Facoltà Teologica dell’Italia Centrale
L’espressione ei-j evn Cristw/| VIhsou/ nella pericope di Gal 3,19-29
Relatore:
prof. Alessandro Biancalani
Correlatore:
prof. Benedetto Rossi
Studente: Stefano Redaelli
Firenze Anno accademico 2013-2014
Indice
INDICE
Sigle e abbreviazioni utilizzate
pag. 2
INTRODUZIONE
pag. 3
CAPITOLO 1. IL TESTO DI GAL 3,19-29
pag. 11
1.1 Delimitazione della pericope e sua collocazione nel contesto di Gal 3,1-4,11
pag. 11
1.2 Testo e sua traduzione
pag. 17
CAPITOLO 2. ESEGESI ED ERMENEUTICA
pag. 30
CONCLUSIONI
pag. 41
Bibliografia individuata e consultata
pag. 44
Sigle e abbreviazioni utilizzate
SIGLE E ABBREVIAZIONI UTILIZZATE Per le abbreviazioni dei libri biblici si usano quelle proposte dalla Conferenza Episcopale Italiana1. Per l’analisi critica del testo si usano le abbreviazioni impiegate nella versione del testo greco utilizzata come riferimento2.
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Per le abbreviazioni, come per le citazioni in nota, l’uso delle lettere maiuscole e minuscole, la grafia e per la bibliografia, si seguono le indicazioni riportate nel documento a cura di P.G. CARMINATI, Norme Grafiche per i Collaboratori, EDB, Bologna 23/09/2010, consegnato per via informatica dal Docente. Nel presente lavoro, quando faccio menzione di traduzioni riportate nella Bibbia CEI mi riferisco alla edizione più recente del 2008. 2 Novum Testamentum Graece, post Eberhard et Erwin Nestle edizione vigesima septima revisa, communiter ediderunt Barbara et Kurt Aland, Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart 199327, korrigierter Druck 2006.
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Introduzione
INTRODUZIONE La lettera ai Galati è certamente uno degli scritti più rilevanti di Paolo. Oltre ai preziosissimi dati autobiografici in essa contenuti, vi si trova espresso il cuore della teologia paolina e del vangelo stesso, presentato attraverso toni forti, paradossi audaci e pensieri profondi capaci di comunicare l’originalità del messaggio evangelico. La lettera è stata scritta dall’apostolo con ogni probabilità attorno all’anno 56 d.C. ad Efeso3. I destinatari sono quelle chiese, individuate dalla maggior parte degli studiosi4 come le comunità che Paolo visitò durante il secondo viaggio missionario5, situate nella regione della Galazia6. L’occasione della lettera si può cogliere già in Gal 1,6-7: “Mi meraviglio che, così in fretta, da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo voi passiate a un altro vangelo. Però non ce n’è un altro, se non che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il Vangelo di Cristo”. La comunità si trova in un momento di forte turbamento a causa di alcuni predicatori che annunciano un vangelo diverso da quello di Paolo. Questi predicatori, che il contesto ci permette di identificare7 come giudeo-cristiani, ritengono necessario 3
Vanhoye riporta una esaustiva esposizione delle varie possibilità sostenute dagli studiosi in merito alla datazione della lettera (cf. A. VANHOYE, Lettera ai Galati, Paoline, Milano 2000, 19). L’ipotesi seguita in questo lavoro corrisponde a quella maggiormente accreditata, che presuppone la piena identità tra il cosiddetto Concilio di Gerusalemme esposto da Paolo nella lettera (Gal 2,1-10) e quello narrato da Luca negli Atti (At 15,4-29), e tiene conto di un antico prologo in cui è detto che la lettera fu scritta ad Efeso. 4 Cf. VANHOYE, Lettera ai Galati, 20-22. 5 Cf. At 16,6: “Attraversarono quindi la Frìgia e la regione della Galazia, poiché lo Spirito Santo aveva impedito loro di proclamare la Parola nella provincia di Asia”. 6 Al tempo di Paolo vi era una provincia romana di Galazia: un ampio territorio situato al centro dell’attuale Turchia, che prendeva il nome dalla regione della Galazia, che ne costituiva la parte più settentrionale. Vi era perciò una Galazia provincia e una Galazia regione. 7 Paolo non parla esplicitamente di coloro che diffondono l’“altro vangelo”, perché erano evidentemente ben noti ai destinatari della lettera. È dal contesto della lettera, quindi, che si possono trarre conclusioni sulla loro identità. Bosch riporta tutte le ipotesi valutate dagli studiosi circa l’identità di questi avversari di Paolo (cf. J.S. BOSCH, Scritti paolini, Paideia, Brescia 2001, 228-231). In questo lavoro si assume l’opinione largamente accreditata che si tratti di missionari giudaizzanti, che probabilmente si opposero esplicitamente alla predicazione di Paolo insinuando che la libertà dalla Legge da lui proclamata fosse un vangelo “annacquato” per conquistare più facilmente un gran numero di seguaci. Questa rivalità personale la si può dedurre da alcuni passi come “Costoro sono premurosi verso di voi, ma non onestamente; vogliono invece tagliarvi fuori, perché vi interessiate di loro” (Gal 4,17), e anche “Quelli che vogliono fare bella figura nella carne, vi costringono a farvi circoncidere, solo per non essere perseguitati a causa della croce di Cristo” (Gal 6,12); inoltre, di fronte a questi oppositori, Paolo difende se stesso mostrando che il suo vangelo non è meno impegnativo, ma al contrario è causa di persecuzioni: “Quanto a me, fratelli, se predico ancora la circoncisione, perché sono tuttora perseguitato? Infatti, sarebbe annullato lo scandalo
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Introduzione
imporre ai convertiti dal paganesimo la circoncisione e la legge mosaica. Paolo si vede allora costretto a ribadire la novità radicale del vangelo: la salvezza donata da Dio in Cristo Gesù in modo gratuito e universale e la possibilità per qualsiasi uomo di poterla accogliere nella fede. Tale novità, che rappresenta il centro stesso della buona novella, non era del tutto compresa dai missionari giudaizzanti, che tendevano invece a mantenere la legge mosaica, oltre alla fede in Cristo, come necessaria alla salvezza. La lettera si configura8 dunque come una difesa del vero vangelo e della sua irriducibile novità. La maggioranza degli studiosi9 è concorde nel dividere la lettera in 3 parti, anche se non vi è il medesimo accordo sull’individuazione del limite preciso di ogni parte. Questa ripartizione corrisponde ai diversi tipi di argomentazione (storici, dottrinali e morali), che Paolo organizza nel suo discorso in difesa del vangelo dal lui predicato. Oltre alle ragioni di contenuto si osserva anche la diversità di genere letterario: la prima parte di carattere autobiografico esibisce una frequenza della prima persona, di notazioni di tempo, di luogo e di nomi propri; la seconda parte, dottrinale, registra la presenza di
della croce” (Gal 5,11). Vanhoye osserva anche come Paolo probabilmente non conosce l’identità personale dei suoi avversari. In Gal 5,7, infatti, si riferisce a loro ponendo ai Galati una domanda: “Correvate così bene! Chi vi ha tagliato la strada, voi che non obbedite più alla verità?”, e poco dopo in Gal 5,10 afferma “chi vi turba subirà la condanna, chiunque egli sia” (cf. VANHOYE, Lettera ai Galati, 24). 8 Vanhoye riporta le varie proposte formulate dai commentatori circa il genere letterario della lettera. La conclusione a cui arriva è che occorre tenere conto della novità della predicazione cristiana, senza necessariamente tentare di applicare un modello catalogato negli antichi trattati di retorica. La lettera ai Galati, dunque, si può definire come appartenente ad un nuovo genere letterario: quello degli interventi apostolici per il sostegno della fede. In particolare ciò permette di comprendere nello stesso scritto parti a carattere giudiziario, deliberativo e dimostrativo, unificati nell’unico sforzo di difesa del vangelo rivolta ad una comunità in crisi (cf. VANHOYE, Lettera ai Galati, 16-18). 9 Cf. VANHOYE, Lettera ai Galati, 14. Vanhoye riporta una lista precisa dei maggiori commentatori concordi nella suddivisione in 3 parti, mostrando come anche coloro che suddividono la lettera in sole 2 parti sostanzialmente accorpano le prime due. Alcuni invece dividono la lettera in più di 3 sezioni, ma possono essere ricondotti entro la più generica suddivisione tripartita: un maggior numero di parti non risulterebbe altro che un dare maggiore enfasi alle sottosuddivisioni interne. Un esempio è la proposta quadripartita di Pitta (cf. A. PITTA, Lettera ai Galati. Introduzione, versione e commento, EDB, Bologna 1996,40-41), riportata a rappresentanza di tutti coloro che, a partire da Betz, fanno emergere la struttura della lettera facendo riferimento agli elementi tipici della retorica dell’epoca. La lettera sarebbe così formata da 4 dimostrazioni (Gal 1,13-2,21; 3,1-4,7; 4,8-5,12; 5,13-6,10), ottenute dividendo tra loro gli argomenti scritturistici che risultano così 2 parti distinte. Ogni dimostrazione è formata da 3 momenti: un’apostrofe (Gal 1,6-10; 3,1-5; 4,8-11; 5,13-15), una protressi, cioè uno sviluppo della dimostrazione, una perorazione, ovvero una sintesi finale (Gal 2,15-21; 4,1-7; 5,2-12; 6,11-18). La prima apostrofe introduce non solo la prima argomentazione, ma tutta la lettera. Lo stesso vale per l’ultima perorazione, che chiude tutta la lettera.
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Introduzione
citazioni della Scrittura; la terza parte, di carattere esortativo, abbonda maggiormente di imperativi. Delle tre parti, la seconda risulta essere quella più problematica circa l’individuazione precisa dei suoi limiti. Vanhoye10 riporta come il principale disaccordo tra i commentatori della lettera ai Galati riguardi i vv. 1-12 del cap. 5, da alcuni considerati la fine della II parte, da altri l’inizio della III. Coloro che pongono in 5,1 l’inizio della III parte osservano che tale versetto (“Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù”) presenta già il tema della libertà, che risulta essere il tema centrale dell’ultima parte della lettera, e lo fa già in tono esortativo. In questo lavoro, però, si preferisce l’opinione di Vanhoye e di molti altri studiosi che ritengono 5,1-12 ancora parte dell’argomentazione dottrinale. Sebbene 5,1 anticipi il tema della libertà, 5,2-12 vede ancora una trattazione sull’obbligo della circoncisione e la presenza di un’apostrofe (5,7-12) che richiama e chiude il discorso aperto da un’altra apostrofe (3,1-5), con la quale inizia la II parte. Seguendo la suddivisione proposta da Vanhoye11, la composizione della lettera risulta quindi: Indirizzo e saluto iniziale (1,1-5); Rimprovero e esplicitazione dello scopo della lettera (1,6-10); I Parte: argomenti storici di carattere autobiografico (1,11-2,21); II Parte: argomenti dottrinali (3,1-5,12); III Parte: argomentazioni morali e precisazioni sulla vita (5,13-6,10);
Epilogo e saluto finale (6,11-18). Le considerazioni fatte circa la difficoltà di suddivisione fra le parti, si estendono
anche ai tentativi di ulteriori ripartizioni interne. Questo mostra come la lettera si presenti unitaria e fluida: un unico grande discorso di difesa del vangelo dove spesso la fine di una argomentazione è l’anticipo di quella successiva. Sempre seguendo Vanhoye12, una suddivisione più specifica e interna delle parti vede: 10 11
VANHOYE, Lettera ai Galati, 16. Ibidem.
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Introduzione
I Parte o (1,11-24) Paolo espone la propria vicenda personale di incontro con il Risorto per sostenere che il vangelo da lui predicato non proviene da un insegnamento umano ma da una rivelazione divina. o (2,1-10) Paolo ricorda la vicenda del Concilio di Gerusalemme per mostrare come il suo vangelo fu approvato dalle persone più autorevoli nella Chiesa. o (2,11-21) Paolo ricorda l’incidente di Antiochia per mostrare come sia sempre stato coerente con la propria posizione anche di fronte a Pietro. II Parte o (3,1-5) I apostrofe: si richiama i Galati alla loro esperienza cristiana: lo Spirito è stato ricevuto dalla Legge o dalla fede? o (3,6-29) I argomento scritturistico: l’esempio di Abramo. È la fede che rende figli di Abramo. (3,6-14) Abramo ebbe fede, ed è la fede che rende figli di Abramo. Allora la scelta è tra la fede che porta alla benedizione e le opere della Legge che portano alla maledizione. (3,15-18) I obiezione (la Legge può annullare le promesse?) e sua risposta negativa. (3,19-25) II obiezione (perché la Legge?). (3,26-29) Conclusione del I argomento scritturistico: la fede ci fa figli di Dio in Cristo e vera discendenza di Abramo. o (4,1-11) I conclusione e II apostrofe. (4,1-7: conclusione) È finita la schiavitù. (4,8-11: apostrofe) Perché volete tornare schiavi? o (4,12-20) Intermezzo autobiografico nei ricordi e sentimenti personali. o (4,21-31) II argomento scritturistico: Sara, Agar e i loro figli. (4,21-13) Il figlio della schiava e il figlio della donna libera. (4,24-25) La schiava rimanda all’alleanza del Sinai, che dunque conduce alla schiavitù. 12
VANHOYE, Lettera ai Galati, 26-27.
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Introduzione
(4,26-28) La donna libera rappresenta la Gerusalemme celeste, ed è nostra madre. (4,29-31) Niente compromessi fra il figlio della schiava e quello della donna libera. o (5,1-12) II conclusione e III apostrofe. (5,1-6: conclusione) O Cristo e la fede, o la circoncisione e la Legge. (5,7-12: apostrofe) ammonimenti e espressioni di fiducia. III Parte o (5,13-15) Non confondere la libertà cristiana con l’egoismo. o (5,16-25) Non le opere della carne ma il frutto dello Spirito. o (5,26-6,6) Non la superbia ma la comprensione e l’aiuto reciproco. o (6,7-10) Chi semina nella carne raccoglie corruzione, chi semina nello Spirito raccoglie vita eterna. Per quanto riguarda la composizione dell’intera lettera, sebbene rientri fra coloro che suddividono Gal in 3 sezioni, è opportuno riportare anche l’opinione di Meynet13, ripresa poi anche da altri autori14. Meynet è l’esponente principale di coloro che studiano la struttura basandosi sulle leggi della retorica, ma non come Betz15 o Pitta16, che ricorrono alla retorica classica (greco-latina), bensì facendo riferimento ad una retorica di stampo biblico-semitico. Meynet, dunque, non cercando elementi come le apostrofi o le perorazioni, propone, per l’intera lettera e per ciascuna delle 3 sottoparti in cui è divisa, una struttura chiastica. 13
R. MEYNET, “La composizione della lettera ai Galati”, in Studia Rhetorica 33(2011). Cf. ad es. G. PAXIMADI, “Lettera ai Galati”, in MAGGIONI B. – MANZI F. (edd.), Lettere di Paolo, Cittadella, Assisi 2005, 645-648. 15 H.D. BETZ, “The Literary Composition and Function of Paul’s Letter to the Galatians”, in New Testament Studies 21(1974). Betz è colui che per primo ha introdotto lo studio della composizione di Gal attraverso le categorie dell’oratoria classica greco-romana, e molti altri autori poi lo hanno seguito. La proposta di Betz, ulteriormente diversa da quelle presentate, vede la lettera come un unico discorso di genere giudiziale concepito come: narratio (Gal 1,12-2,14), propositio o tesi (2,15-21), probatio o dimostrazione (3,1-4,31), exhortatio (5,1-6,10). La difficoltà di questa impostazione è l’esortazione, che di per sé non farebbe parte del classico genere giudiziale. Per questo motivo successivi commentatori, pur continuando a tener conto degli elementi della retorica classica hanno preferito suddividere la lettera in modo diverso, come fa ad esempio Pitta che lo divide in 4 dimostrazioni differenti, cercando soluzione meno unitarie ma più coerenti con la particolarità del testo paolino. 16 PITTA, Lettera ai Galati. Introduzione, versione e commento, 40-41. 14
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Introduzione
La I parte (1,6-2,21) risulterebbe formata da tre sezioni disposte secondo lo schema (a: 1,6-10) (b: 1,11-2,10) (a’: 2,11-21), dove a Paolo che rimprovera i Galati (a) corrisponde Paolo che rimprovera Pietro (a’). La II parte (3,1-5,1) è formata da 5 sezioni disposte in modo concentrico, dove le prime due e le ultime due sono parallele tra loro: (a1: 3,1-14) le genti sono figli di Abramo per la fede in Cristo e senza la Legge; (a2: 3,15-25) gli ebrei sono eredi per la fede in Cristo e senza la Legge; (b: 3,26-29) tutti sono figli di Dio per mezzo della fede in Cristo; (a2’: 4,1-20) tutti sono eredi in Cristo e non più schiavi della Legge; (a1’: 4,2127) tutti sono figli di Abramo in Cristo e non più schiavi della Legge. La III parte (5,2-6,18), in parallelo con la I, è formata da 3 sezioni disposte concentricamente: (a: 5,2-12) (b: 5,13-6,10) (a’: 6,11-18), dove alla prevalenza della fede (a) corrisponde la prevalenza della nuova creazione (a’). L’aspetto interessante della proposta di Meynet è che pone maggiormente in evidenza come il centro della II parte risultino essere i vv. 26-29 del capitolo 3, i quali divengono anche il centro dell’intera lettera. La posizione assunta in questo lavoro, viste le grandi diversità tra le proposte dei vari commentatori, è che lo scrivere di Paolo, pur basandosi certamente su regole in uso all’epoca, risente fortemente anche della sua creatività personale e della fluidità del suo stile. Risulta quindi non facile definirne il genere letterario e individuarne in modo certo e preciso la composizione. Come dice Vanhoye: “In realtà, sembra preferibile ammettere l’indole originale dell’evangelizzazione e affermare che la Lettera ai Galati appartiene ad un genere non catalogato negli antichi trattati di retorica”17. Da questo sguardo globale sulla lettera è possibile già raccogliere alcune chiavi di lettura. Anzitutto Paolo sta difendendo il vangelo da lui predicato da posizioni che non ne colgono la radicale novità. In particolare l’apostolo vuole difendere il primato assoluto della fede in Cristo in ordine alla salvezza, che non può essere affiancato da una necessità della Legge.
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VANHOYE, Lettera ai Galati, 18.
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Introduzione
Sullo sfondo vi è la contrapposizione fra due categorie di persone: i giudei e i pagani. Tale contrapposizione risultava particolarmente forte nella mentalità giudaica tanto da passare anche tra i giudeo cristiani. Questo comportava per i pagani il dover diventare prima giudei per poter essere ammessi alla salvezza portata dal Cristo. Paolo, combattendo questa posizione per difendere l’universalità della salvezza tramite l’accoglienza nella fede, come fa anche in altre lettere18, annuncerà la fine delle divisioni affermando invece l’unità in Cristo. Come mette in risalto Meynet, Gal 3,26-29 ha un posto centrale nella lettera, quindi in quei versetti si può trovare, in particolare, quel principio essenziale e totalmente nuovo che costituisce il centro del vangelo annunciato da Paolo e qui difeso. In questo lavoro si vuole cogliere il significato dell’espressione ei-j evn Cristw/| VIhsou/ (“uno in Cristo Gesù”), presente al v. 28 del capitolo 3. Da quanto detto in precedenza tale espressione risulta rilevante in quanto strettamente inerente alla centralità del messaggio evangelico che Paolo esprime in particolar modo in Gal 3,26-29, e può essere considerato il punto di convergenza della buona novella annunciata ai pagani di una unità nella quale terminano ogni divisione e discriminazione rispetto alla salvezza19. Inoltre evn Cristw/| VIhsou/ appartiene pressoché esclusivamente al vocabolario dell’apostolo: ricorre ben 47 volte in tutta la Scrittura20, e di queste solo una non appartiene all’opera di Paolo o di tradizione paolina. Se si estende questo studio anche alle espressioni simili come “in Cristo” e “nel Signore”, si possono osservare tendenzialmente le stesse proporzioni. Ciò fa di questa espressione una formula prettamente paolina; il suo studio, quindi, anche se strettamente contestualizzato al suo uso in Gal 3,28, può risultare rilevante non solo come apporto alla comprensione del 18
Cf. Ef 2,13-18: “Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia. Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito.”; ma vedi anche per es. 1Cor 1,10.12,13; Col 3,10-11. 19 Cf. Gal 3,28: “Non c’è giudeo né greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina; tutti voi infatti siete uno solo in Cristo Gesù”. 20 Rm 3,24 . 6,11 . 6,23 . 8,1 . 8,2 . 8,39 . 15,17 . 16,3; 1Cor 1,2 . 1,4 . 1,30 . 4,17 . 15,31 . 16,24; Gal 2,4 . 3,14 . 3,26 . 3,28; Ef 1,1 . 2,6 . 2,7 . 2,10 . 2,13 . 3,6 . 3,21; Fil 1,1 . 1,26 . 2,5 . 3,3 . 3,14 . 4,7 . 4,19 . 4,21; Col 1,4; 1Tes 2,14 . 5,18; 1Tt 1,14 . 3,13; 2Tt 1,1 . 1,9 . 1,13 . 2,1 . 2,10 . 3,12 . 3,15; Fm 1,23; 1Pt 5,10.
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Introduzione
vangelo difeso da Paolo in questa lettera, ma anche come un approfondimento del pensiero in generale dell’apostolo. Per raggiungere questo obiettivo nel Capitolo 1 si prenderà in esame il contesto dell’espressione ei-j evn Cristw/| VIhsou/, per cogliere l’essenza del discorso nel quale essa viene utilizzata. Ciò sarà svolto anzitutto individuando la pericope di appartenenza (sezione 1.1). Successivamente, nella sezione 1.2, verrà presentato il testo greco della pericope e una proposta di traduzione sostenuta da considerazioni di carattere linguistico espresse versetto per versetto. Nel Capitolo 2 si passerà all’esegesi del testo individuato. Tale esegesi non è finalizzata ad una interpretazione esaustiva della pericope, ma alla comprensione dell’espressione in esame come inserita nel suo contesto. Infine, nella conclusione si cercherà di trarre le fila del percorso svolto per mettere in luce il significato di ei-j evn Cristw/| VIhsou/ così come emerge in questa sezione della lettera ai Galati.
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Il testo di Gal 3,19-29
CAPITOLO 1 IL TESTO DI GAL 3,19-29 1.1 DELIMITAZIONE DELLA PERICOPE E SUA COLLOCAZIONE NEL CONTESTO DI GAL 3,1-4,11 Il contesto dell’espressione in esame è quello della parte dottrinale della lettera e, in particolare, del primo argomento scritturistico. Si tratta della parte che va da 3,1 a 4,11. Questa sezione è individuabile perché con il capitolo 3 inizia la parte dottrinale, distinguibile dalla precedente per linguaggio e argomenti trattati. Il passaggio si nota chiaramente dato che Paolo passa dal parlare di sé al parlare direttamente ai Galati e dei Galati21. Lo stesso si può dire per la sezione che inizia da 4,1222, che rappresenta l’inizio dell’intermezzo autobiografico. Tale suddivisione è rafforzata dal fatto che 3,1-5 e 4,8-11 rappresentano due apostrofi che racchiudono il primo argomento scritturistico su Abramo e le conseguenza che Paolo trae da esso. Il testo rimanente è caratterizzato, a sua volta, da un’inclusione: 3,6-723, che rappresenta la tesi iniziale, e 3,2924, che ne rappresenta la conclusione. Nella suddivisione interna di questa sezione della lettera sulla prima dimostrazione scritturistica e nell’individuazione delle pericopi, non vi è uniformità di opinioni tra i commentatori. Probabilmente questo si deve al fatto che, come afferma Vanhoye: “Non è tanto facile seguire la logica di questa dimostrazione, perché Paolo è impetuoso e non prende il tempo per indicare tutte le tappe del suo pensiero. D’altra parte non segue sempre la stessa pista, ma passa improvvisamente
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Gal 3,1: “O stolti Galati, chi vi ha incantati? Proprio voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso!”. 22 Gal 4,12: “Siate come me, ve ne prego, fratelli, poiché anch’io sono stato come voi. Non mi avete offeso in nulla”. In 4,11 (“Temo per voi di essermi affaticato invano a vostro riguardo”) Paolo conclude l’apostrofe già passando a parlare di sé. Si tratta della fluidità tra le sezioni già rimarcata precedentemente, dove spesso le sezioni sono anticipate nell’ultima parte di quelle precedenti, perché parte di un unico grande discorso. 23 Gal 3,6-7: “Come Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia, riconoscete dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede”. 24 Gal 3,29: “Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa”.
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Il testo di Gal 3,19-29
dall’una all’altra, per poi tornare alla pista anteriore, sicché le diverse piste si intrecciano, provocando una certa confusione.”25 Certamente Gal 3,6-7 rappresenta la tesi iniziale posta da Paolo in riferimento a Gen 15,626: Dio rivolge ad Abramo una promessa incondizionata, non chiedendo nulla in cambio; Abramo non fa altro che accoglierla nella fede, e ciò è bastato perché essa si realizzasse. Soltanto in Gen 1727 viene la circoncisione e la necessità da parte del patriarca di osservare la sua parte dell’alleanza. Abramo rappresenta dunque prototipo del “credente” prima che dell’uomo dell’obbedienza. È quindi la fede, e non le opere ad ottenere la giustificazione. Il v. 6 è indubbiamente l’introduzione di un nuovo tema, anche se in realtà non può nemmeno essere slegato dal contesto precedente. Abramo si presenta infatti come l’elemento di conferma decisiva della risposta che i Galati hanno dovuto riconoscere: “abbiamo ricevuto lo Spirito non in seguito alle opere della Legge, ma in seguito ad un ascolto di fede”28. Se quanto detto nel v. 6 è vero, allora, per essere “famiglia” di Abramo, cioè entrare nell’orizzonte dell’alleanza, che Dio ha stipulato con gli uomini fin da Abramo, occorre seguire il principio della fede, che lega alla promessa fatta al patriarca, non quello dell’obbedienza, che lega ad una Legge che verrà solo più tardi, con Mosè (v. 7). Da questa dimostrazione espressa da Paolo, si comprende anche quale doveva essere 1’argomentazione dei giudaizzanti. Essi probabilmente sostenevano che per entrare nell’orizzonte dell’alleanza occorresse essere figli di Abramo, e quindi appartenenti al popolo ebraico. Da qui la necessità della circoncisione anche ai cristiani convertiti dal paganesimo, che dovevano prima diventare ebrei per poi godere pienamente della salvezza portata da Cristo. Nel vv. 8-14 Paolo continua l’argomentazione mostrando come attraverso la fede si entra in rapporto stretto con Abramo e quindi, in lui, anche con la benedizione promessa (Gen 12,3b29). Di conseguenza, coloro che si pongono fuori di questa logica,
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VANHOYE, Lettera ai Galati, 79. Gen 15,6: “Egli (Abramo) credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia”. 27 Gen 17,9-10: “Disse Dio ad Abramo: ”. 28 Cf. Gal 3,5. 29 Gen 12,3b: “in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra”. 26
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Il testo di Gal 3,19-29
ponendo la Legge all’origine della propria salvezza e non la fede, non essendo nella prospettiva della benedizione, rientrano in quella del suo contrario: ovvero della maledizione. Ma Cristo è venuto a liberare dalla maledizione della Legge, e ciò apre universalmente la possibilità della benedizione a tutte le genti. A questo punto l’apostolo affronta 2 possibili obiezioni o dubbi che inevitabilmente sorgono a fronte di quanto ha appena esposto. La prima obiezione è affrontata nei vv. 15-18: la Legge, che è venuta in seguito, potrebbe aver annullato la promessa fatta in precedenza? La risposta al v. 17 conferma la promessa come valida permanentemente: “Ora io dico: un testamento stabilito in precedenza da Dio stesso, non può dichiararlo nullo una Legge che è venuta quattrocentotrenta anni dopo, annullando così la promessa”. Il secondo dubbio è sulla funzione della Legge, ed è espresso in Gal 3,19: “Perché allora la Legge?”. L’apostolo spiega la funzione della Legge mostrandone il rapporto con la fede all’interno di un quadro temporale dove c’è un “prima” e un “dopo” l’avvento di Cristo. Dopo Cristo, la fede in lui permette di entrare in una relazione intima con lui e diventare, in lui, figli di Dio. Già al v. 1630 Paolo aveva notato che nella Genesi31 si parla della discendenza di Abramo con un vocabolo al singolare, spe,rma, e ne conclude che questa parola si applica “ad uno solo, cioè Cristo” (3,16). Il destinatario della promessa di Dio è quindi Abramo e Cristo. Ora mediante la fede i credenti in Cristo divengono uno con lui e quindi anche eredi della promessa (v. 29). Questo versetto si riallaccia dunque a 3,6-7 chiudendo il discorso su Abramo. Nei primi versetti del capitolo 4, però, Paolo torna nuovamente sul tema prima di concludere con la seconda apostrofe in 4,8-11.
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Gal 3,16: “Ora è appunto ad Abramo e alla sua discendenza che furono fatte le promesse. Non dice la Scrittura: ‘e ai discendenti’, come se si trattasse di molti, ma: e alla tua discendenza, come a uno solo, cioè Cristo”. 31 Gen 15,18 dalla traduzione dei LXX: “evn th/| h`me,ra| evkei,nh| die,qeto ku,rioj tw/| Abram diaqh,khn le,gwn tw/| spe,rmati, sou dw,sw th.n gh/n tau,thn avpo. tou/ potamou/ Aivgu,ptou e[wj tou/ potamou/ tou/ mega,lou potamou/ Euvfra,tou”. Dove tw/| spe,rmati, (lett. “il seme”) è al singolare.
13
Il testo di Gal 3,19-29
Vanhoye32 considera il testo che va da Gal 3,19-4,11 un’unità tematica sulla provvisorietà della Legge e sulla prevalenza della fede. All’interno di questa registra dei passaggi, anche se piuttosto fluidi e parte di un unico discorso. Tra questi il v. 29, essendo la conclusione del discorso iniziato in 3,6-7, rappresenta un punto di cesura più forte che separa i vv. 19-29 dai primi versetti del capitolo 4. Come Vanhoye, anche altri commentatori propendono per sottolineare l’unità di Gal 3,19-29 con i primi versetti del capitolo 4. Mussner33, per esempio, considera un’unica pericope Gal 3,19-4,7, pur isolando al suo interno Gal 3,23-25 come una microunità data dall’enunciato del v. 23 Pro. tou/ de. evlqei/n th.n pi,stin “prima che venisse la fede” che corrisponde a quello del v. 25 evlqou,shj de. th/j pi,stewj “essendo venuta la fede”. Pitta34 suddivide in modo più netto in unità differenti: 3,19-22 che titola “le motivazioni della Legge”, 3,23-29 “la figliolanza abramitica mediante la fede”, 4,1-7 “la figliolanza divina”. I versetti 8-11 del cap. 4 vengono invece legati più all’unità successiva poiché nella struttura della lettera da lui proposta35, ogni dimostrazione inizia con un’apostrofe. Pitta36 separa i vv. 19-22 dai seguenti ponendo nel v. 22 la conclusione della domanda sulla Legge che apre questa microunità al v. 19 (Ti, ou=n o` no,mojÈ “Perché allora la Legge?”). Nonostante questa suddivisione riconosce che le due parti sono strettamente legate da parole gancio tra i versetti 22 e 23: il verbo sugklei,w e la parola pi,stij. Sull’unità di 3,23-29 Pitta37 osserva che molti38 considerano una cesura tra i vv. 23-25 e i vv. 26-29 che costituirebbero una pericope a parte. La divisione in due sarebbe motivata dal passaggio dalla prima persona plurale (vv. 23-25) alla seconda plurale (vv. 26-29). L’opinione di Pitta, però, è che in Paolo, specie nella lettera ai Galati, il passaggio da una persona all’altra è frequente, quindi è più propenso a considerare l’unità dei vv. 23-29. Una maggiore cesura è riconosciuta, invece, rispetto a Gal 4,1-7 che inizia 32
VANHOYE, Lettera ai Galati, 92-113. F. MUSSNER, “La lettera ai Galati”, in Commentario teologico del Nuovo Testamento, 13, Paideia, Brescia 1987, IX, 380-428. 34 PITTA, Lettera ai Galati. Introduzione, versione e commento, 209-246. 35 Ibidem. 36 Ibidem. 37 Ibidem. 38 Così per es. anche Buscemi (cf. A.M. BUSCEMI, Lettera ai Galati. Commentario esegetico, Franciscan Printing Press, Jerusalem 2004, 318-320). 33
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Il testo di Gal 3,19-29
con una formula tipicamente introduttiva: le,gw de, “dico però”, ed è racchiusa da una inclusione fra i v.1 e 7 mediante i riferimenti all’erede, alla schiavitù, alla figliolanza e all’azione di Dio. Questa pericope, che riprende le tematiche affrontate, tornando sulla funzione di pedagogo della Legge già trattata in 3,23-25, rappresenta per Pitta una peroratio, cioè la conclusione dalla prima argomentazione dal punto di vista retorico. Un altro commentatore che separa Gal 4,1-7 da Gal 3,19-29 è Schlier39, che considera i vv. 19-29 un’unica pericope. Da ultimo si ricorda come Meynet40 considera Gal 3,26-29
una pericope
unitaria41 posta al centro della struttura chiastica di tutta la sezione 3,1-5,1. La pericope è a sua volta costruita concentricamente: i vv. 26-27 sono paralleli ai vv. 28d-29 entrambi iniziando con l’espressione Pa,ntej ga.r … evste (“tutti infatti … siete”), cosa che mette in relazione ui`oi. qeou/ con ei-j (v. 26: “tutti infatti siete figli di Dio”; v. 28d: “tutti voi infatti siete uno”)42. Al centro si trova il v. 28abc strutturato come una triplice negazione introdotta da ouvk e;ni.. In questo lavoro, come fa la maggior parte degli studiosi, si considera unitariamente Gal 3,19-29, come discorso che procede dall’obiezione sulla Legge (v. 19) e termina con una conclusione (v. 29) che chiude tutta la prima argomentazione scritturistica. I versetti 1-7 del capitolo 4, in accordo con Pitta, Schlier e altri, vengono considerati parte di una nuova pericope, anche se con forti legami tematici con la precedente. All’interno di Gal 3,19-29, però, non è possibile non registrare una discontinuità tra i vv. 22 e 23 e tra i vv. 25 e 26. La pericope esaminata risulta quindi formata da tre momenti consecutivi che rappresentano la progressione del discorso di Paolo: (3,19-22) le motivazioni della Legge; 39
H. SCHLIER, Lettera ai Galati, Paideia, Brescia 1965, 156-195. MEYNET, “La composizione della lettera ai Galati”, 10. 41 Seppur considerando gli elementi della retorica classica e non quelli della retorica ebraico-biblica come Meynet, anche Buscemi (BUSCEMI, Lettera ai Galati. Commentario esegetico, 346-350) considera Gal 3,26-29 un’unica pericope con ruolo specifico di recapitulatio: sintesi degli elementi principali dell’argomentazione (in questo caso: l’essere figli di Dio in Cristo, il battesimo, l’essere rivestiti di Cristo, l’essere diventati uno solo in Cristo Gesù) presentati in modo da avere effetto sulle emozioni dell’ascoltatore. Buscemi suddivide la pericope in questo modo: vv. 26-27: in Cristo Gesù siamo tutti figli di Dio, v. 28a: in Cristo Gesù sono superate tutte le differenze, vv. 28b-29: in Cristo Gesù siamo discendenza di Abramo. 42 Così anche Buscemi (cf. BUSCEMI, Lettera ai Galati. Commentario esegetico, 362). 40
15
Il testo di Gal 3,19-29
(3,23-25) applicazione al “noi”, cioè ai giudei come destinatari della Legge: la funzione transitoria della Legge fino alla venuta della fede;
(3,26-29) applicazione al “voi”, cioè ai pagani dopo la venuta di Cristo: la fede fa tutti figli di Dio in Cristo e vera discendenza di Abramo. Il discorso si legge perciò in 3 passaggi. A causa di quanto esposto in 3,8-14, dove si parla della Legge connessa alla maledizione, sorge spontanea una domanda sulla Legge. Paolo affronta la questione in 3,19-22 attraverso due interrogativi: “Perché dunque la Legge?”, che apre il v. 19, e “la Legge dunque è contro le promesse di Dio?”43 del v. 21, a cui seguono sinteticamente delle risposte. Il v. 2244, però, riprendendo quanto anticipato in 3,845, afferma l’apertura universale a tutti i credenti mediante un ruolo della Scrittura, e questo diventa il fulcro dell’argomentazione portata avanti da Paolo che lega la fede di Abramo con l’esperienza dei Galati. I due passaggi successivi, 3,23-25 e 3,2629, possono essere visti come un’ulteriore sviluppo di questo concetto: cioè di come si è potuti giungere a questa apertura universale mediante la fede. Si tratta di una presentazione del rapporto Legge – fede inserita in un quadro storico: i vv. 23-25 presentano il “prima” della Legge, i vv. 26-29 il “dopo” della fede come apertura a tutti i credenti. Il punto di riferimento che permette di distinguere un prima e un dopo è Cristo46. Proprio il termine “Cristo”, inoltre, caratterizza i vv. 26-29, in cui è presente ben 5 volte47 in soli 4 versetti, contro le 2 volte48 dei vv. 19-25. Questa frequenza dimostra come i vv. 26-29, parlando dello specifico della fede, toccano però i punti salienti della novità cristiana concentrandoli sinteticamente in questi pochi versetti. Il risultato ottenuto da Paolo è di un messaggio molto più ricco di quanto sembrava necessitare il semplice discorso argomentativo sul rapporto Legge - fede.
43
Questa domanda in realtà era già emersa nei vv. 15-18 e al v. 17 era già stata data una prima risposta. Paolo vi ritorna proprio per affermare ulteriormente la sua posizione dopo la spiegazione sul perché della Legge. Da questa insistenza dell’apostolo si può dedurre che il fatto che la Legge fosse venuta dopo le promesse, forse era uno degli argomenti dei giudaizzanti per affermare la sua superiorità. 44 Gal 3,22: “ma la Scrittura ha rinchiuso tutto sotto peccato, perché la promessa mediante la fede di Gesù Cristo fosse data a coloro che credono”. 45 Gal 3,8: “E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato i pagani per la fede, preannunciò ad Abramo: In te saranno benedette tutte le nazioni”. 46 Cf. Gal 3,24: “cosicché la Legge è diventata per noi un pedagogo fino a Cristo, affinché fossimo giustificati dalla fede”. 47 Una volta in 3,26; due in 3,27; una in 3,28; una in 3,29. 48 Una volta in 3,22; una in 2,24.
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Il testo di Gal 3,19-29
Il v. 29, infine, chiude l’argomentazione iniziata in 3,6-7 e portata avanti attraverso queste diverse fasi di sviluppo.
1.2 TESTO E SUA TRADUZIONE In questa sezione è presentato il testo greco e una proposta di traduzione. Le note linguistiche che seguono hanno lo scopo di motivare le scelte di traduzione dal greco all’italiano, esporre le modalità d’uso di determinati termini da parte dell’autore biblico per comprendere meglio il significato con cui vanno letti, e notificare gli elementi significativi di critica testuale. 19
Ti,
ou=n
o`
no,mojÈ
tw/n
paraba,sewn ca,rin prosete,qh( a;crij oue;lqh| to. spe,rma w-| evph,ggeltai( diatagei.j 20
diV avgge,lwn evn ceiri. mesi,touÅ
o` de.
mesi,thj e`no.j ouvk e;stin( o` de. qeo.j ei-j 21
evstinÅ
o` ou=n no,moj kata. tw/n
evpaggeliw/n tou/ qeou/È mh. ge,noitoÅ eiv ga.r
evdo,qh
no,moj
o`
duna,menoj
zw|opoih/sai( o;ntwj evk no,mou a'n h=n h` dikaiosu,nhÅ
22
avlla. sune,kleisen h`
grafh. ta. pa,nta u`po. a`marti,an( i[na h` evpaggeli,a evk pi,stewj VIhsou/ Cristou/ doqh/| toi/j pisteu,ousinÅ 23
Pro. tou/ de. evlqei/n th.n pi,stin
u`po. no,mon evfrourou,meqa sugkleio,menoi eivj
th.n
me,llousan
avpokalufqh/nai(
24
w[ste
pi,stin o`
no,moj
paidagwgo.j h`mw/n ge,gonen eivj Cristo,n( i[na evk pi,stewj dikaiwqw/men\ 25
evlqou,shj de. th/j pi,stewj ouvke,ti u`po.
paidagwgo,n evsmenÅ
19
Perché dunque la Legge? In vista delle trasgressioni fu aggiunta, finché venisse il seme cui era stato promesso; promulgata per mezzo di angeli, per mano di un mediatore. 20 Ma non vi è il mediatore di uno solo, e Dio è uno solo. 21 La Legge dunque è contro le promesse di Dio? Non sia mai! Se infatti fosse stata data una legge in grado di vivificare, allora da una legge sarebbe giunta la giustizia; 22 ma la Scrittura ha rinchiuso tutto sotto peccato, perché la promessa mediante la fede di Gesù Cristo fosse data a coloro che credono. 23 Ma prima che giungesse la fede, eravamo sorvegliati sotto la Legge, rinchiusi fino a che non fosse rivelata la fede che doveva venire, 24 cosicché la Legge è diventata per noi un pedagogo fino a Cristo, affinché fossimo 25 giustificati dalla fede. Ma sopraggiunta la fede, non siamo più sotto un pedagogo.
17
Il testo di Gal 3,19-29
26
Pa,ntej ga.r ui`oi. qeou/ evste dia.
th/j pi,stewj evn Cristw/| VIhsou/\
27
o[soi
ga.r eivj Cristo.n evbapti,sqhte( Cristo.n 28
evnedu,sasqeÅ
ouvk e;ni VIoudai/oj ouvde.
{Ellhn( ouvk e;ni dou/loj ouvde. evleu,qeroj( ouvk e;ni a;rsen kai. qh/lu\ pa,ntej ga.r u`mei/j ei-j evste evn Cristw/| VIhsou/Å
29
eiv
de. u`mei/j Cristou/( a;ra tou/ VAbraa.m spe,rma
evste,(
klhrono,moiÅ
katV
evpaggeli,an
26
Tutti infatti siete figli di Dio, per mezzo della fede in Cristo Gesù; 27 quanti infatti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. 28 Non c’è giudeo né greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina; tutti voi infatti siete uno in Cristo Gesù. 29 Se dunque voi siete di Cristo, allora siete seme di Abramo; eredi secondo la promessa.
V. 19 Ti, ou=n o` no,mojÈ tw/n paraba,sewn ca,rin prosete,qh( a;crij ou- e;lqh| to. spe,rma w-| evph,ggeltai( diatagei.j diV avgge,lwn evn ceiri. mesi,touÅ Perché dunque la Legge? In vista delle trasgressioni fu aggiunta, finché venisse il seme cui era stato promesso; promulgata per mezzo di angeli, per mano di un mediatore. Anzitutto è da registrarsi un problema di critica testuale. Oltre alla versione riportata49, alcuni testimoni50 presentano: “Perché dunque la legge delle opere?” Altri51: “Perché dunque la legge delle opere? Fu posta in vista delle trasgressioni”. Un terzo gruppo52: “Perché dunque la Legge? In vista delle tradizioni fu posta”. Per ragioni di critica esterna, la lezione riportata è da preferirsi, perché sostenuta da numerosi e autorevoli testimoni53. Per ragioni di critica interna, invece, occorrerebbe favorire le lezioni che restringono il giudizio negativo alla sola legge delle opere, e quindi all’atteggiamento legalistico più che alla Legge in sé. Inoltre le lezioni del secondo e terzo gruppo, dicendo “fu posta” al posto di “fu aggiunta”, risultano meglio in accordo con il testo appena precedente, suggerendo che la Legge sia un dono di grazia di tipo differente piuttosto che un’aggiunta alla promessa. Pitta54, però, osserva che “Perché dunque la Legge?” è sostenuta da א, A, B, C, D2, Ψ, e altri. Cf. P46. 51 Cf. F, G, it, Irlat, Ambst. 52 Cf. D*. 53 L’importante codice P46 risulta una testimonianza contraria, però isolata. 54 PITTA, Lettera ai Galati. Introduzione, versione e commento, 210. 49 50
18
Il testo di Gal 3,19-29
probabilmente la motivazione di tutte queste varianti è la polemica anti-marcionita, quindi la lezione riportata è definitivamente da preferirsi, e questa è anche la scelta fatta dalle più autorevoli edizioni critiche55. Il pronome interrogativo ti, può essere inteso in due sensi: predicativo o avverbiale. Nel primo caso sarebbe sottinteso il verbo evsti.n, e la domanda sarebbe allora sulla natura della Legge. Nel secondo caso la domanda si completerebbe col verbo prosete,qh, assumendo il senso di: “perché dunque fu aggiunta la Legge?” Il contesto sembra suggerire la seconda interpretazione. Ca,rin può indicare sia causa che finalità. Si potrebbe tradurre quindi “a causa delle trasgressioni fu aggiunta”, intendendo che la Legge è posta a motivo dell’esistenza delle trasgressioni. Ma in questo modo sorge un problema: le trasgressioni non possono precedere la Legge, anzi è la Legge che evidenzia il peccato rendendolo trasgressione56. In questo lavoro, pertanto, si preferisce, in accordo con Pitta e altri57, evidenziare il valore finale “in vista delle trasgressioni fu aggiunta”. In base all’esegesi di Gen 15,18 fatta da Paolo stesso al v. 1658, la parola spe,rma “seme” assume in questo contesto una chiara caratterizzazione cristologica: si tratta quindi di Cristo, colui nel quale si compie la promessa. VEph,ggeltai59 “era stato promesso” è un caso di passivo divino, come prosete,qh e diatagei.j. Rispetto agli altri due, che sono aoristi, evph,ggeltai è un perfetto: indica, perciò, il valore di una promessa fatta nel passato ma i cui effetti permangono ancora nel presente. Per quanto riguarda diatagei.j60, essendo un altro passivo teologico, indica la Legge come promulgata da Dio. L’espressione introdotta dalla preposizione dia,, allora, non va tradotta: “da parte degli angeli”, per cui questi risulterebbero gli autori della Legge promulgata, ma “per mezzo di angeli”, dove dia, assume un valore strumentale.
55
Cf. NA27. Così per es. Rm 4,15: “La Legge infatti provoca l’ira; al contrario, dove non c’è Legge, non c’è nemmeno trasgressione”. 57 PITTA, Lettera ai Galati. Introduzione, versione e commento, 211. 58 Cf. pag. 13. 59 Perfetto passivo di evpagge,llomai. 60 diatagei.j diV avgge,lwn “promulgata per mezzo di angeli”. 56
19
Il testo di Gal 3,19-29
VEn ceiri. mesi,tou “per mano di un mediatore”. Sull’identità del mediatore sono state fatte molte ipotesi nel corso del tempo. L’ipostesi più accreditata61 è che si tratti di Mosè, che sul monte Sinai svolge il ruolo di mediatore tra Dio e il popolo62, come attesta anche At 7,38: “Egli è colui che, mentre erano radunati nel deserto, fu mediatore tra l’angelo, che gli parlava sul monte Sinai, e i nostri padri; egli ricevette parole di vita da trasmettere a noi”. Pitta63 invece sostiene che la frase sia una semplice variazione stilistica rafforzativa ed esplicativa rispetto a quella precedente: quindi il mediatore non sarebbe che un angelo.
V. 20 o` de. mesi,thj e`no.j ouvk e;stin( o` de. qeo.j ei-j evstinÅ Ma non vi è il mediatore di uno solo, e Dio è uno solo. e`no.j, ei-j (“uno solo”)64. Il suo riferimento a Dio rappresenta qui un’implicita professione di fede monoteistica. Nel contesto più generale della lettera, però, questo termine è particolarmente importante perché Paolo vuole ribadire l’unicità di tutta una serie di realtà altrimenti messa in pericolo dalla predicazione dei suoi avversari. L’unicità di Dio si aggiunge perciò all’unicità del vangelo (Gal 1,7), del discendente di Abramo (Gal 3,16), della realtà dei credenti in Cristo (Gal 3,28).
V. 21 o` ou=n no,moj kata. tw/n evpaggeliw/n tou/ qeou/È mh. ge,noitoÅ eiv ga.r evdo,qh no,moj o` duna,menoj zw|opoih/sai( o;ntwj evk no,mou a'n h=n h` dikaiosu,nhÅ La Legge dunque è contro le promesse di Dio? Non sia mai! Se infatti fosse stata data una legge in grado di vivificare, allora da una legge sarebbe giunta la giustizia;
61
Così ad es. Schlier (cf. SCHLIER , Lettera ai Galati, 164-165) e Mussner (cf. MUSSNER , “La lettera ai Galati”, 386-390). 62 Cf. Es 19-20. 63 PITTA, Lettera ai Galati. Introduzione, versione e commento, 213-214. 64 In entrambi i casi si tratta del numerale ei-j, mi,a, e[n, che ha valore di uno, ma anche di uno soltanto, singolo. Si è preferito però scrivere “uno solo” perché, per la prima affermazione, la frase in italiano risulta più fluida e immediatamente comprensibile. Così anche la traduzione CEI, sia 2008 che precedente.
20
Il testo di Gal 3,19-29
Il genitivo tou/ qeou/ “di Dio” è presente in molti testimoni65, ma non in tutti66. Pitta67 osserva che per la critica esterna è da preferirsi la lezione lunga, perché maggiormente attestata, per la critica interna quella breve, perché risulta essere la più difficile, e perché non è necessario specificare l’origine teologica delle promesse. In questo lavoro è stata privilegiata la lezione più lunga, in accordo con la traduzione CEI 2008, poiché risulta più chiara e l’aggiunta non modifica il senso del testo. A causa della mancanza dell’articolo nel testo greco davanti alla parola no,moj68, non seguendo la traduzione CEI 2008, si è preferito tradurre una legge, e non la Legge, sia nel primo caso che nel secondo. Si mantiene così più forte il legame fra le due parti della frase: se una legge … allora da una legge. Ciò, comunque, non toglie che dal contesto risulti chiaro di quale Legge Paolo stia parlando.
Vv. 22-23 avlla. sune,kleisen h` grafh. ta. pa,nta u`po. a`marti,an( i[na h` evpaggeli,a evk pi,stewj VIhsou/ Cristou/ doqh/| toi/j pisteu,ousinÅ Pro. tou/ de. evlqei/n th.n pi,stin u`po. no,mon evfrourou,meqa sugkleio,menoi eivj th.n me,llousan pi,stin avpokalufqh/nai( ma la Scrittura ha rinchiuso tutto sotto peccato, perché la promessa mediante la fede di Gesù Cristo fosse data a coloro che credono. Ma prima che giungesse la fede, eravamo sorvegliati sotto la Legge, rinchiusi fino a che non fosse rivelata la fede che doveva venire, ~H grafh. “la Scrittura” non si identifica con o` no,moj “la Legge”, ma riguarda il concetto più ampio di rivelazione. Perciò è da intendersi, secondo Buscemi, come “manifestazione della volontà di Dio che rende noti agli uomini i suoi disegni salvifici. Quindi è la Scrittura nella sua totalità, che, in quanto volontà concreta di Dio, attraverso il ruolo della Legge pone tutto sotto il peccato, per raggiungere il suo fine”.69
Cf. א, A, C, D, F, G, Ψ, e altri. P46, d, Ambst non la riportano, mentre il codice 104 riporta tou/ Cristou. 67 PITTA, Lettera ai Galati. Introduzione, versione e commento, 214-215. 68 eiv ga.r evdo,qh no,moj … o;ntwj evk no,mou … “Se infatti fosse stata data una legge … allora da una legge …”. 69 BUSCEMI, Lettera ai Galati. Commentario esegetico, 337. 65 66
21
Il testo di Gal 3,19-29
Il verbo froure,w (evfrourou,meqa “eravamo sorvegliati”), che genericamente significa badare a, curare, può essere inteso nel senso più positivo di custodire, ma anche in quello negativo di sorvegliare. Il verbo sugklei, (sugkleio,menoi “rinchiusi”) e l’espressione u`po. no,mon del v. 22 lasciano intendere70 un senso più negativo. Per queste ragioni si è preferito tradurre sorvegliare. La prima persona plurale (“eravamo”), compare qui e continua per i vv. 23-2571. Viene invece sostituita dalla seconda persona plurale nei vv. 26-2972. Pitta73 sostiene che, nonostante al v. 22 si parli di tutti (attraverso l’espressione ta. pa,nta “ogni cosa”) come rinchiusi sotto il peccato, ora Paolo stia parlando soltanto dei giudei, come coloro che hanno vissuto sotto la Legge. Ciò giustifica il passaggio alla seconda persona plurale al v. 26, quando, grazie all’avvento della fede, il discorso si estende anche ai pagani, e quindi ai Galati, come discorso di salvezza.
Vv. 24-25 w[ste o` no,moj paidagwgo.j h`mw/n ge,gonen eivj Cristo,n( i[na evk pi,stewj dikaiwqw/ men\ evlqou,shj de. th/j pi,stewj ouvke,ti u`po. paidagwgo,n evsmenÅ cosicché la Legge è diventata per noi un pedagogo fino a Cristo, affinché fossimo giustificati dalla fede. Ma sopraggiunta la fede, non siamo più sotto un pedagogo. Vista la coloritura negativa dei versetti precedenti, non bisogna interpretare il pedagogo (paidagwgo.j) in chiave troppo positiva: un educatore, un maestro. Occorre quindi pensare al pedagogo più come un sorvegliante, la cui presenza denuncia l’incapacità del “fanciullo” ad essere autosufficiente. Pitta74 osserva che vi è una gran parte di letteratura classica che attesta una valutazione poco positiva del pedagogo, al
70
Il verbo sugklei,w (sune,kleisen “ha rinchiuso”) è un verbo non frequente. Nel NT è usato soltanto in Gal 3,22.23 e Rm 11,32, da Paolo, e in Lc 5,6 per indicare i pesci imprigionati nella rete del pescatore. Questo verbo esprime qui il concetto negativo dell’“essere rinchiusi”, “essere sottomessi”, “essere assoggettati”, che Paolo sottolinea spesso mediante l’uso della preposizione u`po. seguita da accusativo; per esempio in Gal nelle espressioni: “sotto la Legge” (Gal 3,23; 4,4.5.21; 5,18), “sotto il peccato” (Gal 3,22), “sotto gli elementi del mondo” (Gal 4,3). 71 Cf. v. 24: “per noi” (h`mw/n); “fossimo giustificati” (dikaiwqw/men); v. 25: “non siamo” (ouvke,ti … evsmen). 72 Cf. v. 26: “siete” (evste); v. 27: “siete stati battezzati” (evbapti,sqhte); “vi siete rivestiti” (evnedu,sasqe); v. 28: “tutti voi infatti siete” (pa,ntej ga.r u`mei/j evste); v. 29: “siete” (evste). 73 PITTA, Lettera ai Galati. Introduzione, versione e commento, 219-220. 74 Ibidem.
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Il testo di Gal 3,19-29
contrario della tendenziale valutazione a cui è portata la sensibilità moderna. Inoltre in 1Cor 4,14-1575 Paolo oppone la relazione dei fanciulli con i pedagoghi a quella col padre, ponendo sicuramente la prima in una luce più negativa.
V. 26 Pa,ntej ga.r ui`oi. qeou/ evste dia. th/j pi,stewj evn Cristw/| VIhsou/\ Tutti infatti siete figli di Dio, per mezzo della fede in Cristo Gesù; Secondo Mussner76, il termine ui`oi “figli” è utilizzato in relazione all’immagine del pedagogo che Paolo ha utilizzato nei versetti precedenti. Ui`oi, qui, sarebbe inteso come figli maggiorenni, non più soggetti perciò al pedagogo, in opposizione a nh,pioi (“fanciulli”) e schiavi (meqa dedoulwme,noi“eravamo schiavi”) di Gal 4,3. Dal punto di vista sintattico l’espressione evn Cristw/| VIhsou/ “in Cristo Gesù” si può riferire alla fede (pi,stij), specificandola dunque come fede in lui, oppure a ui`oi. qeou “figli di Dio”, sottolineando che i Galati sono divenuti tali mediante l’unione con Cristo. Pitta77 osserva che in Paolo la “fede in Cristo” viene sempre resa con l’espressione pi,stewj Cristou/78, e sarebbe dunque la prima volta che l’apostolo utilizza la particella evn. Anche il contesto del brano che si sviluppa nei versetti successivi (vv. 27-28) fa propendere per una sottolineatura dell’essere figli di Dio in Cristo. Essere ui`oi. Qeou “figli di Dio”, inoltre, è un concetto non nuovo e presente anche nell’AT come riferito a Israele79: è l’essere figli di Dio in Cristo la vera novità al centro del kerygma dell’annuncio cristiano. Un’altra importante osservazione circa l’espressione evn Cristw/| VIhsou/ è la sua appartenenza quasi esclusiva al vocabolario dell’apostolo80. Gli studi a riguardo81 mostrano come Paolo utilizzi questa espressione in diversi modi: ad esempio in senso 75
1Cor 4, 14-15: “Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo”. 76 MUSSNER , “La lettera ai Galati”, 405. 77 Cf. PITTA, Lettera ai Galati. Introduzione, versione e commento, 222-223. 78 Cf. es. Gal 2,16; 3,22. 79 Cf. es. Es 4,22-23; Ger 31,9; Os 11,1. 80 Cf. quanto detto a pag. 9. 81 Cf. M.A. SEIFRID, “In Cristo”, in Dizionario di Paolo e delle sue lettere, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 20002.
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strumentale82, o in senso modale83. In qualsiasi senso lo si usi, però, Cristo rappresenta sempre l’orizzonte entro cui si vuole rimanere. Inoltre va osservato anche che mai Paolo usa l’espressione “in Gesù” o “in Gesù Cristo”, ma sempre “in Cristo” o “in Cristo Gesù” o “nel Signore”: questo denota che il piano che si sta sottolineando è quello dello stato glorioso e dell’azione salvifica di Cristo. La frequenza di queste espressioni deriva probabilmente da una duplice necessità: affermare la particolarità dell’azione salvifica di Dio, che viene realizzata pienamente in Cristo, e ribadire il rapporto che i credenti hanno con lui come nuova modalità di vita. Spesso i due aspetti non sono disgiunti, e l’“in Cristo” definisce contemporaneamente il dono della salvezza realizzato da Dio, che ha il suo fulcro nel mistero pasquale, e le esigenze che esso suscita in coloro che lo accolgono. Questa locuzione diventa quindi, per Paolo, mezzo sintetico con cui esprimere la novità e la particolarità dell’evento salvifico e trasformante annunciato dal vangelo. A sostegno di queste considerazioni occorre notare anche che c’è in Paolo una relazione stretta tra l’essere “in Cristo” e l’essere “nello Spirito”: in coloro che appartengono a Cristo abita lo Spirito84. Questa espressione, seppure con alcune varianti, è ricorrente anche nei versetti successivi (vv. 27-28): segno che questi versetti stanno esprimendo il cuore del messaggio evangelico.
V. 27 o[soi ga.r eivj Cristo.n evbapti,sqhte( Cristo.n evnedu,sasqeÅ quanti infatti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Si osserva che il pronome “quanti” (o[soi), che sembrerebbe ridurre il campo rispetto al pa,ntej “tutti” del v. 26, in realtà, a parere di tutti i commentatori85, va inteso come specificazione e attribuzione, e non come esclusione.
82
Cf. 2Cor 5,19: “Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo”, dove Cristo è lo strumento dell’azione di Dio. 83 Cf. Rm 9,1: “Dico la verità in Cristo”, dove l’“in Cristo” indica il modo con cui Paolo è veritiero. 84 Cf ad es. Rm 8,1-2: “Ora, dunque, non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Perché la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte”. 85 Cf. ad es. SCHLIER, Lettera ai Galati, 178; oppure PITTA, Lettera ai Galati. Introduzione, versione e commento, 223.
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L’espressione “in Cristo” (eivj Cristo.n) è qui espressa mediante la particella eivj, e non con evn, come al v. 26. Sebbene le due espressioni nel greco ellenistico possono equivalersi86, mai Paolo usa l’espressione evn parlando dell’essere battezzati in Cristo. L’uso di eivj seguito dall’accusativo dà maggiormente un’idea di movimento ingressivo, quindi un’entrata, mediante il battesimo, nella dimensione cristiforme dell’esistenza. Occorre notare87 infatti che, la particella eivj seguita dall’accusativo, viene ad esprimere l’instaurarsi di una relazione profonda con Cristo, più che una dimensione cristologica nella quale si viene immersi o colui nel nome del quale si viene battezzati. Si tratta dunque della persona a cui si aderisce e a cui ci si unisce intimamente. VEnedu,sasqe “vi siete rivestiti”. Già nell’AT il “rivestirsi” è usato in senso metaforico: ad esempio come rivestirsi di forza (cf. Is 51,9)88, di giustizia (cf. Is 59,17; Gb 29,14)89, di splendore (cf. Sal 93,1)90, oppure come l’essere infusi dello spirito del Signore (cf. Gdc 6,34)91. Anche il NT attesta spesso l’uso di questo verbo in senso metaforico, sia per indicare la condizione nuova del cristiano, come in questo caso 92, sia per esortarlo ad assumere un comportamento coerente con il suo nuovo stato93.
Vv. 28-29 ouvk e;ni VIoudai/oj ouvde. {Ellhn( ouvk e;ni dou/loj ouvde. evleu,qeroj( ouvk e;ni a;rsen kai. qh/lu\ pa,ntej ga.r u`mei/j ei-j evste evn Cristw/| VIhsou/Å eiv de. u`mei/j Cristou/( a;ra tou/ VAbraa.m spe,rma evste,( katV evpaggeli,an klhrono,moiÅ Non c’è giudeo né greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina; tutti voi infatti siete uno in Cristo Gesù. Se dunque voi siete di Cristo, allora siete seme di Abramo; eredi secondo la promessa. 86
Cf. PITTA, Lettera ai Galati. Introduzione, versione e commento, 223. Cf. VANHOYE, Lettera ai Galati, 99; oppure anche PITTA, Lettera ai Galati. Introduzione, versione e commento, 223. 88 Is 51,9a: “Svégliati, svégliati, rivèstiti di forza”. 89 Is 59,17a: “Egli si è rivestito di giustizia come di una corazza”; Gb 29,14a: “Ero rivestito di giustizia come di un abito”. 90 Sal 93,1a: “Il Signore regna, si riveste di maestà: si riveste il Signore, si cinge di forza”. 91 Gdc 6,34: “Ma lo spirito del Signore rivestì Gedeone”. 92 Cf. anche Rm 13,14: “Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo”. L’uso dell’imperativo però colloca il passo di Rm in un discorso parenetico, mentre l’aoristo evnedu,sasqe di Gal 3,27 fa riferimento ad una esperienza salvifica concretizzata in un evento preciso: quello del battesimo. 93 Cf. ad es. Rm 13,12b: “gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce”, o Ef 6,14b: “indosso, la corazza della giustizia”. 87
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La particella e;ni si trova quasi solamente in Paolo, e sempre legata a ouvk94. A parere degli studiosi, la traduzione più pertinente di ouvk e;ni è “non c’è”, e non “non c’è più”, come riportava la vecchia versione CEI. Quest’ultima traduzione, infatti, lascerebbe intendere che un tempo invece le differenze in Cristo c’erano. La nuova traduzione CEI 2008 corregge la vecchia e traduce “non c’è”95. È da notare che la terza negazione96 non riporta ouvk e;ni … ouvde (non c’è … né), bensì ouvk e;ni … kai (non c’è … e). Pitta97 sottolinea che le opinioni dei commentatori a riguardo si attestano sul riconoscimento qui di una citazione implicita di Gen 1,27: a;rsen kai. qh/lu evpoi,hsen auvtou,j98 (“maschio e femmina li creò”). Ei-j … evn Cristw/| VIhsou/99/ “uno … in Cristo Gesù”. Alcuni testimoni100 al posto del maschile ei-j “uno” riportano il neutro e[n “una cosa”. Sebbene la critica sia interna che esterna propende per ei-j, ciò denota che questa espressione non risulta di facile e immediata comprensione. VIoudai/oj ouvde. {Ellhn … dou/loj ouvde. evleu,qeroj … a;rsen kai. qh/lu “giudeo né greco … schiavo né libero … maschio e femmina”. Questi gruppi di coppie antinomicamente poste non sono presenti solo in Gal 3,28. Paolo spesso procede per coppie antinomiche101, come un modo tipico del suo stile argomentativo; ciò permette di esprimere un senso di universalità che desta meraviglia e colpisce i destinatari. Due in particolare, però, sono i brani tanto simili a Gal 3,26-28 da poter essere messe in sinossi con esso: 1Cor 12,12-13102 e Col 3,9b-11103.
94
Cf. 1Cor 6,5; Col 3,11. Così anche la Vulgata: “non est”. 96 ouvk e;ni a;rsen kai. qh/lu “non c’è maschio e femmina”. 97 Cf. PITTA, Lettera ai Galati. Introduzione, versione e commento, 229. 98 Traduzione dei LXX, riportata anche in Mc 10,6. 99 Per quanto riguarda la particella ei-j vedi quanto già detto al v. 20. Rispetto a Gal 3,20 qui si è preferito tradurre “uno” e non “uno solo”, in accordo ad es. con Buscemi (cf. BUSCEMI, Lettera ai Galati. Commentario esegetico, 345), Pitta (cf. PITTA, Lettera ai Galati. Introduzione, versione e commento, 218) e altri. Questa scelta è quella seguita anche dalla traduzione CEI, sia 2008 che precedente. Per quanto riguarda invece l’espressione evn Cristw/| VIhsou/, vedi quanto già detto per il v. 26. 100 G, 33. 101 Es. Rm 1,14; 8, 38-39; Gal 5,6; 6,15. 102 1Cor 12, 12-13: “Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito”. 95
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Nella tabella riportata in seguito si possono vedere i tre brani affiancati.
Gal 3,26-28 26
1Cor 12,12-13
Pa,ntej ga.r ui`oi. qeou/
12
Col 3,9b-11
aqa,per ga.r to. sw/ma e[n
9b
avpekdusa,menoi
evste dia. th/j pi,stewj evn evstin kai. me,lh polla. e;cei( palaio.n Cristw/| VIhsou/
pa,nta
de.
ta.
me,lh
a;nqrwpon
to.n su.n
tou/ tai/j pra,xesin auvtou/
sw,matoj polla. o;nta e[n evstin sw/ma( ou[twj kai. o` Cristo,j 27
o[soi ga.r eivj Cristo.n
13a
kai. ga.r evn e`ni. pneu,mati
10
kai.
evndusa,menoi
to.n
evbapti,sqhte( Cristo.n
h`mei/j pa,ntej eivj e]n sw/ma ne,on to.n avnakainou,menon
evnedu,sasqe
evbapti,sqhmen
eivj evpi,gnwsin katV eivko,na tou/ kti,santoj auvto,n
28a
ouvk e;ni VIoudai/oj ouvde.
{Ellhn
13b
ei;te
VIoudai/oi
ei;te
{Ellhnej
11a
o[pou ouvk e;ni {Ellhn
kai. VIoudai/oj( peritomh. kai. avkrobusti,a( ba,rbaroj( Sku,qhj(
28b
e;ni
dou/loj
ouvde.
evleu,qeroj 28c
ouvk e;ni a;rsen kai. qh/lu
28d
pa,ntej ga.r u`mei/j
ei-j evste evn Cristw/| VIhsou
13c
ei;te
11b
kai. pa,ntej e]n pneu/ma
11c
ei;te
dou/loi
dou/loj( evleu,qeroj
evleu,qeroi
13d
evpoti,sqhmen
avlla. Îta.Ð pa,nta kai. evn
pa/sin Cristo,j
103
Col 3,9b-11: “vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato. Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti”.
27
Il testo di Gal 3,19-29
Tutti e tre i brani si riferiscono alla vita nuova che scaturisce dal battesimo (riga 2)104, anche se in Col il riferimento al battesimo non è esplicito. Gal e Col si riferiscono a questa novità mediante la metafora del rivestirsi, e proprio grazie a Gal, dove il rivestirsi di Cristo viene legato all’essere battezzati, si può interpretare la presenza implicita del tema battesimale anche in Col. Tutti e tre i brani presentano le coppie giudeo e greco (riga 3)105, schiavo e libero (riga 4)106. La prima in Col viene rafforzata con l’ulteriore coppia: circoncisione e incirconcisione. Solo in Gal però si ritrova la coppia maschio e femmina (riga 5) 107. Le conclusioni dei tre brani riconducono le antinomie presentate ad una unità (riga 6)108. Se Gal e Col riportano l’unità a livello cristologico, 1Cor lo fa in prospettiva pneumatologia; ma è da notare che nel linguaggio paolino l’essere in Cristo conduce all’essere nello Spirito, e vi è tra le due espressioni uno strettissimo legame109. La maggior parte degli studiosi110 ritiene 1Cor 12,12-13 la versione più antica, di cui Gal 3,26-28 sarebbe poi uno sviluppo. Col 3,9b-11, invece, sembra essere la ripresa di una formula paolina già attestata ed entrata nella tradizione linguistica dell’apostolo. Oltre ai passi paralleli appena considerati, in 1Cor 7 si può scorgere un discorso analogo anche se esposto in forma meno sintetica e più discorsiva. In questo passo Paolo sta parlando della sessualità e il matrimonio, e nei vv. 18-24 si legge: “Qualcuno è stato chiamato quando era circonciso? Non lo nasconda! È stato chiamato quando non era circonciso? Non si faccia circoncidere! La circoncisione non conta nulla, e la non circoncisione non conta nulla; conta invece l’osservanza dei comandamenti di Dio. Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. Sei stato chiamato da schiavo? Non ti preoccupare; anche se puoi diventare libero, approfitta piuttosto della tua condizione! Perché lo schiavo che è stato chiamato nel Signore è un uomo libero, a 104
Gal 3,27: “quanti infatti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo”; 1Cor 12,13a: “Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo”; Col 3,10: “avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato”. 105 Gal 3,28a: “Non c’è giudeo né greco”; 1Cor 12,13b: “Giudei o Greci”; Col 3,11a: “Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita”. 106 Gal 3,28b: “non c’è schiavo né libero”; 1Cor 12,13c: “schiavi o liberi”; Col 3,11b: “schiavo, libero”. 107 Gal 3,28c: “non c’è maschio e femmina”. 108 Gal 3,28d: “tutti voi infatti siete uno solo in Cristo Gesù”; 1Cor 12,13d: “tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito”; Col 3,11c: “ma Cristo è tutto e in tutti”. 109 Cf. quanto detto alla voce evn Cristw/| VIhsou/ nel v. 26. 110 Cf. ciò che riporta PITTA, Lettera ai Galati. Introduzione, versione e commento, 226.
28
Il testo di Gal 3,19-29
servizio del Signore! Allo stesso modo chi è stato chiamato da libero è schiavo di Cristo. Siete stati comprati a caro prezzo: non fatevi schiavi degli uomini! Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato”. In un discorso sul maschio e sulla femmina circa il matrimonio e la verginità, Paolo inserisce anche la coppia circonciso e incirconciso, che corrisponde a giudeo e greco, e la coppia schiavo – libero. Analogamente in Ef 5,21-6,9111, nel proporre la sottomissione reciproca come conseguenza dell’essere in Cristo (“Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri” Ef 5,21), Paolo esemplifica tre casi nei quali tale atteggiamento va applicato: nel matrimonio, cioè nel rapporto maschio e femmina, in famiglia nel rapporto padre – figlio, e nel rapporto padrone - schiavo. Anche in questo caso ritornano alcune delle coppie presenti in Gal 3,28, dimostrando che si tratta di coppie fondamentali che comprendono tutta la dimensione antropologica ed esistenziale dell’epoca. Da questi passi si può notare come chiaramente il pensiero di Paolo non è interessato tanto all’abolizione di queste distinzioni, quanto all’ininfluenza che esse hanno rispetto alla chiamata e alla possibilità della vita nuova in Cristo.
111
Ef 5,21-6,9: “Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Così anche voi: ciascuno da parte sua ami la propria moglie come se stesso, e la moglie sia rispettosa verso il marito. Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. Onora tuo padre e tua madre! Questo è il primo comandamento che è accompagnato da una promessa: perché tu sia felice e goda di una lunga vita sulla terra. E voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore. Schiavi, obbedite ai vostri padroni terreni con rispetto e timore, nella semplicità del vostro cuore, come a Cristo, non servendo per farvi vedere, come fa chi vuole piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, facendo di cuore la volontà di Dio, prestando servizio volentieri, come chi serve il Signore e non gli uomini. Voi sapete infatti che ciascuno, sia schiavo che libero, riceverà dal Signore secondo quello che avrà fatto di bene. Anche voi, padroni, comportatevi allo stesso modo verso di loro, mettendo da parte le minacce, sapendo che il Signore, loro e vostro, è nei cieli e in lui non vi è preferenza di persone”.
29
Esegesi ed ermeneutica
CAPITOLO 2 ESEGESI ED ERMENEUTICA
In questo capitolo viene proposta un’interpretazione dei vv. 19-29 della lettera ai Galati finalizzata a cogliere il senso del v. 28, e in particolare dell’espressione ei-j evn Cristw/| VIhsou, tenendo conto del contesto nel quale è inserito. La pericope è analizzata a partire dalla suddivisione individuata nel capitolo precedente112: vv. 19-22 le motivazioni della Legge; vv. 23-25 la funzione transitoria della Legge fino alla venuta della fede; vv. 26-29
la fede fa tutti figli di Dio in Cristo e vera discendenza di Abramo.
Vv. 19-22 La pericope si apre con una domanda, che emerge dalla presentazione negativa fatta della Legge nei precedenti passaggi della lettera. Il problema che si delinea è profondo: si tratta di concepire come lo stesso Dio abbia potuto porre due atti diversi (la promessa e la Legge) che sembrano essere in contraddizione fra loro. La domanda si completa con l’affermazione successiva assumendo il senso di: “perché dunque fu aggiunta la Legge?”113. La Legge vista come un’aggiunta successiva prosegue il tema già esposto in Abramo, che è uomo di fede prima che dell’osservanza, e nel v. 17: “Ora io dico: un testamento stabilito in precedenza da Dio stesso, non può dichiararlo nullo una Legge che è venuta quattrocentotrenta anni dopo” 114. Questo tema evidenzia la Legge come secondaria nel piano salvifico di Dio, quindi essa non appartiene all’essenza originaria, ma semplicemente al piano storico; ciò permette di concepirne anche una fine, oltre che un principio. La domanda sulla Legge presenta una risposta composta da tre significative connotazioni: “in vista delle trasgressioni finché venisse il seme”, “per mezzo di angeli” e “per mano di un mediatore”.
112
Cf. pag. 15-16. Cf. pag. 19. 114 Cf. SCHLIER, Lettera ai Galati, 157-158. 113
30
Esegesi ed ermeneutica
“In vista delle trasgressioni”. Si tratta di un’affermazione forte, visto il suo carattere finale: la Legge è stata posta perché vi fossero delle trasgressioni 115. Questo è concepibile solo se si comprende come nel pensiero paolino la Legge ha la funzione di porre in evidenza il peccato116, perché tutto gli uomini potessero scoprirsi bisognosi della misericordia di Dio, e perciò pronti ad accoglierla: attraverso le trasgressioni suscitate dalla Legge, l’uomo si scopre peccatore. Come Paolo mostrerà in maniera approfondita nella lettera ai Romani117, la Legge, per lui, non è peccato, perché è Legge data da Dio; ma pone in evidenza il peccato senza dare la forza all’uomo per liberarsene, perché la sua azione è solo esteriore. Per questo motivo in Gal 3,8-14 si afferma che essa diventa maledizione per l’uomo. Poiché la Legge non ha la forza di sciogliere l’uomo dalle catene del peccato che lo tengono avvinto, necessariamente deve essere provvisoria e non definitiva. La sua funzione era valida finché “venisse il seme cui era stato promesso”, cioè fino alla venuta di Cristo. Affermando queste cose, Paolo va contro il pensiero giudaico. Mussner118 riporta come diverse attestazioni di letteratura giudaica, ad esempio Flavio Giuseppe, presentano l’idea di una Legge imperitura, data da Mosè una volta per sempre. Tali attestazioni rivelano che la Legge era concepita tra le 7 realtà create prima della creazione del mondo119; questo si mostra contrario anche alla Legge quale realtà aggiunta, venuta dopo le promesse. La collocazione nel tempo della Legge da parte di Paolo è dunque profondamente controcorrente rispetto alla mentalità giudaica. “Promulgata per mezzo di angeli”. L’apostolo qui sembra sostenere l’idea che la Legge, pur provenendo da Dio, è stata data attraverso una mediazione angelica. Gli studiosi120 fanno derivare tale credenza da alcuni passi della LXX, come ad esempio Dt
115
Cf. Rm 4,15b: “dove non c’è Legge, non c’è nemmeno trasgressione”, o anche Rm 5,20a: “La Legge poi sopravvenne perché abbondasse la caduta”. 116 Cf. Rm 3,20b: “per mezzo della Legge si ha conoscenza del peccato”. 117 Cf. Rm 7,7: “Che diremo dunque? Che la Legge è peccato? No, certamente! Però io non ho conosciuto il peccato se non mediante la Legge. Infatti non avrei conosciuto la concupiscenza, se la Legge non avesse detto: Non desiderare”, o anche Rm 7,13b: “il peccato, per rivelarsi peccato, mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché il peccato risultasse oltre misura peccaminoso per mezzo del comandamento”. 118 MUSSNER , “La lettera ai Galati”, 384-385. 119 Cf. SCHLIER, Lettera ai Galati, 157-158. 120 Cf. es. MUSSNER , “La lettera ai Galati”, 386-387.
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Esegesi ed ermeneutica
33,2121; credenza che si attesta anche in passaggi del NT122. Paolo fa quindi sua questa tradizione ancora presente, per affermare l’inferiorità delle Legge facendone risaltare la distanza da Dio rispetto alla promessa, che viene data invece da Dio direttamente. Questa distanza viene ribadita ulteriormente con la presenza, nel caso delle Legge, di un intermediario (“per mano di un mediatore”); mentre il paragone con la promessa, offerta da Dio stesso, è suggerito dal v. 20 “ma non vi è il mediatore di uno solo, e Dio è uno solo”. Questi primi versetti hanno iniziato a rispondere al problema di come concepire due atti diversi provenienti dall’unico Dio123. La prima risposta è l’inferiorità della Legge e la sua derivazione non diretta ma mediata. Al v. 20 Paolo affronta una seconda domanda che emerge dal rapporto Legge – promessa come entrambe provenienti dall’unico Dio: se la Legge è stata aggiunta dopo, non potrebbe annullare la promessa precedente? Anzitutto l’apostolo risponde subito con un forte diniego, e la motivazione viene data nella seconda parte del versetto: la Legge è risultata insufficiente alla realizzazione del progetto di Dio. L’inadeguatezza della Legge viene dal fatto che essa, come si dice in Gal 3,12124, si basa su dover compiere qualcosa, e la debolezza della carne (sa,rx), unita alla malizia del peccato (avmarti,a), pone l’uomo in una condizione di impossibilità all’osservanza. Il v. 22 ribadisce e riassume la conclusione raggiunta sul ruolo della Legge: essa è inferiore alle promesse (vv. 19-20) ed è incapace di portare l’uomo alla salvezza (v. 21), ma è stata data per manifestare il peccato. Tramite la Legge l’uomo è stato rinchiuso in modo palese sotto il giogo del peccato, perché si rendesse conto della propria condizione e fosse pronto a ricevere la salvezza da Dio, come attesta la seconda parte del versetto. 121
Dt 33,2: kai. ei=pen ku,rioj evk Sina h[kei kai. evpe,fanen evk Shir h`mi/n kai. kate,speusen evx o;rouj Faran su.n muria,sin Kadhj evk dexiw/n auvtou/ a;ggeloi metV auvtou/ “e il Signore venne dal Sinai e ci apparve da Seir e si affrettò dalla regione montana di Pharan e da Kades con due miriadi, alla sua destra c’erano angeli con lui”. 122 Cf. ad es. At 7,53a: “voi che avete ricevuto la Legge mediante ordini dati dagli angeli”, Eb 2,2a: “Se, infatti, la parola trasmessa per mezzo degli angeli si è dimostrata salda”. 123 Il fatto che la soluzione non possa essere immaginata ponendosi al di fuori dell’unicità di Dio non era certamente in discussione. Paolo però, anche se marginalmente nel discorso, lo ribadisce comunque al v. 20: “e Dio è uno solo”. 124 Gal 3,12: “Ma la Legge non si basa sulla fede; al contrario dice: Chi metterà in pratica queste cose, vivrà grazie ad esse”.
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La particella i[na (“perchè”) evidenzia il valore finale di Gal 22b125, e ciò mette in relazione la Legge, che mostra all’uomo di essere peccatore, con il vangelo (l’annuncio della salvezza data tramite la fede in Cristo). Legge e vangelo quindi sono entità complementari126: non si può comprendere la Legge senza il vangelo. Poiché “la Scrittura” del v. 22a127 non si identifica con “la Legge” di cui Paolo ha parlato fin’ora, ma riguarda invece il concetto più ampio di rivelazione128, l’apostolo sintetizza qui ciò che in Rm 3,9-19 dirà in modo più completo: tutti hanno peccato129, sia gli ebrei che i pagani, e ciò è già attestato in numerosi passi dell’AT130. La Scrittura, quindi, documenta come le esigenze di Dio non siano attese da nessuno, nemmeno da Israele, che ben le conosce tramite la Legge, nella quale sono specificate. Questa considerazione universalistica apre alla vera novità del versetto: la salvezza è data tramite la fede a tutti coloro che credono in Cristo. Quest’ultima affermazione suscita in Paolo la necessità di spiegarsi meglio; perciò nei versetti successivi (vv. 23-25 o poi 26-29) l’apostolo si sofferma nell’approfondimento del rapporto Legge e adempimento delle promesse in Cristo, giungendo a mostrare le conseguenze di novità che esse hanno per tutti i credenti.
Vv. 23-25 I vv. 23-25 si aprono con l’espressione temporale “ma prima che”, la quale mostra l’intento dell’apostolo di organizzare il discorso cronologicamente secondo un “prima” e un “dopo”. Il “prima” riguarda il tempo della Legge e della sua funzione, già espressa nei versetti precedenti ma approfondita in 23-25. Tale tempo riguarda soprattutto Israele e lo stesso Paolo in quanto giudeo (da qui l’uso del “noi”)131. Ciò che l’apostolo mette in chiaro fin da subito è però che il tempo della Legge è limitato; sopraggiunta la fede, infatti, la Legge cessa la sua funzione. Anzi la Legge è in stretta 125
Gal 22b: “perché la promessa mediante la fede di Gesù Cristo fosse data a coloro che credono”. Cf. MUSSNER , “La lettera ai Galati”, 394-395. 127 Gal 3,22a: “ma la Scrittura ha rinchiuso tutto sotto peccato”. 128 Cf. pag. 21. 129 È questo il senso del ta. pa,nta (“tutto”) espresso in questo versetto: “la Scrittura ha rinchiuso tutto sotto peccato”. 130 Cf. ad es. Sal 14,3: “Sono tutti traviati, tutti corrotti; non c’è chi agisca bene, neppure uno”; ma anche Sal 5,10; Sal 140,4; Sal 10,7; Is 59,7-10. 131 Cf. pag. 22. 126
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relazione con la fede, perché aveva il compito di mantenere l’uomo vigile sul peccato, preparandolo per l’avvento della fede “che doveva venire”. Col v. 24 Paolo esplicita ulteriormente la funzione della Legge attraverso l’immagine del pedagogo, inteso come colui che sorveglia il figlio minorenne ritenuto ancore non autosufficiente. Mussner132 osserva che la Legge-pedagogo non è dunque colei che accompagna il fanciullo-Israele fino a Cristo, perché la fede non emerge dalla Legge, ma è colei che, con il solo fatto di esserci, ricorda a Israele che egli non è in grado di salvarsi autonomamente, a causa della debolezza della carne e della malizia del peccato. Questa vigilanza, portata dalla Legge, rende l’uomo pronto ad accogliere la giustificazione per fede portata da Cristo. A questo punto occorre ricordare che, per Paolo, l’avvento della fede non significa la fine della validità della Legge133, altrimenti si inaugurerebbe un’era anomica di licenza etica. In Rm 3,31 dirà: “Togliamo dunque ogni valore alla Legge mediante la fede? Nient’affatto, anzi confermiamo la Legge”, infatti “la Legge è santa, e santo, giusto e buono è il comandamento” (Rm 7,12). La Legge dunque è sempre valida, ma se prima l’uomo non trovava la forza di osservarla, perché la forza della Legge è solo esteriore, con l’avvento di Cristo si inaugura una nuova era, dove è lo Spirito che rende possibile l’adempimento del bene indicato dalla Legge: “ciò che era impossibile alla Legge, resa impotente a causa della carne, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della Legge fosse compiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne ma secondo lo Spirito” (Rm 8,3-4). L’accoglienza della salvezza nella fede in Cristo, di conseguenza, suscita un’operosità mossa dalla carità134 che permette di adempiere la “giustizia della Legge” ma nella piena libertà dell’amore. Questo argomento, nella lettera ai Galati, verrà affrontato da Paolo nella parte III135.
132
Cf. MUSSNER , “La lettera ai Galati”, 400. Ibidem. 134 Cf. Gal 5,6: “Perché in Cristo Gesù non è la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità”. 135 Cf. Gal 5,13: “Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri”. 133
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Il v. 25 proietta il lettore nei vv. 26-29, ovvero nella nuova era inaugurata dal Cristo, dove la funzione di pedagogo della Legge ha termine, le promesse sono compiute e divengono accessibili universalmente a tutti mediante la fede.
Vv. 26-29 Inizia col v. 26 il “dopo” della fede, che si presenta con un duplice effetto: il diventare “figli”, che spiega il termine della necessità di un pedagogo 136, e l’applicazione di ciò a “tutti”. Questo versetto, però, immediatamente presenta quella realizzazione straordinaria che si manifesta con la venuta di Cristo, che va ben al di là di quanto il ragionamento fin’ora condotto lasciava supporre. In Cristo Gesù, infatti, tutti sono resi non solo figli maggiorenni e liberi dal pedagogo, ma “figli di Dio”137. All’interno di tale espressione, poi, vi è anche l’essere figli “in Cristo”, e cioè nel “seme” di Abramo, cosa che permetterà a Paolo al v. 29 di concludere che i credenti sono figli di Abramo ed eredi delle promesse mediante la fede in Cristo. La straordinarietà dell’essere diventati figli di Dio è tale che Paolo sente la necessità di soffermarsi nuovamente su questo tema per un ulteriore approfondimento. La presenza della particella ga.r “infatti” all’inizio del v. 27, lega questa frase a quella precedente; il v. 27 si pone, perciò, come una spiegazione in due passaggi dell’essere figli di Dio in Cristo (v. 26). Il primo passo è il richiamo all’esperienza del battesimo (“siete stati battezzati in Cristo”): evento fondante di una nuova condizione di vita. Vanhoye138 nota che la menzione del battesimo dimostra come la fede cristiana, che al v. 26 era posta alla radice dell’essere figli di Dio, non è una semplice adesione mentale, ma coinvolge l’intera persona. Il battesimo, quindi, implica il concetto del coinvolgimento del corpo come inserito in Cristo139.
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Cf. pag. 23. Solo in Gal 4,5 (“perché ricevessimo l’adozione a figli”) si specificherà che si tratta di una figliolanza adottiva ottenuta per grazia. 138 VANHOYE, Lettera ai Galati, 99. 139 Cf. Rm 6,3-14, dove Paolo spiega che il battesimo unisce corporalmente il credente alla morte e resurrezione del Signore. 137
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A sua volta il significato del battesimo viene approfondito attraverso il secondo elemento: l’essersi “rivestiti di Cristo”140. Il battesimo, infatti, opera un cambiamento nell’essere, che Paolo esprime attraverso la metafora del vestito; ciò va inteso però non come elemento esteriore, ma come veniva concepito nella cultura antica141: metafora dell’identità stessa della persona. Il brano parallelo di Cor 3,9b-10 è sicuramente chiarificatore: “vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato”. L’essere rivestiti di Cristo significa, allora, la trasformazione in un uomo nuovo che è immagine di Cristo, e il conseguente passaggio ad una nuova vita cristiforme. Nel v. 28 Paolo esplicita le conseguenze del nuovo stato assunto dai credenti nel battesimo. In quanto tutti sono l’uomo nuovo, tutti sono in una relazione stretta con Cristo e conformati a lui. Il “tutti siete uno in Cristo”, allora, si afferma come risultato delle espressioni legate al termine “Cristo” del versetto precedente (“siete stati battezzati in Cristo” e “rivestiti di Cristo”), oltre a ciò che è stato introdotto al v. 26 già nella dimensione universale: “tutti siete figli di Dio in Cristo”. Tutti, in conclusione, nel battesimo hanno rivestito lo stesso Cristo, e perciò tutti sono diventati “uno”. Questo genera una speciale unità nella quale vengono annullate tutte le differenze. Ei-j (“uno”) è un’espressione originale142 che mostra il cristiano in una relazione speciale con tutti gli altri battezzati in Cristo come fosse un membro in un corpo143. Ciò afferma
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Una possibile origine della metafora viene proprio dal rito battesimale nel quale ci si riveste di una veste bianca. Purtroppo però tale tesi non può essere ad oggi ritenuta definitiva in quanto le testimonianze di questa azione liturgica nel rito del battesimo risalgono a non prima del IV sec. d. C. (cf. BUSCEMI, Lettera ai Galati. Commentario esegetico, 355). 141 “L'immagine del vestito era un'immagine tradizionale utilizzata anche nei misteri greci dove si indossava un abito nuovo, come segno di una novità della vita: si chiude una porta alle spalle, al passato, e si apre una porta sul futuro, sulla novità.” (BARBAGLIO G., La laicità del credente. Il rapporto con il mondo nell’evangelo di Gesù e di Paolo, sintesi della relazione del 1 feb 2006, Verbania Pallanza, disponibile on-line in: http://www.giuseppebarbaglio.it/Articoli/finesettimana14.pdf). Occorre però evitare di associare questa immagine ad un contesto teatrale sacro, come avveniva in alcuni riti misterici, dove si indossava la maschera di una divinità. In questo caso infatti non si tratta di recitare la parte di Cristo ma di una partecipazione ontologica alla realtà di Cristo (PITTA, Lettera ai Galati. Introduzione, versione e commento, 224). 142 Cf. PITTA, Lettera ai Galati. Introduzione, versione e commento, 230-231, dove l’autore sostiene che questa originalità spiega la difficoltà nella comprensione che risulta dai tentativi di trasformazione della parola presenti in alcuni testimoni: cf. pag. 26. 143 Cf. parallelo di 1Cor 12,12-13.
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simultaneamente una unione personale144 con Cristo ma senza confusione e annullamento delle singole individualità in un’unica personalità corporativa145. Un passo in cui Paolo esprime un concetto simile è l’inno di Ef 2146 che parla di “un solo uomo nuovo” in Cristo, il quale è “colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva”. Si può notare che per “uomo” si usa in Ef 2 la parola a;nqrwpoj, che traduce genericamente “essere umano” e vale quindi per tutti, nonostante le differenze tra i sessi. Come suggerisce Vanhoye147, allora, utilizzando questo stesso linguaggio, si può dire che per Paolo tutti i battezzati, pur mantenendo le proprie diversità, formano un solo a;nqrwpoj, il quale non è separabile da Cristo perché esiste solo in Cristo Gesù, anche se non si può confondere con la persona stessa di Cristo. L’essere “uno in Cristo” come novità radicale del battezzato viene formulata da Paolo attraverso la negazione di una serie di coppie antinomiche che esprime il superamento di ogni differenza etnico-religiosa, socio-politica, naturale. Tale superamento si dà nella nuova dimensione cristiana, poiché in essa ognuno vi può accedere qualunque sia la sua condizione. Le differenze, però, non vengono negate, ma vengono trascese, perché dichiarate ininfluenti rispetto alla vita in Cristo. Con queste negazioni, dunque, Paolo non intende affatto annullare le differenze religiose, sovvertire l’ordine sociale o negare la differenza tra i sessi, ma dichiarare la fine di queste diversità come barriere che dividono gli uomini e li discriminano rispetto alla realizzazione delle promesse di salvezza.
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ei-j e non e[n, come detto a pag. 26. Come riporta la voce “in Cristo” del Dizionario di Paolo e delle sue lettere (SEIFRID, “In Cristo”, in Dizionario di Paolo e delle sue lettere), le opinioni degli studiosi qui si dividono nello stabilire se l’essere “in Cristo” proceda da una concezione quasi fisica di una personalità corporativa, o forse da una più temporale: cioè essere “in Cristo” inteso come essere inserito nell’evento salvifico della morte e resurrezione di Cristo. La seconda possibilità prevale nettamente (Cf. BUSCEMI, Lettera ai Galati. Commentario esegetico, 362-363; o anche MUSSNER , “La lettera ai Galati”, 410.); si esclude quindi che nel pensiero di Paolo si concepisca l’unione dei credenti in Cristo come un’entità fisica reale. L’immagine paolina del corpo di Cristo, ad esempio, si comprende come l’interdipendenza e l’unità dei cristiani realizzata grazie alla partecipazione vitale alla morte e resurrezione di Cristo. 146 Cf. Ef 2,13-16: “Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia”. 147 VANHOYE, Lettera ai Galati, 103. 145
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La prima coppia riguarda la distinzione religiosa fondamentale: giudeo e greco. Si tratta anche della tematica centrale della lettera ai Galati, dato che è a causa di questa distinzione che i giudaizzanti vogliono imporre la circoncisione ai convertiti dal paganesimo. Tra i due elementi di questa coppia, poiché siamo sul piano religioso, è il giudeo ad avere la preminenza148, ed infatti è citato per primo149. La preminenza del giudeo rimane, come verrà ampiamente detto nella lettera ai Romani150, e ciò ribadisce che le differenze sono superate ma non annullate, perché “essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne. […] La parola di Dio non è venuta meno” (Rm 9,4-5a.6b). Paolo afferma che questa distinzione religiosa è superata in Cristo, perché, terminato il “prima” della Legge, è mediante la fede in lui che si giunge alla salvezza e si riceve l’appartenenza alla figliolanza divina. La seconda negazione riguarda il piano civile151: schiavo – libero. Questa era la distinzione a fondamento dell’organizzazione della società di tutto il mondo antico; da questo si può comprendere come anche la negazione di questa coppia risulti un’affermazione non meno forte di quella precedente. È importante notare che Paolo non sta parlando dell’abolizione della schiavitù152, ma vuole affermare che tale condizione non è di ostacolo all’essere figlio di Dio in Cristo, e ciò è sostenuto dalle molte citazioni in questo senso in tutta l’opera paolina153. Anche questa osservazione dunque permette di sostenere come l’unità in Cristo non sia un’abolizione delle distinzioni, ma un loro superamento.
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Anche se, come afferma Vanhoye: “Osare dichiarare che questa distinzione religiosa fondamentale non esiste, era, da parte di un giudeo come Paolo, un’audacia estrema, il colmo della sovversione in materia religiosa” (VANHOYE, Lettera ai Galati, 100). 149 Così anche in 1Cor 12,13; Gal 2,15; Rm 2,9-10.9,24. 150 Cf. ad es. Rm 3,1-4a: “Che cosa dunque ha in più il Giudeo? E qual è l’utilità della circoncisione? Grande, sotto ogni aspetto. Anzitutto perché a loro sono state affidate le parole di Dio. Che dunque? Se alcuni furono infedeli, la loro infedeltà annullerà forse la fedeltà di Dio? Impossibile!”; ma anche tutto Rm 9-11. 151 Riguarda più il piano civile che quello sociale, altrimenti avrebbe detto: schiavo – padrone. 152 Pitta riporta che invece non era così nelle varie sette giudaiche dei Terapeuti e degli Esseni, in cui le distinzioni venivano abrogate (cf. PITTA, Lettera ai Galati. Introduzione, versione e commento, 229). 153 Cf. ad es. Ef 6,5-8: “Schiavi, obbedite ai vostri padroni terreni con rispetto e timore, nella semplicità del vostro cuore, come a Cristo, non servendo per farvi vedere, come fa chi vuole piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, facendo di cuore la volontà di Dio, prestando servizio volentieri, come chi serve il Signore e non gli uomini. Voi sapete infatti che ciascuno, sia schiavo che libero, riceverà dal Signore secondo quello che avrà fatto di bene”; ma anche Col 3,22-25; 1Tm 6,1-2; Tt 2,9-10.
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Al vertice delle negazioni vi è quella della coppia maschio – femmina, che risulta ancor più audace delle due precedenti, perché riguarda l’ordine naturale, e quindi il piano della creazione. Facendo riferimento a Gen 1,27, come suggerisce la diversità nel modo in cui questa coppia è presentata rispetto alle altre154, mette in luce come la fede e il battesimo fanno partecipare il credente ad una vera e propria nuova creazione. Il riferimento a Gen 1,27 permette anche di illuminare ulteriormente l’“uno in Cristo” in cui la distinzione viene superata. Il testo genesiaco155, infatti, riporta la creazione di una unità-uomo, “e Dio creò l’uomo”156, poi distinta in maschio – femmina all’interno dell’unico atto creativo. Così in modo analogo si può pensare che l’apostolo presenti la condizione dei cristiani nella nuova creazione: distinti biologicamente nei sessi157, ma uniti nel nuovo Adamo che è Cristo, prototipo della nuova umanità158. Le parole di Paolo potrebbero trovare una certa risonanza nel discorso di Gesù sull’esistenza degli uomini come esistenza angelicata dopo la resurrezione (Mt 22,30)159, anche se si pone una differenza fondamentale: l’apostolo qui parla della situazione del credente nel tempo presente, dopo la resurrezione alla nuova vita nel battesimo. Vanhoye160 osserva che questa negazione è stata assunta come punto di riferimento dal “femminismo cristiano”. Posizione sicuramente legittima se si intende Gal 3,28 come la dichiarazione in Cristo della fine di ogni distinzione discriminante, e tra queste anche quella che riguarda il maschio e la femmina161. Occorre però riflettere se il testo paolino va oltre162 l’idea di una pari dignità di uomo e donna di fronte a Dio e di una medesima posizione di entrambi circa la partecipazione alla salvezza. La questione si risolve osservando che la negazione paolina non si situa a tutti i livelli della vita cristiana, 154
Cf. pag. 26. Gen 1,27: ai. evpoi,hsen o` qeo.j to.n a;nqrwpon katV eivko,na qeou/ evpoi,hsen auvto,n a;rsen kai. qh/lu evpoi,hsen auvtou,j 156 ~d"a'h' “Adam”, come si legge nel testo ebraico. 157 Paolo certamente non sta pensando ad un’abolizione dei sessi. Ciò si evince dall’interpretazione delle antinomie precedenti, pensate non come abolizione di differenze ma come loro superamento, dai passi paralleli e dal fatto che in molte lettere Paolo affronta problemi di ordine sessuale e matrimoniale (Cf. ad es. 1Cor 7). 158 Cf. l’inno di Ef 2 (“per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo”). 159 Mt 22,30: “Alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo”. 160 VANHOYE, Lettera ai Galati, 101-102. 161 Il contesto sociale in cui Paolo si muove non attribuiva grande importanza alla donna, specie nell’ambiente ebraico, dove alla donna non venivano riconosciuti diritti giuridici né religiosi. 162 Ad esempio se, come suggeriscono alcuni, da questo testo si evincerebbe la doverosità dell’apertura alle donne del sacerdozio ministeriale. 155
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ma solo nel suo livello fondamentale: quello battesimale. Se infatti le antinomie presentate si dovessero estendere a tutti i livelli si dovrebbe dire che Paolo intendeva un annullamento delle differenze nella sfera religiosa, sociale e naturale fino ad arrivare ad una assenza di fatto di distinzioni e ruoli. Per le considerazioni fatte e tenuto conto dei numerosi passi dove Paolo parla di carismi e di ordine tra le funzioni delle diverse parti del corpo163, si deve concludere che Paolo non intende annullare le distinzioni e i ruoli specifici di ciascuno, ma annunciare che questi non sono un ostacolo alla partecipazione in Cristo, bensì una ricchezza, dono dello Spirito. La pericope si conclude al v. 29 con l’affermazione “se dunque voi siete di Cristo, allora siete seme di Abramo”. Se a prima vista l’affermazione sull’essere figli di Abramo sembra essere di tono inferiore dopo il vertice toccato al v. 26 “tutti infatti siete figli di Dio”, in realtà qui Paolo fa convergere quanto detto nei passaggi precedenti sul discorso partito in 3,6-7. È proprio l’essere diventati uno solo in Cristo, “seme” di Abramo che fa i cristiani eredi della promessa. L’apostolo può così chiudere la dimostrazione del fatto che non servono la circoncisione e la Legge per diventare partecipi della salvezza, offerta ora a tutti nella fede.
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Cf. 1Cor 12.
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Conclusioni
CONCLUSIONI
Con la collocazione della Legge sul piano temporale164, Paolo, in Gal 3,19-29, può esporre in sintesi il piano divino di salvezza che, a partire dalle promesse e mediante la custodia della Legge (Gal 3,19-22), raggiunge la pienezza in Cristo Gesù. Questo passaggio dà inizio ad un nuovo tempo: quello della fede, dove la salvezza si rende accessibile a ogni uomo, estendendosi per mezzo della fede dai soli giudei a tutta l’umanità (Gal 3,23-25) La straordinaria conseguenza dell’inaugurazione dell’era della fede è descritta da Paolo nei vv. 26-29, e può essere sintetizzata nell’annuncio posto dall’apostolo già all’inizio del v. 26: “tutti infatti siete figli di Dio”. Questa condizione di figliolanza divina si può però comprendere e attuare soltanto a partire dall’unione in Cristo (v. 26b), ed è accessibile nella fede mediante il battesimo (v. 27), che ne è l’espressione più piena. Il v. 28 riprende quanto appena esposto, approfondendone le conseguenze: così l’affermare che tutti i credenti sono uno in Cristo Gesù (ei-j evn Cristw/| VIhsou/) risulta essere il punto di convergenza165 del piano di salvezza di Dio, che apre alla condizione di figli nel Figlio. Questo nuovo stato, proprio di tutti i cristiani e ottenuto nel battesimo, è descritto da Paolo come un “rivestirsi di Cristo”, alludendo al passaggio ad una nuova profonda identità. Passaggio così forte da essere una vera e propria nuova creazione, in cui l’uomo rinasce nel nuovo Adamo non più come semplice uomo, ma come uomo-in-Cristo e dunque figlio di Dio. Più avanti nella lettera, Paolo stesso, sottolineando l’essere nuovo del cristiano, di fronte al quale non è più necessario definirsi giudeo o greco, dirà: “non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura” (Gal 6,15). La portata dell’espressione ei-j evn Cristw/| VIhsou/ è dunque questa unione in Cristo, così stretta da costituire per ogni cristiano una nuova identità e un nuovo modo di 164
Cf. Gal 3,17.19. L’inclusione che l’espressione pa,ntej ga.r u`mei/j ei-j evn Cristw/| VIhsou/ del v. 28 ha col v. 26 (pa,ntej ga.r ui`oi. qeou/ evste) fa convergere tutto quanto detto ai vv. 26-27 nell’espressione del v. 28. 165
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Conclusioni
definirsi, tanto che non vi è più bisogno di altre definizioni né religiose, né sociali, né biologiche. Dice Barbaglio: “Se noi avessimo chiesto a Paolo chi fosse lui, prima di Damasco, avrebbe risposto con molto orgoglio di essere un ebreo, un monoteista, un circonciso, al di dentro del patto di Dio e della sua legge. Se glielo avessimo chiesto dopo, avrebbe risposto di essere ‘un essere in Cristo’”166. Di fronte a questa nuova realtà di uomo-in-Cristo, infatti, si ha come conseguenza la relativizzazione di ogni altra distinzione. Paolo esprime la totalità delle distinzioni citandone tre delle più esemplificative del suo mondo: la differenza giudeo – greco, quella schiavo – libero e quella maschio – femmina. Queste coppie, però, non hanno soltanto valore di esempio, ma rappresentano le principali tensioni che fanno parte dell’esistenza umana di ogni tempo: tensioni religiose, sociali, biologiche, che sono parte della vita dell’uomo, ma che possono diventare occasioni di discriminazione. Come dice Ebeling167, si tratta dunque di dimensioni profondamente vitali ed ineliminabili dall’esistenza umana, ma anche intrinsecamente contraddittorie, perché fonti di oppressione e di tutto ciò che aliena l’uomo. L’annuncio salvifico dell’essere ei-j evn Cristw/| VIhsou/, è dunque un annuncio del superamento di ogni discriminazione in ordine alla salvezza, che si manifesta concretamente in una comunità di uomini-in-Cristo, nella quale non vi sono altre condizioni di accesso se non la fede. Nel negare le distinzioni l’apostolo non afferma però la loro non esistenza, ma il fatto che non costituiscono più l’identità fondamentale della persona in rapporto alla salvezza e all’ingresso nella comunità dei credenti. L’essere ei-j evn Cristw/| VIhsou/, infatti, non significa per Paolo fondersi in Cristo in un unico nuovo soggetto collettivo perdendo sia quelle dimensioni specifiche dell’esistenza umana, sia la propria
166
G. BARBAGLIO, “Galati 3,27-28: liberi in Cristo dalle diversità identitarie”, in La laicità del credente. Il rapporto con il mondo nell’evangelo di Gesù e di Paolo, sintesi della relazione del 1 feb 2006, Verbania Pallanza. 167 G. EBELING, La verità dell’evangelo. Commento alla lettera ai Galati, Marietti, Genova 1989, 240.
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Conclusioni
individualità e le proprie specificità, che, come ricorderà in molti passi delle sue lettere168, esprimono i carismi dati da Dio a beneficio di tutta la Chiesa. L’espressione ei-j evn Cristw/| VIhsou/, dunque, oltre ad avere un valore cristologico e antropologico in ordine alla salvezza e alla nuova umanità che ne nasce, si pone anche come fondamento ecclesiologico: la Chiesa ne emerge come la comunità universale degli uomini-in-Cristo, nella quale ciascuno può instaurare rapporti sulla base delle proprie specificità e vivere in piena libertà quelle dimensioni vitali e necessarie all’esistenza umana, senza quella ambiguità che le accompagna rendendole occasione di oppressione e discriminazione. Questa condizione dell’uomo nuovo, che si comprende a partire dell’“essere in Cristo”, e attraverso ciò come “essere nella Chiesa”, mantenendo ma relativizzando ogni altra caratteristica, è il fondamento della libertà cristiana, di cui Paolo parla più specificatamente nella terza parte della lettera.
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Cf. per es. 1Cor 12.
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Bibliografia individuata e consultata
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