavori, una dichiarazione che attesti la rispondenza degli impianti alla regola d’arte.
VERIFICHE In particolare i progetti esecutivi dovranno contenere: per le canne fumarie collettive ramificate: • il calcolo del camino, per l’impianto in progetto anche per tutte le altre immissioni nella canna collettiva;
Per eseguire collaudi e per accertare la conformità degli impianti alle disposizioni vigenti la legge 46/1990 prevede che gli enti locali possano avvalersi di professionisti iscritti in appositi elenchi (DPR 447).
CONTROLLO AMBIENTALE • IMPIANTI TECNICI IMPIANTI FOTOVOLTAICI
A.ZIONI
GENERALITÀ La tecnologia fotovoltaica (FV) consente l’alimentazione di utenze isolate o gli impianti installati sugli edifici e collegati a una rete elettrica preesistente. Il funzionamento dei dispositivi fotovoltaici si basa sulla capacità di alcuni materiali semiconduttori (generalmente il silicio) di convertire l’energia della radiazione solare in energia elettrica in corrente continua senza bisogno di parti meccaniche in movimento. Il componente base di un impianto FV è la cella fotovoltaica, che è in grado di produrre circa 1,5 Watt di potenza in condizioni standard (alla temperatura ambiente di 25 °C in presenza di 1000 W/m2 di potenza della radiazione solare incidente). La potenza in uscita da un dispositivo FV quando esso lavora in condizioni standard prende il nome di potenza di picco (Wp) ed è un valore che viene usato come riferimento. L’output elettrico reale in esercizio è in realtà minore del valore di picco a causa delle temperature più elevate e dei valori più bassi della radiazione. Più celle assemblate e collegate tra di loro in una unica struttura formano il modulo
fotovoltaico. I moduli disponibili vanno dal modulo base costituito da 36 celle collegate in serie, con una potenza in uscita di 50 W, a moduli costituiti da un numero di celle molto più alto con potenze fino a 200 Watt per ogni singolo modulo. A seconda della tensione necessaria all’alimentazione delle utenze elettriche, più moduli possono poi essere collegati in serie in una “stringa” mentre la potenza elettrica richiesta determina il numero di stringhe da collegare in parallelo per realizzare il “generatore fotovoltaico”. Il trasferimento dell’energia dal sistema fotovoltaico all’utenza avviene attraverso ulteriori dispositivi, necessari per trasformare e adattare la corrente continua prodotta dai moduli alle esigenze dell’utenza finale. Il complesso di tali dispositivi prende il nome di BOS (Balance of System). Un componente essenziale del BOS, se le utenze devono essere alimentate in corrente alternata, è l’inverter, dispositivo che converte la corrente continua in uscita dal generatore FV in corrente alternata.
La principale classificazione dei sistemi fotovoltaici distingue i sistemi autonomi da quelli connessi alla rete elettrica. Quest’ultima tipologia comprende le grandi centrali fotovoltaiche e i sistemi integrati negli edifici e negli elementi di arredo urbano (coperture di parcheggi, pensiline, ecc.). La quantità di energia elettrica prodotta da un sistema fotovoltaico dipende da molti fattori; in particolare dalla superficie del generatore fotovoltaico, dall’orientamento dei moduli, dai valori della radiazione solare incidente nel sito di installazione, dal rendimento complessivo del sistema (moduli e BOS ). Ipotizzando un’efficienza del modulo FV del 12,5%, e del BOS dell’85% (da calcolare nel caso di impianto a corrente alternata), 1 m 2 di modulo FV fornisce a Roma (dove l’insolazione media annua è pari a 1737,4 kWh/m 2 ) 184,6 kWh in corrente alternata ( 217,2 in continua). Analogamente, e sempre per 1 m 2 di modulo, la quantità di energia fornita in corrente alternata sarà di 145,8 kWh (171,5 in continua) per anno a Milano (dove l’insolazione media annua è pari a 1372,4 kWh/m 2 ) e di 208,6 kWh in alternata ( 245,4 in continua) a Trapani (dove l’insolazione media annua è pari a 1.963,7 kWh/m 2 ). I costi ancora elevati dei sistemi fotovoltaici, dovuti per oltre il 70% al componente cella e modulo, ne subordinano attualmente l’impiego alla possibilità di accedere a incentivi pubblici come quelli previsti dal Programma “Tetti Fotovoltaici” promosso dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio con il coinvolgimento anche finanziario delle Regioni, che ha come obiettivo la realizzazione di oltre 5.000 tetti FV al 2005 per una potenza complessiva di oltre 20 MWp . Un contenimento significativo dei costi, fino al 30-40%, può essere conseguito attraverso una progettazione attenta all’integrazione dell’impianto con le strutture edilizie.
FIG. E 9.6./1 SCHEMA TIPICO DI COLLEGAMENTO DELL’IMPIANTO FOTOVOLTAICO ALLA RETE ELETTRICA DI DISTRIBUZIONE RETE ELETTRICA DI DISTRIBUZIONE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI, kW
MISURATORE DI ENERGIA PRELEVATA DALLA RETE
kW
MISURATORE DI ENERGIA IMMESSA IN RETE
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
LIMITATORE DI POTENZA
DISPOSITIVO GENERALE
EVENTUALE DISPOSITIVO DI PROTEZIONE
DISPOSITIVO DI INTERFACCIA
PROTE PROTEZIONE
FIG. E 9.6./2 CELLE FOTOVOLTAICHE MODULO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
PRO TTURALE STRU
TIPOLOGIE DI IMPIANTO, CAMPI DI APPLICAZIONE E PRESTAZIONI
CELLA
E.9. 6.
GRUPPO DI CONVERSIONE AC
UTENZE
E.1. STO E CONT NTALE AMBIE E.2. ETTURA IT ARCH IMATICA BIOCL RIA IN E.3. À DELL’A ATI IT IN QUAL NTI CONF AMBIE
DC
E.4. ICA T ACUS GENERATORE FOTOVOLTAICO
PANNELLO (più moduli assemblati) (pi
STRINGA (insieme di pannelli)
GENERATORE FOTOVOLTAICO (insieme di stringhe collegate in parallelo)
A E.5. INOTECNIC ILLUM E.6. MIDA U ARIA RSO E.7. I ATTRAVE FLUSS ETI R LE PA E.8. NTI PER LA E N IMPIA TIZZAZIO CLIMA I E.9. NTI TECNIC IMPIA
. LI E.9.5EZZA DEG E 46/90 SICURNTI – LEGG IMPIA ICI . OLTA E.9.6NTI FOTOV IA IMP
E 181
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
PARETI PERIMETRALI VERTICALI CARATTERISTICHE E REQUISITI
•
F.1. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
F. MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
➥
. E F.1.1 TERISTICH T CARA UISITI E REQ
F1
F.1. 1.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE CARATTERISTICHE E REQUISITI
Il termine chiusura verticale indica gli elementi tecnologici atti a delimitare un determinato spazio. I componenti della chiusura verticali sono le pareti perimetrali verticali e i serramenti esterni verticali, nelle diverse categorie e con i diversi accessori. Le principali norme UNI di riferimento sono:
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
7959 Pareti perimetrali verticali. Analisi dei requisiti. 8369/1 Chiusure verticali. Classificazione e terminologia. 8369/2 Pareti perimetrali verticali. Classificazione e terminologia. 8369/3 Chiusure verticali. Classificazione e terminologia dei serramenti esterni verticali.
8369/4 Chiusure verticali. Giunto tra pareti perimetrali verticali e infissi esterni. Terminologia e simboli per le dimensioni. 8979 Pareti perimetrali verticali. Analisi degli strati funzionali.
superficialmente da strati impermeabili al vapore che impediscono la migrazione di quest’ultimo verso l’ambiente esterno, o quando in presenza di rilevante umidità relativa negli ambienti interni, l’elemento termoisolante è costituito da un materiale che assorbe l’umidità. Nella sequenza degli strati dall’esterno all’interno la barriera viene collocata in successione allo strato di isolante termico, affinché la sua temperatura sia superiore a quella corrispondente al punto di rugiada dell’aria interna. I materiali costituenti possono essere, ad esempio, i materiali bituminosi o sintetici con eventuale lamina metallica associata i fogli a base di polimeri. La resistenza alla diffusione del vapore, che può essere parziale o totale, è espressa in 10 9 m2 Pa/Kg.
Lo strato di isolamento termico ha la funzione di portare la resistenza termica globale della chiusura ai valori richiesti collaborando al benessere abitativo, alla riduzione dei consumi energetici, all’eliminazione di fenomeni di condensazione superficiale; in presenza di strati di accumulazione termica contiene i disperdimenti termici. Può essere collocato in diverse posizioni: sul lato interno o esterno dell’elemento portante o integrato con esso; nella sequenza degli strati dall’esterno all’interno può essere collocato in successione all’elemento di tenuta o allo strato di ventilazione. I materiali utilizzati sono: • pannelli o materassini, posati a secco o incollati, costituiti da materiali in fibra (vetro, minerali, polimeri); • materiali granulari (scisti, perlite, pomici); • materiali cellulari (schiume sintetiche, sughero, vetro); • materiali compatti (silicato di calcio, calcestruzzo preformato, laterizio alveolato, polimeri); • materiali sciolti, a base di perlite, vermiculite, argille, espanse, posati in sito nelle intercapedini del sistema parete; • materiali schiumati (urea, poliuretano) posati in sito fra strati consecutivi del sistema parete.
TIPI E STRATI FUNZIONALI La parete perimetrale verticale è portante quando svolge la funzione strutturale (in questo caso può essere collocata sia al perimetro dell’edificio che al suo interno); è di tamponamento quando svolge principalmente il compito di chiusura e, impropriamente, non viene ritenuta collaborante ai fini statici. La muratura monostrato viene realizzata con uno stesso tipo di elemento resistente. L’impiego di blocchi di grandi dimensioni consente la realizzazione di murature monostrato impiegando un solo blocco a tutto spessore. Lo spessore di una muratura monostrato è generalmente compreso tra 12 e 50 cm. Il comportamento termoigrometrico è molto uniforme e presenta una buona resistenza al fuoco. La muratura monostrato deve essere in grado di garantire da sola, o con una finitura di intonaco o di altro materiale per rivestimento, un adeguato isolamento termico e acustico, la portanza, la tenuta all’acqua. La muratura multistrato è principalmente di tipo misto e a doppia parete. Altre soluzioni costruttive delle murature multistrato sono le murature cave, a doppia intercapedine, a intercapedine sfalsata, a diaframmi, le pareti ventilate. La muratura mista è costituita dall’affiancamento di due strati verticali realizzati ognuno con mattoni o blocchi di diverso tipo collegati tra di loro a intervalli regolari dalle compenetrazioni degli stessi mattoni o da elementi metallici posti trasversalmente. Uno dei due strati assolve generalmente la funzione portante, mentre l’altro risponde a requisiti di isolamento termoacustico. Le murature a sacco possono rientrare in questa categoria. La muratura a doppia parete è costituita da due strati con interposta una camera d’aria, con funzione isolante, di 3–5 cm di spessore. Oltre tale spessore la funzione isolante della camera d’aria stagna non offre contributi significativi. Per aumentare il potere coibente del “sistema parete”, la camera d’aria può essere totalmente o parzialmente riempita con materiale isolante; quest’ultimo deve essere adeguatamente protetto da infiltrazioni di acqua o fenomeni di condensa interstiziale che lo danneggiano, compromettendone le prestazioni. Il materiale isolante deve essere impermeabile all’acqua e permeabile al vapore; quando quest’ultima caratteristica non è garantita, l’isolante viene protetto dalla barriera al vapore. Il comportamento termoigrometrico e acustico della parete varia al variare dei singoli spessori e dei materiali utilizzati. La discontinuità trasversale della muratura e la presenza delle cavità negli elementi resistenti costituiscono un contributo all’isolamento termico. I requisiti che la parete perimetrale deve soddisfare oltre quelli relativi alla stabilità poiché è comunque soggetta alle sollecitazioni esterne e al peso proprio, riguardano le esigenze di sicurezza, di benessere igrotermico, di resistenza termica, di purezza dell’aria, di isolamento acustico, di aspetto, tattili, di durabilità, di disponibilità a sostenere carichi appesi, di economia, di energia, di sicurezza durante la messa in opera. I singoli strati che costituiscono la parete, sia di tipo multistrato che monostrato, di seguito descritti (UNI 8979), devono rispondere, singolarmente o integrando le funzioni, alle prestazioni richieste. Lo strato di barriera al vapore ha resistenza molto elevata alla diffusione del vapore; la sua presenza evita l’accumulo di vapore all’interno del sistema parete. Si adotta quando l’elemento termoisolante è protetto
F2
Lo strato di collegamento è l’insieme di elementi che assicura il collegamento dell’isolamento termico, dello strato di tenuta, della finitura interna o esterna all’elemento portante. Si adotta quando vi è rischio di asportazione di tali strati a causa del vento, della gravità o di altre sollecitazioni. A tale scopo sono impiegati chiodi, ganci, profilati, zanche, malta, adesivi. Lo strato di diffusione o ugualizzazione del vapore impedisce la formazione di sovrapressioni interne alla parete causate da evaporazione di acqua occlusa. Si adotta quando si possono verificare forti afflussi di vapore all’interno e quando la parete è costituita da strati che presentano un elevato grado di impermeabilità al vapore. Nella sequenza degli strati dall’esterno all’interno, questo strato si colloca in successione alla barriera al vapore o agli strati di tenuta contigui. Viene realizzato mediante intercapedine d’aria, con fogli a base di prodotti bituminosi rivestiti su una faccia con granuli di dimensioni opportune, con strati di intonaco granigliato.
Lo strato o elemento portante ha la funzione di sopportare i carichi dovuti al peso proprio e agli elementi a esso vincolati, i sovraccarichi, le sollecitazioni esterne. Molti requisiti funzionali sono spesso integrati nello strato portante.
Lo strato di protezione o di finitura costituisce la superficie esterna della parete, ne garantisce uniformità di aspetto e protegge gli strati sottostanti dall’aggressione degli agenti esterni. La funzione di finitura può essere svolta dallo stesso elemento resistente, detto in questo caso faccia a vista, o da idonei materiali da rivestimento.
Lo strato di tenuta all’acqua è sempre presente e assicura la richiesta impermeabilità alla chiusura. Deve resistere alle sollecitazioni provenienti dall’esterno e dall’uso. È collocato all’interno dello strato di finitura esterna o esternamente alla parete. I materiali impiegati sono gli intonaci cementizi e adeguati materiali da rivestimento.
Lo strato di rivestimento interno costituisce la superficie interna della parete e ne soddisfa le esigenze di aspetto e tattili. La scelta dei materiali da rivestimento dipende da esigenze estetiche, funzionali, di manutenzione. Lo strato di regolarizzazione viene adottato per eliminare le asperità dello strato sottostante al fine di evitare tensioni meccaniche tra strati contigui o migliorarne l’adesione. Se realizzato da materiali in fogli è collocato generalmente prima della barriera al vapore o dell’elemento di tenuta all’acqua o all’aria. Altri materiali impiegati sono gli intonaci con granulometria fine, i composti a base di gesso, strutture secondarie metalliche o di legno. Lo strato di ripartizione dei carichi o di irrigidimento ha la funzione di sopportare e trasmettere le tensioni concentrate quando sono presenti strati che non assicurano adeguata resistenza. Può essere adottato a protezione dello strato di isolamento termico, collocandosi sulla sua faccia interna o esterna, o può essere posizionato al di sotto dello strato di finitura interna o esterna. I materiali impiegati sono, ad esempio, gli intonaci cementizi armati, gli intonaci premiscelati con rete di armatura, le strutture secondarie di legno o metallo, le lastre rigide.
Lo strato di tenuta all’aria assicura un’adeguata tenuta all’aria e alla pressione del vento. È posizionato internamente allo strato di protezione e finitura esterna e in prossimità di discontinuità strutturali. I materiali idonei sono gli intonaci cementizi, le membrane, le lastre di materiali diversi, i prodotti sigillanti.
Lo strato di ventilazione contribuisce al controllo delle caratteristiche igrotermiche della parete mediante ricambi d’aria naturali o forzati. Sempre collocato esternamente allo strato termoisolante e al di sotto dello strato di tenuta all’acqua, contribuisce nella stagione invernale allo smaltimento verso l’esterno del vapore proveniente dagli ambienti e, attraverso i moti convettivi, riduce, nella stagione estiva, gli effetti dell’irraggiamento solare sulla parte. Viene realizzato con struttura portante secondaria in legno o metallo, tale da creare una camera d’aria collegata con l’esterno, e pannelli in laterizio, metallo o altro materiale da rivestimento. Lo strato di protezione al fuoco assicura alla parete o a elementi strutturali in essa inseriti gli adeguati valori di resistenza al fuoco richiesti. Localizzato laddove necessario, può essere realizzato con lastre di cartongesso, intonaci premiscelati rinforzati e applicati su rete di supporto, altri materiali ignifughi. Lo strato di accumulazione termica porta ai valori richiesti l’inerzia termica della parete. Normalmente questa funzione è integrata nei materiali costituenti la parete (calcestruzzo, laterizi, materiali lapidei).
Scomposizione, postulata dal gruppo neoplastico olandese sin dal 1917, o decostruttivismo esaltato dal MOMA
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
PARETI PERIMETRALI VERTICALI CARATTERISTICHE E REQUISITI
•
A.ZIONI
MATERIALI EDILIZI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. F.1.1./1 MATERIALI EDILIZI – ELEMENTI CHIMICI – DATI TECNICI
Simbolo
Afnio
Hf
Alluminio
Al
PESO DI SOSTANZE IN MUCCHIO
MATERIALI EDILIZI
MATERIALI EDILIZI Elemento
Peso atomico 178,6 26,97
Elemento
Simbolo
Mercurio
Hg
Molibdeno
Mo
95,95 20,18
N/mc
kg/mc
22563
2300
Argilla asciutta
3240
1800
Argilla bagnata
19620
2000
Peso atomico 2000,6
Arenarie calcari leggeri
Antimonio
Sb
121,76
Neo
Ne
Argento
Ag
107,88
Neodimio
Nd
Argo
Ar
39,94
Nichel
Ni
58,69
Calcare duro
26487
2700
Arsenico
As
74,91
Niobio
Nb
92,91
Calcare compatto
25506
2600
Azoto
N
14,008
Olmio
Ho
163,5
4905
500
Oro
Au
197,2
Osmio
Os
190,2
Calcestruzzo con calcare
19620
2000
Ossigeno
O
Calcestruzzo con granito
21582
2200
Calcestruzzo con rottami di mattoni
17658
1800
Cemento (sciolto)
13734
1400
3237
330
Bario
Ba
137,36 9,02
144,3
Berillio
Be
Bismuto
Bl
Boro
B
10,82
Palladio
Pd
106,7
Bromo
Br
79,92
Piombo
Pb
207,2
Platino
Pt
195,2
Potassio
K
209,0
Cadmio
Cd
112,41
Calcio
Ca
40,08
Carbonio Cerio Cesio
C Ce Cs
12,01 140,1 132,9
Cloro
Cl
35,457
Cobalto
Co
58,94
Cripto
Kr
83,7
Cromo
Cr
F.1. 1.
52,01
Disprosio
Dy
Elio
He
Erbio
Er
167,2
Europio
Eu
152,0
16,000
39,096
Praseodimio
Pr
140,9
Radio
Ra
226,0
Rado
Rn
222,0
Rame
Cu
Renio
Re
Rodio
Rh
Rubidio
Rb
Rutenio
Ru
101,7
Samario
Sm
150,4
Scandio
Sc
Selenio 55,84
Fluoro
F
19,00
Fosforo
P
31,02
Gadolinio
Gd
156,9
Gallio
Ga
69,72
Germanio
Ge
72,60
Idrogeno
H
Ghiaia bagnata
16677
1700
186,3
Graniti
26487
2700
102,9
Legno di abete bianco (in ciocchi) Legno di abete rosso (in ciocchi)
3335
340
3139
320
Legno di faggio (in ciocchi)
3924
400
45,10
Legno di quercia (in ciocchi)
4120
420
Se
78,96
Malta (calce e sabbia)
Silicio
Si
28,06
Sodio
Na
22,997
Solfo
S
32,06
Stagno
Sn
Stronzio
Sr
Tallio
Tl
63,57
85,48
Indio
In
114,8
Iodio
I
126,92
Iridio
Ir
193,1
Itterbio
Yb
173,0
Ittrio
Y
Lantanio
La
Litio
Li
Lutezio
Lu
Magnesio
Mg
Manganese
Mn
118,7 87,63
180,9
Tellurio
Te
127,6
Terbio
Tb
159,2
Titanio
Ti
47,90
Torio
Th
232,1
Tulio
Tm
169,4
Uranio
U
238,1
Vanadio
V
Volframio
W
183,9
Xeno
Xe
131,3
24,32
Zinco
Zn
65,38
54,93
Zirconio
Zr
91,22
88,92 138,9 6,94 175,0
16677–17653 1700–1800
Marmi compatti
27469
2800
Mattoni ordinari
17653
1800
Neve (caduta di fresco)
785–1864
80–190
Neve (umida e acquosa)
1962–7688
200–800
Quarzo siliceo
26487
2700
Rocce disgregabili
19620
2000
Sabbia, creta, calcare (asciutti) Sabbia, creta, calcare (bagnati)
15696
1600
20601
2100
Terra silicea leggera
14715
1500
Terra ghiaiosa asciutta
15696
1600
Terra ghiaiosa umida
17658
1800
Terra argillosa secca
19620
2000
Terra argillosa umida
22563
2300
204,4
Ta
50,95
Terra mista a ciottoli
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
11772–12753 1200–1300 1500
Tantalio
1,0081
Fosforiti
14715
4,003
Fe
Conifere (in ciocchi)
Ghiaia asciutta
162,5
Ferro
Calce grassa (cotta e polverulenta)
B.STAZIONI DILEGIZLII
17658–21582 1800–2200
di New York nel 1988. Cambiando le formule, si arricchiscono i contenuti, ma l’obiettivo resta lo stesso. Urge
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
. E F.1.1 TERISTICH T CARA UISITI E REQ
F3
F.1. 1.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE CARATTERISTICHE E REQUISITI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ MATERIALI EDILIZI TAB. F.1.1./2 MATERIALI EDILIZI – PESI DELL’UNITÀ DI VOLUME O DELL’UNITÀ DI SUPERFICIE MATERIALE
N/mq
kg/mq
N/mc
kg/mc
Pomice
7845
800
Tufi vulcanici e calcarei
12748
1300
Calcari teneri, travertini e arenarie
19612
2000
Calcari compatti, graniti, sieniti e porfidi
27457
2800
Basalti e serpentini
31379
3200
MATERIALI LAPIDEI
LEGNAMI • Conifere:
N/mc
kg/mc
Muratura listata in blocchi lapidei e malta
20593
2100
Muratura in blocchi forati di calcestruzzo
N/mq
kg/mq
11767
1200
Gesso
7845
800
Calce idrata
4903
500
Calce idraulica
8825
900
Cemento
9806
1000
Sabbia
12748
1300
Malta di calce
17651
1800
Malta di cemento
20590
2100
Malta bastarda di calce o cemento
18631
1900
Malta di gesso
11767
1200
294
30
32356
330 50
LEGANTI – MALTE – INTONACI
Abete rosso
4315
440
Cipresso
6080
620
Larice
6178
630
Pino silvestre
5589
570
Douglas
5197
530
Hemlock
4413
450
ISOLANTI
Pitch pine
6080
620
Argilla espansa (diametro 8–16 mm)
• Latifoglie:
Intonaco (spessore 1,5 cm)
Lana di vetro
490
Acero
6864
700
Sughero
1275
130
Castagno
5687
580
Poliuretano espanso
314
32
Faggio
7354
750
Fibra di cellulosa
274
28
Noce
7060
720
Fibra di poliestere
294
30
Olivo
9316
950
MANTI COPERTURA
Olmo
6080
620
294
30
Rovere
7452
760
Manto impermeabilizzante di asfalto (spessore 2 cm)
Iroko
6472
660
Manto impermeabilizzante prefabbricato in feltro (spessore 1 cm)
98
10
Mogano d’Africa
5982
610
Tegole maritate, coppi ed embrici in cotto
588
60 48
Palissandro d’Asia
9316
950
Tegole maritate in cemento
471
Teck
6374
650
Sottotegole di tavelloni forati (spessore 3–4 cm)
343
35
Acciaio
78448
8000
Lamiere in acciaio ondulate o nervate (indicativo)
118
12
Alluminio
29418
3000
Lamiere in alluminio ondulate o nervate (indicativo)
49
5
Bronzo
87273
8900
10
73545
7500
Lastre traslucide in policarbonato ondulate o nervate (indicativo)
98
Ghisa Ottone
86292,8
8800
Lastre ondulate in fibrocemento (indicativo)
196
20
Piombo
109827,2
11200
PAVIMENTI
Rame
87665,64
8940
Gomma, linoleum (spessore 2,5 mm)
98
10
Legno (spessore 1,5 cm)
245
25
Laterizio, ceramica, gres o graniglia (spessore 2 cm)
392
40
Marmo (spessore 3 cm)
784
80
Cristallo normale 3 mm
73
7,5
Cristallo normale 4 mm
98
10
METALLI
CALCESTRUZZI Calcestruzzo ordinario
23534
2400
Calcestruzzo armato, ordinario o precompresso
24515
2500
Calcestruzzo di aggregati leggeri non strutturale
11767
1200
Calcestruzzo di aggregati leggeri strutturale
17651
1800
Cristallo normale 5 mm
122
12,5
Muratura in blocchi laterizi pieni
17651
1800
Cristallo normale 6 mm
147
15
Muratura in blocchi laterizi semipieni
14709
1500
Cristallo normale 8 mm
196
20
Muratura in blocchi laterizi forati
10787
1100
Cristallo normale 10 mm
245
25
Muratura in blocchi lapidei e malta
21573
2200
Cristallo stratificato 11–12 mm
264
27
MURATURE
F4
MATERIALE
VETRI
rompere, sfasciare la scatola edilizia tridimensionale di matrice rinascimentale, che comprime i vuoti anziché
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI MURATURE IN ELEMENTI RESISTENTI NATURALI
F.1. 2. A.ZIONI
Il DM 20 novembre 1987 fissa i criteri tecnico costruttivi per la progettazione, esecuzione e collaudo degli edifici realizzati in muratura con funzioni statiche, costituita da elementi resistenti collegati da malta. Non rientrano nel decreto le murature di tamponamento le tramezzature leggere, i muri realizzati con getto di calcestruzzo. Per le murature armate e gli edifici in zona sismica si applicano le norme della legge
2 febbraio 1974 n.64 e il DM 24 gennaio 1986 e successive modifiche e integrazioni. Gli elementi che costituiscono la muratura possono essere: • elementi resistenti naturali; • elementi resistenti artificiali. Le murature, inoltre, possono essere realizzate con pannelli prefabbricati o eseguiti a piè d’opera, o con getto di calcestruzzo.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
ELEMENTI RESISTENTI NATURALI Gli elementi resistenti naturali sono i materiali lapidei ricavati in genere per abbattimento Per essere impiegate in edilizia le pietre devono avere i requisiti di resistenza stabiliti, di rocce (UNI 8458 – Prodotti lapidei. Terminologia e classificazione). sia allo stato asciutto che bagnato, devono essere resistenti al gelo. In ordine all’accertamento dei valori della resistenza a compressione del materiale, le A questi requisiti fisici e meccanici, deducibili da prove di laboratorio, se ne aggiuncave di estrazione hanno l’obbligo di un controllo annuale. gono altri riscontrabili a vista, come l’assenza di sostanze solubili o residui organici, I criteri di accettazione, la resistenza, le modalità di controllo dei prodotti lapidei sono l’assenza di parti alterate o facilmente removibili, la non friabilità o sfaldabilità la buona determinati dalla normativa vigente (UNI 9724/1–8, 9275, 9276, 10330, SS UNI adesività alle malte. U32.07.248.0). TAB. F.1.2./1 ROCCE ERUTTIVE INTRUSIVE (provenienti da un lento raffreddamento del magma in profondità) COMPOSIZIONE
STRUTTURA
LAVORABILITÀ
COLORAZIONE
IMPIEGHI
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
GRANITI
quarzo, feldspati, miche
granulare cristallina
piuttosto dura, lucidabile
varia, in funzione dei componenti secondari
lastre per rivestimento
SIENITI
feldspati ricchi di sodio e ferro, miche, anfiboli, pirosseni, biotite
granulare cristallina
facilmente lucidabile
scuro, a volte rossastro
lastre per rivestimento
F. TERIALI,
DIORITI
plagioclasio, miche
granulare cristallina
facilmente lucidabile
verde, nero
lastre per rivestimento, frantumato per costruzione di strade
G.ANISTICA
GABBRI
plagioclasio, pirosseni anfiboli, olivina
granulare cristallina
facilmente lucidabile
grigio, nero
lastre per rivestimento, pavimenti
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
URB
TAB. F.1.2./2 ROCCE ERUTTIVE EFFUSIVE (provenienti dal raffreddamento del magma affiorante in superficie) COMPOSIZIONE
STRUTTURA
LAVORABILITÀ
COLORAZIONE
IMPIEGHI
PORFIDO DI QUARZO
fenocristalli di quarzo feldspati, miche
granulare cripto–cristallina
resistente all’usura lucidabile
bruno, rossiccio
pavimentazioni stradali pietrisco inerte, pavimenti, rivestimenti
BASALTO
feldspati, miche
granulare cripto–cristallina
duro, resistente all’usura
bruno, nerastro
lastre per pavimentazioni stradali, rivestimenti
TRACHITE
feldspati, femici
granulare cripto–cristallina
porosa, bassa resistenza a compressione facilmente segabile
grigio, verde, rossiccio
blocchi, basi monumentali per murature
TAB. F.1.2./3 ROCCE ERUTTIVE PIROCLASTICHE (provenienti dal brusco raffreddamento del magma affiorato in superficie in seguito a eruzioni vulcaniche) COMPOSIZIONE
STRUTTURA
IMPIEGHI
POZZOLANA
quarzo, ossidi di alluminio, ossidi di ferro
granulare, friabile
preparazione di malte
POMICE
ossidi di silicio, ossidi di alluminio
amorfa, porosa
inerte per calcestruzzi leggeri, isolanti termici
TUFO VULCANICO
ossidi di silicio, ossidi di alluminio
massa amorfa, porosa
blocchi per murature
STRUTTURA
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE
TAB. F.1.2./4 ROCCE SEDIMENTARIE DI ORIGINE CHIMICA (provenienti dalla precipitazione di acque sature) COMPOSIZIONE
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
IMPIEGHI
GESSO
solfato di calcio biidrato, anidrite
compatta, macrocristallina
lastre per rivestimento di interni, preparazione di stucchi
TRAVERTINO
calcite precipitata da carbonato di calcio
vacuolare, compatta, tenera
blocchi per murature, lastre per rivestimento
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
TAB. F.1.2./5 ROCCE SEDIMENTARIE ORGANOGENE (provenienti dalla trasformazione chimica di depositi organici) COMPOSIZIONE
STRUTTURA
COLORAZIONE
IMPIEGHI
CALCARE
carbonato di calcio
compatta, omogenea, macrocristallina
bianco giallastro, grigio
preparazione di leganti, lastre per rivestimento
DOLOMITE
carbonati di calcio e magnesio
compatta
giallo, bruno
lastre per rivestimento
TAB. F.1.2./6 ROCCE CLASTICHE SCIOLTE (provenienti da altre rocce disgregate) DIMENSIONE ELEMENTI (mm) CIOTTOLI E GHIAIA SABBIA ARGILLA
2–20 0,02–0,2 0,002–0,02
IMPIEGHI inerte per calcestruzzi preparazione malte elemento base per preparazione di impasti ceramici
liberarli in un dialogo assiduo dentro-fuori. Quella neoplastica è una poetica di piani, lastre, setti bidimensionali
. E F.1.1 TERISTICH T CARA UISITI E REQ . F.1.2TURE IN ENTI MURANTI RESIST ELEME ALI R NATU
F5
F.1. 2.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI MURATURE IN ELEMENTI RESISTENTI NATURALI ➦ ELEMENTI RESISTENTI NATURALI TAB. F.1.2./7 ROCCE CLASTICHE COMPATTE
conglomerati
PROVENIENZA BRECCE
diagenesi delle ghiaie
PUDDINGHE
diagenesi delle ghiaie
ARENARIE
diagenesi delle sabbie
DIMENSIONE ELEMENTI (mm) 2–20
CARATTERISTICHE GEOMETRICHE
STRUTTURA
IMPIEGHI
a spigoli vivi
compatta
blocchi per murature, lastre per rivestimenti
arrotondati
grana fine compatta, lucidabile
blocchi per murature, lastre per rivestimenti
porosa, friabile
pietra da taglio
0,02–0,2
TAB. F.1.2./8 ROCCE METAMORFICHE (provenienti dalla trasformazione di rocce eruttive e sedimentarie) COMPOSIZIONE
PROVENIENZA
LAVORABILITÀ
IMPIEGHI
MARMI
carbonato di calcio
metamorfosi termica dei calcari
lucidabile
lastre per rivestimenti
FIILLADI
ossidi di silicio
metamorfosi di argille o arenarie
sfaldabile secondo piani paralleli (struttura scistosa)
lastre per rivestimenti
TAB. F.1.2./9 PROPRIETÀ FISICHE DELLE PIETRE NATURALI PESO SPECIFICO (g/cm3)
POROSITÀ TOTALE (% del volume)
POROSITÀ APPARENTE (% del volume)
COEFFICIENTE DI IMBIBIZIONE
COEFFICIENTE DI DILATAZIONE (cm°C x 10–6)
GRANITO SIENITE
2,60–2,80
0,4–1,5
0,4–1,4
0,2–0,5
8
DIORITE GABBRO
2,80–3,00
0,5–1,6
0,5–1,6
0,2–0,4
8
PORFIDO DI QUARZO
2,55–2,80
0,4–1,8
0,4–1,5
5
BASALTO
2,95–3,00
0,2–0,9
0,3–0,7
5
POMICE
0,5–1,10
30–70
25–60
30–70
9
TUFO
1,10–1,75
25–60
25–50
25–50
9
CALCARE TENERO
1,70–2,60
0,5–30
0,5–30
1–25
4
CALCARE COMPATTO
2,65–2,85
0,4–2
0,5–1,8
2–4
3
DOLOMITE
2,30–2,85
0,4–2
0,5–1,8
2–4
3
TRAVERTINO
2,40–2,50
5–12
4–10
2–5
4
Eruttive intrusive
Eruttive effusive
Eruttive piroclastiche
Sedimentarie
Metamorfiche GNEISS
2,65–3,00
0,4–2
0,3–1,8
0,1–0,6
5
SCISTI (LAVAGNA)
2,70–2,80
1,6–2,5
1,4–1,8
0,5–0,6
5
MARMO
2,70–2,80
0,5–3,0
0,5–3,0
0–1
3
QUARZITI
2,60–2,65
0,4–2,0
0,4–2,0
0,2–0,6
5
TAB. F.1.2./10 PROPRIETÀ MECCANICHE DELLE PIETRE NATURALI RESISTENZA A ROTTURA PER COMPRESSIONE (kg/cm2)
RESISTENZA A ROTTURA PER FLESSIONE (kg/cm2)
MODULO DI ELASTICITÀ (kg/mm2)
resistenza all’urto (cm kg/cm2)
RESISTENZA ALL’USURA (vol. materiale asportato per attrito, ponendo quello del granito = 1)
GRANITO SIENITE
1.600–2.400
100–200
5.000–6.000
110–120
1
DIORITE, GABBRO
1.700–3.000
100–220
8.000–1.000
130–180
1–1,5
PORFIDO DI QUARZO
1.800–3.000
150–200
5.000–7.000
130–240
1–1,5
BASALTO
2.500–4.000
150–250
9.000–12.000
160–300
1–2
50–200
–
1.000–3.000
–
– 4–9
Eruttive intrusive
Eruttive effusive
Eruttive piroclastiche TUFO Sedimentarie 200–900
50–1.100
3.000–6.000
70–110
800–1.800
60–150
4.000–7.000
70–110
4–8
200–600
40–100
2.500–5.000
60–100
7–12
1.600–2.800
–
5.000–7.000
1–2
5
300–1.000
–
2.000–6.000
4–8
5
MARMO
1.000–1.800
60–150
4.000–7.000
4–8
3
QUARZITI
1.500–3.000
–
5.000–7.000
1,5
5
CALCARE TENERO CALCARE COMPATTO TRAVERTINO Metamorfiche GNEISS SCISTI (LAVAGNA)
F6
librati nello spazio. Quella decostruttivista è più emancipata; nel caso di Frank O. Gehry si sottrae a qualsiasi
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI MURATURE IN ELEMENTI RESISTENTI NATURALI
A.ZIONI
TIPOLOGIE MURARIE IN ELEMENTI RESISTENTI NATURALI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
MURATURA IN TERRA CRUDA Una rara applicazione di materiali naturali per la realizzazione di muratura, peraltro non consentita dalla vigente legislazione e limitata quindi a sporadici e particolari esempi, riguarda l’impiego della terra cruda. La possibilità di usare direttamente la terra nella realizzazione di una muratura dipende dalla qualità della terra disponibile. La terra deve essere stabilizzata. Le tecniche di stabilizzazione fanno capo a: • correzione della densità: compattazione del prodotto naturale a mano o con ausili meccanici; • correzione della granulometria: miscelazione del prodotto naturale con elementi che ne migliorino la continuità granulometrica; • correzione della qualità fisico-chimica: aggiunta all’impasto di prodotti come il cemento, la calce, il bitume,
F.1. 2.
le resine sintetiche; ovvero, nella tradizione, l’uso di caseina, di oli vegetali (cocco, lino, cotone). L’aggiunta alla terra cruda di paglia conferisce al prodotto una sorta di armatura continua e diffusa che ne migliora le caratteristiche meccaniche. Questa tecnica si accoppia spesso alla realizzazione di telai lignei portanti autonomi, in un procedimento costruttivo ove la terra cruda è utilizzata come semplice tamponamento. I sistemi costruttivi che utilizzano la terra cruda fanno capo a due procedimenti base: il pisé e l’adobe. Il pisé, o terra battuta, si realizza battendo, corso dopo corso, la terra appositamente preparata in una cassaforma mobile fatta di tavole di legno. La battitura avviene con un pestello, che può avere forme diverse. La terra costipata, privata dell’aria e dell’acqua, si lega e
acquista compattezza. L’altezza del corso è determinata dalla casseratura utilizzata. La cassaforma, interamente recuperabile, è composta di tavole rese solidali per mezzo di una intelaiatura spostabile. Le tavole possono essere alte 50–90 cm e lunghe 100–200 cm. L’adobe prevede la formatura di blocchi elementari, da mettere in opera successivamente ricorrendo alle tecniche murarie tradizionali. Il blocco viene preparato in casseforme e asciugato al sole. L’uso di presse manuali trasportabili (10 kg/cmq) consente di produrre 1200 blocchi al giorno. Nella costruzione in terra cruda l’orizzontamento è affidato alla volta o al solaio ligneo. La terra cruda va ben protetta dall’azione degli agenti atmosferici; il rivestimento è oggetto di accurata manutenzione.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
MURATURA DI PIETRA Gli elementi in pietra sono legati tra loro tramite malta. Secondo il DM 20 novembre 1987 le pietre devono essere resistenti al gelo, non friabili o sfaldabili, monde di cappellaccio e di parti alterate o facilmente removibili; non
devono contenere sensibili quantità di sostanze solubili o residui organici; devono presentare buona adesività alle malte e i requisiti minimi di resistenza devono essere determinati secondo le modalità indicate dal decreto.
Il decreto distingue le murature in elementi resistenti naturali in: muratura di pietra non squadrata, muratura listata, muratura di pietra squadrata. I muri a secco, senza impiego di malta, non sono previsti dalla norma.
MURATURA DI PIETRA NON SQUADRATA
MURATURA LISTATA
MURATURA DI PIETRA SQUADRATA
Composta da pietrame di cava grossolanamente lavorato e posto in opera in strati pressoché regolari. Lo spessore minimo deve essere 50 cm.
Costituita come la precedente ma intercalata da fasce di conglomerato semplice o armato, o da ricorsi orizzontali costituiti da almeno due filari in laterizio pieno, posti a interasse non superiore a 1,6 m ed estesi a tutta la lunghezza e a tutto lo spessore del muro. Lo spessore minimo deve essere 40 cm.
Composta con pietre di geometria pressoché parallelepipeda poste in opera a strati regolari. Lo spessore minimo deve essere 24 cm.
S ≥ 50 cm Ammorsamento tra il pilastrino in laterizio e la muratura in pietrame
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
S ≥ 40 cm I ricorsi di mattoni realizzano superfici piane e legano la muratura
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
S ≥ 24 cm
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
RESISTENZA DELLA MURATURA Le proprietà fondamentali di una muratura sono la resistenza caratteristica a compressione fk e al taglio fvk. Il valore fk è dato dalla resistenza fbk del singolo elemento componente e dalla resistenza della malta (cfr. Malte). Il dimensionamento semplificato delle murature in elementi resistenti naturali, cioè con l’omissione dell’analisi strutturale e delle verifiche di sicurezza, è possibile previo accertamento delle caratteristiche meccaniche dei singoli elementi secondo le modalità specificate dalla norma. A tale proposito non sono ammessi tufi con resistenza a compressione del singolo elemento fbk < 20 kg/cm2 e per gli altri materiali si considera convenzionalmente fbk = 0,75 fbm , essendo fbm la media aritmetica della resistenza degli elementi che compongono il provino espressa in N/mm2 o kg/cm2. Il valore della resistenza caratteristica a compressione della muratura può essere dedotto dalla resistenza caratteristica a compressione degli elementi fbk e dalla classe di appartenenza della malta a condizione che i giunti orizzontali e verticali riempiti di malta abbiano spessore compreso tra 5 mm e 15 mm e siano presenti entrambi. Analogamente e per le stesse condizioni, la resistenza caratteristica al taglio della muratura si determina sperimentalmente su campioni di muri secondo le modalità stabilite dalla legge, ovvero è dedotta dalla formula fvk = fvko = 0,4 σ n , dove fvko è la resistenza caratteristica al taglio in assenza di carichi verticali e σn è la tensione normale media dovuta ai carichi verticali agenti nella sezione di verifica. I valori di fvko possono essere dedotti dalla resistenza caratteristica a compressione degli elementi fbk e dalla classe di appartenenza della malta. Le norme svizzere prescrivono per le murature in pietra da taglio l’impiego di malta di cemento o malta bastarda di cemento e calce idraulica. Nell’esecuzione della muratura è comunque necessario evitare i nidi di malta (cioè la concentrazione di eccessive quantità di malta), curare le ammorsature tra i muri e la corretta esecuzione di cordoli e incatenamenti. (cfr. sez. D.)
CO NTALE AMBIE
TAB. F.1.2./11 VALORE DELLA fk PER MURATURE IN PIETRA NATURALE SQUADRATA Resistenza caratteristica a compressione fbk dell’elemento N/mm2
kg/cm2
F.3. IONI IZ PART E N INTER
TIPO DI MALTA M1
M2
M3
M4
N/mm2
kg/cm2
N/mm2
kg/cm2
N/mm2
kg/cm2
N/mm2
kg/cm2
1,5
15
1,0
10
1,0
10
1,0
10
1,0
10
3,0
30
2,2
22
2,2
22
2,2
22
2,0
20
5,0
50
3,5
35
3,4
34
3,3
33
3,0
30
7,5
75
5,0
50
4,5
45
4,1
41
3,5
35
10,0
100
6,2
62
5,3
53
4,7
47
4,1
41
15,0
150
8,2
82
6,7
67
6,0
60
5,1
51
20,0
200
9,7
97
8,0
80
7,0
70
6,1
61
30,0
300
12,0
120
10,0
100
8,6
86
7,2
72
> 40,0
> 400
14,3
143
12,0
120
10,4
104
–
–
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
TAB. F.1.2./12 VALORE DI fvko PER MURATURE IN PIETRA NATURALE SQUADRATA Resistenza caratteristica a compressione fbk dell’elemento N/mm2
kg/cm2
fbk ≤ 3
fbk ≤ 30
fbk > 3
fbk > 30
fvko
TIPO DI MALTA
M1 M1 M4
M2 M2
M3 M3
M4
N/mm2
kg/cm2
0,1
1
0,2 0,1
2 1
legge, regola, principio, invariante. Ogni architetto, per diventare creativo, deve sottoporsi alla giocosa fatica di
. F.1.2TURE IN ENTI MURANTI RESIST ELEME ALI R NATU
F7
F.1. 2./3.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI MURATURE IN ELEMENTI RESISTENTI NATURALI ➦ TIPOLOGIE MURARIE IN ELEMENTI RESISTENTI NATURALI APPARECCHIATURE MURARIE E INCATENAMENTI In relazione alla disposizione dei conci la muratura in elementi resistenti naturali è definita:
FIG. F.1.2./1 TIPI DI APPARECCHIATURE MURARIE
• isodoma quando i blocchi parallelepipedi sono uguali e disposti in filari regolari sovrapposti a giunti sfalsati; • pseudoisodoma quando i blocchi hanno dimensioni differenti e i filari risultano di altezze disuguali; i conci si assestano su linee spezzate ma sempre su piani orizzontali; • diatona quando i blocchi occupano l’intero spessore del muro; • pseudodiatona quando un filare è costituito da conci diatoni e il successivo da blocchi affiancati nel senso della lunghezza.
FIG. F.1.2./2 STAFFE DI COLLEGAMENTO TRA I BLOCCHI LAPIDEI
I collegamenti tra i blocchi possono essere realizzati con perni di unione o staffe in metallo (bronzo o materiali autoprotetti non soggetti a ossidazione). Questi collegamenti vengono ubicati in appositi alloggiamenti scavati nella pietra. Una colata di piombo fuso blocca la staffa alla pietra
MURATURE IN ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI Gli elementi resistenti artificiali possono essere realizzati in: laterizio normale, laterizio alleggerito in pasta, calcestruzzo normale, calcestruzzo alleggerito. Gli elementi sono definiti di tipo comune se destinati a essere rivestiti. Quelli da paramento sono lasciati faccia a vista. La superficie in vista può essere diversamente trattata e presentarsi rigata, graffiata, splittata, sabbiata.
F = area complessiva dei fori passanti e non passanti; A = area lorda della faccia forata delimitata dal suo perimetro. Elementi pieni Elementi semipieni*
CARATTERISTICHE GEOMETRICHE DEGLI ELEMENTI Gli elementi con percentuale di foratura FIG. F.1.3./1 – SPESSORI MINIMI f > 55% non sono utilizzabili per murature portanti; per murature di tamponamento, >= 8 mm controparete o tramezzature il valore di f >= 10 mm può arrivare sino al 70%. Nella percentuale di foratura sono compresi i fori di presa, posti per agevolare da un punto di vista ergonomico la presa dell’elemento. Se la >= 10 mm faccia dell’elemento ha superficie compresa tra 300 e 580 cm2, è consentito un solo foro di presa di 35 cm2; se la superficie è supe>= 8 mm riore a 580 cm2, i fori possono essere due. In ordine alla posizione dei fori nell’elemenAREA MAX FORO DI PRESA: to, la legge prescrive distanze minime dai ELEMENTI ELEM ENTI PIENI <= 9 cmq bordi e tra i fori stessi; di particolare imporELEMENTI ELEM ENTI SEMIPIENI <= 12 cmq tanza per le tipologie faccia a vista è il riELEMENTI ELEM ENTI FORATI <= 15 cmq spetto della distanza tra l’ultima serie di fori e il bordo esterno del mattone, che deve essere di 15 mm, per gli elementi lisci, e di 13 mm, per quelli rigati, al netto della rigatura, in modo tale da evitare eventuali infiltrazioni di acqua meteorica all’interno del muro, possibili invece con spessori più ridotti.
Elementi forati**
φ ≤ 15%
f ≤ 9 cm2
S ≥ 12 cm
15% < φ ≤ 45%
f ≤ 12 cm2
S ≥ 20 cm
45 < φ ≤ 55%
f ≤15 cm2
S ≥ 25 cm
* Per la norma UNI 8942 sono denominati elementi “semipieni di tipo A”. ** Per la norma UNI 8942 sono denominati elementi “semipieni di tipo B” cui si aggiungono i forati con f > 55 %. S = minimo spessore consentito. Gli elementi in laterizio sono principalmente prodotti per estrusione o pressati; per ripristini o restauri possono essere ancora formati a mano. Hanno generalmente forma parallelepipeda e sono messi in opera per ricorsi orizzontali regolari e di spessore costante. La dimensione degli elementi varia notevolmente, in ordine all’impiego e alle tradizioni locali. La presenza di fori, passanti o profondi non passanti, o camere d’aria migliora le caratteristiche isolanti dell’elemento resistente e della muratura nel suo insieme. Maggiore è il numero di zone d’aria attraversate dal flusso termico migliore è la capacità coibente del materiale; i setti interni devono essere quindi sfalsati nella direzione del flusso termico. Nel caso di faccia a vista, caratteristiche fondamentali sono la non gelività, l’assenza di inclusioni calcaree, la regolarità delle superfici, l’uniformità cromatica, le tolleranze dimensionali (dell’ordine dell’1%), l’attitudine all’efflorescenza di grado leggero (verificabile dal fatto che in presenza di un’eventuale patina non uniforme sia comunque visibile il laterizio sottostante). L’impermeabilità non deve compromettere la permeabilità al vapore.
TIPOLOGIE DEGLI ELEMENTI L’UNI definisce il formato del mattone pieno in 5,5 x 12 x 25 cm e del doppio UNI in 12 x 12 x 25 cm. Distingue inoltre tra mattone e blocco, intendendo con il primo termine gli elementi con volume < di 5500 cm3 e con il secondo quelli con volume ≥ a 5500 cm3. Se l’elemento è destinato a essere messo in opera con i fori in direzione normale al piano di posa si definisce a foratura verticale, se in direzione parallela, si definisce a foratura orizzontale. Gli elementi con alta percentuale di foratura sono generalmente a fori orizzontali. La presenza dei fori influisce sul comportamento statico della muratura; gli elementi sono pertanto distinti (DM 20 novembre 1987) in relazione alla percentuale di foratura φ = 100 F/A e all’area media f della sezione normale di un foro, essendo:
F8
BLOCCHI E PEZZI SPECIALI I blocchi non sempre presentano dimensioni coordinate; la produzione attuale prevede l’impiego di blocchi a sistema a configurazione specifica, completi di pezzi speciali per la realizzazione di punti singolari della costruzione (angoli, mazzette, architravi); i blocchi sono inoltre predisposti per l’eventuale spaccatura, in modo da facilitare l’aggregazione. La maggiore resa, in termini di operabilità, nella costruzione della muratura si ha con blocchi di circa 15–20 dm3 equivalenti a un formato di 30 x 25 x 25 cm, oltre il quale la resa diminuisce. Un contributo alla capacità di isolamento termico deriva dalla presenza di dentature di incastro atte a eliminare il ponte termico costituto dalla malta nei giunti verticali e dalla possibilità di ridurre la larghezza dei letti di malta nei giunti orizzontali.
frantumare il proprio edificio riassemblandone le parti in modo da non riformare mai la scatola.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI MURATURE IN ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI
F.1. 3./4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.3./2 BLOCCHI E PEZZI SPECIALI
PEZZO SPECIALE D’ANGOLO D ANGOLO
FASCE PER LA MALTA
CAMERE D’ARIA D ARIA
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU SETTI
ELEMENTI A FORI ORIZZONTALI
ELEMENTI A FORI VERTICALI
S S
L
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
L PEZZO SPECIALE PER ARCHITRAVE
H H
12 x 25 x 19/24 cm
14,5 x 30 x 19/24 cm
25 x 30 x 19/24 cm
H = 12-20 cm S = 12-25 cm L = 25-30 cm
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
H = 20-30 cm S = 20-30 cm L = 30-50 cm
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ BLOCCO A INCASTRO 20 x 25 x 30 cm
PEZZO SPECIALE D’ANGOLO ANGOLO 20 x 30 x 50 cm
PEZZO SPECIALE PER LA CONFORMAZIONE DI MAZZETTE 24 x 24 x 30 cm
F.3. IONI IZ PART E N INTER FASCE DI MALTA
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE
LATERIZIO
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI Il laterizio è un materiale poroso che si ottiene dalla cottura dell’argilla a circa 800°C. L’argilla è una roccia sedimentaria sciolta di origine meccanica, con struttura fisica e chimica eterogenea. È composta da quantità variabili di silice, allumina, acqua, ferro, materiali alcalini o alcalino-ferrosi. Le impurità sono costituite dalla presenza di quarzo, gesso, salgemma, pirite, feldspati, mica ecc. Dopo la frantumazione delle zolle, la depurazione da elementi estranei e la bagnatura dell’impasto, il processo di produzione prevede: la formatura, che può avvenire per estrusione, per pressatura o a mano; l’essiccazione, attraverso cui viene sottratta acqua all’impasto; la cottura. Cuocendo argille quarzose naturali fino alla vetrificazione si ottiene il grès. La colorazione del prodotto finale dipende dal tipo di argilla o miscela di argille utilizzata; in particolare il rapporto tra gli ossidi di calcio e di ferro determina la variazione cromatica, che va dal giallo al rosso vivo; mattoni di colore rosso vivo si ottengono con materiali molto ricchi di ferro. Il laterizio alleggerito si ottiene
inserendo nell’impasto argilloso polistirolo, segatura, sansa di olive, materiali che non lasciano traccia di incombusti nel prodotto finito e non ne modificano il comportamento al fuoco. L’elemento presenta in questo caso degli alveoli vuoti non comunicanti tra loro, di diametro non superiore a 2,5 mm. Le cavità, oltre ad alleggerire l’elemento resistente, riducono la conduttività del materiale, migliorando le caratteristiche termoisolanti, senza compromettere, in proporzione, la resistenza meccanica. Una recente teconlogia costruttiva prevede la rettificazione dei blocchi. La rettifica è un’operazione meccanica d’elevata precisione, a seguito della quale le facce forate dei blocchi risultano perfettamente piane e parallele, garantendo quindi una perfetta ortogonalità rispetto alle facce laterali. Ciò consente l’impiego del collante cementizio in luogo della malta, in particolare nei letti orizzontali. Si ottiene così un risparmio dei tempi di messi in opera e dei costi, e la riduzione dello spessore dei giunti orizzontali, con un migliorameno dell’isolamento termico della muratura.
. F.1.2TURE IN ENTI MURANTI RESIST ELEME ALI R NATU . 3 F.1. TURE IN ENTI MURANTI RESIST ELEME IALI IC ARTIF . F.1.4IZIO LATER
F9
F.1. 4.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE LATERIZIO
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI La maggior parte della produzione attuale di laterizi utilizza un codice in cifre attraverso il quale si identifica il tipo di mattone o blocco, la posizione di giacitura in opera, la tecnologia di produzione: MP = mattone pieno MPR = mattone pieno da rivestimento MS(A) o BS(B) = mattone o blocco semipieno (di tipo A o di tipo B) MSR o BSR mattone o blocco semipieno per rivestimento
MF o BF = mattone o blocco forato MFR o BFR mattone o blocco forato per rivestimento 11 = mattone o blocco a fori verticali 00 = mattone o blocco a fori orizzontali 21 = estruso con massa normale
31 = estruso con massa alveolata 41 = pressato in pasta 51 = pressato in polvere 11 = formato a mano R = rettificato dopo il ciclo di produzione C = calibrato
FIG. F.1.4./1 NOMENCLATURA DEL MATTONE UNI E FRAZIONAMENTO DOPPIO UNI 12 x 25 x 12 cm
UNI 12 x 25 x 5,5 cm
PIATTO, FACCIA DI LETTO
Ad esempio, il blocco 45 UNI BSB 11-31 è un blocco di tipo B (in particolare con φ del 45%) con fori verticali, estruso e con massa alveolata.
TAB. F.1.4./1 DIMENSIONE DEI MATTONI PIENI (Φ ≤ 15%) IN ALCUNE REGIONI E CITTÀ ITALIANE Piemonte Lombardia Veneto Trentino Friuli V.G.
6 x 12 x 24 5,5 x 11,5 x 24
Arezzo
6 x 11 x 23 6 x 10,5 x 22,5
Ascoli Piceno
6 x 12,5 x 26 6 x 13 x 26 5,5 x 12 x 25
Liguria
6 x 12 x 24
Emilia Romagna
5,5 x 12 x 28 6 x 13 x 26 5,8 x 14 x 26
Toscana
5,5 x 12 x 25 6 x 13 x 26
Marche
6 x 13 x 26
Umbria Lazio
6 x 13 x 26 5,5 x 13 x 26
Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Alessandria
6 x 13 x 26 6 x 13 x 27
6 x 13 x 26
Bari
6 x 13 x 24
Bergamo
6 x 12 x 24 6 x 13 x 26 6 x 11 x 23
Bologna
Brescia
5,5 x 12 x 25 6 x 13 x 26 6 x 12 x 24
Cagliari
6 x 12 x 24
Catania
6 x 13 x 26 5 x 12 x 25 6 x 14 x 30
Catanzaro
6 x 13 x 26 5,5 x 12,8 x 26
6 x 13 x 26 6 x 14 x 30 5,5 x 12 x 25 6 x 12 x 24 6 x 11 x 23
Cosenza
6 x 12 x 24
Cremona
5,5 x 12 x 25 6 x 11 x 23
4 x 12 x 24 5,5 x 12 x 25 6 x 12 x 24
5,5 x 12 x 25 5,8 x 14 x 28,5
Brindisi
Como
6 x 13 x 26 5 x 12 x 26
6 x 13 x 26 5,5 x 13 x 26
Avellino
5 x 14 x 28 5,5 x 12,5 x 25,5
Abruzzo
6 x 12 x 24 6 x 12 x 26
Firenze
5 x 12 x 26
Foggia
6 x 13 x 28
Ancona
6 x 13 x 26
Genova
L’Aquila
6 x 13 x 26
Grosseto
5,5 x 12 x 24
Imperia
6 x 13 x 26 6 x 13 x 28
Latina
5,5 x 12 x 24
Lecce
5,8 x 13 x 26
Livorno
Mantova
Potenza
6 x 13 x 26
Ragusa
6 x 12 x 26
Ravenna
5,5 x 12 x 25 5,5 x 14 x 28
6 x 13 x 26 5,5 x 13 x 24
Reggio Calabria
6 x 13 x 26 6 x 14 x 30
6 x 13 x 26 5,5 x 12 x 25 6 x 12 x 24 6,5 x 13 x 26
Reggio Emilia
6 x 13 x 27
Roma
6 x 13 x 26
Salerno
6 x 13 x 26
Messina
6 x 13 x 26 5 x 12 x 25 6 x 14 x 30
Sassari
6 x 12 x 24
Savona
6 x 12 x 24
6 x 11 x 23
Napoli
6 x 13 x 26
Nuoro
5 x 12 x 25 6 x 12 x 25
Padova
6 x 12,5 x 26
Palermo
Siena
Pavia
6 x 12 x 24
Perugia
6 x 13 x 26
Pesaro
6 x 13 x 26
Pescara
6 x 13 x 26
6 x 13 x 26 5,5 x 14 x 28 5,5 x 10 x 27
Teramo
6 x 13 x 24
Torino
6 x 12 x 25
Trento
5,5 x 12 x 25 6 x 12 x 24 5,5 x 12 x 25 6 x 12 x 25
6 x 13 x 26 5 x 12 x 25 6 x 14 x 30 Trieste
5 x 12,5 x 26 6 x 12,5 x 26
Udine
5,5 x 12 x 25 6 x 12 x 25
Venezia
6 x 12,5 x 26
Piacenza
5,5 x 12 x 25
Verona
6 x 12 x 25
Pisa
5,5 x 12 x 25 6 x 13 x 24 5 x 12 x 26
Viterbo
6 x 13 x 26 6 x 14 x 28 4,5 x 13 x 26
6 x 14 x 28
FIG. F.1.4./2 GIACITURA DEL MATTONE UNI
DI PIATTO VERTICALE
DI PIATTO ORIZZONTALE
F 10
DI COLTELLO
DI COSTA
A SPINA O IN DIAGONALE
IN CHIAVE O DI TESTA
DI FASCIA
TESTA
MEZZO LUNGO
3,2 x 14 x 28 5,5 x 14 x 28 4 x 13,5 x 27
Matera
Milano
LISTA, FASCIA, COSTA
MEZZO 1/4 1/4
3/4 3/4
TRE QUARTI 3/4 3/4
1/4 1/4
BERNARDINO O QUARTINO
COMPORTAMENTO AL FUOCO Il comportamento al fuoco, viene valutato secondo due categorie: • la reazione al fuoco, intesa come grado di partecipazione di un materiale combustibile al fuoco al quale è sottoposto; • la resistenza al fuoco (REI), cioè l’attitudine di un materiale da costruzione, componente o struttura, a conservare secondo un programma termico stabilito e per un periodo determinato la stabilità (R), la tenuta (E), l’isolamento termico (I). La classe è espressa dalla sigla REI seguita da un numero che indica i minuti primi in cui tali caratteristiche sono conservate. Si hanno così pareti di classe REI 60, REI 90, REI 180. In linea generale tutte le pareti divisorie di locali a rischio di incendio devono essere realizzate con materiali REI 90 o 180. L’argilla, in merito al comportamento al fuoco, risponde ai requisiti richiesti dal decreto del Ministero degli Interni del 14 gennaio 1985; non presentando contributo all’incendio, ha classe di reazione al fuoco 0. Lo spessore della parete è un parametro che condiziona il comportamento al fuoco. I blocchi di laterizio di spessore 25 cm rientrano generalmente nella classe REI 180, la massima prevista in Italia.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI LATERIZIO
A.ZIONI
TIPI E CARATTERISTICHE DELLE MURATURE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. F.1.4./2 TIPI E CARATTERISTICHE DELLE MURATURE (dalla UNI 10355) CARATTERISTICHE
CARATTERISTICHE
MATTONE PIENO
B.STAZIONI DILEGIZLII MASSA DI SUPERFICIE (kg/mq)
RESISTENZA TERMICA
SPESSORE (mm)
MURATURA GIUNTI VERTICALI
FORATURA (tipo)
FORATURA (%)
SCHEMA DEL SINGOLO ELEMENTO E DELLA MURATURA
MASSA VOLUMICA (kg/mc)
ELEMENTO MASSA DI SUPERFICIE (kg/mq)
RESISTENZA TERMICA
SPESSORE (mm)
MURATURA GIUNTI VERTICALI
FORATURA (tipo)
FORATURA (%)
SCHEMA DEL SINGOLO ELEMENTO E DELLA MURATURA
MASSA VOLUMICA (kg/mc)
ELEMENTO
120 20
140
1800
0
–
CM GC
0,18
252 1800
21
V
CM GC
120
0,19
181
–
CM GC
280
0,36
D.GETTAZIONE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
60
0
E ESE ESSIONAL PROF
CO NTALE AMBIE
50
1800
C.RCIZIO
E.NTROLLO
250
140
I ED PRE NISM ORGA
PRO TTURALE STRU
MATTONE SEMIPIENO
280
F.1. 4.
G.ANISTICA
504 1800
21
V
CM GC
URB 250
0,37
379
50
60
1800
0
–
60
CM GC
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
425
0,54
765 120 20
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
250
1800 120 20
41
V
CM GC
120
0,24
140 F.3. IONI IZ PART E N INTER
120 20 250
1800
0
–
CM GC
120
0,15
216 1800
120 20
41
V
CM GC
250
0,47
297
50
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE
1800
0
–
CM GC
250
0,32
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
450
50
140 40 280
1800 50
0
–
CM GC
375
0,47
1800
30
V
CM GC
140
0,24
192
1800
30
V
CM GC
280
0,46
385
675
LEGENDA – V= fori verticali; O= fori orizzontali; P= fori passanti; PP= fori parzialmente passanti; NP= fori non passanti; CM= giunti verticali con malta; SM= giunti verticali senza malta; GC= giunti orizzontali continui; GI= giunti orizzontali interrotti per un terzo. La massa volumica è riferita al materiale che costituisce l’elemento; la massa superficiale è valutata escludendo gli intonaci e comprendendo la malta dei giunti di s= 12 mm; la resistenza termica unitaria è riferita alla Tm di 20°C.
60
60
➥
. F.1.4IZIO LATER
F 11
F.1. 4.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE LATERIZIO
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ TIPI E CARATTERISTICHE DELLE MURATURE ➦ TAB. F.1.4./2 TIPI E CARATTERISTICHE DELLE MURATURE (dalla UNI 10355) CARATTERISTICHE
CARATTERISTICHE
FORATURA (%)
FORATURA (tipo)
GIUNTI VERTICALI
SPESSORE (mm)
RESISTENZA TERMICA
MASSA DI SUPERFICIE (kg/mq)
MASSA DI SUPERFICIE (kg/mq)
RESISTENZA TERMICA
SPESSORE (mm)
SCHEMA DEL SINGOLO ELEMENTO E DELLA MURATURA
MURATURA
MASSA VOLUMICA (kg/mc)
ELEMENTO
MURATURA GIUNTI VERTICALI
FORATURA (tipo)
FORATURA (%)
SCHEMA DEL SINGOLO ELEMENTO E DELLA MURATURA
MASSA VOLUMICA (kg/mc)
ELEMENTO
1800
66
V
CM GI
370
1,06
248
1800
60
O
CM GI
200
0,61
153
1800
61
O
CM GI
250
0,77
187
1800
65
O
CM GI
300
0,86
206
➦ BLOCCO SEMIPIENO
BLOCCO SEMIPIENO
165 65 450
350
1400
250
41
V
CM GI
350
1,05
306 300
250
150
200
250 300
1400
44
V
CM GI
200
0,47
164
250
250
190 90 245 400 300
1400
44
V
250
SM GI
300
0,85
165 65
232
BLOCCO FORATO
250
250 300
250
1400 250
F 12
45
V
CM GI
300
0,89
241 250
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI LATERIZIO
F.1. 4. A.ZIONI
➦ BLOCCO FORATO
MASSA DI SUPERFICIE (kg/mq)
RESISTENZA TERMICA
MURATURA GIUNTI VERTICALI
FORATURA (tipo)
FORATURA (%)
SCHEMA DEL SINGOLO ELEMENTO E DELLA MURATURA
MASSA VOLUMICA (kg/mc)
ELEMENTO MASSA DI SUPERFICIE (kg/mq)
RESISTENZA TERMICA
SPESSORE (mm)
GIUNTI VERTICALI
FORATURA (tipo)
FORATURA (%)
MASSA VOLUMICA (kg/mc)
SCHEMA DEL SINGOLO ELEMENTO E DELLA MURATURA
CARATTERISTICHE
MURATURA
SPESSORE (mm)
CARATTERISTICHE ELEMENTO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
➦ BLOCCO FORATO
PRO TTURALE STRU 250
250
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
370
300
1400
54
V
250
CM GI
300
0,94
208
1400
250
41
V
CM GI
350
1,05
306
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
200
200 250
250
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
250
1800
60
V
CM GI
200
0,60
153
1400
44
V
CM GI
200
0,47
164 F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
250
F.3. IONI IZ PART E N INTER
250
250
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
250 250
250
1800
61
V
250
CM GI
250
0,77
187
1400
44
V
SM GI
300
0,85
232
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
250
250
300 300 250
1800 250
65
V
CM GI
300
0,86
206
1400
45
V
CM GI
300
0,89
241
➥
. F.1.4IZIO LATER
F 13
F.1. 4.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE LATERIZIO
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ TIPI E CARATTERISTICHE DELLE MURATURE ➦ TAB. F.1.4./2 TIPI E CARATTERISTICHE DELLE MURATURE (dalla UNI 10355) CARATTERISTICHE
CARATTERISTICHE
FORATURA (%)
FORATURA (tipo)
GIUNTI VERTICALI
SPESSORE (mm)
RESISTENZA TERMICA
MASSA DI SUPERFICIE (kg/mq)
➦ BLOCCO FORATO
SCHEMA DEL SINGOLO ELEMENTO E DELLA MURATURA
MURATURA
MASSA VOLUMICA (kg/mc)
ELEMENTO MASSA DI SUPERFICIE (kg/mq)
RESISTENZA TERMICA
SPESSORE (mm)
MURATURA GIUNTI VERTICALI
FORATURA (tipo)
FORATURA (%)
SCHEMA DEL SINGOLO ELEMENTO E DELLA MURATURA
MASSA VOLUMICA (kg/mc)
ELEMENTO
1800
60
O
CM GI
150
0,45
114
1800
56
O
CM GC
40
0,11
34
1800
67
O
CM GC
60
0,13
40
➦ MATTONE FORATO
150 50
250
250
250 370
250
1800
66
O
CM GI
370
1,07
248
MATTONE FORATO
TAVELLONI
250
250 1200 200 80
40
250
1800
63
O
CM GC
80
0,20
62
250
250 1200 200 100 00
250
60
1800
62
O
CM GC
100
0,27
78
1800
66
O
CM GC
120
0,31
86
250
250
120 20
F 14
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI CALCESTRUZZO
A.ZIONI
ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI – TIPI E CARATTERISTICHE DELLE MURATURE Il calcestruzzo è una miscela di tre componenti fondamentali: il cemento, che costituisce il legante, l’acqua, che idrata il cemento conferendo all’impasto caratteristiche di lavorabilità e plasticità, gli inerti o aggregati che, per il calcestruzzo ordinario, sono di origine naturale (sabbia, ghiaia o pietrisco) e costituiscono lo scheletro dell’impasto. La normativa di riferimento per il calcestruzzo, gli aggregati e i prodotti di calcestruzzo è inserita nel raggruppamento UNI 91.100.30. Gli inerti, di granulometria opportunamente assortita, devono essere bene avvolti dalla pasta di cemento e ben distribuiti. L’impiego di additivi (agenti acceleranti, ritardanti, fluidificanti plastificanti, aeranti, impermeabilizzanti) migliora la lavorabilità dell’impasto e le prestazioni del prodotto indurito, la cui resistenza dipende dal rapporto acqua/cemento, dalla qualità e dalle caratteristiche meccaniche e geometriche degli inerti, dalla modalità di mescolamento, messa in opera e compattazione. Analogamente ai laterizi, gli elementi resistenti in calcestruzzo sono divisi in base alla percentuale di foratura; ma a differenza dei primi, la distanza minima tra un foro e il perimetro esterno, al netto dell’eventuale rigatura, e tra due fori non potrà essere < 18 mm. Gli elementi sono prodotti per vibrocompressione o stampaggio e i fori risultano leggermente svasati per facilitare l’uscita dallo stampo. I blocchi, più diffusi dei mattoni,
F.1. 5.
sono idonei all’impiego in zona sismica. La gamma geometrica e dimensionale e le modalità di messa in opera sono analoghe ai laterizi; per gli elementi faccia a vista la gamma cromatica è particolarmente varia. Il buon comportamento al fuoco (cfr. pag. F10) del calcestruzzo lo rende adatto alla realizzazione di murature tagliafuoco. La resistenza al fuoco dei blocchi può raggiungere, per spessori di 25 cm, la classe REI 240. I blocchi in calcestruzzo sono definiti pesanti se la densità del materiale è dell’ordine di 2000 kg/mc e sono impiegati soprattutto ove occorre un’elevata resistenza meccanica; sono alleggeriti quando la densità è compresa tra 450 e 1400 kg/mc; densità di 800–1000 kg/mc risultano ottimali e presentano buone caratteristiche isolanti. Il calcestruzzo alleggerito (UNI 7548) impiega come inerti il polistirolo l’argilla espansa, la pomice, il gesso, trucioli o cascami di legno, le fibre vegetali, il magnesio, l’alluminio. Il calcestruzzo cellulare gassificato è un materiale molto leggero, 450 kg/mc, facilmente lavorabile; è ottenuto con impasto di sabbia e carbonato di calcio miscelato in acqua con polvere di alluminio; la polvere sviluppa gas espandendo il volume della miscela iniziale. Per l’assemblaggio dei blocchi in calcestruzzo cellulare gassificato si impiega malta collante con giunti di spessore di circa 1 mm.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
TAB. F.1.5./1 ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI IN CALCESTRUZZO ALLEGGERITO CON AGGREGATI DI ARGILLA ESPANSA (dalla UNI 10355)
ICHE TECN MA ONENTI, P COM MASSA DI SUPERFICIE (kg/mq)
RESISTENZA TERMICA
SPESSORE (mm)
MURATURA GIUNTI VERTICALI
FORATURA (tipo)
FORATURA (%)
MASSA DI SUPERFICIE (kg/mq)
RESISTENZA TERMICA
SPESSORE (mm)
SCHEMA DEL SINGOLO ELEMENTO E DELLA MURATURA
MASSA VOLUMICA (kg/mc)
ELEMENTO
MURATURA GIUNTI VERTICALI
FORATURA (tipo)
FORATURA (%)
SCHEMA DEL SINGOLO ELEMENTO E DELLA MURATURA
MASSA VOLUMICA (kg/mc)
ELEMENTO
F. TERIALI,
CARATTERISTICHE
CARATTERISTICHE
45
75
488
URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
➦ BLOCCHI PIENI
BLOCCHI PIENI
G.ANISTICA
495
650
–
–
195 95
CM GC
45
0,18
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
14 650
–
–
CM GC
75
0,28
58 F.3. IONI IZ PART E N INTER
195 95
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
88 488 117
650
195 95
–
–
CM GC
88
0,34
14
495
F.5. I D ARRE
650
–
–
CM GC
117
0,44
13
650
8
P
SM GI
195
0,76
123
195 95
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
138 38 488
195 95
650
–
–
CM GC
138
0,54
102 195 95 500
LEGENDA – V= fori verticali; O= fori orizzontali; P= fori passanti; PP= fori parzialmente passanti; NP= fori non passanti; CM= giunti verticali con malta; SM= giunti verticali senza malta; GC= giunti orizzontali continui; GI= giunti orizzontali interrotti per un terzo. La massa volumica è riferita al materiale che costituisce l’elemento; la massa superficiale è valutata escludendo gli intonaci e comprendendo la malta dei giunti di s= 12 mm; la resistenza termica unitaria è riferita alla Tm di 20°C.
195 95
. F.1.4IZIO LATER
➥
. F.1.5STRUZZO E CALC
F 15
F.1. 5.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE CALCESTRUZZO
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI – TIPI E CARATTERISTICHE DELLE MURATURE ➦ TAB. F.1.5./1 ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI IN CALCESTRUZZO ALLEGGERITO CON AGGREGATI DI ARGILLA ESPANSA (dalla UNI 10355) CARATTERISTICHE
CARATTERISTICHE
FORATURA (%)
FORATURA (tipo)
GIUNTI VERTICALI
SPESSORE (mm)
RESISTENZA TERMICA
MASSA DI SUPERFICIE (kg/mq)
➦ BLOCCHI PIENI
SCHEMA DEL SINGOLO ELEMENTO E DELLA MURATURA
MURATURA
MASSA VOLUMICA (kg/mc)
ELEMENTO MASSA DI SUPERFICIE (kg/mq)
RESISTENZA TERMICA
SPESSORE (mm)
MURATURA GIUNTI VERTICALI
FORATURA (tipo)
FORATURA (%)
SCHEMA DEL SINGOLO ELEMENTO E DELLA MURATURA
MASSA VOLUMICA (kg/mc)
ELEMENTO
900
30
P
CM GC
141
0,45
102
700
41
P
CM GI
195
0,69
99
700
47
PP
CM GI
245
0,76
114
700
49
PP
CM GI
295
0,84
132
➦ BLOCCHI SEMIPIENI 141
245 490 500
650
7
P
SM GI
245
0,95
157
195 95
195
195
295 490 500
650
6
P
SM GI
295
1,15
191
195 95
195 95
BLOCCHI SEMIPIENI
BLOCCHI FORATI
75 245 490 490
700
30
P
CM GC
75
0,26
48 195
195
120 20 295 488 490
700 195
F 16
35
P
CM GC
120
0,43
68 195
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI CALCESTRUZZO
F.1. 5. A.ZIONI
MASSA DI SUPERFICIE (kg/mq)
RESISTENZA TERMICA
MURATURA GIUNTI VERTICALI
FORATURA (tipo)
FORATURA (%)
SCHEMA DEL SINGOLO ELEMENTO E DELLA MURATURA
MASSA VOLUMICA (kg/mc)
ELEMENTO MASSA DI SUPERFICIE (kg/mq)
RESISTENZA TERMICA
SPESSORE (mm)
GIUNTI VERTICALI
FORATURA (tipo)
FORATURA (%)
MASSA VOLUMICA (kg/mc)
SCHEMA DEL SINGOLO ELEMENTO E DELLA MURATURA
CARATTERISTICHE
MURATURA
SPESSORE (mm)
CARATTERISTICHE ELEMENTO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
➦ BLOCCHI SEMIPIENI
BLOCCHI SEMIPIENI
B.STAZIONI DILEGIZLII
PRO TTURALE STRU 250
320
E.NTROLLO
500
CO NTALE AMBIE
500
700
24
PP
SM GI
250
0,97
143
700
41
PP
SM GI
320
1,27
146
195 95
195 95
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB SCHIUMA SINTETICA UREICA 30 kg/mc
245
140 40 495
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
490
700
32
PP
SM GI
245
1,03
128
900
195 95
41
PP
SM GC
140
0,91
86 F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
195 95
F.3. IONI IZ PART E N INTER SCHIUMA SINTETICA UREICA 30 kg/mc
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
295 195 95
490
700
44
PP
CM GI
490
295
1,05
140
195 95
900
43
P
CM GI
195
1,22
116
195 95
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
SCHIUMA SINTETICA UREICA 30 kg/mc 300 295 495 500
700 195 95
40
PP
SM GI
300
1,08
66
900
40
P
SM GI
295
1,91
174
195 95
➥
. F.1.5STRUZZO E CALC
F 17
F.1. 5.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE CALCESTRUZZO
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI – TIPI E CARATTERISTICHE DELLE MURATURE ➦ TAB. F.1.5/1 ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI IN CALCESTRUZZO ALLEGGERITO CON AGGREGATI DI ARGILLA ESPANSA (dalla UNI 10355) CARATTERISTICHE
CARATTERISTICHE
FORATURA (%)
FORATURA (tipo)
GIUNTI VERTICALI
SPESSORE (mm)
RESISTENZA TERMICA
MASSA DI SUPERFICIE (kg/mq)
SCHEMA DEL SINGOLO ELEMENTO E DELLA MURATURA
MURATURA
MASSA VOLUMICA (kg/mc)
ELEMENTO MASSA DI SUPERFICIE (kg/mq)
RESISTENZA TERMICA
SPESSORE (mm)
MURATURA GIUNTI VERTICALI
FORATURA (tipo)
FORATURA (%)
SCHEMA DEL SINGOLO ELEMENTO E DELLA MURATURA
MASSA VOLUMICA (kg/mc)
ELEMENTO
700
23
PP
SM GC
245
1,09
142
700
23
PP
SM GI
345
1,53
199
900
18
P
CM GI
300
0,98
232
900
18
P
CM GI
450
1,45
350
➦ BLOCCHI SEMIPIENI
➦ BLOCCHI SEMIPIENI SCHIUMA SINTETICA UREICA 30 kg/mc
295 295 495 500
900
40
P
SM GI
295
1,69
172 195 95
195 95
295
345
495
495
700
24
PP
SM GI
295
1,20
169 195 95
195 95
BLOCCHI FORATI 295 300
450
700
17
P
SM GI
295
1,08
450
182
195 95
195 95
245 495
700 195 95
F 18
23
PP
SM GI
245
1,09
142
195 95
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI SISTEMI E PRODOTTI
A.ZIONI
ELEMENTI RESISTENTI IN LATERIZIO E CALCESTRUZZO LATERIZIO ALVEOLATO
BLOCCO PER MURATURA ARMATA
Comprende laterizi speciali a elevato isolamento termico; le categorie sono definite dalla percentuale di foratura degli elementi: 45, 50, 55, 60. Alle diverse percentuali corrispondono determinate caratteristiche di resistenza e le qualità termoisolanti rimangono sostanzialmente uniformi. Gli elementi sono quindi adatti per murature portanti monostrato o pluristrato, in zone normali o sismiche di qualsiasi grado.
Blocchi a foratura verticale in laterizio alleggerito di grande formato per muratura monostrato normale o armata. Gli elementi per muratura armata sono dotati di particolare conformazione per l’alloggiamento dell’armatura. Sono idonei all’impiego in zona sismica.
Dati tecnici indicativi di un elemento di classe 45: • Dimensioni: 19 x 30 x 50 cm • Peso medio: 23 kg/cad • Foratura: 45% F • Trasmittanza termica per murature di 30 cm con intonaco civile su entrambe le facce: 0,76 W/m2 K • Isolamento acustico (500 Hz) (spessore 30 cm): 45 db • Resistenza a compressione verticale del blocco: 120 kg/cm2 • Resistenza a compressione verticale della muratura con malta M3: 55 kg/cm2
LATERIZIO ALLEGGERITO Costituito da argilla e perlite, è un prodotto minerale a basso peso specifico ricavato dall’espansione, a seguito di trattamento termico di una roccia d’origine vulcanica simile all’argilla. A differenza dei laterizi alveolati, la struttura è compatta senza cavità e fori superficiali. Adatto per murature portanti.
F.1. 6.
Dati tecnici indicativi: • Dimensioni: 25 x 30 x 30 cm • Peso medio: 8 ~ kg/cad • Foratura: ≤ 45% • Trasmittanza termica per murature di 30 cm con intonaco di 1 cm su entrambe le facce: 0,67 W/m2 K • Isolamento acustico (500 Hz) (spessore 30 cm):
44–48 db • Resistenza a compressione verticale del blocco: 80 > kg/cm2 • Resistenza a compressione verticale della muratura (Tab. A DM 30 novembre 1987): 50 kg/cm2
BLOCCO IN CALCESTRUZZO ALLEGGERITO Blocco alleggerito con inerti di argilla espansa. Dati tecnici indicativi: • Dimensioni: 20 x 19,5 x 50 cm • Peso del blocco: 10 kg • Trasmittanza termica: 0,85 W/m2 K • Isolamento acustico (500 Hz) spessore 30 cm:
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
48,5 db Dati tecnici indicativi di un elemento di classe 45: • Dimensioni: 19 x 25 x 30 cm • Peso medio: 11,7 kg/cad • Foratura: 45% • Trasmittanza termica per murature di cm 30 con intonaco civile su entrambe le facce: 0,90 W/m2 K • Resistenza a compressione verticale del blocco: 260 kg/cm2 • Resistenza a compressione verticale della muratura (Tab. A DM 30 novembre 1987):
80 kg/cm2 BLOCCO A INCASTRO Laterizio alleggerito con aggregazione a incastro in modo da consentire pareti di spessore di 30 cm. Gli elementi base sono corredati dal semiblocco e da elementi speciali a spacco facilitato, per lo sfalsamento dei giunti verticali e per la realizzazione di angoli incroci mazzette. Dati tecnici indicativi di un elemento di classe 55: • Dimensioni: 19 x 22,5 x 30 cm • Peso medio: 11 kg/cad • Foratura: 55% • Isolamento acustico (500 Hz): 46 db • Trasmittanza termica per murature di cm 30 senza intonaco: 0,63 W/m2 K • Resistenza a compressione verticale del blocco: 90 kg/cm2 • Resistenza a compressione verticale della muratura (Tab. A DM 30 novembre 1987):
36
kg/cm2
• Resistenza a compressione verticale del blocco:
35 kg/cm2 • Resistenza al fuoco: 240 REI
BLOCCO IN CALCESTRUZZO CELLULARE È costituito da calcestruzzo cellulare espanso prodotto in autoclave. I componenti essenziali sono la sabbia ad alto tenore di silice, il cemento, la calce e l’alluminio con funzione espandente. A seguito della reazione chimica con la calce, l’alluminio si espande producendo gas idrogeno che provoca la porosità interna del materiale. Gli elementi sono facilmente sezionabili in cantiere con sega a disco o a nastro; con l’impiego di appropriata strumentazione la realizzazione di tracce risulta semplificata. Dati tecnici indicativi: • Dimensioni: 25 x 25 x 25 cm • Peso del blocco: 18 kg • Trasmittanza termica di parete con intonaco: 0,45–0,47 W/m2 K • Isolamento acustico (500 Hz) (parete intonacata): 49 db • Resistenza a compressione verticale del blocco: 380 kg/cm2 • Resistenza a compressione verticale della muratura (Tab. A DM 30 novembre 1987): 21,8 kg/cm2 • Resistenza al fuoco: 180 REI
BLOCCO RETTIFICATO IN LATERIZIO PER TAMPONAMENTI
BLOCCO CASSERO IN LEGNO-CEMENTO
Blocco in laterizio, a fori verticali, dalla speciale struttura a nido d’ape che, grazie al disegno della foratura e al ridotto spessore dei setti, che non superano 3 mm, consente buone prestazioni termiche e acustiche. La rettifica consente una assoluta precisione nella geometria del blocco, con facce di posa piane e parallele. È previsto quindi l’impiego di collante cementizio per i giunti orizzontali (spessore 3 mm) e la posa a incastro per i giunti verticali, con un notevole risparmio di tempi di posa e dei costi, e con la riduzione dei ponti termici.
Il legno di abete rosso è macinato e mineralizzato con il cemento, ottenendo una struttura porosa. I blocchi non sono propriamente elementi resistenti ma costituiscono la cassaforma a perdere del successivo getto di calcestruzzo. Sono posati a secco e il loro impiego è idoneo alla realizzazione di muratura portante. È previsto l’inserimento nei fori di uno strato di polistirolo di spessore da 2 a 5 cm.
Dati tecnici indicativi: • Dimensioni: 30 x 25 x 25 cm • Trasmittanza termica: 0,39 W/m2 K • Isolamento acustico: 48 db • Resistenza al fuoco: 180 REI
Dati tecnici indicativi: • Dimensioni: 25 x 30 x 50 cm • Peso dei blocchi: 74 kg/m2 • Peso muratura con calcestruzzo: 327 kg/m2 • Isolamento acustico (500 Hz): 52 db • Resistenza al fuoco: 180 REI
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
. F.1.5STRUZZO E CALC . OTTI F.1.6 I E PROD M SISTE
F 19
F.1. 7.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE MALTE
•
La malta è un impasto formato da legante, inerte e acqua nelle giuste proporzioni; indurisce in un tempo più o meno lungo e nel passaggio dallo stato semifluido allo stato solido l’impasto è soggetto al fenomeno del ritiro. La malta è impiegata per preparare gli intonaci, per collegare elementi resistenti e distribuire uniformemente le sollecitazioni cui la muratura è sottoposta. La mescola si presenta fresca, di consistenza adatta all’uso e, a indurimento avvenuto, offre determinati valori di resistenza.
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
L’acqua per il confezionamento della malta deve essere limpida, senza impurità nocive, sostanze organiche o grassi, non deve essere aggressiva né contenere solfati o cloruri in percentuale dannosa. L’acqua potabile è adatta; è da evitare l’acqua del mare. Le caratteristiche delle malte e dei loro componenti sono definiti dal DM 20 novembre 1987. Le malte si distinguono, in relazione alla principale caratteristica del legante impiegato, in malte aeree e malte idrauliche: le prime fanno presa solo in presenza di aria, le seconde anche in presenza di acqua.
LEGANTI I leganti sono materiali che, in seguito a reazione chimica o trasformazione fisica, provocano la coesione di particelle altrimenti incoerenti (cfr. sez D: Progettazione strutturale). I leganti impiegati per il confezionamento della malta possono essere aerei o idraulici. I primi fanno presa solo all’aria, i secondi fanno presa anche nell’acqua. I leganti aerei sono: la calce aerea e il gesso.
I leganti idraulici sono: la calce idraulica, l’agglomerante cementizio, il cemento. Per essere adatti all’impiego, i leganti devono possedere le caratteristiche tecniche e i requisiti previsti dalle norme vigenti (RRDD 16 novembre 1939 n. 2231-2230, legge 26 maggio 1965 n.595, DM 14 gennaio 1966 DM, 3 giugno 1968, DM 31 agosto 1972 e successive modifiche o integrazioni).
TAB. F.1.7./1 LEGANTI AEREI E IDRAULICI LEGANTE
TIPO
MATERIE PRIME
PREPARAZIONE
COMMERCIALIZZATO
MESSO IN OPERA COME:
Gesso
aereo
pietra da gesso
cottura da 150°C a 800°C a seconda del processo
in polvere
pasta e malta
Calce aerea
aereo
calcare puro
cottura a 850–900°C
in zolle se viva, in polvere se spenta; come grassello
malta
Calci idrauliche Calci eminentemente idrauliche Calce pozzolanica
idraulico
calcare + argilla
cottura a 900–1000°C
in polvere
malta
idraulico
calce spenta + pozzolana
nessuna cottura; macinazione
macinato finemente
pasta e malta
Calce siderurgica
idraulico
calce spenta + scoria basica granulata nessuna cottura; macinazione
macinato finemente
pasta e malta
Cemento portland
idraulico
calcare + argilla
cottura a incipiente scorificazione macinato finemente
pasta, malta e calcestruzzo
Cemento portland ferrico
idraulico
calcare + argilla + cenere di pirite
cottura a incipiente scorificazione macinato finemente
pasta, malta e calcestruzzo
Cemento portland bianco
idraulico
calcare + caolino
cottura a incipiente scorificazione macinato finemente
pasta, malta e calcestruzzo
Cemento pozzolanico
idraulico
clinker di Portland + pozzolana
nessuna cottura macinazione
macinato finemente
pasta, malta e calcestruzzo
Cemento d’altoforno
idraulico
clinker di basica granulata
nessuna cottura macinazione
macinato finemente
pasta, malta e calcestruzzo
Cemento alluminoso o fuso
idraulico
calcare + bauxite
cottura a 1600–1700°C
macinato finemente
pasta, malta e calcestruzzo
Agglomerante cementizio
idraulico
clinker di Portland + inerte
nessuna cottura; macinazione
macinato finemente
pasta e malta
CALCE La calce deriva dalla cottura o calcinazione di calcari. Il principale costituente è l’ossido di calcio. La calce aerea proviene dalla cottura a 850–900°C di calcari puri; si ottiene la calce viva, che si presenta sotto forma di zolle grigie e bianche; a contatto con l’aria si trasforma in massa polverulenta, ovvero sfiorisce. È anidra e fortemente igroscopica. La calce viva deve essere estinta, o spenta, mediante idratazione con acqua pura, accuratamente dosata. A idratazione avvenuta si ottiene il latte di calce, di consistenza liquida, costituito da idrato di calce e particelle di ossido di calce in sospensione. Il latte di calce è impiegato per tinteggiare e per la disinfezione. La completa idratazione delle particelle di ossido di calce, a seguito di stagionatura in vasche di contenimento, dà luogo al grassello, o calce dolce, una pasta morbida di colore bianco, utilizzata come legante. Il volume di grassello prodotto è circa 3 volte superiore a quello della calce viva. La resa in grassello (mc/t) è il rapporto tra il volume di grassello ottenuto e il peso della calce viva di partenza. La calce si dice grassa quando proviene da calcari puri; si idrata rapidamente ed è facilmente lavorabile; la resa in grassello è superiore a 2,5. La calce si dice magra quando proviene da calcari meno puri e mal cotti; il rendimento è compreso tra 2,5 e 1,5, è meno idratabile e meno plastica della precedente.
Al suo posto si impiega la calce idrata in polvere, o idrato di calcio secco, cioè la calce spenta con procedimenti industriali; è commercializzata in sacchi ed è pronta all’uso con un evidente vantaggio economico e tecnico; inoltre la calce idrata in polvere è meno geliva e più resistente della calce grassa. Anche il grassello e le zolle di preparazione industriale sono pronti all’uso. La calce idraulica deriva dalla cottura a 900–1000°C di calcari marnosi naturali contenenti silice, allumina e ossido ferrico. Si ottiene anche dalla cottura di impasti di calcare e materie argillose. L’indice di idraulicità, cioè la capacità di far presa sott’acqua, è il rapporto tra le percentuali di argilla e di ossido di calcio presenti nel legante. Tale indice, direttamente proporzionale al contenuto di argilla, determina la differenza tra la calce idraulica, con resistenza a compressione dopo 28 giorni non inferiore a 15 kg/cmq, e la calce eminentemente idraulica, con resistenza a
compressione dopo 28 giorni non inferiore a 30 kg/cmq. Secondo il tempo di presa, le calci sono distinte in: debolmente idraulica mediamente idraulica idraulica propriamente detta eminentemente idraulica
tempo di presa: 15-30 giorni tempo di presa: 10-15 giorni tempo di presa: 5-10 giorni tempo di presa: 2-4 giorni
Altri tipi di calce sono: la calce idraulica naturale in zolle, che deriva dalla cottura di particolari calcari argillosi che ne consentono un facile spegnimento; la calce idraulica artificiale siderurgica, anch’essa in polvere, che si ottiene dalla macinazione di loppa basica d’altoforno, cioè scorie derivate dalla produzione della ghisa, e di calce aerea idrata; la calce idraulica artificiale pozzolanica, cioè una miscela di pozzolana naturale o artificiale e calce idrata. Le calci suddette, naturali o artificiali, si presentano in polvere.
TAB. F.1.7./3 PROCESSO DI FORMAZIONE DELLA CALCE AEREA CALCE AEREA (da calcari puri) + acqua = CALCARI + cottura a 850–900°C =
CALCE VIVA
CALCE SPENTA
+ acqua in quantità maggiore GRASSELLO di quella necessaria = + spegnimento industriale = CALCE IDRATA IN POLVERE O IDRATO DI CALCIO SECCO
TAB. F.1.7./2 RESA IN GRASSELLO TAB. F.1.7./4 PROCESSO DI FORMAZIONE DELLA CALCE IDRAULICA CALCE VIVA IN ZOLLE
MC DI ACQUA
MC DI GRASSELLO
Grassa kg 450–550
1,70
1
Magra kg 550–650
1,30
1
Il grassello, a contatto con l’anidride carbonica dell’aria libera acqua e dà avvio al processo di presa, attraverso la carbonatazione della calce. La calce viva in zolle non è quasi più reperibile in commercio.
F 20
CALCE IDRAULICA (da calcari marnosi naturali contenenti silice, allumina, ossido di ferro) CALCARI MARNOSI
+ cottura a 900–1000°C =
CALCE IDRAULICA
CALCARI ARGILLOSI
+ cottura =
CALCE IDRAULICA NATURALE IN ZOLLE
LOPPA BASICA DI ALTOFORNO
+ macinazione
+ CALCE IDRATA=
CALCE IDRAULICA ARTIFICIALE SIDERURGICA
POZZOLANA (naturale o artificiale)
+ macinazione
+ CALCE IDRATA=
CALCE IDRAULICA ARTIFICIALE POZZOLANICA
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI MALTE
F.1. 7. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
GESSO molto fina è impiegata per gli stucchi. Il gesso d’opera o per muratura deriva dalla cottura a temperature sino a 200–250°C. La macinazione è grossolana, la presa è rapida. Il gesso allumato deriva dalla cottura a 1000°C del gesso puro misto ad allume. Il gesso è impiegato per intonaci duri e in ambienti non umidi. Mescolato con polvere di calcare e pigmenti è
Il gesso è un legante aereo; è il prodotto della cottura di minerali contenenti solfato di calcio bi-idrato. La diversa temperatura di cottura e la successiva macinazione ne determinano le caratteristiche e l’impiego. La scagliola deriva dalla cottura a temperatura inferiore a 160°C; una macinazione grossolana è sufficiente per il confezionamento di malte per intonaco, la macinazione
AGGLOMERANTE CEMENTIZIO
TAB. F.1.7./5 PROPRIETÀ DEI GESSI COMMERCIALI FINEZZA DI MACINAZIONE
Tempo minimo di presa (minuti)
Resistenza a trazione minima (kg/cm2)
Resistenza a flessione minima (kg/cm2)
Resistenza a compressione minima (kg/cm2)
85
15
20
30
40
70
50
7
8
20
50
Allumato
90
80
20
12
30
70
Da pavimenti
90
80
40
–
–
–
Passante al setaccio da 0,2 mm (% minima)
Passante al setaccio da 0,09 mm (% minima)
Scagliola
95
Da muratura
impiegato per il marmorino, un’imitazione del marmo, e può essere lucidato. Il gesso può essere integrato da ritardatori di presa, ad esempio solfato di zinco o calce, da colla che ne aumenta l’aderenza e da pigmenti, per dare colore. Il gesso, che fa presa in alcuni minuti, e la scagliola sono impiegati essenzialmente per realizzare malte per intonaco interno.
Con il termine di agglomerante cementizio si intende un legante idraulico chimicamente diverso dal cemento e con inferiori caratteristiche di resistenza. Integrando il prodotto con additivi plastificanti si ottiene l’agglomerante cementizio plastico, caratterizzato, analogamente alla calce, da una migliore lavorabilità.
Il cemento portland, naturale o artificiale in relazione al tipo di clinker presente nel composto, prevede l’impiego di gesso o anidride per regolarne la presa. È un cemento poco resistente alle acque marine e agli agenti chimici a base solfatica che determinano la formazione di un sale, l’ettringite, causa di rigonfiamenti, sino al 230% del volume, e disgregazione della massa. Aggiungendo all’impasto l’ossido ferrico si ottiene un altro tipo di portland, il cemento ferrico, molto resistente ai solfati. Il cemento bianco è un tipo di cemento portland in cui le materie prime sono a basso contenuto di ferro; è utilizzato per ragioni estetiche; aggiungendo al cemento bianco pigmenti inorganici di diversi colori si ottengono i cementi colorati. Il cemento pozzolanico è composto di clinker e pozzolana, o altro materiale dotato di una buona attività pozzolanica, cioè la capacità di reagire, a temperatura ambiente e in presenza di acqua, con la calce o idrato di calcio, al fine di costituire un composto stabile con proprietà leganti e caratteristiche idrauliche. A una minore resistenza iniziale, rispetto al cemento portland, nel cemento pozzolanico seguono, a stagiona-
Il componente fondamentale del cemento è il clinker che viene miscelato oltre che con il gesso, con alluminio, ferro, pozzolana, dando luogo a prodotti con caratteristiche diverse. Il clinker si ottiene dalla cottura a 1400°C di miscele di carbonato di calcio, silice, allumina e piccole percentuali di ossido di ferro e magnesio. Dopo la cottura i composti sono dotati di proprietà idrauliche. Il clinker artificiale è ottenuto da miscele di calcari, argilla e marne. Dalla successiva macinazione e integrazione con additivi specifici si ottengono cementi di tipo diverso, distinti dalle norme in cemento portland, cemento pozzolanico, cemento d’altoforno, cemento alluminoso.
TAB. F.1.7./6 VALORI MINIMI DI RESISTENZA MECCANICA (kg/cm2) PER I DIVERSI TIPI DI CEMENTI – Resistenza a flessione (F) e a compressione (C) – Tempi di presa secondo il DPR 3 giugno 1968 CEMENTO PORTLAND (o pozzolanico d’altoforno) TEMPO (giorni)
Alluminoso
Tipo 325
425
Per sbarramenti di ritenuta
525
F
C
F
C
F
C
F
C
F
C
1
–
–
–
–
40
175
40
175
–
–
3
–
–
40
175
60
325
60
325
–
–
tura avvenuta caratteristiche di resistenza uguali o maggiori. Il cemento pozzolanico è poco permeabile, quindi meno attaccabile dall’azione aggressiva delle acque solfatiche. Il cemento d’altoforno unisce al clinker le loppe basiche mescolate con gesso, calce e solfuro di calce, che conferiscono idraulicità alle scorie. Il comportamento è analogo a quello del cemento pozzolanico: scarsa resistenza iniziale e bassa permeabilità. Il cemento alluminoso è composto da clinker formato principalmente da alluminati idraulici di calcio. Il giusto dosaggio dei componenti, caratterizzati da prestazioni diverse e contrastanti, determina il tempo di presa e il rapido raggiungimento delle caratteristiche meccaniche, che in 24 ore si avvicinano al massimo valore. Contrariamente ai cementi precedenti, la resistenza iniziale, rispetto al cemento portland, è particolarmente elevata per ridursi con il procedere della maturazione, sino ad assestarsi sui valori di norma. Il fenomeno è accentuato dalle alte temperature. Il cemento alluminoso ha una bassa permeabilità, è poco attaccabile dalle acque solfatiche ma reagisce a quelle alcaline.
Resistenza a flessione Resistenza a compressione Kg/cm2 dopo Kg/cm2 dopo stagionatura di giorni stagionatura di giorni 1
3
7
28
1
3
7
28
90
Cemento normale (N)
–
–
40
60
–
–
175
325
–
Cemento ad alta resistenza (AR)
–
40
60
70
–
175
325
425
–
Cemento ad alta resistenza e rapido indurimento (ARI)
40
60
–
80
175
325
–
525
–
Cemento alluminoso
40
60
–
80
175
325
–
525
–
Cemento per sbarramenti di ritenuta
–
–
–
–
–
–
–
225
350
40
175
60
325
–
–
–
–
–
–
28
60
325
70
425
80
525
80
525
–
225
Agglomeranti cementizi a presa lenta
–
–
–
–
–
–
100
160
–
90
–
–
–
–
–
–
–
–
–
350
Agglomeranti cementizi a presa rapida
–
–
–
–
–
–
130*
–
–
Calci idrauliche naturali
–
–
–
–
–
–
–
15
–
Calci idrauliche artificiali (pozzolaniche, sider.)
–
–
–
–
–
–
–
30
–
inizio presa: > 45’ termine prese: < 12h
I valori sono considerati con una tolleranza del 5%
> 45’ < 12 h
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
7
Tempi di presa
C.RCIZIO
F. TERIALI,
TAB. F.1.7./7 CARATTERISTICHE MECCANICHE DEI LEGANTI IDRAULICI A VARIE STAGIONATURE (valori minimi stabiliti dall’art. 1 della legge 26 maggio 1965 e dal DM 31 agosto 1972)
CLASSIFICAZIONE
I ED PRE NISM ORGA
CO NTALE AMBIE
CEMENTO Il cemento è un legante idraulico ottenuto per macinazione di clinker e gesso. Secondo la normativa italiana il cemento, dopo 28 giorni di stagionatura sott’acqua, deve presentare una resistenza a compressione maggiore o uguale a 325 kg/cm2. Una classificazione dei cementi tiene conto dei valori di resistenza a compressione e del tempo di presa: • a lenta presa tempo di presa: 8-12 ore; • ad alta resistenza tempo di presa: 4-7 ore; • a rapida presa/alta resistenza tempo di presa: 5-15 min.
B.STAZIONI DILEGIZLII
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
. F.1.7 E MALT
F 21
F.1. 7.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE MALTE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ LEGANTI TAB. F.1.7./8 REQUISITI CHIMICI DEI LEGANTI IDRAULICI (art. 2 della legge 26 giugno 1965 e art. 2 del DM 31 agosto 1972) CEMENTO PORTLAND
CEMENTO D’ALTOFORNO
CEMENTO POZZOLANICO
CEMENTO ALLUMINOSO
AGGLOMERANTI CEMENTIZI
CALCI IDRAULICHE
Perdita al fuoco
≤ 5%
≤ 7%
≤ 5%
≤ 5%
–
–
Residuo insolubile
≤ 3%
≤ 16%
≤ 3%
≤ 3%
–
–
Contenuto di SO3
≤ 3,5%
≤ 5%
≤ 3,5%
≤ 5%
≤ 3,5%
Contenuto di MgO
≤ 4%
≤ 3%
≤ 7%
≤ 3%
≤ 4%
≤ 5%
Contenuto di zolfo da solfuri
–
–
≤ 2%
–
–
–
Contenuto di Al2O3
–
–
–
≥ 35%
–
–
Saggio di pozzolanicità
–
positivo
–
–
–
–
–
TAB. F.1.7./9 REQUISITI FISICI DEI LEGANTI IDRAULICI (art. 5 della legge 26 maggio 1965 e art. 3/4 del DM 31 agosto 1972) TEMPI DI PRESA
FINEZZA DI MACINAZIONE % in peso di legante trattenuto su setaccio da
INDEFORMABILITÀ
inzio
fine
Le Chatelier
Autoclave
0,18 mm
0,09 mm
Cemento alluminoso
≥ 30’
≤ 10 h
≤ 10 mm
≤ 0,5%
≤ 2%
≤ 10%
Tutti gli altri cementi
≥ 45’
≤ 12 h
≤ 10 mm
≤ 0,5%
≤ 2%
≤ 10%
Agglomeranti cementizi a lenta presa
≥ 45’
≤ 12 h
≤ 10 mm
≤ 1%
≤ 2%
–
Agglomeranti cementizi a presa rapida
≥ 1’
≤ 30 h
≤ 10 mm
≤ 1%
≤ 2%
–
Calci idrauliche
≥ 60’
≤ 48 h
–
≤ 1%
≤ 2%
–
POZZOLANE Sono quei materiali di origine vulcanica composti fondamentalmente da silice reattiva. La pozzolana, impastata intimamente con calce (idrossido di calcio) e in presenza di acqua, dà luogo a una reazione chimico-fisica a seguito della quale si ottengono malte capaci di far presa e indurire anche sott’acqua e che presentano un residuo non superiore al 40% a un attacco basico. I materiali a comportamento
pozzolanico sono quelli che, pur non essendo di origine vulcanica, rispondono alle condizioni della precedente definizione (RD 16 novembre 1939, n.2230). La pozzolana e i materiali a comportamento pozzolanico devono essere scevri da sostanze eterogenee. La pozzolana in sé non ha alcuna capacità idraulica, né può essere considerata un materiale inerte. La pozzolana naturale è una roccia piroclastica
incoerente derivata da eruzioni vulcaniche di tipo prevalentemente esplosivo; si presenta sia allo stato incoerente che compatto. La pozzolana artificiale, valida alternativa alla naturale, è il prodotto della cottura di argille e scisti a 700-900°C oppure deriva dai residui della combustione di carboni fossili (carbone, lignite). In quest’ultimo caso i prodotti prendono il nome di ceneri volanti.
INERTI L’inerte impiegato nel confezionamento delle malte è la sabbia che ha il compito di aumentare il volume dell’impasto e ridurne il ritiro. Gli inerti devono essere privi di sostanze organiche, terrose o argillose, e la dimensione dei grani deve essere inferiore a 4-5 mm. La sabbia è naturale se proviene dallo sminuzzamento di ghiaia depositata negli alvei dei fiumi o bacini marini; è artificiale se proviene dalla macinazione di rocce e scorie d’altoforno. La prima, ben lavata, è la più adatta all’impiego nelle malte. La granulometria, la qualità e la pulitezza della sabbia determinano la resistenza della malta. La Federazione Europea degli Industriali dei Laterizi (TBE) definisce le percentuali granulometriche presenti nella malta; secondo la TBE la sabbia deve essere composta da una percentuale non superiore al 5% di granuli da 4-5 mm; il restante 95% di granuli da 2-4 mm e da 0-2 mm, questi ultimi in percentuale non inferiore al 10%. In ogni caso, le particelle inferiori a 3 micron non devono superare il 4%. In caso di scarsità di sabbia fine la TBE consiglia di aggiungere alla sabbia la farina di calcare.
TAB. F.1.7./10 CLASSIFICAZIONE DELLE SABBIE E LORO IMPIEGO DIMENSIONE DEI GRANULI (mm)
TIPO DI SABBIA
Sabbia molto grossa
1–7
Sabbia grossa
0,5–1
Sabbia media
0,2–0,5
Sabbia fine
≤ 0,1
IMPIEGO calcestruzzi per getto di piccole dimensioni malte da muro intonaco lisciatura di intonaco
CLASSIFICAZIONE DELLE MALTE Le malte sono classificate secondo diversi parametri. In ordine al tipo di legante impiegato si ha: la malta aerea che utilizza la calce aerea (calce idrata o grassello); la malta idraulica che utilizza i leganti idraulici; la malta composta o bastarda che contiene due o più leganti, solitamente calce e cemento. In ordine all’impiego, la malta si distingue in: malta per muratura, per intonaco, per sot-
tofondo di pavimentazione, per ancoraggio, per ripristino, per applicazione di rivestimento. In ordine alla consistenza la malta è superfluida, fluida, plastica, umida. In ordine alle prestazioni prevalenti la malta è isolante, impermeabilizzante, antidilavante, adesiva, fibrosa. TAB. F.1.7./11 CLASSI DI MALTA PER COMPOSIZIONE
CLASSIFICAZIONE IN RAPPORTO ALLA COMPOSIZIONE Le malte sono divise in quattro classi in rapporto alla composizione in volume (DM 20 novembre 1987). Alle classi corrisponde una diversa resistenza meccanica e diverse risposte in relazione alle principali prestazioni. Passando progressivamente dalla M1 alla M4 aumentano la lavorabilità e la flessibilità, la permeabilità al vapore e la deformabilità plastica, la resistenza acustica e la risalita capillare dell’umidità; si riducono il pericolo di efflorescenze e la trasmittanza termica. Viceversa passando dalla M4 alla M1 aumenta la resistenza meccanica, la resistenza al gelo, la fessurabilità, il modulo elastico, la durabilità, mentre diminuisce la penetrazione dell’acqua.
F 22
COMPOSIZIONE (parti per volume)
CLASSE
TIPO DI MALTA
Cemento
M4 M4 M4 M3 M2 M1
Idraulica Pozzolanica Bastarda Bastarda Cementizia Cementizia
– – 1 1 1 1
Calce aerea – 1 – – – –
Calce idraulica 1 – 2 1 0,5 –
Sabbia
Pozzolana
3 – 9 5 4 3
– 3 – – – –
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI MALTE
F.1. 7. A.ZIONI
CLASSIFICAZIONE IN RAPPORTO ALLA RESISTENZA
TAB. F.1.7./12 CLASSI DI MALTA PER RESISTENZA CLASSE DI MALTA
RESISTENZA A COMPRESSIONE MINIMA A 28 GG (N/mm2)
M20
20
• 5 kgf/cm2 per l’equivalenza alla malta M3;
M15
15
1
• 2,5 kgf/cm2 per l’equivalenza alla malta M4.
M10
10
M5
5
M2
2.5
In rapporto alla resistenza le malte sono divise in 5 classi. Malte confezionate con diversi proporzioni dei componenti sono ritenute analoghe a quelle riportate in tabella, per i seguenti valori di resistenza: • 120 kgf/cm2 per l’equivalenza alla malta M1;
CEMENTO
COMPOSIZIONE (parti per volume) calce idraulica
SABBIA
da confermare nelle prove
• 80 kgf/cm2 per l’equivalenza alla malta M2;
È da tenere presente che non sempre alla resistenza della malta corrispondono, in percentuale, analoghi valori di resistenza della muratura.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
0–1/4
3
1
1/4–1/2
4–4 1/2
1
1/2–1 1/4
5–6
1
1 1/4–2 1/2
8–9
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
TIPI DI MALTE E LORO IMPIEGO La malta aerea fa presa solo all’aria; è facilmente lavorabile ma presenta scarsa resistenza meccanica. Oggi scarsamente utilizzata, è molto sensibile agli agenti atmosferici e l’indurimento è molto lento. Il processo di indurimento avviene dall’esterno verso l’interno, per effetto della carbonatazione della calce, cioè la trasformazione dell’idrato di calcio, a contatto con l’anidride carbonica dell’aria, in carbonato di calcio. È molto importante il giusto dosaggio del grassello per evitare che la malta risulti troppo porosa (poco grassello), dando luogo a una malta poco resistente, ovvero poco porosa (troppo grassello), ritardando la carbonatazione, anche di anni. Se la calce impiegata non è ben spenta è possibile la formazione di calcinaroli, ovvero di granuli di ossido di calcio che tenderanno a spengersi in seguito, per effetto dell’umidità, aumentando di volume. Il rigonfiamento dei granuli causa il distacco della malta sovrastante il granulo idratato. Questo tipo di malta può essere usata esclusivamente per murature poco sollecitate, massimo due piani, e per intonaci.
La malta idraulica impiega come legante le calci eminentemente idrauliche o agglomeranti cementizi. È facilmente lavorabile, è plastica, elastica, ha resistenza superiore alla malta aerea. La struttura finemente porosa conferisce un certo potere isolante. Per contro, in ambienti chimicamente aggressivi sono più adatte le malte confezionate con calci idrauliche artificiali pozzolaniche o di loppe d’altoforno.
La malta di gesso ha scarsa resistenza. Più comunemente, al gesso si aggiunge sabbia. Per la sua elevata sensibilità all’umidità l’uso è limitato agli ambienti interni. Essendo la presa molto rapida, questa malta è utilizzata per lavori di breve durata, come la murazione di infissi, mensole ecc. Il gesso aggredisce il ferro e lo zinco, per cui le eventuali parti a contatto devono essere protette con minio. Le malte di gesso si distinguono in base alla loro destinazione. Per la realizzazione di cornici o stucchi si aggiunge la polvere di marmo e si impiega gesso finemente macinato.
Le malte cementizie hanno come componenti il cemento, nei diversi tipi, e la sabbia. Le elevate resistenze che le caratterizzano sono raggiunte abbastanza rapidamente; sono malte impermeabili e durevoli. Adatte agli ambienti umidi e chimicamente aggressivi, per l’alta percentuale di cemento che contengono sono soggette a forti ritiri con conseguenti fessurazioni. L’aggiunta di calce idrata, nella misura del 20% circa, agisce da plastificante, migliorandone la lavorabilità. Per le murature armate sono impiegate solo le malte di cemento. In presenza di ambienti contenenti solfati, come può accadere in alcuni terreni o nell’atmosfera inquinata, è necessario utilizzare cementi non attaccabili dai solfati. Le malte cementizie non sono adatte alla realizzazione di murature faccia a vista, poiché i sali solubili presenti nel cemento (in particolare di sodio e potassio) possono provocare efflorescenze e macchie.
La malta bastarda è costituita da due o più leganti; composta da calce e gesso è caratterizzata da una rapida presa; l’aggiunta del gesso al cemento, invece, ne rallenta la presa; la malta di calce e cemento ha una buona resistenza meccanica; la presenza della calce idraulica riduce gli effetti negativi delle malte a base di cemento, cioè il ritiro, la bassa porosità, la formazione di sali solubili e quindi limita l’insorgenza di efflorescenze e migliora la lavorabilità della malta; una composizione di calce idrata, calce idraulica e cemento è adatta per realizzare intonaci esterni; l’impiego di cemento pozzolanico riduce i fenomeni di efflorescenza. I dosaggi della malta sono molto differenziati, anche in ordine allo stesso impiego. I diversi dosaggi devono comunque confezionare malte con valori di resistenza già citati. Le ricette sono espresse secondo diverse unità di misura: parti per volume, unità di volume, unità di peso, secchi. La scelta della malta è commisurata generalmente ai valori di resistenza degli elementi, mattoni o blocchi, utilizzati. L’aggiunta di cemento per conferire maggiori
caratteristiche portanti non è sempre consigliata. Le norme DIN a tale proposito fissano il limite di 375 kg di cemento per m3 di sabbia. Con blocchi con percentuale di forature (φ) compresa tra il 45% e il 55% è consigliato usare malta di non elevata resistenza, ma di buona deformabilità. Alla malta possono essere aggiunti additivi chimici e inerti che ne migliorano le prestazioni. Gli additivi chimici impiegati sono: plastificanti che migliorano la lavorabilità e la resistenza meccanica, antigelo, resine adesive impermeabilizzanti, acceleranti e ritardanti di presa, espansivi che controllano il ritiro della malta, alleggerenti che conferiscono un buon isolamento termico, incrementatori di presa che possono quadruplicare la resistenza a compressione e triplicare i valori di resistenza a trazione e al taglio. L’aggiunta di cemento bianco rende la malta bianca; colorazioni particolari sono date da coloranti in polvere o liquidi.
L’impiego di malte isolanti, confezionate con inerti leggeri (argilla espansa, perlite, vermiculite, pomice, polistirolo espanso, ceneri volanti), consente la riduzione dei ponti termici che si verificano in corrispondenza dei letti di malta. Gli inerti utilizzati hanno resistenza molto inferiore a quelli d’uso comune. Il basso valore del modulo di elasticità di queste malte, sottoposte a carico verticale comporta la maggiore dilatazione dei giunti orizzontali rispetto alle malte normali. Di conseguenza la resistenza della malta isolante risultando inferiore a quella della malta normale, conferirà al muro valori di resistenza inferiori. Le malte premiscelate e pronte per l’uso devono essere accompagnate dalla dichiarazione del fornitore attestante il gruppo della malta, il tipo e la quantità dei leganti e degli eventuali additivi. Le modalità per la determinazione della resistenza a compressione delle malte sono riportate nel DM del 13 settembre 1993. Le malte premiscelate sono fornite in miscela secca, cui deve essere aggiunta in cantiere l’acqua ed eventualmente la sabbia, secondo le quantità prescritte dal fornitore; le malte pronte all’uso sono fornite umide dalla fabbrica. Per la realizzazione di murature sono attualmente utilizzate, in particolare nell’Europa centrale, anche le colle, la cui resistenza a trazione e compressione risulta superiore a quella delle malte. Le colle, generalmente a base cementizia sono stese in spessori molto sottili e consentono una posa molto rapida; per contro richiedono elementi resistenti di notevole precisione dimensionale.
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
TAB. F.1.7./13 CORRISPONDENZA TRA 1 m3 DI MATERIALE E L’UNITÀ DI PESO Sabbia secca
equivale a
kg 1250
Sabbia umida
equivale a
kg 1300
Cemento portland 325/425
equivale a
kg 1000–1100
Cemento portland 525
equivale a
kg 900–1050
Cemento pozzolanico 325
equivale a
kg 900–950
Calce idraulica
equivale a
kg 900–1000
Calce idrata
equivale a
kg 450–500
Gesso
equivale a
kg 700
. F.1.7 E MALT
F 23
F.1. 7.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE MALTE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ CLASSIFICAZIONE DELLE MALTE TAB. F.1.7./14 COMPOSIZIONI DELLE MALTE E LORO IMPIEGO COMPONENTI TIPO DI MALTA MALTA AEREA
GRASSELLO O CALCE IDRATA CALCE GESSO SABBIA CALCE DOLCE IN POLVERE IDRAULICA (kg) (V) 1 (v)
2–3 (v)
1 (v)
2 (v)
4–4,5 (v)
intonaci murature
9 (v)
1 (v)
murature
6 (v)
1 (v)
intonaci
5 (v)
1 (v)
stabilitura (ultimo strato di intonaco)
1 m3
murature all’asciutto 4,8–5,4(v)
murature all’asciutto
1 m3
intonaci verticali e orizzontali 5,4–6(v)
intonaci verticali e orizzontali
1 m3
350–400
1 m3
450–500
1 m3
500
MALTA DI GESSO
2,5 (v)
MALTA DI GESSO ALLA CALCE
1 (v)
MALTA DI CEMENTO MALTA BASTARDA MAGRA
murature 15 kg
1 m3 MALTA DA CALCE IDRAULICA
CEMENTO 325 IMPIEGO (kg)
100 kg
1 m3 4,5–5 (v)
POZZOLANA (m3)
murature intonaci rustici e murature in presenza di acqua intonaci civili 1
1 (v)
murazioni, cornici, stucchi intonaci
1
1 m3 0,8–1 (v)
1 m3
0,8–1 (v)
1 m3 1 m3
200–230 1 (v) 1 (v)
muri di pietrame o mattoni
200–230
1 m3 MALTA BASTARDA GRASSA
1,4–1,6 (v)
1 m3 1 m3
1,4–1,6 (v) 1,6–1,8 (v) 1,6–1,8 (v)
MALTA POZZOLANICA
0,33 m3
150–200
muri di pietrame o mattoni intonaci verticali intonaci verticali
1,6–2 (v)
280–300
intonaci verticali
280–300
intonaci verticali
350–500 2–2,2 (v)
intonaci orizzontali
350–500
intonaci orizzontali
2–2,2 (v)
300–350
intonaci orizzontali
300–350
intonaci orizzontali
1 m3
200
200
1 m3
200
300
1 m3 1 m3 1 m3
murature con blocchi a fori orizzontali murature con blocchi a fori orizzontali e con caratteristiche altamente portanti murature
1 100–125 kg
0,40 m3
muri di pietrame o mattoni muri di pietrame o mattoni
300–330
1 m3 1 m3
MALTA BASTARDA
1,6–2 (v)
1 m3 1 m3
150–200 300–330
1 m3 1 m3
murature in presenza di acqua e all’asciutto, intonaci verticali
400–500
125–150 kg
1
murature
1
intonaci
1
intonaci
v = parti del volume
RESISTENZA DELLA MURATURA IN ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI Il valore della resistenza caratteristica a compressione della muratura fk può essere dedotto dalla resistenza caratteristica a compressione degli elementi fbk e dalla classe di appartenenza della malta, a condizione che siano impiegati elementi resistenti pieni e semipieni, che i giunti orizzontali e verticali riempiti di malta abbiano spessore compreso tra 5 mm e 15 mm e siano presenti entrambi. La resistenza caratteristica al taglio fvk , è definita come la resistenza all’effetto combinato delle forze orizzontali e dei carichi verticali che agiscono sulla muratura. È ricavabile quindi dalla relazione fvk = fvko + 0,4 σn dove: fvko = resistenza caratteristica a taglio in assenza di carichi; σn = tensione normale media dovuta ai carichi verticali agenti nella sezione di verifica. Per le stesse condizioni suddette, il valore di fvko può essere dedotto dalla resistenza caratteristica a compressione degli elementi fbk e dalla classe di appartenenza della malta. (cfr. sez D)
F 24
TAB. F.1.7./15 VALORE DELLA fk PER MURATURE IN ELEMENTI ARTIFICIALI PIENI E SEMIPIENI Resistenza caratteristica a compressione fbk dell’elemento
TIPO DI MALTA M1
M2
M3
M4
N/mm2
kg/cm2
N/mm2
kg/cm2
N/mm2
kg/cm2
N/mm2
kg/cm2
N/mm2
kg/cm2
2.0
20
1.2
12
1.2
12
1.2
12
1.2
12
3.0
30
2.2
22
2.2
22
2.2
22
2.0
20
5.0
50
3.5
35
3.4
34
3.3
33
3.0
30
7.5
75
5.0
50
4.5
45
4.1
41
3.5
35
10.0
100
6.2
62
5.3
53
4.7
47
4.1
41
15.0
150
8.2
82
6.7
67
6.0
60
5.1
51
20.0
200
9.7
97
8.0
80
7.0
70
6.1
61
30.0
300
12.0
120
10.0
100
8.6
86
7.2
72
40.0
400
14.3
143
12.0
120
10.4
104
–
–
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI MALTE
F.1. 7. A.ZIONI
TAB. F.1.7./16 VALORE DI fvko PER MURATURE IN ELEMENTI ARTIFICIALI IN CALCESTRUZZO PIENI E SEMIPIENI Resistenza caratteristica a compressione fbk dell’elemento kg/cm 2
fbk ≤ 3
fbk ≤ 30
M1
M2
M3
fbk > 3
fbk > 30
M1 M4
M2
M3
M4
B.STAZIONI DILEGIZLII
Resistenza caratteristica a compressione fbk dell’elemento
fvko
TIPO DI MALTA
N/mm 2
TAB. F.1.7./17 VALORE DI fvko PER MURATURE IN ELEMENTI ARTIFICIALI IN LATERIZIO PIENI E SEMIPIENI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TIPO DI MALTA
N/mm 2
kg/cm 2
N/mm 2
kg/cm 2
0.1
1
fbk ≤ 15
fbk ≤ 150
M1
M2
M3
0.20 0.10
2.0 1.0
fbk > 15
fbk > 150
M1
M2
M3
I ED PRE NISM ORGA
fvko N/mm 2
kg/cm 2
M4
0.20
2.0
M4
0.30
3.0
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
GIUNTI
CO NTALE AMBIE
La malta impiegata per la realizzazione dei giunti deve avere un potere di assorbimento capillare non superiore a quello del mattone; deve quindi avere una adeguata percentuale di inerti fini e presentare un aspetto compatto. La granulometria della sabbia dipende dallo spessore s dei giunti.
Nell’esecuzione della muratura, a esclusione di murature realizzate con mattoni fatti a mano che consentono una certa tolleranza, è necessario verificare il corretto allineamento dei giunti orizzontali e verticali e garantire uno spessore costante. Una buona esecuzione richiede che lo sfalsamento dei giunti verticali di ricorsi successivi non sia inferiore a 0,4 h, dove h è l’altezza dell’elemento, e comunque mai inferiori a 4,5 cm. Lo spessore ottimale dei giunti di malta è compreso tra 5 e 15 mm. Impiegando malta collante i giunti sono dell’ordine di 1 mm. Nel caso in cui il giunto accolga un’armatura, necessaria nella disposizione a sorelle, cioè con i giunti verticali allineati, lo spessore complessivo del giunto è pari al doppio del diametro dei ferri di armatura interposti. I giunti devono essere conformati in modo da evitare la ritenzione di acqua; sono realizzati mediante la tecnica della costipazione o del rigiuntaggio e successiva stuccatura. La costipazione si esegue durante la formazione dei corsi: un ferro sagomato viene passato più volte sul giunto in modo da lisciare la malta emergente. Il rigiuntaggio prevede l’asportazione della malta ancora fresca per una profondità di 1,5-2 cm e la successiva stuccatura con malta grassa e sabbia fine, che viene costipata con il ferro sagomato.
TAB. F.1.7./18 SPESSORE DEI GIUNTI IN RELAZIONE ALLA DIMENSIONE DEI GRANULI DI SABBIA SPESSORE (mm)
DIMENSIONE MASSIMA DELLA SABBIA (mm)
s<5
2
5 < s ≤ 15
3
s > 15
5
MATERIALE COMPRIMIBILE (ELASTOMERO)
SIGILLANTE RESILIENTE
formarsi di fessurazioni. La normativa europea prevede, per tutti i materiali da costruzione, la realizzazione di giunti di controllo nei seguenti punti: • in corrispondenza di variazioni di altezza e di spessori di muro; • a contatto con strutture realizzate con materiali di natura diversa; 1,5 mm
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
• nei muri di sottofinestra: da una sola parte, per finestre di lunghezza inferiore a 1,75 m, da ambo le parti per luci superiori; • nei muri di lunghezza, senza interruzione, superiore a 5–6 m tenendo conto che i vani porta sono da considerare giunti naturali.
F.3. IONI IZ PART E N INTER
FIG. F.1.7./2 DISPOSIZIONE E PROFILI DEI GIUNTI
F.5. I D ARRE
FERRO A “Z”
FIG. F.1.7./1 MODALITÀ DI REALIZZAZIONE DEI GIUNTI DI CONTROLLO
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
GIUNTI DI CONTROLLO L’asciugatura delle murature, l’assestamento, il ritiro delle malte e dei calcestruzzi a seguito della presa, i fenomeni termici producono nei setti murari variazioni dimensionali che richiedono la creazione di giunti di controllo o di dilatazione. Tali giunti eseguiti nella fase realizzativa, consentono lo spostamento relativo delle porzioni murarie delimitate dai giunti stessi, evitando il
F. TERIALI,
MATTONI A VISTA
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
SIGILLANTE RESILIENTE MATERIALE COMPRIMIBILE (ELASTOMERO)
SIGILLANTE RESILIENTE
GRAFFE DI SOLIDARIZZAZIONE
1,5 mm
MURATURA A INTERCAPEDINE MATTONI A VISTA
rasato
GIUNTI COSTIPATI
GIUNTI VERTICALI ALLINEATI DISPOSIZIONE A SORELLE spessore = 2 o armatura
TECNICA DEL RIGIUNTAGGIO E SUCCESSIVA STUCCATURA
FERRO A “Z” RIEMPIMENTO CON MATERIALE COMPRIMIBILE
a sguincio
GIUNTI VERTICALI ALTERNATI DISPOSIZIONE ISODOMA tra 5 e 15 mm
ad angolo
rotondo
. F.1.7 E MALT
SIGILLANTE RESILIENTE
F 25 GRAFFE DI SOLIDARIZZAZIONE
F.1. 8.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI APPARECCHIATURE MURARIE IN ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI APPARECCHIATURE MURARIE Alcune murature tradizionali, anche se non contemplate dalla normativa sono ancora impiegate, in particolare nelle zone rurali. La muratura a sacco prevede la realizzazione di due cortine murarie con funzione di cassaforma, entro cui viene gettato il conglomerato cementizio. L’orizzontamento del piano ogni 7-10 ricorsi, viene realizzato con mattoni diatoni o con filari passanti di mattoni. FIG. F.1.8./1 MURATURE A SACCO PER UNA MIGLIORE AMMORSATURA SI IMPIEGANO MATTONI TRIANGOLARI
CORTINE MURARIE ESTERNE
RICORSI DI MATTONI CON FUNZIONE DI LEGATURA, CONTROVENTAMENTO E RIPARTIZIONE DEI CARICHI
MATTONE DIATONO CON FUNZIONE DI LEGATURA, CONTROVENTAMENTO E RIPARTIZIONE DEI CARICHI
CONGLOMERATO CEMENTIZIO
CONGLOMERATO CEMENTIZIO MURATURE A SACCO
MURATURE A SACCO
MURATURE A SACCO
FIG. F.1.8./2 MURATURE MONOSTRATO – DISPOSIZIONI DI MATTONI E BLOCCHI MURATURA IN CHIAVE A 1 TESTA
MURATURA IN FOGLIO A 1 TESTA
12
CONGLOMERATO CEMENTIZIO
MURATURA IN CHIAVE A 2 TESTE
5,5
5,5
25 5,5
12
PIANTA DEI RICORSI
PIANTA DEI RICORSI
PIANTA DEI RICORSI 25 12
25
MURATURA A 2 TESTE (GOTICA)
MURATURA A CROCE A 2 TESTE
MURATURA A BLOCCO A 2 TESTE 25
25
PIANTA DEI RICORSI
25 5,5
5,5
a c a b a
5,5
PIANTA DEI RICORSI PIANTA DEI RICORSI
c
b
a
MURATURA A BLOCCO A 3 TESTE (GOTICA) 25
MURATURA A CROCE A 4 TESTE
12
25
5,5
a c a b a PIANTA DEI RICORSI
PIANTA DEI RICORSI
c
b
a
F 26
MURATURA A BLOCCO A 5 TESTE 25
5,5
PIANTA DEI RICORSI
12
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI APPARECCHIATURE MURARIE IN ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI
F.1. 8. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.8./3 MURATURE MONOSTRATO – SOLUZIONI DI INCROCIO E ANGOLO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI, INCROCIO A “T” TRA MURI A 1 TESTA
ANGOLO TRA MURI A 2 TESTE
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
INCROCIO A 4 VIE TRA MURI A 2 TESTE
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER
INCROCIO A “T” TRA MURI A 2 TESTE
ANGOLO TRA MURI A 2 TESTE
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
INCROCIO A 4 VIE TRA MURI A 2 TESTE
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
INCROCIO A “T” TRA MURI A 2 TESTE
ANGOLO TRA MURI A 2 TESTE
INCROCIO A 4 VIE TRA MURI A 2 TESTE E MURO A 3 TESTE
➥
. RE F.1.8 ECCHIATU ENTI R M APPA RIE IN ELE ICIALI MURA ENTI ARTIF T RESIS
F 27
F.1. 8.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI APPARECCHIATURE MURARIE IN ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI ➦ APPARECCHIATURE MURARIE ➦ FIG. F.1.8./3 MURATURE MONOSTRATO – SOLUZIONI DI INCROCIO E ANGOLO
F 28
INCROCIO A “T” TRA MURI A 3 TESTE E MURO A 2 TESTE
ANGOLO TRA MURI A 3 TESTE
INCROCIO A “T” TRA MURI A 3 TESTE
ANGOLO TRA MURI A 4 TESTE
INCROCIO A 4 VIE TRA MURI A 3 TESTE E MURO A 1 TESTA
INCROCIO A “T” TRA MURI A 4 TESTE E MURO A 3 TESTE
ANGOLO TRA MURI A 4 TESTE
INCROCIO A 4 VIE TRA MURI A 4 TESTE
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI APPARECCHIATURE MURARIE IN ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI
F.1. 8. A.ZIONI
FIG. F.1.8./4 MURATURE MONOSTRATO – PARTICOLARI SOLUZIONI DI INCROCIO E ANGOLO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.8./5 BLOCCHI A SISTEMA
B.STAZIONI DILEGIZLII
INCROCIO A “T”
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB ANGOLO
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER
ANGOLO
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
ANGOLO
19 PEZZO SPECIALE D’ANGOLO ANGOLO 30 1° RICORSO
2 ° RICORSO
12
. RE F.1.8 ECCHIATU ENTI R M APPA RIE IN ELE ICIALI MURA ENTI ARTIF T RESIS
F 29
F.1. 8.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI APPARECCHIATURE MURARIE IN ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI ➦ APPARECCHIATURE MURARIE FIG. F.1.8./6 PILASTRI IN LATERIZO Possono essere realizzati con elementi ordinari o pezzi speciali possono essere armati o non armati, a sezione piena o mista. I criteri di progettazione fanno riferimento alla normativa inglese (BS5628).
PILASTRI A SEZIONE PIENA NON ARMATI
PILASTRI A SEZIONE MISTA ARMATI PEZZI SPECIALI GETTO DI CALCESTRUZZO
2 x 2 TESTE PEZZI SPECIALI
3 x 4 TESTE
ARMATURA
2 x 3 TESTE
EVENTUALE ARMATURA PROFILO METALLICO INSERITO NEL GETTO DI CALCESTRUZZO
30
5 x 5 TESTE 3 x 3 TESTE 1°RICORSO RICORSO
2 °RICORSO RICORSO
2 °RICORSO RICORSO
1°RICORSO RICORSO
FIG. F.1.8./7 MURATURE MISTE
FIG. F.1.8./8 MURATURE CAVE MATTONE PIENO UNI 12 BLOCCO FORATO
BLOCCO FORATO
12
25
La discontinuità discontinuit della muratura e la presenza delle cavità cavit contribuiscono all’isolamento all isolamento termico
15 MATTONE SEMIPIENO DOPPIO UNI MATTONE PIENO UNI
MATTONE PIENO UNI
8
FIG. F.1.8./9 MURATURE A DOPPIA PARETE INTERCAPEDINE D’ARIA ARIA S = 3-5 cm
MATTONI PIENI FACCIA A VISTA
MATTONI FORATI MATTONI PIENI INTONACO
MATTONI FORATI
INTONACO
GRAFFA DI SOLIDARIZZAZIONE CON RONDELLA DI PLASTICA E GOCCIOLATOIO
TAVELLA COPRICORDOLO
MATTONI COPRICORDOLO 100 mm 2-4 mm INTONACO 210 mm RINZAFFO DI INTONACO
100 mm
Il gocciolatoio evita il passaggio di condensa; la rondella può pu anche trattenere strati di isolante
F 30
105-305 mm 30-50 mm Graffa di solidarizzazione realizzata con una piastra di acciaio zincato; ll’avvolgimento avvolgimento forma il gocciolatoio
RINZAFFO DI INTONACO
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI APPARECCHIATURE MURARIE IN ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI
F.1. 8. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
< =12 È consigliabile aerare l’intercapedine l intercapedine libera per smaltire ll’eventuale eventuale condensa. È utile in questo caso, impiegare un profilo di raccolta e allontanamento dell’acqua. dell acqua.
47 12
INTONACO INTERNO (1 cm)
30 4
INTONACO DI RINZAFFO
BARRIERA AL VAPORE
PROFILO DI RACCOLTA E ALLONTANAMENTO DELLA CONDENSA
MATTONI FACCIA A VISTA
47,5 12
ELEMENTI A FORI VERTICALI
STRATO ISOLANTE
B.STAZIONI DILEGIZLII
12
6
INTONACO INTERNO (1,5 cm)
INTERCAPEDINE
BARRIERA AL VAPORE
RIVESTIMENTO IN LISTELLI
STRATO ISOLANTE
INTONACO DI RINZAFFO
30
4
> =4 8
ELEMENTI A FORI ORIZZONTALI
GIUNTO VERTICALE APERTO
INTONACO INTERNO (1,5 cm)
MATTONI FACCIA A VISTA
INTONACO INTERNO (1,5 cm)
INTONACO ESTERNO (2 cm)
ELEMENTI A FORI ORIZZONTALI
L’intercapedine intercapedine è parzialmente riempita con materiale isolante posto a ridosso della parete interna; l’isolante isolante è cos così protetto da infiltrazioni di acqua dall’esterno. dall esterno.
INTONACO INTERNO (1,5 cm)
MATTONI FACCIA A VISTA
BARRIERA AL VAPORE INTERCAPEDINE D’ARIA ARIA
MATTONI A FORI ORIZZONTALI
STRATO ISOLANTE
4
12 > =4
25 33
42 12 3
4
GRAFFA
39 12
25 INTONACO INTERNO (1,5 cm)
INTONACO ESTERNO (2 cm)
STRATO ISOLANTE
MATTONI DOPPIO UNI
MATTONI FACCIA A VISTA
INTERCAPEDINE D’ARIA ARIA
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
MATTONI FORATI
BARRIERA AL VAPORE
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
8 3
INTONACO ESTERNO (2 cm)
INTONACO INTERNO (1,5 cm) BARRIERA AL VAPORE
BLOCCHI A FORI VERTICALI
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
6 < =12
30 25 INTONACO INTERNO (1,5 cm)
E ESE ESSIONAL PROF
STRATO ISOLANTE
BARRIERA AL VAPORE
GRAFFA INCLINATA VERSO L’ESTERNO ESTERNO
12
C.RCIZIO
E.NTROLLO L’intercapedine intercapedine è totalmente riempita con materiale isolante non idrofilo.
MATTONI COPRICORDOLO
I ED PRE NISM ORGA
STRATO ISOLANTE MATTONI FORATI
F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
38 25
MATTONI FACCIA A VISTA DOPPIO UNI
4
37 25
8 INTONACO INTERNO (1,5 cm)
MATTONI FORATI
INTERCAPEDINE D’ARIA ARIA
40 8
25
3 MATTONI FACCIA A VISTA DOPPIO UNI STRATO ISOLANTE
INTONACO INTERNO (1,5 cm) MATTONI FORATI BARRIERA AL VAPORE
INTONACO ESTERNO (2 cm) BLOCCHI A FORI VERTICALI
4
8 INTONACO INTERNO (1,5 cm) MATTONI FORATI INTERCAPEDINE D’ARIA ARIA
. RE F.1.8 ECCHIATU ENTI R M APPA RIE IN ELE ICIALI MURA ENTI ARTIF T RESIS
F 31
F.1. 8.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI APPARECCHIATURE MURARIE IN ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI COLLEGAMENTI E RINFORZI NELLE MURATURE Nella pratica costruttiva, per migliorare le caratteristiche statiche dell’apparecchio murario, si impiegano elementi metallici come tralicci, graffe, barre di armatura, disposti in modo opportuno. Tali elementi vanno collocati in punti singolari della costruzione soggetti a particolari concentrazioni di ten-
sioni (incroci, angoli, discontinuità), o vengono utilizzati per collegare strati murari separati da intercapedine (cfr. F.1.7.). L’apparecchiatura muraria con disposizione “a sorelle”, cioè con i giunti coincidenti sulle linee verticali, richiede un traliccio metallico ogni 2–3 ricorsi.
FIG. F.1.8./10 COLLEGAMENTI AGLI INCROCI
GRAFFE E ANCORAGGI Le graffe e gli ancoraggi hanno la funzione di garantire la solidarizzazione tra le murature negli innesti e negli incroci; nelle murature a doppia parete collegano tra loro gli strati murari. Sono realizzati in metallo inossidabile. L’eventuale inclinazione della graffa va rivolta verso l’esterno per evitare il passaggio di umidità all’interno. Gli elementi sono collocati nei letti di malta e penetrano nelle murature per almeno 50 mm.
Sono distribuiti omogeneamente nella muratura in quantità e spaziatura che variano in ragione dei carichi e dello spessore degli strati costituenti la parete. Per le murature doppie la norma DIN 1053 prevede cinque ancoraggi per mq di parete integrati da tre ancoraggi per metro di bordo sui lati liberi (angoli, aperture, giunti di dilatazione, bordi superiori esterni) (cfr. F.1.7.).
FIG. F.1.8./11 GRAFFE, STAFFE, TRALICCI, ARMATURE DI RINFORZO GRAFFA ADATTABILE PER PARETI CON LETTI DI MALTA A QUOTE DIVERSE GOCCIOLATOIO
ANCORAGGIO A FARFALLA
RONDELLA GOCCIOLATOIO 100
150 ÷200 200 mm 75 ÷100 100
100
36 PROSPETTO
GOCCIOLATOIO
La tradizionale piegatura che forma il gocciolatoio indebolisce la staffa. È preferibile utilizzare ferri diritti e affidare la funzione di gocciolatoio a una rondella in plastica.
PROSPETTO
PROSPETTO
GRAFFA INCLINATA
ANCORAGGIO A DOPPIO TRIANGOLO 150 ÷200 200 mm
STAFFA A “Z”
DISPOSIZIONE ISODOMA
DISPOSIZIONE A SORELLE, CON TRALICCI METALLICI OGNI 2-3 RICORSI
65 50 GOCCIOLATOIO 5 STAFFA RETTANGOLARE
STAFFE ADATTABILI
22 PROSPETTO
PROSPETTO
Le barre di armatura possono essere collocate laddove si verifica una concentrazione di tensioni (al di sopra di vani aperti, nella contiguità contiguit di masse murarie di dimensioni diverse), ovvero dove si ritiene necessario creare solidarizzazioni tra pareti di tamponamento, parapetti o altro con la struttura portante. ARMATURA
ARMATURE DI RINFORZO AL DI SOPRA DEI VANI
F 32
ARMATURA
ARMATURA DI RINFORZO IN UNA MURATURA POGGIANTE SU TRAVE ELASTICA, PER EVITARE LE FESSURAZIONI
ARMATURA
ARMATURA LOCALIZZATA IN CORRISPONDENZA DI MASSE MURARIE DI DIVERSE DIMENSIONI
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
PARETI PERIMETRALI VERTICALI ALLOGGIAMENTO DI IMPIANTI •
A.ZIONI
ALLOGGIAMENTO DI IMPIANTI Negli edifici in muratura, l’alloggiamento di frutti o il passaggio di impianti richiede la realizzazione di incavi chiamati tasche, se eseguiti nella fase di costruzione della muratura, tracce, se eseguiti nella muratura costruita. Tali incavi implicano una diminuzione della capacità portante della muratura. A esclusione delle murature a doppio strato, dove sono ammessi spessori relativamente sottili dei due strati portanti, nelle murature monostrato con caratteristiche strutturali lo spessore della porzione muraria interessata da tasche o tracce non deve essere < 20 cm. Le tasche e le tracce sono pertanto sconsigliate nelle murature portanti realizzate con blocchi forati con φ > 45%, in particolare se monostrato. L’Eurocodice sulle murature (EC6) ne vieta la realizzazione in elementi forati se la porzione di sezione ridotta è > del 20% o se lo spessore degli incavi è maggiore dello spessore della parete esterna dell’elemento
resistente, caratterizzata, generalmente, da uno spessore consistente. Le tracce verticali che non si estendono per più di 1/3 dell’altezza di interpiano, considerata al di sopra del livello del solaio e realizzate in spessori murari ≥ 240 mm, possono avere altezza ≤ 80 mm e larghezza ≤ 120 mm. La distanza minima delle tracce dalle aperture è di 115 mm; quella delle tasche è il doppio della larghezza delle tasche stesse. La larghezza totale di tasche o tracce per muri di lunghezza di 2 m deve essere ≤ 260 mm; per muri di lunghezza inferiore la larghezza degli incavi deve essere ridotta proporzionalmente. La distanza minima tra ogni traccia o tasca è di 260 mm. Le tracce orizzontali e inclinate sono sconsigliate e sono vietate nelle murature costituite da elementi resistenti a fori orizzontali. Nella necessità di realizzarle devono essere posizionate entro 1/8 dell’altezza di interpiano sopra e sotto il livello di solaio.
TAB. F.1.9./1 DIMENSIONI DI TASCHE E TRACCE VERTICALI PERMESSE SENZA CALCOLO NEGLI EDIFICI IN MURATURA
TAB. F.1.9./2 DIMENSIONI DI TASCHE E TRACCE ORIZZONTALI E INCLINATE PERMESSE SENZA CALCOLO NEGLI EDIFICI IN MURATURA
TRACCE SPESSORE DEL MURO (mm)
F.1. 9.
Massima larghezza (mm)
Massima larghezza (mm)
Minimo spessore rimanente del muro (mm)
SPESSORE DEL MURO (mm)
≤ 115
10
100
non permesso
non permesso
175
30
100
260
115
240
30
100
260
300
30
100
365
30
100
MASSIMA PROFONDITÀ (mm) Lunghezza illimitata
Lunghezza ≤ 1250 mm
≤ 115
non permesso
non permesso
175
non permesso
25
115
240
15
25
260
175
300
20
30
260
240
365
20
30
FIG. F.1.9./1 POSIZIONAMENTO E PROTEZIONE DI CANALIZZAZIONI, CANNE FUMARIE, TUBI E CONDOTTE Posizionamento corretto di canalizzazioni verticali e canne fumarie. Lo spessore murario non viene ridotto e si evita la foratura del cordolo a livello dei solai.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
TASCHE
Massima profondità (mm)
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.9./2 MODALITÀ DI ISOLAMENTO DEI TUBI
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
Matton attoni predispost predispostii per lo spacco attii al passaggio di canalizzazioni att verticali e orizzontali
MATTONE CON FORO PASSANTE
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
I giunti degli strati devono essere sfalsati COPPELLA IN MATERIALE ISOLANTE
Da usare su tubi che lavorano in ambienti con temperatura al di sopra del punto di rugiada
F.3. IONI IZ PART E N INTER
ISOLAMENTO DI UN CONDOTTO DI AERAZIONE
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
MATERIALE ISOLANTE
COPPELLA TAGLIATA
TUBO
F.5. I D ARRE Rivestimenti permeabili per i tubi caldi, impermeabili per i tubi freddi
SUPPORTO APPESO AL SOLAIO
MANICOTTO ELASTICO INTERROTTO NELL’INTERCAPEDINE NELL INTERCAPEDINE
NASTRO DI BARRIERA AL VAPORE CON GIUNTI SFALSATI
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
INTONACO BARRIERA AL VAPORE SUPPORTO
ISOLAMENTO ACUSTICO DELLE TUBATURE Murature monostrato e a intercapedine
La protezione deve evitare sollecitazioni alla barriera al vapore RIVESTIMENTO DI PROTEZIONE
BULLONCINO DI SERRAGGIO TUBO
GIUNTO ELASTICO DOPPIA COPPELLA
ISOLAMENTO FLESSIBILE MATERIALE COMPRIMIBILE
COPPELLA IN MATERIALE ELASTICO
TASSELLO ELASTICO DI FISSAGGIO
. RE F.1.8 ECCHIATU EMENTI R L APPA TURE IN E ICIALI MURA ENTI ARTIF T RESIS . O F.1.9 GIAMENT G ALLO IANTI P DI IM
F 33
F.1. 10.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE ARCHI E PIATTABANDE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
ARCHI L’apertura di vani nelle murature portanti non deve compromettere la stabilità del muro (cfr. sezione D). Con spessori del giunto di malta all’intradosso compresi in 5-7 mm e all’estradosso in 10-20 mm, si realizzano archi di raggio = 1,20 m; per raggi maggiori possono essere impiegati listelli di laterizio nei giunti.
FIG. F.1.10./1 TIPI E NOMENCLATURE DEGLI ARCHI
TAB. F.1.10./1 VALORI MINIMI PER ARCHI IN MURATURE A DOPPIA PARETE (sottoposti principalmente al peso proprio; h massima dei piedritti 3 m) L
D
B
T
L
D
B
T
L
D
B
T
90
9
40
40
120
9
60
40
120
19
60
40
180
19
60
60
240
19
60
60
270
29
90
60
390
39
120
60
S
T
RA
IN
E
CONCIO DI CHIAVE
S DO
TR
A
PIA NO
CONCIO
SO
S DO
A TUTTO SESTO
SO
NO PIA
RIBASSATO
D
D
NI RE LE L A
SPESSORE AL LE RE NI
ACUTO
D
GIUNTO
B
60° 60
L
T
B
L
T
B
L
T
PIANO D’IMPOSTA D IMPOSTA PIEDRITTI
LUCE O CORDA
La dimensione di B può essere ridotta di 1/3 nel caso di un risvolto d’angolo di almeno 40 cm. La dimensione di T deve essere verificata con il calcolo quando si è in presenza di carichi elevati (misure in cm).
R1
R1
R1
R1
C1
F1
C1
A TUTTO SESTO O A PIENO CENTRO
R2
C1
A SESTO RIBASSATO O A SESTO SCEMO
A SESTO RIALZATO O BIZANTINO
R1
F2
A SESTO ELLITTICO
R1
R1
R1
R1
C1
C1
C2 C1
A SESTO PARABOLICO
R1
A SESTO ECCEDENTE TONDO O A FERRO DI CAVALLO
R1
R1
A SESTO ECCEDENTE ACUTO
R1
R2
R2
C3
C4
R1 C1
C2
C1
A SESTO ACUTO SEMPLICE
R2
R1
R1
C1
TRILOBATO CON LOBO ACUTO
C3 R1
A SESTO ACUTO LANCEOLATO
C1 C2
C2
A SESTO ACUTO RIBASSATO C2
C2
R1 C2
TRILOBATO
C3
R1
C3
C4 R2
R2
R2 C2
R1 R1 R1
R1
C1
C1
TUDOR
TUDOR FIAMMEGGIANTE
R1 C1 R2
C3
F 34
C2 R2
R1 C1
R1
R1
C2
C1
C4
TUDOR (POLICENTRICO)
A SESTO INFLESSO O A FIAMMA
RAMPANTE
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI ARCHI E PIATTABANDE
F.1. 10. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.10./2 APPARECCHIO COSTRUTTIVO DEGLI ARCHI CONCIO DI CHIAVE
B.STAZIONI DILEGIZLII
CONCI DI LATERIZIO
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
CONCIO DI CHIAVE IN PIETRA
CONCI DI PIETRA
D.GETTAZIONE
PULVINI IN PIETRA
ARCO IN PIETRA
ARCO RIBASSATO
ELEMENTI DI LATERIZIO
S
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
10 < = S < = 20 mm 5 < = s < = 7 mm GIUNTO DI MALTA
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
ARCO MISTO IN PIETRA DA TAGLIO E MURATURA
s
G.ANISTICA URB
PULVINO IN PIETRA ISPESSIMENTO DELLA MURATURA ALLE RENI ARCHI A DUE TESTE SPICCATI DA UN PULVINO IN PIETRA ARCHI D’ALTEZZA D ALTEZZA DI DUE TESTE E SPESSORE DI QUATTRO TESTE
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
ARCO A DOPPIA CURVATURA ARMATURA DEL MURO
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
B
F.3. IONI IZ PART E N INTER
IMPOSTA DEL TERZO ANELLO
B
IMPOSTA DEL SECONDO ANELLO IMPOSTA DEL PRIMO ANELLO ARCO RASTREMATO
A
F.5. I D ARRE
ARCO A QUATTRO ANELLI DI CUI DUE ARMATI
L’APPARECCHIATURA APPARECCHIATURA CONCENTRICA EVITA COMENTI TROPPO SPESSI DI MALTA
ARCO ARMATO resiste a sollecitazioni eccentriche
SEZIONE AA
38
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
C
27,5
A
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
A
ARCO A TRE TESTE
APPARECCHIO A DUE TESTE IN CORRISPONDENZA DELLE RENI
SEZIONE BB
B
8 3,8 A
25 55
38
27,5 31 15 A
B 12
75 106
28,5 C
APERTURA CIRCOLARE STROMBATA A 30 30° ESTERNAMENTE
MATTONI TAGLIATI
APERTURA AD ARCO CON STROMBATURA ESTERNA A DENTI
➥
E 0. BAND F.1.1 E PIATTA I H ARC
F 35
F.1. 10.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE ARCHI E PIATTABANDE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ ARCHI ➦ FIG. F.1.10./2 APPARECCHIO COSTRUTTIVO DEGLI ARCHI
f f = 1/6 ÷1/10 1/10 L L SEMIARCO PER APERTURE DI LUCE MODEST MODESTA SEZIONI
SEZIONE
PIANTE IPOGRAFIA ARCHI DI ALTEZZA DI TRE TESTE E DIVERSO SPESSORE
ARCO RIBASSATO CON ESTRADOSSO PIATTO
SEMIARCO CON SGUINCIO A BOTTE: PROSPETTO, IPOGRAFIA E SEZIONE
PIATTABANDA La piattabanda è un arco il cui intradosso è costituito da una linea retta. È una soluzione costruttiva adatta a luci modeste (1,5 m) ed è comunemente impiegata per vani porta e finestra. L’arco di sordino o di scarico è una soluzione costruttiva che consente di aumentare la luce della piattabanda riducendo i carichi da essa sostenuti; l’arco di sordino è collocato al di sopra della piattabanda che, in questo caso, sostiene solo il peso proprio e quello della muratura tra essi compresa.
FIG. F.1.10./4 APPARECCHIO COSTRUTTIVO DELLA PIATTABANDA PIATTABANDA ALLA ROMANA: I GIUNTI CONCORRONO IN UN SOLO PUNTO
FIG. F.1.10./3 RIFERIMENTI GEOMETRICI PER LA PREDISPOSIZIONE DEI CONCI DELLE PIATTABANDE PIANO DI IMPOSTA
PIANO DI IMPOSTA
PIANO DI IMPOSTA
A 2 TESTE
A 4 TESTE
PIATTABANDA ALLA FRANCESE: I GIUNTI NON CONCORRONO IN UN PUNTO
A 2 TESTE R=L PIEDRITTI
PIEDRITTI L
R = 1,5 x L
APPARECCHIATURA MISTA CON SAETTONI IN ELEMENTI LATERIZI E RIEMPITIVO IN PIETRAME E CALCESTRUZZO
A 4 TESTE
R=2xL ARCO DI SORDINO
TAB. F.1.10./2 LUCE MASSIMA L IN FUNZIONE DELLO SPESSORE D (in cm) D
L
24
80
365
120
TAB. F.1.10./3 VALORI MINIMI PER PIATTABANDE IN MURATURE A DOPPIA PARETE (sottoposte principalmente al peso proprio e altezza massima dei piedritti 3 m) L
D
B
T
120
9
60
40
240
19
60
60
360
29
90
60
F 36
ARCO PORTANTE IN MATTONI
TIRANTI D
B La dimensione di B può essere ridotta di 1/3 nel caso di un risvolto d’angolo di almeno 40 cm. In presenza di carichi elevati la dimensione di T deve essere verificata con il calcolo (misure in cm).
ARCO CON PIATTABANDA APPESA (per luci notevoli)
L
T
PIATTABANDA
FERRI DI SOSTEGNO DELLA PIATTABANDA
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI ARCHI E PIATTABANDE
F.1. 10. A.ZIONI
CENTINATURE La realizzazione degli archi in mattoni richiede la predisposizione delle centine, ovvero di armature provvisorie, in genere in legname impostate fra i piedritti, atte a sostenere i mattoni sino alla presa della malta, cioè sino a quando l’arco è in grado di resistere autonomamente alle sollecitazioni di carico previste. La configurazione delle centine dipende dalla luce, dallo
spessore e dalla morfologia della curva da realizzare. Le centine hanno generalmente sostegni propri, i ritti; più raramente sono sostenute dai piedritti su cui è impostato l’arco, che risulta così arretrato rispetto al filo dei piedritti stessi. Dopo la presa, l’arco deve essere disarmato gradualmente, agendo su appropriati meccanismi di disarmo: cunei di legno, sacchi di sabbia, martinetti.
CENTINE AD ASSETTO VARIABILE Sono basate sulla adattabilità della struttura alla curva dell’arco da realizzare. Sono utilizzate per la costruzione di archi e volte in muratura, pietra, calcestruzzo armato. Il sistema statico resistente è costituito da un traliccio strutturale e la configurazione necessaria è realizzata mediante il serraggio degli elementi.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
FIG. F.1.10./5 CENTINE FORMATE DA ASSI E TAVOLE (adatte a luci ridotte, sino a 2 m) ASSE PER VERIFICARE LA DISPOSIZIONE RADIALE DEI GIUNTI
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
MANTO
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
TAVOLA ASSE
G.ANISTICA URB
RITTO
FIG. F.1.10./6 CENTINE FORMATE DA ASSI DI LEGNO INCASTRATE CON SCHEMA TRIANGOLARE O A RAGGERA (adatte a luci considerevoli, sino a 3,50 m)
STRATI SOVRAPPOSTI DI TAVOLE CON GIUNTI SFALSATI
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
APPOGGIO AI PIEDRITTI
F.3. IONI IZ PART E N INTER
RITTO
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE
APPOGGIO AI PIEDRITTI
FIG. F.1.10./8 CENTINA AD ASSETTO VARIABILE
FIG. F.1.10./7 MECCANISMI DI DISARMO
RITTO RITTO
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
I cunei di legno vanno tolti prima del martinetto
RITTO
CUNEI DI LEGNO
SACCO DI SABBIA facilmente riducibile
TAVOLA DI LEGNO
CUNEI DI LEGNO
MARTINETTO A VITE consente un disarmo graduale dopo aver eliminato i cunei
E 0. BAND F.1.1 E PIATTA I H ARC
F 37
F.1. 11.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE ARCHITRAVI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
ARCHITRAVI DI MATTONI FIG. F.1.11./1 ARCHITRAVI DI MATTONI A VISTA REALIZZATI CON L’IMPIEGO DI ELEMENTI DI ACCIAIO STAFFE DI ACCIAIO OGNI 3 GIUNTI
Le armature possono passare in fori praticati nei mattoni ed essere integrate in un getto di malta; in questo caso i fori devono essere sufficientemente ampi. I MATTONI SONO POGGIATI ALLA BARRA RISULTANDO A FILO CON I PIEDRITTI
MATTONI FORATI TONDINI DI ACCIAIO FORI RIEMPITI CON MALTA
TONDINI DI ACCIAIO ANCORATI AI PIEDRITTI
ARCHITRAVE MATTONI DI COLTELLO A FILO CON I PIEDRITTI
20-25 cm
PROFILI DI ACCIAIO SPECIALE ADATTI PER LE MURATURE A INTERCAPEDINE
PIEDRITTI ELEMENTO INTERO
BARRA DI ACCIAIO ANCORATA AI PIEDRITTI
GRAFFE DI SOLIDARIZZAZIONE TRA MATTONI E GETTO DI CALCESTRUZZO DA INSERIRE TRA I MATTONI PRIMA DI ESEGUIRE IL GETTO
ARCHITRAVE DI CALCESTRUZZO ARMATO POGGIATO SULLA ZONA RETROSTANTE DEI PIEDRITTI
BARRA DI ARMATURA DELL’ARCHITRAVE DELL ARCHITRAVE IN CALCESTRUZZO
PROFILO A “L” PER LUCI NOTEVOLI
PROFILO METALLICO CON FUNZIONE DI SOSTEGNO DEI MATTONI
I MATTONI RISULTANO A FILO CON I PIEDRITTI
CASSAFORMA PER IL GETTO DI CALCESTRUZZO
FIG. F.1.11./2 ARCHITRAVI DI MATTONI NON A VISTA Possono essere realizzati con diverse modalità, impiegando elementi speciali prefabbricati o blocchi ordinari; tra i primi sono impiegati elementi atti ad accogliere l’armatura o i blocchi cassero, i quali costituiscono la cassaforma per un getto di calcestruzzo armato. I blocchi ordinari possono essere opportunamente preparati a pie’ d’opera, eliminando parzialmente i setti interni, in modo da accogliere il getto di calcestruzzo e l’armatura. BLOCCO CASSERO 25 x 25 x 50 cm
BLOCCHI CASSERO
GETTO DI CALCESTRUZZO
25-30 x 19,5 x 50 cm
ARCHITRAVE CON UN BLOCCO SPACCATO E GETTO INTEGRATIVO DI CALCESTRUZZO ARMATO SOPRAFINESTRA SENZA CASSONETTO
GETTO DI CALCESTRUZZO
CON BLOCCHI ARMATI
F 38
SOPRAFINESTRA SENZA CASSONETTO
GETTO DI CALCESTRUZZO
CON BLOCCHI CASSERO
SOPRAFINESTRA CON VELETTA E CASSONETTO
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI ARCHITRAVI
F.1. 11. A.ZIONI
ARCHITRAVI DI CEMENTO ARMATO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
Adatti a luci notevoli possono essere prefabbricati o realizzati in opera mediante opportune casseformi.
B.STAZIONI DILEGIZLII
FIG. F.1.11./3 ARCHITRAVI DI CEMENTO ARMATO
I ED PRE NISM ORGA
RIVESTIMENTO IN CORTINA DI LATERIZIO
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU ARCHITRAVE DI CEMENTO ARMATO FACCIA A VISTA
20 cm
20 cm
D.GETTAZIONE ARCHITRAVE DI CEMENTO ARMATO CON VELETTA
FIG. F.1.11./5 GINO VALLE, COMPLESSO RESIDENZIALE ALLA GIUDECCA, VENEZIA (1980-85). Dettaglio dell’architrave prefabbricato in cemento armato
252 56 104
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
41,5
ARCHITRAVE DI CEMENTO ARMATO RIVESTITO
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
ARCHITRAVI DI ACCIAIO FIG. F.1.11./6a ARCHITRAVI DI ACCIAIO
CO NTALE AMBIE
URB
104
187 41,5
E.NTROLLO
G.ANISTICA
13
FIG. F.1.11./4 MARIO BOTTA, EDIFICIO PER UFFICI A LUGANO (1981-85). Vista prospettica con architravi scalettati
ARCHITRAVE DI CEMENTO ARMATO RIVESTITO
FIG. F.1.11./6b ARCHITRAVI DI ACCIAIO – ALDO ROSSI, NUOVO EDIFICIO PER UFFICI “CASA AURORA” TORINO (1983-87). Dettagli costruttivi dell’architrave di acciaio
Architravi di acciaio realizzati con profili a doppio T, adatti per luci notevoli. Per spessori elevati di muratura le travi sono rese solidali tra loro mediante manicotti, chiavarde, staffe. I profili di acciaio possono anche costituire la cassaforma a perdere per un eventuale getto di calcestruzzo.
F.3. IONI IZ PART E N INTER
1600 B
C
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC A 1420
F.5. I D ARRE
ELEMENTI INTERI
20 cm
A RETE PORTAINTONACO TRA LE ALI INFERIORI
PIANTA
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
C
B ARCHITRAVE DI ACCIAIO ANCORATO ALLA STRUTTURA
ARCHITRAVE DI ACCIAIO INTEGRATO DA UN GETTO DI CALCESTRUZZO
SEZIONE C-C
850 400
FLANGIA DI ANCORAGGIO
SEZIONE B-B
SEZIONE A-A
1. F.1.1 RAVI IT ARCH
F 39
F.1. 12.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE MURATURA ARMATA
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
CARATTERISTICHE E TIPI La muratura armata è costituita da elementi resistenti, con caratteristiche tipologiche definite dal DM 20 novembre 1987 con alloggiamento predisposto per contenere una armatura diffusa verticale, integrata, in fase di realizzazione, da un’armatura orizzontale disposta lungo i letti di malta o in apposita sede. L’armatura conferisce al setto murario la continuità e la capacità di resistere a trazione. Il collegamento tra gli elementi resistenti deve avvenire esclusivamente con malta di classe M1, M2, M3. L’argomento è oggetto di aggiornamento e revisione attraverso gli Eurocodici EC 6 “Progettazioni di strutture in muratura” e EC 8 “Progettazioni di strutture in zona sismica”. Da un punto di vista strutturale gli edifici in muratura armata devono comportarsi come strutture tridimensionali in cui tutti gli elementi, pareti e solai, contribuiscono globalmente a resistere alle azioni esterne. Le barre di armatura devono essere del tipo ad aderenza migliorata e adeguatamente protette dalla corrosione. La distanza minima della armatura dalla superficie esterna non dovrà essere inferiore a 5 cm. Gli elementi resistenti hanno configurazione tale da accogliere l’armatura e il getto; sono utilizzati anche ordinari mattoni pieni o a fori orizzontali. Per realizzare architravi ed elementi di sottofinestra si utilizzano blocchi speciali atti ad accogliere le armature che saranno ammorsate con le pareti adiacenti. Le armature verticali sono poste a interasse di 4-5 m. Le barre hanno sezione > 4 cm2 . Le armature orizzontali, con barre di diametro > 4 mm, sono collocate nei ricorsi murari e devono avere interasse < 600 mm; quelle che costituiscono incatenamento avranno interasse < 4 m. La percentuale di armatura verticale e orizzontale, riferite alla sezione trasversale deve essere > 0,05%.
FIG. F.1.12./1 BLOCCHI PER MURATURE ARMATE
13,7 x 28,6 x 20 cm
13,7 x 48,6 x 20 cm
BLOCCO BASE
1/4M
Le murature armate sono di tre tipi: • la muratura a intercapedine armata; • la muratura ad armatura diffusa; • la muratura ad armatura concentrata.
20 x 28,6 x 30 cm
6,5 x 12,5 x 25 cm
M+1/2M
M+1/4M
1/2M
BLOCCO A “T”
ARCHITRAVE
ELEMENTO BASE E PEZZI SPECIALI
La differenza tra i diversi tipi riguarda non solo i procedimenti realizzativi, ma le modalità con le quali gli elementi costruttivi che compongono la muratura armata reagiscono alle sollecitazioni esterne.
BLOCCHI CON APPOSITA SEDE PER L’ARMATURA L ARMATURA ORIZZONTALE
MURATURA A INTERCAPEDINE ARMATA Il setto murario si configura come cassaforma a perdere per un getto di calcestruzzo armato particolarmente fluido. Alcuni elementi di rinforzo come staffe e tralicci, attuano la collaborazione tra i vari strati di cui è costituito il setto e collaborano alla stabilità della armatura durante il getto.
Sono impiegati mattoni pieni o semipieni, con una percentuale di foratura del 25%, disposti a una testa. Il calcestruzzo deve essere gettato in fasi intervallate da vibrature dell’impasto e deve attuare il collegamento tra gli elementi portanti del solaio e l’armatura dei setti verticali.
Il riempimento dell’intercapedine può avvenire in contemporanea con la costruzione dei setti, oppure ogni 30-40 cm di costruzione dei setti stessi o per altezze maggiori. In quest’ultimo caso la presenza delle staffe assicura stabilità alle pareti prima del getto.
FIG. F.1.12./2 APPARECCHIATURE MURARIE BARRE DI ARMATURA ORIZZONTALE
BARRE VERTICALI BARRE VERTICALI
Ill getto di calcestruzzo fluido garantisce l’aderenza l aderenza tra armature verticali e murature
STAFFA DI COLLEGAMENTO E DI POSIZIONAMENTO DELL’ARMATURA DELL ARMATURA
BARRE DI ARMATURA VERTICALE
MATTONI PIENI
MATTONI PIENI ELEMENTI A FORI VERTICALI
ANCORAGGI BARRE ORIZZONTALI
F 40
BARRE ORIZZONTALI
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI MURATURA ARMATA
F.1. 12. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.12./3 POSIZIONAMENTO DELL’ARMATURA E DELLE STAFFE DI COLLEGAMENTO TRA I SETTI
B.STAZIONI DILEGIZLII
Le barre verticali si devono sovrapporre per una lunghezza da 30 a 60 volte il diametro
I ED PRE NISM ORGA
STAFFA BARRA VERTICALE
BARRA ORIZZONTALE
BARRA VERTICALE
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF ARMATURA CON DUE BARRE VERTICALI E DUE ORIZZONTALI
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
STAFFA
BARRA ORIZZONTALE STAFFE
BARRA ORIZZONTALE
BARRA VERTICALE 2d
d
BARRA ORIZZONTALE
BARRA VERTICALE
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI, SEZIONI VERTICALI
SEZIONE ORIZZONTALE
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
SPEZZONI PIEGATI ALTERNATI A DESTRA E A SINISTRA
l = 30d
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
l = 30d
BARRE DIRITTE E SPEZZONI PIEGATI
F.3. IONI IZ PART E N INTER
BARRE PIEGATE
Negli egli angoli alle barre diritte si aggiungono spezzoni piegati, oppure si piegano le barre
Negli egli innesti a “T” gli spezzoni piegati si sovrappongono alle barre diritte per 30 volte il diametro SEZIONI ORIZZONTALI
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE
I ferri di ancoraggio e di taglio provenienti dal solaio si devono sovrapporre ai ferri della muratura
STAFFA DI COLLEGAMENTO
STAFFE DI COLLEGAMENTO
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
ARMATURA DI TAGLIO E ANCORAGGIO
FERRI DI CONTINUITÀ CONTINUIT RIPIEGATI
NODO TRA MURATURA PERIMETRALE E SOLAIO
GIUNTI DEL GETTO
NODO TRA MURATURA INTERNA E SOLAI TESSUTI NELLA STESSA DIREZIONE
FERRO DI CONTINUIT CONTINUITÀ
NODO TRA MURATURA INTERNA E SOLAI TESSUTI IN DIREZIONI DIVERSE SEZIONI VERTICALI
ATA 2. F.1.1TURA ARM MURA
F 41
F.1. 12.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE MURATURA ARMATA
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
MURATURA AD ARMATURA DIFFUSA FIG. F.1.12./4 APPARECCHIATURE MURARIE E DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE L’armatura verticale è costituita da barre; quella orizzontale da barre o da tralicci. Possono essere impiegati elementi resistenti di diverso tipo: • gli elementi speciali presentano la cavità per il passaggio dell’armatura verticale e devono consentire lo sfalsamento dei giunti tra corsi successivi; • con i blocchi a “T” la giustapposizione degli elementi conforma la cavità verticale; • i mattoni pieni ordinari vengono disposti a Quetta.
INNESTO AD ANGOLO
15 BARRE VERTICALI TRALICCI
STAFFA DI COLLEGAMENTO TRA LE MURATURE E IL RIVESTIMENTO
GIUNZIONE E PIEGATURA DI TRALICCIO
PIEGATURA DEI FERRI ORIZZONTALI GETTO DI MALTA
Le armature orizzontali sono posizionate ogni 2 ricorsi
ARMATURA VERTICALE
ARMATURA ORIZZONTALE RIPIEGATA
ARMATURA ORIZZONTALE PIANTA DEI RICORSI MURATURA A 4 VIE MURATURA A 3 VIE BLOCCO A “T” MATTONI ORDINARI
PIANTA DEI RICORSI PIANTA DEI RICORSI
DISPOSIZIONE A QUETTA
FIG. F.1.12./5 MURATURA MONTATA A SECCO Muratura realizzata con mattoni modulari la cui particolare configurazione consente l’assemblaggio mediante una serie di perni-guida in plastica. La muratura viene montata a secco per un’altezza di 2-3 m; posizionate le armature orizzontali e successivamente quelle verticali, viene colata una malta fluida nei fori verticali che defluirà anche nei canali orizzontali dell’elemento. VANO PER IL GETTO
Gli spinotti in plastica facilitano il posizionamento
F 42
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI MURATURA ARMATA
F.1. 12. A.ZIONI
MURATURA AD ARMATURA CONCENTRATA
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.12./6 APPARECCHIATURE MURARIE E DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE L’armatura è collocata in travetti e pilastrini inseriti nello spessore murario. La funzione portante è affidata essenzialmente allo scheletro in calcestruzzo armato, a cui sono opportunamente collegati i setti murari che comunque collaborano, anche se con funzione secondaria, alla stabilità dell’insieme. Per il passaggio delle armature verticali, oltre gli elementi con specifica geometria, sono utilizzabili anche i blocchi a fori verticali.
PEZZO SPECIALE A FORI VERTICALI PER IL PILASTRO D’ANGOLO, D ANGOLO, CHE NON LASCIA FORI APERTI VERSO L’ESTERNO L ESTERNO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
TRALICCIO METALLICO ELEMENTO A FORI ORIZZONTALI PANNELLI PREFABBRICATI IN MURATURA ARMATA
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ LARGHEZZA DA 0,375 A 2,00 m
PANNELLO FINESTRA
SOTTOFINESTRA
F.3. IONI IZ PART E N INTER
BARRE VERTICALI DI SOLLEVAMENTO DA AGGANCIARE ALLE BARRE DEL CORDOLO
STAFFE ORIZZONTALI
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC MATTONI SPECIALI: PIANTE DEI RICORSI PILASTRINI AGGETTANTI DAL FILO DELLA MURATURA
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
SPESSORE MURI 24-30-35 cm
PANNELLI SPECIALI PER PORTE E FINESTRE
ARMATURA DI UN PANNELLO
GIUNTO TRA PARETI GIUNTO TRA PANNELLI BARRE ORIZZONTALI
BARRE VERTICALI
BARRE VERTICALI
PILASTRINI INTERNI ALLA MURATURA
MURI DI RITEGNO “POCKET POCKET TYPE WALLS WALLS”:: DISPOSIZIONE DELLE ARMATURE
ATA 2. F.1.1TURA ARM MURA
F 43
F.1. 13.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE MURATURE A GETTO
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
CASSEFORME E SISTEMI A PROIEZIONE Le murature realizzate con getti di calcestruzzo eseguiti in opera prevedono l’uso di casseforme entro cui contenere il getto e le armature, ovvero supporti adeguatamente resistenti su cui il calcestruzzo viene dato a spruzzo. L’evoluzione delle tecniche delle casseforme ha notevolmente accelerato i tempi di esecuzione e, naturalmente, reso più economico il getto del calcestruzzo in opera per la realizzazione delle murature. Alle tradizionali casseforme in legno, realizzate in cantiere, le cui tavole sono connesse con chiodature, ancora largamente utilizzate, si aggiungono oggi sistemi completi di casseforme ad alta riutilizzabilità. Questi sono integrati da accessori e componenti che ottimizzano i tempi di casseratura, scasseratura e i costi di manodopera; è previsto anche l’impiego di passerelle di getto innestate direttamente sui casseri, rispondenti ovviamente alle norme di sicurezza. Sono sistemi modulari, composti da elementi di diversa larghezza e altezza, sovrapponibili fino a raggiungere altezze complessive di oltre 10 m, di semplice montaggio e ridotta manutenzione. I telai possono essere in legno, acciaio o alluminio; il rivestimento è realizzato con pannelli in compensato multistrato di diverso tipo e intaglio, così da conferire qualsiasi finitura al calcestruzzo. Per particolari planimetrie è possibile mettere a punto, grazie all’ausilio di programmi automatizzati e alla adattabilità degli elementi standard, casseforme dalla geometria complessa, atte a consentire il getto dell’intero perimetro. L’impiego di tali programmi non solo permette la modifica continua delle casseforme, ma la fornitura della distinta completa dei pannelli e degli accessori necessari alla realizzazione della struttura.
FIG. F.1.13./1 CASSEFORME A TRAVI E A TELAIO SISTEMI MODULARI DI CASSEFORME A TRAVI L’assemblaggio assemblaggio dei moduli consente l’esecuzione esecuzione di elementi non lineari e la realizzazione di geometrie complesse, come questa che presenta raggi variabili.
CASSEFORME A RIPRESA Sono casseforme per pareti, dotate di piani di servizio, utilizzate per la realizzazione di manufatti a elevato sviluppo verticale e sezione costante (canne di ascensori, vani scala, pile di ponti ecc.). Il tipo rampante viene sollevato dal tiro della gru e si ancora al manufatto costruito; il tipo autosollevante, adatto ad altezze notevoli, anche superiori a 100 m, viene innalzato senza l’impiego della gru, ma attraverso un meccanismo di sollevamento idraulico, controllato elettronicamente, sino all’altezza successiva del giunto di ripresa (60-75 cm).
2,40-5,95 m
ELEMENTO BASE DELLA CASSAFORMA A TRAVI
PIANTA
I moduli sono idonei alla al a realizzazione di pareti con raggio variabile, a partire da raggi di 1 m, come nel caso di impianti di depurazione, rampe, silos ecc.
F 44
VISTA ASSONOMETRICA
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI MURATURE A GETTO
F.1. 13. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
SISTEMA MODULARE DI CASSEFORME A TRAVI, completo di passerella di servizio
SISTEMA DI CASSAFORMA A TELAIO
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
FIG. F.1.13./2 CASSEFORME PER PILASTRO E CASSERI A RIPRESA
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
0,30-3,00
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
0,25-0,70 m CASSEFORME PER PILASTRO CIRCOLARE
CASS FORMA CASSAFORMA CON UN SOLO PARAMENTO Per altezza di getto fino a 8,75 m
CASSERO RAMPANTE: FASI OPERATIVE FASE 1 FASE 2 Getto della parete. Si trasla la cassaforma. Si monta l’ancoraggio ancoraggio superiore. Sale la guida che si assicura automaticamente.
FASE 3 Sale l’unit l unità di passerella a ripresa senza ancoraggi intermedi, fino a raggiungere il successivo livello a ripresa di getto. La cassaforma è cos così pronta per il successivo ciclo di ripresa.
3. ETTO F.1.1TURE A G MURA
F 45
F.1. 13.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE MURATURE A GETTO
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ CASSEFORME E SISTEMI A PROIEZIONE CASSAFORMA IN POLISTIRENE
FIG. F.1.13./3 CASSEFORME E SISTEMI A PROTEZIONE
Il modulo base è un elemento cassero per la costruzione di pareti portanti, costituito da due lastre di polistirene espanso autoestinguente, distanziate da staffe in lamiera prestampata. Gli elementi sono montati a secco, guidati dagli incastri. Una serie di pezzi speciali completa il sistema.
CASSAFORMA IN POLISTIRENE
MODULO BASE
VARIATORE DI ALTEZZA
Dati tecnici: Dimensioni dell’elemento base: 100 x 25 x 25 cm Peso muratura: 350 kg/m2 Trasmittanza termica di parete con intonaco: 0,30 W/m2K Isolamento acustico (500 Hz) (parete intonacata): 45 db SEZIONE
cm 100 x 25 x 25 h
PIANTA
INSERTO cm 50 x 5 x 5 h
SISTEMA A PROIEZIONE
SEZIONE
Il sistema è costituito da un traliccio spaziale di acciaio elettrosaldato e da uno strato di poliuretano espanso all’interno. Il pannello viene completato in opera con proiezione di malta cementizia. La malta riempie le distanze tra lo strato coibente e le reti, fuoriuscendone per uno spessore di circa 2-2,5 cm. Il sistema, adatto a realizzare sia pareti di tamponamento che portanti, consente l’integrazione degli impianti all’interno del pannello. Dati tecnici: Dimensioni del pannello: altezza variabile, larghezza 1,20 m, spessore 4-15 cm Trasmittanza termica di parete di 20 cm: 0,31 W/m2K Isolamento acustico (500 Hz) (parete intonacata): 47 db Resistenza al fuoco: 180 REI
INSERTO PER FINESTRE
cm 60 x 35 x 25 h
ANGOLO
ANGOLO CURVO
CASSAFORMA IN PANNELLI MULTISTRATO
SISTEMA A PROIEZIONE 40
40
40
40 CASSAFORMA METALLICA POLIURETANO ESPANSO
ARMATURA A MOMENTO NEGATIVO
NODO A DUE VIE
TRALICCIO SPAZIALE
RETE DI CUCITURA
ARMATURA DEL TRAVETTO
RETE DI CUCITURA
FORCELLE DI ANCORAGGIO
SEZIONE VERTICALE
TRALICCIO SPAZIALE CON ARMATURA IN CORRISPONDENZA DELLE APERTURE SEZIONE ORIZZONTALE
F 46
GETTO DI COMPLETAMENTO
PARTICOLARE ATTACCO AL SOLAIO
FORCELLE DI ANCORAGGIO DEL PANNELLO AL GETTO DEL SOLAIO
SEZIONE ORIZZONTALE
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI ELEMENTI DI CORRELAZIONE
F.1. 14. A.ZIONI
CORRELAZIONE DELLE MURATURE A ELEMENTI CON LA STRUTTURA PORTANTE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.14./1 CORRELAZIONE CON IL TELAIO DI ACCIAIO MONTANTE DI ACCIAIO PROFILO DI RIVESTIMENTO
SERRAMENTO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU PILASTRO IN ACCIAIO
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
GETTO IN CALCESTRUZZO DI RIVESTIMENTO DEL PILASTRO MURATURA DI MATTONI
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
MONTANTE DI ACCIAIO PROFILO DI CONNESSIONE TRA MURATURA E MONTANTI DI ACCIAIO
G.ANISTICA URB
PROFILO DI CONTENIMENTO DEL GETTO GUAINA IMPERMEABILE
SOTTOFONDO PAVIMENTO
GIUNTO FLESSIBILE
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
GRAFFA TRAVE PERIMETRALE
INTERCAPEDINE 5 cm
INTONACO ZOCCOLO
GRAFFA IN GUIDA A CODA DI RONDINE
PAVIMENTO
MATERIALE ISOLANTE 4 ÷6 6 cm
F.3. IONI IZ PART E N INTER
LAMIERA GRECATA
FIG. F.1.14./2 CORRELAZIONE CON IL TELAIO IN CALCESTRUZZO ARMATO
GETTO DI CALCESTRUZZO
GUARNIZIONI DI TENUTA SU GIUNTO RIEMPITO DI MATERIALE COMPRIMIBILE
MALTA DI ALLETTAMENTO
BARRE DI ARMATURA ORIZZONTALE PROFILO A “L” DI SOSTEGNO DELLA MURATURA INTONACO
RIEMPIMENTO CON MATERIALE COMPRIMIBILE
MATERIALE COMPRIMIBILE
SIGILLANTE GRAFFE DI SOLIDARIZZAZIONE CON RONDELLE IN MATERIALE PLASTICO
BARRIERA AL VAPORE BLOCCHI DI CALCESTRUZZO
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
MURATURA A FACCIA VISTA IN LATERIZIO
MATERIALE ISOLANTE 6 cm INTERCAPEDINE 5 cm GRAFFE DI SOLIDARIZZAZIONE CON RONDELLE IN MATERIALE PLASTICO BARRIERA AL VAPORE
SEZIONE SUL SOLAIO
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
PIANTA SULL’ANGOLO SULL ANGOLO
MATERIALE COMPRIMIBILE SIGILLANTE PILASTRO IN CALCESTRUZZO INTONACO 2 cm MURATURA INTERNA IN BLOCCHI DI CALCESTRUZZO
3. ETTO F.1.1TURE A G MURA 4. F.1.1NTI DI ELEME LAZIONE E CORR
F 47
F.1. 15.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE PANNELLI IN CALCESTRUZZO
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
•
PANNELLI PREFABBRICATI – CARATTERISTICHE E TIPI
PANNELLI A SVILUPPO VERTICALE
> = 20
< = 160
30
30
30 20 20
20
20 20
20
< = 150 ÷ 60
20
120 ÷240 240 ÷ 250 20 20
20 30
20
30
30 20
120 ÷ 240 ÷250 250
60 > = 30
> = 30 PANNELLI APERTI
> = 20
30
> = 20 ÷30 30
PANNELLI APERTI
30
30
20
20
H =120 = 120 ÷240 240 ÷ 250
30 20
30 20
20
30
La finitura esterna del pannello può essere molto diversificata e può essere realizzata in fase di produzione o dopo la posa in opera. Le colorazioni sono ottenute mediante l’inserimento di pigmenti organici o polvere di marmi colorati nell’impasto; i risalti superficiali, di infinite variazioni e possibilità aggregative, sono ottenuti con matrici di vario materiale, in fase di produzione; la messa in vista degli inerti è ottenuta con sistemi che erodono lo strato superficiale del pannello finito, oppure è prevista durante la fase di produzione dello stesso. I pannelli prefabbricati in laterizio rientrano nella categoria delle murature armate (cfr. F.1.12.) e rispondono alle caratteristiche richieste per essere impiegati per le costruzioni in zona sismica.
FIG. F.1.15./1 PANNELLI IN CALCESTRUZZO (misure minime consigliate in mm) PANNELLI A SVILUPPO ORIZZONTALE
20
Il pannello è definito a sviluppo orizzontale se è prevalente la dimensione della larghezza; a sviluppo verticale se è prevalente la dimensione dell’altezza; chiuso quando il vano finestra è ricavato all’interno della geometria del pannello; pieno quando il pannello non presenta aperture; aperto quando la forma è tale che le eventuali aperture sono ricavate dalla aggregazione di elementi contigui; monostrato quando è realizzato solo da calcestruzzo eventualmente alleggerito; multistrato quando la sezione presenta uno strato di materiale isolante o una camera d’aria; misto quando è realizzato con materiali diversi, ad esempio laterizio nella faccia esterna e calcestruzzo nella faccia interna. Il pannello di calcestruzzo può essere totalmente o parzialmente prefabbricato; in quest’ultimo caso necessita di completamento in opera. La produzione dei pannelli avviene su tavoli orizzontali ribaltabili in officina o a pie’ d’opera. Le dimensioni massime dei pannelli sono condizionate dalle possibilità di trasporto, regolamentata per legge. Attualmente le dimensioni consentite per il trasporto devono essere contenute nei seguenti valori: • larghezza 2,50 m; • altezza 2,70 m (massima altezza ammissibile compreso il pianale del mezzo di trasporto 4,00 m); • lunghezza 12 m; • peso 20 t.
30
FIG. F.1.15./2 PANNELLI A SEZIONI PIANE E CONCAVE
120 ÷ 240 ÷ 250 10 ÷ 20
4
10 ÷20 20
3 3
4 4 4
12 ÷24 24
PANNELLO NON COIBENTATO
CALCESTRUZZO CELLULARE O ARGILLA ESPANSA
5 5 5
14 ÷ 24
CALCESTRUZZO
4
12 ÷ 24
20 ÷ 40 max 250 4 8 ÷ 30 120 ÷ 240 ÷250 250 4
120 ÷ 240 ÷250 250
MATERIALE ISOLANTE PANNELLI MULTISTRATO 12 ÷ 24
12 ÷ 16 ÷20 20 ÷ 24
PANNELLI NON COIBENTATI
4
CALCESTRUZZO CELLULARE O ARGILLA ESPANSA
22 ÷ 26
CALCESTRUZZO CELLULARE O ARGILLA ESPANSA
MATERIALE ISOLANTE
PANNELLO CON CORREZIONE DEI PONTI TERMICI LANA DI ROCCIA 5 5 5 100 ÷ 125
max 240 ÷ 250 30 ÷ 50
4,5 4,5
6 100 ÷ 125
5 ÷6
PANNELLI MULTISTRATO A SEZIONI DIVERSE
H = fino a 8 m
POLISTIROLO ESPANSO 12 ÷24 24
5 ÷6
CALCESTRUZZO CELLULARE O ARGILLA ESPANSA 10
max 240 ÷ 250
PANNELLI MULTISTRATO NERVATI
H = fino a 8 m
POLISTIROLO ESPANSO
4,5 4,5
6 1,8 100 ÷ 168
H = fino a 11 m
PANNELLI DI TAMPONAMENTO
F 48
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI PANNELLI IN CALCESTRUZZO
F.1. 15. A.ZIONI
ATTREZZATURE DI GIUNTO Alla attrezzatura di giunto è affidata la continuità fisica e strutturale dell’organismo costruito e la tenuta agli agenti atmosferici. I giunti orizzontali attuano il collegamento sui lati orizzontali del pannello; i giunti verticali attuano il collegamento sui lati verticali. Il giunto semplice o a uno stadio è realizzato con una guarnizione in neoprene o una sigillatura in nastro di schiuma di polietilene, in modo da costituire una barriera alle infiltrazioni di acqua e aria. La guarnizione o la
sigillatura devono essere protette dai raggi ultravioletti. Il giunto doppio o a due stadi, impiegato per pareti di spessore superiore a 15 cm, oppone due barriere: una esterna e una interna, tra le quali si crea un vuoto di decompressione che equilibra la pressione interna ed esterna al giunto. Il vuoto di decompressione deve essere ventilato e drenato. Una fodera di zinco, politene o gomma butilica, denominata grembiale, riveste la battuta orizzontale del pannello, risvoltando nel vuoto di
FIG. F.1.15./4 GIUNTI SEMPLICI
decompressione; l’acqua proveniente dal vuoto del pannello superiore viene così incanalata in quello del pannello inferiore e non scorre sulla superficie esterna. Il giunto è riempito con materiale spugnoso e sigillato con mastice o striscia adesiva (s ≥ 1 cm), in modo da fornire la distanza necessaria a permettere le dilatazioni termiche. In sostituzione del mastice o della striscia può essere impiegato un coprigiunto in profilo di materiale metallico o plastico. FIG. F.1.15./3 FINITURE ESTERNE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
50
30 GIUNTI ORIZZONTALI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
GIUNTI VERTICALI
15
D.GETTAZIONE
sigillante
PRO TTURALE STRU VARIABILE GIUNTO CON MASCHIO E FEMMINA SEMICHIUSO
interno
GIUNTO CON 2 FEMMINE APERTO
25 ÷ 30
95
40
40
AMPIEZZAESTERNE DEI GIUNTI FINITURE DEI PANNELLI dei giunti verticali av , e orizzontali ao deve essere DIL’ampiezza CALCESTRUZZO
GIUNTI VERTICALI E ORIZZONTALI 5
5
2 5
1
esterno
5 7 3
4
2
interno 4 4
4
GIUNTO CON BANDA E SIGILLO
esterno 5
5
8
8
compresa tra 10 e 30 mm. Le ampiezze minime sono date ao = 8 mm + Tp dalla relazione: av = 8 mm + Tp + ∆ L + ∆ H dove: Tp = tolleranza di produzione dei pannelli, normalmente compresa fra +/-5 mm ∆ L = deformazioni termiche orizzontali = L x ∆T x αt ∆ H = deformazioni termiche verticali = H x ∆T x αt L = larghezza del pannello H = altezza del pannello ∆T = escursione termica; in riferimento all’Italia il valore può essere compreso: per pareti di colore chiaro, da un minimo di –10°C e un massimo di + 30°C; per pareti di colore scuro ∆T è circa 60°C. αt = coefficiente di dilatazione termica (calcestruzzo normale αt = 0,00001; calcestruzzo alleggerito αt = 0,000008)
5
10 6
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
11
9
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
F.3. IONI IZ PART E N INTER
FIG. F.1.15./6 NODI D’ANGOLO
9
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
55
GIUNTO LISCIO APERTO
FIG. F.1.15./5 GIUNTI DOPPI
E.NTROLLO
interno 10
4
4
NODO A 3 VIE
F.5. I D ARRE
11 10 GIUNTO CON GUARNIZIONI E MEMBRANA
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
12
10 ÷ 30 mm
12 esterno interno 6 4 ÷7
9 4 LAMIERA
12
14
13
4 ÷7
13 GIUNTO DI PANNELLI MULTISTRATO SEZIONI SUL GIUNTO 1 2 3 4
– – – –
zona drenante; banda; vuoto di decompressione; materiale spugnoso;
5 6 7 8
– – – –
sigillatura o mastice; banda elastica di tenuta; grembiale; guarnizione forata;
9 – vuoto sagomato; 10– membrana interna; 11– protezione della membrana; 12– pettini a incastro;
13 – getto di calcestruzzo; 14 – guarnizione in neoprene inserita nella guida del pannello.
5. F.1.1ELLI IN PANNSTRUZZO E CALC
F 49
F.1. 15.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE PANNELLI IN CALCESTRUZZO
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
SISTEMI DI ANCORAGGIO FIG. F.1.15./7 APPOGGIO DEI PANNELLI IN FONDAZIONE FERRO USCENTE DAL PANNELLO
PANNELLO CON BORDO INFERIORE SAGOMATO PER ALLOGGIARE I PROFILI METALLICI DA COLLEGARE ALLA PIASTRA
STRATO DI MALTA PER LIVELLAMENTO
STRATO ISOLANTE GOCCIOLATOIO
MASTICE PER SIGILLATURA
FERRO USCENTE DALLA FONDAZIONE
STRATO ISOLANTE TONDINO IN FERRO SALDATO ALLA PIASTRA
MASTICE PER SIGILLATURA
MASTICE PER SIGILLATURA
PROFILO IN FERRO DA SALDARE ALLA PIASTRA
PIASTRA ANNEGATA NEL CORDOLO DI FONDAZIONE
FIG. F.1.15./8 PROFILI DI ANCORAGGIO (misure in mm) ELEMENTO DI COLLEGAMENTO CON PIASTRA E MANICOTTO PER L’ANCORAGGIO L ANCORAGGIO A CONTATTO
20 ANCORAGGIO A CONTATTO SU TRAVI DI BORDO Portata ortata di esercizio 700 kg
250 mm
ANCORAGGIO A DISTANZA SU TRAVI DI BORDO Portata ortata di esercizio 700-1270 kg
100 mm PIASTRA A BAIONETTA PER L’ANCORAGGIO L ANCORAGGIO A DISTANZA
50 60
ELEMENTO DI COLLEGAMENTO CON PIASTRA A “U” ANCORAGGIO A SCOMPARSA SU PILASTRI Portata ortata di esercizio 450-1100 kg
PROFILO CON PIEDINI DI ANCORAGGIO ANNEGATI NEL CALCESTRUZZO (14.000 kg/ml) ANCORAGGIO PER PANNELLI SOSPESI A TRAVI DI BORDO O SOLAI Portata ortata di esercizio 1250-3000 kg
ANCORAGGIO SU TRAVE DI GRONDA Portata ortata di esercizio 700 kg
F 50
ELEMENTO DI COLLEGAMENTO CON PIASTRA ANGOLARE E CONTROPIASTRA
ELEMENTO DI COLLEGAMENTO CON PIASTRA A “U”
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI MURATURE TRAFORATE
F.1. 16. A.ZIONI
APPARECCHIATURE MURARIE TRAFORATE Sono impiegate per muri di separazione o recinzioni di ambienti esterni, e per ridurre l’insolazione e l’introspezione verso l’interno. Possono essere realizzate con elementi di dimensioni correnti disposti secondo modalità diverse (di fascia, di coltello, inclinati) o con elementi speciali.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
FIG. F.1.16./1 APPARECCHIATURE MURARIE
C.RCIZIO
MATTONI DISPOSTI DI FASCIA
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
MATTONI DISPOSTI DI FASCIA E DI COLTELLO
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
MATTONI A DISPOSIZIONE INCLINATA
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
MATTONI SPECIALI
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
MATTONI DISPOSTI DI FASCIA E INCLINATI
ELEMENTI SPECIALI (dimensioni in cm)
14,5 15
7,5
29
8,5 15
8
7
15
5. F.1.1ELLI IN PANNSTRUZZO E CALC TE 6. FORA F.1.1TURE TRA A R MU
F 51
F.1. 17.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE FACCIATE LEGGERE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
CLASSIFICAZIONE La facciata leggera è una chiusura verticale realizzata con pannelli prefabbricati non aventi caratteristiche portanti. Il peso del singolo pannello è generalmente inferiore a 100 kg/m2. Sono esclusi quindi il calcestruzzo e la muratura. Le Direttive comuni per l’Agrément tecnico dell’UEAtc classificano le facciate leggere e le tipologie di pannelli secondo le modalità di messa in opera del pannello. I pannelli impiegati nelle facciate leggere hanno struttura multistrato; l’isolante interposto può essere del tipo da iniettare, ovvero in materassini rigidi.
I pannelli sandwich non necessitano di una controfodera di finitura interna; i pannelli deck richiedono la realizzazione in opera della finitura interna. Tra i materiali impiegati nella realizzazione di pannelli per facciate leggere figurano il policarbonato rinforzato con fibra di vetro, il fibrocemento senza amianto, le resine plastiche e termoindurenti, l’acciaio, l’alluminio. Le superfici dei pannelli metallici possono essere di lamiera liscia, nervata, imbutita. La lamiera esterna può essere rivestita di smalto porcellanato, vernici o pellicole plastiche.
FIG. F.1.17./1 TIPOLOGIA DEI PANNELLI PANNELLI A SVILUPPO VERTICALE
PANNELLI A SVILUPPO ORIZZONTALE
FACCIATA A CORTINA
MURI
MURI
MURI
SOLAI
SOLAI
CORTINA
SOLAI
CORTINA
FACCIATA-CORTINA CONTINUA IN TUTTI I SENSI
MURI
MURI
INSERITA
MURI SOLAI
SOLAI
SOLAI
SEMICORTINA
FACCIATA SEMI-CORTINA IN TUTTI I SENSI
MURI
MURI SOLAI
FACCIATA-PANNELLO
SOLAI
INSERITA
MURI
FACCIATA-CORTINA INSERITA VERTICALMENTE
MURI
MURI
FACCIATA-PANNELLO CONTINUA TRA I SOLAI
SOLAI
SOLAI
SOLAI
SEMICORTINA
FACCIATA SEMI-CORTINA INSERITA VERTICALMENTE
FIG. F.1.17./2 SEZIONI DI PANNELLI MURI
PANNELLO SANDWICH
LAMIERA ESTERNA
SOLAI
FACCIATA-PANNELLO SEMI-CORTINA TRA I SOLAI LAMIERA INTERNA PANNELLO DECK
LAMIERA ESTERNA
MURI SOLAI
FACCIATA-PANNELLO INSERITA NEI QUATTRO LATI
F 52
EVENTUALE RIVESTIMENTO
ISOLANTE
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI FACCIATE LEGGERE
A.ZIONI
PROFILI E CARATTERISTICHE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. F.1.17./1 PROFILI IN LAMIERA D’ACCIAIO CON CARATTERISTICHE ACUSTICHE LUNGHEZZA MASSIMA (m)
SPESSORE MATERIALE (mm)
LUNGHEZZA MASSIMA (m)
PESO (kg/m2) fianco forato 140 135
lato superiore-fianchi forati 32 119 88
18 207
0,75
5,76
24
101
40
1035
287
825
foratura 23%
foratura 16 16,1% 1%
18
0,75
106
5,05
40
1035
24 250
750
foratura 18%
18 183
0,75
fianco forato 119 131
6,51
40
915
foratura 27%
158 58
tutta la superficie forata 40 119 64
24 750
18
0,75
0,75
8,11
0,88
9,51
1,00
10,80
0,75
8,90
0,88
10,50
1,00
11,90
0,75
11,00
0,88
12,90
1,00
14,70
1,25
18,40
1,50
22,00
41
250
183
PESO (kg/m2)
foratura 18%
5,71
40
915
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
40
foratura 34% lato superiore-fianchi forati 40 119 64
SPESSORE MATERIALE (mm)
39
fianco forato 140 110 10
tutta la superficie forata 32 119 88 207
F.1. 17.
foratura 39%
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
PANNELLI SANDWICH RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
TAB. F.1.17./2 CARICO MASSIMO UNIFORMEMENTE DISTRIBUITO (kg/m2) LAMIERA GRECATA
1000 200
RESINA POLIURETANICA AUTOESTINGUENTE, CON SCHIUMA POLIISOCIANURATA O CON RITARDANTI DI FIAMMA
166,6
s A
F.3. IONI IZ PART E N INTER
LAMIERA GRECATA
1000
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
200 s
F.5. I D ARRE
B
SPESSORI S (mm)
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
K kcal 2 m h °C
PESO PANNELLO (kg/m2) 0,4 + 0,4
0,5 + 0,5
DISTANZA TRA GLI APPOGGI “L” IN METRI ▲
2,50
3,00
L
▲
3,50
L
▲
▲
4,00
4,50
2,00
2,50
kg/m2
L 3,00
▲
3,50
4,00
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
kg/m2
A 25
0,771
7,92
9,67
133
77
48
30
0,643
8,10
9,85
192
111
69
46
157
80
46
226
115
35
0,552
8,29
10,04
263
152
96
64
66
42
45
308
157
91
40
0,485
8,48
10,23
343
199
125
57
83
59
403
206
119
50
0,391
8,85
10,60
440
305
75
197
130
92
550
323
187
118
60
0,326
9,23
10,98
528
78
367
269
188
133
660
422
269
169
113
50
80
0,247
9,98
11,73
704
489
359
275
217
880
563
391
287
202
100
0,200
10,73
12,48
880
611
449
344
272
1100
704
489
359
275
40
0,485
8,52
10,27
343
199
125
83
59
403
206
119
75
50
60
0,326
9,27
11,02
528
367
269
188
133
660
422
269
169
113
100
0,200
10,77
12,52
880
611
449
344
272
1100
704
489
359
275
B
7. RE F.1.1 TE LEGGE IA FACC
F 53
F.1. 17.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE FACCIATE LEGGERE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
ATTREZZATURE DI GIUNTO I giunti tra i pannelli devono garantire impermeabilità all’aria e all’acqua. Sono quindi sigillati con resine e guarnizioni. I principali tipi di giunto sono: a sovrapposizione, a battente, a incastro, ad accostamento ad anima o linguetta, a labirinto. Il fissaggio può essere a vista (forature passanti viti, rivetti) o a scomparsa (graffe, fori non passanti, collanti speciali). FIG. F.1.17./3 MODALITÀ DI FISSAGGIO TRA I PANNELLI
COPRIGIUNTO A SCATTO
CAPPELLOTTO
GUARNIZIONE
FISSAGGIO A SCOMPARSA SU CORRENTI DI LEGNO
FISSAGGIO A SCOMPARSA CON COPRIGIUNTO
FISSAGGIO A VISTA
FISSAGGIO A SCOMPARSA
FIG. F.1.17./4 TIPI DI GIUNTI
FISSAGGIO A VISTA
FIG. F.1.17./5 SISTEMI DI ANCORAGGIO AL TELAIO ANCORAGGI CON TELAIO AUSILIARIO E PANNELLI METALLICI PROFILO IN NEOPRENE
PROFILO IN ALLUMINIO
SILICONE STRUTTURALE
GIUNTI A BATTENTE
d
a a a
S c b
a > = 4 mm b > = 20 mm c = 3 mm d = 10 mm
TELAIO AUSILIARIO
ADATTI PER PANNELLI CON S = 8 ÷10 10 mm DOPPIO PROFILO IN ALLUMINIO E NEOPRENE
GIUNTI AD ANIMA
CAPPUCCIO DI COPERTURA
PANNELLO
RIVETTO IN ALLUMINIO BUSSOLA
CAPPUCCIO DI COPERTURA
GIUNTO REALIZZATO NEI RISVOLTI LATERALI DEL PANNELLO
GIUNTO INTEGRATO NEL PANNELLO COLLEGATO CON SILICONE STRUTTURALE
GIUNTI E FISSAGGI PASSANTI PER PANNELLI IN LAMINATO COPRIFILO
VITE
TELAIO AUSILIARIO
TELAIO
MONTANTE VERTICALE
CAPPUCCIO DI COPERTURA VITE BUSSOLA DOPPIO PROFILO IN ALLUMINIO FISSAGGIO CON RIVETTI O VITE AUTOFILETTANTE
F 54
FISSAGGIO MECCANICO SUL PANNELLO
FISSAGGIO MECCANICO E COPRIFILO SEZIONI ORIZZONTALI
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI PARETI TRASLUCIDE E TRASPARENTI
A.ZIONI
VETROCEMENTO Il termine indica una struttura in cui elementi modulari di vetro stampato, i diffusori, di forma diversa e con elevate caratteristiche meccaniche, sono inseriti in una sottile intelaiatura di cemento armato. Le pareti risultano autoportanti, in grado cioè di sostenere il proprio peso, la spinta del vento e i carichi d’urto. La malta impiegata è composta da 350 kg di cemento portland 325 per 1 mc di sabbia, più acqua. L’armatura orizzontale e verticale è realizzata con ferri di 6 mm di diametro, ad aderenza migliorata, privi di ossidazione, zincati o con trattamento superficiale antiruggine. Nella realizzazione pratica il singolo elemento non è sezionabile, quindi in fase di progettazione si dovrà tenere conto della dimensione modulare degli elementi scelti. La dimensione effettiva di una parete in vetrocemento è calcolata con le seguenti espressioni: Larghezza A = nL + (n – 1) g + 2 fL Altezza B = mL + (m – 1) g + fs + fi dove: n = n° diffusori orizzontali m = n° diffusori verticali L = larghezza dei diffusori fL = spessore della fascia laterale di calcestruzzo fi = spessore della fascia inferiore di calcestruzzo fs = spessore della fascia superiore di calcestruzzo g = spessore del giunto di calcestruzzo
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.18./1 DIFFUSORI DOPPI CON CAMERA D’ARIA
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
14 x 26 x 6 cm rigato
20 x 20 x 10 cm
a prismi incrociati
20 x 20 x 10 cm
trasparente
FIG. F.1.18./2 DETTAGLI COSTRUTTIVI SEZIONI VERTICALI MATERIALE ESPANSO
ARMATURA ORIZZONTALE ARMATURA VERTICALE
MATERIALE ESPANSO
CARTONFELTRO BITUMATO
DIFFUSORE
SIGILLANTE ESTERNO
PROFILO D’ACCIAIO ACCIAIO
MATERIALE ESPANSO PROFILO PROFILO D’ACCIAIO ACCIAIO D’ACCIAIO ACCIAIO
CARTONFELTRO BITUMATO SIGILLANTE ESTERNO
PROFILO D’ACCIAIO ACCIAIO
SEZIONI ORIZZONTALI CARTONFELTRO BITUMATO
MATERIALE ESPANSO
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
MATERIALE ESPANSO
MATERIALE ESPANSO
SIGILLANTE ESTERNO
PROFILO D’ACCIAIO ACCIAIO PROFILO D’ACCIAIO ACCIAIO CON GOCCIOLATOIO
PROFILO D’ACCIAIO ACCIAIO SIGILLANTE ESTERNO
MATERIALE ESPANSO
SIGILLANTE ESTERNO
ARMATURA VERTICALE PROFILO D’ACCIAIO ACCIAIO
CARTONFELTRO BITUMATO
SIGILLANTE ESTERNO
PROFILO D’ACCIAIO ACCIAIO
CARTONFELTRO BITUMATO
SIGILLANTE ESTERNO
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
CARTONFELTRO BITUMATO FERRI DI ARMATURA DISPOSTI ALTERNATIVAMENTE INTERNO/ESTERNO
MATERIALE ESPANSO
MATERIALE ESPANSO
(esterno) CARTONFELTRO BITUMATO
MATERIALE ESPANSO
F.3. IONI IZ PART E N INTER
F.5. I D ARRE
ARMATURA ORIZZONTALE MATERIALE ESPANSO
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
SEZIONE VERTICALE
PROFILO D’ACCIAIO ACCIAIO
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
URB
Lungo il perimetro, le pareti in vetrocemento devono prevedere solo il vincolo di appoggio. Per pareti di dimensioni molto ridotte è possibile evitare le nervature in cemento armato e impiegare solo un collante. La formazione di condensa è evitata con l’impiego dei diffusori a camera d’aria, in cui le piastre di chiusura o la saldatura a fuoco delle pareti realizzano una camera d’aria che offre buone prestazioni termiche e acustiche.
F. TERIALI,
G.ANISTICA
SIGILLANTE ESTERNO
CARTONFELTRO BITUMATO
PRO TTURALE STRU
CO NTALE AMBIE
PROFILAIO IN ACCIAIO
SIGILLANTE ESTERNO
D.GETTAZIONE E.NTROLLO
MATERIALE ESPANSO
CARTONFELTRO BITUMATO
Attualmente è molto diffuso l’impiego di pannelli pre- SIGILLANTE fabbricati che hanno limiti dimensionali: lunghezza masESTERNO sima 7,50 m o altezza massima 6 m; superficie massima 13-15 mq.
SIGILLANTE ESTERNO
F.1. 18.
SIGILLANTE ESTERNO PROFILO D’ACCIAIO ACCIAIO
CON DOPPIA ARMATURA SIGILLANTE ESTERNO
SIGILLANTE ESTERNO PROFILO D’ACCIAIO ACCIAIO
MATERIALE ESPANSO
7. RE F.1.1 TE LEGGE IA FACC 8. IDE F.1.1I TRASLUC T PARE PARENTI S E TRA
F 55
F.1. 18.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE PARETI TRASLUCIDE E TRASPARENTI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ VETROCEMENTO FASI REALIZZATIVE DELLA PARETE IN VETROCEMENTO Dopo avere determinato l’allineamento della parete, si stende alla base uno strato di cartonfeltro bitumato, per favorire la dilatazione lineare, e sui lati si dispone circa 1 cm di materiale espanso imputrescibile, al fine di assorbire le dilatazioni e gli assestamenti strutturali. Al di sopra del cartonfeltro si stende uno strato di malta con inserito uno o due tondini di armatura; l’armatura non deve risultare a contatto con i mattoni di vetro. Si prosegue disponendo la prima fila orizzontale di diffusori, distanziati tra loro di 1 cm. L’impiego di distanziatori facilita la posa. Le fughe verticali si riempiono di malta dopo avere inserito i ferri verticali. Si prosegue allo stesso modo con le file successive di diffusori, inserendo le armature in tutte le fughe orizzontali e verticali. Sopra l’ultimo corso di mattoni si inserisce 1 cm di materiale espanso. La stuccatura delle fughe con malta a base di cemento conclude la realizzazione della parete. Per pareti di notevoli dimensioni la realizzazione viene fatta a pie’ d’opera su un piano orizzontale; ad asciugatura avvenuta, per evitare sollecitazioni alla parete, questa viene sollevata in verticale insieme al piano di appoggio.
FIG. F.1.18./3 GIUNTI VERTICALI TRA PARETI TELAIO D’ACCIAIO ACCIAIO
MATERIALE ESPANSO
MATERIALE ESPANSO
CARTONFELTRO BITUMATO
CARTONFELTRO BITUMATO
TELAI IN ACCIAIO SEPARATI
PROFILO D’ACCIAIO D ACCIAIO
FIG. F.1.18./4 REALIZZAZIONE DI ANGOLI – SEZIONI ORIZZONTALI MATERIALE ESPANSO DIFFUSORI
DIFFUSORI
MATERIALE ESPANSO
TELAIO D’ACCIAIO ACCIAIO
CARTONFELTRO BITUMATO
CARTONFELTRO BITUMATO TELAIO D’ACCIAIO ACCIAIO
PROFILO D’ACCIAIO ACCIAIO DIFFUSORI
PEZZO SPECIALE D’ANGOLO ANGOLO
SIGILLANTE ESTERNO
SIGILLANTE ESTERNO
FIG. F.1.18./6 GIUNTI TRA PANNELLI PREFABBRICATI
FIG. F.1.18./5 INSERIMENTO DI SERRAMENTI
CARTONFELTRO BITUMATO MATERIALE ESPANSO
GIUNTO VERTICALE TRA PANNELLI PREFABBRICATI SIGILLANTE
PROFILO D’ACCIAIO ACCIAIO
MATERIALE ESPANSO TELAIO IN LEGNO
CARTONFELTRO BITUMATO
MATERIALE ESPANSO TELAIO D’ACCIAIO ACCIAIO
GIUNTO VERTICALE DI DILATAZIONE PROFILO D’ACCIAIO D ACCIAIO CON FUNZIONE PORTANTE SIGILLANTE
CARTONFELTRO BITUMATO
MATERIALE ESPANSO
SEZIONI ORIZZONTALI
F 56
CARTONFELTRO BITUMATO
SEZIONE VERTICALE
GIUNTO ORIZZONTALE DI DILATAZIONE
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI PARETI TRASLUCIDE E TRASPARENTI
A.ZIONI
PROFILATI A “U” FIG. F.1.18./7 PROFILATI A “U” 6
FIG. F.1.18./8 MODALITÀ DI ASSEMBLAGGIO
POSA A PETTINE CON CAMERA D’ARIA D ARIA CON INSERITO UN FOGLIO IN FIBRA DI VETRO FIBRA DI VETRO SEMIRIGIDA 220 250 320
6
SILICONE COSTE 41 – 60
7m
6
OA FIN
25.000
Larghezza 350 mm
29.200
Sezione (mm) largh.
alt.
sp.
Lunghezze (m)
Peso (kg/m2)
270
40
6
2+7
5,1
350
40
6
2+7
6,0
a n b
a n b 6 mm 40 mm
URB
RETINATO IV
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
V
TAB. F.1.18./2 DATI TECNICI
Coefficiente globale di trasmissione termica K = kcal/m2 h°C Fattore solare per profilato a “U” incolore Potere fonoisolante: indice di attenuazione (con parete ben sigillata) = dB
POSA A PETTINE
POSA A CAMERA D’ARIA
0,75
0,60
traslucidità 5
3,5
0,80
0,70
24
30
FIG. F.1.18./9 SCHEMI DI MONTAGGIO CON PROFILI IN ALLUMINIO POSA A PETTINE
G.ANISTICA
III
Trasmissione luminosa in modo diffuso
350 mm
“U” GLASS
FIBRA DI VETRO
Fattore di trasmissione luminosa per profilato a “U” incolore
6 mm
CO NTALE AMBIE
7m
kg/mm 3
Larghezza 270 mm
PRO TTURALE STRU
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
II
5.400
Momento resistente in b-b
D.GETTAZIONE
F. TERIALI, TELAIO
182.000
Larghezza 350 mm
SEZIONE VERTICALE
FASI DI POSA IN OPERA
250
5.300
E ESE ESSIONAL PROF
E.NTROLLO I
kg/mm3
Larghezza 270 mm
BARRE A “U”
ARMATO
174.500
Momento resistente in a-a
C.RCIZIO
POSA A CAMERA D’ARIA D ARIA
kg/mm3
Larghezza 350 mm
I ED PRE NISM ORGA
COSTE 41 – 60
NORMALE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII
POSA A PETTINE POSA A GRECA
TAB. F.1.18./1 CARATTERISTICHE FISICOTECNICHE Momento di inerzia rispetto all’asse n-n Larghezza 270 mm
220 250 320
OA FIN
Sono elementi autoportanti realizzati con barre di vetro con il profilo a U, chiamati comunemente vetro strutturale. Le dimensioni sono: lunghezza 3-7 m, larghezza 30 cm circa, spessore 6 mm, alette alte 4-6 cm. Possono essere rinforzati con fili di acciaio inox disposti longitudinalmente. Lungo il perimetro le lastre vengono intelaiate in appositi profilati metallici in alluminio anodizzato o in acciaio rullato. Nelle zone esposte al vento è necessario inserire elementi rompitratta ogni 1,50 m di altezza. Le barre sono indipendenti e la distanza tra loro non deve superare 3 mm. La tenuta in verticale, sia nella posa a semplice che a doppia parete, è assicurata dall’impiego di mastici plastici, ad esempio il silicone. Un più efficace isolamento termoacustico si può ottenere montando le barre in posizione contrapposta e interponendo uno speciale foglio in fibra di vetro. Nella posa a camera d’aria, rispetto alla posa a pettine o a greca, diminuisce sia il fattore di trasmissione luminosa che il coefficiente globale di trasmissione termica K, mentre aumenta il potere fonoisolante.
270 mm
F.1. 18.
POSA A GRECA
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE
POSA A CAMERA D’ARIA D ARIA
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER 3
6 4 2
FIG. F.1.18./10 SCHEMI DI MONTAGGIO CON PROFILI IN ACCIAIO POSA A PETTINE
POSA A GRECA
POSA A CAMERA D’ARIA D ARIA
MONTAGGIO IN VERTICALE: 1. Profilo a “C” con scossalina 2. Profilo a “C” laterale 3. Profilo a “C” superiore 4. Lastra di vetro a “U” 5. Elemento di fissaggio 5 6. Elemento di fissaggio 1
8. IDE F.1.1I TRASLUC T PARE PARENTI S E TRA
F 57
F.1. 18.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE PARETI TRASLUCIDE E TRASPARENTI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
VETRI ORGANICI
Le lastre possono essere nervate, alveolate o normali e possono essere assemblate con l’ausilio di un profilo di tenuta, con un meccanismo a scatto o a incastro. Lo spessore delle lastre, dell’ordine di alcuni millimetri, varia in relazione alla struttura della lastra (a doppia parete, s = 4-10 mm; e tripla parete, s = 10-16 mm), al tipo di resina impiegata; la larghezza è circa 30 cm; la lunghezza può raggiungere 12 m.
FIG. F.1.18./11 PERCENTUALE DI LUMINOSITÀ DI LASTRE DI DIVERSO MATERIALE TRASMITTANZA % 100
80 60 40 VISIBILE
20
SPESSORE (mm)
DIMENSIONI (mm)
Estruso
TIPO
2/12
2000 x 3000
Colato
2,5/8
1210 x 2010/1510 x 2000
10/25
1200 x 2000/1500 x 2000
30/60
1200 x 2000
TAB. F.1.18./5 LASTRE OTTICHE (in policarbonato)
2000
LUNGHEZZA D’ONDA ONDA RESINA POLIESTERE (1 mm) POLIMETACRILATO DI METILE (2 mm)
POLICARBONATO (2 mm) VETRO (3 mm)
TAB. F.1.18./3 LASTRE (in polimetilmetacrilato)
1000
760
680
620
520 540 560 580
480
450
420
380
0 300 314
L’impiego di materiali sintetici dà luogo ai cosiddetti vetri organici. Per la produzione di vetri organici vengono utilizzate resine polimeriche di tipo termoplastico, quali il polimetilmetacrilato (PMMA), il policarbonato e il policloruro di vinile (PVC), eventualmente rinforzate da fibre di vetro. La produzione di lastre può avvenire per laminazione o per estrusione, mentre è possibile realizzare cupoline o elementi curvi per stampaggio. A causa delle differenti caratteristiche chimico-fisiche, il vetro organico non costituisce, se non in casi particolari, un sostituto del vetro minerale. Infatti, se rispetto a quest’ultimo presenta un minor peso specifico, una bassa conducibilità, una migliore resistenza agli urti e una maggiore lavorabilità, altre caratteristiche limitano l’impiego dei vetri organici. Tra queste: • la minore rigidezza dovuta al basso valore del modulo elastico, che limita le dimensioni delle lastre e impone l’impiego di elementi di irrigidimento; • la maggiore sensibilità alle variazioni termiche (alto valore del coefficiente di dilatazione termica) e alle radiazioni solari, che ne provocano un rapido invecchiamento (ingiallimento per le lastre trasparenti) e opacizzazione; • la scarsa resistenza alle abrasioni a causa di rigature, con conseguente opacizzazione delle lastre; • la bassa resistenza al fuoco, soprattutto per il PVC e il PMMA; • l’alta infiammabilità, soprattutto per il PVC.
TAB. F.1.18./4 LASTRE ALVEOLARI (in policarbonato) PESO (kg/m2)
K (kcal/h m2 °C)
DIMENSIONI (mm)
1,000
–
2100 x 1245 x 6000
1,300
3,3
2100 x 1245 x 6000
1,700
2,6
2100 x 1245 x 6000
2,000
2,6
2100 x 1245 x 6000
2,100
2,3
2100 x 1245 x 6000
SPESSORE (mm)
DIMENSIONI (mm)
2,850
2,4
2100 x 1245 x 6000
3/12
2050 x 3000
3,000
30/60
2100 x 1245 x 6000
FIG. F.1.18./12 SISTEMA DI MONTAGGIO E PROFILI DI TENUTA PER LASTRE IN POLICARBONATO
FIG. F.1.18./13 PROFILI DI TENUTA PER LASTRE IN POLICARBONATO
PROFILO A “U”
2 PROFILO AD “H”
3
6
4
1. Telaio inferiore foratura scarico acqua 2. Telaio superiore 3. Telaio laterale 4. Tassello in polistirolo 5. Tassello in polistirolo 6. Montante in acciaio 7. Lastra 8. Banchina davanzale foratura scarico acqua
3 2 4 7
7
SCARICO ACQUA PROFILO METALLICO UNIVERSALE (impiegabile su lastre di tutti gli spessori)
PROFILO A SCATTO IN ALLUMINIO CON GUARNIZIONI (disponibile per lastre di spessore 16 mm)
LATO ESTERNO
8 5 5
FIG. F.1.18./14 PROFILI SPECIALI
8
ELEMENTO SINGOLO CONNESSO A INCASTRO
1 320 mm PROFILO METALLICO A SCATTO
10 0 mm
INA CH
40 mm
N BA
SUPERFICIE PI PIANA NA
ILE IAB R VA 8
LATO ESTERNO
BANCHINA DAVANZALE VARIABILE
3
640 mm PROFILO METALLICO A SCATTO
6 mm 40 mm
SUPERFICIE CURVA
F 58
6
7
5
6
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
PARETI PERIMETRALI VERTICALI PARETI IN LEGNO
•
A.ZIONI
PANNELLI A BASE DI LEGNO Il legno è un tessuto vegetale formato da macromolecole di cellulosa (fibre), che ne costituiscono la struttura portante, tenute insieme dalla lignina, sostanza aromatica che conferisce tenacità all’intreccio delle fibre. La struttura del fusto, dei rami, delle radici è conformata da strati concentrici: a partire dal centro la norma UNI 4390 distingue i diversi strati in: midollo, cuore, legno, alburno, cambio, libro corteccia.
F.1. 19.
La prima lavorazione del legno è la segagione fatta nella lunghezza del tronco: i diversi metodi permettono di avere tavolati di maggior larghezza (mezzone) o tavolati specchiati (quarti), meno deformabili. La stagionatura avviene sul tronco e sul semilavorato. I procedimenti devono lasciare nel legno una quantità d’acqua non superiore al 12-18% (UNI 4391 e 3253). La struttura monodirezionale delle fibre induce nel legno comportamenti anisotropi.
All’interno delle cellule circola acqua di imbibizione: nel legno fresco il contenuto d’acqua varia tra il 20% e il 50%. La zona più interna è la più povera d’acqua, l’alburno è la zona più vitale. Per essere utilizzato nell’edilizia, il legno deve essere sottoposto a stagionatura: deve perdere cioè l’acqua di imbibizione e parte di quella di saturazione. La stagionatura può essere naturale (1-5 anni) o artificiale.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
CLASSIFICAZIONE DEI LEGNAMI Le essenze si differenziano per le differenti costituzioni della fase solida e per le diverse percentuali d’acqua presenti. Per una stessa essenza le proporzioni possono dipendere anche dall’area geografica di provenienza, dall’esposizione, dal periodo vegetativo del taglio, dall’età della pianta. I criteri di classificazione sono oggetto delle norme UNI 2853-2854 e UNI 3917. Nell’edilizia si utilizzano maggiormente legnami di conifere e di latifoglie.
CARATTERISTICHE E REQUISITI DEI LEGNAMI
TAB. F.1.19./1 VARIAZIONI VOLUMETRICHE DEL LEGNO IN FUNZIONE DELL’IGROSCOPICITÀ DIREZIONE (rispetto agli anelli)
RITIRO % IN VOLUME
RIGONFIAMENTO % IN VOLUME
Tangenziale
7-12
6-12
Radiale
3-16
3-5
0,1-0,3
0,1-0,5
Longitudinale
PESO SPECIFICO (kg/dm3)
Conifere leggere
Abete bianco, Abete rosso
Conifere medie
Larice, Pitch-pine, Pino d’Aleppo, Pino marittimo, Abete douglas
Il legno è facilmente combustibile e infiammabile. Il sistema di ignifugazione (superficiale o impregnante) mira a rendere il processo di combustione lento e incompleto, tendendo a conservare in loco la crosta carbonizzata scarsamente conducibile. I trattamenti vanno ripetuti nel tempo, rimuovendo gli strati superficiali esausti.
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
Latifoglie leggere
Frassino, Pioppo
Latifoglie medie
Faggio, Castagno
Latifoglie pesanti
Quercia, Rovere
palificazioni, casseforme, truciolari
duro
traversine,serramenti, pavimenti, costruzioni navali
tenero, elastico
0,5-0,7 0,7-0,8
duro, lavorabile duro
0,8
IMPIEGHI
tenero, lavorabile
0,6-0,8
TRATTAMENTI DEL LEGNO Il legno si deteriora a causa della variazione dell’umidità ambientale e a causa della sua attaccabilità da parte di insetti xilofagi e di funghi. I trattamenti per prevenire tali fenomeni sono: • superficiali: con vernici (pellicole trasparenti), pitture (vernici pigmentate), catrame; • impregnanti: con procedimenti vari si fa assorbire al legno la sostanza in grado di renderlo impermeabile o inattaccabile.
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI, LAVORABILITÀ
0,3-0,6
manici per utensili, compensati traversine, travi, serramenti travi, pavimenti, costruzioni navali
TAB. F.1.19./3 CARICHI DI SICUREZZA DEI PIÙ COMUNI LEGNAMI ITALIANI DA OPERA E DA LAVORO Peso specifico (kg/m3)
Specie legnose o essenze
450
Abete bianco
750
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
TAB. F.1.19./2 CLASSIFICAZIONE DELLE ESSENZE PIÙ DIFFUSE ESSENZA
Tra le caratteristiche che caratterizzano il legno vi sono: • igroscopicità: la tendenza del legno ad assumere acqua dall’ambiente sotto forma di vapore (UNI 4145); • peso specifico apparente o massa volumica: è funzione della struttura cellulare dell’essenza, della provenienza, della stagionatura (UNI ISO 4469, 4858); • permeabilità all’acqua: è maggiore nella direzione delle fibre e minore in senso trasversale; • resistenza: è diversa in funzione dell’angolo che la direzione della sollecitazione forma con l’asse delle fibre e varia con il grado di stagionatura del legno; • durezza: è determinata dal carico necessario a infiggere il provino e valuta la possibilità di lavorazione del legno.
D.GETTAZIONE
Compressione parallela alle fibre
Compressione normale alle fibre
Flessione
Trazione parallela alle fibre
Taglio normale alle fibre
kg/cm2 N/mm2
70÷100 7÷10
20 2
75÷115 7,5÷11,5
60÷110 6÷11
7÷9 0,7÷0,9
Larice
kg/cm2 N/mm2
75÷120 7,5÷12
20÷25 2÷2,5
85÷130 8,5÷13
70÷120 7÷12
9÷11 0,9÷1,1
650
Pino
kg/cm2 N/mm2
70÷110 7÷11
20÷25 2÷2,5
80÷125 8÷12,5
60÷110 6÷11
8÷10 0,8÷1
700
Castagno
kg/cm2 N/mm2
70÷110 7÷11
20 2
80÷120 8÷12
60÷110 6÷11
6÷8 0,6÷0,8
850
Faggio
kg/cm2 N/mm2
75÷120 7,5÷12
22÷30 2,2÷3
85÷130 8,5÷13
70÷120 7÷12
9÷12 0,9÷1,2
850
Frassino
kg/cm2 N/mm2
70÷110 7÷11
20 2
80÷120 8÷12
60÷110 6÷11
6÷8 0,6÷0,8
900
Quercia
kg/cm2 N/mm2
75÷120 7,5÷12
22÷30 2,2÷3
85÷130 8,5÷13
70÷120 7÷12
9÷12 0,9÷1,2
420
Pioppo
kg/cm2 N/mm2
60÷100 6÷10
15 1,5
65÷105 6,5÷10,5
45÷90 4,5÷9
4÷6 0,4÷0,6
750
Robinia
kg/cm2 N/mm2
75÷120 7,5÷12
22÷30 2,2÷30
90÷135 9÷13,5
70÷130 7÷13
9÷12 0,9÷1,2
650
Olmo
kg/cm2 N/mm2
70÷110 7÷11
20 2
80÷120 8÷12
60÷110 6÷11
6÷8 0,6÷0,8
NB I valori più alti si riferiscono a legnami di 1° categoria e quelli più bassi a legnami di 3° categoria.
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
8. IDE F.1.1I TRASLUC T PARE PARENTI S E TRA 9. O F.1.1I IN LEGN T PARE
F 59
F.1. 19.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE PARETI IN LEGNO
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ PANNELLI A BASE DI LEGNO FIG. F.1.19./1 TIPI DI SEGAGIONE
PRODOTTI DERIVATI DAL LEGNO Al fine di rendere più omogenee e isotrope le caratteristiche prestazionali del materiale si preferisce l’impiego di materiali derivati dal legno, ottenuti attraverso alcuni procedimenti: la struttura fibrosa del legno, dapprima scomposta in elementi (scaglie, trucioli, listelli o fogli sottili), viene successivamente riassemblata mediante l’impiego di resine e/o azioni meccaniche (pressatura) sotto forma di pannelli.
MEZZONE
Il comportamento del legno può essere migliorato attraverso trattamenti chimici e meccanici: • legni impregnati: sono ottenuti impregnando il legno con resine sintetiche che lo rendono più compatto, meno sensibile all’umidità e ai parassiti; • legni metallizzati: sono ottenuti impregnando il legno con metalli caratterizzati da un basso punto di fusione.
COMPENSATI Ottenuti mediante l’incollaggio a strati e successiva pressatura di sottili fogli di piallaccio disposti con fibre ruotate ortogonalmente fra loro. Tra i vari prodotti: • compensato: ottenuto per incollaggio a caldo (95100°C) di fogli di spessore variabile tra 0,15 mm, e 1,50 mm posti a fibre angolate, generalmente in numero dispari; • multistrato: formato da un numero di fogli, di spesso-
re compreso tra 0,5 mm 1,5 mm, in numero dispari a partire da tre; • paniforte: ottenuto per interposizione tra due fogli di piallaccio di uno o più strati di tavolette di legno accostate e disposte con le fibre ortogonali alle fodere. Le definizioni, la classificazione, la composizione, i requisiti e le prove riguardanti tali prodotti sono oggetto delle norme UNI 6467, 6483 e UNI EN 313.
RADIALE O A MAGLIA
PANNELLI DI PARTICELLE DI LEGNO
RADIALE CON MEZZONI
Sono ottenuti per pressatura, più raramente per estrusione, di agglomerati di frammenti legnosi (trucioli, scaglie) prodotti dalla frantumazione di cascami (residui di lavorazioni, rami, fronde) e leganti di varia natura (organica, inorganica, sintetica). I pannelli di particelle sono definiti e normati dalle UNI EN 309, 311, 312. Tra i prodotti: • truciolare monostrato: l’impasto legnoso è caratterizzato da una granulometria piuttosto grossolana e costante; • truciolare multistrato: è ottenuto per pressatura di strati sovrapposti a granulometria variabile. Più grossolana nello strato centrale, la granulometria diviene progressivamente più sottile negli strati esterni che, più compatti, sono caratterizzati da una superficie più liscia e meno porosa grazie a una
maggiore concentrazione di legante che riveste le particelle lignee. • pannelli in lana di legno: formati per pressatura a pressione ridotta di un impasto di trucioli di legno, essiccati e trattati, e resine artificiali, cemento o leganti minerali. Il diverso orientamento dei frammenti garantisce un comportamento isotropo del prodotto, che deve rispondere alle norme UNI 3748, 9714 e UNI EN 310; • pannello in scaglie di legno orientate (Oriented Strand Board, OSB): composto da scaglie di grande dimensione (strand) distribuiti sul piano con fibre orientate. Il piano individuato dalla direzione delle scaglie, generalmente coincidente con quello del pannello, ha valori di resistenza molto elevati. Tali prodotti debbono rispondere alla norma UNI EN 300.
PANNELLI IN FIBRA DI LEGNO
RADIALE CON MEZZONI A SPESSORI MISTI
IN QUARTO A VENTAGLIO
Il materiale base è costituito da trucioli e scaglie di legno sottoposti a feltratura, procedimento finalizzato a migliorare l’adesione delle fibre con il legante. I frammenti vengono rammolliti con vapore e successivamente passati sotto mole rotanti che ne provocano la sfibratura. I pannelli formati per pressatura sono caratterizzati da isotropia. È possibile variare il peso specifico (o la densità) e la porosità delle lastre in funzione delle necessità, utilizzando metodi differenti di pressatura (umida, secca e semisecca). Tali prodotti sono definiti e classificati dalle norme UNI EN 316. Tra i prodotti: • faesite o maesite (Hard Board): nome commerciale, ormai entrato nell’uso comune per indicare un particolare tipo di pannello ottenuto per pressatura umida ad alta temperatura di agglomerati di fibre e legante a base di resine naturali. In relazione alla densità è possibile distinguere faesiti normali, generalmente prodotte sotto forma di lastre in spessori da 1,2 mm a 1,5 mm, e faesiti a bassa densità, prodotte in lastre meno compatte e resistenti delle precedenti, in spessori da 6 mm a 12 mm; • medium density fibreboard (MDF): ottenuto per pressatura a secco di agglomerati di fibre omogenee legate
con resine sintetiche. Caratterizzato da struttura omogenea e molto compatta, rende il pannello lavorabile a macchina (segatura, tornitura, finitura), e da trama sottile, che consente l’impiallacciatura o la laccatura delle superfici, questo pannello viene spesso impiegato in sostituzione del legno naturale. Le specifiche e i requisiti dei pannelli in MDF sono oggetto delle norme UNI EN 622. Tra gli altri derivati del legno si ricordano inoltre: • tamburato: pannello formato da due fogli di compensato applicati su uno strato irrigidente leggero, costituito da un reticolato in legno, un nido d’ape di carta o cartone o da materiale plastico espanso; • lamellare: è un materiale ottenuto per incollaggio a pressione di strati di lamelle o listelli di legno (spessore ≤ 50 mm) e resine sintetiche. Caratterizzato da elevata resistenza alle sollecitazioni di compressione, trazione e taglio è utilizzato per la realizzazione di elementi strutturali anche di notevoli dimensioni. Tra le normative cui si fa riferimento: DIN 1052 (Germania), REGLES C.B. 71 (Francia), SIA 164 (Svizzera), BSI 5268/1988 (Inghilterra), ÖNORM (Austria): B 4100, 4101.
MISTA SU TRONCO
MESSA IN OPERA
IN QUARTO CON MEZZONI
F 60
La parete può essere realizzata direttamente in opera, con tavolati di disegno diverso applicati su strutture fittamente intelaiate (balloon frame) costituendo direttamente l’involucro, ovvero può essere realizzata con autonomi pannelli di tamponamento. Gli elementi del telaio, sui quali sono riportate le battute di correlazione, e gli elementi che costituiscono la tamponatura non dovranno essere soggetti a fenomeni di ritiro. Il pannello deve risultare impermeabile all’aria e all’acqua; per questo è necessario che il legno sia
ben stagionato, trattato con impregnanti, accuratamente manutenuto. Fondamentale è la scelta della tipologia degli incastri tra i diversi elementi che costituiscono i pannelli. Per ovviare alla difficoltà di ottenere legni ben stagionati a basso costo, si possono usare profili di piccole dimensioni, ovvero prodotti derivati (compensati, sfibrati). Il comfort ambientale può essere aumentato con l’interposizione di strati di barriera al vapore e materassini isolanti (lana di roccia, poliuretano).
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI PARETI IN LEGNO
F.1. 19. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.19./2 PANNELLI
PANIFORTE A TAVOLETTE
PANIFORTE A LISTELLI
STRATO DI COMPENSATO
B.STAZIONI DILEGIZLII
TAMBURATO
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
LISTELLI STRATO DI COMPENSATO
EVENTUALE IMPIALLACCIATURA
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
COPRITESTA
GIUNTI DI TAVOLATI PER SPESSORI PICCOLI
CO NTALE AMBIE
A SQUADRO
A 45 °
A 60° 60
A METÀ MET LEGNO
A CUNEO
A LINGUETTA RIPORTATA
GIUNTI DI TAVOLATI PER SPESSORI MAGGIORI Disposizione delle tavole in pannelli per evitare l’effetto l effetto dell dell’imbarcamento imbarcamento
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
A DENTE E CANALE
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
TAVOLA
2/3 1/3
TRAVERSO
TAVOLA
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
TRAVERSO
con profilo esterno
F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
con linguetta riportata
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
TIPOLOGIE DI TAVOLATI PER PANNELLATURE
con tassello a filo SEMPLICE
MONTANTE
CON SPESSORE INSERITO
MONTANTE
GIUNZIONI CHIODATE DI TAVOLATI PER PANNELLATURE
CON GOCCIOLATOIO
MONTANTE
con spina
GIUNTI DI PROFILATI
GIUNTI DI TAVOLE
9. O F.1.1I IN LEGN T PARE
F 61
F.1. 19.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE PARETI IN LEGNO
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
PRODOTTI DERIVATI DAL LEGNO FIG. F.1.19./3 SISTEMI DI MONTAGGIO PILASTRO AZZANCATO NELLA STRUTTURA GUARNIZIONE
PANNELLO DOGATO
PANNELLO INTERNO
min 15 mm
PANNELLO ESTERNO
FERMO IN GOMMA
SOGLIA IN LEGNO
PAVIMENTO
DOGHE SAGOMATE
DOGHE A TAVOLA
FACCIATA VENTILATA
SOLUZIONE D’ANGOLO D ANGOLO PARTIZIONI INTERNE
PARETE
SUPPORTO PAVIMENTO DOGHE LAMA D’ARIA D ARIA
SUPPORTO
PILASTRO CONTROSOFFITTO
SEZIONE VERTICALE
F 62
PIANTA
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI PARETI IN LEGNO
F.1. 19. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.19./4 NODI PER TELAI A CIMATURA DIAGONALE
B.STAZIONI DILEGIZLII
A TENAGLIA NODO INTERMEDIO
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
A CIMATURA QUADRA
A MEZZO LEGNO CON CIMATURA DIAGONALE
NODO PERIMETRALE
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM NODO INTERMEDIO
G.ANISTICA URB NODO PERIMETRALE
NODI PER TELAI: TIPOLOGIE DI INCASTRO
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ INTAGLIO DI TESTA
INCASTRO A DENTE E CANALE DOPPIO
INCASTRO A DENTE E CANALE
PROFILO IN ACCIAIO PIEGATO
F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
PROFILO IN ACCIAIO PIEGATO
INCASTRI A CODA DI RONDINE SEMPLICI E MULTIPLI
INCASTRI A TENONE E MORTASA
UNIONI REALIZZATE MEDIANTE L’INSERIMENTO INSERIMENTO DI PROFILI METALLICI
9. O F.1.1I IN LEGN T PARE
F 63
F.1. 20.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE INTONACI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
TIPI E CARATTERISTICHE L’intonaco è una malta, composta da leganti, inerti, acqua ed eventuali additivi (cfr. F.1.7.), che costituisce la finitura della muratura proteggendola dall’azione aggressiva degli agenti atmosferici (UNI 7959). Gli inerti sono sabbie, pozzolane e particolari materiali che conferiscono caratteristiche diverse all’intonaco. L’intonaco si può considerare come uno strato di usura, soggetto cioè a sostituzioni periodiche. La malta per intonaci deve essere sufficientemente elastica, deve avere un limitato ritiro per evitare fessurazioni e cavillature, deve essere meccanicamente resistente, deve avere valori di permeabilità al vapore uguali o superiori a quelli del supporto, deve essere impermeabile all’acqua (per intonaci esterni), deve essere compatibile con il supporto in termini di elevata aderenza a esso e compatibilità dei valori del coefficiente di dilatazione termica.
CARATTERISTICHE DELL’INTONACO I parametri che determinano il comportamento dell’intonaco sono: • il tempo di applicabilità: il tempo che l’operatore ha a disposizione, dopo aver aggiunto acqua all’impasto, per applicare l’intonaco sul muro; trascorso tale periodo l’intonaco diventa viscoso e inutilizzabile; • il tempo di presa: l’intervallo di tempo che intercorre tra l’inizio delle operazioni dell’impasto e l’inizio della brusca diminuzione di plasticità dello stesso; • il tempo di lavorabilità: il tempo in cui l’intonaco resta plastico e quindi spianabile dopo averlo applicato sul muro.
ADDITIVI Gli additivi migliorano le proprietà e le caratteristiche dell’intonaco. I ritardatori e gli acceleratori di presa modificano la velocità di indurimento dell’intonaco. I plastificanti rendono le malte più viscose, omogenee e stabili; la maggiore richiesta di acqua rende però l’intonaco meno resistente meccanicamente, per cui ai plastificanti sono spessi associati additivi fluidificanti e acceleranti. Gli aeranti formano una struttura microalveolare che migliora il comportamento al gelo dell’intonaco. È ormai raro l’uso di additivi organici, utilizzati cioè allo stato naturale (l’albume, la caseina la colla animale ecc.); è invece frequente l’impiego di additivi sintetici (resine
epossidiche e poliestere, acetati acrilici e polivinilici) per migliorare la resistenza alla solubilità e alle azioni degli acidi e degli alcali, la compattezza, la flessibilità, l’adesività. Per contro, gli additivi sintetici, se non dosati correttamente, possono causare la formazioni di sali solubili con rischio di efflorescenze, rigonfiamenti e rotture.
PRESA DELL’INTONACO La presa dell’intonaco a base di calci aeree (calce idrata, grassello) avviene per evaporazione dell’acqua di impasto e, successivamente, per il processo di carbonatazione della calce, per cui l’idrato di calcio, a contatto con l’anidride carbonica dell’aria, si trasforma in carbonato di calcio. L’indurimento avviene per reazione endogena, dall’interno verso l’esterno. La presa dell’intonaco a base di calci idrauliche (calci idrauliche normali o artificiali in polvere, calci eminentemente idrauliche o artificiali in polvere, calci idrauliche artificiali pozzolaniche in polvere, calci idrauliche siderurgiche in polvere) che fanno presa anche in presenza di acqua, non è legata al processo di carbonatazione, bensì alla formazione, per idrolisi in soluzione acquosa, di silicati e alluminati. La presa dell’intonaco a base di gesso avviene a seguito della evaporazione dell’acqua di impasto, al successivo indurimento della polvere di gesso che riacquista le molecole perse durante la cottura della pietra naturale. La presa dell’intonaco a base di cemento avviene, ugualmente, a seguito dell’evaporazione dell’acqua, che produce il consolidamento e indurimento dell’impasto.
TIPI DI INTONACI Per gli intonaci interni si impiegano prevalentemente malte di calce aerea, di calce idraulica o di gesso; per gli intonaci esterni, per la maggiore funzione protettiva che devono assolvere, si impiegano malte di calce eminentemente idraulica, malta di cemento o malte bastarde. L’intonaco alla calce è molto permeabile al vapore, ha buona deformabilità, è poco impermeabile ma in grado di restituire l’acqua assorbita, ha un lungo tempo di indurimento, ha bassa resistenza meccanica, non è resistente al gelo, degrada facilmente per la cristallizzazione dei sali. È particolarmente indicato nei restauri di murature antiche per la elevata traspirabilità e per la compatibilità con il supporto in relazione ai valori del coefficiente di dilatazione termica. L’intonaco alla calce con moderata aggiunta di leganti idraulici è realizzato sostituendo a una parte di grassello una equivalente di legante idraulico (pozzolana e materiali a comportamento pozzolanico, cocciopesto). L’intonaco a base di leganti idraulici ha buona consistenza e bassa porosità. Nella realizzazione a più strati, la resistenza meccanica dei leganti impiegati deve diminuire man mano che si passa agli strati successivi. Il primo strato, se a base di cemento, non deve superare mm 3 di spessore; l’arriccio, composto di calce idraulica e cemento deve avere spessore di circa mm 15; l’ultimo strato, sottile, deve essere composto con calce idrata e cemento. L’uso eccessivo di cemento porta a un intonaco rigido, che evidenzierà rapidamente fessurazioni e distacchi; gli stessi rischi si avranno se il dosaggio del cemento nello strato di finitura sarà superiore a quello dei leganti aerei. L’intonaco a base di cemento dovrebbe impiegare cementi a basso contenuto di alcali, per evitare la cristallizzazione dei sali. È particolarmente indicato per locali umidi sotterranei, per fognature, pozzetti di raccolta, pozzi neri e, come impermeabilizzante, per vasche e serbatoi. È sconsigliabile l’uso di intonaco a base di cemento negli edifici storici a causa della sua scarsa porosità, che non consente la migrazione di acqua e vapore
F 64
all’esterno; il coefficiente di dilatazione termica è inoltre troppo elevato rispetto a quello dei materiali antichi; infine, a contatto con intonaci tradizionali, sviluppa sollecitazioni dannose, a causa della elevata resistenza meccanica di questo tipo di intonaco rispetto a quello antico.
dà luogo a un intonaco resistente e poco assorbente; l’aggiunta di 1/3 di grassello di calce rende l’intonaco più lavorabile e più assorbente.
INTONACI A BASE DI GESSO
Sono impiegati leganti polimerici composti da resine acriliche o viniliche disciolte in solventi, da granulati di marmo o silicati, da coloranti e additivi. Questi intonaci sono impiegati generalmente solo per lo strato di finitura offrendo una superficie molto compatta che, se da un lato garantisce una ottima impermeabilizzazione, dall’altro impedisce la migrazione del vapore attraverso la muratura. I cicli di formazione di condensa interstiziale e di eventuale gelo provocano rigonfiamenti dello strato superficiale di intonaco, fessure e distacchi. Sono quindi da escludere nei restauri e nelle murature tradizionali non solo per i motivi suddetti, ma anche per i diversi valori del coefficiente di dilatazione termica. Sono invece adatti nella protezione di strutture in cemento armato, dove il rischio di umidità proveniente dall’interno è ridotto al minimo, mentre è richiesta una protezione dall’esterno.
A causa della sua sensibilità all’umidità, l’intonaco a base di gesso è impiegato essenzialmente per interni. Ha capacità isolanti, fornisce una buona protezione al fuoco e, asciutto, presenta una superficie molto levigata. Non è adatto a ricoprire superfici in cemento per la elevata differenza del coefficiente di dilatazione dei due materiali (alto per il gesso, basso per il cemento) che causa distacchi e fessurazioni; non deve entrare in contatto con elementi di ferro, che sono aggrediti dal gesso. Gli intonaci a base di gesso si differenziano in relazione alla natura del gesso. L’intonaco a base di gesso semiidrato, detto intonaco di Parigi, impiega gesso il cui processo di idratazione non è completato; ha una presa estremamente rapida e risulta difficile la posa a mano. Aggiungendo additivi ritardanti si ottiene un intonaco a base di gesso semiidrato ritardato, di più facile stesura; questo intonaco è impiegato per il primo strato di aderenza e per lo strato di finitura. L’intonaco a base di gesso anidro è composto con gesso completamente disidratato. Ha un tempo di presa molto lungo e può essere lavorato sino a risultare lucido e levigato. Caratterizzato da elevata resistenza non deve essere applicato su superfici assorbenti: l’acqua d’impasto infatti, a causa del lento indurimento, può essere assorbita dalla struttura sottostante causando una idratazione prematura dell’intonaco. I tempi di presa possono essere regolati con additivi acceleranti, ottenendo un intonaco adatto a finiture resistenti e durevoli. Un intonaco a base di gesso impiegato per i primi strati può avere il seguente dosaggio: 1 parte di gesso e 1,5 di sabbia. Per lo strato di finitura il solo impiego di gesso
INTONACI A BASE DI LEGANTI SINTETICI
INTONACI SPECIALI Fanno parte di questa categoria quegli intonaci, in genere premiscelati e preconfezionati, in cui la presenza di alcuni componenti nell’impasto (perlite, vermiculite, pomice, granulati plastici ecc.) garantisce particolari prestazioni. La preparazione può prevedere l’aggiunta di sabbia. Tra questi vi sono gli intonaci termoisolanti, ignifughi, fonoassorbenti, deumidificanti, impermeabilizzanti, consolidanti. La preparazione industriale garantisce qualità costanti e per quelli colorati in pasta, omogeneità di colori. La posa è rapida; possono essere impiegati in unico strato e applicati in due fasi; il secondo passaggio è applicabile già dopo 3 ore. Al fine di ridurre i fenomeni di fessurazioni, le caratteristiche meccaniche sono migliorate con l’impiego di fibre di vetro, di cellulosa, di polipropilene.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI INTONACI
A.ZIONI
MODALITÀ DI ESECUZIONE L’intonaco è applicato a strati. L’applicazione dei singoli strati deve avvenire dopo asciugatura di quelli precedenti e in condizioni meteorologiche costanti (5-30°C). Lo spessore complessivo è circa 1,5-2,5.cm Un intonaco ad alto contenuto di legante presenta buona aderenza, compattezza e lavorabilità; per contro è facilmente fessurabile per il forte ritiro e la scarsa deformabilità a rottura. Riducendo il contenuto di legante l’impasto diviene meno lavorabile, poroso e quindi permeabile all’acqua e presenta scarsa adesione al supporto. Per ovviare a tali inconvenienti è opportuno distinguere le funzioni, e quindi le ricette, dei singoli strati che costituiscono l’intonaco; l’impiego di calce facilita la lavorabilità dell’impasto; l’impiego di leganti idraulici e di opportuni additivi consente di integrare le diverse caratteristiche. La granulometria degli inerti si raffina passando dal primo strato a quello di finitura.Il primo strato di intonaco, chiamato rinzaffo, aggrappo o intonaco rustico, è realizzato con una malta bastarda (1 m3 di sabbia, 400 kg di calce idraulica o 0,5 m3 di grassello 100 kg di cemento); gli inerti sono grossolani, lo spessore dello strato ≥ 1 cm. Ha la funzione di assicurare l’aderenza dell’intonaco al supporto e deve pertanto essere lasciato rugoso.
Nell’intonaco a tre strati, il rinzaffo, ad alto contenuto di cemento (500–600 kg), è molto sottile. Il secondo strato, detto stabilitura o arriccio può essere anche di finitura; in quest’ultimo caso è chiamato intonaco civile. Questo strato è realizzato con una malta a minore contenuto di cemento, per evitare le fessurazioni a seguito del ritiro del legante (1 m3 di sabbia, 400 kg di calce idraulica o 0,5 m3 di grassello, 30–50 kg di cemento). Gli inerti hanno granulometrie più raffinate di quelle impiegate per lo strato precedente. Nel caso sia di finitura, lo spessore complessivo non deve essere inferiore a 1,5.cm Il terzo strato, o corpo dell’intonaco, deve essere compatto e poco fessurabile. Ha funzione impermeabilizzante. La malta può essere di cemento (1 m3 di sabbia, 400–500 kg di cemento) o bastarda (1 m3 di sabbia, 300 kg di cemento, 150 kg di calce idraulica). Un ultimo strato, di finitura, deve impiegare malta dello stesso tipo di quella impiegata per lo strato precedente, ma con minore contenuto di cemento (300–400 kg di cemento, 150–250 kg di calce).
TAB. F.1.20./1 CLASSIFICAZIONE DEI VARI TIPI DI INTONACI BASATA SULLA NATURA DEI LEGANTI
TAB. F.1.20./2 COMPOSIZIONE DI INTONACO A BASE DI LEGANTI AEREI
STRATO
ALLA CALCE
TRADIZIONALE
F.1. 20.
MODERNO MINERALE
MODERNO SINTETICO
RINZAFFO calce idrata
cemento portland e calce idraulica
cemento portland e calce idraulica
cemento portland e calce idraulica
ARRICCIO calce idrata
cemento portland e calce idraulica
cemento portland e calce idraulica
cemento portland e calce idraulica
FINITURA
cemento portland e calce idrata
cemento portland calce idrata e calce idraulica
polimero
1° STRATO (parti in volume)
2° STRATO (parti in volume)
3° STRATO (parti in volume)
FINITURA (parti in volume)
inerti: • Sabbia grossa • Sabbia fina
11 –
– 8
9 –
– 10
Calce in pasta
3
3
3
3
8-10 mm
3-5 mm
10-20 mm
3-4 mm
COMPONENTI PER LA MALTA
Spessore
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TAB. F.1.20./3 COMPOSIZIONE DI INTONACO A BASE DI LEGANTI IDRAULICI calce idrata
COMPONENTI PER LA MALTA inerti: • Sabbia grossa • Sabbia fina
APPLICAZIONE DELL’INTONACO L’intonaco viene applicato su una parete opportunamente preparata: deve risultare sufficientemente asciutta, pulita ed esente da difetti di costruzione, deve avere una superficie scabrosa per facilitare l’aderenza dell’intonaco. In assenza di quest’ultimo requisito è possibile bocciardare la superficie, fare delle striature, far sporgere la malta dai giunti dei mattoni, impiegare un primer (ad esempio l’acetato di polivinile), predisporre vere e proprie armature di sostegno all’intonaco, come griglie metalliche protette dall’ossidazione, in PVC, in legno, reti portaintonaco in fibra di vetro. La rete è particolarmente utile in corrispondenza dei giunti tra materiali diversi (ad esempio tra i pilastri e i cordoli in calcestruzzo e la muratura), dove le differenti dilatazioni dei materiali sottostanti l’intonaco provocherebbero sollecitazioni differenziate, tali da causare l’insorgere di fessurazioni e cavillature. La rete deve essere estesa per l’intera area soggetta a tale fenomeno. Le giunzioni della rete hanno sovrapposizioni per circa 10 cm. L’impasto, dopo essere stato preparato nel secchio, viene steso a strati. Il primo strato di rinzaffo viene proiettato energicamente a mano, o con attrezzature pneumatiche o meccaniche, e completato con la cazzuola. Il secondo strato, l’arriccio, viene passato quando ancora il precedente non ha completato la presa (da 3 a 7 giorni dopo) e dopo aver bagnato la superficie; può essere lasciato grezzo di proiezione, o compresso con il frattazzino o la cazzuola, o reso liscio con il frattazzo. L’ultimo strato di finitura deve essere compatto, levigato e perfettamente livellato; la superficie viene lavorata con strumenti diversi in relazione all’aspetto desiderato. Il fissaggio di un reticolo di poste precede l’applicazione dell’intonaco. Le poste sono frammenti di laterizio o pietra, dello spessore uguale a quello previsto per i primi due strati di intonaco, fissati alla parete con la stessa malta impiegata per l’intonaco. Un filo steso tra due poste conseguenti in verticale segna lo spessore di una striscia di malta, guida, che regolerà lo spessore definitivo dell’intonaco. Si procede a intonacare i campi tra strisce di malta verticali, controllando con il regolo la planarità dello strato rispetto alle guide. Per superfici curve il regolo è sostituito da opportune sagome appositamente preparate. È opportuno evitare rapide essiccazioni che porterebbero a eccessivo ritiro con conseguenti fessurazioni; a tale proposito è utile mantenere moderatamente umida la superficie per una settimana. Alla comparsa di piccole screpolature si passa alla lisciatura dell’intonaco mantenendo umida la superficie con un pennello bagnato. Per attuare un efficace collegamento tra campi di intonaco conseguenti (su pareti d’angolo o su una stessa parete) è necessario stendere l’intonaco del campo successivo prima che quello del precedente sia indurito. L’intonaco deve essere interrotto in corrispondenza dei giunti di dilatazione.
Cemento portland normale Cemento portland bianco Calce idraulica Calce idrata in polvere Spessore
1° STRATO (parti in volume)
2° STRATO (parti in volume)
3° STRATO (parti in volume)
FINITURA (parti in volume)
12 –
– 12
12 –
– 12
0,5
–
0,5
–
–
–
–
1
1,5
2,5
2
–
–
–
1
3
8-10 mm
3-5 mm
12-15 mm
3-5 mm
FIG. F.1.20./1 UTENSILI IMPIEGATI NELLA PREPARAZIONE E STESURA DELL’INTONACO
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE
FRATTAZZO
CAZZUOLA DA INTONACO
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
FRATTAZZINO
SECCHIO
SPARVIERE O TAVOLETTA PORTA MALTA
SPARVIERE O PALETTA PORTA MALTA CAZZUOLA DA MURO O COMUNE FERRO DA STUCCO
CAZZUOLA DA STUCCO
CAZZUOLA METALLICA PER LISCIATURA E RASATURA
REGOLO
0. F.1.2 ACI N INTO
F 65
F.1. 20.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE INTONACI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ MODALITÀ DI ESECUZIONE FINITURA L’ultimo strato di intonaco può essere realizzato con inerti diversi e diverse tecniche di finitura per conferire aspetti particolari; prende il nome in questo caso di colla. Molto particolare è la colla di cocciopesto il cui impasto è costituito da calce e frammenti di mattoni, coppi o tegole (coccio) frantumati al mortaio (pesto). È adatta ad ambienti umidi rendendo la superficie impermeabile. La colla brodata o alla genovese impiega, insieme alla calce, la sabbia bianca, che conferisce un aspetto simile al marmo. È adatta ai rivestimenti esterni e non richiede la tinteggiatura. La colla di marmo o marmorina aggiunge alla calce la polvere di marmo frantumata al mortaio. Impiegata in strati sottili di 2-3 mm per favorire la carbonatazione, risulta molto simile esteticamente al marmo. La superficie può essere ulteriormente lucidata. La colla a stucco lucido è adatta sia per interno che per esterno. È una malta fine di grassello di calce aerea della migliore qualità, mista, come la precedente, a polvere di marmo molto sottile. Per lo strato di finitura la composizione è 1 parte in volume di grassello per 1 o 1,5 di polvere di marmo. Passata più volte, lisciata con panni umidi e sfregata con ferri caldi presenta, infine,
una superficie lucida e molto levigata. Integrata con polvere di marmi colorati e lavorata a encausto si presenta simile al marmo. Può anche essere colorata dopo la presa, prima dell’indurimento, con la tecnica dell’affresco. Per il trattamento a encausto le ultime mani sono trattate con cera vergine riscaldata a ferro che viene stesa ripetutamente con panni di lana, sino a ottenere un piano perfettamente lucido e liscio. La colla di travertino prevede l’impiego di travertino frantumato al mortaio, per emulare appunto un paramento in travertino. Stesa in spessori da 3 a 10 mm la superficie viene ulteriormente elaborata con graffiture. La finitura a ghiaietto prevede l’applicazione, su un intonaco di cemento ancora fresco, di inerti di granulometria compresa tra 5 e 10 mm. Si definisce intonaco a mezzo stucco quello formato da intonaco grezzo con malta fine di calce spenta e pozzolana, tirata a frattazzo e rifinito con uno strato di circa mm 2 di malta per stucchi, perfettamente levigata con il frattazzo metallico. Si definisce intonaco a stucco quello formato come il precedente ma con uno strato di finitura di circa 5 mm.
COLORITURA I prodotti vernicianti sono le vernici le pitture, gli smalti. Le vernici sono prodotti trasparenti, privi di pigmenti; le pitture contengono pigmenti e cariche; gli smalti sono coprenti e hanno caratteristiche di brillantezza e resistenza agli agenti esterni. I componenti delle pitture nella produzione attuale sono: i leganti, i solventi, i pigmenti, gli additivi. I leganti sono polimeri o resine che consentono alla pittura di creare una pellicola asciutta e aderente al supporto. I solventi sono sostanze volatili in cui sono diluiti i componenti e facilitano l’applicazione del prodotto; per motivi ecologici e di sicurezza si tende a ridurre l’impiego di solventi a favore di leganti fluidi. I pigmenti sono polveri micronizzate che conferiscono il colore e il potere coprente. Gli additivi migliorano le caratteristiche del prodotto, come ad esempio l’essiccazione, la resistenza agli agenti esterni, la facilità di applicazione, la stabilità in barattolo. Le pitture sono monocomponenti quando sono pronte all’uso e la formazione della pellicola coprente avviene a seguito della evaporazione del solvente; sono bicomponenti quando è necessario miscelare due prodotti e la fissazione del colore avviene per reazione chimica tra i due componenti; questi ultimi sono prodotti molto resistenti. La coloritura dell’intonaco avviene secondo due modalità diverse: inserendo nell’impasto di finitura pigmenti o polvere di marmo o pietre, oppure sovrapponendo allo strato di finitura una tinta miscelata con un legante organico o inorganico cui è affidata l’adesione al supporto. I prodotti impiegati per la pittura all’esterno devono essere resistenti agli agenti atmosferici e il supporto deve essere pulito e spianato. Tinta a fresco (affresco) – È realizzata su intonaco tradizionale fresco, ma già consistente; lo strato di finitura dell’intonaco, liscio e non eccessivamente costipato, deve pertanto essere steso solo sulla superficie da tinteggiare. Il colore, infatti, penetra nell’intonaco e rimane fissato grazie al processo di carbonatazione della calce, che determina la presa e l’indurimento. Le parti di intonaco non raggiunte dalla tinta vanno quindi rimosse e sostituite con malta fresca. I colori impiegati, pigmenti a base di terre colorate naturali o di ossidi metallici, sono diluiti in acqua e stesi in una sola mano. Per avere maggiore effetto coprente, i pigmenti possono essere diluiti con acqua di calce o grassello diluito. Il metodo a fresco non consente ritocchi a meno di asportare l’intonaco essiccato e sostituirlo con malta fresca. La tinta viene passata a pennello.
Tinta a calce (a secco) – Viene eseguita su intonaco tradizionale a calce, sia allo stato fresco che asciutto. La tinta a calce viene eseguita anche su intonaco di calce idraulica, risultando meno durevole, ma è incompatibile su intonaci di cemento, da cui si distacca facilmente. Sono impiegati pigmenti a base di terre naturali o di ossidi di ferro artificiali, diluiti in grassello di calce, che ha la funzione di legante e realizza l’adesione del colore al supporto. La percentuale di pigmenti nel grassello dovrebbe essere ≤ al 10% per evitare di ridurre la capacità adesiva del grassello. La stesura avviene a pennello in due o più mani. Sottoposta agli agenti atmosferici, la tinta a calce tende al dilavamento; pertanto nell’impasto si può aggiungere colla forte (di origine animale, caseina, olio di lino in emulsione), oppure si può proteggere la parete, dopo la completa asciugatura della tinta, con due mani di olio di lino cotto passato a pennello. Tinta a tempera o a colla – È adatta agli ambienti interni o pareti esterne protette dagli agenti atmosferici. I colori, di tipo artificiale o naturale, sono diluiti in un legante di tipo organico. Alle colle impiegate nel passato (di origine animale, vegetale ecc.) sono oggi sostituiti i prodotti pronti all’uso, che sono passati a pennello su un supporto ben pulito. La tinta a tempera, che consente un’ottima traspirazione della muratura, si adatta a qualsiasi tipo di intonaco interno. Tinta ai silicati – È molto resistente e adatta agli ambienti aggressivi; è compatibile con tutti gli intonaci porosi, ma non è indicata sul calcestruzzo poiché non lo difende dall’aggressione acida del biossido di carbonio. Su un intonaco precedentemente bagnato con acqua di calce, si applica il pigmento diluito in acqua. A completa asciugatura della tinta viene dato a spruzzo un composto fissante di silicato di sodio o potassio e acqua, nella proporzione di 1 a 2, che penetra nei pori dell’intonaco fissando il colore. Tinte viniliche o acriliche – Sono pitture organiche a base di resine sintetiche viniliche o acriliche. Sono molto coprenti e impermeabilizzanti, ma la parete risulta poco traspirante. Il prodotto può essere passato a pennello, a rullo, a macchina.
FIG. F.1.20./2 SIMBOLI DEI PRINCIPALI AVVISI DI RISCHIO APPLICATI SUI PRODOTTI VERNICIANTI (Direttive CEE 1989/677, 1991/338, 1991/339)
F
FACILMENTE INFIAMMABILE
T
TOSSICO
Xn
NOCIVO
C
CORROSIVO
INFIAMMABILI: sono prodotti che a contatto con l’aria e a temperatura possono infiammarsi; ovvero possono facilmente infiammarsi per azione di una sorgente di accensione e che continuano a bruciare o a consumarsi anche dopo l’allontanamento della sorgente di accensione. TOSSICI: sono prodotti che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono comportare rischi gravi, acuti o cronici e anche la morte. NOCIVI: sono prodotti che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono comportare rischi di gravità limitata.
F+
ESTREMAMENTE INFIAMMABILE
F 66
T+
MOLTO TOSSICO
Xi
IRRITANTE
CORROSIVI: sono prodotti che, a contatto con i tessuti vivi, possono esercitare su di essi un’azione distruttiva. IRRITANTI: sono prodotti che, pur non essendo corrosivi, possono produrre, al contatto immediato, prolungato o ripetuto con la pelle e le mucose, una reazione infiammatoria.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI RIVESTIMENTI LAPIDEI
A.ZIONI
MARMI E PIETRE: DENOMINAZIONI E CARATTERISTICHE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. F.1.21./1 MARMI E PIETRE: DENOMINAZIONE, PROVENIENZA, COLORAZIONE, CARATTERISTICHE DENOMINAZIONE
LOCALITÀ DEI GIACIMENTI
F.1. 21.
COLORAZIONE COMPLESSIVA
B.STAZIONI DILEGIZLII
PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE
I ED PRE NISM ORGA
PIEMONTE Granito bianco del Montorfano e di Mergozzo
Versante meridionale e orientale di Montorfano (Novara)
bianca grigia
Granito bianco di Alzo
Alzo (sponda occidentale del lago di Orta) più chiara della precedente
Graniti roseo e rosso di Baveno, del Mottarone, di Omegna
versante orientale del monte Camoscio (Novara)
Sienite della Balma (o Granito della Balma o di Biella)
Valle d. Cervo (Vercelli) alla Balma; grigia-violetta Campiglia S. Paolo Cervo, Rosazza, Oropa
Diorite di Anzola (o Granito nero di Anzola)
Media Val Toce, presso Ornavasso (Novara)
nera leggermente punteggiata di bianco
Diorite di Malanaggio (o Gneiss di Malanaggio)
Bassa Val Chisone (Pinerolo)
grigia con lenti scure e rare vene bianche quarzitiche
Verde di Varallo
Val Sesia (Vercelli)
serpentina verde scuro striata di bianco
tessitura minuta e porfiroide
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
compatto, resistente
rosa pallido e rosso mattone
D.GETTAZIONE
resistente, lavorabile, lucidabile
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
Verde Champ de Praz (Verde damascato Presso Mongiove (Aosta) delle Alpi, Serpentino verde mare)
macchie a varie tonalità di verde e venature bianche
Verde antico Italia di Chatillon
Regione Saint Denis presso Chambave
ricorda il verde greco tessalico
Verde Cipresso di Chatillon
Regione Saint Denis presso Chambave
più cupa della precedente
Verde di Cesana
Cesana Torinese (Cuneo)
verde scuro, con reticolato di vene bianche di calcite, o omogenea verde-giallognola con sottili venule bianco verdi
Marmo di Candoglia
Candoglia (Novara)
bianca con tenue colorazione carnicina e rosata
calcare cristallino lavorabile e lucidabile
Marmi di Valle Strona (Bianco grigio rosato, Bianco perla, Grigio)
presso Omegna (Novara). Cave di Massiola e Sambughetto
dal bianco al rosa carnicino puro o macchiata e anche zonata di grigio
cristallino e compatto di varia grana
Marmo di Varallo
Civiasco, Varallo (Vercelli)
bianca venata
scarsa produzione
Bardiglio di Valdieri
S. Lorenzo di Valdieri (Cuneo)
grigio cenere e grigio ferro con sottili vene saccaroide a grana minuta, lucidabile sfumate bianche
Cipollino dorato di Valdieri
S. Lorenzo di Valdieri (Cuneo)
giallo rosato con zone serpeggianti viola pallido
tipo a frantumazione vasta
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
materiale non schistoso di grana fine, traslucido
F.3. IONI IZ PART E N INTER
Cipollino verde di Valdieri
S. Lorenzo di Valdieri (Cuneo)
Nero di Boves
Boves (Cuneo)
con fitte zone di verde pallido
Diaspro rosso di Garessio
Villarchiosso presso Garessio (Cuneo)
elementi rosso accesi su pasta rosso chiara
Breccia policroma di Gozzano
a sud del lago di Orta (Novara)
bianca e rosso cupo
Breccia di Arona
Lago Maggiore
giallo rosato
Gneiss del Sempione o d’Antigorio (Granito del Sempione o Serizzo)
presso Domodossola (Caddo, Preglio) e nella Valle d’Antigorio (Novara)
di varia tonalità, a seconda dei luoghi di escavazione
tessitura porfiroide e granitoide, lucidabile
Gneiss di Bussoleno (o di S. Giorgio)
Valle di Susa
bianco-grigia
poco micaceo, lucidabile
Gneiss di Luserna
A sud di Pinerolo (Novara)
cinerea, grigia, giallognola
minuto quarzoso
Verde Roja o Pietra di Roja
Valle Roja (Cuneo)
verde olivo, abbastanza uniforme
resistente, poco lucidabile
Quarzite di Barge o Bargiolina
Monte Bracco vicino a Saluzzo
a seconda degli strati (bianchiccia, grigia, cenere, giallo-dorata)
quarzite schistosa resistentissima, inalterabilità chimica
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
Broccatello di Rusca “fior di pesco”
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
LOMBARDIA Botticino
Botticino Mattina e Botticino Sera (Brescia) calcare bianco Falde del Monte Fratte
grana fine omogeneo, saldo, di facile lavorazione, molto resistente alla gelività
Bianco di Musso
presso Musso (riva occidentale del lago di Como)
colore bianco puro nella parte alta e fondo azzurrognolo nella parte bassa
saccaroide bianco, grana fine nella parte alta, varia nella bassa; facilmente lucidabile
Nero di Varenna
Varenna (Como)
nera, in taluni casi striata di bianco
Nero Gazzaniga (Nero d’Italia)
Gazzaniga (Bergamo)
perfettamente nera o di un nero meno intenso
Nero Nube Gazzaniga
Gazzaniga (Bergamo)
con sottili venature bianche, macchie di colore marrone
0. F.1.2 ACI N INTO
molto saldo, lucidabile, senza macchie o vene
➥
1. F.1.2 IMENTI T RIVES EI LAPID
F 67
F.1. 21.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE RIVESTIMENTI LAPIDEI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ MARMI E PIETRE: DENOMINAZIONI E CARATTERISTICHE ➦ TAB. F.1.21./1 MARMI E PIETRE: DENOMINAZIONE, PROVENIENZA, COLORAZIONE, CARATTERISTICHE DENOMINAZIONE
LOCALITÀ DEI GIACIMENTI
COLORAZIONE COMPLESSIVA
PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE
➦ LOMBARDIA Onice dorato Gazzaniga
Gandino
Marmi rosa e grigi della Val Seriana
Ardesio (Bergamo)
rispettivamente rosa variegato e bigia morata
Pietre di Viggi e di Saltrio
Viggi e Saltrio (Varese)
tonalità chiare, grigie, paglierine
Pietra di Moltrasio
Bacino inferiore occidentale del Lago di Como
Ceppi di Trezzo d’Assa e di Brembate:
Trezzo sull’Adda e Brembate (Bergamo)
resistente agli agenti atmosferici adatto a fine levigatura senza giungere alla lucidatura
• Ceppo Gentile
grana fine, con poco ciottolame
• Ceppo Mezzano e rustico
struttura grossolana con ciottoli di diverso colore
Granito di S. Fedelino
Val Mera (Sondrio)
Ghiandone e Serizzo di Valmasino e di Vogogna
Valmasino e presso Vogogna (Sondrio)
biancastra
Serpentino di Sondrio
Caspoggio, Torre S. Martino, Dubino (Sondrio)
Diorite della Valcamonica
varie località della media Valcamonica (Brescia)
Porfido Rosso e Sanguigno di Como
Introbio (Como) e Rogno (Bergamo)
Porfiroide di Cuasso al Monte
presso Cuasso al monte (Varese)
granito rosso porfiroide
Porfido del Gleno
Darfo, Angolo, Biemmo (Brescia)
rossa cupa sanguigna o grigia verdastra
grana media, molto resistente il primo a grana grossa, il secondo più fine e talora tabulare; non facilmente lucidabile
nera punteggiata di bianco
granitoide ad alta resistenza
Serpentino della Val Malenco e di Como Chiesa e Lanzada (Sondrio) VENETO Marmi di Lasa:
presso Lasa
prevalgono i tipi bianchi e le tonalità chiare
calcare cristallino a struttura saccaroide, frattura lucente, grana piuttosto grossa, perfettamente lucidabile, elevata resistenza alla gelività
• Statuario Superiore • Statuario Corrente • Bianco unito • Bianco venato Marmi colorati del Trentino:
fondo bianco azzurrognolo e venature grigio piombo ben marcate tra Folgaria-Mori e Arco, Mori
• Giallo fiammato • Rosso di Fai Rossi di Verona:
S. Ambrogio Valpolicella, Caprino, Grezzana Valpantena
macchie rosse su fondo sanguigno
• Broccatello • Broccato
macchie rosse più ampie unite da un reticolato sanguigno
• Mandorlato
macchie più chiare e fondo più tenue
• Brecciato (Breccia orientale rosa, Breccia rosata, Rosa del Garda)
tonalità che passano dal roseo al rosso vivo, dal rosso screziato di giallo al rosso fegato
• Persichino
Selva di Pragno
Giallo imperiale Marmi di Asiago:
presso Asiago e paesi vicini
• Giallo • Lumachella gialla • Biancone
F 68
bianca con poche e chiare venature
struttura nodulare
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI RIVESTIMENTI LAPIDEI
F.1. 21. A.ZIONI
DENOMINAZIONE Marmi di Chiampo:
LOCALITÀ DEI GIACIMENTI
COLORAZIONE COMPLESSIVA
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE
B.STAZIONI DILEGIZLII
Valle di Chiampo
• Chiampo perla e Chiampo perlato
tinta lattea generalmente senza venature
• Mandorlato
a punteggiature color rosso vivace
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
• Chiampo porfirico Pietra di Vicenza (o Pietra tenera o Pietra morta)
Varie località dei Colli Berici
E ESE ESSIONAL PROF
calcare grossolano
Marmi del Bellunese: • Fior di pesco carnico
Forni
• Madreperla delle Alpi
Voltri
Marmi di Verzegnis:
Cima Lavinzola (Udine)
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
• Corallino
rosa vivace
• Noce radica
aspetto legnoso
• Macchia di Verzegnis
rossa e rossiccia con macchie e vene bianche
• Rosso porfido (porfido chiaro scuro, vermigliato, fiorito)
rossa cupa con punteggiature bianche
Neri del Carso:
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
calcari cristallini bituminosi
• Nero Unito, detto anche Paragone
Cave del Vallone (Trieste)
• Nero nube
Scherbina e Sesana (Trieste)
URB
colore nero tendente all’avana
Marmi di Aurisina (qualità varie: chiara, Aurisina (Trieste) granitella, fiorita, macchiata ecc.)
generalmente grigiognoli con fossili bianchi e neri
non porosi, lucidabili
Orsera (qualità varie: bianco, avorio)
Orsera (presso Parenzo, Pola)
tinta classica con sottili vene nere
resistente alle intemperie, lucidabile
Alabastro calcareo (o Stalattite gialla e rossa del Carso)
Duino, Aurisina, Visogliano, Sgonigo
colorazione zonata giallo rossastra
Porfidi
Trentino Alto Adige
violacea, rosso bruna, rosso grigia-rosa
Trachite
Colli Euganei
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
LIGURIA Portoro (Portoro a macchia grande o a macchia fine)
Monte S. Croce, Muzzerone, Portovenere fondo cupo a macchie giallo-dorate (La Spezia) o giallo-rosa
Bianco e Nero di La Spezia
Monte S. Croce, Muzzerone, Portovenere nera o grigia con macchie (La Spezia) e vene biancastre
F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
Persichino di Nava Pietra di Finale
Finale Ligure (Savona)
giallo-rosa o roseo-carnicina
aspra al tatto, tessitura granulosa, dura, resistente
Arenarie
varie località della Liguria orientale
Pietra di Voltri
Acquasanta, Pegli, Cogoleto (Genova)
Verde Polcevera
Pietralavezzara in Valpolcevera
verde chiara con grosse vene bianche
Rosso di Levanto
Monte Vergè (La Spezia)
fondo rosso-sanguigno con inclusioni verdi e reticolato bianco di calcite
Ardesia
varie località in provincia di Genova
grigio cupa o quasi nera
ottima qualità
Carrara è il centro principale
bianco-grigia
caratteri e aspetti secondo località, struttura saccaroide, grana più o meno fine
Bardiglio (Comune, Chiaro, Cappella, Imperiale ecc.)
varie località del Carrarese e del Massese
grigio-azzurra, variamente venata con toni più o meno cupi
molto apprezzabile; il Bardiglio imperiale è a grana fine
Statuario (Polvaccio, Bianco Altissimo, Scaglia)
varie località del Carrarese
straordinaria bianchezza
omogeneità e purezza
Paonazzo
Cave Carraresi
fondo giallo-avorio con macchie e vene violacee e verdastre
materiale pregiato
Paonazzetto
nel Massese e nel Carrarese
fondo più chiaro del precedente e macchie fini
F.5. I D ARRE
ottime, cementate da silice dura e tenace
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
TOSCANA Marmi Apuani: Bianco chiaro
➥
1. F.1.2 IMENTI T RIVES EI LAPID
F 69
F.1. 21.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE RIVESTIMENTI LAPIDEI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ MARMI E PIETRE: DENOMINAZIONI E CARATTERISTICHE ➦ TAB. F.1.21./1 MARMI E PIETRE: DENOMINAZIONE, PROVENIENZA, COLORAZIONI, CARATTERISTICHE DENOMINAZIONE
LOCALITÀ DEI GIACIMENTI
COLORAZIONE COMPLESSIVA
PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE
➦ TOSCANA Fior di Pesco o Persichino
fondo statuario con screziature rosso-violacee
Cipollini (Zebrino Arni, della Versilia, del Cardoso Verde Apuano, Arabescato)
dal bianco cinereo al verdognolo con zonature verdastre
Brecce e Mischi:
Versilia
• Breccia Stazzema
Stazzema
inclusi bianco-giallastri o azzurrognoli e cemento dal violaceo al roseo
compatta
• Breccia Medicea
Monte Corchia nella Versilia
Elementi bianco arancio, gialli e grigi con cemento viola scuro
• Skyros d’Italia
Monte Corchia nella Versilia
Elementi bianchi rosa e gialli con pasta viola-roseo
• Breccia Corchia
Monte Corchia
• Breccia Capraia
Capraia
fondo statuario annuvolato e macchie grigie, violacee e verdastre
• Rosa corallo
Arnetola (Lucca)
fondo bianco rosato e venature rosso-violacee
Bardiglio Fiorito
Versilia
fondo grigio chiaro con sottili venature grigio nere
Bardiglio Tigrato
Versilia
fondo cinerognolo e macchie grigio scure e nere
Portoro
Carrarese e Versilia
grigio cupa e venature gialle
Marmi di Camaiore:
Camaiore (Lucca)
• Rosso unito
Metato
vivace effetto policromo
molto salda
piccole escavazioni
• Rosso violaceo Giallo di Siena
Montagnola senese
Rosso di Roccalbegna (o Rosso perlato Amiata)
Roccalbegna (Grosseto)
rosso carico sfumato in carnicino zonato
grana fine e compatta, aspetto ceroide grana ceroide, resistente, lucidabile
Portasanta
presso Gavorrano (Grosseto)
a chiazze bianche e rosse irregolari con piccole vene dal grigio al paonazzo
assume un bel polimento
Nero Montieri
Montieri
tendenza grigiastra
• Pietra serena o Macigno
varie località
grigio cilestrina
grana fine e grana grossa
• Pietra forte
Galluzzo e Regello (Firenze)
grigia, a volte a fondo grigio-marrone e macchie azzurre
compatta, dura, resistente alle intemperie
Alabastro agata
Volterra
colore e venature simile all’agata
Verde di Prato
Prato (Cave del Monteferrato)
verde scura
resistente alle intemperie e lucidabile
Travertino
Rapolano (Siena)
nocciola chiaro rosato
poroso
Granito dell’Elba
Secchetto e Grottamargherita (Campo)
fondo rosa chiaro
polimentabile, in grandi blocchi
Granito del Giglio
Isola del Giglio
fondo rosa chiaro
Trachite
Abbadia S. Salvatore, Castiglion d’Orcia, Roccastrada
composizione e strutture varianti da luogo a luogo
Arenarie:
MARCHE Arenarie
presso Pesaro, Ancona e Ascoli
Travertino
Piobbico (Pesaro)
UMBRIA Marmi grigi e neri
Varie
LAZIO
F 70
Travertino
varie località
dal bianco latte al grigio giallognolo
calcare leggermente spugnoso
Tufo litoide
varie località
varie colorazioni
leggero e resistente
Pozzolana
numerosissime cave
varie colorazioni
conglomerato vulcanico
Peperino
numerosissime cave
Lave
numerosissime cave
Trachite
Tolfa e Vito
Pietra di Subiaco o Affilana
presso Subiaco
bianca
calcare semicristallino
Marmo di Cottanello
Cottanello (Rieti)
rosso pallido con venature bianche
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI RIVESTIMENTI LAPIDEI
F.1. 21. A.ZIONI
DENOMINAZIONE
LOCALITÀ DEI GIACIMENTI
COLORAZIONE COMPLESSIVA
PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE
ABRUZZO Marmi di Avezzano
Avezzano
biancastra
Pietre del Molise
Campobasso
bianca uniforme
Arenaria
Teramo e Campobasso
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
MOLISE media tenacità e resistenza
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
CAMPANIA Lave
varie località
grigie e verdastre
Tufo Piperno
provincia di Napoli
fondo grigio con macchie più scure
Tufo giallo
provincia di Napoli
Trachite
Quarto e Monte Olibano (Napoli)
Pozzolana
Bacoli, M. di Procida
Marmi di Vitulano:
Vitulano e Cautano (Benevento)
D.GETTAZIONE granuloso, poroso
incoerente, cinerea
• Uria rossa
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
• Uria grigia PUGLIA Pietra di Trani (Puro, Perlato, Cocciolato, Ondagato ecc.)
cave tra Trani e Andria
tende al giallognolo
compatta, omogenea, cristallina, lavorabile
Calcare bianco
tra le Murge e l’Adriatico
bianchissima con rare macchie grigie
compatto e facilmente lavorabile
Pietra di Gioia del Colle
provincia di Bari
bianco giallastra
in grandi dimensioni facilmente lavorabile
Pietra di Bisceglie
provincia di Bari
bianco giallastra
lavorabile, compatta
Pietra di Lecce
provincia di Lecce, Taranto, Brindisi
bianco giallastra
grana uniforme, dura, resistente, lavorabile
Tufo Mazzaro Gentile
numerosissime cave
poroso, leggero, consistente, resistente
Colorati del Gargano: • Palombino Pozzolana
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
come il Fior di Pesco
BASILICATA Pisticci (Matera)
Lava
Vulture
Pozzolana
Vulture
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
CALABRIA provincia di Catanzaro
Oficalci verdi di Corica o di Amantea
Amantea (Cosenza)
verde con vene bianche
Verdi di Gimigliano
Gimigliano (Catanzaro)
verde con vene bianche
Graniti
versanti ionico e tirrenico della Calabria
Porfidi di Catanzaro
presso Catanzaro
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
F.3. IONI IZ PART E N INTER
grigio scura
Calcari rosati di Catanzaro
URB
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
Provincia di Bari
Marmo e Breccia di Pisticci
G.ANISTICA
F.5. I D ARRE
SICILIA Rosso Alcamo
Alcamo (Trapani)
rosso cupa
lucidabile
Pietra Misca dell’Erice
Monte Erice (Trapani)
grigia con macchie bianche
lucidabile
Rosso Fiorito di S. Vito
Monte S. Giuliano (Trapani)
rossa, venata di bianco
Giallo Segesta
Margana (presso Segesta)
giallo passerino rameggiata
di difficile segatura
Calcare Rosso
Taormina e S. Marco di Aluzio
Lave
Etna
Basalto
Provincia di Catania e Siracusa
Pomice
Isola Lipari
grigio cenerina
spugnosa, leggera
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
SARDEGNA Calcari arenacei e calcari corallini
presso Cagliari
Diaspri (vari colori)
Isola S. Pietro
giallorossa
resistenti, non lucidabili
provincia di Sassari
giallastra, rosea, violacea
Granito della Maddalena Granito di Terranova Pausania
piccole dimensioni fine, compatto
1. F.1.2 IMENTI T RIVES EI LAPID
F 71
F.1. 21.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE RIVESTIMENTI LAPIDEI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
CLASSIFICAZIONE E CARATTERISTICHE La norma UNI 8458 classifica i prodotti lapidei impiegati in edilizia, sotto forma di elementi con dimensioni predeterminate. Le rocce ornamentali e da costruzione sono raggruppate in quattro categorie commerciali. Marmo (termine commerciale) Roccia cristallina, compatta, lucidabile, da decorazione e da costruzione, prevalentemente costituita da minerali di durezza Mohs dell’ordine di 3-4 (quali calcite, dolomite, serpentino). A questa categoria appartengono: i marmi propriamente detti (calcari metamorfici ricristallizzati), i calcefiri, i cipollini, i calcari, le dolomie e le brecce calcaree lucidabili; gli alabastrini calcarei, i serpentini, le oficalci. Granito (termine commerciale) Roccia fanero-cristallina, compatta, lucidabile, da decorazione e da costruzione, prevalentemente costituita da minerali di durezza Mohs dell’ordine di 6-7 (quali quarzo, feldspati, feldspatoidi). A questa categoria appartengono: i graniti propriamente detti (rocce magmatiche intrusive acide fanero-cristalline, costituite da quarzo feldspati, sodio-potassici e miche); altre rocce magmatiche intrusive (dioriti, granodioriti, sieniti, gabbri ecc.); le corrispondenti rocce magmatiche effusive, a struttura porfirica; alcune rocce metamorfiche di analoga composizione come gneiss e serizzi. Travertino Roccia calcarea sedimentaria di deposito chimico con caratteristica strutturale vacuolare, da decorazione e da costruzione; alcune varietà sono lucidabili. Pietra (termine commerciale) Roccia da costruzione e/o decorazione, di norma non lucidabile. A questa categoria appartengono rocce di composizione mineralogica molto varia, non inseribili in nessuna classificazione. Esse sono riconducibili a uno dei due gruppi seguenti: rocce tenere e poco compatte. Esempi del primo gruppo sono: varie rocce sedimentarie (calcareniti, arenarie a cemento calcareo ecc.) varie rocce piroclastiche (peperini, tufi ecc.); al secondo gruppo appartengono le pietre a spacco naturale (quarziti, micascisti, gneiss lastroidi, ardesie ecc.) e talune vulcaniti (basalti trachiti, leuciti ecc.). Il comportamento meccanico dei materiali lapidei è determinato dalle seguenti caratteristiche: il carico a rottura a compressione semplice e dopo gelività, il carico a rottura a trazione indiretta mediante flessione, il modulo di elasticità, il coefficiente di dilatazione termica lineare, il coefficiente di imbibizione. È consigliabile che la fornitura del materiale lapideo sia accompagnata dalla dichiarazione dei valori medi delle seguenti caratteristiche, valutate secondo la norma UNI 9724: massa
volumica reale e apparente, coefficiente di imbibizione della massa secca iniziale, resistenza a compressione, resistenza a flessione e resistenza all’abrasione, misurata, quest’ultima, secondo le disposizioni del RD 19 novembre 1939 n.2234. Il rivestimento in materiale lapideo (UNI 8458, DIN 18515-16) è molto resistente, durevole e, se posto in opera correttamente, non richiede frequenti interventi di manutenzione periodica. Sono poco adatti i materiali a struttura non omogenea e incoerente come alcuni calcari, i materiali contenenti pirite o solfato, quest’ultimi solubili in acqua, le brecce o le oficalci; risultano invece adatti all’impiego in esterno i materiali a struttura compatta e cristallina, come il bianco di Carrara, i graniti e i travertini. Le lastre possono avere finitura superficiale molto diversificata: arrotata, levigata, lucidata, bocciardata, fiammata, spuntata, gradinata. Le superfici poco porose e compatte sono più resistenti alla azione aggressiva degli agenti atmosferici e ambientali. Lo spessore delle lastre deve essere proporzionato alle loro dimensioni: lastre di grande dimensione richiedono spessori elevati per resistere alle dilatazioni strutturali: per i marmi è opportuno che lo spessore non sia inferiore a 3-4 cm; per le pietre 6 cm. Per evitare la rottura o il distacco delle lastre è necessario assecondare le dilatazioni strutturali dell’edificio e quelle del rivestimento. Riguardo alle prime, i giunti strutturali, pur se coperti da rivestimento, devono essere lasciati liberi. Riguardo al rivestimento le lastre sono montate generalmente con giunti orizzontali aperti (6 mm) o con giunti orizzontali chiusi, prevedendo il giunto aperto (15-20 mm) in corrispondenza dei marcapiani; i giunti verticali devono avere interasse ≤ 6 m. I materiali lapidei sono anche impiegati in sottili lastre (3-5 mm) integrate a pannelli sandwich o a pannelli con struttura alveolare, di cui costituiscono la superficie esterna, risultando nel complesso molto resistenti e leggeri, in particolare sulle grandi dimensioni. I prodotti lapidei agglomerati (UNI 10330), chiamati comunemente pietre ricomposte, sono anch’essi caratterizzati da elevati valori di resistenza e compattezza; sono realizzati con un impasto di microgranuli di porfidi, graniti, marmi e cementi bianchi ad alta resistenza, su uno strato di calcestruzzo. Questo sistema consente ampia varietà cromatica. Il sistema Precast è una tecnica di prefabbricazione di pannelli, di grandi dimensioni, rivestiti in pietra naturale (marmo o granito); il rivestimento lapideo è collegato a un supporto di irrigidimento (cemento armato, cemento alleggerito, telaio metallico) tramite collegamenti di tipo meccanico, chimico o misto. Un metodo alternativo prevede che la lastra, con spessore di circa 30 mm, sia ancorata a una intelaiatura metallica galvanizzata a caldo; l’intelaiatura viene poi agganciata alla struttura dell’edificio mediante sostegni di acciaio inossidabile o alluminio. Quest’ultimo sistema deve prevedere il completamento della parete per assicurare le necessarie condizioni di comfort.
FIG. F.1.21./1 PRINCIPALI LAVORAZIONI DEI BORDI DELLE LASTRE E GIUNZIONI D’ANGOLO – TERMINOLOGIA SCURETTO
QUARTOBUONO
SPIGOLI
A BATTENTE
BISELLO (o smusso)
CON BISELLO (o “via via il vivo”) vivo
SPIGOLI VIVI
superficie bocciardata
BUGNATO
>=3 3 cm >=1cm 1cm
TESTA
CON VISTA RISVOLTATA “SPESSORATA SPESSORATA” (con scuretto sulla costa)
COSTA STONDATA (mezzo toro o becco di civetta)
SPESSORE LU NG HE ZZ A
LARGHEZZA
CON VISTA RISVOLTATA “SPESSORATA SPESSORATA” (con scuretto sulla lastra)
FACCIA A VISTA O PARAMENTO DIETRO O SPIGOLO COSTA ANGOLO
F 72
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI RIVESTIMENTI LAPIDEI
F.1. 21. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.21./2 PRINCIPALI DISPOSIZIONI DELLE LASTRE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU DISPOSIZIONE A CORTINA NELLA CONNESSIONE D’ANGOLO D ANGOLO VERTICALE, indicata per elementi a grande spessore
ELEMENTI LAVORATI “A A GRANA GROSSA GROSSA” CON “CORDELLA CORDELLA”
LISTELLI A SPACCO RUSTICO, A SEZIONE RETTANGOLARE E A TESTA TRANCIATA
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
GIUNTI BISELLATI ORIZZONTALI E VERTICALI ALLINEATI O DISPOSIZIONE A SORELLE
GIUNTI BISELLATI ORIZZONTALI ORIZZONTALI, VERTICALI SFALSATI
ELEMENTI RETTANGOLARI DI VARIA DIMENSIONE CON LATI REFILATI A SEGA E FACCE LISCE
ELEMENTI RETTANGOLARI DI VARIA DIMENSIONE CON LATI NON REFILATI E FACCE A SPACCO O BOCCIARDATE
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER
RICORSI ORIZZONTALI EVIDENZIATI SISTEMA PRECAST
RICORSI ORIZZONTALI E VERTICALI EVIDENZIATI LASTRA LAPIDEA 30 mm LASTRA LAPIDEA
ELEMENTI CON GIUNTI VERTICALI ALLINEATI INTERROTTI DA FASCE IN MASSELLI RETTANGOLARI DI DISTRIBUZIONE DEL PESO
ELEMENTI A “OPUS OPUS INCERTUM INCERTUM” CON LATI TRANCIATI
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE
GRAFFA IN ACCIAIO INOX
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
ANCORAGGIO SUPERIORE ANCORAGGIO SUPERIORE
PARTICOLARE DELLA GRAFFA IN ACCIAIO INOX
TAB. F.1.21./2 COMPOSIZIONE DELLE MALTE DI IMBOTTITURA PIASTRA METALLICA PIASTRA DI CALCESTRUZZO ARMATO
SABBIA (mc)
CEMENTO 425 (kg)
CEMENTO 325 (kg)
ACQUA (L)
Malta di cemento ad alta resistenza
1,00
500
–
150
Malta normale di cemento
1,00
–
500
150
PIASTRA METALLICA
ANCORAGGIO INFERIORE
PROFILATO METALLICO
ANCORAGGIO INFERIORE PANNELLO IN CALCESTRUZZO ARMATO
Malta bastarda di calce e cemento
I componenti: cemento 325, calce grassa, sabbia e acqua sono variamente dosati secondo le esigenze
1. F.1.2 IMENTI T RIVES EI LAPID
F 73
F.1. 21.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE RIVESTIMENTI LAPIDEI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
ANCORAGGIO DELLE LASTRE Qualsiasi sistema di ancoraggio previsto deve garantire un’adeguata resistenza meccanica per sopportare il peso proprio e del rivestimento, deve resistere alla corrosione e consentire le necessarie regolazioni in fase di montaggio; devono essere evitate incompatibilità termiche, chimiche o elettriche con i materiali costituenti gli strati sottostanti. L’ancoraggio della lastra avviene mediante zanche metalliche e malta (sistema tradizionale) o staffe e profili adeguatamente ancorati al supporto che lasciano la lastra indipendente dalla parete retrostante. Gli ancoraggi possono essere di tipo puntiforme, lineare, continuo, a telaio (cfr. F.1.25.). Se l’ancoraggio è posizionato sui giunti verticali o orizzontali, la lastra deve presentare sui bordi delle scanalature atte ad accogliere il terminale della zanca o della staffa; se è realizzato sul retro, la lastra viene opportunamente forata con più fori passanti o non passanti.
Il carico che grava sugli ancoraggi è dato dal peso della porzione di lastra interessata (per gli ancoraggi nei giunti verticali, ad esempio, il carico di ancoraggio su ogni lato è dato dal peso delle due metà lastre adiacenti) e dalla spinta del vento, funzione, quest’ultima, dell’altezza dell’edificio (10012 CNR). La posa a giunto chiuso è adatta a rivestimenti di ridotte superfici e di altezza limitata e, comunque, ai sistemi di posa tradizionali; quella a giunto aperto (larghezza del giunto 6 mm) consente maggiori tolleranze di assestamento degli ancoraggi e l’assorbimento di movimenti differenziali delle lastre. Durante la posa in opera deve essere verificata la corretta esecuzione dei giunti, il loro allineamento, la complanarità, se prevista, degli elementi che costituiscono il rivestimento. Il sistema di rivestimento e di ancoraggio deve assicurare un buon comportamento termico, la tenuta all’acqua e non deve essere fonte di rumore a causa di pioggia o vento.
FIG. F.1.21./3 RIVESTIMENTO CON IMBOTTITURA DI MALTA E CEMENTO: SISTEMI PUNTIFORMI
30
30
IMBOTTITURA DI MALTA MORBIDA O BOIACCA SEMIFLUIDA COLATA NELL'INTERCAPEDINE
IMBOTTITURA DI MALTA MORBIDA O BOIACCA SEMIFLUIDA COLATA NELL’INTERCAPEDINE NELL INTERCAPEDINE
÷100 100 mm 25 50 MALTA DI ANCORAGGIO CON SABBIA E CEMENTO ADDITIVATO CON RESINA EPOSSIDICA O CEMENTI AUTOESPANSIVI
20 ZANCHE IN FILO DI ACCIAIO TONDO Ø 5 (inox AISI 316)
ZANCHE IN FILO DI ACCIAIO TONDO Ø 5 (inox AISI 316)
÷100 100 mm 50 120 mm
20
50 GIUNTO CHIUSO SIGILLATO CON MALTA
20
IMBOTTITURA DI MALTA MORBIDA O BOIACCA SEMIFLUIDA COLATA NELL’INTERCAPEDINE NELL INTERCAPEDINE
ZANCHE DI ACCIAIO PIATTE 5 x 20 mm
ZANCHE DI ACCIAIO PIATTE 5 x 20 mm
÷120 120 mm
50
50
È consigliabile lasciare, in corrispondenza dei solai, un giunto orizzontale aperto, sigillato con guarnizioni elastiche
FIG. F.1.21./4 MODALITÀ DI REALIZZAZIONE DEL GIUNTO APERTO MASTICE SIGILLANTE
INTERCAPEDINE
MASTICE SIGILLANTE
INTERCAPEDINE
5 mm Ø5
20 mm 150 mm 70 mm
F 74
5 20 mm
ZANCA RITORTA DI ACCIAIO PIATTO, da murare a cemento, impiegata nei rivestimenti a camera d’aria d aria senza impiego di imbottitura di malta
GUARNIZIONE DI MATERIALE ELASTICO (neoprene)
GUARNIZIONE DI MATERIALE ELASTICO (neoprene)
ZANCA SPECIALE PER GIUNTO DI DILAZIONE ORIZZONTALE
ZANCA DOPPIA SPECIALE PER GIUNTO DI DILATAZIONE VERTICALE
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI RIVESTIMENTI LAPIDEI
F.1. 21. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.21./5 MODALITÀ DI FISSAGGIO CON SPINE ELASTICHE, PERNI, PIASTRE SPINA ELASTICA PER IL FISSAGGIO DI LASTRE IN PIETRA NATURALE CON MALTA
PORTATA VERTICALE 0,5 KN PER COPPIA DI SPINE a 1/2 a
1/4 a
BANDA BIADESIVA da applicare ai bordi delle lastre per realizzare i giunti di dilatazione
IMBOTTITURA DI MALTA 1/4 a
0,8 mm
17 mm
1/2 b b
1/4 b
PRO TTURALE STRU
9 mm
E.NTROLLO
DISPOSIZIONE DELLE SPINE LASTRA
SUPPORTO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
SOSPENSIONE DI LASTRE ORIZZONTALI PER IMBOTTI
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
30÷ 40 30
LASTRA
G.ANISTICA URB
MALTA DI FISSAGGIO
MANICOTTO DI DILATAZIONE, FISSATO CON MALTA, che consente il movimento delle lastre
20
10
2 mm
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
PERNO
25
Ø 5 x 60
PERNO DI ANCORAGGIO Ø > = 4 mm
5
C.RCIZIO
D.GETTAZIONE
20-30° 20-30
PERNO DI ANCORAGGIO UNIVERSALE PER GIUNTI ORIZZONTALI E VERTICALI PER MURATURE E CALCESTRUZZO La sporgenza dal filo interno del supporto è regolabile nella malta
I ED PRE NISM ORGA
E ESE ESSIONAL PROF
1/4 b Ø7
B.STAZIONI DILEGIZLII
TUBO Ø 10
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
l < = 140 mm
F.3. IONI IZ PART E N INTER
PERNO DI ANCORAGGIO
L L > = 90 mm per muratura L > = 80 mm per calcestruzzo PIASTRE IMPIEGATE ANCHE NELLE FACCIATE VENTILATE
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
TASSELLO A ESPANSIONE
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
PIASTRA DI RITENUTA SUPERIORE PIASTR
PIASTRA DI RITENUTA SUPERIORE PIASTR
PIASTRA INTERMEDIA
PIASTRA PASSANTE
TASSELLO A ESPANSIONE ANCORAGGIO PER FACCIATE VENTILATE CON POSSIBILITÀ POSSIBILIT DI REGOLAZIONE SUI TRE ASSI X, Y, Z
ANCORAGGIO A ESPANSIONE FORZATA, CON CONTROLLO DI COPPIA
PERNO RIVESTITO DI NYLON TUBETTO ELASTICO IN NYLON VITE DI REGISTRO FUORI PIOMBO
PIASTRA INIZIALE PIASTR INIZIAL
PIASTRA INIZIALE PIASTR INIZIAL
1. F.1.2 IMENTI T RIVES EI LAPID
F 75
F.1. 21.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE RIVESTIMENTI LAPIDEI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ ANCORAGGIO DELLE LASTRE CAVIGLIA CHIMICA È un sistema adatto a intervenire su edifici esistenti e comunque ogni qualvolta gli ancoraggi delle lastre non richiedano importanti regolazioni dei punti di vincolo. Il sistema non innesca nella struttura tensioni significative. L’ancoraggio chimico prevede il riempimento del foro eseguito sulla muratura a conci o sul calcestruzzo, con una miscela di resine epossidiche e materiale inerte entro la quale rimane fissata una barra filettata o boccola.
TAB. F.1.21./3 CARATTERISTICHE DELLE CAVIGLIE CHIMICHE CON BARRA FILETTATA Fialoide Barra filettata ØxL ØxL mm
FIG. F.1.21./6 CAVIGLIA CHIMICA
BARRA FILETTATA CON DADO E RONDELLA
FIALOIDE DA INSERIRE NEL FORO E ROMPERE CON L’INSERIMENTO L INSERIMENTO DELLA BARRA PER MISCELARE I COMPONENTI IN ESSO CONTENUTI
Foro mm
Carico ammissibile Distanza minima a trazione e taglio dal bordo
mm
Ø
profondità
kg
cm
9 x 80
8 x 110
10
80
370
4
11 x 80
10 x 130
12
90
600
5
13 x 95
12 x 160
14
110
870
17 x 95
16 x 190
18
125
1600
10
22 x 175
20 x 260
25
170
2500
15
24 x 210
24 x 300
28
210
3700
20
33 x 265
30 x 380
35
280
5900
30
7,5
FIG. F.1.21./7 SISTEMI LINEARI
BRETELLE PER INIZIARE IL RIVESTIMENTO A FILO DEL PIANO DI PARTENZA
CAVALLOTTO DI SPESSORAMENTO
PROFILO
SISTEMA A DISTANZIALI INTERPIANO REGOLABILE IN TUTTE LE DIREZIONI
MESSA A PIOMBO DEI PROFILI MEDIANTE L'IMPIEGO DI CAVALLOTTI DI SPESSORAMENTO
BULLONE INSERITO NEI PROFILI
PIASTRA INIZIALE
FIG. F.1.21./8 SISTEMI CONTINUI: A MONTANTI E CORRENTI 1
TASSELLO A ESPANSIONE 1
PIASTRA DI RITENUTA SUPERIORE
PROFILO VERTICALE PROFILO VERTICALE
BULLONE 12 2 x 35 mm
2
VITE CON DADO
2 PROFILO ORIZZONTALE
PROFILO ORIZZONTALE
3
TASSELLO MECCANICO A ESPANSIONE
3
PIASTRA PER MARMI, TIPO INTERMEDIO
F 76
PIASTRA DI DISTANZIAMENTO
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI RIVESTIMENTI CERAMICI
A.ZIONI
MATERIALI CERAMICI I materiali ceramici sono i prodotti ottenuti dalla lavorazione formatura e cottura di sostanze inorganiche non metalliche. Le norme relative riguardano le definizioni e caratteristiche generali (UNI EN 87, UNI 10291, UNI EN 658) i metodi di prova (UNI EN ISO 10545, UNI ENV 1071), i requisiti di prodotto (UNI EN 101, 121, 159, 176-178, 186-188). Per essere adatti all’impiego in esterno i materiali ceramici devono avere buona resistenza all’inquinamento e agli agenti atmosferici. La produzione commerciale prevede diversi formati e pezzi speciali, come i listelli, gli angolari, le piastre. La vasta gamma cromatica, geometrica e di finitura superficiale rende il materiale ceramico molto versatile. I risalti sul retro degli elementi hanno la funzione di migliorare l’adesività al supporto. I materiali ceramici comprendono i laterizi (Cfr. F.1.4.), le piastrelle ceramiche, il clinker. Le piastrelle ceramiche sono classificate dalla UNI EN 87 in base al metodo di formatura (piastrella estrusa o pressata) e al coefficiente di assorbimento d’acqua (tra 0 e 25%), che indica la porosità del materiale e, di conseguenza, il comportamento agli agenti esterni. Il clinker è un materiale ceramico che utilizza come materia base l’argilla naturale di origine feldspatica. L’argilla viene sottoposta a procedimento di polverizzazione e mescolazione e il prodotto viene cotto a temperature non inferiori a 1250°C. È un materiale molto compatto, duro e resistente, con un alto grado di impermeabilità, notevole capacità mecTAB. F.1.22./1 COMPOSIZIONE DELLA MALTA DI RINZAFFO E/O DI POSA (parti per volume) SABBIA
GRASSELLO
CEMENTO
2 (0,66 mc)
1 (0,33 mc)
–
4-5
F.1. 22.
–
canica, elevata resistenza all’usura e agli agenti atmosferici, non assorbente (assorbimento di acqua compreso tra 0 e 6%), inalterabile, di facile manutenibilità. La produzione commerciale riguarda mattonelle estruse utilizzate per rivestimenti esterni e pavimentazioni. Per le sue caratteristiche, è molto indicato nell’edilizia industriale e pubblica, negli impianti sportivi e ricreativi, nell’arredo urbano. Oltre il clinker, con superficie smaltata o non smaltata anche il gres porcellanato è particolarmente adatto all’impiego in esterno. È un prodotto ceramico molto compatto e impermeabile, ad alta resistenza meccanica (coefficiente di assorbimento di acqua compreso tra 0 e 0,5%).
POSA IN OPERA Prima della posa i materiali ceramici devono essere bagnati. La posa avviene utilizzando la malta o gli adesivi pronti o da preparare. La malta è adatta a qualsiasi supporto; gli adesivi essendo distribuiti in spessori ridotti, richiedono supporti lisci o adeguatamente preparati. La malta è realizzata con sabbia a granulometria fine (< 2 mm), grassello e cemento nelle proporzioni richieste dal tipo di rivestimento e dal supporto. La malta di rinzaffo o intonaco di sottofondo realizza il piano su cui si applica il rivestimento, dopo averne coperto il retro con la malta di posa. Nel caso di supporti tradizionali, la composizione delle due malte può coincidere, realizzando nel contempo lo strato di preparazione
e la posa del rivestimento; per superfici poco adesive, come il calcestruzzo, la composizione della malta di posa deve prevedere una maggiore dose di cemento ed essere integrata da sostanze a base organica o da calce. Per la posa su pareti esterne il lattice di gomma sostituisce la calce. Gli adesivi, a uno o più componenti, sono a base cementizia o a base organica. Possono essere pronti all’uso o devono essere preventivamente preparati. La direttiva UEAtc in La Guida Tecnica per Agrément degli adesivi per rivestimenti ceramici, classifica gli adesivi in base alla sensibilità all’acqua (elevata, moderata, nulla), e i supporti in base al grado di esposizione e alla reazione all’umidità. Tale classificazione è finalizzata ad assicurare la compatibilità tra i due strati funzionali. La prova di aderenza dell’adesivo non deve inoltre risultare inferiore a 0,5 N/mm2. Gli adesivi a base cementizia sono adatti a tutti gli impieghi. Quelli a un componente devono essere miscelati con acqua. Risultano resistenti agli agenti atmosferici e chimici, ma sono rigidi e fragili. Quelli a due componenti, detti anche cementi elastici, sono molto flessibili e adatti a essere impiegati su strutture elastiche. Gli adesivi a base organica sono di due tipi: a base di resine sintetiche, acriliche o viniliche, non adatti all’impiego in esterno per le scarse qualità meccaniche; quelli a base di resine sintetiche epossidiche e poliuretaniche sono adatti a tutti gli impieghi e presentano elevate caratteristiche di adesività.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TAB. F.1.22./2 COMPOSIZIONE DELLA MALTA CEMENTIZIA DI POSA E DI STUCCATURA
1
CEMENTO PORTLAND 425
SABBIA FINE
LATTICE DI GOMMA
ACQUA
Malta di posa
1
2
1
q.b.
Malta a colla (per supporto cementizio)
1
1
1
q.b.
Malta di stuccatura
1
1/4
1/2
q.b.
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
FIG. F.1.22./1 TIPOLOGIE E MODALITÀ DI ASSEMBLAGGIO DEI RIVESTIMENTI
C A
B
F.3. IONI IZ PART E N INTER
A 4 5 6
B 25 25 25
C 2 2 2 C
LISTELLO
F.5. I D ARRE
A
POSA A GIUNTI SFALSATI B C A
B
A 10 12 13 15 20 25
B 10 12 13 15 20 25
C 2 2 2 1,8 2,3 2,3
A 4 5 6 8 10 12
B 25 25 25 25 25 25
C 12,5 12,5 12,5 12,5 12,5 12,5
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER ANGOLO VERTICALE
QUADRO POSA A GIUNTI ALLINEATI O A SORELLE
C
ANGOLO ORIZZONTALE A
B POSA A GIUNTI SFALSATI POSA A GIUNTI SFALSATI
A 4 5 6 8 10 12
B 25 25 25 25 25 25
C 4 5 6 8 10 12
1. F.1.2 IMENTI T RIVES EI LAPID 2. F.1.2 IMENTI T RIVES ICI M CERA
F 77
F.1. 23.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE RIVESTIMENTO A CAPPOTTO
•
Una particolare categoria di sistemi di rivestimento esterno è quella che realizza, insieme alla finitura dell’edificio, un efficace e integrale isolamento termico. A questa categoria appartengono il rivestimento a cappotto esterno e la facciata ventilata. L’impiego di questi sistemi riduce sensibilmente, o elimina, il problema dei ponti termici e gli inconvenienti a essi attribuiti; protegge le pareti perimetrali verticali e riduce lo shock termico a cui esse sono sottoposte; contribuisce allo sfasamento e smorzamento
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
dell’onda termica; riduce o elimina, nel caso della facciata ventilata, il fenomeno della condensa all’interno della muratura. Entrambi i sistemi sono di facile manutenibilità e sono particolarmente adatti negli interventi di recupero e di miglioramento delle condizioni termiche di edifici esistenti. Il materiale isolante utilizzato per la realizzazione dei due sistemi (poliuretano, polistirolo espanso, fibre minerali, fibre di vetro, sughero, vetro cellulare) deve essere inalterabile, permeabile al vapore, non infiammabile, non idrofilo.
RIVESTIMENTO A CAPPOTTO Uno strato di materiale coibente, uniforme e continuo viene posato a contatto con la parete esterna e rifinito con ordinari materiali da rivestimento. Il sistema viene realizzato: • con componenti prefabbricati, costituiti da uno strato isolante e una finitura esterna di materiale metallico (alluminio prelaccato, acciaio plastificato o inossidabile), di materiale minerale (fibrocemento, laterizio, malta di cemento armata con rete in fibra di vetro), di materiale organico (poliestere, malta di resina); • con idoneo materiale da rivestimento o intonaco sottile posto in opera su isolante (pannelli di polistirolo, poliuretano, polistirene, fibre di vetro, fibre di legno). Il materiale isolante è fissato al supporto, preventivamente pulito e spianato, con collante, ed eventualmente integrato da fissaggi meccanici in materiale plastico o PVC, a evitare
i ponti termici. Il fissaggio dello strato isolante o del componente prefabbricato può, prevedere l’impiego di un telaio metallico o ligneo fissato al supporto. Non impiegando componenti prefabbricati la finitura esterna può essere realizzata con doghe metalliche o altro materiale adatto alla posa in esterno, ovvero con uno strato d’intonaco cementizio, armato con rete in fibra di vetro e con successiva stesura d’intonaco plastico, impermeabile ma traspirante. Gli spigoli, i vani d’apertura, il coronamento e gli attacchi a terra devono essere adeguatamente protetti. Utilizzando la stessa tecnica del cappotto è possibile intervenire anche dall’interno, applicando gli strati necessari sulla superficie interna della parete. Si perde, in questo caso, la continuità dell’isolamento in corrispondenza dei solai e non è ridotto lo shock termico delle pareti.
FIG. F.1.23./1 MODALITÀ DI FISSAGGIO DELLO STRATO ISOLANTE STRATO DI ISOLANTE
STRATO ISOLANTE
RETE PORTAINTONACO PRIMA RASATURA DI INTONACO
PROFILI IN LAMIERA ZINCATA RETE PORTAINTONACO PRIMA RASATURA DI INTONACO
INTONACO INTONACO STRATO DI ISOLANTE INCOLLATO E RIVESTIMENTO CON INTONACO
STRATO DI ISOLANTE FISSATO CON PROFILI METALLICI E RIVESTIMENTO CON INTONACO
SUPPORTO PANNELLO ISOLANTE BATTENTATO DISPOSTO IN CONTINUO FISSAGGIO MECCANICO IN PVC RETE IN FIBRA DI VETRO CONTINUA E CON SOVRAPPOSIZIONI > = 7 cm NEI GIUNTI STRATO DI MALTA DI CEMENTO E ADESIVO INTONACO ELASTICO E TRASPIRANTE
TASSELLI A ESPANSIONE DOGHE METALLICHE PER ESTERNO STRATO ISOLANTE
ISOLANTE POSTO ALL’INTERNO ALL INTERNO
F 78
STRATO DI ISOLANTE FISSATO CON TASSELLI A ESPANSIONE E RIVESTIMENTO IN DOGHE FISSATE SUI CORRENTI
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI RIVESTIMENTO A CAPPOTTO
F.1. 23. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.23./2 PROTEZIONE DI PUNTI SINGOLARI: MODALITÀ E ACCESSORI
B.STAZIONI DILEGIZLII
TASSELLI PER IL FISSAGGIO DI PANNELLI ISOLANTI RONDELLA DI RIPARTIZIONE
INTONACO ARMATO CON RETE IN FIBRA DI VETRO
RONDELLA DI RIPARTIZIONE
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE TASSELLO A ESPANSIONE adatto alle murature vuote o calcestruzzo alleggerito
TASSELLO A PRESSIONE adatto alle murature piene e calcestruzzo
PRO TTURALE STRU
INTERRUZIONI DEL PANNELLO (5 mm) PER L’INSERIMENTO L INSERIMENTO DI SIGILLANTE ELASTICO
VITE adatta al fissaggio dell’isolante dell isolante su orditi di metallo o legno
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
MODALITÀ DI PROTEZIONE DI PUNTI SINGOLARI MODALIT 1,5
RETE PORTAINTONACO
3,5 25
SCOSSALINA
IMPERMEABILIZZAZIONE
INTONACO ARMATO CON RETE IN FIBRA DI VETRO
4
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
SIGILLANTE
ISOLANTE
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
ANGOLARE IN LAMIERA ZINCATA O ALLUMINIO
PROTEZIONE A TERRA
PROTEZIONE SUPERIORE
PROTEZIONE IN CORRISPONDENZA DI SOGLIE
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ INTERRUZIONI DEL PANNELLO (5 mm) PER L L’INSERIMENTO INSERIMENTO DI SIGILLANTE ELASTICO
SOLUZIONE D D’ANGOLO ANGOLO PROFILO METALLICO DI SOSTEGNO E ANCORAGGIO DEI PANNELLI ISOLANTI
ISOLANTE
FORI PER ANCORAGGIO CON TASSELLI A ESPANSIONE
PANNELLO ISOLANTE
F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
FISSAGGIO MECCANICO PROFILO DI PARTENZA ALLA BASE IN LEGA LEGGERA PERFORATA PROFILO PER L’ANCORAGGIO ANCORAGGIO DELLE DOGHE
Il profilo di partenza va posizionato sotto la prima soletta interessata dall’isolamento; dall isolamento; nel caso di partenza a terra si lascia 1 cm circa dal piano di calpestio. PANNELLO ISOLANTE
RIVESTIMENTO IN DOGHE METALLICHE
3. F.1.2 IMENTO T RIVES POTTO P A CA
F 79
F.1. 24.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI RIVESTIMENTO CON FACCIATA VENTILATA FACCIATA VENTILATA Il sistema è caratterizzato dalla presenza di un’intercapedine ventilata (spessore = 20-60 mm) tra l’isolante e il rivestimento esterno, che elimina i problemi di condensa e attenua gli effetti dell’irraggiamento solare. Opportune aperture sulla parete, sia superiormente che inferiormente, provvedono ad attivare la ventilazione. Pertanto, nella stagione estiva si produce l’effetto camino: l’aria nell’intercapedine si trova a temperatura maggiore di quella esterna e tende a salire. Il moto ascensionale contribuisce alla riduzione dell’energia termica, smaltisce l’eventuale presenza di condensa e abbassa la temperatura superficiale esterna dell’isolante; in inverno l’effetto camino è molto ridotto e l’isolante riduce la trasmissione del calore dagli ambienti interni verso l’esterno. Il rivestimento è applicato mediante un telaio fissato al supporto, che svolge anche la funzione di distanziatore. Le lastre di rivestimento sono indipendenti e autoportanti e non devono esserne impedite le dilatazioni termiche; devono assicurare la tenuta all’acqua, agli agenti atmosferici e agli urti; devono avere buone caratteristiche meccaniche. Tra i materiali impiegati per il rivestimento vi sono l’alluminio, il legno, il PVC, le pietre, i laterizi, i prodotti lapidei agglomerati (pietre ricomposte), l’intonaco idraulico di forte spessore (3 cm) su armature di lamiera stirata e protetto da intonaco plastico o doghe di calcestruzzo. Secondo le Direttive comuni per l’Agrément Tecnico delle facciate leggere dell’UEAtc, i fori di ventilazione, una serie per piano, devono avere una superficie S ≥ 50 cm2/m di facciata, se l’isolante è direttamente a contatto con l’intercapedine o separato da essa da uno strato permeabile al vapore; negli altri casi S > 10 cm2/m. La normativa francese dimensiona i fori in relazione all’altezza H dell’edificio H (m)
3
6
18
S (cm2)
50
65
100
FIG. F.1.24./1 DETTAGLI COSTRUTTIVI
PANNELLI ISOLANTI TRAVETTI DI SOSTEGNO IN LEGNO
PANNELLI ISOLANTI
LINGUETTE METALLICHE DI FISSAGGIO
CORRENTINI IN LEGNO
RIVESTIMENTO (LASTRE DI ARDESIA, LEGNO, FIBROCEMENTO) EVENTUALE PARASPIGOLO
RACCORDO CON COPERTINA COPERTINA E CON IMBOTTE SEZIONE VERTICALE 4
RACCORDO CON SERRAMENTO SEZIONE ORIZZONTALE
SPAZIO PER VENTILAZIONE
TASSELLO A ESPANSIONE
MURATURA IN C.A., IN MATTONI PIENI O ALTRO MATERIALE ADATTO AL TASSELLAGGIO MECCANICO
STRATO ISOLANTE FISSATO CON TASSELLO MECCANICO STAFFA DI ELEMENTO SOSTEGNO E DI METALLICO REGOLAZIONE DISCONTINUO
ISOLANTE
LASTRA DI PIETRA
SOGLIA DAVANZALE
STRATO DI INTERCAPEDINE VENTILAZIONE VENTILATA STAFFA DI SOSTEGNO
PANNELLO DI ALLUMINIO
GUARNIZIONE IN NEOPRENE
RACCORDO CON DAVANZALE IMBOTTE SERRAMENTO IN LEGNO
SEZIONE ORIZZONTALE GIUNTO DI DILATAZIONE
PROFILO METALLICO DI CHIUSURA STRATO DI VENTILAZIONE TASSELLO A ESPANSIONE CON DISTANZIATORE
F 80
PROFILO METALLICO VERTICALE
ARIA
RACCORDO CON SERRAMENTO SEZIONE ORIZZONTALE
STRATO ISOLANTE
SERRAMENTO IN ALLUMINIO
RETE ANTIINSETTI
con S = sezione dei fori per metro (in pianta) di parete.
I fori di ventilazione devono essere protetti da una rete antiinsetti. Gli spigoli, i vani di apertura, il coronamento e gli attacchi a terra devono essere adeguatamente protetti. Per ulteriori sistemi di ancoraggio del rivestimento al supporto cfr. F.1.22.
DOPPIA ORDITURA DI LEGNO SOVRAPPOSTA ALL’ISOLANTE ALL ISOLANTE
ORDITURA VERTICALE IN LEGNO CON INTERPOSTO ISOLANTE
PROFILO METALLICO A “U”
LASTRA DI FIBROCEMENTO
SERRAMENTO PANNELLO IN ALLUMINIO
MATERIALE COMPRIMIBILE SIGILLANTE
SEZIONE VERTICALE
ISOLANTE
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI RIVESTIMENTO CON FACCIATA VENTILATA
F.1. 24. A.ZIONI
TAB. F.1.24./1 CARATTERISTICHE DI UN PANNELLO CON ANIMA IN NIDO D’APE E SUPERFICI ESTERNE IN ALLUMINIO
PRODOTTI IN MATERIALI SINTETICI Tra i prodotti più diffusi per le facciate ventilate si annoverano i cosiddetti laminati plastici: sono pannelli formati da fibre cellulosiche impregnate con resine termoindurenti all’interno e da fibre cellulosiche impregnate con resine aminoplastiche all’esterno, con funzione decorativa: il multistrato viene sottoposto contemporaneamente a pressione e a cottura, azioni che determinano la policondensazione delle resine. Il prodotto viene fornito in pannelli di spessore variabile tra i 4–10 mm, decorati su entrambe le facce, e con spessori di 2–3 mm, con una sola faccia trattata. Questi ultimi vengono utilizzati per finiture di pannelli sandwich. La giunzione tra pannelli può essere eseguita con linguette riportate nello spessore del pannello. Possono essere tagliati e bucati con utensili al carburo di tungsteno e con modalità opportune (velocità di rotazione) anche in cantiere. Elementi curvati possono essere realizzati in officina secondo geometrie prestabilite su spessori opportuni.
ALLUMINIO Al 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003
PRODOTTI IN MARMO NATURALE E IN PIETRE ARTIFICIALI Tra i materiali attualmente in commercio, vi sono quelli prodotti attraverso una vasta gamma di tecnologie applicate alla lavorazione dei materiali litoidi naturali, tendenti a usare spessori limitati di materiali e, affidando ad altri elementi la funzione resistente, ovvero tendenti a proporre nuove lavorazioni delle pietre, al fine di avere elementi più economici, ma anche più duttili alle esigenze dei rivestimenti e delle finiture. Alla prima categoria possono essere ascritti quei prodotti nei quali il pannello (60 x 60 cm, 90 x 90 cm) è costituito da due lastre tra le quali è interposta una maglia d’acciaio o una lamiera continua d’acciaio con funzione di armatura, solidarizzata con le lastre mediante collati epossidici ad alta resistenza, per spessori totali di 13–15 mm; nella seconda categoria rientrano quei prodotti ottenuti dalla macinazione dei materiali naturali (85–90%) e dalla loro successiva ricomposizione attraverso la miscelazione con resine poliestere (10–15%), l’interposizione di una rete di fibra di vetro e la cottura a 240°C. Nella composizione della miscela si possono ottenere effetti particolari (cromatici o compositivi,) ovvero nella predisposizione della cassaforma possono essere inseriti elementi decorativi diversi. Questa seconda tipologia di produzione consente di ottenere anche elementi curvi.
Al 5052 5052 5052 5052 5052 5052 5052 5052 5052 5052 5052 5052 5052 5052 5052 5052 5052 5052 5052 5052 5052 5052 5052 5052 5052
SPESSORE SPESSORE NIDO D’APE PANNELLI (mm) (mm) 10 0.5 15 0.5 20 0.5 25 0.5 30 0.5 10 0.8 15 0.8 20 0.8 25 0.8 30 0.8 10 1 15 1 20 1 25 1 30 1 10 1.2 15 1.2 20 1.2 25 1.2 30 1.2 10 1.5 15 1.5 20 1.5 25 1.5 30 1.5
SPESSORE L (m) TOTALE (mm) Freccia (mm) 11 16 21 Q (kg/ml) 26 31 11.6 16.6 21.6 Q (kg/ml) 26.6 31.6 12 17 22 Q (kg/ml) 27 32 12.4 17.4 22.4 Q (kg/ml) 27.4 32.4 13 18 23 Q (kg/ml) 28 33
PANNELLO TIPO LxL/2 1.0 1.5 2.0 2.8 4.2 5.5 467 315 237 1007 683 515 1747 1189 899 2679 1832 1386 3796 2611 1980 780 529 399 1647 1125 852 2808 1938 1471 4254 2962 2256 5958 4197 3201 1003 684 517 2082 1435 1089 3515 2452 1867 5277 3728 2849 7356 5261 4030 1237 847 642 2526 1756 1335 4219 2978 2273 6295 4504 3453 8721 6317 4872 1605 1110 843 3204 2257 1723 5282 3787 2905 7797 5672 4384 10686 7909 6154
TAB. F.1.24./2 CARATTERISTICHE DI UN PANNELLO CON ANIMA IN NIDO D’APE E SUPERFICI ESTERNE IN LAMINATO ALLUMINIO Al 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003 3003
fibre fibre fibre fibre fibre fibre fibre fibre fibre fibre
SPESSORE SPESSORE NIDO D’APE PANNELLI (mm) (mm) 10 0.4 15 0.4 20 0.4 25 0.4 30 0.4 10 0.8 15 0.8 20 0.8 25 0.8 30 0.8
SPESSORE L (m) TOTALE (mm) Freccia (mm) 10.8 15.8 20.8 Q (kg/ml) 25.8 30.8 11.6 16.6 21.6 Q (kg/ml) 26.6 31.6
PANNELLO TIPO LxL/2 1.0 1.5 2.0 2.8 4.2 5.5 86 57 43 187 125 94 328 219 165 507 340 255 725 486 366 184 123 92 392 263 197 677 455 342 1037 698 526 1474 994 748
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
FIG. F.1.24./2 STRUTTURA DEI PANNELLI
6 ÷ 30 mm
MARMO/GRANITO 4 ÷ 6 mm
6 ÷ 25 mm
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
ALVEOLARE IN ALLUMINIO
TELAIO DI CORRELAZIONE
CARATTERISTICHE TECNICHE
PANNELLO SANDWICH
SOLAIO
LANA DI VETRO
F.5. I D ARRE
RIVESTIMENTO
ALVEOLARE IN ALLUMINIO
COMPOSIZIONE
MARMO/GRANITO INCOLLATO SUL SUPPORTO CON SPECIALI RESINE EPOSSIDICHE E/O POLIURETANICHE
SPESSORI
MARMO/GRANITO 4 ÷ 6 mm; SUPPORTI DA 6 ÷ 30 mm;
PESO
DA 10 ÷19 19 Kg/mq
CARICO DI ROTTURA A COMPR.
SU SUPPORTO A 13 mm: 35 Kg/cmq SU SUPPORTO A 20 mm: 40 Kg/cmq
FUOCO
I SUPPORTI POSSONO ESSERE FORNITI AUTOESTINGUENTI
COEFF. TERMICO MISURE
ESP. LIN.: 4,6 x 10 -6 PER 0 °C C FINO A 125 °C FINO A 120 x 240 cm O A RICHIESTA
4. ON F.1.2 IMENTO C ATA T IL RIVES TA VENT IA FACC
F 81
F.1. 25.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE ISOLANTI TERMOACUSTICI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
MATERIALI TERMOISOLANTI Le norme UNI relative a questo argomento sono inserite nella Selezione 10 “Edilizia e materiali da costruzione”, raggruppamento 91.120.10. Gli isolanti termici sono materiali, di natura organica e inorganica, con conduttività termica λ ≤ 0,065 W/mK e spessore tale da fornire una resistenza termica R ≥ 0,5 m2 K/W (UNI 7745, 7891, 7357, UNI 10351). L’isolante termico riduce lo scambio termico tra ambienti interni e aria esterna o tra ambienti interni a diversa temperatura. L’impiego di un isolante termico deve evitare: • gli shock termici, causa di fessurazioni sulle murature; • la condensa superficiale, ovvero condensa di vapore acqueo sulla superficie interna degli ambienti, causa di formazione di muffe e insalubrità dei locali; • la condensa interstiziale, ovvero condensa all’interno delle strutture murarie, ancora più pericolosa se seguita dal gelo; • i ponti termici. Un materiale isolante deve avere elevata resistenza meccanica e stabilità dimensionale al variare della temperatura e della umidità relativa, non deve essere idrofilo, fragile, infiammabile e non deve dare contributo allo sviluppo di gas tossici o alla emissione di sostanze nocive per la salute; non deve formare polveri e non deve costituire nutrimento per funghi, muffe o batteri. Per tutti i materiali isolanti di forma geometrica determinata è inoltre opportuno conoscere le dimensioni, la massa areica, la resistenza termica specifica. Le prestazioni di un isolante termico e la sua durata sono compromesse dalla presenza d’umidità (pioggia, vapore acqueo, condensazione interna allo strato isolante, umidità risalente dal sottosuolo, perdite da tubazioni ecc.); la normativa prevede che il potere d’isolamento termico di un materiale termoisolante non debba ridursi oltre il 10%. L’impiego di un isolante termico richiede comunque il controllo delle condizioni igrotermiche all’interno della muratura, in particolare della diffusione del vapore (Sezione E.). Dal calcolo delle condizioni igrotermiche può risultare necessaria l’adozione di una barriera al vapore (cfr. Pareti perimetrali verticali) per allontanare il pericolo della condensa. CLASSIFICAZIONE DEI MATERIALI TERMOISOLANTI I materiali termoisolanti possono essere prefabbricati in stabilimento, ovvero possono essere composti da materiale da iniettare o applicare in sito mediante spruzzatura. Sono prodotti sotto forma di pannelli rigidi, di materassini flessibili, di materiale sciolto. I primi due tipi possono essere già dotati di barriera al vapore in carta Kraft politenata, in pellicola d’alluminio o altro. Per la valutazione delle caratteristiche di conduttività termica e permeabilità al vapore e per le modalità di calcolo
si rimanda alla Sezione E. L’aria in quiete all’interno di un’intercapedine offre una buona resistenza termica. Da un punto di vista costruttivo la condizione di quiete è praticamente impossibile, poiché tra l’aria e le superfici che delimitano l’intercapedine si ha passaggio di calore. Oltre cm 5 di spessore, l’intercapedine d’aria non offre contributi significativi. La norma UNI 10351/10355 valuta la resistenza termica R (m2K/W) delle intercapedini chiuse verticali in relazione allo spessore S: S = 1 cm 2–10 cm > 10 cm R = 0,133 0,192 0,246 I calcestruzzi alleggeriti (calcestruzzi di argilla espansa calcestruzzi cellulari autoclavati, calcestruzzi di perlite e vermiculite) sono caratterizzati dall’impiego di inerti leggeri (argilla espansa, perlite, vermiculite) che conferiscono all’impasto caratteristiche d’isolamento. I calcestruzzi cellulari autoclavati sono materiali silicei; l’aggiunta di alluminio nella composizione, come agente espandente, attiva una reazione chimica che sviluppa idrogeno, conferendo alla massa la struttura cellulare. I materassini di fibre minerali (fibre ottenute da rocce feldspatiche, basaltiche, loppe d’altoforno, fibre di vetro) sono costituiti da fibre minerali trattate con resine termoindurenti e leganti sintetici, a formare un feltro compatto. Sono caratterizzati da scarsa igroscopicità e completa permeabilità al vapore. I feltri in fibre minerali sono soggetti al fenomeno dell’insaccamento, cioè non conservano inalterata la posizione verticale per lungo tempo, anche se appesi; pertanto per l’impiego nelle pareti verticali dovranno risultare sufficientemente rigidi (UNI 6547-69) e privi di materiale non fibrato (UNI 6823-71). I materiali sfusi (argilla espansa in granuli da 3 a 25 mm, perlite espansa in granuli, pomice naturale, scorie espanse, vermiculite espansa, fibra di cellulosa, scaglie di sughero, polistirolo espanso in perle non sinterizzate), generalmente destinati all’alleggerimento dei calcestruzzi, possono essere impiegati per il riempimento di intercapedini, o possono essere stesi in strato su superfici non calpestabili (solai di sottotetto); sono di facile impiego. L’argilla espansa è ottenuta a seguito del processo di clinkerizzazione dei granuli di argilla, ossia di cottura in forno rotante a 1200°C. La tensione interna dilata i granuli determinando una struttura cellulare chiusa a carattere vetroso, ricoperta da una scorza resistente; ha buona aderenza al cemento e al bitume, è inalterabile e sterile. La perlite è ottenuta dall’espansione di roccia effusiva a seguito della sua macinazione, essiccazione e processo di shock termico a 1000°C. L’acqua contenuta nella roccia si trasforma in vapore gonfiando le pareti del granulo. Si presenta sotto forma di grossi granuli del tutto esenti da polvere; ha una buona resistenza all’invecchiamento è imputrescibile ed è inerte nei confronti dei metalli. La vermiculite è il prodotto della alterazione
naturale di miche e cloriti; in seguito a riscaldamento il minerale perde acqua e, rigonfiandosi, assume la forma vermicolare. Il vetro cellulare, è ottenuto dalla macinazione del vetro e dalla sua rifusione con materiali che, ad alta temperatura, sviluppano gas. I pannelli di fibre vegetali (lana di legno, sughero) sono ottenuti dall’impasto delle fibre con cemento portland, cemento alla magnesite, gesso. Le fibre sono precedentemente sottoposte a trattamento chimico mineralizzante che elimina i composti organici soggetti a deperimento e rende il prodotto resistente agli agenti chimici, imputrescibile e inattaccabile dalle muffe. Per quanto riguarda il sughero, la coesione dei granuli, derivati dalla frantumazione della corteccia, è ottenuta dalla liquefazione delle resine in essi contenute, a seguito del processo di cottura; il composto viene successivamente pressato. Sia le fibre di legno che il sughero hanno buona resistenza all’invecchiamento, sono inattaccabili da insetti e roditori. Le materie plastiche cellulari (PVC espanso in lastre, polietilene estruso non reticolato o reticolato, poliuretani espansi, polistirene espanso) hanno la struttura caratterizzata da una fase gassosa (aria, freon o simili), dispersa in una struttura solida (poliuretano, polistirene, polietilene) conformata a celle. Il prodotto si presenta in pannelli rigidi che vengono assemblati per accostamento, incastro o battentatura. A questa categoria appartengono le resine fenoliche e le resine ureiche; queste ultime sono impiegate in soluzione acquosa, essenzialmente per il riempimento di intercapedini di pareti o mattoni. Per gli intonaci isolanti (cfr. F.1.20.). TAB. F.1.25./1 TEMPERATURE DEGLI AMBIENTI IN FUNZIONE DELLA DESTINAZIONE D’USO DESTINAZIONE D’USO
TEMPERATURA
Camere da letto
18°C
Locali da studio, sale da pranzo e da riunione
20°C
Corridoi e locali di passaggio
18°C
Infermerie
20°C
Sale per operazioni chirurgiche
24-28°C
Gabinetti, bagni, spogliatoi
22°C
Aule scolastiche
18°C
Teatri
18-20°C
Chiese
12-15°C
Laboratori, officine
16-18°C
Serre
20-30°C
Sale da ballo, palestre
15-18°C
TAB. F.1.25./2 CARATTERISTICHE DI ALCUNI ISOLANTI MAGGIORMENTE USATI Isolanti di origine vegetale
Isolanti di origine minerale
Isolanti di origine sintetica
fibra fibra fibra vetro argilla polistirolo polistirolo poliureta polietilene urea perlite vermiculite PVC di legno di vetro di roccia cellulare espansa espanso estruso no espanso formaldeide feltro/ feltro/ sfuso/ pannello/ pannello pannello sfuso sfuso pannello pannello pannello pannello schiuma pannello pannello pannello pannello schiuma 50÷100/ 100÷150 220÷250 20÷200 20÷200 120÷140 65÷100 350÷500 15÷35 25÷40 30÷700 25÷50 35÷70 9÷12 170÷190
sughero TIPO Densità (kg/mc) Conducibilità termica Permeabilità al vapore acqueo Resistenza a compressione Temp. massima d’impiego Assorbimento d’acqua Comportamento al fuoco
•••
•
•••
•••
••
•••/••
•••
•
•••
••••
••••/•••
••••
•••
•••
•
••
•
•
••••
–/•••
–
–
••
•••
•••/–
•••
•••/••••
–
•••
•••
•••
••••
••••
–/•••
–
–
••
••/•••
•••/–
•••
•
–
••
••
•••
•••
••••
••••/••
••••
••••
•
•
••
•
•
••
•
•
•••
•••
••••
–/••
–
–
••
••
••
•••
•••
•
M4
M3/M4
M0/M1
M0
M0
M0/M1
M0
M0
M4
M4
M4
M1
M2
M2
•••• comportamento ottimo ••• comportamento buono
F 82
•• •
comportamento medio comportamento scarso
M0 incombustibile M1 infiammabile
M2 difficilmente infiammabile M3 mediamente infiammabile
M4 facilmente infiammabile M5 molto facilmente infiammabile
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI ISOLANTI TERMOACUSTICI
A.ZIONI
PONTI TERMICI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.25./1 SCHEMI DI ALCUNI PONTI TERMICI
I ponti termici sono punti singolari della costruzione a bassa resistenza termica. I principali punti che possono costituire ponte termico sono rintracciabili: • in corrispondenza di angoli esterni verticali e orizzontali; • negli incroci tra muri interni ed esterni; • in corrispondenza di travi e cordoli perimetrali; • nei contorni dei serramenti; • nei muri di sottofinestra; • fra elementi costruttivi adiacenti a differenti valori di trasmittanza.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
In corrispondenza dei ponti termici si ha abbassamento di temperatura superficiale, con conseguente rischio di formazione di condensa, muffe e pericolo di fessurazione della struttura. L’impiego di isolanti a forte spessore, non accompagnato da un adeguato controllo dei ponti termici, accresce il rischio di condensa a causa delle elevate differenze di temperatura superficiale che si rilevano in corrispondenza delle discontinuità costruttive. I ponti termici riducono il potere isolante dell’intera parete e il bilancio termico globale della struttura.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
PIANTA
SEZIONE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
POSA IN OPERA DEI MATERIALI TERMOISOLANTI La funzione isolante può essere svolta dal singolo elemento resistente (mattoni, blocchi, pannelli prefabbricati con capacità isolante), eventualmente integrata da altri strati funzionali può essere assolta da uno strato di materiale isolante inserito nell’intercapedine; da uno strato totalmente esterno all’edificio come ad esempio nel caso di rivestimento a cappotto o di facciata ventilata (cfr. F.1.23. “Rivestimento a cappotto”, F.1.24. “Rivestimento con facciata ventilata”); infine, da uno strato collocato in posizione interna. I fattori che orientano la scelta tengono conto del tipo di materiale isolante impiegato, della complessità volumetrica dell’edificio, del grado di isolamento che si intende ottenere. In linea generale, un isolante collocato in posizione esterna sottopone la parete a minori shock termici, produce un maggiore sfasamento e smorzamento dell’onda termica e può essere applicato anche in fasi successive alla realizzazione del fabbricato; uno strato isolante in posizione interna non richiede particolari oneri di mano d’opera e attrezzature per il montaggio, può essere applicato, senza disturbo, in qualsiasi momento della vita dell’edificio ed è facilmente manutenibile, per contro non riduce lo shock termico delle pareti e non risolve il problema dei ponti termici.
L’isolante in intercapedine non è manutenibile ed è previsto generalmente in fase di costruzione; a tale scopo possono essere utilizzati anche i materiali sciolti, che vengono introdotti nella intercapedine sino al suo riempimento, nel mentre si procede alla costruzione della parete; in tal caso il materiale viene inserito dopo avere praticato alcuni fori nella parte alta della parete; l’omogeneità della distribuzione di questo tipo di materiale isolante risulta però difficilmente controllabile. I calcestruzzi alleggeriti sono impiegati, secondo le modalità consuete. I pannelli sono accostati tra di loro con giunti semplici o battentati e sono fissati al supporto con collanti o sistemi meccanici. I materassini sono accostati tra loro e fissati alla parete.
pericolo di infiltrazioni di umidità all’interno dell’isolante) mediante incollaggio per punti, con fissaggi meccanici in PVC (cfr. F.1.23. Rivestimento a cappotto) o con rondelle in plastica, in abbinamento alle zanche di collegamento tra le pareti (cfr. F.1.8 Apparecchiature murarie in elementi resistenti artificiali).
FIG. F.1.25./3 ISOLAMENTO DI TUBAZIONI
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
In caso di presenza di barriera al vapore è necessario verificarne la continuità in prossimità dei giunti tra pannelli o tra materassini. Tale continuità è assicurata da spezzoni di barriera opportunamente sistemati a coprire il giunto. I materassini e i pannelli, in particolare se riempiono parzialmente un’intercapedine devono essere fissati a una parete (preferibilmente quella interna per eliminare il
F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
FIG. F.1.25./2 MODALITÀ DI FISSAGGIO DI UN PANNELLO ISOLANTE
F.5. I D ARRE
LASTRA
a)
F.1. 25.
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
MALTA ADESIVA MURO a)
SPESSORI PROVVISORI TASSELLO A FUNGO IN PLASTICA PER ANCORAGGIO
b)
INCOLLAGGIO DI UN PANNELLO RIGIDO A MEZZO DI COLLANTE SU SUPPORTO PREVENTIVAMENTE TRATTATO CON PRIMER a) Nel caso di supporti lisci: strisce di malta adesiva della larghezza di 15 cm cm,, distanziare 20-25 cm b) Nel caso di supporti ruvidi: il collante viene applicato per punti (plots), circa 15/mq. 15/mq
b)
COPPELLE PER L L’ISOLAMENTO ISOLAMENTO TERMICO indicate per tubazioni d d’acqua acqua o liquidi freddi, a evitare fenomeni di condensa. Le coppelle sono fissate con fascette metalliche o filo di ferro zincato: a) Coppella monostrato. b) Doppia coppella con sfalsamento dei giunti sia longitudinale che radiale, per evitare discontinuit discontinuità nella protezione.
5. F.1.2NTI ISOLA ACUSTICI O TERM
F 83
F.1. 25.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE ISOLANTI TERMOACUSTICI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ POSA IN OPERA DEI MATERIALI TERMOISOLANTI TAB. F.1.25./3 CARATTERISTICHE DI ALCUNI TIPI DI PARETE CON PANNELLI ISOLANTI DI DIVERSO SPESSORE MURATURA DI TAMPONAMENTO (con camera d’aria interna all’isolante) Peso parete (kg/m 2)
Massa efficace (kg/m 2)
Intonaco esterno, mattone semipieno, isolante, camera d’aria, laterizio forato 8 cm, intonaco interno
310
Intonaco esterno, mattone doppio UNI, isolante, camera d’aria, laterizio forato 10 cm, intonaco interno
DESCRIZIONE
Spessore isolante (cm) Trasmittanza termica (k) 3
4
5
6
90
0,66
0,57
0,50
0,44
285
100
0,61
0,53
0,47
0,42
Intonaco esterno, laterizio forato 12 cm, isolante, camera d’aria, laterizio forato 12 cm, intonaco interno
230
110
0,57
0,50
0,44
0,40
Mattone faccia a vista 12 cm, isolante, camera d’aria, laterizio forato 15 cm, intonaco interno
320
140
0,56
0,49
0,43
0,39
MURATURA DI TAMPONAMENTO (con camera d’aria esterna all’isolante) Peso parete (kg/m 2)
Massa efficace (kg/m 2)
Intonaco esterno, mattone semipieno, camera d’aria, isolante, laterizio forato 8 cm, intonaco interno
300
Intonaco esterno, mattone doppiouni, isolante, laterizio forato 10 cm, intonaco interno
DESCRIZIONE
Spessore Styropor F (cm) Trasmittanza termica (k) 3
4
5
6
90
0,66
0,57
0,50
0,44
275
100
0,61
0,53
0,47
0,42
Intonaco esterno, laterizio forato 12 cm, camera d’aria, isolante, laterizio forato 12 cm, intonaco interno
220
110
0,57
0,50
0,44
0,40
Mattone faccia a vista 12 cm, camera d’aria, isolante, laterizio forato 15 cm, intonaco interno
310
140
0,56
0,49
0,43
0,39
MURATURA PORTANTE ESTERNA Spessore isolante (cm) Trasmittanza termica (k)
Spessore muro (cm)
Peso parete (kg/m 2)
Massa efficace (kg/m 2)
3
4
5
6
Intonaco esterno, blocco laterizio forato,isolante, laterizio forato, intonaco interno
20 25 30
282 304 342
90 90 90
0,57 0,52 0,50
0,50 0,46 0,44
0,45 0,42 0,40
0,40 0,39 0,36
Intonaco esterno, blocco laterizio alveolato, isolante, laterizio forato, intonaco interno
20 25 30
281 297 324
90 90 90
0,54 0,50 0,48
0,48 0,45 0,43
0,43 0,40 0,38
0,39 0,37 0,35
Intonaco esterno, blocco leggero portante, isolante, laterizio forato, intonaco interno
20 25 30
274 299 309
90 90 90
0,60 0,59 0,56
0,53 0,52 0,46
0,47 0,46 0,43
0,42 0,41 0,39
Intonaco esterno, blocco leggero portante, isolante, laterizio forato, intonaco interno
20 25 30
262 313 344
90 90 90
0,47 0,43 0,40
0,47 0,43 0,40
0,42 0,39 0,36
0,38 0,35 0,33
DESCRIZIONE
MURATURA PORTANTE INTERNA
F 84
Spessore isolante (cm) Trasmittanza termica (k)
Spessore muro (cm)
Peso parete (kg/m 2)
Massa efficace (kg/m 2)
3
4
5
6
Mattone faccia a vista a fori verticali, isolante, blocco laterizio forato, intonaco interno
20 25 30
445 467 505
192 214 252
0,60 0,54 0,52
0,52 0,48 0,46
0,46 0,43 0,41
0,41 0,39 0,37
Mattone faccia a vista a fori verticali,isolante,blocco laterizio alveolato, intonaco interno
20 25 30
374 396 434
191 207 235
0,55 0,52 0,49
0,48 0,46 0,44
0,43 0,41 0,39
0,39 0,37 0,36
Blocco leggero a fori verticali, isolante, blocco leggero portante, intonaco interno
20 25 30
320 371 403
172 223 255
0,53 0,49 0,45
0,47 0,44 0,40
0,42 0,39 0,36
0,38 0,36 0,33
Blocco leggero pieno a fori verticali, isolante, blocco leggero portante, intonaco interno
20 25 30
333 358 368
185 210 220
0,62 0,60 0,56
0,53 0,52 0,49
0,47 0,46 0,44
0,42 0,41 0,39
DESCRIZIONE
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI ISOLANTI TERMOACUSTICI
A.ZIONI
ISOLAMENTO DELLE PARETI E CORREZIONE DEI PONTI TERMICI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.25./4 ISOLAMENTO DELLE PARETI E CORREZIONE DEI PONTI TERMICI
B.STAZIONI DILEGIZLII
STAFFA DI ANCORAGGIO DELLE DUE PARETI
25
COLLANTE
I ED PRE NISM ORGA
INTONACO INTERNO
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
INTONACO INTERNO cm 1,5 INTONACO DI FINITURA
STRATO ISOLANTE
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
BARRIERA AL VAPORE
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
RETE PORTAINTONACO IN FIBRA DI VETRO
INTONACO ESTERNO
F.1. 25.
SOLETTA RETE DI ARMATURA PER L’INTONACO L INTONACO IN CORRISPONDENZA DELLO STRATO ISOLANTE
SCALA DI RAPP. 1/15
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
PARAMENTO INTERNO PARAMENTO ESTERNO
STRATO ISOLANTE cm 4
STRATO ISOLANTE
STRATO ISOLANTE
G.ANISTICA URB
TRAMEZZO
INTONACO DI FONDO ARMATO CON RETE
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
RIVESTIMENTO PLASTICO INTONACO ESTERNO ARMATO IN CORRISPONDENZA DEL MATERIALE ISOLANTE
TAVELLA IN LATERIZIO CHIODO DI FISSAGGIO
INTERNO
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
PAVIMENTO IN KLINKER MALTA DI ALLETTAMENTO ARMATA CON RETE
ESTERNO
F.3. IONI IZ PART E N INTER
INTERNO
FELTRO DI SCORRIMENTO STRATO ISOLANTE cm 4
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
ESTERNO
IMPERMEABILIZZAZIONE MASSETTO DI PENDENZA PANNELLI ISOLANTI INTEGRATI AL SOLAIO IN C.A. INTONACO INTERNO
PIANTA
INTONACO ESTERNO
SEZIONE
ISOLAMENTO DI LOGGIA
CORREZIONE DI PONTI TERMICI IN CORRISPONDENZA DI TRAVI, PILASTRI, TRAMEZZI
PANNELLO MONOSTRATO L'impiego di un pannello monostrato prefabbricato richiede il completamento con uno strato isolante
GETTO DI COMPLETAMENTO
PIANTA
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
TRANCIA DI PANNELLO ISOLANTE COLLOCATO IN OPERA SIGILLANTE
SIGILLANTE
SEZIONE
F.5. I D ARRE
SEZIONE
SEZIONE VERTICALE CON PARTICOLARE DELLA SOSPENSIONE GETTO DI A MENSOLA COMPLETAMENTO
PIANTA
5. F.1.2NTI ISOLA ACUSTICI O TERM
F 85
F.1. 25.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE ISOLANTI TERMOACUSTICI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ ISOLAMENTO DELLE PARETI E CORREZIONE DEI PONTI TERMICI FIG. F.1.25./5 CORREZIONE DI PONTI TERMICI: RACCORDI CON I SERRAMENTI BARRIERA AL VAPORE
LASTRA IN GESSO RIVESTITO PER INTERNO
COLLANTE O FISSAGGIO MECCANICO BARRIERA AL VAPORE
ISOLANTE POSTO ALL’INTERNO ALL INTERNO
COPRIFILO ANGOLARE O SIGILLATURA DEL GIUNTO
LASTRA IN GESSO RIVESTITO PER INTERNO 4 ISOLANTE POSTO ALL’INTERNO ALL INTERNO
COPRIFILO
LASTRA IN GESSO RIVESTITO PER INTERNO ISOLANTE POSTO ALL’INTERNO ALL INTERNO
COPRIFILO
BARRIERA AL VAPORE
17 4
4 COPRIFILO ANGOLARE COLLANTE O FISSAGGIO MECCANICO
25
24 IMBOTTE IN MARMO
IMBOTTE IN MARMO
25
INTONACO ESTERNO 2 cm INTONACO ESTERNO 2 cm
INTONACO ESTERNO 2 cm Adatto a costruzioni esistenti
35 23 10
3
1,5 8
38,5 12
26,5
2,5 9,4
18
LATERIZIO FACCIA A VISTA TELAIO VELETTA
25
12 INTERCAPEDINE 3-5 cm
ISOLANTE 2-3 cm
LATERIZIO ALVEOLATO MALTA DI RINZAFFO COLLANTE
DAVANZALE INTERNO IN LEGNO
SOGLIA IN MARMO
COPRIDAVANZALE
PANNELLO TERMORIFLETTENTE
INTONACO
TERMOSIFONE PANNELLO ISOLANTE 3-5 cm 12
F 86
1,5
1,5
ISOLAMENTO CON BARRIERA AL VAPORE
INTONACO INTERNO CON RETE IN FIBRA DI VETRO INTONACO
4
12
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI ISOLANTI TERMOACUSTICI
A.ZIONI
MATERIALI FONOISOLANTI Gli isolanti acustici sono impiegati in ordine a due tipologie del rumore: rumori aerei e rumori di impatto (rumori di calpestio, caduta di oggetti, trasporto di oggetti pesanti). Gli isolanti acustici sono classificati in prodotti per assorbimento acustico e prodotti per isolamento acustico (cfr. Sez. E.).
Le tecniche di insonorizzazione devono provvedere a limitare la trasmissione del rumore dall’esterno verso l’interno e tra ambienti contigui (fonoisolamento), e ridurre l’energia sonora diretta e riflessa all’interno di un ambiente (fonoassorbimento). Per tutti i materiali di forma geometrica determinata è opportuno conoscere le dimensioni, con le tolleranze stabi-
a = Wa/Wi dove: Wa = energia sonora assorbita Wi = energia sonora incidente. I materiali adatti all’assorbimento acustico sono quelli porosi a struttura fibrosa o alveolare aperta (lana di vetro
lite dalle norme UNI, la massa areica, i cui valori devono rientrare in quelli stabiliti dalle norme UNI, il coefficiente di assorbimento acustico (UNI EN 20354), il potere fonoisolante (UNI EN 20140-12354, UNI EN ISO 140), la reazione o il comportamento al fuoco, i limiti di emissione di sostanze nocive per la salute, la compatibilità chimicofisica con gli altri materiali.
TAB. F.1.25./4 CLASSIFICAZIONE DEI MATERIALI FONOASSORBENTI
PRODOTTI PER ASSORBIMENTO ACUSTICO I materiali fonoassorbenti dissipano l’energia sonora incidente sulla loro superficie, riducendone la propagazione nell’ambiente disturbato (energia riflessa). Tale proprietà è indicata dal coefficiente di assorbimento acustico:
F.1. 25.
o schiuma a celle aperte), i pannelli vibranti, i pannelli forati (cfr. Sez. E). A parità di struttura, lo spessore e la posizione rispetto alla parete condiziona le proprietà fonoassorbenti. Oltre alle caratteristiche suddette, per questi materiali è necessario conoscere la resistività al flusso d’aria (ISO/DIS 90537). I materiali fonoassorbenti sono impiegati in tutti quegli ambienti (sale di teatro, cinema, uffici, sale collettive) in cui è richiesta la correzione acustica e il controllo dei tempi di riverbero, al fine di ridurre i disturbi provocati dalla riverberazione, migliorando la qualità dell’ascolto.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
MATERIALI FIBROSI Minerali
Fibra di vetro, fibra di roccia
Vegetali
Fibra di legno o cellulosa, truciolari
Minerali
Calcestruzzi alleggeriti con pozzolane, perlite, vermiculite, argilla espansa, laterizi alveolati, prodotti a base di tufo
Sintetici
Poliuretano a celle aperte, polipropilene a celle aperte
MATERIALI CELLULARI
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
PRODOTTI PER ISOLAMENTO ACUSTICO I materiali fonoisolanti hanno la funzione di ridurre sensibilmente la trasmissione di energia sonora che li attraversa. Il potere fonoisolante, espresso in dB, è dato da:
R = 10 log Wi/Wt dove: Wi = energia sonora incidente Wt = energia sonora trasmessa. Un buon isolamento acustico, espresso come differenza dell’intensità del suono prima e dopo l’attraversamento di un materiale, è valutabile in 30–40 dB. Una parete permeabile al flusso di aria (priva di intonaco, fessurata, con serramenti privi di guarnizioni) presenta un isolamento acustico molto basso. I materiali più adatti a essere impiegati come isolanti acustici, cioè atti a ridurre il passaggio dell’energia sonora attraverso pareti e solai, devono essere impermeabili, ad alta densità, malleabili. Gli isolanti termici impiegati in edilizia hanno anche proprietà fonoisolanti; pertanto le modalità di fabbricazione della maggior parte degli isolanti acustici e le loro proprietà chimico-fisiche e meccaniche, come anche la normativa di riferimento, coincidono con quelle dei materiali termoisolanti. Oltre quanto già detto, per i materiali fonoisolanti è opportuno conoscere il modulo di elasticità e il fattore di perdita. I parametri che intervengono nella valutazione della capacità fonoisolante di una struttura edilizia sono: la massa degli elementi strutturali attraversati dell’energia sonora, la loro composizione strutturale, la frequenza della radiazione sonora (cfr. Sez. E., “Controllo ambientale”). In generale si può osservare che, a parità di massa per unità di superficie, le pareti pesanti o a doppio strato hanno maggiore capacità fonoisolante delle pareti leggere o monostrato; le pareti doppie consentono inoltre, a parità di isolamento acustico, un peso minore; l’impiego di materiali fonoassorbenti nell’intercapedine delle pareti contribuisce al miglioramento dell’isolamento acustico, sul quale incidono la distanza tra le pareti – proporzionale all’isolamento acustico –, la loro rispettiva frequenza di risonanza e gli eventuali collegamenti reciproci; con le alte frequenza di energia sonora si ottengono i migliori risultati di isolamento. Le principali regole di cui è necessario tenere conto nella realizzazione di murature con potere fonoisolante, oltre l’impiego di additivi specifici per la realizzazione della malta e dell’intonaco sono le seguenti: • i mattoni o blocchi di maggiore peso e pieni offrono migliori caratteristiche acustiche; • i mattoni o blocchi devono essere integri; • i giunti tra gli elementi resistenti devono essere ben riempiti di malta, senza vuoti; • lo spessore degli intonaci deve essere > 1,5 cm; • i tramezzi devono poggiare su uno strato di materiale elastico (cfr. Isolamento acustico di pavimenti); una
finitura in gesso eleva notevolmente le prestazioni acustiche della parete. Inoltre, nelle murature a doppio strato: • le pareti dovrebbero avere spessore e peso differenti (la somma delle rispettive masse ≥ 200 kg/mq); • uno strato di intonaco frattazzato sulla superficie interna di una delle due pareti contribuisce a isolare acusticamente; nel caso dell’impiego di elementi resistenti in calcestruzzo alleggerito, caratterizzati da una struttura cellulare aperta e quindi da un alto coefficiente di trasmissione dell’energia sonora, è opportuno rivestire di intonaco entrambe le facce di una delle pareti; • l’intercapedine, di spessore compreso tra 3 e 5 cm , dovrebbe essere riempita con materiale fonoassorbente (lana di vetro, schiume poliuretaniche), poiché
la sola presenza dell’aria aumenta il fenomeno della risonanza; inoltre, tanto più la massa di una delle due pareti è bassa, maggiore deve essere la loro distanza; • l’impiego di parapetti nei balconi contribuisce all’isolamento acustico. Per costruzioni esistenti: • è possibile modificare il comportamento acustico di una parete monostrato mediante l’accoppiamento di una controparete in materiale fonoisolante, così da aumentare il numero degli strati e migliorarne l’isolamento; • rivestire la parete con fogli di piombo che ne aumentano il peso; • proiettare sulla parete intonaci fonoassorbenti a base di fibre minerali, vermiculite, polistirolo, nello spessore di 1–3 cm.
URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER
FIG. F.1.25./6 SCHEMI DI ALCUNI PONTI ACUSTICI TRA AMBIENTI CONTIGUI
PASSAGGIO IMPIANTI
80 dB
G.ANISTICA
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
35 dB
F.5. I D ARRE
PIANTA
PONTI ACUSTICI Analogamente ai ponti termici, i ponti acustici sono punti singolari della struttura edilizia in cui è notevolmente ridotta la resistenza al passaggio dell’energia sonora. Le principali cause di ponti acustici possono essere: • le fessure e i vuoti nella malta dei giunti tra gli elementi resistenti; • l’impiego di elementi resistenti fessurati; • i giunti murari; • il passaggio, nelle strutture verticali (portanti o tramezzi) di canalizzazioni e supporti rigidi di fissaggio delle stesse; • i collegamenti rigidi tra strati di muratura e tra tramezzi e solai; • i telai dei serramenti esterni e interni; • le superfici vetrate.
SEZIONE
TAB. F.1.25./5 CONFRONTO FRA GLI INDICI DI ISOLAMENTO ACUSTICO PER ALCUNI TIPI DI PARETE TIPO DI MURO
INDICE DI ISOLAMENTO (dB) senza intonaco
con intonaco
4
36,5 (S)
Blocchi di cemento di 10 cm
29
43,5 (S) 45 (C)
Mattoni pieni di 11 cm
37
42,5 (S) 43 (C)
Fibre di legno, agglomerate con cemento, spessore 7 cm
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
S = scagliola, C = intonaco cementizio.
5. F.1.2NTI ISOLA ACUSTICI O TERM
F 87
F.1. 26.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SERRAMENTI ESTERNI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
CARATTERISTICHE E REQUISITI
Controllo ambientale: capacità di controllare il passaggio di luce, calore, suono, aria, acqua, vapore acqueo e di controllare i fenomeni di condensazione. Resistenza: alle sollecitazioni meccaniche dovute a compressione, trazione, flessione, taglio, torsione, urti, vibrazioni, cicli di pressione e depressione, usura meccanica. Sicurezza: capacità di controllare la propagazione delle fiamme, le modalità di rottura per prevenire o limitare i danni e i pericoli per l’utenza, l’intrusione di persone e animali. Capacità di assorbimento delle variazioni dimensionali: ovvero di risolvere le variazioni dimensionali dovute a errori di fabbricazione, di posizionamento, fenomeni termici, igrotermici, d’assestamento, elastici o non. Aspetto: capacità di controllare modificazioni di forma derivanti dalle sollecitazioni correnti, di mantenere inalterato nel tempo l’aspetto specificato, di evitare effetti indesiderati sui componenti adiacenti. Durabilità: capacità di mantenere nel tempo le prestazioni fornite inizialmente ai relativi livelli, nel quadro di un definito contesto ambientale e in condizioni d’uso e di manutenzione specificate, considerando anche l’eventualità, per effettuare quest’ultime, di operazioni di montaggio e smontaggio, parziali e/o totali che non provochino però danni. Economia: avere un costo iniziale complessivamente noto, un deprezzamento noto, un costo di manutenzione noto.
F 88
Zone climatiche: A = meno di 600 gradi giorno; B = fra 600 e 900 gradi giorno; C = fra 900 e 1.400 gradi giorno; D = fra 1.400 e 2.100 gradi giorno; E = fra 2.100 e 3.000 gradi giorno; F = oltre 3.000 gradi giorno.
A B B
C B B
E
C
D
2000 m 1200 m
FASCIA COSTIERA
REGIONI CLIMATICHE
FASCIA SUBCOSTIERA
C
REGIONE A
20 km 20 km 500 m 0 m s.l.m.
ZONA
4
2
1
2 FASCIA COSTIERA
C D D D A E A D C B E F E B F E D D E E E C E E E E A E A D E C F D B E C F D E E E D A E E E E D
3
800 m
1500 m
3
REGIONE B
20 km
300 m 0 m s.l.m.
ZONA
4
2
1
2 FASCIA COSTIERA
1.360 1.520 1.610 1.800 330 2.340 320 1.430 1.350 880 2.460 3.990 2.340 690 2.750 2.190 2.030 1.600 2.980 2.540 2.230 1.380 2.600 2.500 2.160 2.960 380 2.200 400 1.440 2.420 1.180 3.290 2.000 620 2.480 1.010 3.750 1.530 2.570 2.570 2.160 1.960 550 2.240 2.360 2.110 2.550 2.050
3
800 m
1500 m
REGIONE C
20 km
300 m 0 m s.l.m.
ZONA
4
3
ZONA
2
2
3 FASCIA COSTIERA
3 235 563 531 3 121 1 511 366 10 604 1.234 12 14 682 493 11 4 954 61 491 5 349 819 4 450 15 405 7 20 75 225 1.020 322 17 307 15 732 265 239 194 15 2 61 119 485 1 812 59
SUDDIVISIONE DEL TERRITORIO NAZIONALE IN ZONE CLIMATICHE (Circ. Min. LLPP n.22631 del 24 maggio 1982)
A
ENTROTERRA
– Foggia Nuoro Potenza – – Messina Catania Sassari – Perugia Bolzano – – Modena – – – Potenza – Siena – Bologna – – Vicenza – – Catania – Brescia – Modena – – – – Udine – – – – – Vibo Val. – Pesaro – Forlì –
Quota Gradi Zona s.l.m. giorno climat.
ENTROTERRA
Livorno Lucera Macomer Melfi Messina Milano Milazzo Mineo Mores Napoli Norcia Ortisei Padova Palermo Pavullo nel Frig. Perugia Pesaro Pescara Pescopagno Piacenza Pienza Pisa Porretta Terme Potenza Ravenna Recoaro Reggio Calabria Rieti Riposto Roma Salò Sassari Sestola Siena Siracusa Sondrio Taranto Tarvisio Teramo Torino Trento Treviso Trieste Tropea Udine Urbino Venezia Verghereto Verona
Provincia
800 m
ENTROTERRA
COMUNE
ALTITUDINE
Provincia
ALTITUDINE
Quota Gradi Zona s.l.m. giorno climat. Agrigento – 230 979 A Alassio Savona 5 1.020 C Alessandria – 95 2.550 E Amatrice Rieti 955 3.040 F Ancona – 16 1.590 D Aosta – 583 2.750 E Arezzo – 296 1.950 D Ariano Irpino Avellino 780 2.440 E Atri Teramo 442 2.240 E Auronza Belluno 864 3.960 F Avellino – 350 1.940 D Bari – 5 1.100 C Belluno – 383 3.000 E Benevento – 135 1.710 D Bergamo – 249 2.370 E Bertinoro Forlì 220 2.150 E Biella Vercelli 420 2.670 E Bologna – 55 2.170 E Bormio Sondrio 1.225 3.310 F Bressanone Bolzano 559 3.400 F Cagliari – 4 920 C Camerino Macerata 671 2.380 E Caserta – 68 1.220 C Catania – 10 690 B Chieti – 330 2.000 D Como – 201 2.400 C Corleone Palermo 542 1.340 C Cosenza – 237 1.020 C Courmayeur Aosta 1.224 3.620 F Crotone Catanzaro 8 930 C Desenzano Brescia 5 2.130 E Desulo Nuoro 891 2.250 E Dobbiaco Bolzano 1.243 5.300 F Edolo Brescia 699 2.760 E Enna – 931 2.080 D Fabriano Ancona 325 2.140 E Firenze – 50 1.800 D Floresta Messina 1.275 2.750 E Foligno Perugia 234 1.750 D Foggia – 76 1.380 C Foppolo Bergamo 1.508 5.100 F Forlì – 34 1.960 D Gallipoli Lecce 12 790 B Genova – 19 1.240 C Gorizia – 84 2.300 E Jesi Ancona 97 1.580 D Imperia – 22 1.120 C IsoladelCantone Genova 298 2.370 E Ivrea Torino 245 2.310 E Lacedonia Avellino 736 2.220 E L’Aquila – 714 2.670 E La Spezia – 3 1.390 C Lecce – 51 1.030 C COMUNE
FIG. F.1.26./1 ZONE DI VENTO
ENTROTERRA
TAB. F.1.26./2 ZONE CLIMATICHE
ALTITUDINE
Definito il serramento in base a questi quattro parametri, se ne possono verificare le prestazioni.
TAB. F.1.26./1 REQUISITI DEI SERRAMENTI ESTERNI (UNI 7959 e UNI EN 12207,12208,12210)
ALTITUDINE
Un serramento deve assolvere due funzioni principali: permettere il passaggio (persone, cose, luce, aria), garantire la tenuta (all’acqua, al vento, al calore, al suono, al fuoco). L’UNI stabilisce quattro parametri secondo i quali effettuare la scelta del serramento (vedi Tab. F.1.26./2; Fig. F.1.26./1): a) zona climatica (in funzione dei “gradi giorno”); b) zona di vento (in funzione del regime dei venti, della distanza dal mare, dell’altitudine); c) esposizione dell’edificio; d) altezza dell’edificio.
REGIONE D-E
20 km
0 m s.l.m. 4
regione D = 3 regione E = 4
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI SERRAMENTI ESTERNI
F.1. 26. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
PRESTAZIONI Il serramento deve garantire tre categorie di prestazioni (verificate tramite prove standardizzate): a) permeabilità all’aria; b) tenuta all’acqua; c) resistenza al vento. PERMEABILITÀ ALL’ARIA Il serramento deve garantire un’adeguata permeabilità all’aria, per evitare fenomeni di condensa sulle sue superfici e per garantire i ricambi d’aria necessari al soddisfacimento del comfort ambientale. In relazione alle prestazioni ottenute durante le prove, descritte dalla norma UNI EN 1026, il serramento viene classificato sulla base del confronto tra la permeabilità dell’intera superficie dell’infisso e la permeabilità all’aria riferita alla lunghezza dei lati apribili. TAB. F.1.26./3 CLASSIFICAZIONE BASATA SULLA SUPERFICIE TOTALE Permeabilità all’aria di riferimento a 100 Pa m3/hm2
Pressione massima di prova Pa
Non sottoposto a prova
TENUTA ALL’ACQUAIl serramento deve impedire il passaggio dell’acqua. Un limitato passaggio d’acqua può essere consentito se il serramento la trattiene al suo interno e la riesce a smaltire all’esterno. La prova, eseguita secondo le modalità prescritte dalla norma UNI EN 1027, avviene sottoponendo il serramento, in modo uniforme e con continuità, a una portata d’acqua prestabilita ma a pressione crescente, per un determinato periodo di tempo (5’). Il valore della pressione a cui l’acqua si è infiltrata e l’intervallo di tempo trascorso prima che l’acqua penetri nel campione consentono di attribuire al serramento la classe di appartenenza. TAB. F.1.26./6 TENUTA ALL’ACQUA: CLASSI DI APPARTENENZA Pressione Classificazione di prova metodo di prova Pmax in Paa)
Classe 0
A
TAB. F.1.26./8 RESISTENZA AL VENTO: CLASSIFICAZIONE Classe di pressione del vento 1 2 3 4 5 Exxxx
Freccia relativa frontale A A1 A2 A3 A4 A5 AExxxx
B B1 B2 B3 B4 B5 BExxxx
C C1 C2 C3 C4 C5 CExxxx
Nella classificazione della resistenza al carico del vento la cifra si riferisce alla classe di carico del vento, e la lettera si riferisce alla freccia relativa frontale
Specifiche
SERRAMENTI
VETRO
K=
–
0
0
nessun requisito
0
1A
1B
Irrorazione per 15 min
Legno
3 mm
5,3 K/mq °C
Acciaio
3 mm
6,6 K/mq °C
Alluminio
3 mm
6,7 K/mq °C
50
2A
2B
come classe 1+5 min
100
3A
3B
come classe 2+5 min
150
4A
4B
come classe 3+5 min
200
5A
5B
come classe 4+5 min
Legno
4-6-4 mm
3,5 K/mq °C
250
6A
6B
come classe 5+5 min
Acciaio
4-6-4 mm
4,5 K/mq °C
Permeabilità all’aria di riferimento a 100 Pa e alle pressioni massime di prova, in rapporto alla superficie totale, per le classi da 1 a 4.
300
7A
7B
come classe 6+5 min
Alluminio
4-6-4 mm
4,6 K/mq °C
450
8A
–
come classe 7+5 min
TAB. F.1.26./4 CLASSIFICAZIONE BASATA SULLA LUNGHEZZA DEI LATI APRIBILI
600
9A
–
come classe 8+5 min
Alluminio a taglio termico
4-6-4 mm
3,4 K/mq °C
–
Al di sopra di 600 Pa con cadenza 150 Pa, la durata di ciascuna fase deve essere di 5 min
50
150
1
27
300
2
9
600
3
3
600
4
Permeabilità all’aria di riferimento a 100 Pa m3/hm2
Pressione massima di prova Pa
Non sottoposto a prova
> 600 Classe 0
12,50
150
1
6,75
300
2
2,25
600
3
0,75
600
4
Permeabilità all’aria di riferimento a 100 Pa e alle pressioni massime di prova, in rapporto alla lunghezza dei lati apribili, per le classi da 1 a 4.
TAB. F.1.26./5 CLASSIFICAZIONE RELATIVA ALLA PERMEABILITÀ ALL’ARIA GLOBALE DEL SERRAMENTO (UNI EN 12207) 100 80 70 60 50 40
Y
30 27 20
Z
CLASSE 1
15 12,5 10
I due metodi si distinguono per la diversa inclinazione degli ugelli di irrorazione. Il metodo A è adatto per prodotti pienamente esposti. Il metodo B è adatto per prodotti parzialmente protetti. a) dopo 15 min. a pressione 0 e 5 min. alle fasi susseguenti.
RESISTENZA AL CARICO DEL VENTO Il serramento deve resistere a bruschi innalzamenti della pressione esterna e alla forza del vento, senza che si manifesti eccessiva flessione sui componenti (freccia relativa frontale < 1/200 della luce); le deformazioni non devono essere permanenti, né arrecare carenze funzionali. La prova eseguita secondo la UNI EN 12211 avviene sottoponendo il serramento a tre tipi di sollecitazioni: • P1 pressione applicata per misurare le deformazioni di parti del campione; • P2 pressione pulsante applicata per 50 cicli al fine di valutare le prestazioni a fronte di ripetuti carichi dovuti al vento (P2 = 0,5 P1); • P3 pressione applicata per valutare la sicurezza del campione in condizioni estreme (P3 = 1,5 P1). La norma classifica la resistenza al carico del vento del serramento combinandolo con la freccia libera frontale.
6,75 5,0 CLASSE 2
10 9 8 7 6 5 4
Exxx
2,5 2,2 2,0 CLASSE 3
TAB. F.1.26./7 CARICO DEL VENTO: CLASSIFICAZIONE P1
P2 a)
P3
Non sottoposto a prova
0
400
200
600
1
800
400
1.200
2
1.200
600
1.800
3 4
3
0,75
1.600
800
1.400
2
0,5
2.000
1.000
3.000
xxxx
CLASSE 4 1
10 X = Pressione in Pa
50 100 150 Y = m 3/h m 2 dell'area totale
0,25 300 600 X Z = m 3/h di apertura giunti
Classe
5 Exxxx b)
a) Questa pressione viene ripetuta 50 volte. b) Il campione sottoposto a prova con un carico del vento superiore a classe 5, vengono classificati Exxxx – dove xxxx è la pressione reale di prova P1 (per esempio 2.350 ecc.).
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
REI
da 12 a 32 m
60
da oltre 32 a 80 m
90
oltre 80 m
C.RCIZIO
F. TERIALI,
TAB. F.1.26./10 VALORI REI RICHIESTI ALTEZZA ANTINCENDIO
I ED PRE NISM ORGA
CO NTALE AMBIE
TAB. F.1.26./9 VALORI DELLA TRASMITTANZA
B
B.STAZIONI DILEGIZLII
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
120
Per altezza antincendio s’intende l’altezza massima di un edificio, misurata dal livello inferiore dell’apertura più alta dell’ultimo piano abitabile e/o agibile, esclusa quella dei vani tecnici, al livello del piano esterno più basso.
CONDUZIONE TERMICA Attraverso il serramento l’ambiente più caldo cede calore a quello più freddo. La cessione avviene per irraggiamento conduzione, convezione. La quantità di calore scambiata dipende dalle caratteristiche del telaio, della specchiatura, dei giunti (tra serramento e involucro) e delle tenute (tra telaio fisso e telaio mobile). La trasmittanza termica (K) di un elemento in 1 h indica la quantità di calore, espressa in Watt, dispersa da 1 mq di superficie di un determinato materiale con una differenza di temperatura di 1°C. La conduzione del calore del serramento questa può determinarsi per sovrapposizione degli effetti: K = (KtSt + KvSv) / (St + Sv) in cui: Kt è la trasmittanza termica del telaio (W/mq K); Kv è la trasmittanza termica della specchiatura (W/mq K); St è l’area esposta del telaio (mq); Sv è l’area esposta della specchiatura (mq). Il valore della trasmittanza deve essere certificato secondo le prove descritte dalla norma ASTCM C 236. In prima approssimazione si può tener conto dei seguenti valori medi: ISOLAMENTO ACUSTICO Dipende dalle caratteristiche del telaio, della specchiatura dei giunti (tra serramento e involucro) e delle tenute (tra telaio fisso e telaio mobile). La proprietà fonoisolante di un serramento viene classificata secondo la norma UNI 8204 che, correlando il livello di rumore esterno con il livello tollerabile all’interno
➥
F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
6. F.1.2 MENTI SERRA I N ESTER
F 89
F.1. 26.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SERRAMENTI ESTERNI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ CARATTERISTICHE E REQUISITI ➦ ISOLAMENTO ACUSTICO (per tipologia d’utenza), determina l’abbattimento sonoro. Le classi sono tre: • R1 20-27 dB; • R2 28-35 dB; • R3 oltre 35 dB.
TENUTA AL FUOCO Deve essere garantita per la durata prevista all’evacuazione dell’immobile. Varia da 60’ a 120’. In questo intervallo di tempo i singoli elementi garantiscono la tenuta al fuoco mantenendo inalterate le proprie caratteristiche meccaniche sia di tenuta che di isolamento.
Le specifiche vengono date con i simboli: R = conservazione della stabilità; E = conservazione della tenuta; I = conservazione dell’isolamento termico; seguiti dal numero di minuti primi in cui sono garantiti i requisiti: 60’, 90’, 120’, secondo le prescrizioni della Circolare Min. Industria n.91 del 1961 e successivi.
mutevole di fattori tra i quali si possono elencare il tipo di attività svolto, l’abbigliamento indossato, l’esposizione.
FATTORE SOLARE È il rapporto tra energia entrante ed energia uscente. Le radiazioni solari trasmettono, attraverso il serramento, energia all’ambiente. L’energia raggiante che investe la superficie del serramento si suddivide in tre componenti: energia riflessa, energia termica assorbita per convenzione dal materiale, energia termica trasmessa all’interno. Le tre componenti variano in funzione dell’angolo d’incidenza dell’energia raggiante e della natura del materiale investito.
COMFORT AMBIENTALE Il comfort ambientale dipende dal ricambio dell’aria, dal comfort igrotermico, dalla ventilazione strutturale, dal fattore medio di luce diurna e dal fattore solare. RICAMBIO DELL’ARIA Serve per eliminare l’anidride carbonica, le tossine, gli odori e l’umidità che si producono in un ambiente confinato. L’anidride carbonica presente in un ambiente non può eccedere lo 0,5% in volume (0,1% in Francia). La quantità d’aria (Q) da immettere in un ambiente può essere determinata considerando la quantità di CO2 (q) prodotta da una persona presente nell’ambiente attraverso: Q = q / 4,5 (mc/h/persona) Se una persona, in attività sedentaria, produce 18 mc/h di anidride carbonica, dalla formula è possibile dedurre che la quantità d’aria da immettere nell’ambiente per persona è circa di 4 mc/h. Per ottenere un sufficiente ricambio d’aria si può rispettare il rapporto: Sm ≥ 1/8 di Sf, ove Sm è la superficie apribile dell’infisso e Sf è la superficie lorda dell’ambiente. COMFORT IGROTERMICO È necessario che tra la persona e l’ambiente esista un equilibrio termico. Questo equilibrio dipende da una serie
VENTILAZIONE STRUTTURALE Riguarda la ventilazione necessaria a controllare le differenti temperature delle due superfici del serramento (interna ed esterna). È buona norma che in inverno il tasso di umidità relativa negli ambienti sia compreso tra il 30% e il 60%. Gli attuali serramenti garantiscono spesso chiusure pressoché ermetiche. È necessario provvedere a un’aerazione controllata che permetta i ricambi d’aria previsti, per eliminare i prodotti dell’inquinamento interno, tramite aeratori. Gli aeratori possono essere costituiti da elementi autonomi e integrati nel serramento. Sono in produzione sia fissi che regolabili manualmente, motorizzati. Se necessita realizzare un accurato abbattimento acustico tra esterno e interno si ricorrere ai modelli isofonici.
La superficie apribile dell’infisso è ottenibile tramite la seguente formula: Sm = 0,0025 nV Σi (1 / √hi) in cui: n = numero dei ricambi orari dell’aria ambiente; V = volume del locale (m3); hi = dimensione verticale della superficie apribile dell’infisso i-esimo del locale (m).
FATTORE MEDIO DI LUCE DIURNA È il rapporto tra la luce riflessa all’interno dell’ambiente W/A (ove W è la superficie netta della specchiatura trasparente e A è la superficie laterale complessiva dell’ambiente) e l’illuminamento prodotto dall’intera volta celeste su una superficie orizzontale, nelle stesse condizioni di tempo e di luogo.
In ogni caso si dovrà rispettare il seguente valore:
Sm ≥ 1/8 Sf
dove Sm è la superficie apribile dell’infisso e Sf è la superficie lorda dell’ambiente.
MATERIALI PER SERRAMENTI I materiali indicati per realizzare i telai di un serramento sono fondamentalmente: • il legno; • il legno lamellare; • i metalli; • le materie plastiche.
TAB. F.1.26./11 CONFRONTO DI DATI TECNICI TRA MATERIALI DIVERSI USATI PER SERRAMENTI Coefficiente di conducibilità termica (W/m °C)
Coefficiente di dilatazione termica (10-5/°C)
21.000
58
12,5
Variazione dimensionale per 10°C e 2 m di lunghezza (mm) 0,25
7.000
200
24
0,48
60/80
1.000
0,14
6/7
0,14
30/90
1.800/2.800
0,16
70/80
1,60
Massa volumica (g/cm3)
Carico di rottura a flessione (MPa)
Modulo elastico (MPa)
Acciaio
7,9
300/500
Alluminio
2,7
150/300
Legno abete
0,6
PVC antiurto
1,5
Materiale
NOMENCLATURA La normativa usa una nomenclatura standardizzata per i subsistemi e i componenti che realizzano il serramento. ATTACCO ALLA STRUTTURA È composto da staffe e/o controtelai che trasmettono gli sforzi ai quali è sottoposto il
serramento (vento, peso proprio, carichi accidentali, manovre) ad altri elementi costruttivi (involucro, scheletro); le staffe e i controtelai provvedono inoltre ad adattare il serramento al vano. Il vano a sua volta può essere predisposto alla messa in opera del “sistema serramento”, composto da controtelaio, telaio fisso e mobile, soglie, eventuale cassonetto con avvolgibile e apparecchi di manovra.
FIG. F.1.26./2 NOMENCLATURA DEI COMPONENTI DEL SERRAMENTO LUCE NETTA
CASSONETTO GUARNIZIONE TELAIO FISSO: TRAVERSA SUPERIORE DEL TELAIO FISSO GIUNTO APRIBILE GUIDA DELL’AVVOLGIBILE DELL AVVOLGIBILE TASSELLO POGGIAVETRO GOCCIOLATOIO DELL’ANTA DELL ANTA TELAIO FISSO: traversa inferiore del telaio fisso SOGLIA
F 90
TELAIO MOBILE: MONTANTE DELL’ANTA DELL ANTA
GIUNTO FISSO TELAIO MOBILE: traversa superiore dell'anta
°
FERMAVETRO SPECCHIATURA TRASPARENTE O OPACA FERMAVETRO TELAIO MOBILE: traversa inferiore dell'anta PROFILO RACCOGLICONDENSA CONTROSOGLIA
GUARNIZIONE CERNIERA SGUINCIO O SGUANCIO
COMANDO SISTEMA DI CHIUSURA PROFILO RACCOGLICONDENSA
TELAIO MOBILE: MONTANTE DELL’ANTA DELL ANTA
CONTROTELAIO TELAIO FISSO: MONTANTE DEL TELAIO FISSO
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI SERRAMENTI ESTERNI
F.1. 26. A.ZIONI
TELAI FISSI E MOBILI Il telaio fisso può risolvere esso stesso l’attacco alla struttura, mediante staffe, ovvero può essere connesso al controtelaio; sopporta i movimenti del telaio mobile e oppone a questo adeguate battute. Il telaio mobile è l’elemento che supporta la specchiatura e che è chiamato a resistere alle sollecitazioni del vento; presenta sezioni configurate in modo da realizzare, con il telaio fisso, la tenuta agli agenti atmosferici. L’insieme deve poi sopportare le sollecitazioni dovute all’utenza. SPECCHIATURE Possono essere opache o trasparenti, di natura e caratteristiche diverse. Tra queste: il vetro, i prodotti della chimica organica, l’alabastro, il legno, i pannelli composti. Non devono alterarsi facilmente all’azione degli agenti atmosferici; in particolare devono resistere alle sollecitazioni del vento. Devono regolare gli scambi di calore, isolare dal rumore, essere sicure.
SCHERMATURE Sono chiamate a graduare l’illuminazione degli ambienti e a ridurre gli apporti di calore, nonché eventualmente a collaborare a evitare l’intrusione. Sono di natura e caratteristiche diverse; tra queste: le persiane, le tapparelle, gli scuri, le tende, i frangisole, le zanzariere. MOVIMENTAZIONE E MANOVRA Sono tutti quegli elementi che concorrono alla perfetta funzionalità del serramento; tra questi: le cerniere e i perni, le guide e i sistemi di movimento, le maniglie e i meccanismi di comando. GUARNIZIONI E SIGILLANTI Sono chiamati a migliorare la tenuta; devono resistere a trazione, deformarsi a compressione, rimanere elastici per il tempo preventivato, essere facilmente sostituibili. La scelta del sigillante e le modalità di stesura devono essere previste in fase progettuale, per garantirne l’esatta ubicazione e la possibilità di manutenzione.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
FIG. F.1.26./3 RIDUZIONE DEL FLUSSO LUMINOSO ENTRANTE IN RELAZIONE ALL’INGOMBRO DEL TELAIO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI, 16%
27%
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
45%
36%
FIG. F.1.26./4 TIPOLOGIA DELLE PRINCIPALI ARTICOLAZIONI
G.ANISTICA URB
1
4
3
2
5
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER
6
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
8
7
F.5. I D ARRE 9
10
13
Vanno scelte in funzione della tipologia edilizia e delle esigenze funzionali dei singoli ambienti, della praticabilità del vano e della manutenzione del serramento. La norma UNI 8370 propone per gli infissi esterni verticali una terminologia di riferimento basata sul tipo di movimento, sulla posizione dei vincoli, sul senso di apertura delle ante mobili.
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
12
11
14
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.
Apertura Apertura Apertura Apertura Apertura Apertura Apertura Apertura Apertura
all’inglese (verso l’esterno) alla francese (verso l’interno) oscillobattente basculante sali scendi fisarmonica girevole scorrevole a visiera esterna
10. 11. 12. 13. 14.
Apertura Apertura Apertura Apertura Apertura
a a a a a
visiera interna vasistas esterno vasistas interno bilico pantografo
In relazione al numero delle ante (partite) che si aprono, le finestre possono essere anche dette a una, due, ... partite.
6. F.1.2 MENTI SERRA I N ESTER
F 91
F.1. 26.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SERRAMENTI ESTERNI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
VETRI Il vetro è il prodotto del raffreddamento di un miscuglio omogeneo di minerali che, dopo essere stati portati alla fusione, passano allo stato rigido senza cristallizzare, ma assumendo una struttura molecolare disordinata e piuttosto instabile (stato amorfo). I costituenti principali del vetro sono: • la silice è il componente principale della miscela di base (sostanza vetrificante); è presente nella miscela per circa il 75%; • i solfati di sodio o potassio (ossidi alcalini) contribuiscono ad abbassare il punto di fusione del vetrificante (1100°C); sono presenti per il 10–15%; • i carbonati di calcio o di magnesio (ossidi alcalino terrosi), presenti per il 10–15%, hanno funzione stabilizzante. La sostituzione dell’ossido di sodio (feldspato) con ossidi di piombo e di potassio consente di ottenere il cristallo, ovvero una lastra di vetro particolarmente trasparente e brillante, mentre la sostituzione nella miscela di solfati di sodio (vetri sodico-calcici) con il solfato di potassio rende l’impasto più lavorabile e il vetro ancora più brillante (cristallo di Boemia). Con il termine cristallo vengono spesso indicati anche i vetri sodico-calcici, caratterizzati da alta resistenza, bassa fragilità e ottenuti per ricottura delle lastre. I prodotti vetrari si distinguono, sulla base dei processi di lavorazione subiti, in: • prodotti vetrari di base, che non presentano altre lavorazioni oltre quella di fabbricazione; • prodotti vetrari trasformati, che sono ottenuti grazie a ulteriori lavorazioni atte a migliorarne le prestazioni.
FIG. F.1.26./5 SOLLECITAZIONI E TENSIONI PER VETRO NORMALE E TEMPERATO
STRATO IN COMPRESSIONE
I prodotti vetrari di base si distinguono, in funzione della tecnologia di produzione, in: • vetri tirati; • vetri colati e laminati; • vetri float; • vetri profilati; • vetri pressati in stampi; • vetri temprati. I vetri tirati (UNI EN 572(1996)) sono realizzati facendo passare l’impasto attraverso una fenditura, realizzata su una lastra di materiale refrattario; l’impasto viene tirato (metodo di Fourcault) e successivamente sottoposto a ricottura (metodo Libbey-Owens). La ricottura consente di eliminare le tensioni interne che possono essere causate dal raffreddamento differenziato subito dalla lastra. I vetri colati e laminati (UNI EN 572) vengono realizzati mediante colatura diretta dell’impasto fuso tra i rulli laminatori. La diversa superficie dei rulli, liscia o a rilievo, consente di ottenere lastre di vetro lisce o stampate, su di una faccia o su entrambe, mentre la deposizione di una sottile pellicola di ossido metallico consente la colorazione superficiale della lastra. Anche questo procedimento produttivo prevede la ricottura della lastra. Con la stessa tecnica, ma senza la ricottura, si producono le lastre di vetro armate derivanti dalla laminazione di massa vetrosa fusa nella quale è stata introdotta una rete metallica. I vetri float (UNI EN 572) che prendono il nome anche di cristalli, sono ottenuti mediante colatura, in atmosfera inerte della massa vetrosa su un bagno di stagno fuso (to float = galleggiare). Il vetro si deposita sullo stagno secondo uno spessore naturale di 6 mm e viene poi sottoposto a una successiva ricottura e raffreddamento. È possibile produrre lastre di spessori compresi tra 2 e 19 mm, intervenendo nella fase di colatura con opportuni accorgimenti. Questo procedimento produttivo, attualmente il più impiegato, consente di ridurre al minimo le fessurazioni, grazie alle minori sollecitazioni subite dalle lastre. I vetri profilati (UNI EN 572) sono elementi traslucidi, caratterizzati dal caratteristico profilo a “U”. Ottenuti per trafilatura, hanno lunghezze fino a 4 m. I vetri profilati possono essere di tipo semplice o armato con sottili fili d’acciaio, disposti in lunghezza.
DIAGRAMMA DELLE TENSIONI
VETRO RICOTTO, SOTTOPOSTO A FLESSIONE
DIAGRAMMA DELLE TENSIONI
STRATO NEUTRO
COMPRESSIONE
FIG. a
STRATO IN TRAZIONE
STRATO IN COMPRESSIONE
PRODOTTI VETRARI DI BASE
VETRO RICOTTO, IN ASSENZA DI SOLLECITAZIONI
TRAZIONE
VETRO TEMPERATO, IN ASSENZA DI SOLLECITAZIONI
DIAGRAMMA DELLE TENSIONI
STRATO IN TRAZIONE
COMPRESSIONE
FIG. b
STRATO IN COMPRESSIONE
COMPRESSIONE
TRAZIONE
FORTE COMPRESSIONE
VETRO TEMPERATO, SOTTOPOSTO A FLESSIONE
LEGGERA TRAZIONE
DIAGRAMMA DELLE TENSIONI
COMPRESSIONE TRAZIONE
STRATO IN TRAZIONE
TAB. F.1.26./12 COMPORTAMENTO ACUSTICO DI ALCUNI TIPI DI VETRO TIPO DI VETRO
mm
MASSA (kg/mq)
Cristallo
3
Cristallo
4
10
27,5 dB
Cristallo
5
12,5
28,5 dB
Cristallo
6
15
30
dB
Cristallo
8
20
32
dB
4+4
20
32
dB
10
25
33
dB
11/12
27
37
dB
Doppia vetrata Cristallo Stratificato
7,5
INDICE ISO 26
dB
FIG. F.1.26./6 SCHEMATIZZAZIONE DELLA QUANTITÀ DI ENERGIA RAGGIANTE TRASMESSA IN FUNZIONE DEL TIPO DI CRISTALLO 3 3
4
4
1
1
2 1
5
6 2 3
4
4 1. ENERGIA RAGGIANTE 2. PORZIONE ASSORBITA DAL CRISTALLO DISSIPATA ALL ALL’INTERNO INTERNO (3) E ALL ALL’ESTERNO ESTERNO (4) 3. PORZIONE RIFLESSA ALL ALL’ESTERNO ESTERNO 4. PORZIONE RIFLESSA ALL ALL’INTERNO INTERNO
LASTRA DI CRISTALLO FLOAT NON SCHERMATO
F 92
2
4
3
2
CRISTALLO RIFLETTENTE
1. ENERGIA RAGGIANTE 2. PORZIONE ASSORBITA DAL CRISTALLO E DISSIPATA PARTE ALL’INTERNO ALL INTERNO E ALL’ESTERNO ALL ESTERNO 3. PORZIONE RIFLESSA DAL CRISTALLO 4. PORZIONE TRASMESSA ALL'INTERNO
2 3
CRISTALLO ASSORBENTE
1. ENERGIA RAGGIANTE 2. PORZIONE RIFLESSA ALL’ESTERNO ALL ESTERNO 3. PORZIONE DISSIPATA DAL CRISTALLO E CEDUTA ALL’ESTERNO ALL ESTERNO E ALL’INTERNO ALL INTERNO 4. PORZIONE TRASMESSA ALL’INTERNO ALL INTERNO
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI SERRAMENTI ESTERNI
F.1. 26. A.ZIONI
I vetri pressati in stampi, detti anche diffusori per la scarsa trasparenza, vengono realizzati per colatura in appositi stampi e successiva compressione, operata tramite punzoni, dell’impasto vetroso, che è in questo modo costretto ad assumere la forma dello stampo. Con tale procedimento è possibile ottenere diffusori sotto forma di blocchi cavi o a camera d’aria (UNI 9303), dal bordo rialzato. I vetri temprati: la tempra (UNI EN 12150, UNI 7697) è un processo termico il cui scopo è quello di indurre particolari tensioni sulla lastra di vetro per conferirle migliori caratteristiche di resistenza, soprattutto a flessione.
A tale processo è possibile sottoporre sia le lastre ottenute mediante procedimenti float che quelle colate. La lastra, tagliata a misura e dotata dei fori o tacche per l’eventuale montaggio, viene introdotta in forno (sospesa o trascinata su rulli) e bruscamente raffreddata da getti d’acqua. Il brusco raffreddamento induce sulle facce esterne tensioni, diverse da quelle presenti all’interno, di compressione che ne migliorano la resistenza. La lastra che ha subito la tempra, oltre a una migliore resistenza a flessione e allo shock termico, ha la caratteristica, una volta che ne sia provocata la rottura, di ridursi in frammenti minuti piuttosto che in schegge taglienti.
PRODOTTI VETRARI TRASFORMATI Sono ottenuti per successiva lavorazione operata sui prodotti vetrari di base al fine di migliorare le caratteristiche del vetro; tra questi si distinguono: • vetri riflettenti o vetri basso emissivi; • vetri camera; • vetri stratificati; • vetri cromogenici. I vetri riflettenti, grazie al trattamento superficiale subito, sono in grado di riflettere almeno in parte la radiazione solare incidente filtrando energia solare, a evitare che
questa sotto forma di luce o di calore, penetri all’interno dell’ambiente. Analogamente ai cristalli riflettenti i vetri basso-emissivi sono utilizzati per contenere le dispersioni termiche, mediante l’azione riflettente esplicata verso l’interno dell’ambiente. Il calore irraggiato dai corpi scaldanti (termosifoni, pannelli radianti) viene intercettato e riflesso all’interno dell’ambiente riscaldato. La superficie della lastra viene resa riflettente mediante il deposito di metalli e ossidi metallici per pirolisi (a caldo) o per polverizzazione (a temperatura ambiente); è possibile, inoltre rendere riflettenti o basso-emissivi i cristalli, mediante l’applicazione di pellicole sintetiche applicate sulle lastre anche successivamente alla loro posa in opera.
TAB. F.1.26./13 CARATTERISTICHE DI VETROCAMERA (6-15-6) CON GAS ARGON
ARGENTO
BLU
ORO VERDE
TL (%)
RL (%)
TE (%)
RE (%)
FS (%)
SC
K (W/mqK)
7/8
7
42
4
33
8
0,09
< 1,3
12/14
12
29
8
25
14
0,16
< 1,3
17/17
17
24
10
20
17
0,20
< 1,3
27/277
27
13
18
12
27
0,31
1,3
33/33
33
9
23
10
33
0,38
1,3
17/16
17
24
10
21
16
0,18
< 1,3
25/23
25
17
15
15
23
0,26
< 1,3
33/30
33
11
21
10
30
0,34
1,3
8/11
8
29
5
25
11
0,13
< 1,3
9/10
9
24
4
14
10
0,11
< 1,3
14/13
14
19
7
11
13
0,15
< 1,3
22/18
22
10
11
8
18
0,21
< 1,3
TL: Trasmissione luminosa (%). Flusso luminoso direttamente trasmesso attraverso il vetro. RL: Riflessione luminosa (%). Flusso luminoso riflesso direttamente dalla lastra verso l’esterno. TE: Trasmissione energetica (%). Flusso energetico direttamente trasmesso attraverso il vetro. RE: Riflessione energetica (%). Flusso energetico riflesso direttamente dalla lastra verso l’esterno. FS: Fattore solare (%). Il fattore solare è il rapporto tra l’energia solare entrante (somma dell’energia passata direttamente all’interno TE più quella assorbita dalle lastre e ritrasmessa all’interno per convezione e irraggiamento nello spettro dell’infrarosso lontano) e l’energia solare incidente. Valori calcolati (ISO 9050). SC: Shading coefficient. Il coefficiente shading è il rapporto tra l’energia solare totale e quella che passa attraverso la vetrata. K: Trasmittanza termica (W/mqK). Rappresenta la quantità di calore espressa in Watt che si trasmette attraverso un metro quadrato di superficie per ogni grado di differenza di temperatura tra l’interno e l’esterno. I valori nelle tabelle sono calcolati secondo ISO-OP 10292.
FIG. F.1.26./7 ALCUNE TIPOLOGIE DI VETROCAMERA ANTISFONDAMENTO
ANTISFONDAMENTO CON LATO ESTERNO RIFLETTENTE
FILM PLASTICO CRISTALLO RIFLETTENTE
CRISTALLO RIFLETTENTE
CRISTALLO FLOAT
CON ALLARME INSERITO CONDUTTORI ELETTRICI DA COLLEGARE A MICRORELE’ MICRORELE (12-14 V)
ARIA DISIDRATATA
CRISTALLO STRATIFICATO
CRISTALLO CRISTALLO
SALI DISIDRATANTI
DISTANZIATORE GUARNIZIONE DI TENUTA
ARIA DISIDRATATA
DISTANZIATORE SALI DISIDRATANTI
CRISTALLO TEMPRATO
GUARNIZIONE DI TENUTA
INTERCAPEDINE CON GAS DISIDRATATI (ARIA O ARGON)
VETRI CAMERA VETRO FLOAT CHIARO 3 mm INTERCAPEDINE CON GAS DISIDRATATI (ARIA O ARG ARGON) ON)
DISTANZIATORI
VETRO FLOAT CHIARO 3 mm PELLICOLA SOSPESA IN MATERIALE POLIMERICO (PET) CON COATING A BASSA EMISSIVIT EMISSIVITÀ INTERCAPEDINE CON GAS DISIDRATATI (ARIA O ARGON) DISTANZIATORI GUARNIZIONE A TENUTA
VETRO FLOAT CHIARO 3 mm
INTERCAPEDINE CON GAS DISIDRATATI (ARIA O ARGON) DISTANZIATORI
ELEMENTO SENSIBILE ALLA ROTTURA DELLA LASTRA
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
VETRO FLOAT CHIARO 3 mm PELLICOLA SOSPESA IN MATERIALE POLIMERICO (PET) CON COATING A BASSA EMISSIVITÀ EMISSIVIT INTERCAPEDINE CON GAS DISIDRATATI (ARIA O ARGON ) DISTANZIATORI GUARNIZIONE A TENUTA
➥
6. F.1.2 MENTI SERRA I N ESTER
F 93
F.1. 26.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SERRAMENTI ESTERNI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ VETRI ➦ PRODOTTI VETRARI TRASFORMATI Il vetro camera (UNI 10593) è un pannello caratterizzato da proprietà isolanti, sia termiche che acustiche. I pannelli sono ottenuti sigillando ermeticamente lungo il perimetro due o più lastre di vetro, in modo da lasciare tra esse un’intercapedine contenente aria secca o gas nobili (argon). Le lastre vengono distanziate mediante l’interposizione di un profilato in materiale plastico o metallico (distanziatore) contenente polveri disidratanti, mentre un’opportuna sigillatura perimetrale in materiale plastico impedisce lo scambio con l’ambiente esterno (tenuta). L’aria o il gas racchiuso nell’intercapedine, che determina le caratteristiche isolanti del pannello, è soggetto a variazioni di temperatura e di pressione, soprattutto in fase di trasporto e montaggio, che provocano sulle lastre una leggera flessione. Il pannello di vetro camera può, eventualmente, ospitare un sistema di oscuramento (tenda tipo veneziana) con orientamento a comando magnetico, oppure, qualora il pannello sia costituito da un cristallo
normale e da uno stratificato (antintrusione), un sistema di allarme sensibile alla rottura della lastra di cristallo più fragile. Il vetro stratificato (UNI EN ISO 12543, UNI EN 356, UNI EN 1063) è un pannello costituito dall’accoppiamento di più lastre di vetro, che sono unite su tutta la superficie mediante l’interposizione di un film plastico (0,3–0,5 mm) trasparente di polivinilbutirrale (PVB) o policarbonato. La presenza del film plastico conferisce al pannello una buona resistenza agli urti e allo sfondamento; inoltre, nel caso in cui l’urto ne determini la rottura, i frammenti rimarranno attaccati alla plastica senza disperdersi. Un’evoluzione dei vetri stratificati è costituita dai vetri cromogenici, pannelli in grado di variare a comando la propria opacità. Questi sono realizzati accoppiando due cristalli mediante due fogli di PVB con interposto uno speciale film a cristalli liquidi che in assenza di tensione elettrica è opaco, mentre la presenza di un
campo elettrico consente alla lastra il passaggio allo stato trasparente. L’intensità del campo elettrico può essere regolata mediante un interruttore, oppure da sistemi fotometrici. I vetri cromogenici sono dispositivi caratterizzati dalla possibilità di variare le proprie caratteristiche ottiche in risposta a stimoli esterni, quali la variazione di intensità della luce (fotocromici), l’applicazione di un campo elettrico (elettrocromici e a cristalli liquidi), variazione della temperatura (termocromici). Particolari proprietà chimico fisiche dei materiali utilizzati consentono a tali dispositivi di modificare il proprio comportamento da altamente trasmittente a parzialmente riflettente fino al totale assorbimento della radiazione luminosa. Tali dispositivi si distinguono in due categorie principali: non attivati elettricamente di cui fanno parte i dispositivi fotocromici e quelli termocromici, attivati elettricamente che comprendono i dispositivi elettrocromici e quelli a cristalli liquidi.
FIG. F.1.26./8 SCHEMA DI FUNZIONAMENTO DI UN VETRO CROMOGENICO CRISTALLI STRATIFICATI A TRASPARENZA VARIABILE VETRO STRATO DI ACCUMULO
FOGLIO DI PVB
FILM ELETTROCROMICO
FILM A CRISTALLI LIQUIDI ELETTROLITA
CONDUTTORE TRASPARENTE
FOGLIO DI PVB VETRO
CONDUTTORE TRASPARENTE
VETRO LUCE INCIDENTE
VETRO
LUCE INCIDENTE
TENSIONE
TENSIONE
SFERA DI POLIMERO CON CRISTALLI LIQUIDI LUCE TRASMESSA IN ASSENZA DI TENSIONE (ASPETTO TRASLUCIDO)
LUCE TRASMESSA SOTTO TENSIONE (ASPETTO TRASPARENTE)
SCHEMA DI FUNZIONAMENTO DI DISPOSITIVO A CRISTALLI LIQUIDI
E
E R LA SO
PELLICOLA PROTETTIVA
SOLE
R LA SO
STRATO SOLUZIONE ACQUOSA E POLIMERI
E N O ZI IA
AD R
E
N O ZI IA AD
R
SOLE
COMPOSIZIONE DI UN DISPOSITIVO ELETTROCROMICO
PELLICOLA PROTETTIVA
POLIMERI POLIMERI ACQUA ACQUA
PELLICOLA PROTETTIVA (1) Con bassa radiazione solare, lo strato contenente la soluzione acquosa polimerica rimane trasparente fino al raggiungimento della temperatura critica.
SCHEMA DI FUNZIONAMENTO DI DISPOSITIVO TERMOCROMICO
F 94
PELLICOLA PROTETTIVA (2) Al raggiungimento della temperatura critica, le molecole polimeriche tendono a concentrarsi cambiando il colore della lastra, che diviene bianca, cos così da riflettere la radiazione solare.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI SERRAMENTI ESTERNI
F.1. 26. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.26./9 POSA DI CRISTALLI STRATIFICATI
3-5
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
FOGLIO DI PVB
FOGLIO DI PVB
3-5
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
FLOAT FLOAT 3
3 MASTICE PLASTICO
MASTICE PLASTICO
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO TASSELLO IN NEOPRENE
15
TASSELLO IN NEOPRENE
15
4
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
4
G.ANISTICA URB
CRISTALLO DOPPIO STRATO
CRISTALLO A TRE STRATI RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
FIG. F.1.26./10 VETROCAMERA CON SERRANDA INTERNA
TAB. F.1.26./14 CARATTERISTICHE DI VETRI STRATIFICATI SPESSORE (mm)
dB (500 Hz)
DIMENSIONE MAX (cm)
PESO (Kg/mq)
6/7
32,5
321 x 240
15,5
8/9
34
260 x 400
20,5
10/11
36,5
260 x 400
25,5
10,5/11
36
260 x 400
26
11/12
36,5
260 x 400
27
19/21
40
260 x 400
45
18/19
39
260 x 400
46
19/20
39,5
260 x 400
47
26/27
42
–
66
27/29
42,5
–
67,5
29/30
42,5
–
68,5
28/30
43,5
240 x 260
68,5
29/31
43
–
70
36/38
44
–
91
39/40
44,5
–
93,5
38/40
45
240 x 260
68,5
39/41
44,5
–
93,5
50/52
46
–
120
6
12
27
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
25
16 SISTEMA DI COMANDO MAGNETICO
42
50 APPARECCHIO PER IL SOLLEVAMENTO E L’ORIENTAMENTO L ORIENTAMENTO DELLA TENDA
F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
LAMELLE ORIENTABILI LASTRE DI VETRO (SPESS. Ø MAX 6 mm) LASTRE DI VETRO (SPESS. Ø MAX 6 mm)
ARIA DISIDRATATA GUARNIZIONE SIGILLANTE
6. F.1.2 MENTI SERRA I N ESTER
F 95
F.1. 26.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SERRAMENTI ESTERNI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ VETRI VETRI RESISTENTI AL FUOCO L’elemento sotto l’azione del fuoco deve conservare per un tempo determinato: R: la stabilità; E: la tenuta alle fiamme, ai vapori e ai gas; I: l’isolamento termico.
FIG. F.1.26./11 COMPORTAMENTO DEI VETRI RESISTENTI AL FUOCO Temperatura °C
Curva tempo - temperatura BS 476-PART 8 (ISO 834)
1000 VETRI RESISTENTI AL FUOCO
Le modalità sono prescritte dal DM n.339 del dicembre 1983. Gli elementi resistenti al fuoco possono garantire la classe RE, ovvero la classe REI; il numero successivo (30’–60’–120’) indica la durata dell’attitudine comprovata. Alla classe RE rispondono bene i vetri retinati. I vetri tagliafuoco (REI) sono dei multistrato, assemblati interponendo, tra le lastre, speciali strati ignifughi i quali, sotto l’azione del fuoco, liberano vapore d’acqua e formano una schiuma isolante, refrattaria al fuoco. La schiuma crea una barriera alle fiamme, ai fumi e al calore. Particolare cura deve essere posta nel fissaggio del multistrato al telaio del serramento, ricordando che durante il funzionamento il multistrato tende ad aumentare di spessore e, pertanto, deve essere libero di dilatarsi. Altrettanta cura si richiede per la movimentazione e lo stoccaggio delle vetrate in cantiere.
900 800
Vetro ad elevata resistenza meccanica (RE) (rete trasparente in caso d’incendio) d incendio)
700 600
Vetro armato (RE)
500 400 Vetro speciale che si oppone al passaggio di fumo, fiamma e irraggiamento (REI) (diventa opaco in caso d’incendio) d incendio)
300 200 100
Tempo in minuti
0 0
10
20
30
40
50
60
70
80
PELLICOLE PER VETRI Sono in commercio pellicole in poliestere che possono essere applicate su vetrate al fine di: a) diminuire la luminosità interna degli ambienti; b) aumentare l’isolamento termico; c) garantire l’incolumità degli occupanti da eventuali rotture a scheggia della vetrata; d) abbattere la trasparenza verso l’interno (pellicole opache). La pellicola normalmente è predisposta all’incollaggio in fase di produzione con un adesivo trasparentissimo, protetto fino al momento della messa in opera, ovvero, può essere direttamente incollata in cantiere con adesivo acrilico. La pellicola e l’adesivo devono avere caratteristiche specifiche compatibili con il vetro (dilatazione termica, composizione chimica). La pellicola è costituita da strati di polietilene trattati e assemblati secondo le prestazioni richieste, ed è superficialmente protetta da una base di resine antigraffio. Tra le pellicole con caratteristiche specifiche, si ricordano le pellicole anticondensa (antiappannanti), lavorate con materiali che abbassano la tensione superficiale dell’acqua in modo da ‘diffondere’ in uno strato uniforme l’umidità senza creare zone opache (gocce).
TAB. F.1.26./15 CARATTERISTICHE DELLE PELLICOLE SU VETRO NORMALE (6 mm) Termoriflettenti
Oscuranti
Atermiche
Antisfondamento
Trasmittanza energia solare %
12÷25
40÷49
11÷63
12÷79
Riflettanza energia solare %
23÷48
7÷14
9÷46
10÷48
Assorbenza energia solare %
37÷55
44÷52
25÷55
11÷40
Trasmittanza luce visibile %
13÷31
11÷43
15÷66
15÷85
Trasmittanza ultravioletti %
0,4
0,4
0,4
0,4
Coefficiente schermatura %
0,24÷0,44
0,60÷0,70
0,26÷0,80
0,24÷1,93
62÷79
39÷48
30÷77
19÷79
Energia solare respinta %
FIG. F.1.26./12 TIPOLOGIE DI LASTRE DA IMPIEGARE PER LA REALIZZAZIONE DI ELEMENTI CURVI ARIA DISIDRATATA
SALE DISIDRATANTE
ARIA DISIDRATATA
DISTANZIATORE GUARNIZIONE DI TENUTA
3-19 mm
3-19 mm
FLOAT
TEMPERATO
SALE DISIDRATANTE S VETROCAMERA
H
FOGLIO DI PVB F
R SUPERFICI CURVE
BISTRATO
TRISTRATO
QUADRISTRATO
VETRI STRATIFICATI CON INTERPOSTO FOGLIO DI POLIVINILBUTIRRALE (PVB) INCOLLATO A CALDO IN AUTOCLAVE TIPOLOGIE DI LASTRE DA IMPIEGARE PER LA REALIZZAZIONE DI LASTRE CURVE
F 96
VETRO NORMALE O STRATIFICATO O ISOLANTE H – altezza max S – sviluppo max F – freccia max R – raggio minimo
2700 o 1900 1900 o 2700 850 50
VETRO TEMPERATO mm mm mm mm
H – altezza max S – sviluppo max F – freccia max R – raggio minimo
NORMALE O STRATIFICATO O ISOLANTE
TEMPERAMENTO
H-altezza max 2700 o 1900 mm S-sviluppo max 1900 o 2700 mm
H-altezza max 2200 mm S-sviluppo max 1200 mm
2200 1200 300 100
mm mm mm mm
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI SERRAMENTI ESTERNI
F.1. 26. A.ZIONI
CONTROTELAI Tra telaio fisso e vano murario, sede del serramento, può venire interposto il controtelaio. Il controtelaio, generalmente bloccato al muro mediante zanche, ha lo scopo di ammortizzare le imperfezioni presenti nel vano murario e di costituire un solido supporto per il fissaggio del telaio fisso. Generalmente il controtelaio è costituito da due montanti e un traverso; può essere in legno o in lamiera zincata profilata a freddo. Il serramento può essere posto in opera anche senza il controtelaio, murando direttamente il telaio fisso per mezzo di zanche o tasselli a espansione; in questo caso è necessario prevedere le opportune tolleranze per un montaggio a regola.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.26./13 CONTROTELAI
B.STAZIONI DILEGIZLII
CONTROTELAIO METALLICO PER SERRAMENTO SCORREVOLE CON GUIDA PER AVVOLGIBILE A SCOMPARSA: FASI DI MONTAGGIO
I ED PRE NISM ORGA
GUIDA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU 1.
2.
E.NTROLLO
3.
CO NTALE AMBIE
ZANCHE PER CONTROTELAI METALLICI SCATOLARI
CONTROTELAIO METALLICO
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
ELEMENTO DI CONTROVENTO PROVVISORIO
G.ANISTICA
CONTROTELAI IN LEGNO
URB ZANCHE MOBILI Si adattano meglio alla apparecchiatura costruttiva del vano
ZANCHE FISSE
CONTROTELAIO ESTENSIBILE
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC Sistemi istemi di controvento utilizzati per il trasporto dei controtelai; da eliminare dopo l’installazione l installazione
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER ZANCA
ZANCA ELEMENTO DI CONTROVENTO
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE
ZANCA
ZANCA
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER ZANCA
POSA DEL TELAIO FISSO SENZA CONTROTELAIO CONTROTELAI IN LEGNO CONTROTELAIO SPESSORI TELAIO FISSO VITE
MOSTRA ZANCA
TASSELLO COPRIVITE
MODALITÀ DI POSA DEL TELAIO FISSO SU CONTROTELAIO MODALIT
1) FISSAGGIO A MURO DEL CONTROTELAIO
2) FISSAGGIO DEL TELAIO FISSO AL CONTROTELAIO
3) POSA DELLE MOSTRE E DEI TASSELLI COPRIVITE
6. F.1.2 MENTI SERRA I N ESTER
F 97
F.1. 26.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SERRAMENTI ESTERNI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
SOGLIE E IMBOTTI FIG. F.1.26./14 SOGLIE
SOGLIA BATTENTATA DOPPIA PER INFISSI A CASSETTONE
SOGLIA IN LAMIERA DI FERRO ZINCATA
SOGLIA CON RISALTO METALLICO
SOGLIA DI LEGNO
SOGLIA PER PORTAFINESTRA
SOGLIA BATTENTATA A VASCHETTA
SOGLIA CON L’ALLOGGIAMENTO L ALLOGGIAMENTO DELLA GUIDA PER OSCURANTE SCORREVOLE
SOGLIA BATTENTATA SEMPLICE
SOGLIA IN LAMIERINO DI FERRO ZINCATO
CONTROSOGLIA INTERNA PER RACCOLTA ACQUE DI CONDENSA
SOGLIA CON RISALTO METALLICO E CONTROSOGLIA
SOGLIA BATTENTATA DOPPIA PER OSCURANTE A PERSIANA
SOGLIA UNICA
vano termosifone
SOGLIA MISTA LEGNO MATTONE
SOGLIA UNICA ESTERNA
SOGLIA PIANA CON PENDENZA REALIZZATA CON MALTA
mobile
SOGLIA E CONTROSOGLIA LIGNEA
SOGLIA E CONTROSOGLIA LIGNEA CON MOBILE
FIG. F.1.26./15 CONFIGURAZIONI DI IMBOTTI IN LATERIZIO VISTE DALL DALL’INTERNO INTERNO E DALL’ESTERNO DALL ESTERNO B)
C)
D)
PIANTE DEI RICORSI D)
A)
C) B)
A) A)
C)
TIPO 1
A) B) A)
B)
A) B) A)
D)
TIPO 1
TIPO 2 A) A) B) A)
A) B) A)
B)
TIPO 2
A)
B)
TIPO 3 TIPO 3 A) B) A)
A) B) A) B)
TIPO 4
F 98
TIPO 4
B)
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI SERRAMENTI ESTERNI
A.ZIONI
SERRAMENTI ESTERNI IN LEGNO Le essenze utilizzate per realizzare infissi possono essere sia tenere che dure, ma l’elemento deve essere privo di nodi, senza fenditure, ben stagionato, con una presenza d’acqua inferiore al 15%, deve essere stato posto a un procedimento di impregnazione ignifugo e antiparassitario. Sono utilizzati anche legni lamellari (realizzati con listelli stagionati artificialmente, di essenze diverse, e incollati) che permettono, rispetto ai prodotti tradizionali, migliori prestazioni meccaniche e una maggior resistenza agli agenti atmosferici. L’idoneità tecnica delle specie legnose per serramenti è descritta nella norma UNI 8938, mentre i procedimenti di impregnazione e di preservazione fanno capo alla norma UNI 8662/2. Per i tipi tecnologici che si usano nei serramenti (pannelli a base di legno, compensati, pannelli di fibre e particelle) esistono famiglie di norme apposite: sono rispettivamente le UNI 79.060, le 79.060.10, le 79.060.20. I diversi elementi costituenti i telai sono collegati tra loro attraverso incastri di tipologia diversa secondo il tipo di sollecitazione alla quale sono sottoposti. Per gli elementi che costituiscono il telaio fisso, non particolarmente sollecitato, l’incastro è a mascella.
Per gli elementi che costituiscono il telaio mobile, più sollecitato, è bene ricorrere a un incastro maschio-femmina con perni di giunzioni in metallo o nylon, da inserire in apposite cavità ricavate all’interno dell’elemento. Il telaio mobile e il telaio fisso possono essere complanari, oppure disporsi su piani paralleli. Nella scelta della ubicazione dei serramenti è opportuno accertarsi che le parti mobili non interferiscano tra loro, né con altri elementi. Nel disegno della battuta tra telaio mobile e traversa inferiore fissa possono essere previsti dei canali per eliminare l’acqua eventualmente infiltratasi. I sistemi di battuta possono essere a rasamento, a bietta a doppia o tripla battuta e possono avere geometria diversa: a spezzate perpendicolari, sghembe, a scozia o bocca di lupo. Il traverso inferiore del telaio mobile, che risulta il più esposto alle intemperie, è protetto da un profilo ligneo o metallico, chiamato gocciolatoio. Il gocciolatoio, oltre a proteggere il traverso dall’acqua battente, allontana l’acqua dalla battuta inferiore con un incastro a coda di rondine: la scanalatura che rompe la goccia deve avere sezione opportuna e deve sporgere rispetto alla traversa del telaio fisso, ovvero del risalto
9
della soglia per allontanare l’acqua in modo sicuro. Tra il telaio fisso e il telaio mobile si possono avere uno o più contatti o battute (che assicurano la tenuta all’acqua) e una o più camere d’aria o camere di decompressione, (che assicurano la tenuta al vento). Al telaio possono essere aggiunti dei profili di geometria opportuna (cartelle) atti a contenere e/o schermare le ferramenta. L’UNI ha codificato i profili delle intelaiature per finestre, balconi, persiane a ventola, persiane scorrevoli, cassonetti per avvolgibili. Il fissaggio del serramento al vano può avvenire direttamente, ovvero tramite controtelaio. Il controtelaio è fissato dal muratore al vano. Sul controtelaio il falegname avvita a secco il telaio fisso. Tra controtelaio e serramento deve essere prevista una tolleranza di 10 mm. L’impiego del controtelaio garantisce allineamenti e appiombi più precisi e la sostituzione del serramento senza arrecare danni al vano murario. Se non è presente il controtelaio, nel montaggio del telaio fisso deve essere garantito un perfetto posizionamento a piombo. Il vano murario deve presentare configurazioni adatte ad accogliere in modo opportuno il serramento, che può essere montato a filo esterno, a filo interno, in posizione
TAB. F.1.26./16 SERRAMENTI IN LEGNO
FIG. F.1.26./16 PROFILI IN LEGNO 65
51
45
RITIRO % ESSENZA
20
DUREZZA
45
45
9
36
15
9
45
30 11
58 65
19
65
45
26
15 12
45
30 48
9
54
12
30
70 71
10
80 62
30
20 15
8
47 45
17 25 17 35
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
Verniciati
Lucidati
Abete Douglas Pseudoisuga Douglas
tenero
0,1
2,6
5,3
•
Abete Rosso Picas Excelsa
tenerissimo
0,1
2,6
5,63
•
Castagno Castanes Saturs
medio duro
0,4
4,4
6,5
•
Cerro Quercus Cerris
duro
0,4
4,4
6,5
•
G.ANISTICA URB
54
19
65
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
ESTERNI
TanAssiale Radiale gente
65
25 11
F.1. 26.
14 70
335
61
55
10
14 35
45
30
15
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
Cipresso medio duro Cipressus Sempervirens
0,4
44
6,5
•
Farnia Quercus Peduncolata
duro
0,25
4,2
7,8
•
Larice Larix Europeae
tenero
0,25
4,2
7,8
•
Noce Juglans Regis
medio duro
0,2
5,4
10,5
Pino giallo (Pitch Pine) duro Pinus Silvestris
0,3
3
6
•
•
Pino silvestre Pinus Silvestris
medio duro
0,1
2,3
4,5
•
•
Pino Loricuto Pinus Leucodermis
medio duro
0,1
2,3
4,5
•
•
Rovere Quercus Sassilifloras
duro
0,3
2,6
6,1
•
•
Quercia Quercus Pubescens
duro
0,2
4,3
7
•
F.3. IONI IZ PART E N INTER
•
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
•
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
FIG. F.1.26./17 PROFILI IN LEGNO LAMELLARE 27
54 27
12
27
27
12
27
27
15
27
90
90 70
12
27
15
90
FERMAVETRO
15
15
15
17
22
22
27
➥ TELAIO FISSO
TELAIO MOBILE
TRAVERSO ROMPITRATTA
6. F.1.2 MENTI SERRA I N ESTER
TRAVERSO INFERIORE
F 99
F.1. 26.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SERRAMENTI ESTERNI
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
•
➦ SERRAMENTI ESTERNI IN LEGNO intermedia. Il vano murario, infine, può presentare una geometria tale da realizzare una battuta per il serramento (mazzetta o imbotte). Il giunto tra serramento e finitura a intonaco del perimetro del muro circostante può avvenire predisponendo dei canali nell’intonaco, fresando i canali nel telaio, oppure coprendo il giunto con un regolo. Nella parte inferiore del vano si colloca una soglia con la funzione di raccogliere e allontanare dal paramento sottostante l’acqua meteorica che ha dilavato il serramento. Il collegamento tra traversa inferiore e soglia può avvenire con soluzioni diverse. Nella soglia è ricavato un battente per posizionare la traversa inferiore e per impedire infiltrazioni. La soglia può essere unica o in due pezzi; può avere altre battute o risalti per gli oscuramenti. Il telaio mobile può prevedere due soluzioni per il montaggio del vetro: la battentatura, secondo la quale il vetro va a battere su un risalto dei profili; la scanalatura a infilare, secondo la quale il vetro è inserito in apposite guide scavate nei profili e non necessita quindi di apposito fermavetro. Con la battentatura il fissaggio del vetro può avvenire tramite chiodatura e stucco, o con idoneo profilo fermavetro. Sia nella soluzione con fermavetro che nella soluzione a infilare può essere prevista l’interposizione di guarnizioni o tasselli tra il vetro e il telaio mobile. I dispositivi di movimento riguardano la rotazione verticale e orizzontale e lo scorrimento. Le cerniere, che consentono le rotazioni su un asse verticale, possono essere a bietta, a rasare, a sedia. I perni, che consentono le rotazioni su un asse orizzontale sono a scatola semplici, a scatola con frizione. Esistono altre tipologie di meccanismi che permettono di ottenere minori ingombri nell’apertura ovvero permettono di ottenere tipologie particolari di aperture (a ventola, a bussola). I dispositivi di bloccaggio delle ante mobili sono: a cremonese, a leva, ad asta rigida a cremagliera; i comandi possono essere a leva o a manovella, eventualmente motorizzati. I dispositivi di apertura possono essere coadiuvati da compassi, contrappesi, fermi. I dispositivi di oscuramento possono essere interni o esterni. Tra quelli esterni vi sono le persiane e gli avvolgibili. Le persiane a loro volta sono caratterizzate dal loro movimento (a cerniera, scorrevoli). Per quelle a cerniera possono essere previste partiture più articolate, denominate a fisarmonica. Le articolazioni dei dispositivi possono interessare opere accessorie da prevedersi nelle zone perimetrali del vano (raccoglitori, comandi, tassellature per fissaggi). I serramenti sono sottoposti a una serie di prove per accertarne la qualità: a) planarità: viene verificata la complanarità dei vertici per garantire la tenuta delle battute e la manovrabilità; b) resistenza all’estrazione delle viti: si verifica la forza necessaria a sfilare alcune viti della serratura e della maniglia; c) resistenza alla fatica: la porta, aperta a 90°, caricata verticalmente sull’estremo dell’anta, viene sollecitata a cicli di deformazione orizzontali che non devono risultare permanenti; d) resistenza allo svergolamento: la maniglia della porta aperta a 90° è sollecitata da una forza orizzontale che la può deformare ma non in modo permanente; e) resistenza nel piano dell’anta: la porta aperta a 90° è sollecitata da una forza verticale sull’estremo senza deformazioni permanenti che ne pregiudichino la funzionalità; f) dimensioni e perpendicolarità: la verifica degli spessori e delle dimensioni assicurano un perfetto accostamento tra il telaio mobile e quello fisso.
FIG. F.1.26./18 INCASTRI
TELAIO FISSO – INCASTRO A MASCELLA GOCCIOLATOIO
TELAIO MOBILE – INCASTRO MASCHIO-FEMMINA
FIG. F.1.26./19 BATTUTE CENTRALI E LATERALI contatto
contatto
camera d’aria aria
cartella copriferramenta
camera d’aria aria
NODO CENTRALE DI CHIUSURA: A DOPPIA BATTUTA (tre contatti, due camere d d’aria) aria)
A BOCCA DI LUPO (tre contatti, due camere d d’aria) aria)
NODO LATERALE: A RASAMENTO
A BIETTA
cerniera
A TRIPLA BATTUTA (quattro contatti, tre camere d’aria) d aria)
camera d’aria aria
contatto mostra
La descrizione esatta delle prove e delle misurazioni sono contenute nel gruppo di norme UNI 91.060.50-30 “Prove su serramenti”.
NODI LATERALI NON COMPLANARI DUE CONTATTI E UNA CAMERA D’ARIA D ARIA
F 100
TRE CONTATTI E DUE CAMERE D’ARIA D ARIA
TRE CAMERE D’ARIA D ARIA E QUATTRO CONTATTI
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI SERRAMENTI ESTERNI
F.1. 26. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.26./20 CERNIERE
PIANA BIETTA
B.STAZIONI DILEGIZLII
ANELLO SOSTITUIBILE PER LA MANUTENZIONE
ANELLO SOSTITUIBILE PER LA MANUTENZIONE
I ED PRE NISM ORGA
GROSSEZZA
C.RCIZIO
SEDIA
D.GETTAZIONE
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM CERNIERA A BIETTA
CERNIERA A RASARE
G.ANISTICA
CERNIERA A SEDIA
URB
FIG. F.1.26./21 SOLUZIONI DI GIUNTO CON IL VANO MURARIO
SCURO
SCURO
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC MOSTRA CON MOSTRA
CON SCURO NELL’INTONACO NELL INTONACO
CON SCURO NEL TELAIO
F.3. IONI IZ PART E N INTER
FIG. F.1.26./22 SISTEMI DI CORRELAZIONE CON I VETRI
FERMAVETRO
MASTICE
MASTICE O GUARNIZIONE
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
15 mm
F.5. I D ARRE
CHIODO 15 mm
22 mm
22 mm POSA IN OPERA CON BATTUTA APERTA
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
POSA IN OPERA CON FERMAVETRO
POSA IN OPERA “A A INFILARE” INFILARE
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
SISTEMI DI CORRELAZIONI VETRI
FIG. F.1.26./24 GOCCIOLATOIO
FIG. F.1.26./23 POSA IN OPERA DEI TASSELLI
1) il gocciolatoio deve assicurare il distacco della goccia: per dimensione (1,5 x 1,5 cm) e per geometria (ad angolo retto);
1 2
3
2) il traverso inferiore del telaio mobile deve presentare la parte interna pi più alta rispetto a quella esterna per garantire la tenuta all’acqua; all acqua; 3) la goccia rotta deve essere allontanata dal traverso inferiore del telaio fisso e portata direttamente sulla soglia.
TASSELLO D’APPOGGIO D APPOGGIO O PERIFERICO POSA IN OPERA DEI TASSELLI
TASSELLO D D’APPOGGIO APPOGGIO E TASSELLO SPAZIATORE
GOCCIOLATOIO
6. F.1.2 MENTI SERRA I N ESTER
F 101
F.1. 26.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SERRAMENTI ESTERNI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ SERRAMENTI ESTERNI IN LEGNO FIG. F.1.26./25 SERRAMENTI A DUE ANTE CON NODO FISSO CENTRALE A BILICO, SCORREVOLI
SERRAMENTO A BILICO
MIN 15 mm
FERMO IN GOMMA
GOCCIOLATOIO IN LAMIERA
GUARNIZIONE SUL TELAIO FISSO
SERRAMENTO CON APERTURA A BATTENTE
F 102
SERRAMENTO CON APERTURA A SCORRERE
GUARNIZIONE SUL TELAIO MOBILE
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI SERRAMENTI ESTERNI
F.1. 26. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.26./26 SERRAMENTI A BATTENTE E SCORREVOLI SEZIONE VERTICALE
SEZIONE ORIZZONTALE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
5,5
6 INFISSO LEGNO
4
4
2
2
2 5,5
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
GUIDA AVVOLGIBILE
VETRO TERMICO
C.RCIZIO
POSIZIONI GUIDA AVVOLGIBILE 4 FINESTRE A BATTENTE
2
PULEGGE PER CONTRAPPESI
E.NTROLLO
GUIDA AVVOLGIBILE CON AGGANCIO AUTONOMO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
50
12
BINARIO SPORTELLO D’ISPEZIONE ISPEZIONE
4
FINESTRA SCORREVOLE VERTICALE
FISSAGGIO AL TELAIO MOBILE
TELAIO FISSO 15
VANO CONTRAPPESI
URB
GUIDE VERTICALI
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
34 TELAIO MOBILE 40
VETRO CAMERA GUIDE VERTICALI
SPORTELLO D’ISPEZIONE ISPEZIONE
G.ANISTICA
TELAIO FISSO
22 BINARIO PER FINESTRA SCORREVOLE ORIZZONTALE
SEZIONE VERTICALE
SEZIONE ORIZZONTALE
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
25
F.5. I D ARRE
GUIDA
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
5,5 PROFILO ELASTICO DI TENUTA FINESTRA A BINARIO SINGOLO
FINESTRA A BINARIO DOPPIO
FINESTRA SCORREVOLE ORIZZONTALE
6. F.1.2 MENTI SERRA I N ESTER
F 103
F.1. 26.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SERRAMENTI ESTERNI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ SERRAMENTI ESTERNI IN LEGNO GUARNIZIONI E ACCESSORI DI GIUNTO PER SERRAMENTI IN LEGNO La guarnizione viene inserita nel serramento per migliorarne (o ripristinarne) la funzionalità, in merito alla tenuta all’acqua, all’aria, al suono. Le guarnizioni sono realizzate con plastomeri o elastomeri e sono prodotte per estrusione. Le guarnizioni plastomeriche sono a base di polimeri termoplastici (PVC), additivati con mescole diverse per garantire doti di flessibilità. Possono essere coestruse con altri materiali, in modo da conferire ai diversi strati durezza diversa. Le guarnizioni elastomeriche sono a base di gomma. Offrono una buona resistenza alle intemperie e migliori livelli prestazionali sono assicurati da quelle di colore nero. A questa classe appartengono anche le guarnizioni in elastomero siliconico che garantiscono qualità meccaniche superiori, una migliore resistenza all’invec-
chiamento e possono essere diversamente colorate. La guarnizione deve garantire: a) la tenuta; b) la resistenza alla trazione; c) la perfetta resistenza alla deformazione.
b) del vano nel quale sarà alloggiata e delle relative modalità di montaggio e di manutenzione.
Queste qualità devono essere mantenute nel tempo, sotto l’azione delle intemperie, dei raggi ultravioletti, del gelo e del calore. La dilatazione termica che la guarnizione subisce deve essere compatibile con quella del materiale con il quale è realizzato il serramento. La sagoma della guarnizione è progettata in funzione: a) della sollecitazione alla quale sarà sottoposta in esercizio (sforzi di compressione, flessione, scorrimento);
Nei casi nei quali è richiesta continuità nel perimetro della guarnizione, essa può essere saldata o incollata, anche in cantiere, con appositi ausili che garantiscono la complanarità tra i diversi segmenti e l’esattezza dello squadro. Nell’operazione di montaggio la guarnizione va compressa nel vano, eventualmente con rollini o con macchine fornite dal produttore, senza sottoporla a stiramenti. Al fine di migliorare le prestazioni del serramento sono disponibili numerosi accessori in profilo di alluminio, da inserire in corrispondenza del traverso inferiore del telaio fisso. Tra le funzioni esplicate dagli accessori: allontanamento delle acque meteoriche, protezione della battuta inferiore e del traverso inferiore del telaio fisso.
FIG. F.1.26./27 ACCESSORI IN ALLUMINIO E GUARNIZIONI
3,2
5,5
22
26,5
11
14 23,5
3
12,8 16
31
9,5 19,5
32
15 4
37 8
4 38
4,8
35
25,2
4,8 2,5 6,8 4
4 9
35
35
12
6
7,8
6,4 4,2 18,5 20 21
3
16,5
8
5 15 20
25
SISTEMI DI ALLONTANAMENTO DELLE ACQUE METEORICHE TIPI DI FRESATURE NEI TELAI È possibile operare anche su serramenti già in opera con macchine opportune gi 7,5 10
Ø5
7
10,5 0,5
A 90° 90 NEL TELAIO FISSO
4,5
A 45° 45 NEL TELAIO FISSO
6,4
8
3
9
3,5
VETROCAMERA A 45° 45 NEL TELAIO MOBILE
GUARNIZIONI PER LE BATTUTE
F 104
VETROCAMERA A 90° 90 NEL TELAIO MOBILE GUARNIZIONI ED ELEMENTI DI BATTUTA ANCHE SU SERRAMENTI GIÀ GI IN OPERA
4,5 4 Dimensioni prescritte per la fresatura del telaio
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI SERRAMENTI ESTERNI
A.ZIONI
SERRAMENTI IN ACCIAIO L’acciaio segue le norme CNR-UNI 10011; accanto ai tipi ordinari sono utilizzati acciai speciali con caratteristiche particolari. Gli acciai vengono commercializzati in laminati a caldo: profilati, barre, larghi piatti, lamiere e tubi. I profilati sono sagomati a U, L, T, Z. I procedimenti di lavorazione dell’acciaio sono: fonderia, laminazione, fucinatura. Il primo prevede l’utilizzazione del getto, gli ultimi la lavorazione del lingotto a caldo o a freddo. Nel processo di laminazione a caldo il lingotto è preventivamente riscaldato a 1250°C, per renderlo plastico e deformabile, e poi viene fatto passare nelle macchine che lo sbozzano e lo lavorano nella configurazione desiderata. Dopo le lavorazioni al laminatoio, l’acciaio subisce alcune modificazioni fisiche, che possono richiedere ulteriori processi termici (ricottura tempra, rinvenimento, bonifica), per conferirgli le caratteristiche desiderate. I materiali con basso tenore di carbonio (0.22–0.27%) sono più facilmente saldabili. La saldabilità è assicurata dal fatto che la fusione non genera difetti nel materiale saldato e non produce indurimenti che potrebbero creare rotture fragili. La saldatura avviene ad arco elettrico. Il procedimento utilizza il calore dell’arco che scocca attraverso l’intervallo gassoso che separa l’elettrodo dal pezzo da saldare. La temperatura di 3000°C generata dall’arco fonde il pezzo da saldare e proietta su di esso le particelle fuse o gassificate dell’elettrodo, formando un deposito intimamente collegato al pezzo. L’elettrodo è protetto da ossidi metallici, da carbonati o silicio a evitare che le particelle fuse si disperdano nell’atmosfera, formando nel contempo una scoria galleggiante di protezione alla saldatura. Le caratteristiche dell’acciaio possono essere modificate da processi corrosivi: in particolare la corrosione elettrochimica provocata dagli agenti atmosferici. La presenza contemporanea nell’atmosfera di ossigeno e di acqua (vapore acqueo) crea, tra le diverse costituzioni superficiali dell’acciaio, una serie di micropile che portano alla formazione di ossido idrato di ferro, scarsamente adesivo alla superficie. Il fenomeno, accelerato in atmosfere aggressive, riduce lo spessore del materiale, peraltro non in modo omogeneo, provocando cavità pericolose. La resistenza alla corrosione varia con la composizione chimica dell’acciaio. I tipi con basso tenore di carbonio sono meno soggetti a fenomeni corrosivi; la presenza di rame, cromo, nichel nella lega crea una patina protettiva che protegge il materiale dai fenomeni elettrochimici aggressivi. I procedimenti per salvaguardare il materiale dalla corrosione possono essere: • passivi: con pitture che rivestono completamente il materiale in modo da isolarlo dall’aria e dall’acqua; • attivi: con rivestimento metallico di zinco che, con la sua alta conducibilità, consente, laddove si possa scoprire il ferro, la riformazione di ossidi di zinco protettivi. L’acciaio ha un notevole allungamento termico. A 550°C il materiale perde le sue caratteristiche meccaniche, senza preavviso, deformandosi; gli elementi metallici devono essere protetti dal fuoco con rivestimenti adatti.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
SERRAMENTI IN PROFILATI NORMALI Per realizzare serramenti si utilizzano profilati a caldo a L, a lati uguali o diseguali, a T, a Z. Questi profili, detti normali, vengono assemblati, fra di loro e con altri elementi funzionali, come zanche, ferma-
vetri, gocciolatoi, compassi, in modo da costituire sezioni addette a realizzare il serramento. L’assemblaggio avviene attraverso saldature (preferibilmente in officina) e viti.
FIG. F.1.26./28 PROFILI BASE
FIG. F.1.26./31 TIPOLOGIA A BATTENTE
PROFILI BASE
INT 5
5 5 35 5
35
20
35 30
30
18
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
GOCCIOLATOI 11
10 40
INT
35
PROFILO
LAMIERA PIEGATA
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
FIG. F.1.26./29 CORRELAZIONI CON IL VANO MURARIO
URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
INT
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER
INT
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC SEZIONE VERTICALE
F.5. I D ARRE TELAIO PORTANTE
VETRO
INT
PROFILO PORTANTE
VETRO
I ED PRE NISM ORGA
PRO TTURALE STRU
5 35
35
B.STAZIONI DILEGIZLII
D.GETTAZIONE
18
FIG. F.1.26./30 LUCERNARIO E SERRAMENTO CON APERTURA A VASISTAS STUCCO
F.1. 26.
TELAIO SECONDARIO
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
TASSELLO TASSELLO INCLINATO
TELAIO SECONDARIO
PARTICOLARE PER L’APPOGGIO L APPOGGIO DEI FERRI PER I VETRI DEI LUCERNARI
TELAIO FISSO INTERMEDIO
ELEMENTI DISCONTINUI FERMAVETRO
70 INT
35 SEZIONE VERTICALE TELAIO FISSO 30 x 30 STUCCO LUCERNARIO E INFISSO CON APERTURA A VASISTAS
PROFILO METALLICO
SISTEMI DI FERMAVETRO
SEZIONE ORIZZONTALE PARTICOLARE D’ANGOLO D ANGOLO
TELAIO FISSO INTERMEDIO
6. F.1.2 MENTI SERRA I N ESTER
F 105
F.1. 26.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SERRAMENTI ESTERNI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ SERRAMENTI IN ACCIAIO SERRAMENTI IN FERROFINESTRA Il profilo ferrofinestra deriva dalla possibilità di profilare a caldo sezioni più elaborate, idonee a configurare gli elementi del telaio senza ricorrere agli ingombranti assemblaggi necessari per i profili normali. Il profilato ferrofinestra è stato prodotto in poche serie dimensionali. La produzione del ferrofinestra è oggi molto limitata e finalizzata essenzialmente agli interventi di restauro.
FIG. F.1.26./33 PROFILI FERROFINESTRA
17,5
21,4
21,4
17,5 31,7
21,4 8
31,7 27 30
19,8
31,7
18,5 8,5 19,5 9,5
31,7
31,7 9 10
18,5 8,5 19,5 9,5
3,8 4
34 40
27,8
18,5 19,5
9,5
27
19,1 27,8
31,7
20
46,8
40,4 17,5
30,9
9,5
9,5
FIG. F.1.26./32 PORTA FINESTRA PORTA FINESTRA
24,4
21,4
4
12,5 33,5 34,5
42 45
24 25
33,5 34,5
33,5 34,5
34,5
FIG. F.1.26./34 CORRELAZIONI CON IL VANO MURARIO SEZIONI VERTICALI INT INT CON CASSONETTO INT
INT
VETRATA
INT
INT
SEZIONI ORIZZONTALI
INT
CON PANNELLO INFERIORE OPACO
SISTEMI DI FERMAVETRO
STUCCO CON IMBOTTE RIPORTATA
CON OSCURAMENTO
CON IMBOTTE MURARIA
FIG. F.1.26./35 A DUE ANTE E A LIBRO
INT
A DOPPIA ANTA PROFILO METALLICO
INT A LIBRO LEGNO
SERRAMENTI IN FERROFINESTRA CON BATTUTE INTEGRATE I serramenti realizzati in ferrofinestra presentano una serie di inconvenienti che sinteticamente possono essere riassunti nella tenuta precaria tra le battute, nella notevole elasticità dei telai, nello scarso isolamento termico. Per ovviare a parte di questi inconvenienti le ultime serie di profilati ferrofinestra, molto utilizzati nel restauro e nelle ristrutturazioni degli edifici dell’architettura moderna, prevedono l’integrazione dei profili con elementi in alluminio e guarnizioni che agevolano la funzionalità e migliorano la tenuta del serramento.
FIG. F.1.26./36 PROFILI BASE, ACCESSORI IN ALLUMINIO E GUARNIZIONI 4
28
30
35
25
25
28
20
45
4
27
19 3
30
42 65
17 45
15 22
19 23
3
32 45 18
48 45
10 27
33
4
20
20
F 106
45
18
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI SERRAMENTI ESTERNI
F.1. 26. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.26./37 BATTUTE E CORRELAZIONI CON IL VANO MURARIO 19
10
72
B.STAZIONI DILEGIZLII
4
4 19 25 VITE PER IL FISSAGGIO DEL FERMAVETRO
10
9
35
FERMAVETRO A SCATTO
C.RCIZIO
MASTICE
E ESE ESSIONAL PROF
47 60
ZANCA
D.GETTAZIONE
4 14
28
FERMAVETRO IN ALLUMINIO PER VETRO CAMERA
MASTICE SUPPORTO PER FERMAVETRO
36 GUARNIZIONE
I ED PRE NISM ORGA
PRO TTURALE STRU
28
SUPPORTO PER GUARNIZIONE
E.NTROLLO
33
CO NTALE AMBIE
FERMAVETRO
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB TELAIO FISSO
TELAIO MOBILE CONTROTELAIO IN PVC
100
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
PRESA D’ARIA ARIA
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ CHIUSURA FORO PER IL FISSAGGIO DEL CONTROTELAIO
GOCCIOLATOIO
F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
CONTROTELAIO IN PVC
TELAIO FISSO
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
SIGILLANTE STUCCATURA
FERMAVETRO PAVIMENTO
CONTROTELAIO IN PVC
DAVANZALE IN PVC
SCOSSALINA IN LAMIERA PIEGATA
MASTICE
SCOSSALINA METALLICA
6. F.1.2 MENTI SERRA I N ESTER
F 107
F.1. 26.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SERRAMENTI ESTERNI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
SERRAMENTI IN LAMIERA D’ACCIAIO Sono realizzati utilizzando nastri d’acciaio di spessore variabile tra 0,8 e 1,5 mm, piegati a freddo. La piegatura è effettuata da macchine a rulli. Il nastro è zincato; può essere preverniciato, oppure il profilo viene trattato successivamente con spruzzature elettrostatiche di polveri che ne determinano la finitura e il colore. I profilati sono tagliati e accoppiati configurando sezioni
tubolari di forme diverse; la chiusura del profilo è realizzata con la tecnica dell’aggrappaggio, per non rovinare la preverniciatura. L’assemblaggio del serramento avviene con squadrette e viti; tutti i fori che vengono effettuati sui tubolari devono essere sigillati, a evitare fenomeni corrosivi dovuti alla condensa. Con questi profili sono stati realizzati i cosiddetti blocchi
finestra, elementi costruttivi complessi preassemblati in officina, completi di cassonetto e di oscuramento, preverniciati; in cantiere è prevista solo l’operazione di montaggio. Attualmente sono in produzione profili a taglio termico che offrono migliori caratteristiche isolanti; il taglio termico è realizzato interrompendo la sezione del profilo e interponendo un materiale isolante.
FIG. F.1.26./38 SERRAMENTI IN LAMIERA (blocchi finestra) GUARNIZIONE
53 mm
GOCCIOLATOIO 9 mm
16 mm 47 mm
PROFILI FERMAVETRO
53 mm 90 mm
50 mm 71 mm
48 mm
50 mm
67 mm
51 mm 55 mm
VITE DI FISSAGGIO
49 mm
92 mm
71 mm 71 mm
52 mm
58 mm
71 mm
GUARNIZIONI
50 mm
CASSONETTO CON ISOLANTE
294 mm 334 mm 330 mm
328 mm
198 mm
50 mm 50 mm
70 mm
200 mm
CASSONETTO IN LAMIERA NON COIBENTATA
37 mm
26 mm
50 mm
28 mm
49 mm
20 mm
53 mm TAPPO VETRO A INFILARE FORO DI USCITA ACQUA
14 mm ACQUA DI CONDENSA 92 mm
FORO DI USCITA 15 mm ACQUA
67 mm
13 mm
SENZA VELETTA INTEGRATA TELAIO FISSO
F 108
53 mm
58 mm
MONTANTE INTERMEDIO
CON VELETTA METALLICA INTEGRATA AL MONOBLOCCO TELAIO FISSO
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI SERRAMENTI ESTERNI
F.1. 26. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.26./39 SERRAMENTI (finestra e portafinestra) A TAGLIO TERMICO A DOPPIA ANTA
B.STAZIONI DILEGIZLII
PROFILI BASE 71 mm
50 mm
I ED PRE NISM ORGA
20 mm
112 mm 115 mm
C.RCIZIO
70 mm
E ESE ESSIONAL PROF
36 mm 78 mm
104 mm
ISOLANTE RIGIDO
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
46 mm
46 mm
24 mm
RACCOGLI CONDENSA
GOCCIOLATOIO
E.NTROLLO
GUARNIZIONI DI TENUTA
PROFILO FERMAVETRO
CO NTALE AMBIE
CASSONETTO CON ISOLANTE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
328 mm
314 mm
332 mm
300 mm 273 mm
20 mm 36 mm 46 mm
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
70 mm
CASSONETTO
56 mm 14 mm
20 mm
92 mm
36 mm
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER
176 mm
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC GOCCIOLATOIO
GOCCIOLATOIO
112 12 mm 62 mm
24 mm
VASCA RACCOGLI CONDENSA
46 mm GOCCIOLATOIO 84 mm
112 mm
62 mm
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
20 mm
TELAIO FISSO
MONTANTE INTERMEDIO
TELAIO FISSO
6. F.1.2 MENTI SERRA I N ESTER
F 109
F.1. 26.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SERRAMENTI ESTERNI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
SERRAMENTI IN ALLUMINIO L’alluminio viene utilizzato legato con altri materiali in serie diverse: la serie 4000 ha un alto tenore di silicio ed è facilmente saldabile; la serie 5000, con alto tenore di magnesio ha buone caratteristiche meccaniche, con basso tenore di magnesio è facilmente laminabile; la serie 6000 ha basso tenore di silicio e di magnesio; resiste bene alla corrosione ed è facilmente estrudibile. I profili con i quali si realizzano i serramenti sono estrusi. La billetta di lega di alluminio viene preriscaldata a 500°C e spinta da una pressa (da 1200 a 10.000 t) verso una matrice sagomata denominata filiera; all’uscita da questa il profilato subisce un rapido raffreddamento che può rendere necessario un successivo processo di tempra. La velocità d’estrusione varia in funzione della complessità della sezione. Spesso si scompone la sezione in profili più semplici, da assemblare successivamente. La tenuta del “sistema serramento” deve essere assicurata:
• tra telaio fisso e vano murario; • tra telaio fisso e telaio mobile; • tra telaio mobile e vetro. Tra il telaio fisso e il vano murario, la tenuta è affidata all’assenza di discontinuità nel giunto e la finitura è risolta con profili coprigiunto. Tra telaio fisso e telaio mobile la tenuta è affidata ai sistemi di battuta che possono essere: • tenuta a battuta o perimetrale: è affidata alla pressione di contatto tra la guarnizione che viene inserita nel profilo del telaio mobile e il telaio fisso; può dare luogo a infiltrazioni di acqua e di aria; • tenuta a giunto aperto o a compensazione di pressione: è risolta da una camera interposta tra i profili nella quale la divisione tra interno ed esterno è affidata a una grande guarnizione che, in equilibrio tra pressione esterna e quella interna, offre una maggiore aderenza contro la relativa battuta.
Tra il telaio mobile e il vetro la tenuta è affidata ai sistemi usuali già descritti. Per migliorare l’isolamento termoacustico del profilo d’alluminio si usano: • profili a scudo termico; • profili a taglio termico; • profili misti. Profili a scudo termico: un elemento, in PVC o in metallo, con buone caratteristiche isolanti, è sistemato sulla faccia esterna del profilo e collegato a esso con supporti isolanti. Profili a taglio termico: la sezione del profilo è interrotta e tra le due parti è inserito un materiale isolante rigido che riduce la trasmissione del calore e la formazione di condensa all’interno dei tubolari. Profili misti: vengono accoppiati profili di materiali diversi, lasciando all’esterno quelli che meglio resistono agli agenti atmosferici e che necessitano di minor manutenzione.
FIG. F.1.26./40 SERRAMENTI AD ANTA SEMPLICE E A DOPPIA ANTA (finestra e portafinestra) 32
50
43 70,5
43
48 53 11 36
50
17 20
48
FINESTRA A UNA ANTA
25 20 74,5
18
15
11,5 1,5
85 PORTA FINESTRA A DUE ANTE A GIUNTO APERTO
43
17
43
20 48
49,5 47
43
53 48
19,5
20 15
F 110
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI SERRAMENTI ESTERNI
F.1. 26. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.26./41 SERRAMENTI AD ANTA A GHIGLIOTTINA E SCORREVOLI 60 mm
60 mm
24 mm 37 mm
48 mm
B.STAZIONI DILEGIZLII
19 mm PROFILO FERMAVETRO
48 mm
I ED PRE NISM ORGA
PROFILO GOCCIOLATOIO
25 mm 14 mm
C.RCIZIO
60 mm
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
TELAIO FISSO
SEZ. ORIZZONTALE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
TELAIO FISSO 71 mm
26 mm 16 mm
25 mm
17 mm
39 mm 25 mm
16 mm 30 mm
19 mm 24 mm
89 mm
SEZ. VERTICALE
G.ANISTICA URB
21 mm
72 mm TELAIO FISSO
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
CONTROTELAIO
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
GUARNIZIONE DI TENUTA
VETROCAMERA
MANIGLIA DI CHIUSURA
GUIDA DI SCORRIMENTO
DISPOSITIVO DI SCORRIMENTO
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
SEZ. ORIZZONTALE
103 mm 48 mm
21 mm 48 mm
23 mm
F.5. I D ARRE
75 mm 81 mm
TELAIO FISSO
36 mm 50 mm
43 mm
24 mm
F.3. IONI IZ PART E N INTER
41 mm
VETROCAMERA
42 mm
SEZ. VERTICALE
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
DISPOSITIVO DI BLOCCAGGIO
DISPOSITIVO DI SCORRIMENTO GUARNIZIONE DI TENUTA
GUARNIZIONE DI FISSAGGIO DEL VETRO
GUIDA DI SCORRIMENTO
SEZ. ORIZZONTALE
SEZ. VERTICALE
6. F.1.2 MENTI SERRA I N ESTER
F 111
F.1. 26.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SERRAMENTI ESTERNI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ SERRAMENTI IN ALLUMINIO FIG. F.1.26./42 SERRAMENTI IN ALLUMINIO CON CAMERA DI COMPENSAZIONE
FINESTRA A BILICO ORIZZONTALE
43
43
50
MONOBLOCCO FINESTRA A DUE ANTE 32
48
57,5 90,5
53
18 16 20
47
100
36 57
48
17
43
28 20 100
F 112
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI SERRAMENTI ESTERNI
A.ZIONI
SERRAMENTI ESTERNI IN MATERIALI MISTI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.26./43 PROFILI A SCUDO TERMICO E A TAGLIO TERMICO (sezioni orizzontali) A SCUDO TERMICO
F.1. 26.
A TAGLIO TERMICO
A TAGLIO TERMICO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
SILICONE PROFILO IN PVC
CAMERA SILICONE
ELEMENTO RIGIDO ISOLANTE
ELEMENTO RIGIDO ISOLANTE
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
FIG. F.1.26./44 PROFILI MISTI
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM LEGNO
ALLUMINIO
PVC
CAMERA
CAMERA
ALLUMINIO
ALLUMINIO
ALLUMINIO
G.ANISTICA URB
LEGNO PVC
SEZIONI VERTICALI
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
VITI CON TESTA PREDISPOSTA PER L’APPLICAZIONE APPLICAZIONE A SCATTO
F.3. IONI IZ PART E N INTER
CAMERA CAMERA
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
ELEMENTO RIGIDO DI CORRELAZIONE
F.5. I D ARRE
25 cm
SEZIONI ORIZZONTALI
25 cm
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
25 cm
CAMERA CAMERA
➥
6. F.1.2 MENTI SERRA I N ESTER
F 113
F.1. 26.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SERRAMENTI ESTERNI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
SERRAMENTI IN PVC Il polivinilcloruro (PVC) è un polimero del cloruro di vinile prodotto di sintesi dell’etilene, derivato del petrolio, e del cloruro sodico. È un materiale non soggetto a fenomeni di corrosione, ma è poco resistente agli urti (modulo elastico pari a 22.500 kg/cmq), ha un alto valore di dilatazione termica (5 x 10-5 cm/°C), si degrada facilmente sotto l’azione della luce a causa di fenomeni di deidroclorurazione, favoriti dall’umidità. Quest’ultimo fenomeno è favorito dalle colorazioni scure del prodotto. Il PVC è un materiale autoestinguente, ma produce una notevole densità di fumi (530 Dm con-
tro i 160 Dm del legno secondo la norma DBS). A tutte queste caratteristiche non ottimali si ovvia con additivazioni ancora allo studio. Il profilo in PVC è prodotto per estrusione a caldo. Il materiale, preventivamente rammollito, è spinto da una vite senza fine verso la testata di estrusione (filiera); dalla filiera passa a un dispositivo di calibratura, al raffreddamento e al taglio. La colorazione del prodotto può essere data in pasta o per coestrusione, ovvero successivamente a caldo o a freddo. Quest’ultimo metodo può consistere nella semplice verniciatura o nell’applicazione di sottilissime pellicole di
FIG. F.1.26./45 PROFILI BASE
PVC (200 micron), a loro volta protette da film di polimetilmetacrilato (PMMA), o ancora nel procedimento di impiallacciatura vera e propria dell’essenza desiderata. Per ovviare alla forte dilatazione termica del materiale, per migliorarne le qualità meccaniche e per facilitare l’applicazione di accessori e dispositivi, nel profilato di PVC vengono inseriti profili di acciaio zincato o di alluminio fissati, per renderli perfettamente solidali, ogni 250 mm. Per la posa in opera deve essere prestata la massima attenzione al sistema di giunto, in funzione della dilatazione termica calcolata.
FIG. F.1.26./47 INTEGRAZIONE SU SERRAMENTI GIÀ ESISTENTI
FOGLIO D’ACCIAIO D ACCIAIO ZINCATO Da inserire nei profilati in pvc per irrigidimento
5,5
PROFILI BASE IN PVC
FIG. F.1.26./46 CORRELAZIONI CON IL VANO MURARIO E NODI TIPO
6,5
TAB. F.1.26./17 REQUISITI DI QUALITÀ DEL PVC RIGIDO PER PROFILATI (norma UNI 8648) TIPO 360 A TIPO 360 B VALORE LIMITE
N. di CARATTERISTICA ordine
GIUNTO ELASTICO
GIUNTO ELASTICO
1
Temperatura di rammollimento
80°C
75°C
2
Prova di trazione: carico unitario di snervamento allungamento a rottura
44 MPa 120%
39 MPa 150%
3
Modulo di elasticità a flessione
3.000 MPa
2.250 MPa
4
Resistenza a trazione per urto: a 23°C a 0°C
600 kj/m2 400 kj/m2
700 kj/m2 500 kj/m2
Resistenza a flessione per urto: a 0°C a -10°C
massimo 1 rottura –
– massimo 1 rottura su 10 provette
CON CONTROTELAIO A FILO
5
COPRIFILO
6
Contrazione a caldo
7
Variazione di aspetto a caldo
2%
COPRIFILO SENZA CONTROTELAIO
10
UNI EN ISO 178, velocità 2 mm/min UNI EN ISO 8256
UNI 8649 punto 9.2 e punto 4.8
UNI 8649 punto 9.4 e UNI 5317 punto 4.1 UNI EN ISO 8256 prog. UNIPLAST 453
Stabilità delle tinte
Permanenza di tinte non minore del grado 3 UNI EN ISO 4892 scala di grigi dopo F Gj/m2 di irraggiamento punti 5.1.2 e 5.1.3 (corrispondente a circa n.7/3 lana blu) con lampada allo xeno o all’arco di carbone con spruzzo d’acqua
Resistenza della saldatura
La rottura non deve avvenire, per oltre i 2/3 UNI 8649 punto 9.3 della sua area, nel piano di saldatura
75/90 CON CONTROTELAIO E MAZZETTA
UNI EN ISO 1163-2
UNI 8649 punto 4.6
Assenza di fessurazione e bolle, permanenza tinta grado 3 scala grigi b) resistenza a trazione Media di 10 provette 250 kj/m2 Singola provetta 120 kj/m2 per urto a 23°C c) misura della deidroclorurazione Da concordare tra le parti
9 75 / 90
UNI EN ISO 306
Assenza di bolle, delaminazioni, fessurazioni UNI 8649 punto 4.5.3
Durabilità: a) aspetto 8
METODO DI PROVA
75/90
75/90
NODI INFERIORI EST EST.
INT INT.
EST. EST
INT. INT
EST. EST PROFILO METALLICO
PROFILO IN ACCIAIO ZINCATO
F 114
PROFILO METALLICO
PROFILO METALLICO
INT. INT
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI SERRAMENTI ESTERNI
A.ZIONI
DISPOSITIVI DI OSCURAMENTO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.26./48 OSCURAMENTI A PERSIANA SERRAMENTI ESTERNI IN LEGNO – OSCURAMENTI A PERSIANA 12
10
75
75
10
45 15
40
B.STAZIONI DILEGIZLII
10
15 83
45
15
15
CUSCINETTO
15 85
PERNO DI ROTAZIONE
15 95
I ED PRE NISM ORGA
SCURO INTERNO
85 33 45
33 45
10
75
10
45
15 12
15
15
15
33
E.NTROLLO
15 73
12 4
45
21
CO NTALE AMBIE
10
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
25
25 50
55
18
55
45 22
25 105
4
22
10
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
95 95
C.RCIZIO
D.GETTAZIONE
95
15
11
F.1. 26.
G.ANISTICA
21
URB GUIDA
160
4 13
25 45
10
GUIDA
16
FERMO
45
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
PERSIANA SCORREVOLE A SCOMPARSA 22 245
33 45
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
45
PERSIANA CON CERNIERA SU TELAIO DOPPIO
F.3. IONI IZ PART E N INTER
PERSIANA
SCURO
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE
DISPOSITIVO DI BLOCCAGGIO
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER PERSIANA CON CERNIERA SENZA TELAIO
DISPOSITIVO DI BLOCCAGGIO DELLA PERSIANA APERTA PERSIANA
OSCURAMENTO CON PERSIANA E SCURO INTERNO
6. F.1.2 MENTI SERRA I N ESTER
F 115
F.1. 26.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SERRAMENTI ESTERNI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ DISPOSITIVI DI OSCURAMENTO FIG. F.1.26./49 OSCURAMENTI A SERRANDA
RACCOGLITORE PER AVVOLGIBILE AVVOLGIBILE
RACCOGLITORE PER AVVOLGIBILE VELETTA IN CLS RETINATO RACCOGLITORE CINGHIA VELETTA IN CARTONGESSO
MASSIMO INGOMBRO AVVOLGIBILE GUIDA PER AVVOLGIBILE VVOLGIBILE
CIELINO
GUIDA PER AVVOLGIBILE
CIELINO
SOLUZIONE DI VELETTA CON TAVELLA ARMATA
VELETTA IN CLS RETINATO CIELINO
GUIDA PER AVVOLGIBILE
CINGHIA
GUIDA PER AVVOLGIBILE
RACCOGLITORE PER CINGHIA
CINGHIA
AVVOLGIBILE RACCOGLITORE PER CINGHIA
DISPOSITIVO DI BLOCCAGGIO
DISPOSITIVO DI BLOCCAGGIO
RACCOGLITORI PER CINGHIA
OSCURAMENTO CON AVVOLGIBILE RACCOGLITORE PER CINGHIA
NASTRO TESSILE
NASTRO TESSILE DA AGGANCIARE AL RULLO 3
3
4 cm
CIELINO
DISPOSITIVO DI BLOCCAGGIO
CINGHIA
MAX INGOMBRO AVVOLGIBILE
4,5
365 cm
RACCOGLITORI PER CINGHIA
ARMATURA
290, 260, 220
30
32
22 FRONTALE IN FIBRA DI LEGNO E CEMENTO (5 mm)
F 116
4,5
1,5
GANCIO METALLICO
DISPOSITIVO DI BLOCCAGGIO
3
5,5
NASTRO TESSILE DA AGGANCIARE AL RULLO
APPARECCHIO A SPORGERE
4 2 4
POLIURETANO ESPANSO
18 25
PROFILI IN ALLUMINIO 315, 250, 190
CASSONETTO ISOLANTE
GUIDE PER CIELINO 25
TESTATA PORTARULLO IN PVC O LEGNO
FORO PER CINGHIA
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI SERRAMENTI ESTERNI
F.1. 26. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.26./50 OSCURAMENTI A SERRANDA IN PVC ESTERNO
RULLO
B.STAZIONI DILEGIZLII
ISOLANTE TERMICO
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
CASSONETTO DIETRO LA VELETTA
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO H
H
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
TELAIO FISSO SPORTELLO PER MANUTENZIONE
G.ANISTICA URB
CASSONETTO SENZA LA VELETTA AVVOLGIBILE IN PVC
CASSONETTO IN PVC
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
PERSIANA REGOLABILE IN PVC
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
H
F.3. IONI IZ PART E N INTER
67
H
PROFILI TERMINALI DI FERRO ZINCATO
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC Ø RULLO 15,5 cm H MAX 280 cm
Ø RULLO 13,5 cm H MAX 280 cm
Ø RULLO 21 cm H MAX 280 cm
Ø RULLO 25 cm H MAX 280 cm
Ø RULLO 25 cm H MAX 280 cm
Ø RULLO 28,5 cm H MAX 280 cm
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
PROFILI STANDARD IN PVC PVC METALLO
PVC
ALLUMINIO
ALLUMINIO
PVC
PROFILI MISTI
ALLUMINIO
METALLO
PVC
PVC
6. F.1.2 MENTI SERRA I N ESTER
F 117
F.1. 26.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SERRAMENTI ESTERNI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
LUCERNARI FIG. F.1.26./51 FINESTRA SU TETTO VENTILATO IN LATEROCEMENTO E CON TEGOLE IN CEMENTO RACCORDO PER PARTE SUPERIORE MEMBRANA BITUMINOSA
m 50 m
60-1
SUPPORTINO PER TEGOLA min. m 15 m
PARTE INFERIORE RACCORDO EDW con grembialina in piombo
60-80
mm
MEMBRANA BITUMINOSA
SEZ. A-A
MEMBRANA BITUMINOSA
RACCORDO LATERALE
RACCORDO LATERALE
STAFFE DI FISSAGGIO
A B
B
A
PIANTA
SEZ. B-B
FIG. F.1.26./52 GEOMETRIE PER CUPOLE E BASAMENTI PREFABBRICATI
L H
EVENTUALE SCOSSALINA RACCOGLICONDENSA
L
L
ALCUNI TIPI DI GEOMETRIE DELLA PRODUZIONE CORRENTE DI CUPOLE (67 cm < L < oltre 2 m m)
F 118
BASAMENTI
FINESTRA SU TETTO VENTILATO IN LATEROCEMENTO E CON TEGOLE IN CEMENTO
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI SERRAMENTI ESTERNI
F.1. 26. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.26./53 TIPOLOGIE DI FINESTRE A TETTO E DI LUCERNARI
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO A VISIERA
BILICO ORIZZONTALE
CO NTALE AMBIE
FISSA A VISIERA
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC A CAPANNA APRIBILE
A VOLTINA
A CUPOLINA
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER
FIG. F.1.26./54 LUCERNARI DI TIPO CONTINUO FISSI E APRIBILI
GIUNTO PLASTICO ESPANSOLENE GRIGIO GIUNTO PLASTICO ESPANSOLENE GRIGIO
VITE DI FISSAGGIO
VITE DI FISSAGGIO
PARETE INTERNA PARETE ESTERNA
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE
GIUNTO SIGILLANTE BIADESIVO MORSETTO
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
VITE GIUNTO PLASTICO ESPANSOLENE GRIGIO
MORSETTO VITE
RONDELLA ACCIAIO INOX SERRAMENTO
RONDELLA ACCIAIO INOX
VITE DI FISSAGGIO IMPERMEABILIZZAZIONE
IMPERMEABILIZZAZIONE TASSELLO CON RONDELLA INCORPORATA
PARETE ESTERNA
GUARNIZIONE DI TENUTA
GUARNIZIONE DI TENUTA
GIUNTO SIGILLANTE BIADESIVO
PARETE INTERNA
BASE PREFABBRICATA
TASSELLO CON RONDELLA INCORPORATA BASE PREFABBRICATA
INTONACO
INTONACO
STRUTTURA D’IMPOSTA IMPOSTA
STRUTTURA D’IMPOSTA IMPOSTA
SOLUZIONE CON LUCERNARIO FISSO SU BASE PREFABBRICATA
SOLUZIONE CON LUCERNARIO APRIBILE SU BASE PREFABBRICATA
6. F.1.2 MENTI SERRA I N ESTER
F 119
F.1. 26.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SERRAMENTI ESTERNI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ LUCERNARI FIG. F.1.26./55 LUCERNARIO SU BASE IN OPERA
FIG. F.1.26./56 LUCERNARIO SU COPERTURA CALPESTABILE PARETE INTERNA PARETE ESTERNA
GIUNTO PLASTICO ESPANSOLENE GRIGIO PARETE ESTERNA
VITE DI FISSAGGIO
GIUNTO PLASTICO ESPANSOLENE GRIGIO
GUARNIZIONE DI TENUTA VITE DI FISSAGGIO
GIUNTO SIGILLANTE BIADESIVO
PARETE INTERNA
MORSETTO
GUARNIZIONE DI TENUTA GIUNTO SIGILLANTE BIADESIVO MORSETTO
VITE
VITE
RONDELLA ACCIAIO INOX
RONDELLA ACCIAIO INOX
TASSELLO
TASSELLO PAVIMENTO
IMPERMEABILIZZAZIONE
COLLO RETINATO IN CLS GIUNTO
MALTA IMPERMEABILIZZAZIONE
INTONACO
PENDENZA ISOLANTE STRUTTURA D’IMPOSTA FISSAGGIO CUPOLA MONOBLOCCO SU MURETTO IN CALCESTRUZZO
FIG. F.1.26./57 LUCERNARI: DISPOSITIVI DI APERTURA
DISPOSITIVO DI APERTURA ELETTRICA, IN PROFILATO DI ALLUMINIO L'apertura pu può essere semplice o tandem.
DISPOSITIVO DI APERTURA MANUALE IN PROFILATO DI ALLUMINIO. L'apertura può pu essere semplice o tandem.
FIG. F.1.26./58 LUCERNARI: CARATTERISTICHE DIMENSIONALI M 180
T 90
C
30 7.5
7.5 A B
TAB. F.1.26./18 CARATTERISTICHE DIMENSIONALI DELLA PRODUZIONE CORRENTE A cm
50
65
85
95
100
105
110
120
125
135
140
150
160
175
220*
B cm
65
80
100
110
115
120
125
135
140
150
155
165
175
190
235*
C cm
72
87
107
117
122
127
132
142
147
157
162
172
182
197
242*
T cm
90
90
90
90
90
90
90
90
90
90
90
90
90
90
60*
M cm
180
180
180
180
180
180
180
180
180
180
180
180
180
180
125*
(*) Interasse delle costolature a cm 25
F 120
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI FACCIATE CONTINUE E STRUTTURALI
F.1. 27. A.ZIONI
FACCIATE CONTINUE Sono chiusure verticali non portanti, utilizzate per tamponature leggere (sottili), appese allo scheletro portante in modo da essere sollecitate a solo sforzo di trazione, evitando così fenomeni di instabilità. Le modalità di intelaiatura e di correlazione sono diverse. Il telaio portante della facciata è visibile all’esterno. Le specchiature possono essere opache o trasparenti. Spesso le specchiature opache sono finite all’esterno dallo stesso vetro che delimita la parte trasparente, in modo da dare un effetto di continuità all’involucro.
Gli elementi della facciata sono sollecitati essenzialmente dal peso proprio e dal vento; non trascurabili sono gli effetti delle dilatazioni termiche sulla continuità dell’involucro che si risolvono con correlazioni che consentano al sistema i movimenti relativi all’assorbimento delle stesse. La manutenzione è possibile solo dall’esterno, con ponti sospesi che corrono su binari a livello delle coperture. Le normative da seguire sono le stesse vigenti per i serramenti e i materiali costituenti.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
FIG. F.1.27./1 DETTAGLI DEI NODI E CORRELAZIONI CON L’APPARECCHIATURA COSTRUTTIVA (correlazioni verticali)
E ESE ESSIONAL PROF
VETROCAMERA
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU MATERIALE ISOLANTE
PAVIMENTO
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
PANNELLO OPACO PROFILO PER ANCORAGGIO
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
139 mm GIUNTO MECCANICO 66 mm
G.ANISTICA URB
TRAVE JOIST
PROFILO PORTANTE
114 mm
VETROCAMERA
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
32 mm
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ PROFILO PORTANTE
CONTROSOFFITTO 52 mm
F.3. IONI IZ PART E N INTER
VETROCAMERA
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
GOCCIOLATOIO
F.5. I D ARRE 67 mm
MATERIALE ISOLANTE
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
93 mm
PANNELLO OPACO
PROFILO PER ANCORAGGIO
VETROCAMERA
129 mm 75 mm
240 mm
MATERIALE ISOLANTE DAVANZALE
SOLAIO
6. F.1.2 MENTI SERRA I N ESTER 7. INUE F.1.2 TE CONT IA FACC TTURALI U E STR
F 121
F.1. 27.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE FACCIATE CONTINUE E STRUTTURALI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ FACCIATE CONTINUE FIG. F.1.27./2 DETTAGLI DEI NODI E CORRELAZIONI CON L’APPARECCHIATURA COSTRUTTIVA (correlazioni orizzontali) PILASTRO
SOLAIO
PROFILO DI ANCORAGGIO
RACCORDO CON TOLLERANZE DI MONTAGGIO
77 mm
PANNELLO TRASPARENTE
PANNELLO ISOLANTE 81 mm
349 mm TAGLIO TERMICO
CORRELAZIONE CON TOLLERANZA DEL GIUNTO
500 mm PANNELLO OPACO VETRO CAMERA
LAMIERE DI CORRELAZIONE MONTANTE TUBOLARE PORTANTE
TUBOLARE PORTANTE SIGILLATURE ELASTICHE
CORRELAZIONE CON LAMIERE
SCHEMA AGGREGATIVO
LAMIERE DI CORRELAZIONE
CORRELAZIONE CON PEZZO SPECIALE PANNELLO TRASPARENTE IN VETROCAMERA 105 mm
PANNELLO OPACO
PEZZO SPECIALE
83 mm MONTANTE
ELEMENTO TUBOLARE PORTANTE
100 mm
FILO SOLAIO
F 122
SCHEMA AGGREGATIVO
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI FACCIATE CONTINUE E STRUTTURALI
F.1. 27. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.27./3 OSCURAMENTI SOLAIO
B.STAZIONI DILEGIZLII
140 mm
I ED PRE NISM ORGA
GIUNTO MECCANICO
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
290 mm
ISOLANTE PROFILO DI ANCORAGGIO
125 mm
58 mm
PANNELLO OPACO 64 mm
CO NTALE AMBIE
CARTER METALLICO
74 mm
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
CONTROSOFFITTO IRRIGIDIMENTI PANNELLI GUIDA DEL SISTEMA DI OSCURAMENTO
124 mm
110 mm
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
SISTEMA DI OSCURAMENTO
72 mm
D.GETTAZIONE
G.ANISTICA URB
VETRO CAMERA
66 mm
96 mm
TAGLIO TERMICO
GOCCIOLATOIO
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER
PAVIMENTO 117 mm
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
SEZIONI VERTICALI
F.5. I D ARRE
PILASTRO
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
138 mm
100 mm
72 mm
88 mm
72 mm
90 mm
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
89 mm 74 mm
SEZIONI ORIZZONTALI
7. INUE F.1.2 TE CONT IA FACC TTURALI U E STR
F 123
F.1. 27.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE FACCIATE CONTINUE E STRUTTURALI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
FACCIATE STRUTTURALI Sono analoghe alle facciate continue ma gli elementi portanti della facciata non sono visibili dall’esterno. Questo tipo di facciata affida al silicone strutturale il compito di trasmettere al telaio retrostante i carichi ai quali sono sottoposte le specchiature della facciata. L’incollaggio può avvenire sui lati verticali, su quelli orizzontali, ovvero su tutti i lati della specchiatura. La dimensione della striscia portante di incollaggio dipende dalle solle-
citazioni esterne calcolate e dalla tensione ammissibile a trazione del silicone utilizzato. Il silicone è sollecitato a trazione per la depressione generata dal vento, e a taglio per le dilatazioni termiche. L’altezza minima della fascia di silicone è data dall’espressione:
H = 0,5 lp / 1000 σ
H = minima altezza; p = carico di tensione; l = lato minore della facciata; σ = tensione ammissibile a trazione del silicone.
FIG. F.1.27./4 FACCIATE STRUTTURALI MATERIALE RIGIDO ISOLANTE
TELAIO PORTANTE
136 mm
TELAIO SECONDARIO SUPPORTO DI INCOLLAGGIO DELLA VETRATA
83 mm VETROCAMERA
AZIONE DEL VENTO (DEPRESSIONE)
38 mm
SEZIONE ORIZZONTALE
PANNELLO ESTERNO CON ISOLANTE
GOCCIOLATOIO TELAIO PORTANTE 178 mm
GIUNTO DI SILICONE STRUTTURALE
62 mm
PANNELLO TRASPARENTE
AZIONE DEL VENTO (DEPRESSIONE)
83 mm
191 mm GIUNTO DI SIGILLATURA DELLA VETRATA ISOLANTE VETRATA ISOLANTE SEZIONE VERTICALE 178 mm 87 mm
58 mm
TELAIO PORTANTE
LISTELLO DI APPOGGIO
TELAIO SECONDARIO SUPPORTO DI INCOLLAGGIO DELLA VETRATA 113 mm
GUARNIZIONE
SIGILLANTE 178 mm DAVANZALE
SEZIONE VERTICALE MATERIALE ISOLANTE
F 124
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI FACCIATE CONTINUE E STRUTTURALI
F.1. 27. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.27./5 CORRELAZIONI CON L’APPARECCHIATURA COSTRUTTIVA
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
FERRO TIPO HALFEN AFFOGATO NEL SOLAIO (TOLLERANZA SULL’ASSE SULL ASSE X) MORSETTO DI CORRELAZIONE
E.NTROLLO
MONTANTE VERTICALE
CO NTALE AMBIE
SOLAIO Y Z
X
MONTANTE IN ALLUMINIO
FORO AD OLIVA (TOLLERANZA SULL’ASSE SULL ASSE Y)
TRAVERSO
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
FORO AD OLIVA (TOLLERANZA SULL’ASSE SULL ASSE Z)
CORRELAZIONE ALL’ESTRADOSSO ALL ESTRADOSSO DEL SOLAIO
G.ANISTICA URB
DEFLUSSO ACQUA
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
MONTANTE IN ALLUMINIO SOLAIO FERRO TIPO HALFEN AFFOGATO NEL SOLAIO (TOLLERANZA SULL’ASSE SULL ASSE X) FORO AD OLIVA (TOLLERANZA SULL’ASSE SULL ASSE Y)
Y Z
TRAVERSO
X
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
FORO AD OLIVA (TOLLERANZA SULL’ASSE SULL ASSE Z) MORSETTO DI CORRELAZIONE
CORRELAZIONE SULLA FACCIA LATERALE DEL SOLAIO
F.5. I D ARRE APPARECCHIO DI CORRELAZIONE TRA IL MONTANTE E IL TRAVERSO
Z
F.3. IONI IZ PART E N INTER
X
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
Y
MONTANTE IN ALLUMINIO SOLAIO FERRO TIPO HALFEN AFFOGATO NEL SOLAIO (TOLLERANZA SULL’ASSE SULL ASSE X) FORO AD OLIVA (TOLLERANZA SULL’ASSE SULL ASSE Y) FORO AD OLIVA (TOLLERANZA SULL’ASSE SULL ASSE Z)
CORRELAZIONE ALL’INTRADOSSO ALL INTRADOSSO DEL SOLAIO
MORSETTO DI CORRELAZIONE
GIUNTI DI DILATAZIONE
7. INUE F.1.2 TE CONT IA FACC TTURALI U E STR
F 125
F.1. 27.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE FACCIATE CONTINUE E STRUTTURALI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
FACCIATE MISTE (continue e strutturali) FIG. F.1.27./6 CORRELAZIONI CON L’APPARECCHIATURA COSTRUTTIVA MATERIALE RIGIDO ISOLANTE
MONTANTE
VETRO CAMERA
TAGLIO TERMICO PANNELLO ISOLANTE PANNELLO ISOLANTE
SOFFITTO 102 mm
160 mm
182 mm VETRO CAMERA
LAMIERA PIEGATA DI CORRELAZIONE COL SOLAIO
PANNELLO AUTOPORTANTE DI CHIUSURA DEL GIUNTO
76 mm
100 mm
160 mm
PANNELLO OPACO CON RIVESTIMENTO ESTERNO UGUALE AL PANNELLO TRASPARENTE GIUNTO MECCANICO
98 mm LAMIERA PIEGATA DI CORRELAZIONE COL SOLAIO FERRO
PANNELLO ISOLANTE
F 126
ATTACO AL SOLAIO
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI FACCIATE CONTINUE E STRUTTURALI
F.1. 27. A.ZIONI
FIG. F.1.27./7 VETRATE SOSPESE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.27./8 ELEMENTI PER IL FISSAGGIO DELLE LASTRE AL TELAIO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
ASTA DI COLLEGAMENTO
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
TESTA (SFERICA) DELL’ASTA DELL ASTA DI COLLEGAMENTO
STRUTTURA A CAVI TESI ORIZZONTALE
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
VITE DI COLLEGAMENTO DEL PERNO
E.NTROLLO
AMMORTIZZATORE IN GOMMA
STRUTTURA A CAVI TESI VERTICALE
CO NTALE AMBIE
SPINOTTO SPINOTTO
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
BRACCIO VERTICALE
G.ANISTICA
BRACCIO ORIZZONTALE ARTICOLATO ALL’ASTA ALL ASTA
STRUTTURA PER LA SOSPENSIONE A PUNTONE
URB BULLONE ARTICOLATO
"TIGE" CON TESTA FORATA
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
PERNO DI FISSAGGIO
DISCHETTO IN TERMOPLASTICO
LASTRA DI VETRO STRUTTURA A PUNTONI PER PARETI CURVE
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
"TIGE" FILETTATA
F.3. IONI IZ PART E N INTER
"TIGE" CON TESTA FORATA
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
STRUTTURA A CAVI TESI PER CHIUSURE ORIZZONTALI
FIG. F.1.27./9 DETTAGLIO DELL’ATTACCO TRA LASTRA DI VETRO E BULLONE ARTICOLATO LASTRA DI VETRO ELEMENTO DI MEDIAZIONE IN ALLUMINIO
GUARNIZIONE IN MATERIALE TERMOPLASTICO
ELEMENTO DI MEDIAZIONE IN ALLUMINIO
GUARNIZIONE IN MATERIALE TERMOPLASTICO GHIERA DI CHIUSURA
AMMORTIZZATORE IN GOMMA GHIERA DI CHIUSURA TESTA FRESATA A SNODO SFERICO (ASSEMBLATA IN OFFICINA)
LASTRA DI VETRO
F.5. I D ARRE
TESTA FRESATA A SNODO SFERICO (ASSEMBLATA IN OFFICINA)
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
AMMORTIZZATORE IN GOMMA
7. INUE F.1.2 TE CONT IA FACC TTURALI U E STR
F 127
F.1. 27.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE FACCIATE CONTINUE E STRUTTURALI
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ FACCIATE MISTE (continue e strutturali) FIG. F.1.27./10 PARTICOLARI COSTRUTIVI ANCORAGGIO DEL PILASTRO A TERRA
ASSONOMETRIA ESPLOSA DEL GIUNTO TRA PILASTRO E TRAVE IN VETRO (tipo tenone e mortasa)
PILASTRO IN TRIPLICE LASTRA DI VETRO TEMPERATO E STRATIFICATO
ELEMENTO DI COPERTURA VETROCAMERA
PANNELLO DI TAMPONATURA IN VETRO TEMPERATO
SIGILLANTE TRAVE IN VETRO TEMPERATO E STRATIFICATO
PILASTRO DI VETRO TEMPERATO E STRATIFICATO
COPERTURA IN VETRO STRUTTURALE LASTRA DI COPERTURA VETRO CAMERA
SIGILLANTE
LASTRA DI COPERTURA VETRO CAMERA
GUARNIZIONI DI TENUTA
ELEMENTO PER FISSAGGIO DELLE LASTRE ELEMENTO PER FISSAGGIO DELLE LASTRE
A
A
TIRANTE
TIRANTE
SEZIONE A-A
NODO 1
NODO 2
NODO 1 NODO 2
F 128
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • PARETI PERIMETRALI VERTICALI FACCIATE CONTINUE E STRUTTURALI
F.1. 27. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.27./11 GUARNIZIONI
B.STAZIONI DILEGIZLII
GUARNIZIONI PER FACCIATE STRUTTURALI
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
GUARNIZIONE DI TENUTA
GUARNIZIONE PER CAMERA DI COMPENSAZIONE
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB VETRO GUARNIZIONE
FILLER
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
GUARNIZIONI PNEUMATICHE
VETRO
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER
TELAIO IN LAMIERA
GUARNIZIONI A STRUTTURA CELLULARE
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
GUARNIZIONI FUSTELLATE
7. INUE F.1.2 TE CONT IA FACC TTURALI U E STR
F 129
F.1. 28.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE PORTE, PORTONI, SERRANDE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
PORTE ESTERNE FIG. F.1.28./1 PORTE
MOSTRA 2,5 4,5 2,5 TELAIO FISSO CON MAZZETTA
CON MAZZETTA SENZA CONTROTELAIO
CON CONTROTELAIO MOSTRA
TELAIO FISSO SENZA MAZZETTA ESTERNO: A TAVOLATO INTERNO: SPECCHIATA
MOSTRA
SPECCHIATA
A DOPPIO TAVOLATO
SPECCHIATURA (LAMINATI ,COMPENSATI , NOBILITATI ,…)
VARIABILE
2,5
4,5
4,5
4,5 ÷ 6,4
4,5 ÷ 6,4
2,5
2,5
TAVOLATO
SPECCHIATURA CON REGOLI
SPECCHIATA
A TAVOLATO 2,5 4,5
DOPPIO VETRO
4,5 ÷ 6,4
4,5 ÷ 6,4
SPECCHIATURA CON LAMINATO E ISOLANTE
SPECCHIATA
LAMINATO
TAMBURATA 4,5 ÷ 6,4
ISOLANTE 4,5 ÷ 6,4
TAMBURATA LAMINATO 4,5 ÷ 6,4
TAMBURATA CON PANNELLO A NIDO D’APE D APE
F 130
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI PORTE, PORTONI, SERRANDE
F.1. 28. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.28./2 SERRAMENTI ESTERNI A FISARMONICA
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
CIELINO
E ESE ESSIONAL PROF
GUIDA
D.GETTAZIONE
CARRELLO CON SFERA
PRO TTURALE STRU
REGOLAZIONE D’ALTEZZA ALTEZZA
INFISSO LIGNEO
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
VETRO TERMICO
F. TERIALI,
GUIDA AVVOLGIBILE
GUIDA PERSIANA AVVOLGIBILE
REGISTRO INFERIORE
GUIDA INFERIORE
COPRIFILO CON BATTUTA
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
GOCCIOLATOIO IN OTTONE
REGISTRO INFERIORE
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
GUIDA CERNIERA
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
65
F.3. IONI IZ PART E N INTER
20
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
50 7
40
50
28
50
7 65 7
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
60
20
65
46
65
7
7
46
65
65
46
65
65
46
65
60
7
65
46
65
7
7
65
46
65
65
46
65
65
46
20
8. I, F.1.2 , PORTON E PORT NDE SERRA
F 131
F.1. 28.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE PORTE, PORTONI, SERRANDE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
SERRAMENTI ESTERNI PORTE ANTIEFFRAZIONE Sono le porte che oltre a resistere alle sollecitazioni meccaniche sono in grado di evitare l’intrusione. Per i portoncini ci si affida ad ancoraggi nel muro e a rinforzi dell’anta in corrispondenza delle serrature; sono prescritti dei particolari requisiti per il controtelaio, per il telaio mobile, per le cerniere e per le serrature, secondo quanto indicato dalla norma UNI 9569.
Le porte di sicurezza devono essere inserite in una muratura che assicuri almeno la stessa sicurezza offerta dalla porta; devono avere un controtelaio fissato con zanche lunghe 15 cm, disposte ogni 15 cm; controtelaio e telaio sono realizzati in acciaio elettrozincato; le cerniere sono saldate a filo continuo e sono antiscardino; l’anta è rivestita con doppia lamiera d’acciaio pie-
gata ai bordi, rinforzata da profili a Z longitudinali, in acciaio saldati; la serratura è corredata da aste verticali e/o orizzontali di bloccaggio. Le porte possono essere integrate da profili alla battuta inferiore atti ad assicurare la tenuta; possono aver all’interno dell’anta pannelli fonoassorbenti; possono essere rifinite all’esterno con rivestimenti nobilitati.
FIG. F.1.28./3 PORTE ANTIEFFRAZIONE
SERRATURA AD UN PUNTO DI CHIUSURA
SERRATURA A TRE PUNTI DI CHIUSURA
SERRATURE A CINQUE PUNTI DI CHIUSURA
SERRATURE A CINQUE PUNTI DI CHIUSURA CON MEZZA ANTA
SERRATURE A CINQUE PUNTI DI CHIUSURA CON ANTA COMPLETA
SERRATURA CON ASTE CURVE
PORTE ESTERNE ANTI EFFRAZIONE
SPIONCINO
ZANCHE DI ANCORAGGIO MURATURA
PROFILO ANTI EFFRAZIONI IMPELLICCIATURA
TELAIO FISSO
PAVIMENTAZIONE ALLETTAMENTO
SERRATURA ORIZZONTALE
GUAINA IMPERMEABILE
LAMIERA
INTONACO PROFILO METALLICO CONTINUO
LAMIERE DI RINFORZO
PROFILO METALLICO DI BORDO
SOTTOFONDO
IMPELLICCIATURA
CONTROTELAIO
PAVIMENTO INTERNO ANIMA DELL’ANTA DELL ANTA
SOGLIA ESTERNA
RIVESTIMENTO TELAIO FISSO
ANTA SERRAMENTI ESTERNI PORTE
COPRIGIUNTO
ALLETTAMENTO PAVIMENTAZIONE ESTERNA PORTA ESTERNA TAMBURATA
F 132
GUAINA IMPERMEABILE
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI PORTE, PORTONI, SERRANDE
F.1. 28. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.28./4 PORTE BASCULANTI PORTA BASCULANTE SU ROTAIE
B.STAZIONI DILEGIZLII
PORTA BASCULANTE A CONTRAPPESO IN LAMIERA
I ED PRE NISM ORGA
MIN 210 mm
R
MECCANISMO DI BILANCIAMENTO
D TELAIO FISSO
E H C
B
210 mm
A
CHIUSURA CON PALETTI LATERALI (MECCANICA OD ELETTROMECCANICA)
PANNELLO COPRI CONTRAPPESO
INGOMBRI E TRAIETTORIE D’INNALZAMENTO INNALZAMENTO
PAVIMENTAZIONE
1/4 H ALLETTAMENTO H/4
B-B
495 520 545 570 595 620 645
510 530 550 570 590 610 630
H/2 C-C 3H/4 misure in mm. 990 970 1480 1040 1020 1560 1090 1070 1640 1140 1120 1710 1190 1170 1790 1240 1220 1860 1290 1270 1940
D
E
R
330 330 330 330 330 330 330
1900 2000 2100 2200 2400 2400 2500
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
GUAINA IMPERMEABILIZZANTE 180 180 180 180 180 180 180
URB PORTA BASCULANTE A CONTRAPPESO IN LEGNO 155
80
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
M
130 ÷ 180
180/230 mm
H A-A m 1,98 210 2,08 220 2,18 230 2,28 240 2,38 250 2,48 260 2,58 270
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
VERSIONE NON DEBORDANTE
1/2 H A
C.RCIZIO
D.GETTAZIONE
C
3/4 H B
TELAIO MOBILE
VARIANTE CON MOTORE
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
STANDARD
F.3. IONI IZ PART E N INTER
ROTAIA METALLICA DI SCORRIMENTO SEZIONE
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
INGOMBRO INTERNO = Hfm + 585
Hfm = ALTEZZA FORO MURO-
600/700 MIN 130 mm
PIANTA
CONTRAPPESO VARIANTE CON PORTA INSERITA
VARIANTE CON PORTA
F.5. I D ARRE
TIPO STANDARD
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
TELAIO MOBILE PROFILO METALLICO
RUOTE IN NYLON
PROFILO METALLICO INSERITO NEL PAVIMENTO
TIPOLOGIE D D’INSTALLAZIONE INSTALLAZIONE DEL CONTRAPPESO
70 350
80
370
110
CONTRAPPESO RUOTATO DI 90 90° ALLINEATO AL TELAIO
350
110
CONTRAPPESO RUOTATO DI 90° 90 SFALSATO DAL TELAIO
110
110 TELAIO OLTRE LA LUCE IN MAZZETTA
TELAIO A RIDOSSO
TELAIO IN LUCE
8. I, F.1.2 , PORTON E PORT NDE SERRA
F 133
F.1. 28.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE PORTE, PORTONI, SERRANDE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ SERRAMENTI ESTERNI FIG. F.1.28./5 PORTE SCORREVOLI PORTE SU GUIDE CURVE - SCHEMI
Q R
Q A
220
Q +160
R +80 80
45
45 Q G A
PESO MASSIMO DEL BATTENTE DELLA PORTA 2 x 150 kg A = LARGHEZZA DEL PASSAGGIO G = ALTEZZA DEL PASSAGGIO Q = DIAMETRO
Q +160 160 + X SEZIONE TRASVERSALE
PORTE SCORREVOLI
PORTE GIREVOLI SU GUIDE CURVE 170 ÷ 204
F = 2 D+50 A
MOTORE
ROTAIA DI SCORRIMENTO CURVA
170 ÷ 204 mm
220 PROFILO DI SOSPENSIONE D APERTURA A DESTRA
220 CONTROSOFFITTO PARETE FISSA
F=2 2D+50 D+50
PARETE MOBILE PROFILO DI SOSPENSIONE INFISSO MOBILE
A 170 ÷ 204 mm
G
90 PROFILO PORTANTE
D APERTURA A SINISTRA
50 PROFILATI IN ALLUMINIO DA 20 mm
2 A + 100 F = 2A
20
170 ÷ 204 mm
A
MULTISTRATO DI SICUREZZA
VETROCAMERA G
20 18 20 4 20 APERTURA A DUE ANTE
GUARNIZIONE
PARTE MOBILE
PARTE FISSA
A = LARGHEZZA DI PASSAGGIO NETTA (LARGHEZZA D’APERTURA) D APERTURA) D = CORSA D’APERTURA D APERTURA F = LUNGHEZZA TRAVERSA
PROFILATI IN ALLUMINIO ARROTONDATI ANTIURTO DA 50 mm FERMAVETRO
6 GUARNIZIONE 22
MULTISTRATO 50
F 134
53
6
53
GUIDA NELLA PARTE FINALE
20
50
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI PORTE, PORTONI, SERRANDE
F.1. 28. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.1.28./6 PORTE GIREVOLI TRE ANTE
QUATTRO ANTE
B.STAZIONI DILEGIZLII
IMPIEGO
I ED PRE NISM ORGA 1600-2300
1600-2300
AP
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
2400-3000
2400-3000
ANTE RIGIDE
INCREMENTO DIMENSIONALE 200mm
3000-3800
ANTE A SFONDAMENTO SIMMETRICO
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
H (O>3000), AP
E.NTROLLO 3000-3800
3000-3800
CO NTALE AMBIE
H
INCREMENTO DIMENSIONALE 200mm
ANTE A SFONDAMENTO CENTRALE
4200-6000
4200-6000
ANTE A SFONDAMENTO ANTIPANICO
H, CC, AP
D
H, CC, AP
1600 1700 1800 1900 2000 2200 2400 2600 2800 3000 3200 3400 3600 3800
INCREMENTO DIMENSIONALE 600mm
D 3100 x 5435 3000-3400 (2+2 ANTE)
H, CC, AP C E SEZ B-B
3600-4800 H PER PORTATORI DI HANDICAP
H, CC, AP AP CON MANIGLIONI ANTIPANICO
CC PER CENTRI COMMERCIALI D
PROFILATI DI RACCORDO VARIABILI PANNELLO IN LEGNO
30 C E SEZ B-B
ASSE CENTRALE TOURNIKET
LARGHEZZA VANO = INT.+187 Ø ESTERNO MONTANTE = INT.+77 200
Ø ESTERNO CAPPELLO = INT.+60 CIELINO
D 1600 1700 1800 1900 2000 2200 2400 2600 2800 3000 3200 3400 3600 3800
C
E
1055 1125 1195 1265 1335 1475 1615 1755 1895 2035 2175 2315 2455 2595
1677 1777 1877 1977 2077 2277 2477 2677 2877 3077 3277 3477 3677 3877
C 700 750 800 850 900 1000 1100 1200 1300 1400 1500 1600 1700 1800
E 1677 1777 1877 1977 2077 2277 2477 2677 2877 3077 3277 3477 3677 3877
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
LARGHEZZA MAX = INT.+157 200
15
Ø ESTERNO = INT.+77
76
F.5. I D ARRE
35,3
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
40 x20 20 x2 40 30 30
Ø INTERNO
Ø ESTERNO = INT.+77
TELAIO ANTA MOBILE
66,5 GUARNIZIONE
PROFILATO DI RACCORDO STANDARD
A
A GUARNIZIONE ANTA MOBILE
B
B
120 B
16
SEZ B-B A SEZ A-A
8. I, F.1.2 , PORTON E PORT NDE SERRA
F 135
F.1. 28.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE PORTE, PORTONI, SERRANDE
•
PARETI PERIMETRALI VERTICALI
➦ SERRAMENTI ESTERNI FIG. F.1.28./7 CANCELLI RIDUCIBILI
MECCANISMO DI SCORRIMENTO
GUIDE A PAVIMENTO
SERRATURA DI SICUREZZA A DOPPIO CATENACCIO TIPO YALE SEZIONE DEL CARRELLO DI SCORRIMENTO SUPERIORE A DOPPIO CUSCINETTO
SFERE IN ACCIAIO Ø 3 / 16” 16
SFERE IN ACCIAIO Ø 1 /80 80” MECCANISMO DI SCORRIMENTO
RUOTA IN FERRO Ø 33 mm
RULLINO IN FERRO CEMENTATO Ø 44 mm
GUIDE A PAVIMENTO
TIPO PER GUIDE 56 x 50
TIPO PER GUIDE 40 x 40 MONTANTI DI BATTUTA PER CANCELLI A UNA SOLA BATTUTA
15 x 15 x 15 20 x 15 x 20 30 x 22 x 30 SPAZI MINIMI DI INGOMBRO I
L
I
I
L
L
I
I
I
I
L
I
L
L I
I
I
L
L
I
8
CANCELLI DI TIPO 1
CANCELLI DI TIPO 2
SPAZI MINIMI DI INGOMBRO A DUE BATTENTI Raccoglimento oltre la luce
CANCELLI DI TIPO 3
SPAZI MINIMI DI INGOMBRO RACCOGLIMENTO OLTRE LA LUCE
Raccoglimento in luce
Largh. luce Ingombro Largh. luce Ingombro (da m a m) (da m a m) (da m a m) (da m a m)
F 136
10
A due battenti
A un battente
Largh. luce Ingombro Largh. luce Ingombro (da m a m) (da m a m) (da m a m) (da m a m)
SPAZI MINIMI DI INGOMBRO RACCOGLIMENTO IN LUCE A due battenti
A un battente
Largh. luce Ingombro Largh. luce Ingombro (da m a m) (da m a m) (da m a m) (da m a m)
1,83-2,52
26,5-31
2,31-3,14
26,5-31
1,13-1,98
16-21
1,12-1,56
24,5-29,5
1,42-2,42
16-21
1,21-1,73
23-28
2,52-3,20
31-38
3,14-3,96
31-38
1,98-2,65
21-26,5
1,56-1,90
29,5-35
2,42-3,20
21-26,5
1,73-2,08
28-33
3,20-3,90
38-45
3,96-4,80
38-45
2,65-3,34
26,5-31,5
1,90-2,24
35-40
3,20-3,99
26,5-31,5
2,08-2,51
33-38
3,90-4,60
45-52
4,80-5,64
45-52
3,34-4,04
31,5-36,5
2,24-2,58
40-45
3,00-4,76
31,5-36,5
2,51-2,90
38-43,5
4,60-5,28
52-59
6,64-6,19
52-59
4,04-4,73
36,5-41,5
2,58-2,92
45-50
4,76-5,54
36,5-42,5
2,90-3,29
43,5-48,5
5,28-6,21
59-68
6,19-7,58
59-68
4,73-5,58
41,5-48,5
2,92-3,37
50-57
5,54-6,58
42,5-48,5
3,29-3,81
48,5-55
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • CHIUSURE ORIZZONTALI CARATTERISTICHE E REQUISITI
F.2. 1. A.ZIONI
Il termine chiusura orizzontale comprende più unità tecnologiche (UNI 8290, parte 1°), cui sono richieste prestazioni funzionali diverse. In questa categoria sono qui comprese: le chiusure orizzontali di base o inferiori, le chiusure orizzontali intermedie, le chiusure orizzontali superiori o coperture. La rispondenza alle prestazioni richieste è affidata a
singoli strati funzionali e alla loro corretta posa in opera. Le chiusure orizzontali inferiori devono assicurare il controllo termico e igrometrico al fine di evitare fenomeni di condensa, infiltrazioni di acqua per risalita capillare dal suolo o per penetrazione orizzontale. Le chiusure orizzontali intermedie devono contribuire al mantenimento delle condizioni igrotermiche evitando di-
spersioni attraverso i ponti termici e assicurare il necessario isolamento acustico, ed eventualmente termico, tra i diversi livelli di piano. Le coperture devono assicurare la tenuta all’acqua meteorica, proteggere termicamente e acusticamente gli ambienti sottostanti, evitare fenomeni di infiltrazione e condensa.
I ED PRE NISM ORGA
E ESE ESSIONAL PROF pressione ≥ 1 kg/cmq e resistenza alle deformazioni plastiche sotto carico di 0,2 kg/cmq dopo 48 h a 80°C; • isolanti per applicazioni in chiusure orizzontali portanti (terrazzi, zone carrabili, parcheggi, fondazioni), cui è richiesta una resistenza a compressione ≥ 1,5 kg/cmq e resistenza alle deformazioni plastiche sotto carico di 0,4 kg/cmq dopo 7 giorni a 70°C. I materiali termoisolanti sono generalmente adatti all’impiego in posizione orizzontale; in particolare è preferibile l’impiego in orizzontale per i materassini di fibre minerali e i materiali sfusi (cfr. F.1.25.). In ordine all’intercapedine di aria, integrata nella struttura portante del solaio, la norma UNI 10351,10355 valuta la
resistenza termica R (m2K/W) per intercapedini chiuse in relazione allo spessore S dell’intercapedine. TAB. F.2.1./1 RESISTENZA TERMICA R (m2K/W) S=
1 cm
2-10 cm
> 10 cm
Strato d’aria orizzontale (flusso ascendente)
0,133
0,144
0,216
Strato d’aria orizzontale (flusso discendente)
0,133
0,157
0,344
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
POSA IN OPERA DEGLI ISOLANTI TERMICI La funzione isolante può essere svolta dallo stesso elemento costruttivo che realizza la chiusura orizzontale (pignatte con caratteristiche isolanti o pani di polistirolo) o può essere assolta interamente da uno strato applicato all’intradosso o all’estradosso dell’orizzontamento, in relazione alle possibilità realizzative e alle esigenze funzionali; i fattori che orientano la scelta tengono conto del tipo di isolante impiegato, della complessità volumetrica dell’edificio, del grado di isolamento che si intende ottenere. Per quanto riguarda le solette di copertura, in linea generale, un isolante collocato in posizione esterna sottopone la soletta a minori shock termici, produce un maggiore sfasamento e smorzamento dell’onda termica e può essere applicato anche in fasi successive alla realizzazione del fabbricato; un isolante collocato all’intradosso, in caso di solai intermedi e solette di copertura non richiede particolari oneri di mano d’opera e attrezzature per il montaggio, può essere applicato, senza disturbo, in qualsiasi momento della vita dell’edificio ed è facilmente manutenibile. Le modalità di posa in opera variano in funzione del tipo di materiale impiegato. I materiali sciolti sono stesi in strati orizzontali; possono essere posati, anche in fase successiva alla costruzione, sull’estradosso dei solai non calpestabili di sottotetto. I materassini, particolarmente adattabili alle diverse geometrie e più indicati per la posa in orizzontale, sono stesi anche in più strati e giuntati; richiedono la protezione con fogli separatori, o carta kraft, dagli strati di finitura successivi. I pannelli sono accostati tra di loro con giunti semplici o battentati, se in doppio strato, i giunti dei due strati devono risultare sfalsati; il fissaggio avviene con bitume caldo, con adesivi o, con sistemi meccanici; nelle coperture in particolare, prima di applicare il materiale isolante può essere necessario trattare il piano di posa con un primer, costituito da un’emulsione bituminosa. La posa a secco è adatta quando la protezione superficiale della copertura è affidata a manti zavorrati.
B.STAZIONI DILEGIZLII C.RCIZIO
ISOLAMENTO TERMICO In merito alle caratteristiche meccaniche e di stabilità richieste per l’impiego dei materiali isolanti nelle strutture orizzontali, la norma ISO DP 4898.4 distingue i prodotti isolanti a celle chiuse in relazione al campo di applicazione: • isolanti per applicazioni in chiusure orizzontali non portanti (intercapedini, coperture ventilate, soffitti) cui è richiesta una resistenza a compressione di 0,5 kg/cmq con deformazione ≤ 10% e variazione dimensionale < 5% dopo 48 h a 70°C; • isolanti per applicazioni in chiusure orizzontali in cui la funzione portante è integrata dalla presenza di una soletta sovrastante di ripartizione, o compresa nel prodotto prefabbricato; è richiesta una resistenza a com-
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.2.1./2 ISOLAMENTO TERMICO DI SOLAI SU SPAZI APERTI
PAVIMENTO
G.ANISTICA URB
MASSETTO IN CALCESTRUZZO CON ALLOGGIAMENTO DELLA SERPENTINA
PAVIMENTO SOTTOFONDO
SOTTOFONDO 2 3
2 3
5 ÷6 5
18
18 5 2 STRATO ISOLANTE STRATO SEPARATORE IN CARTALANA, CARTA KRAFT, CARTONFELTRO BITUMATO
PANNELLI ISOLANTI CON GIUNTI BATTENTATI
SERPENTINA TUBI DI RISCALDAMENTO
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER
INTONACO ARMATO
STRATO SEPARATORE E BARRIERA AL VAPORE S = 2-3 mm
Nel caso di solai controterra, è necessario inserire al di sotto dello strato isolante un manto impermeabile di circa 4 mm
PAVIMENTO
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
SOTTOFONDO SERPENTINA DI TUBI DI RISCALDAMENTO BARRIERA AL VAPORE IN ALLUMINIO O FOGLIO DI POLIETILENE
Stesura orizzontale in doppio strato con giunti non coincidenti
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE
FIG. F.2.1/.3 ISOLAMENTO DI PAVIMENTO RADIANTE
FIG. F.2.1./1 MATERASSINI ISOLANTI
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
MASSETTO IN CALCESTRUZZO CON ALLOGGIAMENTO DELLA SERPENTINA
5 6 4 ÷5 GIUNTO DI DILATAZIONE PERIMETRALE S=10 mm
8. I, F.1.2 , PORTON E PORT NDE SERRA
SOLAIO STRATO ISOLANTE
IMPERMEABILIZZAZIONE FONDAZIONE
Richiede la massima coibentazione per non riscaldare inutilmente gli ambienti sottostanti
. E F.2.1 TERISTICH T CARA UISITI E REQ
F 137
F.2. 1.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE CARATTERISTICHE E REQUISITI
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
MATERIALI IMPERMEABILIZZANTI MATERIALI I materiali impermeabilizzanti sono impiegati per impedire l’infiltrazione di acqua, per risalita capillare o gravità in quella parti della struttura edilizia maggiormente a rischio (fondazioni, solai a terra, chiusure verticali dei piani interrati, balconi, coperture). La normativa di riferimento, relativa ai criteri generali di classificazione (UNI 8818), ai metodi di prova (UNI 8202), alla determinazione delle caratteristiche fisiche, meccaniche e dimensionali (UNI 8269) è contenuta nei raggruppamenti della Selezione 10 UNI 91.060.20-30, 91.060.20-40. Oltre al principale requisito di impermeabilità, questi materiali devono avere (UNI 8202) buone caratteristiche meccaniche per resistere ai movimenti strutturali, adeguata resistenza al punzonamento statico e dinamico, stabilità dimensionale, plasticità, resistenza agli agenti atmosferici e all’invecchiamento, devono essere imputrescibili. Se esposti ai raggi UVA, alle piogge acide e alle escursioni termiche richiedono un’adeguata
protezione superficiale, realizzata con successivi strati di finitura o, nelle membrane prefabbricate, con strati protettivi applicati in officina. In queste ultime, la protezione è costituita da scaglie di ardesia o lamine metalliche: le prime sono ottenute per macinazione della pietra naturale, eventualmente colorate, e preparate in modo da favorire l’adesione alla membrana impermeabilizzante; le lamine metalliche sono realizzate con metalli puri, alluminio eventualmente colorato, rame, acciaio inox, di spessore 6-8 centesimi di millimetro. I prodotti impermeabilizzanti, applicabili a freddo o a caldo, sono commercializzati in forma liquida o pastosa in membrane mono o pluristrato. Un’eventuale armatura, che migliora le caratteristiche meccaniche, può essere integrata nella fase di posa in opera o predisposta già nel prodotto prefabbricato. I prodotti liquidi o pastosi sono: i mastici di rocce asfaltiche o di asfalto sintetico, gli asfalti colati, le malte asfalti-
TAB. F.2.1./2 CLASSI DI RESISTENZA AL PUNZONAMENTO STATICO DI MEMBRANE IMPERMEABILIZZANTI (norma UNI 8202 parte 11)
che, i prodotti termoplastici, le soluzioni in solvente di bitume, le emulsioni acquose di bitume, i prodotti a base di polimeri organici. Le membrane si distinguono in base: al materiale componente (bitume ossidato fillerizzato, bitume polimero plastomero, bitume polimero elastomero, etilene propilene diene ecc.); al materiale di armatura integrato nella membrana (velo vetro, poliammide tessuto, film di polipropilene, foglio sottile di alluminio ecc.); al materiale di finitura della faccia superiore (film di poliestere o di polietilene da non asportare, graniglie, scaglie metalliche ecc.); al materiale di finitura della faccia inferiore (poliestere non tessuto, sughero, foglio sottile di alluminio ecc.). I materiali impermeabilizzanti sono di tipo naturale o sintetico. Alla prima categoria appartengono i materiali bituminosi, impiegati anche nella produzione delle membrane bituminose e come sigillanti; alla seconda categoria appartengono le membrane sintetiche.
TAB. F.2.1./3 CLASSI DI RESISTENZA AL PUNZONAMENTO DINAMICO DI MEMBRANE IMPERMEABILIZZANTI (norma UNI 8202 parte 12)
PS1
perdita di impermeabilità con carico di 7 kg
PD1
perdita di impermeabilità sotto urto di 2 Nm (0,2 kgm)
PS2
nessuna perdita di impermeabilità con carico di 7 kg, ma perdita con carico di 15 kg
PD2
nessuna perdita di impermeabilità sotto urto di 2 Nm (0,2 kgm), ma perdita sotto urto di 3 Nm (0,3 kgm)
PS3
nessuna perdita di impermeabilità con carico di 15 kg, ma perdita con carico di 25 kg
PS4
nessuna perdita di impermeabilità con carico di 25 kg, ma perdita con carico di 35 kg
PD3
nessuna perdita di impermeabilità sotto urto di 3 Nm (0,3 kgm), ma perdita sotto urto di 5 Nm (0,5 kgm)
PS5
nessuna perdita di impermeabilità con carico di 35 kg
PD4
nessuna perdita di impermeabilità sotto urto di 5 Nm (0,5 kgm)
MATERIALI BITUMINOSI I bitumi sono idrocarburi, o miscele di idrocarburi, di origine naturale o derivati dai petroli o da rocce (esclusi i combustibili fossili), solubili in solfuro di carbonio e dotati di capacità agglomerante. I principali materiali bituminosi sono il bitume, l’asfalto, il catrame, i cilindrati o cartonfeltri bitumati. Il bitume (80% C, 8-10% H, S quantità variabili) è una resina termoplastica di origine organica (densità 1,21) di natura colloidale; non contiene sostanze volatili. Il bitume naturale, piuttosto raro e di impiego limitato, proviene dalla evaporazione e ossidazione dei giacimenti petroliferi; quello artificiale, oggi largamente usato, è il prodotto residuo della distillazione industriale del petrolio, dopo l’estrazione delle benzine e degli olii pregiati. Il bitume non viene impiegato allo stato puro, data la scarsa resistenza agli agenti atmosferici; al variare della temperatura modifica il suo stato fisico (da rigido e fragile, diviene pastoso all’aumentare della temperatura e passa allo stato fluido per temperature > 50°C). Le principali caratteristiche (punto di rammollimento, espresso in °C, penetrazione alla temperatura di 25°C, suscettibilità termica) sono migliorate con la distillazione, cioè l’estrazione delle sostanze grasse e leggere, o con l’ossidazione, cioè un processo industriale di soffiatura con aria ad alta temperatura (220-250°C), a seguito della quale vi è la creazione di molecole pesanti cui sono aggiunti materiali di natura polimerica, come il propilene o la gomma sintetica Stirene-butadirene-stirene (Sbs). Questi ultimi, oltre a migliorare le caratteristiche suddette, aumentano la resistenza all’invecchiamento. Il maggiore impiego del bitume, in particolare quello
distillato, è legato alle pavimentazioni stradali; in misura minore viene impiegato, in genere il tipo ossidato, come impermeabilizzante in edilizia, per rivestimenti protettivi, sigillanti, mastici, opere di ingegneria idraulica, per preparazione di sottofondi prima della posa di definitivi manti bituminosi. Infatti l’impregnazione con bitume ad alto punto di rammollimento, miscelato con solventi a essiccamento rapido, penetra nei pori del materiale sottostante e garantisce la corretta adesione del successivo strato impermeabile. L’asfalto è una roccia calcarea che contiene il 7-15% di bitume; oltre al carbonato di calcio (50-90%), sono presenti il carbonato di magnesio (0,10-15%), l’anidride carbonica, argilla e ossidi di calcio (0,15-5%), l’acqua e sostanze volatili (0,2-5%). La farina d’asfalto, derivata dalla macinazione della roccia, viene utilizzata nella preparazione di intonaci e pavimentazioni e per confezionare il mastice. Il mastice di asfalto è composto da farina di asfalto e bitume al 7-8%. La posa in opera del mastice richiede la fusione, a seguito della quale è necessario aggiungere ancora bitume (1-6%) per reintegrare quello volatilizzato e migliorare l’idrorepellenza del prodotto, ma ciò abbassa la temperatura di fusione; la pasta fusa viene miscelata con sabbia fine (34-40%), oppure pietrisco o ghiaia nel caso di superfici sottoposte a usura, e stesa per strati successivi incrociati, per uno spessore massimo di 10 mm. La sabbia rende il prodotto meno sensibile alle alte temperature, ma ne riduce l’impermeabilità e lo rende fragile alle basse temperature. La superficie di posa deve essere asciutta e pulita; residui
di acqua producono rigonfiamenti. L’emulsione di asfalto è additivata con acidi che fluidificano l’impasto; per la sua azione legante, realizza una sorta di pietra naturale quando viene stesa su strati di ghiaia grossa penetrando negli interstizi. Il catrame è ottenuto dalla distillazione di carbon fossile, torbe, ligniti o scisti; il prodotto è denso e di colore scuro, composto da sostanze aromatiche, fenoli e sostanze azotate. Si distingue chimicamente dai bitumi per la diversa struttura molecolare. Questi sono costituiti da composti paraffinici e naftenici; quello da composti aromatici. Il catrame è nocivo e l’esposizione ai fumi dà effetti irritanti. È molto sensibile alle variazioni di temperatura, divenendo molto fragile alle basse temperature. Ha ottime proprietà antiruggine ed è scarsamente compatibile con il bitume; è quindi da evitare l’abbinamento di prodotti a base di catrame con quelli a base di bitume. Oggi il catrame viene impiegato in larga misura per impregnare i cartoni impermeabilizzanti. Le spalmature di bitume a caldo su cartonfeltro sono ormai completamente superate, per impieghi in edilizia, dai prodotti industriali. I cilindrati, denominati commercialmente cartonfeltro e cartonlana, sono costituiti da carta o stracci impregnati di bitume. L’impiego di prodotti fabbricati in officina, oltre a offrire maggiori garanzie sulla qualità del prodotto, semplifica la posa in opera che consiste nella sovrapposizione di strati prefabbricati da saldare a caldo o incollare a freddo con mastice. La semplificazione delle operazioni di posa in opera e la maggiore sicurezza in cantiere hanno orientato gli operatori verso l’impiego delle membrane prefabbricate.
colare il polipropilene atattico APP; tra gli elastomeri si impiega la gomma Stirene butadirene stirene; gli elastomeri sono principalmente copolimeri di etilene e propilene. Le membrane bituminose, di norma, vengono classificate in base al polimero aggiunto al bitume per modificarne alcune caratteristiche e renderlo più adatto all’impiego: • membrane BPE (Bitume Pollimero Elastomero) presentano un’ottima lavorabilità alle basse temperature ed hanno una migliore resistenza alle sollecitazioni meccaniche;
• membrane PAO (Bitume Polimero Poliolefinico) hanno elevata resistenza al’invecchiamento termico e agli UV. Ottima lavorabilità sia alle alte, sia alle basse temperature; • membrane BPP (Bitume Polimero Plastometro) hanno un’ottima stabilità dimensionale a caldo e una buona flessibilità a freddo. Il manto bituminoso viene posato in due o più strati e, per la facilità di posa, è particolarmente adatto a superfici con rilievi e all’esecuzione di dettagli complessi.
MEMBRANE BITUMINOSE Sono membrane prefabbricate a base di bitume e agenti modificanti atti a migliorare le caratteristiche del bitume; sono commercializzate in teli arrotolati, di altezza 1-1,70 m e spessore 2-5 mm. La massa impermeabilizzante prevede l’impiego di miscele di bitume ossidato, di bitume polimero (MBP) o di catrame modificato a cui si aggiungono, oltre gli additivi, i plastomeri o gli elastomeri al fine, come già detto, di migliorarne le caratteristiche. I plastomeri impiegati sono polimeri polipropilenici, in parti-
F 138
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • CHIUSURE ORIZZONTALI CARATTERISTICHE E REQUISITI
F.2. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
MEMBRANE SINTETICHE Sono membrane prefabbricate che non contengono bitume. Sono commercializzate in rotoli di altezza 1-1,70 m e spessore 2-5 mm. Sono costituite (UNI 8818) da una massa impermeabilizzante, da un’armatura e da un’eventuale finitura sulle superfici inferiore e superiore. I materiali che costituiscono i diversi strati funzionali sono numerosi. Per le membrane sintetiche la massa impermeabilizzante prevede l’impiego di materie plastiche o elastomeri; l’armatura è realizzata con tessuto non tessuto (TNT) in velo vetro o poliestere, carta feltro, fogli di alluminio ecc.; le finiture superficiali sono realizzate per la faccia superiore con film di poliestere, polipropilene, lamine metalliche, graniglia ardesia, sabbia ecc.; per la faccia inferiore con velo vetro, film di polietilene, sughero, adesivo ecc. La posa prevede un solo strato di membrana. Le materie plastiche e gli elastomeri (gomme) sono sostanze macromolecolari (polimeri). Le prime, ottenute con procedimenti di sintesi della chimica organica, sono caratterizzate dal comportamento plastico alle alte temperature che consente la formatura; gli elastomeri, che presentano a temperatura ambiente un comporta-
mento elastico, sono ottenuti da polimeri liquidi, naturali o sintetici, le cui strutture lineari sono vincolate tra loro attraverso il processo chimico di indurimento, chiamato vulcanizzazione. Alla scarsità dei legami che si formano tra le catene a seguito della vulcanizzazione è da attribuire il comportamento elastico delle gomme. Tra le materie plastiche impiegate, si ricorda il PVC, il poliisobutilene (PIB), il butile, l’EPDM termoplastico e vulcanizzato, il polietilene semirigido ad alta densità. L’assenza di finiture superficiali è prevista dalla normativa e non pregiudica la qualità del prodotto finito, ma dipende dalla specificità delle lavorazioni e delle materie prime impiegate. Il PVC, o polivinilcloruro, è il polimero del cloruro di vinile. Ha buone caratteristiche meccaniche, è molto resistente al gelo, ha buona stabilità termica. L’aggiunta di additivi plastificanti consente la realizzazione di prodotti flessibili e resilienti adatti all’impiego in edilizia; sensibile ai raggi ultravioletti viene integrato con additivi stabilizzanti che ne inibiscono la decomposizione. Nella posa è consigliabile l’interposizione di uno strato di
TNT che protegge la membrana dalle asperità del supporto. Con il poliisobutilene, PIB, polimero dell’isobutilene, si realizza una membrana adatta a essere impiegata in copertura. È resistente all’invecchiamento, ma ha scarsa resistenza al punzonamento; anche in questo caso è opportuno interporre uno strato di TNT a protezione della membrana. Le membrane che impiegano il polietilene semirigido ad alta densità, HDPE, polimero dell’etile, sono prodotte con bugnature profonde, costituite da rilievi semiconici o troncopiramidali che, oltre a rinforzare meccanicamente la membrana opponendosi anche alla perforazione delle radici, realizzano un’intercapedine drenante tra la membrana stessa e il supporto. Queste membrane sono particolarmente adatte nella protezione dai danni meccanici allo strato impermeabilizzante nelle platee di fondazione, nei muri controterra, nei giardini pensili. L’altezza delle bugne, da 8 a 20 mm, varia in ragione del tipo di applicazione della membrana. Nei muri controterra, il montaggio è spesso abbinato a un foglio di TNT sul lato a contatto con il terreno, per evitare che le particelle di quest’ultimo intasino gli spazi tra i rilievi.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
GEOTESSILI
URB
Sono impiegati con funzione di armatura nelle membrane impermeabili; con funzione filtrante e drenante nella realizzazione di drenaggi, giardini pensili, nelle opere di ingegneria civile e idraulica; come strato separatore e di scorrimento in abbinamento a strati di impermeabilizzazione, in particolare nelle coperture con elemento di tenuta in PVC. Il tipo tessuto è una stoffa realizzata con due serie di fili: ordito e trama; il tipo non tessuto, identificato con la sigla TNT, è un telo in poliestere, polipropilene o poliammide, somigliante a un feltro ma con elevata resistenza meccanica e chimica; le fibre o i filamenti che lo compongono sono distribuiti in maniera casuale e legati con trattamento meccanico (agugliatura), chimico (impregnazione) o termico (fusione). Anche i teli in velo di vetro sono comunemente assimilati ai TNT; hanno grammatura di 50 gr/mq, e sono costituiti da fibre di vetro del diametro di circa 15 micron e lunghezza compresa fra 6 e 12 mm; le fibre sono
incollate con resine termoindurenti, a base di bachelite o formaldeide, e i teli sono rinforzati da fili di vetro disposti longitudinalmente. Sono in produzione tessuti multiassiali in fibra di vetro, nei quali, alla planarità delle fibre, che consente di sfruttarne pienamente la resistenza a trazione, si aggiunge la multidirezionaità secondo le direzioni realmente sollecitate. La resistenza complessiva risulta così incrementata, mentre si riduce il peso. La cucitura con sottili fili di poliestere offre un ulteriore contributo al comportamento al taglio e alla resistenza all’urto. I TNT di poliestere, di peso variabile tra 100 a 300 gr/mq, sono ottenuti dall’incollaggio, con resine termoindurenti di tipo acrilico, delle fibre discontinue, TNT da fiocco, o del filato continuo, TNT da filo continuo, e successiva polimerizzazione a caldo. Le fibre discontinue hanno lunghezza non inferiore a 6 cm e, alla fine della lavorazione, risultano orientabili, cioè la resistenza meccanica è diversa nella direzione trasversale o longitudinale (comportamento ani-
sotropo). Le fibre continue che escono dalle filiere sono distribuite disordinatamente su un nastro trasportatore e saldate. Le caratteristiche meccaniche sono analoghe nelle due direzioni, trasversale e longitudinale, risultando un materiale con buon comportamento isotropo. Per i TNT è opportuno conoscere il peso unitario, la natura del trattamento legante, se sono costituiti da filamento continuo o da fiocco. Sono oggi in produzione membrane prefabbricate a effetto schermante che abbinano alla funzione impermeabilizzante quella di schermatura dell’edificio dagli effetti nocivi dei campi elettromagnetici, in particolare quelli causati dalle radiofrequenze (ponti radio, ripetitori, antenne di telefonia mobile, radar ecc.). Si tratta di membrane a base di bitume modificato, che adottano come armatura una speciale lega metallica, capace di neutralizzare gli effetti delle onde elettromagnetiche. In prossimità dei bordi, un particolare tipo di cimosa consente “il collegamento elettrico” tra i rotoli affidato a una speciale pasta conduttrice.
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE
TAB. F.2.1./4 PRINCIPALI CARATTERISTICHE DEI TESSUTI NON TESSUTI IN POLIESTERE DA FIOCCO E DA FILO CONTINUO
PESO SPESSORE
TNT da filo continuo
TNT da fiocco
170 gr/mq
200 gr/mq
1,0 mm
1,2 mm
Tipo di armatura
Caratteristiche principali
Campi di impiego
Velo di vetro 50 gr/mq
Ottima stabilità dimensionale; Strati di schermo al vapore; scarsa resistenza alla fatica 1° strato in coperture e al punzonamento. multistrato per conferire stabilità dimensionale.
Carico rottura UNI 8202-8
L daN/5 cm T daN/5 cm
52 45
60 40
TNT fiocco da 180 a 200 gr/mq
Buone caratteristiche meccaniche (carichi, lacerazioni, punzonamento). Scarsa isotropicità.
Rifacimenti e in tutti i campi di edilizia civile.
Allungamento alla rottura UNI 8202-8
L% T%
30 40
25 35
TNT filo continuo da 120 a 250 gr/mq
Migliori caratteristiche meccaniche e buona isotropia.
Rifacimenti e in tutti i campi di edilizia civile e industriale.
Biarmato (vetro+poliestere)
Buona stabilità dimensionale; Rifacimenti e in tutti i campi possibilità di delaminazione; di edilizia civile e industriale. possibilità di grinze in superficie.
Compositi da 130 a 200 gr/mq
Ottima stabilità dimensionale; Ove sia richiesta elevata buone caratteristiche stabilità dimensionale; meccaniche; strati a finire. isotropia e ortometria.
Resistenza alla lacerazione UNI 8202-9B
L daN T daN
3,5 3,5
3,0 3,3
Rientro termico a 200°C
L% T%
1,0 0,3
1,5 0,7
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
. E F.2.1 TERISTICH T CARA UISITI E REQ
F 139
F.2. 1.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE CARATTERISTICHE E REQUISITI
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
➦ MATERIALI IMPERMEABILIZZANTI POSA IN OPERA DEI MATERIALI IMPERMEABILIZZANTI L’efficacia della protezione impermeabile, indipendentemente delle prestazioni dei materiali utilizzati, è completamente vanificata da una posa in opera non corretta. Lo strato di tenuta deve assecondare i movimenti strutturali e le dilatazioni termiche senza venirne danneggiato. I difetti più comuni dei materiali sono in genere rilevabili a vista ed eliminabili prima della posa; le perdite di impermeabilità sono pertanto da attribuire essenzialmente a errori di progettazione ed esecuzione dell’opera. La posa dei materiali impermeabili avviene a freddo o a caldo e dipende dal tipo di materiale impiegato; a tale proposito, al di là dei criteri di carattere generale, è comunque necessario attenersi alle istruzioni dei produttori. Tutte le giunzioni devono avvenire per sovrapposizione (8-15 cm a seconda dei materiali) e lo strato a quota più alta deve sormontare quello a quota più bassa. La posa deve essere sempre effettuata a temperature superiori a 5°C e con tempo stabile; la superficie di posa deve essere asciutta e pulita. I materiali bituminosi sono posati generalmente a caldo; la posa a freddo non garantisce la durabilità del prodotto. L’asfalto viene steso a caldo in due strati, di 10 mm ciascuno, con giunti sfalsati. La miscela è composta di 60 parti in peso di mastice di asfalto, 34-39 parti di sabbia, 1-6 parti di bitume naturale. È steso direttamente sul massetto, la cui pendenza deve essere ≤ 8%. Data la poca elasticità del manto, l’interposizione di uno strato di scorrimento in velo vetro, TNT o carton feltro ne evita la fessurazione. La finitura superficiale è realizzata con uno strato di 15-20 mm composto da una miscela di asfalto e sabbia. Un piano praticabile è realizzato con mattonelle di asfalto, spessore 15-20 mm, posate su uno strato di asfalto di 5 mm, a sua volta steso su un feltro isolante; le fughe sono sigillate con ulteriore asfalto liquido e la finitura superficiale è realizzata con asfalto sabbiato. L’impermeabilizzazione a strati multipli impiega i cartoni
bitumati, i feltri bitumati, i teli di fibra di vetro bitumati. I teli sono posati a giunti sovrapposti, di almeno 8 cm; tra gli strati (da 3 a 8) viene interposto uno strato di bitume ossidato fuso o una membrana bituminosa posta in opera a fiamma. La massa base di bitume deve risultare alla fine pari a circa 6,5 Kg/mq per pendenze < del 10%, di 5,5 Kg/mq per pendenze > del 10%. Utilizzando una membrana sintetica prefabbricata è necessario verificarne l’assenza di difetti, rilevabili a vista, che ne limiterebbero la funzionalità: la mancanza di rettilineità dei rotoli è pericolosa solo nel caso di membrane autoprotette, poiché il taglio comprometterebbe la tenuta alle giunzioni; eventuali fessurazioni, vistose ondulazioni e delaminazioni (distacco dell’armatura dalla massa impermeabilizzante), irregolarità dello spessore, mancanza di adesione impongono la sostituzione del rotolo. Prima dello strato impermeabilizzante, il piano di posa deve essere asciutto, pulito e privato delle asperità che potrebbero compromettere l’aderenza o provocare il punzonamento del manto. Le membrane bituminose sono fissate al supporto mediante riscaldamento con cannello a fiamma del film plastico inferiore, sino a liquefarne lo strato superficiale. I teli adiacenti devono sovrapporsi di 10-20 cm. Gli strati successivi sono eseguiti con uguale modalità, badando che i giunti dello strato superiore non coincidano con quelli dello strato inferiore. I manti sintetici sono saldati con uno strato di bitume ossidato a caldo o con collanti a freddo. Nelle membrane in gomma EPDM la saldatura dei lembi sovrapposti avviene per vulcanizzazione, con speciale nastro e pressa termomeccanica, o con nastro di gomma biadesivo. Nei manti autoprotetti è sconsigliata la posa a fiamma. Nelle superfici in pendenza, le sovrapposizioni della membrana saranno ortogonali alla linea di pendenza e realizzate, come già detto, in modo che il telo a quota maggiore sormonti quello a quota inferiore, e non viceversa. In relazione al collegamento con il sottofondo sono pre-
viste tre modalità. Il collegamento in completa aderenza si ha quando lo strato di tenuta aderisce totalmente al sottofondo con una percentuale di adesione del 100%; questo tipo di posa si rivela il più affidabile soprattutto per i manti bituminosi, ma non sempre eseguibile in presenza di discontinuità del supporto. Il collegamento in semiaderenza prevede una percentuale di adesione di circa il 30%. I punti o le strisce adesive sono realizzati con prodotti adesivi o interponendo, tra il sottofondo e la guaina, uno strato forato di TNT o cartonfeltro, sul quale viene steso del bitume ossidato a caldo (1,5-2,0 kg/mq) che forma punti di adesione elastici in corrispondenza dei fori. La totale indipendenza della guaina dal supporto è adatta per impermeabilizzare superfici piane orizzontali e in zone con scarso vento; uno strato separatore in cartone bitumato o non tessuto precede la posa del manto; se posto in orizzontale, il manto impermeabile deve essere adeguatamente zavorrato senza ridurne l’indipendenza; le membrane con profilo bugnato, con funzione drenante o a protezione di un ulteriore strato impermeabile sono montate in genere secondo questa modalità. A differenza dei manti sintetici, nella posa delle guaine bituminose è bene evitare piegature con angoli ≤ 90°, che provocherebbero, in corrispondenza della piega, pericolose sollecitazioni di trazione. A tale scopo sono impiegati supporti in cemento retinato o profili di diverso materiale che attenuano la piegatura. I punti critici sono rappresentati dai giunti strutturali, dove la guaina deve essere lasciata libera di assecondare i movimenti della struttura, dagli imbocchi dei pluviali, dai raccordi con elementi verticali che costituiscono, se non protetti, vie certe di infiltrazione di acqua. Nei casi di elementi strutturali che possono subire l’aggressione delle radici (muri controterra, giardini pensili, fondazioni), lo strato impermeabile deve offrire requisiti di membrana antiradice, cioè di contrasto all’azione chimica, meccanica, di disgregazione, di punzonamento delle radici, ovvero essere integrato da uno strato con specifica funzione, proteggendo in tal caso anche lo strato impermeabile.
FIG. F.2.1./4 MODALITÀ DI POSA TAB. F.2.1./5 MEMBRANE BPP Caratteristiche primarie
POSA IN OPERA IN COMPLETA ADERENZA
POSA IN OPERA IN SEMIADERENZA
POSA IN OPERA IN COMPLETA INDIPENDENZA
Motivo
Utilità
Miglior stabilità dimensionale
Presenza del BPP
Miglior stabilità del manto
Miglior resistenza agli U.V.
Natura del BPP
Maggior durata del manto
Buon rapporto prezzo/qualità
Costo del polimero
Economicità
TAB. F.2.1./6 MEMBRANE SBS Caratteristiche primarie
MASSETTO DELLE PENDENZE SFALSAMENTO DEI GIUNTI DELLE MEMBRANE IMPERMEABILI
F 140
SOVRAPPOSIZIONE DELLE MEMBRANE IMPERMEABILI IN DIREZIONE DELLE PENDENZE
Motivo
Utilità
Unistagionalità membrana
Non esiste mescola estate/inverno
Tempi maggiori di stock
Ottima lavorabilità a basse temperature, scarsa lavorabilità nella bella stagione
Natura del polimero SBS
Impiego basse temperature
Miglior resistenza alle Alto modulo elastico sollecitazioni meccaniche
In tutti i casi ove è richiesta resistenza alla fatica
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
CHIUSURE ORIZZONTALI FONDAZIONI E INTERRATI •
A.ZIONI
PROTEZIONE DELLE MURATURE DI FONDAZIONE Le murature di fondazione sono interessate dal fenomeno dell’umidità, sia per percolamento dal terreno circostante, sia per risalita capillare. I sistemi di protezione prevedono la realizzazione di intercapedini perimetrali aerate, che isolano la struttura muraria dal contatto laterale con il terreno, oppure l’impiego di barriere impermeabili verticali e orizzontali, associate a un sistema di drenaggio. La barriera impermeabile è realizzata generalmente con membrane bituminose armate con velo di vetro o TNT di poliestere.
La posa della membrana in verticale deve essere preceduta da un pretrattamento bituminoso con primer applicato sulle murature, che garantisce l’adesione e la tenuta nel tempo; la guaina si estenderà dal piano di imposta del muro interrato sino a 10-15 cm fuori terra. La giunzione tra lo strato di tenuta verticale e quello orizzontale deve essere accurata. In presenza di falda freatica prossima alle murature è opportuno applicare due strati di impermeabilizzazione sia verticale che orizzontale.
FIG. F.2.2./1 PROTEZIONE CON INTERCAPEDINE
FIG. F.2.2./2 PROTEZIONE CON MEMBRANE IMPERMEABILI
GRIGLIA
MURATURA
MALTA E PAVIMENTAZIONE MASSETTO IN CALCESTRUZZO STRATO DI SEPARAZIONE
F.2. 2.
ELEMENTO DI TENUTA VERTICALE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
PROFILO DI CHIUSURA LASTRA DI PAVIMENTAZIONE E DEFLUSSO ACQUE METEORICHE TESSUTO NON TESSUTO A PROTEZIONE DEL DRENAGGIO
ELEMENTO DI TENUTA ORIZZONTALE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
MASSETTO RINFORZO
STRATO ISOLANTE 4 cm GUAINA IMPERMEABILE SU STRATO DI PROTEZIONE
VESPAIO
MASSETTO IN CALCESTRUZZO
DRENAGGIO ELEMENTO DI PROTEZIONE DELLA GUAINA IN FOGLIO DI POLIETILENE A RILIEVO
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
GUAINA TAGLIAMURO
CUNETTA CON PENDENZA VERSO IL PUNTO DI RACCOLTA DELL’ACQUA DELL ACQUA
F. TERIALI,
CONDOTTO PER SCARICO
URB
TUBO DI DRENAGGIO
INTERCAPEDINE CON CUNETTA DI RACCOLTA DI ACQUA
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
TUBO DI RACCOLTA ACQUA VENTILAZIONE DEL VESPAIO
GUAINA IMPERMEABILE MASSETTO IN PENDENZA
GRIGLIA DI PROTEZIONE GUAINA IMPERMEABILIZZANTE PROFILO DI CHIUSURA MEMBRANA SEMIRIGIDA IN POLIETILENE AD ALTA DENSITA’ DENSITA CON FUNZIONE DRENANTE
STRATO DI LIVELLAMENTO
TELO IN TNT DI RACCOLTA E PROTEZIONE GHIAIA
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
CANALE DI VENTILAZIONE IN PVC
F.3. IONI IZ PART E N INTER
RETE ELETTROSALDATA VESPAIO AERATO
10 15 40
INTERCAPEDINE CON CUNETTA E TUBO DI RACCOLTA ACQUA
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE
COLLETTORE DRENANTE GRIGLIA
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
GUAINA IMPERMEABILE BOCCA DI LUPO PREFABBRICATA IN MATERIALE PLASTICO
. E F.2.1 TERISTICH T CARA UISITI E REQ . F.2.2AZIONI E FOND ATI R INTER
F 141
F.2. 2.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE FONDAZIONI E INTERRATI
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
➦ PROTEZIONE DELLE MURATURE DI FONDAZIONE OPERE DI DRENAGGIO Il sistema di drenaggio (DIN 4095, 18195) contribuisce alla dispersione nel terreno dell’acqua in eccesso, evitando ristagni. La dispersione deve essere distribuita e non concentrata, in modo da non saturare il terreno con carichi eccessivi di acqua, ma consentirne il rapido smaltimento. Il drenaggio circonda il perimetro della fondazione; per le opere civili, è realizzato con uno strato di pietrame da collocare in opera a mano, su terreno ben costipato per evitare cedimenti. La dimensione delle pietre diminuirà mano a mano che si sale: da pietre grosse e regolari negli strati più profondi fino a impiegare, nell’ultimo strato superiore, del pietrame minuto, ghiaia o pietrisco, al fine di impedire l’intasamento degli interstizi tra le pietre con la terra sovrastante, che dovrà essere convenientemente pigiata sull’ultimo strato di pietrisco. Il drenaggio è disposto, come si è detto, sul perimetro delle strutture fondali, o a poca distanza da esse (nel caso di elevata presenza
di acqua o quando sia necessario bonificare gli strati sottostanti la base di fondazione). In presenza di terreno impermeabile è opportuno prevedere un tubo di drenaggio, situato alla base del drenaggio. Il tubo di drenaggio presenta dei fori sulla parte superiore, destinati a incanalare l’acqua drenata al suo interno, e ha un’inclinazione di 5 mm per metro lineare verso le canalizzazioni di scarico. Il tubo deve presentare ottima resistenza alla compressione, ottima flessibilità e adattabilità a ogni tipo di percorso. Vicino al tubo di drenaggio il pietrame sarà di maggiore dimensione e regolare. Un ulteriore sistema prevede la disposizione inversa del pietrame: scendendo in profondità, la granulometria è via via più sottile, fino ad arrivare con uno strato di 20-30 cm di sabbia grossa intorno al tubo di drenaggio. Il pietrame necessario al drenaggio può anche essere avvolto, o semplicemente protetto sui lati esterni, da uno strato di TNT che, oltre a contenerne la massa, ha anche funzione filtrante.
FIG. F.2.2./3 PROTEZIONE DI MURATURE SEMPLICI E A DOPPIA PARETE
BARRIERA IMPERMEABILE VERTICALE
STRATO TERMOISOLANTE
MASSETTO ARMATO PER PAVIMENTAZIONE
GUAINA TAGLIAMURO
STRATO DI PROTEZIONE DELLA GUAINA
GUAINA DRENAGGIO
GIUNTO DI PROTEZIONE DELLA GUAINA (PONTAGE)
GUAINA TAGLIAMURO FONDAZIONE
MAGRONE IN CLS DRENAGGIO BARRIERA IMPERMEABILE ORIZZONTALE
VESPAIO DI AERAZIONE
TUBO DI DRENAGGIO PROTEZIONE DALL DALL’UMIDIT UMIDITÀ NELLE FONDAZIONI CONTINUE E ISOLATE E MURI CONTROTERRA TESSUTO NON TESSUTO BARRIERA IMPERMEABILE ORIZZONTALE BARRIERA IMPERMEABILE TAGLIAMURO SAGOMATA A “Z”
STRATO DI PROTEZIONE IN VELO DI VETRO
TUBO DI DRENAGGIO
RIPORTO
GHIAIA
STRATO ISOLANTE
ISOLANTE TUBO DI DRENAGGIO
BARRIERA TAGLIAMURO
STAFFE DI COLLEGAMENTO TRA LE PARETI
RACCORDO DI SCARICO DALLA CUNETTA
BARRIERE IMPERMEABILI
80 cm
VESPAIO
PROTEZIONE DI MURATURA A DOPPIA PARETE
F 142
PROTEZIONE DI PARETE DOPPIA CON MURO SEMINTERRATO DOPPIO E CUNETTA TRA LE DUE PARETI
CUNETTA INTERNA DI RACCOLTA (PENDENZA 1%) 1 )
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
CHIUSURE ORIZZONTALI FONDAZIONI E INTERRATI •
F.2. 2. A.ZIONI
PROTEZIONE DELLE CHIUSURE ORIZZONTALI DI BASE e tra loro, posti a interasse ≤ 1,5 m e con sezione non inferiore a 15 cm di base e 20 cm di altezza. Il vespaio ha funzione drenante e portante; viene realizzato con pietre omogenee derivanti da rocce compatte non gelive, con buona resistenza meccanica, non gessose o marmose. Per lo strato superficiale si impiegano grossi scheggioni a contrasto, disposti con l’asse maggiore verticale; i vuoti saranno riempiti con scaglie di pietra; l’ultimo strato sarà costituito da ghiaietto fine sino alla quota prescritta. Il massetto su membrana impermeabile è generalmente impiegato per realizzare i solai di garage, depositi, rimessaggi. Su un terreno spianato e battuto, si dispone uno strato drenante di pietrisco di 10-15 cm, sul quale viene stesa una guaina impermeabile, previa eventuale interposizione di una membrana antiradice. A completamento viene steso un massetto di 8 cm su cui potrà essere posato il rivestimento. L’impiego di una membrana bugnata, di spessore 8 mm, su terreno compatto, sostituisce lo strato di pietrame e riduce sensibilmente lo spessore complessivo del solaio.
La chiusura orizzontale di base deve possedere requisiti tali da assicurare l’abitabilità e il comfort degli ambienti interessati. Il sistema costruttivo deve quindi provvedere a garantire il controllo dell’umidità risalente dal terreno, della condensa, della temperatura superficiale. Questi requisiti sono raggiunti mediante la costruzione di un’intercapedine aerata, di un vespaio aerato o di un massetto su membrana impermeabile. L’intercapedine aerata è ubicata al di sotto del solaio; è alta circa 60 cm ed è comunicante con una intercapedine perimetrale chiusa all’esterno da una griglia; in tal modo è garantita l’aerazione continua dell’intercapedine sottostante il solaio. Il solaio può essere realizzato con il sistema a setti e impalcato, quando l’impalcato è portato da muretti, i quali non devono essere di ostacolo alla circolazione di aria e provvisti, quindi, di fori di aerazione; oppure con il sistema a ordito e impalcato, quando il solaio è sostenuto dai muri di ambito o dalle travi dell’ossatura portante. Nel vespaio aerato il solaio insiste su uno strato di pietrame grezzo entro il quale è assicurata l’aerazione mediante canali di aerazione paralleli, comunicanti con l’esterno
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
FIG. F.2.2./4 INTERCAPEDINE AERATA CON SOLAIO A SETTI E IMPALCATO CANALE GRIGLIATO
CANALE DI AERAZIONE
E.NTROLLO
PAVIMENTO
CO NTALE AMBIE
SOTTOFONDO
MARCIAPIEDE PENDENZA 3 3%
MASSETTO CON EVENTUALE PASSAGGIO DI IMPIANTI
CIGLIO
CANALE GRIGLIATO
BARRIERA AL VAPORE STRATO ISOLANTE
20 20 mm
40
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
20 20
SOLETTA
DRENAGGIO IN CIOTTOLI DI FIUME POSATI A SECCO
F. TERIALI,
60 20
SEZIONE DEL CANALE
TRAVERSINA DEL CANALE
SEZIONE DEL TELAIO
G.ANISTICA URB
INTERCAPEDINE 40 AERATA
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
80
GRIGLIE DI PROTEZIONE
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ PIANTA FORI DI AERAZIONE
GRIGLIE DI PROTEZIONE
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
FIG. F.2.2./5 INTERCAPEDINE AERATA CON SOLAIO A ORDITO E IMPALCATO TAVELLONI O PANNELLI PREFABBRICATI
PAVIMENTAZIONE
F.5. I D ARRE
SOTTOFONDO (con eventuale rete)
SOLETTA CON RETE ELETTROSALDATA TRAVE PREFABBRICATA TIPO “VARESE VARESE”
MARCIAPIEDE IN CALCESTRUZZO CON RETE ELETTROSALDATA
BARRIERA AL VAPORE STRATO ISOLANTE
F.3. IONI IZ PART E N INTER
CANALE DI VENTILAZIONE GRIGLIA DI AERAZIONE 25 mm
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
90 mm
27 mm 16 mm IMPERMEABILIZZAZIONE PERIMETRALE
40 mm 85 mm
INTERCAPEDINE AERATA
TUBO DI DRENAGGIO
. F.2.2AZIONI E FOND ATI R INTER
F 143
F.2. 2.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE FONDAZIONI E INTERRATI
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
➦ PROTEZIONE DELLE CHIUSURE ORIZZONTALI DI BASE FIG. F.2.2./6 VESPAIO AERATO TUBO DI AERAZIONE TUBO DI AERAZIONE FINITURA IN BATTUTO DI CEMENTO 3 cm
BATTUTO DI CEMENTO 3 cm BATTUT STRATO IMPERMEABILIZZANTE
STRATO DI LIVELLAMENTO 8 cm
STRATO IN CALCESTRUZZO MAGRO
BARRIERA AL VAPORE
GRIGLIA DI PROTEZIONE
ISOLANTE 4 cm IMPERMEABILIZZAZIONE
STRATO DI SCORRIMENTO E PROTEZIONE
STRATO DI SCORRIMENTO E PROTEZIONE
GRIGLIA DI PROTEZIONE
RETE ELETTROSALDATA
TUBO DI DRENAGGIO
MASSETTO CON RETE ELETTROSALDATA 12 cm
12
TUBO DI AERAZIONE 40
VESPAIO AERATO 40 cm
STRATO IMPERMEABILE
Adatto a locali abitati
STRATO DRENANTE IN CIOTTOLI DI FIUME A SECCO
Adatto a locali non abitati CANALE DI AERAZIONE FERMAGETTO RETE ELETTROSALDATA VESPAIO AERATO H =27 27÷45 45 cm 500
500 270 ÷450 450
MAGRONE
360
CASSERO A PERDERE
500
CASSERO A PERDERE MODULARE IN POLIPROPILENE PER LA REALIZZAZIONE DI SOLAI AERATI E COPERTURE AERATE
FIG. F.2.2./7 MASSETTO SU MEMBRANA IMPERMEABILE RIVESTIMENTO INTERNO
MASSETTO CON RETE ELETTROSALDATA S > = 8 cm
MASSETTO CON RETE ELETTROSALDATA S > = 8 cm
GUAINA IMPERMEABILE STRATO DI PROTEZIONE
10 ÷15 15 cm
STRATO DRENANTE IN PIETRISCO
MEMBRANA BUGNATA 8 - 10 mm TERRENO COMPATTO
TERRENO COMPATTO
MASSETTO SU MEMBRANA IMPERMEABILE TRADIZIONALE
MASSETTO CON L’IMPIEGO L IMPIEGO DI UNA MEMBRANA BUGNATA
CHIUSURE IN GRIGLIATI METALLICI I principali procedimenti di produzione dei grigliati fanno capo all’elettroforgiatura e alla pressatura. Nel processo di elettroforgiatura i piatti portanti vengono posti paralleli tra loro e sopra di essi vengono posti i tondi, perpendicolari ai primi. I tondi vengono saldati sotto pressa in modo da penetrare completamente nella parte superiore del piatto,
F 144
conformando una struttura reticolare di massima resistenza. Nel processo di pressatura i piatti portanti sono preventivamente intaccati nella parte superiore. L’ordito secondario, anch’esso costituito da piatti d’acciaio, viene forzato negli intagli con una pressa ad alta capacità. I piatti secondari subiscono una deformazione perma-
nente, dovuta alla particolare forma e disposizione degli intagli, ottenendo una struttura reticolare solida, indeformabile e con un ottimale ripartizione del peso. Gli elementi così realizzati vengono zincati a caldo; successivamente possono essere verniciati o plastificati con resine poliuretaniche termoplastiche e termoindurenti.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
CHIUSURE ORIZZONTALI FONDAZIONI E INTERRATI •
F.2. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.2.2./8 GRIGLIATI METALLICI GRIGLIATI PRESSATI
GRIGLIATI ELETTROFORGIATI
B.STAZIONI DILEGIZLII
FISSO
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
FISSO CON SCOSSALINA
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU TONDINO
QUADRELLO
ANTISDRUCCIOLO
APRIBILE
E.NTROLLO
CONFIGURAZION CONFIGURAZIONI DELLA CORNICE DI TESTA
CO NTALE AMBIE
TAGLIO DELLA GRIGIA E SAGOMATURA DELLA CORNICE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB GRIGLIA APRIBILE TOLLERANZA
PAVIMENTO ALLETTAMENTO
GIUNTO ELASTICO
CERNIERA
GRIGLIATO APRIBILE
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
15 15
SOTTOFONDO 40
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
TELAIO CLS
ZANCA
LUCE NETTA
F.3. IONI IZ PART E N INTER
30
TAB. F.2.2./1 SOLLECITAZIONI ESTERNE E FRECCE ELASTICHE PIATTO PORTANTE h x S (mm) 25 x 2 30 x 2 40 x 2
MAGLIA 22 x 76
25 x 3 30 x 3 35 x 3 40 x 3 50 x 3 60 x 3 40 x 4 50 x 4 60 x 4 70 x 4
LUCE NETTA TRA GLI APPOGGI
CUD CC CUD CC CUD CC CUD CC CUD CC CUD CC CUD CC CUD CC CUD CC CUD CC CUD CC CUD CC CUD CC
300
400
500
600
700
800
900
1000
1100
1200
1300
1400
1500
1600
1700
1800
1900
2000
13510 730 19450 1050 34580 1870 20260 1100 29180 1580 39720 2150 51880 2810 81060 4400 116720 6330 69170 3750 108080 5860 155640 8440 211850 11490
7600 480 10940 700 19450 1250 11400 730 16410 1050 22340 1430 29180 1870 45600 2930 65660 4220 38910 2500 60800 3910 87550 5630 1191160 7660
4850 360 6980 520 12420 930 7280 550 10480 790 14260 1070 18630 1400 29120 2200 41930 3160 24840 1870 38820 2930 55910 4220 76100 5740
3370 290 4860 420 8640 750 5060 440 7290 630 9930 860 12970 1120 20260 1760 29170 2530 17290 1500 27020 2340 38910 3370 52960 4590
2470 240 3560 350 6330 620 3710 360 5340 520 7280 710 9500 930 14850 1460 21380 2100 12670 1250 19810 1950 28520 2810 38820 3830
1870 210 2730 300 4860 530 2800 310 4100 450 5580 610 7290 800 11400 1250 16410 1800 9720 1070 15200 1670 21880 2410 29790 3280
1320 180 2170 260 3860 460 1980 270 3260 390 4440 530 5800 700 9060 1100 13040 1580 7730 930 12080 1460 17400 2110 23690 2870
960 140 1660 235 3140 410 1440 220 2500 350 3600 470 4710 620 7360 970 10590 1390 6280 830 9810 1300 14130 1870 19230 2550
720 120 1260 200 2600 370 1090 180 1880 310 2990 430 3910 560 6100 880 8780 1260 5210 750 8140 11700 11720 1690 15960 2300
550 100 950 170 2160 340 830 150 1430 260 2280 390 3240 510 5060 800 7280 1150 4320 680 6750 1060 8720 1530 13240 2090
430 80 750 140 1780 310 650 130 1120 220 1790 350 2670 460 4300 730 6192 1051 3560 620 5740 970 9270 1400 11250 1910
350 70 610 120 1440 280 530 110 910 190 1450 300 2170 430 3770 670 5429 965 2890 570 5020 900 7240 1300 9850 1760
280 60 500 110 1180 260 430 90 750 160 1190 260 1770 390 3300 620 4752 893 2370 530 4400 830 6340 1200 8640 1640
230 50 410 90 970 230 350 80 610 140 970 230 1460 340 2850 580 4104 835 1940 460 3800 780 5560 1120 7570 1530
190 50 330 80 800 200 290 70 500 130 800 200 1200 300 2350 550 3384 792 1600 410 3130 730 4870 1050 6640 1430
160 40 290 70 690 180 250 60 430 110 690 180 1030 270 2020 510 2909 734 1380 360 2690 690 4430 990 6040 1350
140 40 240 60 570 160 200 60 360 100 570 160 850 240 1670 480 2405 691 1140 330 2230 640 3860 930 5280 1270
120 30 200 60 490 140 180 50 310 90 490 140 740 220 1440 430 2074 619 980 290 1930 580 3330 880 4800 1200
CUD carico uniformemente distribuito daN/m2 ca. CC carico concentrato daN/impronta 200 x 200 mm
Materiale in Fe 360B Carico di sicurezza 16 daN/mm2 (1 daN = 1 kg) Freccia elastica massima 1/200 della luce netta tra gli appoggi
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
. F.2.2AZIONI E FOND ATI R INTER
F 145
F.2. 3.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE PAVIMENTI
CHIUSURE ORIZZONTALI
•
TIPI DI PAVIMENTI Il pavimento costituisce l’ultimo strato di finitura del solaio; deve sopportare i carichi previsti dalla destinazione d’uso (se soggetto a urti dovrà essere resiliente cioè, con possibilità di deformarsi, ma con una precisa capacità di “ritorno”), deve assecondare assestamenti e dilatazioni, deve resistere all’abrasione (calpestio e/o carraia), deve essere facilmente manutenibile (resistere all’aggressione chimica dei detersivi), deve essere sicuro per l’utenza (antiscivolo), in caso d’incendio non deve produrre fumo, deve resistere agli sbalzi termici (non gelivo per gli esterni), deve essere durevole. I materiali utilizzati per i pavimenti devono rispondere a una serie di norme specifiche (caratteristiche chimicofisiche, dimensionali, modalità delle prove). Importante nella messa in opera è la composizione e lo spessore del sottofondo e la sua esatta maturazione; è necessario, inoltre, rispettare i giunti di dilatazione strutturali. Il produttore indica insieme alla rispondenza alle normative del pavimento le modalità di messa in opera consentite. Il pavimento, di regola, viene eseguito prima dell’intonacatura delle pareti perimetrali. I pavimenti sono di due tipi: a elementi o continui. PAVIMENTI A ELEMENTI Gli elementi possono essere messi in opera con malta o con colla; si può evidenziare l’accostamento dei singoli elementi, disegnando con lo spessore della malta le fughe (0,5-1,5 mm); dopo la messa in opera degli elementi, possono essere necessarie ulteriori lavorazioni (lamatura, arrotatura, lucidatura). Per il collante è importante conoscere il “tempo aperto”, l’intervallo nel quale la presa non è completata e quindi l’elemento può essere rimosso, ma senza che il prodotto perda le sue caratteristiche di adesività. I collanti che contengono sostanze volatili possono richiedere particolari attenzioni e precauzioni per prevenire danni alla salute del posatore. La posa a colla necessita di un sottofondo adeguatamente orizzontale: si presta a essere utilizzata su pavimenti preesistenti. PAVIMENTI CONTINUI Possono essere stesi a teli ovvero gettati in opera (autolivellanti). Per i pavimenti gettati in opera è necessario prestabilire le eventuali perimetrazioni previste per rispondere alle dilatazioni termiche e le modalità di manutenzione e/o di sostituzione.Tra i primi vi sono quelli tessili, come la moquette e gli agugliati, come la gomma, il PVC nei diversi tipi, il linoleum, i semiflessibili, i vinilici autoadesivi; quelli laminati a base di melanina e derivati del legno. I teli vengono prevalentemente incollati con adesivi mono o bicomponente. Questi ultimi hanno una bassa appiccicosità iniziale. È opportuno impiegare adesivi con bassa emissione di sostanze organiche volatili. Può essere necessario, secondo l’adesivo scelto e il suo grado di appiccicosità iniziale zavorrare il telo.
FIG. E.2.3./1 TIPI DI PAVIMENTI CEMENTO PER STRATO SUPERFICIALE
MASSETTO DI GHIAIETTA, SABBIA E CEMENTO
CALCESTRUZZO DI CEMENTO DOSATO A 250 kg
1,5 SOTTOFONDO DI GHIAIA
12
3 -4 4
BATTUTO DI CEMENTO Per pavimenti limitatamente carreggiabili. Superficie rigata a geometrico e bocciardata.
BATTUTO DI CEMENTO Su sottofondo preesistente
GRANIGLIA 1-2 cm E STRATO SUPERFICIALE DI SABBIA SILICEA
LASTRE DI MARMO DI LATO 5-10 5 10 cm. cm 2 3 cm. SPESSORE 2-3 cm giunti stilati con boiacca grassa di cemento colorato
SOTTOFONDO DI CALCESTRUZZO A 250 kg, kg, stagionato, asciutto, pulito e spianato con malta liquida fine
STRATO DI ASFALTO steso a caldo e ricoperto dalla graniglia prima del raffreddamento
SOLAIO O GRETONATO
ASFALTO FUSO Per marciapiedi, cortili o per locali con intenso traffico SCAGLIE DI MARMO 10-25 mm IN MALTA GRASSA DI CEMENTO E POLVERE DI COCCIO O MARMO BATTUTO A RIFIUTO
BOLLETTONATO
SOTTOFONDO DI CEMENTO E SABBIA O DI DETRITI DI LATERIZIO E MALTA IDRAULICA
2 ÷3
BATTUTO ALLA VENEZIANA
SOLAIO O SOTTOFONDO
STILATURA CON MALTA DI CEMENTO
MOSAICO STILATURA CON MALTA DI CEMENTO 5,5 3 2
SABBIA 3 2
EVENTUALE STRATO DI SUGHERO AFONICO 2 cm
SOLAIO O SOTTOFONDO AMMATTONATO Mattoni in piano
RASATURA A GESSO MAGNESIACO PER SPIANAMENTO DOPO PROSCIUGAMENTO DEL MASSETTO (20 giorni dal getto)
2÷3
LINOLEUM SPESSORI DA 2,5 A 6 mm LISCIATURA O CARTONFELTRO 10 mm
MASSETTO DI CALCESTRUZZO
4 ÷6
ASFALTO 1 cm
LINOLEUM SPESSORI SU COLLA DA 2,5 A 6 mm
EVENTUALE STRATO AFONICO 1,5 cm ASSITO IN TAVOLE GIÀ ISOLATO DALL’UMIDIT GI DALL UMIDITÀ
VECCHIO PAVIMENTO
RASATURA PREVIA STESURA DI VERNICE BITUNINOSA SABBIATA COLLA strato sottile
2 ÷3 MALTA SOLAIO O SOTTOFONDO
LINOLEUM Su legno
EVENTUALE STRATO AFONICO cm 2
RASATURA A GESSO MAGNESIACO
LINOLEUM Su sottofondo di asfalto
LINOLEUM Su sottofondo di cemento
SOLAIO O SOTTOFONDO
F 146
MINIMO 3 cm DI MALTA DI CEMENTO O CEMENTO E POMICE O CEMENTO E SCORIE
5 ÷6
PIASTRELLE (CERAMICA, COTTO, GRES)
LINOLEUM SPESSORI DA 2,5 A 6 mm
COLLA strato sottile
SOLAIO O SOTTOFONDO
MALTA
MALTA SABBIA
SOLAIO O SOTTOFONDO
AMMATTONATO Mattoni posti di coltello
2÷3 2÷3 PIASTRELLE
MALTA SOLAIO O SOTTOFONDO
MALTA
12,5
5 ÷8
PARTICOLARE ZOCCOLO (nel pavimento a elementi l’intonaco l intonaco è eseguito successivamente)
MOSAICO
2 4
LISTE DI MARMO O OTTONE, ANTICORODAL ECC. POSATE SULL’ESTRADOSSO SULL ESTRADOSSO DEL SOLAIO
INTONACO 8÷10 10
INTONACO
SOLAIO O SOTTOFONDO
SOTTOFONDO DI CEMENTO A LENTA PRESA (250 kg x mc di ghiaia fine)
4 ÷6
0,51,3 0,5 1,3 0,7
MALTA MOLTO GRASSA DI CEMENTO E POLVERE DI COCCIO O MARMO SPESSORE 2-3 2 3 cm
2÷3 2÷3
2 2
LINOLEUM SPESSORI 2,5-8 mm LARGHEZZE ROTOLI 1-2 m 11
SOTTOFONDO PREESISTENTE
EVENTUALE STRATO AFONICO cm 1,5 O CARTONFELTRO PER SOTTOSTRATO
MALTA SOLAIO O SOTTOFONDO
LINOLEUM Su vecchio pavimento
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
CHIUSURE ORIZZONTALI PAVIMENTI
•
F.2. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.2.3./2 TIPI DI PAVIMENTI E ACCESSORI
MALTA MISCELATA A EMULSIONE BITUMINOSA (per perfezionamento del piano)
LISCIATURA CON MALTA LIQUIDA FINE STAGIONATA E ASCIUTTA
ADESIVO BITUMINOSO IN SOLVENTE MASSETTO DI CEMENTO O PREESISTENTE PAVIMENTO DI PIASTRELLE O MONOLITICO
RESINA 3 ÷5 mm
GOMMA CON SUPERFICIE LISCIA O RIGATA RIDOSSO CELLULARE O SCANALATO (S = 3 ÷18 18 mm)
SPIANATURA CON MALTA DI CEMENTO E SABBIA FINE (in parti uguali)
RESINA 3 ÷5 mm
E ESE ESSIONAL PROF
5 ÷7
RESINA SINTETICA Spalmata senza giunture su fondo massiccio e liscio. Anche su preesistenti pavimenti
RESINA SINTETICA In teli o in piastrelle ANCORAGGIO PAVIMENTI IN GOMMA (posa a tappeto)
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
GOMMA Con attacco a cemento
CO NTALE AMBIE
SEZIONE PAVIMENTI IN GOMMA
GOMMA A RIDOSSO CELLULARE S= 5 ÷8 8 mm
GOMMA A RIDOSSO CELLULARE S= 5 ÷8 8 mm
MASSETTO DI CEMENTO 3 ÷4 cm (a 350 kg gettato 2 ÷3 3 giorni della posa del pavimento)
BOIACCA DI CEMENTO (1 parte di cemento 2 parti d d’acqua) acqua)
SOLAIO PORTANTE
ZOCCOLINO IN LEGNO
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO 4 ÷7
TASSELLI IN LEGNO
B.STAZIONI DILEGIZLII
1. A RIDOSSO CELLULARE 5,5
LISTELLI IN LEGNO INCASSATI NEL SOTTOFONDO
2. A RIDOSSO PIANO 5
8
7,5
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
8
G.ANISTICA
4 ALZATA 200 mm
GIUNZIONE TRA PAVIMENTI DIVERSI
F. TERIALI,
3. RIVESTIMENTO GRADINI
GIUNZIONE SUI GRADINI
URB
PEDATA 350 mm
ACCESSORI IN ALLUMINIO: PASSACAVI 30 10
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
14
83
10
8
5
10 27
TESSUTO TESSUTO ORDITO SUPPORTO TRAME FILATE LATTICE PRINCIPALE
TESSUTO ORDITO (senza supporto)
SUPPORTO DA INCOLLARE SUPPORTO DA INCOLLARE
TESSUTO INCOLLATO FIOCCHI VINILE
TRAME FILATE
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
5 14
ZOCCOLO RIPORTATO (legno, alluminio)
ZOCCOLO CONTINUO FERMO IN ALLUMINIO O PVC
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE
SUPPORTO DA INCOLLARE SPESSORE
LEGNO
DIMENSIONI VAR VAR
2÷3
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
VAR
3 x 6 cm
2÷3
PROFILI IN LEGNO AFFOGATI NEL SOTTOFONDO
SEZIONI TIPO
LISTE CATRAMATE
CHIODI LISTELLI
2÷3
LISTELLI COLLA
LEGNO (inchiodato) 2÷3
LEGNO (su pavimento esistente)
F.3. IONI IZ PART E N INTER
MALTA DI SABBIA E CEMENTO
PAVIMENTO ESISTENTE PRIMA FILA (inchiodato)
50 °
ALTRE FILE (inchiodato)
VARIABILE
DISPOSIZIONI TIPO
SOTTOFONDO
CORRENTI IN LEGNO
. F.2.3 ENTI PAVIM
F 147
F.2. 3.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE PAVIMENTI
CHIUSURE ORIZZONTALI
•
➦ TIPI DI PAVIMENTI TIPI DI PAVIMENTO È un sistema complesso che permette di ricavare sotto il pavimento vani di altezza diversa, attrezzabili per il passaggio di cavi e di canali. È composto generalmente da piastrelle autoportanti e piedini regolabili. Le prime, che presentano un’ampia gamma di finiture all’estradosso, sono facilmente amovibili per la manutenzione dei sistemi tecnologici alloggiati nel vano sottostante; i piedini regolabili, con o senza traversi di collegamento, trasmettono i carichi, ai quali è sottoposto il pavimento, al solaio sottostante, attraver-
so la base allargata del piedino stesso fissata al solaio. È importante che il pavimento sia a tenuta per consentirne la pulizia senza che l’acqua penetri nel vano sottostante. Per il pavimento viene richiesta la soddisfazione dei seguenti requisiti: a) resistenza all’usura; b) resistenza agli urti; c) resistenza all’umidità (anche per il prodotto usato per l’allettamento; d) resistenza alle macchie;
e) resistenza alla luce; f) resistenza alla sigaretta (e resistenza al fuoco secondo la classe prescritta dall’uso dell’ambiente, DM 25 giugno 1984); g) resistenza agli aggressivi chimici (natura per tipo d’uso); h) deve essere antibatterico; i) deve essere facilmente pulibile; l) resistenza elettrica superficiale. La normativa europea di riferimento è la UNI EN 438.
FIG. F.2.3./3 PAVIMENTI SOPRAELEVATI
BASE STAMPATA INCOLLATA
TRAVERSA IN PROFILATI A FREDDO
20 mm
TESTA
REGOLAZIONE PIEDE IN ACCIAIO ZINCATO
CON TELAIO POSIZIONATO A SCATTO SULLA TESTA
TRAVERSA IN PROFILATI A FREDDO
Ø 16 ÷20 20
CON TELAIO FISSATO
40 mm
CON APPOGGIO DIRETTO
Ø 16 ÷20 20
PARTICOLARE FISSAGGIO
BATTISCOPA IN PVC INCOLLATO
GUARNIZIONE ANTISTATICA
PIASTRELLA TIPO CON GRIGLIA PER L’ARIA ARIA CONDIZIONATA
CON VANO USCITA CAVI
FIG. F.2.3./4 PAVIMENTI ATTREZZATI CANALETTE DA INSERIRE NEL SOTTOFONDO (in lamiera piegata a freddo) ALLETTAMENTO
SOTTOFONDO
MOQUETTE
PAVIMENTO
FELTRO
CANALETTA A COMPARTI
SOTTOFONDO SOLAIO
TAPPO
COLONNINA D’UTENZA UTENZA
CANALETTA
2÷3 3 2
3 21
SOLAIO
PUNTI D’UTENZA D UTENZA
9
9
ISOLAMENTO ACUSTICO DEI PAVIMENTI Il comportamento acustico di una pavimentazione, sollecitata dal rumore di calpestio, dipende da diversi parametri, tra cui la composizione del solaio, lo spessore, la massa areica. Lo strato portante dei solai non ha in genere un comportamento acustico tale da assicurare un buon isolamento dai rumori di calpestio nei locali abitati. TAB. F.2.3./1 COMPORTAMENTO ACUSTICO DI SOLAI IN CEMENTO ARMATO MONOLITICO (UNI 8437) (per luci comprese tra 1,5 e 6 m)
F 148
Spessore della soletta (cm)
Indice di valutazione (Lnw)
12
84 dB
15
81 dB
20
78 dB
25
75 dB
Rispetto ai solai monolitici, quelli laterocementizi e in genere le strutture contenenti cavità, hanno di massima un decremento del valore di Lnw da 7 a 10 dB.
SOLUZIONI COSTRUTTIVE Per quanto riguarda le chiusure orizzontali, una soluzione ricorrente è il controsoffitto (cfr. F.2.4.), in particolare per la correzione acustica di solai già esistenti; a questo proposito sono utilizzati i materiali a celle aperte, come le lastre di gesso, pannelli in fibra minerale ecc., eventualmente con sezione articolata. Un’ulteriore semplice soluzione è il rivestimento dei piani di calpestio con materiali morbidi e assorbenti quali la moquette, la gomma, i tappeti (cfr. Pavimenti). Un sistema più efficace è il pavimento galleggiante (DIN 18164 parte 2). Il pavimento e il massetto sono appoggiati su uno strato isolante, di materiale resiliente e smorzante che, grazie ai movimenti delle sue particelle, trasforma parte dell’energia meccanica
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI PAVIMENTI
F.2. 3. A.ZIONI
di impatto in energia termica. Lo strato isolante deve essere posato con giunti sfalsati e ben accostati e, per isolare le pareti circostanti, deve risvoltare in verticale per l’intero spessore del massetto e del pavimento; ugualmente isolati dovranno essere cavi e tubazioni. Uno strato di separazione, realizzabile con un foglio di polietilene di 0,2 mm, separa l’isolante dal getto del massetto di ripartizione. Lo spessore minimo del massetto prescritto dalla norma, per carichi di esercizio fino a 1,5 kN/mq (carichi domestici e simili), è 35 mm se lo spessore dello strato isolante sotto carico è ≤ 30 mm; 40 mm per maggiori spessori di isolante. Con rivestimento ceramico o lapideo, lo spessore del massetto deve essere almeno di 45 mm e armato con rete elettrosaldata; in caso di presenza di riscaldamento a pavimento, con tubazioni annegate nel massetto, lo spessore minimo di quest’ultimo deve essere pari al diametro dei tubi + 45 mm, di cui almeno 25 mm sopra il tubo.
La malta del massetto può essere cementizia, bituminosa, magnesiaca o a base di anidride; la resistenza media a flessione delle malte idrauliche deve essere ≥ 2,5 N/mmq. Il dosaggio della malta, per evitare fessurazioni dovute al ritiro, deve essere a basso contenuto di cemento (< 400 kg/mc), con granulometria degli inerti < 8 mm per spessori del massetto ≤ 40 mm; con granulometria < 16 mm per spessori > 40 mm. Un dosaggio adeguato è: 1 mc di sabbia, 250 kg di cemento, 100 kg di calce idraulica. Oltre gli stessi materiali impiegati per l’isolamento termico, che richiedono comunque spessori elevati, possono essere impiegati i conglomerati elastoplastici a base di gomma, i feltri in fibre di vetro, le lastre di piombo. Questi materiali richiedono spessori limitati, dell’ordine di alcuni millimetri; il piombo in particolare è impiegato in lastre con spessore di 0,5-2 mm o assemblato con materiali flessibili (vinile o neoprene) o con strati di materiale assorbente.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
FIG. F.2.3./5 PAVIMENTO GALLEGGIANTE DETTAGLI COSTRUTTIVI MASSETTO DI SOTTOFONDO >=4 cm CON RETE ELETTROSALDATA
INTONACO DISTACCATO DAL PAVIMENTO ZOCCOLO DISTACCATO DAL PAVIMENTO EVENTUALE CORDONE DI MASTICE
INTONACO DISTACCATO DAL PAVIMENTO ZOCCOLO DISTACCATO DAL PAVIMENTO
CARTONFELTRO BITUMATO O TNT RISVOLTATO SUI BORDI
PAVIMENTO
ISOLANTE DISPOSTO A GIUNTI SFALSATI SPESS. 15-20 mm
PAVIMENTO
MASSETTO DI SOTTOFONDO spess. 2,5 2 5 cm per pavimenti rigidi; spess. 4 cm con rete elettrosaldata per pavimenti sottili resilienti PIANO DI POSA DI SPESSORE SUFFICIENTE A COPRIRE LE TUBAZIONI ED EVENTUALI ASPERITÀ ASPERIT CONGLOMERATO ELASTOPLASTICO A BASE DI GOMMA A GIUNTI SIGILLATI COLLOCATO SOTTO IL TRAMEZZO
STRATO ISOLANTE
SOLAIO
1
PIANO DI POSA di spessore sufficiente a coprire le tubazioni ed eventuali asperit asperità
TUBAZIONE RACCORDATA CON MALTA DI CEMENTO
PIASTRELLE
STRATO DI SEPARAZIONE
PAVIMENTO
FELTRO IN FIBRA DI VETRO SPESS. 3 mm CON GIUNTI SOVRAPPOSTI
PAVIMENTO MASSETTO DI SOTTOFONDO SPESS. 4 cm CON RETE ELETTROSALDATA
STRATO ISOLANTE
STRATO DI PROTEZIONE
4 4
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
RIVESTIMENTO
ZOCCOLO DISTACCATO DAL PAVIMENTO
MASSETTO SIGILLANTE
CO NTALE AMBIE
TUBAZIONE RACCORDATA CON MALTA DI CEMENTO
INTONACO DISTACCATO DAL PAVIMENTO
GUAINA IMPERMEABILE
INTONACO ARMATO
SOLAIO
E.NTROLLO
ALLETTAMENTO
STRATO ISOLANTE S=2 cm
PIANO DI POSA DI SPESSORE SUFFICIENTE A COPRIRE LE TUBAZIONI ED EVENTUALI ASPERITÀ ASPERIT
SOLAIO
F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
ISOLAMENTO DI UNA SCALA DA RUMORI DI CALPESTIO
TUBAZIONE RACCORDATA CON MALTA DI CEMENTO
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
PAVIMENTO GALLEGGIANTE IN LOCALE UMIDO STRATO DI REGOLARIZZAZIONE 3 cm
ZOCCOLINO PAVIMENTO
PAVIMENTO
MASSETTO 4 cm
FOGLIO DI ALLUMINIO CON FUNZIONE DI DIFFUSORE
MASSETTO >= 3 cm
SOLETTA
STRATO ISOLANTE 2 cm BASE ELASTICA INDIPENDENTE 2 cm
STRATO ISOLANTE
STRATO SEPARATORE
PAVIMENTO GALLEGGIANTE CON RISCALDAMENTO A PAVIMENTO
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
SOTTOFONDO 2-3 cm
SERPENTINA DEL RISCALDAMENTO
BARRIERA AL VAPORE
F.5. I D ARRE
EVENTUALE CORDONE DI MASTICE
DIVISORIO LEGGERO
SOTTOFONDO PAVIMENTO
STRATO DI SEPARAZIONE
STRATO DI REGOLARIZZAZIONE MASSETTO >= 3 cm ISOLANTE 3 cm
MASSETTO
ISOLANTE
ATTRAVERSAMENTO DI PAVIMENTO GALLEGGIANTE DA PARTE DI TUBAZIONI TRAMEZZI CON SEPARAZIONE DEI MASSETTI ADIACENTI
. F.2.3 ENTI PAVIM
F 149
F.2. 4.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE CONTROSOFFITTI
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
TIPI DI CONTROSOFFITTI L’intradosso del solaio prende il nome di soffitto: per necessità funzionali e/o formali, può essere necessario occultarlo con il controsoffitto. Il sistema può avere un ordito portante proprio, ma in genere è appeso al solaio soprastante. Gli elementi che costituiscono il controsoffitto sono: gli apparecchi di sospensione, il telaio, l’eventuale telaio
secondario, la tamponatura (continua o discontinua), gli elementi accessori. Le modalità di tamponatura spaziano dalla intonacatura completa su orditi di canne o di assi di legno, o reti metalliche, alle diverse tipologie di pannelli (in gesso, in lamiera, in legno, in fibre naturali). Il sistema deve garantire i requisiti imposti in termini di sicurezza di
isolamento, di smontabilità (ove richiesto), di durabilità. Il controsoffitto può avere funzioni antincendio; in tal caso, per i sistemi a pannelli, l’ordito portante, in genere realizzato con profili metallici, deve essere chiuso nel labirinto di giunzione e protezione, intendendo con questo termine una particolare geometria del collegamento atta a isolare dalle fiamme la staffa metallica di sospensione.
FIG. F.2.4./1 CONTROSOFFITTI IN OPERA
FILO DI FERRO Ø 3 mm ORDITO SECONDARIO (3 x 3) (interasse 40-50)
ORDITO PRINCIPALE (4 x 8 / 5 x 10)
SOSPENSIONI ORDITO PRINCIPALE (4 x 4)
CONTROSOFFITTO ORDITO SECONDARIO (3 x 3) (interasse 40-50)
CONTROSOFFITTO
SOSPENSIONI
CONTROSOFFITTO
CENTINA CURVA TELAIO AUTONOMO
TELAIO PORTATO
ORDITI TRADIZIONALI (camere a canne)
TELAIO
ORDITO DOPPIO DI CANNE
CANNE
INTONACO PIASTRINA DI FISSAGGIO
TELAIO CURVO ORDITI IN LEGNO
ORDITO
INTONACO
INTONACO
FILO D D’ACCIAIO ACCIAIO
FILO D’ACCIAIO D ACCIAIO
ORDITO
INTONACO FILO D’ACCIAIO D ACCIAIO
TELAIO
TELAIO
INTONACO
INTONACO
FILO D’ACCIAIO D ACCIAIO
FILO D’ACCIAIO D ACCIAIO
RETI METALLICHE ZINCATE
MAGLIA QUADRATA
MAGLIA ESAGONALE
GRATICCIO IN MAGLIA DI ACCIAIO ( 20 mm di lato) ED ELEMENTI DI ARGILLA
LAMIERA STIRATA
APPARECCHI DI SOSPENSIONE
SU ORDITO IN LEGNO
SU ORDITO IN LEGNO
LAMIERA PIEGATA
SU ORDITO IN ACCIAIO
FILO DI FERRO ZINCATO Ø 3 mm
VITE DI FISSAGGIO FILO DI FERRO ZINCATO Ø 3 mm SU PIGNATTA IN LATERIZIO
F 150
LAMIERA PIEGATA
SU PIGNATTA IN LATERIZIO
SU ORDITO IN ACCIAIO
LAMIERA PIEGATA
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI CONTROSOFFITTI
F.2. 4. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.2.4./2 CONTROSOFFITTI REALIZZATI IN OPERA E A PANNELLI PERRET APPLICATO A SOLAIO IN LEGNO
CONTROSOFFITTO PERRET
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
FERRO D’ARMATURA ARMATURA SOSPENSIONE
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
MALTA DI ALLETTAMENTO 1
TAVELLINA
2
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
3
SEZIONE
INTONACO
E.NTROLLO
IPOGRAFIA
CONTROSOFFITTI IN PANNELLI DI GESSO
CO NTALE AMBIE
SOSPENSIONE
SCASSO DI CORRELAZIONE
TELAIO PORTANTE PANNELLI
TELAIO SECONDARIO
F. TERIALI, 1. TAVELLINA LATERIZIA 2. GANCIO IN FERRO ZINCATO 3. TONDINO DI ARMATURA 4. TRAVICELLI IN LEGNO DI ORDITURA DEL SOLAIO 5. CHIODO COMUNE 6. SBRUFFATURA DI MALTA DI CEMENTO E INTONACO CIVILE
4 5 2 1 3
3
6
1
2
RETE PORTAINTONACO
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
FASCIA DI SIGILLATURA FRA I GIUNTI
PANNELLI FONOASSORBENTI IN GESSO
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ CON AGGIUNTA DI MATERASSINO
PANNELLO FONOASSORBENTE IN GESSO SOVRADIMENSIONATO
PARTICOLARE FORATURE
F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
PROFILI DI TELAI
CORRELAZIONI CON IL TELAIO TELAIO IN LAMIERA PIEGATA
CON GIUNTO A FACCIAVISTA
TELAIO IN LAMIERA PIEGATA
TELAIO IN LEGNO
TELAIO IN LAMIERA PIEGATA
TELAIO IN LAMIERA PIEGATA
CON GIUNTO SCURETTATO
CON GIUNTO SCURETTATO
CON LABIRINTO DI PROTEZIONE
A SCATTO
TELAIO IN LAMIERA PIEGATA
CON VITI AUTOFILETTANTI STUCCATE
. I F.2.4 OSOFFITT R CONT
F 151
F.2. 4.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE CONTROSOFFITTI
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
APPARECCHI DI SOSPENSIONE FIG. F.2.4./3 SISTEMI DI MONTAGGIO
PROFILO IN LAMIERA PIEGATA
STAFFA DI FISSAGGIO
ELEMENTO DI FISSAGGIO AL SOLAIO
ELEMENTO DI FISSAGGIO AL SOLAIO
BARRA FILETTATA Ø 6 mm
←
TONDINO ZINCATO
REGOLATORE DI ALTEZZA
PROFILO IN LAMIERA PIEGATA
PROFILO IN LAMIERA PIEGATA
BARRA FILETTATA Ø 6 mm
TASSELLI A ESPANSIONE
STAFFA DI FISSAGGIO
REGOLATORE DI ALTEZZA
BARRA FILETTATA Ø 6 mm
STAFFA DI SOSPENSIONE
GIUNTO INSONORIZZANTE REGOLATORE DI ALTEZZA PROFILO IN LAMIERA PIEGATA
PANNELLO
PROFILO IN LAMIERA PIEGATA PROFILO IN LAMIERA PIEGATA (telaio principale)
REGOLATORE DI ALTEZZA PROFILO IN LAMIERA PIEGATA (telaio secondario)
BARRE E STAFFE
F 152
GIOCO PER IL MONTAGGIO
PROFILO IN LAMIERA PIEGATA (telaio principale)
PROFILO IN LAMIERA PIEGATA (telaio secondario)
←
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI CONTROSOFFITTI
F.2. 4. A.ZIONI
CORRELAZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.2.4./4 DETTAGLI COSTRUTTIVI, ACCESSORI, DOGHE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
COLLANTE
PIATTINA COPRIFILO
REGOLAZIONI
TELAIO
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
SOSPENSIONE
D.GETTAZIONE
TELAIO
PRO TTURALE STRU
TELAIO SECONDARIO PIATTINA COPRIFILO PANNELLO
GUARNIZIONE IN NEOPRENE
FISSAGGIO FISSAGGIO
GIUNTO STRUTTURALE
GIUNTO TRA STRUTTURE DIVERSE
GIUNTO TRA STRUTTURE A DIVERSA ELASTICITÀ ELASTICIT
REGOLAZIONI
PLAFONIERA
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
SOSPENSIONE
SOSPENSIONE
E.NTROLLO
URB
TUBO
TELAIO TELAIO TELAIO SECONDARIO
TELAIO SECONDARIO
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
ARIA CONDIZIONATA
CORRELAZIONI
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER
RIVESTIMENTO IN POLIURETANO CONTROSOFFITTO PANNELLO
PLAFONIERA CONDOTTO
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
MATERASSINO
PARETE
MONTANTE PARETE IN CARTON GESSO INSONORIZZATO
CON ISOLAMENTO ACUSTICO 85 mm
PANNELLO CONTROSOFFITTO
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
100 mm
100 mm
200 mm
30 mm
20 mm
99,57mm 99 57mm A DOGHE
ACCESSORI DI SISTEMA: PLAFONIERE
. I F.2.4 OSOFFITT R CONT
F 153
F.2. 5.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE COPERTURE CONTINUE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
ISOLAMENTO TERMICO E IMPERMEABILIZZAZIONE Il quadro di riferimento normativo principale, relativamente ai sistemi di copertura, alla terminologia e all’analisi degli strati funzionali è costituito dalle norme UNI 8089, 8091, 8178, 8627, 9307, 9308. La superficie di copertura è la superficie geometricamente piana, o di forma più complessa, che delimita superiormente l’edificio e risulta esposta agli agenti atmosferici. Oltre la stabilità strutturale, i diversi strati funzionali di cui è composto il sistema della copertura devono quindi garantire la tenuta all’acqua e agli agenti atmosferici, la protezione termoacustica, la resistenza al fuoco, il controllo termoigrometrico; quest’ultimo ha la funzione di evitare la formazione di condensa sulla superficie intradossale della copertura o al suo interno. I singoli strati possono svolgere un’unica funzione o associare più funzioni. Relativamente alle modalità di tenuta all’acqua meteorica, la norma UNI 8627 distingue tra coperture continue e coperture discontinue o a falda.
STRATI FUNZIONALI
COPERTURE CONTINUE
Lo strato di barriera o schermo al vapore evita che il vapore che si produce nell’ambiente interno si diffonda nello strato isolante (cfr. F.1); è situato pertanto al di sotto dello strato isolante. La barriera è indispensabile se la finitura superficiale della copertura è eseguita con una guaina autoprotetta; l’elevata temperatura superficiale, a cui quest’ultima è sottoposta per effetto dell’irraggiamento solare (può arrivare a 70°C), eleva la tensione del vapore presente al di sotto della guaina stessa, formando bolle di vapore e quindi concentrazione di umidità, che si ripercuote sulle prestazioni dello strato isolante e sulla durata delle finiture interne. Lo spessore della barriera al vapore è circa 0,3-0,4 mm ed è generalmente costituita da una sottile membrana bituminosa con lamina di alluminio, posata a caldo con bitume ossidato, o da un foglio di polietilene. La barriera dovrà sempre possedere un valore di resistenza alla diffusione del vapore superiore o pari a quello del manto impermeabile.
Nelle coperture continue lo smaltimento dell’acqua meteorica è indipendente dall’inclinazione della superficie, che comunque assume valori ≤ al 5%. In relazione alle modalità attraverso cui si effettua il controllo termoigrometrico, le coperture sono del tipo ventilato o non ventilato; nel primo caso tale controllo è affidato allo strato di ventilazione, nel secondo alla successione di altri strati funzionali. In relazione alla presenza o meno dello strato termoisolante, le coperture possono essere termoisolate o non termoisolate. Pertanto le coperture possono essere classificate secondo quattro schemi funzionali: • copertura senza elemento termoisolante e senza strato di ventilazione; • copertura senza elemento termoisolante e con strato di ventilazione; • copertura con elemento termoisolante, senza strato di ventilazione (tetto caldo); • copertura con elemento termoisolante e con strato di ventilazione (tetto freddo).
Gli strati funzionali principali di cui è composta una copertura sono: • lo strato portante; • lo strato della pendenza; le coperture continue hanno pendenza ≤ al 5%; • lo strato ventilato; generalmente ricavato entro lo strato della pendenza; • lo strato di isolamento termoacustico; • lo strato impermeabilizzante; • lo strato di finitura superficiale esterna; • lo strato di barriera o schermo al vapore, presente sempre nelle coperture non ventilate, è impiegabile anche in quelle ventilate nel caso l’analisi delle condizioni igrotermiche e delle caratteristiche di permeabilità al vapore dei materiali utilizzati ne richiedano la presenza. La barriera impedisce il passaggio di vapore, lo schermo lo riduce.
TENUTA ALL’ACQUA L’elemento di tenuta ha la funzione di conferire alla copertura una prefissata impermeabilità all’acqua meteorica (UNI 8178), resistendo alle sollecitazioni fisiche, meccaniche, chimiche indotte dall’ambiente esterno o dall’uso. Per le coperture continue, la tenuta all’acqua è affidata allo strato impermeabile, che può essere realizzato con: • materiali forniti in foglio o simili, a base di bitumi, bitumi modificati, polimeri e loro miscele, associati o non associati ad armatura; • materiali forniti sotto forma di liquidi, paste o solidi da applicare sfusi, a base di mastice di asfalto, malta asfaltica, asfalto colato, bitumi e bitumi modificati, anche in emulsione, catrami e catrami modificati, polimeri, miscele dei componenti suddetti, associati o non associati ad armatura. (cfr. F.2.1) La tenuta all’acqua è comunque vanificata se alla scelta del prodotto non segue la sua corretta posa in opera, un’efficace protezione (se necessaria) e una corretta esecuzione di punti singolari della costruzione; particolare attenzione va posta quindi nei raccordi con gli elementi emergenti (camini, parapetti, muri), in prossimità dei quali il manto impermeabile deve risalire sulla superficie verticale per almeno 15-20 cm e
risvoltare, se possibile, sul coronamento o all’interno della muratura stessa o, ancora, essere protetto da una scossalina. Nei raccordi con le superfici verticali i manti sintetici possono essere piegati a 90°; quelli bituminosi richiedono l’inserimento sull’angolo tra verticale e orizzontale, di un elemento sagomato, atto a smussare la piegatura e a ridurre le tensioni in quel punto. Il tipo di finitura di una copertura continua dipende dal grado di accessibilità richiesto (UNI 8627) e quindi dalla sua destinazione: l’accessibilità può essere limitata agli interventi di manutenzione della copertura stessa o delle attrezzature impiantistiche in essa localizzate, oppure interessare i pedoni (massa equivalente al pubblico = 400 kg/mq), il parcheggio di veicoli leggeri (≤ 2T per asse) o pesanti (> 2T per asse); può inoltre prevedere un giardino pensile o destinazioni speciali. La pendenza nelle coperture continue praticabili è circa del 1,5-2%; del 3% per quelle non praticabili. Per superfici non molto estese il piano inclinato che forma la pendenza è generalmente realizzato con un massetto di calcestruzzo alleggerito (400-1800 Kg/mq) di spessore crescente; per ampie superfici, dove la quota più alta del massetto diviene rilevante, è preferibile impiegare un ordito di muretti di altezza crescente e un impalcato di tavelloni con un sovrastante massetto di spessore costante..
FIG. F.2.5./1 FORMAZIONE DELLE PENDENZE
MASSETTO IN CALCESTRUZZO >=3 ÷ 4 cm
LINEA DI IMPLUVIO
pendenza 1 1,5 ÷ 2%
FALDA DI ESTENSIONE MODESTA
>=3 ÷ 4 cm
pendenza >=1 >=1,5 ÷ 2 %
>=3 ÷ 4 cm
FALDA DI NOTEVOLE ESTENSIONE
PIANTA DELLE PENDENZE EVENTUALI CANALI DI AERAZIONE MASSETTO IN CALCESTRUZZO LEGGERO
STRATI DI MATTONI FORATI
MASSETTO IN CALCESTRUZZO LEGGERO DI SPESSORE COSTANTE MURETTI DI MATTONI FORATI
TAVELLONI
>=3 ÷ 4cm
FALDA DI NOTEVOLE ESTENSIONE
F 154
FALDA DI NOTEVOLE ESTENSIONE
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI COPERTURE CONTINUE
F.2. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
COPERTURE CONTINUE La sequenza degli strati isolanti e impermeabilizzanti può variare dando luogo alle tipologie del tetto caldo del tetto rovescio, del tetto sandwich. Il tetto caldo è il sistema più tradizionale; il manto impermeabile è collocato al di sopra dello strato termoisolante e lo protegge dalle escursioni termiche, dai raggi ultravioletti, da danni meccanici. Le sollecitazioni termiche, cui è inevitabilmente sottoposto il manto, sono comunque trasmesse allo strato sottostante, in particolare se il fissaggio è effettuato in totale aderenza (cfr. F.2.1); i coefficienti di dilatazione termica dei due materiali devono quindi risultare compatibili. Se viceversa, il manto è indipendente dallo strato sottostante, è sufficiente interporre tra di essi uno strato separatore in carta lana, velo di vetro, TNT, per favorire gli scorrimenti relativi e porre uno strato di zavorramento al di sopra del manto. È necessaria la presenza di una barriera al vapore collocata al di sotto dello strato coibente. La barriera può
essere stesa con l’impiego di bitume ossidato a caldo sopra uno strato di diffusione del vapore. Tale strato, che consente di controllare limitati tassi di condensa interna, è costituito da una sottile membrana bituminosa forata (diametro dei fori ~ 2 cm ) che convoglia ai diffusori o aeratori puntuali o lineari al bordo il vapore acqueo che proviene dagli ambienti interni o rimasto imprigionato nelle fasi esecutive, e da questi viene eliminato all’esterno. L’impiego dello strato di diffusione connesso agli aeratori è previsto quando le condizioni climatiche, nella fase di realizzazione del manufatto, non garantiscono la completa maturazione degli strati costituenti l’orizzontamento; questo strato contribuisce pertanto alla loro essiccazione evitando la formazione di bolle di distacco della membrana impermeabile. La membrana forata può essere posata a secco e successivamente fissata con fissaggi puntiformi di bitume (chiodi di bitume); assicura inoltre una corretta posa in semiaderenza del sovrastante pannello isolante. Al fine di ridurre il rischio di distacco della guaina imper-
meabile è da evitare la localizzazione di strati gettati a umido tra la barriera al vapore e la stessa guaina. Il tetto rovescio è caratterizzato dallo strato coibente ubicato al di sopra del manto impermeabile; lo strato coibente costituisce quindi anche la protezione del manto. Lo strato impermeabile svolge la funzione di barriera al vapore. Il materiale isolante, fortemente sollecitato, deve essere imputrescibile, non idrofilo, deve avere elevato potere coibente e notevole resistenza alla compressione. È necessario zavorrare i pannelli isolanti con ghiaia o con pavimentazione; se quest’ultima è sopraelevata, l’intercapedine che ne deriva ventila l’isolante e migliora il drenaggio. Il tetto sandwich, detto anche semirovescio, adatto a solai con bassa inerzia termica, prevede la guaina collocata tra due strati isolanti. La protezione è in tal modo assicurata per la guaina e per lo strato isolante inferiore, mentre quello superiore è sollecitato come nel caso del tetto rovescio.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB FIG. F.2.5./2 COPERTURA ISOLATA E VENTILATA
FIG. F.2.5./3 COPERTURA ISOLATA NON VENTILATA DEL TIPO “TETTO CALDO”
PAVIMENTO PAVIMENTO S = 2 cm SOTTOFONDO S = 3 cm
SOTTOFONDO
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
GUAINA IMPERMEABILE
GUAINA IMPERMEABILE
EVENTUALE STRATO SEPARATORE IN CARTA LANA O VELO DI VETRO
STRATO DI REGOLARIZZAZIONE IN TESSUTO SINTETICO IMPUTRESCIBILE
ELEMENTO TERMOISOLANTE S = 5 cm
STRATO DI PENDENZA REALIZZATO CON TAVELLE LATERIZIE SU MURETTI
STRATO DI BARRIERA AL VAPORE
STRATO DI PENDENZA
STRATO TERMOISOLANTE
SOLETTA PORTANTE
SOLETTA PORTANTE
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE
FIG. F.2.5./4 REALIZZAZIONE DI COPERTURA AERATA MEDIANTE L’IMPIEGO DI CASSERI MODULARI
SUPPORTO DI GUAINA IN POLIETILENE (spezzone 15 x 15 cm) SFIATO Ø = 8 cm
TAB. F.2.5./1 ZAVORRAMENTO DELLO STRATO ISOLANTE: SPESSORI DI GHIAIA CONSIGLIATI IN FUNZIONE DELLO SPESSORE DEI PANNELLI ISOLANTI SPESSORE ISOLANTE
SPESSORE GHIAIA
PESO ZAVORRAMENTO
≤ 30 mm
40 mm
60 Kg/mq
≤ 50 mm
50 mm
75 Kg/mq
≤ 60 mm
60 mm
90 Kg/mq
≤ 70 mm
65 mm
100 Kg/mq
≤ 80 mm
70 mm
105 Kg/mq
≤ 100 mm
80 mm
120 Kg/mq
SCARICO PLUVIALE (con bocchettone e parafoglie)
RIALZO DI UNA DELLE DUE GUAINE SOTTOSTANTI IL CASSERO
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
PAVIMENTO
CALCESTRUZZO DI RIEMPIMENTO CASSERO MODULARE DOPPIA GUAINA ELASTOMERICA (4 kg/mq S = 4 + 4 mm)
CALCESTRUZZO ALLEGGERITO (spess. med. 7 - 8cm) REALIZZAZIONE DI COPERTURA AEREATA MEDIANTE L’IMPIEGO L IMPIEGO DI CASSERI MODULARI (IGLÙ) (IGL
SCOSSALINA PRESA D’ARIA D ARIA Ø 8 cm CASSETTA PER PLUVIALE
SCARICO DI SICUREZZA (1 ogni pluviale) PLUVIALE
. F.2.5 TURE R COPE UE IN CONT
F 155
F.2. 5.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE COPERTURE CONTINUE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
➦ ISOLAMENTO TERMICO E IMPERMEABILIZZAZIONE FIG. F.2.5./5 TETTO ROVESCIO
FIG. F.2.5./6 TETTO SANDWICH
GHIAIA PER COPERTURE NON PRATICABILI
PAVIMENTO PER COPERTURE PRATICABILI
PAVIMENTO SOTTOFONDO STRATO FILTRANTE STRATO TERMOISOLANTE SUPERIORE STRATO DI SEPARAZIONE GUAINA IMPERMEABILE STRATO TERMOISOLANTE INFERIORE BARRIERA AL VAPORE STRATO DI PENDENZA
STRATO FILTRANTE PERMEABILE AL VAPORE
PANNELLO ISOLANTE CON GIUNTO A BATTENTE
STRATO ISOLANTE 5 cm
DUE STRATI DI GUAINA IMPERMEABILE STRATO SEPARATORE IN TESSUTO SINTETICO IMPUTRESCIBILE
CANALI PRATICATI NELLO STRATO ISOLANTE (per migliorare il drenaggio dell’acqua dell acqua verso gli scarichi)
STRATO DI PENDENZA
FIG. F.2.5./8 FISSAGGIO MECCANICO DELLA GUAINA
FIG. F.2.5./7 DIFFUSORI DIFFUSORE DOPPIO per smaltire il vapore proveniente dagli ambienti interni
MEMBRANA FORATA per la posa in semiaderenza con funzione anche di diffusione del vapore verso i diffusori
DIFFUSORE SEMPLICE per smaltire solo il vapore intrappolato al di sotto della guaina
PANNELLO ISOLANTE CON GIUNTO A BATTENTE
TASSELLETTO DI SICUREZZA A PROTEZIONE DELLA SECONDA MEMBRANA
TASSELLI CON RONDELLA, METALLICI O PVC, PER IL FISSAGGIO MECCANICO
BARRIERA AL VAPORE
FISSAGGIO MECCANICO Il fissaggio meccanico delle membrane bituminose e dei pannelli isolanti è indispensabile in presenza di forti pendenze e/o forti venti. Le norme europee relative ai fissaggi meccanici prescrivono almeno quattro elementi per mq. Condizioni di particolare ventosità della zona o pendenze elevate della copertura possono richiedere un maggior numero di fissaggi meccanici. Su coperture in cemento sono utilizzati chiodi e rondelle con trattamento superficiale anticorrosione. Il fissaggio a vite è impiegato su coperture in acciaio e cemento
F 156
armato; sono impiegati elementi a elevata resistenza meccanica e anch’essi con trattamento anticorrosione, completati da una piastra metallica con funzioni di distribuire le sollecitazioni locali indotte dal fissaggio sul pacchetto termoisolante. Ancora fissaggi a vite sono impiegati per coperture in lamiera leggera e legno, associati a una piastra in plastica. Gli ancoraggi devono essere disposti in maniera tale che ogni fissaggio si trovi al centro del poligono corrispondente alla propria area di influenza.
FIG. F.2.5./9 DISPOSIZIONE DEGLI ANCORAGGI
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI COPERTURE CONTINUE
F.2. 5. A.ZIONI
FIG. F.2.5./10 GIUNTI DI DILATAZIONE IN UN PAVIMENTO A GETTO 2m
STRATO IMPERMEABILE: INDICAZIONI PROGETTUALI
Il tipo di vincolo tra lo strato impermeabile e il supporto dipende dalle caratteristiche di quest’ultimo (UNI 9307/1). È comunque sempre opportuno realizzare con cura i dettagli perimetrali, dove si concentrano le tensioni della membrana e, ove necessario, prevedere i giunti di contrazione o controllo che consentono movimenti differenziali dovuti alla variazione delle condizioni ambientali; tali giunti evitano eccessivi scorrimenti perimetrali o sollecitazioni in corrispondenza dei punti di fissaggio della guaina.Nel caso di membrane poste al di sopra di pannelli isolanti rigidi, dove può prevalere la tensione dovuta alla mobilità dei pannelli, la posa in indipendenza della membrana è la più opportuna; la posa in semiaderenza o totale aderenza dovrà essere
GIUNTO A TUTTO SPESSORE
GIUNTO A MEZZO SPESSORE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
accompagnata da opportune strisce di indipendenza in corrispondenza delle linee di giustapposizione dei pannelli. (vedi F.2.1). I supporti continui rigidi, come gli strati di calcestruzzo, dovranno essere opportunamente armati e dotati di giunti di dilatazione, a evitarne la fessurabilità, particolarmente lesiva per la membrana impermeabile; risulta comunque più adatta la posa in semiaderenza. In ordine alla posa in indipendenza è opportuno adottare uno strato di separazione a evitare che lo zavorramento pesante, necessario alla stabilità della guaina, non impedisca, per attrito con il supporto, la contrazione della guaina stessa; anche gli eventuali incollaggi puntuali possono indurre sollecitazioni dannose alla membrana.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM GIUNTO A MEZZO SPESSORE GIUNTO A TUTTO SPESSORE
G.ANISTICA URB
CORDONE DI MATERIALE COMPRIMIBILE
STRATO DI FINITURA Impiegando la guaina autoprotetta, la funzione dello strato di finitura è assolta dalla guaina stessa. Se la guaina non è autoprotetta è necessario provvedere alla sua protezione dalle sollecitazioni esterne. Nel caso del tetto rovescio o sandwich, lo strato isolante non richiede protezione ma solo lo zavorramento, per evitare il sollevamento dei pannelli per azione del vento o per galleggiamento. È necessario comunque garantire la periodica manutenzione degli strati mobili. Nelle altre soluzioni costruttive lo strato di finitura è invece necessario alla protezione del manto impermeabile, nel caso questo non sia autoprotetto. Le protezioni leggere (adatte alle coperture non praticabili) sono le vernici riflettenti, all’alluminio, a base di gomme sintetiche.
PAVIMENTO A GETTO DI CLS 5 ÷ 7 cm RETE ELETTROSALDATA STRATO DI SEPARAZIONE IN CARTA KRAFT SABBIA FINE 30 ÷ 40 mm MANTO IMPERMEABILIZZANTE 1,5 ÷ 2 mm
Le protezioni pesanti sono realizzate con strati di malta o conglomerato bituminoso, ghiaia, pavimentazione, sempre con assoluto rispetto di eventuali giunti strutturali. La pavimentazione adatta all’impiego in esterno (cfr. F.2.3) deve avere caratteristiche antigelive, antisdrucciolo, di resistenza agli agenti atmosferici. I piccoli formati si adattano meglio alle dilatazioni termiche cui il pavimento è inevitabilmente sottoposto. I materiali più appropriati sono le piastrelle di cotto, il cemento, il grès, la ceramica smaltata. Lo strato di finitura superficiale deve essere sottoposto a interventi di manutenzione periodica. Nelle coperture non praticabili è opportuno prevedere dei percorsi che consentano di effettuare le operazioni di manutenzione senza rischi di danneggiamenti.
STRATO DELLE PENDENZE
FIG. F.2.5./12 IMPERMEABILIZZAZIONE A STRATI MULTIPLI
STRATO DI ASFALTO RISVOLTATO IN VERTICALE E SOTTO LA COPERTINA 3cm
CARTONFELTRO BITUMATO
> = 15 ÷ 20 cm
RACCORDO DI ASFALTO
ASFALTO SABBIATO S = 15 ÷ 20 mm
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE
IMPERMEABILIZZAZIONE CON MATERIALI BITUMINOSI FIG. F.2.5./11 IMPERMEABILIZZAZIONE CON ASFALTO
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
EVENTUALE FINITURA IN LAMIERA METALLICA
BITUME A CALDO
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
STRATO DI SCORRIMENTO IN CARTONFELTRO BITUMATO CON LA SUPERFICIE TALCATA O SABBIATA O STRATO DI TNT
STRATI MULTIPLI DI ASFALTO S = 15 ÷ 20 mm STRATO DI SCORRIMENTO MASSETTO DELLE PENDENZE
MASSETTO DELLE PENDENZE
. F.2.5 TURE R COPE UE IN CONT
F 157
F.2. 5.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE COPERTURE CONTINUE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
➦ ISOLAMENTO TERMICO E IMPERMEABILIZZAZIONE FIG. F.2.5./13 COPERTURE PRATICABILI E NON PRATICABILI COPERTURE NON PRATICABILI STRATO DI GHIAIETTO SOTTILE (12 kg/mq)
COPERTURE PRATICABILI DUE STRATI DI ASFALTO ASFALTO SABBIATO COLATO A GIUNTI SFALSATI SPESS. 15 mm SPESS. 15 ÷ 20 mm
IMPERMEABILIZZAZIONE A STRATI MULTIPLI
STRATO SEPARATORE IN VELO DI VETRO O TNT ISOLANTE 5 cm BARRIERA AL VAPORE
ISOLANTE 5 cm BARRIERA AL VAPORE
STRATO DELLE PENDENZE
STRATO DELLE PENDENZE
STRATO SEPARATORE IN VELO DI VETRO O TNT
IMPERMEABILIZZAZIONE A STRATI MULTIPLI
LAMIERA METALLICA
IMPASTO DI BITUME E GHIAIA SPESS. 5 cm
DUE STRATI DI ASFALTO COLATO SP. 15 ÷ 20 mm LETTO DI SABBIA 2 ÷ 3 cm
ISOLANTE 5 cm BARRIERA AL VAPORE
ISOLANTE 5 cm BARRIERA AL VAPORE
STRATO DELLE PENDENZE
STRATO SEPARATORE IN VELO DI VETRO O TNT STRATO DELLE PENDENZE
(ADATTA A PENDENZE ELEVATE E SUPERFICI CURVE)
SABBIA SPESS. > 2cm
LASTRE DI CEMENTO SP. 5 cm
IMPERMEABILIZZAZIONE CON STRATO DI ASFALTO
GHIAIA SPESS. > 5 cm
STRATO SEPARATORE IN VELO DI VETRO O TNT
GIUNTO SIGILLATO CON BITUME
STRATO DI SABBIA SP. 2 ÷ 3 cm
IMPERMEABILIZZAZIONE A STRATI MULTIPLI SP. 15 ÷ 20 mm ISOLANTE 5 cm ISOLANTE 5 cm
BARRIERA AL VAPORE
BARRIERA AL VAPORE
STRATO DELLE PENDENZE
STRATO DELLE PENDENZE
STRATO SEPARATORE IN VELO DI VETRO O TNT
PAVIMENTO IN PIASTRELLE SP. 1.5 ÷ 2 cm 20 cm
SCOSSALINA STRATO DI GHIAIA
STRATO SEPARATORE IN VELO DI VETRO O TNT MALTA DI SOTTOFONDO SP. 2 ÷ 3 cm
IMPERMEABILIZZAZIONE STRATO DI SABBIA SP. 3 ÷ 4 cm ÷ IMPERMEABILIZZAZIONE A STRATI MULTIPLI SP. 15 ÷ 20 mm
ISOLANTE STRATO DELLE PENDENZE
ISOLANTE 5 cm BARRIERA AL VAPORE
STRATO DELLE PENDENZE
F 158
STRATO SEPARATORE IN VELO DI VETRO O TNT
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI COPERTURE CONTINUE
F.2. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
IMPERMEABILIZZAZIONE CON MEMBRANE PREFABBRICATE
B.STAZIONI DILEGIZLII
FIG. F.2.5./14 COPERTURE PRATICABILI E NON PRATICABILI
I ED PRE NISM ORGA 6
6
6 1
8
7
2 2
2
3 3
4
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
4 4
5
5
15
10
14
1 MEMBRANA BITUMINOSA ARDESIATA AUTOPROTETTA Incollata per rinvenimento a fiamma S> = 3 3,5 5 kg/mq.
6 9 11
2 MEMBRANA BITUMINOSA ARDESIATA AUTOPROTETTA incollata per rinvenimento a fiamma S> = 4 mm - P = 4kg/mq
3
2 o 12
4
13
3 STRATO ISOLANTE S = 5 cm
3
4 SPALMATURA DI BITUME A CALDO per il fissaggio dell dell’isolante isolante
5
5
5 BARRIERA AL VAPORE REALIZZATA CON MEMBRANA BITUMINOSA rinvenuta a fiamma 6 ELEMENTO DI RACCORDO TRA I PIANI
COPERTURE PRATICABILI
7 MEMBRANA BITUMINOSA ARDESIATA AUTOPROTETTA incollata per rinvenimento a fiamma S>=4 4,5 5 kg/mq.
15
16
14
14
16
8 VERNICE PROTETTIVA RIFLETTENTE
17
9 MEMBRANA SINTETICA ARMATA AUTOPROTETTA incollata con adesivo o con fissaggio meccanico
17
18 18
2
10 ZAVORRA IN GHIAIA S = 4-5 cm-P = 60 ÷ 75 kg/mq
12 13 3 3
11 EVENTUALE STRATO DI PROTEZIONE IN TNT POLIESTERE - P = 500 gr/mq 12 MEMBRANA SINTETICA ARMATA
5
5
18
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
5
6
E ESE ESSIONAL PROF
2
2
3
15
C.RCIZIO
13 MEMBRANA BITUMINOSA posata per rinvenimento a fiamma o manto sintetico armato S> = 4 mm - P = 4 kg/mq
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
14 INTONACO DI CEMENTO RETINATO 15 COPERTINA
15 19 14
PAVIMENTO SOPRAELEVATO IN QUADROTTI DI CALCESTRUZZO
21
16 PAVIMENTO S = 1,5-2 1 5-2 cm 17 MASSETTO DI SOTTOFONDO S = 3 cm
20
18 TNT IN POLIESTERE P = 500 g/mq 19 STRATO DI VENTILAZIONE
18 12
20 SOSTEGNI DEL PAVIMENTO
3
21 PAVIMENTO IN QUADROTTI DI CALCESTRUZZO
5
18
3
. F.2.5 TURE R COPE UE IN CONT
F 159
F.2. 5.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE COPERTURE CONTINUE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
TETTO GIARDINO FIG. F.2.5./15 TETTO GIARDINO REALIZZATO CON IL SISTEMA DEL TETTO CALDO TERRENO DI COLTURA
Il tetto giardino può essere realizzato sia con il più tradizionale sistema del tetto caldo, sia con il sistema del tetto rovescio. È consigliabile impiegare guaine impermeabilizzanti resistenti alle radici. FIG. F.2.5./18 TETTO GIARDINO SOPRAELEVATO
STRATO FILTRANTE PERMEABILE AL VAPORE IN TNT STRATO DI DRENAGGIO IN ARGILLA ESPANSA O GHIAIA S = 5 cm
EVENTUALE MARCIAPIEDE A copertura di un canale di scolo per la manutenzione
MASSETTO ARMATO CON RETE ELETTROSALDATA S = 5 cm
BORDO FIORIERA
FIORIERA
GIUNTO A BITUME
STRATO ANTIMBIBIZIONE IN CARTA PARAFFINATA STRATO FILTRANTE PERMEABILE AL VAPORE IN TNT MEMBRANA SINTETICA IMPERMEABILE
GUAINA ANTIRADICE
CEMENTO RETINATO
ISOLANTE TERMICO BARRIERA AL VAPORE STRATO DI REGOLARIZZAZIONE IN TNT (500 gr/mq) STRATO DELLE PENDENZE
IMPERMEABILIZZAZIONE
GHIAIA
GRIGLIA SABBIA CAPPA A FORMAZIONE PENDENZA
FIG. F.2.5./16 TETTO GIARDINO REALIZZATO CON IL SISTEMA DEL TETTO ROVESCIO TERRENO DI COLTURA STRATO FILTRANTE PERMEABILE AL VAPORE IN TNT STRATO DI DRENAGGIO IN ARGILLA ESPANSA O GHIAIA S = 5 cm
SOLAIO
AGGLOMERATO DI GHIAIETTO E BITUME
STRATO FILTRANTE PERMEABILE AL VAPORE IN TNT
SEZIONE SUL DISCENDENTE ISOLANTE TERMICO STRATO IMPERMEABILE SINTETICO STRATO DI REGOLARIZZAZIONE IN TNT (500 gr/mq) STRATO DELLE PENDENZE
FIG. F.2.5./17 TETTO GIARDINO REALIZZATO CON L’IMPIEGO DI MEMBRANE TRIDIMENSIONALI
FIG. F.2.5./19 GIARDINO PENSILE SU TERRAZZO
TERRENO DI COLTURA RETE DI ANCORAGGIO RADICI STRATO DEUMIDIFICANTE IN TORBA O ALTRO S = 4 cm TNT FILTRANTE MEMBRANA TRIDIMENSIONALE A PROFILO TRONCOCONICO CON FUNZIONE DRENANTE S = 2 cm MEMBRANA SINTETICA IMPERMEABILE E RESISTENTE ALLE RADICI STRATO ISOLANTE
TERRENO VEGETALE ANTIRADICE MASSETTO TAVELLA BLOCCHETTI FORO DI DRENAGGIO GUAINA AUTOPROTETTA MASSETTO DI PENDENZA SOLAIO
STRATO DI REGOLARIZZAZIONE IN TNT (500 gr/mq) STRATO DELLE PENDENZE
F 160
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
ANCORAGGI PERIMETRALI E DI CORONAMENTO FIG. F.2.5./20 DETTAGLI COSTRUTTIVI
•
CHIUSURE ORIZZONTALI COPERTURE CONTINUE
F.2. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
. F.2.5 TURE R COPE UE IN CONT
F 161
F.2. 5.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE COPERTURE CONTINUE
•
ANCORAGGI PERIMETRALI, PROFILI DI TENUTA, SCOSSALINE FIG. F.2.5./21 DETTAGLI COSTRUTTIVI
F 162
CHIUSURE ORIZZONTALI
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI COPERTURE CONTINUE
F.2. 5. A.ZIONI
IMPERMEABILIZZAZIONE DI SOGLIE E RACCORDI CON VOLUMI EMERGENTI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.2.5./22 DETTAGLI COSTRUTTIVI
SOGLIA COMPLANARE CON IL PAVIMENTO ESTERNO
SOGLIA SITUATA ALLA QUOTA DEL PAVIMENTO INTERNO E RIALZATA RISPETTO AL PAVIMENTO ESTERNO
MALTA DI ALLETTAMENTO RETE DI ARMATURA
PROFILO DI FISSAGGIO DELLA GUAINA
FELTRO SEPARATORE
QUADROTTI
PRO TTURALE STRU
SUPPORTI
E.NTROLLO
GUAINA IMPERMEABILIZZANTE RISVOLTATA SOTTO LA SOGLIA
CO NTALE AMBIE
RACCORDO TRA I PIANI RACCORDO TRA I PIANI GUAINA RISVOLTATA DIETRO L’INFISSO L INFISSO
PARTE ASPORTATA
SIGILLANTE
NASTRO SIGILLANTE
ANELLO PREFABBRICATO IN CALCESTRUZZO
GUAINA IMPERMEABILE
GIUNTO IN BITUME
BARRIERA AL VAPORE Ø 150 Ø 90 RACCORDO IN GOMMA EPDM VULCANIZZATA
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
COPERTINA METALLICA AD ANELLO
RACCORDO IN GOMMA
ANELLO
F. TERIALI,
URB
COLLO IN CALCESTRUZZO RETINATO
TUBAZIONE
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
MANTO IMPERMEABILE > = 3 cm
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
SERRAMENTO METALLICO A SCORRIMENTO
SOGLIA IN MARMO
B.STAZIONI DILEGIZLII
Ø 30
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
130
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
TUBAZIONE
SIGILLANTE
Ø 50 290
Ø 570
LAMIERINO METALLICO GIUNTO IN BITUME GUAINA IMPERMEABILE
COLLARE IN RAME O PIOMBO PAVIMENTO SOTTOFONDO 3 cm
RACCORDO IN GOMMA COPRIANTENNA
RACCORDO IN GOMMA PER CAMINI E SFIATATOI
. F.2.5 TURE R COPE UE IN CONT
F 163
F.2. 5.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE COPERTURE CONTINUE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
RACCOLTA E SMALTIMENTO DELLE ACQUE METEORICHE È fatto obbligo che l’impianto per la raccolta e smaltimento delle acque meteoriche sia indipendente da altri impianti di smaltimento delle acque usate (UNI - EN 12056/3). Le acque meteoriche, mediante un’adeguata pendenza dei piani della copertura, confluiscono verso linee di raccolta e da qui, ai punti di raccolta dai quali sono inviate ai pozzetti per l’allontanamento definitivo (UNI 10372, 8090, 9460). Le linee di raccolta sono le linee di compluvio che, nelle coperture continue, sono realizzate dall’intersezione di piani lievemente inclinati.
PIOMBO Il piombo è un materiale che si trova nella galena, nella cerussite, nell’anglesite. Il metallo puro è molle, malleabile, poco resistente a trazione, se sottoposto a urti diviene fragile, ha peso specifico variabile tra 11.33 e 11.49 kg/dm3, fonde a 327°C, assorbe i raggi ad alta frequenza e per questo è utilizzato nelle schermature. Legato con l’antimonio (10-20%) migliora la durezza, con lo stagno (10-15%) facilita l’uso nelle saldature.
Nell’edilizia è utilizzato nei bocchettoni di raccordo dei sistemi di raccolta e smaltimento delle acque, oltre che per fissare i ramponi di ferro o di bronzo utilizzati per connettere i conci litoidi e per creare comenti plastici tra i rocchi delle colonne. È tossico. È soggetto a fenomeni complessi e differenziati di corrosione. Le eventuali correnti galvaniche presenti nel terreno ne accelerano i processi corrosivi.
TAB. F.2.5./2 SUPERFICI SERVITE DAI PLUVIALI (UNI 9184) I punti di raccolta sono i doccioni e i bocchettoni, situati alla quota più bassa del massetto delle pendenze; in prossimità di questi elementi è opportuno passare più strati di impermeabilizzante ed estenderne anche all’interno dei bocchettoni stessi per circa 10 cm ; se realizzati in piombo i bocchettoni devono essere isolati, con uno strato di guaina, dalla azione aggressiva del calcestruzzo del massetto. I doccioni scaricano l’acqua liberamente al suolo, i bocchettoni la incanalano nei discendenti pluviali. I pluviali sono posti circa ogni 15 m. Le griglie di protezione o i chiusini evitano l’intasamento dei discendenti. Il dimensionamento di grondaie e pluviali dipende dall’altezza di pioggia, dalla superficie che afferisce al singolo pluviale e dall’intensità media delle precipitazioni. I materiali impiegati nella realizzazione di gronde, pluviali e accessori sono: acciaio al carbonio protetto con zincatura, verniciatura o preverniciatura, acciaio inossidabile, alluminio naturale o preverniciato, rame e le sue leghe, zinco al titanio, ghisa, materie plastiche come il PVC (UNI EN 607).
DIAMETRO INTERNO PLUVIALI (mm)
60
Tubi in ghisa
50 65 80 100 125 150 175 200
105 200 340 595 1035 1635 2405 3360
70 133 227 397 690 1090 1603 2240
52 100 170 297 517 817 1202 1680
42 80 136 238 414 654 962 1344
35 67 113 198 345 545 802 1120
Tubi in acciaio smaltato, lamiera zincata, rame
60 80 100 120 140 170 200
145 310 560 895 1310 2130 3240
97 207 373 997 873 1420 2160
72 155 280 447 655 1065 1620
58 124 224 358 524 852 1296
Tubi in PVC
63 75 110 125 140 160 200
155 300 545 985 1305 1840 3210
103 200 363 657 870 1227 2140
77 150 262 492 652 920 1605
62 120 218 394 522 736 1284
ALTEZZA DI PIOGGIA (mm/h) 90
120
150
180
210
240
270
300
30 57 97 170 296 467 687 960
26 50 85 149 259 409 601 840
23 44 75 132 230 363 534 747
21 40 68 119 207 327 481 672
48 103 187 298 437 710 1080
41 89 160 256 374 609 926
36 77 140 224 327 532 810
32 69 124 199 291 473 720
29 62 112 179 262 426 648
52 100 182 328 435 613 1070
44 86 156 281 373 526 917
39 75 136 246 326 460 802
34 67 121 219 290 409 713
31 60 109 197 261 368 542
SUPERFICIE (mq)
FIG. F.2.5./23 DETTAGLI COSTRUTTIVI
FASE 1
FASE 2 FASE 3
F 164
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • CHIUSURE ORIZZONTALI COPERTURE DISCONTINUE
F.2. 6. A.ZIONI
COPERTURE DISCONTINUE FIG. F.2.6./1 SUDDIVISIONE DEL TERRITORIO NAZIONALE IN ZONE CLIMATICHE (Circ. Min. LLPP n. 22631 del 24 maggio 1982)
A
La falda di copertura è la superficie inclinata, geometricamente piana, esposta agli agenti atmosferici. La pendenza minima della falda di copertura dipende dal tipo di materiale impiegato per il manto di copertura, dalla lunghezza della falda, dalle prevalenti condizioni atmo-
sferiche (vento, pioggia, neve). La circolare del Min. LLPP n. 22631, sulla base delle condizioni atmosferiche prevalenti e dell’altitudine, divide convenzionalmente il territorio italiano in 5 regioni (A, B, C, D, E) e in 4 zone climatiche (1, 2, 3, 4).
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
FIG. F.2.6./2 DENOMINAZIONE DELLE PARTI COSTITUENTI IL TETTO
C.RCIZIO
A B
E ESE ESSIONAL PROF
LINEA DI CONVERSA INCLINATA (linea di impluvio)
B
LINEA DI COLMO ORIZZONTALE
LINEA DI RACCORDO TRA VARIAZIONI DI PENDENZA
C
VERTICE B
LINEA DI GRONDA
B
E
LINEA DI CONVERSA INCLINATA (linea di displuvio)
C
D
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO LINEA DI BORDO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
1200 m
LINEA DI GRONDA SPORTO FASCIA COSTIERA
ALTITUDINE
2000 m
FASCIA SUBCOSTIERA
REGIONI CLIMATICHE
ENTROTERRA
C
LINEA DI RACCORDO TRA SUPERFICI VERTICALI REGIONE A
2
1
2 FASCIA COSTIERA
800 m
ENTROTERRA
0 m s.l.m. 4
3
ALTITUDINE
1500 m
FIG. F.2.6./3 TIPI DI COPERTURE DISCONTINUE
3
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
REGIONE B
20 km
F.3. IONI IZ PART E N INTER
300 m 2
1
2 FASCIA COSTIERA
4
800 m
ENTROTERRA
0 m s.l.m. 3
1500 m
ALTITUDINE
ZONA
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
REGIONE C
20 km
300 m
F.5. I D ARRE
ZONA
2
2
3 FASCIA COSTIERA
3
ALTITUDINE
4
800 m
ENTROTERRA
0 m s.l.m. ZONA
URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
500 m
ZONA
G.ANISTICA
LINEA DI CONVERSA ORIZZONTALE LINEA DI CONVERSA ORIZZONTALE
20 km 20 km
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
REGIONE D-E
TETTO A PADIGLIONE
20 km
TETTO A STELLA
TETTO A DUE FALDE TETTO ALLA MANSART CON TESTA A PADIGLIONE
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
0 m s.l.m. 4
regione D = 3 regione E = 4
FIG. F.2.6./4 CONFIGURAZIONE DEL TETTO: TRACCIAMENTO GEOMETRICO
CONFIGURAZIONE DEL TETTO: TRACCIAMENTO GEOMETRICO Questo metodo tiene conto dell’opportunità che le linee di gronda di un solido geometrico siano sempre alla stessa quota e le falde della copertura abbiano la stessa inclinazione. Il perimetro della copertura, e quindi l’andamento delle linee di gronda, è determinato dal perimetro del solido, maggiorato dello sporto necessario, cioè della superficie di copertura aggettante oltre il solido geometrico protetto. Le linee di compluvio e displuvio sono individuate dalle bisettrici degli angoli formati da linee di gronda contigue: gli angoli concavi danno luogo a linee di compluvio, gli angoli convessi a linee di displuvio. Le linee di colmo sono individuate o dalla bisettrice dell’angolo formato da linee di gronda convergenti ovvero, se le linee di gronda sono parallele, la linea di colmo è a esse parallela ed equidistante.
. F.2.5 TURE R COPE UE IN CONT . F.2.6 TURE R COPE NTINUE DISCO
F 165
F.2. 6.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE COPERTURE DISCONTINUE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
ISOLAMENTO TERMICO E IMPERMEABILIZZAZIONE STRATI FUNZIONALI ED ELEMENTO DI TENUTA Nelle coperture discontinue la pendenza è realizzata dai piani di falda, che coincidono con lo strato portante; lo strato ventilato è ubicato al di sopra dello strato della pendenza; la funzione dello strato di tenuta (UNI 9460) è affidata al manto di copertura che può essere realizzato con: • • • • •
prodotti in laterizio: tegole, coppi ecc.; prodotti di cemento: tegole, lastre ecc.; prodotti di fibrocemento: lastre piane e ondulate; prodotti di impasto bituminoso: tegole, lastre; prodotti di metallo o leghe metalliche: lastre piane, ondulate, grecate; • prodotti di legno: scandole, tavole ecc.; • prodotti di materiali sintetici: lastre piane e ondulate;
• • • •
prodotti vetrosi: tegole, lastre; prodotti di pietra: lastre di ardesia, scisti; prodotti di origine vegetale: paglia, stuoie ecc.; altro.
Il manto di tenuta (elemento di tenuta) deve essere inalterabile nel tempo dal punto di vista chimico, fisico, meccanico. I singoli pezzi o le lastre sono posati su adeguati supporti ed eventualmente fissati, in modo da assicurarne la stabilità in opera. Tali ancoraggi, che possono rendersi necessari per evitare la traslocazione dei singoli elementi o il sollevamento delle lastre per effetto del vento o per altre cause, devono consentire i movimenti relativi tra gli elementi di tenuta e tra questi e il supporto.
Se il manto di copertura è realizzato in tegole o coppi non è necessario generalmente lo strato di impermeabilizzazione, a meno che la pendenza delle falde non sia inferiore al 30%. La sua presenza è comunque utile in zone a forte precipitazione nevosa, dove l’accumulo di neve sulla gronda può creare ristagni di acqua. In questo caso risulta sufficiente posare una guaina lungo le prime tre file di elementi. L’intera falda viene comunque impermeabilizzata nel caso di pendenza inferiore a quella consigliata per il prodotto scelto, o di falde molto articolate. Oltre le membrane impermeabili, sono impiegate le lamiere e le lastre nervate di fibrocemento. Le membrane impermeabili possono essere posate in semiaderenza per pendenze < al 40%; la posa in totale aderenza è impiegata nelle falde a forte inclinazione e nei rivestimenti di gronde e converse.
Nel caso di edifici di nuova costruzione, la soluzione più razionale ed economica è quella di collocare lo strato termoisolante (pannelli rigidi o materassini) sull’estradosso del solaio di copertura, garantendo comunque i necessari strati di ventilazione sull’intradosso del manto di copertura (cfr. Microventilazione) o sulla superficie
esterna dell’isolante. In edifici esistenti, con sottotetto praticabile, lo strato di isolamento può essere posto all’intradosso del solaio di copertura (pannelli rigidi o materassini) ovvero sull’estradosso dell’ultimo orizzontamento; in questo caso sono impiegabili anche i materiali di tipo sciolto.
ISOLAMENTO TERMICO Nella realizzazione di falde di copertura isolate termicamente, lo strato di isolamento termico può essere realizzato in sito, mediante l’impiego di pannelli preformati o di strati continui di materiale coerente e incoerente (UNI 9460).
FIG. F.2.6./5 ISOLAMENTO TERMICO POSTO ALL’INTRADOSSO DEL SOLAIO DI COPERTURA STRUTTURA IN LATEROCEMENTO
SPESSORE DELL’ISOLANTE DELL ISOLANTE + 3 cm
ASSITO IN LEGNO
LAMA D’ARIA D ARIA
LAMA D’ARIA D ARIA ≥ 3 cm TASSELLI IN LEGNO
ISOLANTE LISTELLI IN LEGNO
NASTRO ADESIVO PER LA CONTINUITÀ CONTINUIT DEL FRENO AL VAPORE
ISOLANTE
30-
50
cm
FILO DI FERRO
FELTRO EVENTUALE FRENO AL VAPORE
CHIODI A TESTA LARGA TRAVETTI IN LEGNO
FILO DI FERRO
CHIODI A TESTA LARGA
L la distanza tra i travetti è uguale alla lunghezza del materassino + 1 cm
MICROVENTILAZIONE L’impiego di tegole o coppi comporta l’attivazione naturale della microventilazione, ovvero della ventilazione al di sotto del manto di copertura. La microventilazione, indispensabile al corretto funzionamento del tetto e a garantire la durata nel tempo del manto di copertura, è attivata, grazie alla discontinuità e geometria dell’elemento di tenuta (nel caso di coperture con lastre è necessario predisporre opportune aperture di ventilazione alla gronda e al colmo), dalle variazioni di pressione prodotte dal vento e dalle dif-
ferenze di temperatura che si verificano alle diverse quote dello strato di tenuta. L’aria entra dalla gronda, la linea più bassa del tetto, e fuoriesce dal colmo, la linea più alta. La microventilazione contribuisce a eliminare l’umidità assorbita dagli elementi a causa delle condizioni atmosferiche esterne; elimina il vapore acqueo proveniente dagli ambienti sottostanti; partecipa alla buona conservazione della listellatura del supporto ligneo del manto e di un eventuale isolante termico, quest’ultimo sarà sempre
al di sotto dello strato di microventilazione; contribuisce all’isolamento termico globale dell’edificio; riduce, grazie alla differenza di temperatura tra intradosso ed estradosso del manto, le tensioni termiche che si verificano sia nel manto stesso che nella struttura. A tale proposito è opportuno evitare il fissaggio con malta degli elementi di colmo e, laddove questo fosse necessario (zone con forte vento), la ventilazione sarà assicurata da speciali elementi di aerazione.
La ventilazione sottotetto prevede la ventilazione del volume compreso tra l’ultimo solaio e le falde di copertura, mediante apposite aperture sulle murature d’ambito. La ventilazione sottomanto, utilizzabile in particolare nel caso di abitabilità dei locali di sottotetto, prevede uno strato di aria di 7-15 cm, sull’estradosso della falda, al
di sopra dello strato isolante. La ventilazione sottomanto può coincidere con la microventilazione, aumentando lo spessore dello strato destinato ad attivare quest’ultima. Se nella copertura è presente solo la microventilazione, il sistema non si considera ventilato (UNI 8627).
VENTILAZIONE Il potenziamento degli effetti della microventilazione e un ulteriore contributo al comfort degli ambienti sottostanti il tetto, sono realizzati, nell’ambito delle coperture ventilate, con altri accorgimenti progettuali: la ventilazione sottotetto o solaio aerato e la ventilazione sottomanto o tetto ventilato.
F 166
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • CHIUSURE ORIZZONTALI COPERTURE DISCONTINUE
F.2. 6. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.2.6./6 MICROVENTILAZIONE LISTELLI DI LEGNO cm 4x3/4x4 INCHIODATI AI CONTROLISTELLI
MALTA Il fissaggio con malta richiede la presenza delle tegole di aerazione
VENTILAZIONE SOTTOMANTO E MICROVENTILAZIONE SOTTOTEGOLA COINCIDENTI
TEGOLA DI AERAZIONE
LISTELLI DI LEGNO
D.GETTAZIONE
FORO DI AERAZIONE
Lo spessore dell’isolante dell isolante non deve impedire la microventilazione
MICROVENTILAZIONE
7-15 cm
VENTILAZIONE SOTTOMANTO E MICROVENTILAZIONE SOTTOTEGOLA SEPARATE
LISTELLI DI LEGNO 4 x 4 cm
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
CONTROLISTELLI DI LEGNO TAVOLATO CONTINUO S cm ~ 2
VENTILAZIONE SOTTOTETTO
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
MANTO DI COPERTURA
URB
TEGOLE E COPPI
FIG. F.2.6./8 INTRADOSSO DI UNA TEGOLA DI LATERIZIO
Le tegole e i coppi di laterizio sono prodotti per stampaggio o estrusione; quelli di calcestruzzo sono prodotti per formatura, a partire da malte cementizie (UNI 9460, 8626). Oltre gli elementi ordinari, sono in produzione pezzi speciali e accessori per la soluzione di punti singolari della copertura (colmi, displuvi, aeratori, tegole fermaneve ecc.). La posa degli elementi necessita di uno strato di supporto e di elementi di collegamento che consentano limitati movimenti differenziali (UNI 9460).
NASELLO DI AGGANCIO
FORO DI FISSAGGIO
ELEMENTO DI APPOGGIO
PROFILI TRASVERSALI DI INCASTRO
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
FIG. F.2.6./7 ELEMENTI DI LATERIZIO PROFILI LATERALI DI INCASTRO
NERVATURE TRASVERSALI
F.3. IONI IZ PART E N INTER
INTRADOSSO DI UNA TEGOLA DI LATERIZIO Gli intradossi,gli incavi e gli incastri assicurano la facilit facilità di posa in opera
TAB. F.2.6./1 CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE DEGLI ELEMENTI DI LATERIZIO
TEGOLA PORTOGHESE
Portoghese e Olandese
Marsigliese
41 x 25 ca
41 x 25 ca
Coppo
Romana 43 x 25/30* 44 x 29/33* 3,3-4,4
2,8-3 ca
2,8
40 x 16/18* 50 x 17/19* 2-2,8 ca
N. pezzi al m2
14 ca
14 ca
30 ca
9 ca**
Interasse di posa (cm)
34-35
34-35
20-35
25-35
Lunghezza utile (cm)
20 ca
20 ca
–
–
Dimensioni (cm) TEGOLA ROMANA STAMPATA
TEGOLA OLANDESE
C.RCIZIO
PRO TTURALE STRU
LISTELLO DI GRONDA 6 x 4 cm
TEGOLA MARSIGLIESE
I ED PRE NISM ORGA
E ESE ESSIONAL PROF
7-15 cm CONTROLISTELLI DI LEGNO 4 x 2/4 x 4 cm INTERASSE 70 - 80 cm
B.STAZIONI DILEGIZLII
Massa (kg)
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
* Il valore prima della barra è riferito alla base minore e quello dopo la barra alla base maggiore ** Esclusi i coppi di completamento
COPPO TRAFILATO
TAB. F.2.6./2 PENDENZA MINIMA IN RELAZIONE AL TIPO DI ELEMENTO E ALLA ZONA CLIMATICA (cfr. FIG. F.2.6./1) Zona climatica
Lunghezza massima della falda* in m
Pendenza minima**
Pendenza massima senza fissaggio
Pendenza con obbligo di fissaggio
Sovrapposizione minima
Marsigliese, portoghese olandese e tipi assimilabili
Italia del nord e zone appenniniche Italia centrale, meridionale, insulare
10,00
35%
60%
> 60%
incastro tra tegole
12,00
30%
60%
> 60%
incastro tra tegole
Coppi
tutto il territorio
10,00
35%
45%
> 45%
10 cm
* Le lunghezze massime delle falde sono misurate in proiezione orizzontale
** I valori di pendenza minima possono essere ridotti qualora si adottino ulteriori strati sottostanti di tenuta all’acqua.
. F.2.6 TURE R COPE NTINUE DISCO
F 167
F.2. 6.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE COPERTURE DISCONTINUE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
➦ MANTO DI COPERTURA FIG. F.2.6./9 ELEMENTI DI CALCESTRUZZO
FIG. F.2.6./11 PEZZI SPECIALI
TAB. F.2.6./3 CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE DEGLI ELEMENTI DI CALCESTRUZZO TIPO Dimensioni (cm) Massa (kg) N. pezzi al m2
1
2
3
4
42 x 33 ca
42 x 33 ca
42 x 33 ca
42 x 33 ca
4,8-5
4,5
4,6-5,4
4,3-5
9,5-10,5
9,5-10,5
9,5-10,5
9,5-12
Larghezza utile B (cm)
30
30
30
30
Interasse di posa (cm)
32-36
32-36
32-36
32-36
45,6-52,5
42,7-47,2
43,7-56,7
40,8-60,0
Massa al m2
FIG. F.2.6./10 PENDENZA DELLA FALDA, SOVRAPPOSIZIONE DEGLI ELEMENTI E INTERASSE DELLA LISTELLATURA DI SUPPORTO
STRATO DI SUPPORTO Lo strato di supporto è costituito da una listellatura fissata alla struttura portante, in direzione parallela alla linea di gronda per tutti i tipi di tegole, in direzione ortogonale per la posa dei coppi. I materiali impiegati devono essere adeguatamente protetti da funghi, muffe, corrosione ecc. La listellatura può essere di legno, di acciaio al carbonio, di acciaio inossidabile; si impiegano anche cordoli di malta, pannelli o lastre opportunamente sagomate; in questi ultimi può essere integrata la funzione termoisolante. Per migliorare la microventilazione e permettere lo scorrimento di eventuali infiltrazioni di acqua, le listellature devono essere interrotte ogni 4 m, i cordoli ogni 2 m. La dimensione dei listelli di legno varia se il piano di appoggio è continuo (solaio in cemento armato, tavelloni laterizi) o discontinuo.
F 168
In quest’ultimo caso la dimensione dipende dalla luce libera tra gli appoggi e dai carichi di esercizio e accidentali previsti per la copertura. Per consentire alla prima fila di tegole di conservare la stessa inclinazione delle altre, il primo listello di gronda ha un’altezza maggiore (~ 2 cm per i prodotti in laterizio, ~ 3 cm per quelli in cemento). Per i coppi, il listello di gronda può essere sostituito da frazioni di coppi sovrapposte. La prima fila di elementi deve sporgere all’interno del canale di gronda per circa 1/3 della larghezza del canale stesso. La malta impiegata per i cordoli e per l’eventuale sigillatura degli elementi di colmo è malta di calce o malta bastarda. È esclusa la malta di cemento a causa della eccessiva rigidità. Il dosaggio per la malta bastarda è: 150 kg di cemento, 175-225 kg di calce idraulica, 1 mc
di sabbia. Se l’eventuale strato impermeabilizzante è realizzato con una membrana prefabbricata, questa dovrà essere di tipo ardesiato, così da migliorare l’adesione dei cordoli alla guaina. TAB. F.2.6./4 DIMENSIONI DELLA LISTELLATURA DI LEGNO (in cm) PIANO CONTINUO
PIANO DISCONTINUO (altitudini < 500 m s.l.m.)
3x4/4x4
4 x 4 per luci ≤ m 0,80 5 x 5 per luci ≤ m 1 5 x 7 per luci ≤ m 1,40
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • CHIUSURE ORIZZONTALI COPERTURE DISCONTINUE
F.2. 6. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
ELEMENTI DI COLLEGAMENTO Gli elementi di collegamento hanno la funzione di ancorare il manto al supporto. Sono i ganci, le graffe, i fili, i chiodi di rame, di alluminio, di acciaio al carbonio, di acciaio inossidabile. Devono essere protetti contro la corrosione, avere adeguate caratteristiche meccaniche e di durata (UNI 4507, 4752, 5101, 5082, 6900), essere dimensionati in relazione ai pezzi che collegano.
Prodotti di laterizio Per pendenze > del 60% per le tegole e del 45% per i coppi, ovvero per particolari condizioni di vento, tutti gli elementi di bordo devono essere fissati alla listellatura di supporto mediante chiodatura o filo di ferro; per tali condizioni è necessario anche il fissaggio alla listellatura di almeno un elemento ogni 5.
Prodotti di cemento Per particolari condizioni di vento e per pendenze > del 45% tutti gli elementi di bordo devono essere fissati alla listellatura mediante ganci o chiodi. Per pendenze oltre il 100%, è richiesto anche il fissaggio di almeno un elemento ogni 5. Per pendenze maggiori è inoltre necessario fissare tutti gli elementi. Per fissare le tegole può essere impiegata una sigillatura con malta bastarda o di calce.
E ESE ESSIONAL PROF
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
CONTROLISTELLO DISTANZIATORE
LAMIERA O MEMBRANA IMPERMEABILE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM 2÷3
PENDENZA DELLA COPERTURA
cm
G.ANISTICA URB
TAVOLATO
10 SOLAIO
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
CORDOLO DI MALTA EVENTUALE BITUMATURA
LAMIERA
SUPPORTO CON CORDOLI DI MALTA
LISTELLO DI GRONDA
POSA DEI LISTELLI DI SUPPORTO SU CONTROLISTELLI CHE FISSANO LO STRATO DI IMPERMEABILIZZAZIONE Adatto a falde di ridotta pendenza
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
SCHEMA DI FISSAGGIO DELLE TEGOLE
F.3. IONI IZ PART E N INTER
FIG. F.2.6./13 POSA DEL MANTO DI COPERTURA: TEGOLE PIANE 55 cm 50 27 cm 15
C.RCIZIO
PRO TTURALE STRU
PUNTI DI FISSAGGIO
LA O DEL PASS ATURA L L E T LIS
I ED PRE NISM ORGA
D.GETTAZIONE
FIG. F.2.6./12 POSA DEL MANTO DI COPERTURA
TEGOLA
B.STAZIONI DILEGIZLII
35
A CODA DI RONDINE
F.5. I D ARRE
4 3 5,5
30
4
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
42,5
39,5
39,5
39,5
30
TAB. F.2.6./5 LARGHEZZA DELLA FALDA IN FUNZIONE DELLA PENDENZA
SCAGLIE DI ARDESIA POSATE ALLA FRANCESE E ANCORATE CON GRAFFE METALLICHE FORO PER IL FISSAGGIO DEI RAMPONI
75 cm
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
FORI PER I CHIODI DA 30 mm
A SQUAME
40
20
A LASTRE RETTANGOLARI
LARGHEZZA FALDA (ml)
PENDENZA (%)
da 0 a 4
33
da 4 a 5
36
da 6 a 7
40
da 7 a 9
46
da 9 a 11
52
da 11 a 13
60
22 cm
LASTRE DI FIBROCEMENTO ANCORATE CON CHIODATURE E RAMPONE METALLICO SUL LEMBO INFERIORE
. F.2.6 TURE R COPE NTINUE DISCO
F 169
F.2. 6.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE COPERTURE DISCONTINUE ➦ MANTO DI COPERTURA FIG. F.2.6./14 FISSAGGIO DI COPPI O TEGOLE
F 170
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • CHIUSURE ORIZZONTALI COPERTURE DISCONTINUE
F.2. 6. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.2.6./15 PANNELLI PREFORMATI CHE REALIZZANO L’ISOLAMENTO E IL SOSTEGNO DI TEGOLE O COPPI
B.STAZIONI DILEGIZLII
TEGOLA CONVERSA METALLICA
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU ELEMENTO DI COLMO
CONVERSA IN MATERIALE ISOLANTE
PANNELLO ISOLANTE PER TEGOLA
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
LISTELLATURA FISSATA ALLA FALDA 15-20 cm
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
CORRELAZIONI E RACCORDI I raccordi con le pareti verticali, analogamente a quanto detto per le coperture continue (cfr. Coperture continue), devono essere realizzati in maniera da evitare infiltrazioni di acqua, sia nella falda di copertura che nella parete. In corrispondenza di detti punti è opportuno associare al manto di copertura 2 o 3 strati di guaina impermeabile. I raccordi con i camini, le antenne, i lucernari ecc., possono prevedere l’impiego di pezzi speciali (basi per camino, per antenne ecc.) ovvero impiegare converse appositamente preparate (cfr. Fig. F.2.5./22.)
G.ANISTICA URB
FIG. F.2.6./16 RACCORDI CON PARETI VERTICALI RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
. F.2.6 TURE R COPE NTINUE DISCO
F 171
F.2. 6.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE COPERTURE DISCONTINUE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
➦ CORRELAZIONI E RACCORDI FIG. F.2.6./17 RACCORDI CON PARETI E RACCORDI TRA FALDE SCOSSALINA DI PROTEZIONE DEL COLMO
SOLUZIONI DI COLMO TEGOLA DI COLMO
SCOSSALINA
FALDALE CONVERSA ESTESA SOTTO LA PRIMA FILA DI TEGOLE
FALDALE
SOLUZIONI DI COMPLUVIO CONVERSA
CONVERSA
LASTRE ONDULATE
ESECUZIONE ABBASSATA DELLA CONVERSA
Il travetto di conversa è disposto più pi in basso; basso per non doverlo incavare a “V’’’’ nel centro centro, la listellatura è fissata lateralmente con chiodi ai panconi di conversa
CONNESSIONE IN LAMIERA SAGOMATA
MANTO IMPERMEABILE CONVERSA
SEZIONE SULLA FALDA FALDE A BASSA PENDENZA
PIANTA
CONVERSA
CONVERSA ESTESA SOTTO LA PRIMA FILA DI TEGOLE
SEZIONE SUL CAMINO ASSI DI LEGNO ASSI DI LEGNO FALDE A FORTE PENDENZA
F 172
SEZIONE
CONNESSIONE TRA COPERTURA E CAMINO IN MURATURA
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • CHIUSURE ORIZZONTALI COPERTURE DISCONTINUE
A.ZIONI
LASTRE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
LASTRE DI MATERIALE METALLICO Il manto di copertura è costituito da lastre piane o sagomate, con profilo (sezione) grecato, ondulato ecc. Le lastre devono avere (UNI 10372): • il momento di inerzia più alto possibile, compatibilmente con le esigenze di massa al metro quadrato; • tenuta all’acqua (le sezioni più ampie hanno maggiore tenuta all’acqua); • adeguata portata ai carichi uniformemente distribuiti (neve, vento), in relazione anche alla zona climatica (cfr. Fig. F.2.6./1), alla distanza e resistenza degli arcarecci di sostegno o dell’elemento di supporto continuo, alla pendenza delle falde del tetto; • devono essere pedonabili per la manutenzione. MATERIALI Rame del tipo Cu-DHP (UNI 5649/1, 3310/2, 9329-9) generalmente incrudito o ricotto, nello spessore di 0,60,8 mm. Il rame è un metallo facilmente reperibile allo stato nativo; ha peso specifico variabile, secondo il processo con il quale è ottenuto, tra 8,91 e 8,93 kg/dm3, fonde a 1083°C; è molto malleabile e duttile: è possibile tirare fili di 0,0025 mm di diametro. Dopo l’oro e l’argento è il miglior conduttore di elettricità. Legato con lo stagno forma il bronzo; legato con lo zinco forma l’ottone. Il rame posto all’aria (anidride carbonica e acqua) si ossida con un carbonato basico di colore verde che lo protegge. Tale patina può essere prodotta artificialmente prima di mettere le lastre in opera. Leghe a base di alluminio, grezzo o preverniciato con processo coil coating (UNI EN 485/3, UNI EN 485/4). L’alluminio è uno dei metalli più diffusi in natura; è estratto da diversi minerali (corindone, bauxite, criotite); fonde a 650°C, ha massa volumica tra 2,6 e 2,8 kg/dm3; essendo malleabile è idoneo a subire trattamenti superficiali. La lamiera d’alluminio viene prodotta partendo da placche di materiale colate in acqua. Il processo a caldo avviene tra 400-500°C fornendo un primo prodotto con spessore di 5-6 mm; successivamente, con processo a freddo, si raggiungono gli spessori correnti di commercializzazione: 0,2-3 mm. Con laminatoi speciali è possibile raggiungere spessori più sottili, ottenendo i fogli con i quali si realizzano, ad esempio, le barriere al vapore. La lavorazione della lamiera per crearvi risalti e greche avviene a freddo; l’estrusione e la pressofusione riguardano solo alcuni raccordi e pezzi speciali. Le leghe di alluminio normalmente impiegate sono: • 1050 A (alluminio 99,5, UNI 9001/2); • 3003 (alluminio, manganese, rame, UNI 9003/1); • 3004 (alluminio, manganese, magnesio, UNI 9003/2); • 3103 (alluminio, manganese, UNI 9003/3); • 5005 (alluminio, magnesio, UNI 9005/1). Lo spessore minimo della lastra di copertura, se realizzata con le leghe 3003-3004-3103-5005, è 0,7 mm; con la lega 1050A è 1 mm. Acciai inossidabili (UNI EN 10088/1, UNI EN 10088/2, UNI 8317) della serie austenitica (al cromo-nichel, 1820% di cromo e 8-10% di nichel) e ferritica (al solo cromo, 12-17%). Il ferro, da cui proviene l’acciaio, è estratto dai suoi minerali a 1600°C; il prodotto, ricco di carbonio, è un materiale duro ma molto fragile: la ghisa. Riducendo la quantità di carbonio si ottiene un materiale meno duro ma più malleabile: l’acciaio. Con contenuti di carbonio inferiori allo 0,25% il materiale non è più fragile ed è saldabile. Secondo la lega, il peso specifico dell’acciaio varia da 7,5 a 8,1 kg/dm3. Il ferro è soggetto a fenomeni corrosivi. Gli acciai inossidabili sono protetti dall’alligante scelto per legarli (il cromo, il nichel, il molibdeno) che promuove la formazione di un ossido trasparente, invisibile, duro e resistente sulla superficie del materiale. Con la laminazione a caldo vengono prodotte lamiere di 3 mm di spessore, larghe 3000 mm e lunghe fino a 18 m. Con la laminazione a freddo si raggiungono spessori inferiori, 0,5-0,6 mm, ma larghezze non superiori a 1800 mm; il prodotto ha finiture superficiali diverse per predisporlo a eventuali ulteriori lavorazioni (zincatura, verniciatura, lucidatura).
F.2. 6.
Acciai al carbonio con rivestimenti protettivi. I prodotti impiegati sono le lamiere zincate a caldo, le lamiere zinco alluminate, rivestite cioè con una lega di zinco e alluminio, le lamiere zincate e preverniciate con procedimento coil coating, le lamiere con protezione multistrato, nelle quali la lamiera è integrata in un rivestimento protettivo che, oltre ad assolvere la funzione anticorrosiva, offre requisiti di coibenza termoacustica. I nastri impiegati hanno spessore di 0,6-1,5 mm.
zato per proteggere altri metalli attraverso processi di galvanizzazione. Tali processi prevedono la sgrassatura del metallo da proteggere, al fine di migliorarne l’aderenza e successivamente si deposita su di esso, per via elettrolitica, un sottilissimo strato di zinco. L’elettrolisi deve avvenire con temperature opportune, la posizione degli anodi deve essere scelta in funzione della forma dell’oggetto, l’azione del bagno deve avere durata regolata sulla composizione dell’elettrolita e deve essere interrotta subito dopo la deposizione dello strato.
Zinco al titanio una lega di zinco-rame-titanio a base di zinco elettrolitico, avente purezza al 99,995%, con rame e titanio come elementi alliganti. Lo zinco è molto diffuso in natura: si trova in diversi minerali (blenda, smithsonite, zincite, calamina); ha peso specifico variabile tra 6,9 e 7,2 kg/dm3, fonde a 419°C ma a 100-150°C diventa duttile ed è facilmente laminabile; a 200°C è invece fragile e facilmente polverizzabile. È molto igroscopico e spesso è utilizzato come disidratante. Lo spessore minimo consigliato è 0,7 mm. Oltre che per le lastre di copertura, i laminati sono utilizzati per lattonerie. All’aria umida lo zinco si altera ma lo strato di ossido e di carbonato basico che si forma preserva il metallo da fenomeni corrosivi. Per questa sua qualità viene utiliz-
Pannelli compositi, costituiti da una lamiera esterna, generalmente grecata, di spessore ≥ 0,5 mm; da una lamiera interna piana, liscia, goffrata o lievemente nervata, o altro materiale di rivestimento; da uno strato intermedio di materiale isolante realizzato con materiale fibroso (fibra di vetro, fibre minerali, fibre tessili sintetiche, altro) o materie plastiche cellulari (poliuretano, polistirolo, fenoliche, altre).
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
Pannelli stratificati o sandwich, generalmente realizzati in opera, sono composti da due superfici metalliche, opportunamente distanziate con distanziatori, e uno strato interposto di materiale isolante, generalmente materassini di lana minerale o pannelli di resine espanse.
F. TERIALI,
TAB. F.2.6./6 CARATTERISTICHE FISICO-CHIMICHE DEL RAME
TAB. F.2.6./7 CORRISPONDENZA TRA LE SIGLE DI ACCIAI
G.ANISTICA
Densità Punto di fusione Temperatura di ricottura Conduttività termica Conduttività elettrica Modulo di elasticità (ricotto)
AISI
8,94 g/cm3 1083°C 250-650°C 364 W/mK 49 m/Ωmm2 122 x
103
UNI
304 X5 CrNi1810
AFNOR Z6 CN 18-09
URB
DIN (W.N.) SIS
304S15
1.4301
23 32
316 X5 CrNiMo1712 Z6 CND 17-11 316S31
1.4401
23 47
430 X8 Cr17
43S17
1.4016
23 20
–
–
–
Z8 C 17
409L X2 CrTi12
N/mm2
BS
–
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
TAB. F.2.6./8 CARATTERISTICHE FISICO-MECCANICHE DI ALCUNE LEGHE DI ALLUMINIO CARICO DI ROTTURA (MPa)
SNERVAMENTO (MPa)
SPESSORE (mm)
STATO FISICO
min
max
min
max
ALLUNGAMENTO %
1,0 0,7-0,8 1,0
H14 H19 H14
105 210 145
145 – 185
85 180 125
– – –
6 2 2
3004
0,7-0,8 1,0
H19 H14
270 220
– 265
240 180
– –
1 2
3103
0,7-0,8 1,0
H19 H14
200 140
– 180
175 120
– –
2 2
5005
0,7-0,8 1,0
H18 H14
185 145
– 185
165 120
– –
2 2
LEGA 1050A 3003
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
TAB. F.2.6./9 COMPOSIZIONI CHIMICHE PERCENTUALI DEGLI ACCIAI Design. AISI
Design. UNI 6900
C max
Mn max
P max
S max
Si max
Cr
Ni
Mo
304 316 430 409L
X5 CrNi1810 X5 CrNiMo1712 X8 Cr17 X2 CrTi12
0,08 0,06 0,12 0,03
2,00 2,00 1,00 1,00
0,045 0,045 0,040 0,040
0,030 0,030 0,030 0,030
1,00 1,00 1,00 1,00
18,00+20,00 16,00+18,50 16,00+18,00 10,5+12,5
8,00-10,50 10,50+15,50 – 0,5 max
– 2,00+2,50 0,60 max –
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
TAB. F.2.6./10 PRINCIPALI CARATTERISTICHE FISICO-MECCANICHE Designazione ASI UNI
304 X5 CrNi1810
316 X5 CrNiMo1712
430 X8 Cr17
8,06
8,06
7,78
7,78
austenitica
austenitica
ferritica
ferritica
Coeff. di conducibilità termica a 100°C (cal/cm°Cs)
0,039
0,039
0,062
0,061
Coeff. di dilatazione termica medio 0+100°C (x10 -6°C -t)
17,3
16
10,4
11,7
550+700
550+700
450+600
450+600
200
200
260
240
45
40
22
25
70÷90
70÷85
88
75
Massa specifica (g/cm3) Struttura
Carico di rottura (N/mm2) Carico di snervamento allo 0,2% min. (N/mm2) Allungamento a rottura (%) min. Durezza in HRB
409L X2 CrTi12
. F.2.6 TURE R COPE NTINUE DISCO
F 173
F.2. 6.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE COPERTURE DISCONTINUE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
➦ LASTRE SCHEMI FUNZIONALI Per quanto riguarda gli schemi funzionali e gli strati funzionali si rinvia al capitolo Coperture continue e alla normativa di riferimento citata. Si riassumono qui, sinteticamente, le categorie funzionali in cui le coperture sono classificate: • copertura senza elemento termoisolante non ventilata; • copertura senza elemento termoisolante ventilata; • copertura con elemento termoisolante non ventilata; • copertura con elemento termoisolante ventilata. L’adozione di uno strato di ventilazione richiede un’intercapedine libera di spessore ≥ 4 cm, per falde di lunghezza ≤ 12 m, e di spessore ≥ 6 cm, per falde di lunghezza superiore. La ventilazione deve essere assicurata dalla presenza di aperture al livello del colmo, della gronda e di eventuali bocchette di aerazione. STRATO DI SUPPORTO Serve ad ancorare efficacemente il manto di apertura alla struttura portante (UNI 10372); può essere lineare (listelli di legno, arcarecci metallici, elementi di calcestruzzo gettati in opera o prefabbricati ecc.) o continuo (tavolato di legno pannelli ecc.). La larghezza degli elementi lineari impiegati per fissare lastre di acciaio deve essere ≥ 40 mm; per lastre di alluminio, rame, zinco e per i pannelli la larghezza deve essere ≥ 50 mm. Lo spessore dei profilati metallici deve essere ≥ 1,5 mm; per i listelli di legno l’altezza deve consentire la penetrazione delle viti di tenuta per almeno 35 mm.
Tra l’elemento di supporto e la superficie intradossale della lastra è opportuno inserire uno strato separatore che, oltre a proteggere il supporto durante le interruzioni nelle fasi del montaggio, ha la funzione di eliminare qualsiasi fenomeno di incompatibilità fisica tra i materiali, evitare l’abrasione del metallo e le infiltrazioni di umidità prodotta dalla condensazione dell’aria umida a contatto con la superficie intradossale della lastra. Lo strato separatore deve essere svincolato dagli strati con cui è a contatto, per consentire il reciproco spostamento. Lo strato separatore può essere realizzato con: • Cartonfeltri bitumati; hanno un elevato potere assorbente di umidità; i fogli devono essere posati per file parallele alla linea di gronda, con sovrapposizioni di 10 cm così da coprire la zona di chiodatura. • Stuoie a struttura, con caratteristiche fonoassorbenti; molto più efficaci delle tradizionali membrane fonoassorbenti, conosciute come antirombo, sono costituite da un materassino di monofilamenti poliammidici a struttura tridimensionale. Lo spessore è circa 18 mm. L’uso delle stuoie richiede linguette di ancoraggio più lunghe. La stuoia non svolge funzione di protezione del supporto. • Membrane prefabbricate saldate a fiamma, hanno anche effetto di schermo al vapore o di barriera, se integrate da un foglio metallico. • Membrane armate bituminose. • Fogli di polietilene, posati con i bordi termosaldati. • Nastri elastomerici o di resine espanse. • Profilati o pannelli di agglomerato ligneo.
FIG. F.2.6./18 SCHEMI FUNZIONALI E DETTAGLI COSTRUTTIVI
F 174
ELEMENTI DI COLLEGAMENTO Attuano il fissaggio tra l’elemento di supporto e il manto di copertura; il sistema impiegato non deve pregiudicare la tenuta all’acqua e deve garantire le condizioni di sicurezza, tenendo conto delle azioni indotte dai carichi di progetto, delle sollecitazioni dovute alla depressione esterna del vento sommata alla pressione interna prodotta dallo stesso, dei movimenti strutturali, delle dilatazioni termiche delle lamiere e dei pannelli. In merito a quest’ultimo punto è opportuno che il fissaggio tra lo strato di supporto e il manto di copertura sia realizzato in modo da consentire libertà di scorrimento. Il materiale dell’elemento di collegamento deve essere uguale a quello del manto di copertura; nell’eventualità che particolari esigenze meccaniche richiedano l’impiego di un metallo diverso, questo dovrà essere elettrochimicamente compatibile e avere una resistenza alla corrosione uguale o maggiore a quella del manto. Gli elementi di collegamento, che devono avere appropriate caratteristiche di resistenza ed essere adeguatamente protetti contro la corrosione, sono: • viti e bulloni (UNI EN ISO 1478, 8108); • ganci (UNI ISO 2081, 6158, 2063, 6900); • chiodi impiegati per i giunti a tassello, con la sola funzione di fissaggio della cucitura; • rivetti di tipo cieco, di rame, alluminio e le sue leghe, acciaio, con mandrino di acciaio; i rivetti non sono adatti ai fissaggi strutturali; • linguette di ancoraggio, impiegate per giunti aggraffati; devono essere realizzate con lo stesso laminato impiegato per il manto di copertura e devono essere di dimensioni tali da evitare lo sfilamento durante l’esecuzione del giunto.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • CHIUSURE ORIZZONTALI COPERTURE DISCONTINUE
F.2. 6. A.ZIONI
➦ FIG. F.2.6./18 SCHEMI FUNZIONALI E DETTAGLI COSTRUTTIVI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
. F.2.6 TURE R COPE NTINUE DISCO
F 175
F.2. 6.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE COPERTURE DISCONTINUE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
➦ LASTRE GIUNTI I giunti longitudinali sono perpendicolari alla linea di gronda; i giunti orizzontali o intermedi di testa sono paralleli alla linea di gronda. La realizzazione del giunto non deve ostacolare le dilatazioni termiche lineari della lamiera, soggetta a una notevole escursione termica. A tale proposito, per manti di copertura realizzati con lastre piane, non sono necessarie particolari precauzioni se la lunghezza di falda è < 6 m, mentre per lunghezza di falda superiore si può prevedere la segmentazione del nastro metallico o il fissaggio con giunti scorrevoli. Per coperture che impiegano lamiere nervate, grecate o pannelli compositi non sono necessarie particolari precauzioni se la lunghezza di falda è < 6 m e se la lamiera è fissata in corrispondenza della parte alta della nervatura; per lunghezza di falda superiore è necessario adottare giunti scorrevoli o segmentare la lastra. LASTRE GRECATE E ONDULATE Sono disposte su supporti lineari o continui paralleli alla linea di gronda. I giunti longitudinali devono essere realizzati con la sovrapposizione della greca o dell’onda di lastre adiacenti. La sovrapposizione deve essere effettuata in senso opposto a quello dei venti dominanti. I giunti intermedi di testa sono assenti quando le lastre hanno lunghezza uguale alla falda. Quando, viceversa, tali giunti sono presenti devono avere una minima sovrapposizione in corrispondenza dell’elemento di supporto. Tale sovrapposizione è funzione della pendenza della falda e delle condizioni climatiche ed è rilevabile dalla tabella. I valori dedotti, in condizioni climatiche sfavorevoli devono essere adeguatamente incrementati, oppure è necessario applicare un idoneo sigillante. Le lastre sono giuntate con viti o ganci, in relazione al materiale del supporto (metallo, legno, calcestruzzo); i fissaggi dovranno essere muniti di protezione contro le infiltrazioni di acqua; se i fissaggi sono realizzati con metalli non compatibili è necessario verificare l’assenza di rischio di corrosione elettrochimica tra manto di copertura e supporto. FIG. F.2.6./19 TIPI DI GIUNTI
TAB. F.2.6./11 VALORI MINIMI DI SOVRAPPOSIZIONE DELLE LASTRE PENDENZA (%)
SOVRAPPOSIZIONE (mm)
7 < P ≤ 10 10 < P ≤ 15
TAB. F.2.6./12 COEFFICIENTI DI DILATAZIONE TERMICA DI ALCUNI METALLI ALLUMINIO
23,6 x 10 -6°C -1
250
ACCIAIO
12,0 x 10 -6°C -1
200
ACCIAIO INOX AISI 304
17,0 x 10 -6°C -1
PIOMBO
29,3 x 10 -6°C -1
FISSAGGI
RAME
16,8 x 10 -6°C -1
I fissaggi sono ubicati sulle greche della lastra in corrispondenza del colmo, della gronda, dei compluvi, delle sovrapposizioni e delle porzioni di lamiera in aggetto. Possono rendersi necessari nella sovrapposizione di due lamiere contigue. In caso sia necessario realizzare fissaggi nella parte bassa della nervatura è opportuno verificare l’assenza di rischi di infiltrazioni di acqua, di sollevamento della lamiera a seguito di sollecitazioni di depressione, di sfilamento della lamiera dalla testa delle viti.
ZINCO
27,4 x 10 -6°C -1
ZINCO AL TITANIO
22,0 x 10 -6°C -1
15 < P
50
NASTRI E LASTRE PIANE Per i giunti longitudinali si adottano i giunti a doppia aggraffatura e a tassello; per i giunti intermedi di testa si adottano i giunti ad aggraffatura semplice, a doppia aggraffatura o sovrapposizione e aggraffatura, a gradini aggraffati. GIUNTO A DOPPIA AGGRAFFATURA Sono impiegate delle linguette di ancoraggio con funzione di collegare tra loro le lastre contigue e di fissarle al supporto, a cui le linguette stesse sono fermate tramite chiodatura. Sulle linguette, che sono di tipo fisso o scorrevole, per non contrastare le dilatazioni, sono ripiegati i bordi di nastri contigui. Le linguette sono posizionate per file parallele secondo la linea di massima pendenza, a un interasse determinato dalla larghezza del nastro, al netto della ripiegatura dei bordi.
GIUNTO A TASSELLO O ALL’ITALIANA Sono impiegati tasselli di legno o di metallo, disposti secondo la linea di massima pendenza, a interasse determinato dalla larghezza del nastro, al netto della ripiegatura dei bordi. Le lastre sono fissate ai tasselli con chiodatura o bandelle metalliche ancorate al tassello e aggraffate alla lastra. Per lastre di larghezza ≥ a 1000 mm, la distanza tra i punti di fissaggio deve essere ≤ 500 mm e, in prossimità della linea di gronda e di colmo, ≤ 330 mm. Un coprigiunto sormonta il tassello e il fissaggio della lastra, a protezione del giunto. Una adeguata protezione con cappellotto copritesta e sigillante è richiesta anche nei punti di fissaggio del coprigiunto. GIUNTO SCORREVOLE DI TESTA PER LASTRE GRECATE E ONDULATE Per consentire la dilatazione delle lastre grecate e ondulate è possibile realizzare un giunto scorrevole in cui, tenendo conto della effettiva dilatazione, la lastra superiore è fissata sull’arcareccio mentre quella inferiore è libera di scorrere.
FIG. F.2.6./21 GIUNTO ORIZZONTALE A SOVRAPPOSIZIONE E AGGRAFFATURA E INTERSEZIONE CON IL GIUNTO VERTICALE
GIUNTI LONGITUDINALI: GIUNTO ORIZZONTALE
1. A DOPPIA AGGRAFFATURA
LINGUETTA
2. A TASSELLO
GIUNTI INTERMEDI DI TESTA:
3. AD AGGRAFFATURA SEMPLICE 5. A GRADINI AGGRAFFATI
4. A DOPPIA AGGRAFFATURA O SOPRAPPOSIZIONE ED AGGRAFFATURA
FIG. F.2.6./20 SOVRAPPOSIZIONE DELLE LAMIERE GRECATE
ALTEZZA DELLA RIPIEGATURA DEI BORDI 10 mm PER PENDENZA VARIABILE TRA IL 30 E IL 35 %;; 20 mm PER PENDENZA VARIABILE TRA IL 25 E IL 30 %;; 30 mm PER PENDENZA VARIABILE TRA IL 20 E IL 25 %;;
GIUNTO VERTICALE
VENTO DOMINANTE GIUNTO ORIZZONTALE A SOVRAPPOSIZIONE E AGGRAFFATURA ED INTERSEZIONE CON IL GIUNTO VERTICALE SOVRAPPOSIZIONE DELLA LAMIERA
F 176
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • CHIUSURE ORIZZONTALI COPERTURE DISCONTINUE
F.2. 6. A.ZIONI
FISSAGGIO DELLE LASTRE PIANE FIG. F.2.6./22 GIUNTO A DOPPIA AGGRAFFATURA – RACCORDI CON PARETI VERTICALI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
. F.2.6 TURE R COPE NTINUE DISCO
F 177
F.2. 6.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE COPERTURE DISCONTINUE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
➦ LASTRE FIG. F.2.6./23 GIUNTO A TASSELLO
FIG. F.2.6./24 COPERTURA A LASTRE PER CUPOLA: TIPOLOGIE DI GIUNTO
FIG. F.2.6./25 GIUNTI TRA PANNELLI I pannelli seguono gli stessi criteri di giuntaggio delle lamiere. Per quanto riguarda i giunti orizzontali, è necessario asportare alla lastra che sormonta una porzione di isolante e di lamiera introdossale pari alla sovrapposizione minima di giunto. Il fissaggio è eseguito su ogni greca e realizzato tramite viti con cappellotto di lamiera sagomato come la greca.
F 178
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • CHIUSURE ORIZZONTALI COPERTURE DISCONTINUE
F.2. 6. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
PENDENZA DELLE FALDE La pendenza delle falde dipende dalla zona climatica ed esposizione locale, dalla lunghezza della falda di copertura, dal materiale del manto di copertura e dalla entità della sovrapposizione.
FIG. F.2.6./26 DIAGRAMMA INDICATIVO DELLE PENDENZE MINIME PER COPERTURE GRECATE SENZA GIUNTI INTERMEDI DI TESTA
FALDE IN M
Per coperture realizzate con lastre grecate senza giunti intermedi di testa la pendenza è ricavabile dal diagramma, in relazione all’altezza H della greca e alla zona climatica (DM 12 febbraio 1982). In genere, in condizioni di esposizioni normali, la pendenza minima è circa il 7%. Per le coperture realizzate con giunti intermedi di testa si fa riferimento allo stesso diagramma. Per falde con pendenza < del 25% il valore ricavato viene maggiorato di 0,2 L, dove L è la lunghezza della falda espressa in metri. Il valore della pendenza P ricavato dal diagramma, per valori < del 15%, deve essere moltiplicato per il fattore di correzione 1,2, in situazione di esposizione al vento, e per il fattore di correzione 0,9, in situazioni protette.
B.STAZIONI DILEGIZLII
ALTEZZA DELLA GRECA H mm H = 50 H = 40 H = 30
25
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
20
D.GETTAZIONE
15
PRO TTURALE STRU
10
TAB. F.2.6./13 CLASSIFICAZIONE DEI SITI (UNI 10372) SITO PROTETTO Fondovalle circondato da colline e protetto nelle direzioni di provenienza dei venti più violenti. SITO NORMALE
Terreno piano che può presentare dislivelli poco sensibili.
SITO ESPOSTO
Zona litorale vicino al mare, valli montane in cui sono presenti venti violenti, zone montane isolate ed esposte.
SIGILLANTE
E.NTROLLO
5
INNEVAMENTO
Per le coperture realizzate con lastre piane o nastri la pendenza è funzione del tipo di giunto utilizzato. In condizioni normali la pendenza è > al 5%. Per pendenze inferiori è necessario prevedere idonei sistemi di impermeabilizzazione dei giunti.
CO NTALE AMBIE
RIDOTTO 0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
MEDIO
0
3
6
9
12
15
18
21
24
27
ALTO
0
6
12
18
24
30
36
42
48
54
PENDENZA IN %
FIG. F.2.6./27 ABACO PER LA SCELTA DEL TIPO DI GIUNTO IN FUNZIONE DELLA PENDENZA
45 ° 100 100%
ES IT G NG IUN ITU TI DI INT NA ER LI ME DI D
35 ° 70 70%
TI UN
26 °30 30’ 50 50%
GI
3
1
2 30% 15’ 30 16 ° 15
45 30
7 °5
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER
°1 00 %
È quello che dà luogo a depositi di lieve entità e persistenti. Si verifica normalmente nelle zone climatiche con notevoli precipitazioni nevose, come ad esempio le zone 1 con altitudine h > 1000 m e le zone 2 con altitudine h > 1200 m.
42 ° 90 90%
LO
È quello che dà luogo a depositi di lieve entità ma persistenti e, occasionalmente, a depositi di spessore più elevato ma non persistente (che si scioglie rapidamente). Si verifica normalmente nelle zone climatiche con medie precipitazioni nevose, come ad esempio le zone 1 con altitudine 300 < h ≤ 1000 m e le zone 2 con altitudine 500 < h ≤ 1200 m.
60 °
INNEVAMENTO ALTO
È quello che dà luogo a depositi di lieve entità e non persistenti. Si verifica normalmente nelle zone climatiche con scarsa precipitazione nevosa, come ad esempio le zone 1 con altitudine h > 300 m e le zone 2 con altitudine h ≤ 500 m.
17 3%
INNEVAMENTO MEDIO
TA
TAB. F.2.6./14 CLASSIFICAZIONE DEL GRADO DI INNEVAMENTO (UNI 10372) (confronta FIG. F.2.6./1) INNEVAMENTO RIDOTTO
I ED PRE NISM ORGA
,7%
15% 30’ 15 8° 30
17,6% 10 °1 30’ 2°30 4,4%
4 5
5 °45 45’ 10 10%
45 5% 2° 45’ 1°10 10’ 2%
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
FIG. F.2.6./28 TIPI DI GIUNTI GIUNTI LONGITUDINALI:
1. A DOPPIA AGGRAFFATURA
GIUNTI INTERMEDI DI TESTA:
2. A TASSELLO
3. AD AGGRAFFATURA SEMPLICE
4. A DOPPIA AGGRAFFATURA O SOPRAPPOSIZIONE ED AGGRAFFATURA
5. A GRADINI AGGRAFFATI
. F.2.6 TURE R COPE NTINUE DISCO
F 179
F.2. 6.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE COPERTURE DISCONTINUE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
➦ LASTRE FIG. F.2.6./29 FISSAGGIO DI LASTRE GRECATE LATTONERIA DI COLMO E SOTTOCOLMO FISSAGGIO (CAPPELLOTTO A VITE)
COLMO
PROFILI DI SCOSSALINA
SOTTOCOLMO
SCOSSALINA DI BORDO
COLMO
VITE ISOLAMENTO ELEMENTO PORTANTE LASTRA ELEMENTO PORTANTE
SOTTOCOLMO ISOLANTE
DOPPIA SIGILLATURA
SOTTOCOLMO
BORDATURA DI COLMO A UNA FALDA
ELEMENTO PORTANTE ELEMENTO PORTANTE
SCOSSALINA DI TESTATA PARETE - FALDA
ELEMENTO DI SUPPORTO ELEMENTO DI FISSAGGIO TAMPONAMENTO INTERNO
LASTRA GRECATA
RACCORDO DI FALDE A DIVERSA PENDENZA RACCORDO DI FALDE A DIVERSO LIVELLO
COPERTURA AD ARCO AUTPORTANTE A DUE GUSCI
209
75
284 70
ES TE RN O
105 150 134
PROFILO AD OMEGA
G
852
RACCORDO CON CAMINO
PROFILO DELLA LAMIERA
RIVETTATURA E SIGILLATURA LASTRA O NASTRO
TRAVATURA LATERALE DI APPOGGIO
PIASTRA DI FISSAGGIO
STRATO SEPARATORE SUPPORTO CONTINUO
TAB. F.2.6./15 SPESSORE DEI MATERIALI
F 180
CAPPELLO
STAFFA DI SOSTEGNO
LAMIERA DI ACCIAIO ZINCATO PREVERNICIATO
US CI O
G
IN TE RN O
US CI O
ISOLAMENTO TERMICO
SPESSORE DEL MATERIALE (mm)
RAGGIO DELL’ARCO (mm)
SPESSORE DEL MATERIALE (Kg/mq)
0,75
≥ 15,00
10,25
0,88
≥ 15,00
12,25
1,00
≥ 14,00
13,65
1,13
≥ 14,00
15,00
1,25
≥ 14,00
17,05
1,50
≥ 14,00
20,45
La sigillatura pu può essere eseguita per brasatura dolce su rame, zinco, acciaio zincato RACCORDO A MONTE
CHIUSURA VANO CANNA FUMARIA LASTRA GRECATA
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • CHIUSURE ORIZZONTALI COPERTURE DISCONTINUE
F.2. 6. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
LASTRE DI MATERIALE FIBROSO
B.STAZIONI DILEGIZLII
FIG. F.2.6./30 PROFILI DI LASTRE IN FIBROCEMENTO
5 6,
57,5 57
m m
177 GUARNIZIONI E PROFILI SAGOMATI
m m
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
5
195
6,
PRO TTURALE STRU
61,5 61
mm
1010 mm
E.NTROLLO
235
CO NTALE AMBIE
61,5 61 980 mm
F. TERIALI,
Lastre astre sottocoppo impiegabili in interventi di recupero
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
350 6,5 mm
61,5 61
G.ANISTICA
1130 mm Lastra astra adatta alla copertura di grandi luci peso delle lastre = 11 11,5 5 - 12 kg/mq kg mq
URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
Guarnizione espansa di tenuta
FIG. F.2.6./31 RACCORDI E CORRELAZIONI ACCESSORI 35 cm
120° 120 COLMI ONDULATI
31
60 cm
44 cm
162 °
145° 145
56
41
m 0c
3
30
LASTRA SOTTOCOPPO
33/35 cm COLMI PER DIAGONALI
cm
30
COLMI PER SHED COLMI ALI PIANE
SCOSSALINA LASTRA VERTICALE
SCOSSALINA
RACCORDI DI FALDE A DIVERSA PENDENZA
RACCORDI CON PARETI VERTICALI 5 cm 2-1
1
FISSAGGIO SU APPOGGI INTERMEDI
15 -
m 20 c
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
ELEMENTO DI RACCORDO
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
LASTRA VERTICALE
ELEMENTO DI RACCORDO
ELEMENTO DI RACCORDO
F.3. IONI IZ PART E N INTER
cm
30
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
16 cm
cm
COLMI A CERNIERA
ELEMENTO DI RACCORDO
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
1100 mm Lastra astra di copertura a profilo europeo adatta a costruzioni zootecniche, agricole, civili
6,5
Tra i materiali impiegati nella realizzazione di lastre vi sono il fibrocemento senza amianto, i materiali plastici rinforzati, come la resina di poliestere rinforzata con fibra di vetro, o non rinforzati, il polistirene, il polimetilmetacrilato (UNI 6774, UNI EN ISO 14631, UNI EN ISO 7823). Il fibrocemento senza amianto utilizza come tessuto di armatura le fibre naturali (cellulosa, lana, juta, cotone, lino) o sintetiche (fibre vetrose, polipropilene, polietilene), legate con calcestruzzo di cemento. La graniglia può essere colorata in pasta. La fibra, meglio se tessuta, crea una sorta di armatura distribuita nell’ambito del getto, migliorandone le qualità meccaniche. Queste lastre hanno buona resistenza agli agenti atmosferici, agli urti, allo sfondamento e non necessitano di manutenzione. Le lastre possono essere piane o curve, a profilo piano, ondulato o nervato; i diversi prodotti sono in genere corredati da profili e accessori di montaggio. L’impiego di lastre a lunghezza di falda riduce i rischi di infiltrazioni di acqua e di ponti termici. I prodotti devono rispondere a caratteristiche di affidabilità e funzionalità, lavorabilità, sicurezza nell’installazione, impermeabilità all’acqua, permeabilità al vapore, leggerezza, fonoassorbenza, inattaccabilità ai funghi; devono essere ignifughi e non devono sviluppare fumi tossici. Le lastre sono impiegate nelle costruzioni industriali, zootecniche, agricole, civili, oltre che come strato sottocoppo nel recupero di edifici antichi, riducendo, in quest’ultimo caso il peso complessivo della struttura di sottomanto. La tenuta all’acqua è garantita dalle dimensioni delle lastre, dal corretto fissaggio, dalla mutua aderenza nelle sovrapposizioni. La posa delle lastre segue gli stessi criteri esposti per le lastre metalliche: è opportuno che le sovrapposizioni siano effettuate in direzione opposta a quella dei venti dominanti; i punti di fissaggio sulle linee di colmo e di gronda, realizzati mediante cappellotti, come anche quelli sui correnti intermedi, devono essere posizionati sulle onde di sovrapposizione e in posizione centrale; le sovrapposizioni longitudinali, la cui lunghezza dipende dalla inclinazione della falda, non devono essere inferiori a 12 cm e devono essere eseguiti su tutte le onde.
cm max 15
EVENTUALE SIGILLANTE > 20 cm
> 31% = 17 ° 17%-31% 17% 31% = 10 °-17 17 ° 10%-17% 10% 17% = 6 °-10 -10 ° SOVRAPPOSIZIONE DELLE LASTRE IN FUNZIONE DELLA PENDENZA
FISSAGGIO DELLA LINEA DI GRONDA
. F.2.6 TURE R COPE NTINUE DISCO
F 181
F.2. 6.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE COPERTURE DISCONTINUE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
RACCOLTA E SMALTIMENTO DELLE ACQUE METEORICHE L’impianto per la raccolta e smaltimento delle acque meteoriche deve essere indipendente da altri impianti di smaltimento delle acque usate (UNI EN 12056/3). Le acque meteoriche, mediante un’adeguata pendenza, confluiscono verso linee di raccolta e, da qui, convergono ai punti di raccolta dai quali sono inviate ai pozzetti per l’allontanamento definitivo (UNI 10372, 8090, 9460). Le linee di raccolta sono le linee di impluvio. Nelle coperture discontinue le linee di impluvio sono i canali di gronda e le converse; queste ultime sono collocate tra falde contigue. I canali di gronda hanno pendenza di circa 5 mm ogni metro; se realizzati in metallo, ogni 15 m deve essere previsto un giunto di dilatazione. Dai canali di gronda, attraverso i bocchettoni, l’acqua viene inviata nei discendenti pluviali. Eventuali griglie di protezione e pozzetti a cassetta evitano l’intasamento dei discendenti. I pluviali sono posti circa ogni 15 m. Il dimensionamento di grondaie e pluviali dipende dalla ampiezza delle superfici che afferiscono al singolo pluviale e dall’intensità media delle precipitazioni. I materiali impiegati nella realizzazione di gronde, pluviali e accessori sono: acciaio al carbonio protetto con zincatura, verniciatura o preverniciatura, acciaio inossidabile alluminio naturale o preverniciato, rame e le sue leghe, zinco al titanio, materie plastiche come il PVC (UNI EN 607). Per il dimensionamento dei pluviali cfr. la Tab. F.2.6./2. FIG. F.2.6./33 CANALI DI GRONDA
F 182
PARANEVE
FIG. F.2.6./32 DOCCIONE O GOCCIOLATOIO
Il paraneve frena la caduta delle masse nevose accumulatesi sulle coperture e di proteggere il canale di gronda dall’accumulo della neve. I paraneve sono adottati in zone a forte precipitazione nevosa e per coperture con pendenza compresa tra 20° e 60°%. Pendenze maggiori non producono grossi accumuli di masse nevose; pendenze minori non consentono lo scivolamento della massa nevosa mettendo a rischio la tenuta del sistema di copertura. TAB. F.2.6./16 SUPERFICI SERVITE DA CONVERSE E CANALI DI GRONDA SEMICIRCOLARI (UNI 9184) Dimensione nominale (mm)
Pendenze del canale di gronda (%) 0,5
1
2
4
Superficie (mq)
75
18
25
35
50
100
40
55
80
110
125
70
95
135
190
150
100
150
200
300
175
150
210
300
420
200
220
300
430
600
250
400
550
780
1080
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • CHIUSURE ORIZZONTALI COPERTURE DISCONTINUE
F.2. 6. A.ZIONI
FIG. F.2.6./34 CANALI DI GRONDA E SCOSSALINE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
FIG. F.2.6./35 TIPI DI SCOSSALINE SENZA RISVOLTO FERMA ACQUA (spessore 8 mm)
. F.2.6 TURE R COPE NTINUE DISCO
F 183
F.2. 6.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE COPERTURE DISCONTINUE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
➦ RACCOLTA E SMALTIMENTO DELLE ACQUE METEORICHE FIG. F.2.6./36 CANALI DI GRONDA
GIUNTI DI SCORRIMENTO FIG. F.2.6./37 GIUNTI DI SCORRIMENTO Per consentire le dilatazioni termiche i canali di gronda hanno generalmente lunghezza ≤ 15 m. Oltre tale misura è necessario inserire i giunti di scorrimento.
F 184
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • CHIUSURE ORIZZONTALI COPERTURE TRASLUCIDE E TRASPARENTI
A.ZIONI
COPERTURE DI VETROCEMENTO Le coperture di vetrocemento, piane o inclinate, sono costituite da diffusori di vetro, l’armatura d’acciaio e il getto di calcestruzzo . Sono generalmente realizzate con pannelli prefabbricati, limitatamente alle possibilità di manovra e trasporto. La realizzazione in opera è in genere limitata alle grandi coperture piane, alle volte e alle cupole; questi casi richiedono un piano di posa in legname perfettamente liscio.
FIG. F.2.7./1 DIFFUSORI ADATTI ALLA REALIZZAZIONE DI SOLETTE PIANE E CURVE
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
Se le sedi di appoggio sono costituite da travi in calcestruzzo, prima di posare in opera i pannelli è necessario attendere il completo disarmo e la stagionatura delle travi. Il vincolo tra le strutture che portano le solette di vetrocemento deve essere esclusivamente un vincolo di appoggio. Sono pertanto da escludere i vincoli di incastro o qualsiasi collegamento rigido con le strutture portanti. Analogamente a quanto accade per le pareti, tra le solette di vetrocemento e gli appoggi è necessario interporre, per l’intero perimetro, cartoni catramati o feltri bitumati al fine di assecondare gli scorrimenti relativi. L’impermeabilità è data dall’accurata costipazione dei getti, cosicché il calcestruzzo risulti privo di bolle d’aria e compatto, e dall’assenza di fenomeni di ritiro. Un adeguato dosaggio per il conglomerato cementizio è 400 Kg di cemento per 1.00 mc di impasto. L’armatura è realizzata con tondini di acciaio collocati tra i diffusori, adeguatamente distante da essi. Le armature principali sono collocate nella parte inferiore della soletta, tessute secondo la minore dimensione. Impiegando i pannelli, questi devono essere tenuti umidi per almeno 4 giorni, durante la fase di indurimento. Un’armatura di ripartizione viene posta al di sopra e ortogonalmente a quella principale. In prossimità dell’estradosso della soletta viene posto un ulteriore reticolo di tondini, posato quando il getto del conglomerato è giunto al livello. Tale reticolo è particolarmente indispensabile se la soletta è esposta a repentine variazioni termiche. Le fasce piane perimetrali hanno generalmente una larghezza maggiore di alcuni centimetri di quella delle fasce intervetro. L’accostamento di pannelli su elementi portanti richiede la realizzazione di giunti eseguiti con opportune modinature riempite con mastice di asfalto, oppure con coprigiunti in lamiera zincata, ancorati su tasselli di legno predisposti, che proteggono i bordi rialzati di pannelli contigui.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
TAB. F.2.7./1 DIMENSIONAMENTO DELLE ARMATURE H
h
a
cm
b
c
mm
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII
CRITERI DI PROGETTAZIONE ED ESECUZIONE
i
F.2. 7.
LUCE
a
m 1,00
b
c
mm
LUCE
a
m 1,50
b
c
mm
LUCE
a
m 2,00
b
c
mm
LUCE m 2,50
19
5,5
4,0
8
6
4
600
8
6
4
200
8
6
4
100
- - -
- - -
- - -
- - -
19
8,5
7,0
10
8
4
2000
10
8
4
800
10
6
4
350
10
6
4
200
22
6,0
4,0
10
8
4
900
10
8
4
350
10
6
4
150
10
6
4
70
19
5,5
4,0
8
6
4
600
8
6
4
200
8
6
4
100
- - -
- - -
- - -
- - -
FIG. F.2.7./2 ESEMPIO DI DIMENSIONAMENTO DELLE ARMATURE PER SOLETTE IN VETROCEMENTO – TONDINI Ø (mm) E SOVRACCARICO (kg/mq) SULLA LUCE LIBERA
F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
. F.2.6 TURE R COPE NTINUE DISCO E . SLUCID F.2.7 TURE TRA R E I P T CO PAREN S E TRA
F 185
F.2. 7.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE COPERTURE TRASLUCIDE E TRASPARENTI ➦ COPERTURE DI VETROCEMENTO FIG. F.2.7./3 TIPI DI VINCOLO
F 186
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI BALCONI
F.2. 8. A.ZIONI
BALCONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.2.8./1 PARAPETTI, RINGHIERE, SCOSSALINE PROFILO METALLICO AFFOGATO NELLA MURATURA
CORRELAZIONE CON IL PARAPETTO
PAVIMENTO
ALLETTAMENTO
ALLETTAMENTO
GUAINA ASFALTO
GUAINA ASFALTO
PENDENZA
PENDENZA
E ESE ESSIONAL PROF ZANCA
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO SISTEMA DI ATTACCO PARAPETTI PREFABBRICATI
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
PARAPETTO PREFABBRICATO
PARAPETTO IN MURATURA
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
SCOSSALINA METALLICA PAVIMENTO
B.STAZIONI DILEGIZLII
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
PIASTRA IN PIOMBO
TELAIO PARAPETTO
G.ANISTICA URB
SIGILLANTE SILICONICO COPERTINA IN PIETRA TASSELLO A ESPANSIONE
SIGILLANTE SILICONICO
TELAIO ANCORATO CON TASSELLI A ESPANSIONE
MASSETTO PENDENZE GOCCIOLATOIO
TELAIO ANCORATO CON ZANCHE ANNEGATE NEL GETTO DI CLS
TELAIO PARAPETTO
IMPERMEABILIZZAZIONE
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
GHIERA COPRIFILO
COPERTINE E SCOSSALINE
F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
STRATO DI ASFALTO
IN PIETRA
SCOSSALINA A SCATTO
F.5. I D ARRE
GUAINA ASFALTO
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
IN COTTO
TASSELLO IN LEGNO
IN LAMIERA
CORRELAZIONI ALLA CHIUSURA VERTICALE CON TAGLIO TERMICO INT INTONACO
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
INT
EST ANCORAGGIO A ESPANSIONE SCOSSALINA METALLICA PANNELLO ISOLANTE
PAVIMENTAZIONE
SU PORTA FINESTRA
EST SCOSSALINA METALLICA ANNEGATA NEL CLS
COLLO RETINATO
ALLETTAMENTO
PAVIMENTAZIONE ALLETTAMENTO GUAINA ASFALTO MASSETTO PENDENZE
PANNELLO ISOLANTE
E . SLUCID F.2.7 TURE TRA R E I P T CO PAREN S E TRA . F.2.8 NI O BALC
F 187
F.2. 9.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE GIUNTI DI DILATAZIONE GIUNTI DI DILATAZIONE Tutti i materiali, in misura diversa, sono soggetti a mutare dimensione se sottoposti a variazioni di temperatura. Nei corpi di fabbrica in elevazione, realizzati con materiali non adatti ad assorbire con continuità le deformazioni, è necessario predisporre delle discontinuità (calcolabili) per evitare che la dilatazione (positiva o negativa) non consentita, possa provocare fratture, coazioni, rotture. Particolare attenzione è richiesta nel disegno del giunto di dilatazione a evitare che la discontinuità possa agevolare la creazione di vie d’acqua, di ponti termici, di ponti acustici indesiderati. I materiali elastici predisposti a chiusura delle discontinuità possono necessitare di operazioni di manutenzione programmate.
FIG. F.2.9./1 SOLAI DI COPERTURA E INTERMEDI
TAB. F.2.9./1 COEFFICIENTI DI DILATAZIONE LINEARE DI ALCUNI MATERIALI METALLI E LEGHE acciaio 0,000012 alluminio 0,000024 bronzo 0,000018 ferro omogeneo 0,000012 ghisa 0,000011 ottone 0,000018 rame 0,000017 PIETRE – MURATURE ardesia 0,000010 arenaria 0,000010 conglomerato cementizio 0,000012 granito 0,000009 intonaco 0,000016 marmo 0,000007 muratura di pietrame 0,000006 muratura di mattoni 0,000006 pietra calcarea 0,000007 LEGNAMI (parallelamente alla fibra) abete 0,000003 acero 0,000006 pino 0,000005 quercia 0,000004 LEGNAMI (trasversalmente alla fibra) abete 0,000057 acero 0,000048 pino 0,000037 quercia 0,000054 VETRI 0,00000
F 188
•
CHIUSURE ORIZZONTALI
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
CHIUSURE ORIZZONTALI GIUNTI DI DILATAZIONE
F.2. 9. A.ZIONI
FIG. F.2.9./2 SOLAI DI COPERTURA E INTERMEDI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
. F.2.9 I DI T GIUN ZIONE A DILAT
F 189
F.3. 1.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE TRAMEZZI
PARTIZIONI INTERNE
•
TRAMEZZI IN LATERIZIO, IN BLOCCHI DI CALCESTRUZZO, IN PANNELLI DI GESSO, IN LEGNO FIG. F.3.1./1 TIPOLOGIE DEGLI ELEMENTI
25
33
50
50 25
8
33
25
33
12/15
25
Con il termine partizione interna si intende (UNI 7960) l’unità tecnologica destinata a separare gli spazi interni che sono compresi tra le partizioni orizzontali, a regolare le comunicazioni tra di essi e contribuire alla fornitura dei livelli di attrezzamento necessari allo svolgimento delle attività previste. La separazione è attuata dal punto di vista fisico, ottico, acustico, termico, psicologico. Le partizioni interne possono essere: semplici: quando assolvono la funzione principale di dividere gli spazi interni secondo quanto già detto; attrezzate: quando assolvono la funzione principale di dividere gli spazi interni ma contengono anche sistemi impiantistici; contenitori: quando, assolvendo la funzione principale, prevedono la possibilità di contenere oggetti; mobili: quando, attraverso facili meccanismi, possono essere rimosse annullando, con continuità nel tempo, la separazione tra ambienti. Le partizioni interne devono rispondere a requisiti relativi alle esigenze di fruibilità, di benessere, di incolumità e sicurezza, di prevenzione contro il danneggiamento; devono rispondere a esigenze estetiche, di utilizzazione delle risorse (integrabilità con elementi diversi), di eventuale coordinamento dimensionale, di sicurezza nella fase di produzione.
25
25
8
TRAMEZZE
12
8
6
IN LATERIZIO
120 120/140 140/160 160
TRAMEZZE SUPER
12
40/50 40 50/60 60/120 120/200 200
25 25 8
12
TRAMEZZONE
TAVELLONI
3/4/6
IN GESSO
IN CALCESTRUZZO ALLEGGERITO
A GIUSTAPPOSIZIONE
A INCASTRO
ARCHITRAVI GETTO CON ARMATURA VERTICALE
GETTO CON ARMATURA ORIZZONTALE cm 12 x 27 x 74
cm 6 x 50 x 66,6
RINFORZI
cm 6 x 33,3 x 100
cm 6 x 50 x 66,6 CON ARCHITRAVE
SENZA ARCHITRAVE
PARTIZIONI CON TELAI DI LEGNO
TELAIO IN LEGNO
RIVESTIMENTO IN MASONITE O COMPENSATO FINITO CON CARTA
PANNELLO IN GESSO CORNICI IN CEMENTO O GESSO
BATTISCOPA IN CERAMICA
RIVESTIMENTO IN COMPENSATO IMPIALLACCIATO A FACCIA VISTA
BATTISCOPA IN LEGNO
BATTISCOPA ATTREZZATO PROFILO IN ALLUMINIO A SCATTO CAVI ELETTRICI PROFILO METALLICO PORTANTE TASSELLO A ESPANSIONE
GUARNIZIONE LIVELLO PAVIMENTO
F 190
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARTIZIONI INTERNE TRAMEZZI
A.ZIONI
LASTRE E PANNELLI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FINITURA IN LASTRE DI INTONACO Lo strato di finitura delle partizioni interne può essere realizzato con intonaco (cfr. F.1.2). Sull’intonaco possono essere successivamente applicate le tappezzerie, le carte da parati, le pitture, gli stucchi. Altri sistemi di finitura prevedono l’impiego di doghe (metalliche, di legno, di materiali plastici) ovvero lastre di intonaco prefabbricate. TAB. F.3.1./1 PANNELLI DI GESSO SU POLISTIROLO ESPANSO Lastra + Spessore Peso PE +lastra totale (kg/mq) (mm) (mm) 10 + 20 + 10
40
16,80
10 + 30 + 10
50
17,00
10 + 40 + 10
60
17,10
10 + 50 + 10
70
17,30
10 + 60 + 10
80
17,40
10 + 70 + 10
90
17,60
10 + 80 + 10
100
17,70
F.3. 1.
Lastra + PE(mm)
Spessore Peso totale (kg/mq) (mm)
10 + 20 13 + 20 10 + 30 13 + 30 10 + 40 13 + 40 10 + 50 13 + 50
30 33 40 43 50 53 60 63
8,7 10,7 8,7 11 8,9 11,2 9 11,3
Lastra + PE (mm)
Spessore Peso totale (kg/mq) (mm)
10 + 60
70
9,2
13 + 60
73
11,5
10 + 70
80
9,3
10 + 80
90
9,5
10 + 90
100
9,6
10 + 100
110
9,8
Lastra (mm) 10 + 30 10 + 40 10 + 50 10 + 60 10 + 70 10 + 80 10 + 90 10 + 100
Spessore Peso totale (kg/mq) (mm) 40 50 60 70 80 90 100 110
9,3 9,6 10 10,3 10,7 11 11,4 11,7
Lastra + lana (mm) 10 + 30 10 + 40 10 + 50 10 + 60 10 + 70 10 + 80 10 + 90 10 + 100
Spessore Peso totale (kg/mq) (mm) 40 50 60 70 80 90 100 110
10,7 11,6 12,5 13,4 14,3 15,2 16,1 17,0
FIG. F.3.1./2 SCHEMI DI INCOLLAGGIO CON MALTA ADESIVA
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
3 cm
G.ANISTICA 35 35
35
URB
35
Ø10 10 SU FONDI IRREGOLARI 1. LASTRA IN GESSO 1
2
3
1. LASTRA IN GESSO
2
3 cm 1
2
1. LASTRA IN GESSO 1 3 2 1
1
3. BARRIERA AL VAPORE
1. LASTRA IN GESSO 2. POLISTIROLO ESPANSO O ESTRUSO (densità 35 kg/m 3) (densit
1
SU FONDI REGOLARI 1. LASTRA IN GESSO 1
2
3. BARRIERA AL VAPORE
2. POLISTIROLO ESPANSO O ESTRUSO (densità 35 kg/m 3) (densit
2. POLISTIROLO ESPANSO O ESTRUSO (densità 35 kg/m 3) (densit
2. POLISTIROLO ESPANSO O ESTRUSO (densità 35 kg/m 3) (densit
2. LANA DI ROCCIA VULCANICA AD ALTA DENSITA' (30 kg/m 3)
SUCCESSIONE DEGLI STRATI NELLE LASTRE SANDWICHES
CORRENTI IN LEGNO
COLLA BARRIERA AL VAPORE Spessore 1 cm
COLLA
LEGNO
BATTISCOPA
CORRELAZIONE D’ANGOLO D ANGOLO
FORO PER SCATOLA IMPIANTO ELETTRICO
CAVI ELETTRICI
F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
VITI
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
PAVIMENTO
PER LOCALI UMIDI (bagni, cucine)
MONTAGGIO
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
F.5. I D ARRE
COLLA FOGLIO IN PVC
PAVIMENTO
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
CON TELAIO INCHIODATO ALLA MURATURA ESISTENTE
TRACCE PER MPIANTI
TASSELLO ANCORATO ALLA MURATURA RETROSTANTE
MURO
PER CARICHI LEGGERI
PER CARICHI PESANTI
. F.3.1EZZI TRAM
F 191
F.3. 1.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE TRAMEZZI
PARTIZIONI INTERNE
•
➦ LASTRE E PANNELLI FIG. F.3.1./3 CARTONGESSO
LASTRE DI GESSO SU ORDITURA METALLICA
SVASATA CON IMPRONTA A CROCE
25 o 100
SVASATA CON IMPRONTA A CROCE
25 o 45
TONDA CON IMPRONTA A CROCE
TIPI DI BORDI DELLE LASTRE
TIPI DI PROFILATI PER IL TELAIO
ELEMENTI DI FISSAGGIO
L’ordito metallico è realizzato con profili in lamiera d’acciaio di almeno 0,60 mm di spessore, piegata a freddo, protetta contro la corrosione mediante una galvanizzazione a caldo. Gli elementi di fissaggio delle lastre di gesso al telaio sono costituiti da viti a testa svasata, in modo da non penetrare nella lastra; l’impronta per l’avvitatura è a croce e le viti devono essere protette contro la corrosione mediante un trattamento di fosfatazione o con un rivestimento di cadmiatura (UNI 9227). Le modalità di esecuzione delle partizioni interne mediante lastre di gesso rivestito su orditura metallica sono contenute nella norma UNI 9154. La svasatura del pannello è fatta per alloggiare e integrare in essa lo spessore del sistema di connessione (colle, malte, bande tessili).
ASSOTTIGLIATO
a “C”
9,5 o 25
a “U”
DRITTO
ad “ Ω”
SMUSSATO
ATTACCHI A SOFFITTO
SU MONTANTI
SU LASTRA DI GESSO
FOGLIO DI PROTEZIONE IN PVC
SU PIGNATTA MASSETTO
ATTACCHI A PAVIMENTO
CON VITE A ESPANSIONE
CON VITE
A COLLA
POSA SU CALCESTRUZZO CEMENTIZIO
TOLLERANZA DI MONTAGGIO
FIG. F.3.1./4 GIUNTI DI CORRELAZIONE CHIUSURA DEI GIUNTI
INCROCIO A "T"
VANO LIBERO
LASTRA IN GESSO MALTA DI RIEMPIMENTO NASTRO ARMATO
ANGOLO
CONTROTELAIO
STRATI DI FINITURA SOVRAPPOSTI
ATTACCO A UN SERRAMENTO INTERNO
LASTRA IN GESSO MALTA DI RIEMPIMENTO
ELEMENTI ELASTICI
FINITURA CORRELAZIONE CON I VANI
F 192
GIUNTO DI DILATAZIONE
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
PARTIZIONI INTERNE TRAMEZZI
A.ZIONI
LASTRE DI GESSO SU ORDITURA METALLICA E ACCESSORI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.3.1./5 DISPOSIZIONI PARTICOLARI DI POSA IN OPERA TRAMEZZI INSONORIZZATI (Peso: – 57 kg/ml)
3 PANNELLI ISOLANTI
2 PANNELLI ISOLANTI
ISOLANTE IN FIBRE MINERALI
F.3. 1.
2 PANNELLI ISOLANTI
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO TRAMEZZI INSONORIZZATI (Peso: – 70 kg/ml)
3 PANNELLI ISOLANTI
TRAMEZZO
B.STAZIONI DILEGIZLII
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CORRELAZIONI TRA PARETI INSONORIZZANTI ISOLANTE IN FIBRE MINERALI
SOLAIO
POSA IN OPERA DI PANNELLI CURVI
CO NTALE AMBIE
CENTINATURA IN LEGNO
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM LATO DELLA LASTRA DA INUMIDIRE
SOSPENSIONE
LISTE DI MASONITE
TELAIO IN MULTISTRATO TRUCIOLATO O INTERASSE DI 1200 mm
CONTROSOFFITTO IN GESSO
LISTELLI IN LEGNO
TRAMEZZO
a
a
MURO
MECCANICI VARIABILI
POSA PARALLELA A) ESTERNO DRITTO
MURO
a
b lunghezza della lastra
900-1200 mm CENTINA RICAVATA DA PROFILATO
POSA PERPENDICOLARE B) ESTERNO CURVATO
MURO
PANNELLO DI GESSO
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
STAFFA SUPPORTO CASSETTA INCASSO PANNELLO DI GESSO
URB
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
b
REGOLI PER SUPERFICI CURVE
G.ANISTICA
F.5. I D ARRE
PANNELLO DI GESSO
PANNELLI DI GESSO SU SUPPORTI PORTANTI ESISTENTI
CARICHI LEGGERI (quadri, specchi ecc.)
kg 15 APPENDIQUADRI
CARICHI MEDI (armadietti, mensole, applique ecc.)
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
GAMMA DI VITI UTILIZZABILI TELAIO SUPPORTO SENZA TESTA
TASSELLO IN LEGNO
kg 40 A TESTA TONDA ANCORETTA A CADUTA TESTA FRESATA SUPPORTO RUBINETTERIA TASSELLO SSELLO IN PLASTICA
PENSILI LIBRERIE
kg 50
A SQUADRA GUIDA A GANCIO
ANCORETTA A SCATTO
A OCCHIELLO
SUPPORTO UNIVERSALE BILATERALE
SUPPORTO PER SERVIZI IGIENICI
. F.3.1EZZI TRAM
F 193
F.3. 1.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE TRAMEZZI
•
PARTIZIONI INTERNE
PARTIZIONI SPOSTABILI FIG. F.3.1./6 SEMPLICI
FIG. F.3.1./7 ATTREZZATE PANNELLO OPACO
PANNELLO PORTA
PANNELLO CON VANO VETRABILE
H3
PORTA
H3
ANTE OPACHE
H3 PANNELLO CON SOPRALLUCE
H H2
VETRINA
H3
H H2
2150
2150
H1
H1
ELEMENTI TIPO
ELEMENTI TIPO
60
60
H3
60 SEZIONE VERTICALE SU MODULO CIECO
H3
H3 RIPIANO ISOLANTE
H2
H
H
2150 2150 SISTEMA DI CONTRASTO
H1
BATTISCOPA ATTREZZATO
60
60 VETRATO
PORTA
OPACO
SOPRALLUCE
460-500
GIUNZIONI ANTA OPACA
76
LM
LM
5
LM a "T"
ANTA VETRATA
LM
CORRENTE
a "L"
LM
S
LM
SPORTELLO LM
PORTA IN CRISTALLO ANTINFORTUNIO
MODULO CON PORTA TAMBURATA
950 o LM
SEZIONE ORIZZONTALE GIUNZIONE CONTROMURATURA SOTTO MODULO
PORTA TAMBURATA EVENTUALE VANO PASSAGGIO CAVI
INSONORIZZAZIONE SPORTELLO OPACO
SPORTELLO ARMADIO VETRATO
S 950 + S = LM
S LM
950
5-15 LM
S + 950 = LM
LM
SEZIONE ORIZZONTALE SEZIONE ORIZZONTALE
F 194
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
PARTIZIONI INTERNE SERRAMENTI INTERNI
•
F.3. 2. A.ZIONI
PORTE Il legno utilizzato per realizzare serramenti interni deve essere stagionato, deve avere un contenuto d’acqua inferiore al 15%, non deve avere nodi, non deve avere fenditure. Il legno deve essere sottoposto a trattamenti superficiali e/o impregnanti. L’idoneità tecnica delle specie legnose per serramenti interni è descritta nella norma UNI 8938, mentre i procedimenti di impregnazione e di preservazione fanno capo alla norma UNI 8662/2.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
FIG. F.3.2./1 PORTE SERRAMENTO IN LAMIERA
CONTROTELAIO 0
TELAIO FISSO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
ELEMENTI D'IMBOTTE
MOSTRA IRRIGIDIMENTO IN PROFILO D’ACCIAIO ACCIAIO
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
25,4
H MANIGLIA 105
TELAIO MOBILE
PRO TTURALE STRU
TELAIO IN ACCIAIO INSERITO NEL PROFILO
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
DOGHE ALVEOLATE IN PVC
40
max 90 (1 anta anta)
D.GETTAZIONE
DOGA
PANNELLO 40
VANO LIBERO 196 ÷ 210
20
20
TELAIO CONTINUO
CONTROTELAIO IN LAMIERA PIEGATA
G.ANISTICA URB
IN LEGNO (tamburato (tamburato)
IN LEGNO (tavolato (tavolato)
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
IN LEGNO (specchiata)
INTONACO CONTROTELAIO IN LEGNO (multistrato (multistrato)
IN PROFILO D’ACCIAIO D ACCIAIO
METALLO SMALTATO
TELAIO FISSO IN ACCIAIO
TELAIO IN METALLO
TELAIO IN PROFILO D’ACCIAIO ACCIAIO
TRAMEZZO
MOSTRA MOSTRA
PORTA IN LEGNO
SEZIONE VERTICALE
PORTA SCORREVOLE INSERITA IN UN TRAMEZZO
PORTA SCORREVOLE INSERITA NELLO SPESSORE DEL TRAMEZZO LAMIERA D’ACCIAIO ACCIAIO ZINCATA
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
PROFILO DI TENUTA
ARMATURA SALDATA ALL’INVOLUCRO ALL INVOLUCRO IN LAMIERA
TRAMEZZO
F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
GUARNIZIONI BATTUTA
ZANCA
FERMO
MOSTRA
INTONACO
. F.3.1EZZI TRAM REGOLAZIONE MECCANISMO DI SCORRIMENTO
SEZIONE CAVALLOTTO DI FISSAGGIO ALLA PORTA
PROSPETTO LATERALE GUIDA A PAVIMENTO
FERMO A PAVIMENTO
. F.3.2 MENTI SERRA I N INTER
F 195
F.3. 2.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SERRAMENTI INTERNI
•
PARTIZIONI INTERNE
PORTE ANTINCENDIO Sono realizzate in lamiera d’acciaio pressopiegata, calibrata a freddo, con interposti materiali ignifughi. Possono essere anche vetrate con specchiature adatte. La battuta, le serrature, le cerniere e tutti gli accessori devono confortare la classe di tenuta prevista dalle ante. Le prove certificano la classe d’appartenenza: RE attitu-
dine alla resistenza meccanica sotto l’azione del fuoco, REI attitudine alla resistenza meccanica e all’isolamento termico (impedisce il passaggio di calore e di fumo sul lato opposto); il numero che segue la certificazione indica la durata della prestazione provata in minuti primi: 60, 90, 120 (cfr. Pareti perimetrali, verticali, laterizio – Com-
portamento al fuoco). Le guarnizioni nelle porte REI sono termoespandenti in modo da assicurare l’isolamento completo tra gli ambienti. Il comando di chiusura può essere affidato a sistemi di termovalvole. Se la porta funziona anche come uscita di sicurezza sarà corredata da maniglia antipanico.
FIG. F.3.2./2 CORRELAZIONI CON IL VANO MURARIO LAMIERA PIEGATA MAX 5 TOLLERANZA
58 REI 60 73 REI 120
48 REI 60 63 REI 120
MAX 5 TOLLERANZA
58 mm
GUARNIZIONE TERMOESPANDENTE
MATERIALE ISOLANTE
32 58 mm
GUARNIZIONE TERMOESPANDENTE
34
L1
15
GUARNIZIONE TERMOESPANDENTE
INSERZIONE OBLO’ OBLO NELLA PORTA CON VETRO REI 120
34
L2
REI 120 GUARNIZIONI TERMOESPANDENTI
GUARNIZIONI TERMOESPANDENTI
FERMAVETRO
REI 60 INSERZIONE OBLO’ OBLO NELLA PORTA CON VETRO REI 60 5 mm
35 mm
CON TELAIO DI BATTUTA
VANO
TELAIO ESTERNO
TELAIO ESTERNO VANO
GUARNIZIONE TERMOISPANDENTE
GUARNIZIONE TERMOISPANDENTE
VANO
32 mm
59 mm
TELAIO ESTERNO
11
32 mm CON TELAIO DI BATTUTA
200 mm ZANCA
PROFILO IN LAMIERA PER LA MOSTRA COPRIFILO
20-30 mm PROFILO
50÷60 50 60 mm
CONTROTELAIO REI 60 50 x 30 x 2 REI 120 60 x 30 x 2
REI 60 50 x 20 x 2 REI 120 60 x 20 x 2
DIMENSIONI CONTROTELAIO
F 196
REI 60 50 x 30 x 2 REI 120 60 x 30 x 2
ZANCA 200 mm
DISTANZIATORI PER IL TRASPORTO DA DISSALDARE IN OPERA CONTROTELAIO
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
PARTIZIONI INTERNE SERRAMENTI INTERNI
•
A.ZIONI
RIVESTIMENTI ANTINCENDIO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.3.2./3 RIVESTIMENTI ANTINCENDIO RIVESTIMENTO DI TRAVE
PROFILO A “C C” 50 x 27 x 0,6 mm
PROFILO ANGOLARE 19 x 24 mm
RIVESTIMENTO DI PILASTRO LASTRE IN GESSO
TASSELLO O MORSETTO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
PROFILO A “C C” 50 x 27 x 0,6 mm
E ESE ESSIONAL PROF PILASTRO IN ACCIAIO
LASTRE IN GESSO TRAVE IN ACCIAIO
F.3. 2.
LASTRE IN GESSO COTTO
TRAVE IN ACCIAIO
MORSETTO
PARASPIGOLO PER LASTRE DA 31 x 31 mm
MORSETTI PER PROFILI DI BORDO
PROFILO A “C C” 50 x 27 x 0,6 mm
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
SPEZZONE DI PROFILO A “C C” 50 x 27 x 0,6 mm COME FERMOLASTRA
TAVELLA
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
STUCCO SIGILLANTE
SEZIONE VERTICALE
G.ANISTICA URB
LASTRA IN GESSO COTTO
STUCCO SIGILLANTE
IN ADERENZA ALL’I ALL INTRADOSSO DEL SOLAIO
PILASTRO IN ACCIAIO PROFILO A “C C” 50 x 27 x 0,6 mm
MORSETTO PER PROFILI A “C C”
SEZIONE ORIZZONTALE
RIVESTIMENTI DI CAVEDI
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
PROFILO ANGOLARE DA mm 50 x 50 x 0,6 ASTA FILETTATA VANO
SEZIONE ORIZZONTALE
GRAPPE IN ACCIAIO
nastro spessore 15 mm lunghezza 100 mm LASTRE GESSO COTTO
LASTRE FIREBOARD
VITE AUTOPERFORANTE FOSFATA mm 3,9/35 PROFILO A “C C” 50 x 40 x 3 mm PROFILO A “C C” 50 x 40 x 3 mm
NASTRO SPESSORE 5 mm LUNGHEZZA 20 mm
SEZIONE VERTICALE
LASTRE IN GESSO
nastro spessore 15 mm lunghezza 100 mm
SEZIONE VERTICALE
CANALETTA PORTACAVI CANALETTA
stucco nastro spessore 25 mm lunghezza 20 mm
F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
LASTRE IN GESSO SPESSORE MINIMO 25 mm GRAPPE IN ACCIAIO
VITE AUTOPERFORANTE FOSFATATA 3,9/35 mm
PROFILO A “C C” 50 x 40 x 3 mm
SEZIONE ORIZZONTALE
PROFILO ANGOLARE 50 x 50 x 0,6 mm
NASTRO SPESSORE 25 mm LUNGHEZZA 20 mm
. F.3.2 MENTI SERRA I N INTER
F 197
F.4. 1.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SCALE
•
ELEMENTI DI COMUNICAZIONE VERTICALE
SCALE FIG. F.4.1./1 SCHEMI COSTRUTTIVI SCALA IN MURATURA
SCALE IN PIETRA
GRADINO IN PIETRA
SCALA APPOGGIATA SUL NUCLEO CENTRALE A SBALZO
SCALA A SBALZO DAL MURO D’AMBITO D AMBITO
SOLETTA RAMPANTE VOLTINE A QUARTO DI PADIGLIONE
SEZIONE
VOLTINE A COLLO D’OCA D OCA
ALCUNE TIPOLOGIE DI GRADINI IN PIETRA
VOLTINE A BOTTE
PIANTA
SCALE IN CEMENTO ARMATO SCHEMA COSTRUTTIVO PIANEROTTOLO PREFABBRICATO 28 GRADINO A SBALZO SCALA A SBALZO (i gradini sono delle mensole) p
22
17 RIPRISTINO ARMATURA
TRAVE A GINOCCHIO
RAMPA PREFABBRICATA
a
a
SCALA SU SOLETTA (i gradini sono portati) p
39
SPESSORE 12-20 cm
LASTRA
RIVESTIMENTO IN GOMMA POSATO A COLLA
SPESSORE 3-6 cm EVENTUALE BOCCIARDATURA ANTISCIVOLO
MALTA DI ALLETTAMENTO
SOTTOGRADO IN COTTO
CONTRASTI PROVVISORI ESEGUITI CON MATTONI PIENI E GESSO SCAGLIOLA
LASTRA
LASTRE IN COTTO
MALTA DI ALLETTAMENTO
SOTTOGRADO 2 cm GRADO 3 cm
INTONACO
GRADINO ESEGUITO IN MATTONI FORATI
CLS ARMATO CLS ARMATO VITE DI FISSAGGIO
EVENTUALE PARASPIGOLO IN LAMIERA ZINCATA O DI ALLUMINIO
GRADO FINITO 30
RIVESTIMENTO POSATO A COLLA BETONCINO IN CEMENTO FRATTAZZATO
3
5 17
CLS ARMATO
4
TAVOLA SCHIUMA POLIURETANICA
EVENTUALE PARASPIGOLO IN LAMIERA ZINCATA O DI ALLUMINIO
F 198
PROFILI IN LEGNO D’ANCORAGGIO D ANCORAGGIO
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
ELEMENTI DI COMUNICAZIONE VERTICALE SCALE
F.4. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.4.1./2 SCHEMI COSTRUTTIVI
B.STAZIONI DILEGIZLII
SCALE IN LEGNO
I ED PRE NISM ORGA
MANCORRENTE BALAUSTRA
C.RCIZIO
TAVOLATO IN LEGNO DURO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
TRAVI IN LEGNO PORTANTI
E.NTROLLO
PIANEROTTOLO PIANEROTTOLO TAVOLATO PORTANTE FINITURA IN MOQUETTE A
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
MANCORRENTE BALAUSTRA
G.ANISTICA URB
CONTROVENTATURA
TRAVE PORTANTE BALAUSTRA GRADINO
FINITURA IN LEGNO DURO
SUPPORTO GRADINO
A
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC TAVOLATO PORTANTE
SEZIONE A A
SCHEMA DI PROSPETTO
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
SCALE IN ACCIAIO CLS IN OPERA
TUBOLARE Ø 30 BALAUSTRA
MANCORRENTE
F.3. IONI IZ PART E N INTER
RINGHIERA GRADINO
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC LAMIERA STIRATA
PARTICOLARE DI SEZIONE DEI PARAPETTI
F.5. I D ARRE
GRADINO AUTOPORTANTE IN CLS LEGNO DURO INCOLLATO
GIUNTO DI DILATAZIONE GETTO IN CLS
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
GOMMA INCOLLATA 0,5-0,7 0,5 0,7
SUPPORTO IN LAMIERA STIRATA
SUPPORTO IN LAMIERA STIRATA
FELTRO INCOLLATO
LAMIERINO STIRATO
LAMIERINO STIRATO
SCALE ESTERNE SOLETTA IN CLS
GHIAIA
GHIAIA
SOTTOFONDO RIGIDO 10 cm 10
QUOTA TERRENO SOTTOGRADO PREFABBRICATO IN CLS VIBROCOMPRESSO
SOTTOGRADO
. F.4.1 SCALE
F 199
F.4. 1.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE SCALE
•
ELEMENTI DI COMUNICAZIONE VERTICALE
➦ SCALE FIG. F.4.1./3 SCALE IN ACCIAIO, A CHIOCCIOLA, SPECIALI
ALZATA PEDATA
GRADINI PREFABBRICATI
PARAPETTO TONDO PORTANTE
GRADINO TERRAZZO
TUBOLARE PER CORRIMANO
SPESSORE DI ALZATE TIRAFONDI SCALA A CHIOCCIOLA CON GRADINI A SBALZO
GRADINI A MURO
ASSE CENTRALE; può terminare a livello pu del corrimano o proseguire sino al soffitto PIASTRE D’APPOGGIO APPOGGIO
PIANTA LIVELLO DI PIANO
PIEDE D’APPOGGIO APPOGGIO
CORRIMANO IN LEGNO O METALLO
BASE DI APPOGGIO
SCALE DI SERVIZIO
FIG. F.4.1./4 SCALE A SCOMPARSA
F 200
SCALA A CHIOCCIOLA CON GRADINI APPOGGIATI
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
ELEMENTI DI COMUNICAZIONE VERTICALE ASCENSORI E AUSILI MECCANICI
A.ZIONI
ASCENSORI E AUSILI MECCANICI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.4.2./1 VANI E LOCALI MACCHINE
B.STAZIONI DILEGIZLII
SCHEMI VANI ANTINCENDIO
I ED PRE NISM ORGA
CANNE DI VENTILAZIONE SCALA
VANO MACCHINE 130
350 220 CABINA
F.4. 2.
ACCESSO INDIPENDENTE 240 VANO FILTRO
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
PIANO COPERTURE CANNE DI VENTILAZIONE DISIMPEGNO AERATO
ULTIMO PIANO
D.GETTAZIONE
PORTE R.E.I.
PRO TTURALE STRU
CANNE DI VENTILAZIONE VANO FILTRO
E.NTROLLO
DETTAGLIO DELLE CANNE DI VENTILAZIONE CABINA
PORTE R.E.I.
VANO MACCHINE
A
A'
ULTIMO PIANO
SHUNT
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
150
160 ASCENSORE OLEODINAMICO
PIANTA
SEZIONE A-A' A-A
ASCENSORE ELETTROMECCANICO
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
AERAZIONE 35 cm
MAX 5 cm PORTE DI PIANO PIANEROTTOLO
MURO TAGLIAFUOCO AERAZIONE
PORTA R.E.I.
PORTE DI CABINA PROFILI IN METALLO
VANO CORSA
25
APERTURA AERAZIONE VANO SCALE
MAX 5 cm
PORTA R.E.I.
TOLLERANZA MINIMA 20 cm
70
in
in
m
F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE
m
75
min 70
CABINA ASCENSORE INCOMBUSTIBILE
SOLAIO TAGLIAFUOCO
20 cm
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
min 75
40
PIATTAFORMA
90 min 130 BRACCIOLO GIREVOLE
min 70 max 110 93
. F.4.1 SCALE
59 53 30 110 SEDILE
PREFERIBILMENTE < 4 m
53
30 46
25
SILI . F.4.2 SORI E AU N ASCE NICI A MECC
F 201
F.5. 1.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE BAGNI
•
ARREDI
PARETI TECNICHE Sono pareti che, oltre la funzione di separare gli ambienti, associano o integrano le esigenze impiantistiche ad essi relativi. La schematura idraulica delle cucine e dei bagni è composta da: a) sistema di alimentazione; b) sistema di smaltimento; c) sistema di ventilazione. L’alimentazione provvede alla distribuzione dell’acqua fredda e calda, alla distribuzione del gas combustibile, all’immissione di aria fresca. Lo smaltimento provvede a scaricare le acque usate, i gas combusti, l’aria esausta. La ventilazione provvede alla aerazione dei collettori di scarico. Per quanto riguarda i materiali utilizzati nella realizzazione delle schemature essi dovranno rispondere a una serie di requisiti fisici, chimici, di messa in opera e di ubicazione indicati dalle normative in relazione ai sistemi dei quali sono componenti (alimentazione, smaltimento, ventilazione) e alla tipologia di appartenenza (residenze, edifici pubblici, ospedali). Le schemature vanno adeguatamente isolate con provvedimenti termoacustici (materassini di fibra di vetro, guaine in espanso, schiume di resine poliuretaniche), a evitare fenomeni di condensa, dispersione di calore, trasmissione di rumori. Le schemature dovrebbero essere ubicate in modo da garantire una buona manutenzione delle stesse senza dover distruggere altri elementi costruttivi. Il sistema di alimentazione, a valle della bocca di erogazione (e contatore) della azienda erogatrice, deve fare capo a un sistema di saracinesche che garantisca l’intercettazione del flusso entrante e il suo arresto. Le tubazioni sono completate da raccorderie varie, che ne permettono l’assemblaggio, dalle rubinetterie, dai sifoni (chiusure idrauliche), dagli organi di lavaggio del vaso igienico. I vani che ospitano i servizi devono garantire una facile pulizia e un’adeguata igiene. Gli apparecchi devono trovare, nelle pareti che delimitano il vano, sistemi di fissaggio sicuri e affidabili. Le norme riguardano, in particolare: 1. tubazioni, raccorderie, rubinetterie, miscelatori; 2. apparecchi sanitari e acquai; 3. sifoni; 4. apparecchi termici; 5. apparecchi elettrici di comando.
FIG. F.5.1./1 PARETE TECNICA PER VASO E BIDET SOSPESI
ATTACCO DI ACQUA CALDA A DISPOSIZIONE
ATTACCO DI ACQUA FREDDA A DISPOSIZIONE
ATTACCHI ACQUE FREDDA E CALDA PER APPARECCHI DERIVATI
TRAVERSE PORTANTI
ATTACCO DI VENTILAZIONE PER APPARECCHI DERIVATIDERIVATI
COLLETTORE DI VENTILAZIONE
GRUPPO DI MISCELA BIDET PIASTRA DI FISSAGGIO VASO
H PIASTRA DI FISSAGGIO BIDET RUBINETTI DI INTERCETTAZIONE ACQUE FREDDA E CALDA
PAVIMENTO FINITO
ATTACCO DI SCARICO PER APPARECCHI DERIVATI COLLETTORE DI SCARICO
VITI DI REGOLAZIONE PER MESSA A LIVELLO BLOCCO
TIRANTI PER FISSAGGIO BLOCCO
A queste vanno aggiunte quelle più generali sui materiali da costruzione che comunque intervengono nella realizzazione del manufatto.
COLONNA DI CIRCOLAZIONE ACQUA CALDA
TAB. F.5.1./1 INDICAZIONI GEOMETRICHE H-L = ALTEZZA E LUNGHEZZA DEL BLOCCO (parete tecnica) Possono variare in funzione dell’esecuzione del blocco. Le minime dimensioni per un’esecuzione standard sono di 90 x 90 cm. Si possono comunque realizzare pareti tecniche di oltre 5 m di lunghezza e di altezza superiore a 2,50 m.
COLONNA DI VENTILAZIONE
COLONNA DI SCARICO
COLONNA DI ACQUA FREDDA
COLONNA DI ACQUA CALDA
PARETE FINITA
S = SPESSORE DEL BLOCCO ESCLUSO IL TAMPONAMENTO
F 202
10 cm 15 cm
per blocchi singoli e doppi dove non siano installati vasi
20 cm 25 cm
per blocchi singoli dove siano installati vasi
30 cm
per blocchi doppi dove siano installati vasi
35 cm 40 cm
per esecuzioni speciali
S DISTANZIALI
PARETE FINITA
GANASCE DI FISSAGGIO
L
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
ARREDI BAGNI
A.ZIONI
APPARECCHI SANITARI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.5.1./2 APPARECCHI SANITARI IN CERAMICA DOCCIA ALTA A SNODO
B.STAZIONI DILEGIZLII
L
I ED PRE NISM ORGA
L/2
BOCCA EROGAZIONE
107
56,5 VASCA A GREMBIALE
LAVABO A MENSOLA
MENSOLA Ø 30 TUBO VENTILAZIONE
PILETTA SCARICO
VASCA A SEDILE
20
ENTRATA ACQUA PER IL LAVAGGIO DA CASSETTA O FLUSSOMETRO
DOCCE
BIDET
34/39
SIFONE A BOTTIGLIA 3/6
12
PIANTA
55/65
LAVABO A COLONNA
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
URB
130
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER
38/40 40/60
SEZIONE SCARICO Ø 30 PIATTO DOCCIA
55/75 SEZIONE
100/130
TUBO CADUTA Ø 30
50/65 LASTRA DI PIOMBO
34
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
36
PIANO PAV. FINITO PIANO RUSTICO
SCARICO Ø 60
PIANTA 20
PIANTA
SCATOLA SIFONATA 32
SEZIONE
VASO AD ASPIRAZIONE CON CASSETTA BASSA 20 48/50 MANOPOLA
VASO A CADUTA CON CASSETTA ALTA 58/62 45/49
51
45/60
PIANTA
38
COPERCHIO SEDILE
70/78
37/41
37
ORINATOIO A PARETE
F.5. I D ARRE
SCARICO CON GRIGLIA
VASO SOSPESO (scarico a parete) 63
A
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
LASTRA DI PIOMBO
ORINATOIO A STALLO
50/65
CO NTALE AMBIE
G.ANISTICA
2,5
20/40
E.NTROLLO
42
PIANTA SEZIONE VUOTATOIO AD ASPIRAZIONE
RUBINETTO DI ARRESTO 79/81
SOFFIONE DOCCIA A PARETE CON SNODO
DOCCIA CENTRALE H = 200
RUBINETTO
SOFFIONE DOCCIA CENTRALE
50
53
BOCCA DI EROGAZIONE
PRO TTURALE STRU
GRIGLIA RIBALTABILE
1 EROGAZIONE Ø_ 2 ACQUA
PIANO FINITO
D.GETTAZIONE
SCARICO Ø 40
Ø 35 TUBO SCARICO
SIFONE
E ESE ESSIONAL PROF
VENTILAZIONE
VASCA DA RIVESTIMENTO
C.RCIZIO
DOCCIA LATERALE H = 189,5
42/46
200
GRUPPO MISCELAZIONE DOCCIA
170/180
L/3
VENTILAZIONE Ø 40
170/180
60
GRUPPO MISCELAZIONE
64
75/80
70/80
F.5. 1.
54 60
35/37,5 SEZIONE
SCARICO A PAVIMENTO
SCARICO A PARETE
PIANTA
SEZIONE
. F.5.1I BAGN
F 203
F.5. 1.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE BAGNI
•
ARREDI
➦ APPARECCHI SANITARI FIG. F.5.1./3 VASCHE E DOCCE TERMOFORMATE 183
170
150/160
35 70
85
152
59
70
35
26 26
19 85 TUBAZIONI PER I GETTI
5
86
97
85
183 5 45
60 60
7
45 60
32
25
POMPE E MOTORI
19
TELAIO
CON IDROMASSAGGIO PER 2 PERSONE
192 135
CON IDROMASSAGGIO PER 1 PERSONA
50
106 212
137
150
91
65
CON IDROMASSAGGIO PER 4 PERSONE
91
216
106 27
148 140
137
57
5 50
83 56
25 15 170
CON IDROMASSAGGIO PER 2 PERSONE
224
86
90 75
30
213
70
106
223
BLOCCO VASCA / DOCCIA 106
13
DOCCIA CON SAUNA
53 100
37,5 37,5 30,5
215 106 70 DOCCIA D’ANGOLO ANGOLO
70
75 DOCCIA PER 2 PERSONE
F 204
100
148
75
100
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
ARREDI BAGNI
F.5. 1. A.ZIONI
CELLULE PREFABBRICATE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.5.1./4 CELLULE TERMOFORMATE, CELLULE IN CALCESTRUZZO PER ESTERNO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
B
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF 215
183,3 145
D.GETTAZIONE
A
PRO TTURALE STRU
A
63
B
149
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
145 ALCUNI TIPI CONSENTONO L’INSERIMENTO INSERIMENTO DI APPARECCHI IN CERAMICA TRADIZIONALE
F. TERIALI,
SEZIONE B-B
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
3 28
SEZIONE A-A
70
45
G.ANISTICA URB
74,5
195
B
125,5 A
236
183,3
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
A 42
52,8
194
125,5
194
B
PIANTA
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
SEZIONE A-A
SEZIONE B-B
F.3. IONI IZ PART E N INTER 60 105
60
50
45
55
15
15
60
60
45 15 55 15
95
15
245,1
45 15
260,1
165
60
120
60 15
150
75
75
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
CELLULE PREFABBRICATE IN CEMENTO ARMATO
VASCA IN ACCIAIO INOX
65
F.5. I D ARRE
225
165
165
GRIGLIA TRATTATA CON VERNICI ANTIACIDO
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
VANO INTERNO TRATTATO CON VERNICE ANTIACIDO 60
VANO TECNICO
28
60
50
CUPOLINO IN PLEXIGLAS OPACO
BANDINELLA IN LAMIERA ZINCATA
SPECCHIO
20 80 120
GETTONIERA SUPERFICIE CON GHIAIETTO TRATTATO
A
A
28 20
PIANTA
65
60 150
8
157
20
20
SUPERFICIE TRATTATA CON VERNICE ANTIACIDO
PANNELLO IN ACCIAIO INOX
40
PARETE DIVISORIA IN ACCIAIO INOX
355 SEZIONE A-A
. F.5.1I BAGN
F 205
F.5. 1.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE BAGNI
•
ARREDI
➦ CELLULE PREFABBRICATE FIG. F.5.1./5 CELLULE TERMOFORMATE, CELLULE A PANNELLI PANNELLI A CELLULE TERMOFORMATI
CARTONGESSO
EVENTUALE AEREATORE E ILLUMINAZIONE
PANNELLO IN CONGLOMERATO DI RESINE FIBRE IDROREPELLENTI ANTIMUFFA AUTOESTINGUENTE
SOFFITTO A DOGHE O FINITO A INTONACO
RIVESTIMENTO INCOLLATO CON ADESIVO IMPERMEABILIZZANTE
CELLULA
min. 220
2 5
PARTICOLARE PANNELLO DELLA CELLULA
TELAIO IN LAMIERA PIEGATA
SEZIONE VERTICALE
SEZIONE VERTICALE
MURO
CARTONGESSO
RIVESTIMENTO CELLULA
CELLULA PAVIMENTO INCOLLATO AL PANNELLO
VANO DI CANALIZZAZIONE PREDISPOSTO NEL SOLAIO PROFILO A OMEGA FISSATO AL SOLAIO
PROFILO A OMEGA FISSATO AL SOLAIO
135
CELLULE TERMOFORMATE
157,5
28 3 CAVEDIO RUBINETTO CON DOCCIA
240 COPERTURA CON BIDET INCORPORATO
307,5 VASO CON VASCA PER BIDET
TAVOLETTA
195
VASCA PER BIDET VASCA RACCOLTA ACQUA
GRIGLIA 42
125,5 SEZIONE
SEZIONE SEZIONE
SEZIONE
57,8
60,8
VASO CON VASCA PER BIDET
70 119,5
145 RUBINETTO ESTRAIBILE CON FLESSIBILE PER LA DOCCIA
F 206
57,5
49,5 125,5
149
100,5
PIANTA
PIANTA
PIANTA
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
ARREDI CUCINE
•
F.5. 2. A.ZIONI
CUCINE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.5.2./1 APPARECCHI E INGOMBRI LAVAPIATTI
LAVABIANCHERIA
85
80
FRIGORIFERI
82
80
B.STAZIONI DILEGIZLII
LAVABI
I ED PRE NISM ORGA
40 ÷ 45
MACCHINA CON FORNO
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
45 80 55
58
46
60
64
55
D.GETTAZIONE
40 ÷ 45
58
57
PRO TTURALE STRU 45
E.NTROLLO
50
CO NTALE AMBIE
95 ASCIUGABIANCHERIA (sovrapponibile alla lavabiancheria)
40 ÷ 45
FORNO A MICROONDE
32
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
130
80
80
75 155
34
FREEZER A POZZO
60
URB
40 ÷ 45
50
50 60
G.ANISTICA
84
80
50
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
180
150
AGGREGAZIONI 85 ÷ 90
28 0
12
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
24
72
F.3. IONI IZ PART E N INTER
76 48
75
72
(Per i frigoriferi con dispensatore di ghiaccio occorre una presa per ll’acqua acqua corrente)
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
100 CARRELLO DI SERVIZIO
TAVOLO DA CUCINA
SCALA DI SERVIZIO
53 80
F.5. I D ARRE
25
80
25
168 72
74
50
50
86
86
ALTEZZA FORNO
32
32
0
12
32
130
74
ALTEZZA FRIGORIFERO
(Altezza di lavoro anche in piedi)
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
50 57
53
5p er i
86
53
10
pie di
5p er i
95 53
10
pie di
48 5p er i
. F.5.1I BAGN
10 pie
di
. F.5.2 E CUCIN
F 207
F.5. 3.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE ARREDI MOBILI
ARREDI
•
TAVOLI E SEDUTE FIG. F.5.3./1 TIPOLOGIE E INGOMBRI 30
55 60
65 80 80x 80 80
50
6 POSTI
80
80 8 POSTI
4 POSTI 60 65 75
140
180
120 55 60
50
80
125
10 POSTI
75
45
60 240 45
40 60 -75 75
BANCONE 105
40
80
170 10
45
60
45
130
10
120
65
65
30
150
30 40
PER 2 PERSONE
70
75 PASSAGGIO
45 120- 130 120
45 25
20
45
115 40
70
30 ° 115 10
45
60
45
10
45
150
140
115
45
230
PER 4 PERSONE
PER MANGIARE IN PIEDI 45
10
10
PER SCRIVERE IN PIEDI
15
210 120
120
15
90 x 90
90 x 90
45 45
60
45
45
150
30 45
120
30
45 90-120
TAVOLI IN NICCHIA
PASSAGGIO
TAVOLI A PANCA FISSA
100-180 80
180
45-85
75 150
80
TAVOLO DA DISEGNO
F 208
72,5
69-72,5
180-220
90-100
43
100
55
55
140 SEDIE FISSE
PIANO DI APPOGGIO PIANO DI LAVORO
CASSETTIERA
57 TAVOLI PER UFFICI (operativi)
CASSETTIERA
TAVOLI PER UFFICI (dirigenziali)
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • ARREDI ARREDI MOBILI
31 82
74
40
64
B.STAZIONI DILEGIZLII
MONITOR STAMPANTE
64
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TASTIERA
45
45
73
A.ZIONI
MANOVELLA PER REGOLAZIONE IN ALTEZZA
MONITOR
70
I ED PRE NISM ORGA
55
CARTA MODULO CONTINUO
45
60
26
49,5
77
26
TASTIERA
C.RCIZIO
21,9 - 31,7
35
E ESE ESSIONAL PROF
STAMPANTE 35
64
50
D.GETTAZIONE
MAX ESTENSIONE DEL BRACCIO 57 cm POSSIBILITÀ DI ROTAZIONE A 360° POSSIBILIT
PRO TTURALE STRU
MONITOR 50
TASTIERA 120
46 29
62
74
CO NTALE AMBIE
STAMPANTE
F. TERIALI,
120
CESTINO PER MODULO CONTINUO
35
TASTIERA
35
STAMPANTE
40
E.NTROLLO
MONITOR
73
85/110 65/95
50
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
35 MONITOR
35
G.ANISTICA
50
URB
TASTIERA
75
F.5. 3.
40 MOUSE
50
75/85 76/66
STAMPANTE 35 35
MODULO CONTINUO 35
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
A MORSETTO
FISSAGGIO A PARETE SU TAVOLA SISTEMI DI APPOGGIO BRACCIO MOBILE PORTA MONITOR E TASTIERA
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER
104 78 46
89
78 46 55
55
50
60
SEDIA
38.5
SEDIA VIENNA (Thonet)
43
55
LECORBUSIER
82
58
56
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
SEDIA WILLOW2 (Macintosh) (M cintosh)
79 42
50
F.5. I D ARRE
43
76 43
38
51
SEDIA CON BRACCIOLI
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
40
41
SEDIA CON BRACCIOLI BRNO (Mies Van Der Rohe)
56
43
SEDIA CESCA (Breuer)
➥
. F.5.3 I MOBILI D ARRE
F 209
F.5. 3.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE ARREDI MOBILI
•
ARREDI
➦ TAVOLI E SEDUTE ➦ FIG. F.5.3./1 TIPOLOGIE E INGOMBRI
75
82
76 43
40
44 50.4
43
58
46
57
62
SEDIA CON BRACCIOLI TULIP (Saarinen)
SEDIA LEM (Eames)
SEDIA PIEGHEVOLE (del regista)
50
72
25
40 67
40.8
40.8
42
43
SGABELLO
60
115
80
98 72
SGABELLO DA BAR
SGABELLO DA BAR
100
80 58
41
39
72 41
43
82
62
41
67
64
48 48
48
48 48
55
62
SEDUTE PER UFFICIO (direzionale direzionale)
40
DIREZIONALE CON SCHIENALE
48
SEDUTE (operativo operativo)
OPERATIVO (manifatturiero) manifatturiero)
PANCHE
38 25 75
77 43,2
SEDUTE SPECIALI
43
84 variabile
46
35
34
55
SEDIA IMPILABILE
F 210
180
65
51 50
SEDIA CON LEGGIO MOBILE
38
BANCHI
60
LETTINO
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • ARREDI ARREDI MOBILI
F.5. 3. A.ZIONI
POLTRONE, DIVANI, LETTI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.5.3./2 TIPOLOGIE E INGOMBRI
B.STAZIONI DILEGIZLII
POLTRONE E DIVANI
I ED PRE NISM ORGA 53
72 100
72 100
72 100
C.RCIZIO
37
E ESE ESSIONAL PROF 70-95
150
70-95
72 95
72 95
198
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
72 95
POLTONA SINGOLA
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
DIVANO A DUE POSTI – TRE POSTI
ELEMENTI COMPONIBILI
42
30-38 100 60 41
74
60
72
50
41 64
140
65
80
G.ANISTICA
72 35
35
POLTRONA GRAND CONFORT (Le Corbusier)
60 130 AREA DI USO
POLTRONA CON POGGIAPIEDI BARCELONA (Mies Van Der Rohe)
POLTRONA EASY (Mies Van Der Rohe)
POLTRONA WASSILY (Breuer)
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
URB
60
50
50
80
ACCESSORI – TAVOLINI BASSI
72
60
75
72
60
60
40
40
F. TERIALI,
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
LETTI 45
20 12
F.3. IONI IZ PART E N INTER
80 100
187 - 201 (speciali)
30 60 90
80
30
57
80
30
190
190
12
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
80 95
LETTO PIEGHEVOLE
LETTO SINGOLO 95
F.5. I D ARRE
190 190
120 190
95 86 126
20
5
197
LETTI RIBALTABILI
LETTO MATRIMONIALE
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
142 POLTRONA LETTO 190 50
CUCCETTE 60
LETTI A CASTELLO
45 15 15
95
60
DIVANO LETTO (matrimoniale) 100 60 15 20 190
80
64-86
190
. F.5.3 I MOBILI D ARRE
F 211
F.5. 3.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE ARREDI MOBILI
•
ARREDI
ARMADI, SCAFFALI, LIBRERIE FIG. F.5.3./3 ARMADI, SCAFFALI, LIBRERIE 100 60
20
60 12
ATTACCAPANNI max 5 in 100 cm
60
60
altezza max ABITI UOMO
h 95
45 CON TUBOLARI 30
h 180
min 12
altezza max ABITI (da sera)
h max 120
15 15 10
10 30
210
misure nette interne al contenitore
BOX
45
CON RIPIANI A RETE
CAMICE, MAGLIONI, BIANCHERIA
SCARPE
45
45 45 45 200
100 100
200
100 0
12 80
1
0
12
0 12
1200 x 450 x 1000
0
18
1200 x 450 x 2000 180 x 450 x 2000
1200 x 450 x 1000 1800 x 450 x 1000
ARMADIO A GIORNO
ARMADI CON ANTE SCORREVOLI
45
ultimo ripiano max 190
45 45
65
45 200
105
100
200
50
100 ,8
17
0
12 0 12
0
18
1200 x 450 x 2000 180 x 450 x 2000
500 x 650 x 105
1200 x 450 x 1000 1800 x 450 x 1000
CLASSIFICATORE A TRE CASSETTI
58,8
52
52
49
,4
49 ,4
ARMADI CON ANTE SCORREVOLI VETRATE
60
58,8 82
82
60
60
60
91
91
30
30
2,5 5
2,5 5
CON ROTELLE
95 0
IN LEGNO 3 120
40
115 40-50 80
max 150
80 50
10
10
70 A MURO SCAFFALI
F 212
LIBERO
13
55
10 50
2,5 10 10
2,5 10 10
CASSETTIERE PER DISEGNI
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • SISTEMAZIONI ESTERNE RECINZIONI E PROTEZIONI
F.6. 1. A.ZIONI
RECINZIONI E PROTEZIONI IN MURATURA
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.6.1./1 RECINZIONI IN LATERIZIO, IN PIETRA, IN CALCESTRUZZO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA LATERIZIO INTERO MATERIALE LITOIDE
IMPERMEABILIZZAZIONE
RETE METALLICA VERTICALE CON ZANCA IN ORIZZONTALE
ZANCA DI COLLEGAMENTO
LATERIZIO
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
FONDAZIONE IN CLS FONDAZIONE IN CLS
COPERTURA IN CLS FUORI OPERA
FONDAZIONE IN CLS ARMATO RECINZIONI SU DISLIVELLI MATTONI 25
PIETRA INTERA ALLETTAMENTO
BLOCCHETTI IN CLS
DRENAGGIO
FUORIUSCITA ACQUA
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
MARCIAPIEDE
URB
12
FONDAZIONE IN CLS
FONDAZIONE IN CLS ARMATO 25 x 25
FONDAZIONE IN CLS
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
RECINZIONI SU DISLIVELLI ZANCA DI COLLEGAMENTO
RIVESTIMENTO IN PIETRA DRENAGGIO
DRENAGGIO
SOLETTA IN CLS ARMATO PIETRA
FUORIUSCITA ACQUA
IN PIETRA A SECCO
SOTTOFONDO
ALLETTAMENTO
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
TUBO DI DRENAGGIO
TUBO DI DRENAGGIO DRENAGGIO
FONDAZIONE IN CLS SPINA D'ACCIAIO
DRENAGGIO
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
IMPERMEABILIZZAZIONE ELASTICA CLS ARMATO
IMPERMEABILIZZAZIONE
FUORIUSCITA ACQUA
FONDAZIONE IN CLS ARMATO
GIUNTO ELASTICO GIUNTO DI CORRELAZIONE
GIUNTO DI DILATAZIONE
MATERIALE COMPRESSIBILE
. F.5.3 I MOBILI D ARRE PROTEZIONE DI SCARPATA
. F.6.1ZIONI RECIN TEZIONI E PRO
F 213
F.6. 1.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE RECINZIONI E PROTEZIONI
•
SISTEMAZIONI ESTERNE
RECINZIONI IN LEGNO E METALLO FIG. F.6.1./2 RECINZIONI IN LEGNO E IN METALLO RECINZIONI IN METALLO
FILI IN ACCIAIO ZINCATO AD ALTEZZA VARIABILE
102 x 64 mm
RECINZIONI IN LEGNO
50 x 50 x 6 mm
TAVOLE 90 x 6 mm
A
B
C 1750
LIVELLO DEL TERRENO
150
600
650 x 450
450
750
750
150
50 x 50
240
3000
450
650 x 450
50 x 50
FONDAZIONI IN CLS
1650 1800
PARTICOLARE A
600
PARTICOLARE B
PARTICOLARE C
50 x 50 360
150 150
900 750 NODO FISSO
NODO SCORREVOLE
NODO DA TENDERE
20 31
PROTEZIONE LEGNO
19
80 x 80
76 x 51
102 x 64 31 BULLONE SALDATO AL TELAIO FISSO MURATO
CANCELLO IN PROFILATO D D’ACCIAIO ACCIAIO 2420 TELAIO 50 x 50 mm
14 75
1128
1128
75
GUARNIZIONI
225
12 x 12 mm
GUIDA DI FERMO
ZANCHE NEL MURO 500 x 5x 300 mm 775 75
LIVELLO DEL TERRENO 225
TELAIO
675 300 min
FONDAZIONE IN CLS
ZANCA
1000
150
TELAIO FISSO 100 x 10 mm
PALETTO DI CHIUSURA
ZANCA
50
225 GUIDA 10
EVENTUALE BLOCCO D’APERTURA APERTURA H = 150 mm
200 200
GUIDA
PILASTRINO IN MATTONI
MIN
BOCCOLA DI TENUTA
“L” SALDATA AL TELAIO
“L” DI BATTUTA SALDATA AL TELAIO
300
800
125
75
150 PERNO 320 800 MIN
225
50 BLOCCO DI ZANCA
GANCIO SALDATO AL TELAIO
F 214
14 CHIUSURA
PRESA
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE • SISTEMAZIONI ESTERNE RECINZIONI E PROTEZIONI
F.6. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.6.1./3 RECINZIONI IN GRIGLIATI METALLICI FORO Ø 12 SULLA PIANTANA PER BULLONI Ø 10 ASOLA Ø 12 x 25
68
GRIGLIATO PRESSOFUSO
50
50
B.STAZIONI DILEGIZLII
5
I ED PRE NISM ORGA
COLLEGAMENTO ORIZZ. Ø 5
C.RCIZIO
125
BORDO = 30 x 3
E ESE ESSIONAL PROF
Ø10 10 mm B
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
T 50 x 70 (H max 2000) S H
RETE PRESSOFUSA O ELETTROFUSA
H
CAVALLOTTO
CAVALLOTTI DI FISSAGGIO
CERNIERA
CANCELLO
TELAIO FISSO [ ] 100 x 100 x 3 1000
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
100
CERNIERA TELAIO FISSO [ ] 100 x 50 x 3
FONDAZIONE IN CALCESTRUZZO
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
30
BATTENTE = 60 x 3
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
50 RECINZIONE CON FONDAZIONE ESTERNA 54
54 0
CORRIMANO 72 x 32 x 1,5
0
383
PIANTANA 50 x 50 x 4
SPETTATORI
TERRENO DI GIOCO
2200
PIANO DI IMPOSTA
TERRENO DI GIOCO
2560
PIANO DI CALPESTIO
L = INTERASSE PIANTANE
SPETTATORI
RETE ELETTROSALDATA
PIANO DI IMPOSTA
PIANO DI CALPESTIO
H1
H
383
F.3. IONI IZ PART E N INTER F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
2570 2200
F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
RECINZIONE ANTISCAVALCAMENTO
1100 mm
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
50 SERRATURA MANUALE O ELETTRICA
TELAIO MOBILE [ ] 50 x 50 x 3
GRIGLIA
BULLONE IN ACCIAIO INOX ANTISVITAMENTO
E.NTROLLO
Ø 6 mm
PIATTI PORT. 25 x 2 25 x 3
H CANCELLO
MONTANTE A T 50 x 50 x 7
H GRIGLIATO
A
TAB. F.6.1./1 CARATTERISTICHE GEOMETRICHE E PESI H – Altezza pannello (mm) H1 – Altezza piantana (mm) CORRENTE INFERIORE 50 x 32 x1,5
RECINZIONE BASSA
930 1200
Maglia a x b (mm)
Piatto verticale h x s (mm)
44 x 132 44 x 132 62 x 66 62 x 66 124 x 132 124 x 132 62 x 132 62 x 132 62 x 132
25 x 2 25 x 3 25 x 2 25 x 3 25 x 3 25 x 3 25 x 2 25 x 3 30 x 4
1190 1500
1320 1600
1450 1800
1720 200
1980 2400
14,88 19,64 12,90 16,11 8,64 10,31 11,98 15,26 21,80
14,47 19,20 12,70 15,91 8,45 10,11 11,58 14,84 21,50
14,52 19,27 12,60 15,80 8,30 10,06 11,60 14,88 21,20
Peso (kg/mq) 15,60 20,25 13,74 16,95 9,49 11,16 12,67 15,91 23,00
15,15 19,88 13,42 16,63 9,16 10,83 12,25 15,52 22,50
14,90 19,66 13,09 16,30 8,82 10,50 12,00 15,27 22,00
. F.6.1ZIONI RECIN TEZIONI E PRO
F 215
F.6. 2.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE AREE D’USO E ARREDI
•
SISTEMAZIONI ESTERNE
PAVIMENTAZIONI FIG. F.6.2./1 PAVIMENTAZIONI IN ELEMENTI E A GETTO PAVIMENTAZIONI ESTERNE SU SUPPORTO ELASTICO
PAVIMENTO IN BLOCCHI DI CEMENTO
CUBETTI IN PIETRA DA TAGLIO
MATTONI GUAINA GHIAIA FINE 12
SABBIA
10 5,5 2,5
GHIAIA
SABBIA
GHIAIA
2/3
5 5
20
5 10/12
5/15
GHIAIA
CORDOLO IN CALCESTRUZZO
DRENAGGIO
SU SUPPORTO RIGIDO
PAVIMENTO IN BLOCCHI DI CEMENTO
MATTONI ALLETTAMENTO
CUBETTI IN PIETRA DA TAGLIO
MATTONE DI COLTELLO SOLETTA IN CEMENTO
MALTA O COLLANTE
5,5 2 10
GIUNTO ELASTICO
5 2
2/3
10
6
SOLETTA IN CEMENTO PAVIMENTO IN LEGNO
IN ELEMENTI AUTOBLOCCANTI APERTI
IN MATERIALE SCIOLTO SOLETTA IN CEMENTO
MALTA
LEGNO
FOGLIO ISOLANTE
MATERIALE SCIOLTO
CORDOLO
TERRENO NATURALE
CORDOLO 3,5
CALCESTRUZZO
5 5
2
6
10
3/4 5 CEMENTO
CEMENTO
GIUNTO ELASTICO PAVIMENTAZIONE IN LASTRE DI CALCESTRUZZO FUORI OPERA
GUARNIZIONE ELASTICA
MURO
GIUNTO COSTRUTTIVO
GIUNTO ELASTICO 40
GIUNTO ELASTICO
SPIGOLI ARROTONDATI
SOTTOFONDO
SOTTOFONDO
GHIAIA COSTIPATA
GIUNTO COSTRUTTIVO
10
GIUNTO DI DILATAZIONE
30
FOGLIO ISOLANTE
INSERZIONE DI PEZZI SPECIALI
15 4 GIUNTO ELASTICO
1%
18
1-2 %
10
5
18
10
TERRENO PIETRA
TERRENO
TERRENO ISPEZIONE
CIGLIO IN LEGNO
10
20
PIETRA
GHIAIA MANTO
20
18
5
5
CAVEDIO
5 SABBIA
GIUNTO ELASTICO ZANCA
F 216
SOTTOFONDO
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
SISTEMAZIONI ESTERNE AREE D’USO E ARREDI
F.6. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.6.2./2 PAVIMENTAZIONI IN ELEMENTI E A GETTO
4 ARCO CONTRASTATO
CODA DI PAVONE
6 8
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
10
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
12
10 A FILARI DRITTI
B.STAZIONI DILEGIZLII
SEZIONE
6
PIANTA
8
CUBETTI DI MATERIALE LITOIDE
ARCO CONCENTRICO
ELEMENTI STANDARD IN PIETRA (porfido, selce) CORDOLI IN CALCESTRUZZO VIBRO COMPRESSO
CO NTALE AMBIE
00
1
0
10
0 10
0
10
E.NTROLLO
12
10
8
6
PRO TTURALE STRU
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM 25
25
25
20 kg 27
kg 41
kg 52
SMUSSATURA BORDO ESTERNO
kg 63
G.ANISTICA URB
PAVIMENTAZIONE AD ELEMENTI DI CALCESTRUZZO AUTOBLOCCANTE
,5
,5
10
47
6 22 ,5
22
4
10
21
,5
22,4
6-8
10
7,5
45
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
9,7 CIGLI SPOSTABILI
GUIDA TUBLARE
AGGANCIO 2,40
30
6,1 BARRA
FISSAGGIO
7,5
30 15
7,5
15 30 15 ZANCA DI FINE CORSA
PASSAGGIO ACQUA IN MATERIALE LITOIDE
IN CALCESTRUZZO ARMATO REMOVIBILI
SEGNA CORSIE
CAMMINAMENTI PEDONALI SCORIE NATURALI E/O MATERIALI BIOCOMPATIBILI
CIGLI IN CALCESTRUZZO ARMATO SPOSTABILE
FILO D’ACCIAIO D ACCIAIO 50
LEGNO TRATTATO
30-70
7
10,0
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC F.5. I D ARRE F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
TERRENO COMPATTATO
FASCINE O TERRENO COMPATTATO
FASCINE O TERRENO COMPATTATO
PAVIMENTAZIONE SOLLEVATA PAVIMENTO
ZANCA
F.3. IONI IZ PART E N INTER
PIASTRA ZINCATA
GHIAIA 5
FASCINE O TERRENO COMPATTATO
TUBO FORATO
SCAGLIE DI LEGNO
5
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
PARTICOLARI CHIUSINI PIEDE IN PVC
DISCENDENTE IN PVC GRIGLIA
GRIGLIA
PANNELLI RIGIDI
SOLAIO
MEMBRANA IMPERMEABILE
PANNELLI D’ISOLAMENTO D ISOLAMENTO IN POLISTIRENE A CELLULE CHIUSE RIGIDI
. F.6.2 ’USO D AREE EDI E ARR
F 217
F.6. 2.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE AREE D’USO E ARREDI
•
SISTEMAZIONI ESTERNE
AREE D’USO FIG. F.6.2./3 INGOMBRI E DETTAGLI: SEDUTE, MARCIAPIEDI, PISTE CICLABILI
1 PEDONE
PANCHINA
100
2 PEDONI
100
MARCIAPIEDE DA PASSEGGIO
120
2 CICLISTI
1 CICLISTA
240
60
150
240
AREE D D’USO USO
18-30 9-15 6-9
PROIETTORE 3-4,5 60 PARCHI, GIARDINI
AREE PEDONALI, STRADE
RESIDENZIALI, COMMERCIALI AREE COMMERCIALI STRADE STRADE
LUOGHI PARTICOLARI, PIAZZALI GRANDI PARCHEGGI
RIFERIMENTI SULLE ALTEZZE DEI SUPPORTI PER ALCUNI ELEMENTI DI ARREDO URBANO PALI Ø 80 mm ACCIAIO GALVANIZZATO
BEVERINI
MENO DI 80
ELEMENTO SFILABILE 2,40
3-4
MANTO
72,5
87
23
ZANCA 90
120
120 40
40
40
30
60
75
40 40
GUIDA AFFOGATA NEL GETTO
SOTTOFONDO
5x20
PANCHINE 225 600 400
15 350
150
115
25
200
205
550
25
650 400
50 x 50 x6 350
100
150
400
150 350
200
F 218
200
200
7x15
120 max per carrozzina
Ø120 120 mm ACCIAIO GALVANIZZATO
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
SISTEMAZIONI ESTERNE AREE D’USO E ARREDI
F.6. 2. A.ZIONI
ACCESSORI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.6.2./4 ELEMENTI D’ARREDO E FUNZIONALI
B.STAZIONI DILEGIZLII
286
DADO CON CALOTTA
I ED PRE NISM ORGA
COPERCHIO CON TAPPO 25
5
TAPPO PIANTA
BARRA FILETTATA BASE
19,5 5,5 3,5
C.RCIZIO 7
SEZIONE A-A' CORDOLO IN CALCESTRUZZO VIBRATO
E ESE ESSIONAL PROF
48
35
APPOGGI IN CALCESTRUZZO
PORTABICICLETTE IN ALLUMINIO
28
D.GETTAZIONE
PROSPETTO
MAX 120° 120 75/150
PRO TTURALE STRU
BASE D'APPOGGIO
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
A 32
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
165
A DISSUASORE A CORDOLO IN CALCESTRUZZO
G.ANISTICA
APPOGGI IN CALCESTRUZZO 28
URB
286 74
BARRIERA PEDONALE IN ALLUMINIO
DISPOSITIVO PER ANTIFURTO
200
65
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
A 37
74
SEZIONE A-A 40 A PORTABICICLETTE IN CLS COMPONIBILE
MENSOLE IN ESTRUSO DI ALLUMINIO VERNICIATO
APPOGGI IN CALCESTRUZZO CON FONDAZIONE IN TUBI DI ACCIAIO ZINCATO
28
PANCHINA CON SEDUTA IN LEGNO 66
26
45
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ F.3. IONI IZ PART E N INTER
PIATTI DI IRRIGIDIMENTO 180
53 21 100
32 APPOGGIO IN CLS
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
86 BULLONE ANTIFURTO CON RONDELLA
28
44 26
F.5. I D ARRE
TIRANTE DI COLLEGAMENTO
48
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
GETTACARTE CON CESTINO IN ALLUMINIO (30 litri) 30 PANCHINA IN GRIGLIATO METALLICO
86
STRATO DI TNT 112
27
ARGILLA ESPANSA ELEMENTO SUPERIORE BASE AUTOLIVELLANTE
30
30
52
45
82-122-202 MAX 10 °
100 70
63 COMPONENTE SUPERIORE 100
62,5
ARGILLA ESPANSA SETTO DI AERAZIONE
8 122 CONTENITORE PER LA RACCOLTA DIFFERENZIATA (140 litri)
BASE AUTOLIVELLANTE MAX 4 4° FIORIERE IN CALCESTRUZZO AUTOLIVELLANTI
. F.6.2 ’USO D AREE EDI E ARR
F 219
F.6. 2.
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE AREE D’USO E ARREDI
SISTEMAZIONI ESTERNE
•
➦ ACCESSORI FIG. F.6.2./5 RAMPA METALLICA PER PORTATORI DI HANDICAP MOTORI
CORDOLO IN CLS ARMATO 4Ø4 STAFFE 8 Ø p = 10 4Ø4 4Ø4 STAFFE 8 Ø p = 10 4Ø4 pendenza = 4% 4Ø4 STAFFE 8 Ø p = 10 4Ø4 BULLONE CON SERRAGGIO A BRUGOLA
4Ø4 PIANTA DELLE FONDAZIONI
STAFFE 8 Ø p = 10
PROFILO D’ACCIAIO D ACCIAIO A “T” 100 x 100 x 5
4Ø4 RAMPA D D’ACCESSO ACCESSO DOPPIA
PROFILO D’ACCIAIO D ACCIAIO A “T” 45 x 45 x 5 10
120
30 pendenza = 4%
120
A 10 120
A
120
90
10
PIANTA MANCORRENTE IN ACCIAIO Ø 50
60 TAPPETINO IN GOMMA LAMIERA IN ACCIAIO STIRATA
32
PROSPETTO FRONTALE PROFILO D’ACCIAIO D ACCIAIO A “T” 100 x 100 x 5 PIATTO D’ACCIAIO D ACCIAIO CON TIRAFONDI MALTA CEMENTIZIA ESPANSIVA CORDOLO IN CLS ARMATO DRENAGGIO PROSPETTO LATERALE
F 220
PARTICOLARE SEZIONE A-A
MATERIALI, COMPONENTI, TECNICHE
•
SISTEMAZIONI ESTERNE AREE D’USO E ARREDI
F.6. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. F.6.2./6 ELEMENTI D’ARREDO ATTREZZATI PER IL PASSAGGIO DI IMPIANTI
B.STAZIONI DILEGIZLII
CONDOTTI IMPIANTISTICI CHIUSURA DEL CONDOTTO CON FUNZIONE DI SEDUTA PER ADULTI
SEDE DEI CONDOTTI IMPIANTISTICI
40,4 68,6 75,4
CURSORE
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
34,5
CHIUSURA DEL CONDOTTO CON FUNZIONE DI CIGLIO ORNAMENTALE SEDUTA PER BIMBI
32
I ED PRE NISM ORGA
GUARNIZIONE
D.GETTAZIONE
Possibilit di integrare Possibilità con ulteriori condotti
61,8
75,4
PRO TTURALE STRU
INCASTRO DI BLOCCAGGIO 75,4
CURSORE CONDOTTO CAVI
CHIUSURA DEL CONDOTTO CON FUNZIONE DI GRADINI
32
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
CONDOTTO CAVI
F. TERIALI,
CONDOTTO TUBI
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
MAGRONE DI BASE MATERIALI LITOIDI IN TERRA CON DIAFRAMMA
GIUNTO ELASTICO
SABBIA E CEMENTO
GHIAIA AREA LIBERA
DELIMITAZIONE PIANTUMAZIONE
TELO ANTIRADICI
TUBO DI DRENAGGIO
G.ANISTICA
TERRENO VEGETALE
VARIABILE MIN 60 cm
TERRENO VEGETALE
URB
TELO ANTIRADICI
RALI F.1. I PERIMET T PARE ALI VERTIC
GHIAIA DI DRENAGGIO IMPERMEABILIZZAZIONE
IN VASCA AUTONOMA
RACCOLTA E SMALTIMENTO
F.2. URE CHIUS ONTALI Z ORIZ
GRIGLIA VASO INTERRATO
IN FIORIERE
GHIAIA
VASO INTERRATO
F.3. IONI IZ PART E N INTER GRIGLIA METALLICA ZINCATA
GRIGLIA METALLICA ZINCATA
BORDO IN CLS
F.4. NTI DI E ELEME NICAZION COMU ALE VERTIC
ACQUA IN TERRA
IN VASO APERTO 162,5 62,5
FORI PER IL PASSAGGIO DELL’ACQUA DELL ACQUA
2%
TERRA VEGETALE
600-900
SACCO DI IUTA GHIAIA
200
F.5. I D ARRE
GRIGLIA IN GHISA
F.6. AZIONI M SISTE E N ESTER
675-900
DA RIEMPIRE CON TERRENO VEGETALE
1200
200
200
SEZIONE
IN MATTONI
25
GIUNTI RIEMPITI CON MALTA GIUNTI RIEMPITI CON SABBIA 1625
12,5
PIANTA
ELEMENTO PREFABBRICATO FONDAZIONI
TERRA
ELEMENTO FACCIA A VISTA
FINITURA DELL’ELEMENTO DELL ELEMENTO PREFABBRICATO
ELEMENTI PREFABBRICATI IN CALCESTRUZZO ARMATO
. F.6.2 ’USO D AREE EDI E ARR
F 221
G. URBANISTICA
G1
G.1. 1.
URBANISTICA • ELEMENTI CONOSCITIVI E RAPPRESENTATIVI CARATTERISTICHE DEL TERRITORIO E CARTOGRAFIE CONOSCERE IL TERRITORIO Negli ultimi due secoli la disciplina urbanistica ha dilatato sempre più il suo campo di interesse: dalla semplice regolamentazione di parti dell’insediamento (con l’obiettivo di promuovere le qualità tecniche e igieniche del costruito e l’organizzazione delle aree di espansione) fino alla progettazione dell’intero territorio (urbano ed extraurbano) nei suoi molteplici aspetti funzionali, economici, formali, di sviluppo e di tutela. Ogni progettista ha pertanto la necessità di conoscere prioritariamente il territorio al quale rivolge la propria attenzione in tutte le sue caratteristiche naturali e organizzative. Conoscere implica non solo “vedere” attentamente i luoghi, ma raccogliere la necessaria documentazione, studiarla, confrontarla nelle varie parti, onde trarne i più utili suggerimenti e idee-guida. Il primo approccio è solitamente di tipo fisico-geografico, tendente alla conoscenza delle caratteristiche dei suoli, della vegetazione, del clima, delle condizioni “obiettive” nel loro complesso. A questo scopo si utilizzano prevalentemente carte e diagrammi. FIG. G.1.1./1 CARTA TECNICA DELL’ITALIA MERIDIONALE SCALA 1:5.000 CASSA PER IL MEZZOGIORNO – 1980
FIG. G.1.1./2 CARTA A CURVE DI LIVELLO SCALA 1:100.000 DELL’ISTITUTO GEOGRAFICO MILITARE ITALIANO
DOCUMENTAZIONE CARTOGRAFICA La documentazione cartografica comprende una serie di carte tematiche essenziali che descrivono, mediante apposite simbologie, le varie caratteristiche fisiche dell’ambiente considerato. A ogni rappresentazione deve corrispondere un uso appropriato del linguaggio simbolico adottato, affinché si raggiunga un buon livello di informazione. CARTE URBANISTICHE Esistono poi carte urbanistiche che rappresentano convenzionalmente il territorio nei suoi aspetti di immagine, essendo frutto di rilevamenti da terra, da aereo, da satellite. Esse costituiscono le basi descrittive indispensabili per la progettazione. Tali carte contengono elementi più o meno dettagliati inerenti la morfologia dei terreni, il sistema idrico superficiale, il sistema infrastrutturale, l’edificazione, il verde, l’agricoltura. CARTE URBANISTICHE PROGETTUALI Quando alle carte urbanistiche si sovrappone il progetto ci troviamo in presenza di carte urbanistiche progettuali che possono assumere, in accordo con le finalità e l’iter di approvazione dei documenti, valore prescrittivo.
Le carte urbanistiche progettuali possono avere carattere generale o particolare in relazione alla scala di rappresentazione e al conseguente grado di dettaglio. Hanno carattere tematico quando si riferiscono ad aspetti specifici come, ad esempio, il verde, la viabilità, i servizi, i beni culturali ecc. Le carte si differenziano per il contenuto, le modalità di rilevamento e di rappresentazione, la scala. La loro precisione e coerenza è, ovviamente, condizione essenziale per la loro attendibilità. Dalle carte dovrebbe comprendersi la prevalenza gerarchica degli elementi tipologicamente analoghi (p.e. strade, ferrovie, fiumi ecc.) ma dimensionalmente e funzionalmente diversi.
RAPPRESENTAZIONI CARTOGRAFICHE Si definisce rappresentazione cartografica lo sviluppo in piano di un tratto di superficie terrestre in base a opportuni metodi matematici. Le finalità possono essere diverse e la prima distinzione sommaria è quella riguardante le carte con finalità geografiche e quelle con finalità topografiche. Agli urbanisti interessano soprattutto le seconde. Le carte per la progettazione urbanistica si differenziano, a loro volta, per i seguenti aspetti: • contenuto; • scala; • tipo di rilevamento.
G2
Per quanto riguarda i contenuti, oltre ai comuni riferimenti spaziali, che identificano i luoghi e le relazioni tra essi, le carte possono descrivere i fenomeni e le caratteristiche più diverse: dalla geologia alla vegetazione, dagli insediamenti antropici agli eventi storici ai tematismi particolari. Le carte possono essere a grande, media o piccola scala, intendendosi con questa definizione il valore del rapporto di scala (1/500.000 più piccolo di 1/1.000). I principali tipi di rilevamento sono quelli: • da terra; • da foto aeree; • da satellite.
Urbanistica, paesaggistica, ambiente. La tesi che l’architettura debba “rispettare” il contesto è arbitraria ed
URBANISTICA • ELEMENTI CONOSCITIVI E RAPPRESENTATIVI CARATTERISTICHE DEL TERRITORIO E CARTOGRAFIE
G.1. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
CARTE CATASTALI Le carte catastali (mappe) hanno la finalità di documentare le proprietà immobiliari e la loro suddivisione particellare. Le mappe sono prodotte dal Catasto a varie scale e affidate, per la conservazione e l’aggiornamento, agli Uffici Tecnici Erariali. Per le aree urbane viene generalmente utilizzata la scala 1:1.000, mentre per le aree extraurbane sono utilizzate prevalentemente le scale 1:2.000 e 1:4.000. I fogli hanno formato uniforme di 70 x 100 cm. In • • • • • •
FIG. G.1.1./3 CARTA CATASTALE – SCALA 1:2.000
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
esse sono indicati di consueto: le linee che delimitano le proprietà fondiarie (particelle numerate); la rete viaria; i fiumi e i torrenti; i canali; i confini di comuni, provincie, regioni e stato; alcuni vincoli e servitù.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
Mancano invece i riferimenti di carattere altimetrico (curve di livello e punti quotati). Occorre notare che le mappe catastali non vengono aggiornate con frequenza e uniformità, circostanza che deve essere tenuta presente dall’operatore urbanista per i necessari accorgimenti.
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
RILEVAMENTO DA TERRA Il rilevamento da terra viene eseguito da topografi utilizzando apposite strumentazioni e fissando elementi base di “appoggio”. Può essere solo planimetrico, solo altimetrico o completo. Si ricorre generalmente a procedimenti strumentali di triangolazione e, con la diffusione dell’uso di distanziometri elettromagnetici, alle più convenienti tecniche di trilaterazione. Ricordiamo i metodi di rilevamento planimetrico delle poligonali, degli allineamenti, di inserzione in avanti. Le altimetrie vengono rilevate tramite livellazioni e profili, mentre la celerimensura, per mezzo di stadia e tacheometro, permette di ottenere le coordinate complete dei punti. Il rilevamento professionale da terra, molto usato in passato, viene eseguito attualmente dai topografi solo per aree di estensione limitata (qualche ettaro). Il prodotto che si ottiene è una planimetria detta Piano quotato per punti e curve di livello. Le curve di livello (insieme dei punti contigui aventi la medesima quota) hanno equidistanze variabili, secondo le necessità. Esiste, come essenziale riferimento, una rete italiana di primo ordine rilevata dall’Istituto Geografico Militare Italiano (IGMI) da considerare come base immutabile di inquadramento del nostro territorio nazionale. La lunghezza di ogni lato è compresa tra i 20 e i 60 km. Esistono poi reti del secondo, del terzo, del quarto ordine. L’Istituto Geografico Militare ha realizzato anche analoghe reti altimetriche definendo linee di alta precisione e linee di livellazione. Esiste, sempre presso l’I.G.M.I., un apposito catalogo a disposizione dei tecnici.
B.STAZIONI DILEGIZLII
FIG. G.1.1./4 CARTA TOPOGRAFICA IGMI – SCALA 1:25.000
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM
RILEVAMENTO DA FOTO AEREE Il rilevamento da foto aeree viene eseguito utilizzando un velivolo con a bordo un’apparecchiatura fotografica che scatta numerosissime riprese da una quota costante, in modo da coprire con più immagini parzialmente sovrapponibili, a strisciata, l’intero territorio oggetto del rilevamento. Le immagini formano, con l’antecedente e la successiva, delle coppie stereoscopiche dalle quali si possono rilevare con esattezza le altimetrie. Con apposite attrezzature si procede poi alla restituzione cartografica delle immagini stesse, alla scala prefissata. Il prodotto terminale consiste in fogli di materiale plastico indeformabile sui quali si leggono, a disegno, la planimetria e l’altimetria del terreno. In particolare: gli edifici, le reti stradale e ferroviaria, la rete idrografica superficiale, le curve di livello, le quote isolate, i principali elementi morfologici. Utilizzando l’aerofotogrammetria è possibile ottenere, oltre alle rappresentazioni planimetriche, numerose altre elaborazioni su piani non zenitali o a carattere tridimensionale come profili di fronti stradali, sezioni, calcoli di volumetrie di terreni o di edifici ecc. Possono essere ricavate anche sezioni e restituzioni assonometriche del tessuto urbano, molto utili nella progettazione esecutiva (specialmente di centri storici) in quanto consentono di apprezzare la conformazione generale dell’insediamento. Nella progettazione urbanistica generale vengono prevalentemente utilizzate le scale 1:2.000, 1:5.000, 1:10.000, mentre nella progettazione urbanistica particolare (esecutiva) vengono prevalentemente usate le scale 1:1.000 e 1:2.000. Nella progettazione territoriale, dove sussistono minori esigenze di precisione, si utilizzano rapporti 1:10.000, 1:25.000, 1:50.000, 1:100.000. Interessano la progettazione anche cartografie in forma fotografica come il fotopiano, che si ottiene direttamente dalle foto aeree. La scala più vantaggiosa sembra essere quella 1:5.000.
FIG. G.1.1./5 RILIEVO FOTOGRAMMETRICO – SCALA 1:2.000
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
E 1. G.1. TERISTICH E T CARA RRITORIO E DEL T GRAFIE O CART
equivoca, perché deve anzitutto crearlo, animandolo. Il paesaggio di Firenze non sarebbe tale senza la dissonanza
G3
G.1. 1.
URBANISTICA • ELEMENTI CONOSCITIVI E RAPPRESENTATIVI CARATTERISTICHE DEL TERRITORIO E CARTOGRAFIE ➦ RAPPRESENTAZIONI CARTOGRAFICHE CARTOGRAFIA NUMERICA E SIT
ANALISI ATTRAVERSO IL TELERILEVAMENTO
L’introduzione dell’elaborazione computerizzata in questo campo ha consentito l’affermazione definitiva della cosiddetta cartografia numerica o automatica, che opera sui dati provenienti, oltre che dai rilievi aerei, anche da scansioni di cartografia preesistente (trasformazione degli elementi grafici in dati numerici tramite apposite apparecchiature automatiche – scanner – o anche manualmente per mezzo di particolari tecniche geometriche). Inoltre, nella loro forma digitalizzata, i rilievi aerofotogrammetrici possono essere inseriti come elemento spaziale di riferimento per le basi di dati che vanno a costituire i Sistemi Informativi Territoriali – SIT (o in inglese GIS – Geographic Information System), che operano per mezzo di computer e consentono la visione e la gestione di risorse, reti e servizi a scala territoriale.
Il telerilevamento è una recente metodica ricca di potenzialità. In base a ricerche approfondite condotte in ambito CNR (L. Fiumi), si è pervenuti, ad esempio, al riconoscimento dei fondamentali tipi di copertura del suolo urbano e, misurandone l’entità, a esprimere valutazioni di grande efficacia per la documentazione dello stato di fatto e del livello di benessere. Tali ricerche proseguono con interessanti approfondimenti ed estrapolazioni derivanti dall’osservazione delle temperature e delle cause che ne modificano i valori. Per tutti questi studi vengono utilizzati sistemi iperspettrali capaci di acquisire, per ciascun elemento dell’immagine (pixel), un intero spettro di energia solare riflessa dalla superficie terrestre. Questa metodologia risulterà efficacissima per le ricerche urbanistiche inerenti le varie realtà urbane.
RILEVAMENTI DA SATELLITE La pianificazione territoriale può avvalersi, con grande utilità, anche dei rilevamenti radio e fotografici da satellite (telerilevamento). Iniziati per scopi esclusivamente militari e strategici e poi utilizzati nel campo civile a fini soprattutto meteorologici e per le comunicazioni, i rilevamenti da satellite hanno col tempo assunto una notevole importanza per la conoscenza del territorio. A causa del tipo di tecnologia generalmente utilizzata per il rilevamento (sensori di radiazioni), si ottengono con estrema facilità non solo immagini tradizionali nel campo del visibile, ma anche immagini a colori virtuali essenzialmente sulla distribuzione delle temperature, cosicchè si possono elaborare, anche contemporaneamente, interessanti tematismi sugli argomenti che da queste possono derivare. I campi principali di utilizzazione sono le indagini ambientali, in particolare quelle sugli inquinamenti, i rilevamenti sulla copertura vegetale, sia naturale sia a destinazione agricola, e in genere l’individuazione delle risorse, anche minerarie. Naturalmente di forte importanza è lo studio delle conseguenze delle grandi concentrazioni urbane sull’intorno territoriale, ma si stanno raccogliendo interessanti dati obiettivi, utili per definire i criteri delle valutazioni di impatto ambientale, anche da interventi più modesti ma sempre rilevanti come dighe, autostrade o insediamenti industriali. La serie più famosa di satelliti civili per l’osservazione a terra è senz’altro quella dei LANDSAT, americani, il primo dei quali fu lanciato nel 1972. Attualmente il più recente opera in orbita polare, cosa che gli consente di esaminare ciclicamente ogni punto della Terra. Un altro satellite di grande interesse è lo SPOT, francese, che è equipaggiato con una telecamera che rileva oggetti piccoli sino a 10 m, consentendo quindi una ottima percezione anche degli edifici. Inoltre la sua orbita, anch’essa di tipo polare, ha la particolarità di essere anche in sincronia solare, cosa che permette cioè l’acquisizione di serie continue di immagini tutte uniformemente ombreggiate con la stessa inclinazione dai raggi luminosi. La rete di satelliti NAVSTAR viene usata come appoggio dal sistema GPS (Global Positioning System) a scopo di rilevamento topografico e geodetico, con numerosi vantaggi rispetto alle tecniche tradizionali, soprattutto per una maggiore snellezza e per l’indipendenza dalle condizioni ambientali e dai requisiti specialistici degli operatori. Già alcuni Enti Pubblici hanno cominciato a includere, nelle proprie procedure di regolamentazione, la possibilità di impiegare le tecniche di telerilevamento da satellite ai fini dell’aggiornamento cartografico o del rilievo: sicuramente in questo settore la nuova tecnologia renderà obsoleti a breve-medio termine i vecchi sistemi.
FIG. G.1.1./6 VESUVIO E PENISOLA SORRENTINA DAL SATELLITE (NASA)
RILEVAMENTI, SCALE, FORMATI Ogni tipo di rappresentazione implica l’adozione di segni convenzionali (standard grafici) sia in bianco e nero, sia a colori. Ogni segno deve avere dimensione e forma simile a ciò che si intende rappresentare. L’uso dei colori deve aggiungere leggibilità e chiarezza. A ogni rappresentazione deve corrispondere un uso appropriato del linguaggio simbolico adottato, in modo da raggiungere un livello ottimale di informazione. Le necessità della riproduzione della cartografia fanno ancora preferire per i fini urbanistici le grafie in bianco e nero, facilmente fotocopiabili o trasmissibili via fax: solo in parallelo a esse si elaborerà una cartografia a colori, a fini essenzialmente dimostrativi e divulgativi. L’urbanista avrà cura di esplicitare quale delle due versioni sarà prevalente in caso di difformità. FIG. G.1.1./7 CARTA A SCALA 1:10.000
G4
FIG. G.1.1./8 CARTA A SCALA 1:5.000
di San Miniato al Monte. Il profilo del cielo di Roma si ridurrebbe ad una serie di flaccide mammelle se non ci
URBANISTICA • ELEMENTI CONOSCITIVI E RAPPRESENTATIVI CARATTERISTICHE DEL TERRITORIO E CARTOGRAFIE
G.1. 1. A.ZIONI
FIG. G.1.1./9 CARTA A SCALA 1:1.000
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. G.1.1./10 CARTA A SCALA 1:500
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
SCALE DI RILEVAMENTO Le scale di rilevamento aereo più in uso per la progettazione tenico-urbanistica di area media sono quelle 1:10.000 e 1:5.000 in bianco e nero. Anche per le carte tecniche regionali (CTR) si adottano queste scale, così come in campo europeo. Le quote di volo sono generalmente di 3000-4000 m per le carte in scala 1:10.000 e di 2000-2500 m per le carte in scala 1:5.000. Ciò consente tra l’altro di utilizzare aerei non pressurizzati e senza particolari protezioni vitali per l’equipaggio, in modo da manovrare direttamente sul vuoto gli apparecchi da ripresa. I formati usuali dei fogli sono quelli UNI A0 (118,9 x 84,1 cm) e UNI A1 (84,1 x 59,4 cm). La scala 1:10.000 è considerata la più idonea a rappre-
sentare realtà extraurbane nei loro elementi morfologici, pedologici, topografici, idrografici, nonchè le caratteristiche d’insieme degli insediamenti. La scala 1:5.000 è considerata la più idonea a rappresentare nei loro elementi costitutivi realtà urbane di media entità (fino a circa 200.000 abitanti). Tuttavia, per entrare nel merito di qualsiasi realtà urbana e distinguerne le caratteristiche, occorre ingrandire le rappresentazioni e fare uso di carte in scala 1:2.000, 1:1000 e, quando serve, in casi speciali, anche 1:500. Le carte 1:2.000 consentono una lettura abbastanza dettagliata del tessuto, assolutamente necessaria se la finalità ultima è quella della progettazione di un piano particolareggiato esecutivo. Ma, se si tratta di lavorare
su parti antiche molto compatte e irregolari, occorre fare uso di carte 1:1.000. L’uso contestuale di più fogli comporta la costruzione di un quadro d’unione dei fogli medesimi, da riportare sulla testata di ciascuno assieme alla loro numerazione, affinchè ogni foglio sia immediatamente localizzabile. SCALE
CARTE
REALTÀ
1:10.000
1 cm
100 m
1:5.000
1 cm
50 m
1:1.000
1 cm
10 m
1:500
1 cm
5m
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
ISTITUZIONI ISTITUTO GEOGRAFICO MILITARE (IGM) L’Istituto Geografico Militare (IGM) fu fondato nel 1872, fornisce le carte periodicamente aggiornate di carattere ufficiale. Fin dal 1862 venne avviata l’operazione di rilevamento di una prima carta d’Italia in scala 1:100.000. Essa suddivide il territorio nazionale in 278 fogli identificati dal numero progressivo. Viene pubblicata in tre edizioni: • a colori con orografia a sfumo e curve di livello (S); • a colori con orografia a sole curve di livello (C); • in bistro con confini comunali e provinciali in viola (L). Per una più approfondita lettura urbanistica assumono grande importanza le carte IGM redatte in scala 1:25.000. Esse costituiscono la Carta Topografica d’Italia, che copre l’intero territorio italiano con 3.556 tavolette di dimensione 36 x 40 cm, e interessano ognuna un’estensione di circa 96 kmq. In esse è rappresentato il territorio nei suoi principali contenuti naturali e artificiali, con curve di livello equidistanti 25 m. Riportano i limiti comunali e provinciali. Le carte descrivono un’estensione pari a 1/16 di un foglio al 100.000: ogni tavoletta quindi viene identificata attraverso il numero di foglio al 100.000, il quadrante di appartenenza (I, II, III o IV), e l’orientamento cardinale nell’ambito del quadrante stesso (NO, NE, SE, SO). Attualmente è in corso di completamento la nuova Carta d’Italia a scala 1:50.000, che rappresenta un accettabile compromesso tra maneggevolezza del supporto, estensione del territorio rappresentato nella singola tavola, e una modesta perdita di informazioni, che si è rivelata molto contenuta per merito dei moderni metodi di stampa.
re medie, delle precipitazioni piovose e nevose, nonché la Carta idrografica d’Italia in scala 1:100.000.
ISTITUTO NAZIONALE DI GEOFISICA L’Istituto Nazionale di Geofisica, utilizzando una rete di apposite stazioni, pubblica da molti anni importanti dati sulla situazione sismica.
ISTITUTO CENTRALE DI STATISTICA L’Istituto Centrale di Statistica (ISTAT) provvede ai censimenti decennali della popolazione e di varie attività e alla diffusione di numerosi importanti dati utili alle valutazioni degli urbanisti, specialmente in campo demografico.
CARTOGRAFIE DEL TOURING CLUB Non a livello istituzionale, ma comunque importanti per l’urbanista, sono le numerosissime cartografie del Touring Club Italiano. Da consultare la carta stradale al 200.000, frequentemente aggiornata, che riporta tra l’altro le indicazioni delle tratte stradali di particolare interesse paesistico e i punti di visuale panoramica.
G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
FIG. G.1.1./11 CARTA GEOLOGICA
ISTITUTO IDROGRAFICO DELLA MARINA Al rilevamento idrografico delle coste provvede l’Istituto Idrografico della Marina, istituito a Genova nel 1872, che redige carte e documenti nautici a varie scale. Fondamentale la Carta della fascia costiera italiana in scala 1:100.000 (tavole di 110 x 70 cm), con dettagli dei porti e delle rade.
SERVIZIO GEOLOGICO D’ITALIA Al rilevamento geologico provvede il Servizio Geologico d’Italia, istituito nel 1873, con il compito di predisporre e aggiornare la Carta Geologica d’Italia, in scala 1:100.000, accompagnata da numerose carte di dettaglio e di sintesi e da fascicoli monografici illustrativi. Attualmente è in fase di elaborazione una nuova Carta Geologica al 50.000.
SERVIZIO IDROGRAFICO DEL MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI Il Servizio Idrografico del Ministero dei Lavori Pubblici provvede alla raccolta delle informazioni idrografiche e meteorologiche attraverso più di 1000 stazioni termometriche e oltre tremila stazioni pluviometriche. Esso predispone carte delle temperatu-
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fosse la protesta dell’elicoidale borrominiano della Sapienza. Non è possibile separare il nuovo dal vecchio:
E 1. G.1. TERISTICH E T CARA RRITORIO E DEL T GRAFIE O CART
G5
G.1. 1.
URBANISTICA • ELEMENTI CONOSCITIVI E RAPPRESENTATIVI CARATTERISTICHE DEL TERRITORIO E CARTOGRAFIE ➦ ISTITUZIONI ➦ CARTOGRAFIE DEL TOURING CLUB FIG. G.1.1./12 CARTA IGM SCALA 1:100.000
FIG. G.1.1./13 SCHEMA DI INDIVIDUAZIONE DELLE TAVOLE 1:25.000 SULLA BASE DEI FOGLI 1:100.000
NO
NE
SO
SE numero del foglio scala 1:100.000
CARTOGRAFIA SPECIALISTICA CARTE GEOLOGICHE TERRESTRI Riguardano le caratteristiche dei terreni emersi in base alla loro formazione e composizione, come risultato di accurate indagini geofisiche, geochimiche e geotecniche strettamente connesse tra loro. Si distinguono così i terreni di formazione più antica e più recente, di varia composizione chimica e mineralogica, di varia stabilità e consistenza: granitici, calcarei, tufacei, argillosi, alluvionali, sabbiosi, ghiaiosi ecc. Vengono inoltre evidenziate le localizzazioni di miniere, sorgenti e altri elementi singolari, nonché le caratteristiche stratigrafiche e la presenza di faglie. Le carte geologiche sono composte non solo da planimetrie, ma anche da molteplici sezioni collegate che consentono di esaminare la conformazione e successione delle stratificazioni dei suoli. Esse sono quasi sempre rappresentate a colori e in base a grafie convenzionali. Affini alle carte geologiche, e utili per una più completa comprensione dello stato dei terreni, sono le carte gravitometriche, nelle quali viene indicato con isolinee l’andamento dei rilevamenti gravitazionali locali. Dall’attento esame delle carte geologiche è possibile ipotizzare anche valutazioni riguardanti il rischio sismico, ma è bene accompagnare tale esame con i dati storici documentati riguardanti l’attività macrosismica, raggruppati nelle principali classi di intensità e con l’evidenziazione, ove possibile, dei presunti tempi periodici di ritorno.
Attualmente si tende a considerare la geologia come un insieme di specialità complementari: la prima studia la composizione e la struttura della crosta terrestre e ne fanno parte la mineralogia, la petrografia, la geochimica; la seconda studia la tettonica e tutto l’insieme della geodinamica come la sismologia e la vulcanologia; la terza indaga sulla successione storica delle vicende geologiche attraverso la stratigrafia e la paleogeografia; la quarta riguarda la geologia applicata, compresa l’idrografia e la connessione con i temi più specificatamente ingegnereschi della geotecnica. Rilevante è anche l’interesse per la geologia dei fondali marini, con particolare riguardo ai fenomeni inerenti la distribuzione delle terre emerse e le risorse presenti nei medesimi fondali. in questo ambito si inquadra anche la concezione della deriva dei continenti. L’accentuata interdisciplinarietà interna del settore dovrà comunque puntare anche a momenti di sintesi nell’ambito delle scienze della terra. FIG. G.1.1./15 QUADRO GEOLOGICO-STRUTTURALE DELL’AREA DELL’ISTMO DI CATANZARO (da Rizzo-Frugale)
FIG. G.1.1./14 CARTA GEOLOGICA DELLA CALABRIA SCALA 1:25.000 REDATTA DALLA CASSA PER IL MEZZOGIORNO NEL 1967
G6
Alluvioni fluviali: dep. di lit. – Olocen.
Gessi micro-cristallini – Mioc.
Granito grossolano – Paleoz.
Leuco scisti – Paleoz.
Conglomerati e sabbie – Pleistoc.
Arenarie, sabbie, argille e silts – Mioc.
Scisti filladici – Paleoz.
Gneiss, paragneiss – Paleoz.
Sabbie, argille, silts e arenarie – Plioc.
Calcari da massicci a stratif. – Giurass.
Scisti verdi – Paleoz.
Principali lineaz. tettoniche a)certe; b) probabili
Ferrara è “la prima città moderna europea” perché il suo autore realizzò l’immensa Addizione Erculea e,
URBANISTICA • ELEMENTI CONOSCITIVI E RAPPRESENTATIVI CARATTERISTICHE DEL TERRITORIO E CARTOGRAFIE
G.1. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
CARTE GEOMORFOLOGICHE FIG. G.1.1./16 CARTA TOPOGRAFICA 1:25.000 REDATTA DALL’IGM Riguardano la conformazione orografica dei terreni e la loro acclività. La più semplice e diffusa rappresentazione simbolica, e la più adatta per il lavoro del progettista è quella a curve di livello (curve altimetriche o isoipse). Ogni curva è una linea ideale che collega tra loro i punti contigui del terreno che si trovano alla medesima quota, o, in altri termini, è determinata dall’intersezione della superficie fisica con una serie di piani paralleli equidistanti altimetricamente. Più le curve si avvicinano tra di loro più aumenta la pendenza; quanto più si allontanano maggiormente il terreno tende a essere pianeggiante. Esistono anche altre modalità di rappresentazione, dall’ombreggiatura al tratteggio alle classi di colore associate all’altitudine (tinte altimetriche): esse trovano però maggiore utilizzazione nelle carte propriamente geografiche.
CARTE DELLE COSTE E DEI FONDALI MARINI Le più utili all’urbanista sono le note carte nautiche che descrivono le caratteristiche delle coste e le profondità dei fondali adiacenti. Esse sono, in Italia, produzione esclusiva dell’Istituto Idrografico della Marina (IIM). Le carte nautiche debbono indicare tutti gli elementi utili per la navigazione e l’attracco, come la direzione e velocità delle correnti, gli oggetti di segnalamento marittimo, la declinazione magnetica e i punti di scandaglio. Vengono attualmente elaborate anche apposite carte dei fondali marini assai utili quando si tratti di localizzare o progettare parchi costieri o marini. Importanti, infine, i portolani, libri marittimi che descrivono le coste, i porti, le condizioni idrografiche e meteorologiche le distanza, contenendo perfino a volte notizie storiche ed elementi rilevati dall’esperienza dei marittimi locali. Creati per agevolare la navigazione costiera (periplo) erano anche detti peripli cartografici. Occorre aver presente che la linea di costa rappresenta il temporaneo assestamento di realtà contestuali spesso contrastanti: gli apporti dei detriti fluviali e delle correnti marine, e in senso opposto le erosioni idriche ed eoliche. A questi movimenti si aggiungono, con effetti imponenti, le opere portuali e le condizioni climatiche. Altri possibili fattori destabilizzanti sono le frane costiere e gli eventi sismici. La linea di costa è pertanto in perenne movimento.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ALTRE CARTE Tra le numerosissime carte stradali in uso, le più aggiornate e attendibili sono, oltre quelle del Touring Club Italiano (TCI), quelle dell’ACI (Automobile Club Italiano) e dell’Istituto Geografico De Agostini. Numerose altre iniziative cartografiche utili per l’urbanista vengono poi saltuariamente intraprese, e a volte malau-
guratamente interrotte. Si riportano due esempi di cartografia specializzata, elaborati sulla base delle carte stradali 1:200.000, estremamente interessanti per la conoscenza territoriale: la carta dell’uso del suolo del TCI e la carta delle zone archeologiche (purtroppo raramente aggiornate).
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
FIG. G.1.1./17 CARTA NAUTICA DI TRATTO DI COSTA ADRIATICA
FIG. G.1.1./18 CARTA DELL’UTILIZZAZIONE DEL SUOLO (CNR e TCI) SCALA 1:200.000
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN
FIG. G.1.1./19 CARTA DELLE ZONE ARCHEOLOGICHE (TCI e MIN. PI) SCALA 1:200.000
G.6. ITÀ MOBIL
E 1. G.1. TERISTICH E T CARA RRITORIO E DEL T GRAFIE O CART
contemporaneamente, ristrutturò il nucleo medievale. “Master Plans for Master Politicians”: piani maestri per i
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G.1. 1.
URBANISTICA • ELEMENTI CONOSCITIVI E RAPPRESENTATIVI CARATTERISTICHE DEL TERRITORIO E CARTOGRAFIE
RAPPRESENTAZIONE DELLE CARATTERISTICHE CLIMATICHE FIG. G.1.1./20 CARTA DEI VENTI – GRAFICO POLARE DELLA FREQUENZA DEI VENTI (percentuale su base annua)
Le caratteristiche climatiche sono quelle generali della regione (macroclima) e quelle particolari dei luoghi (microclima). Queste ultime sono determinate dall’esposizione del terreno e dei fabbricati, dalle tempera-
ture medie annuali, dalla distribuzione e intensità delle piogge, dalla nevosità e dalla ventosità. Le condizioni climatiche di una località possono essere descritte mediante carte e grafici (temperature, precipitazioni, venti, soleggiamento ecc.). Sulle carte di tipo topografico si riportano le elaborazioni dei dati in isolinee, cioè curve che uniscono i punti che presentano i medesimi valori. Così si possono avere rappresentazioni con curve isoterme per le temperature, isoiete per le piogge, isobare per le pressioni. Possono essere presi in considerazioni periodi brevi o lunghi e condizioni medie, minime o massime. Ogni rappresentazione deve essere significativamente espressiva di una determinata realtà. Si delineano così aree a clima freddo, temperato, umido o secco in base ad andamenti climatici annuali, stagionali, mensili. L’Italia nel suo complesso è classificata come area a clima temperato caldo con estate secca, ma sensibili differenze sono presenti nelle varie zone geografiche del paese. Inutile sottolineare l’importanza che assume l’analisi delle condizioni climatiche in funzione delle scelte di localizzazione degli insediamenti, anche sotto l’aspetto della comparazione di loca-
FIG. G.1.1./21 GRAFICO DELLE TEMPERATURE MEDIE MENSILI
FIG. G.1.1./22 ESEMPIO DI CARTA DELLE ISOIETE ANNUE (totale delle precipitazioni)
N 100 80 60
NO
NE
40 20
E
O
SE
SO
FIG. G.1.1./23 GRAFICI DELLA PIOVOSITÀ
Gennaio Febbraio Marzo Aprile
25
Maggio
20
Giugno
mesi
30
15 10
Luglio Agosto
5
Novembre
tra 1400 e 1000 mm Dicembre
Novembre
Ottobre
Settembre
Agosto
Luglio
Giugno
Maggio
Ottobre
tra 1800 e 1400 mm
Aprile
tra 2000 e 1800 mm
–5
Marzo
Settembre
Febbraio
più di 2000 mm
0
Gennaio
gradi centigradi
S
lità diverse e della disposizione e orientamento degli edifici. Le migliori condizioni climatiche si verificano, in Italia, lungo alcune fasce costiere del versante tirrenico, dove la temperatura è sostanzialmente mite per tutto l’anno (non si hanno gelate invernali e forti calure estive), le piogge sono limitate e ben distribuite, i venti generalmente moderati. Queste zone sono conseguentemente ideali dal punto di vista abitativo e fertilissime dal punto di vista agricolo. Le caratteristiche climatiche possono essere modificate da azioni umane, sia positivamente, sia negativamente. Un ruolo fondamentale lo esercita la vegetazione che, se abbondante e ben curata, evita il dilavamento e l’erosione dei terreni protegge dal soleggiamento estivo, svolge importanti azioni frangivento, consente l’equilibrio delle falde freatiche, protegge le coste (notevole lungo i litorali sabbiosi il ruolo delle dune e della tipica macchia mediterranea su di esse radicata), purifica l’aria.
tra 1000 e 600 mm
Dicembre
meno di 600 mm mm di pioggia
PAESAGGIO VEGETALE NATURALE MANTO VEGETALE Il manto vegetale trae nutrimento e respiro dal suolo (acqua e sostanze minerali) e dall’aria (carbonio e ossigeno), svolgendo un gigantesco lavoro di accumulo e restituzione a favore dell’ambiente. Non si può quindi assistere indifferenti al degrado del manto vegetale, alla distruzione dei boschi, all’impoverimento delle sponde di fiumi e torrenti, alla cementificazione di immense superfici ormai incapaci di assorbire e far defluire “naturalmente” l’acqua piovana e trasmetterla alle piante. I danni ambientali causati da interventi pesanti e non sufficientemente meditati sul patrimonio del verde si ritorcono a breve, medio e lungo termine sulla stessa comunità che li ha causati, dalle frane delle pendici rese instabili dai dilavamenti e dalla deforestazione, alle alluvioni disastrose che non trovano i naturali compensi ed equilibri negli sfoghi golenali, al peggioramento della qualità atmosferica non sufficientemente filtrata e arricchita da una consistente vegetazione; e i costi economici di questi eventi sorpassano senz’altro i guadagni ricercati da una irresponsabile speculazione. In generale la difesa della natura è garanzia di progresso economico e di possibilità di valorizzazione altrimenti insperabili.
CARTE VEGETAZIONALI Le carte vegetazionali descrivono il manto vegetale di una determinata area (dalle alghe agli alberi) che costituisce la base di ogni catena vitale terrestre e marina. Ogni modificazione al manto vegetale influenza notevolmente le condizioni climatiche e di vivibilità. Molto utili all’urbanista sono le carte dell’uso del suolo, rappresentazione dello “stato di fatto” al momento del rilevamento. Esse distinguono, nelle aree extraurbane, i principali tipi di coltivazioni (frutteti, vigneti, seminativi ecc.) e i principali tipi di boschi (alto fusto, ceduo, promiscuo) nonché, spesso, la loro varietà (abeti, faggi, castagni ecc.). Si tratta nella maggioranza dei casi di carte tematiche costruite da geografi, ecologisti o stu-
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diosi dei problemi economici inerenti l’agricoltura, desumendo e riaggregando dati di diversa natura e provenienza. Il loro limite sostanziale è costituito dalla frammentarietà e non standardizzazione dei criteri, anche grafici, per cui non sempre è possibile usufruire di esse per il territorio che interessa l’urbanista nell’occasione particolare. Si tratta spesso di rappresentazioni a colori in base a grafie convenzionali. Utili informazioni, anche se non sempre aggiornatissime, possono essere desunte anche dalle simbologie puntuali delle carte dell’Istituto Geografico Militare, trasformando appunto le informazioni a elementi discontinui in grafie areali.
PAESAGGI NATURALI I paesaggi ricchi di alberature possiedono un valore e una espressività che tutti riconoscono. Tanto più quando i singoli paesaggi naturali esprimono in maniera semplice e autentica le loro qualità vegetali e ambientali. Nella penisola italiana si distinguono, per grandi linee, i seguenti paesaggi naturali: • dell’olivastro e del carrubo, residuo delle antiche foreste litoranee sempreverdi dell’area mediterranea; • dell’olivo e del leccio, presente nelle aree costiere centro-meridionali, calde e tendenzialmente secche; • della quercia, a foglia caduca, contiguo e simile al precedente; • del cerro e del castagno, presente nelle aree temperate vallive e interne, anche a discrete altitudini; • del faggio e dell’abete, rigoglioso in aree montane discretamente umide; • dell’abete rosso e del larice, espressione tipica delle quote elevate, fino al limite estremo delle foreste; • delle aree alpine alle massime altitudini, dove dominano solo essenze di apparenza erbacea.
maestri della politica. L’architetto-urbanista-paesaggista imprime un orientamento allo sviluppo del territorio:
URBANISTICA • ELEMENTI CONOSCITIVI E RAPPRESENTATIVI CARATTERISTICHE DEL TERRITORIO E CARTOGRAFIE
G.1. 1. A.ZIONI
PAESAGGIO DELL’OLIVASTRO E DEL CARRUBO In questo paesaggio, tipico delle estreme propaggini meridionali e delle isole, vegetano assai bene cespugli di mirto, lentisco, ginepro, rosmarino e come piante acclimatate, il fico d’India e la palma nana. Spesso vi compaiono il leccio, il pino d’Aleppo e l’oleandro. Dove esistono buone disponibilità di acqua e terreno fertile prosperano anche, grazie al clima caldo, magnifici agrumeti come lungo le coste della Sicilia. L’olivastro rappresenta l’esemplare selvatico dell’olivo, capace di formare in passato vere e proprie selve. Il carrubo è presente, sia come pianta selvatica sia come pianta coltivata, in Sicilia e in Sardegna. Qualche esemplare raggiunge dimensioni notevoli. PAESAGGIO DELL’OLIVO E DEL LECCIO In esso si riconosce in maniera esplicita l’Italia mediterranea delle aree costiere di Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia, Campania, Lazio e Liguria, con espansioni verso le aree interne e le medie altitudini del versante ionico-tirrenico dove il clima invernale è più mite. L’olivo era una delle alberature più nobili della cultura greco-romana. Si attribuiva ad Atena il merito di aver fatto scaturire il primo olivo sulla collina dell’Acropoli della città che da lei avrebbe tratto il nome: tuttora ha conservato un significato simbolico di pace e civiltà. Attualmente è diffuso in tutte le regioni centro-meridionali, fino ai versanti soleggiati delle prime valli appenniniche, dove il clima invernale lo consente. è inoltre presente in alcune parti costiere del Lago di Garda. Il leccio è la quercia nera sempreverde, una delle essenze più note fin dall’antichità, quando formava grandi foreste. Ora vegeta soprattutto a “macchia”, associato ad altri sempreverdi come il corbezzolo, le eriche e le filliree. In questo paesaggio sono diffusi anche il cipresso (pianta introdotta dall’Oriente e ormai tipica delle colline toscane e umbre) e il pino domestico, dall’elegante e solenne portamento, elemento paesaggistico dell’area laziale e campana, spesso associato al pino marittimo. Vanno ricordati anche la sughera (presente specialmente in Sardegna), la quercia spinosa, il fragno, il pioppo bianco assai diffuso lungo i corsi d’acqua. PAESAGGIO DELLA QUERCIA Questo paesaggio è anch’esso parte del grande ambiente mediterraneo e si diffonde alle spalle di quello dell’olivo e del leccio fino alle pendici collinari medio-alte. Boschi di querce, spesso miste ad altre speci o in forma di boscaglia (cedui, periodicamente tagliati) sono presenti non solo sugli Appennini ma anche sulle prime alture delle Prealpi e delle Alpi. La roverella, quercia di modeste dimensioni a foglia caduca, è la specie più diffusa di questo paesaggio. Ma è la rovere la pianta più maestosa e imponente, che si spinge fino ad altitudini cospicue. A questo paesaggio appartengono inoltre: • la farnia, bella quercia presente soprattutto nelle aree tendenzialmente pianeggianti; • il carpino bianco e nero, che si associa spesso alla farnia, assai diffuso nell’Italia settentrionale; • l’orniello;
cipresso
rovere farnia carpino bianco orniello
paesaggio della quercia
roverella
pioppo nero e pioppo cipressino
cerro
ontano napoletano pino silvestre pino laricio
corbezzolo sughera fragno pioppo bianco
faggio paesaggio del cerro e del castagno
castagno
pino domestico
paesaggio dell’olmo e del leccio
leccio
abete bianco
PAESAGGIO DEL CERRO E DEL CASTAGNO Esso caratterizza le basse e medie altitudini delle nostre montagne, fino a circa 1.000 metri. Il cerro è una quercia italo-balcanica un tempo assai florida (oggi abbastanza impoverita), dal portamento slanciato. Cerrete rigogliose sono ancora presenti in Molise, in Campania e in qualche altra area centro-meridionale. Il castagno è forse la pianta più bella delle nostre Prealpi e dell’Appennino, diffusa nelle vallate dove il clima è relativamente mite. Magnifici castagneti sono presenti in Lombardia, Emilia, Toscana, perfino in Sicilia, ma la loro consistenza è minacciata da una ingiusta valutazione della loro redditività. In questo contesto paesaggistico occorre ricordare anche: • l’ontano napoletano, molto diffuso nelle regioni meridionali, pianta dalle robuste radici estese orizzontalmente, capace di consolidare bene i terreni; • il pino silvestre, conifera presente in tutta Europa, detto anche pino rosso; • il pino laricio, altissimo ed elegante esemplare di alcune montagne del Sud come la Sila (l’antica Selva Bruzia) e l’Etna. PAESAGGIO DEL FAGGIO E DELL’ABETE Esso caratterizza la montagna vera e propria, oltre i 1000 m, dove il clima è più umido e fresco. Il faggio è pianta dall’ampio e fitto fogliame, che forma macchie di bosco ricche di esemplari maestosi. Tra le più famose faggete quelle della Sila e delle Serre in Calabria. L’abete bianco è una magnifica conifera, spesso accompagnata al faggio, molto diffusa in tutto l’Appennino e sempre eccessivamente sfruttata per il pregio del suo legname. L’assortimento con il faggio, pianta più robusta e di notevole vigore riproduttivo, ha finito per impoverire quasi tutte le abetine. PAESAGGIO DELL’ABETE ROSSO E DEL LARICE Questo paesaggio delinea l’ambiente alpino con le sue vaste foreste di conifere, tra i 1000 e gli oltre 2000 m di altitudine. Sono infatti le piante a fogliame aghiforme quelle che caratterizzano l’aspetto dei luoghi a clima freddo e nevoso. L’abete rosso ha tronchi diritti e alti e folte fronde piramidali che si curvano verso l’alto. I boschi di abete rosso (o peccete) hanno il terreno ricoperto da una folta vegetazione di muschi, felci, mirtilli. Il larice è considerato la più tipica pianta alpina. Albero imponente, dal fogliame chiaro e i rami penduli, forma le foreste più elevate e si spoglia nell’inverno. Costituisce boschi sempre luminosi, non troppo fitti, dove spesso si associa ad altre specie. Tra queste il pino cembro, robusto e compatto, dal fogliame scuro, al limite più alto delle foreste alpine, dalla Valle d’Aosta all’Alto Adige.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM
ORIZZONTI VEGETAZIONALI Può essere utile l’approfondimento conoscitivo degli orizzonti vegetazionali, classificazione dei tipi di copertura vegetale di una determinata area regionale in relazione al variare dell’altitudine e del clima. Si individuano così delle successioni di tipologie di flora come, ad esempio, la seguente, tipica del versante tirrenico calabrese: • orizzonte della steppa litoranea (dove prevalgono i cespugli di rosmarino, ginepro, ginestra, largamente assimilabile al paesaggio dell’olivastro e del carrubo); • orizzonte della macchia mediterranea (dove prevalgono lecci, olivi e pini); • orizzonte delle caducifoglie (dove prevalgono castagni e querce, oltre i 700 m); • orizzonte del faggio e dell’abete, oltre i 1000 m; • orizzonte alpino, intorno e oltre i 2000 m.
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
Tenendo conto degli orizzonti vegetazionali e delle caratteristiche geologiche dei terreni, è possibile individuare, per ogni suolo, i tipi di alberature da utilizzare con maggiori probabilità di successo. FIG. G.1.1./25 ORIZZONTI VEGETAZIONALI DELLA SILA (da Gambi) orizzonte alpino
paesaggio del faggio e dell’abete bianco
olivastro
olivo
orizzonte del faggio
orizzonte delle caducifoglie orizzonte della macchia mediterranea orizzonte della steppa litoranea
abete rosso larice
paesaggio dell’abete rosso e del larice
carrubo
paesaggio dell’olivastro e del carrubo
FIG. G.1.1./24 RAPPRESENTAZIONE CARTOGRAFICA SIMBOLICA DI AREE BOSCHIVE
• il pioppo, alberatura slanciata e flessuosa tipica delle aree ricche di acque, specialmente di quelle agricole dove, disposto in filari ritma le visuali, come nella pianura Padana. Molte specie di pioppi sono di provenienza euro-americana e ben acclimatate. È invece di origine italica il cosiddetto pioppo cipressino, tipico delle regioni centrali (si ricordi il celebre boschetto alle fonti del Clitumno).
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
Livello del mare
registra, interpreta, sceglie finalità, tempi e strumenti di attuazione.
E 1. G.1. TERISTICH E T CARA RRITORIO E DEL T GRAFIE O CART
G9
G.1. 1.
URBANISTICA • ELEMENTI CONOSCITIVI E RAPPRESENTATIVI CARATTERISTICHE DEL TERRITORIO E CARTOGRAFIE CARATTERISTICHE DELL’EDIFICAZIONE STABILE EDIFICAZIONE STABILE
TIPOLOGIE DEGLI EDIFICI
L’edificazione stabile coincide storicamente con l’evoluzione delle attività agricole, l’abbandono del nomadismo e la progressiva differenziazione tra dimore degli uomini e dimore degli animali, prima in forme semplici, poi sempre più complesse. I primi esempi sono quelli rupestri e semirupestri, tuttora ben visibili anche in Italia da Pantalica a Matera. Nell’antichità romana e fino all’inizio dell’età moderna (XV – XVI sec.) la casa della gente comune è ancora molto semplice e somma le funzioni separate di ricovero della famiglia e degli animali, di luogo di svolgimento delle attività artigianali e di deposito dei prodotti. Ogni funzione tende tuttavia, con il tempo, ad acquistare qualche spazio in più. Ma si tende anche ad accostare, per motivi di economia, una cellula abitativa all’altra, a formare delle aggregazioni. Anche la morfologia del terreno e le condizioni climatiche esercitano un notevole peso sulle scelte, dando origine a moduli dimensionali, funzionali e spaziali differenti e poi a differenti tipologie abitative.
La casistica esistente è numerosa e complessa, ma, in prima ipotesi, può essere ricondotta a una più semplificata suddivisione che prenda in considerazione alcune fondamentali tipologie edilizie: • estensive: edifici unifamiliari isolati, agricoli e urbani, a uno o più piani; • semiestensive: edifici unifamiliari a schiera o in linea, a due o tre piani; • semintensive: edifici plurifamiliari in linea o isolati, a due o più piani; • intensive: edifici plurifamiliari in linea o isolati, di oltre cinque piani.
SVILUPPO DIMENSIONALE Gli edifici e le loro aggregazioni si sviluppano dimensionalmente per moltiplicazione delle singole cellule in orizzontale e in verticale. In passato è prevalso nettamente lo sviluppo orizzontale, finche l’insediamento non ha raggiunto una certa dimensione demografica e non si è verificata una evidente carenza di aree libere. La tendenza alla saturazione degli spazi inedificati (orti, giardini, corti ecc.) anche se più evidente in passato è ancora presente ovunque, a meno di vincoli speciali. Lo sviluppo verticale (oltre i 4-5 piani) è fenomeno relativamente recente, consentito dalla presenza di mezzi meccanici di elevazione (ascensori, montacarichi ecc.). Non mancano naturalmente le eccezioni storiche, ben note, come quelle dell’edilizia popolare della Roma imperiale.
FIG. G.1.1./26 CASE A PATIO A TAPIOLA (Pentti Ahola) TIPOLOGIA SEMIESTENSIVA
A ciascuna di queste tipologie corrispondono differenti densità territoriali (abitanti per ettaro) e differenti indici di utilizzazione (metri cubi per metro quadrato di superficie). In via orientativa si può definire la tabella che segue. Nella realtà esistono anche densità e indici superiori, ma si tratta generalmente di condizioni anomale di vivibilità, sicuramente non raccomandabili. TIPOLOGIA Estensiva Semiestensiva Semintensiva Intensiva
DENSITÀ TERRITORIALE fino a 100 ab/ha fino a 200 ab/ha fino a 300 ab/ha oltre 300 ab/ha
INDICE DI UTILIZZAZIONE fino a 1 mc/mq fino a 2 mc/mq fino a 3 mc/mq oltre 3 e fino a 8-10 mc/mq
ISOLATI URBANI CONFIGURAZIONE DI ISOLATI L’accostamento di più edifici, unitamente allo sviluppo della maglia stradale, origina isolati di varia configurazione e consistenza. Si considera isolato una porzione di area urbanizzata circondata da strade, costituita da edifici e spazi interni inedificati. Nei piccoli insediamenti gli edifici si dispongono spesso in maniere casuali e gli isolati assumono, a loro volta, forme casuali. La progressiva crescita porta invece, per scelta spontanea o per prescrizione, alla configurazione di isolati più regolari simili tra loro, in armonia con l’andamento del terreno e di una rete stradale sempre più funzionale. Nei grandi insediamenti, con l’adozione di una rete stradale gerarchica (principale e secondaria) e la realizzazione di apposite lottizzazioni di terreni, gli isolati assumono forme simili e regolari. Queste condizioni sono presenti soprattutto nelle aree organizzate fin dall’origine. Nella realtà esistono almeno tre tipi di isolati: • centrali, completamente circondati da aree urbane; • di bordo, circondati parzialmente da strade urbane, ma anche confinanti con il perimetro esterno dell’insediamento (strade di circonvallazione, mura, limiti costieri ecc.); • di frangia, circondati parzialmente da strade, ma anche da spazi extraurbani in via di trasformazione. Al suo interno ogni tipo di isolato si differenzia poi per la sua organizzazione formale (a struttura monodirezionale, bidirezionale pluridirezionale ecc.) e per i suoi contenuti.
FIG. G.1.1./27 ISOLATO CENTRALE
FIG. G.1.1./28 ISOLATO DI BORDO TANGENZIALE ESTERNA
FIG. G.1.1./29 ISOLATO DI FRANGIA
LOTTO DI PERTINENZA DI UN SINGOLO EDIFICIO
AREE AGRICOLE LOTTO DI PERTINENZA DI UN SINGOLO EDIFICIO
Isolato centrale Circondato da strade, a bassa densità territoriale, realizzato con tipologie edilizie a schiera semiestensive Isolato di bordo Confinante con il perimetro esterno dell’area urbana. ad alta densità territoriale, realizzato con tipologie edilizie intensive a torre. Isolato di frangia Circondato parzialmente da spazi extraurbani di probabile futura espansione, a media densità territoriale, realizzato con tipologie edilizie in linea semintensive
LOTTI Un isolato può essere utilizzato in un unico lotto o in più lotti edificabili. Non sempre l’edificazione di un isolato avviene contestualmente in tutti i lotti, ma l’urbanista può fissare, in sede progettuale, norme che obblighino a realizzazioni omogenee anche se dilazionate nel tempo. In pratica si tratta di fissare non solo indici, tipologie e altezze, ma anche allineamenti
G 10
e distacchi dalla rete stradale e dai confini. La fisionomia dell’isolato sarà determinata inoltre dalle sistemazioni del terreno (quote di finitura, pavimentazioni verde, piantagioni ecc.) e dalle eventuali recinzioni. Un lotto edificabile non può essere considerato come un’unità a sé stante, autonoma, ma come parte essenziale di un isolato ed eventualmente di un intero settore urbano.
URBANISTICA • ELEMENTI CONOSCITIVI E RAPPRESENTATIVI CARATTERISTICHE DEL TERRITORIO E CARTOGRAFIE
G.1. 1./2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
SETTORI URBANI
ISOLATI MONOFUNZIONALI E POLIFUNZIONALI
FIG. G.1.1./30 SETTORI URBANI Si considerano settori urbani quelle parDI UN CENTRO STORICO ti del tessuto cittadino che hanno caratteristiche edilizie abbastanza omogenee, una certa autonomia funzionale, e che comprendono al loro interno vari isolati. Spesso l’individuazione di un settore urbano può essere ricondotta alla sua origine storica e alle comuni vicende e scelte edificatorie dell’insieme preso in esame. Qualche volta il settore urbano si può identificare con il rione o il quartiere. Un settore urbano dovrebbe sempre comprendere un ampio assortimento di funzioni, in modo da offrire svariate possibilità di fruizione, proporre occasioni di frequentazione in orari diversi, rivolgersi a settori di utenza molteplici. Solo in questo modo si può evitare la monofunzionalità spinta dei settori, che si è rivelata dannosa nell’economia generale delle città, in quanto accresce i problemi sociali e quelli di uso del territorio urbano. Si pensi ai quartieri “dormitorio”, ai centri direzionali intasati in certi periodi e orari e deserti in altri, alla concentrazione delle attività industriali o artigianali con degrado e inquinamento dell’ambiente, alla necessità di continui spostamenti della popolazione per assolvere nelle diverse attività.
Un isolato può avere varie dimensioni e raggruppare più funzioni. Nelle aree centrali urbane numerosi isolati riuniscono prevalentemente funzioni collettive (commerciali, amministrative, politiche, culturali, ricreative) e limitatamente quelle residenziali. Al contrario nelle aree periferiche prevalgono nettamente le funzioni residenziali. La questione pone frequentemente, in sede di pianificazione, complicati problemi di riequilibrio. FIG. G.1.1./31 ISOLATO A STRUTTURAZIONE BIDIREZIONALE, IN PRESENZA DETERMINANTE DI UNA TIPOLOGIA DI INTERESSE COLLETTIVO (schema e planimetria)
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
SEMPLICITÀ E COMPLESSITÀ FORMALE Un isolato può essere utilizzato, dal punto di vista edificatorio, in forme semplici oppure complesse. Possono considerarsi complesse quelle soluzioni che fanno riferimento a tipi edilizi inconsueti, a volte di notevole interesse architettonico, assemblaggio di più tipologie, con sezioni che rispecchiano chiaramente il grado di complessità. Si pensi, ad esempio, all’Habitat di Montreal o a varie unità di abitazione come quelle di Le Corbusier.
AGGREGAZIONE DEGLI EDIFICI E CONFIGURAZIONE DEL TESSUTO URBANO L’aggregazione degli edifici può dare origine a un numero quasi illimitato di soluzioni formali-funzionali e quindi di configurazioni del tessuto urbano. Quelle illustrate di seguito sono solo alcune delle più consuete. 1. Aggregazione di elementi disomogenei isolati e non preordinati. È il caso tipico dello sviluppo edilizio spontaneo, quello che si può osservare in alcune zone di estrema periferia o in aree agricole dove sia percepibile una certa spinta all’addensamento. 2. Aggregazione semplice di elementi omogenei preordinati. Soluzione frequentemente usata in lottizzazioni a villini, sia in aree urbane a bassa densità sia in aree turistiche. 3. Aggregazione semplice di elementi lineari più o meno omogenei. Soluzione seriale tipica dei centri di origine medioevale (case contigue a schiera o simili) presente anche in aree urbane o semi-urbane più recenti. Si adatta particolarmente ai terreni in declivio. 4. Aggregazione di elementi lineari continui disomogenei. Gli edifici sono di tipologie e dimensioni diverse e non sempre si allineano uniformemente lungo il bordo stradale. Soluzione presente in tutti i tessuti urbani, specialmente antichi, in carenza di normative edilizie.
5. Aggregazione complessa di elementi omogenei continui. Tende a formare spazi comunitari a integrazione di quelli stradali. Soluzione abbastanza frequente in insediamenti antichi e recenti. I tipi edilizi possono essere case a schiera, in linea o altri. 6. Aggregazione complessa di elementi disomogenei continui. Soluzione simile alla precedente, ma caratterizzata dall’assemblaggio di tipi edilizi diversi tra loro. 7. Aggregazione complessa di elementi disomogenei discontinui. Soluzione frequente in aree periferiche dove la strumentazione edilizia-urbanistica è più carente. 8. Aggregazione complessa di elementi omogenei, o parzialmente omogenei, intorno a un fulcro (emergenza) in base a scansioni preordinate. Soluzione frequente nelle aree di impianto razionalista e post-razionalista, con molte possibilità di variante e di arricchimento tipologico-funzionale, anche in dimensione verticale. 9. Aggregazione lineare di elementi omogenei, o parzialmente omogenei, in base a scansioni preordinate di derivazione geometrica, liberamente utilizzate. Soluzione presente, nelle sue molteplici varietà, nelle realizzazioni recenti.
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
CARATTERISTICHE DELLE PRINCIPALI TRASFORMAZIONI DISTACCHI E PENDENZE DISTACCHI TRA GLI EDIFICI FIG. G.1.2./1 DISTACCO MINIMO TRA GLI EDIFICI d
Dove il clima è temperato il distacco minimo tra gli edifici non dovrebbe essere inferiore alla somma delle due altezze che si fronteggiano divisa per due. Questa regola semplicissima assicura condizioni buone di soleggiamento a ciascun fronte e limita i disagi reciproci di introspezione. Distacchi minori debbono essere giustificati da condizioni particolari e accuratamente studiati in sede progettuale. Sono tuttavia vietati dalla maggior parte dei regolamenti edilizi comunali italiani.
d h h
Occorre comunque osservare che il distacco tra gli edifici può variare con la latitudine e le condizioni climatiche. Nelle aree più calde, anche nel bacino del Mediterraneo, si usa spesso limitare i distacchi per ottenere zone d’ombra più consistenti.
h
h
E 1. G.1. TERISTICH E T CARA RRITORIO E DEL T GRAFIE O CART E 2. G.1. TERISTICH I T L CARA PRINCIPA I N DELLE ORMAZIO F TRAS
G 11
G.1. 2.
URBANISTICA • ELEMENTI CONOSCITIVI E RAPPRESENTATIVI CARATTERISTICHE DELLE PRINCIPALI TRASFORMAZIONI ➦ DISTACCHI E PENDENZE EDIFICI E PENDENZE DEL TERRENO Una pendenza del terreno di circa il 20% comporta la realizzazione di un piano parzialmente interrato. Una pendenza maggiore comporta sprechi volumetrici maggiori, ai quali è possibile ovviare con edifici gradonati e costi più alti. È buona norma, su terreni in declivio, prevedere coperture a tetto degli edifici, per migliorare le condizioni di soleggiamento.
FIG. G.1.2./2a EDIFICI SU TERRENO PIANEGGIANTE
FIG. G.1.2./2c EDIFICI SU TERRENO CON PENDENZA DI CIRCA IL 40%
FIG. G.1.2./2b EDIFICI SU TERRENO CON PENDENZA DI CIRCA IL 20%
SOLEGGIAMENTO SOLEGGIAMENTO DI UNA SUPERFICIE
SOLEGGIAMENTO DEGLI EDIFICI
DISPONIBILITÀ DELL’ENERGIA SOLARE
Il soleggiamento di una superficie, tipicamente la parete di un edificio, è definito dalla quantità di energia solare che la colpisce in un certo periodo di tempo. In urbanistica si considerano le ore annuali di illuminazione; per calcoli più precisi, che interessano soprattutto le progettazioni architettoniche e impiantistiche, occorre tener conto dell’energia complessiva (non solo luminosa), della presenza statistica di nebbie e nuvole per dati periodi dell’anno ecc. Riguardo alla disposizione che debbono assumere edifici con una dimensione planimetrica prevalente affinché le facciate maggiori abbiano l’esposizione ottimale, sono stati definiti vari criteri teorici, tra i quali i più usati sono quelli dell’asse equisolare e dell’asse eliotermico. L’asse equisolare di una determinata località è quello individuato dalla direzione del sorgere del sole il giorno del solstizio d’estate. L’asse eliotermico è invece la direzione di due lati opposti e prevalenti di un edificio per cui risulta uguale durante l’anno il valore eliotermico (cioè il prodotto della temperatura ambiente per le ore di illuminazione solare).
Per ottenere un buon soleggiamento occorre che il distacco tra gli edifici sia superiore all’altezza massima. Tale distacco deve aumentare se il terreno, anziché pianeggiante, è inclinato con giacitura rivolta verso nord o Nord-Ovest; può diminuire se il terreno è inclinato con giacitura rivolta a sud o Sud-Est.
FIG. G.1.2./6 PRIMAVERA
chilowattora al giorno per metro quadrato 4,9 4,7 4,3 4,1 3,9 3,7 3,6
FIG. G.1.2./5 N
O
E
Orientamento ottimale N-S Che garantisce buon soleggiamento per tutto l’anno ai fronti maggiori dell’edificio esposti a Est e a Ovest.
S FIG. G.1.2./3
CIRCA 70°
CIRCA 48°
CIRCA 25°
N
O
Orientamento da evitare Molto negative le condizioni del fronte esposto a Nord, specialmente nella stagione invernale.
E
FIG. G.1.2./7 ESTATE chilowattora al giorno per metro quadrato
S N FIG. G.1.2./4
versante esposto a levante versante esposto a ponente
E
O
Orientamento intermedio accettabile La migliore e sposizione è quella del fronte Sud-Est. Orientamento vicino a quello dell’asse eliotermico medio italiano.
S Orientamento intermedio accettabile Con fronti maggiori mediamente soleggiati tutto l’anno.
N
sezione trasversale di una vallata
SOLEGGIAMENTO DEI VERSANTI Se una vallata ha andamento N-S, il versante meglio soleggiato, specialmente di mattina, è quello a levante. Gli edifici andranno disposti preferibilmente in forma allungata N-S, in modo da ottenere lungo i due lati maggiori le migliori condizioni di soleggiamento. Negli altri casi vanno studiate soluzioni intermedie opportune.
G 12
O
E
S
6,5 6,1 5,7 5,5 5,3 5,1 4,9 4,7 4,3
URBANISTICA • ELEMENTI CONOSCITIVI E RAPPRESENTATIVI CARATTERISTICHE DELLE PRINCIPALI TRASFORMAZIONI
A.ZIONI
FATTORI DI LOCALIZZAZIONE E SCELTE INSEDIATIVE FATTORI DI LOCALIZZAZIONE La decisione di realizzare un nuovo insediamento è determinata dalle motivazioni più diverse, in funzione dei particolari e variabili obiettivi che si intendono raggiungere. Comunque, elemento fondamentale di ogni corretta decisione di nuova edificazione dovrebbe essere il rispetto dei seguenti requisiti:
i criteri prima elencati comporta una meditata analisi economica delle conseguenze, che debbono essere rapportate con la massima consapevolezza ai benefici che si intendono perseguire.
SCELTE INSEDIATIVE NEL TEMPO
1. buona consistenza geologica;
Dal punto di vista storico le scelte insediative più “naturali” sono quelle largamente confermate dall’esperienza:
2. andamento pianeggiante o limitatamente acclive del terreno;
• lungo i corsi dei fiumi e dei torrenti, in aree vallive o pianeggianti;
3. condizioni climatiche apprezzabili;
• lungo le fasce costiere marittime e lacustri, specialmente dove sussistono possibilità di approdo;
4. presenza di acqua per usi domestici e agricoli-produttivi;
• lungo i percorsi stradali, specialmente in corrispondenza di nodi strategici della viabilità territoriale.
5. buona esposizione e quindi buon soleggiamento; 6. presenza di alberature e di varia vegetazione; 7. possibilità di facile connessione alla rete viaria. Nell’insieme si parla di fattori di localizzazione, cioè di attitudine più o meno marcata di un suolo a essere sede di un insediamento. Non sempre si verifica la contestuale presenza dei sette requisiti elencati. Attualmente è possibile sopperire, con varie modalità tecnologiche, ad alcune carenze. Va tuttavia considerato che ogni “carenza” può essere causa di sensibili aumenti dei costi di edificazione e di successivo disagio abitativo. Inoltre occorre preventivare anche un aumento dei futuri costi di gestione (per il singolo e per la collettività). Pertanto operare scelte in contrasto anche parziale con
G.1. 2.
Ma necessità difensive (in passato) e opportunità economiche e turistiche (in tempi recenti) hanno fatto apprezzare anche luoghi isolati, elevati, impervi, a volte raggiungibili con difficoltà. Si sono quindi aggiunte, alle scelte insediative naturali e tradizionali, scelte insediative convenienti per motivi pratici di varia natura ed entità. Così, in Italia, la localizzazione di Roma fu decisa dall’incrocio tra la carovaniera che portava il sale dal mare ai popoli appenninici dell’interno (la futura via Salaria), e la direttrice di interscambio tra le popolazioni etrusche dell’Etruria e della Campania, nel punto più favorevole per l’attraversamento del Tevere, di fronte all’Isola Tiberina. Le città della Magna Grecia, per gli scopi e le tendenze dei fondatori, furono disposte lungo le coste, in posi-
zione favorevole ai commerci e alla navigazione. Gli insediamenti di epoca romana, godendo della relativa stabilità e sicurezza del tempo, furono dislocati lungo le principali vie di comunicazione, in luoghi comodi e accessibili. Con la crisi dell’impero romano e il progressivo disfacimento delle sicurezze statuali, assunsero maggiore importanza altre caratteristiche. Così le città costiere vennero abbandonate, in favore di insediamenti più elevati e interni, cioè più salubri e difendibili, anche se isolati da un contesto di relazioni interregionali che peraltro non offrivano più vantaggi essenziali. Molti insediamenti vennero cinti di mura e drasticamente ridimensionati alle necessità difensive; altri generarono strutture urbane in località di difficile accesso e di buon controllo strategico, generalmente intorno a un nucleo emergente laico o ecclesiastico. Interessanti a questo proposito i numerosi insediamenti di cresta appenninici dell’Italia centro-meridionale. Solo dopo il Mille il rifiorire dell’economia e dei trasporti ha reinvertito la tendenza, riportando le popolazioni nelle “città accessibili” e ridando spazio alle interconnessioni territoriali. Dall’unità d’Italia a oggi si è assistito a un veloce e spesso disordinato sviluppo degli insediamenti, determinato dalle migliori condizioni economiche, dall’aumento demografico (molto forte in alcuni periodi) dalle nuove offerte lavorative, dalla generalizzata richiesta di più comode condizioni abitative. Questo intenso costruire ha prodotto peraltro non pochi guasti ambientali e socio-economici, che vanno dal degrado urbano all’antropizzazione selvaggia delle coste, all’errata dislocazione di complessi industriali, con conseguenze a cui solo da pochi anni l’opinione pubblica e i tecnici guardano con consapevolezza.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
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D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
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G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT
CONFIGURAZIONE DEI TESSUTI URBANI La configurazione spaziale di un tessuto urbano può essere intesa come il risultato di un processo, più o meno lungo di elaborazione socio-economica e culturale di una comunità. Edifici pubblici e privati, strade, piazze, giardini, aree libere danno origine, nella loro aggregazione, a forme più o meno coerenti e riconoscibili, determinando l’immagine della città. Si distinguono assi portanti ed elementi emergenti, elementi ripetitivi e scansioni, pieni e vuoti, ritmi geometrici oppure organici. La localizzazione di un insediamento è quasi sempre determinante per la configurazione e il consolidamento di una forma urbana. Negli insediamenti di una certa dimensione si osserva spesso l’accostamento o la giustapposizione di più parti differenti di tessuto che vengono a configurare una forma urbana complessa, che però è quasi sempre decifrabile dagli studiosi nelle sue parti.
INSEDIAMENTI DI PIANURA
INSEDIAMENTI DI COSTA
Sono spesso centri pianificati fin dalla fondazione, con impianto viario regolare, assi stradali principali rettilinei punteggiati da slarghi, piazze ed elementi edilizi emergenti, con isolati residenziali abbastanza compatti. La loro origine è qualche volta romana, la collocazione è quasi sempre lungo un fiume, o in corrispondenza di un tracciato stradale di una certa importanza, la cinta muraria (se esiste) è generalmente di età medioevale. Gli sviluppi recenti tendono, spesso e forse erroneamente, ad “allargare” la maglia antica.
Quelli di origine antica si sono generalmente formati attorno a un porto naturale o allo sbocco di un fiume, con funzione di empori commerciali o di centri pescherecci. Più tardi hanno assunto, a volte, funzioni militari. Altri numerosi insediamenti si sono formati lungo le coste in tempi abbastanza recenti per due motivi: per la presenza di stazioni lungo le nuove linee ferroviarie (i cui percorsi, specialmente all’inizio del XX secolo, si sono svolti di preferenza in parallelo alla costa) e per motivi turistici. La qualità di queste ultime urbanizzazioni è quasi sempre mediocre, a volte perfino dannosa per la corretta utilizzazione dei litorali, in particolare di quelli sabbiosi che hanno rapidamente perso i preziosi cordoni di dune e subito alterazioni irreparabili.
G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO M R O N G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
INSEDIAMENTI DI MEDIA E ALTA COLLINA NUOVE CITTÀ Si appoggiano a lievi pendii, ma possono comprendere anche modeste alture e speroni alla confluenza di fiumi e torrenti. La loro variabile orografia incide notevolmente sulle soluzioni formali e funzionali: più simili ai centri di pianura quando i pendii sono dolci e uniformi, più articolati su terreni mossi e accidentati. In generale si tratta di insiemi dove le parti si giustappongono in maniera complessa mimetizzando le fasi storiche di sviluppo. Sono quasi sempre insediamenti “minori” (di limitata entità demografica) formatisi dall’età medioevale in poi a volte su preesistenze abitative preromane. Hanno forme organiche, si conformano con naturalezza al terreno senza alterarne le caratteristiche, hanno strade raramente rettilinee ma ricche di visuali, volumetrie edilizie molto compatte e degradanti. Non mancano solitamente le mura di cinta e gli elementi edilizi emergenti (castello, chiesa ecc.), attorno ai quali si raccoglie l’edilizia circostante. Sono spesso in posizione dominante.
Le città di nuova fondazione, recenti, sono pochissime in Italia. Le uniche citabili sono quelle che accompagnano, negli anni Trenta, il popolamento delle terre della Bonifica Pontina nel Lazio meridionale: Latina, Sabaudia, Pomezia, Aprilia e Pontinia. Tra esse merita attenzione per la sua qualità e modernità Sabaudia. Alcune operazioni di trasferimento parziale o totale di abitati già esistenti vengono invece effettuate, in varie occasioni, in aree colpite da gravi dissesti sismici o geologici. Interessanti alcuni progetti predisposti negli anni Sessanta dall’ISES dopo il terremoto che ha devastato la valle del Belice nella Sicilia occidentale. Purtroppo si tratta di operazioni parziali, tradotte in realtà con molte variazioni. Importante anche la realizzazione dell’insediamento GESCAL di Tuscania, sebbene i lavori siano stati condotti a termine in maniera sommaria dopo lo scioglimento dell’ente promotore. In Italia abbondano sempre gli interventi che si addizionano a realtà preesistenti; rari quelli completamente nuovi. Il motivo va ricercato nella presenza di una fitta rete di insediamenti storici, di ogni dimensione, in tutte le regioni.
E 2. G.1. TERISTICH I T L CARA PRINCIPA I N DELLE ORMAZIO F TRAS
G 13
G.1. 3.
URBANISTICA • ELEMENTI CONOSCITIVI E RAPPRESENTATIVI MODALITÀ DI LOCALIZZAZIONE DEGLI INSEDIAMENTI FORME SPONTANEE, ORGANICHE, PIANIFICATE La città attuale non può avere come riferimento solo la città antica o, più semplicemente, la città tradizionale. Occorre infatti perseguire la costruzione di nuovi modelli sempre più funzionali, organici e idonei alla vita presente. I teorici ottocenteschi, i primi che abbiano formulato idee sulla nuova città, immaginavano uno sviluppo urbano ottenibile tramite la realizzazione di piccoli insediamenti autosufficienti, distribuiti nel territorio. Il tempo ha dimostrato invece che le città esistenti tendono a consolidarsi in se stesse, a rigenerarsi anche con grandi trasformazioni, a incrementare le densità e le superfici, a inglobare i piccoli insediamenti periferici, a formare “continuum” città-campagna di notevole entità. Da oltre un secolo le grandi città sono i luoghi di massima concentrazione degli interessi economici e culturali per effetto della loro capacità di produrre innovazione e sviluppo. In esse si manifestano forti movimenti, centripeti ma anche centrifughi, che la pianificazione urbana e territoriale dovrebbe guidare. È il caso di tutte le principali metropoli europee: Londra, Parigi, Francoforte, Bruxelles, Amsterdam, Barcellona, Roma, Milano ecc. Le aree centrali forti attraggono e respingono quelle periferiche deboli, ma hanno anche, contestualmente, la necessità di allargare il proprio spazio fisico, di distribuire meglio le funzioni, di integrarsi con le realtà circostanti, di costruire dei rapporti efficaci, di rendere vivibile l’ambiente. Si assiste così alla formazione di aree metropolitane molto articolate, sostenute da reti di rapporti complessi, dove si moltiplicano i punti di coagulo intermedi con connotati locali, dove la compattezza è meno intensa; poi tutto si dirada fino al formarsi di un nuovo tipo di campagna: la campagna urbanizzata. La città attuale ripropone raramente concetti come quelli di “margine definito” tipici della città antica che si circondava di mura, di fossati, di altri elementi di confine molto netti. Le strategie urbanistiche d’intervento possono essere varie: per poli e direttrici di sviluppo, miste ad azioni di riequilibrio anche molto energiche. Appare comunque irreale opporsi in maniera preconcetta alla grande dimensione urbana, anche quando questa è causa di numerose difficoltà e, a volte, di vere e proprie situazioni di crisi. La configurazione delle metropoli ne è la prova. Strategie particolari di pianificazione debbono comunque essere messe in atto per la riqualificazione delle periferie, specialmente per quelle (e sono la maggioranza)
FIG. G.1.3./1 SABAUDIA: UN INTERVENTO ORGANICO
che appaiono come successioni di “non luoghi”, spazi superdilatati e monofunzionali dove si evidenzia la carenza di attività amministrative, culturali, commerciali e di servizio capaci di produrre coagulo e vivacità sociale. Le più gravi carenze riguardano gli spazi collettivi e i rapporti di interrelazione tra loro, compresi gli spazi verdi.
FIG. G.1.3./2 SABAUDIA: UN PICCOLO SISTEMA DI PIAZZA IN CORRISPONDENZA DELL’INTERSEZIONE DELLE TRE STRADE PRINCIPALI (da Latina, da Terracina, dal mare)
Per alcuni studiosi l’obiettivo dovrebbe essere quello di creare una “continuità aperta” associata a una “urbanità continua” capace di produrre una fruizione dinamica delle varie parti. Anche nel territorio agricolo diffuso occorrerebbe trovare segni forti di continuità (del sistema abitativo, agrario, infrastrutturale) e tratti più organici di relazione tra elementi naturali e di progetto.
ESPANSIONI RECENTI IN ITALIA Le espansioni urbane ottocentesche e del primo Novecento tendono ad allargare l’impianto antico oltre un primo anello di circonvallazione (spesso ricavato dall’abbattimento delle mura di cinta) in base a disegni planimetrici regolari, scanditi da ampi viali e da volumetrie non troppo compatte e raramente continue. Frequente anche la realizzazione di quartieri residenziali a villini, ispirati ai modelli formali delle “città giardino” inglesi. Le espansioni urbane recenti (della seconda metà del XX secolo) offrono quasi sempre, salvo rare eccezioni, panorami incoerenti nei quali dominano irrazionalità delle reti di comunicazione, carenza di verde e di servizi, disordine edilizio. Attenzione particolare meritano però i nuovi quartieri di edilizia economica e popolare realizzati tramite appositi enti che hanno operato un po’ ovunque e spesso con notevole impegno. Anzitutto gli IACP (Istituti autonomi per le case popolari) fondati in tutte le provincie italiane a partire dall’inizio del Novecento. Poi l’INCIS (Istituto nazionale case per gli impiegati dello Stato).
Sabaudia (LT) è una città di circa 14.000 abitanti dell’agro pontino, fondata nel 1933 nell’ambito della bonifica, sulla sponda nord-orientale del lago di Paola, in vicinanza del mare. Progettata dagli architetti G. Cancellotti E. Montuori, L. Piccinato e A. Scalpelli, è caratterizzata da un impianto di forma romboidale che fa perno sulla piazza centrale, di grande interesse e modernità. Il complesso urbano è stato inoltre valorizzato dall’inserimento in un ambiente naturale di particolare pregio (Parco Nazionale del Circeo). Le espansioni recenti non hanno alterato dannosamente le caratteristiche generali dell’insediamento.
G 14
Infine l’INA CASA (ente derivato dall’Istituto nazionale assicurazioni), poi trasformato in GESCAL (Gestione case lavoratori) e l’ISES (Istituto per lo sviluppo dell’edilizia sociale). Ma, intorno alla metà degli anni Settanta, per effetto di una malintesa e urgente esigenza di decentramento, sono stati soppressi contemporaneamente tutti i tre enti edilizi a carattere nazionale, trasferendo con molte difficoltà le loro competenze agli IACP.
URBANISTICA • REALTÀ URBANA DAL VILLAGGIO ALL’AREA METROPOLITANA
A.ZIONI
DIMENSIONE E CONFIGURAZIONE DIMENSIONE DI UN INSEDIAMENTO
VILLAGGIO
Per dimensione di un insediamento (villaggi, paesi, città, aree metropolitane) si intende anzitutto, quasi ovunque, la sua entità demografica, cioè il numero degli abitanti che vi risiede stabilmente. L’entità demografica è infatti elemento determinante per la sua consistenza, qualità e complessità. Ad esempio:
Un villaggio è sempre un raggruppamento molto semplice di unità elementari (edifici) che si innesta, in forma diretta o derivata, a un’arteria stradale che gli assicura il collegamento con entità insediative maggiori e, quindi, con i necessari servizi.
• un nucleo demografico costituito da poche decine di abitanti dà origine solo a una aggregazione di abitazioni, cioè a un addensamento modesto in un’entità territoriale variabile; • un nucleo demografico di qualche centinaio di abitanti dà origine a una aggregazione di abitazioni raccolta intorno a qualche spazio comune, cioè a un villaggio (o a una frazione dal punto di vista amministrativo) dipendente funzionalmente da un’entità insediativa superiore; • un nucleo demografico di oltre mille abitanti costituisce quasi sempre un paese vero e proprio dove sono presenti abitazioni e servizi, secondo le necessità (spesso si tratta, dal punto di vista amministrativo di un capoluogo di comune); • un nucleo demografico di oltre 10.000 abitanti comincia ad assumere il volto di un centro urbano, dove i servizi (pubblici e privati) svolgono un ruolo abbastanza significativo (si tratta certamente, dal punto di vista amministrativo, di un capoluogo di comune); • un nucleo demografico di circa 50.000-100.000 abitanti è sicuramente una città, dove sono presenti molti servizi pubblici e privati e una rete abbastanza articolata delle comunicazioni, che svolge generalmente il ruolo di capoluogo di provincia; • un nucleo demografico di circa 200.000-500.000 abitanti è una grande città, fornita di una vasta gamma di servizi pubblici e privati, di una rete complessa delle comunicazioni, che svolge spesso il ruolo di capoluogo regionale; • quando un’entità urbana si avvicina o supera il milione di abitanti si è in presenza di un’area metropolitana, cioè di una città molto complessa in tutti i suoi aspetti, variamente articolata nel territorio, dove sono presenti non solo le consuete attrezzature pubbliche e private, ma anche i servizi direzionali e culturali di carattere superiore, di interesse per l’intera collettività nazionale.
PAESE
FIG. G.2.1./1 PROGETTO PER BRASILIA (Lucio Costa, 1957)
G.2. 1.
Un paese è spesso originato da uno o più villaggi contigui, dalle loro saldature, da espansioni antiche e recenti. Il sistema viario è più articolato, evidenzia una viabilità principale distinta dalla viabilità secondaria, concentra lungo l’asse principale e qualche slargo o piazza gli edifici pubblici e privati dominanti (emergenze) e le attività commerciali.
CITTÀ Una città è costituita dalla convergenza di più parti densamente edificate verso un centro, sede degli edifici e delle attività dominanti, e da espansioni più rade proiettate verso il territorio circostante. Spesso ha una configurazione policentrica per la presenza, non solo di un centro urbano principale, ma anche di centri di quartiere di una certa consistenza e, complessità. La rete delle comunicazioni è almeno di tre livelli: di collegamento con il territorio (comprese circonvallazioni e tangenziali), di collegamento tra il centro e i quartieri e tra i quartieri, di collegamento locale.
CONFIGURAZIONE DI UN’AREA URBANA La configurazione formale-funzionale di un’area urbana può essere tendenzialmente monocentrica (quando esiste un solo centro principale) oppure policentrica (quando i poli di attrazione sono più di uno), ma in questo secondo caso vi è quasi sempre un polo dominante. Può inoltre disporsi in forma radiocentrica (attorno a un polo principale che esercita una forte attrazione) oppure in forma lineare più o meno allungata (con poli che formano una successione lineare), infine in forma apparentemente libera (quando sussistono attrazioni varie e di
varia intensità, la dimensione è notevole, la crescita nel tempo è determinata da fattori molto diversi). Spesso la configurazione di un insediamento è influenzata dalla conformazione orografica dei luoghi: cime, valli, sponde sinuose di fiumi, promontori e altro. In ognuno di questi luoghi l’edificazione tende a disporsi in forme diverse. Di conseguenza, una grande città, distribuita su aree contigue con caratteristiche orografiche diverse, assume un aspetto complesso e differenziato. È il caso di numerose città (come Roma, Praga, Budapest, Lione ecc.) disposte lungo le sponde di fiumi, in parte su colli e in parte su pianori di varia forma e dimensione.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
AREA METROPOLITANA Un’area metropolitana trae sempre origine da uno o più insediamenti principali che tendono a stabilire forti rapporti di contiguità con gli insediamenti minori circostanti e tra loro. L’articolazione avviene in forme molto complesse e differenziate, secondo le condizioni di sviluppo socio-economiche del territorio e la collocazione geografica. In generale si articolano in quartieri di vecchia formazione e loro centri, nuclei secondari e città satelliti, nonché tessuti di sterminate periferie. Lo spazio agricolo si presenta frequentemente come uno spazio interstiziale tendenzialmente degradato. La qualità della rete delle comunicazioni è fondamentale e deve articolarsi almeno in quattro livelli: di collegamento territoriale (stradale e su rotaia); di collegamento interquartiere (stradale e su rotaia); di attraversamento principale di ogni quartiere o settore urbano; di collegamento locale. In sede progettuale sono molto importanti le azioni di riequilibrio tendenti a costruire “scenari di prospettiva” funzionali e formalmente gradevoli, non sempre presenti. Le aree metropolitane italiane sono state identificate nominalmente tra il 1990 e il 1993, ma non identificate chiaramente nella loro dimensione politico-amministrativa. In generale è il Comune egemone (o i Comuni) che svolge il ruolo principale, tendendo a paralizzare la dinamicità amministrativa degli altri e a imporre le sue scelte anche all’ente regionale superiore.
FIG. G.2.1./2 AREA METROPOLITANA DI PARIGI – LE HAVRE
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
3. G.1. LITÀ DI E A MOD IZZAZIONENTI L LOCA INSEDIAM I DEGL 1. G.2. ILLAGGIO DAL V EA R A ALL’A POLITAN O METR
G 15
G.2. 1.
URBANISTICA • REALTÀ URBANA DAL VILLAGGIO ALL’AREA METROPOLITANA NUCLEI ANTICHI E LORO TRASFORMAZIONI Di ogni insediamento è possibile individuare il nucleo originario e poi i progressivi ampliamenti, integrazioni successive non sempre omogenee tra loro, spesso frutto di sovrapposizioni e sostituzioni avvenute in varie epoche. Si distinguono così forme urbane primitive e forme urbane derivate le prime di lettura abbastanza semplice e chiara, le seconde con configurazione più o meno complicata, a volte anche confusa. Un’analisi attenta deve poi tener conto degli eventuali sventramenti e diradamenti effettuati nel tempo su tessuti urbani preesistenti. Gli sventramenti molto utilizzati tra il XIX e il XX secolo, avevano lo scopo dichiarato di razionalizzare l’uso della
città attraverso l’innesto di nuove arterie, idonee al traffico veloce, sulla maglia viaria antica, che poteva soddisfare solo un traffico lento e prevalentemente pedonale. Un’altra motivazione riguardava la ricerca di monumentalità espressa da prospettive lineari e schemi visuali più ampi. I diradamenti molto in auge nella prima metà del XX secolo, consistevano nell’abbattimento di alcuni edifici (generalmente “minori”) per ampliare spazi esterni, isolare monumenti e “rettificare” alcuni percorsi. Queste metodologie, che hanno creato ferite profonde e difficilmente rimediabili in tanti tessuti antichi, sono state definitivamente abbandonate quasi ovunque.
FIG. G.2.1./3 PALERMO – SVILUPPO URBANO (STUDIO CONDOTTO DALLA FACOLTÀ DI ARCHITETTURA) (coord. Vincenzo Cabianca)
Attualmente esiste una sensibilità forte e diffusa per la tutela dei nuclei antichi che impedisce la realizzazione di inutili lacerazioni. Esistono peraltro, un po’ ovunque, problemi di risanamento urbano che occorre affrontare, zona per zona, con grande attenzione capacità tecniche e cultura progettuale. In questa ottica, possono essere affrontate questioni assai delicate come quelle della progettazione (o meglio “riprogettazione”) dei centri storici, da considerare come parti assai pregiate e insostituibili di città alle quali occorre assicurare, non solo un’accurata conservazione, ma anche funzionalità e vitalità. Una tutela solo passiva sarebbe un grave errore.
PERIFERIE Il concetto di periferia è relativamente recente. La città antica, compatta, circondata di mura, perfettamente definita non ammetteva sfrangiature, sviluppi poco controllati, invasioni del territorio agricolo; consentiva solo piccoli borghi semirurali extra-moenia con ruoli precisi di “tramite” tra città e campagna. Lo sviluppo urbano accelerato degli ultimi due secoli ha dato invece origine alle periferie, luoghi dove la città si allarga in maniera tendenzialmente casuale, secondo linee guida sempre più tenui, fagocitando i vecchi borghi e poi le aree agricole e perfino i piccoli insediamenti circostanti. In Italia la formazione delle prime periferie caratterizza la città postunitaria, tardo ottocentesca, e, con la stabilità politica e la sicurezza interna del nuovo stato, si accompagna alla demolizione delle mura e delle porte medioevali e alla realizzazione delle nuove stazioni ferroviarie. In molti casi il primo quartiere periferico è proprio quello, a carattere misto artigianaleindustriale-residenziale, che congiunge la città antica alla stazione ferroviaria. Nei decenni successivi le periferie si gonfiano di nuclei residenziali popolari d’iniziativa pubblica e privata, e poi di realizzazioni edilizie di ogni genere comprese quelle industriali. L’imponente sviluppo demografico della prima metà del XX secolo e l’allargamento della fascia di popolazione interessata dai primi segni di benessere economico determinano lo sviluppo apparentemente inarrestabile delle città e quindi delle periferie. Le periferie recenti (della seconda metà del XX secolo) presentano quasi sempre i connotati di spazi poco strutturati, eccessivamente dilatati e monofunzionali, spesso isolati dal contesto generale. Esiste quindi il problema del loro rimodellamento, puntando sulla creazione di una continuità urbana inesistente, tramite il miglioramento del sistema dei collegamenti e dei servizi, la convertibilità di aree e di volumi, la creazione di un sistema del verde pubblico efficace.
AREE PERIFERICHE Attualmente è indispensabile distinguere tra diversi tipi di aree non centrali: QUARTIERI DEL TARDO OTTOCENTO E DEL PRIMO NOVECENTO ormai consolidati e assimilati, non privi di qualità urbane e di attrattive proprie, non più definibili come “periferie”; QUARTIERI ESTERNI dove prevalgono i grossi interventi pubblici di edilizia economica e popolare; QUARTIERI ESTERNI dove si susseguono intervento privati scarsamente omogenei e di diversa qualità; Centro storico
Espansione al 1973
Aereoporto
Espansione al 1936
Espansione al 1981
Espansione al 1956
Cimitero
Parco della favorita Ferrovia Circonvallazione
AREE INDUSTRIALI E ARTIGIANALI; NUCLEI DELL’ESTREMA PERIFERIA dove a volte dominano la casualità, l’abusivismo e la carenza di servizi e attrezzature collettive. ▲
FUNZIONALITÀ E RICONOSCIBILITÀ FORMALE
Ogni progettazione urbana deve assicurare alle varie parti e all’insieme funzionalità e riconoscibilità formale. La funzionalità riguarda il sistema delle comunicazioni e la distribuzione delle attrezzature, dei servizi pubblici e privati e delle residenze in modo che tutte le attività (compatibili) possano svolgersi armonicamente. La riconoscibilità formale riguarda invece la possibilità di recepire gli spazi nella loro successione, nei loro ruoli (primari e secondari), nelle loro interdipendenze e nel loro disegno globale. Essenziale è la formazione di un continuum edificiocittà-territorio, che assicuri l’integrazione dei vari momenti del progettare, alle diverse scale, con intenti complessivamente convergenti.
G 16
FIG. G.2.1./4 ROMA – INSEDIAMENTO DI CASAL MONASTERO (prog. Elio Piroddi, Franco Donato, Michele Liistro, G. Rolli e altri)
FIG. G.2.1./5 GENOVA – INSEDIAMENTO FORTE QUEZZI (prog. Luigi Carlo Daneri e altri, 1959)
URBANISTICA • REALTÀ URBANA DAL VILLAGGIO ALL’AREA METROPOLITANA
G.2. 1. A.ZIONI
FIG. G.2.1./6 TORINO – UNITÀ RESIDENZIALE DI FALCHERA PER 5.000 ABITANTI (prog. Giovanni Astengo e altri, 1955)
FIG. G.2.1./7 PARMA – INSEDIAMENTO DI BORGO MONTANARA (prog. F. Gandolfi e altri, 1959)
FIG. G.2.1./8 MATERA – COMPLETAMENTO DEL BORGO “LA MARTELLA”
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
INFRASTRUTTURE DI COMUNICAZIONE RETI DELLE COMUNICAZIONI Le reti delle comunicazioni costituiscono il supporto organizzativo fondamentale della realtà urbana e territoriale. Esse si configurano in reti di trasporto materiale: viarie, ferroviarie, aeree, marittime, fluviali, lacustri ecc., ma anche in reti di trasporto immateriale delle telecomunicazioni. Le une e le altre offrono la possibilità di superare distanze notevoli e perfino senza limiti. Alla progettazione urbanistica interessano soprattutto le prime, quelle “materiali”, che consentono la mobilità di cose e persone. Ma è certo che anche le seconde incidono moltissimo sulla distribuzione delle funzioni territoriali e sull’organizzazione urbana, e ancor più lo faranno nel prossimo futuro.
Già da ora i concetti di “città cablata” e di “edificio intelligente”, intesi come attrezzatura informatizzata di questi elementi, tale da rispondere in modo automatico alle variazioni delle situazioni, come le temperature, i fabbisogni energetici, le richieste idriche, le segnalazioni di guasti e intoppi nei vari sistemi, sono alla portata dell’attuale tecnologia e conoscono le prime realizzazioni sperimentali. L’interconnessione in rete dei sistemi informatici e delle banche dati, assieme allo sviluppo delle “autostrade telematiche” per le telecomunicazioni di tutti i tipi, sta facendo evolvere l’interscambio culturale e economico mondiale verso il cosiddetto “villaggio globale”, dove il fattore geografico della distanza avrà
FIG. G.2.1./9 LIONE (Francia) – SCHEMA DELLA VIABILITÀ ESISTENTE E PREVISTA PER IL TERRITORIO (da Antonio Albano)
RETE VIARIA URBANA
Autostrade e superstrade esistenti o in costruzione Autostrade e superstrade di progetto Circonvallazione periferica Viabilità principale esistente Viabilità principale in costruzione Viabilità secondaria esistente Viabilità secondaria di progetto Esigenza di relazione Nodo intermodale Scambiatore
La rete viaria si forma contestualmente agli insediamenti; anche quelli più antichi e più piccoli (pre-storici) disponevano di una rete viaria, sia pure elementare. Con il consolidarsi dell’organizzazione cittadina, tale rete ha assunto progressivamente una configurazione gerarchica, strade principali e strade secondarie, che i Romani razionalizzarono con la loro organizzazione cardo-decumanica. Ricordiamo anche gli interventi stradali barocchi nella Roma di Sisto V, che si imposero chiaramente come rete primaria e ordinatrice delle comunicazioni sopra il tessuto stradale preesistente, e la strategica e grandiosa opera ottocentesca dei grandi boulevard parigini. Ma solo con la diffusione generalizzata dell’automobile, cioè da dopo la seconda guerra mondiale, appare sempre più evidente la necessità di distinguere i ruoli che le diverse tratte urbane debbono svolgere e il tipo di traffico che debbono sopportare. Attualmente, la rete viaria urbana può essere opportunamente classificata per livelli funzionali nel seguente modo: 1. grandi tracciati di adduzione al e dal territorio (tangenziali, circonvallazioni ecc.); 2. tracciati interquartiere (di attraversamento della città o di collegamento di sue parti distinte e distanti); 3. tracciati principali di quartiere; 4. tracciati secondari di diramazione alle singole zone; 5. tracciati locali. I passaggi da un livello all’altro (intersezioni) dovrebbero essere progressivi (dal primo al secondo fino al quinto, e viceversa) e opportunamente organizzati per configurazione e distanza tra loro. Sulla rete viaria urbana scorrono mezzi automobilistici pubblici e privati, ma quelli pubblici non dovrebbero interferire con i tracciati locali. A completamento della rete viaria urbana deve sempre esistere una adeguata rete delle comunicazioni pedonali, in parte del tutto autonoma e in parte mista (marciapiedi e corsie specializzate). Nelle aree pianeggianti assume importanza anche la rete delle comunicazioni ciclabili mentre dove esistono dislivelli appare sempre più utile installare mezzi meccanici collettivi come tappeti e scale mobili e ascensori pubblici. ▲
sempre meno importanza di condizionamento sulle relazioni umane. Quando una città o un territorio sono adeguatamente serviti da reti delle comunicazioni (materiali) si parla di infrastrutturazione urbana e di infrastrutturazione territoriale. Tra una rete e l’altra (ad esempio tra rete viaria e ferroviaria) debbono esistere dei nodi di scambio e quindi delle aree appositamente attrezzate che consentano, con facilità e comodità, il passaggio da un sistema di trasporto a un altro. Sempre più importante è la rete delle comunicazioni aeree, che richiede di essere integrata perfettamente con la rete dei trasporti terrestri.
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT
FIG. G.2.1./10 VALENCIA (Spagna) – LINEE GENERALI DELLA RETE STRADALE URBANA
G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
1. G.2. ILLAGGIO DAL V EA R A ALL’A POLITAN O METR
G 17
G.2. 2.
URBANISTICA • REALTÀ URBANA DESTINAZIONI D’USO MONOFUNZIONALITÀ E POLIFUNZIONALITÀ Ogni realtà urbana racchiude al suo interno molteplici funzioni pubbliche e private, di interesse collettivo e individuale: residenziali, culturali, commerciali, direzionali, produttive, sportive e di svago, nonché gli spazi riservati alla mobilità. Ogni funzione tende a impegnare delle aree specifiche determinando così la loro destinazione d’uso. Questo può avvenire (come spesso nel passato) per iniziative spontanee non predeterminate, oppure (come spesso attualmente) per decisioni progettuali antecedenti la realizzazione delle opere che ne attestano la destinazione. La dimensione delle aree aventi la medesima destinazione d’uso può essere molto varia e articolata. In ogni tessuto urbano si intrecciano, infatti, destinazioni d’uso diverse, tanto da formare dei veri e propri “mosaici”. Dalla coerenza degli accostamenti deriva la funzionalità dell’insieme. A volte le destinazioni d’uso tendono a sovrapporsi e a mescolarsi. Si parla allora di destinazioni d’uso miste e di aree polifunzionali. Si dicono invece monofunzionali le aree aventi un’unica destinazione. Per esemplificare, sono aree monofunzionali quelle destinate esclusivamente a residenze, oppure esclusivamente ad attività produttive industriali, a servizi scolastici, a parchi ecc. Sono aree polifunzionali quelle destinate contestualmente a residenze, servizi pubblici o privati, verde, attività commerciali, oppure (sempre a titolo di esempio) quelle destinate ad attività direzionali pubbliche e private, attività commerciali e residenze.
Le norme di piano regolatore dovrebbero sempre precisare, per ogni zona (area omogenea) le destinazioni d’uso ammesse o compatibili oppure, al contrario, per esclusione, quelle incompatibili. È evidente che il primo criterio è connesso a una normativa precisa e, per certi versi, anche abbastanza rigida. Il secondo criterio è invece alla base di una normativa tendenzialmente elastica. La scelta dipende ovviamente dalle finalità che si intendono raggiungere. L’urbanistica di derivazione culturale razionalista, che ha improntato notevolmente le progettazioni della metà del XX secolo, ha selezionato rigorosamente le destinazioni d’uso dando origine a grandi estensioni di aree monofunzionali. Attualmente esiste invece una forte controtendenza protesa alla formazione di aree miste e, per quanto possibile, di non grandi dimensioni. L’elaborato riguardante le destinazioni d’uso di un insediamento o di una sua ampia parte prende il nome di zonizzazione funzionale. Esso può riguardare la rappresentazione dello stato di fatto oppure una ipotesi progettuale. Le destinazioni d’uso debbono essere non solo coerenti nei loro accostamenti e raggruppamenti, ma anche idonee alla natura e alle caratteristiche morfologiche dei terreni. Ad esempio: un’area destinata all’edificazione deve avere una buona consistenza geologica tanto da non richiedere lavori di fondazione troppo complessi; un’area destinata a parco deve avere una dimensione e una acclività accessibile ed essere realmente percorribile in tutte le sue parti.
FIG. G.2.2./1 ANALISI DELLE AREE – RETINATURE DI FONDO
FIG. G.2.2./2 SIMBOLOGIE PER EDIFICI E AREE DI USO PUBBLICO (da sovrapporre alle retinature di fondo)
Scuole Ospedali e servizi sanitari Aree residenziali e miste con varie caratteristiche
Aree per il verde e lo sport
Uffici
Parcheggi
Chiese Impianti sportivi Aree per i parcheggi
Mercati
Aree industriali e artigianali
Teatri e cinematografi
Aree ferroviarie
Attrezzature culturali varie
Impianti militari
Aree per servizi pubblici (scuole, ospedali ecc.) Cimiteri
AREE RESIDENZIALI E MISTE
Non dovrebbero mai esistere grandi aree esclusivamente residenziali perché, come già osservato, la monofunzionalità impoverisce sempre la qualità. In realtà tali aree sono presenti in numerosi insediamenti, specialmente nelle cinture periferiche, dove l’urbanizzazione è avvenuta in forme affrettate e spesso con finalità fortemente speculative. Detto questo, occorre osservare che esistono ampie aree nelle quali prevale la funzione residenziale, mista ad altre, che è corretto definire residenziali. Le loro caratteristiche sono estremamente varie in relazione agli indici di utilizzazione, alle tipologie edilizie, alle modalità di aggregazione degli spazi, alla presenza di attrezzature collettive, alla rete delle comunicazioni, alle funzioni integrative. Le funzioni integrative debbono essere ovviamente “compatibili” con il prevalere della funzione residenziale (non nocive, non inquinanti, non generatrici di traffico intenso e caotico). Le funzioni integrative possono affiancarsi a quelle residenziali sia in orizzontale sia in verticale. Negli edifici abbastanza sviluppati in altezza è frequente l’uso del piano terreno per scopi ricreativi e commerciali, e quello di parte dei piani superiori per piccoli uffici e studi professionali. È nota a tutti la teoria razionalista del piano terreno libero: ogni edificio dovrebbe sorgere su “pilotis” e consentire, secondo Le Corbusier, la continuità fisica e visiva del terreno. In una zona residenziale (o nelle sue immediate adiacenze se la zona è relativamente piccola) non possono mancare le attrezzature commerciali (almeno di prima necessità e comunque idonee a soddisfare le esigenze degli abitanti), le scuole dell’obbligo, compresi asilo nido e scuola materna, i servizi sanitari essenziali compresa la farmacia, qualche attrezzatura sportiva-ricreativa-culturale-religiosa, il verde pubblico. La rete viaria carrabile deve chiaramente distinguersi in almeno due livelli: di collegamento interquartiere e di distribuzione locale. È importante anche la presenza di una rete pedonale che consenta agli abitanti di ogni età di raggiungere senza difficoltà scuole, negozi, uffici locali, verde pubblico e ogni altro luogo di interesse collettivo. Ogni tipo di servizio e attrezzatura ha proprie esigenze funzionali e un proprio raggio di influenza. La sua distribuzione urbana e territoriale deriva quindi dall’intrecciarsi di questi due fattori e dalla già accennata tendenza alla concentrazione di più tipologie.
G 18
FIG. G.2.2./3 PERUGIA – QUARTIERE “IL RIGO”, CORCIANO (prog. Renzo Piano e altri, 1978/1982) Il quartiere, di circa 100 alloggi di edilizia economica, è basato sul concetto di “unità in evoluzione” con partecipazione diretta degi abitanti, messi in grado di realizzare di propria iniziativa numerose opere di completamento e finitura.
URBANISTICA • REALTÀ URBANA DESTINAZIONI D’USO
A.ZIONI
UTILIZZAZIONE DELLE AREE FIG. G.2.2./4 GINEVRA – INSEDIAMENTO RESIDENZIALE E SERVIZI A VERNIER (prog. Studio Steigar, Forderer, Amrhein)
G.2. 2.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TERMINOLOGIA PRINCIPALE S = superficie, area St = superficie territoriale (area totale) Sf = superficie fondiaria (area edificabile) V = volumetria edificabile
It = If = Sc = H = P =
indice di utilizzazione territoriale indice di utilizzazione fondiaria superficie coperta altezza edifici numero di piani fuori terra
FIG. G.2.2./5 ESEMPI DI UTILIZZAZIONE DI UN’AREA CON DIFFERENTI INDICI
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
UTILIZZAZIONE ESTENSIVA EDIFICI A SCHIERA
D.GETTAZIONE
St = 1 ha = mq 10.000 lt = 0,5 mc/mq Volumetria totale realizzabile: V = St x lt = 10.000 x 0,5 = mc 5.000
100 m Ipotesi di utilizzazione: edifici unifamiliari contigui di circa 500mc ciascuno = n.10 edifici per circa 50 abitanti
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI, UTILIZZAZIONE SEMINTENSIVA EDIFICI IN LINEA
G.ANISTICA
St = 1 ha = mq 10.000 lt = 2,4 mc/mq
100 m
Volumetria totale realizzabile: V = St x lt = 10.000 x 2,4 = mc 24.000 Ipotesi di utilizzazione: edifici plurifamiliari di 5 p di circa 4.000 mc ciascuno = n.6 edifici per circa 240 abitanti
UTILIZZAZIONE DELLE AREE
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
L’indice di utilizzazione esprime un rapporto mc/mq e quindi la vocazione edificatoria di un’area rispetto allo strumento urbanistico vigente. L’indice di utilizzazione può essere riferito alla superficie territoriale, oppure alla superficie fondiaria. Si hanno così:
URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
UTILIZZAZIONE INTENSIVA EDIFICI A TORRE
It = mc/mq = V/St If = mc/mq = V/Sf
G.2. À URBANA REALT
St = 1 ha = mq 10.000 lt = 4,2 mc/mq
Il variare dell’indice di utilizzazione modifica la densità edificatoria di un’area che può passare da una condizione d’uso estensiva a una semintensiva oppure intensiva. Ferma restando la necessità di rapportare le scelte alle specifiche realtà, possono orientativamente assumersi i seguenti valori per gli indici di utilizzazione territoriale: • utilizzazione estensiva fino a 1,5 mc/mq • utilizzazione semintensiva da 1,6 a 3 mc/mq • utilizzazione intensiva oltre 3 mc/mq I corrispondenti indici di utilizzazione fondiaria, essendo pertinenti alle sole aree edificatorie fondiarie (al netto da strade, verde servizi ecc.), sono sempre rappresentati da valori superiori a quelli territoriali.
Volumetria totale realizzabile: V = St x lt = 10.000 x 4,2 = mc 42.000
100 m Ipotesi di utilizzazione: edifici plurifamiliari di 9 p di circa 14.000 mc ciascuno = n.3 edifici per circa 420 abitanti
G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN
FIG. G.2.2./6 ESEMPI DI UTILIZZAZIONE DI UN’AREA CON DIVERSA DISPOSIZIONE DEI MEDESIMI EDIFICI 1. Edifici in linea disposti in forma molto semplice, su lotti di uguale dimensione
2. Edifici in linea disposti in forma meno rigida ma simile alla precedente, su lotti di uguale dimensione
3. Edifici in linea disposti in forma libera ma geometricamente controllata, ortogonali tra loro
4. Edifici in linea disposti secondo gli allineamenti stradali
5. Edifici in linea disposti in forma più libera ma sempre in posizioni ortogonali tra loro
6. Edifici in linea disposti liberamente tenendo conto dell’andamento planoaltimetrico del terreno e del disegno delle curve di livello, con lotti di varia dimensione
G.6. ITÀ MOBIL
’USO 2. G.2. AZIONI D IN T S DE
G 19
G.2. 2.
URBANISTICA • REALTÀ URBANA DESTINAZIONI D’USO AREE PER L’ISTRUZIONE, LA CULTURA, IL TEMPO LIBERO AREE PER L’ISTRUZIONE
AREE PER TEATRI, CINEMA, BIBLIOTECHE, MUSEI
Le aree per l’istruzione primaria e secondaria riguardano il ciclo della scuola dell’obbligo e quello della scuola superiore. La loro dimensione e la loro localizzazione debbono essere rapportate ai rispettivi bacini di utenza.
TEATRI E CINEMA
SCUOLE DELL’OBBLIGO Le aree riguardanti la scuola dell’obbligo (compresi asilo nido e scuola materna) debbono essere numerose e ben diffuse in sede locale anche nei piccoli insediamenti, in modo che ogni utente possa raggiungerla a piedi in breve tempo e con facilità. I vari tipi di scuole che compongono il ciclo dell’obbligo possono essere raggruppati o separati. Meglio quando sono raggruppati e possono formare un vero e proprio insieme dove attrezzature sportive, spazi verdi, attrezzature culturali (biblioteca centrale, sale di riunione, palestre) possono essere fruiti da tutti e, se possibile, anche dagli abitanti del quartiere negli orari extrascolastici. SCUOLE SUPERIORI Raggruppamenti più limitati possono aversi anche per le scuole superiori, ma occorre tener presente che il bacino di utenza si allarga sensibilmente e che, in generale, questo tipo di scuola si colloca in aree urbane “centrali” servite da mezzi pubblici di trasporto. Possono ammettersi percorrenze massime di circa 10-15 minuti con mezzi pubblici o privati di trasporto e di circa 30 minuti a piedi.
gono; le terze, di piccole dimensioni, molto diffuse nei quartieri residenziali e nei piccoli centri, trovano collocazione presso scuole dell’obbligo, sedi comunali, parrocchie ecc. Occorre però dire che si tratta di un intero settore in notevole evoluzione: le modalità di consultazione stanno infatti mutano sotto la spinta dell’informatica e della telematica, provocando anche un sostanziale cambiamento nell’organizzazione degli spazi. Grande interesse rivestono poi i nuovi complessi polifunzionali per la cultura e lo svago, dei quali è esempio recente il parco de “La Villette” di Parigi. In essi dovrebbero trovar posto anche i nuovi importanti musei della Scienza e della Tecnica, oltre ad attrezzature didattiche, ricreative e documentaristiche.
Le aree per la cultura riguardano attrezzature diverse tra loro e diversamente localizzate. Alcune, molto tradizionali e riferite allo spettacolo come i teatri e i cinema, tendono usualmente a occupare aree centrali rispetto all’intero insediamento. Altre, sempre riferite allo spettacolo ma con caratteristiche multimediali più attuali (ad esempio concerti pop, teatri tenda ecc.), avendo necessità di ampi spazi ed essendo in continua evoluzione, tendono preferibilmente a occupare aree di nuova urbanizzazione. BIBLIOTECHE E COMPLESSI POLIFUNZIONALI Le biblioteche hanno diversi livelli di utilizzazione:
MUSEI • biblioteche generali nazionali, regionali, provinciali e comunali; • biblioteche generali e specializzate appartenenti alle università e ad altre istituzioni pubbliche e private; • piccole biblioteche locali.
Un discorso analogo si può fare per i musei e le gallerie. Le attrezzature più tradizionali occupano generalmente antichi edifici in aree di interesse storico, mentre i nuovi complessi museali, concepiti con criteri espositivi molto diversi da quelli del passato e con esigenze di vasti spazi, tendono a occupare nuove aree periferiche, spesso appartenenti a parchi polifunzionali. Ma piccoli musei locali e gallerie d’arte possono diffondersi in maniera capillare ovunque se ne ravvisi l’utilità, contribuendo ad arricchire le attrattive anche dei centri di quartiere minori.
Per ognuna di esse varia la localizzazione preferenziale: le prime, dovendo servire un vasto bacino di utenza, debbono essere facilmente raggiungibili con mezzi pubblici e privati anche da notevoli distanze; le seconde, riguardando utenze specifiche, sono sempre strettamente connesse all’insieme edilizio al quale apparten-
AREE PER LO SPORT Con il termine aree per il tempo libero ci si riferisce generalmente a spazi che si intrecciano fittamente con quelli riservati alla cultura, nei nuovi parchi appena citati. Il caso del parco parigino de “La Villette” è infatti esemplare. Ma esistono anche spazi dove prevalgono le attrezzature sportive e che presentano caratteristiche ben distinte rispetto ai precedenti. Questi spazi, di dimensioni variabilissime, sono capillarmente diffusi ovunque: dalle grandi città ai piccoli insediamenti, ai semplici nuclei abitativi. Le differenziazioni riguardano non solo gli sport praticati ma anche i bacini di utenza e le modalità di gestione. I grandi complessi sportivi sono generalmente pubblici, mentre quelli medi e piccoli sono anche privati. Un caso a parte è rappresentato dalle grandi società polisportive, generalmente imperniate sull’attività agonistica del calcio, che spesso posseggono grossi impianti, quasi sempre all’avanguardia. Gli impianti sportivi si compongono di campi da gioco (calcio, pallavolo, pallacanestro, tennis ecc.), piscine, piste (atletica, pattinaggio ecc.), che possono spesso riunirsi in complessi unici polisportivi dotati di imponenti servizi e di verde.
CARATTERISTICHE DELLE AREE SPORTIVE L’orientamento, nella progettazione di aree per lo sport, assume grande importanza. Infatti la totalità delle attività sportive all’aperto ha assoluta necessità di non svolgersi con l’abbagliamento dei raggi solari. Pertanto sono assolutamente da evitare gli orientamenti est-ovest dell’asse maggiore del campo di gioco, lungo la quale si svolgono le principali azioni. Il migliore orientamento è perciò quello nord-sud o molto vicino a questo, che evita l’abbagliamento nelle ore vicine all’alba e al tramonto. I terreni per i campi da gioco, sia naturali sia sintetici, debbono avere doti di compattezza ed elasticità, debbono disporre di un buon drenaggio e non debbono dare origine alla formazione di polvere. Una buona illuminazione artificiale, non solo dei campi, ma anche di tutti gli spazi complementari, rappresenta una condizione necessaria per poter estendere la fruibilità dell’impianto anche alle ore notturne, con incremento della redditività di gestione. Per conseguire i migliori risultati occorre che anche per queste destinazioni si persegua una elevata commistione di utilizzazioni: sarà perciò necessario prevedere la compenetrazione, per quanto possibile, dei diversi tipi di attività: sportiva dei giovani e degli adulti, giocosa dei bambini, distensiva degli anziani.
TAB. G.2.2./1 PRINCIPALI MISURE ORIENTATIVE DI ALCUNI CAMPI DA GIOCO SERIE A
SERIE B
SERIE C
ALTRI
60 x 105 68 x 105 70 x 105 70 x 110
60 x 100 60 x 105 63 x 105 65 x 105
55 x 100 60 x 100 60 x 105
60 x 100 54 x 90 45 x 90
Il rapporto consigliato tra larghezza e altezza è dato da: 0,7 ≥ (lo Stadio Olimpico di Roma misura 70 x 105 m)
L2 (larghezza) L1 (lunghezza)
TAB. G.2.2./2 SERVIZI PUBBLICI – STANDARD DIMENSIONALI DELLE AREE DELLO SPORT (mq/ab) ABITANTI (soglia funzionale minima)
STANDARD MINIMO (mq/ab)
ACCESSIBILITÀ
Unità sportiva con campo pluriuso-palestra-tennis
2-3.000
1,50
pedonale
Unità sportiva come sopra comprendente piscina
5.000
2,00
pedonale
20-30.000
2,50
pedonale e veicolare
TIPO
Unità sportiva come sopra comprendente palazzetto dello sport e campo di calcio Totale
6,00
AREE PER IL VERDE FUNZIONE DEL VERDE NELLE CITTÀ In questa sede va sottolineata la grande esigenza di limitare gli spazi pavimentati nelle aree urbane, onde consentire il regolare assorbimento delle acque piovane. Il problema è estremamente attuale nel panorama del generale dissesto idrogeologico italiano. Le calamità da malfunzionamento nello smaltimento delle acque (inondazioni, frane, smottamenti) non toccano più solo le aree tradizionalmente considerate a rischio, come le pendici calabresi o molisane, a causa dei disboscamenti irrazionali e dell’arginamento delle fiumare, ma colpiscono anche le grandi concentrazioni urbanizzate dell’Italia settentrionale.
G 20
Ovunque il fenomeno del mancato assorbimento delle acque meteoriche sta assumendo dimensioni estremamente preoccupanti proprio a causa dell’alto grado di sviluppo produttivo e edilizio, fatto che ha portato alla cementificazione e impermeabilizzazione di gran parte dello spazio disponibile. Le acque piovane non vengono assorbite localmente, sono scaricate in ruscelli e torrenti strettamente arginati, irrompono in fiumi i cui terreni golenali sono stati da tempo trasformati in aree industriali o residenziali. Bastano quindi poche ma intense precipitazioni per far saltare il sistema di smaltimento e causare tracimazioni
e alluvioni di considerevole entità. Tale questione è strettamente connessa, per quanto riguarda la progettazione urbanistica, alla presenza e distribuzione del verde, anche in forma di aiuole, piccoli prati e boschetti, oltre che di grandi parchi. È infatti fondamentale interrompere quanto più è possibile la continuità della copertura impermeabile dei terreni, per dar modo alle acque di essere assorbite localmente e confluire nelle falde freatiche profonde. Il quadro ecologico urbano implica l’impegno di molte competenze: urbanistiche, paesaggistiche, idrogeologiche, botaniche, chimiche nonché amministrative-gestionali.
URBANISTICA • REALTÀ URBANA DESTINAZIONI D’USO
G.2. 2. A.ZIONI
FIG. G.2.2./7 ALBERI DA VIALE A causa delle limitazioni di spazio, gli alberi che formano i viali cittadini sono preferibilmente di forma allungata: A: Fastigiata; B: Colonnare; C: Conica. Nei parchi e nelle piazze sono adatti anche: D: alberi a forma sferica; E: alberi di forma estesa. (Da M.Zoppi, Progettare con il verde)
All’inquinamento si pone rimedio riducendone anzitutto le cause e poi utilizzando vari sistemi di depurazione. Si procede così al trattamento delle acque di rifiuto civili e industriali con vari tipi di impianti depuratori, alla filtrazione delle polveri, all’abbattimento dei gas nocivi e ad altri sistemi in continuo aggiornamento. Una particolare forma di inquinamento urbano è quella dovuta allo smog, termine inglese con il quale si indica una deleteria combinazione di fumi e nebbia, molto diffusa in particolari condizioni meteorologiche nelle medie e grandi città. Lo smog comporta il notevole incremento nell’aria di sostanze nocive per la salute come ossidi di azoto e di carbonio e anidride solforosa.
FIG. G.2.2./8 ALBERATURE PER VIALI – GRIGLIE DI PROTEZIONE A TERRA
mattoni
blocchetti o mattoni
ghiaia
ghiaia
20
sabbia
40
80
L’inquinamento è un fenomeno riguardante l’alterazione degli equilibri biologici ambientali dovuto a un’immissione massiccia e incontrollata di fattori “artificiali” derivanti dalla presenza umana (industriali, agricoli, residenziali ecc.) nell’aria, nei terreni e nell’acqua. L’inquinamento è atmosferico quando comporta l’alterazione della composizione dell’aria per effetto dello scarico nell’atmosfera di grandi quantità di gas, come quelli prodotti da molti mezzi di trasporto privati e pubblici, dall’industria, o, specialmente in passato, dal riscaldamento abitativo. È idrico quando vengono inquinati i corsi d’acqua e le falde sotterranee per effetto di scarichi organici e inorganici (particolarmente deleterio, anche perché quasi incontrollabile, l’uso eccessivo di insetticidi, diserbanti, concimi chimici, molto praticato in agricoltura, e dei detersivi).
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
AREE PER IL VERDE
INQUINAMENTO
B.STAZIONI DILEGIZLII
E ESE ESSIONAL PROF
180
190
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
L’esigenza del verde cresce con il dilatarsi delle aree urbanizzate, con la perdita progressiva di contatto con la campagna. In passato, il verde era utilizzato prevalentemente per la formazione di viali e giardini con intenti estetici. Oggi, fermo restando l’interesse formale, il verde è considerato elemento essenziale di riequilibrio rispetto alle immense volumetrie dell’edificato edilizio, una necessità “naturale” imprescindibile della quale ogni abitante è perfettamente consapevole. In tutte le progettazioni si richiede la presenza di spazi verdi a vari livelli: di isolato, di nucleo, di quartiere, di intera città (vedi tabella degli standard per i servizi pubblici). Non possono mancare il verde attrezzato per la ricreazione di bambini, ragazzi e anziani, e il verde a parco per passeggiate, picnic, occasioni di incontro; l’uno e l’altro debbono assicurare qualità ambientale e “respiro” alle varie parti della città. L’attenzione deve essere triplice: agli aspetti funzionali, naturali e formali. Gli aspetti funzionali riguardano la sufficiente ed equilibrata distribuzione del verde in ogni zona; gli aspetti naturali implicano la buona scelta dei terreni, l’idoneità delle piantagioni, l’efficacia dei provvedimenti di tutela; gli aspetti formali riguardano la qualità estetica dell’insieme e di ogni particolare fino al dettaglio. Il verde è anche un
mezzo molto efficace per interventi di riqualificazione generale e locale. L’inserimento di un filare di alberi può mitigare l’effetto negativo di un mediocre fronte edilizio o nobilitare la pedonalizzazione di un’arteria. Usato ad ampia scala, il verde può divenire elemento fondamentale per il rinnovamento di un intero quartiere, specialmente in aree periferiche dove gli spazi sono meno strutturati ed esistono forti esigenze di ricomposizione. Non vanno trascurate poi le operazioni di rimodellamento dei terreni, che spesso precedono le piantumazioni, e le infinite possibilità progettuali che ne derivano, specialmente in aree dismesse o di risulta.
In zone edificate e di completamento In zone di espansione
PERMEABILITÀ DEL SUOLO
PIANTUMAZIONE DEI TERRENI
non meno del 30% delle superfici
almeno 30 alberi di alto fusto per ettaro
non meno del 50% almeno 50 alberi di delle superfici alto fusto per ettaro
Minimi consigliabili per la pianificazione comunale
LIVELLO
Giardino (di isolato)
locale ristretto
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
TAB. G.2.2./3 STANDARD CONSIGLIABILI PER LA TUTELA ECOLOGICA
TAB. G.2.2./4 SERVIZI PUBBLICI – STANDARD DIMENSIONALI DELLE AREE PER IL VERDE (mq/ab)
TIPO
F. TERIALI,
Giardino con piccole attrezzature locale medio (di nucleo) Parco attrezzato
locale allargato (di quartiere)
Parco
urbano
ABITANTI STANDARD (soglia funzioMINIMO ACCESSIBILITÀ nale minima) (mq/ab) fino a 1.000
3,00
fino a 3.000
3,00
pedonale
fino a 5-10.000
3,00
ped. e veicolare
4,00-6,00
ped. e veicolare
oltre 15.000
Totale
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM
pedonale
13,00-15,00
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
AREE PER LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE URBANE CENTRI COMMERCIALI La localizzazione delle attività commerciali segue modelli tendenziali connessi alla distribuzione degli abitanti, alla struttura dei loro redditi, alla tipologia delle merci commercializzate, alla presenza di spazi idonei. A livello locale (di vicinato o poco più) sono generalmente presenti solo negozi di prima necessità e altri esercizi fornitori di beni ad alta frequenza di acquisto. Nei centri di quartiere aumentano notevolmente la densità e la varietà degli esercizi con frequente presenza di mercati ortofrutticoli e di nuove strutture complesse (supermercati e simili). Nei centri cittadini si riscontra invece una forte tendenza alla qualificazione degli esercizi: qui sono presenti le merci più pregiate e più rare, oltre quelle correnti. Altre strutture recenti molto complesse e di grandi dimensioni tendono invece a localizzarsi in aree periferiche fornite di ampi parcheggi e raggiungibili da vie di circonvallazione e tangenziali: è il caso degli ipermercati all’ingrosso e al dettaglio, degli hard-discount alimentari, dei supercentri commerciali che riuniscono un’ampia offerta di negozi, bar, tavole calde, ristoranti e supermercati in un grande complesso architettonico. Quando queste strutture si posizionano nei pressi di attività artigianali o piccolo industriali, è facile assistere al proliferare di punti vendita di tali prodotti sotto la forma di magazzini “cash & carry” specializzati.
TAB. G.2.2./5 STANDARD CONSIGLIABILI PER IL COMMERCIO E LA DISTRIBUZIONE TIPO Centro vendita market
FINO A 50.000 ab.
FINO A 10.000 ab.
FINO A 200.000 ab. mq/ab
0,5
0,7
0,7
Mercato coperto supermarket
–
0,4
0,5
Centro commerciale complesso
–
–
0,6
0,5
1,1
1,8
Totale
TIPO
NUMERO VERDE PARCHEGGI ATTREZZATO
SERVIZIO SANITARIO
Centro vendita market
20-50
–
Mercato coperto supermarket
30-70
–
–
100-200
sì
sì
Centro commerciale complesso
– ’USO 2. G.2. AZIONI D IN T S DE
G 21
G.2. 2./3.
URBANISTICA • REALTÀ URBANA DESTINAZIONI D’USO ➦ AREE PER LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE URBANE ATTIVITÀ INDUSTRIALI E ARTIGIANALI Mentre alcune attività, specialmente quelle direzionali e di servizio tendono spontaneamente alla concentrazione e quindi alla formazione di “poli”, altre, specialmente quelle definite tradizionalmente produttive, tendono sempre più alla diffusione sul territorio. In passato erano le periferie i luoghi di localizzazione preferenziale delle attività industriali e artigianali, per la necessità che queste avevano di allacciamenti immediati ai parchi merci ferroviari, ai porti e alla rete stradale principale (per mantenere elevato il livello degli scambi e poter attingere e distribuire con facilità al circostante mercato), e nello stesso tempo non potendosi allontanare troppo dai luoghi di residenza della propria forza-
lavoro effettiva o potenziale. Attualmente, invece, la situazione tende a evolverli rapidamente con il mutare delle caratteristiche stesse delle attività, della rete infrastrutturale, degli appositi servizi, degli orizzonti degli scambi: la motorizzazione individuale ha esteso grandemente i bacini occupazionali delle industrie, così come la maggiore efficienza del trasporto capillare delle merci, sia in approvvigionamento sia in distribuzione. Tutto ciò ha consentito una libertà tecnica di insediamento industriale molto più elastica che in passato, ma occorre pur sempre razionalizzare la distribuzione sul territorio delle attività produttive industriali e artigianali, per eliminare sprechi di risorse energetiche e ambientali e arricchire il
contesto socio-economico. Tali attività dovrebbero coagularsi in aree di dimensioni non eccessive, facilmente raggiungibili, dotate di parcheggi, di servizi appropriati e di verde, dove sia perfettamente assicurato lo smaltimento (previa depurazione) dei rifiuti. Quando possibile è utile, nell’ottica della polifunzionalità degli insediamenti e per un uso equilibrato del territorio, che le aree destinate alle attività produttive abbiano carattere “misto”, comprendendo anche quote di residenze e servizi socio-culturali. Particolare attenzione dovrà essere però rivolta a quelle produzioni di per sé nocive o inquinanti, anche sotto il profilo acustico e visuale.
PICCOLE ATTIVITÀ ARTIGIANALI
RECUPERO DELLE AREE INDUSTRIALI DISMESSE
Il ventaglio delle piccole attività artigianali è tanto vasto da rendere impossibile l’individuazione di regole localizzative univocamente applicabili. Ogni situazione ambientale è, sotto questo profilo, un caso da affrontare in modo originale e non predeterminato, tenendo conto del valore anche culturale che queste attività hanno per la conservazione delle tradizioni popolari e della loro stretta integrazione con l’insediamento storico, al di là della mera convenienza economica. La connessione che sussiste tra il piccolo artigianato, povero o di pregio che sia, con il turismo deve far comunque dedicare una attenzione particolare a questo settore produttivo. Certamente si può dire che le piccole attività artigianali non nocive possono e debbono utilmente integrarsi alle residenze e ai servizi nei centri principali e locali. In sede progettuale (piano regolatore e piani particolareggiati) sarà utile fissare norme appropriate e anche stimolanti per una crescita e un rilancio di queste attività. Particolare importanza riveste, per il settore, la presenza di scuole-laboratorio per le varie specialità, essenziali per trasmettere le conoscenze al di là dell’apprendistato di bottega. Inoltre è necessario prevedere, naturalmente per un bacino abbastanza ampio, appositi spazi per organismi espositivi e per strutture dedicate a una moderna commercializzazione dei prodotti.
Il mutare delle tendenze localizzative del settore ha prodotto un fenomeno di notevoli dimensioni: quello della presenza, in molte realtà urbane, di vecchie aree industriali dismesse o in via di dismissione, da riutilizzare per usi più attuali o per nuove destinazioni. È questa una realtà che ha cominciato a delinearsi in forma vistosa negli anni Ottanta, in coincidenza con i cambiamenti propri delle attività industriali causati dall’affermarsi dell’elettronica e della telematica e dalla contemporanea crisi delle vecchie tecnologie (la cosiddetta “deindustrializzazione”). Molte attività produttive, pesanti, o solo obsolete, hanno terminato di essere economicamente competitive, e molte altre non hanno più avuto necessità del vecchio, stretto e costoso rapporto con il tessuto cittadino, per cui sono cessate o si sono trasferite in altri luoghi. Il risultato è che, anche a causa della progressiva espansione delle città, si rinvengono spesso ingenti aree libere in zone che sono ormai divenute centrali o semicentrali. Il problema della ridestinazione deve, ovviamente, essere affrontato in sede di pianificazione e non lasciato a soluzioni estemporanee in quanto queste aree rappresentano, molte volte, occasioni uniche per intervenire in maniera congruente su parti di tessuto urbano altrimenti sature e difficilmente modificabili.
MOBILITÀ DELLE FUNZIONI Fenomeni di svuotamento e di riempimento e mobilità delle funzioni sono caratteristiche peculiari della città attuale e lo saranno ancor più, probabilmente, della città futura. È infatti sempre più difficile fare previsioni di destinazioni d’uso rigide e permanenti, sia degli edifici sia delle aree. Alcune tendenze sono già in atto da tempo: espulsione delle residenze dalle aree centrali verso quelle periferiche per riutilizzazioni direzionali delle volumetrie; allontanamento delle attività artigianali tradizionali, sempre dalle aree centrali, per riutilizzazioni commerciali più remunerative; dismissione di numerosi spazi industriali in aree divenute con il tempo semicentrali, oppure in aree periferiche dove non siano più attuali le produzioni. Molte funzioni (direzionali, commerciali, di svago) sono sempre pronte a riempire gli spazi disponibili in aree “pregiate”. In tutti questi casi sono le leggi del mercato,
quelle che guidano gli investimenti, a orientare la dinamica dei cambiamenti. Una corretta pianificazione deve tener conto di queste realtà, ma deve anche saper guidare e instradare, e quando è il caso anche imporre, le scelte più razionali. Il fenomeno infatti sfugge tuttora a un’analisi concorde ed esaustiva: gli operatori della cultura, dell’economia e dell’amministrazione sono spesso su posizioni diverse e contraddittorie, e tendono a optare per soluzioni estemporanee, caso per caso. Da un lato i difensori della funzione programmatoria temono cedimenti e aggiramenti che consentirebbero alla speculazione di stravolgere gli obiettivi del piano per perseguire interessi particolari; dall’altro vi è senza dubbio il pericolo che un ingessamento dell’operatività collettiva, causato da norme e destinazioni non modificabili, determini la rapida obsolescenza di tutto lo stru-
mento urbanistico prima che questo abbia potuto concretizzarsi in modo significativo. Sembra quindi opportuno che l’urbanista ponga particolare attenzione alla formulazione di una normativa che preveda, almeno per certe aree o per certe tipologie di aree, la possibilità di un cambiamento di destinazione a determinate condizioni. La scelta di tali condizioni e delle possibili destinazioni alternative debbono essere ben valutate in modo che siano egualmente coerenti con il disegno generale del piano. Occorrerà quindi, in prospettiva, arrivare a formulare una definizione più dinamica dello strumento urbanistico, in modo che questo possa adeguarsi in modo pronto ed efficace alle reali necessità di mutamento, senza perdere di vista i propri obiettivi principali: compito di estrema delicatezza e ancora tutto da sperimentare.
GERARCHIA DEI CENTRI MOLTEPLICITÀ E CLASSIFICAZIONE DEI CENTRI Le funzioni collettive, pubbliche e private, tendono spontaneamente ad addensarsi per motivi organizzativi ed economici. Gli addensamenti possono essere uno o più di uno, secondo la dimensione, dell’insediamento. In una piccola localizzazione urbana esiste generalmente un solo centro dove si raggruppano gli edifici pubblici principali (palazzo comunale, uffici vari, scuole, chiesa, servizi sanitari ecc.) e una quota di parcheggi. In un insediamento di medie dimensioni il centro principale, più ricco di attività e di attrattive anche culturali di quello precedente, è sempre contornato da centri di quartiere dove si addensano le funzioni collettive di carattere locale come le scuole dell’obbligo, i negozi, il mercato, la chiesa parrocchiale, qualche impianto sportivo e ricreativo, il verde pubblico e i parcheggi pubblici. In una città ampia e complessa si configura una vera e propria gerarchia di centri: 1. centro (o centri) urbano principale; 2. centri di quartiere; 3. centri locali. Una costellazione di nuclei di concentrazione delle attività collettive con forti esigenze di reciproca integrazione e di comunicabilità. In questi centri si svolge gran parte della vita sociale; essi debbono quindi soddisfare tutte le esigenze di carattere collettivo. Sono stati studiati più volte standard distributivi e dimensionali di soddisfacimento delle esigenze in relazione alle principali attrezzature pubbliche e ai servizi collegati.
G 22
FIG. G.2.3./1 CENTRO IN UNO SCHEMA ELEMENTARE A SCACCHIERA E IN UNO SCHEMA ELEMENTARE RADIALE (da EAU)
URBANISTICA • REALTÀ URBANA GERARCHIA DEI CENTRI
G.2. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. G.2.3./2 SCHEMA ORGANIZZATIVO DELLE FUNZIONI URBANE E CLASSIFICAZIONE DELLE CENTRALITÀ CENTRALITÀ PRINCIPALE URBANA (tessuto edilizio polifunzionale – aree prevalentemente pedonalizzate, con attestamento della viabilità automobilistica e anello di metropolitana leggera CENTRALITÀ INTERMEDIA E CENTRALITÀ PERIFERICA AREE VERDI ATTREZZATE per il tempo libero e la cultura (tessuto connettivo) AREE SEMICENTRALI (tessuto edilizio residenziale e misto aree servite da assi interquartiere viari e metropolitani AREE PERIFERICHE (tessuto edilizio prevalentemente residenziale) AREE PRODUTTIVE industriali e artigiaanali (tessuto edilizio misto)
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
AREE DI INTERSCAMBIO CITTÀ-TERRITORIO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB Ferrovia Tangenziale esterna autostradale Assi viari di connessione con il territorio Assi interquartiere viari e metropolitani (nord-sud-est-ovest) e attestamento alla centralità principale Metropolitana leggera Assi principali della viabilità locale (di connessione fra le tre centralità)
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT
Percorsi pedonali meccanizzati fra le tre centralità Viali parco Svincolo autostradale Svincolo di accesso al sistema urbano – attestamento interquartiere – area di scambio
G.3. À REALT ORIALE TERRIT
Svincoli di accesso alla cintura urbana centrale
LI G.4. E E VINCO NORM
Stazione ferroviaria Snodi del sistema di trasporto su metropolitana Autoporto
• I servizi amministrativi debbono essere presenti al primo livello con le strutture comunali principali, al secondo livello con le strutture circoscrizionali, al terzo livello con piccole strutture decentrate; • I servizi sanitari debbono essere presenti al primo livello con le strutture ospedaliere e specialistiche generali (che, nel caso di una grande città, si moltiplicano e si trasferiscono al secondo livello) e, in maniera diffusa, con centri di pronto soccorso, ambulatori, farmacie ecc.; • I servizi scolastici debbono essere presenti al primo livello con le strutture dell’istruzione media superiore (che nel caso delle grandi città, si moltiplicano e si trasferiscono al secondo livello) e al secondo e al terzo livello con le strutture dell’istruzione obbligatoria. Ogni tipo di servizio e la sua organizzazione sul territorio deve essere valutata in base al bacino di utenza (numero degli utenti e estensione dell’area di distribuzione). Queste due variabili determinano differenti situazioni dimensionali e gerarchiche. Sull’analisi della funzione dei centri nel tessuto cittadino, sulle loro relazioni e interconnessioni, si è molto dibattuto. Un esempio che riporta a livello grafico le più significative considerazioni è quello presentato nel 1994 al Convegno di Napoli per una città del XXI secolo. Lo schema proposto prende in esame una città dotata di un centro antico e di espansioni di varie epoche: quartieri e nuclei periferici. Esso presuppone una gerarchia di centri, che, in generale, può fare riferimento a una centralità principale urbana, dotata di un tessuto edilizio polifunzionale, a varie centralità intermedie o di quartiere, caratterizzate da livelli immediatamente inferiori di attrezzature, e da centralità periferiche o di nucleo, dotate dei servizi locali. Lo schema considera la presenza di eventuali concentrazioni di attrezzature di livello territoriale come dislocate nelle aree di interscambio città-territorio (campus universitari, ipercentri commerciali, città sanitarie ecc.).
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN
FIG. G.2.3./3 DETTAGLI DELLO SCHEMA ORGANIZZATIVO DELLE FUNZIONI URBANE
G.6. ITÀ MOBIL
GRANDE VIABILITÀ URBANA
L’impianto è di tipo radiocentrico (come nel caso di moltissime città dell’area mediterranea, specialmente italiana) ma è adattabile anche a realtà più “aperte”, in modo da perseguire alcuni obiettivi fondamentali. Il primo obiettivo consiste nel dare dinamicità a una forma tendenzialmente statica, rendendo tangenziali alcuni movimenti che nella città tradizionale, sono sempre centripeti e quindi generatori di congestione.
➥
’USO 2. G.2. AZIONI D IN T S DE RI CENT 3. G.2. CHIA DEI R A R E G
G 23
G.2. 3.
URBANISTICA • REALTÀ URBANA GERARCHIA DEI CENTRI ➦ MOLTEPLICITÀ E CLASSIFICAZIONE DEI CENTRI Questa dinamicità si ottiene organizzando il grande sistema della mobilità interquartiere su strada e su rotaia con percorsi che colleghino le centralità intermedie di quartiere e si aprano verso il territorio esterno. Tali percorsi non dovranno mai attraversare le aree centrali urbane (centro antico) che, viceversa, saranno pedonalizzate al massimo e solo lambite da linee di attestamento viario e di metropolitana leggera. Una consistente quota di parcheggi dovrà trovar posto in spazi interrati, sopraelevati e a livello, distinti per soste lunghe e brevi. Un secondo obiettivo è quello di rendere comodo, piacevole e largamente utilizzabile il sistema delle pedonalizzazioni, collegando con diverse modalità (percorsi semplici e meccanizzati) i diversi tipi di centralità urbana, dei quartieri e dei nuclei. I tre livelli di centralità dovrebbero sempre essere collegati tra loro con percorsi pedonali meccanizzati, in modo da permettere a tutti di usufruire pedonalmente dell’intera città, così come in passato per effetto delle minori distanze complessive. Anche la viabilità dovrà essere rigorosamente classificata in livelli, in modo tale che i “passaggi” da un livello all’altro siano graduali, in successione ordinata, sia che avvengano dall’esterno verso l’interno dell’insediamento sia viceversa. L’ordine gerarchico potrebbe essere questo: • tangenziali e circonvallazioni esterni; • assi di connessione con il territorio; • assi interquartiere (completi di percorsi su rotaia); • anelli centrali o semicentrali di attestamento alla pedonalità (completi di percorsi su rotaia); • assi principali della viabilità locale; • percorsi pedonali meccanizzati; • viabilità locale carrabile e pedonale.
FIG. G.2.3./4 CORRELAZIONE TRA CENTRI
ASPETTI TEORICI La qualità di vita di un insediamento dipende in larga misura, dalla dotazione di servizi e attrezzature di interesse collettivo, dalla loro molteplicità e varietà. Più l’offerta è alta, più opportunità hanno gli abitanti; al contrario, quando l’offerta è bassa, si manifestano facilmente fenomeni di degrado, forti squilibri e perfino situazioni di abbandono. Servizi e attrezzature di interesse collettivo tendono a stabilire tra loro una miriade quasi inestricabile di rapporti e quindi a concentrarsi in nuclei di varia entità, secondo la dimensione dell’insediamento, e a formare dei centri: centri urbani, centri di quartiere, centri locali. Molti studiosi si sono cimentati, nella seconda metà del XX secolo, nella definizione di teorie, modelli e standard, avendo come punto iniziale di riferimento i modelli nucleari sull’organizzazione delle città elaborati in Gran Bretagna
e negli Stati Uniti negli anni Trenta-Quaranta. Di particolare interesse il modello del tedesco W. Christaller (1893-1969) basato sulla classificazione gerarchica dei centri disposti secondo una griglia spaziale geometrica a maglia esagonale. Christaller individua, per un ambito regionale teorico polarizzato attorno a una città capoluogo, un sistema gerarchico di centri dei quali precisa: • il rango; • il ruolo amministrativo; • l’entità numerica; • la quantità di popolazione presente nell’insediamento di riferimento; • il limite inferiore (soglia) e il limite superiore (portata); • la quantità di popolazione presente nell’area di influenza. Il modello, solo teorico ed elaborato negli anni Trenta, è
TAB. G.2.3./1 TEORIA DELLE LOCALITÀ CENTRALI. GERARCHIA DEI CENTRI IN AMBITO REGIONALE SECONDO IL MODELLO DI W. CHRISTALLER (Sintesi e parziale rielaborazione con adattamento alle denominazioni italiane)
RANGO RUOLO
N.
ABITANTI RAGGIO AREA ABITANTI DELL’INSEDI DI DELL’AREA DIAMENTO INFLUENZA INFLUENZA DI (circa) (in km) (in km) INFLUENZA
1
capoluogo regionale
1
300.000
186
32.400
2.025.000
2
centro di area vasta (interprovinciale)
2
90.000
108
10.800
675.000
3
centro di zona (provinciale)
6
27.000
62
3.600
225.000
4
centro di distretto (intercomunale)
18
9.000
36
1.200
75.000
5
centro di più villaggi (comunale)
54
3.500
21
400
24.000
6
centro di villaggio (comunale)
162
1.500
12
135
8.100
7
centro di nucleo
486
800
7
45
2.700
molto rigido e poco adattabile alla realtà effettiva attuale ma costituisce un’ottima base di partenza per gli studi sui casi concreti. Altri studiosi, partendo dalla teoria delle località centrali, hanno approfondito le questioni con risultati di indubbia utilità. Interessanti anche gli studi di C. Alexander, austriaco di nascita stabilitosi poi negli Stati Uniti. Egli esamina gli squilibri dell’ambiente fisico e quindi quelli delle città distinguendo tra “città naturali”, sorte, spontaneamente e cresciute lentamente, e “città artificiali” create improvvisamente dal nulla. Le prime sarebbero caratterizzate da un insieme di rapporti ampio e complesso, dove tutti gli elementi cooperano tra loro; nelle seconde si creerebbero invece rapporti fortemente gerarchici e spesso discontinui che vengono definiti “ad albero”. Alexander analizza gli uni e gli altri con metodi matematici. FIG. G.2.3./5 SCHEMA TEORICO DELLA DISTRIBUZIONE DEI CENTRI E DELLE LORO AREE DI INFLUENZA CON SOVRAPPOSIZIONE DELLE DIVERSE RETI, SECONDO W. CHRISTALLER
Il centro di rango 1 è il centro principale del capoluogo regionale. I centri di rango 2 e 3 possono essere assimilati a centri di capoluoghi provinciali o di importanti settori urbani. I centri di rango 4-5-6 possono essere assimilati a centri di capoluoghi comunali o di settori urbani semiperiferici. I centri di rango 7 possono considerarsi variamente distribuiti
STANDARD URBANISTICI Il termine standard urbanistico è solitamente riferito alla dotazione per abitante di aree destinate ai servizi pubblici. In generale il riferimento è solo quantitativo (metri quadrati per abitante), ma non esclude l’introduzione di criteri di valutazione anche qualitativi. Alcune circolari del Ministero dei LLPP degli anni Sessanta hanno introdotto precise indicazioni vincolanti. Fondamentale poi il DM n.1144 del 1968 che precisa gli standard minimi da adottare per i servizi pubblici di livel-
G 24
lo locale (di quartiere) e urbano in tutte le nuove progettazioni, lasciando poi all’iniziativa regionale e comunale la possibilità di incrementarli. Attualmente si tendono a configurare dei parametri di classificazione che prendono in considerazione, unitamente agli standard dimensionali minimi: • la tipologia dei singoli servizi; • la soglia funzionale minima dei medesimi; • l’accessibilità.
L’esigenza di aree per il soddisfacimento degli standard dimensionali minimi dei servizi pubblici supera, in un Comune di oltre 15.000 abitanti, i 23-25 mq/ab. A tali quantità debbono essere aggiunte le aree da destinare ai parcheggi pubblici, ai servizi commerciali (mercati), ai servizi religiosi e cimiteriali. Ai soli parcheggi pubblici debbono essere riservate aree variabili tra i 3 e i 7 mq/ab in relazione alla dimensione dell’insediamento (tra i 3.000 e gli oltre 200.000 abitanti).
URBANISTICA • REALTÀ URBANA GERARCHIA DEI CENTRI
G.2. 3./4. A.ZIONI
TAB. G.2.3./2 SERVIZI PUBBLICI Standard dimensionali delle aree per l’istruzione (mq/ab) minimi consigliabili per la pianificazione comunale ABITANTI (soglia funzionale minima)
STANDARD MINIMO (mq/ab)
ACCESSIBILITÀ
Asilo nido/scuola materna
1.000
0,50
pedonale
Scuola elementare
2.000
1,50
pedonale
Scuola media inferiore
2-3.000
1,50
pedonale
Scuola media superiore
3-5.000
1,00
ped./veicolare
TIPO
Totale
TAB. G.2.3./3 SERVIZI PUBBLICI Standard dimensionali delle aree per la sanità (mq/ab) minimi consigliabili per la pianificazione comunale TIPO
ABITANTI STANDARD (soglia funzioMINIMO nale minima) (mq/ab)
Farmacia
3.000
–
–
Poliambulatorio
5.000
–
–
Nucleo ospedaliero
20-30.000
1,50
1 posto letto ogni 100-200 abitanti
Centro geriatrico
10-15.000
1,00
1 posto alloggio ogni 50 abitanti
Totale
4,5
ACCESSIBILITÀ
2,50
SISTEMA DIREZIONALE SETTORI DELLE ATTIVITÀ DIREZIONALI Con il termine sistema direzionale si identifica l’insieme dei luoghi in cui hanno sede le attività decisionali fondamentali: istituzionali, politiche, amministrative e culturali. Il sistema direzionale di una grande città, con particolari funzioni politico-amministrative e culturali, è quindi ben diverso da quello di una piccola città, perché in esso si assommano, magari con localizzazioni diverse, maggiori e più vari settori e livelli di interesse.
Così il sistema direzionale di una città-capitale è certamente più cospicuo di quello di una qualsiasi altra grande città della medesima nazione perché nella città-capitale si assommano tutti i settori e i livelli di interesse. Il ragionamento, evidente anche in forma intuitiva, merita però qualche approfondimento e l’indicazione di un metodo di analisi.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
SETTORI DI ATTIVITÀ Per prima cosa occorre individuare i settori di attività che concorrono a formare un sistema direzionale, ossia la sua articolazione “orizzontale”. Dagli studi più accurati si ricava che essi sono otto: 1. istituzionale; 2. amministrativo pubblico; 3. amministrativo privato; 4. dei grandi enti pubblici economici; 5. creditizio, assicurativo e previdenziale; 6. politico e sindacale; 7. della stampa e dell’informazione; 8. culturale. Ognuno di questi settori ha una sua omogeneità interna, investe particolari competenze, ha proprie regole e norme strutturali, si espande e si contrae in base a propri meccanismi. Al primo settore (istituzionale) appartengono gli organismi rappresentativi dello Stato, delle Regioni, delle Province e dei Comuni nonché quelli di carattere super-nazionale (delle Nazioni Unite, della Comunità Europea ecc.). Al secondo settore (amministrativo pubblico) appartengono gli organismi tecnicofunzionali come i ministeri, i provveditorati, le aziende autonome, le prefetture, i tribunali, gli uffici finanziari ecc. Al terzo settore (amministrativo privato) appartengono le società, le imprese, gli enti, i gruppi professionali. Al quarto settore (grandi enti pubblici economici) appartengono alcuni organismi operativi e imprenditoriali nei quali confluiscono sia il capitale pubblico sia il capitale privato. Al quinto settore (creditizio, assicurativo, previdenziale) appartengono le banche e gli altri istituti di credito, gli enti, previdenziali e assicurativi, le società di assicurazione. Al sesto settore (politico sindacale) appartengono i partiti politici, i gruppi di opinione organizzati, le organizzazioni sindacali dei lavoratori, dei datori di lavoro e di categoria. Al settimo settore (stampa e informazione) appartengono le agenzie, la stampa quotidiana e periodica, le radiotelevisioni. All’ottavo settore (culturale) appartengono le istituzioni pubbliche e private come le accademie, le fondazioni, le biblioteche, i musei ecc. Naturalmente deve esistere anche un’articolazione “verticale”, riguardante i livelli internazionale, nazionale, regionale e locale di distribuzione delle diverse attività. Ogni vuoto denoterebbe carenze gravi di funzionalità dell’intero sistema.
FIG. G.2.4./1 IL SISTEMA DIREZIONALE ROMANO SECONDO IL PIANO REGOLATORE DEL 1962 (da Alberto Gatti) I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
LIVELLI DI INTERESSE DELLE ATTIVITÀ DIREZIONALI Occorre poi individuare, per ogni settore, i livelli interni d’interesse, cioè l’articolazione “verticale” del sistema. Essi non possono essere che quattro: 1. internazionale; 2. nazionale; 3. regionale; 4. locale. Ogni settore di attività esprime organismi che operano a tutti i livelli, ma alcuni settori concentrano le proprie attivi-
tà prevalentemente a un livello piuttosto che a un altro, in relazione alle caratteristiche dei diversi centri urbani. In una città che sia capoluogo di provincia si svolgono, in generale, solo attività di livello locale. In una città che sia capoluogo di regione si svolgono attività del duplice livello regionale e locale. Nella città-capitale si svolgono invece attività direzionali a tutti i livelli; qui le funzioni si qualificano sempre di più, si potenziano reciprocamente e richiedono, di conseguenza, spazi appropriati e confluenti nei quali svilupparsi. Ogni idea di decentramento a lar-
go raggio sul territorio delle attività direzionali sembra in buona misura ancora utopistica sebbene lo sviluppo vorticoso dei nuovi sistemi di comunicazione e di informazione apra continuamente nuovi orizzonti e nuove potenzialità ai criteri di localizzazione. Occorre comunque osservare, almeno in via teorica, che, così come la concentrazione favorisce gli scambi e le relazioni interconnesse, il decentramento stimola la diversificazione, la complementarità e la formazione di sistemi urbani a rete.
RI CENT 3. G.2. CHIA DEI R A R E G NALE 4. G.2. A DIREZIO M E T SIS
G 25
G.2. 4./5.
URBANISTICA • REALTÀ URBANA SISTEMA DIREZIONALE ➦ LIVELLI DI INTERESSE DELLE ATTIVITÀ DIREZIONALI TAB. G.2.4./1 ATTIVITÀ DIREZIONALI ARTICOLAZIONE VERTICALE (per livelli)
ARTICOLAZIONE ORIZZONTALE (per settori) Istituzionale
Amministrativo pubblico
Amministrativo privato
Grandi enti pubblici economici
Creditizio assicurativo previdenziale
Politico sindacale
Stampa Culturale e informazione
Internazionale
Organismi internazionali (ONU, UNESCO)
Organismi comunitari
Grandi società operanti a livello internazionale
Enti pubblici con interessi internazionali
Banche e altre istituzioni internazionali
Organizzazioni internazionali
Catene radio TV a diffusione internazionale
Accademie e altre istituzioni internazionali
Nazionale
Presidenza della Repubblica, Parlamento Governo
Ministeri
Società operanti a livello internazionale, enti privati, imprese
Enti pubblici con interessi nazionali
Banche e altre istituzioni nazionali
Partiti e sindacati
Reti nazionali radio TV e stampa nazionale
Accademie, scuole di specializzazione, fondazioni, musei ecc.
Regionale
Consigli regionali, Consigli provinciali
Prefetture, Provveditorati, Tribunali
Imprese, cooperative, gruppi professionali operanti a livello regionale
Enti pubblici con interessi regionali
Banche e altre istituzioni regionali
Organismi regionali dei partiti e dei sindacati
Reti regionali radio TV e stampa regionale
Istituzioni regionali varie, musei regionali
Locale
Consigli comunali, Sindaco, Giunta
Preture, ASL ecc.
Imprese, cooperative, Enti pubblici professionisti operanti con interessi a livello locale locali
Banche e altre istituzioni locali
Organismi locali Reti locali dei partiti e radio TV e dei sindacati stampa locale
Istituzioni locali varie e musei locali
INSEDIAMENTI UNIVERSITARI VARIETÀ DELLE LOCALIZZAZIONI Il discorso riguardante l’università parte dal presupposto che l’ambito interessato sia molto ampio, almeno regionale, e non possano porsi limiti rigorosi alle percorrenze massime. Naturalmente le aree in questione debbono essere facilmente raggiungibili e ben servite dai mezzi pubblici. Le sedi universitarie (facoltà, dipartimenti ecc.) possono utilizzare spazi di vario tipo, compresi vecchi contenitori ristrutturati (si pensi ai numerosi edifici storici restaurati a questo scopo), nuovi edifici, oppure aree extraurbane dove si configurano veri e propri campus. La scelta è “strategica” e non può essere generalizzata, anche perché le tendenze mutano frequentemente. È comunque molto importante che gli utenti trovino a distanza ragionevole i servizi essenziali di mensa e di alloggio. I documenti di studio sulle nuove università fanno oscillare l’entità numerica ottimale degli studenti-utenti tra le 5.000 e le 30.000 unità. Gli utenti-operatori (il personale docente) dovrebbero corrispondere, a loro volta, a circa una unità ogni 30 studenti. Va considerato poi il personale non docente. Il bacino di utenza corrisponde generalmente a una o più regioni o a un gruppo di province, ma l’istituzione universitaria ha carattere “nazionale” e quindi non mancano mai quote di studenti provenienti da altre regioni e province e, spesso, anche dall’estero. Il bacino di utenza ha pertanto un’estensione calcolabile solo in maniera approssimata e spesso non distinguibile nettamente da quello delle altre università vicine.
FIG. G.2.5./2 STUDIO PER IL CAMPUS UNIVERSITARIO DI BENEVENTO POLO DI S. CLEMENTINA Complesso per circa 6.000 studenti su di un’area di 17 ettari riguardante attività didattiche, amministrative e di ricerca per tre facoltà, scuole di specializzazione e di diploma
FIG. G.2.5./1 UNIVERSITÀ EAST ANGLIA (prog. Denys Lasdune e partners) Notissimo complesso di grande interesse formale realizzato negli anni sessanta. Comprende settori riguardanti le arti, la matematica, la fisica, la biologia, una grande biblioteca, un teatro, un centro informatico e le residenze gradonate degli studenti rivolte verso il parco.
Standard urbanistici: 16.000 mq per parcheggi pubblici 34.000 mq per verde e verde attrezzato 20.000 mq per viabilità locale
G 26
URBANISTICA • REALTÀ URBANA INSEDIAMENTI UNIVERSITARI
A.ZIONI
MOBILITÀ DELLE FUNZIONI E STANDARD All’interno dell’università le funzioni evolvono continuamente ed è quindi impossibile esprimere valutazioni dimensionali sulla base di standard rigidi. È invece opportuno ragionare sulla base di standard aggregati, che raggruppino più funzioni e consentano la formazione di spazi molto flessibili. In via solo orientativa possono essere usati, per un primo approccio al problema, standard volumetrici e di superficie (lordi) delle entità riportate nella tabella a fianco. Per questo calcolo si definiscono utenti gli studenti frequentanti, i docenti, il personale non docente.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. G.2.5./1 STANDARD SETTORE
PER UTENTE mq
mc
50
150 circa
Umanistico
75-100
250 circa
Medico-chirurgico
150-200
500 circa
Scientifico
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE
SPAZI FUNZIONALI Gli spazi necessari allo svolgimento delle attività universitarie possono essere razionalmente raggruppati in otto fondamentali categorie:
G.2. 5.
PRO TTURALE STRU FIG. G.2.5./3 UNIVERSITÀ DI TORONTO – SCARBOROUGH COLLEGE (prog. J. Andrew)
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
1. per attività direzionali-amministrative e di rappresentanza;
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
2. per attività didattiche; 3. per attività individuali di studio degli studenti; 4. per attività di ricerca dei docenti;
G.ANISTICA
5. per attività complementari e di servizio;
URB
6. per la circolazione interna; 7. per la circolazione esterna; I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
8. per mense, residenze e attività sportive-ricreative. Le attività direzionali-amministrative e di rappresentanza, cuore dell’organizzazione universitaria, riguardano il rettorato, la direzione amministrativa, varie sale di riunione, la segreteria studenti, la biblioteca centrale, le presidenze delle facoltà. Le attività didattiche comprendono gli insegnamenti cattedratici (che utilizzano aule di varia dimensione) e gli insegnamenti sperimentali-pratici che utilizzano laboratori e salette seminariali. Tenendo conto che una sezione di insegnamento non dovrebbe mai superare i 200 studenti e che gli insegnamenti sperimentali-pratici dovrebbero riguardare gruppi di non più di 30-50 studenti, è possibile ipotizzare, ogni mille studenti, un’esigenza di almeno 6-8 aule (due grandi, tre medie, tre piccole) e di 5-10 laboratori, secondo il tipo di facoltà. Le attività individuali di studio degli studenti sono incentrate sulle biblioteche e sulle sale studio comprensive di piccoli box individuali. Le attività di ricerca dei docenti sono organizzate in dipartimenti o istituti. Ogni dipartimento o istituto deve disporre di un adeguato numero di posti di lavoro individuali (per almeno il 70% dei docenti), di laboratori di ricerca, di una biblioteca specializzata, di una direzione, di almeno una sala per riunioni e seminari ecc. Le attività complementari e di servizio riguardano gli archivi, i depositi, i posti di informazione e di controllo, i servizi igienici ecc. Gli spazi per la circolazione interna riguardano gli atri, le attese, la rete dei collegamenti orizzontali e la rete dei collegamenti verticali, anche variamente meccanizzate. Gli spazi per la circolazione esterna comprendono i cortili, le aree pedonali circostanti gli edifici, i giardini, i parcheggi. Non esistono regole per l’organizzazione delle mense, delle residenze universitarie e delle attività sportive-ricreative, ma è necessario che esse siano presenti in ogni ateneo e vengano preferibilmente distribuite in piccoli nuclei, che consentono maggiore facilità di gestione (e di autogestione) e una migliore controllabilità e integrazione. Esistono comunque in tutto il mondo esempi ai quali fare riferimento, specialmente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, dove è affermata un’organizzazione universitaria e complementare verso la quale si sta positivamente orientando l’intera Unione Europea.
Campus a circa 35 km dalla città per 12.000 studenti. Area totale 80 ettari. Schema edilizio longitudinale, di forma abbastanza libera, imperniato attorno a un nucleo principale nel quale sono ubicate l’amministrazione, la biblioteca, la mensa, la palestra e, all’ultimo piano, le attività seminariali. Le residenze sono fuori dal campus (ma nelle vicinanze) per vincoli urbanistici preesistenti. Questa sede si caratterizza per la forte concentrazione delle attività direzionali, culturali e ricreative e per la grande flessibilità delle parti destinate alla didattica e alla ricerca. Si tende a non distinguere gli spazi per facoltà e a praticare un uso molto intenso dei sussidi informatici e multimediali.
G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM
FIG. G.2.5./4 LIBERA UNIVERSITÀ DI BERLINO (prog. Candilis, Yosic, Woods)
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN
Piano organizzativo e di sviluppo in orizzontale di un insediamento semi-urbano da realizzare per parti. Il primo nucleo (in nero) riguarda 3600 studenti; la capacità complessiva potrà risultare di circa 12.000 studenti. Le espansioni possono avvenire in più direzioni. Il complesso è servito da strade carrabili e pedonali e da due stazioni della linea metropolitana.
G.6. ITÀ MOBIL
NALE 4. G.2. A DIREZIO M E T SIS 5. G.2. IAMENTI INSED RSIATRI E UNIV
G 27
G.3. 1.
URBANISTICA • REALTÀ TERRITORIALE GRANDE DIMENSIONE NOTE INTRODUTTIVE La dimensione fisica degli interventi urbanistici, di ricerca e progettuali, tende progressivamente a dilatarsi. Non è sufficiente occuparsi delle città, occorre allargare lo sguardo al contesto territoriale, indagare le correlazioni tra gli insediamenti, i rapporti tra le aree a diversi gradi di edificazione, le modalità di utilizzazione e poi, soprattutto, dare indicazioni per la razionalizzazione e il potenziamento del sistema infrastrutturale e per un’equilibrata distribuzione delle attività produttive e dei servizi. Prende così corpo da qualche decennio quel settore specifico della disciplina detto analisi e pianificazione territoriale. Ma la grande dimensione sulla quale operare non è una sola. Può trattarsi di: • un’area di più comuni contermini (territorio intercomunale geograficamente delimitato);
TRASFORMAZIONI PRODUTTIVE FIG. G.3.1./1
1
Alle trasformazioni del territorio contribuiscono in maniera determinante le trasformazioni produttive sia per lo specifico peso, sia per le mutazioni che inducono a loro volta. Le prime trasformazioni produttive, anche in ordine di tempo, sono state quelle agricole. Immense estensioni boschive e paludose sono state progressivamente conquistate e utilizzate in altro modo: in forme agricole primitive e poi sempre più evolute e specializzate, con creazione di nuove colture, nuovi accorpamenti fondiari, impegno di imponenti mezzi meccanici e capitali finanziari, istituzione di relazioni con le strutture di commercializzazione dei prodotti e i mercati. Alcune aree europee e americane beneficiate da condizioni colturali e climatiche speciali, hanno oggi la possibilità di produrre redditi ragguardevoli che niente hanno da invidiare ad altri settori produttivi.
2
AREE AGRICOLE
• un’area provinciale; • un’area regionale; 3
• l’intera area nazionale. Su ognuna di queste realtà possono compiersi operazioni specifiche che hanno esigenze sempre minori di dettaglio mano a mano che cresce la superficie considerata. Infatti, tutte le operazioni riguardanti problematiche di livello nazionale esprimono in norme e rappresentazioni cartografiche prescrizioni puramente orientative e simboliche; quelle di livello regionale sono anch’esse orientative, ma un po’ meno simboliche; quelle di livello provinciale hanno contenuti più concreti e spesso vincolanti; quelle comunali sono, invece, più espressive della realtà esistente e della volontà progettuale. Le scelte di scala dipendono da quanto si intende rappresentare ma, in via orientativa, si può dire che:
4
5
• le scale da 1:1.000.000 a 1:200.000 sono utili nelle rappresentazioni di livello nazionale; • le scale da 1:200.000 a 1:50.000 sono utili nelle rappresentazioni di livello regionale;
6
• le scale da 1:50.000 a 1:25.000 sono utili nelle rappresentazioni di livello provinciale; • le scale da 1:25.000 a 1:10.000 sono utili nelle rappresentazioni di livello intercomunale.
1. Ambito di pianura (50-150 m) caratterizzato da colture agricole specializzate e seminativi di carattere intensivo 2. Ambito di bassa collina (150-500 m) caratterizzato da colture agricole specializzate e seminativi. Con frequenti presenze arboree 3. Ambito di alta collina (500-900 m) caratterizzato da limitare colture agricole specializzate e rade coperture boschive prevalentemente a ceduo 4. Ambito di bassa montagna (900-1300 m) caratterizzato da pascoli e coperture boschive e arbustive 5. Ambito di media montagna (1300-1800 m) caratterizzato da coperture boschive di latifoglie e pascoli estivi 6. Ambito di alta montagna (1800 m e oltre) caratterizzato da coperture boschive a fogliame aghiforme, bassa vegetazione estiva e pascoli estivi 7. Ambito litoraneo (fino a 50 m) caratterizzato da costa sabbiosa e colture agricole retrostanti 8. Ambito litoraneo (fino a 50 m) caratterizzato da costa ghiaiosa-rocciosa medio-bassa e colture agricole retrostanti 9. Ambito litoraneo (fino a 100 m) caratterizzato da costa alta rocciosa e colture agricole retrostanti 10. Aree (all’interno di ambiti) interessate da concentrazioni edilizie e infrastrutturali 11. Aree lacustri, lagune ecc. (all’interno di ambiti)
HABITAT RURALE 7
8
L’habitat rurale è solitamente un habitat sparso “a dispersione intercalare” (secondo P. George) in relazione alle colture e quindi alle esigenze delle aziende come, ad esempio, nelle pianure Padana e Pontina, nel Metaponto, in Puglia, in varie aree dell’Europa centrale. Ma esiste anche un habitat raggruppato in piccoli nuclei o in autentiche città rurali come in gran parte di Sicilia Puglia, Calabria, Sardegna. Nel primo caso si formano sistemi di rapporti tra fattorie (o casali o masserie) e centri di riferimento dove sono concentrati i servizi sociali, amministrativi e commerciali. Nel secondo caso le abitazioni tendono a serrarsi in insediamenti di una certa consistenza, dove si sviluppano intensi rapporti di vita collettiva, lasciando sul fondo solo piccoli ricoveri provvisori per gli attrezzi da lavoro e i raccolti. Le tipologie edilizie delle città rurali sono abbastanza varie, ma molto semplici: case a schiera, in linea, a corte dove domina l’essenzialità. Le reti stradali locali variano per consistenza e forma: sono a maglia radiocentrica quando dal centro si irradiano verso la campagna e a maglia reticolare tendenzialmente ortogonale quando servono ampie aree pianeggianti punteggiate da fattorie.
9
RELAZIONI CITTÀ-CAMPAGNA 10
11
NOTA: L’identificazione e classificazione di ambiti territoriali omogenei può portare, in una fase di maggiore approfondimento, anche all’identificazione di paesaggi unitari nei quali si riscontra una omogeneità non solo geomorfologica e vegetazionale, ma anche storico-culturale nel senso più completo.
G 28
Le attività agricole impegnano vaste porzioni del territorio in ogni regione d’Italia. Ma se esse esprimono ancora la base materiale della produzione, così come nei secoli passati, ora si avvalgono di tecniche in continua evoluzione, con modificazioni di organizzazione e di immagine rapidissime. Nessun paesaggio come quello agricolo muta tanto in fretta, anche se le sue trasformazioni sono apparentemente meno vistose di quelle urbane. I paesi dell’Europa centro-meridionale, con inverni miti e abbondante vegetazione erbacea e arborea, sono i più adatti alla coltivazione di prati, vigneti, frutteti, in relazione all’altitudine. I problemi di una certa consistenza derivano, in generale, dall’aridità estiva, mitigata un po’ ovunque da sistemi di irrigazione sempre più evoluti. Occorre però avere presente che il suolo è uno strato mobile poggiato su strati fissi sottostanti suscettibile di notevoli modificazioni per fenomeni naturali e per interventi umani diretti e indiretti. Irrazionali interventi umani, anche a distanza, comportano spesso il rapido degrado di suoli un tempo fertilissimi. È il caso, ad esempio, di numerose aree collinari soggette a fenomeni di dilavamento per effetto di disboscamenti montani e di modificazioni del sistema idrico superficiale. Le modificazioni possono essere anche positive e consistere in operazioni di arricchimento dei componenti minerali, di drenaggio, di rimboschimento, di protezione dagli agenti atmosferici nocivi, di ammodernamento delle tecniche colturali. Tenendo conto della giacitura dei suoli, della loro consistenza e della disponibilità dei mezzi meccanici da impiegare è possibile promuovere lo sviluppo di coltivazioni sempre più idonee, anche sotto il profilo economico-produttivo.
Le relazioni tra città e campagna sono determinate, in Italia e in tutta l’Europa centro-meridionale, da meccanismi di mercato abbastanza evoluti conseguenti alla necessità di soddisfare le esigenze dei consumatori urbani che i produttori agricoli debbono interpretare al meglio e possibilmente anticipare con il variare della domanda. Ne conseguono continui spostamenti di merci versi i centri di raccolta e i mercati e di prodotti e attrezzature dall’industria al territorio agricolo. È quindi essenziale la presenza di una rete infrastrutturale e di servizio di grande efficienza che consenta in tempi rapidissimi ogni movimento. Attualmente molti collegamenti tra centri di raccolta e mercati avvengono anche per via aerea. Il territorio agricolo, specialmente nelle aree più produttive, muta frequentemente aspetto. È ormai consueto incontrare vaste estensioni di serre intercalate da centri di raccolta e depositi. Anche le colture specifiche (agrumeti, frutteti, vigneti) variano frequentemente con il variare della domanda.
URBANISTICA • REALTÀ TERRITORIALE GRANDE DIMENSIONE
G.3. 1. A.ZIONI
TURISMO Il turismo, tipica attività del tempo libero con finalità ricreative e culturali, ha assunto, dall’ultimo dopoguerra in poi, dimensioni quantitative sempre più rilevanti. Si parla infatti frequentemente di turismo di massa in contrapposizione al turismo individuale sempre più limitato. Si distinguono, al suo interno, forme specifiche di turismo per classi di età (giovani, anziani ecc.) o per interesse (le città d’arte, il mare, la montagna, il termalismo, i parchi naturali ecc.). I riflessi del turismo sul territorio sono evidenti, soprattutto nei luoghi che, per l’imponenza dei flussi, tendono a trasformarsi profondamente. Esempio tipico la riviera emiliana-romagnola.
Il turismo stimola molte attività: la ricezione, la ristorazione, il commercio, lo sport e, soprattutto, la formazione di numerosi insediamenti stagionali. Ma il consumo turistico può incidere in maniera molto negativa e a volte irreparabile sul territorio. Occorre quindi indirizzare chiaramente le azioni degli operatori attraverso strumentazioni urbanistiche regionali e locali molto precise e azioni educative (che non escludano quelle repressive degli abusi) rivolte alla generalità dei cittadini e, specialmente, ai giovani più sensibili alle esigenze di rispetto della natura.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
REQUISITI DEI MODELLI INSEDIATIVI I modelli insediativi turistici, a qualsiasi localizzazione si riferiscano (mare, montagna, collina) debbono rispondere ad alcuni requisiti fondamentali: • massima compenetrazione con l’ambiente naturale circostante; • rispetto e valorizzazione dell’ambiente storico tradizionale (edilizio, agricolo ecc.); • configurazione formale d’insieme chiaramente leggibile e apprezzabile; • prefigurazione dei singoli manufatti che assicuri un buon uso generalizzato dei materiali locali e la qualità delle caratteristiche costruttive; • adeguata dotazione di servizi, verde e parcheggi; • integrazione funzionale e socio-economica con le realtà insediative preesistenti (paesi e borghi) in modo che queste assumano la funzione di centri di servizio o di poli di appoggio; • collegamenti reticolari con le infrastrutture territoriali (viarie, ferroviarie ecc.) tendenti a limitare gli inutili addensamenti stagionali e i danni che ne derivano.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
TIPOLOGIE EDILIZIE L’albergo è la tipologia edilizia tradizionalmente più nota, specialmente nelle aree di grande e consolidato richiamo turistico (località famose, città d’arte, centri termali). Esso tende attualmente a evolvere, specialmente nelle regioni meridionali, verso forme di albergo-villaggio dove trova risposta una domanda varia e meno mirata a specifici obiettivi. Un albergo-villaggio può assumere configurazioni diverse e flessibili ed essere dotato di numerose attrezzature sportive e di svago. Anche il motel, tipica attrezzatura del turismo di transito, è una forma derivata dall’albergo tradizionale. La residenza unifamiliare stagionale, tipologia notissima del turismo otto-
centesco e post-ottocentesco ma ancora largamente diffusa, tende a evolvere verso soluzioni dimensionalmente ridotte e perfino minime che consentano costi di gestione ragionevoli e possibilmente consortili. Tra le sue nuove forme il residence o casa-albergo, insieme di minialloggi offerti solo in affitto. Il campeggio è una tipologia attualmente molto diffusa in tutte le sue varietà (posti per tende, roulotte, bungalow e aggregazioni miste), adatta specialmente a soddisfare le esigenze del turismo giovanile di massa. Da queste tipologie ne derivano molte altre come le case per ferie aziendali, gli ostelli per la gioventù, i rifugi montani, le colonie marine e montane e altre ancora.
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
TURISMO COSTIERO Per quanto riguarda la fascia costiera occorre individuare dei modelli che rispondano alla duplice esigenza dell’uso e della conservazione della realtà ambientale, limitandone il più possibile il consumo. L’edificazione permanente deve sempre arrestarsi a ragguardevole distanza dalla linea di costa (oltre i 300 m). Le strade non debbono essere troppo invadenti, snodarsi con discrezione, avvicinarsi al litorale trasversalmente e arrestarsi in zone retrodunali. Importanti poi le operazioni di arricchimento del verde, mediante piantagioni arboree e arbustive climaticamente idonee, l’inerbimento delle scarpate e degli spazi brulli. Esistono attualmente efficaci sistemi di inerbimento realizzabili con l’impiego di leguminose e graminacee, anche con funzione preparatoria quando il terreno sia particolarmente povero. Il punto di arrivo di ogni strada deve consistere in uno slargo sufficientemente ampio per consentire l’inversione del senso di marcia ai veico-
li e discrete possibilità di parcheggio. Le attrezzature ricettive e ricreative ammissibili in prossimità di questi slarghi e della costa sono i campeggi, i villaggi costituiti da bungalow e simili, i piccoli centri di ristoro, gli impianti sportivi. Anche le attrezzature balneari vere e proprie debbono sorgere a discreta distanza dal mare (non meno di 100 m), avere carattere provvisorio e non distruggere i cordoni dunosi. L’edificazione permanente (villini, alberghi e simili) può assumere varie configurazioni progettuali, ma è opportuno che trovi forme di coagulazione in piccoli nuclei intercalati da ampie zone di verde. Più complesso l’intervento dove la costa marina è alta e rocciosa. Qui le visuali, da terra e dal mare, sono sempre molto suggestive e, per effetto della molteplicità dei punti di vista, meritano di essere tutelate con grande attenzione. Inoltre, non di rado, le coste rocciose hanno alla loro base
scogli, grotte, isolotti, archi naturali che entrano a far parte di un insieme di grande pregio ambientale. L’edificazione permanente deve non solo arrestarsi ad adeguata distanza dal mare, ma non interferire con il paesaggio costiero. In pochi rari casi possono ammettersi “nuovi segni” di grande qualità architettonica che entrino nel disegno generale per arricchirlo. La costa alta deve essere protetta anche lungo il bordo marino circostante, a causa delle sue caratteristiche fisiche (piccole e grandi anfrattuosità, cavità subacquee, profondità delle acque), habitat ideale per molte specie animali, pesci e uccelli, e luogo di sviluppo di una particolare flora. In qualche caso è opportuno creare veri e propri parchi marini ottimi serbatoi ittici per l’arricchimento delle acque circostanti. L’uso e il godimento delle coste alte e rocciose può essere assicurato da sentieri, scalette e piccoli slarghi belvedere opportunamente localizzati.
G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
TURISMO MONTANO E COLLINARE Per quanto riguarda le aree montane occorre notare che esse oltre i 1.000-1.200 m di altitudine, non hanno vocazione residenziale per motivi climatici, pratici e ambientali. Anche la residenzialità stagionale dovrebbe arrestarsi a queste altitudini proiettando più in alto solo poche attrezzature di supporto. La progettazione delle strade richiede, a sua volta, scelte oculate che evitino ogni violenza al modellamento dei rilievi nonché alla vita vegetale e animale; strade che abbiano come obiettivo l’avvicinamento progressivo, abbastanza lento, dagli insediamenti di fondovalle a quelli di altura. Come è noto, le strade di montagna richiedono opere continue e ragguardevoli di manutenzione, quindi la scelta dei tracciati deve tener conto della consistenza dei terreni, della possibilità di consolidamento stabile delle scarpate, dei pericoli di smottamenti e frane. Le strade di montagna richiedono anche piccoli ma importanti accorgimenti di segnalazione, come la collocazione ai bordi di speciali catarifrangenti obliqui capaci di riflettere la luce dei veicoli all’esterno, migliorare le condizioni di percorribilità serale e notturna, tenere lontani gli animali. Lungo questi percorsi non debbono mancare i punti di sosta abbastanza frequenti anche con funzione di belvedere. L’area di arrivo deve poi presentarsi come nodo conclusivo della rete automobilistica e area di scambio con il traffico pedonale locale e gli itinerari escursionistici
diretti alle zone più elevate. Qui non debbono mai mancare un’area attrezzata per il picnic un centro di ristoro e, eventualmente, una attrezzatura di pernottamento. Gli insediamenti turistici montani possono essere di due tipi: tendenti al recupero di vecchi nuclei abbandonati o semi-abbandonati, oppure di nuova edificazione. Considerando l’abbondanza dei primi, non c’è dubbio che la soluzione del recupero sia quella da preferirsi, anche se le opere da realizzare per il consolidamento e l’ammodernamento funzionale degli edifici non sono poche. I nuclei integralmente nuovi debbono essere localizzati in base a parametri oggettivi ambientali molto chiari: giacitura dei versanti soleggiamento, vegetazione, connessioni con il territorio, possibilità di smaltimento dei rifiuti ecc. Le aree della media e bassa collina sono da sempre quelle a più alta vocazione residenziale, anche turistica. Spesso vengono riutilizzati i vecchi edifici agricoli, specialmente nelle regioni dell’Italia centrale; altre volte si realizzano apposite lottizzazioni in prossimità di laghi, boschi e altre attrattive. Da qualche decennio si vanno diffondendo, nelle aree di bassa collina, iniziative nuove e complesse, specialmente a poca distanza dalle città: quelle dei campi-golf con annessa club-house o veri e propri centri residenziali, adatti per brevi soggiorni di vacanza e week-end.
E SION 1. G.3. DE DIMEN N A R G
G 29
G.3. 2.
URBANISTICA • REALTÀ TERRITORIALE DIFESA DEL SUOLO E AREE PROTETTE DIFESA DEL SUOLO Il territorio ha anzitutto necessità di essere difeso da azioni irrazionali, disordinate e speculative che possano mettere a repentaglio i suoi equilibri, fino a provocare veri e propri dissesti. Le azioni umane di trasformazione per essere compatibili debbono prendere in considerazione: • la configurazione geografica naturale unitaria di un ambito (bacino idrografico e aree di appartenenza); • gli usi del suolo nei vari sub-ambiti e la loro coerenza di rapporti a monte e a valle; • la temporalità e reciproca congruenza degli interventi di trasformazione; • la possibilità di coinvolgimento diretto e indiretto delle popolazioni residenti alle quali sono affidate gran parte delle indispensabili azioni di tutela. La difesa del suolo dai dissesti si attua specialmente nelle aree collinari e montane dove si concentra circa il 70% delle precipitazioni atmosferiche, dove i disboscamenti (recenti e di vecchia data) e il progressivo decremento delle popolazioni stabili ( che garantivano la manutenzione dei boschi e dei percorsi fluviali) hanno creato situazioni di notevole instabilità che si riflettono anche a valle in forme sempre più preoccupanti. La presenza dei boschi nelle aree collinari e montane aumenta il coefficiente di ritenuta dei terreni e diminuisce, di conseguenza, i pericoli di erosioni, frane, inondazioni. Altrettanto importanti sono: la regimentazione delle acque superficiali, la sistema-
zione delle pendici, il libero deflusso dei trasporti solidi (onde evitare i pericoli di esondazioni non previste), i margini di rispetto dell’edificazione dalle sponde dei fiumi anche a valle. Assai negativo l’addensarsi nelle zone di pianura di impianti industriali e artigianali lungo gli alvei fluviali e la realizzazione di assi stradali che, per le loro caratteristiche tecniche, possono costituire vere e proprie barriere al deflusso delle acque piovane. Anche i terreni litoranei hanno necessità di difesa, soprattutto dai fenomeni di erosione. A questo proposito occorre evidenziare la fondamentale azione di difesa svolta dai cordoni di dune, per merito della loro configurazione e del loro povero ma robusto manto vegetale. La impressionante distruzione delle dune è la causa certa di tanti dissesti registrati lungo le coste italiane. Pure le opere marittime (porti, moli, dighe anche di modesta entità), quando mancano attenti studi sulle correnti e più in generale di ingegneria idraulica, possono risultare assai dannose. Occorre infine rammentare che è quasi sempre sconsigliabile l’integrale bonifica delle aree costiere sottostanti il livello del mare (lagune, valli, paludi) per la loro azione di equilibrio dei fenomeni idraulici e, anche, per il valore ecologico che rappresentano. La legge n.183 del 1989 detta le norme per la difesa del suolo.
AREE PROTETTE Tutti gli Stati sentono la necessità di tutelare ampie aree verdi e di incrementarle progressivamente nel quadro di una equilibrata organizzazione delle risorse e di indispensabili operazioni di miglioramento delle condizioni di vita. La maggior parte dei paesi dispone di una rete di spazi tutelati in varie forme: parchi nazionali e regionali, riserve orientate, oasi, rifugi ecc.
È convincimento generale che i più pregevoli ambienti naturali, anche di grandi estensioni, debbano essere tutelati e valorizzati nel loro insieme, come mondo vivente, con finalità non solo ecologiche ma economiche, sociali, culturali. Ne consegue, l’istituzione di numerose aree protette di varia dimensione e denominazione, in tutto il mondo. Ogni paese mette a punto apposite norme.
Esiste una lista ufficiale delle aree protette compilata con criteri di grande scientificità e precisione, per conto delle Nazioni Unite, dall’UICN (Unione internazionale per la conservazione della natura). Il CNR ha redatto, a suo tempo, l’inventario dei “biotopi”, cioè degli ambienti che occorre in ogni caso conservare.
PARCHI NAZIONALI E RISERVE NATURALI I parchi nazionali e regionali nonché le riserve sono “aree di eccezionale importanza e complessità naturalistica, di vasta estensione, rappresentative di ambienti unici o tipici di un certo territorio, famosi anche per la presenza di particolari entità e associazioni vegetali e animali”. All’interno di un parco possono esistere insediamenti umani e svolgersi attività economiche, purché in armonia con le finalità dell’istituzione. I parchi nazionali italiani considerati “storici” sono quelli del Gran Paradiso, dello Stelvio, d’Abruzzo, del Circeo. Oggi il loro numero è notevolmente aumentato e continua a evolvere positivamente anche nell’organizzazione e nei contenuti. Tra i parchi regionali e le riserve occorre citare almeno quelli di Migliarino-S.Rossore, dell’Uccellina, della Mandria, del Ticino. Il più antico parco nazionale, quello di Yellowstone, è stato istituito negli Stati Uniti nel 1872. Un parco costituisce la testimonianza più significativa dell’impegno di un paese per la tutela dell’integrità di un ambiente naturale di pregio ed estensione, dei “monumenti naturali” in esso contenuti, della flora e della fauna tipiche, degli interessi scientifici che può stimolare.
Attenzione particolare deve essere riservata anche alle zone umide, molte di importanza internazionale, tutelate dalla Convenzione di Ramsar (1971). Tra queste il Delta del Po, la Laguna di Orbetello e il Lago di Burano, la parte lacustre del Parco del Circeo, le Saline di Margherita di Savoia. Tra le aree sottoposte a tutela esistono anche i parchi marini, zone costiere di particolare pregio da conservare unitamente alla fascia marittima antistante. Si ottengono così anche preziosi serbatoi di ripopolamento della fauna ittica, molto utili per l’incremento produttivo delle zone circostanti. Tali parchi andrebbero poi attrezzati (così come avviene in Giappone, Stati Uniti ecc.) con osservatori sottomarini fruibili dai visitatori e laboratori di ricerca scientifica. Tutti i parchi (terrestri e marini) dovrebbero essere assoggettati, in sede progettuale, a vari gradi di vincolo. Partendo da quello più debole (aree a uso turistico-didattico accessibili a tutti) si dovrebbe passare attraverso aree di ricerca sperimentale ad accesso limitato e poi a quelle di protezione integrale accessibili solo agli studiosi e agli addetti alla manutenzione, dove sia limitata al massimo la possibilità di degrado e inquinamento.
PIANO DI BACINO Il piano di bacino è individuato, con accurata precisione, dalla Legge n.183/1989 riguardante la difesa del suolo. Successivi decreti ne hanno precisato le caratteristiche e l’iter. Esso consiste in un quadro conoscitivo completo della realtà fisica di ciascun bacino fluviale (Po, Adige, Arno, Tevere ecc.) e delle utilizzazioni compatibili ai fini della salvaguardia idrogeologica. Dovrebbe sempre precedere la pianificazione territoriale e urbanistica, ma tale fondamentale metodica è ancora largamente inapplicata. FIG. G.3.2./1 LIMITE DELLE ATTREZZATURE FISSE PER RESIDENZE O ALTRO
(SPAZI RETRODUNALI DA ALBERARE)
LIMITE DELLE ATTREZZATURE MOBILI BALNEARI
LIMITE DELLE ATTREZZATURE SEMIFISSE PER RISTORO, SPORT, TEMPO LIBERO E PER PARCHEGGI
(ARENILE E SPAZI DUNALI)
100 m
200 m
200 m 500 m
G 30
URBANISTICA • NORME E VINCOLI CATEGORIE DI NORME E VINCOLI
G.4. 1. A.ZIONI
VINCOLI ATTIVI E PASSIVI Gli interventi che vengono esercitati sul territorio sono sempre più spesso di natura prescrittiva-vincolistica, conseguenza di leggi e norme. Anche gli interventi di pianificazione rientrano in questo vasto ambito, ma per le loro particolari caratteristiche è opportuno trattarli separatamente. Qui è invece utile richiamare alcune azioni strettamente connesse a norme e vincoli e raggruppabili in tre categorie: • difesa del suolo; • protezione delle aree di particolare pregio naturalistico; • vincoli specifici. Le ultime azioni elencate (vincoli specifici) sono determinate da apposite norme di carattere attivo e passivo. Sono vincoli attivi quelli espressi tramite sollecitazioni a condurre azioni utili per il raggiungimento di finalità positive. Sono vincoli passivi quelli espressi tramite divieti. TAB. G.4.1/1 ZONE DI RISPETTO INEDIFICABILITÀ
DISTACCO MINIMO
PROVVEDIMENTI DI REGOLAMENTAZIONE
dai cimiteri
200 m nei comuni con popolazione fino a 20.000 abitanti
DPR n.285/1990 e leggi sanitarie varie
dalle autostrade
60 m dal ciglio
dalle strade di grande comunicazione
40 m dal ciglio
dalle strade di media importanza (sede = 10,50 m)
30 m dal ciglio
dalle strade di interesse locale
20 m dal ciglio
dalle linee ferroviarie, urbane e simili
30 m dalla rotaia 6 m dalla rotaia
DM n.1404/1968
DPR n.753/1980
VINCOLI IDROGEOLOGICI I vincoli idrogeologici riguardano aree da tutelare per motivi di difesa del suolo. Vengono imposti in base alla legge n.3267 del 1923 e indicati su tavole in scala 1:25.000. Nelle aree sottoposte a tali vincoli qualunque trasformazione è subordinata all’autorizzazione della Regione, previo parere del Corpo Forestale dello Stato.
VINCOLI MONUMENTALI
VINCOLI PAESAGGISTICI I vincoli paesaggistici riguardano bellezze singole e d’insieme per le quali è vietato ogni intervento di trasformazione in base alla legge n.1497 del 1939. Eventuali autorizzazioni possono essere date dalla Regione in forza della delega derivante dall’art.82 del DPR n.616 del 1977. Sulle aree vincolate debbono intervenire i piani paesistici, regolando nello specifico le limitazioni derivanti dall’apposizione del vincolo. Occorre tuttavia aggiungere che su questa questione è intervenuta successivamente, con grande peso, la legge n.431 del 1985 (nota come legge Galasso). Essa, fin dall’art. l, elenca una serie di aree paesaggisticamente rilevanti, da considerare vincolate a priori: • le zone costiere dei mari e dei laghi comprese in una fascia di 300 m dalla battigia; • le sponde dei fiumi, dei torrenti e di tutti i corsi d’acqua ufficialmente riconosciuti per una fascia di 150 m per parte; • le montagne della catena alpina oltre i 1600 m e quelle della catena appenninica e delle isole oltre i 1200 m; • i ghiacciai e i circhi glaciali; • i parchi e le riserve nazionali e regionali; • i territori ricoperti da foreste e boschi (anche se danneggiati dal fuoco); • le aree gravate da usi civici e quelle assegnate alle università agrarie; • le zone umide previste dal DPR n.448 del 1976; • le aree di interesse archeologico. Appositi piani paesistici debbono definire specificatamente le caratteristiche dei vincoli. Tuttavia, considerata l’estensione delle aree in questione, la legge stessa suggerisce che le Regioni elaborino i propri piani territoriali attribuendo loro anche valenza paesistica. In assenza di piano ogni intervento in zona vincolata deve essere appositamente autorizzato. Come è evidente, questa legge tende a portare il concetto di tutela del paesaggio nell’ambito della pianificazione territoriale-urbanistica, pur non escludendo la possibilità di apporre vincoli con le procedure della legge n.1497 del 1939, l’unica che in questo campo consenta anche operazioni di esproprio (trattandosi di procedimento che rispetta, come d’obbligo, gli interessi dei proprietari).
STANDARD URBANISTICI MINIMI Il DM n.1444 del 1968 (in applicazione della legge n.765 del 1967 a sua volta integrativa della legge generale urbanistica del 1942) ha precisato le quantità minime di aree da destinare alle fondamentali attività di interesse pubblico all’interno dei piani regolatori. Tali rapporti (mq/ab.) detti standard urbanistici minimi sono stati calcolati in modo da assicurare la dotazione di 18 mq/ab, così ripartiti: • 4,50 mq/ab di aree per l’istruzione materna e dell’obbligo; • 2,00 mq/ab di aree per attrezzature di interesse comune (sanitarie, culturali, amministrative, religiose ecc. a livello di quartiere); • 9,00 mq/ab di aree per verde pubblico e sport (escluso il verde di completamento della viabilità); • 2,50 mq/ab di aree per parcheggi pubblici (in aggiunta a quelli previsti da altre norme).
I vincoli monumentali riguardano immobili di vario tipo, compresi parchi, ville e giardini di interesse storico-monumentale, per i quali ogni intervento è sottoposto all’autorizzazione del Min. dei Beni Culturali e Ambientali in base alla legge n.1089 del 1939.
Ma queste quantità, che Regioni e Comuni hanno la possibilità di incrementare, risultano piuttosto esigue rispetto alle effettive esigenze. Il citato DM n.1444 fornisce anche indicazioni molto elastiche per aree già edificate e piccoli Comuni. Stabilisce inoltre che nei nuovi insediamenti produttivi industriali le aree da destinare a standard non possano essere inferiori al 10% dell’area totale. Qui si presume che esse siano riservate prevalentemente ai parcheggi pubblici e al verde.
SERVITÙ MILITARI
OPERE DI URBANIZZAZIONE PRIMARIA E SECONDARIA
Le servitù militari sono regolate dalla legge n.898 del 1976. Essa stabilisce che, in vicinanza delle opere e delle installazioni militari, il diritto di proprietà possa essere soggetto a varie limitazioni, per la durata di cinque anni, salvo proroghe.
Si definiscono opere di urbanizzazione l’insieme dei lavori necessari a rendere un’area inedificata idonea all’utilizzazione prevista dal piano regolatore. Esse si suddividono in opere di urbanizzazione primaria (art.4 della legge n.847 del 1964 e successive integrazioni) e opere di urbanizzazione secondaria (art.44 delle legge n.865 del 1971).
VINCOLI DI SALVAGUARDIA
Sono opere di urbanizzazione primaria: • le strade locali comprese le aree di sosta e di parcheggio; • le reti idrica, fognante, elettrica, del gas e relativi allacciamenti; • i piccoli spazi di verde attrezzato.
I vincoli di salvaguardia si applicano agli strumenti urbanistici “in itinere”, adottati ma non ancora definitivamente approvati. Essi entrano in vigore dalla data di adozione del piano. Consistono in una serie di divieti alla modificazione dello stato di fatto e variano secondo il tipo di piano e la legge di riferimento. In generale hanno la durata massima di 3/5 anni.
VINCOLI URBANISTICI E LORO DECADENZA La legge n.1187 del 1968 stabilisce che i vincoli urbanistici preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità totale delle aree siano applicabili solo per cinque anni dall’approvazione del piano regolatore, nel caso non siano stati redatti i relativi strumenti esecutivi. Tali disposizioni sono state più volte confermate in varie sedi giurisprudenziali amministrative (Consiglio di Stato, TAR). I Comuni sono ricorsi frequentemente a deliberazioni di “conferma” dei vincoli con procedure simili a quelle di approvazione dei piani.
Sono opere di urbanizzazione secondaria: • gli asili nido, le scuole materne, le scuole dell’obbligo; • i mercati rionali; • le parrocchie; • gli impianti sportivi; • il verde di quartiere; • altre opere per attività ricreative, culturali e amministrative sempre di carattere locale. Gli oneri relativi vengono normalmente suddivisi, in sede di convenzione, tra gli operatori promotori dell’intervento e il Comune. Ai primi spettano generalmente per intero gli oneri di urbanizzazione primaria e una quota di quelli di urbanizzazione secondaria.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
LO 2. G.3. DEL SUO A E DIFES PROTETT E E ARE 1. G.4. ORIE DI LI CATEG E E VINCO NORM
G 31
G.4. 2.
URBANISTICA • NORME E VINCOLI TIPI DI REGOLAMENTI REGOLAMENTI E NORME TECNICHE TAB. G.4.2./1 VINCOLI PASSIVI DI VARIA NATURA OGGETTO
AUTORIZZAZIONE LAVORI
LEGGE n.3267/1923 e successive modificazioni
Regione, previo parere del Corpo Forestale dello Stato
Idrogeologico
terreni di qualsiasi natura per motivi di difesa del suolo
Monumentale
immobili, compresi ville, parchi, giardini e simili
n.1089/1939
Ministero Beni Culturali e Ambientali e Soprintendenza competente
Paesaggistico
bellezze naturali singole e d’insieme, visuali panoramiche, fasce costiere marittime e dei laghi, montagne (oltre 1200-1600 m), boschi, ghiacciai, parchi e riserve nazionali e regionali, aree gravate da usi civici, zone umide, vulcani, aree archeologiche
n.1497/1939 n.431/1985
Regione
Militare (servitù)
aree adiacenti a installazioni di difesa
n.898/1976
Autorità militare competente
REGOLAMENTO D’IGIENE
REGOLAMENTO EDILIZIO
Si tratta della prima forma di regolamentazione urbanistica introdotta da quasi tutti gli Stati italiani, anteriormente all’Unità. Il Regolamento d’igiene post-unitario ancora vigente, anche se più volte modificato e integrato, è stato emanato con RD n.45 del 1901. Norme aggiuntive sono previste dalle leggi sanitarie del 1934 (TU delle leggi sanitarie) e dalle disposizioni di polizia veterinaria. Con DPR n.2 del 1972 sono state trasferite alle Regioni a statuto ordinario numerose funzioni in materia di igiene e sanità.
Il Regolamento edilizio contiene tutte le norme che regolano l’attività edilizia in ambito comunale. È un allegato essenziale del piano regolatore. In passato era il documento obbligatorio per tutti i Comuni, anche in assenza di piano regolatore. Il Regolamento edilizio elenca dettagliatamente gli interventi ammissibili, le documentazioni richieste per i vari adempimenti, le modalità di svolgimento dei medesimi, la composizione della Commissione Edilizia, le condizioni di rilascio delle concessioni e autorizzazioni, i criteri di conduzione dei lavori, lo svolgimento dei controlli e altro ancora.
NORME TECNICHE DI ATTUAZIONE Le Norme tecniche di attuazione (NTA) accompagnano obbligatoriamente ogni piano regolatore generale ed esecutivo. Si tratta delle disposizioni previste per disciplinare accuratamente l’attuazione di ciascun piano: un insieme di vincoli attivi e passivi che l’ente pianificatore (generalmente il Comune) detta agli operatori pubblici e privati. Il tutto è previsto dalla legge generale urbanistica n.1150 del 1942, dalla legge (integrativa della precedente) n.1187 del
1968 e da leggi specifiche inerenti varie tipologie di piani esecutivi. Anche le leggi urbanistiche regionali confermano l’obbligatorietà delle NTA delle quali riportano, a volte, un dettagliato sommario. È ormai opinione diffusa che le NTA non debbano essere troppo rigide e, pur tutelando le esigenze inderogabili, possano offrire qualche margine di flessibilità interpretativa.
NORME TECNICHE DI ATTUAZIONE DI UN PRG (sommario indicativo) TITOLO I – DISPOSIZIONI GENERALI art.1. Estensione del PRG e finalità delle norme art.2. Elementi costitutivi del PRG art.3. Attuazione del PRG art.4. Trasformazioni urbanistiche ed edilizie art.5. Edificabilità, opere di urbanizzazione, convenzioni art.6. Indici urbanistici-edilizi e altri elementi di riferimento art.7. Distacchi tra fabbricati art.8. Zonizzazione funzionale TITOLO II – ZONE PREVALENTEMENTE RESIDENZIALI art.9. Zone A art.10. Zone B2 art.12. Zone B3 art.13. Zone B4 art.14. Zone B5 art.15. Zone C1 art.16. Zone C2 art.17. Zone C3 TITOLO III – ZONE PRODUTTIVE art.18. Zone D1 art.19. Zone D2 art.20. Zone E TITOLO IV – ZONE PER ATTREZZATURE, SERVIZI E DIREZIONALITÀ art.21. Zone F1 art.22. Zone F2 art.23. Zone F3 art.24. Zone F4 art.25. Zone F5 art.26. Zone F6 art.27. Zone F7 art.28. Zone F8 TITOLO V – ALTRE DISPOSIZIONI art.29. Standard urbanistici art.30. Standard urbanistici integrativi art.31. Parcheggi privati
G 32
art.32. art.33. art.34. art.35. art.36. art.37.
Edilizia economica e popolare Sistemazioni esterne e completamenti dei fabbricati Nuovi impianti arborei Viabilità Aree sottoposte a vincoli speciali Aree per uso della protezione civile
art.38. art.39. art.40.
Riclassificazione delle aree Interventi nelle frazioni Difformità e deroghe
N.B. Il numero delle zone A, B, C, D, E, F varia con il variare delle situazioni effettive.
FIG. G.4.2./1 QUADRO DEI TIPI EDILIZI (le volumetrie definitive si devono ricavare dal valore inferiore risultante dai diversi calcoli) QUADRO DEI TIPI EDILIZI DA ALLEGARE ALLE NORME TECNICHE (esemplificazione indicativa) TIPO
TORRE BLOCCO
LINEA
L = lotto (superficie totale)
LINEA
SCHIERA
ISOLATA
L min = mq... (strada)
Sc max (superficie coperta)
1/6 L
1/3 L
1/2 L
1/3 L
1/4 L
1/8 L
Hmax
30 m
15 m
18 m
15 m
7m
7m
10
5
6
5
2
2
Ds min (distacco confini interni)
12 m
0m
0m
8m
10 m
10 m
Dc min (distacco confini interni)
12 m
8m
20 m
10 m
10 m
10 m
5 mc/mq
5 mc/mq
6 mc/mq
4 mc/mq
1,8 mc/mq
0,8 mc/mq
Pn max (piani fuori terra)
If max (indice fondiario)
NOTE
0 m sui fronti laterali di tipologie in linea
URBANISTICA • NORME E VINCOLI TIPI DI REGOLAMENTI
A.ZIONI
REGOLAMENTO EDILIZIO COMUNALE (sommario indicativo) CAPITOLO I – NORME PRELIMINARI art.1 art.2 art.3 art.4 art.5 art.6 art.7 art.8
Contenuto e ambito del Regolamento edilizio Definizioni Parametri urbanistici e edilizi Opere soggette a concessione Opere soggette ad autorizzazione Opere e lavori eseguibili senza concessione o autorizzazione Opere e lavori eseguibili d’urgenza Contributi per il rilascio della concessione e destinazione dei proventi
CAPITOLO II – COMMISSIONE URBANISTICO–EDILIZIA art.9 art.10 art.11
Composizione della Commissione Urbanistico-Edilizia Compiti della Commissione Urbanistico-Edilizia Funzionamento della Commissione Urbanistico-Edilizia ed eventuali Sottocommissioni
CAPITOLO III – RICHIESTA E ISTRUTTORIA DELLA CONCESSIONE E DELL’AUTORIZZAZIONE art.12 art.13 art.14 art.15 art.16 art.17 art.18 art.19
Richiesta di concessione Documenti a corredo della domanda di concessione Richiesta di autorizzazione Presentazione e accettazione della domanda Istruttoria preliminare della domanda Istruttoria delle domande di concessione o autorizzazione Lavori eseguibili senza progetto Parere preliminare su progetti di massima
CAPITOLO IV – RILASCIO, CONDIZIONI E VALIDITÀ DELLA CONCESSIONE E DELL’AUTORIZZAZIONE art.20 art.21 art.22 art.23 art.24 art.25 art.26 art.27
Rilascio della concessione Efficacia e validità della concessione Decadenza, rinnovo e revoca della concessione Deroghe Autorizzazione Decadenza, rinnovo e revoca dell’autorizzazione Varianti al progetto approvato, oggetto di concessione o autorizzazione Ricorso del richiedente al TAR
CAPITOLO V – ESECUZIONE DELLE CONCESSIONI art.28 art.29 art.30 art.31 art.32 art.33 art.34
Inizio dei lavori e formalità da esperire Controllo comunale sulla esecuzione dei lavori Campionature delle tinte e dei rivestimenti Interruzione dei lavori Ultimazione del rustico e dei lavori Inadempienza delle disposizioni regolamentari Autorizzazione di abitabilità e di agibilità
CAPITOLO VI – GARANZIE DELLA PUBBLICA INCOLUMITÀ art.35 art.36 art.37 art.38
Segnalazione, recinzione e illuminazione della zona dei lavori Scarico e trasporto dei materiali, pulizia dei cantieri e delle loro adiacenze Responsabilità degli esecutori di opere Rimozione delle recinzioni su suolo pubblico e obblighi
CAPITOLO VII – PRESCRIZIONI IGIENICO-EDILIZIE art.39 art.40 art.41 art.42 art.43 art.44 art.45 art.46 art.47 art.48 art.49
Salubrità del terreno Isolamento dall’umidità Isolamento termico Isolamento acustico Classificazione delle acque Modalità di scarico delle acque Rifornimento idrico Impianto elettrico Eliminazione dei fumi, vapori ed esalazioni Impianti speciali Impianti per lavorazioni insalubri
CAPITOLO VIII – PRESCRIZIONI ANTINCENDIO art.50 art.51 art.52 art.53 art.54
Caratteristiche dei fabbricati di altezza inferiore a m.24 Centrali termiche Autorimesse Nulla-osta dei Vigili del Fuoco Rinvio a leggi particolari
CAPITOLO IX – CARATTERISTICHE DEI LOCALI art.55 art.56 art.57 art.58
Classificazione dei locali Caratteristiche specifiche Cortili e chiostrine Piani abitabili e seminterrati
G.4. 2.
art.59 art.60 art.61 art.62
Piani terreni Piani interrati Sottotetti Locali integrativi per la residenza
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
CAPITOLO X – PRESCRIZIONI VARIE art.63 art.64 art.65 art.66 art.67 art.68 art.69 art.70 art.71
Norme riguardanti la eliminazione delle barriere architettoniche Norme di buona costruzione Zoccolature ed elementi aggettanti Intercapedini Coperture Uscita dalle autorimesse, rampe e passi carrabili Marciapiedi e porticati Recinzioni Costruzioni pericolose
CAPITOLO XI – OPERE ESTERNE AI FABBRICATI E ARREDO URBANO art.72 art.73 art.74 art.75 art.76 art.77
Aspetto e manutenzione degli edifici Antenne radiotelevisive Decoro e arredo urbano Mostre, vetrine e insegne Tende aggettanti sullo spazio pubblico Tabelle e numeri civici
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
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CO NTALE AMBIE
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CAPITOLO XII – COSTRUZIONI RURALI art.78 art.79 art.80 art.81 art.82 art.83
Norme edilizie Norme igieniche Manutenzione delle costruzioni rurali Collegamenti alla viabilità Ispezioni dell’Ufficiale sanitario e dei Tecnici comunali Stalle e concimaie
CAPITOLO XIII – LOTTIZZAZIONI A SCOPO EDILIZIO art.84 art.85 art.86 art.87 art.89
Domanda di lottizzazione e documenti allegati Contenuto della convenzione Procedura per l’autorizzazione della lottizzazione Scomputo del contributo per opere di urbanizzazione Compilazione d’ufficio dei progetti di lottizzazione
CAPITOLO XIV – ALTRE AUTORIZZAZIONI art.90 art.91 art.92 art.93 art.94 art.95 art.96 art.97 art.98 art.99 art. 100 art.101 art.102 art.103 art.104 art.105
Campeggi liberi occasionali Sosta continuata di roulottes e di veicoli attrezzati per il pernottamento su suolo pubblico Installazione di strutture trasferibili, precarie e gonfiabili Installazione di complessi ricettivi complementari Richiesta di concessione con atto d’obbligo Documentazione a corredo della domanda Modalità per l’apertura e la coltivazione di cave e torbiere Richiesta di concessione Documenti tecnici a corredo della domanda Depositi di materiali su aree scoperte Occupazione temporanea o permanente di spazio, suolo o sottosuolo pubblico Accumuli o discariche di rifiuti solidi, relitti e rottami Trivellazione ed escavazione di pozzi Taglio dei boschi Apertura e modifica di passi carrabili Impianti di captazione dell’energia alternativa
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
CAPITOLO XV – CONTROLLI E REPRESSIONE DEGLI ABUSI art.106 art.107 art.108 art.109 art.110 art.111 art.112
Attività di vigilanza Provvedimenti Contravvenzioni Sanzioni amministrative Sanzioni penali Decadenza delle agevolazioni fiscali Divieto di allaccio a pubblici servizi
CAPITOLO XVI – DISPOSIZIONI FINALI E TRANSITORIE art.113 Migliorie igieniche alle costruzioni esistenti art.114 Adeguamento delle costruzioni esistenti art.115 Sanatoria delle occupazioni permanenti del sottosuolo di aree pubbliche o di spazi soggetti a pubblico transito art.116 Opere già concesse o autorizzate art.117 Misure di salvaguardia art.118 Decadenza della Commissione Urbanistico-Edilizia comunale art.119 Norme abrogate art.120 Entrata in vigore del Regolamento
ENTI 2. G.4. REGOLAM I D I IP T
G 33
G.5. 1.
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE TERRITORIO, PIANIFICAZIONE, LIVELLI TERRITORIO E PIANI Con il termine territorio si intende, come è noto, una unità geograficamente definita e delimitabile a volte amministrativamente riconoscibile: una vallata, un’isola, una regione, una provincia, un comune o altro. Ogni territorio è attualmente il risultato di un insieme di eventi naturali e umani assai complessi. Quelli naturali riguardano la sua formazione e quindi la costituzione delle sue caratteristiche fisiche nonché le trasformazioni indotte dagli agenti atmosferici; quelli umani riguardano le trasformazioni agrarie e urbane, la creazione di reti infrastrutturali, le innumerevoli e non sempre corrette forme di sfruttamento delle risorse, le tecnologie variamente impiegate. Non sempre i risultati sono soddisfacenti e, specialmente nei tempi lunghi, accettabili nella loro concatenazione e, spesso, casualità. Si presenta quindi, sempre più di frequente, la necessità di regolamentare la realtà territoriale e i suoi spazi in forme più idonee alle esigenze qualitative presenti e future delle popolazioni che vi risiedono. Ne derivano operazioni di pianificazione con varie caratteristiche e livelli. 1. Piano quadro • È detto piano quadro un elaborato urbanistico che tende a fissare obiettivi e linee programmatiche per l’assetto del territorio senza imporre obblighi precisi.
• Si tratta solitamente di uno strumento di area vasta (regionale, provinciale) attraverso il quale si formulano ipotesi ragionate per grandi linee circa l’uso delle risorse, le reti infrastrutturali, la distribuzione dei servizi di carattere superiore alcuni vincoli di rilevante portata. Rientra sicuramente in questa categoria il P.T.C. regionale. 2. Piano generale • È detto piano urbanistico generale un elaborato che fissa le modalità vincolanti di utilizzazione del suolo sulla base di indirizzi provenienti anche da strumentazioni di livello superiore. Si tratta solitamente di uno strumento di area media (comunale o intercomunale) che fissa obblighi più o meno rigidi di uso delle aree in base a disegni e norme di notevole precisione. 3. Piano esecutivo • È detto piano esecutivo un piano che si pone come strumento di attuazione di un piano generale. Esistono vari tipi di piani esecutivi, utilizzabili in varie circostanze, che tendono a fissare con precisione e grande dettaglio (anche se non si escludono, a volte, alternative o margini ben controllabili di elasticità) gli obblighi formali-funzionali e normativi per l’uso delle aree.
FIG. G.5.1./1 ALCUNE LEGENDE ADOTTABILI PER I PIÙ FREQUENTI TIPI DI ANALISI TERRITORIALI CARATTERISTICHE FISICHE Perimetro del territorio considerato
Curve di livello equidistanti
CARATTERISTICHE STORICHE AMBIENTALI Perimetro del territorio considerato
Perimetro del territorio considerato
Antico tracciato vario
Viabilità autostradale
Perimetrazione di area di ineresse archeologico (non vincolate)
Fossi e canali Fiumi e torrenti
CARATTERISTICHE FUNZIONALI
Viabilità territoriale parimaria e tangenziale urbana Viabilità di scorrimento locale e di quartiere
Perimetrazione di centro storico
Elemento di interesse archeologico
Viabilità locale, piazze e rete locale di distribuzione
Percorsi locali – sentieri
Elemento di interesse storicoarchitetonico
Ferrovia statale
Coste sabbiose
Elemento di interesse ambientale
Ferrovia locale e metropolitana
Edificio sottoposto a vincolo monumentale (Legge 1089/1939 – Legge 1497/1939)
Percorso pedonale meccanizzato
Sorgenti
Costa alta rocciosa Costa bassa ghiaiosa
Zone umide – laghi
Edificio sottoposto a vincolo monumentale (Legge 1089/1939 – Legge 1497/1939)
Area di parcheggio
Area intermodale di scambio
Aree boschive Area sottoposta a tutela ambientale (Legge 431/1985)
Area pedonale urbana
Aree agricole arborate Visuali panoramiche
Area verde urbana
Aree agricole a vigneto Strada con tratti panoramici
Tessuto edilizio urbano intensivo
Aree agricole seminative
Aree incolte
Perimetrazione dei nuclei
Cime (oltre i m...)
Le analisi delle caratteristiche fisiche debbono descrivere con precisione gli elementi essenziali del contesto naturale nel loro intrecciarsi con lo stato di fatto delle aree agricole. Debbono contenere anche le delimitazioni dei nuclei edificati di apprezzaile dimensione, tralasciando le case sparse. Spesso può essere utile adattare la legenda alla situazione specifica, integrando gli elementi da visualizzare.
G 34
Area con alberature di alto fusto o altra vegetazione pregiata (anche se non ufficialmente protetta da vincoli)
Tessuto edilizio urbano semintensivo
Nucleo di alberature di alto fusto di pregio ambientale
Tessuto edilizio urbano estensivo
Cime montuose e promontori di particolare interesse paesistico
Le analisi delle caratteristiche storico-ambientali debbono fornire un quadro completo delle emergenze da tutelare, già sottoposte a vincolo oppure da proporre come “degne di tutela”. La legenda ne elenca alcune (con riferimento alle leggi n.1089/1939, n.1497/1939 e n.431/1985) ma può presentarsi l’opportunità di ampliare tale casistica in funzione del territorio specifico da esaminare. Nella realtà possono infatti presentarsi situazioni particolari che l’urbanista deve individuare e illustrare con la massima precisione ed efficacia.
Simbologie per edifici o aree di interesse pubblico (scuola, mercato, ufficio, teatro, ospedale, stazione ferr., chiesa ecc.)
Le analisi delle caratteristiche funzionali devono illustrare le specificità dei tessuti edilizi, la presenza di aree verdi e di parcheggi, la diffusione puntuale delle attrezzature di interesse collettivo, il sistema delle comunicazioni. Anche in questo caso la legenda andrà modificata e adattata alle esigenze specifiche.
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE GUIDA BREVE ALLA PIANIFICAZIONE REGIONALE E PROVINCIALE
A.ZIONI
PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO REGIONALE (PTCR) Il processo di pianificazione (pur riservando allo Stato qualche residua competenza di livello nazionale) si sviluppa in sede regionale. È la stessa Costituzione a conferire alle Regioni competenza primaria in materia urbanistica-territoriale (art.117). La legge n.142 del 1990 specifica poi che ogni Regione delinea gli obiettivi generali della programmazione economica-sociale-territoriale, nonché i criteri e le procedure per la formazione e attuazione degli strumenti delle Province e dei Comuni. In questo contesto le competenze provinciali e comunali vanno intese come competenze delegate. Il piano territoriale di coordinamento regionale è quindi lo strumento programmatorio e di coordinamento fondamentale per la pianificazione le cui caratteristiche possono tuttavia variare notevolmente da Regione a Regione in base a scelte e leggi specifiche. Esso è uno strumento di “grande scala” che fornisce orientamenti e indirizzi generali di sviluppo e di tutela. Dovrebbe anche orientare le azioni di riequilibrio tra i diversi settori e all’interno di ciascuno. Entrando nel merito si può dire che il PTCR deve mettere in luce organicamente le caratteristiche del territorio e gli obiettivi di sviluppo, organizzare la tutela dei beni naturalistici e storico-ambientali cartograficamente individuabili, definire gli orientamenti per gli strumenti provinciali e comunali, organizzare il sistema delle comunicazioni di livello regionale, avviare inventari di varie risorse da arricchire progressivamente. Molto importante è anche l’individuazione dei modelli insediativi esistenti e la formulazione di schemi indicativi delle direttrici di espansione possibili o auspicabili.
Il PTCR può avere anche valenza paesistica ai sensi della legge n.431 del 1985. Scopo di questa attribuzione non è solo l’inserimento di una serie specifica di vincoli, ma l’obbligo di verificare le varie scelte regionali in base alla loro compatibilità ambientale, troppo trascurata in passato. Occorre infine notare che alcune Regioni tendono a produrre anche piani riguardanti aree infraregionali (di dimensione inferiore a quella del territorio regionale, ma superiore a quella di ciascuna provincia).
• elaborati grafici del PTCR idonei a illustrare l’assetto territoriale che si intende ottenere; • una relazione illustrativa di sintesi che indichi anche le priorità; • norme generali e indirizzi idonei per la formazione dei piani sottordinati o delegati. Gli elaborati di progetto vanno comunque ricondotti alle prescrizioni delle leggi regionali.
PROCEDURA DI APPROVAZIONE DOCUMENTAZIONE DI BASE La documentazione di base dovrebbe consistere in raccolte aggiornate di documenti generali e settoriali di varia natura, anche grafici, e in una cartografia a uso progettuale a varie scale (da 1:100.000 a 1:25.000, con eventuali dettagli) adeguatamente aggiornata. Gli elaborati di sintesi possono utilizzare anche cartografie in scala 1:200.000.
ELABORATI DI PROGETTO Gli elaborati di progetto, variabili da Regione a Regione, debbono basarsi su una metodologia che comprenda: • un documento programmatico che analizzi lo stato di fatto e formuli gli obiettivi socio-economici e di tutela; • analisi territoriali (relative ad ambiente, infrastrutture, servizi, beni storico-culturali, patrimonio insediativo, attività produttive, situazione demografica, condizioni climatiche ecc.); • eventuali monografie settoriali;
G.5. 2.
La procedura di approvazione deve comprendere tre fasi di adozione, di divulgazione conoscitiva e raccolta di osservazioni, di approvazione. L’adozione dovrebbe essere competenza del Consiglio Regionale, ma non è escluso che possa essere delegata alla Giunta. All’adozione deve far seguito un’accurata divulgazione diretta agli Enti sub-regionali e alle organizzazioni sociali, con possibilità di presentare osservazioni, specialmente se il PTCR ha anche valenza paesistica. In tal caso la possibilità di presentare osservazioni dovrebbe essere estesa anche ai privati. Le controdeduzioni possono essere formulate dalla Giunta Regionale. Il PTCR viene poi approvato con apposita legge dal Consiglio Regionale e, dopo i controlli di competenza, viene pubblicato sul Bollettino Ufficiale divenendo esecutivo. Occorre comunque avere presente che alcune Regioni tendono a delegare gran parte delle operazioni di pianificazione alle Province, riducendo sensibilmente i contenuti del PTCR, specialmente dopo l’emanazione della legge n.142 del 1990.
FIG. G.5.2./1 INDIVIDUAZIONE DEI MODELLI INSEDIATIVI ESISTENTI NELL’AMBITO DI UN PIANO TERRITORIALE – ANALISI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT
Organizzazione dei centri a diffusione stellare decrescente (modello frequente negli insediamenti di pianura)
G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN
Organizzazione dei centri a diffusione pluridirezionale e alternata (modello frequente negli insediamenti di costa)
G.6. ITÀ MOBIL
Centro urbano principale
Centro di quartiere o autonomo
Centro locale Organizzazione dei centri a diffusione pluridirezionale non alternata (modello frequente negli insediamenti di crinale o di valle)
1. G.5. ORIO, , TERRIT ICAZIONE IF PIAN I L LIVEL 2. LLA . G.5 BREVE A REGIOA GUID ICAZIONE IALE C IF PIAN E PROVIN NALE
G 35
G.5. 2.
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE GUIDA BREVE ALLA PIANIFICAZIONE REGIONALE E PROVINCIALE PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO PROVINCIALE (PTCP) E METROPOLITANO (PTAM) PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO PROVINCIALE Il piano territoriale di coordinamento provinciale è uno strumento del quale si è molto discusso (numerosi gli oppositori nei decenni scorsi), ma che inizia positivamente a decollare in alcune Regioni. Nessuno mette più in dubbio il ruolo di “ente intermedio” della Provincia, dopo che interpretazioni diverse (comprensori, comunità montane e altro) hanno dato risultati piuttosto scarsi. Il territorio provinciale, a parte qualche anomalia, è infatti un’entità storicamente consolidata nonché dotata di strutture politiche e amministrative organizzate. Inoltre la legge n.142 del 1990 ha chiarito il ruolo delegato delle Province in materia di pianificazione, la possibilità di tradurre gli orientamenti regionali in maniera più dettagliata, vagliare le istanze dei Comuni (anche i più piccoli e con meno capacità contrattuali) e, in prospettiva futura, la possibilità di esercitare un potere più autonomo e diretto. Questo percorso varierà sicuramente da Regione a Regione, ma tenderà comunque a razionalizzare funzionalità e operatività ai vari livelli locali. Il piano territoriale di coordinamento provinciale può correttamente intendersi, al momento attuale e fatte salve le indicazioni specifiche di ciascuna Regione, uno strumento di inquadramento che recepisce le indicazioni del PTCR, fornisce approfondimenti, raccoglie le istanze provenienti dai Comuni restituendo loro indicazioni vagliate e coordinate. Particolare attenzione dovrebbe essere rivolta alla difesa del suolo, alla tutela ambientale, alla distribuzione dei servizi sovracomunali, alle problematiche delle aree in forte sviluppo o in evidente crisi.
DOCUMENTAZIONE DI BASE ED ELABORATI DI PROGETTO La documentazione di base dovrebbe essere analoga a quella indicata per il PTCR, ma riferita al territorio provinciale specifico. Per le elaborazioni progettuali occorre disporre di cartografie ben aggiornate a varie scale (da 1:100.000 a 1:10.000 ed eventuali dettagli). Anche gli elaborati di progetto possono ritenersi analoghi a quelli indicati per il PTCR, ma non deve mancare un quadro d’unione dei piani comunali che metta in risalto le coerenze, le anomalie e le distorsioni dei medesimi, dando indicazioni di riassetto, specialmente per le aree di frangia di ciascun Comune. Non dovrebbe mancare anche un elaborato inerente la localizzazione di attrezzature e servizi di interesse sovracomunale. Le singole leggi urbanistiche regionali debbono fornire le indicazioni specifiche, le precisazioni riguardanti le attività di raccordo tra piano-quadro provinciale e piani regolatori comunali, i criteri di adozione-approvazione di un PTCP, l’eventuale delega alla Provincia per l’approvazione dei piani regolatori comunali (delega ormai abbastanza diffusa). Connotati molto particolari hanno i processi di pianificazione delle Regioni a Statuto Speciale e delle Province Autonome.
PIANO TERRITORIALE DELL’AREA METROPOLITANA Connotati speciali avrà sicuramente il piano territoriale dell’area metropolitana (PTAM), anche se è pensabile che il territorio metropolitano coincida o quasi con quello provinciale, salvo casi particolari. La legge di riferimento è sempre la n.142 del 1990. La differenza sostanziale dovrebbe derivare dal fatto che le aree metropolitane sono zone ad alto grado di sviluppo conurbativo e terziario (industriale, avanzato, burocratico ecc.) con forti esigenze di adeguamento nel settore delle comunicazioni locali e di razionalizzazione dei servizi.
Nell’ambito di un’area metropolitana si può presumere che vadano progressivamente trasformandosi e perfino a scomparire le municipalità locali, destinate ad assumere il ruolo di enti fornitori di servizi, di debole peso politico-amministrativo. Le attribuzioni del PTAM dovrebbero riguardare prevalentemente la viabilità, i trasporti, l’ambiente ed essere regolamentate dalla Regione. Il piano dovrebbe porsi soprattutto obiettivi di riequilibrio tra il centro egemone e gli insediamenti circostanti, anche dal punto di vista insediativo, evitando che il cen-
tro egemone si trasformi in un luogo quasi esclusivamente terziario. Evidenti sono le esigenze di coordinamento tra i vari livelli di pianificazione. I contenuti tecnici possono variare molto, nel caso si tenda ad attribuire al PTAM funzioni prevalenti di piano quadro oppure di piano generale sostitutivo dei PRG comunali. Gli elaborati progettuali dovrebbero essere analoghi a quelli di un PTCP, dando particolare rilevanza ai quadri d’unione settoriali.
FIG. G.5.2./2 SCHEMI INDICATIVI PER L’INDIVIDUAZIONE DELLE DIRETTRICI DI ESPANSIONE URBANA NELL’AMBITO DI UN PIANO TERRITORIALE – PROGETTO
Insediamento monocentrico con possibilità di espansione in direzione N.E. Divieto di espansione nelle restanti direzioni
Insediamento monocentrico con possibilità di espansione in direzione N.O.-S.E. Divieto di espansione nelle restanti direzioni
Insediamento policentrico pluridirezionale con possibilità di espansione differenziata: a S.E. per il centro principale e, rispettivamente, a N-S e a E-O per i due centri minori Divieto di espansione per il terzo centro minore e per le restanti direzioni Divieto di connessione tra i centri
G 36
Insediamento policentrico stellare con possibilità di espansione differenziata lungo l’asse N.O.-S.E. del centro maggiore
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE GUIDA BREVE ALLA PIANIFICAZIONE COMUNALE GENERALE
G.5. 3. A.ZIONI
PIANO REGOLATORE GENERALE (PRG) PIANO REGOLATORE Il piano regolatore generale (PRG) è da tempo lo strumento principale e obbligatorio della pianificazione urbanistica. Esso riguarda il livello comunale, ma può estendersi anche al livello intercomunale (PRGI). Questo secondo caso è però poco frequente. Il PRG ha lo scopo di organizzare l’assetto del territorio nella sua interezza e di regolamentarne le varie parti, urbane ed extraurbane, secondo principi di corretta funzionalità e qualità formale e obiettivi di organico sviluppo. Dal punto di vista normativo è disciplinato dalla legge generale urbanistica n.1150 del 1942 (Cap. III), da vari provvedimenti successivi e dalle leggi urbanistiche regionali. Rilevante è anche il DI n.1444 del 1968. Il PRG deve rispettare le direttive degli strumenti di pianificazione territoriale regionale e provinciale, indicare le destinazioni d’uso delle aree, verificare la dotazione delle attrezzature e dei servizi e del sistema delle comunicazioni, fornire norme e porre vincoli ove necessario. Secondo alcuni studiosi è da escludere il fatto che tutte le previsioni del PRG siano da considerarsi obbligatorie e debbano necessariamente trovare attuazione in assenza di varianti. La tendenza attuale è piuttosto quella che porta a esaltare la funzione del PRG come “quadro di riferimento” per gli strumenti attuativi. Occorre comunque aver presente l’estrema variabilità dimensionale e demografica dei Comuni italiani: dove esistono vasti territori e grossi insediamenti può essere corretto dare al PRG connotati essenzialmente di “quadro”, rinviando molte operazioni specifiche alla pianificazione attuativa; dove esistono piccoli territori e piccoli insediamenti (meno di 10.000 abitanti) è indispensabile fare del PRG uno strumento completo, pienamente utilizzabile anche in carenza di strumentazione attuativa. La decisione di redigere il PRG viene presa, con appositi atti, dall’Amministrazione Comunale. Alla stesura del PRG possono provvedere progettisti esterni appositamente incaricati, gli uffici tecnici comunali, oppure, di concerto, i primi e i secondi. È importante, all’interno di un’Amministrazione Comunale, la presenza di un ufficio del piano che abbia un ruolo, non solo progettuale, ma soprattutto gestionale. FIG. G.5.3./1 SCHEMA DEL PIANO REGOLATORE DI ROMA ADOTTATO NEL DICEMBRE 1962 (coord. Luigi Piccinato)
• indicazioni grafiche preliminari di impostazione del PRG; • relazione tecnica preliminare. Gli elaborati progettuali grafici riguardano: • zonizzazione funzionale (aree edificate, di completamento, di espansione con varie caratteristiche, suddivise in zone territoriali omogenee); • aree da riservare alle attività produttive, al verde, allo sport, alle attrezzature collettive, alla viabilità ecc.); • rete delle comunicazioni (con classificazione della viabilità, modalità di intersezione e di scambio tra le varie reti); • aree di interesse collettivo e verifica degli “standard urbanistici” rispetto alle norme nazionali e regionali vigenti; • individuazione di eventuali aree di tutela speciale con particolare riguardo alle zone di interesse storico-ambientale e paesaggistico. Le scale più utilizzate sono quelle da 1:25.000 a 1:10.000 per l’intero territorio comunale e da 1:5.000 a 1:2.000 per le aree urbane. Gli elaborati progettuali normativi sono contenuti in apposite “Norme tecniche di attuazione” e riguardano tutte le indicazioni necessarie all’attuazione del piano, con puntuale e rigorosa coerenza con gli elaborati grafici. Debbono in particolare fornire, per ogni zona territoriale omogenea (A, B, C, D, E, F), le modalità di utilizzazione (indici lotti minimi, distacchi ecc.) e ogni altra indicazione necessaria. La relazione tecnica generale deve illustrare con grande chiarezza la formazione storica dell’insediamento, le condizioni urbane ed extraurbane di fatto, l’assetto produttivo, gli obiettivi generali e particolari del piano, le scelte dimensionali e qualitative, la metodologia progettuale, la programmazione temporale orientativa degli interventi proposti. Può essere molto utile anche un puntuale confronto con il piano precedente che consenta di verificare gli elementi di continuità e quelli di novità.
DOCUMENTAZIONE DI BASE La documentazione di base necessaria per avviare la progettazione di un piano regolatore consiste in: • rilievo aerofotogrammetrico aggiornato, in scala adeguata, dell’intero territorio comunale e delle aree urbane; • carte geologiche e geomorfologiche dell’intero territorio comunale; • carte dei vincoli esistenti sull’intero territorio comunale; • carte delle reti infrastrutturali e di servizio; • documentazione fotografica.
PROCEDURA DI APPROVAZIONE
Centro storico Quartieri esistenti Quartieri da ristrutturare Quartieri nuovi Zone industriali Zone direzionali Strade principali Confine comunale Mura aureliane
ELABORATI DI PROGETTO Il PRG è costituito da una serie di elaborati che si distinguono in: a) elaborati preliminari di analisi e di inquadramento; b) elaborati progettuali grafici; c) elaborati progettuali normativi; d) relazione tecnica generale.
1. Il PRG viene adottato con delibera del Consiglio Comunale (sottoposta all’approvazione degli organi di controllo). 2. Il PRG viene poi depositato presso la Segreteria Comunale, con avviso affisso all’Albo Pretorio, per 30 giorni consecutivi. 3. Nei 30 giorni di deposito e nei 30 giorni successivi (in tot. 60 gg.) vengono raccolte le osservazioni e le opposizioni elencandole in un apposito protocollo. 4. Le osservazioni e le opposizioni presentate nei termini e secondo le modalità formali previste vengono esaminate e sottoposte a controdeduzioni da parte del Consiglio Comunale. 5. Il PRG, accompagnato da osservazioni, opposizioni, controdeduzioni e delibere, viene inoltrato alla Regione. 6. Gli uffici regionali istruiscono l’esame del PRG e formulano un parere consultivo obbligatorio. 7. La Regione approva o respinge il PRG Ha tuttavia anche la possibilità di chiedere, in via interlocutoria, eventuali modifiche (fatto che si verifica con grande frequenza). 8. La Regione può delegare alla Provincia tutte le sue competenze in materia urbanistica, a cominciare dall’esame del PRG. 9. Il provvedimento di approvazione del PRG viene pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione. Dal giorno successivo il PRG entra in vigore.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
OSSERVAZIONI Gli elaborati preliminari di analisi e di inquadramento servono a illustrare lo stato di fatto e a individuare gli indirizzi progettuali da seguire successivamente. Essi comprendono orientativamente: • inquadramento storico-geografico del territorio comunale, con riferimento anche ai comuni contermini; • illustrazione grafica delle caratteristiche geomorfologiche naturali e dei vincoli (idrogeologici, militari, cimiteriali ecc.); • illustrazione grafica della rete delle comunicazioni urbane ed extraurbane, con classificazione dei livelli d’importanza e le principali indicazioni toponomastiche; • illustrazione grafica dei vincoli monumentali, archeologici, paesistici e delle principali visuali panoramiche; • illustrazione grafica e verifica quantitativa delle attrezzature collettive esistenti, distinguendo tra attrezzature scolastiche, sanitarie, amministrative, sportive, verde pubblico ecc.; • elaborati vari di analisi della consistenza demografica, del fabbisogno abitativo, della realtà socio-economica, tenendo conto anche delle tendenze in atto; • elaborati vari di analisi delle aree tipologicamente omogenee con valutazione degli indici fondiari medi di quelle edificate;
Riguardano i rilievi che gli Enti pubblici, le associazioni sindacali e i privati possono presentare, nei modi e nei tempi di legge, in merito al progetto di un piano regolatore generale o esecutivo, a scopo collaborativo e con l’intento di migliorarlo. Le osservazioni non hanno carattere di “rimedio giuridico” (come le opposizioni). Il Comune ha l’obbligo di controdedurre.
OPPOSIZIONI Riguardano i rilievi critici che i proprietari direttamente interessati possono presentare nei confronti di un piano regolatore generale o esecutivo, ritenendosi danneggiati illegittimamente dalle scelte del medesimo. Le opposizioni hanno carattere di “rimedio giuridico” e richiedono controdeduzioni puntuali. Su di esse decide in via definitiva la Regione in sede di approvazione del piano. Riguardano i rilievi critici che i proprietari direttamente interessati possono presentare nei confronti di un piano regolatore generale o esecutivo, ritenendosi danneggiati illegittimamente dalle scelte del medesimo. Le opposizioni hanno carattere di “rimedio giuridico” e richiedono controdeduzioni puntuali. Su di esse decide in via definitiva la Regione in sede di approvazione del piano.
2. LLA G.5. BREVE A REGIOA GUID ICAZIONE IALE C IF PIAN E PROVIN NALE 3. LLA G.5. BREVE A A GUID ICAZIONEERALE IF PIAN NALE GEN COMU
G 37
G.5. 3.
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE GUIDA BREVE ALLA PIANIFICAZIONE COMUNALE GENERALE ➦ PIANO REGOLATORE GENERALE (PRG) STANDARD URBANISTICI Il Decreto Interministeriale 2 aprile 1968 n.1444 fissa gli standard minimi quantitativi da rispettare nella redazione di un piano regolatore. Standard da verificare anche nella redazione dei piani esecutivi/attuativi. Molte leggi regionali hanno incrementato tali valori minimi ritenendoli insufficienti. Naturalmente esistono anche problemi di qualità e quasi tutti i piani recenti affrontano la questione con molta attenzione.
Ogni elaborato deve sempre disporre di un cartiglio che contenga le informazioni principali (nome del comune, tipo di strumento urbanistico, ambito territoriale, contenuto specifico, numero dell’elaborato, eventuale scala grafica, nome del progettista) e sia sempre ben visibile anche ad avvenuta piegatura. L’ente committente (il Comune o il Consorzio di Comuni) ha l’obbligo di fornire il materiale di base adeguatamente aggiornato (rilievo aerofotogrammetrico), le informazioni di carattere geologico e idrogeologico, i dati demografici e socioeconomici, gli elenchi dei vincoli esistenti (V. “Documentazione di base”). L’ente committente deve fornire anche una previsione programmatica che precisi gli obiettivi da perseguire prioritariamente.
VARIANTE GENERALE E PARZIALE Un piano regolatore viene generalmente redatto per una utilizzazione temporale di 15-20 anni. Può essere utilizzato anche più a lungo, ma è bene che sia periodicamente sottoposto a verifica generale (circa ogni 10 anni). In tal caso si opererà una Variante generale che, se incisiva, dovrà seguire l’iter di approvazione del piano regolatore. Possono tuttavia predisporsi anche varianti parziali, riguardanti aree limitate e per sopravvenute esigenze. Si attua così un processo di “pianificazione continua” che ha molti sostenitori, ma che può mettere facilmente in crisi lo stesso PRG e vanificarne gli obiettivi.
FIG. G.5.3./3 ESEMPIO DI CARTIGLIO INFORMATIVO DA PORRE SU OGNI ELABORATO DI PROGETTO
NUM. TAVOLA
COMUNE DI
PIANO REGOLATORE GENERALE
SERIE 4
REITERAZIONE DEI VINCOLI
REDAZIONE ELABORATO
I vincoli di piano regolatore inerenti aree destinate ad attrezzature pubbliche e a verde (da espropriare) sono soggetti a scadenza, ma possono essere reiterati con un provvedimento di nuova imposizione. I vincoli di inedificabilità assoluta sono soggetti a un limite quinquennale. Occorre comunque ricordare che la delibera per la realizzazione di un’opera pubblica, su un’area non vincolata, costituisce adozione di Variante di piano regolatore, con possibilità di applicare le disposizioni di pubblica utilità e di esproprio.
TITOLO TAVOLA
REVISIONE ELABORATO
DATA DI CONSEGNA
AMBITO TERRITORIALE
12
DIMENSIONE DEGLI ELABORATI DI PRG
PROGETTISTI :
La necessità di consultare agevolmente gli elaborati grafici di PRG suggerisce una suddivisione in tavole di dimensioni maneggevoli secondo il sistema UNI. Ottimo il formato A1 (840 x 594 mm). Per gli elaborati scritti è buona norma adottare il comune formato A4 (297 x 210 mm), comodo sia per l’archiviazione sia per la copiatura e riproduzione. FIG. G.5.3./2 DAL PIANO REGOLATORE DI MODENA DEL 1965 (coord. Giuseppe Campos Venuti)
1
RAPPORTO
1:5.000 FIRME :
2
3
4
5
6
7
8
9
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11
12
ZONIZZAZIONE FUNZIONALE Lo schema simbolico di zonizzazione funzionale classifica le aree in zone territoriali omogenee (ai sensi del DM 2 aprile 1968 n.1444) tenendo presente che sono: zone A – gli spazi edificati di interesse storico-ambientale (in genere i centri storici) ed eventuali altre parti esterne (come antichi borghi, nuclei o parchi annessi a dimore storiche e le aree di interesse archeologico); possono essere classificate zone A anche le parti strettamente contigue determinanti per la tutela delle precedenti; zone B – gli spazi edificati oppure di completamento diversi dalle zone A (privi di interesse storico-ambientale); sono zone di completamento quelle la cui superficie coperta da edifici supera il 12,5% della superficie fondiaria; zone C – gli spazi inedificati destinati dal piano all’edificazione prevalentemente residenziale, nonché gli spazi limitatamente edificati che non possono rientrare tra le zone B; zone D – gli spazi destinati a insediamenti produttivi (industriali, artigianali, commerciali e simili); zone E – gli spazi destinati al verde privato, compreso quello di uso agricolo; zone F – gli spazi destinati ad attrezzature collettive e servizi pubblici compresi quelli riservati al verde pubblico e al verde attrezzato sportivo.
Autostrada del Sole Asse attrezzato Strade principali Strade secondarie Zona storica
G 38
Zona residenziale di completamento Zona residenziale di espansione Zona produttiva e annonaria Centri direzionali Zona verde
Predisponendo l’elaborato di zonizzazione funzionale è spesso opportuno considerare più zone della stessa classe (p.e. B1-B2-B3 oppure F1-F2-F3) in modo da distinguere le medesime in base alle loro specifiche caratteristiche e composizioni. Molte aree hanno poi spiccate caratteristiche “miste” (aree polifunzionali) e, pur attribuendole all’area “prevalente” è bene distinguerle ed evidenziarle. La monofunzionalità o polifunzionalità di un’area non è, di per se stessa, una caratteristica positiva o negativa. Tuttavia alle grandi dimensioni (per estensione o per densità edificatoria) la monofunzionalità tende a diventare un elemento negativo. L’elaborato progettuale esteso all’intero territorio comunale (detto anche tavola delle zone omogenee) potrà servire anche per la “verifica degli standard” (zone F), ma a questo scopo è sempre opportuno disporre di un elaborato apposito che distingua le varie tipologie di standard. Il medesimo elaborato potrà anche indicare le aree da assoggettare a progettazione esecutiva obbligatoria e quelle utilizzabili con semplice concessione.
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE GUIDA BREVE ALLA PIANIFICAZIONE COMUNALE GENERALE
G.5. 3. A.ZIONI
FIG. G.5.3./4 SCHEMA DI CLASSIFICAZIONE IN ZONE TERRITORIALI OMOGENEE (zonizzazione funzionale)
INDICE DI UTILIZZAZIONE ABITATIVA (vani/abitante) Rappresenta il rapporto tra vani disponibili e numero degli abitanti. Esso dovrebbe essere superiore a 1. Un indice accettabile, che denota generalmente una buona disponibilità abitativa (sia pure in linea teorica e salvo verifiche) è di circa 1,2-1,5. Tuttavia, in un centro antico, dove la vetustà del patrimonio edilizio è molto forte, l’indice può anche aumentare sensibilmente. Quando l’indice di utilizzazione abitativa è troppo basso, occorre provvedere al soddisfacimento del fabbisogno integrativo in aree di completamento (per quanto possibile) e in aree di espansione. Si deve raggiungere, con qualche margine di elasticità, il soddisfacimento completo. È bene aver presente che previsioni troppo ristrette provocano forti lievitazioni dei prezzi nel mercato delle aree e delle abitazioni e che, al contrario, previsioni troppo ampie provocano occupazioni irrazionali e forti sprechi. Le valutazioni di merito riguardanti i fabbisogni, sia del settore abitativo sia degli altri settori funzionali, debbono tener conto delle tendenze demografiche in atto relativamente a numero degli abitanti, articolazione della popolazione per classi di età e per attività lavorative, numero dei nuclei familiari e loro composizione ecc. Le indagini demografiche debbono essere condotte su almeno tre o quattro degli ultimi censimenti.
INDICAZIONI DEMOGRAFICHE
ZONE “A” di interesse storico-ambientale
ZONE “E” per attività agricole
ZONE “B” edificate e di completamento
ZONE “F1” per attrezzature e servizi pubblici
ZONE “C” di espansione prevalentemente residenziali
ZONE “F2” per verde pubblico attrezzato
ZONE “D” per attività produttive (artigianali e industriali)
ZONE “F3” per verde pubblico a parco
Le caratteristiche demografiche vanno descritte illustrando l’evoluzione temporale della popolazione negli ultimi decenni (fonte Censimenti – dati anagrafici comunali) e ipotizzando un ragionevole assetto futuro. Occorre distinguere i movimenti naturali (nati-morti), quelli migratori (immigrati-emigrati) e la struttura della popolazione (composizione per sesso e per età, attività, livelli di scolarizzazione ecc.) in modo da trarne indicazioni riguardanti i fabbisogni presenti e futuri e altri dati utili per la progettazione. In generale il numero degli abitanti insediati o da insediare si articola in: • abitanti residenti, così come risultano dalle rilevazioni censuarie e dagli aggiornamenti annuali comunali; • abitanti fluttuanti, presenti con regolarità per attività lavorative e simili, ma non residenti; • abitanti stagionali, presenti saltuariamente per periodi di uno o più mesi all’anno per attività lavorative o turismo. La popolazione censita è quella totale presente in occasione di un determinato censimento. È sempre utile predisporre e analizzare dei diagrammi della popolazione riguardanti vari censimenti in successione.
PERIMETRAZIONI CENTRO ABITATO
FABBISOGNO INTEGRATIVO È un parametro che si ottiene sottraendo dal fabbisogno effettivo totale la disponibilità esistente. Esso viene espresso in numero di vani. Per fare correttamente questo calcolo occorre valutare: • il numero degli abitanti probabilmente residenti a circa 10/15 anni dalla redazione del PRG; • il numero dei vani disponibili e abitabili al momento della redazione del PRG; • il numero dei vani presumibilmente recuperabili in un arco di tempo di circa 10 anni; • l’indice di utilizzazione abitativa (vani/abitante) che si ritiene più opportuno adottare. Il calcolo avviene sottraendo dal numero degli abitanti probabilmente presenti il numero dei vani disponibili più quelli recuperabili. Il risultato darà il fabbisogno integrativo minimo indispensabile (1 v/ab.). Il progettista dovrà allora tener conto del fabbisogno reale (che sarà presumibilmente superiore a 1 v/ab.) e poi valutare come questo fabbisogno integrativo possa essere distribuito tra aree esistenti e di completamento e aree di espansione. Il fabbisogno integrativo dovrebbe essere valutato con rigore, anche se con metodi diversi, non solo per le esigenze del settore residenziale, ma anche per tutti gli altri settori funzionali. Per alcuni settori, specialmente per quelli inerenti le funzioni collettive, il calcolo si esprime in mq/ab. e si parla allora di standard urbanistici.
CENTRO EDIFICATO
CENTRO STORICO
È un aggregato di edifici contigui o adiacenti con interposte strade e piazze, così come definito dalla Legge n.765/1967 e poi dalla Legge n.10/1977. La perimetrazione del centro abitato, fatta con deliberazione del Consiglio Comunale (approvata da Regione e Soprintendenza) è obbligatoria per i Comuni sprovvisti di strumenti urbanistici vigenti. È un insieme di aree edificate e di eventuali lotti interclusi in un contesto agricolo circostante. I Comuni procedono alla perimetrazione dei centri edificati (dai quali sono escluse le case sparse) in funzione della determinazione dei valori agricoli medi da applicare nel calcolo dell’indennità di espropriazione.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
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I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
È il nucleo urbano antico (generalmente quello esistente nella seconda metà dell’Ottocento prima dell’unità d’Italia) nella sua unità fisica, tipologica, urbanistica e culturale. È definito, in via orientativa, dalla Legge n.765/1967. La perimetrazione del centro storico, resa obbligatoria dall’art.17 della legge citata, è di fatto sostituita dalla individuazione delle zone A nell’ambito delle zone territoriali omogenee di un PRG.
CLASSIFICAZIONE DEGLI INTERVENTI EDILIZI Lo schema di classificazione degli interventi edilizi riguarda un elaborato utilizzato nell’ambito di un PRG solo come documento orientativo che dovrà trovare più puntuali precisazioni nelle Norme Tecniche. Possono infatti ammettersi deroghe per situazioni particolari di fatto o per specifiche modalità di intervento. La classificazione degli interventi edilizi è invece importantissima nell’ambito dei piani esecutivi, specialmente di quelli aventi come obiettivo fondamentale il recupero
dell’esistente. Essa deriva dalle disposizioni dell’art.31 della legge n.457/1978. Gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria sono consentiti ovunque, senza apposita autorizzazione (art.1 della legge n.431/1985). Sono consentiti ovunque anche gli interventi di restauro e risanamento conservativo purché non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto degli edifici. Gli interventi di ristrutturazione edilizia possono invece
implicare modifiche profonde alle caratteristiche volumetriche e tipologiche e richiedere la presenza di un piano esecutivo. Non lo richiedono quelli di ristrutturazione edilizia parziale senza modifica delle volumetrie. Tutti gli altri interventi, particolarmente quelli di ristrutturazione urbanistica presumono il rilascio di una concessione subordinata all’approvazione di un piano esecutivo o, almeno, di uno studio planovolumetrico preliminare.
3. LLA G.5. BREVE A A GUID ICAZIONEERALE IF PIAN NALE GEN COMU
G 39
G.5. 3.
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE GUIDA BREVE ALLA PIANIFICAZIONE COMUNALE GENERALE ➦ PIANO REGOLATORE GENERALE (PRG) CARTOGRAFIE DEL TOURING CLUB FIG. G.5.3./5 SCHEMA DI SUDDIVISIONE DELLE ZONE OMOGENEE (indicativo) LEGENDA
B B2 B4
aree di espansione semi-intensive
aree per attrezzature sportive e ricreative
aree di particolare interesse storico-ambientale
aree di espansione semi-estensive
aree per attrezzature scolastiche pubbliche
aree edificate semi-intensive
aree di espansione estensive
aree per attezzature e servizi pubblici
aree edificate intensive
aree per attività produttive artigianali e industriali
aree per attrezzature direzionali e sociali
aree edificate e di completamento semi-intensive
aree per attrezzature ferroviarie e loro accessori
aree per servizi privati
aree di completamento e ristrutturazione semi-intensive
aree per attività agricole e simili
aree per servizi speciali
aree edificate di edilizia economica e popolare
aree per verde pubblico
aree per parcheggi pubblici
RETE DELLA VIABILITÀ Lo schema della rete della viabilità e delle intersezioni riguarda un elaborato di estrema utilità per la redazione di un PRG (anche se, a volte, è consentito inglobarlo nella zonizzazione e produrre un unico documento). È infatti evidente la necessità di entrare nel dettaglio delle soluzioni proposte distinguendo i diversi livelli di viabilità, le aree da destinare alla pedonalizzazione, le caratteristiche delle intersezioni. Ogni intersezione deve essere servita da adeguati parcheggi pubblici per soste lun-
ghe e brevi. In particolare, le intersezioni di accesso alle aree urbane debbono funzionare come aree di scambio tra traffico pubblico e privato.
FIG. G.5.3./6 SCHEMA DI CLASSIFICAZIONE DEGLI INTERVENTI
FIG. G.5.3./7 SCHEMA DELLA RETE DI VIABILITÀ E DELLE INTERSEZIONI
solo interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria
interventi di restauro e risanamento conservativo
interventi di ristrutturazione edilizia parziale e di completamento
G 40
interventi di ristrutturazione edilizia parziale e integrale
interventi di ristrutturazione urbanistica e nuova edificazione
Questo elaborato dovrebbe contenere anche la rappresentazione della rete su rotaia (di lunga, media e breve percorrenza) evidenziando le connessione tra le reti e la funzionalità globale del sistema delle comunicazioni.
viabilità di raccordo alla rete autostradale
aree pedonali centrali e locali
viabilità di connessione città-territorio
intersezioni territoriali
viabilità principale urbana (interquartiere) viabilità principale locale
intersezioni di accesso alle aree urbane (servite da aree di scambio e di parcheggio)
percorsi pedonali meccanizzati
intersezioni della viabilità principale
linea ferroviaria
attestamenti alla pedonalità
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE GUIDA BREVE ALLA PIANIFICAZIONE COMUNALE GENERALE
G.5. 3. A.ZIONI
FIG. G.5.3./8 COSENZA: VARIANTE LA PIANO REGOLATORE – 1990/92 (coord. Sara Rossi)
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
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I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
Schema generale di piano regolatore – zonizzazione (da Campos Venuti e Oliva)
3. LLA G.5. BREVE A A GUID ICAZIONEERALE IF PIAN NALE GEN COMU
G 41
G.5. 4.
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE GUIDA BREVE ALLA PIANIFICAZIONE COMUNALE ESECUTIVA PIANO PARTICOLAREGGIATO (PP) Il piano particolareggiato è lo strumento attuativo fondamentale del piano regolatore, previsto dalla legge urbanistica n.1150 del 1942. Tale resta, anche se la legislazione più recente ha introdotto altri strumenti attuativi con finalità specifiche e consentito alla pianificazione generale comunale di comprendere (già al suo interno) misure immediatamente attuative. Il PP deve pertanto sviluppare nel dettaglio le previsioni del PRG, individuare le aree da sottoporre a esproprio per pubblica utilità, guidare la progettazione urbanistico-edilizia. È tuttavia soggetto a scadenza abbastanza ravvicinata (10 anni) e si presume quindi che, entro tale termine, esso debba essere realizzato. Alla scadenza il PP diviene inefficace per le parti non realizzate, fatti salvi gli allineamenti stradali e la zonizzazione. Il Comune deve pertanto provvedere ad adottare un nuovo piano con caratteristiche di “completamento”.
FIG. G.5.4./1 ESEMPI DI CLASSIFICAZIONE DEL TESSUTO URBANO TRAMITE RILEVAMENTO DIRETTO INDAGINI URBANISTICHE INERENTI L’ORIGINE DEGLI EDIFICI (Preferibilmente scala 1:1.000 – Esempio) Legenda tipo (solo esemplificativa)
TAB. G.5.4./1 CLASSIFICAZIONE DELLE AREE E STRUMENTI DI ATTUAZIONE DI UN PIANO REGOLATORE STATO DELLE AREE
DESTINAZIONI D’USO
già esistenti
prevalentemente residenziali o miste (di antica origine e articolare pregio)
completamento e ristrutturazione già esistenti
CLASSIFICAZIONE ZONE OMOGENEE
PP - ID A1 - A2
B3 - B4 - B5
PP - PR
espansione
C1 - C2 - C3
PP - LC - PEEP
già esistenti
D1
PP
D2
PP - PR
D3
PP - PIP
verde agricolo
E1
ID - PR
verde privato di parchi e spazi simili
E2
PP - ID
F1
PP - ID
F2 - F3
PP - PR - ID
F4
PP - ID
completamento e ristrutturazione
prevalentemente produttive (industriali e artigianali)
espansione
già esistenti
già esistenti completamento e ristrutturazione
verde pubblico e attrezzature collettive e di servizio
espansione
ANTICA
dal XV al XVIII secolo rinascimentale - barocca
OTTOCENTESCA E DEL PRIMO NOVECENTO
fino al 1920 circa
DELLA PRIMA METÀ DEL NOVECENTO
fino al 1960 circa
RECENTE
dal 1960 in poi
PP - PR PP - ID
prevalentemente residenziali o miste
greca - romana - bizantina - medioevale
STRUMENTI DI ATTUAZIONE
B1 - B2
completamento e ristrutturazione
MOLTO ANTICA
N.B. È raccomandabile che la scelta della gradazione delle retinature proceda dal tono più scuro a quello più chiaro, in modo da evidenziare, anche a colpo d’occhio, il processo di formazione storica del tessuto. Per gli edifici dei quali si conosca la data certa di costruzione si può aggiungere un inserto:
La classificazione può essere anche più dettagliata
F5 - F6 ELABORATI PROGETTUALI INERENTI LA CLASSIFICAZIONE DEGLI INTERVENTI DI RECUPERO
INDAGINI URBANISTICHE INERENTI LO STATO DI CONSERVAZIONE DEGLI EDIFICI (Preferibilmente scala 1:1.000 – Esempio) Legenda tipo (solo esemplificativa)
BUONO
Restauro di carattere scientifico degli edifici (o elementi) di interesse monumentale di recente costruzione o recentemente ripristinato
MEDIOCRE
con necessità di intervento solo agli elementi di finitura
SCADENTE
con necessità di intervento alle strutture, alle coperture, nonché agli elementi di finitura
MOLTO SCADENTE
con gravi problemi di ogni tipo – di difficile recupero
RUDERE
specificare se rudere di interesse storico ( ) oppure no ( )
Restauro d’insieme degli edifici con particolare attenzione agli elementi di interesse architettonico, all’uso dei materiali e dei colori, al mantenimento delle tipologie
Risanamento edilizio tramite manutenzione ordinaria e straordinaria
Risanamento edilizio-urbanistico, anche con ricomposizione particellare delle singole unità ed eventuale ricostruzione integrale
Demolizione senza ricostruzione di elementi inidonei
N.B. È raccomandabile che la scelta della gradazione delle retinature proceda dal tono più scuro a quello più chiaro, in modo da evidenziare, anche a colpo d’occhio, lo stato di conservazione del tessuto urbano. La classificazione può essere anche più dettagliata.
G 42
Superfetazioni da eliminare (da sovrapporre)
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE GUIDA BREVE ALLA PIANIFICAZIONE COMUNALE ESECUTIVA
G.5. 4. A.ZIONI
DOCUMENTAZIONE DI BASE
FIG. G.5.4./3 ELABORATO DEGLI INTERVENTI DI RECUPERO
B.STAZIONI DILEGIZLII
La documentazione di base consiste in: • rilievi aerofotogrammetrici aggiornati, in scala adeguata all’estensione dell’area e al livello di approfondimento che si vuole ottenere (da 1:2.000 a 1:500); • mappe catastali dell’intera area; • reti delle comunicazioni e dei servizi; • documentazione storica e fotografica dei luoghi; • eventuali rilievi planimetrici e altimetrici da terra; • eventuali vincoli.
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
ELABORATI DI PROGETTO
D.GETTAZIONE
Gli elaborati di progetto riguardano: • stralcio del PRG e delle sue norme tecniche; • stato di fatto urbanistico-edilizio delle aree oggetto dell’intervento (planimetrie quotate e insieme delle analisi più significative); • planimetrie e planovolumetrie di progetto su rilievo aerofotogrammetrico aggiornato; • planimetrie su mappe catastali che individuino con precisione le aree e i fabbricati da sottoporre a vincolo di utilizzazione pubblica (esproprio) complete di elenchi delle “ditte” intestatarie delle proprietà; • elaborati grafici inerenti i profili, le sezioni, i servizi a rete, la rete stradale completa di apposite sezioni, le recinzioni, le eventuali tipologie edilizie; • norme tecniche di attuazione (NT) integrative di quelle del PRG; • relazione illustrativa comprendente anche un apposito capitolo riguardante le previsioni orientative di spesa; • eventuali altri elaborati illustrativi delle situazioni specifiche, specialmente nel caso di aree urbane edificate.
PROCEDURA DI APPROVAZIONE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
PRO TTURALE STRU
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CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
FIG. G.5.4./4 CONFIGURAZIONE URBANISTICA ARCHITETTONICA
Il PP viene adottato con delibera del Consiglio Comunale e poi depositato presso la Segreteria Comunale, con avviso affisso all’Albo Pretorio, per trenta giorni consecutivi. Nei giorni di deposito e nei trenta giorni successivi vengono raccolte le opposizioni e le osservazioni elencandole in un apposito protocollo. Le opposizioni e le osservazioni presentate nei termini e secondo le modalità formali previste, vengono esaminate e sottoposte a controdeduzioni. Se il PP è chiaramente conseguente alle previsioni del PRG non è soggetto ad approvazione regionale e risulta pertanto approvato con deliberazione del Consiglio Comunale. In caso contrario (se esistono varianti) il PP viene inoltrato alla Regione e segue lo stesso iter del PRG, salvo diverse specificazioni della normativa regionale.
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT
FIG. G.5.4./2 ELABORATO DELLA ZONIZZAZIONE FUNZIONALE
G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN I tre grafici, riferiti alla medesima area del medesimo insediamento, sono tre elaborati particolarmente importanti per la progettazione di un piano particolareggiato di un’area edificata, soprattutto se di interesse storico-ambientale.
G.6. ITÀ MOBIL
La Fig. G.5.4./2, riguardante la zonizzazione funzionale, fornisce le indicazioni d’uso compatibili degli edifici e delle loro aree di pertinenza. La Fig. G.5.4./3, riguardante gli interventi di recupero, prescrive le modalità di intervento per ciascun edificio, operando anche su qualche area pubblica (piazza) con modalità che le norme tecniche debbono precisare. La Fig. G.5.4./4 è una configurazione urbanistica architettonica che rende in maniera molto efficace l’effetto piano-volumetrico che si intende raggiungere.
CARTOGRAFIA STORICA Per la redazione di un PRG, così come per quella di un PP (specialmente se riferito a un centro storico), assume grande importanza la conoscenza dei tempi e delle modalità di sviluppo e trasformazione di un insediamento. I documenti più utili sono quelli inerenti la cartografia storica, cioè le rappresentazioni planimetriche zenitali e tridimensionali elaborate in precedenza. Occorre comunque aver presente che le rappresentazioni cartografiche antiche, fino al XVI-XVII secolo, sono tendenzialmente sommarie e non prive di fantasiosi inserti tendenti a evidenziare, di volta in volta, aspetti particolari dell’immagine urbana. Le mappe catastali ottocentesche sono invece le prime rigorose rappresentazioni
alle quali è possibile fare riferimento. È bene ricordare che esse sono i documenti più attendibili delle realtà urbane pre-unitarie, alla conclusione di un lungo ciclo di lente trasformazioni quasi sempre interne a un perimetro murario immutato per secoli. Come è noto, le mappe catastali contengono sempre i confini di proprietà dei vari lotti. Indispensabili sono infine tutte le carte IGM elaborate dalla fine dell’Ottocento al giorno d’oggi, nonché i rilievi aerofotogrammetrici dal 1960 in poi. In qualche caso esistono anche foto aeree della prima metà del secolo che forniscono vedute di sicura utilità.
4. LLA G.5. BREVE A A GUID ICAZIONE UTIVA IF PIAN NALE ESEC COMU
G 43
G.5. 4.
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE GUIDA BREVE ALLA PIANIFICAZIONE COMUNALE ESECUTIVA ➦ CARTOGRAFIA STORICA FIG. G.5.4./5 CARTA DI ROMA (planimetria zenitale) DEL 1777, DISEGNATA DA ANONIMO
FIG. G.5.4./6 CARTA DI ROMA (veduta a volo d’uccello) DEL 1599, EDITA DA PIETRO BERTELLI
Fig. G.5.4./5 La città è rappresentata nei suoi tracciati viari e nei suoi isolati con discreto rigore, compreso il perimetro delle Mura Aureliane. Il tutto è frutto di accurate misurazioni. In alto a sinistra è riportata la scala grafica in canne Fig. G.5.4./6 In Nord è a sinistra, il punto di vista è orientativamente dal Gianicolo.Vi sono rappresentati: il perimetro delle Mura Aureliane, il corso del Tevere, gli edifici più importanti (tra gli altri S. Pietro, il Pantheon, S. Maria in Cosmedin, il Campidoglio, il Colosseo, le Terme di Caracalla). Il tessuto urbano è invece indicato in maniera assolutamente generica.
INTERVENTO ESECUTIVO IN UN CENTRO STORICO Gli strumenti esecutivi utilizzabili (e frequentemente utilizzati) sono il piano particolareggiato e il piano di recupero. Le differenze formali sono minime, ma non indifferenti. Il piano particolareggiato dovrebbe essere preferito in tutti i casi in cui si opera su di un intero complesso insediativo, il piano di recupero quando si opera su limitate porzioni di esso. Nel primo e nel secondo caso (ma specialmente nel primo) occorre agire con la massima attenzione trattandosi di tessuti estremamente delicati e spesso molto fragili a causa della loro vetustà. Ne consegue l’esigenza di mobilitare competenze tecniche particolarmente qualificate e in grado di impegnarsi con modalità specifiche di approccio e di garantire una alta qualità progettuale. In fase di indagine occorre anzitutto individuare: • l’omogeneità o disomogeneità dei tessuti edilizi definendo, se possibile, dei settori; • l’epoca di costruzione degli edifici e le loro principali caratteristiche tecnico-costruttive e tipologiche; • le attuali destinazioni d’uso degli edifici e delle aree verificandone la compatibilità; • lo stato di conservazione degli edifici; • la presenza di emergenze architettoniche e/o monumentali; • la presenza di eventuali stratificazioni archeologiche e la loro importanza; • le caratteristiche della rete viaria e delle sue aree nodali; • la presenza di aree verdi; • la presenza di aree di risulta; • la presenza di aree di particolare e irreversibile degrado; • le condizioni di margine e le modalità di innesto dei tessuti limitrofi più o meno recenti. Si tratta, evidentemente, di operazioni da condurre in forme dirette e indirette. Sono indagini dirette tutte quelle che possono compiersi “direttamente”, a vista, con particolari tecniche, osservando l’insediamento attuale; sono indagini indirette tutte quelle che debbono compiersi attraverso l’esame dei documenti, particolarmente delle cartografie antiche, dei rilievi aerofotogrammetrici, delle foto aeree, dei documenti di archivio. Per ognuna delle questioni elencate occorre proporre, in fase di progetto, delle soluzioni appropriate e tra loro complementari, grafiche e normative, che abbiano l’obiettivo di promuovere:
G 44
• il recupero dei tessuti edilizi con tecniche adeguate; • il restauro dei monumenti con modalità scientifiche; • la tutela delle caratteristiche ambientali di pregio eliminando le destinazioni d’uso improprie e favorendo, se possibile, l’arricchimento delle funzioni; • il risanamento delle condizioni di irreversibile degrado, anche con interventi decisamente attuali, privi di inutili mimetismi; • il miglioramento delle condizioni di margine e dei rapporti con il resto dell’insediamento (intera città); • l’attuazione di aree di totale pedonalizzazione, facilmente raggiungibili, dotate di parcheggi ai bordi; • la tutela del verde pubblico e privato, specialmente dei giardini storici. Per concludere occorre avere ben chiaro che non ci può essere contrapposizione tra città antica e città recente perché la città futura avrà necessità di riconoscersi organicamente in tutte le sue parti, senza privilegi ed esclusioni. La legislazione nazionale ha previsto, nel corso degli anni, vari tipi di piani esecutivi con finalità specifiche equiparandoli, come efficacia, al PP. Per essi si richiedono elaborati analoghi. Anche le procedure di approvazione sono analoghe, pur prevedendo qualche volta delle semplificazioni.
PIANO DI RECUPERO (PR) Il piano di recupero, derivante dalla legge n.457 del 1978, è uno strumento esecutivo utilizzabile dove esistono precise esigenze di recupero edilizio e/o urbanistico. Ha contenuti abbastanza simili a quelli del tradizionale PP, ma più specificamente rivolti alle
FIG. G.5.4./7
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE GUIDA BREVE ALLA PIANIFICAZIONE COMUNALE ESECUTIVA
G.5. 4. A.ZIONI
aree degradate di interesse storico-ambientale e alle destinazioni d’uso residenziali. Alcuni studiosi lo definiscono un “piano particolareggiato di tipo speciale”. Esso può essere d’iniziativa pubblica (comunale) oppure d’iniziativa privata (dei proprietari singoli o riuniti in consorzio che lo propongono al Comune). In pratica si è osservato che il PR può avere valida applicazione solo su entità urbane limitate, isolati ed edifici, meglio se all’interno di un insediamento antico degradato già sottoposto a PP. È infatti molto difficile pensare di realizzare interventi consistenti di ristrutturazione urbanistica tramite un piano di recupero.
DOCUMENTAZIONE DI BASE La documentazione di base è analoga a quella di un PP, integrata da una vasta documentazione storica. È essenziale censire tutti gli edifici precisando, per ciascuno di essi: la tipologia, il numero dei piani, la copertura, lo stato di conservazione degli interni e delle finiture esterne (livello di degrado), le caratteristiche strutturali, le destinazioni d’uso, la dotazione di servizi, l’interesse storico-ambientale. L’area d’intervento può essere articolata in settori, comparti, unità edilizie.
ELABORATI DI PROGETTO Il PR individua i complessi edilizi-urbanistici da recuperare e per ciascuno di essi (o parti), precisa l’intervento da attuare in base a una apposita gamma di tipologie d’intervento: • restauro; • ristrutturazione parziale o integrale; • manutenzione straordinaria; • adeguamento igienico-tecnologico-funzionale; • demolizione senza ricostruzione; • ristrutturazione urbanistica. Gli elaborati progettuali più richiesti sono i seguenti: • individuazione delle zone oggetto del PR e stralcio della pianificazione di riferimento (PRG o PP) e delle sue norme; • planimetria della consistenza edilizia-urbanistica attuale dalla quale si ricavi (insieme a schede e allegati vari) lo stato di fatto; • planimetria di progetto che individui (su mappe catastali e allegati) le tipologie del recupero e precisi le unità minime di intervento; • profili regolatori e sezioni, rete stradale; • norme attuative; • elenco catastale delle proprietà da espropriare o da
sottoporre a speciali vincoli (elaborato da redigere solo se il PR è d’iniziativa pubblica); • relazione e previsioni di spesa; • schema di convenzione (elaborato da redigere solo se il PR è d’iniziativa privata).
PROCEDURA DI APPROVAZIONE L’iter del PR si sviluppa e si conclude in sede comunale. Non è necessario l’intervento della Regione o della Provincia quando siano rispettati gli indirizzi del piano sopraordinato (PRG o PP). I privati hanno sempre la possibilità di fare opposizioni o osservazioni dopo l’adozione e pubblicazione del PR; su di esse decide il Consiglio Comunale. Il Comune, una volta approvato il PR, può procedere all’acquisizione coattiva degli immobili i cui proprietari si dimostrino inadempienti rispetto all’attuazione delle opere. Molte legislazioni regionali entrano nel merito delle procedure. Problematiche assai complesse e di difficile soluzione possono presentarsi quando il PR è applicato a insediamenti abusivi.
PIANO DI LOTTIZZAZIONE (PL) Il piano di lottizzazione è lo strumento esecutivo d’iniziativa privata che attua, nell’ambito di zone riservate a residenze o ad attività produttive, le previsioni del PRG in ambiti non urbanizzati o scarsamente urbanizzati. È previsto dalla legge n.765 del 1967. Esso è fondamentalmente definito da una apposita convenzione tra lottizzante (unico o consorzio dei proprietari delle aree) e Amministrazione Comunale, da trascriversi sui registri immobiliari.
DOCUMENTAZIONE DI BASE La documentazione di base consiste in: • rilievi aerofotogrammetrici aggiornati, in scala adeguata all’estensione dell’area e al livello di approfondimento che si vuole ottenere (da 1:2.000 a 1:500); • mappe catastali dell’intera area; • reti delle comunicazioni di accesso e delle eventuali possibilità di allacciamento dei servizi; • documentazione fotografica dei luoghi; • eventuali rilievi planimetrici e altimetrici da terra comprendenti anche le piantagioni; • accordo tra i proprietari (nel caso di più proprietari; • eventuali vincoli.
• norme specifiche integrative di quelle di PRG; • relazione; • schema di convenzione tra i soggetti promotori che documenti chiaramente gli obblighi reciproci (privati – Amministrazione Comunale), i tempi di attuazione, gli oneri e le garanzie finanziarie. La convenzione è il documento base dell’intervento. Essa deve contenere la chiara descrizione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria e tutti gli obblighi contrattuali. Tali opere di urbanizzazione debbono essere eseguite prima o contestualmente agli edifici residenziali o produttivi e risultare completate prima della dichiarazione di abitabilità o di agibilità di questi ultimi.
ELABORATI DI PROGETTO
PROCEDURA DI APPROVAZIONE E ATTUAZIONE
Gli elaborati di progetto sono analoghi a quelli di un PP e consistono essenzialmente di: • stralcio del PRG e delle sue norme tecniche; • planimetrie quotate dello stato di fatto delle aree; • planimetrie di progetto su mappe catastali e altri elaborati come sezioni, servizi a rete, rete stradale, eventuali planovolumetrie e particolari;
La procedura di approvazione è analoga a quella del PP e tende a limitare sempre più il coinvolgimento regionale. Si tende anche a eliminare la preventiva autorizzazione del Sindaco a lottizzare, considerandola come atto implicito dell’approvazione consiliare del PL e della stipula della convenzione.
La trascrizione della convenzione è l’atto che conclude l’iter di approvazione di un PL. L’attuazione dovrebbe avvenire in un decennio, almeno per quanto concerne le opere di urbanizzazione, ammettendo che gli interventi edilizi possano anche slittare nel tempo. Ma esistono pareri discordi. Se, dopo l’approvazione di un PL, dovessero rendersi necessarie modifiche sostanziali si dovrà seguire la procedura della Variante. In generale è bene che gli elaborati originali considerino vincolanti le caratteristiche di insieme del piano e indicative le caratteristiche di dettaglio. Alcune leggi regionali sono già abbastanza esplicite in tal senso, purché non si alterino la dotazione di servizi pubblici, i pesi insediativi e l’impianto complessivo. I PL possono essere impugnati solo da coloro che abbiano titolo a dimostrare il loro legittimo interesse all’annullamento. Le interpretazioni sono, in generale, molto restrittive. Il Comune ha l’obbligo di pronunciarsi su tutte le domande di lottizzazione. Il termine di attuazione di un PL dovrebbe essere decennale (analogamente a quello di un PP), ma esistono pareri difformi.
PIANO DI LOTTIZZAZIONE D’UFFICIO (PLU)
CONCESSIONE E AUTORIZZAZIONE
In mancanza d’iniziativa da parte dei privati proprietari dei suoli (per mancanza di accordo tra loro o per generale disinteresse) il Comune può promuovere un piano di lottizzazione d’ufficio. La procedura in questo secondo caso è la seguente: • il Comune sollecita i proprietari a predisporre un PL fissando dei precisi termini; • decorsi inutilmente i termini (di solito non meno di 30 giorni e non più di 60), il Comune provvede alla redazione del progetto di un PLU e alla sua adozione unitamente a uno schema di convenzione; • lo schema di convenzione e i suoi allegati vengono accettati e sottoscritti dai proprietari dei suoli o da coloro che potranno subentrare in seguito a esproprio delle aree; • tutta la documentazione viene inviata al Comitato regionale di controllo (CRC) per il visto di esecutività. Il PL e il PLU dovrebbero poter essere impugnati dagli aventi diritto nei termini di 60 giorni per il ricorso al TAR e di 120 giorni per il ricorso straordinario al Capo dello Stato. Sull’insieme di tali questioni esistono tuttavia orientamenti giurisprudenziali poco omogenei e molte incertezze di merito. Può verificarsi, ad esempio, l’accettazione del PLU da parte di alcuni proprietari ma non di tutti. Si manifesterebbe allora una frantumazione del comprensorio in sub-comprensori e non è detto che possa ugualmente essere garantita un’attuazione organica dell’insieme. Il Comune ha la facoltà di apportare modifiche al progetto, oppure di procedere all’esproprio delle aree di coloro che non accettano il PLU.
CONCESSIONE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
La concessione a edificare è dovuta al proprietario dell’area, che presenti un progetto esecutivo in regola con le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti e ne faccia richiesta. La concessione è onerosa. Essa obbliga al pagamento degli oneri di urbanizzazione (quota) e di un contributo commisurato ai costi di costruzione (quota). La concessione è obbligatoria per ogni intervento riguardante “trasformazione urbanistica e edilizia del territorio comunale” (v. legge n.10 del 1977). La concessione può essere utilizzata solo dal titolare; in caso di passaggio di proprietà dell’area deve essere richiesta la voltura. Eventuali modifiche delle previsioni urbanistiche possono portare alla decadenza della concessione non ancora utilizzata. La concessione viene rilasciata dal Sindaco o da un Assessore delegato. L’eventuale diniego deve essere adeguatamente motivato. Nel caso di edilizia convenzionata l’onere di concessione è limitato alla sola quota inerente gli oneri di urbanizzazione. La concessione può essere gratuita per la realizzazione di opere in zone agricole, interventi di restauro e ristrutturazione, interventi di consolidamento statico, opere pubbliche e di pubblica utilità. La concessione può non essere richiesta per le opere di manutenzione ordinaria e straordinaria.
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4. LLA G.5. BREVE A A GUID ICAZIONE UTIVA IF PIAN NALE ESEC COMU
G 45
G.5. 4.
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE GUIDA BREVE ALLA PIANIFICAZIONE COMUNALE ESECUTIVA ➦ CONCESSIONE E AUTORIZZAZIONE ➦ CONCESSIONE La concessione può essere revocata per vizi di legittimità o per sopraggiunti rilevanti motivi di interesse pubblico. Le domande di concessione vengono presentate all’apposito ufficio comunale che le esamina in ordine di presentazione. Ogni istruttoria dovrebbe concludersi entro sessanta giorni con una relazione tecnicogiuridica, a meno che non vi sia un’interruzione per richiesta di integrazione dei documenti.
AUTORIZZAZIONE Alcuni interventi finalizzati al mantenimento dell’esistente non sono soggetti al rilascio della concessione, ma a semplice autorizzazione non onerosa (legge n.94 del 1982 – art.7). In generale si tratta di interventi di restauro e risanamento rivolti a conservare l’organismo edilizio, ma esistono non poche difficoltà interpretative.
PIANO PER L’EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE (PEEP) Il piano di zona per l’edilizia economica e popolare, molto utilizzato da quasi tutti i Comuni italiani negli anni 1965-85, è previsto dalla legge n.167 del 1962. Si tratta di un piano esecutivo finalizzato all’acquisizione tramite esproprio di aree per l’edilizia economica e popolare (sovvenzionata e convenzionata) da utilizzare successivamente in diritto di superficie, almeno per il 60% del totale. Numerose le leggi di modificazione e integrazione del provvedimento originario. Tra queste la legge n.847 del 1964, la legge n.431 del 1965, la legge n.457 del 1978, la legge n.179 del 1992. Sono obbligati alla redazione del PEEP tutti i Comuni con più di 50.000 abitanti e altri compresi in appositi elenchi e con appositi requisiti. In generale tutti i Comuni possono, di propria iniziativa, dar corso a un PEEP e incrementarlo nel corso degli anni in base a documentate esigenze.
DOCUMENTAZIONE DI BASE La documentazione di base è analoga a quella necessaria per un PL (a meno dell’accordo tra i proprietari).
ELABORATI DI PROGETTO Gli elaborati progettuali essenziali debbono individuare: • il perimetro complessivo delle aree da espropriare; • le aree destinate alla rete stradale principale e secondaria; • le aree destinate alle attrezzature pubbliche e ai servizi; • le aree destinate al verde e ai parcheggi pubblici; • le aree destinate alle residenze (compresi gli indici di utilizzazione fondiaria e le tipologie schematiche); • i servizi a rete. È molto opportuna anche la presenza di elaborati plano-volumetrici d’insieme.
Il progetto deve comprendere, inoltre, lo stralcio del PRG, gli elenchi catastali delle proprietà, una accurata relazione, eventuali norme specifiche e le previsioni di spesa. Le tavole principali debbono essere redatte in scala 1:2000, ma è preferibile utilizzare la scala 1:1000 con dettagli 1:500 e 1:200.
PROCEDURA DI APPROVAZIONE Il P.E.E.P. viene adottato dal Consiglio Comunale e pubblicato per consentire la presentazione di eventuali opposizioni e osservazioni. L’approvazione definitiva spetta all’autorità regionale o provinciale; le procedure sono state molto semplificate, specialmente se il PEEP è chiara conseguenza del PRG e non comporta varianti. I privati possono in ogni caso valersi dei normali ricorsi al TAR e al Capo dello Stato, purché sussistano fondati motivi di legittimità. I PEEP sono validi per 18 anni (prorogabili per altri due) e possono comportare modifiche periodiche dei programmi di attuazione. Possono intervenire con il tempo anche varianti di contenuto che seguono la stessa procedura di approvazione del PEEP originario. Tuttavia, se tali varianti non incidono sul dimensionamento del perimetro globale, sugli indici di edificabilità e sugli standard, può bastare una deliberazione consiliare. IL PEEP può avere anche carattere intercomunale se più Comuni contermini si consorziano tra loro, così come è già avvenuto nell’area milanese.
ALTRE QUESTIONI DI MERITO Il PEEP (detto anche piano di zona PZ) può attuarsi anche in aree interamente o parzialmente edificate, dove esistano immobili da trasformare o da demolire.
FIG. G.5.4./8 DUE PIANI PER L’EDILIZIA ECONOMICA POPOLARE A ROMA (2° PEEP 1985)
G 46
Possibilità interessante, ma che ha trovato scarsa applicazione pratica per il manifestarsi di molte difficoltà oggettive. Occorre rilevare che a seguito dell’emanazione della legge n.457 del 1978 è risultato più semplice utilizzare in tali aree il PR. Molta importanza ha la scelta localizzativa delle aree quando si intenda giustamente evitare che si manifestino di forme di isolamento e di marginalizzazione sociale degli abitanti meno abbienti, di coloro che accedono solitamente ai benefici dell’edilizia sovvenzionata e convenzionata. Individuando aree decisamente periferiche occorre dimostrare l’esistenza di razionali canali di comunicazione con il centro urbano e con le aree urbanizzate adiacenti, nonché l’idoneità topografica e geologica dei luoghi, oltre alla coerenza con il PRG e con le sue direttrici di sviluppo. Raccomandabile anche una programmazione temporale degli interventi che assicuri il completamento dell’insieme in tempi ragionevoli. Altra questione è il dimensionamento dei singoli interventi. Dopo aver calcolato il fabbisogno complessivo nell’arco di un decennio è preferibile individuare una serie di piccoli interventi contigui ad altri di carattere privato, piuttosto che grandi interventi inevitabilmente tendenti a forme di isolamento sociale. Deve essere evitata anche l’eccessiva densità edilizia, avendo però presente che, al contrario, quella molto bassa comporta costi di urbanizzazione e di gestione troppo elevati. In generale la densità fondiaria media raccomandabile è quella compresa tra i 3 e i 5 mc/mq. Quanto alle opere minime per attrezzature pubbliche, servizi e verde occorre fare riferimento al DM 2 aprile 1968 (standard), nonché alla legge n.426 del 1971 (attrezzature commerciali).
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE GUIDA BREVE ALLA PIANIFICAZIONE SETTORIALE
G.5. 5. A.ZIONI
PIANO INTEGRATO D’INTERVENTO (PII) Il piano integrato d’intervento, introdotto dalla legge n.179 del 1992, è applicabile sia in aree di nuova edificazione sia in aree totalmente o parzialmente edificate, avendo come obiettivo prioritario la riqualificazione urbana e ambientale. All’attuazione del PII possono concorrere vari soggetti con risorse finanziarie pubbliche e private. Particolare attenzione deve essere rivolta alle opere di urbanizzazione come tipologia apposita d’intervento. Non mancano tuttavia alcune contraddizioni ben evidenziate da un duro intervento della Corte Costituzionale (n.396 del 1992) tendente a limitarne l’utilizzazione, l’eccessivo liberismo, la sovrapposizione a norme statali. Il PII dovrebbe trovare, nell’ambito delle normative regionali (è infatti derivato dalla legislazione lombarda), il ruolo di un piano urbanistico esecutivo che sia anche stralcio del programma pluriennale di attuazione del PRG (per altro scarsamente utilizzato da molti Comuni).
• stralcio del PRG e della sua normativa; • estratto catastale con l’individuazione delle aree e l’elencazione delle proprietà; • stato di fatto dell’edificazione (comprendente le densità edificatorie, le altezze, i volumi); • stato di fatto della rete viaria; • progetto planimetrico e plano-volumetrico degli edifici (con l’individuazione di quanto deve essere trasformato, mantenuto o eliminato); • profili regolatori; • progetti delle opere di urbanizzazione; • norme specifiche e relazione tecnica; • programma di attuazione integrato a quello più generale del Comune.
DOCUMENTAZIONE DI BASE
PROCEDURA DI APPROVAZIONE
La documentazione di base può considerarsi analoga a quella di un PL.
Se il PII è in perfetta aderenza con il PRG e con i vincoli di tutela esistenti, può essere approvato direttamente dal Comune, che ne invierà una copia alla Regione (o alla Provincia) per conoscenza. Se esistono varianti occorre seguire il consueto iter e ottenere il parere della Regione (o della Provincia) e delle amministrazioni interessate ai vincoli.
ELABORATI DI PROGETTO Gli elaborati tecnici minimi dovrebbero essere i seguenti:
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
PIANO DELLA RETE DI VENDITA (PRV) Il piano della rete di vendita – o piano del commercio – ha avuto una certa notorietà e diffusione negli anni ’80-’90 per effetto di leggi, decreti e circolari che imponevano una programmazione razionale del settore. Negli ultimi anni esso ha perso gran parte del proprio significato a causa di nuove norme che tendono a liberalizzare al massimo le attività. Anche la sempre più diffusa presenza di supermercati e ipermercati ha modificato completamente i rapporti interni alla rete, nonché le abitudini degli utenti. Le implicazioni inerenti la localizzazione dei punti ven-
dita dovrebbero comunque essere tenute presenti in sede di pianificazione urbana (PRG, PP ecc.) trattandosi di attrezzature di servizio importanti e che hanno bisogno di facili accessi, aree di sosta, aree di parcheggio, aree di deposito temporaneo, (v. anche “Aree per le attività produttive urbane” – F.2.2). Le superfici minime degli esercizi dovrebbero essere fissate per categorie di prodotti. In generale vengono considerate tre classi di ampiezza: fino a 200 mq; travolgente 400 mq; oltre 400 mq. Il PRV è adottato con delibera del-
la Consiglio Comunale, affisso all’Albo Pretorio e pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione. È possibile presentare osservazioni, ma non c’è obbligo di controdeduzioni da parte del Comune. Scopo del PRV dovrebbe essere soprattutto quello di localizzare, secondo un livello gerarchico, le attrezzature commerciali, riducendo la congestione delle aree centrali e migliorando la dotazione delle periferie. Andrebbe evitata la monofunzionalità merceologica delle grandi aree di vendita.
PIANO PER GLI INSEDIAMENTI PRODUTTIVI (PIP) Il piano per gli insediamenti produttivi è uno speciale strumento esecutivo previsto dalla legge n.865 del 1971 (art.27) allo scopo di organizzare razionalmente aree produttive di varia natura: industriali, artigianali, commerciali e turistiche. Può quindi consistere in vari “nuclei” diversamente localizzati. È da considerare legittima la presenza di uffici e di servizi strettamente connessi alla funzionalità degli insediamenti produttivi. È invece illegittimo l’utilizzazione del PIP per un solo complesso produttivo (un solo stabilimento industriale, un solo albergo e simile) o per opere in contrasto con il PRG Alcune leggi regionali subordinano la possibilità di promuovere il PIP a una preventiva autorizzazione regionale tendente a salvaguardare gli obiettivi produttivi di area vasta presenti nella pianificazione territoriale. Per le aree soggette a PIP è previsto l’esproprio per pubblica utilità. I PIP possono essere promossi da tutti i Comuni, purché dotati di uno strumento urbanistico generale (PRG). Possono essere promossi anche da più Comuni consorziati tra loro costituendo dei veri e propri poli di sviluppo economico a scala territoriale. In generale deve essere però richiesta l’autorizzazione regionale affinché non siano alterati gli obiettivi della pianificazione di area vasta, regionale e provinciale.
DOCUMENTAZIONE DI BASE La documentazione di base è analoga a quella di un PP.
ELABORATI DI PROGETTO Il piano di un nucleo di carattere industriale (o misto industriale-artigianale) dovrebbe comprendere: • tavola d’inquadramento territoriale in scala 1:25.000 che evidenzi la scelta localizzativa rispetto al sistema delle grandi infrastrutture e ai vincoli; • stralcio del PRG e delle sue norme; • planimetrie progettuali in scala da 1:10.000 a 1:2000 che illustrino la rete stradale, le altimetrie, la lottizzazione, i servizi, il verde, i parcheggi, le eventuali preesistenze, le opere edilizie da realizzare preliminarmente; • planimetria catastale con il perimetro del nucleo e gli immobili da espropriare accompagnata dai relativi elenchi delle ditte; • planimetrie progettuali (con allegati) riguardanti le opere per il rifornimento idrico ed elettrico, la depurazione e lo smaltimento delle acque, gli eventuali allacciamenti a metanodotti ecc.; • relazione tecnica contenente l’illustrazione dettagliata
dello stato di fatto, delle ipotesi di sviluppo produttivo, delle iniziative complementari chiaramente ipotizzabili, dei problemi esistenti, delle modalità da seguire; • piano finanziario indicante gli oneri parziali o totali da sostenere.
PROCEDURA DI APPROVAZIONE E ATTUAZIONE La procedura di approvazione è analoga a quella di un PEEP. Il PIP ha validità per 10 anni dalla data ufficiale di approvazione. I Comuni e gli eventuali Consorzi possono deliberare programmi di attuazione poliennali (in analogia con quelli dei PEEP) precisando quali aree possano essere cedute in proprietà e quali in diritto di superficie a tempo indeterminato. Tra le domande di concessione deve essere data priorità a quelle presentate da enti pubblici. I numerosi PIP progettati dal 1971 in poi non hanno dato, in generale, risultati molto positivi, a eccezione di quelli redatti per razionalizzare processi di sviluppo produttivo già in atto.
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I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
PIANO URBANO DEL TRAFFICO (PUT) Il piano urbano del traffico trae origine dalla Circ. Min. LLPP n.2575 del 1986, che fornisce indicazioni per la circolazione stradale nelle aree a elevata densità veicolare. Un’altra Circolare (n.1196 del 1991) fornisce orientamenti per la fluidificazione del traffico. Anche il nuovo Codice della strada (DL n.285 del 1992) affronta gli argomenti relativi alla circolazione, alla congestione, all’inquinamento delle aree urbane ed extraurbane. Altre direttive ministeriali sono state emanate nel 1995 (12 aprile). Il PUT è da considerarsi uno strumento complementare strategico della pianificazione urbanistica o un documento d’intenti finalizzato alla migliore utilizzazione della rete infrastrutturale specialmente stradale) da coordinare con il programma dei parcheggi (PUP) e con un auspicabile piano dei trasporti. Sono obbligati a redigere il PUT i Comuni con popolazione residente o presente superiore a 30.000 abitanti, nonché quelli di particolare valore storico-ambientale nei quali si registrano movimenti molto intensi e situazioni di congestione. L’elenco dei Comuni obbligati è predisposto dalla Regione che può individuare anche esigenze di coordinamento tra più Comuni contermini.
Di solito è utile predisporre indagini conoscitive dello stato di fatto utilizzando appositi questionari inerenti la domanda di mobilità. Gli elaborati progettuali dovrebbero riguardare: la riorganizzazione della mobilità pubblica; la riorganizzazione della mobilità privata; la configurazione di aree destinate alla mobilità pedonale; la definizione di adeguate aree di scambio e di sosta. Gli elaborati grafici debbono essere redatti sempre a scale adeguate al problema specifico: da 1:25.000 a 1:5.000 e, in qualche caso, anche a 1:2.000. Notevole importanza assumono la relazione illustrativa e le previsioni di spesa. Il PUT è approvato con delibera del Consiglio Comunale ed è soggetto ad adeguamenti biennali. Non prevale sugli strumenti urbanistici vigenti e non può costituire variante. Per una corretta organizzazione del traffico urbano, occorre intervenire sull’offerta di infrastrutture (con classificazione funzionale delle strade, organizzazione qualificata della viabilità e delle sue intersezioni, attenta collocazione dei sensi unici ecc.) e sul miglioramento dei servizi (con collocazione appropriata e adeguata dei parcheggi, delle aree pedonali, delle aree di scambio).
4. LLA G.5. BREVE A A GUID ICAZIONE UTIVA IF PIAN NALE ESEC COMU 5. LLA G.5. BREVE A A GUID ICAZIONE IF PIAN RIALE SETTO
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G.5. 5.
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE GUIDA BREVE ALLA PIANIFICAZIONE SETTORIALE PROGRAMMA URBANO DEI PARCHEGGI (PUP) Il programma urbano dei parcheggi trae origine da vari provvedimenti, ma particolarmente dalla legge n.122 del 1989 e conseguenti decreti di attuazione nonché circolari illustrative. Tale legge dispone che nei quindici maggiori Comuni e in altri individuabili dalla Regione sia obbligatorio redigere il PUP, con la possibilità di accedere ad appositi finanziamenti (PUP speciale). Ma tutti i Comuni possono predisporre un PUP, pur non potendo usufruire dei finanziamenti di legge. Il PUP è sostanzialmente uno strumento di programmazione attuativa e finanziaria e ha quindi funzioni complementari rispetto agli strumenti attuativi urbanistici. Per i Comuni obbligati il PUP può porsi automaticamente come variante rispetto alle previsioni del PRG
La sua approvazione costituisce dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle opere previste. Per ciascuna zona d’intervento occorre quantificare l’offerta di sosta esistente, la domanda e l’offerta futura a seguito dell’attuazione. Occorre pertanto procedere alla classificazione funzionale delle aree in questione e fissare degli standard dotazionali in relazione alle caratteristiche funzionali delle varie zone: residenziali, produttive, direzionali, commerciali e miste. Occorre anche procedere alla classificazione funzionale delle strade per determinare dove la sosta può essere consentita e dove deve essere rigorosamente vietata. Dovranno infine essere individuate le aree di scambio tra trasporto pubblico e trasporto privato. Il Comune può provvedere direttamente all’esecuzione dei lavori o affidarli in concessione.
PROGRAMMA DELLA RETE CICLOPEDONALE (PCP) Il programma della rete ciclopedonale discende dall’esigenza di creare alternative al trasporto automobilistico, almeno sulle brevi distanze. Discende anche dalla legge n.208 del 1991 che concede benefici per la realizzazione di tali reti. Per quanto riguarda i percorsi ciclabili non esiste una normativa nazionale; alcune Regioni, come la Lombardia, ne hanno predisposte di apposite. Le piste ciclabili debbono essere realizzate in sede propria, ma possono anche snodarsi in parallelo a strade urbane di quartiere e a strade extraurbane a traffico limitato, purché si tratti di corsie riservate. La larghezza minima (standard consigliabile) di una pista ciclabile è di 1,50 m, riducibile a 1,25 m nel caso di due corsie affiancate a doppio senso di marcia. I punti di frizione sono gli eventuali incroci con la viabilità carrabile; essi possono avvenire “a raso” mediante semaforizzazione oppure utilizzando sottopassi o sovrappassi. Occorre sempre individuare aree di sosta e di parcheggio. Molto importanti le caratteristiche planoaltimetriche: la pendenza longitudinale non dovrebbe superare il 5% salvo brevi tratti particolari. Meglio se la pendenza media complessiva non supera il 2%. I raggi di curvatura non dovrebbero essere inferiori ai 5 m. Occorre anche stabilire dei limiti di velocità, tenendo conto che i ciclisti si muovono generalmente a circa 30 km/ora.
Nei casi in cui si verifichi promiscuità di circolazione ciclistica e pedonale la velocità massima dovrebbe essere abbassata a 10 km/ora in modo da non determinare situazioni di pericolo per i pedoni. Ogni pista ciclabile deve avere lunghezza adeguata e portare a una destinazione utile e gradevole. I “tronchi” di pista sono sempre scarsamente utilizzati. Ogni pista deve disporre di spazi attrezzati per la sosta e il parcheggio e, nei casi più complessi, anche di ricoveri custoditi. Importanti le finiture: il colore della pavimentazione deve essere ben distinto da quelli adiacenti stradali o pedonali; le griglie di raccolta delle acque debbono essere solo trasversali alla pista e non creare difficoltà di transito. Occorre inoltre non trascurare la segnaletica, sia orizzontale sia verticale. Gli elaborati di progetto dovrebbero comprendere: la planimetria della rete; le sezioni tipo; gli incroci tipo; le caratteristiche tecniche e dei materiali; la relazione descrittiva e il programma dei costi e dei tempi di realizzazione. I percorsi pedonali possono avere caratteristiche molto varie, ma debbono sempre dar luogo a reti complete, interrotte solo da attraversamenti protetti (strisce, semafori ecc.). Possono adottarsi, con grande beneficio per gli utenti, tratte pedonali meccanizzate (tappeti mobili e simili).
Gli elaborati di progetto dovrebbero descrivere al meglio la continuità della rete, la presenza di aree pedonali vaste, le opere da realizzare, i tempi e i costi. Nel caso di aree pedonali vaste (intero centro storico, parte di esso, altro) occorre aver presente che, per la loro funzionalità, è bene predisporre ai bordi adeguati parcheggi automobilistici. Il PCP è approvato dal Comune ed equivale a dichiarazione di pubblica utilità e urgenza. Nel caso di difformità dagli strumenti urbanistici vigenti esso è approvato in Variante dei medesimi. In stretta contiguità con il PCP può essere redatto un piano del verde urbano (PVU) allo scopo di organizzare un sistema complesso riguardante le aree di mobilità e svago e quelle del verde. Quest’ultimo dovrebbe essere articolato secondo le sue caratteristiche strutturali: verde pubblico e privato delle aree abitative, verde dei parchi e giardini, verde dei viali, verde produttivo (orti e aree agricole marginali all’insediamento). Attenzione speciale dovrebbe essere riservata al “verde storico” che ha spesso necessità di autentiche opere di restauro. Un accurato rilievo dello stato di fatto deve comprendere anche un attento esame dello stato di conservazione delle essenze vegetali arboree e di arbustive.
ARREDO URBANO Riguarda l’insieme degli elementi di finitura (di “arredo”) che completano uno spazio esterno di uso collettivo, con finalità pratiche ed estetiche. In qualche caso si progettano veri piani per strade o interi rioni allo scopo di migliorarne la qualità e fornire indicazioni progettuali che evitino la consueta casualità delle realizzazioni. Sono settori dell’arredo urbano i seguenti: • le pavimentazioni (per le aree pedonali e veicolari, per i parcheggi, gli scivoli, le piste ciclabili); • la segnaletica (stradale, edilizia-urbanistica, turistica); • le attrezzature per la mobilità (per le fermate dei mezzi pubblici, per i percorsi pedonali meccanizzati, per i sovrappassi e i sottopassi, per le barriere di protezione); • le attrezzature per il verde (per le recinzioni, la protezione delle piante, i sentieri e i percorsi interni, le vasche e i giochi d’acqua, gli impianti di innaffiamento);
• gli arredi di vario tipo come panchine, chioschi, contenitori dei rifiuti, servizi igienici, pensiline, fioriere, cabine telefoniche, cassette postali ecc.; • l’illuminazione pubblica (apparecchi illuminanti e conseguenti effetti ottenibili nelle strade, nelle piazze, lungo i percorsi pedonali, nei parcheggi ecc.); • l’impiantistica riferita alle reti dei servizi e alle loro parti visibili; • le installazioni pubblicitarie (supporti per manifesti, insegne luminose, cartellonistica, giornali luminosi ed elettronici, installazioni per usi temporanei). Particolari indicazioni dovrebbero essere fornite anche per le parti esterne delle vetrine degli esercizi commerciali pur senza entrare nelle connessioni con le parti interne. Nell’ambito degli interventi per l’arredo urbano vengono predisposti, a volte anche dei piani del colore con l’obiettivo di fornire criteri cromatici con i quali operare per il ripristino delle parti esterne degli edifici esistenti.
PROGRAMMA DEL COLORE DEGLI EDIFICI (PCE) Il programma del colore è strettamente connesso alle iniziative di recupero ambientale. Non è previsto da norme nazionali, ma può assumere rilevanza a livello locale nell’ambito delle normative di carattere esecutivo e delle problematiche inerenti la manutenzione degli edifici. Potrebbe correttamente configurarsi come un allegato del Regolamento Edilizio. Un PCE presume accurate conoscenze sia storiche, sia delle tecniche costruttive e dei materiali. Dovrebbe prendere in considerazione, volta per volta, zone limitate con caratteristiche abbastanza omogenee che consentano la definizione di indirizzi validi per gli elementi costitutivi principali (murari, di copertura, di finitura) e gli elementi accessori (portali, scalinate, pensiline, ornati ecc.). È bene predisporre, per prima cosa, accurate schede di rilevamento degli edifici che contengano tutti i dati illustrativi, tecnici e storici necessari. Dovrebbero essere registrate anche le preesistenze cromatiche e svolte, a parte, accurate ricerche d’archivio. Gli elaborati del PCE dovrebbero documentare: • lo stato di conservazione; • gli elementi caratteristici formali;
G 48
• gli elementi caratteristici decorativi; la visione fotografica dello stato di fatto; il catalogo di fatto e di progetto delle colorazioni, individuando anche le ricorrenze cromatiche; gli accostamenti cromatici di progetto (o tabella delle combinazioni raccomandate); • il repertorio dei materiali esistenti e ammissibili; • le procedure tecniche-operative da seguire; • tutti gli altri suggerimenti utili per condurre al meglio le operazioni di ripristino cromatico degli edifici, comprese quelle di sostanziale modificazione. Non è da escludere, almeno in linea teorica e con le dovute differenze, che un PCE possa essere predisposto anche per aree di nuova edificazione o di trasformazione. Occorre osservare che nessuna legge nazionale fa cenno al ripristino cromatico degli edifici e che tale ripristino è affidato più che altro ai suggerimenti delle Soprintendenze e all’impegno dei Comuni. Esistono comunque codificazioni del colore inerenti la sua descrizione oggettiva: Sistema Munsel (americano), adottato anche dall’UNI e Sistema N.C.S. (svedese). Lo Scandinavian Colour Institute ha prodotto anche un atlante contenente 1500 colori, già largamente diffuso.
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE GUIDA BREVE ALLA PIANIFICAZIONE SETTORIALE PIANO PAESISTICO Il concetto di piano paesistico introdotto dalla legge n.1497 del 1939 inerente la protezione delle bellezze naturali, è finalizzato alla salvaguardia delle località e delle visuali panoramiche. Il successivo Regolamento (RD n.1357 del 1940) specifica accuratamente i contenuti del piano la cui iniziativa è affidata alle Soprintendenze. Nel 1985, la legge n.431 ha ampliato le finalità originarie e stabilito che i piani territoriali regionali appongano obbligatoriamente una serie generalizzata di vincoli alle aree di elevato interesse ambientale e che detti piani possano anche assumere valenza paesistica. I due procedimenti (in base alle leggi del 1939 e del 1985), pur integrandosi, sono tuttavia molto diversi: il primo ha caratteristiche simili a quelle di un piano esecutivo e può condurre all’esproprio di aree; il secondo ha caratteristiche generiche di tutela in un ambito vasto come il territorio regionale. La cosa più logica è quindi che, redatto il piano territoriale di coordinamento e localizzate le aree di vincolo si individuino alcune aree di pregio specifico da sottoporre eventualmente a piano paesistico. La legge n.431 tutela specificatamente: • i territori costieri per una profondità di 300 m; • i territori limitrofi ai laghi per una profondità di 200 m; • le sponde dei fiumi dei potenti per una fascia di 150 m per lato; • le montagne alpine oltre i 1.600 m e le montagne appenniniche e delle isole oltre i 1.200 m; • i ghiacciai e i circhi glaciali; • i parchi e le riserve nazionali e regionali; • le foreste e i boschi; • le aree assegnate alle Università agrarie e gravate da usi civici; • le zone umide; • i vulcani; • le zone di interesse archeologico.
CLASSIFICAZIONE DELLE AREE SOTTOPOSTE A PIANO PAESISTICO Le aree sottoposte a piano paesistico vengono generalmente classificate in 4-5 categorie: di riserva integrale, di riserva orientata, di riserva naturale, di tutela generale semplice o limitata a particolari aspetti. Le prime tre categorie sono quelle di maggior interesse. • Sono aree di riserva integrale quelle appartenenti a parchi che, per i loro eccezionali interessi botanici, zoologici, idrogeologici e morfologici, meritano il livello massimo di tutela, escludendo qualsiasi forma di utilizzazione (con l’eccezione di quanto eventualmente strettamente necessario alla loro manutenzione). Queste aree sono vietate alla pubblica fruizione. Possono accedervi solo visitatori motivati da interessi rigorosamente scientifici. • Sono aree di riserva orientata quelle appartenenti a parchi che si intendono tutelare per il loro rilevante pregio botanico, oppure ambientale-paesaggistico, oppure storico-archeologico, valorizzandone aspetti particolari in un generale equilibrio d’insieme. Vi è consentito lo svolgimento di attività che non siano in contrasto con le finalità principali. Gli accessi dovrebbero essere limitati e controllati. • Sono aree di riserva naturale quelle appartenenti a zone riservate all’uso agricolo-forestale e ricreativo, con caratteristiche di particolare pregio ambientale, dove la tutela è affidata al rispetto di alcune prescrizioni e limitazioni d’uso. In esse dovrebbero essere valorizzate tutte le risorse ecologiche (garantendo il mantenimento degli specifici ecosistemi) con finalità scientifiche, estetiche e educative. Le Regioni possono predisporre dei piani di gestione naturalistica da approvare con apposito decreto. I piani dei Parchi Nazionali sono invece predisposti dalle amministrazioni dei parchi stessi e approvati dallo Stato.
PIANO DEI SERVIZI Il piano dei servizi è un programma operativo che alcuni Comuni utilizzano per evidenziare i principali servizi puntuali e a rete esistenti o previsti. Deve pertanto discendere direttamente dal piano regolatore.
PIANO PER IL RISANAMENTO ACUSTICO (PRA) Il piano per il risanamento acustico non ha caratteristiche urbanistiche, ma può considerarsi uno strumento complementare finalizzato al miglioramento delle condizioni ambientali. Esso trova le proprie fonti normative nella legge n.833 del 1978 (relativa all’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale) e nella legge n.349 del 1986 (istitutiva del Ministero dell’Ambiente). Tali leggi fissano limiti massimi di accettabilità delle condizioni di inquinamento, anche dal punto di vista acustico e le Regioni possono elencare i Comuni tenuti a redigere un PRA. Dovrebbe essere predisposta una documentazione d’impatto acustico relativa a: aeroporti, eliporti, ferrovie, strade di vario tipo, discoteche, circoli e altri esercizi dove si svolgono attività rumorose. Dovrebbero essere proposte e poi adottate le necessarie misure di risanamento. Si può dire che il PRA dovrebbe portare alla redazione di una carta della zonizzazione acustica che classifichi il territorio comunale per aree o ambiti.
PIANO DI RICOSTRUZIONE È uno strumento urbanistico largamente utilizzato in passato per la riorganizzazione degli insediamenti danneggiati da eventi bellici o naturali. È previsto dal DL n.154 del 1945 e dalla legge n.1402 del 1951. Riguarda solitamente le aree danneggiate e quelle di trasferimento degli edifici pubblici e privati che si prevede di spostare altrove. Qualche piano di ricostruzione è ancora in vigore.
CARTE TEMATICHE Le carte tematiche sono rappresentazioni grafiche effettuate utilizzando apposite simbologie su carte topografiche a varie scale. Riguardano, ciascuna, un particolare aspetto della realtà territoriale: caratteristiche del suolo, degli elementi naturali delle colture agricole e boschive, della distribuzione dell’edificazione e della popolazione, degli elementi di interesse storico-architettonico e altro. Possono basarsi su indagini dirette, da terra, oppure su indagini indirette, tramite rilevamenti da foto aeree o da satellite. Possono costituire un’importante documentazione conoscitiva pre-progettuale, oppure porsi come un vero documento progettuale quando all’indagine precedente vengono sovrapposte, ben distinguibili, le indicazioni integrative o correttive ritenute necessarie. Di particolare interesse le carte tematiche riguardanti il verde urbano, sia conoscitive sia progettuali. Del verde urbano occorre identificare le caratteristiche funzionali (parchi, giardini, aree attrezzate, arredo ecc.), di localizzazione e le specificità botaniche. In alcuni Paesi (come Germania, Svizzera, Olanda) gli strumenti urbanistici comunali comprendono anche un piano del verde, autonomo, destinato a definire il disegno paesaggistico generale. In Italia ci si limita, per ora, a prescrivere standard minimi senza tener conto di come migliorare la fruizione degli spazi, le qualità estetiche e le condizioni ecologico-climatiche. Essenziali le carte tematiche inerenti l’edificazione. Esse consentono di individuare le caratteristiche dei tessuti urbani, le tipologie edilizie funzionali, l’uso dei materiali, le coperture, la presenza di monumenti e edifici di interesse storico-architettonico. Altre carte tematiche possono riguardare le caratteristiche dei terreni, la distribuzione dei servizi e il sistema dei vincoli.
METODI DI VALUTAZIONE I metodi di valutazione applicabili al settore urbanistico sono vari, ma quelli attualmente più diffusi sono l’analisi costi-benefici e la valutazione d’impatto ambientale. L’analisi costi-benefici è un metodo attraverso il quale si esaminano progetti alternativi in base al loro valore economico e alle eventuali ricadute. È un sistema molto utilizzato e abbastanza valido purché la tecnica contabile sia rigorosa. Tuttavia, non sempre è corretto valutare solo economicamente progetti di natura urbanistica. Esistono infatti valori, sicuramente non monetizzabili, di carattere paesaggistico-storico-socialeestetico che è difficile quantificare economicamente. In linea generale l’analisi ha comunque una sua positiva consistenza e potrebbe essere vantaggiosamente applicata a un PRG o a un PP. La valutazione d’impatto ambientale (VIA) è diretta soprattutto all’esame delle grandi opere infrastrutturali (autostrade, superstrade, ferrovie) e dei più complessi interventi edilizi, specialmente industriali. Ha origine dalla Direttiva CEE n.337 del 1985, recepita in Italia con DPCM n.337 del 1988. La direttiva CEE contiene, come allegati, due elenchi di progetti da sottoporre a VIA riguardanti: • i porti, le autostrade, gli aeroporti, le raffinerie, le centrali termiche e nucleari, gli impianti per smaltimento dei rifiuti tossici; • gli impianti per la produzione di energia elettrica, i grandi lavori di sistemazione urbana, i villaggi per vacanze e i complessi alberghieri, gli impianti di depurazione, le concerie ecc. Anche il DPCM del 1988 elenca le categorie di opere da sottoporre a VIA e detta una serie di norme tecniche. Affinché la procedura sia valida occorre accertare che essa soddisfi alle fondamentali condizioni di rigore e di imparzialità e sia effettuata sempre prima della decisione realizzativa e non come giustificazione a posteriori. Lo studio di VIA deve produrre i seguenti elaborati: • illustrazione delle motivazioni che spingono alla realizzazione dell’opera; • descrizione dei luoghi prima della realizzazione, individuandone le “fragilità”; • illustrazione di due o più progetti alternativi e delle loro specifiche localizzazioni; • descrizione e stima degli effetti che l’opera produrrà sull’ambiente, secondo le diverse alternative; • illustrazione delle misure da adottare per ridurre al minimo gli effetti dell’impatto ambientale dell’una o dell’altra ipotesi. Le Regioni hanno l’autorità per determinare specificamente criteri e categorie di opere da sottoporre a VIA. La VIA può essere applicata anche a piani urbanistici nei quali siano chiare, già in fase preliminare, le possibili opzioni. Il lavoro è sempre interdisciplinare, ma in questo caso è necessario che il coordinatore sia l’urbanista. Alcune Regioni estendono già l’obbligo della procedura di VIA ad alcuni piani urbanistici, quando le loro previsioni riguardino zone ad alta sensibilità ambientale o a forte rischio ecologico. Occorre infatti garantire che gli interventi futuri non incidano negativamente sull’ambiente, ma anzi ne favorisca il miglioramento qualitativo. Uno studio urbanistico di VIA deve essere organizzato in tre fasi: • di documentazione e orientamento, che comprenda la raccolta ragionata di tutte le informazioni necessarie; • di analisi e previsione, che sottoponga le problematiche a verifiche e formuli gli orientamenti; • di valutazione e scelta tra più ipotesi, onde ottenere il risultato migliore possibile. Grande importanza ha nella prima fase la raccolta di una documentazione ambientale approfondita in tutte le sue componenti che comprenda anche le informazioni storiche. La documentazione ambientale deve distinguere tra beni materiali e immateriali. I primi riguardano l’aria, l’acqua, il suolo, gli edifici, le infrastrutture, la flora, la fauna; i secondi riguardano il paesaggio, la cultura dei luoghi, il clima ecc. Con il termine impatto s’intende l’insieme degli effetti che l’intervento proposto può produrre modificando la realtà attuale, in senso positivo e negativo.
G.5. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
5. LLA G.5. BREVE A A GUID ICAZIONE IF PIAN RIALE SETTO
G 49
G.5. 5.
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE GUIDA BREVE ALLA PIANIFICAZIONE SETTORIALE ➦ METODI DI VALUTAZIONE TAB. G.5.5./1 ESEMPIO DI SCHEDA PER IL RILEVAMENTO DELLA CONGRUITÀ URBANISTICA
SCHEDA DI VERIFICA DELLA CONGRUITÀ URBANISTICA DEGLI EDIFICI Comune................................................................................. Indirizzo.................................................................................
n.
località..................................................................................
Strumentazione urbanistica vig. PRG ..................................................................................................................................................................................................... anno di costruzione................................................
P.P
altro p. esecutivo
Proprietà................................................................... ................................................................................................................................................................................................. Riferimento catastale ................................................................................................................................................................................................................................................. Classificazione di zona .............................................................................................................................................................................................................................................. Principali riferimenti normativi.................................................................................................................................................................................................................................... (artt. N.T. e R.E.) Sup. tot. area = mq................................ Vol. tot. edif. = mq ................................. Presenza di superfetazioni PARAMETRI DI UTILIZZAZIONE di fatto consentito osservazioni It (mc/mq) ................................................................................................................................................................................................................................................................... If (mc/mq) ................................................................................................................................................................................................................................................................... Sc (superf. copertura – %) ......................................................................................................................................................................................................................................... Hmax (altezza massima – m) ...................................................................................................................................................................................................................................... P.f.t. (piani fuori terra – n.)......................................................................................................................................................................................................................................... DISTACCHI Dc (dai confini interni – m) ......................................................................................................................................................................................................................................... Ds (dal ciglio stradale – m) ........................................................................................................................................................................................................................................ Df (dai fabbricati – m) ................................................................................................................................................................................................................................................ DESTINAZIONI D’USO principale.................................................................................................................................................................................................................................................................... secondaria ................................................................................................................................................................................................................................................................. altre ............................................................................................................................................................................................................................................................................ Note ........................................................................................................................................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................................................................................................................................... Rilevato da ........................................................................ il......./......./.......
TAB. G.5.5./2 ESEMPIO DI SCHEDA PER L’INDAGINE DIRETTA DEGLI EDIFICI IN ZONE EDIFICATE
SCHEDA PER L’INDAGINE DIRETTA DEGLI EDIFICI IN ZONE EDIFICATE Comune ....................................................................................................................... Località............................................................................................................................. Ubicazione ................................................................................................................... Particelle catastali............................................................................................................ Zona di PRG ............................................................................................................................................................................................................................................................ 1
Epoca dell’edificazione
fino al 17
fino al 18
fino al 19
recente
2
Caratteristiche morfologiche d’insieme
omogeneo
omogeneo per parti
disomogeneo
molto disomogeneo
3
Destinazioni d’uso prevalenti
residenziali
direzionali e residenziali
miste
altro
4
Caratteristiche tipologiche
edificio isolato
edifici in linea
edificio a blocco
altro
5
Numero dei piani fuori terra
1
2-3
4-5
più di 5
6
Caratteristiche degli infissi
legno
metallo
legno/metallo
altro
7
Presenza di balconi
no
solo a un piano
a tutti i piani
altro
8
Finiture delle pareti esterne
intonaco
pietra/mattoni
cemento
altro
9
Colori dominanti
bianco/grigio
chiari
scuri
altro
10
Elementi architettonici di pregio
portali
balconi
cornici
altro
11
Presenza di verde
in cortile interno
al bordo esterno
orto o giardino
altro
12
Principali patologie
agli intonaci e ai colori
agli infissi
alle coperture
altro
13
Principali alterazioni
agli intonaci e ai colori
agli infissi
alle coperture
sopraelevazioni
14
Stato complessivo di conservazione
scadente
mediocre
buono
ottimo
Tipo di intervento proposto
recupero o restauro
manutenzione straordinaria
ristrutturazione
demolizione senza ricostruzione
15
G 50
foto di documentazione Rilevato da ....................................................... il ......./......./.......
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE GUIDA BREVE ALLA PIANIFICAZIONE SETTORIALE
G.5. 5. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. G.5.5./3 ESEMPIO DI SCHEDA PER LA VERIFICA DEGLI STANDARD URBANISTICI
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
SCHEDA DI VERIFICA DEGLI STANDARD URBANISTICI Comune di................................................................................. (anno.................) Territorio urbano (o ambito) mq........................................ Abitanti n. ..................... STATO DI FATTO
MINIMO PRESCRITTO
DIFFERENZA
PROGETTO
Aree esistenti
Standard esistenti
Standard minimi da soddisfare
Aree minime da reperire
Differenza standard (da reperire)
Differenza aree (da reperire)
Aree effettive program.
Standard effettivo program.
mq
mq/ab
mq/ab
mq
mq/ab
mq
mq
mq/ab
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
Istruzione dell’obbligo
E.NTROLLO
Attrezzature collettive e servizi pubblici
CO NTALE AMBIE
Verde locale e sport
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
Parcheggi pubblici Attrezzature sanitarie Istruzione superiore
G.ANISTICA
Parchi urbani
URB
Totali
Dotazione esistente complessiva standard mq/ab ..................................................... Dotazione complessiva programmata attraverso il piano standard mq/ab > = minimo prescritto = mq/ab....................................................................
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
N.B. Il minimo prescritto è una soglia che può essere sempre superata.
G.2. À URBANA REALT
TAB. G.5.5./4 ESEMPIO DI SCHEDA ALLEGABILE ALLA ZONIZZAZIONE FUNZIONALE PER LA VALUTAZIONE DELL’INDICE DI UTILIZZAZIONE ABITATIVA IN AREE URBANE
G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM
SCHEDA DI VALUTAZIONE DELL’INDICE DI UTILIZZAZIONE ABITATIVA (mc/ab) IN AREE URBANE Comune di.................................... Territorio urbano (o ambito) mq............... Abitanti n.........
SUPERFICIE TOTALE (comprese strade)
SUPERFICIE COPERTA RESIDUA E MISTA
SUPERFICIE COPERTA NON RESIDENZIALE
VOLUME RESIDUO E MISTO
ABITANTI RESIDENTI
VOL./AB.
mq
mq
mq
mc
n.
mc
TIPOLOGIE EDILIZIE PREVALENTI
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
Zone A1 Zone A2 Zone B1 Zone B2 Zone B3 Zone C1 Zone C2 Zone C3 Totali media vol. ab. N.B. Il numero delle zone è indicativo. Potrebbe essere opportuno valutare anche la volumetria abitativa media presente in zone prevalentemente direzionali, produttive e di servizio.
5. LLA G.5. BREVE A A GUID ICAZIONE IF PIAN RIALE SETTO
G 51
G.5. 5./6.
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE GUIDA BREVE ALLA PIANIFICAZIONE SETTORIALE ➦ METODI DI VALUTAZIONE TAB. G.5.5./5 ESEMPIO DI SCHEDA PER LA VLUTAZIONE DEGLI STANDARD URBANISTICI
SCHEDA DI VERIFICA DEGLI STANDARD URBANISTICI dotazione minima per abitante (mq/ab.) – DL 2 aprile 1968 n.1444 Comune di......................................................................................................................................... Territorio urbano (o ambito perimetrato) mq............. .Abitanti n. ................... ZONA OMOGENEA
ASSISTENZA VERDE E ATTREZZATURE PRESCOLASTICA VERDE DI INTERESSE E SCUOLA ATTREZCOMUNE DELL’OBBLIGO ZATO
PARCHEGGI TOTALE PUBBLICI MINIMO
TOTALE AUSPICABILE
cl.
caratteristiche dell’area
A
esistente, di interesse storico-ambientale, e aree integrative circostanti
4,50
2,00
9,00
2,50
18,00
> = 24,00
esistente (diverso da A) edificata totalmente o di completamento
4,50
2,00
9,00
2,50
18,00
> = 24,00
di nuova edificazione
4,50
2,00
9,00
2,50
18,00
> = 24,00
di nuova edificazione in aree contigue a preesistenze ambientali
4,50
2,00
15,00
2,50
24,00
> = 30,00
di nuova edificazione in comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti
4,50
2,00
4,00
2,00
12,00
> = 16,00
B
di nuova edificazione per insediamenti industriali e produttivi vari
10% della superficie utile
agricola
6,00
attrezzature di interesse generale anche sovracomunale
istruzione superiore 1,50
attrezzature sanitarie 1,00
parchi 15,00
> = 12,00 6,00
> = 8,00
17,50
> = 20,00
N.B. il minimo prescritto è una soglia che può sempre essere superata
APPENDICE PRINCIPALI DISPOSIZIONI LEGISLATIVE NAZIONALI CON CONTENUTI DI INTERESSE URBANISTICO CON RIFERIMENTO ALLA PIANIFICAZIONE GENERALE
DISPOSIZIONE
CONTENUTO
Legge n.1150
Legge generale urbanistica, (art. 13) – (PP)
1962
Legge n.167
Aree da destinare a edilizia economica e popolare (PEEP)
1967
Legge n.765
Piani di lottizzazione e piani di lottizzazione d’ufficio (artt. 8, 28 ecc.) – (PL e PLU)
Vincoli
1978
Legge n.457
Piani di recupero (artt. 27 e 28) – (PR)
DI n.1404
Distacchi stradali
1989
Legge n.122
1968
DI n.1444
Zone omogenee e standard
Disposizioni in materia di parcheggi e programmi per le aree urbane più popolate
1968
C.C. sentenza n.55 Separazione del diritto di proprietà dal diritto a edificare
1992
Legge n.179
Piano integrato d’intervento (art. 16) – (PII) e programma di riqualificazione
1977
Legge n.10
Norme edificabilità dei suoli, fabbisogni edilizi, piano pluriennale di attuazione ecc. (“Bucalossi”)
1992
DL n.285
Piano urbano del traffico (art. 36) – (PUT) – (Codice della strada)
1978
Legge n.1
Varianti e vincoli
1993
Legge n.493
Piano o programma di recupero urbano (PRU)
1978
Legge n.457
Zone di recupero
1994
DM LLPP 21/12
Regolamenta i programmi di riqualificazione urbana
1980
Legge n.25
Edilizia residenziale, varianti
1980
DPR n.753
Distacchi ferroviari
1998
DM LLPP 8/10
Programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile (PRUSST)
1985
Legge n.47
Recupero urbanistico, abusivismo
1989
Legge n.122
Parcheggi
1990
Legge n.142
Ordinamento delle autonomie locali, livello intermedio di pianificazione
1990
DPR n.285
Zone di rispetto cimiteriali
DISPOSIZIONE
CONTENUTO
1940
Legge n.1150
Legge generale urbanistica, più volte integrata e modificata
1964
Circ. n 3930
Demografia, tabelle illustrative e attrezzature scolastiche
1967
Legge n.765
Legge “ponte” integrativa della precedente Legge n.1150
1967
Circ. n.425
Dimensionamento varie attrezzature
1968
Legge n.1187
1968
1991
Circ. n.1196
CON RIFERIMENTO ALLA DIFESA DEL SUOLO DISPOSIZIONE
CONTENUTO
Indirizzi per il traffico
DPR n.236
Qualità delle acque
1989
Legge n.183
Difesa del suolo, piani di bacino
1991
Legge n.10
Uso razionale dell’energia
1992
DL n.285
Codice della strada
1992
DPR n.495
Costruzione e tutela delle strade
1999
C.C. sentenza n.179 Vincoli urbanistici
ANNO
ANNO
1988
CON RIFERIMENTO A PROBLEMATICHE SETTORIALI
G 52
CON RIFERIMENTO ALLA PIANIFICAZIONE ESECUTIVA 1942
ANNO
ANNO
CON RIFERIMENTO ALLE AREE PROTETTE E ALL’AMBIENTE ANNO
DISPOSIZIONE
CONTENUTO
1939
Legge n.1497
Protezione delle bellezze naturali
1985
Legge n.431
Tutela delle zone di particolare interesse ambientale
1988
DPCM n.377
Applica in Italia la direttiva comunitaria del 1985 sulle verifiche di impatto ambientale (VIA)
1991
Legge n.394
Conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale (legge quadro aree protette)
DISPOSIZIONE
CONTENUTO
1969
Legge n.952
Edilizia scolastica
1971
Legge n.291
Edilizia ospedaliera e edilizia universitaria
1974
Legge n.15
Edilizia della Pubblica Amministrazione
1975
Legge n.412
Edilizia scolastica
1980
Legge n.25
Edilizia residenziale
1994
Legge n.37
Tutela delle acque e delle sponde
1989
Legge n.122
Parcheggi
1995
Legge n.447
Inquinamento acustico
1991
Legge n.208
Itinerari ciclabili e pedonali
2001
Legge n.4816b
Inquinamento elettromagnetico
URBANISTICA
•
GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE APPENDICE
G.5. 6. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
NUOVI ORIENTAMENTI Molta attenzione è rivolta, da qualche tempo, all’opportunità di redigere una nuova legge quadro per il governo del territorio. Essa dovrebbe riguardare: • i principi fondamentali e i ruoli primari o delegati di Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane, in raccordo con le direttive europee; • i compiti dello Stato (nel redigere gli indirizzi, nel porsi come “raccordo” con l’Europa, nei confronti della tutela dai grandi rischi, per l’istituzione di un “osservatorio” sullo stato del territorio), delle Regioni e degli altri Enti; • il principio di sussidiarietà tra Stato, Regioni e altri Enti nonché quello della concertazione;
• forme di indennizzo economico compensativo per le disuguaglianze derivanti dalle operazioni di pianificazione; • i livelli della pianificazione e le loro caratteristiche. In particolare, il piano urbanistico comunale potrebbe articolarsi in un piano strutturale (o documento di inquadramento) e in un piano operativo: il primo rivolto a fissare gli obiettivi; il secondo destinato a entrare nel dettaglio operativo-esecutivo. Contestualmente la progettazione di alcuni piani evidenzia una forte tendenza alla flessibilità, alla contrattazione pubblico-privato, alla liberalizzazione degli interventi di sostituzione.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
ALCUNE DELLE PRINCIPALI TERMINOLOGIE URBANISTICHE
1. Adeguamento igienico-sanitario insieme delle opere necessarie per migliorare le condizioni igieniche-sanitarie di uno o più edifici;
F. TERIALI,
14. Densità territoriale rapporto mc/mq – volume realizzabile (o realizzato) su un intero territorio urbanizzabile (o urbanizzato);
25. Ristrutturazione integrale intervento rivolto al rifacimento completo di un manufatto edilizio molto degradato o in notevole contrasto con le previsioni urbanistiche;
2. Adeguamento strutturale insieme delle opere necessarie per migliorare le condizioni delle strutture verticali e orizzontali di uno o più edifici;
15. Destinazione d’uso uso (o usi) ammessi dagli strumenti urbanistici vigenti;
3. Adeguamento tecnologico insieme delle opere necessarie per migliorare l’insieme dei servizi tecnologici di uno o più edifici o a crearli se mancanti;
26. Ristrutturazione urbanistica intervento rivolto alla ristrutturazione completa di una porzione di territorio urbano, anche con modificazione della rete viaria e del taglio dei lotti;
16. Diritto di superficie diritto a edificare a tempo determinato su una superficie;
4. Allineamento obbligo di posizionamento di uno o più edifici rispetto ad altri edifici, oppure a fili o assi stradali e confini di proprietà;
17. Indice di affollamento rapporto tra il numero degli abitanti e i vani abitabili (ab./vani);
5. Altezza di un edificio (H) da misurarsi sulla facciata più alta, dal terreno al filo di gronda; nei terreni in pendenza si considera la quota media;
18. Indice capitario volume edilizio medio per abitante, generalmente variabile tra 80 e 150 mc, secondo le specifiche utilizzazioni residenziali;
6. Area coperta proiezione orizzontale dell’edificio, comprese le parti a sbalzo e i porticati;
19. Infrastrutture urbanistiche opere a rete, prevalentemente stradali, necessarie alla funzionalità urbana e territoriale;
7. Area edificabile porzione di terreno edificabile in base ai parametri edilizi-urbanistici vigenti;
20. Manutenzione ordinaria insieme di limitate opere di riparazione e adeguamento delle finiture di un edificio;
8. Area urbanizzata ambito provvisto di edifici, infrastrutture e servizi, tale da distinguerlo nettamente da un’area agricola o genericamente inedificata; 9. Barriere architettoniche e urbanistiche ostacoli che negli edifici o nelle parti esterne private e pubbliche possono ostacolare la circolazione delle persone in difficoltà; 10. Centro abitato aggregato di edifici, completo di strade e servizi, diverso dagli insediamenti sparsi; 11. Centro storico area urbanizzata di antica origine avente caratteristiche di interesse storico-ambientale (zona A); 12. Città metropolitana territorio di competenza dell’apposito Ente Locale, istituito con legge n.142/90; insieme di più comuni, spesso assimilabile a una Provincia; 13. Densità edilizia o fondiaria rapporto mc/mq – volume realizzabile su un’area edificabile;
21. Manutenzione straordinaria insieme delle opere necessarie a rinnovare o integrare le parti di un edificio, senza alterazione dei volumi e delle destinazioni d’uso; 22. Programma pluriennale di attuazione (PPA) strumento programmatorio del PRG, da redigere periodicamente per stralci, in armonia con le previsioni di bilancio del Comune (scarsamente utilizzato); 23. Restauro e risanamento conservativo interventi rivolti al mantenimento di uno o più edifici di valore storico-architettonico, senza alterazioni formali e strutturali e con l’eliminazione di eventuali superfetazioni (in generale si intende come restauro un intervento scientificamente più rigoroso rispetto al risanamento conservativo); 24. Ristrutturazione parziale intervento rivolto al ripristino di un edificio degradato, recuperabile nell’insieme, privo di particolare interesse storico-architettonico;
27. Salvaguardia condizione normativa transitoria di uno strumento urbanistico adottato, ma non ancora approvato; 28. Silenzio-assenso istituto giuridico introdotto nel 1978 per porre un termine temporale ragionevole alle pronunzie dei Comuni sulle domande di concessione a edificare; 29. Standard urbanistici rapporto mq/ab. della superficie da destinare ad attrezzature pubbliche, servizi, verde, parcheggi. La legge n.765/67 e il DI n.1444/68 fissano gli standard minimi a livello nazionale (tot. 18 mq/ab). Le successive leggi regionali e le normative comunali tendono a incrementarli; 30. Stanza o vano utile termini con i quali si intendono gli ambienti effettivamente abitabili, illuminati e areati direttamente, della dimensione minima di 8/9 mq; 31. Superficie fondiaria (o area edificabile) superficie destinata esclusivamente all’edificazione residenziale e alle sue attività accessorie (verde privato, cortile ecc.);
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32. Superficie territoriale superficie totale di un’area di intervento urbanistico, comprendente le superfici fondiarie più quelle destinate a strade, verde, attrezzature e servizi collettivi; 33. Ressuto urbano insieme continuo di aree edificate, strade attigue e altre aree interposte; 34. Urbanizzazione (opere di urbanizzazione) opere necessarie a trasformare un’area inedificata in un’area con prevalenti funzioni abitative, produttive e di servizio; 35. Variante modifica, parziale o generale, al progetto urbanistico in vigore.
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URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE PROGETTAZIONE PAESAGGISTICA DEFINIZIONE GENERALE DELLA DISCIPLINA PAESAGGISTICA L’Architettura del paesaggio è la disciplina che si occupa dello studio, della progettazione e della gestione di tutti gli spazi esterni agli edifici, dalla piccola scala rappresentata dai terrazzi e dai giardini familiari fino a quella più ampia della pianificazione del territorio a livello regionale. Essa trae le proprie origini storiche dall’arte dei giardini, che ha accompagnato la storia dell’umanità punteggiandone i migliori momenti di civiltà, e pone le proprie radici culturali nel rispetto e nella conoscenza della natura e dei suoi ritmi. Negli ultimi decenni l’Architettura del Paesaggio si è profondamente evoluta per riuscire a dare una risposta ai crescenti problemi di carattere ambientale e per adattarsi alla moltiplicazione delle occasioni e delle tipologie di intervento che hanno seguito lo sviluppo e la diversificazione della società e delle sue attività. Gli architetti del paesaggio (o paesaggisti) hanno così accentuato il loro ruolo di operatori dotati di specifiche
competenze nei campi dell’architettura, botanica, geologia, pedologia, biologia e in quant’altro concorre a comporre il paesaggio. Per questi loro caratteri formativi interdisciplinari, essi costituiscono una professione autonoma dotata di una precisa fisionomia e di un proprio spazio operativo ben definito. Della professione di architetto del paesaggio esiste addirittura una definizione ufficiale riconosciuta dalle Nazioni Unite e redatta dall’International Labor Office di Ginevra. Nella International Standard Classification of Occupations dopo la descrizione dell’attività del “Building Architect” e del “Town Planner”, viene infatti fatta quella del “Landscape Architect”, di cui si riporta di seguito la traduzione dall’inglese. (L’Architetto del paesaggio) “Pianifica e progetta la sistemazione estetica di aree come parchi e altre strutture ricreative, strade aree commerciali, industriali e residenziali e gli esterni degli edifici pubblici:
si consulta con i clienti, con ingegneri e architetti sui progetti di massima; studia le condizioni del posto indagando sulla natura dei suoli, sulla vegetazione, sulle conformazioni geolitologiche, sul drenaggio e sulla posizione degli edifici; progetta paesaggi armonizzando gli interventi con la morfologia del terreno e con gli edifici e con le strutture proposte; prepara i disegni esecutivi, i capitolati, gli elenchi prezzi e i computi dei costi della parte paesaggistica, compreso il materiale vegetale che deve essere piantato e tutti gli altri lavori relativi alla sistemazione del posto; supervisiona la sistemazione paesaggistica per controllare che il lavoro sia portato avanti secondo le descrizioni”. In alcuni paesi più avanzati i contorni delineati da questa definizione dalle assonanze un po’ burocratiche sono abbondantemente dilatati e superati dalla consuetudine applicativa, e la paesaggistica si è guadagnata spazi ben maggiori sostituendosi di fatto all’urbanistica in alcune delle sue mansioni più tradizionali.
PRINCIPI DISCIPLINARI La paesaggistica basa la propria operatività sul rispetto e sulla rispondenza a tutta una gamma di esigenze diverse che possono essere raggruppate in tre ceppi fondamentali: le esigenze della committenza-utenza, le esigenze del posto e le esigenze della tradizione. Per esigenze della committenza-utenza si intendono tutte le reali necessità dei gruppi umani che l’intervento di architettura del paesaggio deve soddisfare. Queste interessano il campo delle funzionalità, delle immagini sociali ed estetiche e degli interessi economici. Le esigenze della committenza vanno individuate mediante una indagine sistematica di tutte le volontà espresse ma anche di tutte quelle aspirazioni che non sono
deliberatamente descritte, ma che rientrano nel ricco corredo di simboli e funzioni che ogni porzione di paesaggio porta in sé. Per esigenze del posto si intende tutto l’intreccio di vocazioni e repulsioni alle varie forme di utilizzo che il paesaggio esprime attraverso i suoi caratteri fisici. Queste vanno individuate mediante operazioni di analisi del paesaggio che trovano prima applicazione in tutte le operazioni di pianificazione, ma hanno una coerente funzione di riferimento in tutti gli interventi di paesaggistica, indipendentemente dalle loro dimensioni. Per esigenze della tradizione si intende il rispetto per le forme espressive elaborate dalle culture locali, che costi-
tuiscono una risposta (verificata da secoli di applicazione pratiche) alle necessità della committenza e del posto.
CAMPI DI APPLICAZIONE DELLA PAESAGGISTICA La vastissima gamma di applicazioni disciplinari può essere suddivisa in interventi di pianificazione e di progettazione. Entrambi i casi si basano sui principi descritti, devono soddisfare tutte le esigenze coinvolte e fondano il successo dell’operazione sulla puntuale conoscenza di tutti i caratteri in gioco e, in particolare, di quelli del posto, indagati mediante un’accurata operazione di analisi.
PIANIFICAZIONE DEL PAESAGGIO Secondo le direttive della “Unione Internazionale per la Protezione della Natura” (riportate a fianco) qualsiasi intervento sul paesaggio – indipendentemente dalla scala e dal tipo – deve essere preceduto da un adeguato processo di analisi delle condizioni esistenti. Questa norma non fa che ufficializzare una prassi che è stata da sempre seguita dai progettisti più responsabili e che è diventata una specie di bandiera distintiva della più moderna scuola di architettura del paesaggio, che si rifà ai principi della cosiddetta “pianificazione ecologica”. Nella sua più recente accezione, tale rivisitazione di antichissime consuetudini operative trova le sue prime applicazioni nel lontano 1909 grazie alle sperimentazioni metodologiche di Warren Manning, un paesaggista allievo di Olmsted che ha proposto e in parte realizzato una serie di studi e di mappature tematiche nell’ambito di una general state survey per lo stato del Massachusetts. Ma è principalmente grazie allo scozzese Ian McHarg – docente all’Università di Pennsylvania – e a Phil Lewis del Wisconsin che la Landscape analysis assume carattere di vera e propria disciplina scientifica. McHarg descrive il suo metodo nel notissimo Design with nature del 1969 (Traduzione italiana: Progettare con la natura, 1989): esso si basa su di una rigorosa catalogazione di tutti gli elementi che compongono il paesaggio e su di una loro accurata mappatura con modalità che permettono la sovrapposizione delle varie tavole (map overlay) e una loro lettura comparata. Se correttamente eseguito, il processo permette di rivelare vocazioni e repulsioni del paesaggio per gli utilizzi proposti ed esaminati e – secondo le parole di William Whythe, un altro dei padri della pianificazione ecologica – leggere ed estrarre il “piano che è già presente in natura”. Vengono così poste le basi di quel “determinismo paesaggistico” che – sostenendo un po’ provocatoriamente che “il paesaggio si pianifica da solo” – ha avuto il merito di riaffermare l’importanza dei caratteri specifici del
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DEFINIZIONE DI PIANIFICAZIONE DEL PAESAGGIO PROPOSTA DA VLASTIMIL VANICEK ALLA LANDSCAPE PLANNING COMMISSION DELL’IUCN “La pianificazione del paesaggio è un processo continuo che si batte per il miglior uso da parte del genere umano del limitato spazio della superficie terrestre, conservando allo stesso tempo la sua produttività e bellezza. Il suo scopo è di riconciliare gli usi del suolo competitivi e di inserirli entro un ambiente nel quale la civilizzazione umana possa prosperare senza distruggere le risorse naturali e culturali su cui le società sono fondate. Basata sulla comprensione della natura e sulle potenzialità del territorio, si propone di conservare e di creare la più ampia diversità, che implica un paesaggio capace di usi multipli; in altre parole è conservazione attiva, dal momento che può comportare la modificazione responsabile dei paesaggi esistenti. Le basi della pianificazione del paesaggio sono il rilievo e l’analisi: essi sono importanti sia come componenti della pianificazione di base, sia come metodi già largamente utilizzati nello sviluppo economico e sociale. I dati sulle caratteristiche fisiche del territorio sono registrati e le loro interazioni e interdipendenze catalogate. In queste compilazioni devono essere impegnati diversi specialisti, quali quelli del clima, della qualità della scena ambientale e delle caratteristiche visive del paesaggio, dell’influenza di questi fattori sulle possibilità di intervento umano. Il rilievo e l’analisi dovrebbero sempre precedere qualsiasi tipo di attività progettuale. Questo approccio diviene essenziale quando lo sviluppo, la cura e la gestione di un paesaggio sono da dirigere verso la creazione di un ambiente salubre e fatto a misura d’uomo, in cui gli interessi a lungo termine del genere umano possano sempre prevalere, e in cui alle future generazioni siano lasciate possibilità alternative di sviluppo”.
posto nei processi di pianificazione, riportandoli almeno a pari dignità con le esigenze vere della popolazione che sul territorio deve vivere. Col tempo, la metodologia operativa della pianificazione ecologica ha naturalmente subito aggiustamenti ed evoluzioni. Quasi tutti i metodi si sono col tempo arricchiti di indagini relative ai caratteri culturali della stratificazione antropica sul territorio, la cui importanza cresce man mano che si cerca di adattare la metodologia – nata, non si dimentichi, in un paese “giovane” come gli Stati Uniti – a paesi di ricca tradizione storica e di lunga persistenza sul territorio di civiltà ad alto o altissimo potere di modifica ambientale.
Questo nuovo, riconosciuto interesse per lo studio delle componenti culturali del paesaggio comporta un positivo coinvolgimento, nell’elaborazione dei processi di pianificazione del territorio di tutta una serie di categorie che ne vengono abitualmente escluse. In particolare, torna a essere significativo e importante il fecondo lavoro di frotte di storici ed esperti di storia locale, di studiosi di usi popolari e di folklore, di conoscitori di realtà culturali ed economiche locali (ma anche di organizzazioni produttive e professionali) che sono stati fino a oggi quasi sistematicamente esclusi dai processi decisionali riguardanti la pianificazione del territorio.
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE PROGETTAZIONE PAESAGGISTICA
G.5. 7. A.ZIONI
Le premesse apodittiche cui si è già fatto cenno, e che stanno alla base della “filosofia” della pianificazione ecologica e dei suoi metodi operativi, possono così essere riassunte: A) Il territorio (paesaggio) costituisce un unico grande organismo vivente, i cui caratteri biologici e le cui forme percepibili sono la risultante della sovrapposizione di molteplici componenti “naturali” e “culturali”, i cui rapporti vengono aggiustati e calibrati nel tempo, traendo cadenze di vita autonome e capaci di autosostenersi. Per componenti e azioni “naturali” si intendono tutti gli elementi, costituenti il complesso ecosistema basato sulle leggi della natura, che determinano la forma fisica e gli equilibri biologici della Terra. Per componenti e azioni “culturali” si intendono invece tutte le azioni provocate dall’uomo, le loro sovrapposizioni storiche e le loro conseguenze sul territorio. I caratteri di dette componenti possono essere scomposti ed esaminati a fini analitici, ma devono poi essere considerati nella globalità dei loro rapporti e interconnessioni nell’ambito di ogni corretta operazione di pianificazione. Ne consegue che ogni intervento sull’ambiente deve tener conto delle esigenze fondamentali di ogni forma di vita interessata, verificandone i rapporti costituenti l’ecosistema per tempi lunghissimi, tendenti all’infinito, e che non esiste la possibilità di un intervento su di una singola parte che non provochi qualche tipo di conseguenza o ripercussione – anche lontano nel tempo o nello spazio – in altre parti o componenti dello stesso territorio.
B) Il territorio (paesaggio) possiede autonome valenze di vocazione e di repulsione per ogni tipo di utilizzo ipotizzabile. Tali vocazioni e repulsioni vengono rilevate e rese comprensibili mediante un adeguato procedimento di analisi. Questa accettazione del paesaggio come soggetto – e non solo come oggetto – di pianificazione comporta un risvolto che riguarda anche la valutazione e la verifica dei benefici economici di ogni operazione di intervento: ogni opera realizzata contro i ritmi del paesaggio genera costi di manutenzione e di esercizio molto alti e rischia di diventare per tempi lunghi insostenibile. C) Tutti gli interventi sul territorio (paesaggio) sono – a eccezione delle operazioni di restauro ambientale – degli atti di modifica degradante o disturbante le cadenze ambientali, sia di quelle naturalistiche d’origine che di quelle consolidate nel tempo. Per questo, ogni intervento – indipendentemente dall’assonanza e dalla capacità di adattamento ai ritmi propri del posto – deve: • essere ridotto alla dimensione minima atta a soddisfare le necessità che ne hanno richiesto l’esecuzione, limitando la quantità di impatti e l’estensione della porzione di territorio interessato; • consentire ogni futura azione di riutilizzo diverso dell’area interessata, lasciando aperta per l’avvenire ogni altra alternativa di sviluppo, in modo che le generazioni che seguiranno possano pianificare quelle esigenze che non possono e non debbono essere ipotizzate oggi.
D) Il territorio (paesaggio) riveste un importantissimo valore economico per il sostentamento di ogni forma di vita umana, esso è addirittura la prima origine di ogni forma di produzione e di economia. Per questo non deve sussistere contrasto fra esigenze economiche e ambientali, dovendosi a tutti gli effetti identificare i vantaggi ecologici con quelli economici a lungo termine. E) Per motivi operativi, il territorio (paesaggio) può essere scomposto non solo per componenti e tematismi, ma anche per Aree omogenee (unità di paesaggio o bioregioni) che possono essere trattate, studiate e pianificate in forma autonoma, ma all’interno di un rigoroso controllo di tutte le implicazioni che – travalicandone i confini fisici – riguardano ecosistemi più ampi. La conclamata oggettività del “determinismo ambientale” della scuola paesaggistica di McHarg può diventare – calibrata con la volontà delle popolazioni residenti – un potente strumento di democratizzazione del processo pianificatorio. Essa consente di eliminare la consuetudine di scelte fatte su criteri poco chiari e di sostituirla con serene decisioni sulle destinazioni delle aree, operate in base a vocazioni e repulsioni oggettive e verificabili su dati scientifici derivati dai valori di “capacità di sopportazione” calcolati in maniera trasparente.
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PIANIFICAZIONE PAESAGGISTICA PROCESSO DI ANALISI
DEFINIZIONI RELATIVE AL PROCESSO DI ANALISI E PIANIFICAZIONE PAESAGGISTICA
Il processo di analisi paesaggistica finalizzato alla formazione dei piani consiste nelle seguenti fasi: • formazione di una cartografia di base adatta per caratteri e scala agli scopi distintivi dell’operazione; • raccolta e mappatura su carte tematiche di tutti i dati naturali e culturali necessari alla definizione del paesaggio in esame; • setaccio dei dati raccolti che consenta di evidenziare tutte le aree con particolari problemi, rischi o valori; • agglutinazione cartografica delle aree e loro suddivisione in aree omogenee di secondo grado; • studio di una normativa paesaggistica adatta alle singole aree omogenee di primo e secondo grado.
Tavole tematiche Carte riportanti su una tavola base la mappatura di uno o più caratteri del paesaggio raggruppabili in un tema specifico e omogeneo. Dati operativi Dati mappati sulle carte tematiche che costituiscono elementi attivi nell’operazione di setaccio e nella definizione di aree omogenee di primo grado.
PREPARAZIONE DELLA CARTOGRAFIA DI BASE Risulta fondamentale per l’efficacia di tutto il processo di analisi e di pianificazione la predisposizione di una adeguata cartografia di supporto a tutte le successive operazioni. Tale cartografia deve essere costituita da carte topografiche accuratamente aggiornate e riportanti con chiarezza la maggior quantità possibile di informazioni. In funzione della loro scala, le carte di base sono di due tipi: • carte in scala variante fra 1: 200.000 e 1:500.000, che servono a illustrare quei fenomeni – come i dati climatici – che hanno dimensione regionale o anche locale, ma che non possono essere indicati con precisione grafica; • carte in scala variabile fra 1: 10.000 e 1: 25.000, che servono invece a riportare tutti quei dati e componenti paesaggistici che possono essere identificati e circoscritti graficamente con precisione e costituiscono il supporto delle operazioni di raccolta e setaccio dei dati sulle tavole tematiche.
FIG. G.5.7./1 SCHEMA A BLOCCHI DEL PROCESSO DI PIANIFICAZIONE PAESAGGISTICA ATTRIBUZIONE VALORI ASSOLUTI (SETACCIO)
RILEVAMENTO DATI
STESURA CARTE TEMATICHE
TAVOLE DI SETACCIO
VERIFICA ESIGENZE UTENZA E TRADIZIONE
PIANIFICAZIONE
Dati conoscitivi Dati mappati sulle carte tematiche che non rientrano nell’operazione di setaccio ma che vanno tenuti in considerazione nella definizione delle aree omogenee di secondo grado. Aree omogenee di primo grado Porzioni anche minime di territorio che abbiano in comune uno o più dati operativi. Aree omogenee di secondo grado Porzioni anche più ampie di territorio entro le quali si trovino con buona intensità aree omogenee di primo grado identiche, e che abbiano caratteri comuni desumibili dai dati conoscitivi. Sono determinate mediante il processo di agglutinazione, e possono coincidere con le zone omogenee di secondo livello. Agglutinazione Operazione di definizione delle aree omogenee di secondo grado mediante peri-
metrazione delle stesse, in base alla misurazione delle presenze di aree omogenee di primo grado e alla considerazione dei dati conoscitivi. Aree rosse Aree di degrado ambientale, di notevole inquinamento o alto rischio dovuto quasi essenzialmente ad attività antropica e per le quali si devono predisporre dettagliati interventi di risanamento e di recupero. Sono aree che non possono essere lasciate nella loro attuale condizione, pena lo scadimento dei più generali valori del paesaggio circostante.
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
Aree gialle Aree di notevole valore economico, sociale e scientifico e su cui risulta rischioso – sia pure a diversi livelli – qualsiasi tipo di intervento di insediamento o di modifica del paesaggio. Per queste aree è sconsigliabile ogni sviluppo diverso dalla conservazione pilotata. Aree azzurre Aree di spiccato pregio ambientale, architettonico e culturale, per la cui gestione paesaggistica è bene prevedere speciali norme, adeguate agli specifici caratteri riscontrati. Aree bianche Aree di normale pregio ambientale e architettonico, per la cui gestione paesaggistica è comunque bene prevedere una adeguata normativa.
7. E G.5. ETTAZION PROG GGISTICA A S PAE
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URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE PROGETTAZIONE PAESAGGISTICA ➦ PIANIFICAZIONE PAESAGGISTICA RACCOLTA E MAPPATURA DATI L’accuratezza dell’operazione di raccolta e la precisione nella mappatura dei dati sono fondamentali per il successo dell’intera operazione di analisi. Esse vanno eseguite con la massima cura, verificando che i dati raccolti siano: • veritieri (che non siano frutto di informazioni sbagliate o distorte); • precisi (che risultino da indagini dettagliate, complete e verificate); • aggiornati (che siano il risultato di informazioni recentissime). L’intera operazione va condotta da una équipe di specialisti (topografi, geologi, pedologi, agronomi, forestali, ecologi, biologi, architetti, urbanisti, storici) ognuno dei quali si deve fare carico del proprio preciso settore di competenza. Oltre a servire agli scopi immediatamente legati alla pianificazione, l’operazione di raccolta e di mappatura dei dati può costituire una accurata banca di informazioni per ogni altra operazione, studio o analisi del territorio con finalità differenti che si dovessero rivelare necessari. Varrebbe perciò la pena che tali dati – al di là delle esigenze contingenti – potessero essere continuamente aggiornati allo scopo di disporre di una informazione sempre attuale e di un adeguato controllo sul territorio, senza il quale ogni opera di pianificazione e di intervento perde di attualità e quindi di incisività. Le tavole tematiche da compilare sono: Dati naturali • • • • • • • • • • • •
Climatologia (regionale); Topografia e Altimetria; Clivometria (Pendenze); Esposizioni e Assolamento; Geologia e Geolitologia; Pedologia; Idrologia sotterranea e di superficie; Copertura vegetale; Zoologia; Valori scenografici e monumenti naturali; Dissesti naturali; Morfologia.
Dati culturali • • • • • • • • • • • •
Uso (attuale e storico) del suolo; Demografia e servizi; Collegamenti; Proprietà e valore delle aree; Destinazioni urbanistiche esistenti; Vincoli; Crescita urbana (stratificazione storica); Uso turistico (attuale e potenziale); Dissesti antropici; Archeologia; Valori architettonici; Tradizioni (aventi influenza sull’uso del territorio).
Le tavole possono essere scomposte per accogliere sottotematismi o – per le aree più semplici – più tematismi possono essere accorpati sulla stessa tavola. Sulle tavole tematiche vanno riportati tutti i dati operativi e conoscitivi, possibilmente già disaggregati e rappresentati graficamente in aree rosse, gialle, azzurre e bianche per facilitare il successivo lavoro di setaccio.
OPERAZIONE DI SETACCIO Fra i dati raccolti, taluni, che sono stati chiamati “dati operativi”, rivestono particolare importanza nella determinazione dei vari tipi di aree omogenee di primo grado mentre altri, detti “dati conoscitivi”, servono per la definizione delle aree omogenee di secondo grado. Tali dati vengono evidenziati “setacciando” e verificando tutte le informazioni riportate dalle singole tavole tematiche su cui vengono in particolare riportate le perimetrazioni delle aree omogenee di primo grado “rosse, gialle, e “azzurre” che i dati operativi hanno rilevato.
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Sommando con semplice processo di sovrapposizione cartografica le varie tavole tematiche, si avrà alla fine una carta con tutte le aree “rosse”, una con le aree “gialle” e così via. Con semplice sovrapposizione grafica di tutte le tavole tematiche che presentano elementi rientranti nelle operazioni di setaccio si ricavano tavole riassuntive della presenza delle aree di vario colore. Sommando graficamente le tre tavole della copertura delle aree rosse, gialle e azzurre si ottiene una tavola riassuntiva di setaccio, che costituisce la vera base del successivo processo di pianificazione. Ove due o più aree di diverso colore si sovrappongono prevale – e quindi viene indicata nella tavola riassuntiva – quella di “peso specifico” maggiore. Se una porzione di paesaggio si trova mappata sia come area rossa che gialla, verrà – ad esempio – indicata come rossa giacché prevale il principio del restauro su quello della semplice conservazione; nel caso di area gialla e azzurra prevale quello della conservazione su quello della gestione e così via, seguendo una scala gerarchica che vede prevalere le aree rosse nell’ordine su quelle gialle, azzurre e bianche; le aree gialle su quelle azzurre e bianche e le aree azzurre su quelle bianche. Questa tavola è il risultato percepibile più evidente del processo di analisi e setaccio del paesaggio e dovrebbe dare la prima esatta sensazione delle attuali condizioni del paesaggio preso in esame e del suo stato di salute costituendo una specie di riassunto di tutto l’atlante tematico fino a qui costituito in concomitanza con i cui dati – soprattutto conoscitivi – va comunque sempre letta.
PROCESSO DI AGGLUTINAZIONE E STESURA DELLA TAVOLA BASE DI PIANO PAESAGGISTICO Il processo di analisi e di setaccio ha definito i caratteri del paesaggio suddividendolo in aree omogenee di primo grado che – proprio per l’accuratezza del processo di analisi – possono anche avere dimensioni irrisorie e generare eccessive suddivisioni e parcellizzazioni del territorio che possono male adattarsi a una funzionale azione di pianificazione. Il processo di agglutinazione consente di rimediare a tale inconveniente e consiste nella definizione delle aree omogenee di secondo grado su cui elaborare i piani paesaggistici.
Per trovare una credibile applicazione, infatti, le aree omogenee di secondo grado rosse, gialle, azzurre e bianche devono avere: • dimensioni ragionevoli; • confini definiti; • caratteri delineati. Questi obiettivi possono essere raggiunti in vari modi: 1. prendendo atto dell’esistenza di aree omogenee di primo grado di caratteri e dimensioni adeguati; 2. accorpando una serie di aree analoghe contigue; 3. attribuendo a una zona la vocazione in essa predominante. Nella definizione dei confini e nella descrizione dei caratteri delle aree omogenee di secondo grado occorre valutare tutte le informazioni raccolte durante il processo di mappatura e – in particolare – tutti quei dati conoscitivi che non sono rientrati nell’operazione di setaccio. Risultano infatti in questa fase molto importanti tutte le conoscenze acquisite – ad esempio – sui fattori climatici e morfologici, sulla proprietà delle aree, sulle comunicazioni e sulla demografia nello stabilire i confini di un’area e nel comprenderne i caratteri. Bisogna qui confrontare le esigenze del paesaggio con quelle dell’utenza e della tradizione che formano – come si è visto – la vera base dell’intera “filosofia” della pianificazione paesaggistica. È soprattutto in questa fase che interviene la sensibilità del pianificatore – fino a questo punto solo attento compilatore e analizzatore di dati che trovano una loro applicazione quasi meccanica – che deve ora mostrare di avere compreso a fondo i caratteri del paesaggio e di essere in grado di effettuare delle suddivisioni e delle classificazioni operative evitando soluzioni traumatiche. L’aver cercato ed evidenziato con il processo di analisi e di setaccio vocazioni e repulsioni proprie del paesaggio costituisce però, anche nel delicato momento di agglutinazione, una sicura garanzia contro la più parte degli errori di pianificazione. Le valenze delle aree omogenee di primo grado vanno infatti comunque rispettate indipendentemente dal tipo di area di secondo grado in cui finiscono per essere inserite, a meno che non si tratti di una di “peso specifico” (o colore) superiore, nel qual caso finiscono per avere lo stesso trattamento normativo.
FIG. G.5.7./2 ESEMPIO DI TAVOLA TEMATICA: CLIVOMETRIA
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE PROGETTAZIONE PAESAGGISTICA
G.5. 7. A.ZIONI
Un’area rossa di primo grado – una cava ad esempio – dovrà comunque essere trattata come tale anche se, dopo la fase di agglutinazione, si troverà – sempre ad esempio – inserita in un’area bianca di secondo grado, mentre un’area bianca di primo grado senza particolari pregi ambientali che si troverà inserita in un’area azzurra dovrà essere pianificata come azzurra. Questo processo grafico di agglutinazione porta alla stesura della “tavola base di piano paesaggistico”, che costituisce lo strumento basilare di tutto il successivo lavoro di pianificazione.
FIG. G.5.7./3 ESEMPIO DI TAVOLA RIASSUNTIVA DI SETACCIO
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MATRICI Avendo a disposizione un adeguato e coerente sistema di informazioni tematiche, le operazioni di progettazione risultano immensamente semplificate. Soprattutto gli interventi di landscape, di un certo livello dimensionale trovano grande vantaggio dal poter disporre di basi conoscitive su cui impostare le necessarie operazioni di analisi mirate agli specifici obiettivi. Parte del processo decisionale legato a ogni impresa progettuale può addirittura essere ancora una volta organizzato sulla lettura e sul riconoscimento delle vocazioni del paesaggio. Oltre alle più ampie valenze di vocazione e di repulsione, il paesaggio – sempre suddiviso in aree omogenee – può rivelare attitudini più precise per specifiche destinazioni d’uso e di progetto. Tali attitudini possono essere evidenziate costruendo speciali “matrici” sugli specifici caratteri del tipo di destinazione prefissato ricondotti ad associazioni di componenti del paesaggio. Dovendo identificare – ad esempio – la localizzazione ottimale di un campeggio all’interno di una porzione di territorio, se ne può disegnare il profilo ideale – la “matrice” – elencando quali caratteri topografici, clivometrici, pedologici eccetera vi si adatterebbero meglio e ricercando dove – nella realtà – dette condizioni si trovino o meno vi si discostino. La sovrapposizione fra “matrici” e situazione di analisi consente un primo screening delle aree e una prima sgrossatura circa le loro vocazioni nei confronti di quanto simulato dalle “matrici”. Un successivo, più preciso, confronto dovrebbe riportare l’operazione alla desiderata scala di progetto.
ANALISI PAESAGGISTICA E VALUTAZIONE D’IMPATTO AMBIENTALE Una corretta organizzazione del processo di VIA prevede che esso si sviluppi su di una serie di fasi successive: a) lettura e analisi del paesaggio; b) inventario delle attività connesse al progetto in esame; c) analisi degli effetti ambientali; d) esposizione delle misure di intervento. Potendo disporre di un’adeguata e aggiornata raccolta e mappatura di dati e di un metodo di analisi collaudato, il punto a) risulta di facilissima e rapidissima esecuzione.
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L’enorme massa di dati coinvolti, la necessità di un loro costante aggiornamento, l’abbondanza di automatismi e di sovrapposizioni che il metodo descritto
comporta, fanno dell’analisi del paesaggio il campo di applicazione ideale delle più moderne tecnologie elettroniche. I particolari caratteri funzionali degli elaboratori consentono infatti di riuscire a immagazzinare una enorme massa di dati senza perdere quella precisione che finirebbe invece per essere compromessa anche dalla più accurata mappatura grafica. Una volta introdotte tutte le informazioni relative all’area di studio, si può con estrema semplicità e rapidità effettuare elettronicamente sia le operazioni di aggiornamento sia quelle di setaccio, di sovrapposizione di setaccio e quelle di progettazione per “matrici”. In altre parole si può – con la definizione di programmi adeguati – automatizzare l’intero processo di analisi e arrivare alla stesura delle tavole-base di piano paesaggistico con sveltezza e precisione, evitando tutti quegli errori che ogni trasposizione cartografica comporta. Esistono vari programmi (taluni dei quali collaudati da tempo) che possono eseguire tutti i compiti descritti con efficienza, rapidità ed economicità.
I Piani del verde interessano tutte le aree che gli strumenti urbanistici vigenti destinano a verde (di qualche tipo). Essi servono a definirne le funzioni, a strutturarne i collegamenti fisici, a delinearne le linee progettuali e gestionali. Si tratta di strumenti di supporto alla pianificazione urbanistica (di solito ai PRG) che si occupano di quelle aree normalmente trascurate in quanto non edificate o non edificabili. Spesso, essi limitano la propria competenza alle sole aree verdi pubbliche e sono accompagnati da dettagliati Regolamenti di gestione e manutenzione. I Piani del paesaggio hanno le stesse funzioni sulle
aree verdi (agricole, naturalistiche, ricreative ecc.) ma estendono la normativa alla gestione di tutte le aree pubbliche e di tutti gli elementi architettonici (anche privati) che hanno valenza paesaggistica. Essi comprendono perciò indicazioni sulla progettazione e gestione di spazi pubblici (strade, piazze), degli elementi di arredo urbano e di esecuzione delle facciate degli edifici, almeno per la parte prospiciente spazi pubblici o da essi visibili. Per quest’ultima mansione, essi comprendono indicazioni sui materiali e i colori di facciata, sulle coperture e sulle aperture, sulle pavimentazioni e su tutti gli elementi di arredo e decorazione.
Sovrapponendo poi all’inventario paesaggistico esistente quello delle attività connesse al progetto in esame di cui valutare l’impatto ambientale (punto b), si può deduttivamente – in forma quasi meccanica – arrivare a delineare gli effetti cui si riferisce il punto c) e sui quali andranno costruite le misure di cui al punto d), sempre lavorando sui dati a disposizione ed eventualmente elaborando adeguate “matrici” specifiche. Se ne deduce che, disponendo di Piani costruiti mediante un corretto processo di analisi, la più parte delle operazioni connesse alle Valutazioni di Impatto Ambientale risulta già eseguita per tutto il territorio interessato dai Piani, ovvero che l’analisi paesaggistica costituisce una specie di ampia “Valutazione preventiva” rendendo al limite e per talune tematiche – la VIA in parte o del tutto inutile.
ANALISI PAESAGGISTICA E COMPUTER
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
PIANI DI SETTORE Nonostante le buone intenzioni espresse dalla legge 431 del 1985 (nota come “Legge Galasso”), in Italia non c’è grande spazio per la pianificazione paesaggistica. Solo poche Regioni (che pure erano tenute a farlo entro il 31 dicembre 1986) hanno elaborato Piani Paesaggistici degni di tale qualifica e sulla base di tecniche operative di tipo paesaggistico. La disciplina è pertanto relegata a scarse applicazioni settoriali, al supporto alla pianificazione urbanistica di tipo tradizionale o alla redazione di piani a scala inferiore. Fra le concrete applicazioni della disciplina paesaggistica si trovano i cosiddetti Piani del verde e i Piani del paesaggio.
7. E G.5. ETTAZION PROG GGISTICA A S PAE
G 57
G.5. 7.
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE PROGETTAZIONE PAESAGGISTICA PROGETTAZIONE PAESAGGISTICA Gli interventi progettuali in materia paesaggistica ricoprono un ventaglio piuttosto ampio di tematiche, diverse per tipo e per dimensione. Essi coinvolgono committenza privata e pubblica. Nel primo caso rientra il tema più antico e nobile rappresentato dalla progettazione di giardini e di parchi, ma anche di verde di interni e di terrazzi. Negli ultimi anni si sono sviluppate numerose tematiche specialistiche che coinvolgono la progettazione degli esterni di alberghi, centri commerciali, stabilimenti e complessi per uffici, complessi sportivi e campi di golf, parchi di divertimenti, restauro di parchi o paesaggi storici ecc., ciascheduna delle quali è dotata di proprie decise peculiarità. Per la committenza pubblica (o interessata da funzioni o disposizioni pubbliche), le variazioni tematiche possibili sono ancora più numerose e coinvolgono: 1.Parchi urbani, naturalistici, fluviali ecc.; 2.Piani e interventi di forestazione urbana, creazione di cortine verdi (“greenbelts”) attorno ai centri abitati; 3.Piani di intervento su alberate stradali, di sistemazioni di lati di vie di comunicazione (strade, autostrade, ferrovie); 4.Sistemazioni di rive d’acqua (lungomari, lungolaghi, rive di corsi d’acqua); 5.Esecuzione di interventi di protezione ambientale (cortine di filtro di zone industriali, barriere vegetali contro il rumore o l’inquinamento atmosferico e visuale, mascheratura di elementi disturbanti); 6.Interventi di arredo urbano, pedonalizzazione, creazione di percorsi pedonali o ciclabili; 7.Creazione e gestione di verde specialistico (di complessi scolastici, sportivi, ospedalieri, di campi gioco, di aree archeologiche); 8.Sistemazione di cimiteri; 9.Organizzazione di aree di verde didattico (percorsi botanici, arboretum, orti botanici); 10.Creazione di verde di rappresentanza per edifici pubblici, aree turistiche ecc.; 11.Operazioni di Valutazione di impatto ambientale;
FIG. G.5.7./4 ESEMPIO DI PIANTA DI PROGETTO PAESAGGISTICO
12.Interventi di recupero di aree degradate urbane (aree industriali o ferroviarie dismesse, aree abbandonate) ed extraurbane (vecchi percorsi agricoli, terrazzamenti, percorsi di interesse ambientale o turistico); 13.Recupero di cave e di discariche;
14.Organizzazione di manifestazioni espositive florovivaistiche impostate in modo da lasciare – a mostra ultimata – delle strutture trasformabili in parco o in area verde organizzata.
ralizzata maggiore attenzione per tutto quello che è legato alle forme espressive tradizionali. Queste devono infatti ricevere speciale riguardo in tutti quei progetti nei quali l’aspetto formale assume predominanza rispetto al semplice rispetto delle cadenze natu-
ralistiche o alla necessità di soddisfare precise esigenze funzionali. Questo è soprattutto vero nel disegno di giardini, di parchi e di ogni altro intervento in zone urbane o fortemente caratterizzate dalla presenza di un linguaggio formale locale piuttosto definito.
• Sezioni; • Dettagli.
Le tavole specialistiche di un lavoro devono essere elaborate su di una unica carta base – derivata dalla pianta che in questo caso diventa solo elemento di riferimento – per ragioni di praticità e di componibilità del discorso generale. Le più comuni riguardano: • il rilievo dello stato di fatto; • il tracciamento; • i movimenti di terra; • le opere architettoniche; • i percorsi e le pavimentazioni; • l’irrigazione; • il drenaggio e lo smaltimento delle acque; • l’impianto elettrico e di illuminazione; • gli impianti tecnologici; • le piantagioni arboree; • l’arredo del sottobosco, del suolo, i prati; • le ombre; • le colorazioni stagionali; • l’arredamento esterno.
CRITERI DI PROGETTAZIONE Le idee che sono alla base di ogni intervento progettuale si rifanno ai principi e al soddisfacimento delle esigenze basilari descritte più sopra. A seconda del tema da affrontare prevarrà ora l’una, ora l’altra delle tre esigenze fondamentali, con una gene-
ELABORATI DI PROGETTO Gli elaborati grafici devono contenere tutte le informazioni necessarie alla precisa comprensione ed esecuzione del progetto. Questa esigenza si rivela ancora più pressante nelle opere di paesaggistica che coinvolgono un numero enorme di componenti molto differenziate. Indipendentemente dal loro utilizzo, le rappresentazioni grafiche possono essere sommariamente divise in: a) schemi; b) tavole progettuali; c) rappresentazioni pittoriche.
A) SCHEMI O “LAYOUT” Sono strumenti di lavoro o di rappresentazioni di interventi, interazioni, fasi di lavoro, e non sono necessariamente legati a una scala o a dei precisi rapporti con lo spazio interessato, ma sono destinati a evidenziare particolari intenzioni o informazioni.
B) TAVOLE PROGETTUALI Sono di moltissimi tipi in funzione delle caratteristiche e delle dimensioni dell’intervento che si vuole descrivere. Esse possono essere raggruppate in: • Planimetrie; • Piante; • Tavole specialistiche;
G 58
Le planimetrie sono rappresentazioni a scala alta (1: 500 o più) dell’inserimento dell’area di intervento nel contesto circostante, che consentono di riferirne il posizionamento, le dimensioni e le relazioni col paesaggio. Le piante sono schematizzazioni generali dell’intervento a scale variabili da 1:50 a 1:500 a seconda delle dimensioni e indicanti con chiarezza: • la collocazione e il dimensionamento rispetto a un asse di riferimento; • la delimitazione dell’intervento; • la collocazione dei singoli elementi e il loro rapporto reciproco; • i riferimenti a tutte le altre tavole di progetto o ai dettagli grafici o descrittivi. Esse devono essere chiare, concise, esaurienti e precise abbastanza da consentire la misurazione e la numerazione di tutti gli elementi e quindi la loro preventivazione in termini di costo, di organizzazione e di controllo dei lavori. Nei casi di interventi di minore impegno, la pianta può rappresentare l’unica tavola di progetto e quindi deve poter fornire – concentrandoli – tutti i dati necessari. Le tavole specialistiche stanno a rappresentare le singole fasi dell’intervento evidenziandole e relazionandole al complesso.
Le sezioni rappresentano lo stato del paesaggio prima e/o dopo l’intervento, servono a dare i valori delle quote altimetriche – in special modo quindi dei movimenti di terra – e i rapporti delle altezze dei singoli elementi componenti l’intervento. I dettagli devono rispondere a requisiti di completezza e chiarezza, essendo impiegati per l’opera di costruzione vera e propria.
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE PROGETTAZIONE PAESAGGISTICA
G.5. 7. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. G.5.7./5 ESEMPIO DI PIANTA DI TRACCIAMENTO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM
C) RAPPRESENTAZIONI PITTORICHE Sono quelle che aiutano i “non addetti ai lavori” a rendersi conto del risultato finale dell’intervento. Esse possono essere distinte in: • Planimetrie paesaggistiche e prospettive aeree; • Prospettive. Le planimetrie paesaggistiche e le prospettive aeree sono rappresentazioni verticali o ad alte angolazioni,
nelle quali i colori e le ombre danno una buona percezione dei volumi finali. Le prospettive sono rappresentazioni ad altezza d’uomo atte a dare una visione parziale ma esauriente del lavoro finito quasi fossero delle fotografie del dopointervento. Una componente peculiare della paesaggistica è la rappresentazione del materiale vegetale, per la quale va fatta una differenza fra tavole “di scena” e disegni esecutivi. Nelle prime gli alberi e tutto il materiale vegetale
FIG. G.5.7./6 ESEMPIO DI PIANTA DELLO SCHEMA DI IRRIGAZIONE
vanno trattati in maniera pittorica e realistica, rappresentandoli al massimo del loro sviluppo e – possibilmente – al momento della loro fioritura. Sugli elaborati di progetto il materiale prescelto deve invece essere indicato con grande precisione e sinteticità: solo così si può sperare nella qualità del risultato e nella perfetta rispondenza della realizzazione con quanto previsto. La descrizione del materiale vegetale, delle sue modalità di posa e di trasporto e della sua eventuale manutenzione devono avvenire piuttosto puntualmente mediante definizione scritta nelle voci di Capitolato e rappresentazione sugli elaborati grafici. Gli elaborati di progetto devono comprendere specifici disegni che indichino la collocazione esatta e il tipo di sistemazione del materiale prescelto e che lo descrivano in ogni possibile dettaglio. Per i progetti più semplici, una sola tavola di arredo vegetale può bastare a illustrare l’intera operazione. Per i progetti più complessi possono invece occorrere: una tavola di impianto arboreo di “struttura”, una di arredo abustivo e una per i tappezzanti e per le sistemazioni a prato. Tutte queste tavole devono essere redatte su una base tratta dalle tavole di arredo architettonico. Per questo, è preferibile indicare il materiale vegetale nella sua forma più schematica (mediante un semplice segno grafico contrassegnato da una sigla) e posizionato con precise indicazioni in riferimento a elementi architettonici esistenti o bene individuati dal progetto. Ogni ulteriore informazione deve essere fornita da note o tabelle.
➥
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
7. E G.5. ETTAZION PROG GGISTICA A S PAE
G 59
G.5. 7.
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE PROGETTAZIONE PAESAGGISTICA ➦ ELABORATI DI PROGETTO ➦ C) RAPPRESENTAZIONI PITTORICHE FIG. G.5.7./7 ESEMPIO DI PLANIMETRIA PAESAGGISTICA
FIG. G.5.7./8 ESEMPIO DI DETTAGLIO COSTRUTTIVO
FIG. G.5.7./10 SCHEMA DI IMPIANTO DI MATERIALE VEGETALE
FIG. G.5.7./9 ESEMPIO DI SEZIONE
FIG. G.5.7./12 SCHEMA DI IMPIANTO DI MATERIALE VEGETALE
FIG. G.5.7./11 ESEMPIO DI SEZIONE DI DETTAGLIO COSTRUTTIVO
G 60
URBANISTICA • GUIDA ALLA PIANIFICAZIONE PROGETTAZIONE PAESAGGISTICA
G.5. 7. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. G.5.7./13 ESEMPI DI PROSPETTIVE AEREE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM FIG. G.5.7./14 ESEMPIO DI PIANTA DI ARREDO VEGETALE
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM
FIG. G.5.7./15 SCHEMA DI FORESTAZIONE
FIG. G.5.7./16 ESEMPIO DI PIANTA DI RILIEVO DELLA VEGETAZIONE
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
7. E G.5. ETTAZION PROG GGISTICA A S PAE
G 61
G.6. 1.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE INFRASTRUTTURE AEROPORTUALI Con il termine “aeroporto” si indica una superficie utilizzata per il decollo, l’atterraggio e le manovre a terra degli aerei. Tale superficie comprende anche gli spazi occupati dalle aerostazioni, dalle aviorimesse, dalle officine, dagli uffici, dalla torre di controllo ecc.
CLASSIFICAZIONE Dal punto di vista operativo le norme ICAO (International Civil Aviation Organization) prevedono una classificazione sulla base delle esigenze dei veicoli nelle fasi di decollo, avvicinamento e atterraggio e nelle fasi di rullaggio e parcheggio. Tale classificazione, pertanto, è caratterizzata da due codici, uno numerico, l’altro alfabetico. • il codice numerico si basa su una suddivisione degli aeromobili in funzione degli spazi richiesti per decollare nelle condizioni di massimo peso, al livello del mare, in assenza di vento e in condizioni atmosferiche standard (T = 15°C); • il codice alfabetico si riferisce alle esigenze di manovra a terra dell’aereo critico nelle fasi di rullaggio, iscrizione in curva e parcheggio, sintetizzate dalla larghezza alare e dalla distanza tra i bordi esterni delle ruote del carrello principale (vedi Tab. G.6.1./1).
TAB. G.6.1./1 DISTRIBUZIONE DI ALCUNI AEROMOBILI NELL’AMBITO DELLA CLASSIFICAZIONE A DUE ELEMENTI CODICE NUMERICO 1
Beaver DHC-2 Cessna 150, 172, 180, 310, 404, 421, turbo Dash 7 Short SC7-3 Twin Otter
A
Beaver DHC-2 Cessna 150, 172, 180, 310, 404, 421, turbo Hawker Siddey HS 125-400, 700 Lear Jet 24D, 24F, 28, 29, 35, 36A, 54, 55
2
Lear Jet 24F, 28, 29 NAMC YS-11 Short SD3-30
B
Nord 626 Short SC7-3 Twin Otter
3
Airbus A-300 B2 Antonov AN-20 Convair 240, 440, 580, 600, 640 DC-3, DC-4, DC-8 Fokker F-27, F-28 Laser Jet 24D, 35, 36A, 54, 55
C
Antonov AN-20 Boeing 727, 737 Caravelle Concorde Convair 240, 440, 580, 600, 640 Fokker F-27, F-28
4
Airbus A-310, 300 B4 Boeing 707, 720, 727, 737, 747, 757, 767 Canadair CL44D Concorde Douglas DC-8, DC-9, DC-10 ILYUSHIN IL-18, 62 Trident Tupolev TU-134, 154
D
Airbus A-310, 300 B4 Boeing 707, 720, 727, 757, 767 Douglas DC-8, DC-10
E
Boeing 747
Con tale classificazione vengono prese come riferimento le caratteristiche degli aerei a cui l’aeroporto è destinato e non una caratteristica fisica dell’aeroporto, come ad esempio la lunghezza base di pista (vedi Tab. G.6.1./2).
AREE DELL’INFRASTRUTTURA AEROPORTUALE
CODICE ALFABETICO
In un aeroporto si possono individuare, a seconda dell’utilizzo, le seguenti zone (vedi Fig. G.6.1./1):
AREA OPERATIVA
TAB. G.6.1./2 CLASSIFICAZIONE DEGLI AEROPORTI SECONDO IL CODICE ALFANUMERICO
comprende l’area di atterraggio e decollo (piste di volo), l’area di movimento, l’area di attesa dell’autorizzazione per l’ingresso in pista.
CODICE LUNGHEZZA NUMERICO CARATTERISTICA (Ld)
AREA TERMINALE E DI MANUTENZIONE comprende le aree occupate dalle piazzole di sosta degli aeromobili e dalle aerostazioni (terminale); e le aree destinate alla revisione e alla riparazione dei veicoli su cui sorgono gli hangar, le officine e i piazzali di sosta tecnica (manutenzione).
CODICE ALFABETICO
LARGHEZZA ALARE (La)
DISTANZE TRA LE RUOTE ESTERNE DEI CARRELLI PRINCIPALI (Lc)
1
800 m < Ld
A
La < 15 m
Lc < 4,5 m
2
800 m ≤ Ld < 1200 m
B
15 ≤ La < 24 m
4,5 m ≤ Lc < 6,0 m
3
1200 m ≤ Ld < 1800 m
C
24 ≤ La < 36 m
6,0 m ≤ Lc < 9,0 m
4
1800 ≤ Ld
D
36 ≤ La < 52 m
9,0 m ≤ Lc < 14,0 m
E
52 ≤ La < 60 m
9,0 m ≤ Lc < 14,0 m
FIG. G.6.1./1 SCHEMA PLANIMETRICO DELLE INFRASTRUTTURE DELL’AEROPORTO PIAZZALE ESTERNO AEROSTAZIONE
TORRE DI CONTROLLO
PIAZZALE PER LA SOSTA DEGLI AEREI PISTA DI RULLAGGIO
TESTATA
VIA DI USCITA
VIA DI USCITA
PISTA DI VOLO
G 62
AREA DI ATTESA
TESTATA
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE
G.6. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
AREA OPERATIVA La pista di volo è una superficie di dimensioni rettangolari, in grado di permettere l’atterraggio e il decollo degli aerei. Essa si definisce “strumentale” se è attrezzata con particolari apparecchiature per guidare il veicolo nelle fasi di avvicinamento e di atterraggio. Viceversa, si dice “a vista” se non è dotata di tali attrezzature ed è quindi utilizzabile solo in particolari condizioni di visibilità. La capacità della pista, o dell’insieme di piste a servizio dell’aeroporto, oltre che dalla configurazione e dall’orientamento dipende anche dalla composizione e dal controllo del traffico aereo, nonché dalle condizioni ambientali. Per le configurazioni a pista singola si stima che la capacità vari tra le 50 e le 100 operazioni/h. Nel caso di piste parallele la capacità è influenzata dalla distanza e dalla specializzazione delle piste; il campo di variazione è tra 60 e 190 operazioni/h. Funzionalmente si distinguono tre zone lungo la pista: una zona atta a sopportare traffici intensi (runway), una zona utilizzata eccezionalmente come prolungamento di arresto (stopway), una zona unicamente sorvolata che costituisce un prolungamento libero da ostacoli (clearway). Nella Tab. G.6.1./3 si riportano le principali caratteristiche geometriche per piste di diverso codice di riferimento. Il profilo trasversale della pista deve essere sagomato a tetto con falde simmetriche rispetto all’asse della pista e con pendenza dell’1,5%, nel caso di piste C, D ed E, e 2% nel caso di piste A e B. Adiacente al bordo della pista, inoltre, andrà prevista una fascia (di larghezza da 30 a 75 m) pavimentata con spessori inferiori a quelli della pista, per raccordare la superficie a pieno spessore e il terreno naturale. L’area di movimento è costituita dalle piste di rullaggio e dalle vie di circolazione (taxiway) che collegano i piazzali di sosta e le altre zone dell’aeroporto con le piste. Le piste di rullaggio e di circolazione devono avere tracciato per quanto possibile rettilineo con le caratteristiche planoaltimetriche riportate in Tab. G.6.1./8; i cambiamenti di direzione andranno realizzati con curve a raggio ampio, allargate opportunamente verso l’interno. Tale allargamento andrà previsto anche in corrispondenza delle intersezioni tra due vie (vedi Fig. G.6.1./2).
TAB. G.6.1./3 CARATTERISTICHE GEOMETRICHE DELLE PISTE DI VOLO
FIG. G.6.1./2 ALLARGAMENTO IN CURVA DEI RACCORDI AEROPORTUALI
TAB. G.6.1./6 CARATTERISTICHE DEI PROLUNGAMENTI D’ARRESTO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
CODICE ALFABETICO
CODICE NUMERICO
A
B
C
D
E
1
18 m
18 m
23 m
–
–
2
23 m
23 m
30 m
–
–
3
30 m
30 m
30 m
45 m
–
4
–
–
45 m
45 m
45 m
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
TAB. G.6.1./4 CARATTERISTICHE ALTIMETRICHE DELL’ASSE PISTA CODICE NUMERICO
1
2
3
4
Pendenza longitudinale media
2,00%
2,00%
2,00%
2,00%
Pendenza longitudinale parziale max
2,00%
2,00%
1,50%
1,25%
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
TAB. G.6.1./5 DISTANZIAMENTO MINIMO DI PISTE PARALLELE Distanza tra assi di piste parallele non strumentali
120 m
150 m
210 m
Larghezza
uguale e quella della pista cui è associata
Pendenza
uguale e quella della pista cui è associata
210 m
G.ANISTICA URB
TAB. G.6.1./7 CARATTERISTICHE DEI PROLUNGAMENTI LIBERI DA OSTACOLI Larghezza
non inferiore a 75 m per parte computata dall’asse della pista
G.2. À URBANA REALT
TAB. G.6.1./8 CARATTERISTICHE GEOMETRICHE DELLE VIE DI RULLAGGIO
AREA DI RACCORDO INTERNO
CODICE NUMERICO
In presenza di elevati traffici di veicoli con caratteristiche differenti, è opportuno predisporre delle bretelle di uscita rapida che colleghino la pista di volo con una pista di rullaggio a essa parallela e che consentano di sgombrare la pista di volo in maniera più rapida. Sulla velocità di uscita e quindi sul tempo di occupazione, influisce anche l’angolazione degli svincoli rispetto all’asse della pista. Come velocità di progetto della curva di uscita può assumersi 93 km/h per le piste di classe 3 o 4 e 65 km/h per le piste di classe 1 o 2. È opportuno che l’angolo di intersezione tra l’asse della pista e della bretella sia compreso tra 45° e 25°. Le curve di raccordo devono essere progettate con la massima cura; si può assumere come relazione tra il raggio di tali curve e la velocità di uscita l’espressione: R = 0,061V2 (R in m, V in km/h).
A
B
C
D
E
Larghezza minima in rettilineo
7,5 m
10,5 m
15-18 m
18-23 m
23 m
Pendenza longitudinale massima
3,0%
3,0%
1,5%
1,5%
1,5%
Pendenza trasversale
2,0%
2,0%
1,5%
1,5%
1,5%
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM
La lunghezza del tronco rettilineo della bretella deve essere tale da consentire l’arresto dell’aeromobile in prossimità dell’incrocio con la via di rullaggio, con una decelerazione massima consentita di 1,3-1,5 m/s2. In Fig. G.6.1./3 un esempio di svincolo ad alta velocità. Le piste di rullaggio sono collegate alle piste di volo con raccordi di estremità sui quali è necessario prevedere delle aree di attesa (holding bays) per i veicoli che attendono l’autorizzazione all’ingresso in pista per il decollo. L’esigenza di tale piazzola di sosta è particolarmente sentita negli aeroporti con intenso traffico. In Fig. G.6.1./4 si riportano esempi di configurazioni geometriche di aree di attesa. Le loro dimensioni dipendono dal numero e dal tipo di aeromobili che sono destinate ad accogliere, mentre la distanza dall’asse della pista è stabilita, oltre che in base a considerazioni di sicurezza, in modo tale da non disturbare i segnali radioelettrici.
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
FIG. G.6.1./4 ESEMPI DI SISTEMAZIONE DI TESTATE DI PISTA FIG. G.6.1./3 SVINCOLO AD ALTA VELOCITÀ
PISTA DI VOLO
PISTA DI VOLO ,86
22
R 556,82
INIZIO ALLARGAMENTO
0 2,4 15
R 30,4
≥ 7,8
R 30,4 ≥7 ,8
≥ 30,4
R 492,07 R 60,8 45,72
30 °
PISTA DI VOLO
3 ) 1,9 nto 12 ame arg all
101,16 (
R 30,4
PISTA DI RULLAGGIO
PISTA DI RULLAGGIO
➥
1. G.6. ITÀ MOBILORIALE TERRIT
G 63
G.6. 1.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE ➦ INFRASTRUTTURE AEROPORTUALI ➦ AREE DELL’INFRASTRUTTURA AEROPORTUALE AREA TERMINALE E DI MANUTENZIONE FIG. G.6.1./5 ELEMENTI CARATTERISTICI DI ROTAZIONE DI UN AEROMOBILE ANGOLO DI STERZATURA DELLA RUOTA ANTERIORE
90° 90
L’area terminale rappresenta l’elemento di separazione tra il lato aria e il lato terra del sistema e ha la funzione di permettere il rapido smaltimento dei volumi di traffico durante le operazioni di arrivi e partenze. La superficie antistante l’aerostazione è detta piazzale (apron) ed è destinata alla sosta degli aeromobili che avviene in piazzole appositamente segnalate (gate positions); è qui che si svolgono le operazioni di handling che comprendono: assistenza passeggeri e loro bagagli, servizi merci e posta, servizio rifornimenti, servizi operativi e di rampa, piccole manutenzioni. Le dimensioni dei parcheggi, nel caso più frequente di manovra autonoma (e non con l’ausilio di trattore), sono funzioni delle caratteristiche di manovrabilità e di ingombro degli aerei, nonché del massimo valore dell’angolo e del raggio di sterzatura del ruotino anteriore, del raggio di curvatura dell’estremità dell’ala esterna e dell’apertura alare (Fig. G.6.1./5). Valori di ingombro degli stalli sono di circa 9500 mq per un B747, circa 2600 mq per un DC9. La disposizione dei parcheggi può essere: • lineare o frontale, con gli aerei parcheggiati frontalmente all’autostazione (Fig. G.6.1./6); • a piazzale aperto, che prevede la realizzazione di un piazzale di sosta molto ampio su cui i veicoli sono su più file; • a molo, in cui l’aerostazione a blocco centrale è ramificata in corridoi di sbarco/imbarco (Fig. G.6.1./7); • a satelliti, in cui gli aerei vengono parcheggiati in gruppi attorno a terminal secondari, detti satelliti (Fig. G.6.1./8).
ASSE DEI CARRELLI PRINCIPALI
RAGGIO DI STERZATURA DELLA RUOTA ANTERIORE CENTRO DI ROTAZIONE DELL’AEROMOBILE DELL AEROMOBILE
RAGGIO DI VIRATA DELL’ALA DELL ALA
Questi schemi fondamentali possono dar luogo a sistemazioni “miste” come, ad esempio, la disposizione frontale e a molo, la disposizione a molo e satelliti. Il numero e il tipo di parcheggi va determinato sulla base della composizione del traffico, mentre la disposizione nell’area di sosta dipenderà soprattutto dalla tipologia dell’aerostazione, a sua volta funzione di numerosi fattori, quali la quantità e natura dei flussi di traffico, il numero di linee servite, le vie di accesso, lo spazio disponibile.
ESEMPIO DI CALCOLO DI MASSIMA DEL NUMERO DI PIAZZOLE Mi Cr Na N pi
= = = =
PERCORSO DELLA RUOTA ANTERIORE
frequenza di movimento dell’aeromobile tipo v coefficiente medio di riempimento degli aeromobili numero di passeggeri trasportati nell’anno numero di posti offerti dall’aeromobile tipo i-esimo
i-esimo
Numero di movimenti annui NM a = N a /(Cr Σ i M i N pi ) Ipotizzando che nell’ora di punta avvenga il 16% del traffico giornaliero medio si avrà: Numero di movimenti nell’ora di punta NM hp = (NM a /365) 0,16 Considerando un tempo medio di stazionamento di 1h15’ (che corrisponde a un coefficiente di utilizzazione delle piazzole pari a 0,8) si avrà: Numero delle piazzole P = (NM hp) /0,8
TRAIETTORIA DELLA ESTREMITÀ DELL’ALA ESTREMIT DELL ALA BORDO DELLE COSTRUZIONI
FIG. G.6.1./6 DISPOSIZIONE DEI PARCHEGGI LINEARE/FRONTALE
8m
Tale numero andrà ripartito tra aerei di diverse dimensioni in modo proporzionale alla loro rispettiva frequenza.
FIG. G.6.1./7 DISPOSIZIONE DEI PARCHEGGI A MOLO
FIG. G.6.1./8 DISPOSIZIONE DEI PARCHEGGI A SATELLITI
LATO TERRA
LATO TERRA
LATO TERRA
PARCHEGGIO
PARCHEGGIO
PARCHEGGIO
AEROSTAZIONE
AEROSTAZIONE
AEROSTAZIONE
LIMITE SOSTA AEROMOBILI
TAXIWAY
TAXIWAY
TAXIWAY
TAXIWAY
LATO ARIA LIMITE SOSTA AEROMOBILI LATO ARIA
LIMITE SOSTA AEROMOBILI LATO ARIA
G 64
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE
G.6. 1. A.ZIONI
L’edificio del terminal rappresenta l’elemento attraverso il quale vengono “processati” passeggeri, merci, bagagli in arrivo e in partenza, secondo lo schema di Fig. G.6.1./9, relativo a terminal per voli internazionali. All’interno di un’aerostazione andranno previsti gli spazi per effettuare i seguenti servizi: • servizi per i passeggeri: parcheggio, locali per l’espletamento delle operazioni di imbarco e sbarco, per il check-in, per il deposito bagagli, per l’emissione biglietti, per il controllo passaporti, per l’attesa del volo, per le informazioni, per il ristoro, per lo shopping; • servizi per i bagagli: aree destinate alla movimentazione e allo smistamento dei bagagli con opportune apparecchiature; • servizi per la gestione aeroportuale: spazi per uffici, locali per il personale addetto, mensa, depositi per le attrezzature. Il dimensionamento di massima degli spazi funzionali può essere fatto con riferimento a quel valore dei flussi nell’ora di punta che potrà superarsi poche volte e verso la fine della vita utile prevista per l’infrastruttura (Typical Peak Hour Passenger TPHP), secondo i criteri riportati in Tab. G.6.1./9 e G.6.1./10. Le disposizioni possibili delle aerostazioni sono le seguenti: • unico livello per strada di acceso, marciapiede di carico e scarico (kerb), edificio del terminal (Fig. G.6.1./10-A); • unico livello per la strada di accesso e per il marciapiede, due livelli per l’edificio del terminal, con le operazioni previste in arrivo e partenza che si svolgono al primo livello e sala di attesa per le partenze al secondo livello (Fig. G.6.1./10-B); • due livelli per le strade di accesso, per il marciapiede e per l’edificio del terminal, con i processi di arrivo e partenze separati in senso verticale. In questo caso il livello superiore è generalmente a servizio delle partenze (Fig. G.6.1./10-C); • unico livello per due strade di accesso e due marciapiedi, due livelli per l’edificio terminale, caso analogo al precedente con separazione in senso orizzontale tra arrivi e partenze (Fig. G.6.1./10-D).
FIG. G.6.1./9 SCHEMA DEL PERCORSO PASSEGGERI E BAGAGLI IN UN’AEROSTAZIONE PER VOLI INTERNAZIONALI PERCORSO BAGAGLI PERCORSO PASSEGGERI
INGRESSO AEROSTAZIONE
TRAFFICO TOTALE ANNUO (milioni di passeggeri)
TPHP (% sul totale)
20 e più
0,030
10-19,9
0,035
1-9,9
0,040
USCITA AEROSTAZIONE
0,5-9,9
0,050
0,1-0,49
0,065
meno di 0,1
0,012
VENDITA BIGLIETTI
VERIFICA BIGLIETTI
PESATURA BAGAGLI
DOGANA
CONTROLLO SICUREZZA
RESTITUZIONE BAGAGLI
CONTROLLO PASSAPORTI
CONTROLLO PASSAPORTI
TRANSITO AI VOLI NAZIONALI
IMBARCO VOLI INTERNAZIONALI
CARICO BAGAGLI
SCARICO BAGAGLI
ARRIVO VOLI INTERNAZIONALI
L’area di manutenzione deve essere organizzata per permettere di svolgere le ispezioni e le manutenzioni periodiche di una certa importanza; il numero di parcheggi, le dimensioni degli hangar e delle officine di riparazione dipendono dal traffico aereo e dal tipo di veicoli che usualmente operano nell’aeroporto.
FIG. G.6.1./10 DISPOSIZIONI DELLE AEROSTAZIONI
FLUSSO PASSEGGERI FLUSSO DEI BAGAGLI
TAB. G.6.1./9 ORA DI PUNTA (Typical Peak Hour Passenger) IN FUNZIONE DEL TRAFFICO TOTALE
A)
TAB. G.6.1./10 SPAZI DI UN’AEROSTAZIONE IN FUNZIONE DEL TRAFFICO
FUNZIONE
SUPERFICIE RICHIESTA (mq /passeggeri / h)
Biglietteria
1,0
Uffici aerolinee
4,8
Ritiro bagagli
1,0
Sale d’attesa
1,8
Impianti tecnici
1,6
Cucine e magazzini
1,6
Spazi in concessione
0,5
Servizi igienici
0,3
Vie di circolazione, spazi per manutenzione ecc.
11,6
TOTALE
24,2
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT
a cui vanno aggiunti per VOLI INTERNAZIONALI Controllo frontiera
1,0
Sanità
1,5
Dogana
3,3
Sala visitatori
1,5
Circolazione, riunione bagagli ecc.
7,5
TOTALE complessivo
39,0
G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
C)
B)
D)
1. G.6. ITÀ MOBILORIALE TERRIT
G 65
G.6. 1.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE STRADE CLASSIFICAZIONE DELLE STRADE
ELEMENTI COSTITUTIVI
Le “Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade” (DM 5 novembre 2001) definiscono i criteri per la progettazione degli elementi funzionali degli aspetti funzionali e degli elementi geometrici delle strade in relazione alla loro classificazione secondo il Codice della strada (DLgs 30 aprile 1992, n.285 e aggiornamenti successivi). La qualificazione funzionale delle strade è basata sulla tipologia della loro utenza e sulle attività ammesse sulle strade stesse, tenendo conto della situazione ambientale in cui esse si inseriscono.
Come si vede, solo le tipologie di livello più alto e più basso (A e F) ricadono sia nell’ambito urbano che in quello extraurbano, mentre le tipologie intermedie presentano una differente specificità. Le Norme, sia in campo urbano che extraurbano, individuano quattro livelli di rete stradale, a cui corrispondono le funzionalità di Tab. G.6.1./11 secondo la classificazione del Codice.
Carreggiata: parte della strada destinata al movimento dei veicoli; essa è costituita da una o più corsie per senso di marcia e, in genere, è pavimentata e delimitata da strisce di margine. Corsia: parte longitudinale della strada di larghezza idonea al transito di una sola fila di veicoli. Banchina: parte della strada compresa tra il margine della carreggiata e il più vicino tra i seguenti elementi: marciapiede, spartitraffico, arginello, ciglio interno della cunetta, ciglio superiore della scarpata nei rilevati. Piattaforma: insieme della carreggiata delle banchine, degli elementi marginali e della striscia mediana spartitraffico. Rilevato: parte della strada sopraelevata rispetto al piano di campagna. Spartitraffico: parte longitudinale non carrabile della strada destinata alla separazione di correnti veicolari. Trincea: parte della strada posta al di sotto del piano di campagna. Scarpata: superficie laterale inclinata di un rilevato o di una trincea. Cunetta: manufatto per lo smaltimento delle acque meteoriche o di drenaggio, realizzato longitudinalmente o anche trasversalmente all’andamento della strada. Tombino: manufatto che, al di sotto della sede stradale, fa defluire le acque da monte a valle. Livelletta: tratto di strada a pendenza longitudinale costante. Muro di sostegno: struttura che sostituisce in tutto o in parte le scarpate di trincea (muri di controripa) o è posta al piede delle scarpate di rilevato (muri di sottoscarpa). Dispositivo di ritenuta: elemento tendente a evitare la fuoruscita di veicoli dalla piattaforma o comunque a ridurne le conseguenze dannose. È contenuto all’interno dello spartitraffico o del margine esterno della piattaforma.
TAB. G.6.1./11 LIVELLI FUNZIONALI DELLE RETI E DELLE INFRASTRUTTURE STRADALI
FIG. G.6.1./11 NOMENCLATURA DEL CORPO STRADALE
Le Norme definiscono, inoltre, una serie di classi a cui le strade possono appartenere, e definiscono un preciso rapporto gerarchico basato sull’individuazione della funzione assolta nel contesto territoriale e nell’ambito del sistema globale delle infrastrutture stradali. A queste classi sono associate le diverse tipologie che, a loro volta, sono definite dal Codice della strada: A – Autostrade (extraurbane e urbane); B – Strade extraurbane principali; C – Strade extraurbane secondarie; D – Strade urbane di scorrimento; E – Strade urbane di quartiere; F – Strade locali urbane e extraurbane.
RETE
STRADA CORRISPONDENTE SECONDO IL CODICE DELLA STRADA
CUNETTA
SPARTITRAFFICO BANCHINA
BANCHINA
(in ambito extraurbano)
(in ambito urbano)
Rete primaria (di transito, scorrimento)
Autostrade extraurbane, strade extraurbane principali (tipologie A e B)
Autostrade urbane, strade urbane di scorrimento (tipologie A e D)
Rete principale (di distribuzione)
Strade extraurbane principali (tipologia B)
Strade urbane di scorrimento (tipologia D)
Rete secondaria (di penetrazione)
Strade extraurbane secondarie Strade urbane di quartiere (tipologia C) (tipologia E)
Rete locale (di accesso)
Strade locali exraurbane (tipologia F)
ARGINELLO O BANCHINA ERBOSA CARREGGIATA
BANCHETTONE
PIATTAFORMA
Strade locali urbane (tipologia F) SEZIONE IN TRINCEA
SEZIONE IN RILEVATO
SEZIONE A MEZZA COSTA
CRITERI DI PROGETTAZIONE La finalità della progettazione stradale è di garantire la sicurezza e la qualità della circolazione oltre alla verifica statica delle opere che permettono il deflusso veicolare. Pertanto lo studio della geometria stradale dovrà considerare e analizzare non solo i meccanismi che regolano le interazioni strada-vettura, ma anche le reciproche interferenze tra i veicoli. La progettazione della geometria di una strada consiste nello studio del nastro stradale, (in particolare nella definizione del suo asse e delle sue sezioni trasversali) e delle intersezioni con le altre strade. L’asse di una strada generalmente non è una linea piana; al fine di operare una semplificazione è opportuno studiarne, separatamente, l’andamento planimetrico e quello altimetrico, che devono, in ogni caso, essere opportunamente coordinati, in modo tale da garantire all’utente la sicurezza e il comfort. Tutti gli elementi geometrici e dell’asse stradale sono determinati sulla base di un prefissato intervallo di velocità di progetto che condiziona anche le velocità operative
G 66
che possono essere mantenute sull’infrastruttura e, di conseguenza, l’analisi economica degli investimenti. Infatti, un aumento della velocità di progetto comporta, in genere, un aumento dei costi di costruzione, ma anche una diminuzione dei costi di percorrenza. Il limite superiore dell’intervallo di velocità di progetto rappresenta per un veicolo isolato la massima velocità compatibile, nel rispetto dei margini di sicurezza assunti, in rettifilo e orizzontale; il limite inferiore è la velocità sulla base della quale sono calcolati gli elementi del tracciato più vincolanti (ad esempio pendenza longitudinale massima e raggio di curvatura minimo) Le Norme già citate presentano, per ogni tipo di strada e per le eventuali strade di servizio associate, delle tabelle con la composizione possibile della carreggiata, i limiti dell’intervallo di velocità di progetto, le dimensioni da assegnare ai singoli elementi modulari e i flussi massimi smaltibili in relazione ai livelli di servizio indicati. La Fig. G.6.1./12, tratta dalle stesse Norme, presenta una serie di esempi di piattaforma stradale risultanti dalla composizione di alcuni degli elementi modulari di base.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE
G.6. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. G.6.1./12 ESEMPI DI ORGANIZZAZIONE DELLA PIATTAFORMA STRADALE
B.STAZIONI DILEGIZLII
CATEGORIA A – AUTOSTRADE
Principale Vp.min.90 Vp.max.140
ASSE STRADALE
Soluzione base a 2+2 corsie di marcia
300
I ED PRE NISM ORGA
AMBITO URBANO
375
70
260
70
375
400
375
Servizio Vp.min.40 Vp.max.100
Soluzione base a 2+2 corsie di marcia
Principale Vp.min.80 Vp.max.140
ASSE STRADALE
AMBITO EXTRAURBANO
Servizio Vp.min.40 Vp.max.60
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
70 180 70 375
300
300 375
375
320 375 2420
2500
375
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
300
E.NTROLLO
375
375
260 300
125 375
400 3250
375
610 375 2060
375
70
375
400
375
375
300 260
50
375
610 2385
350
50 180 300 350 125
125 375
530
375
375
50 200 175
125 350 350 425 375 2175
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
300 180 50
375
375
530
300 350 50
150
G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM
C1
Servizio Vp.min.60 Vp.max.100
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN
375 175 375
375
G.6. ITÀ MOBIL
150
1050
50
375 350 375 2950
50 250
70
320
Soluzione base 2 corsie di marcia
350 375 2200
URB
ASSE STRADALE
Soluzione a 2+2 corsie di marcia con strade di servizio a 1 o 2 corsie di marcia
G.ANISTICA
300
2090
ASSE STRADALE 375
375
Servizio Vp.min.40 Vp.max.100
375 375 175
ASSE STRADALE
175 375
375
CATEGORIA C – EXTRAURBANE SECONDARIE Principale Vp.min.70 Vp.max.120
ASSE STRADALE
150
250 50
50 250
375
70 180
150 Soluzione 3+3 corsie di marcia
320
2090
CATEGORIA B – EXTRAURBANE PRINCIPALI
175 375 375
375
Soluzione base a 2+2 corsie di marcia con strade di servizio a 1 o 2 corsie di marcia di cui 1 percorsa da autobus
260
50
ASSE STRADALE
300 375
375 300
3170
70
Soluzione base 2+2 corsie di marcia
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
70 180 70
ASSE STRADALE
Soluzione a 2+2 corsie di marcia con strade di servizio a 1 o 2 corsie di marcia
70
F. TERIALI,
ASSE STRADALE
300 375
260
CO NTALE AMBIE
ASSE STRADALE
70
50
Soluzione base a 3+3 corsie di marcia
ASSE STRADALE
Soluzione a 3+3 corsie di marcia
125
350
350
C2
125
950 50
375 350 375
175 200 50
375
425 375 125 1850
➥
1. G.6. ITÀ MOBILORIALE TERRIT
G 67
G.6. 1.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE ➦ STRADE ➦ CRITERI DI PROGETTAZIONE ➦ FIG. G.6.1./12 ESEMPI DI ORGANIZZAZIONE DELLA PIATTAFORMA STRADALE CATEGORIA D – URBANE DI SCORRIMENTO Servizio Vp.min.25 Vp.max.60
Soluzione base a 2+2 corsie di marcia con corsia percorsa da autobus
50 180 50
50 180 50
BUS 150 100 325 325 280 325 325 100 150 2080
100 350
Servizio Vp.min.25 Vp.max.60
BUS
325 325 280 325 325 350 100 2780
150
ASSE STRADALE
Soluzione a 2+2 corsie di marcia con strade di servizio ad 1 o 2 corsie di marcia di cui una percorsa da autobus
ASSE STRADALE
Soluzione base a 3+3 corsie di marcia
150
Principale Vp.min.60 Vp.max.80
ASSE STRADALE
Principale Vp.min.50 Vp.max.80
ASSE STRADALE
Soluzione base a 2+2 corsie di marcia
50 180 50 50 180 150 100 325 325 325 280 325 325 325 100 2730
150
150
CATEGORIA E – URBANE DI QUARTIERE
330 325 325 280 325 1770
Principale Vp.min.40 Vp.max.60
ASSE STRADALE
150 50
150
275 275 950
50 150
600
sosta parallela
ASSE STRADALE
Soluzione a 2 corsie di marcia con due file di stalli
BUS
50 350 300 50 300 350 50
150
150
150
1750
200
sosta parallela
600
2700
BUS
Principale Vp.min.25 Vp.max.60
corsia di sosta a 90 90° manovra
50 300 300 50 300 300
Soluzione base a 2+2 corsie di marcia di cui 1+1 percorsa da autobus
BUS
330 275 350 50 150 1945
ASSE STRADALE
150
1000
150
325
50
Soluzione base a 2 corsie di marcia
50 300 300 50
Soluzione base a 2+2 corsie di marcia
100 180
AMBITO URBANO
ASSE STRADALE
150
50 180 50
CATEGORIA F – LOCALI
ASSE STRADALE
Soluzione base a 1+1 corsie di marcia
125 375
100
275 275 200 1250
150
CATEGORIA F – LOCALI
F1 100 350 350 100 900
G 68
Principale Vp.min.40 Vp.max.100
ASSE STRADALE
Soluzione base a 2 corsie di marcia
ASSE STRADALE
AMBITO EXTRAURBANO
F2 100 325 325 100 850
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE
G.6. 1. A.ZIONI
ANDAMENTO PLANIMETRICO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. G.6.1./13 RACCORDO CURVA-RETTIFILO
L’andamento planimetrico (o tracciato orizzontale) dell’asse stradale, determinato dalla successione di tre elementi, rettifili, curve circolari e curve a raggio variabile, è in primo luogo condizionato dall’orografia del terreno, ma è determinato anche sulla base della dinamica del veicolo e del comportamento dell’utente. Tra due elementi a raggio costante (due curve circolari, oppure una curva circolare e un rettifilo) deve essere sempre inserita una curva a raggio variabile lungo la quale, generalmente, si ottiene la graduale modifica della piattaforma stradale, cioè della pendenza trasversale e, se necessario, della larghezza.
B.STAZIONI DILEGIZLII
Y
I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
t
Le curve a raggio variabile utilizzate nella pratica appartengono a una famiglia rappresentabile tramite l’equazione:
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
R
rs n = A n+1 = cost dove: r = raggio di curvatura nel generico punto P s = ascissa curvilinea nel generico punto P A = attore di scala n = parametro che regola le variazioni della curvatura L’insieme definito da queste curve, con 0 < n < ∞, è quello delle clotoidi multiparametro. Nel caso di più comune impiego delle clotoidi si ha n = 1, e quindi la curva impiegata avrà l’espressione: rs = A2 Per questa curva si avrà, se R è il raggio finale di curvatura e L lo sviluppo complessivo della curva stessa: A = RL Non è possibile dare, di queste curve, un’espressione nel piano cartesiano, del tipo y = f(x); per il calcolo pratico del tracciamento si ricorre a sviluppi in serie. Per la definizione delle grandezze caratteristiche di queste curve si può fare riferimento alle Figg. G.6.1./13 e G.6.1./14. La scelta di queste curve è legata a una serie di necessità dinamiche e geometriche. Sinteticamente, la clotoide rappresenta la scelta naturale per l’inserimento di un veicolo in una curva (o, più, genericamente, per il passaggio fra curve con diverso raggio di curvatura), in quanto garantisce velocità costante di rotazione dello sterzo e variazione costante dell’accelerazione trasversale.
E.NTROLLO
e oid lot ec f in
YC L
CO NTALE AMBIE
inizio clotoide
F. TERIALI, t
DR
Tk
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
yf
G.ANISTICA
X
XC
URB
Tl xf
In fase di progettazione è opportuno in primo luogo posizionare gli elementi a curvatura costante in modo tale da adeguare al meglio l’andamento del tracciato al terreno, quindi raccordare i cerchi con curve a raggio variabile o eventuali rettifili (Fig. G.6.1./15). Le Norme forniscono le relazioni tra raggio planimetrico, velocità di progetto e pendenza trasversale, oscillante tra un valore minimo del 2,5% (rettifilo) a un valore massimo compreso tra 3,5% (strade tipo E e F urbane) e 7% (strade tipo A); tali valori sono fissati tenendo conto della necessità di fare defluire le acque meteoriche e di non penalizzare la circolazione degli autoveicoli lenti. È inoltre necessario verificare che i raggi calcolati in corrispondenza delle diverse velocità di progetto garantiscano all’utente la visibilità dell’asse stradale e la distanza di visibilità per l’arresto.
È necessario realizzare tracciati orizzontali con rettifili di lunghezza (in m) inferiore a 22 VpMax (dove VpMax è il limite superiore dell’intervallo di velocità di progetto, in km/h) per evitare che su di essi si abbia mancanza della necessaria attenzione nella guida del veicolo, per indurre il conducente a una velocità compresa entro l’intervallo di progetto, per favorire l’inserimento della strada nell’ambiente. Tra un rettifilo di lunghezza L e il raggio R più piccolo fra quelli delle due curve collegate al rettifilo stesso, anche con l’interposizione di una curva a raggio variabile, deve essere rispettata la relazione: R > L per L < 300 m R ≥ 400 m per L ≥ 300 m
FIG. G.6.1./15 METODO PER IL PROGETTO DELL’ASSE STRADALE
FIG. G.6.1./14 RACCORDO CURVA-CURVA
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM
XC 2
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN DR 2
G.6. ITÀ MOBIL e R2
D
t2 YC 2
L2 x1 t2
y2
y1 t1
R1 YC1 e
E x2
t1
X C1
➥
1. G.6. ITÀ MOBILORIALE TERRIT
G 69
G.6. 1.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE ➦ STRADE ➦ CRITERI DI PROGETTAZIONE ALTIMETRIA DELL’ASSE STRADALE L’andamento altimetrico (o profilo longitudinale) è generalmente costituito da una successione di tratti rettilinei (livellette) e curvilinei (raccordi verticali). La pendenza massima di una livelletta dipende dalle caratteristiche dei veicoli e dai valori minimi della velocità e dell’accelerazione accettati: essa sarà quella al di sopra della quale la velocità di progetto, riferita a tipi di veicoli medi, scende sotto una soglia ritenuta inaccettabile per una fluida circolazione stradale. TAB. G.6.1./12 PENDENZA LONGITUDINALE MASSIMA TIPO DI STRADA
AMBITO URBANO
AMBITO EXTRAURBANO
6%
5%
Autostrada extraurbana
A
Principale extraurbana
B
Secondaria
C
Urbana di scorrimento
D
Urbana di quartiere
E
8%
Locale
F
10%
6% 7% 6%
La striscia mediana di spartitraffico, prevista dalle norme italiane di tre larghezze per i tipi di strade A, B e D, permette di alloggiare le siepi antiabbagliamento e i sostegni di illuminazione e segnaletica; inoltre, con l’impiego di barriere di sicurezza, rende più difficile l’uscita in sinistra dei veicoli in caso di incidente (Fig. G.6.1./17). Lo spartitraffico va interrotto, in linea di massima, ogni 2 km e in prossimità di gallerie, viadotti e ponti di significativa lunghezza. Una sezione stradale si dice in rilevato se le sue quote sono superiori a quelle del piano di campagna, in trincea se sono inferiori, a mezza costa se sono in parte superiori, in parte inferiori. La conformazione delle scarpate nelle sezioni in trincea deve essere verificata secondo i calcoli geotecnici. In rilevato, oltre al rispetto delle condizioni di stabilità, qualora la differenza di quota tra il ciglio e il piede della scarpata sia > 3,5 m e non sia possibile realizzare una pendenza inferiore a 1/5, deve essere installa sul ciglio una barriera di sicurezza. Tale barriera dovrà porsi in opera anche nel caso di scarpate con pendenza uguale o superiore a 2/3 e, nel caso di potenziali pericoli, al piede del rilevato. Nelle sezioni in scavo, ai margini delle banchina va disposta la cunetta per raccogliere le acque meteoriche che, a seconda della profondità e della forma, possono richiedere la protezione di una barriera di sicurezza. Nelle sezioni in rilevato occorre conformare l’argine a ridosso della banchina in modo tale che permetta lo scorrimento longitudinale dell’acqua e il suo allontanamento trasversale tramite embrici che scaricano in un fosso al piede del rilevato (Fig. G.6.1./18).
10% FIG. G.6.1./16 RAPPRESENTAZIONE PROSPETTICA DI UN TRONCO STRADALE
Tali valori possono essere aumentati di un’unità qualora si dimostri che lo sviluppo della livelletta sia tale da non penalizzare eccessivamente la circolazione in termini di riduzione della velocità e della qualità del deflusso. Due livellette successive vengono raccordate tramite una curva circolare o una curva parabolicale tra le quali non vi sono differenze a causa degli elevati valori dei raggi adottati. I criteri alla base delle scelte progettuali sono funzionali alla sicurezza e al comfort dell’utente.
RAGGIO DEL RACCORDO VERTICALE = 10 10.000 .000 m
In particolare, i raccordi convessi vengono di norma realizzati con curve circolari i cui raggi garantiscano la visibilità a una distanza D tra l’occhio del conducente e l’ostacolo pari: • nelle strade a carreggiate separate, alla maggiore tra la distanza di visibilità per l’arresto e la distanza di visibilità ridotta per il sorpasso; • nelle strade a carreggiata unica, al doppio della distanza di arresto se non è consentito il sorpasso; alla distanza di visibilità completa per il sorpasso se è consentito. I raccordi concavi vengono realizzati con archi di cerchio il cui raggio minimo deve garantire l’illuminamento con i fari per un tratto di strada almeno uguale alla distanza di visibilità per l’arresto. Le Norme pubblicano gli abachi che permettono di calcolare, nei diversi casi previsti, i raggi dei raccordi verticali in funzione delle distanze da garantire e le differenze di pendenza tra le livellette.
La mancanza di una progettazione integrata tra planimetria e altimetria può comportare una percezione non corretta del tracciato da parte del guidatore, con la perdita di vista della piattaforma stradale, (quando all’interno di un elemento di tracciato planimetrico, un raccordo concavo segue uno convesso), oppure la non “lettura” dell’elemento di raccordo (quando all’interno di un elemento di tracciato planimetrico si introduce una variazione di pendenza longitudinale con un raccordo di sviluppo modesto). A tal fine è opportuno rispettare le seguenti regole, ricorrendo, quando necessario, al disegno prospettico della visione del conducente per una verifica diretta (Fig. G.6.1./16): • inserire i raccordi verticali all’interno di elementi di tracciato con curvatura concorde e con uno sviluppo che comprenda gran parte di quello dell’elemento di tracciato orizzontale in cui è inserito; • quando un raccordo verticale convesso è inserito in una curva del tracciato orizzontale, è opportuno localizzare la sua origine dopo una deviazione di circa 3° della clotoide che precede la curva circolare; • porre i raccordi terminali dei raccordi concavi in prossimità ai punti di flesso del tracciato orizzontale.
PROGETTO DELLA SEZIONE TRASVERSALE Le Norme stabiliscono le dimensioni dell’elemento modulare corsia in relazione alla velocità di progetto attraverso considerazioni di sicurezza. Il numero delle corsie può essere posto in relazione a un flusso di progetto che, per motivi economici, sarà una frazione del traffico nell’ora di punta. Per una valutazione delle capacità delle singole corsie si rimanda al capitolo relativo al deflusso veicolare. La banchina è uno spazio libero da qualsiasi ostacolo che assolve, a seconda del tipo di strada, a funzioni di franco laterale ricovero di emergenza, contenimento della sovrastruttura stradale.
G 70
STESSO ANDAMENTO PANIMETRICO
COORDINAMENTO TRA TRACCIATO ORIZZONTALE E PROFILO LONGITUDINALE
RAGGIO DEL RACCORDO VERTICALE = 5.000 m
DIAGRAMMA DELLA CURVATURA C = 1/R
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE
G.6. 1. A.ZIONI
FIG. G.6.1./17 BARRIERA DI SICUREZZA
FIG. G.6.1./18 SISTEMAZIONE ARGINE BANCHINA NELLE SEZIONI DI RILEVATO
0,15
banchina
B.STAZIONI DILEGIZLII
scarpata
I ED PRE NISM ORGA
0,15 0,15
arginello
carreggiata
C.RCIZIO
0,80
E ESE ESSIONAL PROF
0,33
0,25
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
0,60
0,08 - 0,15
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
BARRIERA IN CALCESTRUZZO DI TIPO NEW JERSEY
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
0,75
In Fig. G.6.1./19 e in Tab. G.6.1./13 sono riportai le dimensioni dei principali elementi marginali della piattaforma. Il passaggio dalla sezione stradale in rettilineo (caratterizzata da una pendenza trasversale del 2,5%), a quella in curva (con pendenza massima del 7%), avviene facendo ruotare, lungo i tratti clotoidici del tracciato, la carreggiata stradale attorno al suo asse oppure al suo ciglio. Poiché in curva il franco tra i veicoli diminuisce rispetto a quello in rettifilo, in misura tanto maggiore quanto minore è il raggio della curva, allo scopo di consentire una sicura iscrizione dei veicoli in curva, le norme italiane prescrivono di allargare ciascuna corsia di una quantità (in m) data dalla relazione:
IPE 100 UNI 5398
e = K/r
GUARD-RAIL IN ACCIAIO DISTANZIATO SINGOLO
FIG. G.6.1./19 ELEMENTI MARGINALI DELLA PIATTAFORMA CARREGGIATA
BANCHINA b
ic
ELEMENTI DEL MARGINE ESTERNO cr d
≥ 0, 0,50 50 ≥
s ib
Ia
con r = raggio (in m) dell’asse della corsia e K = 45 per le strade a un’unica corsia, mentre nel caso di più corsie K = 30 o 40 a seconda se la percentuale del traffico pesante è ≤ 10% o maggiore. Se l’allargamento calcolato è inferiore a 10 cm, la norma consente di conservare la larghezza del rettifilo. TAB. G.6.1./13 DIMENSIONE DEGLI ELEMENTI MARGINALI E DI ARREDO DELLA PIATTAFORMA ELEMENTO
DENOMINAZIONE
s
striscia di delimitazione
m
bordo carreggiata
0,5 0
ic BANCHINA b
ic
cs
Ic = 8 pc
ib
Ia
pc ≥ 10 cm m BANCHINA
ELEMENTI DEL MARGINE ESTERNO cs
b
ic
Ic = 3pc
s ib
Ia 1/1
m
0,15 m
F
0,12 m
tutte
≥ 0,30 m
pendenza trasversale banchina
cr
pc ≥ 30 cm
URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN
2,5% tutte
ik
≥ 2,5%
tutte
= ic
ciglio o arginello in rilevato (valore in funzione dello spazio richiesto dal dispositivo di ritenuta)
A–B–C–D
≥ 0,75 m
E–F
≥ 0,50 m
d
raccordo
ove previsto
1,00 m
cs
ciglio in scavo
ove previsto
= cr
is
pendenza trasversale cr e cs
tutte
4%
lc
larghezza cunetta
tutte
≥ 0,80 m
pc
profondità cunetta
tutte
come in figura
b
banchina
vedere tabelle su Norme
s
CARREGGIATA
0,25 m
C–D–E
pendenza trasversale carreggiata in curva
ELEMENTI DEL MARGINE ESTERNO
DIMENSIONE
A–B
pendenza trasversale carreggiata in rettifilo
m
CARREGGIATA
STRADA
G.ANISTICA
G.6. ITÀ MOBIL
1. G.6. ITÀ MOBILORIALE TERRIT
G 71
G.6. 1.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE INFRASTRUTTURE PER IL TRASPORTO FERROVIARIO STAZIONI FERROVIARIE L’inserimento di queste strutture all’interno delle città, avvenuto generalmente nella seconda metà del XIX secolo, ha comportato, inevitabilmente, la modifica degli assetti urbanistici di centri sia grandi che piccoli. Queste modifiche sono legate sia al ruolo stesso delle stazioni ferroviarie, visti come centri attrattori e generatori di traffico, sia agli effetti di rottura sulla continuità del territorio causati dalle linee ferroviarie. Su questi vincoli ha effetto, come è logico che sia, la struttura stessa delle stazioni, che è riconducibile a due
STAZIONI FERROVIARIE DI TESTA
“tipi” principali, associabili a precise caratteristiche di esercizio ferroviario e di interfaccia con la città: stazioni di testa (quali Roma Termini, Milano Centrale, Napoli Centrale ecc.); stazioni passanti (in gran parte Bologna Centrale, nonché Bari Centrale, Verona Porta Nuova ecc.). Non mancano, però, soluzioni miste come Genova Principe o la stessa Bologna Centrale, dove i “pesi” dell’una o dell’altra soluzione sono strettamente legati alle caratteristiche funzionali e di esercizio dell’impianto previste dai loro progettisti.
FIG. G.6.1./20 RIPARTIZIONE DEI FLUSSI VIAGGIATORI IN UNA STAZIONE DI TESTA FABBRICATO VIAGGIATORI
Le stazioni di testa, la cui struttura è riportata in modo generico in Fig. G.6.1./20, sono caratterizzate da una buona accessibilità ai treni da parte dei viaggiatori. Non è necessario, infatti, fare uso di sottopassi o di sovrappassi per recarsi ai convogli. Se i percorsi pedonali cominciano a essere eccessivamente lunghi è opportuno, però, prevedere, in ogni caso, dei sotto o sovrappassi per i viaggiatori che, non dovendo uscire dalla stazione, devono usufruire di coincidenze (ogni 200-250 m circa di sviluppo di banchine). Sotto l’aspetto dell’inserimento urbano, le stazioni ferroviarie di testa presentano il vantaggio di potersi avvicinare quanto più possibile ai centri FLUSSI VIAGGIATORI PRINCIPALI storici delle città. FLUSSI VIAGGIATORI SECONDARI I piazzali e le linee ferroviarie, le strutture ausiliare, i depoFIG. G.6.1./21 RIPARTIZIONE DEI FLUSSI VIAGGIAsiti (tutti elementi che, spesso, hanno dimensioni ben più TORI IN UNA STAZIONE PASSANTE ampie della stazione stessa) sono infatti posti su un solo lato, orientati verso l’esterno dei centri urbani. Ciò permette alle stazioni di testa un inserimento di tipo “radiale”, caratterizzato da una forte penetrazione nella struttura delle città (Fig. G.6.1./22). I vantaggi delle stazioni di testa si tramutano, però, in svantaggi quando si analizza l’aspetto dell’esercizio ferroviario: è possibile svolgere le manovre su un solo lato FABBRICATO dell’impianto, e ogni treno che entra in stazione è VIAGGIATORI costretto a una manovra di inversione per uscirne. Quest’ultimo aspetto è in parte mitigato dall’uso di conFLUSSI VIAGGIATORI PRINCIPALI vogli navetta, ma i perditempo rimangono comunque, FLUSSI VIAGGIATORI SECONDARI se non altro per lo spostamento del personale. FIG. G.6.1./22 INTERAZIONE FUNZIONALE FRA IL NUCLEO URBANO E I DUE DIVERSI TIPI DI STAZIONE STAZIONE PASSANTE STAZIONE DI TESTA
STAZIONI FERROVIARIE PASSANTI Le stazioni ferroviarie passanti obbligano comunque i viaggiatori a movimenti ortogonali allo sviluppo dei binari (con l’unica eccezione dell’accesso diretto al primo binario, in adiacenza al fabbricato viaggiatori), e quindi richiedono l’uso obbligatorio di sovra o sottopassi (Fig. G.6.1./21). I problemi connessi al superamento dei dislivelli da parte di flussi pedonali vengono, in questo caso, aggravati dalla presenza dei bagagli. L’inserimento delle stazioni passanti nel tessuto urbano è intralciato dalla presenza delle linee di accesso e degli impianti ausiliari su entrambi i lati. Per questo motivo le stazioni passanti si sono trovate, storicamente, a essere sempre poste in posizioni relativamente periferiche, anche se poi, nel corso degli anni, le loro forti capacità di attrazione e generazione di traffico hanno portato a mutazioni dell’assetto urbano, con avvicinamenti dei baricentri delle città alle loro stazioni. Rimane comunque l’aspetto “tangenziale” per quanto riguarda l’inserimento di questi impianti nel tessuto cittadino (Fig. G.6.1./22). Ovviamente, le stazioni passanti sono avvantaggiate rispetto a quelle di testa per quanto riguarda l’esercizio ferroviario. L’inversione di marcia dei convogli non è più obbligatoria, e le manovre possono essere svolte su entrambi i lati dell’impianto.
CRITERI DI SCELTA In linea di massima, laddove la stazione sia interessata da un traffico di transito per la maggior parte dei treni, è bene impiegare la soluzione passante, così come è stato fatto, per esempio, a Bologna. In ogni caso, la progettazione di una stazione è sempre strettamente legata all’organizzazione e alla pianificazione dell’esercizio che vi verrà svolto. Un grande impianto di questo tipo non è costituito solo dal fabbricato viaggiatori e dal piazzale di
sosta dei treni: vi sono anche strutture esterne, essenziali per assicurare la funzionalità di tutto l’insieme. Tali strutture possono essere, per esempio i piazzali per il deposito e la pulizia delle carrozze o i depositi delle locomotive. Ad esempio, il funzionamento della stazione di Roma Termini è fortemente condizionato, in negativo, dalla distanza eccessiva dal piazzale di deposito e pulizia delle carrozze, posto a circa 3 km dalla stazione vera e propria.
TRACCIATO DI UNA LINEA FERROVIARIA PENDENZE In ferrovia la pendenza viene indicata, come nel campo stradale, per mezzo della tangente trigonometrica dell’angolo esistente, nel piano verticale, fra la tangente all’asse della via e il piano orizzontale (vedi Fig. G.6.1./23). Tale valore viene espresso in millesimi in campo ferroviario. Si definisce livelletta un tratto di linea a pendenza costante; coerentemente a quanto appena detto, la pendenza di una livelletta può essere definita come il rapporto fra la differenza delle quote dei suoi punti iniziale e finale e la lunghezza della sua proiezione sul piano orizzontale. Il valore massimo teorico di pendenza di una livelletta coincide con quello per il quale è ancora possibile tenere frenata una locomotiva (circa il 140‰). Questo valore, però, non è utilizzabile nella pratica, sia perché non presenta margini utili di sicurezza, sia perché non permette nessuno sforzo di trazione aggiuntivo alla locomotiva. In pratica, non si supera mai il valore del 35‰, valore massimo riscontrabile sulla rete FS. Per linee secondarie, dove potevano essere accettate basse velocità e condizioni di esercizio modeste, si è ricorso, in passato, in presenza di condizioni altimetriche sfavorevoli, alla costruzione di ferrovie a dentiera (impropriamente chiamate anche cremagliere) dove gli sforzi di trazione e frenatura venivano esercitati da ruote
G 72
RAGGI DI CURVATURA PLANIMETRICI dentate ingranate su rotaie a denti, montate al centro del binario fra le due rotaie ordinarie. Un’applicazione di questo sistema in Italia era costituita dalla vecchia linea ferroviaria Paola-Cosenza, ora chiusa all’esercizio e sostituita da una nuova linea, di tipo ordinario. Sulla PaolaCosenza le pendenze raggiungevano il valore del 75 ‰.
FIG. G.6.1./23 PENDENZA DELLA LINEA = TG (espresso in %)
PROFILO DELLA LINEA IN PENDENZA
a
PIANO ORIZZONTALE
α
La presenza di una curva ha, come conseguenza, l’aumento delle forze di resistenza al moto. In campo ferroviario è prassi associare a ciascuna curva una pendenza fittizia, di valore equivalente a quelle che richiederebbe lo stesso incremento di sforzo di trazione, da aggiungere a quella reale per il calcolo dello sforzo complessivo. I valori di pendenza fittizia equivalente sono espressi nella Tab. G.6.1./12. Il limite di velocità da associarsi a una curva è funzione del suo raggio, ed è dato dalla formula: Vmax = c R dove R è il raggio di curvatura in metri, Vmax la velocità massima in km/h e c un coefficiente (coefficiente di esercizio) che dipende dalla composizione del treno. Il coefficiente di esercizio assume i valori di 4,619 per i treni a composizione ordinaria e di 4,892 per le elettromotrici e gli elettrotreni. La formula è legata a diversi fattori: comfort dei passeggeri, scartamento, pendenza trasversale della linea. In pratica, il raggio di curvatura non scende mai al di sotto del valore di 1200 m per le linee principali. Per le linee ad alta velocità i raggi di curvatura minimi salgono a valori molto più alti (rispettivamente 5450 m, 3700 m e 2200 m rispettivamente per linee con velocità di progetto di 300 km/h, 250 km/h e 200 km/h). Su linee secondarie tali valori invece scendono di molto, e si arriva fino al valore minimo ammesso dalle FS, pari a 150 m.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE
G.6. 1. A.ZIONI
RACCORDI PLANIMETRICI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. G.6.1./24 SEZIONE TIPO “A”, A SEMPLICE BINARIO, IN RETTIFILO
Così come in campo stradale si usa generalmente la clotoide, in ferrovia viene preferita la parabola cubica come curva di raccordo fra elementi del tracciato aventi diverso raggio di curvatura. La funzione che definisce la curva di raccordo parabolica è la seguente:
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA 1,00
1,435
1,00
C.RCIZIO
y = x3 / 6LR dove R è il raggio di curvatura finale ed L la proiezione della curva sull’asse delle ascisse.
4 3/
BINARIO – NOMENCLATURA E SEZIONI TIPO
Per le linee ordinarie sono previste due diverse sezioni tipo, la A e la B. La prima (Figg. G.6.1./24-25-26-27), utilizzata per le linee principali, si contraddistingue per uno spessore minimo della massicciata pari a 0,50 m. La seconda (Fig. G.6.1./28) si contraddistingue per uno spessore minimo pari a 0,35 m. Tale spessore viene mantenuto anche in curva, dove, per effetto del sovralzo della rotaia esterna, il corpo della massicciata non ha più forma trapezoidale (Figg. G.6.1./25-27). Il valore dell’interasse tra i binari è di 3,50 m sulle linee principali a doppio binario; su linee ad alta velocità l’interasse cresce fino al valore di 5,00 m per le linee progettate per velocità fino a 300 km/h (Fig. G.6.1./29). In galleria si hanno sezioni come quelle riportate nelle Figg. G.6.1./30-31.
3,5% 3,5 0,50
0,60
2/3
La coppia di rotaie costituisce il binario. Il binario è tenuto insieme dalle traverse (in legno di rovere trattato, ma anche di cerro, faggio, oppure in cemento armato precompresso), che hanno anche la funzione di mantenere costante la distanza fra le rotaie; l’insieme delle traverse e del binario prende il nome di armamento. L’armamento poggia su una base di pietrisco detta massicciata. A sua volta, la massicciata è appoggiata sul corpo stradale. Il piano inferiore del corpo stradale prende il nome di sede stradale, mentre quello superiore di piattaforma stradale. Per il resto si hanno sezioni in rilevato e in trincea, con nomenclature molto simili al caso stradale. La distanza fra i bordi interni delle rotaie prende il nome di scartamento. È di impiego quasi universale il cosiddetto scartamento normale, di valore pari a 1435 mm in rettilineo. Tale valore ha però alcune eccezioni: per esempio le ferrovie spagnole e portoghesi hanno adottato il valore di 1676 mm, mentre quelle russe quello di 1524 mm. Queste scelte sono state dettate nel XIX secolo da ragioni di origine militare: si voleva, infatti, evitare l’impiego delle ferrovie da parte di invasori stranieri.
3,5% 3,5
0,50
4,90 90
E ESE ESSIONAL PROF
3/ 4
0,60
D.GETTAZIONE
2/3
PRO TTURALE STRU
6,10 10
FIG. G.6.1./25 SEZIONE TIPO “A”, A SEMPLICE BINARIO, IN CURVA 1,435 ÷1,465
1,00
4 3/
CO NTALE AMBIE
1,00
0,50
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
3/ 4
3,5% 3,5
3,5% 3,5
≥0,60 0,60
2/3
E.NTROLLO
≥0,60 0,60
a
U
2/3
G.ANISTICA
V
URB
FIG. G.6.1./26 SEZIONE TIPO “A”, A DOPPIO BINARIO, IN RETTIFILO
1,00
4 3/
2/3
1,435
2,12
1,435
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
1,00
G.2. À URBANA REALT
3/
4
3,5% 3,5 0,50
0,60
0,60
8,64
2/3
9,84
LI G.4. E E VINCO NORM
FIG. G.6.1./27 SEZIONE TIPO “A”, A DOPPIO BINARIO, IN CURVA
1,00
4 3/
2,12
1,435 ÷1,465
1,435 ÷1,465
0,50
3,5% 3,5
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN
1,00
G.6. ITÀ MOBIL
3/ 4
0,50
3,5% 3,5
≥ 0,60
2/3
G.3. À REALT ORIALE TERRIT
≥ 0,60 U
2/3
V Z
TAB. G.6.1./14 VALORI DELLA PENDENZA FITTIZIA Raggio della curva (m)
1000
800
700
600
500
450
Pendenza equivalente (%)
0,5
0,8
1,0
1,2
1,5
1,7
Raggio della curva (m)
400
350
300
250
200
180
Pendenza equivalente (%)
2,0
2,4
2,8
3,4
4,2
4,5
FIG. G.6.1./28 SEZIONE TIPO “B”, A SEMPLICE BINARIO, IN RETTIFILO
1,00
1,435
1,00
4 3/ 3,5% 3,5
0,50 2/3
3,5% 3,5 0,35
0,35 4,50 5,50
3/
4
0,50
2/3
1. G.6. ITÀ MOBILORIALE TERRIT
G 73
G.6. 1.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE ➦ INFRASTRUTTURE PER IL TRASPORTO FERROVIARIO FIG. G.6.1./29 SEZIONE TIPO PER LINEA AD ALTA VELOCITÀ P.F. + +8,40 8,40
PIANO TEORICO DI CONTATTO
P.F. + +6,90 6,90
P.F. + +5,30 5,30
VARIABILE
VARIABILE
13,60 6,80
RECINZIONE METALLICA H = 1,30 passo montanti 2,50 P.F. --0,91 0,91
p =3%
0,40
2,50
1,87
P.F. --0,70 0,70
4/
3
0,35
TERRENO VEGETALE SPESSORE 30 cm
0,50 = = 0,50
Pista di servizio p ≅1%
3/2
5,00
SENTIERO PEDONALE
SENTIERO PEDONALE
0,50 = = 0,50
0,50 3,00
Pista di servizio p ≅1%
0,40 min.
0,30
2,50
0,40 min.
P.C.
5/3
RECINZIONE METALLICA H = 1,30 passo montanti 2,50
3/2
5,00 3,00
4,30 0,41
P.F.
TERRENO VEGETALE SPESSORE 30 cm 0,50
5,00
4,30 2,40 1,78 1,15 0,72
0,30
POSIZIONE CUNICOLO PORTACAVI IN CORRISPONDENZA DEL PALO T.E.
6,80
5/3
P.C.
TERRENO VEGETALE SP. 30 cm PAVIMENTAZIONE IN CORRISPONDENZA DEI MANUFATTI IDRAULICI MANUFATTO SCATOLARE 5x4 5 4m FASCIA INTERCLUSA
A) 10 cm (strato di base) + 3 cm (usura) nel primo caso
spessore 0,03+0,10 0,03 0,10
1,00 VARIABILE 1,00
spessore 0,03 0,10+ 0,20 0,03+0,10 p=
P.C.
SCOTICO 50 cm RIEMPIMENTO CON TERRE A1; A2-4, (A1 in caso di presenza d'acqua). Md > 200 da N N/ cmq DENSITÀ > 95% DENSIT 95 AASHTO Mod.
stabilizzato a legante naturale
1,00 VARIABILE 1,00
0,30 0,30
12 %
MANUFATTO SCATOLARE
B) 20 cm (stabilizzato) nel secondo caso
÷5 p=4
10 ÷
MATERIALE DA RILEVATO CON TERRE A1; A2-4. Md > 400 daN/cmq DENSITÀ > 95% AASHTO DENSIT
0,30
0,20
%
p=4
0,30
÷5 %
P.C.
0,40 min. MANUFATTO SCATOLARE
0,40 min.
SCHEMA PAVIMENTAZIONE PAVIMENTAZIONE IN CORRISPONDENZA RAMPE CON p ≅ 10/12 10/12% MANTO BITUMATO DI USURA spess. 3 cm
3/2
MISTO GRANULARE STABILIZZATO A LEGANTE NATURALE spess. 30 cm
G 74
6,00
6,00
VARIABILE IN FUNZIONE DELLA PENDENZA DELLA LINEA A.V.
VARIABILE
P.C.
1,50
4/5% PAVIMENTAZIONE CORRENTE E PER RAMPE CON p ≅ 4/5
OVIARIA FORMA FERR CIGLIO PIATTA
5,00
MISTO GRANULARE STABILIZZATO A LEGANTE NATURALE spess. 20 cm
PROFILO SCHEMATICO BANCA INTERMEDIA
1,50
STRATO DI BASE IN CONGLOMERATO BITUMINOSO spess. 10 cm
PROFILO BANCA
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE
G.6. 1. A.ZIONI
FIG. G.6.1./30 SEZIONE DI GALLERIA FERROVIARIA A SEMPLICE BINARIO
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. G.6.1./32 SAGOMA LIMITE DELLE FERROVIE DELLO STATO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA 0,20 (max)
E ESE ESSIONAL PROF
2,75
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
2,75
3,80
3,25
CO NTALE AMBIE ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
1,10
FIG. G.6.1./31 SEZIONE DI GALLERIA FERROVIARIA A DOPPIO BINARIO
E.NTROLLO F. TERIALI,
0,50
0,50
3,10
0,90
L = 1,70 se R > 1500 m 2,00 se R ≤1500 1500 m
4,30
6,30
3,20
2,00
5,00
3%
C.RCIZIO
1,10
3,50
IMPOSTA DELLA CALOTTA
0,80 0,60
2,25
5,60
9,00
SOVRALZO DELLA ROTAIA ESTERNA
6,40
In curva la rotaia esterna ha un sovralzo, rispetto a quella interna, di valore fino a 16 cm. Tale sovralzo serve a creare una componente dell’accelerazione di gravità parallela al piano del binario, orientata verso l’interno della curva, a parziale compenso della componente dell’accelerazione centrifuga orientata in verso opposto. Ciò viene fatto sia per ridurre al minimo le sollecitazioni impresse all’armamento, sia per aumentare il comfort dei viaggiatori. Si ammette, in ogni caso, che una parte della accelerazione centrifuga sia non compensata, come ragionevole compromesso derivante dall’esigenza di circolazione di treni a velocità inferiori rispetto a quella di progetto. Il sovralzo h può essere calcolato mediante la formula:
IMPOSTA DELLA CALOTTA
3,00
h = (V 2 / R – a nc) d / g
0,50
dove a nc è l’accelerazione non compensata, v la velocità in m/sec, d la distanza tra i punti di appoggio dei due cerchioni (per lo scartamento di 1435 mm si può porre d = 1,5 m) e g l’accelerazione di gravità.
0,50
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
8,16
SCAMBI In Fig. G.6.1./33 viene rappresentato uno scambio semplice, con la sua nomenclatura. Si noti la discontinuità delle rotaie presente nel cuore: è ovvio come tale discontinuità porti a delle riduzioni di velocità in corrispondenza degli scambi, specialmente per i convogli che li percorrono sui loro rami curvi. A questi, infatti, deve aggiungersi il limite dovuto alla mancanza del sovralzo (impossibile da realizzarsi, visto che in corrispondenza del cuore le due rotaie si devono intersecare alla stessa quota), e quindi alla totale mancanza di compensazione della forza centrifuga.
FIG. G.6.1./33 NOMENCLATURA DI UNO SCAMBIO
AGO SINISTRO CONTRAGO SINISTRO
CONTROROTAIA SINISTRA TALLONE - CERNIERA CUORE
PUNTA
TELAIO DEGLI AGHI
CONTRAGO DESTRO AGO DESTRO CONTROROTAIA DESTRA
1. G.6. ITÀ MOBILORIALE TERRIT
G 75
G.6. 1.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE PIANIFICAZIONE PORTUALE NORMATIVE
TAB. G.6.1./15 CLASSIFICAZIONI E DEFINIZIONI
Il Piano Regolatore Portuale è lo strumento principale che definisce la fisionomia e l’assetto di un porto marittimo. È disciplinato da normative e regolamenti che ne delineano la natura e i contenuti in relazione alle caratteristiche strutturali e funzionali del nodo portuale (porti di rilevanza nazionale e internazionale, porti di interesse interregionale, porti e approdi turistici).
CLASSIFICAZIONI
Legge 28 gennaio 1994, n.84. Riordino della legislazione in materia portuale La legge 84/1994 ha ridisegnato il quadro normativo della pianificazione portuale che risaliva al Testo Unico sui porti del regio decreto 2 aprile 1885, n.3095. Le innovazioni di maggior rilievo per l’urbanistica portuale hanno riguardato: 1. l’istituzione nei porti maggiori (volume di traffico merci non inferiore a 3.000.000 di tonnellate annue al netto delle rinfuse liquide o a 200.000 TEU – Twenty Feet Equivalent Unit) dell’Autorità Portuale (art.6) cui spettano i compiti della amministrazione, della programmazione e dello sviluppo delle aree portuali comprese nel territorio di propria competenza. L’Autorità Portuale si presenta come un organismo orizzontale in cui le Amministrazioni, centrali e periferiche, dello Stato (Capitaneria di Porto, Ministero delle finanze, Ministero dei lavori pubblici, Regione, Provincia e Comune) insieme agli operatori economici del porto concertano le azioni per il governo e lo sviluppo del Porto. 2. la nuova concezione del Piano Regolatore del Porto (art.5) che da configurazione, autonoma e settoriale, di opere marittime (anche per questa ragione era definito “Piano di Opere”), ha conquistato una dimensione operativa e concettuale più ampia divenendo un vero strumento di painificazione che definisce l’assetto complessivo del porto, le sue interconnessioni infrastrutturali e la destinazione d’uso delle sue aree funzionali. 3. la promozione di una maggiore integrazione istituzionale tra la pianificazione portuale e la pianificazione urbanistica che, nell’“Intesa” (art.5, c.3) tra Autorità portuale e Comune, dovrebbero coordinare i rispettivi programmi di sviluppo territoriale.
DPR 2 dicembre 1997, n.509. Disciplina per l’approvazione di strutture dedicate alla nautica da diporto Tale normativa, detta anche decreto “Burlando”, ha introdotto procedure di delegificazione amministrativa e di snellimento burocratico anche in tema di strutture
diportistiche (porto turistico, approdo turistico e punti di ormeggio). In particolare, l’approvazione dei progetti finalizzati alla realizzazione di complessi dedicati alla nautica da diporto è demandata a una Conferenza dei Servizi (legge 7 agosto 1990, n.241) che riunisce intorno allo stesso tavolo decisionale tutte le figure istituzionali cui compete l’approvazione di tali progetti.
Legge 16 marzo 2001, n.88. Nuove disposizioni in materia di investimenti nelle imprese marittime La legge ha modificato l’art.105 del DLgs n.112/1998 trasferendo alle Regioni l’esercizio delle funzioni amministrative afferenti il rilascio di concessioni di beni del demanio marittimo ricadenti nei porti di rilevanza economica regionale e interregionale (cat. II, III classe). Per effetto della stessa legge, le Regioni hanno acquisito, dal 1° gennaio 2002, le medesime competenze dell’Autorità Marittima (artt.15 e 16, Codice della Navigazione) che svolge i ruoli dell’Autorità portuale nei porti in cui questa non è istituita (porti di II cat., III classe).
DPCM 27 dicembre 1988 e successive modifiche e integrazioni. Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità Il Piano Regolatore dei porti di categoria II, classe I II III, è sottoposto alla procedura per la Valutazione dell’Impatto Ambientale (art.5, c.4, legge 84/1994). Tale passaggio normativo ha introdotto non pochi elementi di incertezza nella implementazione della legge 84/1994. La VIA è, infatti, un procedimento valutativo che si adatta bene a progetti di opere più che a programmi e piani urbanistici (art.1 – DPCM 10 agosto 1988, n.377 – Allegato III). L’applicazione a livello nazionale dei principi e dei metodi della Valutazione Ambientale Strategica (VAS – Direttiva 2001/42/CE) al caso del Piano Regolatore del Porto, può permettere di superare gli attuali limiti operativi causati dalla norma.
I porti marittimi nazionali nella legge 84/1994 (art.4) sono ripartiti in categorie e classi: CATEGORIA I Porti o specifiche aree portuali per la difesa militare e la sicurezza dello Stato; CATEGORIA II, CLASSE I Porti, o specifiche aree portuali, di rilevanza economica internazionale; CATEGORIA II, CLASSE II Porti, o specifiche aree portuali, di rilevanza economica nazionale; CATEGORIA II, CLASSE III Porti, o specifiche aree portuali, di rilevanza economica regionale e interregionale; I porti di cui alla cat. II, classe II e III, hanno le seguenti funzioni: a) militare; d) di servizio passeggeri; b) commerciale; e) peschereccia; c) industriale e petrolifera; f) turistica e da diporto.
DEFINIZIONI Ambito portuale L’ambito portuale viene identificato nella fase di redazione del Piano Regolatore del Porto e rappresenta l’area di giurisdizione dell’Autorità Portuale e di efficacia del Piano portuale. Porto militare Porto o parte di complesso portuale riservato al naviglio da guerra e munito di opere militari di difesa, di officine di riparazione, di depositi, di mezzi e materiali bellici. Porto commerciale Porto o parte di complesso portuale riservato al naviglio mercantile e attrezzato per le operazioni commerciali (carico/scarico, trasbordo ecc.) di merci varie. Porto industriale Porto o parte di complesso portuale riservato per l’uso industriale, con banchine direttamente collegate agli stabilimenti (portuali o retroportuali) destinati alla trasformazione industriale. Porto di servizio passeggeri porto o parte di complesso portuale destinato alle navi che trasportano passeggeri. Porto peschereccio Porto o parte di complesso portuale riservato alle imbarcazioni per la pesca e attrezzato per le operazioni commerciali (carico/scarico, deposito ecc.) che afferiscono a tale attività.
STRUMENTI L’attività di pianificazione portuale è essenzialmente demandata agli strumenti del Piano Regolatore Portuale (PRP) e del Piano Operativo Triennale delle Opere Marittime (POT). PIANO REGOLATORE PORTUALE (PRP) Il Piano Regolatore portuale è il nucleo principale che regola l’oggetto dell’attività di pianificazione portuale. Il PRP interessa solo i porti della II categoria ed esclude quelli di I categoria e quelli destinati alla nautica da diporto. Tre i suoi obiettivi principali: 1. delimitare l’ambito portuale; 2. disegnare l’assetto del porto occupandosi anche di quelle aree non incluse nel demanio portuale, ma funzionalmente connesse al porto e alle sue attività (infrastrutture, zone industriali retroportuali ecc.) 3. individuare le caratteristiche e la destinazione funzionale dei settori di cui il porto si compone (settore commerciale, industriale, peschereccio ecc.).
G 76
PIANO OPERATIVO TRIENNALE (POT) Il Piano Operativo Triennale (art.9 c.3, legge 84/1994) rappresenta lo strumento di attuazione temporale degli indirizzi di pianificazione contenuti nel Piano portuale. È approvato dal Comitato Portuale su proposta del Presidente dell’Autorità Portuale. Il POT tende a configurarsi come un vero e proprio strumento di programmazione economica poliennale poiché nel triennio di sua validità definisce: 1. le iniziative di tipo organizzativo, promozionale e di innovazione tecnologica che saranno promosse dall’Autorità portuale; 2. le strategie di sviluppo delle attività portuali e gli interventi coerenti con gli obiettivi prefissati dal Piano portuale; 3. i progetti e/o i programmi infrastrutturali di interconnessione urbana e territoriale.
Porto turistico Complesso di strutture amovibili e inamovibili realizzate con opere a terra e a mare allo scopo di servire la nautica da diporto e il diportista nautico. Approdo turistico Porzione di un porto polifunzionale avente le funzioni di cui all’art.4 c.3 della legge 84/1994 destinata a servire la nautica da diporto e il diportista nautico. Punto d’ormeggio Area demaniale marittima o specchio d’acqua dotato di strutture che non comportino impianti di difficile rimozione, destinata all’ormeggio, alaggio, varo e rimessaggio di piccole imbarcazioni e natanti da diporto.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE
G.6. 1. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
TAB. G.6.1./16 COMPETENZE E PROCEDURE DI ATTUAZIONE PIANO PORTUALE NEI PORTI DI II CATEGORIA I E II CLASSE Organi competenti
1
ELABORAZIONE
Segretario Generale/Segreteria Operativa* invio al Comune/i per l’INTESA
2
ADOZIONE
Comitato Portuale **
3
PARERI CONSULTIVI
Fasi 1
ELABORAZIONE
Tutti i soggetti interessati (pubblici e/o privati) e invio al Capo del Compartimento per la pubblicazione e la comunicazione al Comune
2
CONFERENZA DI SERVIZI
Regione, Comune, Autorità Marittima, ufficio del Genio Civile OOMM, Circoscrizione Doganale, Ministero delle Finanze, e altri
Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici
4
PROCEDURA VIA
Ministero dell'Ambiente
5
APPROVAZIONE
Regione
3
4
*
Nei porti dove non è istituita l’Autorità Portuale il PRP è elaborato dall’Azienda Camerale se è costituita (art.14 legge 84/1994) altrimenti dovrebbe competere agli uffici del Genio Civile OOMM su iniziativa dell’Autorità Marittima. ** Nei porti dove non è istituita l’Autorità Portuale il PRP è adottato dall’Autorità Marittima.
I ED PRE NISM ORGA
Organi competenti
APPROVAZIONE **
Fasi
B.STAZIONI DILEGIZLII
PIANO PORTUALE NEI PORTI TURISTICI
ACCORDO DI PROGRAMMA
Tutti i soggetti di cui alla fase 2 e in aggiunta il Ministero LLPP e l’Autorità competente per la compatibilità ambientale
D.GETTAZIONE E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
se in difformità rispetto ai vigenti strumenti di pianificazione
ATTUAZIONE
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
CONFERENZA DI SERVIZI se in conformità ai vigenti strumenti di pianificazione
C.RCIZIO
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
Autorità competente al rilascio della concessione demaniale marittima
*
La Conferenza di Servizi esamina il progetto preliminare, le osservazioni e gli eventuali progetti concorrenti (art.4 legge 509/1997) ** L’approvazione riguarda il progetto definitivo di cui all’art.16, c.3 della legge 109/1994.
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
CRITERI METODOLOGICI PER LA REDAZIONE DEL PIANO PORTUALE G.2. À URBANA REALT
AMBITI DELLA PIANIFICAZIONE PORTUALE
LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
TERRITORIO
CITTÀ CITT
Tale prospettiva permettere di leggere in nodo portuale come articolazione spaziale e funzionale di due principali famiglie di spazi (Fig. G.6.1./34): 1. gli ambiti tecnici e operativi del porto; 2. gli ambiti di relazione. Il primo gruppo mette insieme quegli spazi costitutivi della macchina portuale, quei luoghi in cui si esplicita maggiormente la natura tecnica del porto. Tra gli altri, i terminal relais, per container, gli scali carboniferi, petroliferi, per granaglie e rifuse. Questi ambiti, come nodi interni al porto richiedono elevati livelli di servizio e di specializzazione, autonomia funzionale e gestionale e rivendicano la loro incompatibilità con i tessuti urbani circostanti. Il Piano portuale non può non riconoscere le necessità, la rapidità e la flessibilità delle trasformazioni indotte da questi tipi di spazi. Gli ambiti di relazione porto-città-territorio possono essere ricondotti sinteticamente a quattro categorie di spazi:
G.3. À REALT ORIALE TERRIT
FIG. G.6.1./34 AMBITI DELLA PIANIFICAZIONE PORTUALE: SCHEMA DI ORGANIZZAZIONE LINEA DI COSTA
La legge 84/1994 se, da un lato, ha inaugurato un nuovo corso culturale in cui il Piano Regolatore del Porto tende a coordinarsi maggiormente con gli altri strumenti urbanistici, dall’altro non ha fornito alcuna indicazione circa gli indirizzi e le metodologie da seguire per la formazione del nuovo Piano portuale. Tale carenza ha rappresentato un forte ostacolo all’avvio del nuovo corso legislativo. Le note che seguono, necessariamente sintetiche e provvisorie, cercano di individuare un possibile percorso concettuale e di primo orientamento per la redazione del Piano portuale tenendo conto dei differenti punti di vista degli Enti locali, delle Autorità portuali, delle Amministrazioni centrali. I criteri qui proposti sviluppano, in particolare, le ricerche prodotte dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici in occasione delle “Linee Guida per la redazione dei Piani Regolatori portuali”. Il porto contemporaneo tende sempre più a configurarsi come terminale costruito e punto di interscambio di reti territoriali differenti (reti tecniche e infrastrutturali, insediative, ambientali, sociali), come nodo complesso che si articola al suo interno (in settori e funzioni) e si correla differentemente ad altri nodi territoriali (la città, lo scalo ferroviario, l’aeroporto, l’interporto ecc.). In tale ipotesi assumono importanza gli spazi di interconnessione che legano il nodo portuale alle altre reti e agli altri nodi infrastrutturali. Questa interpretazione cerca di cogliere la duplice identità del porto contemporaneo: macchina efficiente, che esige autonomia in alcuni suoi settori, ma anche, grande attrezzatura urbana, che vive di organiche interrelazioni con il conteso in cui si inserisce.
PORTO
Ambito mbito tecnicoecnico-operativo perativo Ambiti mbiti dii relazione elazione Innesti nnesti urbani rbani Sovrapposizione citt ittà-porto orto Connessione onnessione infrastrutturale Correlazioni orrelazioni ambientali-naturali
1. 2. 3. 4.
gli innesti urbani; le sovrapposizione città-porto; le connessioni infrastrutturali; le correlazioni ambientali-naturali.
➥
1. G.6. ITÀ MOBILORIALE TERRIT
G 77
G.6. 1.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE ➦ CRITERI METODOLOGICI PER LA REDAZIONE DEL PIANO PORTUALE ➦ AMBITI DELLA PIANIFICAZIONE PORTUALE Gli innesti urbani sono aree di tramite tra il porto e la città storica consolidata che, per le caratteristiche strutturali e per le dimensioni spaziali, rappresentano contenute ricuciture tra i tessuti storicizzati della città e quei settori portuali (turistico, passeggeri, peschereccio) che conservano ancora una forte connotazione urbana. Dal punto di vista spaziale, gli innesti, tendono a configurarsi come luoghi d’intersezione e linee ortogonali all’arco portuale, le cui potenzialità progettuali risiedono nella possibilità di condurre alcuni elementi della struttura urbana (piazze, corsi cittadini, parchi ecc.) ad avanzare, ad affacciarsi, ed eventualmente a conquistare lo spazio del porto. Gli spazi-sovrapposizione città-porto sono rappresentati da quegli ambiti, molto spesso collocati nello spazio recintato del porto o nella sua zona di frontiera, che si rendono contemporaneamente disponibili a una doppia funzionalità: di servizio alle attività portuali e di concentrazione di funzioni prettamente urbane. Per spazi-sovrapposizione dovranno intendersi quei punti nodali in cui i sistemi di relazione originati dai territori contrapposti della città e del mare, possono verticalmente integrarsi e interconnettersi. I contenuti degli scambi che possono compiersi all’interno di questi ambiti sono molteplici: i flussi e i terminali dei servizi dei settori marittimo passeggeri, aeroportuali, ferroviari e metropolitani, quelli inerenti il trasporto pubblico urbano, possono convivere con le attività urbane di tipo direzionale, culturale, ricreativo e rappresentativo. Gli spazi della connessione infrastrutturale rappresentano i corridoi associati alla mobilità (ferroviaria, autostradale, stradale ecc.) che, ancorati ai grandi assi di collegamento extra-locale, penetrano nello spazio del porto per garantire le sue connessioni con gli altri nodi infrastrutturali. All’interno dei corridoi infrastrutturali si sviluppano una pluralità di interazioni con i sistemi insediativi, produttivi e ambientali locali. Per il Piano assumere la centralità problematica di tali spazi significa, da un lato garantirne l’efficienza tecnica, dall’altro progettarne gli scambi e le interazioni con i territori attraversati. Le correlazioni ambientali-naturali pongono al centro della descrizione e del progetto di Piano le forme dei rapporti che ogni scalo portuale stabilisce con il suo sito, con la sua identità naturale. Il porto, collocato sulla frontiera tra terra e mare, condensa l’esperienza del tramite fra gli elementi dell’acqua della terra e dell’area. L’interconnessione di questi elementi con gli spazi e le attività portuali offre la possibilità di far affiorare puntualmente la continuità strutturale tra i differenti fatti naturali.
FIG. G.6.1./35 PORTO DELLA CITTÀ DI TRIESTE
LIVELLI DELLA PIANIFICAZIONE PORTUALE Il Piano Regolatore Portuale deve identificare il porto tecnico-operativo e le aree di relazione e definire per essi strategie di sviluppo e progetti mirati. L’ipotesi sulla quale lavorare consiste nell’articolare il processo di pianificazione portuale in un duplice livello: 1. strutturale; 2. attuativo. Al livello strutturale opera il Piano Regolatore portuale (PRP). La definizione di strutturale fa riferimento a numerose leggi urbanistiche regionali che configurano il livello strutturale del Piano come documento strategico di sviluppo, quadro di coerenza degli interventi prioritari e griglia di riferimento per la definizione delle normative tecniche e dei criteri per le valutazioni (economiche, ambientali ecc.) dei progetti e dei programmi della fase attuativa. Il Piano portuale strutturale, come già rilevato, riconosce al suo interno: 1. gli ambiti tecnici e operativi del porto; 2. gli ambiti di relazione. Il porto tecnico-operativo contiene le aree legate alle funzioni portuali primarie a cui riconoscere identità e autonomia. Per queste aree il PRP strutturale individua l’assetto planimetrico, le destinazioni funzionali, e i criteri tecnici, economici, sociali, ambientali
e di flessibilità cui devono rispondere gli interventi attuativi. In questa prospettiva, e soltanto per questo ambito, il PRP strutturale diviene direttamente esecutivo anticipando la fase attuativa del Piano Operativo Triennale (POT). Gli ambiti di relazione identificano le differenti categorie di spazi degli innesti urbani, delle sovrapposizione città-porto, delle connessioni infrastrutturali e delle correlazioni ambientali-naturali. Il Piano procede alla loro perimetrazione e alla individuazione dei criteri morfologici, procedurali, di valutazione e di flessibità che orienteranno le successive fasi di attuazione degli interventi. In particolare, per l’ambito di sovrapposizione porto/città si possono prevedere dei Programmi Integrati concertati tra pubblico/privato (Accordo di Programma, Società di Trasformazione Urbana, Project Financing ecc.). Al livello attuativo opera il POT (Piano Operativo Triennale) cui compete l’implementazione degli interventi, attraverso normative e criteri maggiormente dettagliati rispetto a quelli definiti nel livello strutturale. In particolare al POT compete di: 1. specificare funzioni all’interno del campo di variabilità già definito dal PRP; 2. introdurre variazioni nell’assetto planimetrico del porto che non ne incidano la struttura; 3. individuare gli interventi da attuare nell’arco temporale di sua validità in coerenza con il livello strutturale.
ELABORATI-TIPO DEL PIANO PORTUALE Il Piano portuale si articola in una serie di elaborati distinti in: 1. elaborati preliminari di analisi e inquadramento; 2. elaborati propedeutici (grafici di documentazione, studi di settore); 3. elaborati progettuali grafici; 4. elaborati normativi; 5. relazione tecnica generale. Gli elaborati preliminari di analisi e inquadramento servono a illustrare lo stato fisicogiuridico ed economico-sociale del contesto portuale. Schematicamente gli elaborati contengono: 1. analisi storico-geografica della città portuale; 2. analisi della struttura urbana esistente in cui si evidenziare il campo delle relazioni (formali e funzionali) tra il porto, la città e il territorio; 3. analisi delle aree funzionali interne al nodo portuale, individuando per ogni attività: lo stato di fatto delle aree e delle opere realizzate, i flussi di traffico che a esse fanno capo, le relazioni con la mobilità urbana e territoriale; 4. analisi degli scenari di traffico marittimo sia nazionale sia internazionale; 5. analisi degli aspetti fisico-ambientali, dinamica costiera, idrografia e idrologia, aspetti meteomarini, geologici e geotecnici; 6. analisi della pianificazione urbanistica locale e di quella sovraordinata; 7. stato di attuazione del Piano portuale vigente; 8. indirizzi normativi e visualizzazioni preliminari per la redazione del Piano.
G 78
FIG. G.6.1./36 PRP DEL PORTO DI GENOVA: SCHEMA DELLE RELAZIONI PORTO-CITTÀ
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE
G.6. 1. A.ZIONI
Gli elaborati propedeutici accompagnano la redazione del Piano e ne esplicitano alcuni contenuti: 1. studi di Impatto Ambientale (VIA) o di Valutazione Ambientale Strategica (VAS); 2. studio meteomarino; 3. previsione sulla evoluzione dei traffici marittimi; 4. analisi sugli effetti indotti dalle nuove opere sul sistema costiero contiguo al porto; 5. studi di simulazione sull’agitazione ondosa all’interno del porto; 6. studio geologico e geotecnico; 7. iconografica storica; 8. stralci planimetrici delle pianificazioni generali e di settore;
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. G.6.1./37 PRP DEL PORTO DI GENOVA: ZONIZZAZIONE PER FUNZIONI PRINCIPALI
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
L’elenco prevede integrazioni che adeguano gli elaborati allo specifico contesto portuale.
D.GETTAZIONE
Gli elaborati progettuali grafici (con rappresentazioni in scala 1/25.000, 1/10.000, 1/5.000) comprendono: 1. le planimetrie di Piano che prevedono: la delimitazione dell’ambito portuale; l’individuazione delle categorie di spazi del porto tecnico-operativo e degli ambiti di relazione; l’individuazione delle destinazioni d’uso degli spazi portuali; l’individuazione delle connessioni infrastrutturali (esistenti e programmate) in coerenza con i progetti di Piano e con le azioni infrastrutturali in corso a livello urbano e territoriale; individuazione delle fasi di attuazione degli interventi; 2. planimetria di visione comparata tra le previsioni del Piano portuale e gli strumenti della programmazione e pianificazione generale e di settore vigenti; 3. planimetria di visione comparata tra le previsioni di Piano e ilsistema dei vincolitutele esistenti; 4. elaborati grafici che esplicitano i caratteri plano-altimetrici dei fondali, delle opere esterne di difesa e delle opere interne; 5. individuazione planimetrica delle opere di dragaggio e di colmate con i relativi programmi finanziari; 6. planimetria sulla mobilità interna all’ambito portuale individuando le connessioni funzionali con la viabilità urbana.
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
Gli elaborati normativi si riferiscono alle norme tecniche di attuazione cui è demandato il delicato compito di regolamentare le fasi di implementazione (diretta e indiretta) del Piano. Le norme stabiliscono le priorità, le procedure, gli indizi progettuali e gli strumenti di attuazione dei programmi d’intervento. Le norme hanno una duplice natura: prescrittiva e d’indirizzo. Le norme prescrittive hanno un carattere impegnativo e, se modificate, oltre i limiti di flessibilità stabiliti, implicano variante al Piano. Le norme prescrittive riguardano, più in particolare, il porto operativo-tecnico; quelle d’indirizzo le aree di relazione città-porto. Le norme prescrittive definiscono: 1. la perimetrazione dell’ambito portuale, con l’articolazione dei sotto-ambiti (porto tecnico e spazi di relazione); 2. i contenuti e i ruoli amministrativi del Piano strutturale e operativo; 3. l’individuazione delle destinazione d’uso delle aree, nonché le dotazioni di spazi e di servizi di uso collettivo, con la possibilità di precisazione e modifica, non in variante, solo all’interno dei raggruppamenti identificati nei domini di ammissibilità per ciascun area di destinazioni stabiliti dallo stesso Piano; 4. le condizioni e i criteri per la valutazione preventiva degli interventi da inserire nel POT (sia sotto il profilo della sostenibilità ambientale sia della flessibilità tecnica ed economica), nonché gli indirizzi per il monitoraggio dell’attuazione del Piano in rapporto agli obiettivi dello stesso. Le norme d’indirizzo riguardano: 1. i criteri progettuali per le opere edilizie ricadenti nel porto tecnico-operativo; 2. le caratteristiche funzionali e prestazionali della viabilità stradale e ferroviaria, dei piazzali, delle aree di sosta e degli edifici di servizio; 3. le procedure operative e gli eventuali strumenti attuativi per i programmi d’intervento previsti nelle aree di relazione città-porto.
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
La relazione tecnica generale si articola in parti e comprende: 1. la descrizione dello stato di fatto (fisico, funzionale, giuridico, ...); 2. la illustrazione degli scenari di Piano e dei suoi obiettivi specifici; 3. la illustrazione del sistema normativo del Piano; 4. la illustrazione sintetica degli esiti degli studi specialistici propedeutici al Piano.
INFRASTRUTTURE PORTUALI DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE DEI PORTI I porti sono gli specchi d’acqua sufficientemente protetti dai fattori meteomarini (vento, moto ondoso, correnti, maree) all’interno dei quali sostano i natanti per effettuare operazioni commerciali (sbarco e imbarco di merci e/o passeggeri). Sono classificati in “porti a grande e a piccolo sviluppo di marea” a seconda dell’importanza delle oscillazioni di marea. Per elevate oscillazioni (in linea di massima superiori da 2÷3 m) il porto, in tutto o in parte, è mantenuto a livello costante ed è accessibile attraverso conche di navigazione.
I porti sono anche suddivisi in “porti esterni”, conquistati interamente o parzialmente al mare (nel secondo caso lo sviluppo del porto può essere prevalentemente nella terraferma), e in “porti interni”, ubicati all’interno di profondi estuari o lungo corsi d’acqua. La classificazione più frequente riguarda la “specializzazione” dei porti. La recente legislazione italiana (legge n.84 del 1994) riconosce le seguenti specializzazioni: I Categoria: • porti finalizzati alla difesa militare e alla sicurezza dello Stato;
II • • • • •
Categoria: porti commerciali; porti industriali e petroliferi; porti di servizio passeggeri; porti pescherecci; porti turistici e da diporto.
All’interno di porti di II categoria viene operata un’ulteriore suddivisione in tre classi, a seconda dell’importanza dei traffici che in essi si svolgono e quindi della loro rilevanza economica.
➥
1. G.6. ITÀ MOBILORIALE TERRIT
G 79
G.6. 1.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE ➦ INFRASTRUTTURE PORTUALI ➦ DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE DEI PORTI I porti di II categoria, classe II e III, sono di competenza regionale. Lo Stato interviene direttamente nella costruzione dei porti di I categoria e di II categoria, I classe; può realizzare o concorrere alla realizzazione delle opere di grande infrastrutturazione nei porti di II categoria, II classe.
I porti commerciali costituiscono i “nodi” che garantiscono la continuità fra il trasporto terrestre e quello marittimo. Essi condizionano notevolmente il sistema economicoterritoriale in cui sono inseriti e rappresentano un elemento fortemente caratterizzante il contesto territoriale, urbanistico e paesistico della regione in cui sono ubicati.
In generale tutti i porti, anche se di modeste dimensioni, costituiscono un’infrastruttura di impatto non trascurabile nell’ambito dell’arco costiero interessato. Per una più precisa definizione delle diverse specializzazioni dei porti si rimanda al precedente capitolo sulla Pianificazione Portuale.
NOMENCLATURA DELLE DIVERSE ZONE PORTUALI FIG. G.6.1./38 ESEMPIO DI PORTO In un porto si riconoscono diverse parti, che ricadono all’esterno o all’interno del porto. All’esterno del porto ricade la cosiddetta rada, comprendente un’area, preferibilmente ridossata rispetto ai più gravosi fattori meteomarini, in cui le navi possono gettare l’ancora e sostare in attesa di poter entrare nel porto. L’accesso al porto avviene attraverso l’imboccatura (o bocca, o ingresso) portuale, alla quale segue l’avamporto, specchio acqueo sufficientemente ampio e protetto affinché le navi possano eseguire con sicurezza le manovre evolutive necessarie per dirigersi verso il porto interno (direttamente o attraverso le conche di navigazione). È presente talora un canale di accesso escavato rispetto ai fondali naturali. Il porto interno comprende i canali di navigazione, le darsene e i terrapieni, delimitati dalle banchine (o muri di sponda). Sui terrapieni sono ubicate le attrezzature di carico e scarico, i magazzini, le aree di deposito all’aperto, gli edifici amministrativi. Talvolta l’attracco delle navi avviene in corrispondenza di pontili, opere trasparenti all’acqua. Nel porto interno è spesso presente una zona destinata alla manutenzione, riparazione e costruzione di navi, detta “zona cantieristica”.
6
1 7 5 4 3 2
8
8
9
1 2 3 4 5 6 7 8 9
MOLO DI SOPRAFFLUTTO MOLO DI SOTTOFLUTTO PORTO INTERNO AVAMPORTO INGRESSO O IMBOCCATURA RADA CANALE DI ACCESSO DARSENA TERRAPIENO
DIMENSIONI TIPICHE DELLE DIVERSE ZONE PORTUALI IMBOCCATURA
Larghezza 5 B o L (B e L larghezza e lun- CANALI DI ghezza nave), profondità rispetto al livello NAVIGAZIONE minimo marino d + f1 (d immersione nave a pieno carico, f1 franco pari alla semialtezza d’onda a tempo di ritorno annuale, con un ulteriore incremento di almeno 1 m che tiene conto di numerosi fattori “di incertezza”). Nei porti turistici e pescherecci, indipendentemente dalle dimensioni della massima imbarcazione, la larghezza minima viene fissata in 40÷50 m;
Larghezza pari a quella dell’im- TERRAPIENI boccatura, profondità = d + f2, con f2 franco dipendente dalla natura del fondale e da altri fattori, minimo 1,00 m;
Larghezza variabile a seconda della destinazione delle banchine, fino a 800 m per traffico di contenitori, quota sul livello medio marino variabile fra + 2,00 e + 3,00 m, forma generalmente rettangolare;
CERCHIO DI EVOLUZIONE
Diametro = 1,5 ÷3 L, profondità d + 2,00 m; DARSENA
Larghezza da 3 B a 8 B, lunghez- BANCHINE za variabile fino a più di 1 km, profondità come nei canali di navigazione, orientamento preferenziale secondo i venti dominanti;
Delimitano i terrapieno e si sviluppano lungo i lati delle darsene portuali. Sono dette “di riva” quando seguono all’incirca il tracciato del confine terrestre del porto. Modernamente si privilegiano le banchine di grande lunghezza, in grado di accogliere numerose navi di diverse dimensioni.
CONFIGURAZIONE TIPICHE DEI PORTI Nella progettazione di un nuovo porto o di ampliamento di uno esistente vengono tenute presenti, in modo non vincolativo, alcune “configurazioni tipiche”, spesso adottate in passato e presentanti pregi e difetti in base a un bilancio dei quali può operarsi una scelta oculata, in sede di progettazione. PORTI A BACINO Comprendono un bacino protetto da un molo di sopraflutto, con la funzione di difesa dalla “traversia principale”, ossia dalle onde provenienti da un settore caratterizzato dalle mareggiate più intense e frequenti, e da un molo di sottoflutto, con la funzione di difesa dalla “traversia secondaria”, caratterizzata da ondazioni di minore frequenza e intensità. L’imboccatura è compresa fra l’estremità del molo di sottoflutto e il prolungamento ideale di questo fino al molo di sopraflutto. La configurazione è fra le più frequenti e in generale è caratterizzata da un elevato “potere riduttore” (capacità di assicurare ridotta agitazione ondosa nel porto interno), da qualche difficoltà nelle manovre di ingresso, da scarsa attitudine a evitare ripercussioni sulle spiagge adiacenti e interrimento dell’imboccatura.
FIG. G.6.1./39 SCHEMI PORTUALI
Tp
Ts Tp
PORTI A MOLO CONVERGENTI Comprendono un bacino protetto da due moli radicati alla terraferma e convergenti verso l’imboccatura portuale, il cui asse è orientato secondo la direzione dei mari dominanti. La configurazione è caratterizzata da un basso “potere riduttore” (per ridurre l’ingresso dell’agitazione ondosa è necessario diminuire la larghezza dell’imboccatura, a scapito delle esigenze navigazionali), da facilità della manovra di ingresso, da una buona attitudine a facilitare il transito litoraneo delle sabbie e a ridurre i rischi di interrimento. In generale la soluzione viene adottata per delimitare un avamporto, dal quale si accede al porto interno, completamente protetto dal moto ondoso. Ne consegue la necessità di specchi acquei più vasti di quelli di un equivalente porto a bacino.
G 80
SCHEMA A BACINO
SCHEMA A MOLI CONVERGENTI CON IMBOCCATURA RIVOLTA ALLA TRAVERSIA
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE PORTI CON DIGA PARALLELA ALLA COSTA E DUE MOLI DI SOTTOFLUTTO
FIG. G.6.1./40 SCHEMI PORTUALI Tp
Schema adottato spesso in passato, in alternativa allo schema a bacino, per la facilità di ampliamento. È molto sensibile ai fenomeni di interrimento.
Tp SETTORE DI TRAVERSIA PRINCIPALE Ts SETTORE DI TRAVERSIA SECONDARIO Tp
PORTI A MOLI CONVERGENTI CON IMBOCCATURA PROTETTA DA ANTEMURALE
A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
Schema classico dei porti rinascimentali e di alcuni porti romani, ben protetto dal moto ondoso ma con numerosi difetti dal punto di vista navigazionale e dell’interferenza con il trasporto di sedimenti.
C.RCIZIO
PORTI CANALE Sono costituiti da due “moli guardiani”, talvolta di diversa lunghezza, che prolungano in mare una foce fluviale o un canale artificiale. Le darsene si sviluppano lungo i lati del canale di accesso. L’agitazione ondosa nel canale può essere cospicua. Lo schema è soggetto a interrimento (formazione della barra di foce).
G.6. 1.
E ESE ESSIONAL PROF
SCHEMA CON DIGA PARALLELA ALLA COSTA E DUE MOLI DI SOTTOFLUTTO
Tp Ts
PORTO ISOLA
SCHEMA A MOLI CONVERGENTI CON IMBOCCATURA PROTETTA DA ANTEMURALE
Il porto viene ricavato, con uno degli schemi elencati, all’interno di un’isola artificiale posta al largo della costa, alla quale è collegato con un ponte o per via marittima. La scelta dell’isola può essere giustificata dal soddisfacimento di particolari necessità, quali l’ininfluenza sui litorali adiacenti, l’allontanamento dalla terraferma di traffici potenzialmente pericolosi.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
Tp
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM SCHEMA A PORTO CANALE
G.ANISTICA
SCHEMA A PORTO ISOLA
URB
PORTI TURISTICI Si differenziano dagli altri porti per la diversa composizione della flotta (molte imbarcazioni di dimensioni piccole e medie, di lunghezza raramente superiore a 25 m), per la presenza di equipaggi non professionali, per esigenze collegate più all’aspetto ludico della navigazione che al trasporto di merci o passeggeri. Le profondità delle zone di sosta delle imbarcazioni non superano in generale i 3,50 m per quelle a vela, i 2,50 m per quelle a motore. L’ormeggio delle imbarcazioni è di norma “di punta”, cioè ortogonale al fronte di banchina, e non “all’inglese” (o in andana), cioè parallelo al fronte di banchina. Per le pure esigenze nautiche sono sufficienti, per l’ormeggio delle imbarcazioni, pontili (fissi o galleggianti) di larghezza variabile fra 2,00 e 5,00 m. La distanza fra pontili adiacenti ai quali sono ormeggiate imbarcazioni lunghe L è variabile fra 3,2 e 3,5 L. L’ormeggio può avvenire con il metodo delle trappe (o pendini) collegate a catenarie fissate con corpi morti, con quello dei pontiletti laterali (o fingers), con quello a pali. La quota di sommità dei pontili varia fra 50 e 80 cm s.m.m. nel caso dei pontili
galleggianti e fra 1,00 e 1,20 m s.m.m. nel caso dei pontili fissi (utilizzabili solo nel caso di modeste variazioni del livello statico). La larghezza dei canali di navigazione varia fra 20 e 40 m, l’avamporto ha un diametro minimo dell’ordine di 50÷60 m. In un porto turistico sono necessari spazi ed edifici per i parcheggi (da dimensionare in base a un numero di auto pari al 50÷60% dei posti barca), per i servizi igienici, per l’amministrazione e il controllo dei traffici, per alcuni negozi specializzati e di interesse generale. Deve essere prevista una stazione di rifornimento dei carburanti, in posizione opportuna per minimizzare i rischi di incendio e di inquinamento dello specchio acqueo. È spesso presente una zona cantieristica, comprendente attrezzature di varo e alaggio, piazzali per operazioni di riparazione e manutenzione ordinaria, officine e capannoni. Importanti per la funzionalità del porto sono l’impianto fognario e le reti per la fornitura di acqua (potabile e/o industriale) e l’energia elettrica, nonché la rete telefonica.
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM
CLASSIFICAZIONE OPERE ESTERNE FIG. G.6.1./41 TIPI DI OPERE DI DIFESA Le opere esterne (denominate con nomi diversi, ad esempio moli, dighe, antemurali, frangiflutti) sono destinate a impedire l’ingresso del moto ondoso (e talvolta delle correnti) nello specchio acqueo protetto. Possono essere di tre tipi: • a gettata o a scogliera; • a muro (a parete verticale); • di tipo particolare.
ESTERNO
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN INTERNO
G.6. ITÀ MOBIL
OPERA A GETTATA
ESTERNO
OPERA A PARETE VERTICALE
INTERNO
ESTERNO
OPERA DI TIPO NON TRADIZIONALE
INTERNO
1. G.6. ITÀ MOBILORIALE TERRIT
G 81
G.6. 1.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE ➦ INFRASTRUTTURE PORTUALI OPERE A GETTATA Sono costituite da ammassi di materiali naturale e/o artificiale, disposti con il criterio di assorbire le sollecitazioni trasmesse dal moto ondoso e di impedirne il passaggio nella parte ridossata. Comprendono: • nucleo; • filtri; • rivestimenti; • coronamento. Il nucleo o corpo è costituito da materiale di granulometria assortita proveniente da cave coltivate con l’uso dell’esplosivo. Il peso massimo dei singoli elementi non deve superare i 500 kgf e la percentuale di materiale fine (diametro inferiore a 0,2 mm) non deve essere superiore al 2%. Il nucleo può essere realizzato con mezzi terrestri e/o marittimi. I filtri devono impedire l’asportazione del materiale da nucleo attraverso i rivestimenti e vanno dimensionati con le regole di Terzaghi (vedi sez. D.6.1.) I rivestimenti devono resistere alle sollecitazioni del moto ondoso, che sono massime nella cosiddetta “zona critica”, parte foranea dell’opera compresa fra la quota di sommità e una profondità pari all’altezza significativa di progetto rispetto al livello più basso statico (coincidente in generale con quello di bassa marea). Le sollecitazioni sono rilevanti anche nella parte sommitale ridossata dell’opera, sottoposta all’azione delle onde tracimanti; diminuiscono gradualmente all’aumentare della profondità. Le azioni esercitate dal moto ondoso sono spesso limitate dai fondali antistanti l’opera, che possono provocare il frangimento delle onde più alte a distanza dal piede della scarpata foranea. Nella zona critica vengono disposti quando possibile massi naturali di peso anche molto elevato (fino a 10÷15 t); per altezze d’onda eccessive si deve fase ricorso a massi artificiali di calcestruzzo, di forme che variano dalla più semplice (cubi, parallelepipedi) a molto complesse (tetrapodi, dolosse, accropodi, core-loc ecc.). I pesi dei singoli elementi possono raggiungere e superare le 50 t. Il coronamento delle opere a gettata può essere costituito dagli stessi elementi della zona critica, disposti a formare una berma orizzontale. Più spesso il coronamento è costituito da un massiccio di calcestruzzo, con muro paraonde, in modo da consentire il transito di automezzi e talvolta l’accosto di imbarcazioni lungo il lato interno ridossato. Le forme e le dimensioni dei massicci di coronamento possono essere le più varie. Uno degli aspetti più importanti da considerare nel progetto del coronamento è il sormonto da parte del moto ondoso, che può ingenerare danni alle cose e alle persone. In proposito si fissano limiti alla portata media di tracimazione (ad es. 1 l/s m per evitare danni alle persone). Nella tipologia delle opere a gettata rientrano opere che non rispondono alla caratterizzazione precedente. Si citano: • opere a berma, interamente costruite con massi naturali nelle quali la configurazione di equilibrio finale viene raggiunta a prezzi di rilevante modifiche del profilo della scarpata foranea; • opere con corpo in sabbia e protezione lato mare realizzato con rivestimenti di conglomerato bituminoso (dighe olandesi); • opere di massi naturali collegati con mastice bituminoso; • opere con corpo costituite da un cassone del tipo descritto per le opere a parete verticale.
FIG. G.6.1./42 OPERE A GETTATA
5
ESTERNO
INTERNO
3
3
2
2 4
1 OPERA A GETTATA CON MASSICCIO
1 2 3 4 5
UNGHIA AL PIEDE MANTELLATA ESTERNA E INTERNA FILTRO NUCLEO MASSICCIO DI CORONAMENTO
ESTERNO
INTERNO 3
3 2
2 4 1 OPERA A GETTATA SENZA MASSICCIO DI CORONAMENTO
1 2 3 4
UNGHIA AL PIEDE MANTELLATA ESTERNA E INTERNA FILTRO NUCLEO
ESTERNO
INTERNO
OPERA DEL TIPO “A BERMA” BERMA PROFILO ALL’ATTO ALL ATTO DELLA POSA IN OPERA
PROFILO ASSESTATO DALLE MAREGGIATE (PROFILO A “S”)
OPERE A PARETE VERTICALE Le opere a muro, o a parete, sono opere continue che si elevano direttamente dal fondale marino o sono imbasate su un rilevato di massi naturali, di altezza più o meno cospicua. In tale caso sono dette anche opere di tipo “composto”, perché comprendono, oltre alla parte continua, una parte a scogliera. La parete lato mare è di norma verticale, per cui le opere sono anche denominate opere verticali o a parete verticale. Il funzionamento idraulico delle opere a parete è diverso da quello delle opere a gettata, in quanto esse mirano in linea generale a riflettere il moto ondoso, anziché ad assorbirne l’energia.
G 82
Ciò non esclude che a volte possano accettarsi frangimenti parziali o totali a ridosso del muro. Come regola non vincolativa il fondale in corrispondenza dei quali vengono usate tali opere deve essere almeno il doppio dell’altezza d’onda significativa di progetto. Si consideri che l’eventuale rovina di un’opera a parete è completa e subitanea, al contrario delle opere a gettata che possono subire danni apprezzabili senza raggiungere la distruzione totale. Per questo motivo gli oneri di manutenzione dei due tipi di opera sono notevolmente diversi, così come i criteri di dimensionamento.
La tipologia della parte a parete è attualmente quasi esclusivamente costituita da cassoni cellulari, costruiti anche a distanza dal luogo d’impiego, trasportati in galleggiamento, affondati con acqua e infine riempiti con materiale inerte o, parzialmente o totalmente, con calcestruzzo. In passato sono stati impiegati massi prefabbricati pieni di piccole (peso massimo 100 tf) e grandi dimensioni (detti ciclopici, di peso anche superiore a 500 tf) opportunamente giustapposti, oppure massi cellulari riempiti di calcestruzzo.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE
G.6. 1. A.ZIONI
Le dimensioni dei cassoni possono raggiungere i 40 m di lunghezza, 20 m di altezza, 20 m di larghezza. La larghezza viene fissata in funzione delle verifiche di stabilità sotto l’azione del moto ondoso; l’altezza è spesso limitata da motivi operativi, così come la lunghezza. Il coronamento dei cassoni comprende un muro posto a una quota tale da limitare i sormonti e una piattaforma di circolazione. Spesso vengono studiate forme particolari per il muro, al fine di migliorarne il comportamento idraulico. Sempre allo stesso fine vengono talvolta impiegati cassoni parzialmente assorbenti (cassoni forati con camere di smorzamento).
OPERE DI TIPO PARTICOLARE Comprendono diversi tipi di opere basate su concetti diversi da quelli finora illustrati (assorbimento completo o riflessione del moto ondoso) e destinate talvolta a ridossare temporaneamente uno specchio acqueo (porti estivi, o di servizio, o per operazioni militari). In generale non riescono a impedire la completa propagazione del moto ondoso. Si possono ricordare le opere galleggianti o fisse che interessano una porzione limitata della profondità marina, che si estendono cioè dalla quota di sommità a quella di massima immersione ingenerando fenomeni di riflessione, di frangimento e di propagazione delle onde oltre l’ostacolo. Possono essere di larghezza non molto elevata (relativamente a quella delle onde incidenti) e costituiti da strutture (spesso cassoni) basate su pali o vincolate a corpi morti (esempio di Monaco nel Principato omonimo; di Arromanches in Normadia); altre volte sono di larghezza cospicua e di spessore limitato (sono costituite spesso da pneumatici usati riempiti di poliuretano e collegati fra di loro). Altre volte le opere sono interamente sommerse, non pervengono cioè fino alla superficie marina. La loro efficacia è legata a una limitata escursione di marea. Sono più usate per difesa di spiagge che di specchi acquei portuali. Infine possono ricordarsi le difese pneumatiche e le idrauliche.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. G.6.1./43 OPERE A PARETE VERTICALE
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA ESTERNO
INTERNO
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
OPERA DEL TIPO VERTICALE PURO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM ESTERNO
INTERNO
5
G.ANISTICA URB
4 3
2 OPERA DI TIPO COMPOSTO
1 1 2 3 4 5
2
IMBASAMENTO A SCOGLIERA MANTELLATA ESTERNA E INTERNA MASSO GUARDIANO OPERA A PARETE VERTICALE CORONAMENTO
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT
A
LI G.4. E E VINCO NORM
OPERE INTERNE PORTUALI Le opere interne portuali comprendono: • le opere destinate all’attracco delle navi, cioè le banchine, i pontili e le briccole (o duchi d’Alba); • i terrapieni, destinati allo sbarco e al deposito delle merci e al loro invio nell’interland; • le opere per la riparazione e la costruzione delle navi. Le banchine, dette anche muri di sponda, sostengono il terrapieno retrostante (tipi a gravità o a palancole) o costituiscono l’elemento di passaggio fra la fiancata della nave e il vero e proprio terrapieno (tipo “a giorno”). Il fronte lato porto è verticale (come la fiancata delle navi). Può essere consentito un fuori piombo nella parte prossima al fondale. Fra i muri di gravità vi sono quelli gettati in opera, all’asciutto o in presenza d’acqua, quelli prefabbricati a massi sovrapposti, a cassoni (galleggianti o autoaffondanti), a speroni, a gabbioni di palancole piatte. I muri a palancole possono essere costituiti da elementi di acciaio o di c.a., in generale intirantati. Spesso in luogo di elementi prefabbricati sono usate le paratie di c.a. I muri a giorno sono costituiti da un impalcato su pali o piloni (elementi circolari di diametro superiore a 2,50 m realizzati con la tecnica dell’autoaffondamento); il terrapieno sottostante viene protetto con pietrame. I pontili sono costituiti da un impalcato appoggiati su supporti che possono essere del tipo a gravità o più comunemente da stilate di pali con pulvini di sommità.
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN
1
G.6. ITÀ MOBIL A PIANTA
SEZIONE A-A
CASSONE GALLEGGIANTE
1 CELLE RIEMPITE CON MATERIALE INERTE O CALCESTRUZZO
I pontili possono essere ubicati anche in mare aperto. In tale caso l’impalcato deve essere sottratto completamente all’impatto con le onde. Le briccole (punti di ormeggio isolati) possono essere del tipo a gravità o costituite da gruppi di pali o da pali singoli. Gli arredi delle opere interne comprendono i dispositivi di ormeggio (bitte, anelloni) e quelli destinati ad assorbire le forze di accosto (parabordi). Gli impianti comprendono l’idrico, l’elettrico e il telefonico. Le attrezzature comprendono le gru di banchina (elettri-
che o meccaniche) e i mezzi per il trasferimento delle merci in banchina (elevatori a forchetta, carrelloni ecc.). I terrapieni, collocati in prossimità delle banchine, sono di larghezza dipendente dall’uso previsto e, al di là della fascia interessata dalle attrezzature, sono pavimentati in vario modo sempre a seconda dell’uso. Sono percorsi dalle reti di servizi, sono interessati dalla rete stradale interna del porto e, quando presenti, dei raccordi ferroviari. Sui terrapieni sono collocati i magazzini per il deposito delle merci.
1. G.6. ITÀ MOBILORIALE TERRIT
G 83
G.6. 1.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE ➦ INFRASTRUTTURE PORTUALI FIG. G.6.1./44 MURI DI SPONDA A GRAVITÀ
FIG. G.6.1./45 MURI DI SPONDA A GIORNO E A PALANCOLE 1
4
4 3 1
2
2
3 MURO DI SPONDA A GIORNO, SU PALI
1 2 3 4
2 MURO DI SPONDA A MASSI SOVRAPPOSTI
1 2 3 4
ELEMENTI PREFABBRICATI DI CALCESTRUZZO PIETRAME MATERIALE DI RINFIANCO CORONAMENTO
1 5
2 B
1
4
2
IMPALCATO DI C.A. PIETRAME PALI PALANCOLE
3
4
3
CON ANCORAGGIO A PALANCOLE
3
CON ANCORAGGIO A PALI INCLINATI
CON ANCORAGGIO A BLOCCO DI CALCESTRUZZO
MURO DI SPONDA A PALANCOLE DI ACCIAIO MURO DI SPONDA DI C.A. A SPERONI
2 1 2 3 4
SEZIONE
PIANTA
SOLETTE DI C.A. PIETRAME MATERIALE DI RINFIANCO SETTO DI C.A. (SPERONE)
1 2 3 4 5 6 7
TRAVE DI SOMMITÀ SOMMIT DI C.A. TIRANTE DI ACCIAIO PALANCOLE PALI BLOCCO DI CALCESTRUZZO BULBO DI ANCORAGGIO IMPALCATO DI SOMMITÀ SOMMIT
SEZ TRASVERSALE PALANCOLE (B) TIPO A “U”
1
7 2
B
COFFERDAM CIRCOLARI
B
3
4
6
COFFERDAM PSEUDO-RETTANGOLARI
MURO DI SPONDA A PALANCOLE PIATTE (COFFERDAM)
3
CON ANCORAGGIO A TIRANTE INCLINATO E BULBO
MURO A PALANCOLE DI TIPO “DANESE DANESE”
FIG. G.6.1./46 ESEMPIO DI PONTILE PASSERELLA DI ACCIAIO BRICCOLA DI ACCOSTO
PONTILE DI ACCESSO IN C.A.P.
6,00 6 00 + NAP. 2,00 2 00 +
14 65 14,65 20,00 20 00 -
23,00 23 00 -
OPERE DI RIPARAZIONE E DI COSTRUZIONE DELLE NAVI FIG. G.6.1./47 ESEMPI DI OPERE DI RIPARAZIONE NAVI Sono collocate in generale all’interno dei porti, in zone appositamente dedicate a tale attività. Comprendono: • scali di alaggio e varo, scivoli (longitudinali o trasversali) che pervengono fino alla profondità necessaria per consentire l’inserimento delle navi nella cosiddetta “culla”; • bacini di carenaggio e/o di costruzione, vasche rettangolari che possono essere isolate dal mare per mezzo di porte di diverso tipo e svuotate o riempite per mezzo di appositi impianti; le navi vengono appoggiate su più serie di dispositivi puntuali detti taccate; • piattaforme elevatrici; • bacini muniti di attrezzature meccaniche per l’alaggio e il varo (dette travel lift nel caso dei porti turistici).
SCALO DI ALAGGIO CON CULLA SU ROTAIE
G 84
C
1
PIANTA 2
C
3 BACINO DI CARENAGGIO 1 BATTELLO PORTA O PORTA A VENTOLA 2 IMPIANTO DI POMPAGGIO 3 GALLERIA DEI SERVIZI 4 PLATEA A GRAVITÀ\P GRAVIT \P 5 TACCATA CENTRALE 6 TACCATE LATERALI REGOLABILI IN ALTEZZA
5
6
4 SEZIONE C-C
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE
A.ZIONI
FIG. G.6.1./48 ESEMPI DI BANCHINE SPECIALIZZATE
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
BANCHINA PER TRAFFICO DI CONTENITORI 300 m
B.STAZIONI DILEGIZLII
LATO PORTO
I ED PRE NISM ORGA
BANCHINA PER TRAFFICO DI MERCI VARIE 180 m
G.6. 1.
C.RCIZIO
180 m
E ESE ESSIONAL PROF
LATO PORTO 1
D.GETTAZIONE
1
PRO TTURALE STRU 2
3
250 m
DEPOSITO ALL’APERTO ALL APERTO
4
400 m
MAGAZZINO
E.NTROLLO MAGAZZINO DI DECONSOLIDAZIONE (svuotamento e riempimento parziale contenitori)
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB DEPOSITO ALL’APERTO ALL APERTO
5 6
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
1.. ZONA DI DEPOSITO SERVITA DA CARRELLONI E MOTRICI 2.. ZONA DI DEPOSITO SERVITA DA GRU TRANSTAINER 3.. CONTENITORI VUOTI 4.. CONTENITORI IN RIPARAZIONE E A NOLO 5.. FERROVIA E MEZZI DI TRASPORTO TERRESTRI 6.. ZONA DI DEPOSITO CONTENITORI E PEZZI DI RICAMBIO
BANCHINA PER RINFUSE SOLIDE
G.2. À URBANA REALT
LATO PORTO 370 m
G.3. À REALT ORIALE TERRIT
280 m
250.000 tdw
100.000 tdw
TORRI DI SMISTAMENTO
ZONA ATTREZZATA CON NASTRI TRASPORTATORI E CON MEZZI PER MOVIMENTAZIONE RINFUSE
ZONA DI CARICO CARRI FERROVIARI
LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
FERROVIA
AREA DI DEPOSITO
STRADA DI SERVIZIO
1. G.6. ITÀ MOBILORIALE TERRIT
G 85
G.6. 1.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE TEORIA DEL DEFLUSSO Con l’espressione “funzione di deflusso di un elemento di un sistema di trasporti” si intende abitualmente la relazione matematica che fornisce, in base ai flussi che interessano l’elemento, relazione che può essere sia puntuale (per esempio un’intersezione stradale o un generico nodo di scambio) che lineare (un tronco stradale, ferroviario ecc.) e in base alle caratteristiche fisiche e funzionali di esso, il costo medio unitario di trasporto lungo l’elemento stesso. Il termine costo medio unitario va utilizzato in quanto, anche a parità di flussi e di caratteristiche, esiste una variabilità dei valori dei costi di spostamento. Formalmente la generica funzione di deflusso, indicando con Φ il vettore dei flussi e con X il vettore delle caratteristiche fisiche e funzionali dell’elemento, verrà scritta nel modo seguente:
Cm = F (X, Φ) 0
Cm , pur essendo un costo, deve essere visto come una grandezza generalizzata, che si può esprimere non solo in termini monetari, ma anche per mezzo di altri indicatori, tra i quali il più diffuso è senz’altro il tempo di
viaggio: quest’ultimo può praticamente ritenersi la variabile prevalente nel determinare il funzionamento del sistema nel suo complesso. È prassi quindi, nel campo dell’economia dei trasporti, parlare di costo generalizzato del trasporto comprendendo, in questo termine, anche componenti non direttamente monetizzabili e spesso soggettive, quali la sicurezza o il comfort di viaggio. L’espressione analitica della funzione F dipende, non solo dalla tipologia dell’elemento considerato, ma anche dalle specifiche necessità applicative, le quali possono richiedere forme differenti in relazione alle specifiche finalità delle analisi. In generale può dirsi che essa dipenderà, in primo luogo, dal regime di circolazione in cui si opera (per esempio se a guida libera o vincolata). Inoltre per la sua definizione si dovrà tenere conto delle caratteristiche tecnologiche, costruttive e operative del sistema. L’espressione di F può ricavarsi da una teoria esplicita del sistema, o per analogia da altri sistemi (per es. teoria delle code nel caso di sistemi a barriera), oppure tramite
procedure di simulazione di esso (per es. nel caso di una intersezione semaforizzata), o anche tramite l’osservazione diretta del deflusso (per es. nel caso di tronco stradale). Il vettore Φ può rappresentare, a seconda del subsistema considerato, flussi di vetture, di persone, di treni, di navi ecc. Va specificato che, in linea generale, il costo medio del trasporto non dipende solo dall’entità dei flussi che impegnano l’elemento stesso del sistema, ma anche dei flussi su altri elementi e al limite dall’intera configurazione dei flussi sul sistema (l’esempio tipico è costituito dal caso delle intersezioni stradali). Il vettore X è costituito da quei fattori intrinseci (costruttivi e funzionali) dell’elemento considerato utilizzabili per la descrizione dell’elemento stesso. Essi determinano il costo Cm e generalmente sono indipendenti dai flussi (larghezze, pendenze, tecnologie adottate per i sistemi di controllo). Ciascuna espressione funzionale F è caratterizzata da una particolare scelta dei parametri descrittivi del sistema, che devono essere introdotti caso per caso.
viene associata a grandezze quantitative con criteri variabili secondo i casi e, soprattutto, secondo il sistema di trasporto in esame. È però importante rimarcare come il livello di servizio venga comunque sempre visto come una grandezza microeconomica, poiché l’elemento che lo caratterizza è sempre l’utilità del singolo utente del sistema, che viene di volta in volta espressa mediante
termini diversi in base alla situazione in esame. Storicamente l’uso del livello di servizio può farsi risalire a esperienze di scuola statunitense, che portarono alla pubblicazione, nel 1950, della prima edizione dell’Highway Capacity Manual (HCM); all’attuale edizione fanno riferimento gli esempi riportati nella presente parte di questo manuale.
LIVELLO DI SERVIZIO È prassi, soprattutto in campo stradale, giudicare la bontà di funzionamento di un sistema per mezzo di un indicatore di sintesi, riassuntivo del suo livello di servizio. Per quanto riguarda la sua definizione non è possibile dare un inquadramento formale che vada al di la’ del grado di accettazione del sistema da parte dell’utente. Il livello di servizio è infatti una grandezza qualitativa, che
ESEMPIO STRADALE – ESPERIENZE STATUNITENSI Il manuale di capacità delle strade statunitense è di relativa applicabilità in Italia: vi sono troppe differenze per quanto riguarda sia il parco veicolare che le abitudini dei conducenti. È però utile, sotto l’aspetto metodologico, confrontare l’esperienza dell’HCM con un’esperienza europea, tenendo ben presente che quanto viene proposto non ha la minima pretesa di essere esaustivo, e che faremo, comunque, riferimento a condizioni di deflusso libero: non devono essere presenti intersezioni semaforizzate in grado di alterare le condizioni di deflusso. Il manuale americano fornisce, per tronchi stradali dove è sempre possibile il sorpasso (strade a più corsie per senso di marcia), curve del tipo di quello riportato in Fig. G.6.1./49 (piano flusso-densità) e in Fig. G.6.1./50 (piano flusso-velocità). Non viene data un’espressione analitica di queste curve, ricavate in condizioni sperimentali, per una configurazione standard riguardo le pendenze, le larghezze delle corsie e delle banchine e la composizione del traffico. I livelli di servizio, su strade dove è sempre possibile il
FIG. G.6.1./49 RELAZIONE TRA FLUSSO E DENSITÀ (fonte: Highway Capacity Manual 2000)
G 86
sorpasso, sono determinati in base alla densità veicolare (Tab. G.6.1./17) cioè in base al grado di interrelazione fra un veicolo e un altro. Su strade a carreggiata unica, dove non è sempre possibile il sorpasso, le curve diventano del tipo riportato in Fig. G.6.1./51-52. Queste curve fanno pure riferimento a una situazione standard, dove, oltre alle condizioni già esaminate per le strade a più corsie, si presuppone una ripartizione di traffico uniforme nei due versi di percorrenza e una possibilità di sorpasso continua; si tratta, però, di una possibilità di sorpasso teorica, considerata a prescindere dalle condizioni di traffico. In pratica è la situazione di una strada a carreggiata unica con al centro una linea di separazione tratteggiata per tutto il suo sviluppo. Da osservare come le interrelazioni esistenti fra le due componenti di traffico che percorrono la strada in senso opposto condizionino, attraverso la possibilità o meno di sorpassare, la qualità del deflusso, portando a una degradazione delle prestazioni più rapida rispetto a quella che si ha con strade a più corsie per senso di marcia.
È in questo caso il tempo perso (in percentuale sul tempo di viaggio totale) dai veicoli più veloci nell’attesa di superare quelli più lenti l’elemento discriminante del livello di servizio. TAB. G.6.1./17 LIVELLO DI SERVIZIO STRADALE LIVELLO DI SERVIZIO
DENSITÀ (veic / km / corsia)
A
≤7
B
≤ 12
C
≤ 19
D
≤ 26
E
≤ 42
F
> 42
FIG. G.6.1./50 RELAZIONE TRA FLUSSO E VELOCITÀ (fonte: Highway Capacity Manual 2000)
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ TERRITORIALE
G.6. 1. A.ZIONI
FIG. G.6.1./51 CURVA DI DEFLUSSO (fonte: Highway Capacity Manual 2000)
FIG. G.6.1./52 CURVA DI DEFLUSSO (fonte: Highway Capacity Manual 2000)
60
40 30 20 10
PERCENT TIME DELAY
50
AVERAGE TRAVEL SPEED, MPH
SPEED
100
600
1200
1800
2400
FIG. G.6.1./53 CURVA DI DEFLUSSO DI STEEMBRINK
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
V (Km/h)
90
120
80 70
100
DELAY
60
80
50
60
40 30
40
C.RCIZIO
V=100 V=90 V=80 V=70 V=60 V=50 V=40
Zona di sovrasaturazione (f/C >1)
20
10
0 0
3000
600
1200
1800
2400
0,2
3000
0,4
0,6
0,8
1,0
1,2
f/C
D.GETTAZIONE E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
TWO-WAY VOLUME, PCPH
TWO-WAY VOLUME, PCPH
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
20
0 0
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
ALTRE ESPERIENZE APPLICATIVE Le curve del Highway Capacity Manual non sono le uniche applicabili nella pratica corrente. Dal punto di vista applicativo vale la pena citare la curva BPR (prodotta negli anni ’50 dal Bureau of Public Roads statunitense). La formulazione analitica della curva BPR, in forma generale, è data dall’espressione:
V = 1 / [ 1 / Vo + a( f / c)b ] [km/h]
Il ricercatore olandese P.A. Steembrink ha proposto, nella metà degli anni ’70, i seguenti valori per un caso “tipico” europeo (curva di Steembrink):
a = 0,02564 / b = 5 Le curve sono rappresentate in Fig. G.6.1./53. La curva perde significato per valori di f / C > 1: in questo caso, infatti, si raggiungerebbero condizioni di congestione e di sostanziale indeterminazione del comportamento prestazionale della strada. Per la capacità C possiamo considerare un valore orientativo di 1500-1750 autovetture/ora per corsia.
dove: = velocità a flusso nullo f/C = rapporto flusso/capacità a e b= parametri di taratura
Vo
La curva di Steembrink è applicabile con buoni risultati su tronchi stradali dove il sorpasso è consentito in continuità; in altri casi è bene generalizzarla ulteriormente, mediante taratura dei parametri a e b. Un’altra soluzione applicabile in Italia è quella espressamente indicata dal CNR nelle Istruzioni per la determinazione della redditività negli investimenti stradali (BU 91/1983). Il CNR propone delle curve di origine francese, con delle espressioni analitiche separate per i veicoli leggeri e per i pesanti.
Per i mezzi pesanti, la curva di deflusso è una bilineare, ed è data dalla:
x1 (q, Q)=3600/{(a+bλ+cλ2+dλ3) [1– δ (p – 0,025) 4,2 ]}+ α(q+eQ)+β (q+eQ)3 [sec/km]
X1 = 3600 / Vmax + 662,4 (p – 3600/662,4 Vmax + 0,0625)α [sec/km]
q,Q x1 λ p
= = = =
δ
=
e = α, β = a, b, c,
G.ANISTICA URB
G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT
Vmax 662,4 Vmax dove: X1 = tempo di percorrenza dell’unità di lunghezza della strada; p = pendenza fittizia, pari a Σ | h | / L; Vmax = velocità massima consentita ai mezzi pesanti; α = 0 per p ≤ 3600 / 662,4 Vmax + 0,0625 1 per p > 3600 / 662,4 Vmax + 0,0625
flussi orari di veicoli leggeri, pesanti; tempo di percorrenza dell’unità di lunghezza della strada; percentuale di visibilità per il sorpasso; pendenza fittizia, pari a Σ | h | / L; dove Σ | h | = la somma di tutti i dislivelli presi in valore assoluto L = la lunghezza del tronco stradale (arco); 0 se p ≤ 0,025 1 se p > 0,025 coefficiente variabile con il tipo di strada, come in Tab. G.6.1./18; coefficienti variabili con il tipo di strada, come in Tab. G.6.1./18; d = coefficienti variabili con il tipo di strada, come in Tab. G.6.1./18.
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
Per i veicoli leggeri la funzione di deflusso è quindi data dalla relazione:
dove:
F. TERIALI,
LI G.4. E E VINCO NORM
La velocità dei mezzi pesanti, pertanto, è funzione della sola pendenza, e non dei flussi veicolari. Rimane, in ogni caso, il vincolo per il quale deve comunque essere: X1 (tempo dei mezzi pesanti) > x1 (tempo dei mezzi leggeri).
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
TAB. G.6.1./18 COEFFICIENTI PER IL CALCOLO DELLA FUNZIONE DI DEFLUSSO RIFERITI ALLA PRECEDENTE CLASSIFICAZIONE CNR PER LE STRADE EXTRAURBANE Valori di
Valori di
Classificazione CNR
a
b
c
d
3,90 x 10-9
VI
40
119,00
-80
16,00
0,0030
1,36 x 10-9
V
37
141,33
-108
26,67
IV
0,0020
1,21 x
10-9
IV
29
194,33
-184
58,67
speciale A
0,0010
0,25 x 10-9
speciale A
31
194,33
-184
58,67
2 + 150 p
III
0,0010
0,25 x 10-9
III
31
194,33
-184
58,67
2 + 125 p
I e II
0,0010
0
113
0
0
0
Classificazione CNR
Valori di e
Classificazione CNR
VI
4 + 175 p
V
3 + 175 p
IV
3 + 150 p
speciale A
2 + 150 p
III I e II
α
β
VI
0,0054
V
I e II
1. G.6. ITÀ MOBILORIALE TERRIT
G 87
G.6. 2.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ URBANA E LOCALE MOBILITÀ PEDONALE PERCORSI PEDONALI IN AMBITO URBANO veicolare e quella di movimento pedonale. Essi possono essere sfalsati, semaforizzati o zebrati in relazione ai tipi di strade interessate (Tab. G.6.2./1). Il criterio da adottarsi nella localizzazione è generalmente quello della continuità dei percorsi pedonali, da cui deriva l’ubicazione preferenziale presso le intersezioni. Nel caso di attraversamenti pedonali non in corrispondenza di intersezioni, la scelta di quale tipo adottare è da correlarsi, al tipo di strada e all’intensità dei flussi pedonali e veicoli transitanti. Di seguito (Tab. G.6.2./1) si indicano alcuni criteri particolari di progettazione per le varie discipline, sulla base delle indicazioni contenute nelle norme CNR (BU 150/1992). Nel caso di spazi stradali da riservare alla componente pedonale, la loro localizzazione ed estensione deve essere individuata garantendo, da un lato l’accessibilità e la frequentazione delle aree, dall’altro la non compromissione della mobilità veicolare nelle zone circostanti. Le motivazioni alla base di tale intervento saranno collegate soprattutto alla possibilità di salvaguardare aree di rilevante valore architettonico, di valorizzare itinerari di particolare pregio artistico o paesaggistico, di rendere sicuri e frequentabili percorsi a forte concentrazione commerciale, di sviluppare aree periferiche con forti attrattori di spostamenti, di ridurre l’inquinamento veicolare. Nella progettazione di tali aree occorre proteggere opportunamente gli ingressi consentendo il transito ai veicoli di emergenza ed eventualmente ad alcune categorie di utenti deboli, con elementi mobili di ostruzione. Inoltre va studiato efficacemente l’arredo urbano, eliminando eventuali precedenti differenziazioni tra le sedi riservate ai veicoli e ai pedoni.
ATTRAVERSAMENTI SFALSATI
ATTRAVERSAMENTI A RASO
Elementi da prevedersi: • impianto di illuminazione; • corrimano su entrambi i lati con H max = 1,05 m nelle parti non orizzontali; • pavimentazione in materiale antisdrucciolevole; • rete di protezione di H ≥ 2,0 m dal piano di calpestio; • sistemi meccanizzati di elevazione o idonee rampe *, per favorire l’accessibilità alle utenze deboli, le caratteristiche geometriche delle rampe sono: pendenza massima del 5%, larghezza minima 1,5 m, cordolo di 10 cm sui lati della rampa prospicienti il vuoto, corrimano posto a un’altezza d’ulteriori 0,8 m nelle parti in orizzontale.
Va posta particolare attenzione alla loro ubicazioni al fine di assicurare un’adeguata reciproca visibilità, evitando zone di ombre e garantendo comunque illuminazione artificiale. Per favorire la circolazione dei pedoni d si realizzerà: • raccordo a lieve pendenza tra carreggiata e marciapiede mediante rampe a lieve pendenza (8-10%); • tagli delle isole di traffico invalicabili con la realizzazione di un piano di calpestio alla stessa quota del piano viabile.
FIG. G.6.2./1 ATTRAVERSAMENTO A RASO
30,00
≥ 3,00
30,00
LV
(+0,15) (0,00)
3,50
LP
0,12 0,38
4,00
Ringhiera di convogliamento ≥1,5 1,5 0,3
3,50
(*) È consentita una pendenza massima dell’8% quando è previsto un ripiano orizzontale di lunghezza minima di 1,5 m ogni 10 m di sviluppo lineare.
0,12
0,5 0,5
0,3
STRADA Tipo
ATTRAVERSAMENTI PEDONALI Tipo
(+0,15)
max
min
–
400
–
3,00
PRIMARIA
sfalsati
DI SCORRIMENTO
sfalsati o semaforizzati
all’intersezione
200
150
3,00
DI QUARTIERE
semaforizzati o zebrati
all’intersezione
200
100
4,00
LOCALE
zebrati
all’intersezione
200
100
3,00
ATTRAVERSAMENTI SEMAFORIZZATI Gli attraversamenti non su intersezione devono essere a chiamata. Per fasi esclusivamente pedonali la durata di via libera, salvo casi particolari, è tra i 5 e i 10 s in funzione dei flussi pedonali e della larghezza del passaggio. L’intervallo tra due pedoni può porsi pari a 1,0 s e la larghezza di ogni fila di pedoni a 0,75 m per senso di marcia. Pertanto nel caso di attraversamento di 3,00 m e di un tempo di via libera di 10 s potranno passare 20 pedoni per senso di marcia.
G 88
Distanza attraversam. contigui (m)
Larghezza minima (m)
Ubicazione preferenziale
ATTRAVERSAMENTI ZEBRATI Sono realizzati sulla carreggiata mediante zebratura con strisce bianche parallele alla direzione di marcia dei veicoli. La lunghezza delle strisce è: > 2,50 m sulle strade locali e urbane di quartiere > 4,00 m sulle altre strade. La larghezza delle strisce è: 0,50 m per le strisce 0,50 m per gli intervalli. La larghezza dell’attraversamento deve comunque essere commisurata al flusso pedonale. Sulle strade dove è consentita la sosta per migliorare la visibilità da parte dei conducenti nei confronti dei pedoni che stanno per impegnare la carreggiata, gli attraversamenti pedonali possono essere preceduti, nel verso di marcia dei veicoli, da una striscia gialla a zig zag su cui è vietata la sosta e di lunghezza commisurata alla distanza di visibilità. (Figg. G.6.2./1-2).
LP
0,50
(0,00)
TAB. G.6.2/1 DISCIPLINA DEGLI ATTRAVERSAMENTI PEDONALI
LV
Marciapiede pendenza (%) ( ) = 8-10 -10 LV e LP = Lanterna veicoli e pedon.
4,00
Lo studio della circolazione dei pedoni in ambito urbano assume carattere prioritario nell’analisi più generale della mobilità cittadina, tenendo conto dell’entità e della diffusione sul territorio degli spostamenti interessati. L’obiettivo primario da garantire per la componente pedonale è quello di rendere più agevoli le opportunità di contatto, più sicuri i movimenti, più comodi gli spazi utilizzati, evitando o regolando opportunamente i conflitti con le altre componenti di traffico. Pertanto una corretta progettazione di una rete pedonale in ambito urbano, costituita essenzialmente dai marciapiedi, dai passaggi e dagli attraversamenti pedonali e da eventuali aree riservate, richiede oltre a un adeguato dimensionamento della geometria della sede, anche una serie di interventi atti a garantire una fluida e sicura continuità della rete stessa. Da un punto di vista funzionale vanno distinte: • aree a prevalente utilizzo veicolare; • aree a prevalente utilizzo pedonale; • aree riservate ai pedoni. Nei primi due casi si tratta di aree o strade in cui la circolazione pedonale coesiste con altre componenti di traffico; le sedi viarie debbono essere organizzate per definire chiaramente gli spazi riservati ai pedoni e quelli ai veicoli. Tale suddivisione va effettuata non solo con la segnaletica stradale ed eventualmente con opportuni delineatori, ma anche con differenti soluzioni di arredo urbano, soprattutto per le pavimentazioni. Particolare attenzione deve essere posta nella realizzazione e segnalazione degli attraversamenti pedonali, in quanto elementi di intersecazione tra la rete di movimento
FIG. G.6.2./2 VISIBILITÀ AGLI ATTRAVERSAMENTI PEDONALI
Lunghezza striscia continua almeno 30 m
Lunghezza commisurata alla visibilit visibilità
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ URBANA E LOCALE
G.6. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
CIRCOLAZIONE PEDONALE DEFINIZIONI FONDAMENTALI Velocità pedonale (m/s): media delle velocità di camminamento dei singoli pedoni. Flusso pedonale (pedoni/minuto): numero di pedoni che transita attraverso un punto del marciapiede nell’unità di tempo. FIG. G.6.2./3 INGOMBRI CINEMATICI
Flusso pedonale per unità di superficie (pedoni/minuto per m): flusso medio di pedoni per unità di larghezza del marciapiede. Densità pedonale (pedoni/mq): valore medio di pedoni presenti per unità di superficie.
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
FIG. G.6.2./4 DISTANZA DI VISUALE LIBERA
0,75 75
1,50 50
Spazio pedonale (mq/pedone): inverso della densità pedonale, indica lo spazio medio a disposizione di ciascun pedone.
CAMMINATA IN PLOTONE 1,8 m
D.GETTAZIONE
CAMMINATA PER COMPERE 3,2 m CAMMINATA NORMALE 5,0 m CAMMINATA DI PIACERE
E.NTROLLO
PRO TTURALE STRU
CO NTALE AMBIE
10,5 m
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
PARAMETRI DELLA PROGETTAZIONE
Parametri antropometrici Al fine di consentire un agevole affiancamento di due pedoni, senza contatto reciproco, è necessario garantire per ciascuno di essi almeno 0,75 m di larghezza, riducibili a 0,55 m nel caso i pedoni che camminino insieme (Fig. G.6.2./3). Parametri ottici In Fig. G.6.2./4 si riportano per diversi scopi dello spostamento, le distanze di visuale libera da garantire al pedone, per consentire uno stato di benessere psicologico. Parametri cinematici La velocità di deambulazione, in condizioni di deflusso libero, può essere posta pari a circa 70 m/minuto per un adulto e a circa 62 m/minuto per un anziano. Parametri di deflusso Analogamente alle altre componenti di traffico, anche per quella pedonale all’aumentare del flusso o della densità, si ha una riduzione della velocità di camminamento e una parallela diminuzione del comfort di movimento. Come relazione funzionale tra i vari parametri, possono adottarsi le curve dell’Highway Capacity Manual (HCM), ricavate da osservazioni sperimentali, per varie categorie di pedoni. Da esse si nota (Figg. G.6.2./5-7) come all’aumentare della densità, diminuisce la velocità media della corrente pedonale, fino ad arrivare, per densità dell’ordine di
Studenti Acquirenti Pendolari
160 140 120 100 80 60 40 20
G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM
0 1
2
3
4
5
DENSITÀ (pedoni/mq) DENSIT
5 pedoni/mq (corrispondenti a 0,2 mq/pedone) a condizioni di instabilità e blocco della circolazione. La capacità (flusso massimo) si ottiene per un intervallo di densità abbastanza modesto (1,2-2,1 pedone/mq). La relazione fondamentale tra densità δ (in pedoni/mq) velocità V (in m/minuto) e flusso φ (in pedoni/minuto x m) è φ = V • δ Analogamente introducendo lo spazio pedonale σ avremo: φ = V / σ
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
FIG. G.6.2./7 RAPPORTO TRA FLUSSO E SPAZIO
FIG. G.6.2./5 RAPPORTO TRA VELOCITÀ E FLUSSO Studenti
160 150 140 130 120 110 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10
Acquirenti Pendolari Limite delle osservazioni
0 20
40 60 80 100 120 140 160 180 200 220 240 260
FLUSSO (pedoni/minuto x metri larghezza marciapiede)
FLUSSO (pedoni/minuto x metri larg.)
VELOCITÀ (metri/minuto) VELOCIT
FIG. G.6.2./6 RAPPORTO TRA VELOCITÀ E DENSITÀ VELOCITÀ (metri/minuto) VELOCIT
Il pedone è sottoposto a una serie di stimoli sensoriali (olfattivi, visivi, auditivi, tattili) nonché a reciproci condizionamenti con gli altri pedoni, che bisogna valutare per una corretta progettazione delle aree da destinare alla circolazione pedonale. Di seguito si indicano i principali parametri che possono essere assunti come riferimento.
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
Studenti Acquirenti Pendolari Limite delle osservazioni Misto urbano
125 100 75
Assumendo una capacit capacità di 83 pedoni/min
50 25
0 1
2
3
4
SPAZIO PEDONALE (mq/pedone)
5
6
7
8
9
2. G.6. ITÀ LE MOBIL A E LOCA N URBA
G 89
G.6. 2.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ URBANA E LOCALE ➦ MOBILITÀ PEDONALE CRITERI DI PROGETTO La larghezza di un camminamento pedonale varia in funzione dello scopo dello spostamento, dell’entità dei flussi previsti, della tipologia e dell’età delle persone che lo percorrono. La larghezza minima può essere determinata sulla base del volume pedonale previsto e del livello di servizio che si vuole garantire, tenendo opportunamente in conto eventuali deviazioni dal comportamento standard sulle quali si basa la determinazione delle curve di deflusso. Inoltre dovranno considerarsi tutte le ostruzioni fisiche (pali della luce, segnali stradali, idranti, parchimetri ecc.) e gli spazi non utilizzati in prossimità del bordo del marciapiede e in aderenza agli edifici che di fatto restringono la sezione utile a disposizione. A tal fine si riporta in Tab. G.6.2./2 l’occupazione media di alcuni elementi normalmente presenti nell’arredo urbano dei marciapiedi. Si può assumere come standard di progetto una larghezza minima netta per i marciapiedi pari a 4,00 m sulle strade di quartiere e 3,00 sulle altre strade, a eccezione delle strade locali in aree residenziali a bassa densità insediativa dove può assumersi una larghezza di 1,50 m. Nella città preesistente andrebbe garantito almeno una larghezza minima assoluta lorda di 2,00 m, in modo tale che in presenza di riseghe del marciapiede per l’alloggiamento dei cassonetti, venga garantito in corrispondenza di tali ostacoli almeno lo spazio per il transito alternato dei pedoni in opposto senso di marcia. Inoltre con tale dimensione potranno realizzarsi sia scivoli per disabili in corrispondenza di attraversamenti pedonali, sia rampe per i veicoli in corrispondenza dei passi carrabili. In presenza di alberi, anche in considerazione che essi generalmente delimitano itinerari pedonali frequentati, tale minimo assoluto lordo sale a 2,50 m, in modo tale da consentire almeno a una coppia di pedoni in passeggiata il loro deflusso continuo. In presenza poi di attività commerciali quasi continue lungo l’isolato, cioè con fronte espositivo maggiore del 60% della lunghezza dell’isolato, è opportuno che le larghezze minime lorde del marciapiede salgono a 3,00 m, sia in presenza che in assenza di alberi, al fine di lasciare spazio sufficiente (quasi 1,00 m) anche per i pedoni fermi a osservare le vetrine. Infine per quanto attiene agli “ostacoli” rappresentati dai pedoni in sosta alle fermate dei mezzi pubblici, occorre evitare il posizionamento delle fermate in corrispondenza
delle riseghe dei cassonetti, delle aiuole degli alberi e delle vetrine dei negozi; qualora necessario potrà prevedersi l’ampliamento trasversale dei marciapiedi ottenuto a discapito degli spazi per la sosta veicolare eventualmente presente. Quando i flussi pedonali totali (somma dei 2 sensi di marcia) in transito nell’ora di punta, superano 2000 pedoni/ora, le larghezze minime lorde indicate (2,00 m in assenza di particolari ostacoli, 2,50 m in presenza di alberi e 3,00 m in presenza di negozi), vanno eventualmente incrementate per realizzare una corsia di marcia pedonale della larghezza di 0,75 m ogni ulteriori 1000 pedoni/ora.
TAB. G.6.2./2 INGOMBRI DI ALCUNI “OSTACOLI” SUL MARCIAPIEDE OSTACOLO
INGOMBRO DA CONSIDERARE (in m)
Pali della luce
0,75-1,05
Segnali stradali
0,6-0,75
Cabine telefoniche Cestini portarifiuti Idranti Panchine
1,2 0,9 0,7-0,9 1,5
Alberi
0,6-1,2
Scale di accesso metropolitana
1,6-2,0
LIVELLI DI SERVIZIO L’esistenza di una relazione funzionale tra flussi, densità e velocità pedonale ci permette di definire, riferiti al funzionamento dell’infrastruttura pedonale, dei Livelli di Servizio (L.d.S.) che tengano conto dell’insorgere dei fenomeni di mutuo condizionamento nella corrente pedonale, con conseguente diminuzione del comfort, delle velocità e
dello spazio per pedone. Il criterio su cui si basa la definizione di un L.d.S. è di stabilire degli intervalli delle principali variabili di deflusso che individuino una scala qualitativa percepita dal pedone. L’HCM propone come parametro fondamentale, a cui gli altri sono correlati tramite le funzioni di deflusso, i valori della spazio pedonale (Tab. G.6.2./3).
TAB. G.6.2./3 LIVELLI DI SERVIZIO PER IL DEFLUSSO PEDONALE
G 90
LIVELLO DI SERVIZIO A Spazio pedonale > = 11,7 mq per pedone Flusso < = 6,5 ped / (min*ml) Condizione di deflusso: I pedoni camminano senza intralcio reciproco. Ognuno è libero di mantenere la velocità velocit desiderata.
LIVELLO DI SERVIZIO D Spazio pedonale > = 1,4 mq per pedone Flusso < = 49 ped /(min*ml) (min*ml) Condizione di deflusso: La libert libertà di movimento è influenzata dallo spazio che crea intralcio e repentine variazioni di traiettorie. La velocit velocità e il sorpasso sono limitate. Il deflusso è abbastanza regolare.
LIVELLO DI SERVIZIO B Spazio pedonale > = 3,6 mq per pedone Flusso < = 23 ped / (min*ml) Condizione di deflusso: Lo spazio disponibile rende possibile ai pedoni di sorpassarsi e mantenere la propria velocità. velocit . Le direzioni vengono scelte facendo attenzione alle altre persone.
LIVELLO DI SERVIZIO E Spazio pedonale > = 0,5 mq per pedone Flusso < = 82 ped /(min*ml) (min*ml) Condizione di deflusso: I movimenti sono sempre pi più difficoltosi i pedoni variano continuamente le traiettorie, sono fortemente vincolati nella scelta della velocità.. Vi sono continui intralci e interruzioni velocit del flusso. Si è prossimi alla capacit capacità..
LIVELLO DI SERVIZIO C Spazio pedonale > = 2,2 mq per pedone Flusso < = 33 ped / (min*ml) Condizione di deflusso: Nei flussi unidirezionali lo spazio influenza la velocità velocit ed il sorpasso. Nei flussi bidirezionali i pedoni si incrociano creando piccoli intralci e rallentando la camminata.
LIVELLO DI SERVIZIO F Spazio pedonale > = 0,5 mq per pedone Flusso variabile Condizione di deflusso: Il deflusso è molto irregolare ci sono continui contatti tra pedoni. L L’inversione inversione e l'attraversamento sono impossibili. Il sorpasso solo con un contatto stretto col vicino. In tale condizione i pedoni sono accodati.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ URBANA E LOCALE
A.ZIONI
PISTE CICLABILI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
INSERIMENTO DELLA BICICLETTA NEL TRAFFICO URBANO L’utilizzazione della bicicletta come mezzo di trasporto urbano è particolarmente conveniente per spostamenti brevi su percorsi caratterizzati da deboli pendenze longitudinali. Risulta, comunque, necessario tutelare gli utenti di questo mezzo, che si presentano in condizioni
di particolare vulnerabilità, dalla possibilità di incidenti con altri mezzi stradali. Da qui la possibilità di realizzare itinerari ciclabili dove sia garantita la sicurezza dei ciclisti. Attualmente, dal punto di vista legislativo, il progettista deve in primo
luogo fare riferimento sia al vigente Codice della strada, sia al decreto 30 novembre 1999, n.557 del Ministero dei lavori pubblici (“Regolamento recante norme per la definizione delle caratteristiche tecniche delle piste ciclabili”).
3,5
3,5
1,5
4
MARCIAPIEDE
PISTA CICLABILE
SPARTITRAFFICO INVALICABILE
CORSIA DI MARCIA
CORSIA DI MARCIA
PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE ICHE TECN MA ONENTI, P COM
4
3,5
3,5
1,5
0,5
4
0,5
G.ANISTICA URB
4
3,5
3,5
1,5
4
MARCIAPIEDE
PISTA CICLABILE
CORSIA DI MARCIA
MARCIAPIEDE
MARCIAPIEDE
MARCIAPIEDE
PISTA CICLABILE
CORSIA DI MARCIA
FIG. G.6.2./9 PISTA CICLABILE SU CORSIA RISERVATA RICAVATA DALLA CARREGGIATA STRADALE
4
3,5
3,5
1,5
4
0,54
1,5
4
• sulle autostrade, extraurbane e urbane, e sulle strade extraurbane principali, la circolazione ciclistica è vietata, ai sensi dell’articolo 175 del Codice della strada, e da indirizzare sulle relative strade di servizio; • sulle strade extraurbane secondarie e sulle strade urbane di scorrimento le piste ciclabili – ove occorrano – devono essere realizzate in sede propria,
4
1,5
MARCIAPIEDE
3,5
PISTA CICLABILE
3,5
SPARTITRAFFICO INVALICABILE
CORSIA DI MARCIA
3,5
MARCIAPIEDE
PISTA CICLABILE
3,5
G.2. À URBANA REALT
LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN
FIG. G.6.2./10 PISTA CICLABILE SU CORSIA RISERVATA RICAVATA SU MARCIAPIEDE
4
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
G.3. À REALT ORIALE TERRIT
0,54
0,5
In ambito urbano la circolazione ciclistica va indirizzata prevalentemente su strade locali e, laddove sia previsto che si svolga con una consistente intensità su strade della rete principale, la stessa va adeguatamente protetta attraverso la realizzazione di piste ciclabili. In generale e con riferimento specifico alla tipologia delle strade indicata nel Codice della strada, è da osservare che:
MARCIAPIEDE
MARCIAPIEDE
MARCIAPIEDE 4
D.GETTAZIONE
F. TERIALI,
CORSIA DI MARCIA
Salvo casi particolari, per i quali occorre fornire specifica dimostrazione di validità tecnica ai fini della sicurezza stradale, in special modo in riferimento alla conflittualità su aree d’intersezione, non è consentito l’uso di piste ciclabili a doppio senso di marcia su corsie riservate ubicate sulla carreggiata stradale.
PISTA CICLABILE
MARCIAPIEDE
Possono comunque sussistere piste ciclabili formate da due corsie riservate contigue nei seguenti casi: • sulle strade pedonali, qualora l’intensità del traffico ciclistico in rapporto a quello pedonale ne richieda la realizzazione; in tale caso si tratta di corsie di opposto senso di marcia ubicate in genere al centro della strada; • sulla carreggiata stradale, qualora l’intensità del traffico ciclistico ne richieda la realizzazione; tali corsie, dello stesso senso di marcia, sono ubicate a destra rispetto alla contigua corsia destinata ai veicoli a motore. Il traffico ciclistico può essere considerato intenso quando il suo flusso risulti superiore alle 2000 unità/ora, per almeno 2 periodi di punta non inferiori a 15 minuti.
I ED PRE NISM ORGA
E ESE ESSIONAL PROF
FIG. G.6.2./8 PISTA CICLABILE SU SEDE PROPRIA
MARCIAPIEDE
La pista ciclabile è la parte longitudinale della strada, opportunamente delineata, riservata alla circolazione dei velocipedi. Essa può essere realizzata: • su sede propria, a senso di marcia unico o doppio, quando la sua sede sia separata fisicamente da quella destinata ai veicoli a motore e ai pedoni. La separazione deve essere realizzata attraverso idonei spartitraffico longitudinali fisicamente invalicabili (vedi Fig. G.6.2./8); • su corsia riservata, ricavata dalla carreggiata stradale, a senso di marcia unico, concorde a quello della contigua corsia destinata ai veicoli a motore e ubicata di norma in destra rispetto a quest’ultima, quando l’elemento di separazione sia valicabile essendo costituito essenzialmente da una striscia di demarcazione longitudinale o da delimitatori di corsia (vedi Fig. G.6.2./9); • su corsia riservata, ricavata dal marciapiede, a senso di marcia unico o doppio, qualora l’ampiezza ne consenta la realizzazione senza pregiudizio per la circolazione dei pedoni e sia ubicata sul lato adiacente alla carreggiata stradale (vedi Fig. G.6.2./10).
B.STAZIONI DILEGIZLII C.RCIZIO
DEFINIZIONI Gli itinerari ciclabili si identificano con i percorsi stradali utilizzati dai ciclisti, sia in sede riservata (pista ciclabile in sede propria o su corsia riservata) sia in sede a uso promiscuo con pedoni (percorso pedonale e ciclabile) o con veicoli a motore (su carreggiata stradale). Gli itinerari ciclabili, posti all’interno del centro abitato o di collegamento con centri abitati limitrofi, possono essere classificati (in ordine decrescente rispetto al grado di sicurezza offerto all’utente ciclista): • pista ciclabile in sede propria; • pista ciclabile su corsia riservata; • percorso promiscuo pedonale e ciclabile; • percorso promiscuo ciclabile e veicolare.
G.6. 2.
G.6. ITÀ MOBIL
4
0,5
salvo i casi nei quali i relativi percorsi protetti siano attuati sui marciapiedi; • sulle strade urbane di quartiere e sulle strade locali extraurbane, le piste ciclabili possono essere realizzate oltre che in sede propria, anche su corsie riservate; • sulle strade locali urbane, le piste ciclabili – ove occorrano – devono essere sempre realizzate su corsie riservate.
2. G.6. ITÀ LE MOBIL A E LOCA N URBA
G 91
G.6. 2.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ URBANA E LOCALE ➦ PISTE CICLABILI STANDARD GEOMETRICI DI PROGETTO Per la progettazione degli itinerari ciclabili devono essere tenuti presenti, in particolare, i seguenti elementi: • nelle opere di piattaforma stradale: la regolarità delle superfici ciclabili, gli apprestamenti per le intersezioni a raso e gli eventuali sottopassi o sovrappassi compresi i loro raccordi, le sistemazioni a verde, le opere di raccolta delle acque meteoriche anche con eventuali griglie, purché quest’ultime non determinino difficoltà di transito per i ciclisti ecc.; • nella segnaletica stradale: oltre ai tradizionali cartelli (segnaletica verticale), le strisce, (segnaletica orizzontale) e gli impianti semaforici, le indicazioni degli attraversamenti ciclabili, le colonnine luminose alle testate degli elementi spartitraffico fisicamente invalicabili, i delineatori di corsia ecc.; • nell’illuminazione stradale: gli impianti speciali per la visualizzazione notturna degli attraversamenti a raso, che devono tener conto delle alberature esistenti in modo da evitare zone d’ombra ecc.; • nelle attrezzature: le rastrelliere per la sosta dei velocipedi e, specialmente sulle piste a utilizzazione turistica, panchine e zone d’ombra preferibilmente arboree, fontanelle di acqua potabile ogni 5 km di pista, punti telefonici o in alternativa indicazione dei punti più vicini ecc.
FIG. G.6.2./11 SEGNALETICA ORIZZONTALE: STRISCIA DI MARGINE DI DELIMITAZIONE DELLA CORSIA RISERVATA E SIMBOLO BICICLETTA
SEZIONE TRASVERSALE
FIG. G.6.2./12 RAPPORTO TRA LUNGHEZZA DELLA LIVELLETTA E PENDENZA
VELOCITÀ DI PROGETTO La velocità di progetto, a cui correlare in particolare le distanze di arresto e quindi le lunghezze di visuale libera, deve essere definita per ciascun tronco delle piste ciclabili, tenuto conto che i ciclisti in pianura procedono in genere a una velocità di 20-25 km/h e che in discesa con pendenza del 5% possono raggiungere velocità anche superiori a 40 km/h. Nella valutazione delle distanze di arresto si deve tenere conto di un tempo di percezione e decisione variabile tra un minimo, pari ad un secondo, per le situazioni urbane, e un massimo di 2,5 secondi per le situazioni extraurbane, nonché di un coefficiente di aderenza longitudinale da relazionare al tipo di pavimentazione adottata e, comunque, non superiore a 0,35. ALTIMETRIA Particolare importanza deve essere data allo studio dell’andamento altimetrico del tracciato. Nella Fig. G.6.2./12, tratta dalla normativa olandese e inglese, viene riportata la relazione ottimale tra la lunghezza della livelletta e la sua pendenza. In Italia la norma prevede che, nel caso di realizzazione di piste ciclabili in sede propria, indipendenti dalle sedi viarie destinate ad altri tipi di utenza stradale, la pendenza longitudinale delle singole livellette non può generalmente superare il 5%, fatta eccezione per le rampe degli attraversamenti ciclabili a livelli sfalsati, per i quali può adottarsi una pendenza massima fino al 10%. Ai fini dell’ampia fruibilità delle piste ciclabili da parte della relativa utenza, la pendenza longitudinale media delle piste medesime, valutata su basi chilometriche, non deve superare il 2% salvo deroghe documentate da parte del progettista e purché sia in ogni caso garantita la piena fruibilità da parte dell’utenza prevista. Tali valori di pendenza longitudinale massima (media e puntuale) devono essere utilizzati anche come riferimento sostanziale per l’individuazione dei percorsi di piste ciclabili da realizzare su strade destinate prevalentemente al traffico veicolare o in adiacenza alle stesse. PLANIMETRIA La normativa italiana prevede che i raggi di curvatura orizzontale lungo il tracciato delle piste ciclabili devono essere commisurati alla velocità di progetto prevista e, in genere, devono risultare superiori a 5,00 m (misurati dal ciglio interno della pista); eccezionalmente, in aree di intersezione e in punti particolarmente vincolati, detti raggi di curvatura possono essere ridotti a 3,00 m, purché venga rispettata la distanza di visuale libera e la curva venga opportunamente segnalata, specialmente nel caso e nel senso di marcia rispetto al quale essa risulti preceduta da una livelletta in discesa. Il raggio di curvatura minimo in funzione della velocità di progetto può ricavarsi con la seguente formula empirica: R = 0,238 V + 0,41 dove R è espresso in metri e V in km/h.
G 92
CORSIA RISERVATA
12 cm
STRISCIA CONTINUA GIALLA cm 30
1,05 m 2,00 m
CODICE DELLA STRADA: Fig. II 442/b, 442/b, art.148 art.148 – Simboli sulla pavimentazione
12 cm
10
NORME INGLESI NORME OLANDESI PENDENZA DELLA PISTA CICLABILE ((%))
La larghezza di una corsia ciclabile va determinata tenendo conto degli ingombri dei ciclisti e della bicicletta, nonché dello spazio per l’equilibrio e di un opportuno franco laterale libero da ostacoli. Le norme stabiliscono una larghezza minima della corsia ciclabile, compersa la striscia di margine, di 1,50 m riducibile a 1,25 m nel caso di due corsie contigue, dello stesso od opposto senso di marcia. Per le piste ciclabili in sede propria e per quelle su corsie riservate, la larghezza della corsia ciclabile può essere eccezionalmente ridotta fino a 1,00 m, purché questo valore venga adottato per una limitata lunghezza dell’itinerario ciclabile e tale circostanza sia opportunamente segnalata. Le larghezze indicate rappresentano i minimi inderogabili per le piste sulle quali è prevista la circolazione solo di velocipedi a due ruote. Per le piste sulle quali è ammessa la circolazione di velocipedi a tre o più ruote, tali dimensioni devono essere opportunamente adeguate tenendo conto dei limiti dimensionali dei velocipedi fissati dall’art.50 del Codice della strada. Qualora sia prevista la sede propria, la larghezza dello spartitraffico fisicamente invalicabile che separa la pista ciclabile dal lato della carreggiata percorsa dai veicoli a motore, non deve risultare inferiore a 0,50 m. Nel caso di corsia riservata il limite invalicabile può essere rappresentato dalla segnaletica orizzontale costituita da due strisce continue affiancate, una bianca di 12 cm di larghezza e una gialla di 30 cm, distanziate tra di loro di 12 cm. La striscia gialla deve essere posta sul lato della pista ciclabile. Inoltre vanno realizzati sulla corsia ciclabile i simboli della bicicletta in bianco ripetuti periodicamente (vedi Fig. G.6.2./11) o, in alternativa, occorre evidenziare la pavimentazione con una colorazione differente (generalmente rossa).
0,80 - 1,50 m
8
6
MASSIMO ASSOLUTO 4
2 MASSIMO CONSIGLIATO
100
200
300
400
SVILUPPO TRATTI IN PENDENZA ((m)
Il sovralzo in curva deve essere commisurato alla velocità di progetto e al raggio di curvatura adottato, tenuto conto sia di un adeguato coefficiente di aderenza trasversale, sia del fatto che per il corretto drenaggio delle acque superficiali è sufficiente una pendenza trasversale pari al 2%, con riferimento a pavimentazioni stradali con strato di usura in conglomerato bituminoso. Ferme restando le limitazioni valide per tutti i veicoli, comprese quelle inerenti a particolari zone di aree urbane (ad esempio zone con limite di velocità di 30 km/h), specifiche limitazioni di velocità, per singoli tronchi di piste ciclabili, dovranno essere adottate in tutti quei casi in cui le caratteristiche plano-altimetriche del tracciato possono indurre situazioni di pericolo per i ciclisti, specialmente se sia risultato impossibile rispettare i criteri e gli standard progettuali precedentemente indicati (per strettoie, curve a raggio minimo precedute da livellette in discesa ecc.). PARTICOLARI COSTRUTTIVI Elementi di separazione Gli elementi di separazione possono essere posti: • tra percorso ciclabile e corsia veicolare; • tra percorso ciclabile e marciapiede; • per delimitare la pista ciclabile in area pedonale. Inoltre occorre distinguere se gli elementi da separare sono posti allo stesso livello oppure sono sfalsati. La normativa vigente considera i separatori solo dal punto di vista della invalicabilità; ulteriori elementi di scelta possono essere la sicurezza complessiva del ciclista, la protezione dall’inquinamento, la minimizzazione dell’intrusione visiva, il confort e la qualità complessiva dell’ambiente urbano. I tipi di separatori utilizzabili più comunemente possono essere: • paracarri in materiale lapideo o cementizio; posti in opera con un opportuno interasse evitano l’effetto barriera e si prestano ad un migliore inserimento ambientale; • parapedonali metallici; nella posa in opera deve prevedersi un opportuno franco per evitare interferenze con il manubrio e i pedali del velocipede;
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ URBANA E LOCALE
G.6. 2. A.ZIONI
FIG. G.6.2./14 STALLI PER SOSTA DI BICICLETTE
1,50 50
I ED PRE NISM ORGA
0,70 70
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF 25 °
0,90 90 0,90 90
Caditoie La forma e la posizione delle caditoie per il deflusso delle acque meteoriche deve tenere conto oltre dei fattori idraulici ed economici del confort e della sicurezza del ciclista. Le dimensioni delle caditoie ad eccezione di quelle “a bocca di lupo” non devono rientrare nello spazio destinato alla circolazione delle biciclette a meno di utilizzate opportuni accorgimenti tecnici che riducano le interferenze. Le eventuali griglie devono essere posizionate ortogonalmente alla direzione di marcia.
SCELTA DEI SENSI DI MARCIA
SEGNALETICA
FIG. G.6.2./15 SCHEMA DEI POSSIBILI SENSI DI MARCIA
1,90
1,75
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
Al fine di garantire la circolazione di sicurezza non viene consentita la possibilità di far circolare le bici in senso contrario nelle strade a senso unico. Nella Fig. G.6.2./15 si riporta per le diverse tipologie di piste ciclabili i sensi di circolazione consentiti.
La segnaletica orizzontale e verticale ha il compito di rendere più sicuro l’itinerario ciclabile e di favorirne l’utilizzazione. In Fig. G.6.2./13 si riporta una selezione dei segnali previsti nel Codice della strada specificatamente per la circolazione ciclabile. FIG. G.6.2./13 SEGNALETICA RELATIVA ALLA CIRCOLAZIONE CICLABILE
B.STAZIONI DILEGIZLII
0,60 60 45 °
• guardrail metallici; pur costituendo un elemento efficace per la separazione sono di difficile inserimento in ambito urbano e presenta superfici potenzialmente pericolose per il ciclista, che vanno opportunamente protette; • barriere in calcestruzzo (tipo new-jersey); efficaci dal punto di vista della separazione costituisce una barriera per il pedone e per le acque che devono essere accortamente canalizzate; • siepi o vasi di fiori; garantiscono al ciclista uno schermo per le sostanze inquinamenti e costituisce solitamente un elemento di decoro e di arredo urbano, pur richiedendo una onerosa manutenzione; • filare di alberi; realizza una zona di ombreggiatura che aumenta il confort del ciclista, ma occorre effettuare una manutenzione accurata ed evitare la presenza di radici affioranti sulla pavimentazione.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
UNA CORSIA
DUE CORSIE
PISTA CICLABILE IN SEDE PROPRIA SU CARREGGIATA STRADALE carreggiata marc.
carreggiata marc.
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
CONSENTITO
Fig. II 88 Percorso pedonale
Fig. II 89 Fine del percorso pedonale
Fig. II 90 Pista ciclabile
CONSENTITO
CONSENTITO
Fig. II 91 Fine pista ciclabile CONSENTITO
CONSENTITO
PISTA CICLABILE IN SEDE PROPRIA SU MARCIAPIEDE carreggiata marc. Fig. II 92/a Pista ciclabile contigua al marciapiede
Fig. II 93/a Fine della pista ciclabile contigua al marciapiede
Fig. II 92/b Percorso pedonale e ciclabile
Fig. II 93/b Fine del percorso pedonale e ciclabile
CONSENTITO
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
carreggiata marc.
G.3. À REALT ORIALE TERRIT
CONSENTITO
CONSENTITO
CONSENTITO
Fig. II 339 Uso corsie
Fig. II 340 Uso corsie
Segnale composito Fig. II 46 Divieto di transito Modello II 4/b Eccezione
CONSENTITO
LI G.4. E E VINCO NORM
CONSENTITO
PISTA CICLABILE IN SEDE RISERVATA SU CARREGGIATA carreggiata marc.
G.2. À URBANA REALT
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN carreggiata marc.
G.6. ITÀ MOBIL
CONSENTITO
VIETATO
VIETATO
Fig. II 437 Attraversamenti ciclabili
Fig. II 427/b Strisce che delimitano piste ciclabili
Segnale composito Fig. II 46 Divieto di transito Modello II 4/b Eccezione
DIMENSIONAMENTO DELLE AREE DI SOSTA PER BICICLETTE Nel progetto delle aree destinate alla sosta per biciclette, occore tenere conto dei seguenti fattori: • localizzazione: preferibilmente in prossimità di nodi di scambio modale o di forti poli attrattori di traffico; • inserimento ambientale: è necessario prevedere una corretta integrazione estetica e funzionale con gli altri elementi di arredo; • gestione: gli spazi vanno opportunamente mantenuti e controllati anche per evitare furti. In Fig. G.6.2./14 sono riportati gli ingombri dei velocipedi per diverse disposizioni di sosta.
VIETATO
PISTA CICLABILE IN SEDE RISERVATA SU MARCIAPIEDE carreggiata marc. CONSENTITO
carreggiata marc.
NON PREVISTA MA NON VIETATA CONSENTITO
NON PREVISTA MA NON VIETATA
NON PREVISTA MA NON VIETATA
2. G.6. ITÀ LE MOBIL A E LOCA N URBA
G 93
G.6. 2.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ URBANA E LOCALE ➦ PISTE CICLABILI PUNTI DI CONFLITTO CON IL TRAFFICO VEICOLARE Punti di conflitto fra le correnti di traffico veicolare e le biciclette che percorrono itinerari ciclabili si presentano a ogni intersezione. Il Codice della strada italiano prevede, inoltre, un’opportuna organizzazione della segnaletica orizzontale da attuarsi per gli attraversamenti ciclabili, costituita da due strisce bianche discontinue trasversali od oblique, eventualmente precedute da una striscia gialla a zig zag di presegnalazione posta sui due lati esterni della carreggiata (vedi Fig. G.6.2./16). Tale striscia, su cui deve essere vietata la sosta, garantisce anche una migliore visibilità dell’attraversamento da parte dei ciclisti. Una soluzione più costosa (da valutare in presenza dei forti flussi) potrà essere costituita da un’intersezione a livelli sfalsati. In questo caso sarà la pista ciclabile a sottopassare la carreggiata stradale: in questa maniera, oltre a costruire un’opera con i minori franchi verticali, si offrirà ai ciclisti la possibilità di sfruttare l’energia cinetica accumulata nel tratto di discesa per poter superare la successiva salita. Le raccoman-
dazioni fornite dal ministero dei trasporti britannico, più restrittive rispetto alla normativa italiana, consigliano una pendenza ideale delle rampe del 3% e un’altezza minima di 2,40 m per sottopassi di sviluppo inferiore ai 25 m e di 2,70 m per lunghezze superiori. Particolare attenzione va posta nella progettazione degli itinerari in prossimità delle intersezioni tenendo conto che le svolte a sinistra dei ciclisti e a destra degli autoveicoli causano la maggiore quantità di incidenti. In ogni caso gli attraversamenti delle carreggiate stradali da parte dei ciclisti vengono effettuate con le stesse modalità seguite dall’utenza pedonale. Negli attraversamenti degli incroci semaforizzati è opportuno realizzare l’attraversamento ciclabile affiancato a quello pedonale esistente, possibilmente aumentandone la visibilità con una idonea colorazione della pavimentazione. Nelle Figg. G.6.2./17-18-19 si riportano alcuni esempi di risoluzione di intersezioni in presenza di piste ciclabili.
FIG. G.6.2./16 ATTRAVERSAMENTO CICLABILE
FIG. G.6.2./17 RISOLUZIONE DI SVOLTA A SINISTRA DIRETTA IN UN INCROCIO SEMAFORIZZATO
FIG. G.6.2./18 SVOLTA INDIRETTA A SINISTRA
FIG. G.6.2./19 SISTEMAZIONE IN UN INCROCIO NON SEMAFORIZZATO
STOP
G 94
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ URBANA E LOCALE
G.6. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
PERCORSI PROMISCUI Percorsi promiscui pedonali e ciclabili I percorsi promiscui pedonali e ciclabili, identificabili con la figura Il 92/b del Codice della strada (vedi Fig. G.6.2./13), sono realizzati, di norma, all’interno di parchi o di zone a traffico prevalentemente pedonale, nel caso in cui l’ampiezza della carreggiata o la ridotta entità del traffico ciclistico non richiedano la realizzazione di specifiche piste ciclabili. I percorsi promiscui pedonali e ciclabili possono essere altresì realizzati, previa apposizione della suddetta segnaletica, su parti della strada esterne alla carreggiata, rialzate o altrimenti delimitate e protette, usualmente destinate al pedoni, qualora le stesse parti della strada non abbiano dimensioni sufficienti per la realizzazione di una pista ciclabile e di un contiguo percorso pedonale e gli stessi percorsi si rendano necessari per dare continuità alla rete di itinerari ciclabili programmati. In tali casi, si ritiene opportuno che la parte della strada che si intende utilizzare quale percorso promiscuo pedonale e ciclabile abbia: • larghezza adeguatamente incrementata rispetto ai minimi fissati per le piste ciclabili; • traffico pedonale ridotto e assenza di attività attrattrici di traffico pedonale quali itinerari commerciali, insediamenti ad alta densità abitativa ecc.
Percorsi promiscui veicolari a motore e ciclabili I percorsi ciclabili su carreggiata stradale, in promiscuo con i veicoli a motore, rappresentano la tipologia di itinerari a maggiore rischio per l’utenza ciclistica e pertanto gli stessi sono ammessi per dare continuità alla rete di itinerari prevista dal piano della rete ciclabile, nelle situazioni in cui non sia possibile, per motivazioni economiche o di insufficienza degli spazi stradali, realizzare piste ciclabili. Per i suddetti percorsi è necessario intervenire con idonei provvedimenti (interventi sulla sede stradale, attraversamenti pedonali rialzati, istituzione delle isole ambientali previste dalle direttive ministeriali 24 giugno 1995, rallentatori di velocità – in particolare del tipo a effetto ottico e con esclusione dei dossi – ecc.) che comunque puntino alla riduzione dell’elemento di maggiore pericolosità rappresentato dal differenziale di velocità tra le due componenti di traffico, costituite dal velocipedi e dai veicoli a motore.
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
CO NTALE AMBIE
È possibile dividere i sistemi di trasporto pubblico urbano su rotaia in due categorie fondamentali: quelli per i quali è esclusa ogni interferenza con i mezzi su gomma, e quelli per i quali è possibile l’utilizzazione di una sede promiscua, pavimentata, o, almeno intersezioni a raso con i flussi veicolari. Si parla nel primo caso, di metropolitane e metropolitane leggere, e di tranvie e tranvie protette nel secondo caso.
METROPOLITANE Una metropolitana non differisce, sostanzialmente, da una vera e propria linea ferroviaria con sviluppo integralmente urbano. Gli elementi che portano una linea di questo tipo a essere definita come “metropolitana” sono di tipo funzionale, e possono essere identificati in:
FIG. G.6.2./20 FASE PRELIMINARE DI STUDIO DI UNA LINEA METROPOLITANA
1. il segnalamento, che deve essere particolarmente sofisticato, e deve garantire intervalli fra i passaggi dei convogli intorno ai 180 sec nelle ore di punta, e anche meno; 2. la struttura del materiale rotabile che, pur rimanendo tipicamente ferroviaria, deve garantire un’alta capacità (indicativamente, 200 passeggeri/vettura), bassi tempi di incarrozzamento (quindi salita e discesa a raso, senza gradini, e presenza di molte porte) e accelerazioni e decelerazioni alte, compatibilmente con le esigenze di sicurezza e di comfort dei passeggeri (1-1,2 m/sec 2) 3. la distanza fra le stazioni, che, per garantire un’accessibilità adeguata all’infrastruttura, può scendere al valore di poche centinaia di metri (generalmente, però, mai al di sotto di 400 m).
SCELTA DEI SISTEMI COSTRUTTIVI
SCELTE GENERALI DI PIANO
PORTATE DI TRAFFICO
I problemi di inserimento delle metropolitane in tessuti urbani preesistenti hanno sempre portato a sviluppare prevalentemente questo tipo di infrastrutture in sotterraneo. Non si deve, però, commettere l’errore di identificare questo aspetto come peculiare di una metropolitana; nel passato specialmente negli USA e in aree urbane decentrate, dove non vi erano problemi di inserimento estetico-ambientale, si è spesso preferita la soluzione su via sopraelevata, con evidente riduzione dei costi di costruzione.
Le metropolitane sono strutture di trasporto estremamente complesse. Anche se il loro iter progettuale segue le fasi classiche (preliminare, di massima, esecutiva ecc.) di ogni opera architettonica o di ingegneria, è bene precisare che già l’approccio preliminare richiede uno studio particolarmente sofisticato, basato sul flussogramma di Fig. G.6.2./20. Il piano generale dei trasporti dell’area interessata dall’intervento è un input esterno al progetto vero e proprio; da esso deve prendere le mosse la scelta di procedere o meno alla realizzazione di una metropolitana. Le altre fasi circondate dal tratteggio in Fig. G.6.2./20 sono estremamente delicate, e sono caratterizzate da una forte interdipendenza reciproca fra l’infrastruttura civile, gli impianti tecnologici e quelli ferroviari. Una sottovalutazione di queste interdipendenze porta, naturalmente, a ritardi nell’esecuzione delle opere e ad aggravi nei costi di gestione e manutenzione dell’infrastruttura una volta che questa entra in esercizio. Per esempio, un problema che riguarda il rapporto fra l’architettura delle stazioni e il dimensionamento degli impianti tecnici, che deve essere affrontato anche in fase preliminare, è quello della ventilazione delle stazioni. Al contrario di quello che avviene nei normali edifici civili, gli impianti di ventilazione devono essere in grado di asportare il calore generato dal moto dei treni e degli impianti fissi.
I ED PRE NISM ORGA
E.NTROLLO
SISTEMI URBANI A GUIDA VINCOLATA
IMPOSTAZIONE GENERALE DEL PROGETTO DI UNA METROPOLITANA
B.STAZIONI DILEGIZLII
Come ordine di grandezza, si consideri che per 1 km di linea, con treni a intervalli di 2 min, si possono avere 1,6 • 10 6 Kcal/ora e oltre. STRUTTURA DELLE GALLERIE La costruzione di gallerie in ambito urbano è caratterizzata dalla presenza di vincoli importanti. In sostanza si tratta di: 1. sottoservizi: acqua, gas, fogne, elettricità, telecomunicazioni; 2. edifici sovrastanti: la costruzione di gallerie altera quasi sempre l’equilibrio geotecnico, con inevitabili cedimenti delle fondazioni delle strutture interessate da tale alterazione; 3. nelle città italiane, presenza di vincoli archeologici. Inoltre si devono tenere presenti anche le limitazioni che si hanno, in fase di costruzione, alla libera circolazione di mezzi e pedoni in superficie. Le soluzioni tecniche proponibili sono infinite, ma è possibile farle rientrare in due categorie principali: 1. gallerie scavate in superficie; 2. gallerie scavate in profondità, a foro cieco. Nel primo caso la galleria non è altro che una struttura scatolare realizzata entro una trincea scavata a cielo aperto. Le gallerie superficiali, quindi, devono obbligatoriamente ricadere sull’asse delle grandi vie cittadine, e si pone sempre il problema dello spostamento e della riorganizzazione dei sottoservizi (Fig. G.6.2./21).
SCELTA TRACCIATO
PROGRAMMA DI ESERCIZIO
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
SCELTA MATERIALE ROTABILE SCELTA DELLA COMPOSIZIONE DEI TRENI
F. TERIALI,
G.2. À URBANA REALT CALCOLO COSTI DELL'OPERA
DIAGRAMMA DI MARCIA
G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM
SISTEMA DI DISTANZIAMENTO DEI TRENI
Preferibilmente la via di corsa è realizzata con una sede unica per il doppio binario, che corre a una profondità di 8-10 m (Fig. G.6.2./22). Un altro svantaggio presentato dalle gallerie superficiali è quello di offrire un maggiore intralcio alla circolazione in superficie durante la fase di apertura del cantiere rispetto alle gallerie profonde. Si hanno i vantaggi di tempi di realizzazione più brevi e di costi di costruzione inferiori. Quest’ultimo aspetto, però, andrebbe sempre verificato tenendo presenti i maggiori oneri subiti dalla collettività durante le fasi realizzative. Le gallerie profonde, scavate a foro cieco, sono realizzate utilizzando scudi meccanici; in genere si preferisce, in questo caso, sdoppiare la linea in due gallerie a singolo binario (Fig. G.6.2./23), allo scopo di contenere l’entità di una sezione scavata una sola volta. Gli scudi meccanici sono macchine composte essenzialmente da tre parti: • la testa, dove trovano alloggiamento i mezzi di scavo; • il corpo, dove hanno sede i comandi e altri organi di servizio; • la coda, dove avviene la posa in opera del rivestimento. Il tutto è racchiuso in un involucro cilindrico (camicia) la cui lunghezza è, grosso modo, uguale al diametro della galleria che viene scavata. Lo scudo, inoltre, è servito da un lungo carrello, il cui compito è quello di alloggiare i vari servizi, provvedere all’allontanamento del materiale proveniente dagli scavi, ricevere il rivestimento prefabbricato e alloggiare le macchine occorrenti per le iniezioni a tergo del rivestimento.
➥
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
2. G.6. ITÀ LE MOBIL A E LOCA N URBA
G 95
G.6. 2.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ URBANA E LOCALE ➦ SISTEMI URBANI A GUIDA VINCOLATA ➦ METROPOLITANE STRUTTURA DELLE STAZIONI Considerando solo i casi più semplici, ed escludendo quindi le stazioni di incrocio tra più linee, le stazioni per metropolitane sono generalmente costituite da due livelli: 1. il mezzanino, posto a un livello superiore, da dove si dipartono gli accessi verso l’esterno e dove sono presenti la linea di controlleria, le biglietterie automatiche, i servizi ausiliari (bar, edicole ecc.); 2. il piano banchine, con le banchine di attesa e i binari di corsa. Il mezzanino può assumere le forme più varie, compatibilmente con la posizione delle vie di uscita e di ingresso verso l’esterno e con la presenza o meno di servizi ausiliari; il piano banchine è, invece, generalmente sempre riconducibile agli schemi delle Figg. G.6.2./24-25. CAPACITÀ DI TRASPORTO DI UNA LINEA METROPOLITANA La capacità di trasporto di una linea di metropolitana è legata a due aspetti: 1. materiale rotabile: si hanno, in Italia, composizioni variabili da 4 a 6 elementi (motrici o rimorchi), di capacità all’incirca pari a 210-220 pass/elemento; 2. sistema di segnalamento e struttura delle stazioni capilinea: sono vincolanti per la frequenza di passaggio fra un treno e l’altro. Con treni da 6 elementi e un intervallo di 180 sec fra un convoglio e l’altro si arriva a capacità, per verso di marcia, di 26.000 passeggeri/ora. Tale valore, però, non deve essere considerato tecnicamente vincolante: aumentando la capacità dei convogli e diminuendo ulteriormente la frequenza, si può arrivare anche a capacità di 40.000 passeggeri/ora.
FIG. G.6.2./21 IPOTESI DI SPOSTAMENTO DEI SOTTOSERVIZI PER CONSENTIRE LA REALIZZAZIONE DI UNA GALLERIA SUPERFICIALE
FIG. G.6.2./22 SEZIONE DI STRUTTURA SCATOLARE PER GALLERIA SUPERFICIALE A DOPPIO BINARIO
FRONTE DEGLI EDIFICI
SITUAZIONE ANTE - OPERAM
FIG. G.6.2./23 SEZIONE DI STRUTTURA SCATOLARE PER GALLERIA PROFONDA A SEMPLICE BINARIO FRONTE DEGLI EDIFICI
METROPOLITANE LEGGERE Una metropolitana leggera, a differenza di una metropolitana tradizionale, impiega materiale rotabile con sagoma di ingombro ridotta e peso minore; anche le composizioni dei convogli non arrivano alle lunghezze tipiche di un sistema tradizionale. In sostanza, a fronte di una minore capacità, si hanno risparmi legati a opere civili meno impegnative (stazioni di lunghezza ridotta, gallerie di sezione minore, viadotti con impalcati e pile più leggeri). È prassi, poi, applicare alle metropolitane leggere sistemi di controllo automatizzati particolarmente sofisticati, che possono anche portare a una guida completamente automatica dei convogli (come, per esempio, il sistema di metropolitana leggera VAL, di origine francese), con ulteriori economie di gestione rispetto ai sistemi tradizionali.
SITUAZIONE POST - OPERAM
FIG. G.6.2./24 PIANO BANCHINE PER STAZIONE SU GALLERIA SINGOLA A DOPPIO BINARIO 120 - 150 m
ASPETTI LEGALI E NORMATIVI Le metropolitane sono strutture complesse, e, come tali, hanno dato luogo a una produzione legale e normativa assai complessa. Per quanto riguarda l’aspetto normativo si rimanda al seguente elenco, forzatamente incompleto, di norme UNI: UNI 7247 Metropolitane. Carrozze con cabina di guida. Dimensioni principali. UNI 7248 Metropolitane. Carrozze senza cabina di guida. Dimensioni principali. UNI 7360 Metropolitane. Distanze minime degli ostacoli fissi dal materiale rotabile e interbinario. UNI 7508 Metropolitane. Banchine di stazione. UNI 7744 Metropolitane. Corridoi, scale fisse, scale mobili e ascensori nelle stazioni. Direttive di progettazione. UNI 7836 Metropolitane. Geometria del tracciato delle linee su rotaia. Andamento planimetrico e altimetrico e tolleranze di costruzione. UNI 8207 Metropolitane. Segnaletica grafica per viaggiatori nelle stazioni. Prescrizioni generali. UNI 8378 Metropolitane leggere. Motrici. Dimensioni, caratteristiche e prestazioni. UNI 8686/1 Metropolitane. Locali di servizio nelle stazioni. Generalità. UNI 9406 Metropolitane. Atrii di stazione. Direttive di progettazione.
G 96
ASSE BINARIO
FIG. G.6.2./25 PIANO BANCHINE PER STAZIONE SU GALLERIA DOPPIA A SINGOLO BINARIO 120 - 150 m
ASSE BINARIO
LOCALI DI SERVIZIO
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ URBANA E LOCALE
A.ZIONI
TRASPORTO A FUNE Esistono due categorie fondamentali di sistemi di trasporto a fune: le funicolari aree e le funicolari terrestri. Nella prima categoria rientrano tutti gli impianti nei quali i veicoli (ovvero le cabine, o i seggiolini di una seggiovia) sono sospesi a una fune che può svolgere sia entrambe le funzioni portanti e di trazione, sia solo quella portante: in quest’ultimo caso è necessaria la presenza di una fune traente aggiuntiva. Nella seconda categoria sono compresi gli impianti nei quali i veicoli viaggiano a terra su sede propria, generalmente su un binario di tipo ferroviario, con armamento leggero.
Nell’accezione comune dei termini si è soliti indicare con la parola “funicolari”, senza altri aggettivi, le funicolari terrestri (con l’eccezione delle sciovie e di altri impianti particolari), e con altri termini appropriati (funivie, cabinovie, seggiovie ecc.) le funicolari aree. All’esterno di questa suddivisione generale possono essere presenti anche impianti per usi particolari, quali, ad esempio, le sciovie, o sistemi realizzati in forma prototipale o non più in uso.
Le funicolari aree hanno sempre avuto impieghi per il trasporto di persone e cose in zone di difficile accessibilità. Tralasciando l’uso di questi mezzi per il trasporto delle merci (tutta-
via importante, specialmente in aree di cantiere), è possibile fare una distinzione delle diverse tipologie d’impiego in due classi principali: gli impianti bifuni e gli impianti monofuni.
FUNIVIE E CABINOVIE BIFUNI
CABINOVIE MONOFUNI E SEGGIOVIE
Sono gli impianti classici per il trasporto di persone con veicoli di grande capacità, da 100 fino a 180 e oltre passeggeri per cabina, con esercizio alternato a va e vieni su una doppia via di corsa. Il movimento di ciascun veicolo avviene su una o due funi portanti fisse, con contrappesi indipendenti per ognuna delle due vie. La trazione è trasmessa attraverso una fune ad anello mossa da un argano azionato in una delle due stazioni; anche la fune di trazione è contrappesata, sia per mantenerla in tensione, sia per assicurare l’aderenza sulla puleggia motrice (Fig. G.6.2./26). La velocità di regime di un impianto di questo tipo è di 10-12 m/sec. Una variante alle funivie di tipo tradizionale è costituita dagli impianti a moto continuo, nei quali le cabine possono girare all’interno all’interno della stazioni (Fig. G.6.2./27), per mezzo di un dispositivo di sgancio dalle funi (non rappresentato nella figura) e di rallentamento. In questo caso le vetture hanno una capacità di 15-20 passeggeri.
Se la capacità delle vetture di una cabinovia si abbassa a 6-8 passeggeri le funzioni svolte dalle funi traente e portante possono essere svolte da un unico elemento (cabinovie monofuni). In questo caso la velocità di regime scende a 4-5 m/sec, ed è ancora necessario un rallentamento delle cabine nelle stazioni, con appositi meccanismi di sgancio e di riaggancio, per assicurare la salita e la discesa dei viaggiatori in condizioni di sufficiente sicurezza. Abbassando la velocità di regime a 1,8-2,5 m/sec si possono avere impianti ancora più semplici (Fig. G.6.2./27), senza nessuna necessità di rallentamento, dove le cabine sono sostituite da seggiolini monoposto o biposto (seggiovie) o da cabinette aperte (cabinovie a collegamento fisso).
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
FUNICOLARI TERRESTRI di quelli usati in ferrovia, ad aghi fissi; le vetture sono instradate sul loro binario da apposite controrotaie, che agiscono sul doppio bordino che hanno le ruote da un lato. La velocità di esercizio di una funicolare terrestre è di circa 8-10 m/sec, con accelerazioni e decelerazioni di 1-1,2 m/sec 2. La particolare forma dei veicoli può obbligare a realizzare i marciapiedi di imbarco e sbarco dei passeggeri per mezzo di gradonate, aventi la stessa pendenza dei veicoli. Rispetto alle funicolari aree, le funicolari terrestri possono avere una parte del percorso, o anche tutto, realizzato in galleria, con un impatto ambientale ridotto. Questo è uno degli aspetti che le ha riportate in auge, dopo diversi anni caratterizzati dalla chiusura, almeno in Italia, di molti impianti.
URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT
CAPACITÀ DI TRASPORTO Tralasciando l’aspetto, abbastanza complesso, relativo al dimensionamento delle funi e dell’impianto di trazione, è possibile calcolare facilmente la capacità di trasporto di un impianto a fune. Per un impianto con esercizio a va e vieni con due cabine, se L è la lunghezza della linea e v la velocità di esercizio, il tempo necessario a coprire il percorso a velocità costante è:
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
C.RCIZIO
FUNICOLARI AREE
Le funicolari terrestri sono impianti nei quali i veicoli hanno una struttura di tipo tranviario, spesso con la caratteristica forma “a scaletta”. Per la guida dei veicoli si impiega un binario di tipo ferroviario, con armamento leggero (non oltre i 36 Kg/m); la trazione è fornita da una fune posta al centro del binario, che viaggia su batterie di rulli, a sua volta azionata da un argano motore del tutto simile a quello impiegato. Il percorso può anche non essere rettilineo. L’esercizio di una funicolare terrestre (Fig. G.6.2./28) è, funzionalmente, simile a quello di una funivia bifune a va e vieni. I veicoli sono sempre due, e viaggiano contemporaneamente sullo stesso binario (a meno di una particolare disponibilità di spazio), incrociandosi al centro della linea, dove il binario viene sdoppiato. Gli scambi impiegati per il raddoppio sono, a differenza
G.6. 2.
FIG. G.6.2./26 FUNIVIA BIFUNE A VA E VIENI E FUNIVIA BIFUNE A MOTO CONTINUO
G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM
T=L/v A questo tempo di viaggio è necessario aggiungere i perditempi legati alla presenza delle vasi di moto vario (accelerazione e decelerazione), t a,d e quelli necessari per la salita e discesa dei passeggeri, t s,d
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN
Il tempo necessario per completare un ciclo è, quindi: Tc = T + t a,d + t s,d
G.6. ITÀ MOBIL
Il numero di cicli per ogni ora sarà pari a: 3600 / Tc e se n è la portata di ciascuna cabina, la capacità di trasporto della linea sarà pari a: C = 3600 n (passeggeri/ora)
Tc
Per un impianto moto continuo la capacità di trasporto è indipendente dalla lunghezza della linea, ed è data dall’espressione: C = 3600 vn (passeggeri/ora)
d
Dove v è la velocità di esercizio (m/sec), n è la portata, in passeggeri, di ciascun veicolo e d la distanza fra due veicoli consecutivi (m).
RIFERIMENTI LEGISLATIVI E NORMATIVI La legislazione e la normativa italiane sugli impianti a fune sono estremamente complesse e soggette a continua evoluzione. Per quanto riguarda la parte legislativa, si deve comunque fare riferimento, per gli impianti aperti al pubblico, al DPR 18 ottobre 1957, n.1367 e ai successivi regolamenti speciali del Ministero dei Trasporti, dedicati a ciascun tipo di impianto. Per l’aspetto normativo, oltre a tutte le norme relative ad aspetti particolari della costruzione e dell’esercizio di impianti a fune, si può far riferimento alla norma UNI 3734, contenente termini e definizioni per le funicolari terrestri e aree.
➥
2. G.6. ITÀ LE MOBIL A E LOCA N URBA
G 97
G.6. 2.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ URBANA E LOCALE ➦ TRASPORTO A FUNE ➦ FUNICOLARI TERRESTRI FIG. G.6.2./27 SEGGIOVIA
FIG. G.6.2./28 SCHEMA DI FUNZIONAMENTO DI UNA FUNICOLARE TERRESTRE PULEGGIA MOTRICE
FUNE DI TRAZIONE RINVIO
RADDOPPIO DI MEZZERIA
PIANI URBANI DEL TRAFFICO
G 98
DEFINIZIONE E RAPPORTI CON IL PRG
TAB. G.6.2./4 PRINCIPALI CONTENUTI DEL PIANO URBANO DI TRAFFICO
Per redazione di un Piano Urbano del Traffico (PUT) si intende l’individuazione di quell’insieme coordinato di interventi miranti al miglioramento della circolazione stradale nell’area urbana, dei pedoni, dei mezzi pubblici e dei veicoli provati, interventi realizzabili nel breve periodo e nell’ipotesi di dotazione infrastrutturale sostanzialmente invariata. Il PUT si differenzia dal Piano dei Trasporti che rappresenta un piano di lungo periodo e che prevede interventi che potenzino l’offerta di infrastrutture e di servizi di trasporto, congiunti a politiche di controllo della domanda di mobilità e di indirizzo per la pianificazione territoriale e urbanistica. Il PUT è uno strumento di pianificazione sottordinato rispetto al PRG vigente, che contiene una visione globale della città, e come tale non può costituire variante automatica al PRG stesso. Occorre, comunque verificare che gli interventi previsti nel PUT non siano in contrasto con lo strumento urbanistico, avviando, in caso negativo, le procedure di variazione, nei modi e forme previste dalla legislazione. D’altro canto è opportuno accertare che le trasformazioni del territorio e la realizzazione delle opere previste dagli strumenti urbanistici, qualora comportino una modifica della domanda di trasporto, siano compatibili con gli indirizzi del PUT. Si potrà in tal modo arrivare a un’azione coordinata tra urbanistica, mobilità e programmi di realizzazione di infrastrutture.
SETTORE DI INTERVENTO
TIPO DI LIVELLO DI INTERVENTO PROGETTAZIONE
• migliorie generali per la mobilità pedonale
fondamentale
generale
• definizione delle piazze, strade, itinerari i aree pedonali
eventuale
generale
• definizione delle zone a traffico limitato
eventuale
generale
• migliorie generali per la mobilità mezzi pubblici collettivi
fondamentale
generale
• individuazione delle corsie e/o sedi riservate ai mezzi pubblici
eventuale
generale
• individuazione dei parcheggi di scambio con i mezzi pubblici
eventuale
generale
• definizione dello schema di circolazione della viabilità proncipale
fondamentale
generale
• individuazione viabilità tangenziale per traffico di attraversamento
fondamentale
generale
• definizione delle modalità di precedenza tra i diversi tipi di strade
fondamentale
generale
• definizione delle strade e delle aree esistenti da destinare a parcheggio
fondamentale
generale
• spazi di sosta sostitutivi (a raso, fuori delle sedi stradali e/o multipiano)
eventuale
generale
• aree e tipo di tariffazione e/o limitazione temporale per la sosta su strada
fondamentale
generale
• definizione della classifica funzionale delle strade e degli spazi stradali
fondamentale
generale
• definizione del regolamento viario e delle occupazioni di suolo pubblico
fondamentale
generale
• individuazione delle priorità di intervento per l’attuazione del PGTU
fondamentale
generale
RIFERIMENTO NORMATIVO
• definizione degli interventi per l’emergenza ambientale
eventuale
generale
L’obbligatorietà della redazione dei PUT per i comuni con popolazione residente superiore a 30.000 abitanti e per i comuni individuati dalle regioni, è sancita dall’art.36 del DL 285/1992 (nuovo Codice della strada) e successive modificazioni, mentre le direttive del ministero dei lavori pubblici per la redazione, l’adozione e l’attuazione dei PUT sono state pubblicate sul SO alla GU n.146/1995. La finalità riconosciuta dal legislatore è quella di ottenere il miglioramento delle condizioni di circolazione e di sicurezza stradale, nonché la riduzione degli inquinamenti acustici e atmosferici e il risparmio energetico. Le direttive, oltre a indicare gli obiettivi e le strategie generali di intervento, indicano i contenuti progettuali dei PUT (Tab. G.6.2./4) e le modalità procedurali di adozione e di gestione; inoltre forniscono ai tecnici una serie di criteri di analisi e progettazione. I livelli di progettazione sono distinti a seconda del grado di affinamento delle proposte di intervento. In particolare si individua:
• progetti per strutture pedonali (marciapiedi, passaggi e attraversamenti)
fondamentale
dettaglio
• progetti per l’itinerario di arroccamento all AP e alle ZTL
eventuale
dettaglio
• organizzazione delle fermate e capilinea dei mezzi pubblici collettivi
fondamentale
dettaglio
• organizzazione delle corsie e/o sedi riservate ai mezzi pubblici
eventuale
dettaglio
• progetti dei parcheggi di scambio con i mezzi pubblici
eventuale
dettaglio
• schemi dettagliati di circolazione degli itinerari principali
fondamentale
dettaglio
• schemi particolari di circolazione della viabilità di servizio e viabilità locale
fondamentale
dettaglio
• progetti di canalizzazione delle intersezioni della viabilità principale
fondamentale
dettaglio
• schemi di fasatura e di coordinamento degli impianti semaforici
fondamentale
dettaglio
• progetti di svincoli stradali a livelli sfalsati per veicoli e per pedoni
eventuale
dettaglio
• piano della segnaletica, in particolare di indicazioni e di precedenza
fondamentale
dettaglio
➥
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ URBANA E LOCALE
A.ZIONI
➦ TAB. G.6.2./4 PRINCIPALI CONTENUTI DEL PIANO URBANO DI TRAFFICO • Il primo livello di progettazione che è quello del Piano generale del traffico (PGTU), corrispondente al progetto preliminare o piano quadro del PUT, i cui elaborati progettuali devono essere realizzati in scala da 1 : 25.000 fino a 1 : 5.000; • Il secondo livello di progettazione è relativo ai Piani particolareggiati che vanno intesi come progetti di massima per l’attuazione del PGTU relativi ad ambiti territoriali più ristretti dell’intero centro abitato. Gli elaborati progettuali devono essere redatti in scala 1 : 5.000 fino a 1 : 1.000. • Il terzo livello di progettazione è quello dei Piani esecutivi del traffico urbano, intesi quali progetti esecutivi che definiscono completamente gli interventi proposti nei piani particolareggiati. Gli elaborati progettuali relativi a questo livello devono essere redatti da 1 : 500 a 1 : 200 o valori inferiori.
* Fondamentale = previsto obbligatoriamente dal Piano; Eventuale = dipendente dalla situazione di traffico; Collaterale = su specifica richiesta dell’Amministrazione committente l’incarico di redazione del Piano.
SETTORE DI INTERVENTO
TIPO DI LIVELLO DI INTERVENTO PROGETTAZIONE
• organizzazione delle strade parcheggio e delle relative intersezioni
fondamentale
dettaglio
• organizzazione delle aree di sosta a raso fuori delle sedi stradali
eventuale
dettaglio
• progetti di parcheggio multipiano sostitutivi
eventuale
dettaglio
• organizzazione della tariffazione e/o limitazione temporale della sosta
fondamentale
dettaglio
• modalità di gestione del piano (verifiche e aggiornamenti)
fondamentale
dettagli
• progetto degli interventi per l’emergenza ambientale
eventuale
dettagli
• ristrutturazione della rete di trasporto pubblico collettivo stradale
collaterale
gen. – dett.
• potenziamento e/o ristrutturazione del servizio di vigilanza urbana
collaterale
gen. – dett.
• campagne di informazione e di sicurezza stradale
collaterale
gen. – dett.
• movimento e sosta dei veicoli dei portatori di handicap deambulatori
collaterale
gen. – dett.
• arredo urbano degli ambienti pedonalizzati
collaterale
gen. – dett.
• sistemi di trasporto innovativi, anche pedonali
collaterale
gen. – dett.
• movimento e sosta dei velocipedi
collaterale
gen. – dett.
• movimento e sosta dei taxi
collaterale
gen. – dett.
• movimento, sosta e relativi orari di servizi per veicoli merci
collaterale
gen. – dett.
• movimento e sosta degli autobus turistici
collaterale
gen. – dett.
• sistemi di informazione all’utenza
collaterale
gen. – dett.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
CONTENUTI DEL PUT CLASSIFICA FUNZIONALE DELLE STRADE L’elemento caratterizzante la congestione del traffico urbano è rappresentato dalla promiscuità d’uso della rete viaria e dalle conseguenti interferenze tra veicoli e pedoni, movimenti e soste, mezzi pubblici e privati. Pertanto occorre effettuare preliminarmente una classificazione della rete, che porti ad assegnare a ogni tratto viario una propria funzione preminente. La classifica fa riferimento ai seguenti quattro tipi fondamentali di strade urbane: • autostrade, la cui funzione è quella di rendere avulso il centro abitato dai problemi del suo traffico di attraversamento. Per questa categoria di strade sono ammesse solamente le componenti di traffico relative ai movimenti veicolari, nei limiti di quanto previsto all’art.175 del nuovo Codice della strada e all’art.372 del relativo Regolamento di esecuzione. Ne risultano pertanto escluse, in particolare, le componenti di traffico relative ai pedoni, ai velocipedi, ai ciclomotori, alla fermata e alla sosta (salvo quelle di emergenza); • strade di scorrimento, la cui funzione, oltre a quella di attraversamento, è quella di garantire un elevato livello di servizio per gli spostamenti a più lunga distanza propri dell’ambito urbano). Per questa categoria di strade è prevista dall’art.142 del Codice della strada la possibilità di elevare il limite generalizzato di velocità per le strade urbane, pari a 50 km/h, fino a 70 km/h. Su tali strade di scorrimento sono ammesse tutte le componenti di traffico, escluse la circolazione dei veicoli a trazione animale, dei velocipedi e dei ciclomotori, qualora la velocità ammessa sia superiore a 50 km/h, ed esclusa altresì la sosta dei veicoli, salvo che quest’ultima risulti separata con idonei spartitraffico;
G.6. 2.
• strade di quartiere, con funzione di collegamento tra settori e quartieri limitrofi o, per i centri abitati di più vaste dimensioni, tra zone estreme di un medesimo settore o quartiere (spostamenti di minore lunghezza aspetto a quelli eseguiti sulle strade di scorrimento, sempre interni al centro abitato). In questa categoria rientrano, in particolare, le strade destinate a servire gli insediamenti principali urbani e di quartiere, attraverso gli opportuni elementi viari complementari. Sono ammesse tutte le componenti di traffico, compresa anche la sosta delle autovetture purché esterna alla carreggiata e provvista di apposite corsie di manovra; • strade locali, a servizio diretto degli edifici per gli spostamenti pedonali e per la parte iniziale o finale degli spostamenti veicolari privati. In questa categoria rientrano, in particolare, le strade pedonali e le strade parcheggio; su di esse non è comunque ammessa la circolazione dei mezzi di trasporto pubblico collettivo. L’insieme di tutti i tipi di strade dinanzi esposte, escluse le strade locali, assume la denominazione di rete principale urbana, caratterizzata dalla preminente funzione di soddisfare le esigenze di mobilità della popolazione (movimenti motorizzati), attraverso – in particolare – l’esclusione della sosta veicolare dalle relative carreggiate stradali. L’insieme delle rimanenti strade (strade locali) assume la denominazione di rete locale urbana, con funzione preminente di soddisfare le esigenze dei pedoni e della sosta veicolare.
La viabilità principale, così definita, viene a costituire una rete di itinerari stradali le cui maglie racchiudono singole zone urbane, alle quali viene assegnata la denominazione di isole ambientali, composte esclusivamente da strade locali (“isole”, in quanto interne alla maglia di viabilità principale; “ambientali” in quanto finalizzate al recupero della vivibilità degli spazi urbani). Le proprietà da esaminare ai fini di tale classificazione, derivano dal raffronto tra l’uso previsto di ciascuno elemento del reticolo viario con le sue caratteristiche geometriche, che ne determinano i requisiti di deflusso e di capacità. L’analisi deve essere coerente con la classifica strutturale prevista dal vigente C.d.S., con le direttive del ministero dei LLPP, con le norme CNR (n.60/1978, n.90/1983, n.150/1992 che riguardano rispettivamente strade urbane, intersezioni e arredo funzionale). Una sintesi comparata degli specifici standard tecnici dei vari tipi di strada è riportati nella Tab. G.6.2./5. Al fine di adattare la classifica funzionale alle caratteristiche geometriche delle strade esistenti e alle varie situazioni di traffico, possono prevedersi anche altri tipi di strade con caratteristiche e funzioni intermedie quali: • strade di scorrimento veloce, intermedie tra le autostrade e le strade di scorrimento; • strade di interquartiere, intermedie tra quelle di scorrimento e quelle di quartiere; • strade locali interzonali, intermedie tra quelle di quartiere e quelle locali.
G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
Gli standard geometrici previsti devono ritenersi obbligatori per le strade di nuova realizzazione, obiettivi da raggiungere per le strade esistenti, laddove siano presenti vincoli strutturali non immediatamente eliminabili.
INTERVENTI DI MIGLIORAMENTO DELL’OFFERTA DI TRASPORTO Le strategie di intervento sull’offerta di trasporto devono mirare all’incremento della capacità dell’intero sistema che comprende la rete stradale, le aree di sosta e i servizi di trasporto pubblico, al fine di ridurre i fenomeni di congestione. Questi ultimi sono essenzialmente causati da: • coesistenza sulla stessa sede stradale di componenti di traffico dalle caratteristiche completamente diverse; • esistenza di una elevata disuniformità nelle destina-
zioni finali e conseguente interferenze tra un traffico locale e un traffico a lunga percorrenza; • verificarsi di un’elevata disomogeneità tra le caratteristiche di moto delle diverse componenti di traffico, in modo particolare tra quelle che si muovono in regime di moto continuo (vetture private) e discontinuo (mezzi pubblici collettivi); • squilibrio tra la domanda veicolare privata e l’offerta
rappresentata dalle sedi viarie disponibili per il movimento e la sosta; • mancata osservanza delle norme di circolazione da parte degli utenti. Dall’insieme delle principali cause della congestione derivano i principi fondamentali per l’organizzazione del traffico, finalizzati alla eliminazione o quanto meno alla riduzione delle cause stesse.
➥
2. G.6. ITÀ LE MOBIL A E LOCA N URBA
G 99
G.6. 2.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ URBANA E LOCALE ➦ PIANI URBANI DEL TRAFFICO ➦ CONTENUTI DEL PUT TAB. G.6.2./5 SINTESI DEGLI STANDARD TECNICI PER I VARI TIPI DI STRADE CARATTERISTICHE CON RIFERIMENTO ALLE COMPONENTI DI TRAFFICO Tipologia della strada
Componenti ammesse*
Autostrade
v-b
REGOLAZIONE
CARATTERISTICHE GEOMETRICHE MINIME DELLA SEZIONE TRASVERSALE Tipo di N° di carreggiata corsie per senso di Corsie* Spartitraffico marcia centrale*
Mezzi pubblici
Sosta
Traffico pedonale
esclusa fermata
proibita anche la fermata
escluso
a senso unico separate da spartitraffico
2 o più
3,50
1,60 (con barriere)
su marciapiedi protetti
separate ovunque possibile
2 o più
3,25
LARGHEZZA Corsie di Banchine* Marciapiedi* Fasce di emergenza* pertinenza* 3,00
–
–
20
1,10 (con barriere) eccezionale 0,50
–
1,00
3,00
15
Strade di v-b-p scorrimento
corsia ammessa riservata e su spazi fermate separati organizzate
Strade v-b-s-p di quartiere
eventuale corsia riservata o piazzole di fermata
ammessa su con immis- marciapiedi sione e uscite libere propria corsia di manovra
a unica carreggiata in doppio senso
1 o più
3
0,50 (con cordolo sagomato o segnaletica)
–
0,5
4,00
12
Strade locali
esclusi
libera a norma del C.d.S.
a unica carreggiata in doppio senso
1 o più
2,75
–
–
0,50
3,00
5
v-s-p
su marciapiedi
DISCIPLINA DELLE INTERSEZIONI, PASSI CARRABILI, ATTRAVERSAMENTI PEDONALI
CARATTERISTICHE GEOMETRICHE DEL TRACCIATO Tipologia della strada
Velocità min. di progetto (km/h)
Pendenza RAGGIO Pendenza Tipo di trasversale longitudinale intersezione Planimetrico Altimetrico Altimetrico max max (%) min.* min* min* (%) (conv.) (conc.)
Autostrade
90
7,0
300
3500
2500
Strade di scorrimento
70
4,5
160
2000
1200
Strade di quartiere
50
3,0
85
1000
600
Strade locali
25
–
25
300
200
6
Distanza Regolazione Passi minima svolte carrabili tra le a sinistra intersez.* 1500
su apposite rampe
inesistenti
6 eventual(4 se presenti mente veicoli pubbl.) non sfalsate
300
vietate a raso
raggruppati sfalsati o all’incrocio eventualmente non sfalsafti
7 organizzate (5 se presenti a raso veicoli pubbl.)
100
controllate
raggruppati semaforizzati o zebrati
–
ammesse
diretti
10
a livelli sfalsati
Tipo di Ubicazione attravers. e distanze pedonali attravers. pedonali*
anche non organizzate
a livelli sfalsati
zebrati
–
all’incrocio
100
* Misure in m; v = veicoli privati; b = veicoli pubblici con fermata di linea; s = sosta dei veicoli; p = movimento e sosta dei pedoni
CRITERI GENERALI DI PROGETTAZIONE Il criterio base comune a tutti i livelli di progettazione è quello di consentire, con un livello di servizio accettabile, il soddisfacimento e il coordinamento delle esigenze di mobilità delle diverse componenti di tutte e quattro le componenti fondamentali del traffico urbano, che secondo una scala di valori sono, pedoni, mezzi pubblici collettivi, movimenti dei veicoli privati e sosta veicolare. PEDONI Misure di sgombero della sosta veicolare dalla rete pedonale e dalle aree di rispetto dei monumenti È opportuno introdurre misure limitative alla sosta che garantiscano lo sgombero completo della sosta dalla rete degli elementi pedonali (marciapiedi e passaggi e attraversamenti pedonali), soltanto dopo un’attenta valutazione dei posto auto (p.a.) eliminati e l’individuazione di eventuali spazi compensativi. I posti auto andranno tradotti in termini di veicoli equivalenti (considerando i coefficienti 0,25 per i ciclomotori e motocicli, 1,50 per i furgoni, 2,00 per gli autocarri medi). Inoltre andrà valutata la sosta che ricade nelle aree di
G 100
rispetto dei monumenti e degli edifici di culto, da individuarsi non solo in considerazione dell’intrusione visiva determinata dai veicoli, ma anche in base alle limitazione alla funzionalità che essi comportano (ad esempio occupazione degli spazi necessari per lo svolgimento delle cerimonie). Progetti di continuità planoaltimetrica dei marciapiedi e passaggi pedonali Il piano deve prevedere l’eliminazione delle discontinuità planimetriche e altimetriche sia dei marciapiedi che dei passaggi pedonali.
Marciapiede: parte della strada, esterna alla carreggiata, rialzata o altrimenti delimitata e protetta, destinata ai pedoni. Passaggio pedonale: parte della strada separata dalla carreggiata, mediante una striscia bianca continua o una apposita protezione parallela a essa e destinata al transito dei pedoni. Esso espleta la funzione di un marciapiede stradale, in mancanza di esso.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ URBANA E LOCALE
G.6. 2. A.ZIONI
A tal fine occorre evitare di posizionare i passi carrabili su zone di incanalamento, o su intersezioni. I passi carrabili devono avere una larghezza minima di 3,50 m se a servizio di aree e di edifici per la sosta aventi capacità non superiore a 15 posti auto, di 5,00 m, se aventi capacità uguale o superiore a 16 posti auto (vedi Fig. G.6.2./29); Nel caso si superi una capacità di 300 posti auto occorre prevedere la separazione degli ingressi e delle uscite, con rami a senso unico ciascuno con larghezza minima di 3,00 m. L’innesto del passo carrabile sulla carreggiata deve essere raccordato con curve circolari di raggio pari a 5,00 m. Prima del marciapiede deve essere previsto un tratto piano e rettilineo non inferiore a 5,00 m; i cancelli e i portoni devono esser ubicati oltre il suddetto tratto. Verifica di congruenza della larghezza dei marciapiedi Per quanto riguarda la larghezza degli elementi longitudinali stradali destinati al transito dei pedoni in rapporto all’intensità dei loro flussi e alle funzioni della strada si rimanda al paragrafo G.6.2. con l’avvertenza che quanto riportato si riferisce specificatamente ai marciapiedi e non ai passaggi pedonali, poiché quest’ultimi vengono intesi, in generale, come elementi provvisori nel tessuto urbano, da trasformare al più presto possibile in marciapiedi su tutte le strade che non sono a esclusivo o prevalente servizio dei pedoni (AP e ZTPP), salvo casi speciali dei reticoli stradali dei centri storici. Per i passaggi pedonali si considera una larghezza standard netta di 1,50 m, al fine di garantire il fluido incrocio dei pedoni in opposto senso di marcia sullo stesso lato di strada. Tutti i parametri citati (larghezze dei marciapiedi e passaggi pedonali, presenze di cassonetti, di alberi e
B.STAZIONI DILEGIZLII
Organizzazione delle isole ambientali con AP locali, ZVL o ZTPP L’organizzazione di AP (Aree Pedonali) si riferisce normalmente a una parte “più pregiata” dell’isola ambientale, rispetto alla quale rappresenta uno dei possibili strumenti per impedire o ridurre il traffico di attraversamento dell’isola medesima. Preliminarmente all’introduzione delle AP è opportuno procedere al bilancio della sosta e a una verifica di accessibilità agli attrattori di traffico interni all’isola ambientale. Le ZVL (Zone a Velocità Limitata) con limite di velocità per i veicoli in genere pari a 30 km/h, rappresentano l’organizzazione “minimale” di un’isola ambientale (costituita per definizione da sole strade locali), da associare a limitazioni dell’accessibilità veicolare e a una riduzione del
C.RCIZIO
+0,0 +0,5
E ESE ESSIONAL PROF
> 5m
+0,5
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
È inoltre opportuno che i parapedonali vengano eventualmente installati anche sulle strade di quartiere con corsie riservate ai mezzi pubblici collettivi a lato del marciapiede. Ubicazione degli attraversamenti pedonali Il criterio da adottarsi nella scelta dell’ubicazione è generalmente quello della continuità dei percorsi pedonali, da cui deriva l’ubicazione preferenziale in corrispondenza delle intersezioni. La mutua distanza tra attraversamenti pedonali lungo i tronchi stradali va progettata nel rispetto di un valore massimo, che mantenga entro limiti accettabili gli eventuali allungamenti dei percorsi pedonali e un valore minimo, che garantisca una sufficiente fluidità veicolare. La scelta va effettuata considerando i generatori e attrattori di traffico pedonale presenti (centri commerciali, scuole, cinematografi ecc.) e le seguenti distanze minime e massime: • 100-200 m sulle strade locali, interzonali e di quartiere; • 150-200 m sulle strade interquartiere e di scorrimento.
I ED PRE NISM ORGA
+0,0
R5
Attrezzatura dei marciapiedi e passaggi pedonali Oltre agli elementi puntuali (riseghe per l’alloggiamento dei cassonetti, scivoli per le carrozzine ecc.) vanno realizzate attrezzature lineari quali i parapedonali (ringhiere continue o discontinue non filtrabili dai pedoni): • sistematicamente sulle strade di scorrimento (con limite di velocità pari a 70 km/h); • eventualmente sulle strade interquartiere (con limite pari a 60 km/h), specialmente nelle aree di intersezione, nei tratti di strada con maggiore intensità dei flussi veicolari o con almeno 3 corsie per senso di marcia.
FIG. G.6.2./29 PASSI CARRABILI IN AREE A DIVERSA CAPACITÀ DI POSTI
CO NTALE AMBIE
>3m
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
< 15 posti auto privati
+0,0
+0,5
G.ANISTICA URB
+0,0 +0,5
> 5m
I passi carrabili sono accessi di tipo diretto e aventi sbocco solo su strade locali. Con tale termine si designano, quindi, le opere e gli apprestamenti per il collegamento alla erte stradale dei fondi o dei fabbricati, tra cui in particolare le aeree o gli edifici per la sosta.
di vetrine dei negozi ecc.) andranno rilevati nel corso di specifiche indagini, durante le quali dovranno essere misurati i flussi pedonali riferiti al quarto d’ora di punta, in prossimità di particolari attrattori di traffico.
R5
Le discontinuità planimetriche possono accettarsi soltanto come situazioni eccezionali. Soluzioni con un marciapiede (o un passaggio pedonale) solo su un lato della strada, vanno adottate se migliorative della situazione preesistente, comunque garantendo che rimangano liberi dalla sosta gli accessi alle proprietà laterali sul lato non attrezzato per i pedoni. Riguardo alle discontinuità altimetriche occorre verificare che i passi carrabili abbiano un’ubicazione e una configurazione planoaltimetrica tali da: • non arrecare pericolo o intralcio alla circolazione veicolare e pedonale sulla strada locale; • agevolare le manovre dei veicoli in ingresso o in uscita dal passo carrabile.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT >5m
G.3. À REALT ORIALE TERRIT
> 15 posti auto privati
traffico veicolare di attraversamento dell’isola ambientale. Le ZTPP (Zone a Traffico Pedonale Privilegiato) rappresentano una disciplina di circolazione stradale più vincolante di quella delle ZVL, in quanto introducono la tariffazione della sosta su spazi pubblici e la precedenza generalizzata per i pedoni rispetto ai veicoli.
MEZZI PUBBLICI Verifica dell’organizzazione generale delle fermate e capolinea dei mezzi pubblici collettivi È opportuno procedere a una gerarchizzazione preliminare delle fermate e dei capolinea in base al loro grado di utilizzazione da parte dei passeggeri, che in prima approssimazione può relazionarsi solo al numero totale dei mezzi in transito (somma delle varie linee) nell’ora di punta (indipendentemente dalla tipologia dei mezzi). Inoltre occorre individuare per ogni fermata o capolinea gli elementi e le attrezzature esistenti che determinano il grado di sicurezza, comfort e funzionalità, quali spazi di attesa, accessibilità dal lato opposto della strada, pensiline, illuminazione ecc. Quindi, sarà possibile procedere a un’analisi di coerenza tra il grado di utilizzazione delle fermate e dei capolinea e il loro grado di attrezzatura esistente. Infine occorre verificare che tutte le fermate consentano il normale esercizio dei mezzi in termini di spazi di ingresso e di uscita, aree di manovra e di stazionamento. Progetto della lunghezza delle fermate e dei capolinea Le strisce di delimitazione della fermata dei veicoli in servizio di trasporto pubblico collettivo di linea sono costituite da una striscia longitudinale gialla discontinua larga
12 cm posta a una distanza minima di 2,70 m dal marciapiede o dalla striscia di margine continua e da due strisce trasversali gialle continue che si raccordano perpendicolarmente alle precedenti; dette strisce trasversali possono essere omesse nel caso di golfo di fermata. La zona di fermata è suddivisa in tre parti (vedi Fig. G.6.2./30). La lunghezza della zona centrale è variabile in funzione del numero e del tipo dei mezzi in esercizio e dovrà avere una lunghezza minima, sia per fermate in linea che su golfo, paria alla lunghezza, maggiorata di 2 m, del veicolo più lungo in servizio e dovrà essere commisurato alla lunghezza complessiva di 2 mezzi (tra quelli più frequenti). Inoltre andrà considerato un franco totale di 3 m, se è prevista un’elevata probabilità di accumulo in fermata dei mezzi medesimi (flusso superiore ai 30 mezzi/ora). Nel caso di fermata in linea la zona accostamento al marciapiede e la zona di reinserimento nel flusso di traffico dovranno essere lunghe 12 m, e potranno essere evidenziate mediante tracciamento di una striscia gialla a zig zag. Nel caso di fermate su golfo sulle strade extraurbane la lunghezza dei raccordi di entrata e di uscita sarà almeno di 30 m (vedi Fig. G.6.2./31); tale valore potrà essere ridotto a 12 m sulle strade di urbane di quartiere. In considerazione del fatto che l’istituzione di una fermata
comporta il divieto di sosta per un tratto almeno di 36 m, conviene valutare nel caso di isolati di lunghezza di poco superiore, l’opportunità di destinare gli spazi residui al posizionamento dei cassonetti, alla sosta dei motocicli, alle operazioni di carico e scarico delle merci, alle aree di sosta riservata (ai taxi, alla polizia, agli invalidi ecc.). In merito alle fermate in prossimità delle intersezioni, le fermate vanno poste, di massima, dopo l’area di intersezione, a una distanza non inferiore di 20 m; se il numero e la frequenza delle linee può causare intralcio per l’area di intersezione, la fermata deve essere anticipata di almeno 10 m dalla soglia dell’intersezione.
LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
Area di intersezione: parte dell’intersezione a raso, nella quale si intersecano due o più correnti di traffico. Le due distanze vanno riferite alla parte centrale delle fermate, in modo da agevolare l’inserimento delle relative svolte a destra degli altri veicoli e la possibilità di ubicazione dei relativi attraversamenti pedonali. Per quanto attiene infine ai capolinea, per essi valgono in generale le stesse regole di progettazione esposte per le fermate, con la precisazione che la lunghezza della parte centrale della fermata va normalmente riferita alla presenza di 2 mezzi della stessa linea.
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2. G.6. ITÀ LE MOBIL A E LOCA N URBA
G 101
G.6. 2.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ URBANA E LOCALE ➦ PIANI URBANI DEL TRAFFICO ➦ MEZZI PUBBLICI Dimensionamento delle pedane o aree di attesa delle fermate La superficie di attesa va correlata all’intensità dei flussi di passeggeri in salita e in discesa dai mezzi pubblici collettivi, considerando, in prima approssimazione, uno standard di 2 pedoni/mq (livello di servizio D). In particolare: • per le aree di attesa su marciapiede, gli spazi così valutati vanno incrementati tenendo presente i “corridoi” necessari per i pedoni in discesa dai mezzi e per i pedoni (in transito ed eventuale sosta) non interessati alla fermata; • per le aree di attesa su pedana (o piattaforma) in mezzo alla carreggiata stradale, la valutazione anzidetta va riferita alla somma dei passeggeri saliti a discesi. Per le situazioni di fatto che presentano elementi di criticità non risolvibili con ampliamenti in loco di marciapiedi o di carreggiate, può valutarsi l’opportunità di uno spostamento della fermata lungo un tratto di marciapiede caratterizzato dall’assenza di occupazioni, ubicato nell’ambito di 100 m, tenuto conto che l’interdistanza tra fermate successive dovrebbe in genere variare tra i 300 e i 400 m. FIG. G.6.2./30 DELIMITAZIONE DELLA FERMATA DEI VEICOLI DI TRASPORTO PUBBLICO COLLETTIVO DI LINEA
Organizzazione delle corsie o sedi riservate per i mezzi pubblici collettivi Con riferimento agli spazi riservati al transito dei mezzi pubblici collettivi e prescindendo dalle strade riservate di uso molto raro, si definisce: • corsia riservata, quella corsia a senso unico ubicata a lato del marciapiede e affiancata sull’altro lato da una corrente di traffico privato, nello stesso (corsia normale) o in opposto (corsia in “controflusso”) senso di marcia; • sede riservata, l’insieme di 2 corsie riservate affiancate e in opposto senso di marcia tra di loro, ubicate all’interno della carreggiata stradale (non obbligatoriamente al centro di quest’ultima e comunque non a contatto del marciapiede) e con correnti di traffico privato laterali, che possono essere nello stesso senso (per ambedue le corsie riservate) o in opposto senso di marcia (in genere per una sola delle due corsie riservate).
dotare gli spazi riservati al transito dei mezzi pubblici collettivi, sono, secondo un grado di protezione crescente: • una striscia continua gialla di 30 cm posta sul lato della corsia riservata affiancata a 12 cm di distanza da una striscia bianca continua di 12 cm di larghezza (vedi Fig. G.6.2./32); • le cordolature longitudinali sormontabili con elementi in rilievo in materiale plastico da utilizzare per le corsie o le sedi riservate; • i separatori fisici, che delimitano una nuova carreggiata (interna a quella in esame).
Il valore di soglia minima per l’instaurazione di una corsia riservata indicato nelle Direttive ministeriali sui PUT è pari a 25-30 autobus/ora x senso di marcia, che corrisponde a un valore tra 3000 e 4000 passeggeri/ora x senso di marcia, a seconda della capacità dei mezzi considerati. I tipi di attrezzature di cui
Volendo correlare il tipo di attrezzatura da utilizzare con la capacità oraria di trasporto, al di sopra di 5000 passeggeri/ora x senso le corsie riservate vanno attrezzate con cordolature sormontabili e le sedi riservate con separatori fisici, mentre tra i 3.500 e i 5.000 passeggeri/ora x senso le corsie riservate possono essere organizzate solo con strisce di vernice e le sedi riservate solo con cordolature sormontabili, fermo restando che le corsie riservate in controflusso e le sedi riservate alle tramvie veloci sono sempre da attrezzare, rispettivamente, con cordolature sormontabili e con separatori fisici.
FIG. G.6.2./31 FERMATA AUTOBUS EXTRAURBANA
FIG. G.6.2./32 STRISCE CHE DELIMITANO LE CORSIE RISERVATE
min. 2,70 m
30,00
12 m
min 3m
La progettazione di massima di una linea di trasporto pubblico può effettuarsi utilizzando le formule: lunghezza L del veicolo più lungo pi che effettua la fermata +2m 1/3L
minimo 12m
Tempo giro =
Tg = (2 x L x 60) / V + Tsa + Tsb
minuti
Intervallo tra due passaggi successivi =
I = (C x R x 60) / D
minuti
Numero vetture in linea =
Nl = Tg / I
vetture
Numero vetture di parco =
Np = NI / U
12 m 30,00
G 102
vetture
Dove: L è la distanza, espressa in km della distanza tra i due capolinea (o la semidistanza del percorso nel caso di differenza di percorrenza tra andata e ritorno); D è la domanda di trasporto nel periodo considerato, espressa in passeggeri/h; C è la capacità delle vetture impiegate, espressa in posti offerti/vettura; R è il coefficiente di riempimento nel periodo considerato, espresso in passeggeri/posti; V è la velocità commerciale, espressa in km/h; Tsx è il tempo di sosta al capolinea x, espresso in minuti; U è il coefficiente di utilizzazione dato dal rapporto tra vetture utilizzate e vetture di parco.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ URBANA E LOCALE
G.6. 2. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
MOVIMENTI DEI VEICOLI PRIVATI Fluidificazione della viabilità principale I due settori di intervento maggiormente incidenti sulla fluidità della circolazione veicolare sono lo sgombero della sosta veicolare e i correttivi allo schema di circolazione. In considerazione del deficit di posti auto esistente nella città consolidata, lo sgombero della sosta veicolare può essere limitato, in una prima fase di analisi, alle le strade di scorrimento e interquartiere, sottintendendo così l’ipotesi di una declassificazione generale delle strade di quartiere in strade interzonali, per le quali non sussiste il vincolo di presenza delle corsie specializzate per le manovre della sosta. Lo sgombero della sosta in esame deve altresì essere esteso a tutte le zone di accumulo e di uscita dalle intersezioni semaforizzate, indipendentemente dal tipo di strada di appartenenza, comprese le strade locali. Nel caso possano realizzarsi nuovi parcheggi sostitutivi della sosta di intralcio sulla viabilità principale, si potrà procedere a successiva analisi finalizzata a sgomberi della sosta sulle strade di quartiere o interzionali impegnate dal trasporto pubblico collettivo. Gli interventi correttivi allo schema di circolazione veicolare, possono riguardare: • i sensi di marcia consentiti sui vari archi della rete; • i divieti di transito per particolari categorie di utenza veicolare; • la regolamentazione delle svolte alle intersezioni; • la definizione delle corsie riservate.
L’organizzazione dei sensi di marcia deve tenere conto che quasi sempre la rete della viabilità principale è stata progettata per l’uso a doppio senso di marcia; tuttavia l’aumento dei flussi veicolari e l’impossibilità di ampliare le sedi stradali, ha spinto verso l’adozione del senso unico di circolazione. Questo sistema di organizzazione dei movimenti veicolari comporta vantaggi e svantaggi che devono essere attentamente valutati (vedi Tab. G.6.2./7). Di seguito sono elencati, con riferimento a una coppia di strade, i criteri base da considerare nell’istituzione di una regolamentazione della circolazione a sensi unici: • l’intervento deve essere applicato a due strade possibilmente parallele, da adibire ciascuna a un senso di marcia; • i due sensi di marcia devono creare una circolazione di tipo antiorario; • la distanza dalle due strade non deve essere superiore ai 300 m, da ridurre a 150 m nel caso di presenza di fermate di mezzi pubblici; • occorre verificare che la capacità delle due strade sia sufficiente a sopportare il traffico aggiuntivo relativo alla specifica direzione, generato dall’introduzione del senso unico.
I criteri progettuali da seguire possono essere schematizzati, distinguendo la viabilità principale e locale, secondo quanto riportato in Tab. F.6.2./6.
Nel caso che più strade parallele siano regolamentate a senso unico si possono prendere in considerazione due schemi: • sensi unici alternati, in cui tutte le strade lungo una medesima direzione sono disposte alternativamente a sensi opposti (Fig. G.6.2./37); • sensi unici contrapposti, in cui lungo ogni tratto di strada il senso di marcia risulta invertito rispetto al precedente e al seguente (Fig. G.6.2./38).
FIG. G.6.2./33 PUNTI DI CONFLITTO A UN’INTERSEZIONE
FIG. G.6.2./34 SCHEMI DI CIRCOLAZIONE PER L’ALLONTANAMENTO DEL TRAFFICO DI TRANSITO DELLE AREE CENTRALI
STRADE A DOPPIO SENSO
STRADE A SENSO UNICO
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
LEGENDA VIABILITÀ VIABILIT PRINCIPALE
URB
VIABILITÀ VIABILIT SECONDARIA Sensi unici contrapposti su due strade ad andamento pressoch pressoché ortogonale
Sensi unici contrapposti su due coppie di strade ad andamento pressoché pressoch ortogonale
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT
Accessi a doppio senso e maglie interne a senso unico
FIG. G.6.2./35 DIMINUZIONE DELLA FASCIA DI INFLUENZA DEL TRASPORTO PUBBLICO FASCIA DI INFLUENZA PER SENSO
TAB. G.6.2./6 CRITERI DI PROGETTAZIONE DELLO SCHEMA DI CIRCOLAZIONE STRADALE VIABILITÀ PRINCIPALE deviazione del traffico di attraversamento su opportuni itinerari tangenziali; sufficiente capacità di smaltimento del traffico veicolare da parte dei singoli; adeguata scorrevolezza del percorso dei mezzi di trasporto pubblico; allontanamento da particolari zone del traffico di attraversamento (Fig. G.6.2./34);
FASCIA DI INFLUENZA DELLA LINEA FASCIA DI INFLUENZA PER SENSO
deviazione di alcune correnti di traffico sulla viabilità di servizio. VIABILITÀ SECONDARIA
Accessi a maglie interne a doppio senso
TAB. G.6.2./7 PRINCIPALI VANTAGGI E SVANTAGGI NELLA CIRCOLAZIONE A SENSO UNICO
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
diminuzione dei punti di conflitto alle intersezioni (Fig. G.6.2./33); aumento della velocità media nel traffico grazie alla possibilità di sorpasso; miglioramento del livello di servizio delle strade a parità di flussi transitanti. SVANTAGGI allungamento delle percorrenze e del numero delle svolte; incremento della domanda globale di mobilità (veic.x km/h) a parità di spostamento veicolare da servire (veic./h);
ottimizzazione della capacità di sosta sulla viabilità locale; facilitazione ricerca posti di sosta;
difficoltà per gli utenti non abituali;
accessibilià veicolare tangenziale alle eventuali aree pedonali;
allungamento di percorso per i veicoli di emergenza;
accessibilità differenziata alle ZTL.
LI G.4. E E VINCO NORM
VANTAGGI utilizzazione integrale delle carreggiate;
diminuzione dell’efficienza del trasporto pubblico con allungamento dei percorsi pedonali per raggiungere le fermate e della fascia d’influenza della linea servita in entrambi i sensi di marcia (Fig. G.6.2./35);
congruenza con lo schema generale di circolazione, al fine di evitare percorsi;
FASCIA DI INFLUENZA DELLA LINEA
Accessi a maglie interne a senso unico
aumento eccessivo della velocità nel caso di carreggiate con molte corsie.
➥
2. G.6. ITÀ LE MOBIL A E LOCA N URBA
G 103
G.6. 2.
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ URBANA E LOCALE ➦ PIANI URBANI DEL TRAFFICO ➦ CRITERI GENERALI DI PROGETTAZIONE ➦ MOVIMENTI DEI VEICOLI PRIVATI Uno schema particolare è quello denominato quadrilatero di scorrimento, costituito da una maglia di quattro strade a doppio senso di marcia, che, a partire dagli incroci in cui si intersecano, vengono poste a senso unico, in modo da costituire una “rotatoria allargata” (Fig. G.6.2./39). Per quanto riguarda le manovre consentite alle intersezioni occorre tenere presente che le correnti veicolari di svolta a sinistra determinano i problemi maggiori. Le modalità di regolazione della svolta a sinistra sono illustrate in Fig. G.6.2./36. Si osserva come l’utente a cui viene impedita la svolta diretta, tende a effettuare la “semidiretta dopo a sinistra”, mentre trova difficile compiere la svolta “semidiretta prima e dopo a destra” che, pertanto, deve essere adeguatamente segnalata per evitare incertezze. L’attribuzione delle precedenze ai vari rami dell’intersezione deve discendere dalla classifica funzionale delle strade e da considerazioni sui volumi di traffico transitanti. Regolazione delle intersezioni Le intersezioni rappresentano in genere, e in particolare sulla viabilità principale, i punti critici della viabilità. Infatti la capacità di un ramo di una intersezione è notevolmente ridotta rispetto alla capacità dello stesso ramo in condizioni di deflusso libero e inoltre il sovrapporsi nella medesima area di manovra dei flussi provenienti dalle diverse direzioni aumenta la possibilità di incidenti. Per le intersezioni sulla viabilità locali e per volumi di traffico modesti (dell’ordine di 400 veic/h, quale somma di tutti i flussi in ingresso), l’intersezione può essere lasciata libera e regolata dalle vigenti norme sulla precedenza. All’aumentare dei volumi di traffico e dell’importanza della viabilità occorre regolare l’area di manovra mediante canalizzazione del traffico ed eventualmente con la regolazione semaforica. Con il termine canalizzazione si intende quell’insieme di segnalazioni, verticali e orizzontali e di isole spartitraffico che suddividono la carreggiata in corsie. La canalizzazione, pur comportando una sottrazione dello spazio viario alla circolazione, guida i veicoli nella esecuzione delle manovra e scoraggia comportamenti irregolari; di fatto porta a un aumento di capacità e di sicurezza. Nel caso di regolazione semaforica occorre determinare il numero e la durata delle fasi. La prima operazione consiste nell’associare le correnti (veicolari e pedonali) in gruppi che ricevono contemporaneamente il verde, sfalsando temporalmente i conflitti tra le correnti in transito. In tal caso è bene non eccedere il numero di tre fasi, per evitare eccessivi perditempo. La durata della fase è data dalla somma del tempo di verde e di giallo a essa relativo. Il tempo di verde va assunto proporzionale al rapporto flussi capacità, delle varie correnti che passano contemporaneamente, considerando i valori massimi per ciascuna fase. Il tempo di giallo può essere assunto pari a 5 secondi, introducendo, eventualmente un tempo di tutto rosso, per permettere lo sgombero delle intersezioni più caricate con sezione superiore a 15 m. Per quanto riguarda le fasi esclusivamente pedonali, il tempo di verde può porsi da 5 a 10 secondi, calcolando per il giallo il tempo necessario all’attraversamento a una velocità di 1 m/s. L’intervallo di tempo durante il quale si attuano tutte le fasi semaforiche è detto ciclo semaforico, la cui durata massimo è di 120 s, oltre la quale il ritardo per l’utente diventa insopportabile e possono verificarsi manovre imprudenti. Valutazione degli indici di saturazione delle intersezioni principali e interventi correttivi organizzativi o strutturali Per le intersezioni della viabilità principale, semaforizzate o non, va valutato l’indice di saturazione, dato dal rapporto tra i flussi in transito e la capacità delle intersezioni medesime. Nel caso che quest’ultimo indice risulti superiore a un valore di soglia (posto in prima approssimazione pari a 0,90), vanno individuati gli interventi correttivi per rendere minimo l’indice in questione, quali ad esempio la modifica delle fasi dell’impianto semaforico o delle canalizzazioni delle correnti di traffico, la specializza-
FIG. G.6.2./37 SENSI UNICI CONTRAPPOSTI
FIG. G.6.2./36 MODALITÀ DELLA SVOLTA A SINISTRA
A)
B)
C)
D)
A) DIRETTA B) SEMIDIRETTA (PRIMA A SINISTRA) C) SEMIDIRETTA (PRIMA A DESTRA) D) SEMIDIRETTA (DOPO A SINISTRA) E) INDIRETTA (DOPO A DESTRA)
E)
zione d’uso delle corsie di attestamento, l’introduzione della svolta a destra continua e con precedenza ai pedoni, oppure le variazioni di schema di circolazione. Altri interventi di tipo strutturale possono l’ampliamento delle aree di manovra delle intersezioni, la realizzazione di nuove infrastrutture viarie, lo sfalsamento altimetrico di alcune manovre. L’indice di saturazione è definito come rapporto tra gli indici di carico dell’intersezione nella situazione esistente (o di progetto) e in quella di ciclo massimo (120 s). Per indice di carico dell’intersezione si intende la somma, estesa alle varie fasi semaforiche, del rapporto tra il flusso in transito della(e) corrente(i) più impegnativa(e) di ciascuna fase (più impegnativa in termini di veicoli equivalenti per metro lineare di ampiezza dell’attestamento o della sezione di uscita) e il corrispondente flusso di saturazione (vedi anche BU/CNR n.152/1992).
FIG. G.6.2./38 SENSI UNICI ALTERNATI
FIG. G.6.2./39 SCHEMA DEL QUADRILATERO DI SCORRIMENTO
E
F
C
G
B
H
G 104
D
A
URBANISTICA • MOBILITÀ MOBILITÀ URBANA E LOCALE
G.6. 2. A.ZIONI
Schemi di circolazione locale per le isole ambientali I criteri progettuali nel definire gli schemi della circolazione veicolare privata devono: • rendere nulla o comunque scarsa la “permeabilità” dell’isola ambientale ai traffici di attraversamento; • rendere relativamente facile la ricerca dei posti di sosta disponibili, evitando inutili ricircoli dei veicoli. L’utilizzo diffuso dei sensi unici in genere favorisce il soddisfacimento di ambedue i criteri progettuali anzidetti, poiché esso determina una riduzione dell’accessibilità dell’isola (dimezzamento del numero di ingressi e di uscite, rispetto alla situazione di accessi a doppio senso di marcia) e, inoltre, consente di massimizzare la disponibilità di posti legali di sosta su strada. Entrando in merito alla tipologia dei sensi unici da adottare, è opportuno rammentare che i sensi unici contrapposti facilitano la ricerca dei posti di sosta intorno a tutti gli isolati e praticamente eliminano tutta la conflittualità tra veicoli sulle intersezioni, ma allo stesso tempo rendono difficile l’orientamento del conducente. Viceversa i sensi unici alterni facilitano l’orientamento, ma penalizzano la ricerca di parcheggio e introducono una maggiore conflittualità alle intersezioni. Piani generali della segnaletica verticale Sono da predisporre: • il piano generale delle precedenze, che indichi le precedenze da assegnare ai singoli rami delle intersezioni secondo le tipologie stradali previste dalla classifica funzionale della viabilità; • il piano generale degli obblighi dei sensi di marcia principali, con il posizionamento dei divieti di transito, dei sensi vietati, delle direzioni obbligatorie; • il piano generale della segnaletica di indicazione, da intendere essenzialmente come individuazione degli itinerari che più opportunamente debbono essere seguiti dal traffico di transito relativo all’intera area urbana ed, eventualmente, alle singole zone urbane. SOSTA VEICOLARE Bilancio generale della sosta veicolare A seguito degli interventi di piano predisposti, occorre effettuare un bilancio generale della sosta veicolare riferito al confronto tra le presenze attuali di veicoli in sosta sugli spazi pubblici (strade e aree) e capacità di sosta derivante dai progetti predisposti sui medesimi spazi e su quelli aggiuntivi eventualmente già presi in considerazione. Tale bilancio va esteso a zone di dimensioni di circa 300 m di diametro, nelle quali risulta accettabile per l’utente la percorrenza pedonale massima tra destinazione e posto auto. Interventi che diminuiscono l’offerta di sosta: • lo sgombero della sosta veicolare dai marciapiedi e dai passaggi e attraversamenti pedonali; • la organizzazione di AP locali; • la organizzazione di specifici tronchi stradali per l’effettuazione di fermate e soste di servizio, comprese quelle dei mezzi di trasporto pubblico collettivo; • lo sgombero generale della sosta d’intralcio sulla viabilità principale; • lo sgombero particolare della sosta sui tronchi di accumulo e di uscita dalle intersezioni semaforizzate. Interventi che aumentano l’offerta di sosta: • creazione di strade parcheggio con impiego estensivo dei sensi unici all’interno delle isole ambientali; • predisposizione di aree di sosta esterne alle sedi.
INTERVENTI SULLA DOMANDA DI TRASPORTO Parallelamente all’intervento sull’offerta, occorre orientare la domanda di mobilità verso modi di trasporto che abbiano una più bassa occupazione di spazi per utente trasportato, sia dinamica che statica. Una modifica della ripartizione modale può ottenersi con provvedimenti penalizzanti la mobilità privata, quali la limitazione del traffico in particolari zone, l’introduzione di divieti di sosta generalizzati e di una tariffazione dello spazio viabile. Altri provvedimenti, quali la circolazione a targhe alterne e lo sfalsamento degli orari, si sono dimostrati non sempre efficaci o di difficile attuazione.
Un autobus urbano da 12 m, occupa circa 30 mq e dispone di 115 posti; ipotizzando, nell’ora di punta un coefficiente di riempimento del 75% l’occupazione per ogni passeggero è di 30/ (115 x 0,75) = 0,35 mq/passeggero. Un’autovettura media occupa circa 6,5 mq, trasportando mediamente 1,2 passeggeri; ne deriva un’occupazione di 5,4 mq/passeggero.
La situazione può considerarsi equilibrata al momento in cui il disavanzo algebrico dei due termini a confronto risulti contenuto nell’ordine del 5%. Nel caso molto frequente di deficit di posti auto, si verifica anzitutto la situazione delle zone contigue, nel tentativo di instaurare un “equilibrio allargato”. Se necessario si può procedere a una revisione dei progetti predisposti, finalizzata al recupero di posta auto, valutando: • l’utilizzo di parte dei marciapiedi molto larghi e poco frequentati dai pedoni; • il rinvio della realizzazione di AP locali; • la realizzazione di nuovi impianti di parcheggio; • lo sgombero generale esteso alle sole strade di scorrimento e interquartiere e alle altre strade interessate dai più rilevanti flussi del servizio di trasporto pubblico collettivo; • lo sgombero particolare della sosta sulle zone di accumulo e di uscita dalle intersezioni semaforizzate, contenuto al minimo possibile; • la individuazione di ulteriori aree a raso per la sosta al di fuori delle sedi stradali. Le presenze di veicoli in sosta da confrontare con i posti auto disponibili vanno valutate considerando il valore massimo rilevato a metà mattinata, a metà pomeriggio, durante la notte. Organizzazione degli spazi di sosta L’art.149 del Codice della strada prevede opportunamente, poiché quasi sempre maggiormente utili, solo tre tipi di disposizioni degli stalli di sosta: longitudinale o in linea (codice L), a spina (codice S) e a pettine (codice P), con angolo di inclinazione pari, rispettivamente, a 0°, 45° e 90°. La sosta è consentita sulle strade locali (strade-parcheggio), sulle strade interzonali (file di sosta con corsia di manovra coincidente con la corsia di marcia normale dei veicoli), sulle strade di quartiere (fascia laterale di sosta a fianco della carreggiata) e sulle strade interquartiere e di scorrimento (carreggiata di servizio a fianco di quella principale, con il relativo spartitraffico ampliato in modo tale da consentire sicure manovre di immissione e di uscita dalla anzidetta carreggiata principale). Inoltre sono possibili aree di sosta a raso esterne alle sedi stradali, di conformazione comunque varia e delimitata da opportuno cordolo o da recinzione. Gli stalli devono essere delimitati con segnaletica orizzontale; la profondità della fascia stradale da loro occupata è di 2,00 m per la sosta longitudinale, di 4,80 m per la sosta inclinata a 45° e di 5,00 m per quella perpendicolare al bordo della carreggiata. La larghezza del singolo stallo è di 2,00 m (eccezionalmente di 1,80 m) per la sosta longitudinale, con una lunghezza occupata di 5,00 m; è di 2,30 m per la sosta trasversale (vedi Tab. G.6.2./8). Le eventuali corsie di manovra a servizio delle fasce di sosta devono avere una larghezza misurata tra gli assi delle strisce che le delimitano, rispettivamente pari a 3,50 m per la sosta longitudinale e 6,00 m per la sosta perpendicolare al bordo della carreggiata, con valori intermedi per la sosta inclinata. TAB. G.6.2./8 CARATTERISTICHE GEOMETRICHE DEGLI STALLI DI SOSTA PER AUTOVETTURE Tipologia degli stalli
Larghezza filo sosta (m)
Dimensione stallo (m)
Larghezza corsia di manovra (m)
Capacità (posti/m)
longitudinale (0°)
2,00
2,00 x 5,00
3,5
0,200
spina (45°)
4,50
2,30 x 4,50
3,5
0,310
pettine (90°)
4,50
2,30 x 4,50
6,0
0,435
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN
INDAGINI E RILEVAZIONI
MODELLI MATEMATICI
Sia per una corretta elaborazione di un PUT che per una successiva verifica degli interventi realizzati, occorre conoscere l’offerta e la domanda di trasporto in termini di movimento e sosta, almeno per le principali componenti di traffico. La domanda di trasporto deriva dalle destinazioni d’uso del territorio, pertanto, è necessario suddividere l’area di studio in sottozone ciascuna delle quali possa essere considerata origine e destinazione di spostamenti (zonizzazione). Tramite una matrice detta matrice origine-destinazione (O/D) è possibile sintetizzare gli spostamenti che avvengono per ogni coppia di zone, in un determinato periodo di tempo. La matrice O/D può essere determinata con indagini campionarie a domicilio e su strada con le quali si individuano anche altre caratteristiche dello spostamento, come la motivazione. È comunque opportuno prima e dopo la realizzazione degli interventi di piano, effettuare dei conteggi di flussi veicolari. Analogamente va rilevata la domanda di sosta soddisfatta, sia in termini numerici che di durata. Per quanto riguarda l’offerta di trasporto occorre predisporre un inventario dei vari tronchi della rete, evidenziando per ciascuno di essi le caratteristiche urbanistiche, e geometriche, le discipline di circolazione (movimento e sosta) vigenti, i fattori condizionanti il deflusso. Altre indagini di tipo particolare servono a individuare le zone con la maggiore incidentalità stradale o più soggette ad agenti inquinanti.
Per descrivere i legami che intercorrono tra i diversi elementi del sistema di trasporto è opportuno adoperare modelli matematici che siano di supporto per l’analisi del funzionamento del sistema e l’individuazione delle criticità e che possano essere utilizzati per la valutazione e il confronto di progetti alternativi. Esistono modelli di diversa natura (ad esempio di tipo deterministico e stocastico), che vengono calibrati al fine di descrivere il comportamento di una parte del sistema; i più utilizzati permettono: • di ricostruire o di aggiornare la matrice O/D sulla base di flussi rilevati su strada; • di determinare il numero totale dell’attrazione e generazione di traffico di ciascuna zona in cui si suddivide il territorio (modelli di generazione); • di individuare le relazioni di traffico presenti e future tra le diverse zone (modelli di distribuzione); • di prevedere la scelta del modo di trasporto da parte dell’utente tra i diversi sistemi a disposizione (modelli di ripartizione modale); • di rappresentare l’incontro tra domanda e offerta di trasporto, tramite la determinazione dei flussi di traffico sugli elementi della rete (modelli di assegnazione); • di simulare gli effetti della emissione di inquinanti nell’atmosfera.
➥
G.6. ITÀ MOBIL
2. G.6. ITÀ LE MOBIL A E LOCA N URBA
G 105
G.6. 3.
URBANISTICA • MOBILITÀ NODI DI SCAMBIO E INFRASTRUTTURE PER LO STAZIONAMENTO INTERSEZIONI STRADALI In una rete stradale l’intersezione rappresenta un’area su cui i veicoli che marciano su strade diverse possono entrare in conflitto e pertanto rappresenta un punto singolare della circolazione, sia in termini di sicurezza che di continuità del deflusso. In corrispondenza dell’intersezione, sulla base della geometria e dei volumi di traffico transitanti, i veicoli compiono manovre semplici o complesse (Tab. G.6.3./1 e Fig. G.6.3./1) individuando delle traiettorie che, quando interferiscono, generano potenziali punti di collisione, come quelli riportati in Fig. G.6.3./2 per un ramo in ingresso, nel caso di incrocio a quattro bracci e doppio senso di marcia. Si vede come la svolta a sinistra presenti una criticità maggiore, in quanto comporta quattro punti di conflitto, di cui due di attraversamento molto ravvicinati. Per valutare la pericolosità dei punti di conflitto, bisogna tenere conto che, nella dinamica dei veicoli in corrispondenza delle intersezioni, interessa la velocità relativa tra i veicoli stessi, che è funzione sia delle velocità assolute, sia dell’angolo sotto cui si incontrano i veicoli. Le strategie di organizzazione e di controllo di un’intersezione in primo luogo sono dirette a indirizzare opportunamente le traiettorie, mediante segnaletica di preselezione o canalizzazione; quindi possono essere volte a modificare il numero e la natura dei punti di conflitto. Tale obiettivo può raggiungersi: • introducendo sensi unici di circolazione; • vietando alcune manovre di svolta; • sfalsando temporalmente le traiettorie con segnaletica o con impianti semaforici; • sfalsando altimetricamente le traiettorie.
TAB. G.6.3./1 - DEFINIZIONE DEI PRINCIPALI TIPI DI MANOVRE
La scelta della soluzione da adottare dipende dal tipo di strada e dall’entità dei flussi interessati, nonché da vincoli economici e di spazio.
FIG. G.6.3./1 PRINCIPALI MANOVRE A UNA INTERSEZIONE
ATTRAVERSAMENTO
TIPO DI MANOVRA
DESCRIZIONE
Accelerazione e rallentamento
Manovre semplici che permettono di modificare la velocità della vettura per adeguarla all’andamento della strada e alle diverse condizioni di traffico.
Attraversamento
Manovra complessa durante la quale si varia la velocità per superare un’area critica.
Svolta a sinistra e a destra
Manovra complessa per cambiare direzione. Il regime di marcia attuato è simile al caso di attraversamento.
Arresto
Manovra semplice occasionale o necessaria per rispettare la segnaletica stradale.
Cambio di corsia
Manovra semplice necessaria per trasferirsi da una traiettoria a un’altra parallela.
Sorpasso
Manovra complessa e occasionale per superare un veicolo che precede sulla stessa traiettoria.
Immissione e diversione
Manovre semplici attuate per inserirsi o per divergere da una corrente di traffico. Tali manovre sono caratterizzate dal fatto che la velocità relativa tra i veicoli che si immettono, o divergono, e la corrente principale è quasi nulla; condizione tanto più rispettata quanto più le velocità assolute sono in modulo uguali e le traiettorie formano un angolo piccolo.
Scambio
Manovra complessa che serve per consentire cambi di corsia onde disporsi nel prescelto incanalamento.
FIG. G.6.3./2 PUNTI DI CONFLITTO A UNA INTERSEZIONE
DIVERSIONE IN SINISTRA E IN DESTRA
SVOLTA PROPRIAMENTE DETTA A DESTRA E A SINISTRA
IMMISSIONE IN SINISTRA E IN DESTRA
SCAMBIO
INTERSEZIONI A LIVELLO Le intersezioni a livello (o a raso) sono sistemate su un unico piano e si distinguono a seconda del numero di strade che si intersecano (a tre rami, a quattro rami ecc.). Il primo importante elemento geometrico da considerare per la sistemazione di un incrocio a raso, è costituito dalle zone che devono essere tenute libere da ostacoli in modo tale da consentire ai conducenti una visibilità sufficiente per decidere le manovre da compiere e per valutare situazioni di pericolo. A tale scopo è necessario definire planimetricamente i contorni del triangolo di visibilità, le cui dimensioni dipendono dalle velocità di approccio dei veicoli e dal tipo di regolazione previsto.
G 106
Nel caso di intersezione libera un veicolo che sopraggiunge deve poter vedere i veicoli di un’altra corrente veicolare quando entrambi distano dall’ipotetico punto di conflitto di una lunghezza pari almeno alla distanza di arresto, calcolata sulla base della velocità di progetto della relativa strada (Fig. G.6.3./3). Nel caso di intersezione regolata con lo stop un veicolo fermo sulla strada secondaria, a 3 m dal ciglio della principale deve potere vedere un veicolo quando dista dall’ipotetico punto di conflitto di una lunghezza pari a L, che corrisponde al tratto di strada che il veicolo sulla strada principale percorre, nel tempo necessario al veicolo sulla strada secondaria per ripartire e completare la manovra di attraversamento o di svolta (Fig. G.6.3./5 curve B e B’ e Fig. G.6.3./6). Nel caso di incrocio regolato con il segnale di dare la precedenza la zona di visuale libera è calcolata supponendo che il conducente proveniente dalla strada secondaria, a una distanza di 30 m dal punto di conflitto, deve poter vedere un veicolo quando questi dista dal potenziale punto di conflitto della lunghezza L, che corrisponde al tratto di strada che il veicolo, nel tempo necessario al veicolo sulla strada secondaria per completare la sua manovra di attraversamento o di svolta a sinistra (Fig. G.6.3./4). La lunghezza L viene stabilita dalle norme CNR (BU 31/1973) in funzione della velocità di progetto sulla viabilità principale (Fig. G.6.3./5 curva A).
URBANISTICA • MOBILITÀ NODI DI SCAMBIO E INFRASTRUTTURE PER LO STAZIONAMENTO
G.6. 3. A.ZIONI
FIG. G.6.3./3 TRIANGOLI DI VISIBILITÀ INTERSEZIONE LIBERA
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. G.6.3./4 TRIANGOLI DI VISIBILITÀ CON VINCOLO DI PRECEDENZA
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
30 m
D.GETTAZIONE
30 m
30 m 30 m
L
Da1
FIG. G.6.3./5 DIAGRAMMA PER IL CALCOLO TRIANGOLI DI VISIBILITÀ
L,L’ (m) L,L
E ESE ESSIONAL PROF
PRO TTURALE STRU
Da2
Da2 Da1
C.RCIZIO
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
L
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
FIG. G.6.3./6 TRIANGOLI DI VISIBILITÀ CON VINCOLO DI STOP
400
G.ANISTICA URB
300
B’
200
A
B’:: INTERSEZIONE CON STOP E ZONA DI ACCUMULO
3m
A: INTERSEZIONE CON SEGNALE PRECEDENZA B: INTERSEZIONE CON STOP A DUE CORSIE
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
3m
B
G.2. À URBANA REALT
100
L’
G.3. À REALT ORIALE TERRIT
L’
0 40
50
60
70
80
90
100
LI G.4. E E VINCO NORM
V (km/h)
SISTEMAZIONE DELLE INTERSEZIONI A RASO Il sistema più semplice per realizzare l’immissione di una strada su un’altra, è quello di arrotondare gli spigoli dell’intersezione in modo da agevolare la svolta dei veicoli (vedi Fig. G.6.3./7). Occorre tenere presente, a tale proposito, che ogni veicolo deve potersi inscrivere in una corona circolare avente raggio esterno di 12,50 m e raggio interno di 5,30 m. Tale sistemazione determina una riduzione a valori molto bassi della velocità d percorrenza dei veicoli ed è pertanto da utilizzare solo nel caso in cui almeno una delle strade è di modesta importanza. Nel caso in cui nella strada principale non siano necessarie corsie di accumulo, si può realizzare uno schema nel quale e due correnti della strada secondaria sono separare in prossimità dell’intersezione da isole divisionali “a goccia” (vedi Fig. G.6.3./8). Quando sulla strada principale è necessario introdurre corsie di accumulo, di accelerazione o decelerazione, si possono impiegare per le intersezioni a 3 o 4 bracci gli schemi di Fig. G.6.3./9. La destinazione delle corsie per i vari movimenti deriva dalla sezione disponibile e dal volume delle varie correnti di svolta e di attraversamento. In particolare, la larghezza del braccio di intersezione su cui deve realizzarsi la canalizzazione, impone il numero di corsie, che possono essere più strette delle corsie di marcia normale, in quanto le velocità in corrispondenza dell’incrocio tendono a scendere. Nel caso in cui sulla strada principale esista un consistente flusso di veicoli in svolta a sinistra verso la strada secondaria, è necessario realizzare un allargamento della carreggiata per ricavare una corsia di accumulo, come riportato nella Fig. G.6.3./9, schema a) ed e). Nel caso in cui anche i flussi provenienti dalla strada secondaria in svolta verso destra e sinistra siano sostenuti, si può adottare lo schema di Fig. G.6.3./9, schema b) e f). Negli schemi di Fig. G.6.3./9: c), d), g) e h), viene introdotta una corsia di decelerazione per i veicoli che dalla strada principale svoltano a destra sulla strada secondaria.
FIG. G.6.3./ 7 INTERSEZIONE A 4 BRACCI CENTRALI SENZA ALLARGAMENTO DELLE CARREGGIATE
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
➥
IO 3. G.6. DI SCAMB RE PER NODI ASTRUTTU NTO E R E INF ZIONAM A LO ST
G 107
G.6. 3.
URBANISTICA • MOBILITÀ NODI DI SCAMBIO E INFRASTRUTTURE PER LO STAZIONAMENTO ➦ INTERSEZIONI STRADALI ➦ SISTEMAZIONE DELLE INTERSEZIONI A RASO FIG. G.6.3./8 INTERSEZIONE A 4 BRACCI SENZA ALLARGAMENTO DELLE CARREGGIATE E CON ISOLE DIVISIONALI A GOCCIA
ELEMENTI DELLE INTERSEZIONI A RASO Corsia di attesa La corsia di attesa (detta anche di accelerazione) deve avere una lunghezza (Lm) tale che un veicolo che la percorre possa trovare uno spazio libero per eseguire l’immissione nella corrente principale prima di giungere alla fine della corsia stessa (vedi Fig. G.6.3./10). Per la pratica determinazione della lunghezza Lm possono utilizzarsi curve analoghe a quelle riportate in Fig. G.6.3./11 che indica la lunghezza media Lm/2 della corsia di manovra in funzione della velocità con cui viene percorsa e della portata entrante (Q2), quando la velocità della corrente principale è pari a 80 km/h e la portata (Q1) della corsia principale è pari a 800 veic/h. Il tratto di raccordo (Lc) tra la corsia di attesa e la strada principale ha una lunghezza che può calcolarsi con l’espressione:
Lc = 0,27 x Vi x b dove: Vi = velocità corrente secondaria di immissione (in km/h); b = larghezza della corsia parallela (in m). Riguardo alla costruzione geometrica del tratto di raccordo, si attua un allargamento (e) variabile in funzione di una curva costituita dalla successione di due parabole uguali ma di verso opposto (vedi Fig. G.6.3./12). L’allargamento va calcolato con la formula: 2 e = z 2R
dove: z = ascissa di riferimento variabile da 0 a L/2; R = raggio del cerchio equivalente alla parabole =
L2c . 4b
FIG. G.6.3./9 SCHEMI COMPLESSI D’INTERSEZIONE A RASO A TRE E QUATTRO BRACCI a)
e)
b)
f)
g) c)
h) d)
G 108
URBANISTICA • MOBILITÀ NODI DI SCAMBIO E INFRASTRUTTURE PER LO STAZIONAMENTO
G.6. 3. A.ZIONI
Corsia di decelerazione La lunghezza della corsia di decelerazione (vedi Fig. G.6.3./7) è data dalla composizione di un tratto di raccordo (Lc) e un tratto di decelerazione vero e proprio (Ld) fino alla velocità ammessa dalla curva terminale, secondo la formula:
v2 =
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
FIG. G.6.3./ 11 CURVA PER LA DETERMINAZIONE DI Lm/2 (per Q1 = 800 veic/h e V1 = 80 km/h)
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
2,5 R
dove: v 2 = velocità di uscita (m/s); R = raggio della traiettoria media (m).
4000
Per il raggio di uscita si ritiene conveniente assumere un valore minimo di 20 m al fine di non determinare eccessive riduzioni di velocità. Per la lunghezza del tratto di raccordo, si può fare riferimento a quanto riportato relativamente alle corsie di attesa, assumendo per Lc un valore minimo di 20 m.
2000
E ESE ESSIONAL PROF
1000
D.GETTAZIONE
C.RCIZIO
PRO TTURALE STRU
800
FIG. G.6.3./ 10 ELEMENTI GEOMETRICI DELLA CORSIA DI ATTESA 2 (m) Lm/2 Lm
600
E.NTROLLO
400
CO NTALE AMBIE
200
F. TERIALI,
Q 2 = 200 veic veic/h
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
10 Lm
Lc
80 60
G.ANISTICA
40
URB
FIG. G.6.3./ 12 GEOMETRIZZAZIONE TRATTO DI RACCORDO 20
Z
10
b
10
e Lc/2
veic/h Q1 = 800 veic
20
30
40
50
60
70
80
Lc/2
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
90
V2 = (Km/h)
G.2. À URBANA REALT
Corsia di accumulo La corsia di accumulo si compone di tre parti (Fig. G.6.3./12), un tratto di invito (Lc), un tratto in cui avviene la maggiore decelerazione (Ld) e un tratto di sosta e di attesa (Ln). I valori di Ld e Lc previsti dalle norme CNR (BU 31/1973) sono riportati in Tab. G.6.3./2 in funzione dei valori della velocità e della pendenza. La lunghezza della zona di sosta deve essere calcolata con considerazioni di tipo probabilistico, in funzione della lunghezza media della coda e del tempo medio di attesa: ad esempio considerando una valore per la corrente che deve essere attraversata di 400 veic/h e un flusso di svolta a sinistra pari a 150 veic/h, si può assegnare a Ln un valore di 12 m, sufficiente all’attesa di due veicoli. Per realizzare una corsia di accumulo occorre allargare la carreggiata di una quantità pari almeno alla somma della larghezza delle corsie addizionali.
L’allargamento può essere ripartito in parti uguali sui due lati delle carreggiate. L’allargamento viene ripartito in parti uguali sui due lati della carreggiata. La lunghezza in metri della zona di raccordo (Lr) tra la sezione corrente e quella allargata è pari a: Lr = V x
a
con V = velocità di progetto della strada in corrispondenza dell’intersezione (in km/h); a = allargamento su ciascun lato della carreggiata (in m). L’andamento dei cigli lungo la zona di raccordo è riportato in Fig. G.6.3./13.
-4
0
G.6. ITÀ MOBIL
+4
Velocità (km/h)
40
50
60
70
80
90
100
40
50
60
70
80
90
100
40
50
60
70
80
90
100
Ld (m)
10
15
25
40
60
80
105
5
10
20
30
40
55
75
–
5
15
20
30
40
55
Lc (m)
30
35
40
45
50
55
60
20
25
30
35
40
45
50
15
20
25
30
35
40
45
FIG. G.6.3./12 ELEMENTI DELLE CORSIE DI DECELERAZIONE E DI ACCUMULO Lr
Lc
Ld
LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN
TAB. G.6.3./2 LUNGHEZZA DEGLI ELEMENTI DELLE CORSIE DI DECELERAZIONE Pendenza (%)
G.3. À REALT ORIALE TERRIT
FIG. G.6.3./13 SAGOMATURA DEL CIGLIO DELLA CARREGGIATA PER REALIZZARE L’ALLARGAMENTO IN CORRISPONDENZA DI UNA INTERSEZIONE
Ln ax
a
x Lr
Lc
Ld
IO 3. G.6. DI SCAMB RE PER NODI ASTRUTTU NTO E R E INF ZIONAM A LO ST
G 109
G.6. 3.
URBANISTICA • MOBILITÀ NODI DI SCAMBIO E INFRASTRUTTURE PER LO STAZIONAMENTO ➦ INTERSEZIONI STRADALI INCROCI SEMAFORIZZATI La regolazione semaforica di un’intersezione comporta l’eliminazione dei punti di conflitto tramite uno sfalsamento temporale delle manovre, che viene ottenuto arrestando periodicamente le correnti veicolari transitanti. Il controllo semaforico delle reti stradali urbane può essere classificato in due categorie: a tempo fisso e attuato dal traffico. Nel primo caso il valore dei parametri di regolazione viene stabilito a priori, sulla base dei valori medi di traffico previsti: la sequenza dei colori è ripetuta con attribuzione di tempi costanti alle varie correnti di traffico. Nel secondo caso la regolazione semaforica si adatta automaticamente alle condizioni di traffico registrate in tempo reale tramite appositi strumenti di misura. Una strategia che contempla alcuni elementi propri della regolazione a tempo fisso e altri di quella
attuata dal traffico, è il controllo a selezione di piano che prevede la scelta di piani predefiniti sulla base di misurazioni automatiche dei volumi di traffico. Una diversa classificazione dei sistemi di controllo semaforici può essere effettuata a seconda delle relazioni tra i singoli impianti. Quando il controllo avviene solo sulla singola intersezione, si parla di intersezione isolata; i parametri di controllo sono la durata e la ripartizione dei tempi di verde. Se invece si considera un insieme di intersezioni disposte lungo un itinerario, si parla di coordinamento arteriale, ottenibile determinando opportunamente la differenza di fase tra coppie di semafori (offset), che hanno lo stesso tempo di ciclo. Un livello di controllo gerarchicamente più elevato è quello relativo all’intera rete o a una parte di essa, che viene attuato con l’obiettivo di ottimizzare alcune prestazioni del sistema.
PROGETTO DI UN’INTERSEZIONE SEMAFORICA Il progetto di una regolazione semaforica consiste nell’individuare la sequenza dei tempi di verde e di rosso che determinano il moto e l’arresto delle correnti di traffico transitanti su gruppi di corsie disposte su uno o più accessi. In particolare occorre determinare la durata del ciclo semaforico, che rappresenta l’intervallo di tempo necessario per una sequenza completa delle indicazioni semaforiche che si ripetono periodicamente e la durata delle diverse fasi, in cui è suddiviso il ciclo e che rappresentano gli intervalli di tempo durante i quali viene data via libera a una combinazione di movimenti contemporanei di veicoli e pedoni (vedi Fig. G.6.3./14). La progettazione di una regolazione semaforica si basa principalmente sulla determinazione dei seguenti elementi: • il numero minimo di fasi semaforiche, la loro successione e durata; • il numero di corsie da assegnare a ciascuna corrente veicolare; • la durata da attribuire a ciascun intervallo semaforico.
FIG. G.6.3./14 ESEMPIO DI CICLO SEMAFORICO FASE I
INTERVALLO DI GIALLO INTERVALLO DI VERDE VERDE
Inoltre particolare attenzione va posta alla regolazione degli attraversamenti pedonali, i quali possono ottenere il verde contemporaneamente ad alcune correnti veicolari o separatamente da esse di una fase dedicata. La scelta va effettuata in funzione dell’entità dei flussi pedonali e della pericolosità dei punti di conflitto tra veicoli e pedoni. Scelta delle fasi e delle canalizzazioni Il numero minimo delle fasi è due e spesso occorre introdurre la terza fase per permettere lo svolgimento in sicurezza di tutte le manovre consentite; in casi eccezionali si può arrivare a un massimo di quattro fasi (vedi Figg. G.6.3./15-16). La canalizzazione è l’insieme di apprestamenti destinati a selezionare le correnti di traffico in funzione delle direzioni. L’esempio più semplice di canalizzazione è la suddivisione di un ramo di entrata all’intersezione in corsie con la loro specializzazione secondo le manovre consentite. Esempi più complessi di canalizzazione sono rappresentati dalle intersezioni in cui vengono realizzate le cosiddette isole di canalizzazione costituite da parti della strada opportunamente sagomate (con marciapiedi, aiuole, cordoli, segnaletica orizzontale), non transitabili dai veicoli e destinate a incanalare le correnti di traffico. Il numero e la struttura delle fasi e la canalizzazione sono interdipendenti in quanto la
FASE II
GIALLO
ROSSO
DURATA DELLA FASE ROSSO
VERDE
GIALLO
LUNGHEZZA DEL CICLO
FIG. G.6.3./16 SCHEMI DI FASATURA PER UNA INTERSEZIONE A 4 RAMI
1
FIG. G.6.3./15 SCHEMI DI FASATURA PER UNA INTERSEZIONE A 3 RAMI FASE I
2
1
4
FASE II
2
1 4 4
3 FASE I
FASE II
1
3
FASE I
FASE II
FASE III
1 FASE II
1
1
4
FASE III
4
3
2
1
1
3
2
3
SCHEMA A
3
3
SCHEMA A
3
2
3
FASE I
4
2
1
2
2
1
3
SCHEMA B
2
2
2
3
2
1
4
3 3
SCHEMA B
FASE I
FASE I
FASE II
FASE III
1
1
1
SCHEMA C
G 110
3
4 1
3
4
2
2
2
2 3
1
3
2 3
1
FASE III
4
1
2
FASE II
SCHEMA C
3
3
URBANISTICA • MOBILITÀ NODI DI SCAMBIO E INFRASTRUTTURE PER LO STAZIONAMENTO
G.6. 3. A.ZIONI
possibilità di separare, in fasi diverse, ad esempio una manovra di svolta a sinistra da una manovra di attraversamento, entrambe provenienti dallo stesso ramo, dipende dal numero di corsie a disposizioni per tali manovre. Determinazione della durate di accensione delle luci semaforiche La procedura prevede: • determinazione dei tempi di giallo e di tutto rosso, individuazione della sequenza ottimale delle fasi; • calcolo del ciclo semaforico; • calcolo dei tempi di verde.
Calcolo del ciclo semaforico Durante ogni fase semaforica viene assegnato un tempo di verde a una o più correnti di traffico che possono transitare su corsie specializzate, oppure su corse promiscue. Per ciascuna corrente può essere calcolato il relativo indice di carico, dato dal apporto tra flusso veicolare e flusso di saturazione:
y =F/S
Determinazione dei tempi di giallo e di tutto rosso Il passaggio dal tempo di via libera (verde) al tempo di arresto (rosso), deve essere preceduto da un tempo di preavviso di arresto (giallo). Il tempo di giallo è pari a: G = 4 s per le strade in ambito urbano; G = 5 s per le strade in abito extraurbano.
Ciclo semaforico: tempo durante il quale ha luogo una successione completa di fasi semaforiche. Corrente di traffico: insieme di veicoli (corrente veicolare) o pedoni (corrente pedonale), che si muovono su una strada nello stesso senso di marcia su una o più file parallele seguendo una determinata traiettoria. Flusso di saturazione: numero massimo di veicoli che possono transitare ininterrottamente su un attestamento all’intersezione, in un determinato periodo di tempo, nelle condizioni esistenti.
Per intersezioni larghe oltre i 14,00 m il tempo di giallo potrebbe essere integrato da un tempo di tutto rosso (Tr) che consenta di sgombrare l’area di intersezione da determinarsi con l’espressione:
Una formula sperimentale per calcolare il flusso orario di saturazione espresso in veicoli equivalenti, in funzione della larghezza dell’attestamento (a) è:
S 650 a + 190 (UA/h)
Tr = w / v dove: w = è la distanza (in m) dalla linea di arresto del veicolo più vincolante al punto di conflitto con la corrente più distante, appartenente alla fase successiva; v = è la velocità (in m/s) dei veicoli facente parte di setta corrente veicolare. Sequenza ottimale delle fasi La sequenza delle fasi può rivestire particolare importanza soprattutto nel caso di presenza di tempi di tutto rosso, al fine di ridurre gli intervalli di tempo non utilizzati per il deflusso dei veicoli. Calcolo dei perditempo I perditempo associabili a ogni fase semaforica sono: • l’avviamento alla partenza (lo), connesso con i tempi di reazione del conducente allo scattare del verde e pari a circa 3 s; • la parte residua del tempo di giallo non utilizzata dai veicoli per il transito (lg), calcolabile in circa metà del tempo di giallo; • il tempo di tutto rosso (T); • il tempo delle fasi esclusivamente pedonali (P). In assenza di questi due ultimi fattori, il perditempo totale (L) sarà dato dall’espressione: φ
L = Σ (lo i + l gi + Tri ) + P
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
La durata del ciclo semaforico può essere determinata mediante la formula:
G.ANISTICA
C = L / (1–Y)
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
URB
Si precisa, che secondo tale formula, al di sotto del valore minimo di 30 s, i perditempo incidono notevolmente sul ciclo e pertanto è sufficiente una regolazione a precedenza; al di sopra del valore di 120 s, le code si allungherebbero eccessivamente. Calcolo dei tempi di verde Determinata la durata del ciclo, si può calcolare la durata dei tempo di verde effettivo di ciascuna fase (Vei ) come una quota del verde totale effettivo (C-L) proporzionale al proprio indice di carico, secondo l’espressione:
Vei = (C - L)
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
Yi Y
Ne deriva l’espressione per il tempo di verde della fase iesima è dato da: Yi Vri = (C – L) + lo + lg – G Y
L =5φ
I ED PRE NISM ORGA
F. TERIALI,
Vr + G = Vr + lo + lg
Per intersezioni di larghezza inferiore a 14 m sarà pari a:
B.STAZIONI DILEGIZLII
Si definisce: • indice di carico della fase l’indice di carico più elevo tra quelli delle correnti singole o associate di una stessa fase; • indice di carico dell’intersezione (Y), la somma degli indici di carico delle varie fasi.
Per determinare il tempo di verde reale delle fase iesima (Vri) occorre considerare i perditempo ricordando che:
i= l
con: φ = numero delle fasi; i = fase iesima.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM
ROTATORIE
ENTRATA
VANTAGGI
diminuzione dei punti di conflitto; assenza, in genere, di regolazione semaforica; soluzione adottabile anche per incroci con più di quattro bracci; possibilità di effettuare con facilità l’inversione di marcia.
SVANTAGGI necessità di spazi elevati per un corretto funzionamento; impossibilità a gerarchizzare i rami di accesso;
LARGHEZZA CARREGGIATA
G.6. ITÀ MOBIL
RAMO
USCITA
ISOLA DIREZIONALE
TAB. G.6.3./3 INTERSEZIONE A RASO CON REGOLAZIONE A ROTATORIA
rallentamento delle correnti veicolari in arrivo ai vari rami, obbligati a dare la precedenza e percorrere una traiettoria curvilinea;
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN
FIG. G.6.3./17 SISTEMAZIONE A ROTATORIA
DIAMETRO INTERNO
Una soluzione delle intersezioni a raso è quella “a rotatoria” in cui tutti i rami che confluiscono nell’intersezione vengono immessi in una strada con un numero di corsie comprese tra 2 e 4, chiusa su se stessa, con asse circolare o ellittico, che viene percorsa in senso antiorario (vedi Fig. G.6.3./17). Il funzionamento corretto dell’intersezione si ha quando i veicoli, una volta immessi sulla rotatoria, con una manovra di scambio si spostano verso la corsia più interna, in modo tale da non ostacolare i veicoli che provengono o si immettono nei rami successivi. A tal fine occorre dimensionare con accortezza la zona di scambio, secondo i criteri esposti successivamente. Occorre sottolineare che il codice della strada (art.7) permette di realizzare incroci a rotatoria con precedenza ai veicoli che percorrono l’anello, superando il concetto di rotatoria con precedenza a destra. Di seguito sono indicati i principali elementi da valutare nella scelta di una soluzione a rotatoria.
ISOLA CENTRALE
difficoltà d’inserimento in itinerari coordinati; interruzione delle corsie riservate al trasporto pubblico; difficoltà di utilizzo dell’isola centrale; allungamento e scarsa protezione dei percorsi pedonali.
LUNG. ZONA DI SCAMBIO
➥
IO 3. G.6. DI SCAMB RE PER NODI ASTRUTTU NTO E R E INF ZIONAM A LO ST
G 111
G.6. 3.
URBANISTICA • MOBILITÀ NODI DI SCAMBIO E INFRASTRUTTURE PER LO STAZIONAMENTO ➦ INTERSEZIONI STRADALI ➦ ROTATORIE possibile classificare le rotatorie secondo i seguenti schemi: mini-rotatoria a isola centrale sormontabile; rotatoria compatta; rotatoria convenzionale.
In funzione della tipologia di rotatoria esiste una differente sistemazione dell’isola circolare centrale: essa può essere resa transitabile per le manovre dei veicoli pesanti nel caso di mini rotatorie mentre quelle compatte sono caratterizzate da bordure non sormontabili dell’isola centrale.
Elementi geometrici I valori dei principali elementi di una rotatoria (vedi Fig. G.6.3./18) da adottarsi a seconda del raggio della corona giratoria esterna (Rg), sono riportati in Tab. G.6.3./4. La larghezza minima di una corona giratoria deve essere di 7,50 m, che equivalgono alla larghezza di due corsie affiancate da 3,75 m, sufficienti a garantire l’iscrizione di un veicolo in curva. Una ulteriore corsia può essere aggiunta per le svolte a destra; una quarta corsia può essere necessaria per i flussi transitanti a ridosso dell’isola centrale. Il massimo della larghezza trasversale di una corona è pari, pertanto, a quattro corsie, per una larghezza complessiva di 15,00 m. Una maggiore larghezza non aumenterebbe la capacità della rotatoria e consentirebbe troppa libertà di traiettoria ai veicoli e quindi anche possibili incroci obliqui pericolosi. Nel disegno progettuale della rotatoria occorre controllare la “deflessione” delle traiettorie in attraversamento del nodo, imponendo che il relativo raggio superi valori di 80-100 m, cui corrispondono le usuali velocità di sicurezza per una circolazione in rotatoria (40-50 km/h per le manovre più dirette) Si definisce deflessione di una traiettoria il raggio dell’arco di cerchio che passa a 1,50 m dal bordo dell’isola centrale e a 2,00 m dal ciglio delle corsie di entrata e uscita (vedi Fig. G.6.3./ 19).
Un altro elemento di disegno progettuale delle rotatorie è rappresentato dalle isole curvilinee triangolari poste in corrispondenza delle corsi di entrata e di uscita nella corona circolare. L’isola di separazione nelle rotatorie: • indirizza il conducente nelle immissioni e uscite; • induce a rallentare i veicoli e a rispettare il regime di precedenza; • definisce l’ingresso in rotatoria; • permette l’attraversamento pedonale in due tempi. Sulle vie con velocità più elevata si può assumere: 6 m < b L i < 20 m; 10 m < b L o < 60 m. Detti valori variano in funzione del grado di urbanizzazione circostante, delle velocità praticate, della posizione dell’entrata in funzione dell’incrocio adiacente, dei flussi transitanti (quanto la corrente in entrata è prossima al valore di saturazione occorre aumentare il valore di L i ).
FIG. G.6.3./19 DEFLESSIONE DELLA ROTATORIA
Re Rg
2,0
RAGGIO DI DEFLESSIONE ( <80 - 100 m)
0m
2,0
2,0
Rr Le
Ri
0m
RAGGIO DI DEFLESSIONE (< 80 - 100 m)
0m
FIG. G.6.3./18 PRINCIPALI ELEMENTI DI UNA ROTATORIA
1,50 m
È • • •
Li La Ls
Lo Rs
TAB. G.6.3./4 DATI GEOMETRICI DELLE ROTATORIE Rg PARAMETRI 12 m
15 m
20 m
25 m
30 m
35 m
7,00 m
7,00 m
7,00 m
7,00 m
7,00 m
7,00 m
0 ≤ B f ≤ 2,00 m, se Rg > 15 m
1,50 m
1,50 m
0
0
0
0
Raggio interno (R i )
Ri = Rg - La - B f
3,50 m
6,50 m
13,00 m
18,00 m
23,00 m
28,00 m
Raggio di entrata (Re )
8 m ≤ Re ≤ 15 m ≤ Rg
10,00 m
12,00 m
12,00 m
12,00 m
12,00 m
12,00 m
Larghezza corsia di entrata (L e )
3 m ≤ Le ≤ 4 m
4,00 m
4,00 m
4,00 m
4,00 m
4,00 m
4,00 m
Raggio di uscita (Rs )
Rs ≥ 15 m > Ri
15,00 m
20,00 m
20,00 m
20,00 m
25,00 m
30,00 m
Larghezza corsia di uscita (L s )
4 m ≤ Lse ≤ 5 m
4,00 m
4,00 m
4,50 m
5,00 m
5,00 m
5,00 m
Raggio di allacciamento (Rr )
Rr = 4 Rg
48,00 m
60,00 m
80,00 m
100,00 m
120,00 m
140,00 m
Larghezza dell’anello (L a ) Bordo carrabile (B f)
G 112
6 m ≤ La ≤ 9 m B f = 1,50 m, se Rg ≤ 15 m
URBANISTICA • MOBILITÀ NODI DI SCAMBIO E INFRASTRUTTURE PER LO STAZIONAMENTO
G.6. 3. A.ZIONI
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
SFALSAMENTO ALTIMETRICO di piccolo raggio e permettere il sorpasso di un veicolo eventualmente in panne sulla corsia (Fig. G.6.3./21). Utilizzando i tipi di rampa fondamentali si possono realizzare diversi tipi di intersezioni nelle quali, nel caso di flussi modesti, possono essere presenti anche punti di conflitto di attraversamento tra alcune correnti. Di seguito si riportano alcuni tra gli schemi più utilizzati nella risoluzione degli incroci a tre e quattro bracci (Figg. G.6.3./22-23-24).
CARREGGIATA
1,00 00
4,00 00 6,50 50
E.NTROLLO
1,50 50
CO NTALE AMBIE
A)
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
BANCHINA
BANCHINA
F. TERIALI, CARREGGIATA
1,00 00
7,00 00 9,00 00
G.ANISTICA URB
1,00 00 B)
CARREGGIATA 7,50 50 9,50 50
1,00 00 C)
FIG. G.6.3./22 SVINCOLO A TROMBETTA
1,00 00
CARREGGIATA 4,00 00
2,00 00 12,00 12 00
CARREGGIATA 4,00 00
BANCHINA
Rampa semidiretta: consente la svolta a sinistra uscendo dalla destra della carreggiata.
SPARTITR. SPARTITR
Rampa a cappio: trasforma la svolta a sinistra in una svolta a destra conangolo al centro di circa 270°.
G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT
D) BANCHINA
C)
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
BANCHINA
BANCHINA
B)
1,00 00
Rampa diretta per la svolta a destra (a) e a sinistra (b): permette di eseguire la manovra con il minore percorso.
C.RCIZIO
PRO TTURALE STRU
FIG. G.6.3./20 CONFIGURAZIONE DELLE RAMPE DI SVINCOLO
A)
I ED PRE NISM ORGA
D.GETTAZIONE
BANCHINA
Lo sfalsamento dei livelli si ottiene tramite opere d’arte che consentono l’incrocio delle strade a quote diverse. Generalmente la strada di minore importanza, e quindi con velocità di progetto inferiore, passa a quota superiore; in tal modo si favoriscono le manovre di uscita (in decelerazione) e di immissione (in accelerazione) sulla strada principale, che avvengono rispettivamente in salita e in discesa. Le strade sono collegate mediante rampe, che possono essere ricondotte a tre tipi fondamentali (Fig. G.6.3./20). La piattaforma stradale degli svincoli deve consentire l’iscrizione dei veicoli nelle curva
B.STAZIONI DILEGIZLII
E ESE ESSIONAL PROF
FIG. G.6.3./21 SEZIONI TRASVERSALI TIPO DI RAMPE STRADALI
BANCHINA
Questo tipo di sistemazione deve prevedersi sempre sulle autostrade e su tutte le strade in cui si vuole evitare il conflitto tra correnti di attraversamento, in particolare quando i flussi di traffico sono tali da rendere poco efficiente e sicuro il funzionamento a raso. Le possibili soluzioni dipendono dal numero di rami che confluiscono nell’intersezione e dal numero di punti di conflitto che si intende eliminare. I vantaggi più evidenti che possono derivare dalla realizzazione di un’intersezione a livelli separati sono sostanzialmente i seguenti: • le strade mantengono pressoché immutata la propria capacità anche in corrispondenza dell’intersezione; • la velocità dei flussi di traffico principali non subisce diminuzioni significative; • si consegue un maggiore livello di sicurezza per l’utente che compie le varie manovre.
LI G.4. E E VINCO NORM
1,00 00 D)
FIG. G.6.3./23 SVINCOLO A ROMBO
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
Tipo di soluzione utilizzata in caso di distribuzione dissimetrica delle correnti di scambio. Il cappio si dispone generalmente dalla parte della corsia di entrata. Poiché tutti i flussi in ingresso e in uscita dalla viabilità principale transitano in un’unica sezione si presta per l’esazione di pedaggi e pertanto è molto utilizzato nelle uscite autostradali.
Tale sistemazione consente di eliminare totalmente i punti di conflitto su una sola delle strade che si intersecano. Le quattro rampe dirette formano un angolo molto acuto con la strada principale e quasi retto con la strada secondaria. La confluenza della rampa sulla strada secondaria viene regolata come un’intersezione a raso.
IO 3. G.6. DI SCAMB RE PER NODI ASTRUTTU NTO E R E INF ZIONAM A LO ST
G 113
G.6. 3.
URBANISTICA • MOBILITÀ NODI DI SCAMBIO E INFRASTRUTTURE PER LO STAZIONAMENTO ➦ INTERSEZIONI STRADALI FIG. G.6.3./24 SVINCOLO A QUADRIFOGLIO
PROGETTAZIONE DELLE ZONE DI MANOVRA Sia nelle intersezioni a livello che sfalsate, particolare attenzione deve essere posta allo studio delle zone in cui si svolgono le principali manovre elementari, tenendo conto sia della cinematica e dinamica dei veicoli, sia degli abituali comportamenti degli utenti (Fig. G.6.3./25). CORSIE DI IMMISSIONE Le corsie di immissione (o di ingresso) devono permettere un sicuro inserimento della corrente secondaria in quella principale, evitando fenomeni di congestione o rallentamenti eccessivi. I veicoli che devono immettersi accelerano (con accelerazione di 1,0-1,5 m/sec2), fino ad adeguare la propria velocità a quella dei veicoli della corrente principale e percorrono un tratto parallelo in attesa di trovare uno spazio sufficiente per inserirsi. CORSIE DI DECELERAZIONE Le corsie di decelerazione (o di uscita) devono consentire al veicolo che intende lasciare la corrente veicolare di diminuire la sua velocità fino al valore di progetto della curva di raggio minimo o fino ad arrestarsi se al termine dell’uscita è previsto uno stop (Fig. G.6.3./26). ZONE DI SCAMBIO Il fenomeno dello scambio tra due correnti di traffico è abbastanza simile a quello della immissione da una corsia di accelerazione in una corsia di marcia normale. Infatti anche nello scambio, come, nell’immissione, il veicolo che si deve spostare nella corsia parallela attende che si presenti l’intervallo favorevole allo scopo. Ne segue che la zona di scambio è tanto più lunga quanto maggiori sono le portate che debbono scambiare. Zone di scambio si incontrano in prossimità degli svincoli stradali quando le uscite e le immissioni si susseguono a distanza ravvicinata. Anche nelle rotatorie avvengono manovre di scambio tra veicoli che percorrono strade generalmente di importanza analoga. In questo caso, però, il singolo veicolo che deve cambiare corsia, tende a rallentare facendosi superare, determinando un rallentamento e un accumulo di veicoli che comportano un aumento della sezione stradale, per evitare l’insorgere di fenomeni di congestione (Fig. G.6.3./27).
Questo svincolo realizza le svolte a sinistra con quattro rampe indirette. Presenta l’inconveniente che l’immissione nella strada da una rampa a cappio, precede l’uscita dalla stessa strada nel cappio seguente, generando una zona di scambio che per volumi di traffico elevati assume lunghezze considerevoli. Considerando anche le rampe dirette per la svolta a destra l’area complessiva occupata dal quadrifoglio finisce per essere molto ampia.
FIG. G.6.3./27 AREA DI SCAMBIO
Q1 (PORTATA DIRETTA) Q2S Q1S (PORTATE CHE SCAMBIANO) Q2 (PORTATA DIRETTA) LUNGHEZZA DELLA ZONA DI SCAMBIO
FIG. G.6.3./25 CORSIA DI IMMISSIONE
3,50
3,50
L > 1/3 L* TRONCO DI PARALLELO 300 m R min
1,00 4,50 1,00
R I A B IL E R A VA VATU R U AC ZIONE CO CELERA ON DI AC TR NCO O R T L*
TRONCO DI MANOVRA
FIG. G.6.3./26 CORSIA DI DECELERAZIONE
3,50
3,50
L ≥ 1/3 L* TRONCO DI PARALLELO 300 m
R min
TRONCO DI MANOVRA
TRON CO A C
U RV ATU RA TRONCO D VA I DEC RIA EL E BIL RAZ E ION E
L*
G 114
1,00 4,50 1,00
URBANISTICA • MOBILITÀ NODI DI SCAMBIO E INFRASTRUTTURE PER LO STAZIONAMENTO
A.ZIONI
CENTRI MERCI INTERMODALI STRADA-FERROVIA L’utilizzazione ottimale delle reti di trasporto dovrebbe comportare la concentrazione dei flussi di maggiore intensità su sistemi ad alta capacità, quali le ferrovie o i sistemi di navigazione; questi, però, possiedono una rigidità legata alla necessità di strutture terminali complesse (porti, stazioni), che impediscono la realizzazione del classico servizio “porta a porta”. Si rende quindi necessaria la realizzazione di centri merci intermodali
opportunamente distribuiti sul territorio, dove può essere realizzato il trasbordo delle merci da un modo di trasporto all’altro. In questa parte del manuale vengono trattati i centri merci intermodali strada-ferrovia (i cosiddetti interporti), anche se è opportuno precisare che anche i porti, trattati in una diversa scheda, sono dei centri intermodali a tutti gli effetti.
UNITÀ DI CARICO La realizzazione dell’intermodalità prevede l’uso di strumenti che possano facilitare al massimo il trasbordo delle merci da un mezzo di trasporto all’altro. Si è quindi dovuta svincolare dalla struttura dei veicoli stradali e ferroviari l’unità di carico vera e propria, realizzando dei “contenitori” con forme e dimensioni legate a standard internazionali. Per quanto riguarda i riferimenti normativi si può consultare la norma UNI 7011 (Container della serie 1. Tipi, dimensioni e caratteristiche generali), nonché la ISO/R 668-70*11, collegata alla precedente. Questi standard prevedono tre tipi di unità di carico: il container, la cassa mobile e il semirimorchio (o trailer). I container sono delle casse di lunghezza fissa normalizzata, in genere di 10, 20, 30 o 40 piedi (Fig. G.6.3./28), che possono essere caricate su appositi carri ferroviari o veicoli stradali (Fig. G.6.3./29). Il container da 20 piedi costituisce una vera e propria
G.6. 3.
Infine il semirimorchio, a differenza delle due unità di carico precedentemente descritte, ha possibilità di traslazione su strada, avendo il rodiggio incorporato. Questa caratteristica lo avvantaggia riguardo alla fase stradale del trasporto, mentre porta a un aumento della tara durante la fase ferroviaria. I semirimorchi vengono classificati in lunghi, medi e corti in base alla distanza d fra il perno di trascinamento e l’ultimo asse, che ne garantisce l’immobilizzazione sul carro ferroviario, secondo i seguenti criteri:
unità di misura, il TEU (Twenty feet Equivalent Unit), detto anche ISO 20, a cui si fa riferimento nel dimensionamento dei piazzali di sosta e delle aree di manovra. Un’alternativa al container è la cassa mobile (Fig. G.6.3./30), costituita dalla parte superiore degli autoveicoli, cioè da un cassone contenente il carico, che può essere staccato dal telaio senza l’uso di gru esterne. La cassa mobile disgiunta dal veicolo, però, ha lo svantaggio di non poter essere impilata come i container, poiché rimane sospesa su quattro zampe metalliche, e di richiedere, quindi, aree di sosta di maggiori dimensioni. La normativa internazionale dell’UIC (Union Internationale des Chemins de Fer) prevede quattro gruppi di casse mobili, i primi tre di lunghezza rispettivamente pari a 6,25 m, 7,15 m, 8,05 m e il quarto di lunghezza variabile da 12,20 a 14,00 m. La larghezza e l’altezza sono pari rispettivamente a 2,50 e 2,60 m per tutte le categorie.
semirimorchi lunghi a 2 assi: semirimorchi lunghi a 3 assi: semirimorchi medi: semirimorchi corti:
7,809 m < d < 10,174 m; 7,659 m < d < 10,024 m; 6,509 m < d < 8,874 m; 4,359 m < d < 6,724 m.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
EDIFICI PER SERVIZI PRINCIPALI E AUSILIARI Gli edifici da aggregare in un interporto possono variare in base all’organizzazione interna dell’impianto e alle funzioni svolte, che non sempre sono le stesse per tutti gli interporti. Le tipologie edilizie non si discostano da quelle usuali degli edifici industriali, ma la loro progettazione implica un’adeguata conoscenza delle tecnologie impiegate per
la movimentazione delle unità di carico.
• immagazzinamento temporaneo delle stesse.
Le due funzioni principali svolte da un interporto rimangono comunque: • movimentazione delle merci, con eventualmente loro scomposizione o ricomposizione (in funzione delle esigenze della distribuzione);
A queste funzioni dovranno quindi legarsi gli edifici principali (magazzini e aree di carico/scarico) di un interporto. Accanto a questi dovranno realizzarsi edifici ausiliari, destinati a servizi quali dogana, uffici, bar/ristorante ecc.
FIG. G.6.3./28 CONTAINER A LUNGHEZZA FISSA
FIG. G.6.3./29 CARRI FERROVIARI E VEICOLI STRADALI PER IL CARICAMENTO DEI CONTAINER
URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP
40’ 40
30 30’
20 20’
G.3. À REALT ORIALE TERRIT
1,16
2,30 - 2,55 max
G.2. À URBANA REALT
10 10’
2,43
LI G.4. E E VINCO NORM
1,43
2,99
2,94
6,05 9,12
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN
12,19
11,60
G.6. ITÀ MOBIL
FIG. G.6.3./30 ESEMPIO DI CASSA MOBILE 18,00 19,00
14,60
25,20
1,56
3,99
2,43
19,64
2,02 2,48
3,65
3,66 12,19
1,36
1,36
2,41
IO 3. G.6. DI SCAMB RE PER NODI ASTRUTTU NTO E R E INF ZIONAM A LO ST
G 115
G.6. 3.
URBANISTICA • MOBILITÀ NODI DI SCAMBIO E INFRASTRUTTURE PER LO STAZIONAMENTO ➦ CENTRI MERCI INTERMODALI STRADA-FERROVIA AREE DI MOVIMENTAZIONE FIG. G.6.3./32 CARRELLO A FORCHE A CARICAMENTO FRONTALE
3,70
In Fig. G.6.3./31 è riportata la planimetria schematica di un impianto di grandi dimensioni, con una capacità di movimentazione di 500 TEU/giorno. Un impianto di queste dimensioni è servito da due gru a portale (transtainer), le quali svolgono le operazioni di carico e scarico delle unità di carico dai carri ferroviari. La lunghezza dei binari sotto le gru deve essere di almeno 500 m. La movimentazione di container e casse mobili fra le diverse aree di stoccaggio è assicurata da appositi mezzi, come il carrello a forche a caricamento frontale (Fig. G.6.3./32) o la gru semovente frontale (Fig. G.6.3./33). Impianti di dimensioni minori sono rappresentati nelle Figg. G.6.3./34-35. L’impianto di Fig. G.6.3./31 conserva un fascio di binari per l’arrivo e la partenza dei treni (le FS hanno un modulo base per la lunghezza dei treni merci di 650 m sulle linee principali), mentre gli altri impianti, di dimensioni minori, lo prevedono al loro esterno. L’impianto di Fig. G.6.3./35 B, estremamente semplice, prevede una movimentazione delle unità di carico senza gru a portale, unicamente mediante mezzi assimilabili a quelli delle Figg. G.6.3./32-33.
2,63 3,55
6,70
2,45 9,15
FIG. G.6.3./33 GRU SEMOVENTE
A
4,33
FIG. G.6.3./31 IMPIANTO DA 500 TEU/GIORNO
1,75
BINARI DI CIRCOLAZIONE TRENI
A-P
5,50 7,70
3,50 6,09 10,64
Y
Y
P
S
S
FIG. G.6.3./34 IMPIANTO DA 250 TEU/GIORNO
P 133,30 m
S
A
S Gf
BINARI CIRCOLAZIONE TRENI
P
Gf
X
X
A-P
P S
S P
S S
S
S
Gf
Gf
P
X P S
S A
Sez. A - A
36,00
18,70
23,90
19,70
A - P FASCIO ARRIVI E PARTENZE Y BINARI DI STAZIONAMENTO X BINARI DI TRASBORDO S AREE DI SOSTA P AREE DI MANOVRA Gf TRANSTAINER
23,90
A - P FASCIO ARRIVI E PARTENZE X BINARI DI TRASBORDO S AREE DI SOSTA P AREE DI MANOVRA Gf TRANSTAINER
X
Gf
S S P
S
S
A
Sez. A - A
4,60
11,10
23,00
133,30
7,60
35,20
FIG. G.6.3.35 IMPIANTO DA 200 TEU/GIORNO A
A)
B)
A X P
S
S
S S
S
S
X
67,60
S
S
P
corsia
corsia
S S
P X
S
corsia
corsia
S
X
P
A
S S
S S A
X BINARI DI TRASBORDO S AREE DI DEPOSITO P AREE DI MANOVRA
X BINARI DI TRASBORDO S AREE DI DEPOSITO P AREE DI MANOVRA
Sez. A - A
Sez. A - A Sez
corsia 21,50
4,00
6,00
4,60 24,60
G 116
6,00 4,00
15,00 21,50
corsia
6,50 6,00
≥ 10
3,50
6,00
≥10 10
3,50
S P S
6,00
URBANISTICA • MOBILITÀ NODI DI SCAMBIO E INFRASTRUTTURE PER LO STAZIONAMENTO
A.ZIONI
SOSTA AUTOVEICOLI – INFRASTRUTTURE PER LO STAZIONAMENTO Il problema della sosta delle autovetture nei grandi centri urbani può essere affrontato sia tramite l’organizzazione delle aree disponibili sulla viabilità pubblica, sia tramite la realizzazione di apposite strutture, che possono raggiungere gradi di complessità anche notevoli. In ogni caso è importante rispettare dei vincoli di natura geometrica, derivanti, a loro volta, dall’ingombro e dalle caratteristiche di manovrabilità delle autovetture. FIG. G.6.3./36 MODULO PER LA SOSTA DI LUNGHEZZA 22,50 m
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
ORGANIZZAZIONE DEGLI STALLI DESTINATI ALLA SOSTA Esistono tre tipologie di stalli di sosta: a pettine, a spina, parallela. La scelta di una o dell’altra è legata unicamente a considerazioni sullo spazio disponibile sia per la sosta che per la circolazione. La Fig. G.6.3./36 si riferisce a un modulo per la sosta di 22,50 m di lunghezza, di larghezza minima per consentire la circolazione a doppio senso di marcia. Si noti come la sosta a pettine presenti il miglior rapporto superficie/posti auto, anche considerando la necessità
di uno spazio maggiore per le manovre degli autoveicoli; la sosta a spina, presentando un valore intermedio di questo rapporto, consente, però, delle manovre più semplici di entrata e uscita dagli stalli. È opportuno ricordare come il Codice della strada italiano preveda, in caso di mancanza di segnali di divieto e di indicazione, l’implicita osservanza della sosta in parallelo lungo il bordo della strada, a meno che questa non sia di intralcio o pericolo per la circolazione.
2,25
STALLI DI SOSTA A PETTINE 90 90° 11,25 m 2 112,5 m 2 10 225 m 2
FIG. G.6.3./39 DISLIVELLO: SVILUPPO ORIZZONTALE DELLA RAMPA m 20
15
FIG. G.6.3./37 ANGOLI DI ATTACCO E DI CONTATTO
22,5 m 2
2,
ANGOLO DI ATTACCO POSTERIORE ANGOLO DI ATTACCO ANTERIORE
4,50
4,70
20% 20
10
10 10% 9% 8% 7% 6% 5% 4% 3% 2%
5
0 0
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN
R min
G.6. ITÀ MOBIL
= 30
R min
m
29,50 m 2
E ESE ESSIONAL PROF
LI G.4. E E VINCO NORM
FIG. G.6.3./38 SOLUZIONI PER LA GEOMETRIZZAZIONE DI RAMPE DI COLLEGAMENTO VERTICALI 45 45° 9,9 m 2 69,3 m 2 7 207 m 2
C.RCIZIO
10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 m
SVILUPPO ORIZZONTALE DELLA RAMPA
22,50
INCLINAZIONE SUPERFICIE STALLO SUPERFICIE SOSTA POSTI AUTO SUPERFICIE SUPERF ICIE TOT TOTALE ALE PARCH PARCHEGGI EGGI SUPERFICIE SUPERF ICIE TEORICA PER POSTO-AUTO (207/7)
I ED PRE NISM ORGA
15% 15
ANGOLO DI CONTATTO
STALLI DI SOSTA A SPINA
B.STAZIONI DILEGIZLII
URB
20
INCLINAZIONE SUPERFICIE STALLO SUPERFICIE SOSTA POSTI AUTO SUPERFICIE SUPERF ICIE TOT TOTALE ALE PARCH PARCHEGGI EGGI SUPERFICIE SUPERF ICIE TEORICA PER POSTO-AUTO (225/10)
di autorimesse e simili) obbliga i progettisti a non superare il 20% per la pendenza delle rampe se l’autorimessa ha una capienza di almeno dieci autoveicoli; è però buona norma non superare il valore del 15%, da ridurre al 10% se al margine della rampa è previsto un passaggio per i pedoni. Inoltre non è consigliabile superare il 12% per rampe poste all’esterno; quest’ultime dovranno anche essere dotate di una pavimentazione che garantisca un adeguato attrito.
In caso di parcheggi organizzati su più livelli sfalsati è importante rispettare precise regole nella realizzazione delle rampe di raccordo, che dovranno essere congruenti con le capacità di manovra degli autoveicoli. Per quanto riguarda il profilo longitudinale delle rampe, è necessario rispettare gli angoli di attacco e di contatto degli autoveicoli (Fig. G.6.3./37). Nella Fig. G.6.3./38 sono riportate due soluzioni per la geometrizzazione di rampe di collegamento verticale, la prima con due raccordi circolari, la seconda con due brevi segmenti a pendenza intermedia, pari alla metà della pendenza della rampa. Importante è anche la relazione che lega il dislivello superabile allo sviluppo orizzontale della rampa, rappresentata dal grafico della Fig. G.6.3./39. Si tenga presente che il DM del 1° febbraio 1986 (Norme di sicurezza antincendi per la costruzione e l’esercizio
DISLIVELLO DEI SOLAI
5,00
5,00
PARCHEGGI A PIÙ LIVELLI
22,50
G.6. 3.
= 30
% 12 za en d n
5,00 pe
4,50
2,00
m RACCORDO (PENDENZA = 1/2 A)
20,00 STALLI DI SOSTA PARALLELA INCLINAZIONE SUPERFICIE STALLO SUPERFICIE SOSTA POSTI AUTO SUPERFICIE SUPERF ICIE TOT TOTALE ALE PARCH PARCHEGGIO EGGIO SUPERFICIE SUPERF ICIE TEORICA PER POSTO-AUTO (130/4)
>4m 0° 10 m 2 50 m 2 4 130 m 2 32,5
P
AM
.R
D EN
2% A1
(A
)
% D. 6 PEN >4m
P
RACCORDO (PENDENZA = 1/2 A)
% D. 6 PEN
m2
➥
IO 3. G.6. DI SCAMB RE PER NODI ASTRUTTU NTO E R E INF ZIONAM A LO ST
G 117
G.6. 3.
URBANISTICA • MOBILITÀ NODI DI SCAMBIO E INFRASTRUTTURE PER LO STAZIONAMENTO ➦ SOSTA AUTOVEICOLI – INFRASTRUTTURE PER LO STAZIONAMENTO ➦ PARCHEGGI A PIÙ LIVELLI
FIG. G.6.3./40 RAGGI DI CURVATURA DELLE RAMPE
Per quanto riguarda l’andamento planimetrico delle rampe, lo stesso DM del 1° febbraio 1986 obbliga a “un raggio di curvatura misurato sul filo esterno della curva non inferiore a 8,25 m per le rampe a doppio senso di marcia e di 7,00 m per le rampe a senso unico di marcia” (Fig. G.6.3./40).
R R
≥3m
≥ 4,5 m
PARCHEGGI MECCANIZZATI Nei parcheggi meccanizzati gli autoveicoli vengono condotti ai loro stalli di sosta per mezzo di dispositivi automatici che non richiedono la presenza del conducente. La meccanizzazione dei parcheggi, a fronte dei costi per la costruzione dei dispositivi automatici, porta a due vantaggi: • migliore sfruttamento dell’area e dei volumi disponibili; • maggiore sicurezza in caso di incendio.
R≥7m PENDENZA ≤ 20 %
L’ultimo vantaggio è legato alla normale assenza di persone in prossimità degli stalli di sosta dei veicoli negli impianti automatici (se non per operazioni di manutenzione degli impianti). Un esempio di impianto automatico è rappresentato dalla Fig. G.6.3./41, dove è raffigurato un autosilo con traslo-elevatore mobile.
Il sistema è costituito da una pedana posta sopra una torre telescopica che scorre su apposite rotaie. È possibile così realizzare movimenti longitudinali, trasversali e verticali, e distribuire gli autoveicoli sugli stalli posti in posizione simmetrica lungo i lati di maggiore lunghezza dell’autosilo. Un impianto semiautomatico è rappresentato in Fig. G.6.3./42.
FIG. G.6.3./41 IMPIANTO AUTOMATICO CON TRASLO-ELEVATORE MOBILE
1,50
R ≥ 8,25 m PENDENZA ≤ 20 %
FIG. G.6.3./42 IMPIANTO SEMIAUTOMATICO CON ELEVATORE DI STALLI INDIPENDENTE
2,10
2,30
5,20
5,20
5,20
5,20
A
11,50
A 7,70
Si tratta di un sistema con elevatore di stalli indipendente: l’auto viene posizionata dal conducente sulla piattaforma libera, posizionata a livello dall’elevatore. In ogni caso, i sistemi di meccanizzazione utilizzabili sono innumerevoli, e i due citati non costituiscono che un panorama parziale di quanto presente sul mercato.
6,00
5,20
5,50
5,60
6,00
6,00
29,10
30,20
A
5,40
2,00
4,50
14,30
2,50
A
1,95
3,70
Sez. A - A 6,00 Sez. A - A 0,60
2,10
PROTEZIONE ANTINCENDIO Le autorimesse sono soggette a una severa normativa antincendio, che vincola diversi elementi della loro progettazione: quantità, dislocazione e ampiezza degli accessi normali e delle uscite di sicurezza, dispositivi di ventilazione e di evacuazione dei fumi, dispositivi per lo spegnimento degli incendi ecc. È necessario, quindi, che il progettista faccia un continuo riferimento alla legislazione vigente, che, oltre al già citato DM del 1° febbraio 1986, comprende le seguenti normative:
G 118
• Circolare del Ministero dell’interno del 14 settembre 1961, n.91; • DM del 16 febbraio 1982; • DPR dell’8 giugno 1982, n.524; • DM del 30 novembre 1983. In particolare, il DM del 1° febbraio 1986 presenta diverse indicazioni riguardanti sia la protezione passiva dagli incendi, sia la protezione attiva. Per quanto riguarda la prima voce, la normativa impo-
ne vincoli particolari per la compartimentazione delle autorimesse. Questi vincoli, che si riflettono in maniera evidente sul layout della struttura, dovranno essere tenuti ben presenti dai progettisti. Per quanto riguarda la protezione attiva, la normativa trascura, inspiegabilmente, i rilevatori di fumo, che invece possono essere dei mezzi di protezione attiva estremamente utili, in grado di rilevare la presenza di un incendio nelle sue prime fasi di sviluppo.
URBANISTICA • MOBILITÀ NODI DI SCAMBIO E INFRASTRUTTURE PER LO STAZIONAMENTO
G.6. 3. A.ZIONI
AUTOSTAZIONI Nell’organizzazione del sistema di trasposto collettivo pubblico su strada, l’autostazione rappresenta il nodo di scambio con gli altri sistemi o modalità di trasporto, nonché un notevole polo di attrazione e generazione di spostamenti sul territorio. È necessario, pertanto, dotare tale impianto di una serie di requisiti funzionali, distributivi e dimensionali che dipendono da diversi fattori quali i flussi di traffico, le caratteristiche dei veicoli movimentati, i servizi offerti, le modalità di esercizio delle linee. Preliminare alla fase di progettazione vera e propria, va verificata la necessità della realizzazione dell’impianto e va effettuato lo studio della sua localizzazione. In effetti la costruzione di un’autostazione comporta effetti negativi e positivi che vanno opportunamente tenuti in conto sulla base di considerazioni di carattere politico, sociale ed economico (Tab. G.6.3./5). In linea di massima si impone la costruzione di un nuovo impianto ogni volta che il numero di autolinee e il relativo movimento di passeggeri diventa incompatibile per motivi di traffico o per esigenze urbanistiche, con la semplice sosta degli autobus in una piazza o lungo strada. Inoltre l’autostazione può diventare uno strumento per garantire un interscambio comodo e rapido tra diversi modi di trasporto e può, pertanto, favorire una più razionale politica dei trasporti. Stabilita la necessità di costruzione dell’autostazione si deve procedere alla individuazione dell’ubicazione. Di seguito si indicano alcuni criteri da considerare nella scelta, tenendo presente che non tutti sono facilmente conciliabili: • occorre scegliere zone di facile accesso, favorendo le linee di maggiore traffico, al fine di evitare che il concentramento di tutti i capolinea in un unico punto provochi allungamenti di percorrenze inaccettabili; • è opportuno che possa essere garantito il collegamento con gli altri sistemi di trasporto, al fine di favorirne l’integrazione. Ad esempio è da ricercare l’ubicazione in prossimità delle stazioni di metropolitana, in aree che permettano la realizzazione di ben dimensionati parcheggi per autovetture. Nel caso di autostazioni di linee extraurbane, possono prevedersi anche capolinea di linee urbane, purché in zone distinte; • è fondamentale verificare se la scelta dell’ubicazione non comporti inaccettabili turbative nel traffico a causa della presenza dei mezzi pubblici. Quindi occorre accertare se possa essere garantita una comoda entrata e uscita dei veicoli, nonché se i flussi pedonali generati possano muoversi in condizioni di sicurezza;
• occorre scegliere ubicazioni né troppo decentrate, in quanto risultano di solito sottoutilizzate se scarsamente connesse, né troppo centrali, sia per evitare fenomeni di congestione, sia perché spesso la maggiore parte degli utenti si serve di fermate intermedie. Per evitare ubicazioni svantaggiose per l’utenza, è necessario determinare preliminarmente le zone verso cui gravitano i viaggiatori, ricostruendo le principali direttrici di movimenti; • bisogna considerare che un’autostazione ha un forte impatto sul territorio e pertanto l’ubicazione dell’impianto deve risultare in sintonia con lo sviluppo urbanistico attuale e previsto. È evidente che l’ubicazione è strettamente connessa, fino a esserne a volte condizionata totalmente, dalla disponibilità di aree adatte, per le quali occorre prevedere in via indicativa per la realizzazione del piazzale e l’edificio viaggiatori, circa 1200-1400 mq per ogni 100 corse giornaliere (arrivi e partenze), nell’ipotesi di marciapiedi distinti per arrivi e partenze e autostazione di media dimensione (400-600 corse giornaliere). I valori tendono a crescere nel caso di piccole autostazioni in quanto aumenta l’incidenza percentuale di alcuni spazi di manovra che non possono essere ridotti oltre valori minimi. TAB. G.6.3./5 INDICAZIONE DEI POSSIBILI EFFETTI INDOTTI DALLA REALIZZAZIONE DI UN’AUTOSTAZIONE EFFETTI POSITIVI
EFFETTI NEGATIVI
Aumento della qualità del servizio
Minore flessibilità del servizio
Razionalizzazione del servizio
Investimento elevato
Facilitazione dell’interscambio modale
Sottrazione di ampi spazi ad altri usi
Miglioramento della circolazione urbana
Difficoltà di inserimento nel tessuto urbano
Aumento dell’accessibilità al servizio pubblico
Manifestarsi di squilibri urbanistici sul territorio
ASPETTI FUNZIONALI DELL’IMPIANTO Le due entità che interagiscono nel sistema autostazione, secondo lo schema di Fig. G.6.3./43, sono i veicoli e i passeggeri, attraverso i tre elementi base, piazzale, edificio per i viaggiatori, edificio per i veicoli. Il piazzale, costituito da marciapiedi per la salita, la discesa e la circolazione dei passeggeri, è l’elemento indispensabile per garantire il servizio. Le altre due componenti, viceversa, possono mancare o ridursi notevolmente di dimensioni a seconda dell’importanza dell’impianto in questione. I criteri fondamentali da tenere presente nello studio distributivo dell’autostazione sono: • separare i flussi in arrivo e in partenza sia di veicoli che di passeggeri; • minimizzare i percorsi; • evitare conflitti tra i diversi flussi. È necessario, inoltre, valutare attentamente le relazioni con l’esterno, in particolare le FIG. G.6.3./43 SCHEMA FUNZIONALE DI UN’AUTOSTAZIONE VIABILITÀ ESTERNA VIABILIT
OFFICINA
CIRCOLAZIONE VEICOLI
PARCHEGGIO RIMESSA
CIRCOLAZIONE PEDONI
ARRIVI
PARTENZE
connessioni con la viabilità stradale che dovranno avvenire preferibilmente tramite apposite corsie di decelerazione in ingresso e di accelerazione in uscita. Analogamente gli accessi per le persone potranno essere costituiti da cavalcavia e sottopassaggi e, se a raso, andranno protetti da impianto semaforico. Per il dimensionamento dell’impianto occorre determinare il numero di movimenti dei viaggiatori e il numero delle corse, dal rapporto dei quali si calcola il fattore di occupazione medio dei veicoli (espresso in passeggeri/veicolo). Ottenuti i valori medi si ricercano i valori di punta ai quali bisogna commisurare la capacità dei vari elementi che compongono l’autostazione. Un metodo per la valutazione del traffico di punta è quello proposto da R. Horonjeff, che deriva dalla progettazione aeroportuale. Tale metodo consente di calcolare il fattore medio di punta orario (Fmph ), che è la percentuale di movimenti dell’ora di punta rispetto a quelli dell’anno, secondo le espressioni di seguito riportate. Considerando i primi N mesi di punta di ogni anno e i primi n giorni di punta di ogni mese e posto: A = Pi = pij = Cp = Cg =
numero numero numero numero numero
di passeggeri nell’anno; di passeggeri nell’iesimo mese di punta; di passeggeri nell’jesimo giorno di punta, dell’iesimo mese di punta; di corse nell’ora di punta (arrivi e partenze); corse giornaliere (arrivi e partenze);
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
B.STAZIONI DILEGIZLII I ED PRE NISM ORGA
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
G.ANISTICA URB
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT LI G.4. E E VINCO NORM G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
il fattore medio mensile di punta è pari a:
Fmpm = MARCIAPIEDE
N
1 NA
Σ Pi i= l
Analogamente il fattore medio di punta giornaliero è uguale a : SALA D’ATTESA ATTESA
BIGLIETTERIA
INFORMAZIONI
SERVIZI ESSENZIALI* ESSENZIALI
ATRIO
VIABILITÀ VIABILIT PEDONALE
PARCHEGGIO AUTO
TRASPORTO URBANO
SERVIZI NON ESSENZIALI* ESSENZIALI
Fmpm =
N
1
n
ΣΣ i= l j= l
Nn
Pij Pi
* ) BAR, SERVIZI IGIENICI
Se si considera un uguale numero di mesi dell’anno e di giorni del mese e quindi n = N si avrà:
** ) RISTORANTE RISTORANTE, BANCA
Fmph =
TRASPORTO EXTRAURBANO
Cp Cg
•
Fmpm
•
Fmpg
Per ottenere il traffico previsionale dei passeggeri e dei veicoli in arrivo e in partenza nelle ore di punta, occorrerà moltiplicare il dato su base annua per il corrispondente fattore di medio di punta oraria.
IO 3. G.6. DI SCAMB RE PER NODI ASTRUTTU NTO E R E INF ZIONAM A LO ST
G 119
G.6. 3.
URBANISTICA • MOBILITÀ NODI DI SCAMBIO E INFRASTRUTTURE PER LO STAZIONAMENTO ➦ AUTOSTAZIONI PROGETTAZIONE DELL’IMPIANTO Gli schemi distributivi che rappresentano planimetricamente i vari componenti dell’impianto e dei movimenti che in esso avvengono, discendono dallo schema generale, adattato alle diverse forme del sito di progetto (Fig. G.6.3./44). Il piazzale è il luogo dove interagiscono i flussi passeggeri e veicoli e costituisce l’elemento essenziale dell’impianto. Gli elementi costitutivi di un piazzale sono: • le corsie per la circolazione e la manovra dei veicoli; • i marciapiedi per la salita, la discesa e la circolazione dei passeggeri. Per evitare condizioni di pericolo e per favorire la regolarità del servizio, occorre distinguere ed evidenziare, anche con apposita segnaletica, gli spazi destinati alla circolazione vera e propria dei veicoli, dagli spazi per permettere l’entrata e uscita negli stalli dei marciapiedi. La circolazione delle vetture deve preferibilmente avvenire a senso unico, senza l’utilizzo della retromarcia nelle manovre di svolta e nelle inversioni, cosa che può essere garantita progettando opportunamente gli spazi di manovra in base alla fascia di ingombro del veicolo più penalizzante. Nei tratti rettilinei, assumendo un franco di 0,50 m per lato e considerando per il veicolo la sagoma trasversale limite di 2,50 m, occorre garantire uno spazio di marcia di almeno 3,50 m. In qualsiasi caso è bene aumentare la larghezza delle corsie il più possibile specialmente se al bordo della corsia vi sono ostacoli che possono condizionare la marcia del veicolo. I marciapiedi rappresentano gli spazi in cui avviene l’interazione tra sistema veicolo e sistema passeggero; pertanto essi devono essere studiati per permettere un’efficace sosta, circolazione e interscambio in condizioni di sicurezza dei due sistemi. I marciapiedi possono essere specializzati per le partenze o gli arrivi o consentire entrambi (servizio promiscuo); in questo caso gli arrivi e le partenze avvengono contemporaneamente o sfalsati. Il marciapiede comprende una zona destinata alla sosta dei veicoli (stallo) e una zona destinata all’attesa delle persone (marciapiede propriamente detto o banchina). Inoltre fanno parte del marciapiede lo spazio per consentire la manovra di ingresso e di uscita dallo stallo che, come detto, va distinto dalla corsia di marcia e le eventuali corsie riservate ai flussi pedonali in ingresso o in uscita. I marciapiedi vanno determinati in numero, dimensioni e disposizione in funzione del servizio, della domanda, della configurazione planimetrica del piazzale. Per determinare la disposizione e le dimensioni del marciapiede occorre considerare da un lato le caratteristiche geometriche e cinematiche dei veicoli, dall’altro l’entità e il comportamento del flusso pedonale.
FIG. G.6.3./44 SCHEMI DISTRIBUTIVI DELLE AUTOSTAZIONI
P
A
Schema A Schema con edificio a contatto frontale con il lato lungo del piazzale senza intersezione tra le circolazioni dei pedoni e dei veicoli veicoli.
Schema con edificio al centro del piazzale e circolazione a "circuito completo" completo".
A
Schema D
P A/P
P
A
Schema B
Schema E Schema con edificio a contatto frontale con il lato corto del piazzale senza intersezione tra le circolazioni dei pedoni e dei veicoli (con marciapiedi separati). separati)
Schema con edificio ai lati del piazzale e circolazione a "circuito semicompleto" semicompleto".
P
A
P/A Schema F
Schema C Schema con edificio laterale e circolazione dei pedoni e dei veicoli intersecantesi intersecantesi.
Schema con edificio a contatto frontale con il lato corto del piazzale senza intersezione tra le circolazioni dei pedoni e dei veicoli (con marciapiede unico). unico)
Circolazione veicoli
Edificio viaggiatori
Circolazione passeggeri A: Arrivi
G 120
P: Partenze
Marciapiedi
URBANISTICA • MOBILITÀ NODI DI SCAMBIO E INFRASTRUTTURE PER LO STAZIONAMENTO
G.6. 3. A.ZIONI
FIG. G.6.3./45 CARATTERISTICHE GEOMETRICHE DEI MARCIAPIEDI
2,00
Ad esempio nel caso di marciapiedi specializzati per la partenza, ipotizzando un servizio con un numero np di partenze nell’ora di punta, con un tempo di sosta ts (in minuti), il numero di marciapiedi sarà pari all’intero superiore del rapporto (np • ts / 60).
B.STAZIONI DILEGIZLII 9,00
7,00
Il numero dei marciapiedi può ricavarsi sulla base del movimento dei veicoli nell’ora di punta, della distribuzione degli arrivi e partenze, della durata delle operazioni di salita e discesa da bordo.
NO RALI DI E GENE ETTAZION PROG
5,00
12,00
C.RCIZIO
E ESE ESSIONAL PROF
5,00
Nel caso di marciapiedi di specializzati per gli arrivi è più opportuno simulare la distribuzione effettiva degli arrivi, che può essere anche sensibilmente differente da quella prevista dall’orario, specialmente in ambito urbano e in condizioni di congestione della circolazione.
D.GETTAZIONE PRO TTURALE STRU
MARCIAPIEDE RETTILINEO Permette ll’utilizzo utilizzo di tutte le porte del veicolo, ma comporta manovre di ingresso e di uscita più complicate. pi Inoltre, richiede un notevole spazio in lunghezza.
Nel caso di marciapiedi promiscui una formula empirica utilizzabile pone il numero dei marciapiedi pari a N = 1 + an / b, dove n = è il numero delle partenze giornaliere, a = è un coefficiente (0,03 nel caso di stazioni terminali extraurbane e 0,01 per stazioni di transito), b = rappresenta il rendimento del sistema, che può porsi pari a 0,5.
E.NTROLLO
CO NTALE AMBIE
F. TERIALI,
ICHE TECN MA ONENTI, P COM
6,00
G.ANISTICA 12,00
URB
2,00
4,00
Per il dimensionamento della banchina può considerarsi un ingombro statico di 3 persone a mq e una capacità oraria di deflusso pedonale per una sezione di un metro di 5.000 persone (ottenuta ipotizzando una velocità pedonale di 5 km/h e una distanza tra pedoni di 1 m). Nel caso di marciapiedi di partenza l’area da riservare alla sosta delle persone sarà data dal numero di posti a disposizione sul veicolo, diviso l’ingombro statico.
4,00
12,00
4,00 MARCIAPIEDE A GRADINI SCALATI
Nel caso di marciapiedi di arrivo occorre dimensionare la larghezza della corsia di deflusso sulla base della seguente espressione:
Permette di usare tutte le porte e nel contempo facilita le manovre. Richiede una un area notevole.
Lc (in metri) = ap • co • as / dp dove ap = arrivi nell’ora di punta; co = coefficiente di occupazione nell’ora di punta (persone/veicolo); as = numero di arrivi più probabile durante l’ora di punta, in un intervallo di tempo pari al tempo medio di servizio; dp = capacità oraria di deflusso pedonale di una corsia larga 1 m.
I SCITIV G.1. NTI CONO IVI T E A ELEM PRESENT E RAP G.2. À URBANA REALT G.3. À REALT ORIALE TERRIT
12,20
LI G.4. E E VINCO NORM
MARCIAPIEDE A PETTINE Rappresenta ll’unico unico marciapiede bidirezionale e cioè cio accessibile da veicoli provenienti da entrambi le direzioni. Ha il minimo ingombro in lunghezza e il massimo in larghezza.
G.5. ALLA A GUID ICAZIONE IF PIAN G.6. ITÀ MOBIL
2,00
6,00
12,00
26,20
O
9,30
3,00 3,00
30 30° A
MARCIAPIEDE A DENTI 14,80
60° 60
3,50
B
O
Consente ll’uso uso della porta anteriore ed eventualmente centrale. Rappresenta un compromesso tra lo spazio occupato e la difficoltà di manovra a = 30 difficolt 30°,, 45°, 45 , 60 °.
C 2,00
Per quanto riguarda la disposizione degli stalli le tipologie più frequenti sono illustrate nella Fig. G.6.3./45. L’edificio passeggeri deve prevedere i servizi essenziali ed eventualmente accessori opportunamente dimensionati sulla base del traffico previsto. L’elemento centrale è la zona di atrio-attesa che viene calcolata tenendo conto dei passeggeri in partenza e in arrivo e dei rispettivi accompagnatori, nonché delle persone che si recano nell’autostazione per usufruire dei servizi offerti. È opportuno assumere un coefficiente di occupazione del suolo più basso (1 persona/mq) di quello assunto per il dimensionamento dei marciapiedi, in quanto occorre garantire un comfort maggiore. In sede di progetto di massima degli edifici di servizio per i veicoli si deve essenzialmente stabilire le ubicazioni dei fabbricati, le loro reciproche posizioni (nel caso di unità separate), la capacità necessaria e di conseguenza le aree da impegnare, per le diverse unità operative da prevedere, che sono: • la rimessa e il parcheggio; • gli impianti per la pulizia; • la stazione di rifornimento carburante; • l’officina per la manutenzione ordinaria.
I ED PRE NISM ORGA
IO 3. G.6. DI SCAMB RE PER NODI ASTRUTTU NTO E R E INF ZIONAM A LO ST
G 121