Lezione n. 0
Introduzione e schema del corso
pag.1
ELEMENTI DI TEORIA DELLE STRUTTURE Lezione n. 1
Richiami del metodo della congruenza Trascurabilità della deformabilità per taglio
pag.6
Lezione n. 2
Il principio di identità
pag.13
Lezione n. 3
Richiami del metodo della congruenza
pag.19
Utilizzazione del principio di identità Trascurabilità della deformabilità per sforzo normale Lezione n. 4
Richiami sulla linea elastica di una struttura
pag.28
La deformata di una struttura Lezione n. 5
Richiami del metodo di congruenza congruenza
pag.36
Introduzione al metodo dell’equilibrio Lezione n. 6
Rigidezze e coefficienti di trasmissione
pag.42
Lezione n. 7
Il metodo dell’equilibrio: esempio #1 I vincoli ausiliari
pag.52
Lezione n. 8
Il metodo dell’equilibrio: esempio #2
pag.63
Scelta dei movimenti indipendenti I coefficienti di ripartizione Lezione n. 9
Il metodo dell’equilibrio: esempio #3
pag.74
La matrice di rigidezza Lezione n.10
Il metodo dell’equilibrio: esempio #4
pag.89
La rigidezza alla traslazione Lezione n.11
Il metodo dell’equilibrio
pag.101
Esempi di sistemi riconducibili ad un solo movimento indipendente Lezione n.12
Il metodo dell’equilibrio Effetti delle variazioni termiche nelle strutture
pag.112
Lezione n.13
Il metodo dell’equilibrio
pag.126
Esercizi proposti Lezione n.14
I serbatoi cilindrici: analisi della sollecitazione
pag.129
L’equazione generale Lezione n.15
I serbatoi cilindrici: analisi della sollecitazione Analisi delle sollecitazioni per diverse condizioni di vincolo Effetti di variazioni t ermiche
pag.140
Lezione n.17
Generalità sui metodi di verifica delle strutture
PROGETTAZIONE DI ELEMENTI STRUTTURALI IN CEMENTO ARMATO Lezione n.18 Il cemento armato
NO
pag.154
Proprietà del calcestruzzo e dell’acciaio Lezione n.19
Stati limite nel cemento armato
pag.165
Lezione n.20
Stati limite nel cemento armato
pag.174
Stato limite ultimo per tensioni normali Lezione n.21
Stati limite nel cemento armato
pag.193
Stato limite ultimo per tensioni normali: applicazioni Lezione n.22
Stati limite nel cemento armato
pag.203
Il taglio nel c.a. Lezione n.23
Stati limite nel cemento armato
pag.219
Stato limite delle tensioni in esercizio La verifica con il metodo delle tensioni ammissibili Lezione n.24
Stati limite nel cemento armato
pag.239
La verifica alla S.L. di fessurazione Lezione n.24b Il cemento armato
pag.250
Il problema dell’aderenza e la l a disposizione delle armature Esempio di calcolo di una trave in C.A. PROGETTAZIONE DI ELEMENTI STRUTTURALI IN ACCIAIO Lezione n.25
Le strutture in acciaio
pag.273
Introduzione al calcolo di strutture in acciaio Prova di trazione monoassiale Classificazione degli acciai da carpenteria Lezione n.26
Le strutture in acciaio
pag.281
Verifica di elementi strutturali in acciaio Lezione n.27
Le strutture in acciaio
pag.274
Le unioni bullonate Le unioni saldate Lezione n.28
Le strutture in acciaio
NO
Schema di funzionamento di un edificio monopiano con copertura a capriate Lezione n.29
Le strutture in acciaio Tabelle dei principali profilati in acciaio di uso comune
pag.304
Lezione n. 0 Introduzione e schema del corso L’idea di queste dispense è quella di riassumere i contenuti principali del corso di Tecnica delle Costruzioni per i corsi di Laurea in Ingegneria dell’Ambiente. Dopo una serie di lezioni introduttive di richiamo e complemento a concetti già visti in precedenti corsi (Meccanica dei Solidi, Scienza delle Costruzioni), il corso si indirizzerà verso la definizione delle procedure, dei metodi di analisi e dei criteri di verifica necessari per giungere ad una corretta progettazione di una struttura. Pertanto, Anziché introdurre uno schema del Corso, è forse utile riassumere quelli che sono i passi che costituiscono la serie di operazioni che, complessivamente, possono essere definite come “progettazione strutturale ”.
A Z Z O B MATERIALI
SCHEMA
GEOMETRIA
STRUTTURALE
STRUTTURA
AZIONI
DIMENSIONI
ANALISI
STRUTTURALE
VERIFICA
si
fine
no
Lezione n 0 – pag. 0.2
Il grafico precedente mostra l’iter di progetto che porta alla definizione delle caratteristiche geometriche della parte che costituisce la struttura resistente di una qualunque opera costruita. Per struttura si intende, almeno dal punto di vista di un Corso di Tecnica delle Costruzioni, l’insieme degli elementi resistenti di un edificio o di un’opera costruita in genere. Ogni struttura è definita mediante la “composizione” di diversi parametri, in quanto un elemento strutturale risulta definito una volta che siano noti: - i materiali con il quale è realizzato (ad esempio il legno, l’acciaio, il cemento armato, il cemento armato precompresso, tanto per citare i più frequenti materiali da costruzione, alcuni dei quali saranno oggetto del presente corso) - la geometria che lo costituisce (dettata da esigenze funzionali, ossia collegate alla funzione che deve svolgere l’oggetto, e da eventuali vincoli che lo condizionano), intendo per geometria quelle caratteristiche note indipendentemente dal percorso di progettazione strutturale vera e propria (ad esempio: nel caso di un progetto di un muro a sostegno di un terreno, sarà nota l’altezza del muro e, forse, la massima dimensione della fondazione, dettata, ad esempio, da vincoli offerti da manufatti già presenti. A priori non saranno note le caratteristiche geometriche degli elementi che lo compongono, ad esempio lo spessore del muro, l’altezza della fondazione, e così via) - lo schema strutturale , cioè la scelta dello schema resistente. Ad esempio, nel caso di una trave, si intenderà per schema strutturale il fatto che si tratti di una trave isolata, semplicemente appoggiata ad altri elementi strutturali, piuttosto che si tratti dell’elemento orizzontale di un telaio. L’insieme di queste tre caratteristiche definisce, almeno in parte, la struttura oggetto della progettazione. Il I l passo successivo sarà quello di fornire, all’elemento al l’elemento strutturale st rutturale o alla struttura nel suo insieme, le corrette dimensioni trasversali (gli spessori, le dimensioni delle sezioni) in modo tale da soddisfare a taluni requisiti prestazionali, che verranno specificati attraverso l’operazione di verifica. Una volta effettuate le scelte definite in precedenza, a condizionare le dimensioni degli elementi resistenti intervengono le azioni che la struttura dovrà sopportare. Tra le azioni si annoverano, ad esempio: - i carichi permanenti, permanenti, ossia carichi che graveranno stabilmente sull’opera - i carichi accidentali, ossia carichi che, per loro natura, possono insistere o meno sull’elemento strutturale (ad esempio il carico dovuto alla spinta delle terre, alla spinta idrostatica, al sovraccarico dovuto alla presenza di persone, all’azione del vento, alla presenza della neve, all’azione dovuta al sisma) - le coazioni, cioè tutte quelle situazioni che, se presenti, possono indurre uno uno stato di deformazione e, nel caso di strutture iperstatiche, uno stato di sollecitazione (si pensi, a titolo di esempio, all’eventuale presenza di variazioni termiche o di cedimenti vincolari) La presenza di un “feed-back” (ossia di una retroazione) tra la voce “dimensioni” e la voce “azioni” è dettata dalla presenza del peso proprio della struttura, ovviamente dipendente dalle proprie dimensioni. Tale forza va indubbiamente contemplata nell’elenco delle azioni che la struttura stessa deve sopportare, e può rappresentare, in taluni casi, anche l’azione maggiormente significativa nel dimensionamento della stessa. Inoltre, la presenza dell’accelerazione di gravità (e quindi della forza peso) rende il procedimento di progetto un procedimento di tipo “ iterativo”, poiché una volta modificate le dimensioni trasversali dell’elemento occorrerà ricalcolarne il peso e quindi procedere nuovamente ad una fase di verifica. Successivamente alla definizione delle azioni esterne gravanti sulla struttura e delle dimensioni (che, inizialmente, possono essere definite attraverso una procedura di pre-dimensionamento) è possibile procedere all’analisi strutturale vera e propria, che consiste nella definizione delle caratteristiche di sollecitazione e di deformazione che, nelle varie sezioni della struttura, nascono a causa dei carichi applicati. E’ importante sottolineare il fatto che, nel caso generale di struttura
A Z Z O B
Lezione n 0 – pag. 0.3
forze applicate, per cui occorre comunque definire, per tutti i vari elementi che la compongono, le dimensioni trasversali della struttura. La freccia verde tratteggiata che unisce “azioni” e “analisi strutturale” indica che, in alcuni casi, è possibile procedere alla definizione delle sollecitazioni indipendentemente dalla conoscenza dalla geometria delle sezioni della struttura in esame: è questo il caso delle strutture isostatiche in cui lo stato di sollecitazione risente esclusivamente della disposizione dei vincoli e della geometria della struttura ma non dalle dimensioni trasversali della sezione, oggetto della procedura di dimensionamento. I risultati ottenuti attraverso il procedimento di analisi costituiscono l’input per il successivo processo di verifica della struttura . Per verifica si intende la procedura che affronta il controllo della corrispondenza tra i requisiti richiesti all’opera progettata e le prestazioni che a questa vengono richieste. In generale, il controllo viene quindi esercitato definendo sia i requisiti richiesti all’opera, sia i metodi per definire la corrispondenza o meno a tali requisiti. In ambito strutturale, il primo requisito che viene ovviamente richiesto riguarda la sicurezza dell’opera, intesa come “distanza” dalla possibile condizione di crisi (spesso identificata con il termine “collasso”): i metodi di verifica utilizzati saranno quindi in grado di permettere di classificare una struttura come sicura o meno. Ma la sicurezza, per quanto di primaria importanza, non rappresenta l’unico requisito richiesto ad una struttura: i controlli, di volta in volta, riguarderanno anche altri aspetti connessi non soltanto con la situazione “limite” della struttura, ma anche con condizioni che vengono definite “di esercizio”, per le quali si richiede che l’opera costruita risponda in modo altrettanto efficace. A titolo di esempio si possono citare, come richieste di requisiti aggiuntivi oltre alla sicurezza strutturale, il controllo della durabilità dell’opera (intesa come capacità dell’opera a durare nel tempo mantenendo inalterate alcune sue caratteristiche), della sua deformabilità (assenza di eccessivi spostamenti che possono rendere l’opera inutizzabile o che possono condurre al malfunzionamento di alcune sue parti accessorie), della sua duttilità (ossia della capacità di presentare un buon comportamento anche oltre il limite el astico, condizione questa necessaria necessa ria per la buona risposta nei confronti di azioni quali quelle causate da un evento sismico). Il controllo della risposta a tali requisiti avviene facendo ricorso a metodi di verifica: accanto al metodo delle tensioni ammissibili, già incontrato in corsi precedenti (e che storicamente rappresenta il primo metodo di verifica introdotto), si affiancano metodi di calcolo a rottura e, più recentemente, i metodi che vengono classificati come “metodi agli stati limite”, che rappresentano i metodi verso i quali si stanno orientando tutte le normative mondiali.
A Z Z O B VERIFICA DELLA STRUTTURA
-
-
REQUISITI METODI sicurezza al collasso (crisi per - tensioni ammissibili ammissibili (T.A.) (T.A.) resistenza, per instabilità, etc.) - calcolo a rottura (analisi limite, duttilità etc.) durabilità - stati limite limite (S.L.) (S.L.) deformabilità
Nel caso c aso in cui il procedimento di verifica abbia dato esito favorevole, fa vorevole, il percorso di progettazione si conclude, in quanto l’opera, con le dimensioni adottate, risponde ai requisiti richiesti. Viceversa, se la verifica non ha successo occorre procedere ad una variazione delle dimensioni dell’opera, modificandone la sezione resistente. Può anche verificarsi la situazione per la quale la semplice variazione delle dimensioni trasversali dell’oggetto progettato non sia sufficiente a far sì che la struttura corrisponda ai requisiti richiesti. In questo secondo caso, occorrerà ridiscutere la scelta progettuale dall’inizio, eventualmente
Lezione n 0 – pag. 0.4
modificando qualcuno dei parametri che inizialmente hanno concorso alla definizione della struttura (e quindi la geometria, i materiali o lo schema strutturale). Il Corso di Tecnica delle Costruzioni si ripromette, almeno in parte e per qualche elemento strutturale particolare, di percorrere il percorso appena tracciato. Il Corso risulta quindi suddiviso in due parti. Nella prima parte si analizzeranno alcuni aspetti collegati alla “Teoria delle Strutture”: partendo dall’analisi della deformazione delle strutture (indagando aspetti legati alla deformabilità ed alla caratterizzazione dello stato di spostamento di elementi strutturali prevalentemente inflessi), si introdurrà il metodo dell’equilibrio per la risoluzione dei sistemi a molte iperstatiche. In questa parte verranno inoltre caratterizzate caratterizza te le principali azioni che condizionano il progetto di una struttura. Un’ultima parte riguarderà l’analisi dello stato di sollecitazione in strutture a sviluppo bidimensionale anziché monodimensionale, con particolare riguardo al caso dei serbatoi cilindrici . Nella seconda parte si affronteranno invece aspetti collegati alla “Progettazione strutturale”. Verranno definiti ed analizzati i principali materiali utilizzati nella realizzazione di strutture civili (quali l’acciaio ed il cemento armato), introducendone i principi di utilizzazione ed il percorso progettuale che ne porta al dimensionamento ed alla verifica. Si accennerà inoltre al progetto di strutture realizzate con altri materiali (il legno, il cemento armato precompresso). Il percorso prevede poi l’illustrazione di alcune tipologie strutturali, più vicini alle tematiche proprie di un corso di Ingegneria per l’ambiente: si analizzerà quindi il progetto di un serbatoio (o di una vasca) in c.a., di un muro a retta, di un tombino interrato. Alcuni cenni di calcolo di strutture in zona sismica concluderanno il corso.
A Z Z O B
Lezione n 0 – pag. 0.5
PROGRAMMA DEL CORSO DI TECNICA DELLE COSTRUZIONI Prima Parte: TEORIA DELLE STRUTTURE Generalità sul calcolo delle strutture - La deformabilità per sforzo normale, per taglio e per momento flettente - Il Principio di identità - La linea elastica ed il disegno della deformata di una struttura Le Azioni sulle strutture - Generalità - Alcuni esempi di azioni sulle strutture I metodi di verifica delle strutture - Il metodo delle Tensioni Ammissibili - Il metodo degli Stati Limite Il Metodo dell’equilibrio - Introduzione al metodo dell’equilibrio - La rigidezza: casi fondamentali di rigidezza alla rotazione - Il metodo dei vincoli ausiliari - La rigidezza alla traslazione - La matrice di rigidezza di una struttura Analisi delle sollecitazioni in serbatoi cilindrici - Definizione del problema: serbatoi “lunghi” e “corti” - Condizioni di vincolo di estremità - Serbatoio con fondazione - Variazioni termiche in serbatoi cilindrici
A Z Z O B Parte Seconda: CENNI DI PROGETTAZIONE STRUTTURALE L’acciaio - Introduzione al calcolo di strutture in acciaio - Il caso monoassiale: la prova di trazione - Tipologie strutturali in acciaio - Classificazione acciai da carpenteria - Verifiche in strutture in acciaio - Unioni bullonate e unioni saldate Il Cemento Armato - Proprietà di calcestruzzi e acciai per c.a. - La teoria statica del c.a.: il coeff. di omogeinizzazione - Progetto e verifica di pilastri in c.a. - Progetto e verifica di sez. inflesse - Taglio e flessione in c.a. - Esempio di calcolo di trave in c.a. - La pressoflessione in sezioni in c.a. - Il problema della fessurazione Il Cemento Armato Precompresso - La precompressione - Cenni di calcolo di strutture precompresse Progetto di opere di sostegno delle terre - La spinta delle terre: richiami - Pareti di sostegno: tipologie e calcolo - Muri di sostegno in c.a. - Muri di sostegno a gabbioni - Palancole e diaframmi Elementi strutturali in c.a. - Progetto di un serbatoio in c.a. - Progetto di un tombino in c.a. Cenni di ingegneria sismica - La risposta delle strutture sotto sisma
Lezione n. 1 Richiami del metodo della congruenza Trascurabilità della deformabilità per taglio Nella pratica corrente, molte degli schemi strutturali utilizzati sono rappresentati da travature iperstatiche, ossia da travi o sistemi di travi che possono essere definiti come staticamente indeterminati (da un punto di vista statico) o geometricamente iperdeterminati (da un punto di vista cinematico). La prima definizione risponde del fatto che la trave, facendo ricorso alle sole equazioni che ne governano la statica, non può essere risolta in maniera univoca, in quanto esistono (in generale) infinite configurazioni equilibrate rese possibili dalla presenza dei vincoli: il problema è quindi, da un punto di vista statico, indeterminato. Dal punto di vista cinematico, invece, la definizione di struttura geometricamente iperdeterminata significa che non esistono atti di moto consentiti dalla particolare disposizione dei vincoli e l’iperdeterminazione si manifesta nel fatto che, anche togliendo qualcuno dei vincoli presenti, si avrebbe comunque l’impossibilità di atti di moto rigidi per la struttura. In altre parole, si può pensare di avere a che fare con una struttura nella quale si hanno “troppi” vincoli rispetto a quelli strettamente necessari a garantire l’equilibrio. La soluzione dei sistemi iperstatici richiede quindi non solo l’utilizzazione delle equazioni della statica (che contemplano il solo equilibrio del corpo) ma anche la definizione dello stato di deformazione e di spostamento, in modo da ricercare una soluzione che, al tempo stesso, sia equilibrata e congruente (rispetti, cioè, le condizioni di congruenza offerte dalla necessaria continuità materiale dei corpi e dal rispetto delle condizioni cinematiche dettate dalla presenza dei vincoli). Può quindi essere utile approfondire alcuni aspetti connessi con la soluzione dei sistemi iperstatici, al fine di evidenziare le situazioni in cui particolari caratteristiche strutturali ci permettano di poter semplificare il problema, riducendo il numero delle incognite o trascurando alcuni termini rispetto ad altri. Richiamando il modo di procedere tipico del metodo della congruenza, si possono ad esempio sviluppare alcune considerazioni circa l’influenza della deformabilità per taglio nelle strutture. Anziché affrontare il problema da un punto di vista generale, si farà riferimento alla trave riportata in figura.
A Z Z O B q
B
A
L
Il sistema riportato è una volta iperstatico (i=1): la trave, che possiede nel piano tre gradi di libertà se pensata come corpo rigido, è vincolata attraverso l’azione di due vincoli che complessivamnte forniscono un grado di vincolo pari a 4 (3 per l’incastro in A e 1 per l’appoggio semplice in B). Nell’ottica del metodo della congruenza, si può procedere sopprimendo un vincolo sovrabbondante, in modo da pervenire ad una struttura isostatica che definiremo come “struttura principale”. Tale struttura (che non è univocamente definita a partire dalla struttura assegnata) può ad esempio essere ottenuta eliminando il vincolo alla rotazione in A, ottenendo così la struttura riportata in figura.
Lezione n. 1 – pag. I.2
X1
q A
ϕA
B L
Il vincolo soppresso in A è rappresentato, da un punto di vista statico, dall’azione (coppia) che esercitava nella struttura di partenza, indicata con X1. Tale azione corrisponde al fatto che, da un punto di vista cinematico, la sezione in A è impedita di ruotare, ossia ϕA=0. Qualunque sia il valore che venga assegnato a X 1, è evidente che la trave ammetterà sempre una soluzione equilibrata (e questo corrisponde al fatto che il sistema è staticamente indeterminato). Tra questi valori, però, ne esisterà uno (ed uno solo, dato il teorema di unicità di Kirchhoff) che comporterà un valore nullo della rotazione in A, come il vincolo originariamente presente in tale sezione richiedeva. Il metodo della congruenza consiste quindi nel ricercare (attraverso un’equazione di congruenza, appunto) l’unico valore di X 1 che permetta alla struttura di rispettare la congruenza dettata dalle condizioni originariamente imposte, ricercandolo tra gli infiniti valori che consentono l’equilibrio della struttura. Sotto l’azione di X1 (che definiremo come incognita iperstatica) e del carico q, la rotazione in A sarà in generale non nulla, e dipenderà da entrambi i valori delle forze applicate. Si avrà quindi una rotazione che può essere indicata con
A Z Z O B φA
= φ A (q, X1 )
E’ possibile valutare separatamente i contributi alla rotazione dovuti ai carichi applicati ed all’incognita iperstatica, richiamando la validità del Principio di Sovrapposizione degli Effetti (PSE) in ambito lineare. Si possono quindi studiare i due sistemi:
q
X1
A
A
ϕA(q)
ϕA(X1)
B
B
L
L
e quindi ottenere φA
= φ A (q ) + φ A (X1 )
Il calcolo dei due contributi può essere effettuato facendo ricorso al Principio dei Lavori Virtuali (PLV) nella formulazione delle forze virtuali. La rotazione ϕA, in entrambi i casi, può infatti essere valutata utilizzando il lavoro virtuale che il sistema riportato in figura compie nei due casi
1*
A
B
L
dove l’asterisco è stato disegnato soltanto per ricordare che di forza “fittizia” (virtuale appunto) si tratta. Nel sistema appena disegnato, verranno valutati i valori delle reazioni vincolari e delle
Lezione n. 1 – pag. I.3
virtuale. Le CdS in tale sistema verranno denotate con N 1, T1 e M1, indicando rispettivamente il valore dello sforzo normale, del taglio e del momento flettente lungo lo sviluppo della trave. La valutazione del lavoro rispetto al sistema di spostamenti ed alle Caratteristiche di Deformazione costituito dalla struttura principale con il solo carico q applicato fornisce, in termini di lavoro virtuale esterno, L*e
= 1 ⋅ φ A (q )
mentre il lavoro virtuale interno vale
A Z Z O B L*i
M χ T N = ( N1 ⋅ ε 0 + T1 ⋅ γ 0 + M1 ⋅ k 0 ) ds = N1 ⋅ 0 + T1 ⋅ 0 + M1 ⋅ 0 ds EA GA EJ
∫
∫
str
str
in cui si sono indicate con ε0, γ0 e k 0 le CdD del sistema costituito dalla struttura principale gravata dei carichi esterni, mentre con N0, T0 e M0 si sono denotate le CdS di tale sistema. Il legame tra CdD e CdS è quello usuale offerto dall’ipotesi di materiale elastico lineare, omogeneo e isotropo. Uguagliando i due termini si ottiene quindi il risultato cercato: φA
χ T N M (q ) = N1 ⋅ 0 + T1 ⋅ 0 + M1 ⋅ 0 ds
∫
str
EA
EJ
GA
E’ quindi possibile procedere alla valutazione del valore di ϕA(q), risolvendo le due strutture e tracciando i diagrammi delle CdS. Iniziando con la determinazione delle reazioni vincolari, l’applicazione delle equazioni cardinali della statica fornisce i seguenti risultati:
q
HA
A
VA
1*
HA
B
A
B
L
L
VB
VA
VB
Equilibrio alla rotazione (momenti rispetto ad A): Equilibrio alla rotazione (momenti rispetto ad A): L qL 1* VB ⋅ L − (qL ) ⋅ = 0 ⇒ VB = VB ⋅ L − 1* = 0 ⇒ VB = 2 2 L Equilibrio alla traslazione verticale: qL VA + VB = qL ⇒ VA = 2
Equilibrio alla traslazione verticale: 1* VA + VB = 0 ⇒ VA = − L
Equilibrio alla traslazione orizzontale: HA = 0
Equilibrio alla traslazione orizzontale: HA = 0
Nelle figure seguenti sono riportati i diagrammi quotati delle CdS: in entrambi i casi, il diagramma dello sforzo normale N non è stato riportato, in quanto tale CdS è costantemente nulla. La convenzione adottata per attribuire i segni alle Caratteristiche di sollecitazione è quella classica: ipotizzando un verso di percorrenza per la trave (nel caso in esame, da sinistra verso destra, ossia da A verso B) sono positivi i momenti che tendono le fibre di intradosso ed è positivo il taglio che
Lezione n. 1 – pag. I.4
produce un differenziale positivo di momento flettente. Sulle convenzioni di segno si ritornerà in dettaglio nella lezione successiva.
1*
q
A
A
ϕA(q)
B
B
VA=1*/L
A Z Z O B VA=qL/2
L
L
VB=qL/2
2 / L q
VB=1*/L
+
-
2 / L q -
L / * 1 -
T0
-
T1
z
z
Mmax=qL /8
+
M0
* 1
+
Equazione del diagramma del taglio: qL − (qz ) T0 (z ) = 2
Equazione del diagramma del taglio: 1* T1 (z ) = − L
Equazione del diagramma del momento: qL z M 0 (z ) = z − (qz ) 2 2
Equazione del diagramma del momento: 1* M1 (z ) = 1 * − z L
M1
La successiva valutazione dell’integrale fornisce il risultato: φA
χ T N M (q ) = N1 ⋅ 0 + T1 ⋅ 0 + M1 ⋅ 0 ds =
∫
str
L
∫
qL
= 2 0
EA
1 *
GA
− qz dz + − L GA χ
EJ
L
2 qL 1 * 1 qL3 z − q z 1* − z dz = ... = 2 2 L EJ 24 ⋅ EJ 0
∫
In maniera analoga è possibile procedere per la valutazione del termine ϕA(X1). Questa volta i due sistemi attraverso i quali valutare il PLV sono rappresentati dai due riportati in figura:
Lezione n. 1 – pag. I.5
X1
1* B
A
B
A
L
L
A Z Z O B Sistema reale di spostamenti e deformazioni (S.S.D.)
Sistema virtuale di forze e sollecitazioni (S.F.S.*)
E’ facile, tuttavia, rendersi conto che il primo dei due sistemi, grazie alla linearità complessiva e quindi utilizzando ancora una volta il PSE, altro non fornisce se non le stesse sollecitazioni e deformazioni del secondo, a meno di un fattore di scala offerto dall’intensità della coppia applicata (pari ad X1). In altre parole, è possibile scrivere (indicando ancora con N 1, T 1 e M1 le CdS del secondo sistema) che: L*e
= 1 ⋅ φ A (X1 )
L*i
M χ T N = ( N1 ⋅ [X1 ε1 ] + T1 ⋅ [X1 γ1 ] + M1 ⋅ [X1 k 1 ]) ds = X1 N1 ⋅ 1 + T1 ⋅ 1 + M1 ⋅ 1 ds EA GA EJ
∫
∫
str
str
da cui
( N1 )2 χ (T1 )2 (M1 )2 + + φ A (X1 ) = X1 ds EA GA EJ str
∫
Sfruttando le equazioni per i diagrammi T1 e M1 scritte in precedenza, si ottiene L
1 * φ A (X1 ) = − L
∫
2
0
L
1 * dz + 1 * − z GA L
∫
χ
0
2
1
EJ
dz = ... =
χ
L ⋅ GA
+
L
3 ⋅ EJ
La rotazione complessiva della sezione in A nella struttura principale vale quindi φA
= φ A (q ) + φ A (X1 ) =
qL3
χ L + X1 ⋅ + 24 ⋅ EJ L ⋅ GA 3 ⋅ EJ
A questo punto, l’imposizione della congruenza degli spostamenti con la struttura di partenza permette di ricavare il valore dell’incognita iperstatica X1 φA
X1
qL3
L χ + X1 ⋅ + =0 24 ⋅ EJ L ⋅ GA 3 ⋅ EJ
=0 ⇒
=−
qL3
qL3
24 ⋅ EJ
24 ⋅ EJ
χ
L ⋅ GA
+
L
3 ⋅ EJ
=−
χ ⋅ EJ 1 + 3 3 ⋅ EJ L2 ⋅ GA L
=−=
qL2 8
1
1+ 3
⋅ EJ L2 ⋅ GA χ
Prima di procedere, è utile osservare che il termine 3⋅χ⋅EJ/(L2⋅GA) che compare al denominatore rappresenta una quantità generalmente molto piccola rispetto all’unità. Infatti si ha
Lezione n. 1 – pag. I.6
3
⋅ EJ E χ ⋅ J ⋅ 1 3⋅ ⋅ = G A L2 L2 ⋅ GA χ
dove si sono raggruppati i termini che dipendono dalla geometria della sezione ( χ⋅J/A), dal materiale dal quale è costituita la trave (E/G) e dalle caratteristiche della trave (1/L2). In campo elastico lineare vale la relazione
=
G
E 2 ⋅ (1 + ν )
E
⇒
= 2 ⋅ (1 + ν )
G
A Z Z O B In cui ν, coefficiente di Poisson, assume usualmente valori compresi nell’intervallo ν
∈ [0 ÷ 0.5]
Al fine di valutare l’ordine di grandezza del termine 3⋅χ⋅EJ/(L2⋅GA), si può ad esempio supporre che ν =0.25, ottenendo E
= 2.5 =
5
G 2 Il termine χ⋅J/A dipende, come detto, dalle caratteristiche della sezione trasversale della trave. Sempre al fine di valutarne l’ordine di grandezza, si può ad esempio far riferimento al caso di una sezione rettangolare di dimensioni b×h. In questo caso si ha infatti b h 3
J
=
χ
⋅J
12 da cui
A
=
A = b h
6 b h
3
1
5 12 b h
=
χ
=
6 5
h2 10
Si ottiene quindi
2 5 h2 1 3 h ⋅ EJ 3 = 3⋅ ⋅ ⋅ 2 = 2 4 L 2 10 L L ⋅ GA χ
Le strutture oggetto di studio sono, normalmente, strutture snelle, ossia caratterizzate dal fatto di avere la lunghezza dei vari tratti sensibilmente maggiori delle dimensioni trasversali della sezione. L’utilizzazione dei risultati validi nel caso del solido del De’ Saint Venant richiede, infatti che il rapporto h/L assuma valori molto inferiori ad 1 (di solito, si assume che L sia almeno un ordine di grandezza maggiore rispetto alle dimensioni trasversali della sezione, e, quindi, ad h). Anche assumendo h/L≈1/10, si avrebbero valori del rapporto (h/L) 2 nell’ordine di 1/100, e quindi, come ordine di grandezza, si può affermare che 2 3 1 1 ⋅ EJ 3 < = << 1 75 L2 ⋅ GA 4 10 χ
In altre parole, il termine 3⋅χ⋅EJ/(L2⋅GA) risulta, se la struttura è sufficientemente snella, trascurabile rispetto all’unità. L’osservazione, a rigore valida soltanto nel caso che stiamo considerando, può essere estesa a tutte le strutture la cui snellezza sia sufficientemente alta, concludendo quindi che
Per strutture snelle il contributo deformativo dovuto allo sforzo di taglio è, in generale, trascurabile rispetto a quello dovuto al momento flettente Il risultato assume quindi una validità di carattere generale, e costituisce un’ipotesi che può essere assunta “a priori”. Nel caso quindi di contemporanea presenza di taglio e momento flettente, si
Lezione n. 1 – pag. I.7
trascurerà l’effetto deformativo di quest’ultimo, tralasciando di valutare i termini che, nell’espressione del lavoro interno, derivano da tale grandezza. Tornando al caso della struttura in esame, si può quindi assumere che X1
≈−
qL2
8 La soluzione della trave è quindi completa. Tutti gli effetti nella struttura di partenza possono essere quindi valutati ricorrendo ancora al PSE, affermando che qualunque effetto ξ(z) in ogni sezione della struttura iperstatica può essere valutato come somma di tale effetto valutato nella struttura principale gravata dai soli carichi e dello stesso effetto nella struttura in cui agisca la sola incognita iperstatica. Si hanno quindi le reazioni vincolari ed i diagrammi finali riportati nella figura seguente
A Z Z O B MA=1/8 qL
2
VA
q
A
VB
B
MA
VB=5/8 qL
L q 8 / 5
1 qL qL 5 + X1 ⋅ + = qL − = 2 8 8 L 2 qL 1 qL qL 3 = + X1 ⋅ − = qL = 2 L 2 8 8
=
qL
= X1 = −
qL2 8
VB=3/8 qL
+
-
z
L q 8 / 3
T
Equazione del diagramma del taglio: 5 T(z ) = qL − (qz ) 8
Equazione del diagramma del momento:
-
M (z ) = −
+
M
qL2 8
Mmax= 9/128 qL
Il valore massimo del momento si ottiene nella sezione di taglio nullo, cioè T(z 0 ) =
5
8
qL − (qz 0 ) = 0
M (z 0 ) = −
qL2 8
⇒
z0
=
5 8
L
2
5 q 5 − 16 + 50 − 25 9 2 qL + qL ⋅ = L − ⋅ L = qL2 8 128 128 8 2 8 5
+
5
8
qL ⋅ z −
qz 2 2
Lezione n. 2 Il principio di identità Strutture diverse tra loro possono presentare alcune delle loro parti per le quali, essendo uguali le condizioni, devono essere uguali anche le sollecitazioni e le deformazioni. Tale osservazione, evidentemente ovvia, prende il nome di principio di identità e permette spesso di effettuare alcune valutazioni che possono condurre ad una notevole semplificazione dei sistemi in esame. In questa lezione si discuteranno le considerazioni che possono essere effettuate su una struttura chiamando in gioco eventuali simmetrie o antisimmetrie; quanto riportato nel seguito non ha tuttavia la pretesa di esaurire tutte le considerazioni collegate alla soluzione di strutture simmetriche, per cui si rimanda ad altri testi per ulteriori approfondimenti sull’argomento.
A Z Z O B La simmetria rispetto ad un piano
Una struttura piana, giacente cioè in un piano Π (come quella riportata in figura), si dice simmetrica rispetto ad un piano Σ (perpendicolare a Π) se la traccia σ del piano Σ su Π divide la struttura in due parti che sono esattamente l’una l’immagine speculare dell’altra. La retta σ prende il nome di asse di simmetria, e viene spesso indicata con il simbolo riportato nella figura seguente. In altre parole, la parte di sinistra (o di destra) deve potersi ottenere per rotazione intorno a σ della parte di destra (o di sinistra). E’ evidente che la simmetria deve riguardare la geometria della trave (sviluppo dei vari tratti, sezione trasversale), così come i vincoli ed i materiali. piano Π
C
a i r t e m m i s i d e s s a
σ
A
B
L/2
L/2
Diremo che una struttura simmetrica è sottoposta ad un insieme di carichi simmetrici se la stessa simmetria presente nella struttura vale anche per i carichi. La struttura sarà denotata come “simmetrica con carichi simmetrici” (o, spesso, con una certa ambiguità dei termini, semplicemente “simmetrica”, dove però questa volta la simmetria si riferisce all’insieme struttura più carichi). piano Π
C
a i r t e m m i s i d e s s a
F
A
F
σ
B
Lezione n. 2 – pag. II.2
Diremo che una struttura simmetrica è sottoposta ad un insieme di carichi antimetrici (o antisimmetrici o emisimmetrici ) se i carichi possiedono, a meno di un segno, la stessa simmetria presente nella struttura. In questo caso, i carichi di destra (o di sinistra) sono gli opposti dei carichi che si otterrebbero dalla parte di sinistra (o di destra) per simmetria. La struttura sarà denotata come “simmetrica con carichi antimetrici” (o, spesso, più semplicemente, “antimetrica”). piano Π C
A Z Z O B a i r t e m m i s i d e s s a
F
F
σ
A
B
L/2
L/2
Il principio di identità, che riportiamo senza dimostrazione, afferma che
In una struttura simmetrica sottoposta all’azione di carichi simmetrici [antimetrici] tutti gli effetti posseggono carattere di simmetria [antimetria]
Per effetti si intendono tutte le grandezze che possono essere calcolate sulla struttura, quindi reazioni vincolari, Caratteristiche di Sollecitazione (CdS), Caratteristiche di Deformazione (CdD), spostamenti, etc. In conseguenza al principio di identità è quindi possibile ricavare dalla struttura di partenza una struttura rappresentata soltanto da metà della struttura iniziale, imponendo opportune condizioni di vincolo. Per giungere a tale semplificazione, occorre osservare quello che succede nella sezione che si ottiene dall’intersezione dell’asse della struttura con l’asse di simmetria σ, indicata con C , che per il momento verrà supposta priva di carichi e vincoli.
Cominciamo con l’analizzare il caso “simmetrico con carico simmetrico ”. Nel concio infinitesimo a cavallo della sezione in C si possono evidenziare, una volta estratto dalla struttura, le CdS che garantiscono l’equilibrio, così come possono essere messi in evidenza gli spostamenti che in generale le due facce possono compiere. In sostanza, si evidenziano le grandezze che rispettano sia le condizioni di equilibrio che quelle di congruenza. La condizione di equilibrio del concio elementare, in assenza di carico e considerando i contributi al 1° ordine, fornisce le CdS evidenziate in figura:
T
M
N
N
C
T
M
Lezione n. 2 – pag. II.3
La validità del principio di identità richiede però che le CdS di sinistra siano immagine speculare di quelle di destra. Ruotando le forze di sinistra intorno alla retta passante per C si osserva che mentre N e M vanno a sovrapporsi a quella di destra, T dovrebbe essere di segno opposto. In altre parole, le uniche CdS che rispettano contemporaneamente le condizioni di equilibrio e il principio di identità sono offerte dallo sforzo normale N e dal momento flettente M, riportate in blu in figura. Per simmetria, quindi, a cavallo della sezione C si ha che Struttura simmetrica con carico simmetrico Equilibrio + Principio di Identità Caratteristiche di Sollecitazione in C
A Z Z O B T=0
N ≠ 0
M ≠ 0
E’ da notare che la scrittura “diverso da 0”, adottata per sforzo normale e momento, non inplica che necessariamente tali CdS lo siano, ma che le condizioni di equilibrio ed il principio di identità consentono la presenza di tali CdS con valori non nulli. Un ragionamento analogo può essere ripetuto per gli spostamenti. Evidenziando, a cavallo della sezione di simmetria, gli spostamenti che rispettano la congruenza, si ottengono quelli disegnati in figura:
C
w
w
v v Anche in questo, occorre controllare quali rispettino anche il principio di identità: si osserva che mentre v ha carattere di simmetria (ribaltando lo spostamento verticale di sinistra si ottiene quello di destra), lo stesso non può dirsi per w e ϕ. Quindi, riassumendo il risultato, l’unico spostamento che rispetta congruenza e principio di identità è rappresentato dallo spostamento verticale v, riportato in blu in figura. Struttura simmetrica con carico simmetrico Congruenza + Principio di Identità Spostamenti in C
w=0
v ≠ 0
ϕ = 0
Globalmente quindi si ha che
Struttura simmetrica con carico simmetrico Equilibrio + Congruenza + Principio di Identità Sezione C in corrispondenza dell’asse si simmetria
N ≠ 0
T=0
M ≠ 0
w=0
v ≠ 0
ϕ = 0
E’ importante notare come le condizioni sulle “forze” siano in qualche modo duali rispetto alle condizioni sui correlativi spostamenti. Si definisce spostamento correlativo di una forza (o forza correlativa di uno spostamento) lo spostamento che, in senso generalizzato, fa compiere lavoro alla
Lezione n. 2 – pag. II.4
forza (anche questa in senso generalizzato). Secondo la definizione, quindi, T e v sono correlativi (il prodotto T⋅v rappresenta un lavoro) così come lo sono N con w e M con ϕ. Quindi, la condizione cinematica e la condizione statica correlativa sono tra loro duali: se uno spostamento è nullo (ad esempio, w = 0), la forza correlativa può essere diversa da zero (nel caso esaminato, si ha infatti N ≠ 0). Dato uno dei postulati fondamentale della meccanica (“l’azione di un vincolo può essere rappresentata attraverso una forza applicata nella direzione efficace del vincolo, in modo da impedire lo spostamento lungo tale direzione”) è quindi possibile riprodurre quello che succede in C attraverso un vincolo: nel caso di trave simmetrica con carico simmetrico, il vincolo che garantisce l’equilibrio della struttura, la congruenza e rispetta il principio di identità è offerto da un bipendolo ad asse orizzontale, che ha proprio l’equazione rappresentata in tabella. In altre parole, è possibile studiare soltanto metà struttura sostituendo alla parte soppressa il vincolo appena determinato. Gli effetti sulla parte di struttura soppressa saranno successivamente valutati facendo ricorso al principio di identità. Nel caso in esame si avrebbe quindi
A Z Z O B C
L1
a i r t e m m i s i d e s s a
F
A
C
F
F
L1
σ
B
A
L
L/2
In maniera del tutto analoga si può analizzare il caso “ simmetrico con carico antimetrico ”. La condizione di equilibrio del concio elementare, in assenza di carico e considerando i contributi al 1° ordine, fornisce le CdS evidenziate in figura, delle quali soltanto quella evidenziata in blu rispetta sia la condizione di equilibrio che il principio di identità (hanno cioè carattere antimetrico):
T
M
N
C
N
M
T
Analogamente in termini di spostamenti si ha che gli spostamenti riportati in blu sono i soli rispettosi della congruenza e del principio di identità:
C
w
w
Lezione n. 2 – pag. II.5
Si ha quindi Struttura simmetrica con carico antimetrico Equilibrio + Congruenza + Principio di Identità Sezione C in corrispondenza dell’asse si simmetria
N = 0
T ≠ 0
M=0
w ≠ 0
v=0
ϕ ≠ 0
A Z Z O B
Anche in questo caso le condizioni sugli spostamenti sono duali rispetto a quelle sulle forze correlative: le condizioni appena scritte costituiscono l’equazione del vincolo di appoggio semplice con asse verticale. E’ quindi possibile studiare soltanto metà struttura sostituendo alla parte soppressa il vincolo ap pena determinato. Gli effetti sulla parte di struttura soppressa saranno successivamente valutati facendo ricorso al principio di identità. Nel caso in esame si avrebbe quindi C
C
a i r t e m m i s i d e s s a
F
L1
A
F
L1
F
σ
B
A
L
L/2
E’ interessante notare che in questo ultimo caso, l’utilizzazione del principio di identità comporta una effettiva semplificazione nello studio della struttura: non soltanto è possibile studiare metà struttura, ma si è passati da un sistema 1 volta iperstatico (i=1) ad un sistema isostatico.
Quando si è in presenza di una struttura simmetrica con carico qualunque (ad esempio quella ri portata in figura) è sempre possibile ricondursi alla somma di due strutture, una gravata della parte simmetrica del carico, l’altra della restante parte antisimmetrica: F2
F2/2
C
a i r t e m m i s i d e s s a
A
F2/2
C
C
(a)
F2/2
F1
F2/2
=
a i r t e m m i s i d e s s a
F1/2
σ
B
str. simmetrica carico qualunque
A
F1/2
(s)
+
a i r t e m m i s i d e s s a
F1/2
σ
B
str. simmetrica carico antimetrico
A
F1/2
σ
B
str. simmetrica carico simmetrico
E’ da notare che la struttura di partenza (1 volta iperstatica, i=1), sia stata quindi scomposta nella somma della struttura (a) (i=0) e della struttura (s) (i=1). La somma si estende cioè anche al grado di iperstaticità: di conseguenza può risultare comunque vantaggioso effettuare la scomposizione ri-
Lezione n. 2 – pag. II.6
Un’ultima serie di considerazioni riguarda il caso in cui sull’asse di simmetria siano presenti forze o vincoli. In questi casi il ragionamento precedentemente fatto va integrato con le ulteriori condizioni offerte dalla presenza delle entità appena descritte. Iniziando dal contemplare la possibilità che sull’asse di simmetria sia presente una forza, il ragionamento da effettuare è quello riportato (come schema logico) nelle figure successive. M/2
M
M/2
M/2
M/2
C
A Z Z O B C
C
a
a i r t e m m i s i d e s s a
C
a
lim
lim
= a →0
= a →0
B
A
a
=
A
A
A
La condizione riportata è quindi di “struttura simmetrica con carico antimetrico”: il passaggio attraverso il limite ha l’unica utilità concettuale di chiarire l’antimetria del carico. F/2
F/2
F
C
C
a i r t e m m i s i d e s s a
A
F/2
F/2
a
C
a
lim
lim
= a →0
a
= a →0
B
C
A
A
=
A
La condizione riportata è quindi di “struttura simmetrica con carico simmetrico”.
Infine, nel caso in cui in corrispondenza dell’asse di simmetria siano presenti dei vincoli, nel caso in cui si voglia studiare soltanto metà struttura, questi vanno a “sommarsi” ai vincoli che rappresentano la parte soppressa della struttura. Per somma si intende l’operazione di unione delle condizioni cinematiche dei vincoli presenti e di quelli offerti dalla simmetria (o antimetria). Ad esempio il vincolo in C nell’esempio successivo è offerto dal bipendolo (che deriva dalla condizione globale di simmetria) più l’appoggio verticale presente nella struttura originaria.
C
F
A
a i r t e m m i s i d e s s a
C
F
B
F
A
Lezione n. 3 Richiami del metodo della congruenza Utilizzazione del principio di identità Trascurabilità della deformabilità per sforzo normale Utilizzando il principio di identità, si può risolvere la struttura riportata in figura. q q
A Z Z O B C
L
A
B
L
Il sistema è una volta iperstatico (i=1), trattandosi di un’unica asta con 4 gradi di vincolo (le due cerniere in A e B). Data la simmetria della struttura e del carico (struttura simmetrica con carico simmetrico, o, più brevemente, struttura simmetrica), è possibile ridurre lo studio a quello di metà struttura, una volta che in C si sostituisca il vincolo che rappresenta (staticamente e cinematicamente) la metà soppressa della struttura stessa. Alla luce dei risultati ottenuti nella lezione precedente, potremmo considerare la sola parte di sinistra inserendo, al posto della metà struttura di destra, un bipendolo ad asse orizzontale, che impedisce la rotazione e lo spostamento verticale della sezione in C , permettendone invece le traslazioni verticali (movimenti consentiti sull’asse di simmetria in assenza di vincoli). La struttura diventa quindi quella riportata in figura seguente. Siamo ancora in presenza di una struttura una volta iperstatica (i=1), per cui l’unico vantaggio nell’utilizzazione del principio di identità consiste, in questo caso, nella possibilità di studiare soltanto metà struttura, estendendo in seguito i risultati alla porzione non considerata, per simmetria dei diagrammi di sollecitazione, delle reazioni vincolari, degli spostamenti e delle deformazioni elastiche. La struttura, nell’ottica del metodo della congruenza, può essere risolta introducendo una incognita iperstatica conseguente alla soppressione di un vincolo. Eliminando, ad esempio, il vincolo alla rotazione offerto dal bipendolo in C , l’incognita X1 è rappresentata dalla reazione che tale vincolo esercitava sulla struttura di partenza.
Lezione n. 3 – pag. III.2
q
q
ϕC C
X1 C L
L
A Z Z O B A
A
L/2
L/2
Il valore di X1 verrà quindi ricavato imponendo la congruenza tra i due sistemi, in questo caso esplicitata dall’equazione
ϕC = 0
(annullamento del valore della rotazione in C ), che rappresenta l’equazione, da un punto di vista cinematico, del vincolo soppresso in C . La rotazione dovrà essere calcolata nella struttura in cui tale movimento è consentito (cioè nella “struttura principale” ossia nella struttura ottenuta dalla struttura di partenza per soppressione dei gradi di iperstaticità): annullare tale rotazione significa quindi imporre che il sistema dal quale siamo partiti sia equivalente in tutto e per tutto al sistema al quale siamo pervenuti. Tale equivalenza potrà essere istituita soltanto quando il valore dell’incognita X 1 garantirà l’unica (per il teorema di Kirchhoff) soluzione al tempo stesso equilibrata e congruente. Utilizzando il principio di sovrapposizione degli effetti, la rotazione in C è espressa, nella struttura principale gravata dei carichi esterni e dell’incognita iperstatica X1, dall’equazione
ϕ C = ϕ C (q ) + ϕ C (X1 )
dove, rispettivamente, i due termini rappresentano la rotazione indotta dai soli carichi e quella indotta dal momento, per ora incognito, X 1. Ancora per linearità, la rotazione indotta dalla coppia X1 può essere valutata attraverso l’espressione
ϕ C (X1 ) = X1 ⋅ ϕ C (1) essendo ϕC(1) il valore
della rotazione indotta in C dall’applicazione di una coppia con stessa direzione e verso di X1 ma di intensità unitaria. In sostanza, si ottiene quindi
ϕ C = ϕ C (q ) + X1 ⋅ ϕ C (1)
Il vantaggio di tale posizione risiede nella “tecnica” di calcolo dei valori delle due rotazioni ϕC(q) e ϕC(1). Il valore della rotazione ϕC(q) può infatti essere valutato facendo ricorso al principio dei Lavori Virtuali (PLV) per travi deformabili: tale rotazione viene calcolata calcolando il lavoro che un opportuno sistema di forze fittizio compie rispetto agli spostamenti del sistema gravato dai carichi esterni. Chiameremo tale sistema (struttura principale + carichi esterni) “sistema 0”. Il sistema fittizio di forze è offerto, ad esempio, ancora dalla struttura principale in cui si ponga, come unica azione esterna, una coppia unitaria in C, ossia una coppia che corrisponde, a meno del valore, proprio all’incognita iperstatica del problema. Questo secondo sistema, che è quindi costituito dalla struttura principale gravata dalla azione della sola incognita iperstatica assunta, per il momento, unitaria, viene comunemente denominato come “sistema 1”.
Lezione n. 3 – pag. III.3
q X1=1 C
C L
“sistema 0”
“sistema 1”
L
A Z Z O B A
A
L/2
L/2
Utilizzando quindi il PLV, possiamo valutare il lavoro che il sistema “fitttizio” di forze (sistema 1) compie sul sistema “reale” di spostamenti (sistema 0). Il lavoro virtuale esterno è offerto dalla relazione L*e
= 1 ⋅ ϕ C (q )
mentre il lavoro virtuale interno vale L*i
N M χT = ( N 0 ⋅ ε1 + T0 ⋅ γ1 + M 0 ⋅ k 1 ) ds = N 0 ⋅ 1 + T0 ⋅ 1 + M 0 ⋅ 1 ds EA GA EJ
∫
∫
str
str
Da cui, uguagliando i due termini
χT N M ϕ C (q ) = N 0 ⋅ 1 + T0 ⋅ 1 + M 0 ⋅ 1 ds EA GA EJ
∫
str
E’ sufficiente quindi risolvere le due strutture che abbiamo indicato come “sistema 0” e “sistema 1” e valutare l’integrale riportato per ottenere il valore della rotazione provocata in C dai carichi. Tale termine è sovente indicato, in termini generalizzati, come η10, intendendo, con tale notazione, di indicare il valore dello spostamento (generalizzato, cioè può essere uno spostamento vero e proprio o una rotazione) in direzione e verso dell’incognita iperstatica X 1 (da cui il pedice “1”) causata dall’azione dei soli carichi esterni (il “sistema 0”, appunto, da cui il secondo pedice “0”). In maniera analoga, il valore della rotazione in C causato dall’azione di una coppia unitaria ancora applicata in C , può essere ricavato ricorrendo al PLV in cui il sistema fittizio di forze in questo caso coincide con il sistema reale di spostamenti. Si ottiene cioè L*e
= 1 ⋅ ϕ C (1)
mentre il lavoro virtuale interno vale L*i
M χT N = ( N1 ⋅ ε1 + T1 ⋅ γ1 + M1 ⋅ k 1 ) ds = N1 ⋅ 1 + T1 ⋅ 1 + M1 ⋅ 1 ds EA GA EJ
∫
∫
str
str
o anche
( N1 )2 χ(T1 )2 (M1 )2 ds ϕ C (1) = + + EA GA EJ
∫
Lezione n. 3 – pag. III.4
Il termine, nella notazione utilizzata nella scrittura dell’equazione di Müller-Breslau, viene indicato con η11, valore dello spostamento (generalizzato) in direzione e verso dell’incognita iperstatica X 1 (da cui il pedice “1”) causata dall’azione dell’incognita iperstatica posta uguale ad 1 (ancora il “sistema 1”, per cui il secondo pedice è “1”). La risoluzione dei due sistemi porge i risultati riportati nelle figure seguenti
“SISTEMA 0”
A Z Z O B q
Equilibrio alla rotazione (momenti rispetto ad A): L H C ⋅ L − (qL ) ⋅ = 0 ⇒ 2
H C
C
L
“sistema 0”
HC
=
qL 2
Equilibrio alla traslazione verticale: VA = 0
A
H A
Equilibrio alla traslazione orizzontale: qL H C + H A − (qL ) = 0 ⇒ H A = 2
L/2
V A
-qL/2
-
-qL/2
-
C
C
C
qL2/8
+
N0
T0
+
A
qL/2
T0 (z ) =
A
z
Equazioni dei diagrammi: qL qL z − (qz ) M 0 (z ) = ⋅ z − (qz ) ⋅ 2 2 2
M0
A
z
Lezione n. 3 – pag. III.5
“SISTEMA 1” H C 1
C
Equilibrio alla rotazione (momenti rispetto ad A): HC ⋅ L + 1 = 0
⇒
HC
=−
1 L
A Z Z O B L
“sistema 1”
Equilibrio alla traslazione verticale: VA = 0
H A
A
Equilibrio alla traslazione orizzontale: 1 HC + HA = 0 ⇒ HA = L
L/2
V A
1
1/L
/L
+
1
C
C
+
C
+
+
N1
A
T1
M1
A
A z
z
Equazioni dei diagrammi: 1 1 T1 (z ) = M1 (z ) = ⋅ z L L
Osservazione: i diagrammi precedenti sono stati disegnati utilizzando le seguenti ben note convenzioni per le Caratteristiche di Sollecitazione (CdS): − Il verso di percorrenza della struttura è concorde con z e, di conseguenza, si assumono positivi i momenti che tendono le fibre dalla parte tratteggiata. La convenzione è equivalente a quella che si sintetizza nella figura seguente, in cui sono riportate le caratteristiche di sollecitazione di segno positivo:
T
M
N
N
T
M
Lezione n. 3 – pag. III.6
La convenzione consiste nell’orientare la figura nella stessa direzione dell’asse della trave, lasciando il tratteggio dalla stessa parte di quello prescelto per la struttura. Sono positive le caratteristiche di sollecitazione se confrontate con quelle della figura, a seconda che si consideri la risultante delle forze a sinistra della sezione in cui si stanno calcolando (e allora i segni positivi sono quelli dati dalle CdS come riportate a sinistra) oppure delle forze a destra della sezione (di conseguenza i segni positivi sono quelli dati dalle CdS come riportate a destra) Qualunque sia la convenzione adottata, il diagramma dei momenti flettenti si disegna SEMPRE dalla parte delle fibre tese.
−
A Z Z O B
Una volta disegnati i diagrammi è possibile quindi ricavare le espressioni per gli spostamenti, attraverso le equazioni precedentemente scritte. Come già osservato, si trascurano i contributi deformativi dovuti al taglio supponendo la struttura sufficientemente snella. N M χT ϕ C (q ) = η10 = N 0 ⋅ 1 + T0 ⋅ 1 + M 0 ⋅ 1 ds = EA GA EJ str
∫
L/2
∫
=
0
− qL 1 1 dz + 2 L EA
L
3 qL qz 2 1 1 qL qL z− z dz = − + 2 L EJ 2 4 EA 24 EJ 0
∫
( N1 )2 χ(T1 )2 (M1 )2 ds = ϕ C (1) = η11 = + + EA GA EJ str
∫
L/2
=
∫ 0
1 L
2
L
1 dz + z EA L 1
∫
2
0
1
EJ
L/2
dz +
∫
(1)2
0
1
EJ
dz
=
1
2 L EA
+
5L
6 EJ
Di conseguenza si ha φC
= φ C (q ) + X1 ⋅ φ C (1) = η10 + X1 ⋅ η11 = −
qL
4 EA
+
qL3
1 5L + X1 + 24 EJ 2 L EA 6 EJ
Per congruenza, tale rotazione deve essere complessivamente nulla, per cui si ottiene
−
X1
=
qL
4 EA 1
+
2 L EA
qL3
24 EJ 5L
+
6 EJ
6 J 6 J ⋅ 1 − 2 2 1 − 24 EJ L A qL2 L A = = 20 3 J 5 L 3 J 1+ 1 + 2 2 6 EJ 5 L A 5 L A qL3
E’ a questo punto interessante trarre un’altra conclusione. I termini riportati all’interno delle parentesi tonde sono, nel caso di strutture snelle, spesso tra scurabili rispetto all’unità. Di questo è facile rendersene conto pensando, ad esempio, ad una trave la cui sezione sia rettangolare di dimensioni b×h. In questo caso si ha infatti b h 3
Lezione n. 3 – pag. III.7
da cui J
=
1 b h 3 1
h = 12 L 1
2
L2 A L2 12 b h Se, come supposto, la struttura è snella, il rapporto h/L assume valori molto inferiori ad 1 (nel caso del solido del De’ Saint Venant, di solito, si assume che L sia almeno un ordine di grandezza maggiore rispetto alle dimensioni trasversali della sezione, e, quindi, ad h). Anche assumendo h/L≈1/10, si avrebbero valori del rapporto J/(L2⋅A) nell’ordine di 1/1000, e quindi assolutamente irrilevanti rispetto al valore 1. Di conseguenza si può assumere per la struttura in figura, che
A Z Z O B X1 ≈
qL2
20 Le considerazioni precedenti ci inducono a trarre quindi la conclusione che
Per strutture snelle il contributo deformativo dovuto allo sforzo normale è, in generale, trascurabile rispetto a quello dovuto al momento flettente
Naturalmente l’affermazione precedente cessa di avere validità nel caso in cui si considerino strutture in cui il momento flettente è o totalmente assente o di gran lunga inferiore rispetto allo sforzo normale presente. Il concetto di “momento flettente inferiore rispetto allo sforzo normale” si può più correttamente esprimere valutando il rapporto tra M(z) e N(z) lungo lo sviluppo della struttura. Introducendo la grandezza “eccentricità” definita, in ogni sezione, dal rapporto e( z ) =
M (z )
N( z)
dimensionalmente rappresentato da una lunghezza, occorre quindi valutare che tale eccentricità sia sufficientemente grande, altrimenti il contributo deformativo dello sforzo normale può risultare preponderante rispetto a quello offerto dal momento flettente. In generale, si affermerà quindi che il contributo deformativo offerto dallo sforzo normale risulta trascurabile rispetto a quello del momento flettente se, lungo la trave, la disuguaglianza seguente è verificata e( z )
>> 1 h La funzione eccentricità rappresenta, lungo lo sviluppo della struttura, il luogo geometrico dei punti dai quali passa, in ogni sezione, la risultante delle CdS valutata in tale sezione. Tale luogo geometrico assume il nome di “curva delle pressioni” ed, in ogni punto, la risultante delle CdS risulta tangente a tale curva. Ad esempio, in una struttura esclusivamente soggetta a sforzo normale, l’eccentrità è comunque nulla, e, di conseguenza, la curva delle pressioni coincide con l’asse geometrico della trave. Se, viceversa, considerassimo una struttura sottoposta a solo momento flettente, la curva delle pressioni tenderebbe ad assumere una distanza infinita rispetto all’asse. La posizione della curva delle pressioni rispetto all’asse della trave assume quindi la funzione di indicare la prevalenza tra sforzo normale e momento flettente, e di conseguenza di giustificare o meno la trascurabilità delle deformazioni imputabili ad una piuttosto che all’altra CdS. Ricapitolando si può quindi affermare che
Per strutture snelle in cui la curva delle pressioni sia sufficientemente distante dall’asse della trave, il contributo deformativo dovuto allo sforzo normale è, in generale, trascurabile rispetto a quello dovuto al momento flettente
Lezione n. 3 – pag. III.8
Tornando all’esercizio proposto, possiamo concluderlo ricavando i valori delle sollecitazioni nella struttura. Il Principio di Sovrapposizione degli Effetti utilizzato in precedenza per ricavare il valore dell’incognita iperstatica X1 può essere utilizzato anche per tracciare i diagrammi finali. La struttura di partenza può infatti essere pensata come la somma del “sistema 0” e del “sistema 1” moltiplicato per il valore di X1. Si può, in sostanza, affermare che qualunque effetto ξ(z) in ogni sezione della struttura iperstatica può essere valutato come
ξ(z ) = ξ 0 (z ) + X1 ⋅ ξ1 (z )
A Z Z O B
dove ξ0(z) rappresenta tale effetto valutato nel “sistema 0” mentre ξ1(z) è lo stesso effetto nel “sistema 1”. Con il termine “effetto” si possono identificare tutte le grandezze statiche e cinematiche della struttura, quali reazioni vincolari, CdS, deformazioni, spostamenti. Ad esempio, il diagramma del momento flettente può essere valutato come M (z ) = M 0 (z ) + X1 ⋅ M1 (z )
utilizzando i diagrammi M0(z) e M1(z) già visti in precedenza. Nelle figure seguenti sono quindi riportati i valori delle reazioni vincolari ed i diagrammi delle CdS. 11/20 qL
2
1/20 qL
C
sistema effettivo
A
L
9/20 qL
L/2
-11/20 qL
2
qL /20
-
-11/20 qL
C
-
C
-
C
2
81/800 qL
N
T
+
A
9/20 qL
A z
+
A
M
z
Osservazione: i diagrammi del taglio e del momento hanno nel tratto verticale le equazioni T(z ) =
9
qL − (qz )
M(z ) =
9
qL ⋅ z − (qz ) ⋅
z
20 20 2 ottenute ancora per composizione lineare delle precedenti equazioni dei due sistemi.
Lezione n. 3 – pag. III.9
Il valore massimo del momento flettente, si ottiene nella sezione in cui la sua derivata (rappresentata dal diagramma del taglio) ha valore nullo. Quindi l’ascissa z 0 di momento massimo vale 9 9 T(z 0 ) = qL − (qz 0 ) = 0 ⇒ z 0 = L 20 20 e il momento massimo assume di conseguenza il valore M max
2
9 q 9 81 qL2 = M(z 0 ) = qL ⋅ L − ⋅ L = 20 800 20 2 20 9
A Z Z O B
Infine, le reazioni vincolari ed i diagrammi della struttura di partenza possono essere ricavati per simmetria da quelli appena disegnati q
q
C
-
-11/20 qL
C
L
N
struttura di partenza
A 9/20 qL
B
B
A
9/20 qL
L
qL /20
-11/20 qL
-
-
C
C
-
T
+
9/20 qL
A z
M
2
81/800 qL
B
+
9/20 qL
+
+
A
2
z
B
81/800 qL
Lezione n. 4 Richiami sulla linea elastica di una struttura La deformata di una struttura Per deformata della struttura si intende la configurazione che la struttura stessa assume a seguito dell’applicazione dei carichi. Nel caso di strutture snelle, la configurazione deformata è usualmente rappresentata dalla posizione che la linea d’asse (o la curva d’asse nel caso di strutture non rettilinee) assume a causa dei carichi (e delle eventuali coazioni) che su essa insistono. Il caso più semplice nel quale si riesce a determinare completamente la configurazione deformata è dato dalle travi ad asse rettilineo, piane, soggette soltanto a carichi ortogonali al proprio asse e giacenti nel piano della struttura ed, eventualmente, a coppie aventi l’asse momento perpendicolare al piano della struttura. La trave risulta quindi soggetta soltanto a taglio (T) e a momento flettente (M). Individuando un sistema di riferimento (Y,Z) nel piano della trave, rappresentato dal foglio nel quale la rappresentiamo (e quindi X ortogonale al foglio), si potrà quindi considerare il caso di una trave soggetta a solo taglio in direzione Y (T Y, per brevità indicato con T) e momento flettente lungo l’asse X (MX, per brevità M). La trave quindi, in assenza di sforzo normale, presenterà le Caratteristiche di Sollecitazione (CdS) riportate nella seguente tabella, unitamente alle correlative Caratteristiche di Deformazione (CdD). Sempre in tabella sono anche indicate le componenti di carico e di spostamento che risulteranno di interesse.
A Z Z O B Carichi
q(z) forza per unità di lunghezza, in direzione Y m(z) momento per unità di lunghezza, con asse in direzione X
Caratteristiche di Sollecitazione
Caratteristiche di Deformazione
γ(z)
T(z) taglio in direzione Y
scorrimento in direzione Y
M(z) momento k(z) curvatura in flettente, con asse direzione X in direzione X
Spostamenti
v(z) spostamento in direzione Y
ϕ(z)
rotazione intorno all’asse X
Come ben noto dalla meccanica dei solidi, carichi e CdS sono tra loro collegate dalle seguenti equazioni differenziali, denominate Equazioni Indefinite di Equilibrio dT ( z)
+ q ( z) = 0
dM( z)
+ q ( z) = 0
dM( z)
+ m( z ) = T ( z ) dz dz Una volta specificate le condizioni al contorno della trave (offerte dalle condizioni statiche dettate dall’eventuale presenza dei vincoli), sarà possibile esplicitare la soluzione del problema e quindi ricavare, in forma definita e non più indefinita, le espressioni per il taglio ed il momento flettente lungo l’asse della trave. Nel caso in cui non compaiano momenti distribuiti lungo l’asse della trave (e quindi sia nullo il termine m(z), le equazioni si semplificano e possono essere contemplate in un’unica equazione differenziale (del 2° ordine) di equilibrio dT ( z) dz
dz
= T(z)
⇒
d 2 M ( z) dz
2
= −q ( z )
Lezione n. 4 – pag. IV.2
Ancora dalla meccanica dei solidi, il legame tra spostamenti e CdD è offerto dalle seguenti equazioni differenziali, denominate Equazioni Indefinite di Congruenza d φ( z )
dv(z )
= k (z)
+ φ( z ) = γ ( z ) dz dz Anche in questo caso le condizioni cinematiche offerte dai vincoli permetteranno di rendere definite tali equazioni. Nel caso in cui si possa trascurare il termine di scorrimento γ(z) (che abbiamo già verificato essere collegato alla deformabilità per taglio, e quindi, spesso, trascurabile), le due equazioni si semplificano e possono essere contemplate in un’unica equazione differenziale (del 2° ordine) di congruenza
A Z Z O B d φ( z ) dz
dv(z )
= k (z)
dz
+ φ( z ) = 0
⇒
d 2 v( z) dz 2
= −k (z)
Infine, le equazioni di congruenza e di equilibrio sono tra loro collegate dalle Equazioni costitutive (o di legame). Nel caso elastico lineare, le equazioni nel caso piano che stiamo studiando sono, come noto, le seguenti γ(z)
χ T ( z )
=
k (z ) =
M ( z)
GA EJ che, nel caso in cui si trascuri la deformabilità per taglio, si riducono soltanto alla seconda.
Quindi, nel caso piano in cui non ci siano momenti applicati lungo l’asse della trave ed in cui si trascuri la deformabilità per taglio, i tre gruppi di equazioni possono essere raccolti in un’unica equazione differenziale, ottenuta per derivazioni successive. Equazioni indefinite di equilibrio
dT( z )
k (z ) =
= T(z)
d 2 M (z ) dz
dv(z )
2
M ( z) EJ
k (z ) =
= −q ( z )
M ( z) EJ
⇒
v′( z) = −φ( z)
= k (z)
⇒
v′′( z ) = − k (z )
M (z ) = EJ ⋅ k ( z)
⇒
− EJ ⋅ v′′(z) = M(z)
dM( z )
= T ( z)
⇒
− [EJ ⋅ v′′(z)]′ = T(z)
+ q ( z) = 0
⇒
[EJ ⋅ v′′(z)]″ = q (z)
d φ( z ) dz
dz dT ( z)
dz dv( z ) dz
+ φ( z ) = 0
dz
Equazioni indefinite di congruenza
d φ( z )
+ q ( z) = 0
dz dM( z) dz
Equazioni costitutive
= k (z)
+ φ( z ) = 0
d 2 v(z ) dz
2
= −k (z)
Lezione n. 4 – pag. IV.3
Avendo indicato con il segno di apice la derivazione rispetto a z. L’equazione ottenuta (differenziale, del IV ordine) prende il nome di Equazione della Linea Elastica . Nel caso in cui la trave sia caratterizzata da valori costanti di E e J, l’ultima equazione può essere es sere riscritta come segue EJ ⋅ v(IV) ( z)
= q ( z)
L’equazione differenziale può essere risolta, in termini di v(z), una volta specificate 4 condizioni al contorno (c.c.), che sono ancora dettate dalle condizioni statiche e cinematiche offerte dagli eventuali vincoli. Una volta nota la soluzione v(z), per derivazioni successive si ricaveranno, utilizzando le seguenti relazioni (riscritte nel caso EJ=cost.), tutte le grandezze deformative e di sollecitazione di interesse
A Z Z O B v(z)
φ( z )
= −v′(z)
k (z ) = − v′′( z)
M (z ) = −EJ ⋅ v′′(z )
T( z) = −EJ ⋅ v′′′( z )
Quindi la conoscenza della funzione v(z), denominata come Linea Elastica, permette, almeno nel caso di trave piana rettilinea, di determinare completamente lo stato di sollecitazione/deformazione in tutti i punti della trave stessa. E’ importante notare quindi che lo stato di sollecitazione e deformazione della struttura è univocamente determinato se, oltre ai carichi, si conoscano 4 c.c. indipendenti che permettano di integrare l’equazione differenziale del IV ordine. Questa affermazione tornerà di particolare utilità quando ci addentreremo nella soluzione di una trave iperstatica utilizzando il metodo dell’equilibrio, al fine di identificare quelli che saranno definiti come movimenti indipendenti di di una struttura. Un’ultima osservazione: non si è mai parlato dell’eventuale grado di iperstaticità della trave. L’integrazione dell’Equazione della Linea Elastica è infatti sempre possibile, sia nel caso di una trave isostatica che iperstatica. A titolo di esempio, proviamo a risolvere la stessa trave che abbiamo incontrato nella lezione n. 1, cercando di determinare l’andamento della deformata, ossia disegnando la funzione v(z) che rappresenta lo spostamento verticale della linea d’asse della trave.
q
A
B
z
y
L
Lezione n. 4 – pag. IV.4
Nell’ipotesi di indeformabilità indeformabili tà per taglio ta glio e valore costante c ostante del prodotto EJ lungo l’asse della trave, l’equazione differenziale acquista la forma EJ ⋅ v (IV) ( z ) = q o anche q
v (IV) (z ) =
EJ Da cui, per successive integrazioni, si ottiene
A Z Z O B v′′′( z ) = v′′( z) = v′(z ) = v( z ) =
q
⋅z+ A
EJ q
⋅
EJ q
EJ q
⋅
⋅
z2 2
z3 6
z4
+ A⋅z + B
+ A⋅
+ A⋅
z2 2
z3
+ B⋅ z + C
+ B⋅
z2
+ C⋅z + D
EJ 24 6 2 in cui le 4 costanti A, B, C e D sono da determinare in modo da rispettare le c.c. offerte dai vincoli. Nel caso in esame, occorre quindi esplicitare le condizioni (statiche o cinematiche) offerte dai vincoli presenti sulla trave. In particolare, sono statiche le condizioni che riguardano valori (noti) del Taglio o del Momento, mentre sono cinematiche le condizioni che riguardano valori (noti) di spostamenti o rotazioni. Il vincolo (di incastro) in A in A,, fornisce le seguenti indicazioni Condizioni cinematiche
Condizioni statiche
v( A)=0 A)=0
T( A) A)≠0
A)=0 ϕ( A)=0
M( A) A)≠0
in cui soltanto quelle riportate nella colonna di sinistra sono effettivamente utilizzabili, in quando forniscono indicazioni circa valori noti delle caratteristiche alle quali si riferiscono. E’ ancora possibile notare che condizioni statiche e cinematiche sono tra loro “duali” per quanto riguarda grandezze correlative (ossia per cui il prodotto abbia la grandezza di un lavoro): se si impone la condizione v( A)=0, A)=0, ad esempio, questa è corrispondente, per il postulato fondamentale della meccanica, ad assumere che T( A) A)≠0, in quanto l’azione del vincolo (cinematicamente definito dall’equazione v( A)=0) A)=0) può aver luogo soltanto grazie all’azione di una forza applicata, nella direzione del taglio, appunto. Il vincolo (appoggio semplice) in B in B fornisce fornisce invece le seguenti indicazioni Condizioni cinematiche
Condizioni statiche
v( B)=0 B)=0
T( B) B)≠0
B)≠0 ϕ( B)
M( B)=0 B)=0
delle quali soltanto due [v( B)=0 B)=0 e M( B)=0] B)=0] sono utilizzabili ai nostri fini. Le quattro c.c. effettivamente individuate possono essere quindi utilizzate per ricavare i valori delle costanti che compaiono nell’espressione di v(z)
Lezione n. 4 – pag. IV.5
v( A)=0 A)=0
⇒
v(0) = 0
A)=0 ϕ( A)=0
⇒
− v′(0) = 0
v( B)=0 B)=0
⇒
v( L ) = 0
M( B)=0 B)=0
⇒
− EJ ⋅ v′′(L) = 0
in cui si è identificata la sezione A sezione A con con l’ascissa z=0 e la sezione B sezione B con con z=L. Riscrivendo tali condizioni in termini di soluzione generale, si perviene ad un sistema di 4 equazioni in 4 incognite
A Z Z O B v(0) = 0 − v′(0) = 0 v(L) = 0 − EJ ⋅ v′′(L) = 0
D = 0 − C = 0 4 3 2 q ⋅ L + A ⋅ L + B⋅ L + C⋅L + D = 0 EJ 24 6 2 2 − EJ ⋅ q ⋅ L + A ⋅ L + B = 0 EJ 2
⇒
Da cui la soluzione
A = − 5 qL 8 EJ 1 qL2 B = 8 EJ C = 0 D = 0
E quindi v( z ) =
q
⋅
z4
EJ 24
−
5 qLz 3
48
⋅
EJ
+
1 qL2 z 2
16
⋅
EJ
z4 5 3 1 2 2 = ⋅ − ⋅ Lz + ⋅ L z 8 EJ 3 6 2 1 q
Per derivazione, a questo punto, si possono ricavare le equazioni per le altre grandezze φ( z )
= − v′(z) = −
4 5 ⋅ z 3 − ⋅ Lz 2 + L2 z 8 EJ 3 2 1 q
M (z ) = −EJ ⋅ v′′(z ) = −
q
T( z) = −EJ ⋅ v′′′( z) = −
q
8
[
2
2
]
⋅ 4z − 5Lz + L = −
⋅ [8z − 5L] =
5
qL2 8
+
5
8
qLz −
qz 2 2
qL − qz 8 8 Le funzioni ottenute mostrano gli andamenti riportati in figura
Lezione n. 4 – pag. IV.6
v(z)
A
B
B
A
f
(z)
L
L z1
z1
A Z Z O B M(z)
-
A
T(z)
B
+
A
+
B
-
L
L
z0
z0
Prendendo spunto dall’esempio studiato, si possono ricordare alcune proprietà, evidenziate nei grafici: - l’ascissa di spostamento verticale massimo è ad una distanza da B da B pari pari a z1, coincidente con il punto di rotazione nulla (essendo la rotazione la funzione che, a meno di un segno, descrive la derivata dello spostamento) - analogamente, l’ascissa di momento momento flettente massimo è ad una distanza da B B pari a z0, coincidente con il punto di taglio nullo (essendo il taglio la funzione che descrive la derivata del momento flettente) - i valori delle reazioni vincolari (che non sono stati calcolati direttamente), direttamente), possono essere ricavati attraverso le espressioni del momento flettente e del taglio. Infatti si ottiene M (0) = −
qL2 8
T(0) =
5 8
qL
T ( L) =
5
3 qL − qL = − qL 8 8
quindi la reazione vincolare in A in A è è rappresentata da una coppia antioraria (in modo da provocare 2 un momento negativo) pari a qL /8, la reazione verticale è costituita da una forza verso l’alto pari a 5/8·qL, mentre la reazione in B in B è è rappresentata da una forza verticale verso l’alto (in modo da provocare un taglio negativo rispetto al verso di percorrenza della trave) pari a 3/8·qL
- il diagramma degli spostamenti è descritto da una curva che presenta punti di flesso f (f ) in corrispondenza dei punti di nullo del diagramma del momento flettente (visto che il diagramma del momento, proporzionale a quello delle curvature, descrive la funzione derivata seconda dello spostamento In termini qualitativi (e non quantitativi) la semplice conoscenza delle c.c. di tipo cinematico e l’andamento (anche in forma qualitativa) del diagramma del momento, permette di individuare la deformata della struttura. Prendendo sempre spunto dall’esempio appena disegnato, le condizioni cinematiche (anche quelle non utilizzate come c.c. dell’equazione differenziale) ci forniscono le seguenti indicazioni:
Lezione n. 4 – pag. IV.7
Condizioni cinematiche in A in A
in B in B
v( A)=0 A)=0
v( B)=0 B)=0
A)=0 ϕ( A)=0
B)≠0 ϕ( B)
cioè la Linea Elastica della trave è rappresentata da una funzione che parte da un valore nullo in A (ed in A in A ha ha tangente orizzontale) per terminare in B in B ancora ancora con un valore nullo (ma tangente diversa da zero). Il diagramma dei momenti ci dice inoltre quale deve essere la concavità della funzione nei vari tratti (permettendoci, ad esempio, di stabilire che, per rispettare la concavità, in B la B la rotazione deve essere antioraria). A questo punto è possibile disegnare, in termini qualitativi, la deformata della struttura anche senza valutare l’esatta espressione della Linea Elastica.
A Z Z O B B
A
f
L
zona a concavità negativa (M<0)
v=0 =0 ϕ =0
unto di flesso (M=0)
f
zona a concavità positiva (M>0)
M(z)
-
A
v=0 ϕ≠ 0
B
+
In termini qualitativi, è quindi possibile tracciare la deformata di una qualsiasi struttura, in cui gli effetti deformativi preponderanti siano quelli dovuti al momento flettente.
Tornando all’esempio studiato nella lezione n. 3, la conoscenza delle condizioni offerte dai vincoli, delle (eventuali) simmetrie strutturali e del diagramma dei momenti (anche soltanto qualitativa), consentono di tracciare la deformata della struttura. La deformata di ogni singolo tratto, infatti, può essere pensata come se derivasse dall’applicazione della Linea Elastica per quello specifico tratto. L’ipotesi di indeformabilità assiale (ossia di trascurabilità delle deformazioni causate dallo sforzo normale) consente, oltre alla considerazione precedente, di valutare gli spostamenti di alcuni punti. La simmetria della struttura ci ricorda inoltre che la sezione contraddistinta dal punto C non può traslare in orizzontale nè ruotare, ma può soltanto traslare in verticale.
Lezione n. 4 – pag. IV.8
C
D
E
-
D
C
f
+
E f
+
A Z Z O B B
A
B
A
In termini qualitativi, possiamo quindi permetterci le seguenti osservazioni: - il punto D D (e per simmetria, il punto E ) non si sposta verticalmente, in quanto l’asta AD, AD, non deformandosi assialmente, mantiene inalterata la distanza tra A tra A e e D D.. - i punti D punti D,, C ed E ed E sono sono costretti ad avere lo stesso spostamento orizzontale, data l’indeformabilità assiale dell’asta DE . Inoltre, dato che, per simmetria, il punto C non si può spostare in orizzontale, ne consegue che nè D nè D,, nè C , nè E nè E traslano traslano orizzontalmente. - il segno del momento flettente ci fornisce indicazioni circa le concavità dei dei vari tratti della deformata (riportate in figura). I punti di nullo nel diagramma del momento flettente posizionano inoltre gli eventuali flessi nella deformata stessa. - per inciso, il tratto DE tratto DE è è sottoposto all’azione di un momento flettente costante. Di conseguenza, la deformata presenterà, in quel tratto, una curvatura costante e sarà quindi rappresentata da un arco di cerchio. - la conoscenza della concavità ci permette di affermare che la sezione in A in A,, che può ruotare ma non spostarsi (data la presenza della cerniera), ruoterà in senso orario (per rispettare la concavità della deformata). Analogamente il punto B, B, per simmetria, ruoterà della stessa quantità ma in verso antiorario. - il punto C , che può traslare verticalmente, dovrà spostarsi verso l’alto. Infatti i due punti D ed D ed E E sono fermi, la concavità deve essere quella riportata in figura, e, di conseguenza, non può che verificarsi uno spostamento con tale segno. A conclusione del ragionamento appena fatto, si riporta la deformata qualitativa della struttura in esame.
D f
A
C
E f
D
E
f
f
B
C
A
B
Lezione n. 5 Richiami del metodo di congruenza Introduzione al metodo dell’equilibrio Nella soluzione di una trave iperstatica (cioè staticamente indeterminata o geometricamente iperdeterminata) si può pensare di avere a che fare con una struttura nella quale si hanno “troppi” vincoli rispetto a quelli strettamente necessari a garantire l’equilibrio. Il primo modo (e apparentemente il più naturale) di agire consiste nell’”eliminare” i vincoli sovrabbondanti e ricercare i valori delle reazioni vincolari corrispondenti ai vincoli soppressi che ripristino le condizioni cinematiche dovute ai vincoli stessi. Il metodo richiede la scelta di una struttura principale isostatica (≡ equilibrata per ogni condizione di carico) e, utilizzando il Principio di Sovrapposizione degli Effetti (PSE), la determinazione delle incognite iperstatiche (rappresentate, in senso generalizzato, da forze ) avviene ripristinando la congruenza . In altre parole, utilizzando il teorema di Kirchhoff, si può affermare che si ricerca (attraverso la somma di soluzioni sicuramente equilibrate) l’unica soluzione che è anche congruente. La procedura appena delineata si può indicare attraverso due diversi nomi: METODO DELLA CONGRUENZA perchè le equazioni che permettono di risolvere il problema e di ricavare le incognite iperstatiche sono equazioni di congruenza perchè le incognite sono rappresentate, in senso METODO DELLE FORZE generalizzato, da forze L’unica richiesta del metodo è quella di ricercare la soluzione passando attraverso una struttura principale (che non è unica, ossia univocamente determinabile) in equilibrio sotto l’azione dei carichi e delle incognite iperstatiche (e quindi una struttura isostatica o, almeno, staticamente determinata per le condizioni di carico che deve sopportare). Anziché ripercorrere il metodo in generale, osserviamo come si applica nel caso particolare di una struttura due volte iperstatica (i=2).
A Z Z O B MB
A
q
C
B
δ
STRUTTURA DI PARTENZA (i=2)
L
L
MB
A
δ
B X1
q
C
X2
STRUTTURA PRINCIPALE X1 e X2 incognite iperstatiche t.c.: vB=δ (abbassamento in B) vC=0 (abbassamento in C )
Lezione n. 5 – pag. V.2
MB A
q
C
B
η20
η10
SISTEMA “0” Struttura principale + carichi esterni
A Z Z O B A
X1=1
η11
C
B
A
η21 *
SISTEMA “1” Struttura principale + incognita iperstatica X1 posta uguale ad 1
X2=1
B
η12[*]
[ ]
C
η22
SISTEMA “2” Struttura principale + incognita iperstatica X2 posta uguale ad 1
* : per il teorema di Betti (più correttamente, per il teorema di Maxwell):
η12=η21
L’equazione che permette di risolvere il problema (ossia permette di ricavare X 1 e X2) è quella di Müller-Breslau:
η (1) = η1 δ = η10 + X1 ⋅ η11 + X 2 ⋅ η12 ⇒ ( 2) η = η 2 0 = η 20 + X1 ⋅ η 21 + X 2 ⋅ η 22 in cui η(i) rappresenta il valore dello spostamento (in direzione e verso dell’inc. iperstatica i-esima) nella struttura di partenza. Le equazioni possono essere riscritte come:
∑ ∑
δ − η10 = η1 j ⋅ X j j=1,2 η 2 j ⋅ X j − η 20 == j=1,2
o anche (in termini matriciali):
[η] ⋅ {X} = {η}
in cui ηi
= η (i ) − η i 0
La matrice [ ] (detta matrice [dei coefficienti] di flessibilità) è quadrata, simmetrica (per il teorema di Betti/Maxwell) e (si può dimostrare attraverso il teorema di Clapeyron) definita positiva. Di conseguenza il sistema ammette sempre soluzione (dato che det[ ]≠0), e questa (per il teorema di Kirchhoff) è ovviamente unica.
Lezione n. 5 – pag. V.3
- la non unicità della scelta della struttura principale (per cui il procedimento di calcolo è difficilmente automatizzabile); - per risolvere la struttura occorre calcolare un numero di termini che cresce con il quadrato del grado di iperstaticità della struttura (ci sono da calcolare gli n ⋅(n+1)/2 della matrice [ ] e gli n termini del vettore dei termini noti, essendo n il grado di iperstaticità della struttura); il metodo risulta praticamente inapplicabile quando si è in presenza di strutture con molte iperstatiche. I due inconvenienti possono essere superati introducendo un nuovo metodo di soluzione, in qualche modo “duale” rispetto a quello appena descritto.
A Z Z O B
L’idea che l’unicità della soluzione porta con sé, è che anziché ricercare TRA LE SOLUZIONI EQUILIBRATE L’UNICA CONGRUENTE si possa ricercare TRA LE EQUAZIONI CONGRUENTI L’UNICA CHE RISPETTI L’EQUILIBRIO. In altre parole si “rovescia” l’approccio utilizzato: si rendono incogniti alcuni spostamenti e se ne cerca il valore che rispetta l’equilibrio. Per tale motivo il nuovo metodo verrà identificato con i nomi: perché le equazioni che permettono di risolvere il METODO DELL’EQUILIBRIO problema e di ricavare le incognite iperstatiche sono equazioni di equilibrio METODO DEGLI SPOSTAMENTI perché le incognite sono rappresentate, in senso generalizzato, da spostamenti L’idea di base che permette di istituire un metodo di soluzione in forma duale può essere riassunta dall’affermazione per cui “in ogni membratura lo stato di sollecitazione e di deformazione sono univocamente determinati sia che si conoscano le sollecitazioni alle estremità, sia che si conoscano gli spostamenti alle estremità, una volta noto il carico che sulla membratura agisce”. Riferendosi all’esempio riportato in figura, proviamo a determinare il legame tra M A e ϕA. MA
B
A
ϕA
L
Il collegamento può essere ricavato applicando il PLV, utilizzando i due sistemi riportati in figura, dove si è indicato con S.S.D. il Sistema di Spostamenti e Deformazioni (reale) e con S.F.S.* il Sistema di Forze e Sollecitazioni (virtuale, da cui l’apice *): MA
1*
B
A
ϕA
B
A
L
L
MA/L
MA/L
1*/L
1*/L
+
+
S.S.D.
S.F.S.*
Considerando la sola deformabilità conseguente al momento flettente si ottiene L
*
1 ⋅ φA
M A L3 1* dz M A z = ⋅ ⋅ ⋅z = ⋅ L L EJ L2 EJ 3
∫ 0
ossia
Lezione n. 5 – pag. V.4
φA
= MA
L 3 ⋅ EJ
Quindi affermare che in A, a causa del momento MA, si ha una rotazione ϕA che vale MA⋅L/3EJ, è del tutto equivalente ad affermare che affinché la rotazione in A valga ϕA occorre applicare, sempre in A, una coppia del valore MA=ϕA⋅3EJ/L.
A Z Z O B
Osservazione: il termine L/3EJ rappresenta una “flessibilità” (o cedevolezza) della trave, in quanto è analogo ad un termine del tipo η ij nell’equazione di Müller-Breslau: rappresenta il valore della rotazione (in A) indotto da una coppia di valore unitario (ancora applicata in A). Il suo inverso (3EJ/L) che compare nel legame tra M A e ϕ A rappresenta una “rigidezza” della trave, in quanto è il valore del momento flettente (in A) che induce (sempre in A) una rotazione unitaria. Si indica, di solito, con il simbolo K o W. In conclusione: sapendo che in A è applicato un momento, conoscendo il valore della rotazione ϕA si possono determinare, in maniera univoca, sia lo stato di sollecitazione che di spostamento della struttura. L’idea del metodo dell’equilibrio può quindi essere introdotta facendo uso dello stesso esempio usato in precedenza per il metodo della congruenza.
MB
q
A
C
B
δ
L
L
La trave può essere divisa in due membrature, il tratto AB ed il tratto BC : per congruenza le due sezioni (entrambe indicate con B) dovranno possedere gli stessi spostamenti. A causa del vincolo e dell’assenza di sforzo normale sulla trave, i movimenti consentiti in B sono lo spostamento verticale vB (in questo caso, trattandosi di spostamento impresso, che dovrà essere uguale a δ) e la rotazione (di valore incognito) ϕB. MB’
A
ϕB
L
MB”
B
B
δ
δ
q C
ϕB
L
E’ da notare che, in B, gli spostamenti delle due strutture sono già stati posti uguali, in maniera da rendere automaticamente rispettata la condizione di congruenza. Inoltre: - MB’+MB”=MB, per equilibrio - se conoscessi MB’ e MB” (oppure ϕB) avrei già risolto il problema: MB’ è infatti quel valore del momento che fa ruotare di ϕB l’estremo di destra della trave AB; equivalentemente, MB” è quel valore del momento che fa ruotare di ϕB l’estremo di destra della trave BC - conoscere ϕB è equivalente a conoscere MB’ per la parte di sinistra o MB” per la parte di destra, a causa dell’osservazione fatta in precedenza. Ognuna delle due membrature può essere pensata, utilizzando il PSE, come la somma di più travi,
Lezione n. 5 – pag. V.5
MB’
A
ϕB
MB” B
B
Mδ
ϕB
δ
δ
L
q C L
BA
C
(1) - rotazione in B impedita - azione dei soli cedimenti vincolari
C
(2) - rotazione in B impedita - azione dei soli carichi esterni
C
(3) - rotazione in B consentita - azione dei momenti che garantiscono la rotazione
A Z Z O B A
Mδ
B (ϕB=0)
BC
δ
δ
BA
Mq
Mq
B (ϕB=0)
BC
q
A
B (ϕB=0)
B (ϕB=0)
BA
A
ϕB
Mϕ B
BC
Mϕ
B
ϕB
Note: - il vincolo disegnato nella struttura (1) in B è chiamato “pattino”: è una rappresentazione equivalente ad un bipendolo ad asse orizzontale, impedisce cioè la rotazione e la traslazione orizzontale - momenti e rotazioni sono stati arbitrariamente segnati antiorari: nel caso non lo fossero, alle sollecitazioni occorrerà attribuire il segno negativo I tre sistemi individuati, se sommati, danno il sistema di partenza, sia come azioni esterne (carichi e cedimenti) che come spostamenti. Le strutture (1) e (2) possono essere risolte: i valori dei momenti indicati sono quelli che, per la condizione di carico esaminata nei singoli casi, garantiscono l’assenza di rotazione (è evidente, ad esempio, che MqBA sarà nullo, non agendo sulla trave nessun carico). Il termine MϕBA è il valore del momento da applicare in B affinché la trave AB ruoti della quantità ϕB. Alla luce di quanto visto in precedenza, si può porre BA Mφ
= φ B ⋅ K BA
dove K BA è la rigidezza dell’asta AB in B. Analogamente BC = φ B ⋅ K BC Mφ
con K BC è la rigidezza dell’asta BC in B. A questo l’equivalenza con il sistema dal quale siamo partiti impone che
M'B + M"B
=
MδBA + MδBC
+
MqBA + M BC q
+ φ B ⋅ K BA + K BC
Lezione n. 5 – pag. V.6
φB ⋅ K B = M0B dove si è posto M 0B
=
(M 'B + M"B − (M δBA + M δBC − (M qBA + M qBC = M B − (M δBA + M δBC − (M qBA + M qBC
Se avessimo avuto più spostamenti incogniti, avremmo ottenuto un sistema lineare nella forma:
[K ]⋅ {u} = {F}
A Z Z O B
dove si è posto {u} vettore contenenti i valori degli spostamenti generalizzati incogniti {F} vettore contenenti i valori delle forze (generalizzate) applicate nei nodi, meno i valori delle forze necessarie ad impedire gli spostamenti dei nodi sotto l’azione dei carichi esterni, [K ] matrice di rigidezza [K ] gode delle stesse proprietà di [ ] (quadrata, simmetrica, definita positiva) e ne rappresenta, in qualche modo, l’inversa. Osservazioni: - si è proceduto per situazioni congruenti nel senso del rispetto dei vincoli e della continuità materiale, supponendo, di volta in volta, o spostamenti nulli o tali che soltanto uno fosse diverso da zero (nei casi (1) si ha soltanto δ in B; nei casi (2) si ha assenza di spostamenti in B; nei casi (3) si ha soltanto ϕB) - il valore corretto di ϕB è l’unico che ripristina l’equilibrio: l’equazione risolutiva è quindi un’equazione di equilibrio - i sottosistemi di (1), (2) e (3) sono (in generale) ancora iperstatici, però costituiti da travi ad una sola campata (con vincoli soltanto alle estremità) in cui può avvenire un solo movimento per volta: gli altri spostamenti o sono bloccati o sono conseguenti a questi - la trave dalla qual siamo partiti era 2 volte iperstatica; è stata comunque risolta introducendo una sola incognita (ϕB), ottenendo quindi un certo miglioramento rispetto al metodo della congruenza (dove le incognite erano 2) - le incognite sono rappresentate da un insieme di spostamenti (in senso generalizzato) che permettono di caratterizzare “in senso completo” la deformata della struttura: si chiamano movimenti indipendenti - essendo le incognite rappresentate da movimenti, è intuitivo che il metodo è tanto più efficace quanto questi sono in misura minore, ossia quanto più la struttura è iperstatica La struttura in figura è 9 volte iperstatica. Se B A consideriamo gli elementi indeformabili assialmente (cioè trascurabile la deformabilità per sforzo normale) allora si ha che la deformata è univocamente determinata noti i tre valori degli spostamenti u2 u3 u1 spostamento orizzontale di E (comune a tutti i F2 F1 punti della travata CDE ) u2 rotazione del nodo E C E u 1 D u3 rotazione del nodo D La struttura, utilizzando il metodo dell’equilibrio, potrebbe quindi essere risolta introducendo soltanto 3 incognite iperstatiche.
F
G
Lezione n. 6 Rigidezze e coefficienti di trasmissione Affinché si possa utilizzare efficacemente il metodo dell’equilibrio nella soluzione di travature iperstatiche, occorre ricavare, per le varie membrature, il valore della rigidezza nei confronti degli spostamenti dei vincoli di estremità e saper risolvere, in funzione di questi, le travi a campata singola.
A Z Z O B Esempio #1: trave incastro-appoggio
Data la struttura in figura, stabilire il legame tra M B e ϕB.
B
MB
ϕB
A
L
e conoscere il diagramma dei momenti senza aver bisogno, ogni volta di calcolarlo. Per risolvere la trave riportata in figura, è utile iniziare studiando un caso un po’ più semplice.
MA
B
A
ϕB
ϕA
L
Nel caso in esame, si è già visto il legame tra MA e ϕA φA
= MA
L
3 ⋅ EJ
Per ricavare il valore di ϕB si può ancora ricorrere al PLV: MA
ϕB
A
1*
B
A
L
MA/L
L
MA/L
S.S.D.
*
1
1*/L
1*/L
+
+
L
B
S.F.S.*
M A M A L2 1 L3 M A ⋅ L 3 − 2 1* dz ⋅ φB = ⋅ z ⋅ 1* − ⋅ z = ⋅ − ⋅ = L EJ L ⋅ EJ 2 L 3 EJ 6 L
∫ 0
ossia
Lezione n. 6 – pag. VI.2
φB
= MA
L 6 ⋅ EJ
quindi la rotazione in B è oraria (opposta a quella in A) e vale la metà di ϕA. Osservazione: Trascurando la deformabilità assiale (quindi se la deformazione è soltanto flessionale) le tre travi disegnate sono del tutto equivalenti
A Z Z O B MA
MA
B
MA
B
A
B
A
A
Alla stessa casistica potrebbe essere ricondotto anche il caso di trave vincolata soltanto attraverso due appoggi verticali, ottenendo una struttura labile ma staticamente determinata per la particolare condizione di carico. Le differenze tra i vari sistemi possono entrare in gioco soltanto nel caso di carichi (o coazioni) lungo l’asse della trave; se la struttura è invece soltanto inflessa, si può far tranquillamente riferimento ad uno qualunque degli schemi disegnati. Tornando al caso proposto in partenza, il risultato appena trovato risulta particolarmente utile per ricavare il legame tra MB e ϕB. B
MB
ϕB
A
L
La trave è 2 volte iperstatica: data però l’assenza di sforzo normale, la soluzione è la stessa della trave seguente, che risulta 1 volta iperstatica B
MB
ϕB
A
L
Si può quindi risolvere la trave nell’ottica del metodo della congruenza, scegliendo, come incognita iperstatica, il valore del momento flettente in A
MB
B
A
MB
A
=
B
ϕA0
MB/L
ϕB0
MB/L
Sfruttando il risultato precedente, si può affermare che φ A0
= MB
L 6 ⋅ EJ
φ A1
=X
e quindi, imponendo la congruenza,
L 3 ⋅ EJ
+
X
A
B
ϕA1
X/L
ϕB1
X/L
Lezione n. 6 – pag. VI.3
0 = φA
= φ A0 + φ A1 = MB
L 6 ⋅ EJ
+X
L 3 ⋅ EJ
=0
da cui
X=−
MB 2
Inoltre, sempre sfruttando i risultati noti ed il PSE
A Z Z O B φB
= φ B0 + φ B1 = MB
L
3 ⋅ EJ
+X
L
6 ⋅ EJ
= MB
L
3 ⋅ EJ
−
MB
L
2 6 ⋅ EJ
=
MB ⋅ L 4 −1 EJ
12
= MB
L
4 ⋅ EJ
da cui φB
= MB
L
4 ⋅ EJ
Il risultato si può esprimere anche dicendo che la rigidezza alla rotazione in B vale
k B
= 4⋅
EJ L
RIGIDEZZA ALLA ROTAZIONE (k) valore del momento flettente che occorre applicare all’estremità di una trave per ottenere una rotazione unitaria nella sezione di applicazione della coppia
I risultati ottenuti sono riassunti nella figura seguente
A
MB
B
MB/2
L
MB/2
M(z)
-
+
zona a concavità negativa (M<0)
v=0 ϕ =0
f
MB
unto di flesso (M=0)
v=0 zona a concavità positiva ϕ≠ 0 (M>0)
ϕB
A
B
φB
f
= MB
L 4 ⋅ EJ
Lezione n. 6 – pag. VI.4
Una volta noti i momenti, si possono ricavare i valori delle reazioni verticali e disegnare il diagramma del taglio
A
MB
B
MB/2
L
3MB/(2L)
3MB/(2L)
A Z Z O B T(z)
3MB/(2L)
3MB/(2L)
+
I valori delle reazioni verticali sono stati trovati imponendo l’equilibrio alla traslazione verticale ed alla rotazione
VA − VB = 0 VB = VA V ⋅ L = M + M B ⇒ V = 3 M B B A A 2 L 2
Il rapporto tra il valore del momento applicato in B (M B) ed il valore della reazione iperstatica in A (MA=MB/2) è ovviamente sempre lo stesso, indipendentemente dal valore della coppia applicata in B, in quanto è una proprietà della particolare trave studiata (ossia della specifica disposizione dei vincoli di estremità). Si può sintetizzare il risultato affermando che il coefficiente di trasmissione assume, per la trave studiata, il valore t=+½. In particolare: - il valore ½ deriva dal fatto che applicando un momento pari a MB si TRASMETTE all’altra estremità un momento di valore pari a MB/2 - il segno + dipende dal fatto che entrambe le coppie (se considerate come azioni applicate alla trave) hanno lo stesso verso (nel caso in esame, sono entrambe antiorarie). NB: non si deve tener conto del valore del momento come riportato nel diagramma dei momenti, ma il segno della coppia considerata come azione applicata alla trave COEFFICIENTE DI TRASMISSIONE (t) rapporto (con segno) tra il momento applicato all’estremità di una membratura ed il momento che si rileva all’estremità opposta
I risultati ottenuti dallo studio della trave in esame, possono essere sintetizzati come in figura. Tutte le grandezze non esplicitamente riportate possono essere derivate, come si è visto, da quelle indicate.
A
ϕB
t=+½
L
B
MB
k B
φB
= 4⋅
=
EJ L
MB k B
Lezione n. 6 – pag. VI.5
Esempio #2: MENSOLA Anche in questo caso, data la struttura in figura, l’obiettivo è ricavare il collegamento tra il valore di MB e gli spostamenti uB e ϕB della sezione di estremità. uB B
ϕB
A
MB
A Z Z O B L
La struttura è isostatica, per cui, in questo caso, è immediato tracciare il diagramma dei momenti
MB
A
MB
B
L
M(z)
MB
MB
+
Il risultato si sintetizza dicendo che il coefficiente di trasmissione vale t=-1 (i momenti alle due estremità sono uguali ma hanno verso opposto). I valori di uB e ϕB si possono calcolare utilizzando il PLV: 1*
MB
MB
ϕB
A
1*
A
B
B
L
MB
+
L
MB
S.S.D.
L
1* ⋅ φ B
∫
= (M B ) ⋅ (1*) 0
ossia φB
= MB
L
EJ
dz
EJ
= MB ⋅
L
EJ
1*
+
1*
S.F.S.*
Lezione n. 6 – pag. VI.6
1*/L
MB
vB
A
MB
B 1*
A
B
L
L 1* MB
+
MB
1*/L
+
A Z Z O B S.S.D.
S.F.S.*
L
*
1
1* dz L2 ⋅ v B = (M B ) ⋅ z = M B ⋅ 2 ⋅ EJ L EJ
∫ 0
ossia
vB
= MB
L2
2 ⋅ EJ
La deformata della struttura è quella riportata in figura seguente, in cui l’asse della trave (dato il valore costante del momento) si atteggia secondo un arco di cerchio (curvatura costante).
MB
ϕB
A
B
uB
L
Analogamente al caso precedente, il risultato ottenuto può essere riassunto come segue
A
ϕB
t=-1
L
B
MB
k B =
EJ L
Lezione n. 6 – pag. VI.7
Esempio #3: TRAVE APPOGGIATA CON CARICO ANTIMETRICO
M
ϕB
A
ϕA
M B
C L
Nel caso della trave riportata in figura, è facile trovare il collegamento tra il valore della rotazione e quello del momento applicato. Data la simmetria della struttura(*) e l’antimetria del carico, si può affermare che φ A = φ B (rotazioni entrambe orarie)
A Z Z O B φC
≠ 0 vC = 0 MC = 0
Si può allora considerare metà struttura, sostituendo all’altra metà il vincolo che la rappresenta
M
C
A
ϕA
L/2
Il caso riportato in figura è un caso noto: si era già visto che la rigidezza alla rotazione di una trave appoggiata con una sola coppia all’estremità assume il valore 3EJ/L, con L luce della trave, da cui, in questo caso φA
=M
(L / 2) L =M 3 ⋅ EJ 6 ⋅ EJ
mentre la rotazione in C assume un valore pari alla metà di quello appena ricavato. La deformata della trave è riportata in figura seguente. Il valore della rotazione in C assume il valore φC
=M
L
12 ⋅ EJ
pari alla metà del valore in A. Il risultato deriva dire ttamente da quello già ottenuto nel caso di trave con cerniera e carrello, uguale a quello a cui ci siamo ricondotti utilizzando il principio di identità.
M
ϕB
A
ϕA
C
B
M
ϕC
L
In conclusione, si può affermare che il valore della rigidezza alla rotazione assume il valore
(*)
La trave disegnata non è una trave simmetrica, in quanto i vincoli di destra e sinistra sono diversi. Data comunque l’assenza di sforzo normale nella trave, la reazione orizzontale in A è nulla. Il caso è quindi equivalente a quello di una trave su due appoggi semplici o, in alternativa, al caso di una trave con
Lezione n. 6 – pag. VI.8
k =
6 ⋅ EJ L
come riportato nella figura seguente. Il valore del coefficiente di trasmissione perde, in questo caso di significato, essendo noti a priori (ed imposti) i valori delle due coppie alle estremità della trave.
M
ϕB
A
M B
A Z Z O B ϕA
C
k =
6 ⋅ EJ
L
L
Esempio #4: TRAVE APPOGGIATA CON CARICO SIMMETRICO
M
M
C
A
ϕA
B
ϕB
L
Anche in questo caso, il collegamento tra il valore della rotazione e quello del momento applicato può essere ricavato facilmente facendo ricorso a risultati già ricavati in precedenza. Data la simmetria della struttura (ferme restando le osservazioni fatte riguardo all’esempio precedente) e del carico, si può affermare che φ A = −φ B (rotazioni di verso opposto, oraria in A, antioraria in B) φC
= 0 vC ≠ 0 MC ≠ 0
Analogamente al caso precedente, ricorrendo al principio di identità è possibile considerare soltanto metà struttura, sostituendo all’altra metà il vincolo che la rappresenta
M
A
C
ϕA
L/2
Date le condizioni di vincolo, la reazione verticale in A è nulla, per cui l’unica reazione vincolare è offerta da una coppia M in C , con verso opposto rispetto a quella applicata. La trave risulta quindi sottoposta ad un momento flettente costante. Le condizioni vincolari consentono di tratteggiare la deformata riportata in figura che presenta una forte analogia con quella di una mensola di uguale luce, sottoposta anch’essa ad un momento flettente costante. Le due deformate, infatti, a meno di una traslazione rigida, sono le stesse, essendo entrambe rappresentate da un tratto a curvatura costante.
M
M
A
ϕA
C
ϕA L/2
A
C L/2
Lezione n. 6 – pag. VI.9
Sfruttando quindi il risultato ottenuto nel caso della mensola (la cui rigidezza alla traslazione vale EJ/L, con L luce della trave), si può affermare che il valore della rotazione in A è pari a
=M
φA
(L / 2)
=M
L
EJ 2 ⋅ EJ e la trave si deforma qualitativamente come in figura. L’abbassamento del punto C, operando sempre in analogia con una mensola di luce L/2 vale
M
M
A Z Z O B A
(L / 2)2 L2 vC = M =M 2 ⋅ EJ 8 ⋅ EJ
B
C
ϕA
ϕB
L
La rigidezza alla rotazione assume quindi il valore
k =
2 ⋅ EJ L
come riportato nella figura seguente(**). Anche in questo caso non è stato riportato il valore del coefficiente di trasmissione in quanto privo di significato.
M
M
B
C
A
ϕA
ϕB
k =
L
2 ⋅ EJ L
La tabella seguente riporta il riepilogo dei casi esaminati, e che risulteranno di particolare utilità nella risoluzione di sistemi iperstatici attraverso il metodo dell’equilibrio. E’ da notare che tutti i valori delle rigidezze ottenuti sono dipendenti dal valore del parametro EJ/L che acquista quindi un ruolo di particolare importanza. Tale grandezza viene denominata come rigidezza fondamentale o rigidità della trave, e si indica con il simbolo R
R =
(**)
EJ L
E’ interessante notare come allo stesso risultato si possa giungere anche per altra via. Considerando infatti il valore della rotazione della sezione A (ma un ragionamento del tutto analogo vale per la sezione B), si può osservare che il caso in esame è scomponibile nella somma dei due casi seguenti
M
B
A
ϕ’A
+
L
Sfruttando risultati già noti si può affermare che: φA
= φ'A + φ"A =
M⋅L 3 ⋅ EJ
+
M⋅L 6 ⋅ EJ
=
M⋅L 2 ⋅ EJ
B
A
ϕ”A
L
M
Lezione n. 6 – pag. VI.10
Un’ultima osservazione riguarda il fatto che, aumentando il grado di vincolo, la trave offre via via rigidezze alla rotazione crescenti: in altre parole, più gli spostamenti risultano impediti e maggiore è il valore della coppia che occorre applicare ad un’estremità perché tale estremità ruoti di un valore unitario. coefficiente di trasmissione
Trave
valore della rotazione
rigidezza alla rotazione
altri spostamenti
A Z Z O B A
B
ϕB
MB
t = -1
φB
= MB
L
L
EJ
k = R
vB
= −M B
k = 3R
φa
= −M B
L2
2 ⋅ EJ
MB
B
C
A
ϕA
ϕB
t=0
φB
= MB
t=½
φB
= MB
φB
= MB
L
3 ⋅ EJ
L
6 ⋅ EJ
L
A
B
ϕB
MB
L
M
4 ⋅ EJ
k = 4R
---
M
ϕA
C
ϕC
A
L
B
---
ϕB
φA
L
6 ⋅ EJ
k = 6R
φC
= −M B
= φB
L
12 ⋅ EJ
L
M
M
C
A
ϕA
ϕB
B
---
φB
= MB
φA
L
2 ⋅ EJ
= −φB
L
Note:
- le rotazioni sono state indicate positive se antiorarie - gli spostamenti verticali sono stati indicati positiv i se verso il basso - R=EJ/L
k = 2R
vC
= MB
L2
8 ⋅ EJ
Lezione n. 7 Il metodo dell’equilibrio: esempio #1 I vincoli ausiliari Nel corso della presente lezione, attraverso l’ausilio di un esempio, si introdurranno i concetti fondamentali legati al metodo di soluzione di una struttura iperstatica nell’ottica del metodo dell’equilibrio. Le caratteristiche del metodo che verranno delineate sono comunque del tutto generali, e possono essere utilizzate anche nel caso di sistemi iperstatici diversi da quello esaminato. La struttura analizzata è riportata nella figura seguente. Si tratta di una trave inflessa, a due campate, che può essere definita come una travatura composta da due aste ( AB e BC ) e tre nodi ( A, B e C ). q B A C
A Z Z O B L
L
In generale verranno definiti come nodi le sezioni di una travatura in cui: - confluiscono più aste; - sono presenti dei vincoli. Le due circostanze si possono, evidentemente, presentare anche contemporaneamente, essendo infatti possibile che una stessa sezione, per quanto sede di un vincolo, rappresenti anche la confluenza di più aste. Per asta (riferendoci quindi a sistemi composti da tratti rettilinei) si intenderà un tratto di struttura in cui i vincoli siano presenti soltanto alle estremità. Inoltre, qualunque tratto tra due nodi, verrà identificato come asta. Ogni singola asta è quindi rappresentata da un tratto rettilineo, vincolato soltanto alle estremità, soggetto ad una condizione di carico qualunque. La procedura di soluzione nell’ambito del metodo dell’equilibrio consiste in tre fasi, che verranno illustrate nel seguito, costituite da: - identificazione dei movimenti indipendenti - fase I: soluzione della struttura con movimenti indipendenti bloccati - fase II: soluzione della struttura con movimenti indipendenti consentiti ed azioni soltanto nei nodi
Identificazione dei movimenti indipendenti
La prima operazione che occorre effettuare consiste nell’identificazione degli spostamenti dei nodi che è necessario conoscere per avere informazioni complete circa la deformata della struttura. Tali spostamenti verranno definiti come movimenti indipendenti , e giocano un ruolo fondamentale nel metodo dell’equilibrio, in quanto essi rappresenteranno le incognite del problema che ci accingeremo a definire e risolvere. Il termine “spostamenti” è da intendersi in senso generalizzato, ossia verranno compresi nel termine sia spostamenti che rotazioni. Questa fase è in qualche modo equivalente alla scelta della struttura principale nella soluzione di una travatura iperstatica attraverso il metodo della congruenza, dove si identificavano le sollecitazioni (incognite) in una struttura ottenuta da quella di partenza, resa isostatica attraverso l’eliminazione di un numero opportuno di vincoli. Il modo di procedere consiste quindi nell’identificazione di quei valori degli spostamenti dei nodi della struttura che non sono definiti “a priori” dalle condizioni vincolari.
Lezione n. 7 – pag. VII.2
Nel caso in esame, trattandosi di una struttura costituita da tre nodi, dovranno, in generale, essere definiti i valori dei seguenti nove spostamenti: nodo A: nodo B: nodo C :
wA wB wC
vA vB vC
ϕA ϕB ϕC
dove con i termini w, v e ϕ si sono indicati rispettivamente gli spostamenti orizzontali, quelli verticali e le rotazioni. Di tali nove grandezze, sette risultano definite “a priori” dalla presenza di vincoli che impediscono uno o più gradi di libertà del sistema. In particolare, i due incastri in A e C bloccano tutti e tre gli spostamenti relativi a tali sezioni, mentre l’appoggio semplice in B impedisce lo spostamento verticale vB. Di conseguenza, il numero degli spostamenti che occorre conoscere per “disegnare” la deformata della struttura si riduce a due, ossia il valore dello spostamento orizzontale in B (wB) e della rotazione nella stessa sezione (ϕB).
A Z Z O B nodo A: nodo B: nodo C :
w XA wB w XC
vXA vXB vXC
ϕXA ϕB ϕXC
Quindi, qualunque sia il carico applicato sulla struttura in esame, si dovranno determinare i valori di tali spostamenti per definire univocamente la deformata della struttura. Nell’ottica del procedimento della linea elastica, la conoscenza della deformata consentirà poi di risalire a tutte le caratteristiche di deformazione e di sollecitazione all’interno della struttura, attraverso semplici operazioni di derivazione. Alla luce della definizione offerta in precedenza, affermeremo dunque che la struttura in esame presenta, in generale, due movimenti indipendenti. L’analisi del tipo di carico presente nella struttura, l’introduzione di alcune ipotesi semplificative (quale, ad esempio, l’ipotesi di trascurabilità della deformabilità per sforzo normale), la presenza di eventuali simmetrie strutturali (e di carico), consentono spesso di ridurre il numero dei movimenti che la semplice osservazione del grado di vincolo individuerebbe come indipendenti. Nel caso in esame, ad esempio, l’assenza di carico in direzione dell’asse della trave permette di affermare l’assenza di sforzo normale lungo la travatura e la conseguente assenza di reazioni vincolari in direzione orizzontale. La travatura, di conseguenza, non si deforma in direzione del suo asse, per cui lo spostamento wB, a priori incognito, assume un valore nullo. Tale considerazione consente di affermare che tale struttura può essere studiata facendo ricorso ad un solo movimento indipendente, la rotazione ϕB della sezione in B. E’ da porre attenzione al fatto che la struttura può essere studiata sfruttando tale osservazione, ma in generale non sarebbe necessario: se venisse risolta impostando il problema con due movimenti indipendenti, si ricaverebbe alla fine che wB=0, a riprova dell’assunzione che, in questo momento, viene fatta a priori. Le osservazioni precedenti ci consentono quindi di affermare che lo stato di deformazione/sollecitazione nella struttura sarebbe completamente noto una volta che fosse stato determinato il valore di ϕB. E’ semplice rendersi conto della validità di tale affermazione osservando che, suddividendo la struttura nelle aste che la compongono e immaginando di conoscer il valore di ϕB, sarebbe possibile procedere all’integrazione della linea elastica delle singole aste. Il momento flettente MB riportato nelle figure rappresenta il valore (incognito) dell’unica caratteristica di sollecitazione che i due tratti si scambiano attraverso la sezione in B.
Lezione n. 7 – pag. VII.3
MB
MB
q A
ϕB
B
B
C
ϕB L
L
(IV) = 0
EJ ⋅ v 2
(IV) = q EJ ⋅ v
A Z Z O B 1
v1(A) = 0
v1(B) = 0
v1′ (A) = 0
v1′ (B) = −φ(B) = −φ B
v 2 (B) = 0
v 2 (C) = 0
v′2 (B) = −φ(B) = −φ B
v′2 (C) = 0
Nota: nella convenzione adottata nella linea elastica, le rotazioni sono positive se antiorarie
Le due equazioni differenziali sono integrabili in quanto, in entrambi i casi, sono definite 4 condizioni al contorno. Una volta ricavate le espressioni per le linee elastiche delle due travi v1(z) e v2(z), si può risalire ai diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione mediante le usuali operazioni di derivazione. In particolare, il valore del momento flettente (incognito) M B potrà essere ricavato attraverso una delle due espressioni seguenti
M B = −EJ ⋅ v1′′ (L)
M B = −EJ ⋅ v′2′ (0)
E’ quindi possibile impostare la soluzione della struttura cercando di ricavare il valore della rotazione ϕB. E’ opportuno notare che la struttura (5 volte iperstatica) può quindi essere risolta impostando un problema con una sola incognita, anziché 5 (o tre, se si sfrutta la circostanza che sulla trave non è presente sforzo normale) come sarebbe stato necessario utilizzando il metodo della congruenza.
Fase I: struttura con movimenti indipendenti bloccati
In una prima fase, si studia la struttura in cui vengano impediti tutti i movimenti assunti come indipendenti. Sfruttando la definizione di “vincolo” (che rappresenta un meccanismo atto ad impedire lo spostamento, nella direzione efficace del vincolo, in una sezione della struttura), si può supporre di impedire i movimenti indipendenti attraverso l’introduzione di un numero opportuno di vincoli in aggiunta a quelli già presenti nella struttura. Tali vincoli prendono il nome di “ vincoli ausiliari ” e servono soltanto ad evidenziare il fatto che alcuni movimenti, inizialmente consentiti alla struttura, vengono temporaneamente impediti. Tali vincoli sono tanti quanti sono i movimenti indipendenti del problema che si sta studiando. Il vincolo che, nel caso in esame, occorre inserire è un vincolo che impedisca la rotazione in B. Tale vincolo si definisce come “ morsetto ” e si rappresenta con un quadratino in corrispondenza della sezione della quale si vuole impedire la rotazione. q
B
C
A
L
L
Lezione n. 7 – pag. VII.4
La presenza di tale vincolo, alle luce delle precedenti osservazioni, introduce di fatto un incastro nella sezione in B, che era già impedita di traslare sia orizzontalmente che verticalmente. E’ quindi possibile affrontare lo studio di tale struttura suddividendolo nei due casi riportati in figura, corrispondenti alle due aste AB e BC . q MA
A
B
MB
B
C
A Z Z O B VA
VB
L
L
La seconda trave è ovviamente scarica; nella prima occorre identificare i valori delle reazioni vincolari, che il semplice utilizzo delle relazioni di equilibrio non permette di valutare in quanto siamo in presenza di una struttura iperstatica. Concentrando l’attenzione sul solo tratto AB, è possibile comunque sfruttare la simmetria della struttura e del carico per affermare che: - le due reazioni VA e VB sono uguali tra loro e, per equilibrio, valgono qL/2; - le due reazioni M A e MB hanno la stessa intensità e sono opposte tra loro (come riportato in figura); il loro valore rappresenta, operando secondo il metodo della congruenza, il valore dell’incognita iperstatica, che verrà quindi indicato con X. Ci siamo quindi ricondotti, nell’ottica del metodo della congruenza, alla soluzione della trave riportata in figura, che può, a sua volta, essere scomposta nei due casi rappresentati, nei quali si è riportata anche la deformata qualitativa. q
X
A
X
B
qL/2
=
qL/2
L
q
A
ϕB(q)
ϕA(q)
A
B
L
ϕB(X)
B
X
+
qL/2
ϕA(X)
qL/2
VA
X
L
VB
La congruenza con il sistema di partenza richiede che φA
= φ A (q ) + φ A (X ) = 0
Data la simmetria dei due sistemi, imporre un valore nullo della rotazione in A comporta anche l’annullamento della rotazione in B. Il valore di ϕA(X) può essere direttamente ricavato in quanto si tratta di una trave appoggiata con carico simmetrico. Come già notato, le due reazioni vincolari VA e VB sono nulle, la trave è
Lezione n. 7 – pag. VII.5
soggetta ad un momento flettente costante (e quindi si deformerà con curvatura costante, atteggiandosi quindi secondo un arco di cerchio), e la rotazione vale X X⋅L φ A (X ) = = 2R 2 ⋅ EJ Il valore di ϕA(q) può invece essere calcolato facendo ancora ricorso al PLV, utilizzando come sistema di spostamenti e deformazioni (reale) il primo dei due sistemi, e come sistema di forze e sollecitazioni (virtuale) un sistema come quello riportato in figura.
A Z Z O B q
A
B
ϕB(q)
ϕA(q)
A
B
1*
L
VA
qL/2
VB
qL/2
L
Sistema reale di spostamenti e deformazioni (S.S.D.)
Sistema virtuale di forze e sollecitazioni (S.F.S.*)
Data la simmetria del problema è possibile anche operare in maniera diversa. E’ infatti possibile assumere come sistema virtuale di forze e sollecitazioni, data l’arbitrarietà della scelta, un sistema analogo al secondo in cui si ponga X=1: q
A
ϕB(q)
ϕA(q)
qL/2
B
A
B
1*
1*
qL/2
L
L
Mmax=qL2/8
M*
M
z
z
M (z ) =
qL 2
z−q
z2
M * (z ) = 1*
2
Sistema reale di spostamenti e deformazioni (S.S.D.)
Sistema virtuale di forze e sollecitazioni (S.F.S.*)
La valutazione del lavoro esterno fornisce in questo caso: L*e
= 1 ⋅ φ A (q ) + 1⋅ φ B (q ) = 2 ⋅ φ A (q )
dove si è sfruttata la simmetria (per cui i due valori delle rotazioni sono uguali tra loro). Il termine di lavoro interno assume invece il valore: L
L*i
2 3 3 3 qL z 1 qL qL qL = z − q (1*) dz = − = 2 2 EJ 4 EJ 6 EJ 12 ⋅ EJ ⋅ ⋅ 0
∫
Lezione n. 7 – pag. VII.6
qL3
φ A (q ) =
24 ⋅ EJ
L’equazione di congruenza fornisce quindi: qL3
0 = φ A (q ) + φ A (X ) =
+
24 ⋅ EJ
X⋅L
=0 ⇒
2 ⋅ EJ
X=−
qL2 12
che rappresenta la soluzione della travatura iperstatica(*). Ricapitolando, si ha quindi il risultato riportato in figura
A Z Z O B qL2/12
qL2/12
q
A
B
qL/2
qL/2
L
2 1 /
4 2 /
2
2 1 /
2
L q
2
L q
L q
M
z
Data la simmetria del diagramma, si ha che il valore massimo del momento è in corrispondenza della mezzeria della trave e vale M (z ) = −
(*)
qL2 12
qL
+
2
z−q
z2
2
L qL2 qL L q L qL2 M max = M = − + − = 12 2 2 2 2 24 2
⇒
2
La trave può essere risolta seguendo una via leggermente diversa, sempre nell’ottica del metodo della congruenza. Per simmetria, la rotazione del punto di mezzo della trave (H) deve essere nulla. Sfruttando le relazioni già richiamate nel caso della trave inflessa si ha che dφ(z )
= k (z ),
k (z ) =
M(z )
dz EJ Per integrazione si ottiene z
φ(z ) = φ(0) +
∫
M(ξ ) EJ
z
dξ
0
=
∫
⇒
M(ξ ) EJ
0
in cui si è sfruttato il fatto che flettente fornisce
dφ(z) dz
=
M(z) EJ
dξ
ϕ(0)=0 (ossia che la rotazione in A è nulla). L’equazione del momento
ξ
q
X
A
H
B
L
qL/2
M (ξ ) = X +
X
qL 2
ξ−q
ξ2 2
qL/2
ottenendo
L
0 = φ(H ) = φ =
2
L/2
∫ 0
M(ξ ) EJ
L/2
dξ =
1 EJ
∫ 0
qL ξ2 1 X ⋅ L qL3 + X + ξ − q dξ = ... = 2 2 EJ 2 24
Lezione n. 7 – pag. VII.7
Osservazione: è importante sottolineare che il diagramma del momento flettente è ottenuto dalla somma del diagramma della trave semplicemente appoggiata con carico uniforme (andamento parabolico con momento nullo alle estremità e momento massimo pari a qL 2 /8 in mezzeria) e del diagramma della trave soggetta ad un momento flettente uniforme di intensità pari a qL 2 /12. La loro somma è evidentemente ancora rappresentata da una parabola uguale a quella della trave sottoposta a carico uniforme, traslata verso l’alto di una quantità pari a qL 2 /12: risulta chiaro allora che la somma dei valori assoluti dei momenti di incastro e del momento in mezzeria debba ancora valere qL2 /8
A Z Z O B + M max =
M min
qL2 12
8
2
L
L q
qL2
qL /12
A
2 1 /
=
24
q
2
qL /12
2
+
qL2
q
qL /12 A
B
A
B
qL /12 B
L
4 2 /
2 1 /
2
=
L
+
Mmax=qL2/8
2 1 /
2
L q
L q
2
L q
Una volta risolto il tratto AB, è possibile rappresentare la soluzione della trave completa in quella che è stata definita come fase I, ottenendo i risultati riportati in figura in termini di reazioni vincolari, diagrammi del taglio, diagramma del momento e deformata; tali diagrammi sono stati ricavati affiancando quelli del tratto AB con quelli del tratto BC (in questo caso scarico). Il momento flettente disegnato in tratteggio in corrispondenza del vincolo ausiliario in B rappresenta la reazione che tale vincolo esercita per mantenere nulla la rotazione in B, ed è offerto dalla somma delle reazioni vincolari in B nei due tratti considerati. fase I: diagrammi finali
qL2/12 q
2
qL /12
A
C
B
qL/2
qL/2
L
2 / L q
L
T
2 / L q
2 1 /
4 2 /
2
2 1 /
2
L q
2
L q
L q
M
B A
f
f
C
Lezione n. 7 – pag. VII.8
Fase II: struttura con movimenti indipendenti consentiti ed azioni soltanto nei nodi La seconda fase nella soluzione della struttura consiste nella rimozione dei vincoli ausiliari posti in fase I e nella determinazione dei valori effettivi dei movimenti indipendenti. L’obiettivo è quello di definire una struttura che consenta, per somma con la fase I, di ritrovare la struttura di partenza. In altre parole, occorre costruire una struttura per cui le due strutture in fase I e fase II forniscano, sommando gli effetti, la soluzione della trave iniziale. Con riferimento all’esempio che stiamo studiando, è evidente che la fase II è rappresentata da una trave con gli stessi vincoli di quella di partenza (quindi in cui sia consentita la rotazione ϕB), gravata della reazione, cambiata di segno, del vincolo ausiliario posto in fase I. Tale operazione è infatti equivalente alla rimozione del morsetto in B inserito in fase I.
A Z Z O B q
B
A
struttura di partenza
C
ϕB=?
L
L
=
2
q
fase I
qL /12
A
C
B
L
L
+
2
B
fase II
qL /12
ϕB=?
A
L
C
L
Questo modo di operare presenta il vantaggio che, in fase II, le azioni applicate sulla struttura sono in corrispondenza soltanto dei movimenti indipendenti, e sono ad essi correlative. Così facendo, è agevole risolvere la struttura in questa fase facendo ricorso soltanto ai concetti di rigidezza e di coefficienti di trasmissione. La struttura della fase II può infatti essere risolta suddividendola inizialmente nei singoli tratti AB e BC che la compongono, ricavando le azioni necessarie a far ruotare B della quantità (per il momento ancora incognita) ϕB:
Lezione n. 7 – pag. VII.9
MAB=t⋅MBA=2R ⋅ϕB
MBA=4R ⋅ϕB
MBC=4R ⋅ϕB
B A
MCB=t⋅MBC=2R ⋅ϕB
ϕB
B
ϕB
C
L
L
A Z Z O B trave incastro-appoggio: rigidezza alla rotazione in B: K BA=4R coefficiente di trasmissione: t=+1/2
trave incastro-appoggio: rigidezza alla rotazione in B: K BC=4R coefficiente di trasmissione: t=+1/2
Con il doppio indice per le rigidezze ed i momenti si intende evidenziare la sezione alla quale tali grandezze si riferiscono (primo indice) ed il tratto al quale sono relative (entrambi gli indici). Ad esempio, MBA rappresenta il momento applicato in B e relativo al tratto AB. Il valore della rotazione in B può essere ricavato imponendo la condizioni di equilibrio tra i due tratti in cui la trave è stata suddivisa e la struttura in fase II. Occorre infatti che, per equilibrio, M BA
+ M BC =
qL2
12 essendo qL /12 il valore del momento applicato in B. Si ottiene quindi, sostituendo le relazioni che legano il valore del momento a quello delle rotazioni, 2
4R ⋅ φ B + 4R ⋅ φ B
=
qL2 12
⇒
8R ⋅ φ B
=
qL2 12
⇒
φB
=
1 qL2
8R 12
qL3 = = 96 ⋅ R 96 ⋅ EJ qL2
Il valore ricavato rappresenta il risultato cercato: l’imposizione della condizione di equilibrio in fase II ha quindi consentito la determinazione del valore dell’incognita del problema. A questo punto, sostituendo il valore ottenuto nelle relazioni precedenti, si ottiene la soluzione della struttura in fase II 2 2 MBC=4R ⋅(qL /96R)= MCB= 2R ⋅(qL /96R)= 2 2 2 2 MAB= 2R ⋅(qL /96R)= MBA=4R ⋅(qL /96R)= qL /24 qL /48 2 2 qL /48 qL /24 B B A ϕB= C ϕB= 2 2 qL /96R qL /96R
L
qL/16
L
qL/16
qL/16
8 4 /
4 2 /
2
L q
qL/16
4 2 /
2
L q
2
M
L q
8 4 /
2
M
L q
Analogamente a quanto fatto in precedenza, la soluzione dell’intera struttura in fase II si ottiene combinando i risultati dei singoli tratti, ottenendo i grafici riportati in figura in termini di reazioni vincolari, diagrammi del taglio, diagramma del momento e deformata.
Lezione n. 7 – pag. VII.10
fase II: diagrammi finali 2
2
qL2/12
MA= qL /48
MC= qL /48
B C
A L
qL/16
L
A Z Z O B qL/16
6 1 / L q
T
qL2/12
8 4 /
2
4 2 /
2
L q
8 4 /
L q
2
L q
4 2 /
2
L q
ϕB= qL2/96R
A
M
f
B
C
f
Composizione delle due fasi
La struttura è a questo punto risolta. La combinazione (“somma”) della fase I con la fase II permette di ricavare qualunque grandezza di interesse nella trave. Nella figura seguente sono riportati i diagrammi in termini reazioni vincolari, diagramma del taglio, diagramma del momento e deformata. Si noti che la discontinuità presente nel diagramma dei momenti in fase II in corrispondenza di B si annulla componendo le due fasi, come del resto era logico attendersi osservando che, in assenza di momenti flettenti applicati, il diagramma dei momenti deve essere continuo in B. Inoltre, il valore della rotazione in B assume esattamente il valore ricavato in fase II, essendo il valore di pari a zero nella fase I. In altre parole, la deformata della struttura segue, nel suo complesso e relativamente agli spostamenti dei nodi, i valori ricavati nella sola fase II. Nei singoli tratti è ovviamente possibile scrivere in forma estesa le equazioni del taglio e del momento flettente. A titolo di esempio, nel tratto AB, scegliendo un’ascissa z con origine in A, si può scrivere: T(z ) =
9
16
M (z ) = −
qL − qz ,
5
2
48
qL
+
9
16
qLz − q
z2 2
Il valore massimo del momento nel tratto AB coincide con l’ascissa di taglio nullo, e quindi: T(z 0 ) = M max
9
16
qL − qz 0
= M(z 0 ) = −
=0 ⇒
5 48
2
qL
z0
=
9
16
L
2
9 q 9 83 + qL qL2 ≈ 0.054 qL2 L − L = 16 16 2 16 1536 9
Lezione n. 7 – pag. VII.11
diagrammi finali 2
2
5qL /48
qL /48
q A
C
B z
L
L
A Z Z O B 9qL/16
qL/16
8qL/16
6 1 / L q 9
6 1 / L q
T
6 1 / L q 7
8 4 /
2
L q 5
8 4 /
2
4 2 /
L q
2
L q
ϕB= qL2/96R
B
C
A
f
f
M
Lezione n. 8 Il metodo dell’equilibrio: esempio #2 Scelta dei movimenti indipendenti I coefficienti di ripartizione In questa lezione, sempre utilizzando un esempio, si discuterà della scelta dei movimenti indipendenti in una struttura e si introdurrà il concetto di coefficiente di ripartizione. La struttura analizzata, riportata nella figura seguente è ancora costituita da una trave inflessa, a due campate, che quindi può essere suddivisa nelle due aste AB e BC. F B A C
A Z Z O B L
L/2
L/2
In generale, la definizione della deformata della struttura richiede la conoscenza degli spostamenti dei tre nodi A, B e C . Dei nove movimenti nodali, 5 sono impediti dai vincoli (le tre componenti di spostamento in A, gli spostamenti verticali in B e C ), per cui la struttura può essere risolta, nell’ottica del metodo dell’equilibrio, impostando un problema con quattro incognite, costituite dai restanti valori incogniti degli spostamenti nodali: nodo A: nodo B: nodo C :
w XA wB wC
vXA vXB vXC
ϕXA ϕB ϕC
per condizioni vincolari
La particolare condizione di carico, caratterizzata dall’assenza di forze in direzione dell’asse longitudinale della trave, permette di affermare che i valori degli spostamenti orizzontali dei tre punti A, B e C debbano essere uguali tra loro, non essendoci deformazione longitudinale dell’asse della trave. Dal momento che le condizioni vincolari impongono w A=0, ne consegue che anche i valori degli spostamenti wB e wC saranno uguali a zero, riducendo il numero delle incognite da quattro a due. nodo A: nodo B: nodo C :
w XA w XB w XC
vXA vXB vXC
ϕXA ϕB ϕC
per condizioni vincolari e condizione di carico
In realtà la struttura può essere studiata anche ricorrendo ad un solo movimento indipendente, e quindi impostando il problema con una sola incognita: il movimento ϕC può infatti essere visto come movimento dipendente dagli altri. Nel caso in esame, ϕC può quindi esprimersi in funzione dell’unico movimento indipendente rimasto, ossia ϕB. E’ possibile rendersi conto della veridicità di questa affermazione pensando alla linea elastica di una singola membratura, quindi di una trave composta da una sola campata con vincoli soltanto alle estremità. Suddividendo la trave nei due tratti che la compongono, ed operando in maniera analoga a quanto già fatto in precedenza, si può infatti pervenire alla soluzione della trave anche impostando come unico parametro di spostamento incognito il valore dello spostamento ϕB. Anche per il tratto BC , indipendentemente dal tipo di carico applicato lungo la campata della trave si può infatti affermare che la conoscenza dello spostamento (per ora incognito) ϕB è sufficiente a definire completamente lo stato di deformazione e di sollecitazione della membratura.
Lezione n. 8 – pag. VIII.2
MB
MB
ϕB
B
A
F
B
C
ϕB L/2
L
L/2
v(C) = 0
A Z Z O B v(A) = 0
v(B) = 0
v′(A ) = 0
v′(B) = −φ(B) = φ B
v(B) = 0
v′(B) = −φ(B) = φ B M(C) = −EJv′ (C) = 0
Per entrambe le travi, la scrittura delle condizioni cinematiche e statiche consente di definire un numero di condizioni al contorno sufficienti all’integrazione della linea elastica, separatamente per ognuno dei due tratti (*). A parte il tratto di sinistra (che è già stato discusso in precedenza), per il tratto di destra non è quindi necessaria la conoscenza del valore di ϕC per risalire all’espressione della linea elastica del tratto BC e, per successiva derivazione, alla determinazione dello stato di deformazione e di sollecitazione in tale tratto. Il movimento ϕC può quindi essere ricavato in dipendenza dal valore della rotazione ϕB, in maniera del tutto analoga a quanto già affermato a proposito del valore del momento flettente MB. La dipendenza del valore della rotazione ϕC da ϕB può essere facilmente spiegata osservando che il particolare vincolo in C fornisce una condizione statica (l’annullamento del momento flettente MC) in sostituzione della condizione cinematica sul valore della rotazione. In altre parole, la conoscenza di una condizione di tipo statico in una sezione rende superflua la definizione del valore della rota(*)
L’effettiva integrazione della linea elastica nel caso in esame sarebbe in realtà un po’ più laboriosa e richiederebbe la definizione di 8 condizioni per definire le costanti di integrazione. La presenza della forza concentrata in D rende infatti discontinuo il diagramma del taglio in tale sezione, obbligando quindi a suddividere l’integrazione della linea elastica in due tratti distinti, il tratto BD ed il tratto DC . Per entrambi i tratti, l’equazione da integrare è del tipo
( )
EJ ⋅ v IV = 0 in quanto non si hanno carichi distribuiti lungo l’asse della trave, ed i due domini di integrazione sono definiti su un intervallo di lunghezza L/2.
MB
F
B
C
ϕB
L/2
D
L/2
(IV) = 0
(IV) = 0
EJ ⋅ v1
v1 (B) = 0
v1′ (B) = φ B
EJ ⋅ v 2
v1 (D) = v 2 (D )
− v1′ (D) = −v′2 (D)
v 2 (C) = 0
− EJ v ′2′ (C ) = 0
− EJ ⋅ v1′′ (D) = −EJ ⋅ v′2′ (D)
− EJ ⋅ v1′′′(D) = −EJ ⋅ v′2′′ (D) + F Le quattro condizioni, definite come condizioni di raccordo, scritte in corrispondenza della sezione D garantiscono il fatto che lo spostamento verticale, la rotazione ed il momento flettente siano, in tale
Lezione n. 8 – pag. VIII.3
zione nella stessa sezione, che può quindi essere ricavato in un momento successivo una volta integrata l’equazione della linea elastica. Il fatto è congruente con l’osservazione, già fatta a proposito del principio di identità, per cui non è possibile, in maniera arbitraria, assegnare in una stessa sezione di estremità di una trave, sia il valore del momento flettente che il valore della rotazione. E’ infatti la rigidezza della trave (intesa in senso lato) a “governare” il collegamento tra il valore della rotazione e quello della coppia applicata, per cui tali valori risultano tra loro intimamente connessi. Tutte le volte in cui le particolari condizioni di vincolo permettano di specificare una condizione statica nella sezione di estremità della trave, risulterà quindi superfluo introdurre il movimento correlativo nel novero dei movimenti da considerare indipendenti. E’ infine da sottolineare il fatto che l’evitare il ricorso alle considerazioni fatte, e continuare quindi a studiare la struttura con due movimenti indipendenti, non costituisce un ostacolo alla soluzione della struttura stessa, come verrà meglio evidenziato in lezioni successive. Nel caso in esame, il considerare due movimenti indipendenti per la trave comporta soltanto un onere calcolativo maggiore, essendo necessario impostare un problema un po’ più complesso, ma conduce esattamente agli stessi risultati che si ricaverebbero risolvendo la struttura con un solo movimento indipendente(**).
A Z Z O B
In ultima analisi, la struttura in esame può quindi essere risolta operando, nell’ottica del metodo dell’equilibrio, con il solo movimento indipendente ϕB. F =? ϕ B B A C
L
L/2
L/2
Analogamente a quanto fatto introducendo il metodo dell’equilibrio, una volta identificati i movimenti indipendenti, si opererà quindi in due fasi: - fase I: soluzione della struttura con movimenti indipendenti bloccati - fase II: soluzione della struttura con movimenti indipendenti consentiti ed azioni soltanto nei nodi
Fase I: struttura con movimenti indipendenti bloccati
Nella prima fase si impediscono nella struttura i movimenti assunti come indipendenti. Occorre quindi inserire un vincolo ausiliario (“morsetto”) in B in modo da imporre ϕB =0. F B A C
L
(**)
L/2
L/2
E’ già stato indicato il fatto che il metodo dell’equilibrio, più del metodo della congruenza, si presta ad una automatizzazione del procedimento di calcolo di strutture iperstatiche, ossia all’implementazione di algoritmi di soluzione all’interno di un elaboratore elettronico. Nel caso della soluzione tramite elaboratore, tutti i movimenti nodali incogniti (indipendentemente da osservazioni sui carichi, sull’eventuale dipendenza di alcuni di questi da altri, sulla presenza di possibili simmetrie) vengono assunti come movimenti indipendenti, al fine di costruire una procedura che risulti di carattere generale e scollegata dalle particolari condizioni della travatura in esame. La riduzione dei movimenti indipendenti al loro numero minimo risulta quindi di una certa importanza soltanto quando si operi
Lezione n. 8 – pag. VIII.4
La presenza del vincolo in B fa sì che tale sezione sia, di fatto, impedita di compiere qualunque spostamento, dal momento che v B=0 per la presenza dell’appoggio e w B=0 per la condizione di carico esaminata. Si può allora suddividere la struttura nei due tratti AB e BC inserendo in B un incastro. F A
C
B
B
D
A Z Z O B L
L/2
L/2
Il tratto AB, scarico, non richiede ulteriori approfondimenti. Il tratto BC può invece essere analizzato, considerando inizialmente una trave con un vincolo un po’ diverso, impedendo, per il momento anche la rotazione in C . F
B
C
D
L/2
L/2
Il punto D, per simmetria della struttura e del carico, può abbassarsi ma non ruotare. Di conseguenza si ha: F/2
F
B
D
L/2
MB
C
VB
L/2
B
MD
D
L/2
Mentre il valore della reazione verticale in B assume il valore F/2 per il rispetto dell’equilibrio alla traslazione verticale, il valore del momento flettente in B può essere ricavato nell’ottica del metodo della congruenza, come il valore della sollecitazione che impedisce la rotazione delle due sezioni in B e D. Si ha quindi L/2
(D ) − φ(B) =
φ
∫
dφ
L/2
=
0
∫ 0
dφ dz
L/2
dz =
∫
M(z ) EJ
0
L/2
dz =
∫ 0
M + F z dz = M ⋅ L + F ⋅ L2 B B 2 2 2 8
Imponendo i valori nulli alle rotazioni in D e B si ottiene 0 = MB ⋅
L 2
+F
L2
16
⇒
MB
=−
FL 8
F/2
FL/8
B
D F/2
MD=FL/8 L/2
Il valore del momento in D è stato ricavato per equilibrio alla rotazione: FL MD = MB + 22 FL FL FL + = MD = − 8 4 8
Lezione n. 8 – pag. VIII.5
Sfruttando la simmetria, si possono quindi riportare i valori delle reazioni vincolari, disegnare i diagrammi e la deformata del tratto BC (per ora considerando ancora nulla la rotazione in C ). F/2
FL/8 B F/2
FL/8 C
D L/2
F/2
L/2
A Z Z O B 2 / F
2 / F
8 / L F
8 / L F
B
8 / L F
D
T
M
C
f
f
La soluzione della trave BC è a questo punto abbastanza agevole: basta infatti osservare che il caso da studiare può essere scomposto nei due casi seguenti (***): F
C
B
D
L/2
F/2
FL/8
B
F/2
8 / L F
L/2
FL/16
+
C
L/2
8 / L F
L/2
FL/8
D
F/2
8 / L F
=
FL/8
C
B
3F/16
L
3F/16
6 1 / L F
8 / L F
(***)
E’ da notare che tale modo di procedere rappresenta (nel caso del tratto in esame) un’applicazione diretta del metodo dell’equilibrio. L’asta viene infatti risolta inserendo dapprima un “vincolo ausiliario” (il vincolo che impedisce la rotazione in C ) - e quindi operando secondo quella che è stata definita come “fase I” - e successivamente rimuovendolo, attraverso l’applicazione di una coppia uguale ed opposta
Lezione n. 8 – pag. VIII.6
Da cui si ottiene: 3FL/16
F C B
11 F/16
D L/2
L/2
A Z Z O B 5F/16
6 1 / L F 3
5FL/32
La soluzione della trave in fase I porge quindi il risultato riportato in figura seguente. fase I: diagrammi finali
3FL/16
F
A
C
B
L
D
L/2
L/2
5F/16
11 F/16
6 1 / F 1 1
6 1 / F 5
6 1 / L F 3
5FL/32
M
C
B
A
T
f
Fase II: struttura con movimenti indipendenti consentiti ed azioni soltanto nei nodi
Nella seconda fase occorrerà risolvere la struttura nella quale vengano rimossi i vincoli ausiliari posti in fase I, determinando i valori effettivi dei movimenti indipendenti. Nel caso in esame, l’eliminazione del vincolo ausiliario in B è equivalente all’applicazione, in tale sezione, di un momento flettente uguale ed opposto alla reazione vincolare esercitata in fase I. Si ottiene quindi la trave riportata in figura:
Lezione n. 8 – pag. VIII.7
A
C B
ϕB=? L
L in cui, per semplicità di scrittura, si è posto 3
A Z Z O B =
FL 16 La soluzione della travatura può essere ricavata suddividendola nei due tratti che la compongono e utilizzando il concetto di rigidezza. Il collegamento tra il valore della rotazione in B ed i momenti alle estremità delle membrature fornisce infatti:
MAB=t⋅MBA=2R ⋅ϕB
MBA=4R ⋅ϕB
ϕB
B
MBC=3R ⋅ϕB B
C
ϕB
A
L
L
trave incastro-appoggio: rigidezza alla rotazione in B: K BA=4R coefficiente di trasmissione: t=+1/2
trave incastro-appoggio: rigidezza alla rotazione in B: K BC=4R coefficiente di trasmissione: t=+1/2
La condizione di equilibrio fornisce quindi M BA + M BC
=
o anche
K BA ⋅ φ B + K BC ⋅ φ B
=
in cui si sono indicate sia le rigidezze alla rotazione che i momenti con un doppio indice, evidenziando la sezione alla quale tali grandezze si riferiscono (primo indice) ed il tratto al quale sono relative (entrambi gli indici). Il valore della rotazione può quindi essere ricavato attraverso l’espressione
(K BA + K BC ) ⋅ φ B =
⇒
φB
=
K B
in cui si è posto K B
= K BA + K BC
La grandezza K B, che è costituita dalla somma delle rigidezze alle rotazione in B di tutti i tratti concorrenti nel nodo B, prende il nome di rigidezza alla rotazione del nodo B. Sostituendo i valori relativi ai vari tratti si ha: K B
= K BA + K BC = 4R + 3R = 7 R
φB
=
1
K B
=
7 R
I valori del momento flettente alle estremità delle membrature ammontano quindi a:
Lezione n. 8 – pag. VIII.8
M BA
= K BA ⋅ φ B = 4R ⋅
M BC
= K BC ⋅ φ B = 3R ⋅
7 R 7R
4
=
=
7 3 7
Il risultato ottenuto può essere sintetizzato come segue: il momento applicato
si ripartisce tra le
membrature della trave in misura proporzionale alle rispettive rigidezze. Per ogni tratto infatti si ha che, alle estremità, agisce una frazione del momento totale pari a:
A Z Z O B M BJ
= K BJ ⋅ φ B = K BJ ⋅
K B
=
K BJ K B
in cui, con J, si è indicato il secondo indice relativo al tratto cui tale momento si riferisce (quindi J=A,B). Si può riscrivere l’equazione precedente introducendo il concetto di coefficiente di ripartizione del tratto BJ, indicato con ρBJ e definito dalla relazione K BJ
=
ρ BJ
K B
che rappresenta la quota parte di momento applicato in B assorbita dalla membratura con estremità nei nodi B e J . In termini più generali, se in uno stesso nodo B confluiscono n aste, si definirà coefficiente di ripartizione dell’asta j-esima (delimitata dal nodo B e dal nodo J ) la grandezza ρBJ rappresentata da un numero puro e definita da K BJ
=
ρ BJ
n
∑=
K BI
i 1
in cui il termine al denominatore prende il nome di rigidezza (alla rotazione) del nodo B e si può indicare semplicemente con K B n
K B
=
∑=
K BI
i 1
Nella relazione precedente si è supposto che la i-esima asta abbia estremi nei nodi B e I . Data la definizione introdotta, è ovvia la validità della relazione n
∑=
ρ BI
= 1
i 1
ossia la somma dei coefficienti di ripartizione di un nodo, estesa a tutte le aste concorrenti in tale nodo, assume un valore pari all’unità. L’adozione del concetto di coefficiente di ripartizione permette di stabilire immediatamente l’aliquota di momento assorbita da ognuna delle aste confluenti in uno stesso nodo senza avere la necessità di determinare l’effettivo valore della rotazione del nodo in esame. Riferendoci al caso oggetto di studio, potremmo infatti definire immediatamente i valori dei due coefficienti di ripartizione ρ BA
=
K BA K BA + K BC
=
4R 4R + 3R
e di conseguenza affermare che
=
4 7
,
ρ BC
=
K BC K BA + K BC
=
3R 4R + 3R
=
3 7
Lezione n. 8 – pag. VIII.9
M BA
= ρ BA ⋅
=
4
,
M BC
= ρ BC ⋅
3
=
7 7 senza avere quindi bisogno di ricavare il valore della rotazione Si ottengono perciò i risultati in figura:
MAB=2
MBA=4
/7
ϕB
MBC=3
/7
ϕB. /7
B
B
C
ϕB
A
A Z Z O B 6
/(7L)
6
L
/(7L)
3
L
3
/(7L)
7 / 4
M
7 /
M
/(7L)
3
7 / 2
A questo punto, la soluzione della trave in fase II si può determinare combinando i risultati dei singoli tratti, ottenendo i grafici riportati in figura in termini di reazioni vincolari, diagrammi del taglio, diagramma del momento e deformata.
fase II: diagrammi finali
MA=2
/7
B
C
A
L
6
L
3
/(7L)
/(7L)
) L 7 ( / 6
3
/(7L)
) L 7 ( /
T
3
7 / 4
7 /
M
7 /
2
3
A
f
B
ϕB=
/(7R)
C
Lezione n. 8 – pag. VIII.10
Composizione delle due fasi Sommando i risultati ottenuti nelle due fasi è possibile pervenire ai risultati finali, riportati in figura seguente in termini di reazioni vincolari, diagramma del momento flettente e deformata. 3 FL/16
F
A
fase I
C B
D
A Z Z O B L/2
L/2
5F/16
11 F/16
6 1 / L F 3
5FL/32
3 FL/56
M
3FL/16
B
fase II
C
A
L
L
9 F/56
9 F/112
9 F/112
8 2 / L F 3
6 5 / L F 3
3 FL/16
M
2 1 1 / L F 9
F
A
fase I + fase II
C
B
3 FL/56
D
L/2
9 F/56
L/2
11 F/28
43 F/56
3 FL/28
11 FL/56
3 FL/56
A
f
B
M
C
Lezione n. 8 – pag. VIII.11
Determinazione del valore di
C
Alla luce delle considerazioni fatte all’inizio della lezione, dovrebbe a questo punto essere possibile ricavare il valore della rotazione in C , assunto come movimento dipendente dagli altri (e quindi da ϕB). Sfruttando ancora il PSE, si può affermare che il valore di ϕB può essere ricavato sommando al valore che tale grandezza assume in fase I il valore da essa assunto in fase II. Isolando il solo tratto BC si ottengono i risultati riportati nel seguito. Fase I Scomponendo il caso in esame nei due disegnati si ottiene: 3 FL/16 F C B D ϕC(I)
A Z Z O B =
L/2
FL/8
L/2
FL/16
FL/8
F
C
B
L/2
B
+
ϕC=0
FL/8 C
ϕC
L/2
L
da cui φ
(I ) = 0 + FL ⋅ 1 = FL C 8
4 R 32 R
Fase II
3/7
C
B
ϕC(II)
ϕB
φ
(II) = 3 C
L
Fase I + Fase II φC
= φ(CI ) + φ(CII) =
1 FL
32 R
+
3 FL
224 R
=
5 FL
112 R
7
⋅
1
=
1
6R 14 R
=
3 FL
224 R
Osservazione: per la trave in figura si è già notato che φB
=−
φ
(II) C
2
Lezione n. 9 Il metodo dell’equilibrio: esempio #3 La matrice di rigidezza La caratterizzazione generale del metodo dell’equilibrio per la soluzione di sistemi strutturali iperstatici richiede la definizione della matrice di rigidezza. Nel corso dell’esercizio riportato nella presente lezione si intende, con l’ausilio di un esempio, introdurre i principali concetti collegati alle proprietà di tale matrice. La travatura riportata in figura può essere risolta, nell’ottica del metodo dell’equilibrio, facendo riferimento a due soli movimenti indipendenti: la rotazione in B e la rotazione in C . Il valore della rotazione in D, seppur diverso da zero, può infatti essere valutato in un secondo momento una volta noti i valori di ϕB e ϕC.
A Z Z O B A
F
B
L
L/2
F
C
L/2
L/2
D
L/2
Indicando i movimenti indipendenti come componenti di un vettore, si può porre δ
δ ϕ = 1 = B δ2 ϕC
La risoluzione della struttura può essere ancora impostata attraverso le usuali due fasi: nella prima si riterranno impediti i movimenti considerati come indipendenti, attraverso l’utilizzazione di opportuni vincoli ausiliari (fase I); nella seconda (fase II) si risolverà la struttura di partenza caricata con le sole reazioni, cambiate di segno, esercitate dai vincoli ausiliari inseriti in fase I.
Fase I
F
B
A
L
L/2
F
C
L/2
L/2
D
L/2
La soluzione della travatura in figura può essere ricercata suddividendo la trave nei tre tratti (aste) che la compongono. Facendo riferimento a risultati già noti, si ottiene quindi: MB= FL/8
MC= FL/8
MC= 3 FL/16
F
F
C
B
F/2
L/2
L/2
FL/8
F/2
FL/8 FL/8
D
C
11/16 F
3/16 FL
L/2
L/2
5/16 F
Lezione n. 9 – pag. IX.2
dove il tratto AB non è stato considerato perché scarico (e quindi privo di reazioni vincolari). I valori delle reazioni vincolari ed i grafici delle caratteristiche di sollecitazione dell’intera struttura si possono valutare sommando i risultati ottenuti all’interno dei singoli tratti, ottenendo i risultati riportati in figura in termini di reazioni vincolari, diagramma del taglio, diagramma del momento flettente, deformata. In tratteggio sono state segnate le reazioni esercitate dai vincoli ausiliari. FL/8
FL/16 F
F
A Z Z O B A
B
L
C
L/2
L/2
L/2
F/2
D
C
2 / F
8 / L F
8 / L F
6 1 / F 5
C
1/16 FL
2 3 / L F 5
D
6 8 / 1 / L L F F 3
B
B
A
5/16 F
6 1 / F 1 1
B
A
L/2
19/16 F
2 / F
A
D
C
D
Fase II
Nella seconda fase, analogamente a quanto fatto nei precedenti esempi, occorrerebbe risolvere la struttura gravata delle sollecitazioni corrispondenti alle reazioni, cambiate di segno, esercitate dai vincoli ausiliari posti nella fase I. Risolvere la struttura consiste, nell’ottica del metodo dell’equilibrio, nel ricavare i valori dei movimenti indipendenti.
A
FL/8=2⋅
ϕ B=?
FL/16=
ϕC =?
B
L
D
C
L
L
Per semplicità di scrittura, si è posto
=
FL
16 Nel caso in cui siano presenti più movimenti indipendenti, non risulta possibile procedere direttamente alla soluzione della travatura, in quanto non è possibile utilizzare le stesse tecniche usate in precedenza (che si riferivano al caso in cui un solo movimento indipendente fosse
Lezione n. 9 – pag. IX.3
Occorre allora far ricorso, come indicato introducendo il metodo dell’equilibrio, alla definizione della matrice di rigidezza. Per matrice di rigidezza si intende la matrice [K], quadrata (di ordine pari al numero dei movimenti indipendenti), la cui componente (i,j)-esima è offerta dalla forza (in senso generalizzato) che è necessario applicare in corrispondenza del movimento δi quando, nella struttura, avviene il solo movimento indipendente δ j di entità unitaria (e tutti gli altri sono posti uguali a zero). Quindi, in altre parole, si ha
δ j = 1 δk = 0
A Z Z O B k ij:
forza da applicare in corrispondenza del movimento δi quando
per k ≠ j Nell’ottica del metodo dei vincoli ausiliari, la h-esima colonna della matrice k (ossia l’insieme dei valori k ih, con i=1,…,n, n=numero dei movimenti indipendenti), si può ottenere pensando di impedire, attraverso l’introduzione di (n-1) vincoli ausiliari, i movimenti indipendenti con indice diverso da h. Le reazioni di tali vincoli e la forza k hh che occorrerà applicare in corrispondenza di δh quando δh =1 rappresenteranno gli elementi della colonna h-esima. La corretta definizione della matrice di rigidezza richiede inoltre l’adozione di un verso positivo da assumere per le forze e (di conseguenza) per gli spostamenti correlativi. La convenzione che viene normalmente adottata è la seguente: per le forze (e gli spostamenti) orizzontali: positivi se verso destra per le forze (e gli spostamenti) verticali: positivi se verso il basso per le coppie (e le rotazioni): positive se orarie
+
Riferendoci al caso in esame, la prima colonna della matrice potrà essere ricavata risolvendo la trave in figura: k 11
k 21
δ1=ϕ B=1
A
δ2=ϕC =0
D
C
B
L
L
L
mentre la seconda colonna della matrice deriverà dalla soluzione della trave seguente: k 12
k 22
δ2=ϕC =1
A
B
L
δ1=ϕ B=0
L
D
C
L
In entrambi i casi, in accordo con la definizione offerta, si sono indicati i valori delle componenti della matrice di rigidezza (segnati con il loro verso positivo) e si è indicata la deformata che la trave assume in conseguenza dei movimenti imposti. Le due strutture possono essere risolte facendo riferimento a casi ormai noti, sfruttando i concetti di rigidezza alla rotazione e di coefficienti di trasmissione. a
1 colonna di K Come già indicato, occorre risolvere una trave in cui sia imposto lo spostamento δ1=1 e nulli tutti gli altri spostamenti (in questo caso, soltanto δ2=0). Il verso di δ1 è da assumere positivo concordemente con la convenzione scelta. La trave può essere risolta dividendola nei vari tratti che la compongono. Essendo le azioni
Lezione n. 9 – pag. IX.4
estremità delle aste), ogni singolo tratto è rappresentato da una trave la cui soluzione dovrebbe essere già nota. k 11
k 21
δ1=ϕ B=1
A
δ2=ϕC =0
D
C
B L
L
L
A Z Z O B M AB=M BA⋅t=2R A
M BA=4R ⋅ϕ B=4R
M BC =4R ⋅ϕ B=4R
δ1=ϕ B=1
MCB=M BC ⋅t=2R
δ1=ϕ B=1
B
C
δ2=ϕC =0
B
L
L
Il terzo tratto (CD) non è stato riportato in quanto è costituito da una trave in cui non sono presenti ne’ carichi ne’ spostamenti alle sue estremità, e quindi non sono necessarie forze per mantenere tale porzione di struttura nello stato di deformazione (nullo) assegnato. Globalmente i valori delle coppie da applicare in corrispondenza del primo movimento indipendente (k 11 per la notazione introdotta) e del secondo (k 21) si ottengono sommando i risultati ottenuti nei singoli tratti:
k 11 = M B
= M BA + M BC = 4R + 4R = 8R
k 21 = M C
= MCB + MCD = 2R + 0 = 2R
E’ da notare che il valore del momento in A (M AB=2R) non entra direttamente in gioco nel calcolo della matrice di rigidezza in quanto non è relativo ad un movimento indipendente. a
2 colonna di K I questo caso occorre risolvere una trave in cui sia imposto lo spostamento δ2=1 e nulli tutti gli altri spostamenti (in questo caso, soltanto δ1=0). Il verso di δ2 è da assumere positivo.
k 12
k 22
δ2=ϕC =1
A
B
δ1=ϕ B=0
L
D
C
L
L
Suddividendo ancora la trave nei tre tratti che la compongono, e tralasciando il tratto AB in quanto scarico, si ottiene, sfruttando risultati già noti: M BC =MCB⋅t=2R B
MCB=4R ⋅ϕC =4R
δ2=ϕC =1
δ1=ϕ B=0
MCD=3R ⋅ϕC =3R C
δ2=ϕC =1
M DC =0
D
C
L
L
Sommando i risultati ottenuti nei singoli tratti si ottengono i valori della coppia da applicare in corrispondenza del primo movimento indipendente (k per la notazione introdotta) e del secondo
Lezione n. 9 – pag. IX.5
k 12
= M B = M BA + M BC = 0 + 2R = 2R
k 22
= MC = M CB + MCD = 4R + 3R = 7R
Matrice di rigidezza I risultati ottenuti definiscono la matrice di rigidezza [K ]
k 11 k 21
[K ] =
k 12
8R = k 22 2R
2R
A Z Z O B 7R
Prima di procedere con il metodo di soluzione dell’esercizio, è interessante notare alcune proprietà della matrice di rigidezza: - è, come già detto, una matrice quadrata di ordine n ×n, con n = numero dei movimenti indipendenti; - è una matrice simmetrica (discende direttamente dal Teorema di Maxwell, ossia dal Teorema di Betti nel caso di strutture con spostamenti unitari: la dimostrazione è riportata in appendice) - è una matrice con termini positivi sulla diagonale principale (discende direttamente dal Teorema di Clapeyron: la dimostrazione è riportata in appendice) e i termini diagonali sono, in valore assoluto, generalmente maggiori dei termini extra-diagonali: la matrice è a diagonale dominante - è (in generale, ma dipende dalla scelta di indici utilizzata per definire i movimenti indipendenti), una matrice a banda: ha cioè i termini non nulli tutti intorno alla diagonale principale Le proprietà elencate permettono inoltre di affermare che la matrice di rigidezza è una matrice definita positiva, per cui ha sicuramente determinante >0.
Soluzione del problema Una volta definita la matrice di rigidezza [K ] è possibile procedere alla soluzione del problema dal quale si era partiti.
FL/8=2⋅
ϕ B=?
A
FL/16=
=? ϕC =?
B
D
C
L
L
Se conoscessimo i valori delle due rotazioni rigidezza, potremmo affermare che:
ϕB
L
e
ϕC,
sfruttando la definizione di matrice di
1) se avvenisse la sola rotazione in B in B,, di entità pari a ϕB, mentre venisse impedita la rotazione in C , nascerebbero le forze segnate in figura, diretta conseguenza della definizione di rigidezza MB=k 11 11⋅ϕ B
MC=k 21 21⋅ϕ B
C
A
B
L
ϕ B
D
=0 ϕC =0
L
L
2) viceversa, se avvenisse la sola rotazione in C , di entità pari a ϕC, mentre venisse impedita la rotazione in B in B,, nascerebbero le forze segnate in figura, ancora come diretta conseguenza della definizione di rigidezza
Lezione n. 9 – pag. IX.6
MB=k 12 12⋅ϕC
MC=k 22 22⋅ϕC
ϕC
A
ϕ B=0
B
D C
L
L
L
3) di conseguenza, se avvenissero entrambe le due rotazioni, di entità generica totali che sarebbe necessario applicare assumerebbero i valori
ϕB e ϕC,
le forze
A Z Z O B MB
= k 11 ⋅ ϕB + k 12 ⋅ ϕC
MC
= k 21 ⋅ ϕB + k 22 ⋅ ϕC
4) indicando i due momenti momenti con gli stessi indici utilizzati utilizzati per identificare i movimenti movimenti indipendenti
δ ϕ 2 C
F M 2 C
{δ} = 1 = B , δ ϕ
{F} = 1 = B M F
la relazione precedente può essere riscritta come
F1 = k 11 ⋅ δ1 + k 12 ⋅ δ 2 ⇒ F2 = k 21 ⋅ δ1 + k 22 ⋅ δ 2
n
Fi
=
∑= k ⋅ δ ij
j
i = 1,..., n
j 1
o, in termini matriciali,
{F} = [K ]⋅ {δ}
La relazione scritta permette a questo punto, di ricavare i valori effettivi delle due rotazioni. Le coppie complessive in B e C, per equilibrio, devono infatti assumere i valori dettati dalla trave di partenza. Indicando con {F } i valori delle forze (in senso generalizzato) applicate alla trave in corrispondenza dei movimenti indipendenti, cioè
F
{F}= 1 = F
2
2
si ottiene la relazione di equilibrio che impone l’uguaglianza tra le forze applicate e quelle conseguenti ai valori ϕB e ϕC. In altre parole, occorre imporre che
{F}= {F}
ossia che
{F} = [K ]⋅ {δ}
F1 = k 11 ⋅ δ1 + k 12 ⋅ δ2 F2 = k 21 ⋅ δ1 + k 22 ⋅ δ 2
⇒
Nel caso in esame si ottiene quindi
2 = 8R ⋅ ϕB + 2R ⋅ ϕC = 2R ⋅ ϕB + 7R ⋅ ϕC
la cui soluzione porge
ϕB =
3
⋅
ϕC =
1
⋅
⇒
2 = k 11 ⋅ ϕB + k 12 ⋅ ϕC = k 21 ⋅ ϕB + k 22 ⋅ ϕC
Lezione n. 9 – pag. IX.7
(rotazioni positive, quindi orarie), ottenendo la deformata riportata in figura
ϕB=3/13⋅
ϕC=1/13⋅
/R
A
B
/R
2⋅
C
D L
L
L
A Z Z O B
La conoscenza della deformata permette, come già più volte notato, di risalire completamente allo stato di sollecitazione presente nella struttura. Dividendo la struttura nelle tre parti che la compongono, ed utilizzando ancora gli stessi risultati utilizzati per costruire la matrice di rigidezza, si ottiene:
MAB=MBA⋅t=6/13
ϕB=3/13⋅
MBA=4R ⋅ϕ ⋅ϕB=12/13
/R
A
B
L
18/13
18/13
/L
/L
3 1 / 2 1
3 1 / 6
MCB=10/13
MBC=14/13 B
I valori dei momenti alle estremità della trave possono essere ricavati facendo ricorso ai valori noti della rigidezza alla rotazione e del coefficiente di trasmissione. Le reazioni verticali si ricavano, al solito, imponendo l’equilibrio globale della trave.
ϕC=1/13⋅ /R ϕB=3/13⋅ /R
C
L
24/13
/L
24/13
/L
3 1 / 0 1
I valori delle due coppie MBC e MCB si possono ottenere per sovrapposizione degli effetti(*). Le reazioni verticali si ricavano, al solito, imponendo l’equilibrio globale della trave.
3 1 / 4 1
(*)
Utilizzando il PSE si può infatti osservare che: − se avvenisse soltanto ϕB (con ϕC=0) si avrebbe: MBC=4R ⋅ϕ ⋅ϕB=12/13
−
[risultati della trave con appoggio (a sinistra) e incastro (a destra)] se avvenisse soltanto ϕC (con ϕB=0) si avrebbe: M CB=4R ⋅ϕ ⋅ϕC=4/13
della trave con incastro (a sinistra) e appoggio (a destra)] sommando i due risultati si trova il risultato riportato in figura, ossia MBC=12/13 + 2/13 = 14/13
, e MCB=MBC⋅t=6/13
, e MBC=MCB⋅t=2/13
[risultati
Lezione n. 9 – pag. IX.8
MCD=3R ⋅ϕ ⋅ϕC=3/13
I valori dei momenti alle estremità della trave possono essere ricavati facendo ricorso al valore noto della rigidezza alla rotazione. Le reazioni verticali si ricavano, al solito, imponendo l’equilibrio globale della trave.
D
C
ϕC=1/13⋅
/R
L 3/13
3/13
/L
/L
A Z Z O B 3 1 / 3
I valori delle reazioni vincolari ed i grafici delle caratteristiche di sollecitazione dell’intera struttura si possono a questo punto valutare sommando gli effetti all’interno dei singoli tratti, ottenendo i risultati riportati in figura in termini di reazioni vincolari, diagramma del taglio, diagramma del momento flettente, deformata. MA= 6/13
FL/8 = 2
FL/16=
A
D
B
C
18/13
A 18/13
L
L
L
/L
6/13
/L
B 24/13
3 1 / 2 1
A
/L
/L
B
3 1 / 4 1
ϕB=3/13⋅
3 1 / 3
ϕC=1/13⋅
/R
A
C 3/13
/L
3/13
L
/L
D
D
C
/R
C
B
L
/L
3 1 / 0 1
2
3 1 / 6
21/13
D
L
Soluzione della trave
Una volta risolta anche la fase II, la soluzione della struttura di partenza è offerta dalla sovrapposizione della fase I e della fase II. Il PSE può essere applicato a tutte le grandezze di interesse (reazioni vincolari, caratteristiche di sollecitazione, deformata), per cui è agevole ricavare, ad esempio, i valori delle reazioni vincolari e l’andamento del diagramma del momento flettente, riportati in figura seguente. Prima dei diagrammi finali, sono stati riportati sia i diagrammi della fase I che quelli della fase II, entrambi espressi in funzione del parametro =FL/16.
Lezione n. 9 – pag. IX.9
fase I 2
16
A
/L
16
B
/L
D
C
L
L/2 8
L/2
L/2
/L
19
L/2
/L
5
/L
A Z Z O B C
2
A
2 / 5
2
D
B
2 3
fase II
MA= 6/13
2
A
D
B
C
18/13
L
L
L
/L
6/13
3 1 / 2 1
A
/L
21/13
3/13
3 1 / 0 1
B
2
3 1 / 6
/L
3 1 / 4 1
3 1 / 3
/L
D
C
fase I + fase II MA= 6/13
16
A
B
16
/L
D
C
L
L
L
18/13
/L
/L
98/13
/L
268/13
/L
68/13
36/13
12/13
A
D
C
B
6/13 28/13 24/13
/L
Lezione n. 9 – pag. IX.10
Infine è possibile ricavare il valore della rotazione in D, D, ϕD, che non è stata inserita come movimento indipendente e dovrebbe quindi risultare ottenibile in funzione dei risultati precedenti. Anche in questo caso è possibile sommare i risultati raggiunti in fase I con quelli ricavati dalla fase II. Isolando il tratto di trave CD si CD si ottiene: Fase I
MC= 3 FL/16 F D
A Z Z O B C
L/2
L/2
Scomponendo il caso in esame nei due disegnati si ottiene: MC= FL/16 MC= FL/8 MD= FL/8 F C D C ϕD=0 L/2 L/2
MD= FL/8
+
D
ϕD
L
da cui
ϕ(DI ) = −
FL 8
⋅
1
4 R
=−
FL
32 R
=−
2 R
dove il segno negativo deriva dal fatto che la rotazione è antioraria.
Fase II
Osservazione: come già notato, nel caso in esame si ha
MC=3/13
D
C
ϕC
(II) = − 3
φD
ϕD
⋅
1
13 6 R
=−
26 R
L
(II) φC ( II) =− φ D
2
Quindi si ottiene Fase I + Fase II
ϕD = ϕ(DI ) + ϕ(DII) = −
−
2 R 26 R
=−
7
13 R
Osservazione sul vettore dei termini noti
In fase II, la struttura è stata risolta utilizzando il risultato del sistema lineare
{F} = [K ]⋅ {δ} Nel vettore {F} compaiono (come nel caso esaminato) i valori delle reazioni vincolari ricavati in Fase I, cambiati di segno. In generale, potremmo quindi scrivere che
{F} = − F (I) avendo indicato con F (I ) le reazioni dei vincoli ausiliari corrispondenti alla fase I (struttura con movimenti indipendenti impediti). Se nella struttura esaminata fossero presenti (già in partenza)
Lezione n. 9 – pag. IX.11
azioni concentrate in corrispondenza dei movimenti indipendenti, che possono essere indicate con {F0 } , la scrittura generale dell’equazione di equilibrio diventerebbe la seguente
{F}= {F0 }− {F(I) } ⇒ [K ]⋅ {δ} = {F0}− {F(I) } Ad esempio, nella soluzione della trave riportata in figura si sarebbe posto: MB=
/2
A
F
F
C
D
FL
A Z Z O B =
B
L
− {F0 } =
0
/ 2 ,
L/2
{F(I)}= 2
L/2
L/2
(I ) }= − { { } { } F F F ⇒ = − 0
L/2
16
− 2 3/ 2 − =
/ 2
0
dove i valori di F (I ) sono gli stessi ricavati in precedenza (negativi perché le reazioni dei vincoli ausiliari, in fase I, sono antiorarie).
Soluzione con tre movimenti indipendenti
La soluzione della struttura risolta in precedenza può essere ricavata anche senza utilizzare la considerazione che il movimento ϕD può essere interpretato come dipendente dagli altri due, ϕB e ϕ C. Nell’ottica della ricerca di un metodo generale di soluzione, facilmente automatizzabile, è infatti preferibile evitare il ricorso a considerazioni che, valide soltanto nel caso particolare esaminato, possano portare ad una riduzione nel numero dei movimenti indipendenti. Risulta più semplice, almeno dal punto di vista di un procedimento di calcolo automatico, considerare tutti i movimenti nodali consentiti dai vincoli come indipendenti, ottenendo in fase I una struttura a nodi completamente bloccati. A titolo di esempio, si può ricavare, per la stessa struttura vista in precedenza, la soluzione considerando tutte e tre le rotazioni come indipendenti e, di conseguenza, assumere come vettore delle incognite il seguente:
δ1 φ B δ = δ 2 = φ C δ φ 3 D
La struttura può a questo punto venire risolta operando attraverso le stesse fasi viste in precedenza (fase I: movimenti indipendenti impediti; determinazione della matrice di rigidezza; fase II: soluzione della struttura gravata delle reazioni vincolari esercitate dai vincoli ausiliari in fase I, cambiate di segno).
Fase I
L’inserimento dei tre vincoli ausiliari in corrispondenza dei movimenti indipendenti fornisce la struttura riportata in figura. F
B
A
L
L/2
F
C
L/2
L/2
D
L/2
Lezione n. 9 – pag. IX.12
La soluzione della struttura è facilmente determinabile sfruttando i risultati già utilizzati in precedenza. I valori delle reazioni vincolari ed i grafici delle caratteristiche di sollecitazione dell’intera struttura si possono valutare sommando i risultati ottenuti all’interno dei singoli tratti (che in questo caso presentano sempre vincoli di incastro alle estremità), ottenendo i risultati riportati in figura in termini di reazioni vincolari, diagramma del taglio, diagramma del momento flettente, deformata. FL/8
X
FL/8
A Z Z O B F
A
F
B
L
L/2
L/2
L/2
F/2
D
C
2 / F
8 / L F
2 / F
8 / L F
8 / L F
C
B
B
A
F/2
2 / F
B
A
L/2
F
2 / F
A
D
C
8 / L F
D
8 / L F
D
C
Nota: La reazione vincolare esercitata dal morsetto inserito in C è nulla, in quanto deriva dalla somma dei due momenti di incastro M CA e M CD che risultano uguali ma di segno opposto.
Determinazione della matrice di rigidezza
Per determinare le componenti k ij della matrice di rigidezza (che è in questo caso quadrata di ordine 3, essendo 3 il numero dei movimenti indipendenti) è necessario risolvere le tre strutture nelle quali avvenga uno solo dei movimenti indipendenti per volta (di intensità unitaria) mentre gli altri sono bloccati). Sfruttando le definizioni note, si possono ricavare i valori riportati nelle seguenti figure. 1a colonna La prima colonna di [ K ] si ottiene risolvendo la struttura in cui il primo movimento indipendente (δ1) assuma un valore pari ad 1 mentre tutti gli altri risultano nulli.
k 11
k 21
k 31
δ1=ϕ B=1
A
C
B L
L
δ2=ϕC =0 L
D
δ3=ϕ D=0
Lezione n. 9 – pag. IX.13
Suddividendo la struttura nei vari tratti, ed assemblando tra loro i risultati ottenuti (rappresentati da casi ormai noti), si ottiene k 11=4R + 4R = 8R k 21=2R k 31=0 2a colonna In maniera analoga a quanto fatto in precedenza, occorrerà risolvere la struttura in cui δ1=δ3=0.
δ2=1 mentre
A Z Z O B k 12
k 22
k 32
δ2=ϕC =1
A
δ1=ϕ B=0
B
L
D
C
δ3=ϕ D=0
L
L
Si ottiene: k 12=2R k 22=4R+4R k 32=2R
3a colonna E’ offerta dalla soluzione della struttura in cui
δ3=1 mentre δ1=δ2=0.
k 13
k 23
k 33
δ2=ϕC =0
A
δ1=ϕ B=0
B
L
D
C
δ3=ϕ D=1
L
L
Si ottiene: k 13=0 k 23=2R k 33=4R
Assemblaggio della matrice [K] Attraverso i risultati ottenuti si ha
8R [K ] = 2R 0
2R
8R
2R
2R 4R 0
Fase II
La soluzione della struttura in fase II è a questo punto agevole una volta ricavata [K].
A
ϕB=?
FL/8=2⋅
ϕC=?
B L
FL/8=2⋅ ϕD=? D
C L
L
Tutte le rotazioni (incognite) sono state segnate con il loro verso positivo, ossia orario. Occorrerà a
Lezione n. 9 – pag. IX.14
{F} = [K ]⋅ {δ} in cui
(I ) F1 MB 2 {F}= F2 = −M(CI) = 0 F M(I ) − 2 3 D
⇒
8R 2R 0
δ1 2 2R δ 2 = 0 4R δ3 − 2
2R
0
8R 2R
A Z Z O B in cui i segni sono stati attribuiti in accordo con la convenzione adottata (momenti positivi se orari). Risolvendo il sistema si ottiene:
δ1 = φ B
=
3
⋅
13 R
, δ2
= φC =
1
⋅
13 R
, δ3 = φ D
=−
7
⋅
13 R
risultati che, evidentemente, coincidono con quelli ricavati in precedenza. In questa seconda fase, la determinazione delle reazioni vincolari e delle caratteristiche di sollecitazione avviene ancora suddividendo la trave nei vari tratti che la compongono, imponendo alle estremità i valori (a questo punto noti) degli spostamenti. Infine, la definizione della soluzione della travatura avviene, analogamente a quanto fatto in precedenza, sommando i risultati ottenuti dalla fase I con quelli che derivano dalla fase II. E’ ovvio (ma la verifica viene lasciata come esercizio) che si ritroveranno, in tutto e per tutto, gli stessi risultati già noti dal caso con due soli movimenti indipendenti. Osservazione E’ da notare che non esiste alcun collegamento diretto tra la matrice che era stata ottenuta considerando due soli movimenti indipendenti e la matrice ottenuta nel caso di tre movimenti indipendenti. In altre parole, conoscendo la matrice relativa al caso di due soli movimenti indipendenti, non è possibile ottenere quella relativa al caso con tre movimenti indipendenti semplicemente aggiungendo una riga o una colonna. L’unica analogia può essere istituita come segue. Se dal caso con tre movimenti indipendenti si ricava (in funzione degli altri due) il valore di δ3 (utilizzando la terza equazione) si ottiene
2R ⋅ δ 2 + 4R ⋅ δ3 = −2
⇒
δ3
=
−2
− 2R ⋅ δ 2
=−
−
δ2
4R 2R 2 che rappresenta l’equazione di dipendenza scritta in precedenza nel caso con due movimenti indipendenti (ossia l’equazione che lega δ3 con gli altri parametri di spostamento del sistema). Sostituendo questa espressione nelle altre due equazioni (e quindi eliminando l’incognita δ3) si ha:
8R ⋅ δ1 + 2R ⋅ δ 2 = 2 8R ⋅ δ1 + 2R ⋅ δ 2 = 2 δ 2 ⇒ 2R ⋅ δ + 8R ⋅ δ + 2R ⋅ − − = 0 1 2 2R ⋅ δ1 + 7R ⋅ δ 2 = 2R 2
8R ⇒ 2R
2R δ1
2 = 7R δ 2
che è esattamente il sistema che è stato risolto nel caso di due soli movimenti indipendenti. Quindi l’aggiunta di un movimento in precedenza assunto come dipendente ( δ3 in questo caso) è in qualche modo equivalente a risolvere lo stesso problema al quale si aggiunge la relazione di dipendenza per quest’ultimo parametro al sistema di equazioni.
Lezione n. 9 – pag. IX.15
Appendice La matrice di rigidezza [K] è una matrice simmetrica Come già detto, la simmetria della matrice di rigidezza discende direttamente dall’applicazione del Teorema di Maxwell, cioè dal caso particolare del Teorema di Betti quando si studino strutture in cui gli spostamenti sono unitari. Il Teorema di Betti afferma che, dati due sistemi di forze A e B che insistono sulla stessa struttura, il lavoro mutuo L AB compiuto dalle forze del sistema A relativamente agli spostamenti del sistema B uguaglia il lavoro mutuo L BA che le forze del sistema B compiono rispetto agli spostamenti del sistema A. Riferendoci al caso esaminato nell’esercizio, si assuma come sistema A il sistema utilizzato per ricavare la prima colonna di [K ] (ossia il sistema in cui δ1=1 e δ2=0) e come sistema B il sistema utilizzato per ricavarne la seconda colonna (cioè il sistema con δ1=0 e δ2=1).
A Z Z O B k 11
k 21
δ1=ϕ B=1
A
A
δ2=ϕC =0
C
B
L
L
L
k 12
k 22
δ2=ϕC =1
A
B
D
B
δ1=ϕ B=0
L
L
D
C
L
Il lavoro mutuo L AB vale (indicando con gli apici i sistemi ai quali le grandezze si riferiscono) ( A)
L AB = M B L BA
⋅ φ(BB) + M(CA) ⋅ φ (CB) = k 11 ⋅ 0 + k 21 ⋅1 = k 21
= M(BB) ⋅ φ(BA) + M(CB) ⋅ φ(CA) = k 12 ⋅1 + k 22 ⋅ 0 = k 12
Uguagliando i due termini di lavoro mutuo si ottiene:
L AB = L BA ⇒ k 21 = k 12 da cui la matrice è simmetrica.
I termini diagonali della matrice [K] sono positivi La dimostrazione discende questa volta dal Teorema di Clapeyron: il lavoro di deformazione di un sistema è una quantità positiva (rappresenta l’energia necessaria a deformare una struttura). Se si calcola l’energia di deformazione (che è rappresentata dalla metà del lavoro che le forze applicate compirebbero se si considerassero con i loro valori finali e utilizzassimo i valori finali degli spostamenti conseguenti all’applicazione delle forze) nel sistema A, si otterrebbe ( A)
1
1
= ⋅ M (BA) ⋅ φ (BA) = ⋅ k 11 ⋅1 > 0 ⇒
k 11 > 0 2 2 Analogamente, se considerassimo il lavoro di deformazione relativo al sistema B si otterrebbe che k 22>0. In conclusione, i termini diagonali della matrice di rigidezza sono termini positivi. Ld
Lezione n. 10 Il metodo dell’equilibrio: esempio #4 La rigidezza alla traslazione E’ opportuno estendere lo studio effettuato fino a questo punto anche al caso di strutture in cui siano possibili spostamenti dei nodi, ossia in cui, oltre alla presenza di rotazioni nei nodi, siano consentite traslazioni dei nodi stessi. L’estensione, sempre nell’ottica del metodo dell’equilibrio, implicherà quindi la definizione di una rigidezza alla traslazione, in maniera perfettamente analoga a quanto a suo tempo fatto nell’introdurre il concetto di rigidezza alla rotazione. Il concetto verrà introdotto attraverso l’ausilio di un esempio, che consentirà comunque di arrivare a conclusioni di carattere del tutto generale. La travatura analizzata è riportata in figura seguente, ed è composta da tre aste ( AB, BC e CD) e quattro nodi ( A, B, C e D). In figura si sono riportate anche le convenzioni di segno che nel seguito verranno adottate (quindi i versi positivi assunti per gli spostamenti e le forze). F
A Z Z O B A
C
B
L
+
F
L
D
L
L/2
L/2
In linea generale, la struttura possiede 7 movimenti indipendenti, ossia tutti gli spostamenti nodali non impediti da vincoli: nodo A: nodo B: nodo C :
wA wB wC
ϕA
vB
ϕC
ϕB
Introducendo l’ipotesi di indeformabilità assiale, ossia di trascurabilità della deformazione per sforzo normale rispetto a quella per momento flettente(*), si può affermare che wA=wB=wC vB=0 (*)
L’ipotesi di trascurabilità della deformazione per sforzo normale rispetto a quella per momento flettente si può esprimere affermando che la trave è indeformabile assialmente. Tale affermazione (che può essere scritta come EA=∞) corrisponde infatti alla circostanza secondo la quale non si possono avere ne’
Lezione n. 10 – pag. X.2
in quanto l’asta AB l’asta AB,, l’asta BC l’asta BC e e l’asta CD non CD non possono subire variazioni di lunghezza. Inoltre, alla luce delle considerazioni precedentemente effettuate, i valori della rotazione nei due nodi A e C possono possono essere lasciati come movimenti dipendenti dagli altri, in virtù del fatto che le due condizioni statiche di estremità M A=0 e MC=0 consentono comunque l’integrazione della linea elastica nei due tratti AB tratti AB e e BC BC anche anche senza conoscere il valore delle rotazioni ϕA e ϕC. Quindi la travatura può essere risolta ricorrendo a due soli movimenti indipendenti, la rotazione in B ( ϕB) e la traslazione orizzontale dell’asta orizzontale (che può essere semplicemente indicata con w, intendendo con tale notazione il valore dello spostamento orizzontale di tutti i punti dell’asta, ossia w= wA =wB =wC). Ordinando i due valori (incogniti) dei movimenti indipendenti in un vettore { }, analogamente a quanto fatto nell’esempio precedente, la soluzione della travatura richiederà il ricorso alla determinazione della matrice di rigidezza per la struttura in esame.
A Z Z O B δ φ 2
{δ} = 1 = B δ w
A differenza però dell’esempio precedente, siamo in questo caso in presenza di un vettore di spostamenti incogniti composto sia da una rotazione che da una traslazione, per cui sarà necessario operare in maniera un po’ diversa. Le fasi di cui si compone la ricerca della soluzione della struttura saranno comunque sempre le stesse: - soluzione della fase I (struttura con movimenti indipendenti impediti); - determinazione della matrice di rigidezza [K ]; ]; - soluzione della fase II (struttura con movimenti indipendenti consentiti ed azioni soltanto in corrispondenza di tali spostamenti); - somma della fase I e della fase II.
Fase I
Nella prima fase sarà necessario risolvere la struttura riportata in figura, in cui sono stati impediti entrambi i movimenti indipendenti. F A
C
B
L
F
L
D
L
L/2
L/2
I movimenti indipendenti sono stati impediti introducendo due vincoli ausiliari: un morsetto in B (che obbliga la struttura a mantenere ϕ =0) ed un appoggio orizzontale in C (che, impedendo la
Lezione n. 10 – pag. X.3
traslazione orizzontale di C , impedisce, di fatto, qualunque spostamento orizzontale all’asta ABC all’asta ABC , e quindi soddisfa la condizione w=0). La soluzione della travatura in fase I può facilmente essere ricavata suddividendo la struttura nelle varie aste che la compongono, imponendo le condizioni vincolari di estremità e, sfruttando risultati già noti, pervenire alla definizione delle reazioni vincolari e delle sollecitazioni nei singoli tratti. FL/4 F 3/16 FL F/2 A B C B B
A Z Z O B L
L
L/2
11/16 F
L/2
5/16 F
F
L
D
FL/4
F/2
Le reazioni riportate in figura sono state disegnate ricorrendo a risultati già noti. E’ opportuno sottolineare che: - il vincolo ausiliario che impedisce la traslazione orizzontale in C di di fatto blocca, come del resto già osservato, la traslazione di qualunque punto dell’asta ABC ; è possibile quindi disegnare tale vincolo indifferentemente in A in A,, B o C (o (o in qualunque altro punto dell’asta) in quanto del tutto equivalente. Nel disegnare i vincoli dei vari tratti, ad esempio, si è riportato tale vincolo in B in B an anziché in C , ottenendo i vincoli di estremità in figura - per il tratto verticale BD verticale BD (di (di lunghezza pari a 2L) il valore del momento flettente in B e D può D può essere ricavato ricordando che, se la trave fosse stata lunga L, si sarebbe ottenuto un valore pari a FL/8. Inserendo il valore 2L anziché L si ottiene quindi F(2L)/8=FL/4, come riportato nella figura. In maniera del tutto analoga si possono disegnare i diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione della struttura in fase I, semplicemente “assemblando” i diagrammi dei singoli tratti, o i valori delle reazioni vincolari complessivi, oppure il diagramma della deformata. In figura seguente sono riportati, sovrapposti, sia i valori delle reazioni vincolari che dei diagrammi del momento flettente ottenuti in questa fase, mentre il tracciamento del diagramma del taglio, dello sforzo normale e l’andamento della deformata non sono stati riportati e vengono lasciati come esercizio. I valori delle reazioni esercitate dai vincoli ausiliari sono anch’essi stati ottenuti per composizione dei risultati ottenuti nei vari tratti. La reazione del vincolo ausiliario in B in B,, ad esempio, vale
1 1 FL + FL = FL 16 4 16 dove i momenti alle estremità dell’asta BC dell’asta BC e BD e BD sono sono stati sommati vettorialmente, attribuendo loro i segni come da convenzione adottata. MB = −
3
Lezione n. 10 – pag. X.4
FL/16 3/16 FL
F
1/ 4 FL
A
C
F/2
B 5/32 FL
5/16 F
L
A Z Z O B F
1/4 FL
L
D
F/2
1/4 FL
FL/4
L
11/16 F
L/2
L/2
Alla luce dei risultati ottenuti, è possibile quindi individuare quello che rappresenterà il vettore dei termini noti nel sistema lineare che verrà risolto in fase II. Ricordando le grandezze introdotte nella lezione precedente, si ha infatti:
(I)
M 0 1 16 ⋅ FL − 1 16 ⋅ FL M {F} = {F0 }− F(I) = B0 − (BI) = − =
{ }
HC0 HC 0 −1 2 ⋅ F + 1 2 ⋅ F
in cui si è indicato con H C il valore della reazione orizzontale del vincolo ausiliario in C . I valori di MB0 e HC0 sono nulli in quanto essi rappresentano i valori di eventuali forze applicate, nella struttura di partenza, in corrispondenza dei movimenti indipendenti: nel caso in esame, non essendoci nella struttura di partenza ne’ coppie applicate in B B ne’ forze orizzontali lungo il tratto ABC tratto ABC , essi assumono evidentemente valori uguali a zero. Infine, il valore di H C(I) è negativo in quanto la reazione in fase I offerta dal vincolo ausiliario in C ha verso discorde rispetto a quello assunto come positivo.
Determinazione della matrice di rigidezza
Prima di passare alla fase II è necessario costruire, per la struttura esaminata e facendo uso dei soli movimenti assunti come indipendenti, la matrice di rigidezza. Nel caso in esame quindi si dovrà pervenire alla definizione di una matrice quadrata, simmetrica , di ordine 2. Come già notato le colonne di tale matrice possono essere determinate direttamente risolvendo due strutture nelle quali uno dei due movimenti indipendenti viene posto pari ad uno e l’altro viene mantenuto al suo valore nullo. In particolare, la prima colonna corrisponderà al caso in cui δ1=1 e δ2=0, secondo l’ordine utilizzato nella definizione del vettore degli spostamenti incogniti, mentre la seconda si ricaverà ricercando le forze necessarie a mantenere, nella struttura di partenza, i valori di spostamento δ1=0 e δ2=1. Il termine (i,j)-esimo della matrice [K ], ], k ijij, corrisponde infatti alla forza che è necessario applicare in corrispondenza dell’i-esimo movimento indipendente quando, nella struttura, si abbia δ j=1 come unico spostamento diverso da zero (relativamente al totale dei movimenti assunti come indipendenti).
Lezione n. 10 – pag. X.5
1a colonna di [K] Occorre determinare i valori delle due forze k 11 11 e k 12 12 (rappresentate in figura con il loro verso positivo) che servono a garantire lo stato di spostamento riportato, caratterizzato da δ1=1 e δ2=0. La presenza del vincolo ausiliario in corrispondenza di C ricorda ricorda che nella struttura in esame la travata ABC vata ABC è è impedita di traslare. k 11 δ2 = w = 0 11 A C
B
k 21 21
A Z Z O B δ1 = ϕB = 1
2L
D
L
L
Scomponendo la trave nei vari tratti che la compongono, è possibile ricondursi a casi la cui rigidezza è nota. I risultati sono riportati nella figura successiva, in cui si è posto R = =
EJ L
δ1 = 1
3R
2R
A
B
L
3R/L
B δ1 = 1
3R
3R/(2L)
B
C
δ1 = 1
L
3R/L
3R/L
3R/L
2L
D
R
3R/(2L)
I due tratti AB e BC costituiscono due casi sufficientemente noti e non necessitano di commenti ulteriori. Il tratto BD tratto BD è è costituito da una trave appoggio-incastro la cui rigidezza alla rotazione vale 4R’, essendo R’ la rigidità dell’asta BD dell’asta BD.. Dal momento che tale asta è lunga 2L (il doppio delle altre) ne risulta che R’=R/2, dove R è la rigidità assunta come riferimento. Di conseguenza si ha che la
Lezione n. 10 – pag. X.6
figura. Utilizzando poi il valore del coefficiente di trasmissione (che vale t=+½ indipendentemente dalla lunghezza dell’asta) e imponendo le condizioni di equilibrio per l’asta in esame, si ottengono le reazioni vincolari riportate nella figura precedente. Assemblando i risultati ricavati per ogni singolo tratto si ottiene k 11
= k BA + k BC + k BD = 3R + 3R + 2R = 8R
k 21 = −
3 R
2L mentre i valori delle altre reazioni vincolari sono riportati nella figura seguente: 8R δ2 = w = 0 A C 3R/(2L) B
A Z Z O B δ1 = ϕB = 1
3R/L
3R/L
+
2L
D 3R/(2L)
L
R
L
E’ da notare che: - il valore di k 21 21 è negativo perché il valore della reazione del vincolo (ausiliario) che impedisce la traslazione orizzontale della travata ABC travata ABC ha ha verso contrario rispetto alla convenzione adottata; - il termine k 21 21 ha le dimensioni di una forza (è infatti espresso dal rapporto tra una rigidezza, ossia un momento, ed una lunghezza) mentre il termine k 11 è costituito da una coppia. 2a colonna di [K] La seconda colonna di [ K ], ], costituita dai due termini k 12 12 e k 22 22 (rappresentati in figura con il loro verso positivo) si ottiene risolvendo struttura in cui δ1=0 e δ2=1.
Lezione n. 10 – pag. X.7
k 12 12 A
δ1 = ϕB = 0
C B
k 22 22
δ2 = w = 1
A Z Z O B 2L
D
L
L
Anche in questo caso, il valore delle due forze può essere ricavato scomponendo dapprima la travatura nelle singole aste che la costituiscono: 3R/(2L) B
A
B
C
2
3R/(2L ) B
δ2 = 1
L
L
2L
D
2
3R/(2L )
3R/(2L)
I due tratti AB tratti AB e CD traslano CD traslano rigidamente di una quantità pari a 1, per cui i vincoli non esercitano nessuna forza (l’assenza di deformazioni implica infatti l’assenza di ogni sollecitazione nei due tratti). Il tratto verticale DB verticale DB può può essere risolto richiamando il risultato già visto in lezioni precedenti. La trave vincolata con un bipendolo ad un’estremità e un incastro all’altro, sottoposta all’azione di una forza orizzontale è già stata studiata in precedenza. La condizione di rotazione nulla alle due estremità B mità B e D impone D impone infatti che l’area del diagramma del momento flettente (che a meno del fattore 1/EJ rappresenta la differenza tra i due valori ϕD e ϕB) debba essere nulla: di conseguenza il diagramma dei momenti ha un andamento antimetrico (rispetto alla trave) e, se la trave è sottoposta ad una forza di entità pari ad F, assume alle estremità il valore FL.
Lezione n. 10 – pag. X.8
2L D
FL
B F
F FL L F
A Z Z O B L F
Riguardo al valore dello spostamento verticale in B, è facile osservare che la deformata ed il diagramma dei momenti delle due metà della trave sono gli stessi che si avrebbero nel caso di una mensola di metà luce (quindi pari ad L), sottoposta all’azione di una forza verticale F all’estremità L F D FL f F
z
L F
In termini di abbassamento verticale del punto B, si può quindi affermare che questo assume un valore doppio (data l’antimetria della trave) rispetto a quello assunto dalla mensola di metà luce (indicato con f). Il valore di f si può ricavare facendo ricorso al PLV, utilizzando come S.S.D. la trave in figura, e come S.F.T.* sempre la stessa trave. Infatti si ottiene L*e
= F ⋅ f
mentre il lavoro virtuale interno vale L*i
=
∫
M (z ) ⋅
str
M (z ) EJ
L
ds =
∫ 0
[− FL + Fz]2 dz EJ
L
=
∫(
2 2
F L
− 2⋅F
2
Lz + F z
0
F 2 L3
)EJ = ... = 3 ⋅ EJ
2 2 dz
e quindi f =
FL3
3 ⋅ EJ Ricapitolando, si ha quindi che nella trave in esame, se sottoposta all’azione della forza F, nascono le reazioni vincolari e gli spostamenti riportati in figura 2L FL
D
B
v=
F
2 FL3
⋅
F
3 EJ
FL Di conseguenza, nel caso di spostamento unitario dell’estremità (quale era il caso dal quale siamo partiti) si ha che la forza assume il valore:
Lezione n. 10 – pag. X.9
v=
2 FL3
=1 ⇒
F=
3 ⋅ EJ
=
3 R
3 EJ 2 ⋅ L3 2 L2 Tale quantità rappresenta, per la trave investigata, il valore della forza che occorre applicare nell’estremo libero di traslare per ottenere, in tale estremità, un valore unitario della traslazione. Analogamente a quanto già fatto nel caso della rotazione, è quindi naturale definire questa grandezza come rigidezza alla traslazione; questa entità gioca un ruolo fondamentale quando si deb bano analizzare strutture con i nodi liberi (anche) di tr aslare. Nel caso di un tratto di lunghezza pari ad L (anziché 2L come è il particolare caso in esame) si sarebbero ottenuti i risultati riportati in figura:
A Z Z O B L
W = 12
6 R/L
v=1
12 R/L2
EL L3
= 12
R
L2
2
12 R/L
6 R/L
I risultati ottenuti (già riportati in precedenza per il tratto verticale BD) consentono, a questo punto, di ricavare i valori delle rigidezze che costituiscono la seconda colonna di [ K ]: k 12
=−
k 22
=
3 R 2L
3 R 2 L2
dove i segni sono stati attribuiti in accordo con la convenzione adottata.
A
δ1 = ϕB = 0
3R/(2L)
C
3R/(2L2)
B
δ2 = w = 1
2L
D 3R/(2L) L
2
3R/(2L ) L
Fase II La soluzione della struttura in fase II è a questo punto possibile, in quanto si è pervenuti alla defini-
Lezione n. 10 – pag. X.10
k 11 k 21
[K ] =
8R − 3 R k 12 2 L = k 22 − 3 R 3 R 2 L 2 L2
mentre in fase I si era ricavato
−1 16 ⋅ FL +1 2 ⋅ F
{F} =
A Z Z O B
La soluzione della struttura in fase II è quindi offerta dalla soluzione del sistema lineare [K ]{δ} = {F} FL/16 F/2 A C B
δ1 = ?
δ2 = ?
2L
D
L
L
La soluzione del sistema porge
− 3 /(2L) δ1 − L / 16 8 δ1 FL 7 / 104 = ⇒ F = 2 δ 3 /( 2 L ) 3 /( 2 L ) 1 / 2 − 2 δ 2 R 125 L / 312
R
E’ a questo punto agevole ricavare le sollecitazioni (in fase II) nei singoli tratti, utilizzando i risultati già ricavati in precedenza. 3R δ1=21/104 FL
δ1
A
L 21/104 F
21/104 F
3R δ1=21/104 FL
C
B
L’effetto della traslazione orizzontale dell’asta AB non induce stato di sollecitazione
δ2
B
δ2
δ1 L 21/104 F
21/104 F
L’effetto della traslazione orizzontale dell’asta BC non induce stato di sollecitazione
Lezione n. 10 – pag. X.11
3R δ2 /(2L)=125/208 FL
2R δ1=7/52 FL 21/208 F
B
B
125/208 F
δ1
δ2
Anziché studiare la trave BD gravata di entrambi i movimenti indipendenti δ1 e δ2 contemporaneamente, si può considerare la composizione dei due casi riportati, in cui il primo ruota ma non trasla, mentre il secondo trasla ma non ruota. Globalmente si avrà
A Z Z O B 2L
+
M BD
2L
HB
D
21/208 F
D
7/104 FL
HD
3R δ2 /(2L)=125/208 FL
52
=−
M DB =
125/208 F
7
=
=+
FL −
21
208 7
104
21
208
F+
125
208
125
FL −
F−
208
F=
125
208
125
208
97
FL = −
104
208
FL = −
F=−
208
F=
111
208
104
208
FL F 2
FL
F=−
F 2
La soluzione della trave in fase II è riportata in figura seguente, relativamente ai valori delle reazioni vincolari e del diagramma dei momenti. 2 1 / 1 0 4 F L
A
B
21/104 F
L F 4 0 1 / 1 2
FL/16
97/208 FL
F/2
C
21/104 F
2L
D
F/2
111/208 FL
L
111/208 FL L
Lezione n. 10 – pag. X.12
Fase I + Fase II La soluzione della struttura è infine ottenibile per somma degli effetti ottenuti in fase I ed in fase II. Nella figura seguente si riporta il risultato in termini di reazioni vincolari e diagramma del momento flettente. 21/104 FL
A
F C
45/208 FL L F 8 0 2 / 3
B
A Z Z O B 21/104 F
107/416 FL
107/208 F
F
45/208 FL
H
D
2L
F
163/208 FL
163/208 FL 11/16 F L
L
Occorre notare che la composizione delle due fasi ha comportato, in B, l’equilibrio globale dei momenti al nodo: si ha infatti
MB = MBA + MBC + MBD =
21
104
FL +
3
208
FL −
45
208
FL = 0
come era logico attendersi dal momento che, nella struttura di partenza, non agiscono coppie concentrate in B. Inoltre il tratto BH presenta un andamento costante del momento, e ciò dipende dal fatto che tale parte della trave non è soggetta a sforzo di taglio.
Lezione n. 11 Il metodo dell’equilibrio Esempi di sistemi riconducibili ad un solo movimento indipendente Nell’ottica della semplificazione della soluzione di una travatura iperstatica seguendo il metodo dell’equilibrio, è spesso opportuno operare una riduzione del numero dei movimenti indipendenti da assumere come incognite del problema. Si è già visto che le seguenti circostanze possono contribuire alla riduzione del numero delle incognite: - assenza di sforzo normale o utilizzo dell’ipotesi di trascurabilità delle deformazioni per sforzo normale rispetto a quelle per momento flettente (nel seguito scritta come ipotesi di “indeformabilità assiale”, EA=∞); - possibilità di rendere alcuni movimenti dipendenti da altri (ad esempio, nel caso di un estremità con momento nullo o noto, in cui la condizione statica M=0 permette di poter considerare la rotazione in tale sezione di estremità come movimento dipendente dagli altri); - utilizzo delle (eventuali) simmetrie della struttura e delle simmetrie o antimetrie del carico (per cui i movimenti in sezioni simmetriche presentano caratteristiche di simmetria o antimetria). Le strutture riportate nelle figure seguenti, forniscono alcuni esempi di strutture che, grazie alle ipotesi appena fatte, ne consentono la soluzione considerando un solo movimento indipendente.
A Z Z O B q
A
C
B
Mov. indipendenti B: wB v B
ϕB
Per indeformabilità assiale: wA=wB=wC=0 vB=0 Unico mov. indipendente:
D
F
A
C
B
Mov. indipendenti B: wB v B C : wC ϕ C D: ϕD
B
ϕB
Per indeformabilità assiale: wA=wB=wC=0 vB=0
D
Mov. “dipendenti”: ϕC
ϕD
Unico mov. indipendente:
B
Lezione n. 11 – pag. XI.2
Mov. indipendenti G: wG v G C : ϕC H : wH v H D: ϕD
q A
G
B
ϕG ϕH
Per indeformabilità assiale: wA=wG=wB=0 wC=wH=wD=0 vG= vH
A Z Z O B C
H
Mov. “dipendenti”: ϕC
D
ϕD
Per simmetria: ϕG=ϕH=0
Unico mov. indipendente:
A
q
D
B
H
Mov. indipendenti A: wA ϕ A B: wB v B C : wC v C D: wD ϕ D
ϕB ϕC
Per indeformabilità assiale: wA=wB=wC=wD vB=0 vC=0
C
Mov. “dipendenti”: ϕA
E
vG
ϕD
Per simmetria: ϕB=-ϕC wH=0 ⇒ wA=wB=wC=wD=0
F
Unico mov. indipendente:
B
La casistica è ovviamente illimitata: senza la pretesa di voler esaurire l’elenco delle condizioni attraverso le quali è possibile ridurre il numero dei movimenti indipendenti, alcune delle considerazioni precedenti possono essere estese anche ad altri casi di particolare interesse.
Esempio: sostanziale differenza di rigidezza delle membrature
In molti telai, è possibile osservare che spesso gli elementi che lo costituiscono presentano rigidezze abbastanza diverse tra loro. B
Jtr
l i p
q
C
l i p
J
J
A
D L
L
Lezione n. 11 – pag. XI.3
Nell’esempio riportato in figura, si è supposto che gli elementi verticali (pilastri) abbiano una sezione diversa dall’elemento orizzontale (trave); di conseguenza, il rapporto tra le rigidità del tratto verticale (indicata con R pil) e quella del tratto orizzontale (che indicheremo con R tr ) può assumere valori anche abbastanza diversi da uno. Normalmente, la rigidità degli elementi verticali è di solito più piccola di quella degli elementi orizzontali. Per fissare le idee, se considerassimo un telaio completamente in cemento armato (in cui si abbia quindi lo stesso materiale per i pilastri e le travi) in cui i pilastri presentino una sezione di 30×30 cm, mentre le travi presentino una sezione di 30 ×50 cm (dove la dimensione maggiore si riferisce all’altezza) si avrebbe
A Z Z O B J pil
=
304
= 67500
cm
4
J tr =
30 ⋅ 503
= 312500
cm4
12 12 e quindi, considerando la stessa lunghezza L per entrambi gli elementi, R tr EJ tr L J 312500 = = tr = = 4.63 R pil L EJ pil J pil 67500
ossia una differenza di più di 4 volte in termini di rigidità. E’ allora spesso possibile rappresentare il caso in esame assumendo che, almeno come prima ipotesi di calcolo, la trave sia infinitamente rigida rispetto ai pilastri, rappresentando il telaio come in figura J tr =∞
B
Jtr
l i p
C
l i p
J
J
A
D
L
q
C
B
L
L
D
A
q
L
Ovviamente, l’ipotesi di infinita rigidezza ha significato soltanto in rapporto a quella degli elementi verticali, nel senso che non di valore infinito si tratta ma di valore considerevolmente più grande (un ordine di grandezza almeno) rispetto a quella degli altri elementi costituenti la struttura. Tale schematizzazione comporta che l’elemento orizzontale sia praticamente indeformabile, e può quindi soltanto compiere atti di moto rigido. Le implicazioni sulla valutazione del numero dei movimenti che possono essere assunti come indipendenti sono notevoli. In assenza di tale ipotesi, il telaio presenterebbe i seguenti 7 movimenti indipendenti nodo B: nodo C : nodo D:
wB wC
ϕD
vB vC
ϕB ϕC
Se per i pilastri si continua a mantenere l’ipotesi di trascurabilità della deformazione per sforzo normale rispetto a quella per momento flettente, si potrebbero comunque ridurre i movimenti indipendenti a 4 poiché wB=wC vB=0 vC=0 Infine, le usuali considerazioni di dipendenza tra i movimenti porterebbero a ritenere il valore di ϕD come dipendente dagli altri, fissando il numero minimo dei movimenti indipendenti (e quindi delle incognite) a tre.
Lezione n. 11 – pag. XI.4
L’ipotesi di rigidità dell’elemento orizzontale comporta un’ulteriore riduzione nel numero dei movimenti indipendenti: dal momento che, come già osservato, i punti B e C non possono traslare verticalmente per non violare la condizione di indeformabilità assiale dei piedritti, la rigidezza del tratto orizzontale impedisce di fatto la rotazione sia in B che C . Se l’asta orizzontale ruotasse, infatti, dovrebbe farlo rigidamente: quindi, ad esempio nel caso di una rotazione oraria, si dovrebbe spostare verso l’alto il punto B e verso il basso (della stessa quantità) il punto C . Dal momento che entrambi tali spostamenti risultano impediti, la rotazione dell’asta orizzontale deve necessariamente risultare nulla, quindi riducendo di fatto la soluzione della struttura all’individuazione di un solo movimento indipendente, la traslazione orizzontale della trave. Si è quindi in presenza di un telaio che, nella sua componente orizzontale, può soltanto traslare, mentre le rotazioni sono praticamente impedite dalla differenza di rigidezza tra elementi verticali ed orizzontali(*).
A Z Z O B Una volta individuato il movimento indipendente, è quindi possibile procedere alla soluzione della struttura, secondo le usuali procedure. Fase I
Bloccando l’unico movimento indipendente (la traslazione dell’asta orizzontale) attraverso l’introduzione di un vincolo ausiliario (ad esempio in C ), si perviene alla struttura in figura, dove si è riportato, isolandolo dal resto, anche l’unico tratto caricato ( AB) ed il relativo diagramma dei momenti. qL /12 J tr =∞ B
C
B
L
L
D
A
q
L
qL/2
A
q
qL/2
qL /12
Il vincolo in B è offerto da un incastro alla luce delle osservazioni precedenti ( B è impedito, di fatto, di compiere qualsiasi movimento, a causa della presenza del vincolo ausiliario [che impedisce w B], della indeformabilità assiale dell’asta AB [che annulla vB] e della rigidità dell’asta BC [che rende impossibile qualunque rotazione ϕB]). E’ però importante notare che nella struttura non sono presenti “vincoli” che blocchino la rotazione in B, ma è l’asta BC che praticamente impedisce tale movimento. Di conseguenza, la reazione qL2/12 disegnata in B deve essere esercitata dall’asta orizzontale BC , che quindi non può essere scarica. L’asta BC può allora essere rappresentata come in figura, dove i vincoli sono dovuti al fatto che, data l’elevata rigidezza di tale asta, le altre aste riescono a fornirle soltanto un vincolo alla traslazione verticale (stante la loro indeformabilità assiale), mentre il vincolo ausiliario ne blocca la
(*)
Telai come quello riportato in figura, in cui gli elementi orizzontali presentino rigidezze molto più alte degli elementi verticali tali da poter ricondurre lo studio a quello di un telaio che trasla soltanto, vengono denominati come “ shear-type” (letteralmente, “tipo-taglio”) in quanto subiscono una deformazione che, complessivamente, è paragonabile a quella di un concio di una trave che si deformi soltanto per taglio, essendo possibili soltanto “scorrimenti” dell’elemento orizzontale rispetto alla base. Tale schematizzazione è spesso utilizzata in ingegneria sismica, al fine di valutare la risposta di telai ad
Lezione n. 11 – pag. XI.5
traslazione. Gli elementi verticali sono infatti, rispetto all’asta in esame, “infinitamente flessibili” e quindi non forniscono nessun grado di vincolo efficace rispetto alla rotazione degli estremi dell’asta BC . 2
qL /12 C B qL/12
L
A Z Z O B qL/12
E’ infine importante sottolineare che lo stato di sollecitazione in elementi indeformabili (quali la trave del telaio in esame) è ricavabile utilizzando esclusivamente condizioni di equilibrio, non essendo possibile ricorrere alle usuali relazioni che collegano lo stato di deformazione a quello di sollecitazione. Nel caso in cui la parte infinitamente rigida risulti vincolata da un numero di vincoli che la rendano staticamente determinata, il solo ricorso alle equazioni di equilibrio permetterà di risalire allo stato di sollecitazione (come nel caso riportato in figura). Se, viceversa, fosse presente un numero sovrabbondante di vincoli e la trave risultasse quindi staticamente indeterminata, lo stato di sollecitazione ed i valori delle reazioni vincolari rimarrebbero evidentemente indeterminati. In conclusione, la fase I fornisce il risultato riportato in figura, in termini di reazioni vincolari e diagramma dei momenti. qL2/12
qL2/12
B
C
qL/2
2
qL /24
A
q
L
D
qL/2
qL /12
qL/12
L
qL/12
Fase II
In fase II si considera la struttura riportata in figura, in cui si è applicata la reazione del vincolo ausiliario in B con il segno opposto. I due tratti AB e CD, isolati dal resto, sono anch’essi rappresentati in figura. qL/2
J tr =∞
F1
F2
B
C
B
L
D
A L
δ
δ
δ
C
L
L
A
D
Lezione n. 11 – pag. XI.6
Il telaio, libero soltanto di traslare, subirà uno spostamento orizzontale (per il momento incognito) che è stato indicato con δ. Entrambi i casi riportati in figura rappresentano situazioni che sono già note. Nel primo caso (trave con entrambe le estremità impedite di ruotare e soggetto ad una traslazione all’estremità libera di traslare) la rigidezza alla traslazione (cioè la forza necessaria per ottenere uno spostamento unitario) vale 12EJ/L3, da cui 12 EJ F1 = δ L3 In figura seguente, sfruttando risultati già noti, sono riportate le reazioni vincolari ed il diagramma del momento. δ δ (6EJ/L2)
A Z Z O B δ (6EJ/L2)
δ (12EJ/L3)
B
L
A
δ (12EJ/L ) 3
δ (6EJ/L2)
δ (6EJ/L ) 2
Il secondo caso è invece riconducibile (in termini di sollecitazioni e spostamenti di estremità) a quello di una mensola di uguale lunghezza sottoposta all’estremo libero ad una forza concentrata pari a F2. Nel caso in esame si era quindi già visto che il collegamento tra lo spostamento δ e la forza F2 è offerto dalla relazione δ=
F2 L3
3 EJ per cui la rigidezza alla traslazione vale 3EJ/L3 e di conseguenza 3 EJ F2 = δ L3 M2 δ
F2L
F2
F2L
C
C
L
D
F2
δ
D
F2
A questo punto è agevole ricavare il valore dello spostamento δ incognito. La somma delle due forze F1 e F2, deve equilibrare l’azione complessiva esterna, da cui
F
+F
qL
⇒
δ
12 EJ
+δ
3 EJ
qL
⇒
δ
qL4
Lezione n. 11 – pag. XI.7
e quindi(**)
F1 = δ F2
12 EJ
=δ
L3 3 EJ
= =
qL4 30 EJ qL4
⋅
⋅
12 EJ L3
3 EJ
2
= qL 5
=
qL
30 EJ L3 10 L3 E’ possibile a questo punto riportare i diagrammi finali relativi alla fase II, assemblando i risultati appena ottenuti. In figura seguente sono riportati i valori delle reazioni vincolari ed il diagramma dei momenti della struttura in questa fase.
A Z Z O B 0 1 /
qL /(30EJ)
qL/2
J tr =∞
2
qL2/5
C
B
L q
qL2/10
5 /
2
L q
L
A
D
2qL/5
qL/10
2
qL /5
3qL/10
qL /5
3qL/10
L
I valori delle reazioni vincolari verticali e dei momenti nel tratto BC sono stati ottenuti, analogamente a quanto fatto in precedenza, imponendo l’equilibrio del tratto infinitamente rigido, anche in questo caso staticamente determinato. qL /5
0 1 /
qL /10
B
2
L q
5 /
C
2
L q
3qL/10
L
3qL/10
(**)
E’ interessante notare che, in analogia a quanto fatto nel caso della rotazione, si potrebbe definire una rigidezza totale alla traslazione come la somma delle rigidezze dei due elementi
Wtot
= WBA + WCD =
ρ BA
=
12 EJ
+
3 EJ
=
15 EJ
L3 L3 L3 La forza orizzontale si ripartisce quindi tra i due elementi secondo il valore dei coefficienti di ripartizione (questa volta relativi ad una forza anziché ad un momento) WBA
=
12 EJ / L3
=
12
4
= ,
ρ CD
=
WCD
Wtot 15 EJ / L3 12 + 3 5 da cui i valori delle forze nei due elementi verticali
F1
Wtot
4 qL
= FBA = ρ BA ⋅ Ftot = ⋅
=
2
qL,
F2
=
3 EJ / L3
15 EJ / L3
3
12 + 3
1 qL
= FCD = ρ CD ⋅ Ftot = ⋅
5 2 5 in cui Ftot è la forza applicata nel tratto orizzontale.
=
5
2
=
=
qL 10
1
5
Lezione n. 11 – pag. XI.8
Fase I + Fase II
La somma delle due fasi, infine, fornisce i risultati complessivi nella struttura, anche in questo caso riportati soltanto in termini di reazioni vincolari e diagramma dei momenti flettenti (***). 0 1 /
B 7qL2/60
J tr =∞
q
2
0 6 /
C
B
L q
C
2
L q 7
2
qL /10
A Z Z O B L
A
D
9qL/10
17qL /60
13qL/60
qL/10
D
A
17qL2/60
13qL/60
L
Esempio: tratti con taglio nullo
Un’altra classe di casi in cui è possibile ricondursi ad un solo movimento indipendente è rappresentata da strutture nelle quali le particolari condizioni di carico permettano di incrementare la gamma delle situazioni dove alcuni movimenti possono essere ritenuti dipendenti da altri. A titolo di esempio, si riporta il caso del telaio in figura, costituito da una struttura simmetrica sottoposta ad un carico antimetrico. F
B
A
C
F
L
D
L/2
L/2
L/2
L/2
Il caso appena studiato, corrispondente alla circostanza in cui J tr =∞, approssima in realtà molto bene anche situazioni diverse da quelle esaminate. Infatti, differenze di rigidezza anche non così marcate tra i pilastri e la trave condurrebbero comunque a risultati s imili a quelli indicati. Nella tabella seguente sono riportati, in funzione del rapporto J tr /J pil ed a meno del fattore qL 2, i valori dei momenti nelle tre sezioni A, B e C .
(***)
sezione
Jtr /J pil=∞
MA MB MC
17/60=0.283 7/60=0.117 1/10=0.100
Jtr /J pil=10
0.286 0.115 0.099
diff. % +0.88% -1.43% -0.83%
Jtr /J pil=3
0.292 0.111 0.098
diff. % +2.94% -5.00% -2.50%
Jtr /J pil=1
0.307 0.103 0.091
diff. % +8.24% -12.14% -9.17%
Come si può osservare, già nel caso in cui il rapporto tra il momento di inerzia della trave e quello del pilastro sia pari a 3, l’errore che si commetterebbe studiando il telaio come composto da un traverso infinitamente rigido ammonta, al massimo al 5%. Inoltre, il caso J tr /J pil=10 corrisponde, di fatto, al caso
Lezione n. 11 – pag. XI.9
In generale, i movimenti indipendenti per la struttura in esame sarebbero i seguenti: nodo A: nodo B: nodo C :
wA wB wC
ϕA vB
ϕC
ϕB
Sfruttando l’ipotesi di indeformabilità assiale si ottiene wA=wB=wC=w vB=0
A Z Z O B
mentre le due rotazioni ϕA e ϕC (che per rispettare l’antimetria devono essere uguali), possono essere assunte come movimenti dipendenti a causa dalla presenza delle cerniere in A e C . In ultima analisi, la struttura potrebbe essere studiata ricorrendo a soltanto due movimenti indipendenti, la traslazione w dell’elemento orizzontale e la rotazione in B ( ϕB). E’ però immediato rendersi conto che, trattandosi di una situazione antimetrica ed essendo la struttura sottoposta soltanto a forze verticali, l’elemento verticale BD non è soggetto a taglio. Sull’elemento verticale, quindi, si è in presenza di una condizione statica aggiuntiva che, in analogia a quanto già fatto per l’estremità delle travate in cui la condizione M=0 rendeva possibile il considerare la rotazione in tale sezione come dipendente, consente di ridurre il numero dei movimenti che è necessario assumere come indipendenti. L’integrazione della linea elastica limitatamente al tratto in esame, è infatti possibile anche se conoscessimo soltanto il valore della rotazione in B ma non il valore dello spostamento orizzontale w.
ϕB
D
B
MB
wB
L
v(D) = 0
v′(D) = −φ(D) = 0
T(B) = −EJv′′(B) = 0
v′(B) = −φ(B) = −φB
Le quattro condizioni al contorno (due cinematiche in D e due statiche in B) consentono la definizione della linea elastica della struttura; il valore dello spostamento in B (indicato con wB) potrebbe quindi essere ricavato in un secondo momento come wB=v(L), Nella stessa sezione si potrà ricavare anche il valore del momento flettente utiliz zando la relazione M(B) = −EJv′ (B)
Di conseguenza, si può studiare la struttura assumendo, come unico movimento indipendente, il valore della rotazione in B. Fase I
Al solito in questa fase occorre risolvere la struttura in cui, attraverso l’introduzione di un vincolo ausiliario (morsetto) in B si imponga la condizione ϕB=0. La soluzione (in termini di reazioni vincolari e diagrammi dei momenti) è riportata nella figura seguente; i singoli tratti, una volta isolati dal resto della struttura, sono rappresentati da travi già incontrate in precedenza, per le quali si sono sfruttati risultati noti.
Lezione n. 11 – pag. XI.10
5FL/32
F B
A
C
3FL/8
3FL/16
F
A
C
F
6 1 / L F 3
F 5FL/16
B 5FL/32
5FL/16
L
A Z Z O B D
L/2
L/2
D
L/2
L/2
Fase II
In fase II occorrerà ripartire la reazione del vincolo ausiliario in B, cambiata di segno, tra le varie aste che concorrono in B, una volta stabiliti i valori delle rigidezze alla rotazione in B di tali aste. I due tratti AB e BC sono rappresentati da travi semplicemente appoggiate, per le quali si è già visto che la rigidezza alla rotazione assume il valore 3R. L’asta verticale DB è rappresentata da una trave nella quale, a causa delle osservazioni effettuate in fase di riduzione dei movimenti indipendenti, il valore del taglio è nullo. Si tratta quindi, una volta che tale tratto venga isolato dal resto della struttura, di una trave in cui l’estremità inferiore è fissa, quella superiore è libera sia di traslare che di ruotare: si è quindi in presenza di una mensola sottoposta ad un momento costante, per la quale si era già ricavato un valore della rigidezza alla rotazione pari ad R.
MDB=-MBD
ϕB
D
k BD =
B
EJ L
t=-1
MBD
L
Si può quindi ricavare il valore della rigidezza totale alla rotazione del nodo B k B
= k BA + k BC + k BD = 3R + 3R + R = 7R
e, di seguito, i valori dei coefficienti di ripartizione ρ BA
=
k BA k B
=
3R
7 R
=
3
7
,
ρ BC
=
k BC k B
=
3R
7 R
=
3
7
,
ρ BD
=
k BD k B
=
R
7 R
=
1 7
E’ quindi possibile “ripartire” il momento flettente tra le varie aste, ottenendo i risultati riportati in figura seguente, in cui, per semplicità di scrittura, si è posto:
=
3
16
FL
Inoltre, il valore della rotazione in B assume il valore φB
=
2
k B
3 1 L 3 FL2 = = FL = 7R 8 7 EJ 56 EJ 2
Lezione n. 11 – pag. XI.11
2
7 /
3FL/8=2 A
C
B
A
C
6
B
2
6
/7 7 /
/(7L)
L
6
6
/(7L)
A Z Z O B D
L/2
L/2
D
L/2
2
L/2
/7
Fase I + Fase II
Sommando i risultati ottenuti nelle due fasi, si ottiene infine la soluzione della struttura, riportata in figura seguente in termini di reazioni vincolari e diagrammi del momento flettente. 53
/42
7 /
F
A
C
B
F
53
7 /
53
/(21L)
53
2
/7
L/2
/(21L)
L
D
2
L/2
/42
L/2
/7
L/2
Un’ultima osservazione riguarda il valore dello spostamento orizzontale w del traverso, assunto come movimento dipendente dagli altri. E’ possibile risalire al valore di w considerando che, in fase I, tale valore è nullo (come si può facilmente osservare dal fatto che l’elemento verticale BD è scarico e quindi non nascono movimenti in nessuna delle sue sezioni e, quindi, neanche in B). In fase II, tale spostamento può essere valutato attraverso il valore che si avrebbe in una mensola di luce L sottoposta ad un momento flettente costante pari a 2 /7. Si è già avuto modo di osservare, in lezioni precedenti, che gli spostamenti dell’estremità libera di una mensola sottoposta a momento costante ammontano a: φB
=
M* R
=
M* L EJ
,
wB
=
M * L2 2EJ
= φB
L 2
dove M* è il valore del momento flettente cha agisce sulla mensola. Di conseguenza si ha wB
= φB
L 2
3 FL2 L 3 FL3 = = 56 EJ 2 112 EJ
Lezione n. 12 Il metodo dell’equilibrio Effetti delle variazioni termiche nelle strutture Le variazioni termiche che agiscono sulle strutture possono essere classificate in: − variazioni che producono solo spostamenti e deformazioni, − variazioni che producono anche o solo stati di coazione (sollecitazioni interne). Si consideri un corpo libero nello spazio e lo si sottoponga ad una variazione di temperatura ∆T. Per effetto della variazione termica, il corpo subisce in ogni punto una deformazione εt, la cui entità è direttamente proporzionale alla variazione di temperatura ∆T. La costante di proporzionalità è nota come coefficiente di dilatazione termica e si indica con il simbolo αt (o, più semplicemente, con α). Si può pertanto scrivere:
A Z Z O B εt = α ∆T.
Per materiali come l’acciaio ed il calcestruzzo α assume il valore di 10-5 °C-1. Essendo il corpo libero di deformarsi in una qualunque direzione dello spazio, perché privo di vincoli, la variazione termica produce solo spostamenti e deformazioni senza fare insorgere nessuno stato di sollecitazione all’interno del corpo. Quando si passi a considerare gli effetti di una variazione termica su una trave o su un sistema di travi soggette ad un assegnato numero di vincoli, gli effetti che si registrano variano in funzione del numero e della disposizione dei vincoli. In particolare, si possono registrare: − solo deformazioni e spostamenti (come nel caso del corpo libero), − deformazioni, spostamenti e sollecitazioni interne, − solo sollecitazioni interne. Per fissare le idee si consideri una trave semplicemente appoggiata, con una cerniera fissa nell’estremo A e un carrello nell’estremo B:
L
A
B
Se la si sottopone ad una variazione termica costante, ossia tutte le fibre della trave sono sottoposte alla stessa variazione di temperatura, ad es. positiva, le fibre si allungano della quantità:
∆L = εt · L = α ∆T · L
∆L
L
B
A
+∆T
Lo stesso dicasi se la variazione termica è negativa, nel qual caso si registra un accorciamento della trave. Se la stessa trave viene sottoposta ad una variazione termica lineare a farfalla, con valore massimo +∆T all’estradosso e minimo – ∆T all’intradosso, allora le fibre superiori si allungano, quelle inferiori si accorciano e le fibre baricentriche (sull’asse della trave) non subiscono alcuna deformazione; la trave si incurva verso l’alto assumendo la configurazione deformata ad arco di cerchio rappresentata nella figura seguente:
Lezione n. 12 – pag. XII.2
L
+∆T B
A
−∆T Anche in questo caso la presenza dei vincoli non ostacola gli spostamenti e le deformazioni prodotti dalla variazione termica, che pertanto non produce altri effetti se non quelli descritti. Si osservi che nel caso di variazione termica uniforme, la possibilità di spostamento è garantita dalla presenza dell’appoggio scorrevole in B, mentre nel secondo caso – variazione termica a farfalla - le deformazioni e gli spostamenti termici sono permessi dall’assenza di vincoli di rotazione ad entrambi gli estremi della trave. Da questo si può immediatamente dedurre che se si sostituisce il carrello in B con una cerniera, il nuovo vincolo comporterà l’insorgere di uno stato di sollecitazione interno nel caso della variazione termica uniforme, mentre non comporterà alcun cambiamento nel caso di variazione termica a farfalla, perché la cerniera alla stregua del carrello lascia libera la rotazione dell’estremo B:
A Z Z O B L
+∆T
B
A
−∆T
Vediamo di quantificare lo stato interno di sollecitazione che nasce nel caso della trave incernierata ad entrambe le estremità soggetta ad una variazione termica uniforme positiva: L
B
A
+∆T
in questo caso le fibre longitudinali della trave non possono allungarsi, perché le due cerniere fisse impediscono qualunque traslazione nel piano della trave, ed in particolare lo spostamento nella direzione dell’asse. L’azione dei vincoli sulla trave si esplica attraverso le reazioni vincolari che essi trasmettono alla trave, e per effetto delle quali nasce all’interno della trave uno stato di sollecitazione, che si è soliti indicare con il termine di stato di coazione termica. Per determinare le reazioni vincolari e le sollecitazioni interne si può utilizzare il metodo della congruenza. A questo scopo scegliamo come sistema principale quello che si ottiene eliminando il vincolo alla traslazione orizzontale in B e sostituendolo (secondo il postulato fondamentale della meccanica) con la corrispondente reazione vincolare: L
B HB
A
+∆T
la soluzione si trova determinando lo spostamento orizzontale w B(∆T) prodotto dalla variazione termica e quello wB(HB) prodotto dall’incognita iperstatica, ed imponendo che la loro somma sia uguale a 0, affinché sia rispettata la congruenza nella sezione B della struttura di partenza. L’equazione di congruenza risulta quindi: wB=wB(∆T) + wB(HB) = 0
Lezione n. 12 – pag. XII.3
L
L
B
A
+∆T
+
B HB
A
si ha: wB(∆T) = α∆T L (positivo perché verso destra) mentre wB(HB) si ricava immediatamente dal problema del De’ Saint-Venant:
A Z Z O B wB(HB) = - HB · L / (EA); (negativo perché verso sinistra) sostituendo nell’equazione di congruenza si ottiene:
α∆T L - HB · L / (EA) = 0
da cui si ricava il valore di H B: HB = α ∆T EA
La trave è pertanto soggetta ad uno sforzo normale di compressione pari a HB.
N.B. Si osservi come il valore di H B e quindi dello sforzo normale dipenda dalla sezione trasversale e dal modulo di elasticità del materiale. Pertanto lo sforzo normale sarà tanto maggiore quanto maggiore è la rigidità assiale EA della trave, ossia quanto maggiore è il modulo di elasticità (materiale più rigido) e/o quanto maggiore è la sezione trasversale. Gli spostamenti e le deformazioni sono invece nulle , infatti il concio elementare di lunghezza dz della trave per effetto della variazione termica tenderebbe ad allungarsi di ε t = α ∆T dz, mentre per effetto dello sforzo normale si accorcia di ε HB = H B dz / (EA) = α ∆T dz. Le due deformazioni sono uguali e contrarie, pertanto la deformazione totale del concio è nulla e la trave non si de forma. Sulla base degli esempi visti sopra possiamo concludere che: − ogni qualvolta la variazione termica produce spostamenti e deformazioni compatibili con i vincoli, la variazione termica non fa insorgere alcuno stato di sollecitazione all’interno della struttura (in questo caso la variazione termica si dice congruente); − quando la variazione termica tende a produrre spostamenti non compatibili con i vincoli, allora all’interno della struttura insorge uno stato di sollecitazione ( variazione termica non congruente). Sulle strutture si considerano di solito variazioni termiche costanti o a farfalla, o più in generale variazioni termiche lineari di forma trapezia. Queste ultime si possono sempre ricondurre alla somma di una variazione termica costante e di una a farfalla, secondo il seguente schema:
+∆T1
(∆T1+∆T1)/2
=
+∆T2
+(∆T1-∆T1)/2
+
−(∆T1-∆T1)/2
pertanto negli esempi che seguono si considerano solo variazioni termiche uniformi o a farfalla.
Lezione n. 12 – pag. XII.4
Esempio Risolviamo la seguente struttura simmetrica, formata da tre piedritti ed un traverso, tutte di lunghezza L e rigidità flessionale EJ/L costante, e soggetta ad una variazione termica a farfalla sul traverso.
+∆T
+∆T 1
2
3
−∆T
−∆T
A Z Z O B L
4
5
6
L
L
Considerazioni preliminari sulla simmetria della struttura e dello schema di carico Prima di procedere alla soluzione della struttura con il metodo dei vincoli ausiliari, possiamo utilizzare la simmetria della struttura e dello schema di carico(*) per ricavare alcune informazioni sulle caratteristiche di sollecitazione nella mezzeria del traverso e nel piedritto centrale. A questo scopo si consideri dapprima una struttura simmetrica caricata simmetricamente, dove sull’asse di simmetria non ci sia nessun piedritto. Per rispettare le condizioni di simmetria le caratteristiche di sollecitazione nella mezzeria del traverso devono avere i versi indicati nella figura. Del resto, affinché sia soddisfatto l’equilibrio alla traslazione verticale del concio a cavallo della sezione di mezzeria, il taglio deve essere necessariamente nullo. 1
2
3
Tt
Mt
4
X
Nt
Nt
X Tt
Mt
6
Nel caso in cui sull’asse di simmetria ci sia invece un piedritto (come nell’esempio che stiamo per studiare), sulle due facce del concio di mezzeria del traverso può esserci oltre a Nt e Mt anche un taglio Tt. Difatti in questo caso l’equilibrio alla traslazione verticale del concio e la simmetria sono garantite dalla presenza dello sforzo normale nel piedritto centrale: (*)
A prima vista, la condizione di carico sembrerebbe antimetrica, e questo a causa della rappresentazione grafica utilizzata per le variazioni termiche. In realtà la situazione in esame rappresenta una condizione di carico simmetrica per la struttura, come ci si può facilmente rendere conto pensando alla deformazione che nella struttura nasce a causa della variazione termica a farfalla. La parte di sinistra, se libera di deformarsi, tenderebbe infatti ad assumere una deformata in cui le fibre si allungano all’estradosso e si accorciano all’intradosso, incurvandosi quindi verso
Lezione n. 12 – pag. XII.5
N p = 2 Tt. Nel piedritto centrale, inoltre, per evidenti ragioni di simmetria, sia il taglio che il momento flettente devono essere nulli. 1
2
Tt
3
Mt
Tt
Nt
Nt
Mt
A Z Z O B 4
5
T p
6
Mp
X
N p
X
Possiamo quindi concludere che nella mezzeria del traverso, grazie alla presenza del piedritto sull’asse di simmetria, possiamo avere tutte e tre le caratteristiche di sollecitazione N, T e M, mentre nel piedritto centrale può esserci per simmetria solo uno sforzo normale. Soluzione della struttura con il metodo dei vincoli ausiliari Adottando la seguente convenzione per i versi positivi degli spostamenti e delle reazioni vincolari:
convenzione per i versi positivi degli spostamenti e delle forze
+
occorre innanzitutto individuare i movimenti indipendenti della struttura. Mettendo in conto tutti i contributi deformativi (incluso quello dello sforzo normale) e prescindendo per il momento dalla simmetria della struttura e dalla simmetria del carico, si ha che ogni nodo su periore (1, 2 e 3) può sia traslare in direzione orizzontale sia in direzione verticale nonché ruotare, e pertanto i movimenti indipendenti sono i seguenti 9: nodo 1: nodo 2: nodo 3:
w1 w2 w3
v1 v2 v3
ϕ1 ϕ2 ϕ3
dove con w sono state indicate le traslazioni orizzontali, con v quelle verticali e con dei nodi. Se introduciamo l’ipotesi di indeformabilità assiale di tutte le aste, si ha che: − v1, v2 e v3 sono nulli, per l’indeformabilità assiale dei piedritti, − w1=w2=w3 per l’indeformabilità assiale del traverso, riducendo così il numero di movimenti indipendenti da 9 a 4, w
ϕ1
ϕ2
ϕ le rotazioni
ϕ3
dove si è indicato con w il valore comune di w 1, w2 e w3. Infine, tenendo conto della simmetria della struttura e della simmetria del carico, si può concludere che: − il nodo 2, trovandosi sull’asse di simmetria di una struttura simmetrica caricata simmetricamente, non può traslare orizzontalmente, e pertanto w=0, ossia il traverso non trasla orizzontalmente; − il nodo 2 non può ruotare, per lo stesso motivo del punto precedente (w=0); − la rotazione del nodo 1 e quella del nodo 3 sono uguali e contrarie (ϕ1=-ϕ3).
Lezione n. 12 – pag. XII.6
Fase I Nella fase I si inseriscono nella struttura dei vincoli ausiliari che bloccano i movimenti indipendenti; data la simmetria della struttura possiamo limitarci a studiare metà struttura (ad es. la parte posta alla sinistra dell’asse di simmetria). Per quanto detto sopra, il nodo 2 non può né traslare né ruotare, pertanto nel nodo 2 è come se ci fosse un incastro. La parte sinistra della struttura in fase I, a movimenti indipendenti bloccati, è rappresentata nella figura seguente, dove la linea tratto-punto ci ricorda la presenza del piedritto centrale.
A Z Z O B +∆T
1
2
−∆T
L
4
L
L’asta 1-2 risulta in fase I incastrata ad entrambi gli estremi e soggetta ad una variazione termica a farfalla. Per effetto di questa variazione termica nell’asta insorge uno stato di sollecitazione, in quanto gli estremi dell’asta, a differenza di quanto accadeva nell’esempio dell’asta incernierata ad entrambi gli estremi, non possono ruotare e pertanto l’asta non è libera di inflettersi verso l’alto. I vincoli di incastro impediscono la rotazione di 1 e di 2, attraverso due coppie uguali e contrarie (per simmetria), il cui valore può essere determinato con il metodo della congruenza. A questo scopo, sopprimiamo i vincoli di rotazione in 1 e in 2 e sostituiamoli (secondo il postulato fondamentale della meccanica) con le corrispondenti reazioni vincolari, che indichiamo con X:
+∆T
+∆T
2
1
=
−∆T
X
2
1
−∆T
L
+∆T
2
−∆T
=
L
1
ϕ1(∆T)
X
ϕ2(∆T)
+
L
X
1
ϕ1(X)
ϕ2(X)
2
X
L
Il valore di X si ricava imponendo la condizione di congruenza alla rotazione in 1 o in 2, ossia im ponendo che la somma della rotazione prodotta dalla variazione termica e di quella prodotta da X sia uguale a 0: φ1 (∆T ) + φ1 ( X) = 0 (equazione di congruenza)
Lezione n. 12 – pag. XII.7
Calcolo di 1( T) Per il calcolo di ϕ1(∆T) è sufficiente ricorrere al PLV: S.S.D.
+∆T 1
S.F.S.*
2
ϕ1(∆T)
ϕ2(∆T)
−∆T
1*
2
1
* 1
+
1*
A Z Z O B * 1
L
− 1* φ1 (∆T) − 1* φ 2 (∆T) =
∫
1* K t ( z )dz
0
nell’espressione precedente K t(z) rappresenta la curvatura prodotta dalla variazione termica nel sistema S.S.D. (di spostamenti e deformazioni), e può essere determinata ricorrendo alla definizione di curvatura, che esprime la rotazione relativa tra due sezioni poste a distanza unitaria, ovvero è la derivata della rotazione ϕ(z). A questo scopo consideriamo un concio di trave di lunghezza unitaria ed altezza h, supponiamo fissa la faccia di sinistra e valutiamo di quanto ruota la faccia destra rispetto ad essa per effetto della variazione termica a farfalla: +α ∆T +∆T 2 / h
K t
h
−α ∆T
−∆T
1
le fibre superiori del concio si allungano di α∆T, mentre quelle inferiori si accorciano della stessa quantità, la deformazione delle altre fibre segue lo stesso andamento lineare della variazione termica, pertanto la rotazione relativa K t, ossia la curvatura termica, è pari a: K t
=−
α ∆T
h 2
=−
2α ∆T h
dove il segno meno deriva dal fatto che K t (rotazione della faccia di destra rispetto a quella sinistra) è oraria, mentre nella convenzione adottata nella linea elastica le rotazioni sono antiorarie; sostituendo nell’equazione dei lavori virtuali, e sfruttando inoltre per simmetria l’uguaglianza dei moduli delle rotazioni di 1 e di 2, si ottiene: L
− 1* ⋅ 2 ⋅ φ1 (∆T) =
∫ 0
− 1* ⋅ 2 ⋅ φ1 (∆T) = −
φ1 (∆T ) =
α ∆T
il fatto che
h
1* −
2α ∆T
2α ∆T h
h
dz
L
L
(∆T) sia positiva significa che essa è concorde con il verso adottato nella figura, ossia
Lezione n. 12 – pag. XII.8
Se esprimiamo questa rotazione secondo la convenzione scelta per gli spostamenti positivi dob biamo cambiare segno: α ∆T φ1 (∆T ) = − L convenzione spostamenti positivi h Calcolo di 1(X) Il valore di ϕ1(X) può essere agevolmente calcolato sfruttando risultati già noti in precedenza. Le rotazioni di estremità di una trave incernierata ad entrambi gli estremi ed ivi soggetta a due coppie uguali e contrarie è infatti pari a:
A Z Z O B 1
X
ϕ1(X)
ϕ2(X)
2
X
L
φ1 ( X) =
XL
2EJ
(rotazione oraria)
Valutazione di X Sostituendo i valori di
ϕ1(∆T) e ϕ1(X) nell’equazione di congruenza si ricava:
φ1 (∆T ) + φ1 ( X) = 0
ossia
−
α ∆T
X
=
L+
XL
h 2EJ 2α ∆T EJ
=0
h
L’asta 1-2 è quindi soggetta ad un momento costante positivo pari a X, ed il diagramma del momento flettente in Fase I è il seguente:
X
1
2
+ X=(2 α ∆T EJ)/h
X
X
L
4
L
dove M'12 = X e M' 21 = -X. N.B. Per effetto della variazione termica a farfalla, l’asta 1-2 in fase I, con entrambi gli estremi incastrati, non subisce alcuna deformazione! Questo risulta evidente se si calcola la curvatura pro-
Lezione n. 12 – pag. XII.9
M (z )
curvatura prodotta da X:
K X (z ) =
curvatura prodotta da ∆T:
K t ( z ) = −
EJ
=
X EJ
=
2α ∆T EJ EJ h
=
2α ∆T h
2α ∆T
h al variare di z (ascissa lungo l’asse della trave) le due curvature rimangono costanti e pari l’una all’opposto dell’altra, pertanto la curvatura totale è nulla lungo tutta la trave, ossia in questa fase la trave non si deforma!
A Z Z O B Fase II
Nella seconda fase, per ripristinare l’equilibrio nei nodi in cui sono stati introdotti i vincoli a usiliari, occorre eliminare i vincoli ausiliari ed applicare alla struttura le loro reazioni cambiate di segno. Nel presente caso l’unico vincolo ausiliario è il morsetto in 1, pertanto è sufficiente applicare nel nodo 1 la reazione del morsetto (oraria e pari a X=(2 α ∆T EJ)/h) cambiata di segno (antioraria):
X
2
1
L
4
L
La coppia X nel nodo 1, si ripartirà tra l’asta 1-2 e l’asta 1-4; per determinare il valore della coppia assorbita da ciascuna asta, procediamo al calcolo dei coefficienti di ripartizione. Per fare questo occorre innanzitutto determinare il valore della rigidezza alla rotazione della sezione 1 dell’asta 1-2 e della sezione 1 dell’asta 1-4: per l’asta 1-4 si ha k 14 = 4R: 1
anche per l’asta 1-2 si ha k 12 = 4R:
k 14=4R
k 12=4R
2R
1
ϕ1=1
ϕ1=1
2
L
L
2
2R la rigidezza alla rotazione k 1 del nodo 1 è data dalla somma di k 12 e k 14: k = k + k = 4R + 4R = 8R;
Lezione n. 12 – pag. XII.10
ρ12
=
k 12 k 1
=
4R 8R
=
1
ρ14
2
=
k 14 k 1
=
4R 8R
1
=
2
i due coefficienti di ripartizione sono entrambi pari a 0.5, pertanto le coppie applicate nella sezione 1 di ciascuna asta sono pari a: M12
= ρ12 X =
X 2
M14
= ρ14 X =
X 2
N.B. A questo risultato si poteva arrivare immediatamente osservando che le due aste hanno la stessa rigidezza alla rotazione nella sezione 1, perché hanno la stessa rigidità flessionale EJ/L e sono soggette alle stesse condizioni di vincolo, pertanto non possono che assorbire ciascuna la stessa aliquota della coppia X.
A Z Z O B
Tenendo presente che il coefficiente di trasmissione di entrambe le aste è pari a 1/2 si ottiene il seguente diagramma del momento flettente: X/2
-
1
2 +
X/2
X/4
+
M"12 = - X/2 M"21 = -X/4
M"14 = - X/2 M"41 = -X/4
L
-
4
L
X/4
Fase I + Fase II
Una volta definite le due fasi, la soluzione della struttura si ottiene per composizione degli effetti in fase I con quelli in fase II. Ad esempio, per ottenere il diagramma del momento totale è sufficiente sommare il diagramma ottenuto in fase I con quello della fase II, ottenendo il risultato riportato in figura: 1 X/2 2 2 / X
-
+
M12 = M'12 + M"12 = X – X/2 = X/2 M21 = M'21 + M"21 = –X – X/4 = –5X/4 M14 = M"14 = –X/2 M41 = M"41 = –X/4
L
-
X/4
4 L
4 / X 5
Lezione n. 12 – pag. XII.11
Sfruttando la condizione di simmetria, è infine possibile disegnare il diagramma sull’intera struttura:
1
2
X/2
2 / X
3
X/2
X / 2
-
-
+
+
A Z Z O B 4 / X 5
L
4
-
5
6
-
X/4
L
X/4
Deformata della struttura La deformata della struttura coincide con la deformata della fase II, perché, come già osservato, in fase I la struttura non si deforma: difatti in fase I i piedritti sono scarichi, mentre il traverso non si deforma per quanto detto sopra. Il tracciamento della deformata risulta pertanto alquanto agevole, perché in fase II ogni asta si trova nella situazione a noi già nota di asta incernierata ad un estremo, incastrata all’altro e soggetta ad una coppia concentrata nell’estremo incernierato. Così ad es. l’asta 1-2 avrà una rotazione antioraria della sezione 1 (per effetto della coppia antioraria M"12) e un punto di flesso a una distanza di L/3 dalla sezione 2 incastrata.
f
1
f
2
f
f
4
3
5
6
N.B. Da osservare come il diagramma del momento flettente sul traverso non sia dalla stessa parte delle fibre tese (il diagramma è in basso, mentre le fibre tese sono in alto). Questo è dovuto alla presenza della variazione termica a farfalla sul traverso (in presenza di soli cari chi espliciti, questo sarebbe un errore!).
Lezione n. 12 – pag. XII.12
Diagramma del taglio e dello sforzo normale Noto il diagramma dei momenti flettenti, è possibile determinare quelli del taglio e dello sforzo normale. Innanzitutto procediamo con il calcolo dei tagli e degli sforzi normali agli estremi di tutte le aste, per fare questo sconnettiamo le aste in corrispondenza dei nodi e mettiamo in evidenza le azioni mutue che si scambiano (una forza orizzontale, una forza verticale e una coppia). Il valore delle forze mutue e delle coppie che le varie aste si scambiano nei nodi si ricavano dall’equilibrio di ciascuna singola asta. Nella figura seguente sono rappresentate le f orze e le coppie agenti agli estremi di tutte le a ste:
A Z Z O B X/2
H1
H1
V1 X/2 1
4
H4
X/4
V2
1
H2
2
V1
H2
V2
3
X/2
2 -5X/4
-5X/4
H3
V3
V3
2
X/2 3
5
H6
2V2
V5
V4
H3
6 X/4 V6
Abbiamo già visto che nel piedritto centrale 2-5 non può esserci né taglio né momento flettente, ma solo sforzo normale. Le coppie sono già note (si ricavano dal diagramma dei momenti flettenti); le forze che agiscono in direzione ortogonale alle aste si ricavano dall’equilibrio alla rotazione e da quello alla traslazione in direzione ortogonale all’asta: ad es. per l’asta 1-4, dall’equilibrio alla rotazione intorno al nodo 4 si ha: H1L −
X 2
−
X 4
=0
H1
=
3X 4 L
e dall’equilibrio alla traslazione orizzontale: H1 − H 4
=0
H4
= H1 =
3X 4L
.
Dall’equilibrio alla traslazione orizzontale dell’asta 1-2 si ricava che:
− H1 + H 2 = 0
H2
= H1 .
Nella figura seguente sono indicate tutte le forze e c oppie con il loro valore e verso:
Lezione n. 12 – pag. XII.13
(3/4)X/L
X/2
1
(3/4)X/L 2
(3/4)X/L
(3/4)X/L
-5X/4
-5X/4 (3/4)X/L
(3/4)X/L 2
3
X/2
(3/4)X/L
(3/4)X/L
(3/4)X/L
(3/4)X/L (3/2)X/L
X/2 (3/4)X/L 1
X/2
2
3
(3/4)X/L
A Z Z O B 4 X/4
(3/4)X/L
(3/4)X/L
5
6 X/4
(3/2)X/L
(3/4)X/L
(3/4)X/L
Note le forze e le coppie agli estremi di tutte le aste, si può procedere con il tracciamento del diagramma dello sforzo normale e del taglio.
Diagramma dello sforzo normale
) L 4 ( / X 3
+
+
2
1
-
-
+
5
4
3X/(4L)
3
3X/(2L)
6
3X/(4L)
Lezione n. 12 – pag. XII.14
Diagramma del taglio
) L 4 ( / X 3
3
+
2
1
) L 4 ( / X 3
-
A Z Z O B -
+
4
6
5
3X/(4L)
3X/(4L)
N.B. Nella figura seguente è indicato il verso di percorrenza adottato nel tracciamento dei dia grammi dello sforzo normale e del taglio sulla struttura: 1
2
3
4
5
6
Si ricorda che al variare del verso di percorrenza non varia il segno né di N né di T, ma cambia solo il lato dal quale si traccia il diagramma di N o di T. Viceversa per quanto concerne il diagramma di M, al variare del verso di percorrenza varia solo il segno di M, ma non il lato dal quale si traccia il diagramma.
Lezione n. 13 Il metodo dell’equilibrio Esercizi proposti Se non diversamente specificato, risolvere le strutture riportate in figura facendo ricorso al metodo dell’equilibrio. Quando necessario, introdurre l’ipotesi di trascurabilità della deformazione per sforzo normale rispetto a quella per momento flettente per ridurre il numero dei movimenti indipendenti.
A Z Z O B F
F
M
A
B
C
A
B
D
E
F
C
D
q
A
q
A
B
C
C
B
D
D
A
A
F
B
C
D
F
B
F
C
E
E
A
A
F
B
D
D
q
C
B
D
C
Lezione n.13 – pag. XIII.2
M
M
A
B
M
A
C
B
C
D
D
A Z Z O B q
A
B
C
A
D
q
B
q
A
C
B
A
M
B
D
M
C
C
M
M
M
A
B
C
E
F
A
D
A
B
C
E
F
q
B
A
B
F
C
D
D
C
Lezione n.13 – pag. XIII.3
A
A
F B
C
D
F B
F
C
D
A Z Z O B E
E
A
A
F
M
B
B
F
C
C
D
D
A
B
B
A
C
C
M
F
D
F
E
D
E
F
Lezione n. 14 I serbatoi cilindrici: analisi dello stato di sollecitazione L’equazione generale In aggiunta allo studio di strutture con prevalente sviluppo monodimensionale (travi, pilastri, strutture rappresentabili con aste in genere), in cui si ha che una dimensione (la lunghezza) risulta preponderante rispetto alle altre due (le dimensioni trasversali della sezione), occorre spesso analizzare il comportamento di elementi in cui si abbiano due dimensioni prevalenti sulla terza. E’ questo il caso di alcune strutture piane (lastre o piastre), a semplice o doppia curvatura: in quest’ultima categoria rientrano ad esempio le cupole (purché di piccolo spessore) ed i gusci sottili. Tra le strutture a semplice curvatura rientrano i serbatoi cilindrici, il cui studio riveste una certa importanza per la vasta gamma di applicazioni che possono trovare riscontro in impianti spesso collegati ad alcuni aspetti dell’ingegneria ambientale (si pensi, ad esempio, a vasche di decantazione o di sedimentazione in impianti di trattamento delle acque, a digestori, etc.). In questo capitolo si affronterà quindi lo studio dei serbatoi cilindrici, analizzandone in generale lo stato di sollecitazione/deformazione ed investigando alcuni dei casi più semplici che possono incontrarsi correntemente.
A Z Z O B Caratteristiche di sollecitazione per carichi assial-simmetrici
Il serbatoio riportato in figura rappresenta la situazione tipica che verrà investigata: si tratta di una vasca di forma cilindrica contenente, fino ad una certa quota, del liquido, ed immersa, per una certa profondità, nel terreno. Da un punto di vista geometrico, siamo quindi in presenza di un cilindro di altezza h e raggio a, con generatrici verticali, di spessore s. Lo spessore del serbatoio è (in genere) molto più piccolo sia del raggio che dell’altezza del cilindro, cosicché due dimensioni (a ed h) sono preponderanti rispetto alla terza (s). Il liquido esercita una spinta verso l’esterno, in accordo con le leggi dell’idrostatica, che creerà uno stato di sollecitazione sulle pareti del serbatoio. In questa prima fase dello studio si prescinderà dalla conformazione del fondo del serbatoio e dalla presenza di eventuali elementi superiori di copertura, per focalizzare l’attenzione verso il solo cilindro. Si considererà un sistema di riferimento cilindrico, con l’asse X diretto come le generatrici del cilindro e diretto verso l’alto: gli altri due elementi del sistema di coordinate saranno rappresentati dal raggio (che si riterrà costante e pari ad a) e dall’angolo al centro (in generale definito come “longitudine” ed indicato con ϕ). s
quota del liquido
spinta idrostatica
h
terreno
X 2a
Lezione n. 14 – pag. XIV.2
Le ipotesi alla base dello studio, saranno le seguenti: - spessore (s) “piccolo” rispetto all’altezza h ed al raggio a (dove per “piccolo”, si intende, analogamente a quanto fatto nello studio delle travi, almeno un ordine di grandezza (*); - validità dell’ipotesi di comportamento elastico lineare del materiale (e quindi piccoli spostamenti e piccole deformazioni); - carichi in direzione soltanto radiale (cioè ortogonali alla superficie del cilindro) e costanti lungo i paralleli (indipendenti cioè dalla longitudine ϕ): l’unica dipendenza del carico dal sistema di riferimento è quindi lungo la direzione meridiana X. Questa condizione di carico sarà definita come assial-simmetrica, cioè simmetrica rispetto all’asse geometrico del cilindro; - le caratteristiche di sollecitazione (che nel caso della trave sono definite sull’area trasversale della sezione) saranno riferite all’unità di lunghezza, come indicato nel seguito. Il solido di cui ci occupiamo è quindi riportato in figura, dove sono indicate le varie grandezze geometriche di interesse.
A Z Z O B s
a
1
X
1
h
ϕ
Per caratterizzare lo stato di sollecitazione, si estrae un elemento unitario dalla superficie del cilindro (ossia di base ed altezza unitarie e spessore s), evidenziando le azioni interne che ne garantiscono l’equilibrio. La caratteristica del carico (assial-simmetrica) implica che, nel piano della sezione del cilindro, ogni asse passante per il centro del cerchio sia asse di simmetria; in altre parole, la struttura in esame possiede infiniti assi di simmetria. Per l’elemento unitario estratto, quindi, deve risultare uno stato di sforzo indipendente dal valore della longitudine ϕ. Di conseguenza si ha che sono diverse da zero soltanto le azioni indicate nella figura di sinistra mentre devono necessariamente risultare nulle le azioni riportate nella figura di destra.
(*)
Per fissare le idee, una vasca di sedimentazione in cemento armato ha spessori nell’ordine dei 20÷40 cm, un raggio nell’ordine di grandezza di qualche metro (tipicamente 6÷10 m) ed un’altezza almeno pari a 3 m. Nel caso di serbatoi in acciaio, le dimensioni di altezza e raggio sono praticamente le stesse, mentre gli spessori si riducono di
Lezione n. 14 – pag. XIV.3
Qx+dQx
Nx+dNx Txϕ Mϕ Mx+dM x
X
Nϕ
1 X Tϕx
1
X’
X
Qϕ
Qϕ
A Z Z O B X
Nϕ
Tϕx X
Mϕ
Mx
Nx
1
Qx
Mϕ
X
Txϕ 1
In dettaglio: - il momento flettente “di parallelo” Mϕ (cioè quello che inflette i paralleli della struttura) deve essere costante rispetto a ϕ e quindi deve essere nullo il taglio corrispondente (indicato con Q ϕ); - analogamente, lo sforzo normale di parallelo Nϕ deve risultare costante rispetto a ϕ; - le azioni di taglio nel piano della sezione (indicate con T ϕx e T xϕ) devono essere nulle in quanto non rispettano la simmetria del problema (per l’elemento estratto, anche l’asse X’ è infatti asse di simmetria, per cui Tϕx deve essere nullo: Txϕ è di conseguenza nullo per l’equilibrio nel piano dell’elemento); - i momenti torcenti (non indicati nella figura) sono nulli ancora per la simmetria del problema. In ultima analisi, le uniche caratteristiche di sollecitazione non nulle sono: Nϕ, sforzo normale di parallelo Mϕ, momento flettente di parallelo Nx, sforzo normale di meridiano Mx, momento flettente di meridiano Qx, taglio di meridiano Tutte queste grandezze risultano, come già detto, indipendenti da ϕ e quindi sono funzioni soltanto di x (**). La variabilità da x è offerta dalla dipendenza da x del carico applicato sul serbatoio. E’ da ricordare che tali caratteristiche di sollecitazione sono riferite all’unità di lunghezza, quindi si misurano in [F/L] = [F⋅L-1] per Nϕ, Nx e Qx [F⋅L/L] = [F] per Mϕ e Mx E’ da osservare che anche se un momento per unità di lunghezza è rappresentato (dimensionalmente) da una forza, si preferisce in genere adottare la scrittura in termini di F⋅L/L, proprio per evidenziare il fatto che di momento si tratta. In altre parole, si useranno spesso unità di misura del tipo Nm/m (Newton metro per metro) o kgcm/cm (kilocentimetri per centimetro), in modo da sottolineare la grandezza “momento per unità di lunghezza”.
(**)
I carichi, come ipotizzato, agiscono soltanto in direzione radiale, per cui non si ha carico in direzione X; di conseguenza lo sforzo normale di meridiano Nx è generalmente nullo. In realtà si ha uno sforzo normale di meridiano a causa della presenza del peso proprio della struttura: gli elementi meridiani risultano quindi compressi con un valore dello sforzo normale negativo e crescente (in valore assoluto) verso il basso, quindi massimo in
Lezione n. 14 – pag. XIV.4
Lo sforzo normale di parallelo Lo sforzo normale di parallelo Nϕ dà luogo, per un elemento infinitesimo, ad una risultante che per simmetria ha componente soltanto in direzione radiale e che vale (si veda la parte di sinistra della figura seguente) R
a dϕ
dϕ/2
a dϕ
dϕ/2
R
A Z Z O B ρ
Nϕ
a
Nϕ
a
dϕ
dϕ
dϕ ≈ 2 ⋅ N ⋅ dϕ = N ⋅ dϕ ϕ ϕ 2 2
dR = 2 ⋅ N ϕ ⋅ sin
dove si è considerato un angolo al centro di valore infinitesimo. Analogamente, considerando una distribuzione di forze radiali di intensità ρ, si avrebbe che la risultante su un elemento infinitesimo ha ancora componente soltanto radiale ed assume il valore dR = ρ ⋅ ds = ρ ⋅ a ⋅ dϕ
dove si è sfruttata la relazione ds = a ⋅ dϕ
Uguagliando i due termini si ottiene
N ϕ ⋅ dϕ = ρ ⋅ a ⋅ dϕ e quindi N ρ= ϕ a
La presenza dello sforzo normale di parallelo è quindi assimilabile ad una distribuzione di carico radiale di intensità Nϕ/a, verso l’interno del serbatoio se di trazione. In termini deformativi, la presenza di N ϕ genera un allungamento delle fibre del parallelo che può essere valutata come segue. Lo sforzo normale induce tensioni normali pari a N N σϕ = ϕ = ϕ A s ⋅1
dove si è fatto uso del fatto che le caratteristiche di sollecitazione sono espresse come azioni per unità di lunghezza (da cui l’area al denominatore). Di conseguenza si ingenerano delle deformazioni che ammontano a
σ εϕ = ϕ = E
N ϕ
E ⋅ s ⋅1
=
N ϕ
E ⋅s
dove E rappresenta il modulo di Young del materiale costituente il serbatoio. Tali deformazioni, positive se Nϕ è di trazione, comportano un allungamento del parallelo, che si trasforma da una circonferenza di raggio a in una circonferenza di raggio maggiore. Ipotizzando che il raggio del cilindro aumenti di w (passando da a ad un valore a+w), si avrebbe una deformazione
εϕ =
L dopo − L prima L prima
=
2 ⋅ π ⋅ (a + w ) − 2 ⋅ π ⋅ a 2⋅ π⋅a
=
w a
Lezione n. 14 – pag. XIV.5
dove si è indicato con L prima e Ldopo rispettivamente lo sviluppo del parallelo prima della deformazione e dopo la deformazione. Uguagliando le due espressione per εϕ si ottiene N ϕ E ⋅s
=
w a
Infine, sostituendo l’espressione che lega Nϕ a ρ, ricavata in precedenza si ottiene la relazione finale N 1 w ⋅ E ⋅s E ⋅s ρ= ϕ = = w⋅ 2
A Z Z O B a
a
a
a
cioè: la presenza di uno sforzo normale di parallelo si manifesta come una pressione radiale (verso l’interno se Nϕ è di trazione) proporzionale, attraverso il fattore Es/a2, al valore dello spostamento radiale w. In altre parole, le strisce lungo i paralleli “sostengono” il serbatoio con forze proporzionali allo spostamento. L’azione, ad esempio, di un liquido internamente al serbatoio tende a deformare il serbatoio stesso verso l’esterno (ossia ad allungare i paralleli): la struttura si oppone al movimento generando uno sforzo normale (di trazione) di parallelo tanto più grande quanto maggiore è lo spostamento.
L’equazione della linea elastica
A questo punto, lo sforzo normale di parallelo può essere sostituito dalla presenza di un carico radiale dell’intensità ricavata in precedenza. Isolando un meridiano del serbatoio, e tralasciando per il momento la presenza del momento flettente Mϕ, si ha la situazione riportata in figura. Ogni striscia meridiana è quindi assimilabile ad una trave inflessa dal carico “equivalente”
p(x) – ρ(x)
p(x) dove p(x) rappresenta il carico radiale applicato, ρ(x) positivo se agente verso l’esterno del serbatoio. Di conseguenza il carico equivalente può essere uguagliato al termine EJ⋅w(IV), tipico della trave inflessa (equazione della linea elastica). In realtà al termine E si sostituisce il valore E´ definito dalla relazione x E E′ = 1− ν2 che, attraverso il coefficiente di Poisson, ν, tiene in conto del fatto che la deformazione in direzione meridiana è ostacolata dalla presenza delle strisce in direzione del parallelo (si veda l’appendice al presente capitolo). Si ha quindi E⋅J
1− ν ossia
w (IV) (x ) = p(x ) − ρ(x ) = p(x ) − ⋅ 2
E⋅J 1− ν
⋅ w (IV) (x ) + 2
E ⋅s a
2
⋅ w (x ) = p( x )
E ⋅s a2
⋅ w (x )
Lezione n. 14 – pag. XIV.6
J=
s 3 ⋅1 12
per una striscia di lunghezza unitaria, e quindi, ponendo D=
E⋅J 1− ν
2
=
E ⋅ s3
(
12 ⋅ 1 − ν 2
)
si ha
A Z Z O B E ⋅s
w (IV) (x ) +
D⋅a Infine, ponendo 4 ⋅ α4
⋅ w (x ) = 2
p(x ) D
E ⋅s
=
D⋅a2 si ottiene l’equazione della linea elastica del serbatoio nella sua forma “classica” w (IV) (x ) + 4 ⋅ α 4 ⋅ w (x ) =
p(x ) D
La costante α che compare nell’equazione differenziale è ovviamente definita da
α=4
E ⋅s
4⋅a
2
⋅D
=4
(
E ⋅ s 12 ⋅ 1 − ν 2
4⋅a
⋅ 2
E ⋅s
3
)=
1
a ⋅s
(
⋅ 4 3⋅ 1− ν2
)
e quindi dipende dalle caratteristiche geometriche del serbatoio (raggio a e spessore s) e dal materiale (attraverso ν). La dipendenza da ν è però piuttosto debole, come si può osservare dai valori riportati nella tabella seguente, in cui si sono utilizzati i valori usuali di ν:
(
4 3⋅ 1− ν2
)
ν=0.0
ν=0.1
ν=0.2
ν=0.25
ν=0.3
1.3161
1.3128
1.3027
1.2950
1.2854
Conseguentemente si assume di solito
α≈
1.3
a ⋅s
Soluzione dell’equazione differenziale
L’equazione differenziale appena ricavata(***) ha soluzione generale del tipo w (x ) = w om (x ) + w part (x )
in cui si è divisa la soluzione dell’equazione omogenea associata (w om(x)) dall’integrale particolare w part(x), dipendente dalla particolare condizione di carico p(x) considerata. Inoltre si ha w (x ) = e αx ⋅ C ⋅ cos(αx ) + C ⋅ sin (αx ) + e −αx ⋅ C ⋅ cos(αx ) + C ⋅ sin (αx ) + w (x )
[
(***)
1
2
]
[
3
4
]
part
Tale equazione è formalmente uguale alla relazione a cui si perviene nel calcolo degli spostamenti di una fondazione su suolo elastico alla Winkler (letto di molle elastiche). Nel caso del serbatoio, è come se le strisce meridiane fossero supportate da un letto di molle elastiche rappresentato dai paralleli dello stesso serbatoio: gli elementi in direzione del parallelo forniscono cioè un vincolo elastico alle strisce meridiane. Il fenomeno è molto simile a quello che avviene in una “botte” in legno, dove le doghe (meridiane) sono sostenute elasticamente dalla presenza dei cerchi metallici. La spinta del liquido all’interno provoca un’inflessione delle doghe ed uno sforzo di trazione nei cerchi (che rappresenta il motivo per il quale, a parte altre considerazioni di carattere pratico, i cerchi
Lezione n. 14 – pag. XIV.7
in cui le 4 costanti Ci (i=1,…,4) sono da determinarsi in funzione delle condizioni al contorno. Riguardo all’integrale particolare, è rilevante il caso in cui il carico sia espresso da una funzione polinomiale in x, con grado del polinomio non superiore a 4. Nel caso del carico idrostatico, ad esempio, il carico può essere espresso attraverso una forma lineare in x del tipo p(x ) = γ ⋅ h liq
−x ,
x ∈ 0, h liq
essendo hliq l’altezza massima del liquido e γ il peso specifico del liquido contenuto dal serbatoio. Anche nel caso più generale in cui
A Z Z O B p(x ) = Pn (x ),
n<4
indicando con Pn(x) un polinomio di grado n in x, si può comunque porre w part (x ) =
Pn (x )
4⋅α
4
⋅D
,
n<4
o anche, sfruttando la definizione di w part (x ) =
a2
E ⋅s
Pn (x ),
α,
n<4
La parte della soluzione relativa all’equazione omogenea associata, si presta invece ad alcune riflessioni. Nel caso limite in cui l’altezza h del serbatoio fosse estremamente elevata, al limite tendente all’infinito, la soluzione ricavata deve porsi nella forma w (x ) = e − αx ⋅ [C ⋅ cos(αx ) + C ⋅ sin (αx )] om
3
4
ossia occorre che le due costanti C1 e C2 assumano valori nulli. Se così non fosse, infatti, si avrebbe che per x→∞ la soluzione (a causa dell’esponenziale positivo) tenderebbe all’infinito, con l’assurdo di avere spostamenti infiniti anche per valori finiti del carico. La soluzione quindi, nel caso di serbatoi di lunghezza infinita, può essere posta nella forma w (x ) = C ⋅ e − αx ⋅ sin (αx + ψ ) om
in cui le due nuove costanti C e C = C32 + C 24 ,
ψ sono collegate alle precedenti dalle consuete relazioni
C ψ = atn 3 C4
Si ha quindi w (x ) = C ⋅ e −αx ⋅ sin (αx + ψ ) + w part (x )
L’ultima espressione riportata per la soluzione dell’equazione omogenea associata consente l’adozione di una semplice regola “mnemonica” di derivazione. Si ha infatti che w om (x ) = C ⋅ e − αx ⋅ sin (αx + ψ )
⇒
dw om (x ) dx
= (− α
)
2 ⋅ e − αx ⋅ sin αx + ψ −
π 4
cioè l’operazione di derivazione comporta che: - il modulo risulta moltiplicato per (-α√2) - la fase risulta in ritardo di π/4 Una volta imposte le condizioni al contorno e ricavate le due costanti di integrazione C e ψ, le grandezze di interesse possono essere ricavate per derivazione, come avviene usualmente nell’integrazione della linea elastica di una trave inflessa.
Lezione n. 14 – pag. XIV.8
In particolare si avrà(****):
ϕ(x ) = −
dw (x ) dx
= (− α
M x (x ) = +(E ′J )
)
d 2 w( x ) dx
2
2 ⋅ C ⋅ e − αx ⋅ sin αx + ψ −
= +D
d 2 w (x ) dx
2
π dw part (x ) + 4 dx
2 π d w part (x ) − α x = D ⋅ 2α ⋅ C ⋅ e ⋅ sin αx + ψ − + 2 dx 2
( ) 2
A Z Z O B Q x (x ) = + (E′J )
d 3 w( x ) dx 3
= +D
d 3 w (x ) dx 3
3 3π d w part (x ) − α x = D⋅ − 2 2 ⋅α ⋅C⋅e ⋅ sin αx + ψ − + 4 dx 3
(
3
)
dove si è indicata con ϕ(x) la rotazione delle strisce meridiane del serbatoio. Inoltre, una volta note le espressioni di w(x) e di M x(x) si possono ricavare i valori delle altre due caratteristiche di sollecitazione attraverso le relazioni (la dimostrazione della validità della seconda è riportata in appendice)
N ϕ (x ) =
E ⋅s a
⋅ w (x )
M ϕ (x ) = ν ⋅ M x ( x )
La lunghezza d’onda
Come si può osservare dalle relazioni precedentemente scritte, a meno del contributo dell’integrale particolare tutte le grandezze di interesse mostrano un andamento rispetto alla variabile x espresso dal prodotto di una funzione esponenziale decrescente e di una funzione armonica, come mostrato nella figura seguente, riferita al caso α=1, C=1, ψ =1. 0.35
0.30 0.25
0.20
lunghezza d’onda,
0.15
0.10
0.05 0.00
-0.05
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
La parte armonica dell’espressione che caratterizza la parte omogenea della soluzione dell’equazione differenziale presenta un periodo (o meglio, lunghezza d’onda) indicata con λ e che può essere ricavata dall’espressione
(****)
Rispetto alla linea elastica di una trave c’è in realtà una piccola differenza: le convenzioni adottate per attribuire i segni positivi alle caratteristiche di sollecitazione, considerano positivi i momenti che tendono l’interno del serbatoio, e positivi i tagli che inducono un differenziale positivo del momento nel verso positivo dell’ascissa X. Tale convenzione è opposta rispetto a quella adottata nello studio delle travi: questa è la ragione per cui si è posto
Lezione n. 14 – pag. XIV.9
α⋅λ = 2⋅π ⇒ λ =
2⋅π
α
≈ 2⋅π⋅
as 1.3
≈ 4.83 ⋅
as
Se si valuta il rapporto tra il valore dello spostamento in una generica sezione di ascissa x ed il valore della stessa grandezza ad una ascissa (x+λ) si ottiene w (x + λ ) C ⋅ e − α (x + λ ) ⋅ sin[α(x + λ ) + ψ ] e − α(x + λ ) 1 = = = e − αλ = e − 2π ≈ 0.0019 ≈ w (x ) 536 C ⋅ e − αx ⋅ sin[αx + ψ ] e − αx
A Z Z O B dove si è sfruttata la periodicità della parte armonica della funzione w(x). Analogamente, il confronto tra il valore dello spostamento in una generica sezione di ascissa x ed il valore della stessa grandezza ad una ascissa (x+λ/2) porge αλ − w (x + λ / 2 ) C ⋅ e − α (x + λ / 2 ) ⋅ sin [α(x + λ / 2) + ψ ] e − α (x + λ / 2 ) 1 e 2 = −e − π ≈ −0.0432 ≈ − = = − = w (x ) 23 C ⋅ e − αx ⋅ sin[αx + ψ ] e − αx Quanto sopra osservato permette di affermare che tutti gli effetti – ad esclusione di quelli direttamente collegati, attraverso l’integrale particolare w part(x), al carico – tendono a smorzarsi rapidamente, tanto che dopo una lunghezza paragonabile alla lunghezza d’onda, si sono ridotti al 2‰ circa del valore iniziale. Di conseguenza, un serbatoio più lungo di λ è in sostanza assimilabile ad un serbatoio di lunghezza infinita, visto che tutti gli effetti, al di sopra di tale lunghezza, sono praticamente nulli. La trattazione proposta, a priori valida soltanto per altezza h del serbatoio tendente all’infinito, è quindi in realtà utilizzabile ogniqualvolta l’altezza h sia dello stesso ordine di grandezza della lunghezza d’onda λ (anzi, anche se l’altezza fosse paragonabile a λ/2, si commetterebbe comunque un errore trascurabile, visto che dopo λ/2 gli effetti si sono ridotti al 4% di quelli iniziali). Sotto tale condizione ricade la maggior parte dei serbatoi di interesse: tanto per fissare le idee, un serbatoio in cemento armato con spessore s=20 cm e raggio a=10 m, conduce a
λ ≈ 4.83 ⋅
as
= 4.83 ⋅
10 ⋅ 0.20
= 6.83 m
cioè è da ritenersi infinitamente lungo se l’altezza h è maggiore di 7 m circa (quindi addirittura inferiore al raggio). Il concetto di “infinitamente lungo” è quindi esclusivamente matematico, non rispecchiando, in generale, la realtà geometrica dell’oggetto.
Lezione n. 14 – pag. XIV.10
Appendice Nel caso delle lastre (cioè di solidi a sviluppo bidimensionale, siano essi piani o curvi, come nel caso dei serbatoi), l’equazione di legame che lega le tensioni normali alle corrispondenti deformazioni è espressa dalle relazioni
σ = E [ε + ν ⋅ ε ] y x 1− ν2 x σ = E ε + ν ⋅ ε [ y x] 2 y 1− ν 0 σ = z
A Z Z O B dove x e y sono le due dimensioni che identificano la lastra (nel caso del serbatoi, per l’elemento infinitesimo, rappresentano rispettivamente la direzione meridiana e di parallelo), e z è la direzione ortogonale, lungo la quale, date le piccole dimensioni, si trascura la presenza di tensioni normali (conducendo a quello che viene spesso definito come “stato piano di tensione”). Come si può osservare, le relazioni scritte sono le stesse valide nel caso generale qualora si sostituisca il termine E´ (definito come E/(1-ν2)) ad E. Si può facilmente rendersi conto della verità dell’affermazione utilizzando la forma completa delle equazioni di legame e utilizzando σz=0.
σ x = 2G ⋅ ε x + λ ⋅ [ε x + ε y + ε z ] σ y = 2G ⋅ ε y + λ ⋅ [ε x + ε y + ε z ] σ z = 2G ⋅ ε z + λ ⋅ [ε x + ε y + ε z ] = 0
dalla terza equazione, con semplici passaggi, si ottiene
εz = −
λ ⋅ [ε x + ε y ] 2G + λ
che, sostituita nella prima, conduce a
λ λ σ x = 2G ⋅ ε x + λ ⋅ ε x + ε y − ⋅ (ε x + ε y ) = 2G ⋅ ε x + ⋅ (ε x + ε y ) 2G + λ 2G + λ Introducendo le due costanti E e ν al posto di G e λ, e ricordando le espressioni E λ , G= , ν= 2G + 2λ 2(1 + ν ) si ha
λ λ = = 2G + λ 2G + 2λ − λ
1 2G + 2λ
λ
=
−1
1
1
ν
−1
=
ν 1− ν
e quindi
1 ν ν 2G σ x = 2G ⋅ ε x + ⋅ (ε x + ε y ) = 2G ⋅ ε x ⋅ + εy ⋅ = ⋅ [ε x + ν ⋅ ε y ] 1− ν 1 − ν 1 − ν 1− ν
da cui il risultato
σx =
E
(1 + ν ) ⋅ (1 − ν )
⋅ [ε x + ν ⋅ ε y ] =
E
1− ν2
⋅ [ε x + ν ⋅ ε y ]
Gli stessi passaggi conducono all’espressione per σy. Le espressioni che invece legano le deformazioni alle tensioni sono quelle già note in cui si ponga
Lezione n. 14 – pag. XIV.11
ε = 1 [σ − ν ⋅ σ ] y x E x 1 ε y = [σ y − ν ⋅ σ x ] E ε z = 1 [− ν ⋅ σ x − ν ⋅ σ y ] E Le formule scritte permettono di stabilire il legame tra Mx e Mϕ. Infatti il momento M x produce, lungo lo spessore del serbatoio, una tensione normale che attinge il suo valore massimo in corrispondenza delle fibre più distanti dal baricentro del serbatoio e che vale Mx s 6⋅Mx
A Z Z O B σ x , max = −σ x , min =
s
3
⋅1
⋅ = 2
s2
12
analogamente
σ y, max = −σ y, min =
6 ⋅ Mϕ
s2 dove si è identificata la direzione y con quella del parallelo. Dal momento che i meridiani non sono liberi di espandersi in direzione trasversale (non possono cioè variare la curvatura lungo la direzione dei paralleli, stante la simmetria del problema investigato), occorre che i contributi in εy imputabili ai momenti flettenti Mx e Mϕ siano complessivamente nulli. Di conseguenza si ha: 1 6 Mϕ − ν ⋅ Mx = 0 ε y = σy − ν ⋅ σx = 2 E E ⋅s e quindi Mϕ = ν ⋅ M x
[
]
[
]
E’ da osservare che l’uguaglianza utilizzata afferma l’assenza di curvature lungo y, ma non l’assenza di deformazioni. Come già indicato in precedenza, in direzione dei paralleli si ha infatti una deformazione εy=εϕ costante lungo lo spessore, causata dalla presenza dello sforzo normale di parallelo Nϕ.
Lezione n. 15 I serbatoi cilindrici Analisi delle sollecitazioni per diverse condizioni di vincolo Effetti di variazioni termiche
A Z Z O B La definizione dei valori delle caratteristiche di sollecitazione nei serbatoi cilindrici in condizioni generiche di vincolo avviene introducendo i “coefficienti elastici” di bordo, in modo da operare poi nell’ottica del metodo della congruenza. Si inizierà quindi introducendo tali coefficienti in due condizioni di carico semplici, che corrispondono alla possibilità che nella sezione di bordo - coincidente, per il sistema di riferimento prescelto, ad un valore nullo dell’ascissa x - agiscano azioni concentrate. Successivamente si analizzerà quindi il comportamento per varie condizioni di vincolo, dalle condizioni di vincolo “perfetto” a quelle offerte dalla presenza di elementi di fondazione. Infine si discuterà dell’effetto di possibili variazioni termiche.
Coefficienti elastici di bordo
a) sistema di forze applicate nella sezione di bordo x=0
Il caso riportato in figura è facilmente analizzabile facendo ricorso alle equazioni che descrivono l’andamento delle CdS del serbatoio lungo lo sviluppo meridiano, una volta osservata l’assenza del carico applicato esternamente, e quindi del termine w part nelle varie espressioni ricavate. Il serbatoio in figura è “libero”, nel senso che non è sottoposto all’azione di nessun vincolo alle sue estremità. Inoltre, si suppone che l’altezza h sia tale da poter utilizzare le relazioni viste in precedenza per il caso “infinitamente lungo”. L’azione di forze H uniformemente distri buite lungo il bordo, comporta che debbano X H H valere le due condizioni al contorno x=0
a
M x = 0 Q x = H
in x = 0
in x = 0
ossia di momento flettente nullo e di taglio con valore pari ad H. Utilizzando le espressioni viste in precedenza si ha:
π =0 2 x = 0 3π Q x (0) = D ⋅ − 2 2 ⋅ α 3 ⋅ C ⋅ e − αx ⋅ sin αx + ψ − =H 4 x = 0 Da cui si ottiene il sistema nelle due incognite C e ψ:
( )
M x (0) = D ⋅ 2α 2 ⋅ C ⋅ e − αx ⋅ sin αx + ψ −
(
)
Lezione n. 15 – pag. XV.2
π 2 D ⋅ 2α ⋅ C ⋅ sin ψ − 2 = 0 3π − D ⋅ 2 2 ⋅ α 3 ⋅ C ⋅ sin ψ − = H 4 e quindi: dalla prima equazione, non potendo essere nullo né D né C, si ricava il valore di che sostituito nella seconda, consente di individuare il valore di C:
ψ = π 2 − D ⋅ 2
ψ = π 2 − D ⋅ 2
ψ=π/2,
ψ = π 2 H C = 2 ⋅ α3 ⋅ D
A Z Z O B π = H 4
2 ⋅ α 3 ⋅ C ⋅ sin −
2 ⋅ α3 ⋅ C ⋅ −
2
2
=H
I primi due coefficienti elastici, indicati con wh e ϕh, sono definiti rispettivamente come il valore dello spostamento e della rotazione che si ottengono, nella sezione di bordo, a seguito dell’applicazione di un sistema di forze distribuito di intensità unitaria nella sezione x=0. Si ha cioè wh spostamento in x=0 per H=1 rotazione in x=0 per H=1 ϕh Ricordando le espressioni per w(x) e ϕ (x), sostituendo i valori appena ricavati per C e ψ, ed imponendo H=1, si ottiene 1 1 π w h = w (0) = C ⋅ e − αx ⋅ sin (αx + ψ ) sin = = ⋅ x =0 2 2 ⋅ α 3 ⋅ D 2 ⋅ α3 ⋅ D 1 1 π π 2 ⋅ α ⋅ sin = ϕ h = ϕ(0 ) = C ⋅ 2 ⋅ α ⋅ e − αx ⋅ sin = ⋅ αx + ψ − 4 x = 0 2 ⋅ α 3 ⋅ D 4 2 ⋅ α 2 ⋅ D
b) sistema di coppie applicate nella sezione di bordo x=0
Procedendo in maniera analoga al caso precedente, si risolve ora il caso di serbatoio “libero”, di altezza h tale da poter utilizzare le relazioni viste in precedenza per il caso “infinitamente lungo”, sottoposto all’azione di coppie uniformemente distribuite lungo il bordo. Le coppie sono state assunte positive, quindi tendono l’interno del serbatoio. Le condizioni al contorno sono, in questo caso:
X
x=0
a
M x = Q x = 0
in x = 0
in x = 0
ossia di momento flettente pari ad e taglio nullo nella sezione di bordo. Si ha quindi:
π = 2 x = 0 3π 2 ⋅ α 3 ⋅ C ⋅ e − αx ⋅ sin αx + ψ −
( )
M x (0 ) = D ⋅ 2α 2 ⋅ C ⋅ e − αx ⋅ sin αx + ψ −
Q x (0) = D ⋅
(− 2
)
=0
Lezione n. 15 – pag. XV.3
Da cui si ottiene il sistema nelle due incognite C e ψ:
ψ − π = 2 ⋅ α ⋅ ⋅ D 2 C sin 2 3π − D ⋅ 2 2 ⋅ α 3 ⋅ C ⋅ sin ψ − = 0 4 Dalla seconda equazione si ricava il valore di ψ=3π/4, e, per sostituzione nella prima:
A Z Z O B π = 2 D 2 C sin ⋅ ⋅ α ⋅ ⋅ 4 ψ = 3π 4
D ⋅ 2 ⋅ α 2 ⋅ C ⋅ 3 π ψ = 4
2
= 2
C = 2 ⋅ α2 ⋅ D ψ = 3π 4
Si possono a questo punto ricavare i secondi due coefficienti elastici, indicati con w m e ϕm, definiti rispettivamente come il valore dello spostamento e della rotazione che si ottengono, nella sezione di bordo, a seguito dell’applicazione di un sistema di coppie distribuito di intensità unitaria nella sezione x=0. Si ha cioè wm spostamento in x=0 per =1
ϕm
rotazione in x=0 per
=1
Ricordando le espressioni per w(x) e imponendo =1, si ottiene
ϕ (x),
sostituendo i valori appena ricavati per C e
ψ
ed
1 3π sin = ⋅ x =0 4 2 ⋅ α 2 ⋅ D 2 ⋅ α2 ⋅ D 1 1 π π 2 ⋅ α ⋅ sin = ϕ m = ϕ(0 ) = C ⋅ 2 ⋅ α ⋅ e − αx ⋅ sin = ⋅ αx + ψ − 4 x = 0 2 α ⋅ D 2 ⋅ α2 ⋅ D wm
= w (0 ) = C ⋅ e − αx ⋅ sin (αx + ψ )
=
1
c) coefficienti elastici di bordo
Ricapitolando i risultati appena ottenuti, si ha 1 1 w = = w m h 2 ⋅ α 3 ⋅ D 2 ⋅ α2 ⋅ D 1 1 ϕ h = ϕ = m α⋅D 2 ⋅ α2 ⋅ D
Il fatto che i due coefficienti elastici wm e ϕh siano uguali tra loro non è ovviamente casuale. Tale circostanza è ancora una volta conseguenza del teorema di Betti (o di Maxwell, in questo caso, trattandosi di azioni unitarie). Considerando infatti i due sistemi A) serbatoio libero soggetto ad una distribuzione di forze unitarie in x=0 B) serbatoio libero soggetto ad una distribuzione di coppie unitarie in x=0 il lavoro mutuo L AB (lavoro delle forze del sistema A) rispetto agli spostamenti del sistema B) vale LAB=1⋅ wm
essendo le forze applicate (di intensità unitaria) le uniche entità a compiere lavoro. Analogamente LBA=1⋅ ϕh
dove, questa volta, sono le coppie unitarie (sistema B) a compiere lavoro rispetto alle rotazioni misurate sul sistema A). Uguagliando i due termini si ottiene l’uguaglianza cercata wm=ϕh
Lezione n. 15 – pag. XV.4
Le espressioni appena ricavate sono un po’ più complicate se venisse rimossa l’ipotesi di serbatoio infinitamente lungo. Tralasciando i passaggi (per il quali si rimanda a testi specifici (*)), si otterrebbe: 1 sh⋅ ch− s⋅ c w = ⋅ h 2 ⋅ α 3 ⋅ D ( )2 2 sh − s ( sh )2 + s 2 1 ⋅ ϕ h = w m = 2 2 ⋅ α ⋅ D ( sh )2 − s 2 1 sh⋅ ch+ s⋅ c ϕ = m α⋅D ⋅ ( sh )2 − s 2
A Z Z O B in cui si è posto, per semplicità di scrittura,
s = sin(αh),
c = cos(αh),
sh = sinh(αh),
ch = cosh(αh)
Una volta noti i coefficienti elastici di bordo (o coefficienti di influenza) si può procedere alla soluzione del serbatoio in tutte le condizioni di vincolo alla base.
Serbatoio con bordo inferiore incastrato
h
X
x=0
a
La ricerca della soluzione procede nell’ottica del metodo della congruenza. Si suppone dapprima di svincolare il serbatoio alla base: l’azione dei carichi esterni si manifesterà allora inducendo degli spostamenti (in senso generalizzato) alla base, di entità w p e ϕ p. L’azione del vincolo (inizialmente soppresso) è costituita dai valori del taglio H e della coppia incognite: i loro valori si otterranno ripristinando la congruenza, ossia facendo in modo che, complessivamente, lo spostamento e la rotazione della sezione di incastro siano nulle. Sovrapponendo gli effetti, si avrà quindi che lo spostamento globale è offerto dalla somma del contri buto del carico (w p), dell’azione di taglio alla base (wH) e dalla coppia applicata alla base (wM ), e, in maniera analoga, si può procedere per le rotazioni. La soluzione (in termini di H ed ) si otterrà annullando i valori appena ricavati:
w = w p + w H + w M = 0 ϕ = ϕ p + ϕ H + ϕM = 0
Sfruttando ancora il PSE (ossia la linearità del problema) sarà possibile esprimere le quantità dovute alle due azioni H ed attraverso multipli dei valori che si otterrebbero per intensità unitarie, ottenendo il sistema finale:
w p + H ⋅ w h + ⋅ w m = 0 ϕ p + H ⋅ ϕ h + ⋅ ϕ m = 0
dalla soluzione del quale si ricaveranno i valori di H ed
.
Lezione n. 15 – pag. XV.5
A titolo di esempio, se l’azione interna al serbatoio fosse rappresentata dalla spinta idrostatica di un liquido, si avrebbe (ipotizzando, per semplicità, il serbatoio completamene pieno)
γ ⋅ (h − x ) γ ⋅h = x =0 4 ⋅ α 4 ⋅ D x =0 4 ⋅ α 4 ⋅ D (x ) dw −γ γ ϕ p = − part =− = dx 4 ⋅ α 4 ⋅ D x =0 4 ⋅ α 4 ⋅ D x =0 w p
= w part (x )
=
A Z Z O B in cui si è sfruttato il fatto che, in condizioni di assenza di vincolo, la soluzione è offerta dal solo integrale particolare. Di conseguenza si ottiene il sistema
γ⋅h + H⋅ 1 + 4 4 D 2 ⋅ α3 ⋅ D ⋅ α ⋅ γ 1 H⋅ + + 2 4 ⋅ α 4 ⋅ D 2⋅α ⋅D
⋅
⋅
1
2⋅α 1
2
α⋅D
⋅D =0
=0
(
)
γ ⋅ h + H ⋅ (2 ⋅ α ) + ⋅ 2 ⋅ α 2 = 0 γ + H ⋅ 2 ⋅ α 2 + ⋅ 4 ⋅ α 3 = 0
(
)
(
)
che porge la soluzione
H = γ ⋅ (1 − 2αh ) 2α 2 = − γ ⋅ (1 − αh ) 2α 3
A questo punto, per sovrapposizione degli effetti (quello dovuto al carico esterno, che produce deformazioni ma non sollecitazioni, quello dovuto ad H e quello dovuto ad ), si ricava lo stato di deformazione/sollecitazione nel serbatoio. Nella figura seguente è riportata la deformata (tratteggiata) che si avrebbe, sotto l’azione del liquido, se il serbatoio fosse libero. In linea continua è riportata la deformata finale, ossia quella conseguente all’azione del liquido e delle incognite iperstatiche, che ovviamente ripristina la congruenza (spostamenti e rotazioni nulle alla base).
h
X
w p
w p
x=0
a
Lezione n. 15 – pag. XV.6
Serbatoio con bordo inferiore incernierato La soluzione si ricava analogamente a quanto fatto in precedenza. Supponendo dapprima di svincolare il serbatoio alla base, l’azione dei carichi esterni si manifesterà allora inducendo degli spostamenti (in senso generalizzato) alla base, di entità w p e ϕ p. L’azione del vincolo (inizialmente soppresso) è costituita dal valore del taglio H che ripristina la congruenza, ossia facendo in modo che complessivamente lo spostamento della sezione vincolata sia nullo. Sovrapponendo gli effetti, si otterrà w = w p + w H = w p + H ⋅ w h = 0
A Z Z O B h
X
da cui si ottiene H. Analogamente a prima, se l’azione interna al serbatoio fosse rappresentata dalla spinta idrostatica di un liquido, si avrebbe (ipotizzando, per semplicità, il serbatoio completamene pieno)
x=0
a
w p
= w part (x )
x =0
=
γ ⋅ (h − x ) γ ⋅h = 4 ⋅ α 4 ⋅ D x =0 4 ⋅ α 4 ⋅ D
e quindi
1 γ ⋅h H⋅ + = 0 ⇒ γ ⋅ h + H ⋅ 2α = 0 ⇒ 4 3 4⋅α ⋅D 2⋅α ⋅D
H=−
γ ⋅h 2α
h
X
x=0
w p
a
w p
Rigidezza alla rotazione del serbatoio
Operando ancora in maniera analoga al caso precedente, si può ricavare il valore della rigidezza alla rotazione del serbatoio, K serb, ossia il valore della coppia che, applicata uniformemente lungo lo sviluppo della sezione di base, induce una rotazione unitaria del bordo inferiore.
Lezione n. 15 – pag. XV.7
A Z Z O B ϕ=1
ϕ=1
H
H
K serb
K serb
Il caso in figura si risolve ricavando i valori delle due incognite (K serb e H), tali che la rotazione di estremità assuma il valore 1, mentre lo spostamento orizzontale sia nullo:
H ⋅ 1 + K ⋅ 1 =0 serb 2 ⋅ α 3 ⋅ D 2 ⋅ α2 ⋅ D 1 H ⋅ 1 K serb ⋅ + =1 2 ⋅ α 2 ⋅ D α⋅D
H ⋅ w h + K serb ⋅ w m = 0 H ⋅ ϕ h + K serb ⋅ ϕ m = 1
da cui si ottiene
H + K serb ⋅ α = 0 H + K serb ⋅ 2α = 2α 2 D
K serb = 2αD H = −2α 2 D
Quindi per ottenere una rotazione unitaria (nel caso di traslazione orizzontale impedita) occorre applicare una coppia uniformemente distribuita lungo il bordo di valore pari a K serb
= 2⋅α ⋅D
Serbatoio con fondazione anulare
Un altro caso abbastanza frequente è costituito da serbatoi cilindrici impostati su una fondazione anulare, come riportato in figura. s quota del liquido
h
X
terreno
b
giunto fondazione anulare x=0 “water-stop” fondo del serbatoio 2a
hf
b
Lezione n. 15 – pag. XV.8
Le forze verticali vengono scaricate a terra attraverso una fondazione (rappresentata da un anello di raggio a, altezza hf e base b), che rappresenta il vincolo di base del serbatoio. Il fondo del serbatoio (normalmente di spessore inferiore rispetto a quello della fondazione), si suppone indipendente dalla fondazione, a meno di un giunto “a tenuta” (“water-stop”) che impedisce al liquido di uscire dalla base del serbatoio stesso. La fondazione si può supporre impedita di traslare orizzontalmente a causa dell’attrito con il terreno circostante ed (in parte) a causa del collegamento con il disco che rappresenta il fondo del serbatoio. La condizione di vincolamento offerta dalla fondazione al serbatoio è quindi intermedia tra quella di un incastro e di una cerniera: la fondazione infatti opporrà una certa resistenza alla rotazione del serbatoio, ma sicuramente non tale da poter supporre il valore di tale rotazione come nullo. Le sollecitazioni, di conseguenza, saranno intermedie tra i due casi limite di serbatoio incernierato ed incastrato. La soluzione del caso in esame si ricava utilizzando questa volta il metodo dell’equilibrio. L’unico movimento consentito al bordo inferiore del serbatoio è rappresentato dalla rotazione ϕ, mentre, come già detto, la traslazione orizzontale può essere, con buona approssimazione, ritenuta nulla. Di conseguenza la soluzione in fase I (movimenti indipendenti bloccati) sarà offerta dall’analisi del comportamento di un serbatoio in cui, attraverso una distribuzione uniforme di morsetti al bordo x=0, si impedisca anche la rotazione delle strisce meridiane. Il caso si riconduce a quello di un serbatoio incastrato alla base, già affrontato in precedenza, dalla soluzione del quale si ricaverà il valore del momento di incastro M incI che garantisce la soluzione congruente in questa fase.
A Z Z O B h
X
vincoli ausiliari
I
Minc
I
Minc
x=0
hf
b
2a
Nella fase II il momento di incastro cambiato di segno, -MincI, si ripartirà tra i vari elementi che confluiscono nel nodo (o meglio, nell’insieme di nodi) del quale si era impedita la rotazione. Tali elementi sono rappresentati dal serbatoio – del quale si è già ricavato il valore della rigidezza alla rotazione, K serb=2αD – e della fondazione, di rigidezza, per il momento, incognita. A sua volta il contributo di rigidezza alla rotazione offerto dalla fondazione è dovuto a due diversi fattori: da una parte alla rigidezza alla rotazione dell’anello di fondazione, dall’altra al terreno sottostante che, in qualche misura, offrirà anch’esso una certa resistenza alla rotazione del complesso serbatoio/fondazione.
a) rigidezza alla rotazione della fondazione anulare
Il primo contributo da determinare è quello offerto dalla rigidezza alla rotazione della fondazione anulare. Il caso è quello riportato in figura, in cui si cerca il valore della distribuzione uniforme di coppie M che produca la rotazione di valore 1.
Lezione n. 15 – pag. XV.9
M
M
b
ϕ
ϕ
b
2a L’anello si trova sottoposto all’azione di coppie che hanno asse tangente alla linea media dell’anello e che giacciono sul piano che contiene l’anello stesso. La condizione di carico è ovviamente ancora assial-simmetrica. Per determinare il collegamento tra la coppia applicata e la rotazione ϕ, occorre preliminarmente determinare lo stato di sollecitazione interno all’anello. In generale, le caratteristiche di sollecitazione che possono essere presenti sono sei (lo sforzo normale, i due tagli, i due momenti flettenti, il momento torcente). A causa delle particolari simmetrie della struttura e del carico è possibile dimostrare che soltanto una di queste è diversa da zero.
A Z Z O B Considerando dapprima le tre componenti di forza, isolando un tratto come in figura, è possibile osservare che: 1
TX
1
ϑ
N
TX
TY
N
TY
ϑ
ϑ
TY
TY
1
TX
ϑ
ϑ
TX
N
N
1
ϑ
-
considerando metà anello, la simmetria rispetto all’asse 1-1 impone che le forze abbiano i versi riportati in figura; - la simmetria impone ancora che tali CdS siano costanti lungo lo sviluppo dell’anello; - per equilibrio alla traslazione in direzione dell’asse 1-1 si ha che N=0; - anche la componente ortogonale all’asse ortogonale ad 1-1 dovrà essere nulla; ci si può facilmente rendere conto di tale circostanza osservando la condizione di equilibrio di un elemento con un angolo al centro diverso da π. In questo caso, è evidente che T X=0, altrimenti l’equilibrio in direzione 1-1 (offerto dalla relazione 2 ⋅N⋅cosϑ - 2⋅Tx⋅sinϑ = 0) non risulterebbe soddisfatto, stante l’assenza di sforzo normale; - anche TY, infine, è nulla perché la presenza di un taglio in direzione Y imporrebbe la presenza di un momento flettente variabile lungo X, mentre questo, se presente, deve necessariamente essere presente per simmetria del problema. In conclusione, tutte le CdS indicate sono nulle, per cui l’anello potrà essere eventualmente soggetto soltanto all’azione di coppie.
Passando all’analisi delle azioni flettenti e torcenti si può considerare ancora metà anello, e conviene rappresentare le coppie (sia quelle esterne che le caratteristiche di sollecitazione) attraverso il loro asse momento, mediante il quale si può procedere alle consuete operazioni tra vettori. Si può quindi osservare che:
Lezione n. 15 – pag. XV.10
1 1 M M Mt
M
2aM
M
M
Mt
MX
ϑ
R
ϑ
MX
ϑ
A Z Z O B M
MY
M
MY
MY
MX
1
ϑ
MX
Mt
MY
ϑ
Mt
1
ϑ
-
la risultante delle azioni esterne su metà anello è costituita da una coppia in direzione ortogonale ad 1-1 con intensità pari a 2⋅a⋅M(**); - per equilibrio di metà anello, i momenti flettenti MX sono diversi da zero ed hanno valore MX=aM, equilibrando quindi l’azione esterna; - l’equilibrio di una porzione di anello con angolo al centro diverso da π impone che si annulli la CdS di momento torcente, indicata come M t. Infatti la risultante R vale 2⋅a⋅M⋅cos(π/2-ϑ), ed è equilibrata dalla proiezione (ortogonale ad 1-1) di M X: di conseguenza M t deve essere nullo; - infine la CdS MY deve essere nulla stante l’assenza di componenti del vettore che rappresenta l’asse momento dovuto alle azioni esterne al di fuori del piano dell’anello. Di conseguenza l’unica CdS presente nell’anello, a seguito di una distribuzione uniforme di momenti torcenti M, è offerta dalla presenza di un momento flettente M X (di valore MX=aM) con asse momento radiale. M M Mds MY MY ds ϕ ϕ Mds b b 2a
dϑ
a
MY
MY
dϑ/2 dϑ/2
Considerando un elemento infinitesimo, descritto da un angolo al centro d ϑ e quindi di sviluppo ds=a⋅dϑ, si ha:
(**)
La risultante lungo l’asse ortogonale ad 1-1 vale
π
∫
M ⋅ sin (ω) ⋅ a ⋅ dω = −a ⋅ M ⋅ cos(ω)
π
0
= −a ⋅ M ⋅ [cos(π) − cos(0)] = 2 ⋅ a ⋅ M
0
mentre quella in direzione 1-1 è nulla
π
∫
M ⋅ cos(ω) ⋅ a ⋅ dω = a ⋅ M ⋅ sin (ω)
π 0
= a ⋅ M ⋅ [sin(π) − sin(0)] = 0
Lezione n. 15 – pag. XV.11
per equilibrio:
dϑ = M ⋅ ds 2
2 ⋅ M Y ⋅ sin e quindi 2 ⋅ MY ⋅
dϑ 2
= M ⋅ a ⋅ dϑ
A Z Z O B da cui MY
= a⋅M
come già dimostrato in precedenza;
in termini deformativi: sfruttando il Teorema di Clapeyron per l’elemento infinitesimo, si ha L d, e L d, i
1
= ⋅ M ⋅ ϕ ⋅ ds 2
1
MY
2
EJ
= ⋅ MY ⋅
1
(a ⋅ M )2
2
EJ
⋅ ds = ⋅
⋅ ds
uguagliando i due termini, si ottiene L d, i
= Ld,e ⇒
1
2
1
(a ⋅ M )2
2
EJ
⋅ M ⋅ ϕ ⋅ ds = ⋅
⋅ ds ⇒ ϕ = M ⋅
a2
EJ
che rappresenta il valore della rotazione dell’anello.
Di conseguenza, per avere una rotazione unitaria, occorrerà applicare un valore della coppia torcente pari a K fond
=
EJ
a2
dove J=
b ⋅ h 3f 12
b) rigidezza alla rotazione del terreno al di sotto della fondazione
Come già accennato in precedenza, occorre valutare un ulteriore contributo di rigidezza, offerto dalla rigidezza del terreno al di sotto della fondazione anulare. Il terreno viene schematizzato come un letto di molle elastiche “alla Winkler”, con costante di sottofondo k. A causa della rotazione ϕ, la sezione subirà degli abbassamenti η come mostrato in figura; a tali abbassamenti corrisponderanno tensioni nel terreno offerte dalla relazione σ=k ⋅η. Di conseguenza si ha b
σ max = k ⋅ ηmax = k ⋅ ϕ ⋅
2
La risultante delle tensioni normali dovrà evidentemente equilibrare il momento esterno applicato, cioè
Lezione n. 15 – pag. XV.12
b b b b 3 σ max b 2 b M ⋅ ds = 2 ⋅ ⋅ ⋅ ds ⋅ ⋅ = k ⋅ ϕ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ds = k ⋅ ϕ ⋅ ⋅ ds 2 2 3 12 2 2 3 2 Si ottiene M = ϕ⋅
k ⋅ b 3 12
e quindi il contributo di rigidezza offerto dl solo terreno è costituito dal termine di momento flettente corrispondente ad una rotazione unitaria
A Z Z O B K terr =
k ⋅ b 3 12
Mds
ϕ
Mds
k
k
b
k
k
k
b
k
k
k
ηmax=ϕ⋅ b/2
ηmin=-ϕ⋅ b/2
ds
ϕ
σmin=k ⋅ηmin
σmax=k ⋅ηmax
c) ripartizione del momento di incastro
Una volta determinati i vari contributi di rigidezza, è a questo punto possibile procedere alla ripartizione della reazione di incastro ottenuta in fase I, cambiata di segno. In fase II i momenti che i otterranno saranno offerti da K tot
= K serb + K fond + K terr = 2 ⋅ α ⋅ D +
E⋅J a2
+
k ⋅ b 3 12
e quindi II M serb
I = −M inc
K serb K tot
I = −M inc
2⋅α⋅D
2⋅α⋅D +
E⋅J a
2
+
k ⋅ b 3 12
Di conseguenza, il momento alla base del serbatoio assumerà il valore
2⋅α⋅D I II I M serb = M inc + M serb = M inc 1 − 3 E ⋅ J k ⋅ b 2⋅α⋅D + 2 + 12 a
Lezione n. 15 – pag. XV.13
Effetti di variazioni termiche Nel caso della progettazione di serbatoi cilindrici occorre prestare particolare attenzione alla possibile presenza di variazioni termiche, in quanto possono influenzare fortemente lo stato di sollecitazione nel serbatoio stesso. A titolo di esempio, si pensi al serbatoio soggetto ad una variazione termica uniforme + ∆t tra il momento dell’esecuzione e un qualunque momento successivo di vita della struttura, in assenza di vincoli esterni (serbatoio libero). A causa della variazione termica +∆t, il raggio si allunga della quantità w. Poiché
A Z Z O B L prima
= 2⋅π⋅a
e
a+w
L dopo
a
= 2 ⋅ π ⋅ (a + w )
si ha
∆L = L dopo − L prima = 2 ⋅ π ⋅ w
a
L’allungamento complessivo deve uguagliare quello causato dalla variazione di temperatura, che vale
+ ∆t
∆L t = 2 ⋅ π ⋅ a ⋅ (α t ⋅ ∆t )
di conseguenza si ottiene
∆L = ∆L t ⇒
2 ⋅ π ⋅ a ⋅ (α t ⋅ ∆t ) = 2 ⋅ π ⋅ w
e quindi
w = a ⋅ α t ⋅ ∆t
Se il bordo inferiore fosse incastrato, gli spostamenti complessivi in x=0 (offerti dalla somma di quelli dovuti alla variazione termica e quelli dovuti all’azione delle incognite iperstatiche) devono essere nulli; si deve quindi avere w (0 ) = C ⋅ e − αx ⋅ sin (αx + ψ )
ϕ(0) = C ⋅
x =0
+ a ⋅ α t ⋅ ∆t = 0
2 ⋅ α ⋅ e − αx ⋅ sin αx + ψ −
π =0 4 x = 0
da cui
C ⋅ sin (ψ ) + a ⋅ α t ⋅ ∆t = 0 π C ⋅ 2 ⋅ α ⋅ sin ψ − =0 4
e quindi
= − a ⋅ α t ⋅ ∆t = − C π sin 4 π ψ = 4
2 ⋅ a ⋅ α t ⋅ ∆t
Le sollecitazioni all’interno del serbatoio sono ora ricavabili attraverso le usuali operazioni di derivazione. A titolo di esempio, l’andamento del momento flettente lungo lo sviluppo del
Lezione n. 15 – pag. XV.14
( )
M x (x ) = D ⋅ w ′′(x ) = D ⋅ C ⋅ 2α 2 ⋅ e − αx ⋅ sin αx + ψ −
π 2
da cui
( ) (−
M x (x ) = 2α 2 ⋅ D ⋅
)
2 ⋅ a ⋅ α t ⋅ ∆t ⋅ e − αx ⋅ sin αx −
π 4
Il momento flettente nella sezione di incastro, assume il valore che corrisponde (in valore assoluto) a quello massimo, e che vale
A Z Z O B ( ) (−
M x (0) = 2α 2 ⋅ D ⋅
(
)
2 ⋅ a ⋅ α t ⋅ ∆t ⋅ e − αx ⋅ sin αx −
M x (0) = 2α 2 ⋅ D ⋅ (a ⋅ α t
π = 2α 2 ⋅ D ⋅ (− 4 x = 0
( )
2 ⋅ a ⋅ α t ⋅ ∆t
)⋅ −
2
2
⋅ ∆t )
sostituendo i valori di α e D
α≈
1.3
a ⋅s
D=
E ⋅ s3
12 ⋅ (1 − ν 2 )
si ottiene
1.69 E ⋅ s3 ( M x (0) = 2 ⋅ a ⋅ α t ⋅ ∆t ) ≈ 0.282 ⋅ E ⋅ s 2 ⋅ α t ⋅ ∆t ⋅ ⋅ a ⋅ s 12 ⋅ (1 − ν 2 )
dove, per semplicità, si è assunto ν=0. Come già sottolineato a proposito dell’effetto delle variazioni termiche su strutture iperstatiche, si può osservare che il valore ricavato non dipende dalle dimensioni geometriche del serbatoio (raggio a ed altezza h), ma risulta proporzionale al quadrato dello spessore s. Di conseguenza, l’azione risulta tanto maggiore quanto maggiore è lo spessore del serbatoio: in presenza di variazioni termiche occorre quindi procedere in maniera opposta rispetto ad un usuale progetto per resistenza, in quanto l’aumento delle dimensioni trasversali comporta, in generale, un aumento dello stato di sollecitazione.
Lezione n. 18 Il cemento armato Proprietà del calcestruzzo e dell’acciaio
A Z Z O B Il cemento armato (c.a.) – o come sarebbe più corretto definirlo, il conglomerato cementizio armato (c.c.a.) – è un materiale composito formato da calcestruzzo e da acciaio. L’acciaio è presente sotto forma di barre a sezione circolare, che vengono disposte in posizioni ben precise all’interno dell’elemento strutturale prima di eseguire il getto del calcestruzzo interiormente alle casseforme. Il calcestruzzo (spesso abbreviato con cls) è un conglomerato di cemento, sabbia, ghiaia ed acqua in opportune proporzioni. Di seguito si riportano le quantità in cui i vari componenti entrano nella miscela di un metro cubo di calcestruzzo di normale resistenza: − ghiaia 0,8 mc/mc − sabbia 0,4 mc/mc − acqua 120 ÷ 180 l/mc − cemento 300 kg/mc Non deve stupire il fatto che la somma dei volumi “sciolti” dei vari componenti superi il valore di 1 mc; la diversa granulometria degli inerti e la presenza di acqua fanno sì che gli elementi di diametro più piccolo vadano a occupare i vuoti lasciati dagli altri elementi di pezzatura più grossa, definendo alla fine un volume minore di quello iniziale. Per questo motivo, le dimensioni degli inerti devono essere distribuite in maniera adeguata, in modo da ottenere granuli di grandezza opportunamente assortita. La composizione granulometrica viene definita dalle percentuali di materia che passano attraverso vagli di una determinata serie (generalmente con diametri crescenti); la curva che si ottiene riportando in ascissa il diametro dei fori del vaglio ed in ordinata la percentuale di inerte passante al vaglio di quel diametro si chiama curva di granulazione o curva granulometrica, un esempio della quale è riportato nella figura seguente. a 100 t a i l g a v a i r 80 e t a m e l a u t n 60 e c r e p
sabbia
40
ghiaia o petrisco
20
0 1
3
7
15
30
Ampiezza maglie vagli [mm] Esempio di curva granulometrica
Il calcestruzzo ha una ottima resistenza a compressione, ma una bassa, quasi nulla, resistenza a trazione (pari a circa 1/10 di quella a compressione), pertanto un elemento di calcestruzzo soggetto a
Lezione n. 18 – pag. XVIII.2
L’idea di un materiale composito formato da calcestruzzo e da barre di acciaio nasce dall’esigenza di sopperire alla piccola resistenza a trazione del calcestruzzo mediante l’introduzione delle barre metalliche. L’accoppiamento tra i due materiali è garantito dai seguenti fattori: − il calcestruzzo durante la presa serra le barre di acciaio e vi aderisce, − il calcestruzzo e l’acciaio hanno lo stesso coefficiente di dilatazione termica (10 -5 °C -1), per cui per effetto di una variazione di temperatura i due materiali si deformano allo stesso modo, − il calcestruzzo protegge le barre metalliche dall’attacco degli agenti atmosferici, − a differenza delle strutture in acciaio (meno flessibili dal punto di vista della forma) le strutture in c.a. si adattano a qualsiasi forma costruttiva. Di seguito si descrivono le principali proprietà del calcestruzzo (fresco e indurito) e dell’acciaio utilizzati nella realizzazione delle opere di c.a.
A Z Z O B Proprietà del calcestruzzo fresco
Si premette alla descrizione delle proprietà del calcestruzzo indurito, quella delle proprietà del calcestruzzo fresco, in quanto queste ultime influenzano in modo significativo la qualità del calcestruzzo indurito. Le due proprietà fondamentali del calcestruzzo fresco sono la lavorabilità e l’omogeneità. La lavorabilità rappresenta l’attitudine alla messa in opera ed al successivo costipamento del cls, mentre l’omogeneità riguarda la distribuzione uniforme dei vari componenti della miscela affinché il materiale indurito presenti ovunque le stesse proprietà fisico - meccaniche. Le due proprietà sono strettamente legate l’una all’altra, in quanto per ottenere un materiale omogeneo è necessario impastare adeguatamente la miscela e questa operazione è tanto più efficace quanto più la miscela stessa è lavorabile. La lavorabilità di un impasto viene valutata attraverso la sua “consistenza”, che rappresenta la resistenza del calcestruzzo fresco a cambiare forma, pertanto la consistenza è tanto minore quanto più il calcestruzzo è lavorabile. La consistenza viene determinata mediante una prova sperimentale (“slump-test”), che consiste nel porre il calcestruzzo fresco all’interno di recipiente tronco-conico di dimensioni standard (cono di Abrams), aperto sia superiormente che inferiormente, e nel misurare di quanto si abbassa il cls una volta che il recipiente viene sfilato superiormente. L’abbassamento viene assunto come indice della consistenza del cls. In funzione dei valori dell’abbassamento al cono di Abrams si può avere: a) consistenza asciutta, per valori dell’abbassamento tra 25 e 50 mm, b) consistenza plastica, per valori dell’abbassamento tra 75 e 100 mm, c) consistenza fluida, per valori dell’abbassamento tra 125 e 175 mm.
La consistenza viene scelta dal progettista in funzione di:
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densità di armatura, sistemi di compattazione disponibili, qualità della manodopera, tecniche di esecuzione, organizzazione del cantiere. Ad esempio quanto maggiore è la densità dei ferri di armatura e quanto più piccola è la sezione dell’elemento strutturale da realizzare, tanto maggiore dovrà essere la lavorabilità del cls. Il parametro che condiziona più di tutti la lavorabilità di un impasto di cls è il rapporto in peso acqua cemento (a/c): al crescere di a/c aumenta la lavorabilità, ossia diminuisce la consistenza. Occorre evitare pericolose riaggiunte di acqua all’interno dell’impasto per aumentare la lavorabilità, perché così facendo si riducono le prestazioni meccaniche del materiale indurito. Per questo motivo esistono dei fluidificanti che vengono aggiunti all’impasto per migliorare la lavorabilità senza alterare il rapporto acqua/cemento. − − − − −
A Z Z O B Proprietà del calcestruzzo indurito Resistenza a compressione semplice
La proprietà fondamentale che caratterizza la qualità di un calcestruzzo, ad indurimento avvenuto, è la resistenza a compressione semplice. É pertanto necessario introdurre tutte le grandezze che la influenzano in modo significativo, tra le quali le più importanti sono: − il rapporto in peso acqua/cemento, − il dosaggio di cemento (quantitativo di cemento in un mc di calcestruzzo), − la classe di resistenza del cemento (resistenza del cemento testata su una malta standardizzata), − la granulometria degli inerti. A queste si aggiungono inoltre: − le condizioni di messa in opera, − le condizioni ambientali, − l’età della messa in carico, − la forma e le dimensioni del provino, − il tipo di sollecitazione prevalente. Tra le grandezze sopra elencate risulta decisivo, a parità di tutti gli altri parametri, il valore del rapporto (in peso) acqua-cemento, al diminuire del quale aumenta la resistenza del calcestruzzo, come indicato nella figura seguente, dove i valori della resistenza caratteristica al variare di a/c sono stati adimensionalizzati rispetto alla resistenza meccanica che si ottiene per a/c=0.4. R ck /R ck (0,4)
100 %
85 %
68 %
0,20
0,40
0,50
0,70
a/c
Osservazione: il rapporto a/c=0.2÷0.3 corrisponde al rapporto stechiometrico, ossia alla quantità di acqua necessaria perché possano avvenire le reazioni nel calcestruzzo; di conseguenza non è ov-
Lezione n. 18 – pag. XVIII.4
Al di sotto di un certo limite (a/c ≅ 0.2) la resistenza diminuisce, perché per insufficienza di acqua le reazioni chimiche non possono più svilupparsi completamente ed una parte del cemento rimane inerte. Il rapporto ottimale, quello che fornisce cioè una buona resistenza permettendo al tempo stesso la lavorabilità dell’impasto, è intorno a 0.45 ÷0.55. Altri due parametri di grande importanza sono rappresentati dal dosaggio del cemento, cioè dal quantitativo di cemento che viene utilizzato per confezionare un mc di calcestruzzo, e dalla classe e tipo di cemento usato. La resistenza del calcestruzzo aumenta sia al crescere del dosaggio di cemento sia al crescere della sua classe. Per classe del cemento si intende la resistenza meccanica di una malta standardizzata preparata con il cemento dato. Secondo la classificazione data dalla normativa attuale esistono ben 150 diversi cementi, suddivisi in cinque tipi contraddistinti dalla sigla CEM: CEM I = Cemento Portland CEM II = Cemento Portland di miscela CEM III = Cemento d’altoforno CEM IV = cemento pozzolanico CEM V = cemento composito Per ciascun tipo esistono quindi dei sottotipi, per un totale di 25 sottotipi, e per ciascun sottotipo, in funzione della finezza di macinazione, esistono 6 diverse classi di resistenza. La vecchia classificazione prevedeva solo nove tipi di cemento: Portland, pozzolanico e d’altoforno, ciascuno disponibile in tre classi di resistenza: 325, 425, 525. Tutte le norme definiscono la resistenza alla compressione come quella che si ottiene sottoponendo a prove di compressione semplice, provini cubici o prismatici di dimensioni standard con stagionatura di 28 giorni. La figura seguente illustra una prova a compressione su un provino cilindrico. La norma italiana fa riferimento per il metodo delle tensioni ammissibili alla resistenza misurata su provini cubici, ed in particolare alla cosiddetta resistenza caratteristica (indicata con il simbolo R ck (*)), definita come il valore della resistenza che ha solo il 5 % di probabilità di essere minorato, o in modo equivalente al di sotto della quale ci si attende di trovare solo il 5 % della popolazione di tutte le misure. La rottura di un provino cubico soggetto a compressione semplice può manifestarsi secondo due diverse modalità: a) con lesioni verticali, b) con lesioni inclinate.
A Z Z O B a)
b)
a) rottura con lesioni verticali b) rottura con lesioni inclinate (il provino assume la tipica forma di due tronchi di piramide sovrapposti)
Lezione n. 18 – pag. XVIII.5
Nel caso b) le lesioni a 45° si formano a causa delle forze di attrito che si sviluppano tra le superfici del provino e i piatti della pressa, che impediscono la loro deformazione.
A Z Z O B Schematizzazione delle forze di attrito alla base del provino
Al variare delle dimensioni del provino, ed a parità di forma, si registrano resistenze diverse. Per strutture in cemento armato normale la normativa italiana (punto 5.2. D.Min.LL.PP. 09.01.96) impone di rispettare le seguenti limitazioni: − per strutture armate non è ammesso l’impiego di conglomerati con R ck < 15 N/mm2, − nei calcoli statici non si può considerare una resistenza caratteristica superiore a 55 N/mm 2, − per R ck ≥ 40 N/mm2 sono richiesti controlli statistici sia preliminari sia in corso d’impiego e calcoli accurati delle strutture. Per il metodo agli stati limite la norma italiana, così come la normativa europea, fa invece riferimento alla resistenza misurata su provini cilindrici. Questi provini hanno un rapporto altezza – diametro pari a 2 (d = 150 mm, h = 300 mm), pertanto l’effetto di attrito delle piastre della pressa è molto piccolo nella zona centrale del provino e si misura un valore inferiore della resistenza rispetto ai provini cubici. La relazione tra la resistenza caratteristica misurata su provini cilindrici (f ck ) e quella misurata su provini prismatici (R ck ) è pertanto pari a: f ck = 0,83 R ck (**) Nelle normative di ultima generazione, il calcestruzzo viene spesso indicato con una sigla del tipo C20/25 (o analoghe) in cui si evidenzia sia la resistenza caratteristica cilindrica (primo numero) che quella cubica (secondo numero). Nel caso indicato si sarebbe quindi in presenza di un calcestruzzo con resistenza cilindrica pari a 20 N/mm 2 ed una corrispondente resistenza cubica pari a 25 N/mm 2. La resistenza a compressione aumenta nel tempo:
(**)
A rigore il coefficiente di conversione per passare da R ck a f ck varia con le dimensioni dei provini utiliz-
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A Z Z O B A soli tre giorni dal getto la resistenza a compressione è già pari al 50 % della resistenza caratteristica misurata a 28 giorni dal getto, mentre dopo una settimana è pari a circa il 70 – 80 % della R ck . Prescrizioni normative per il controllo della resistenza caratteristica
(Allegato 2 al D.Min. LL.PP. 09.01.96) Controllo di accettazione: riguarda il controllo del calcestruzzo durante l’esecuzione delle opere; ogni controllo di accettazione è rappresentato da tre prelievi, ognuno dei quali eseguito ogni 100 mc di getto; pertanto si ha un controllo di accettazione ogni 300 mc di getto (comunque va effettuato almeno un prelievo per ogni giorno di getto) Prelievo: consiste nel prelevare dagli impasti, al momento della posa in opera nei casseri, il calcestruzzo necessario per la confezione di un gruppo di due provini Resistenza di prelievo: media delle resistenze a compressione dei due provini di un prelievo Siano: R 1, R 2 e R 3 le tre resistenze di prelievo, con R 1 ≤ R 2 ≤ R 3, R m la resistenza media, R m = (R 1 + R 2 + R 3) / 3 R ck la resistenza caratteristica il controllo è positivo se: R m ≥ R ck + 3,5 N / mm 2 R 1 ≥ R ck − 3,5 N / mm 2
Nelle strutture con meno di 100 mc di getto, non è obbligatorio procedere al prelievo giornaliero, ma rimane quello di eseguire almeno tre prelievi. In una costruzione con più di 1500 mc di getto, si può procedere ad un controllo di tipo statistico ogni 1500 mc di getto. Si deve effettuare un prelievo per ogni giorno di getto e almeno 15 prelievi su 1500 mc. Indicato con s lo scarto quadratico medio delle resistenze di prelievo, il controllo risulta positivo se: R m ≥ R ck + 1,4 s R 1 ≥ R ck − 3,5 N / mm 2
Durabilità
La durabilità del calcestruzzo rappresenta la capacità del materiale di durare nel tempo resistendo alle azioni aggressive dell’ambiente esterno.
Lezione n. 18 – pag. XVIII.7
In modo analogo la durabilità di una struttura di cemento armato si definisce come la capacità della struttura di durare nel tempo garantendo il servizio per il quale è stata progettata. La durabilità del calcestruzzo è una condizione necessaria per la durabilità di una struttura di c.a., ma non è da sola sufficiente. Difatti tra le cause di degrado delle strutture di c.a. occorre annoverare anche l’inadeguato costipamento del calcestruzzo all’interno dei casseri, gli errori di progettazione e un diverso utilizzo delle strutture rispetto a quanto previsto in fase di progetto. La durabilità del calcestruzzo dipende per la maggior parte dalla permeabilità del materiale all’acqua. Maggiore è la permeabilità, minore è il quantitativo di agenti aggressivi disciolti nell’acqua che riescono a penetrare nel materiale. Pertanto un calcestruzzo è tanto più durevole quanto più impermeabile, ossia quanto meno poroso. Infine essendo la porosità del cls strettamente legata al rapporto acqua-cemento (a bassi valori di a/c corrispondono basse porosità) se ne deduce che la durabilità di un cls è strettamente legata al valore del rapporto acqua-cemento: quanto minore è a/c, tanto più il calcestruzzo è durevole.
A Z Z O B Altre proprietà del calcestruzzo indurito Modulo di elasticità del calcestruzzo
Per modulo di elasticità del calcestruzzo di intende quello tangente all’origine della curva sforzideformazioni che si ottiene da una prova di compressione semplice istantanea. All’aumentare della resistenza del calcestruzzo, aumenta il valore del modulo di elasticità, cioè un calcestruzzo è tanto più rigido quanto più è resistente. La normativa italiana fissa il seguente valore del modulo di elasticità all’origine: E c = 18000 R ck (kg / cm 2 ) E c = 5700 R ck ( N / mm 2 )
Si ricorda che il comportamento del calcestruzzo può ritenersi con buona approssimazione elastico lineare solo per valori degli sforzi di compressione non superiori al 30 % della resistenza a com pressione del calcestruzzo. Il modulo di elasticità di un calcestruzzo aumenta nel tempo così come la resistenza. Questo si spiega con il continuo processo di reazione tra l’acqua ed il cemento. La figura seguente mostra la variazione di Ec nel tempo.
Coefficiente di Poisson
Per il coefficiente di Poisson di un calcestruzzo si assume un valore compreso tra 0 e 0.2, in funzione dello stato di sollecitazione (vedi punto 2.1.4 del D.Min. LL.PP. 09.01.96).
Lezione n. 18 – pag. XVIII.8
Viscosità
Si consideri un provino di calcestruzzo di altezza l ed area A, e lo si sottoponga ad un carico P di compressione sulla base superiore. Il provino subisce un accorciamento elastico istantaneo ∆lel pari a: Pl ∆l el = ε el l = . AE Se il carico P viene rimosso subito dopo aver registrato l’abbassamento, il provino riassume la configurazione originaria, recuperando per intero l’accorciamento subito. Si immagini ora di mantenere il carico P applicato sul provino nel tempo. In questo caso si osserva che alla deformazione istantanea verificatasi al momento di applicazione del carico, segue una deformazione differita nel tempo, la cui intensità aumenta nel tempo.
A Z Z O B P
∆lel
P
Cindef. Ct0
∆lvisc
Ct
a) b) a) Ct0 = configurazione deformata all’istante t 0 di applicazione del carico b) Ct = configurazione deformata all’istante t > t 0 Se si costruisce un diagramma riportando sull’asse delle ordinate la deformazione del provino e sull’asse delle ascisse il tempo, si ottiene una curva il cui andamento qualitativo è rappresentato nella figura seguente: ε
l e
ε
2
εel
0
t
tempo
La curva parte dal punto di coordinate ( εel, 0) corrispondente alla deformazione elastica istantanea del provino all’istante t=0 di applicazione del carico, quindi perdurando il carico si osserva un graduale aumento della deformazione, che per t →∞ tende asintoticamente a un valore pari a circa il triplo della deformazione elastica iniziale. La differenza tra la deformazione totale al tempo t e la deformazione elastica iniziale al tempo t 0 rappresenta la deformazione viscosa che il provino ha subìto nell’intervallo ∆t = (t-t0) a carico costante. Essa è pari a circa due volte la deformazione elastica per t →∞. In modo convenzionale, il comportamento del calcestruzzo sotto carichi di lunga durata, che permangono cioè sulla struttura in c.a. per un periodo di tempo molto lungo o addirittura per tutta la vita della struttura, può essere rappresentato schematicamente con quello di un materiale avente un
Lezione n. 18 – pag. XVIII.9
Difatti, si ha: ε el =
σ
E0
ε∞ =
σ
E∞
essendo ε ∞ ≅ 3ε el , si può scrivere: ε∞ =
σ
= 3ε el = 3
σ
, da cui
E E∞ = 0 . 3
A Z Z O B E∞
E0
Tondini di ferro
Le barre di acciaio che si utilizzano nelle strutture in c.a. sono fornite in elementi della lunghezza massima di 12 m. I diametri disponibili sono invece compresi tra 5 e 30 mm (***). Ad esclusione del diametro 5, i diametri commerciali disponibili in Italia sono rappresentati da valori pari del diametro espresso in mm; si troverà ad esempio una barra di diametro 16 ( φ16) ma non sono in commercio barre con diametro 17 ( φ17). La normativa italiana prevede l’utilizzo di due tipi di barre da cemento armato: - barre tonde lisce: sono barre dalla superficie liscia, che non si utilizzano ormai più - barre ad aderenza migliorata: sono barre la cui superficie è resa scabra da appositi risalti o costole, atte a migliorare le condizioni di aderenza al calcestruzzo; le barre ad aderenza migliorata sono caratterizzate dal diametro φ della barra tonda liscia equipesante, calcolato nell’ipotesi che il peso specifico dell’acciaio sia pari a 78,50 kN/m 3.
Esempio di costole sulla superficie di una barra ad aderenza migliorata
La normativa prevede due tipi di acciaio per le barre tonde lisce ed altri due tipi di acciaio per quelle ad aderenza migliorata. La seguente tabella riporta le proprietà prescritte dalla normativa per le barre tonde lisce e per quelle ad aderenza migliorata: tipo di barre
barre tonde lisce
barre ad aderenza migliorata
tipo di acciaio
Fe B 22 k
Fe B 32 K
Fe B 38 k
Fe B 44 k
tensione caratteristica di snervamento f y (N/mm2)
≥ 215
≥ 315
≥ 375
≥ 430
tensione caratteristica di rottura f t (N/mm2)
≥ 335
≥ 490
≥ 450
≥ 540
allungamento A5(****)
≥ 24 %
≥ 23 %
≥ 14 %
≥ 12 %
(***)
L’utilizzo di barre di acciaio FeB44k di diametro superiore a 26 mm deve essere autorizzato dal Servizio Tecnico Centrale del Ministero dei Lavori Pubblici, sentito il Consiglio Superiore dei Lavori Pub blici (punti 2.2.3 e 2.2.7 del D.Min.LL.PP. 09.01.96).
Lezione n. 18 – pag. XVIII.10
Gli acciai da cemento armato normale sono designati con un numero che indica la loro tensione di snervamento in kg/mm2. Gli acciai da carpenteria metallica sono invece designati con un numero che indica la loro tensione di rottura in N/mm2. Dalla tabella precedente risulta evidente come gli acciai delle barre lisce siano meno resistenti di quelli delle barre ad aderenza migliorata, ma siano più duttili. Ad esempio, l’acciaio FeB22k ha una tensione di snervamento pari a solo il 50% di quella dell’acciaio FeB44k, ma l’allungamento a rottura è il doppio! Nella tabella successiva sono riportati i valori dell’area e del peso per le barre in acciaio normalmente utilizzate (avendo considerato un peso specifico per l’acciaio pari a 7850 kg/m 3)(*****).
A Z Z O B BARRE ACCIAIO DA C.A.
diametro (mm) 5 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30
area (cm2) 0.196 0.283 0.503 0.785 1.131 1.539 2.011 2.545 3.142 3.801 4.524 5.309 6.158 7.069
peso (kg/m) 0.154 0.222 0.395 0.617 0.888 1.208 1.578 1.998 2.466 2.984 3.551 4.168 4.834 5.549
Normative di riferimento
La verifica di una struttura in c.a. può essere eseguita con il metodo delle tensioni ammissibili o con il metodo degli stati limite. Per le verifiche con il metodo degli stati limite si applicano le seguenti norme: − D.M. LL.PP. del 09/01/1996 “ Norme tecniche per il calcolo, l’esecuzione ed il collaudo delle strutture in cemento armato, normale e precompresso e per le strutture metalliche ”; − Circolare Min. LL.PP. del 15/10/1996 n. 252 AA.GG./S.T.C. - Istruzioni per l’applicazione delle “Norme tecniche per il calcolo, l’esecuzione ed il collaudo delle strutture in cemento armato, normale e precompresso e per le strutture metalliche ” di cui al Decreto Ministeriale 9 gennaio
1996.
(*****)
Nel calcolo del c.a. si assume un peso specifico convenzionale pari a 2500 kg/m3 indipendentemente dall’effettiva armatura disposta; il peso specifico del solo conglomerato cementizio è assunto invece pari a 2400 kg/m3. La differenza (circa 100 kg/m3) costituisce una valore medio dell’incidenza delle
Lezione n. 18 – pag. XVIII.11
Per le verifiche con il metodo delle tensioni ammissibili si applicano le seguenti norme: − D.M. LL.PP. del 14/02/1992 “ Norme tecniche per l’esecuzione delle opere in cemento armato normale o precompresso e strutture metalliche”; − Circolare Min. LL.PP. del 24/06/1993 n. 37406/STC “Legge 5.11.1971 n° 1086 - Istruzioni per l’applicazione delle “Norme Tecniche per l’esecuzione delle opere in cemento armato normale o precompresso e strutture metalliche” di cui al Decreto Ministeriale 14 febbraio 1992;
salvo che per i materiali, i prodotti, il collaudo statico e gli allegati, per i quali occorre fare riferimento al decreto ed alla circolare del 1996, già riportati sopra per il metodo agli stati limite.
A Z Z O B Per entrambi i metodi di verifica occorre adottare i valori delle azioni riportati in: − D.M. LL.PP. del 16/01/1996 “ Norme tecniche relative ai «Criteri generali per la verifica di sicurezza delle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi»”; − Circolare Min. LL.PP. del 04/07/1996 n. 156 AA.GG./S.T.C. - Istruzioni per l’applicazione delle “Norme tecniche relative ai criteri generali per la verifica di sicurezza delle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi” di cui al Decreto Ministeriale 16 gennaio 1996 .
Occorre inoltre tenere presente la normativa per le costruzioni in zona sismica, nella quale sono anche riportate alcune regole specifiche per le costruzioni in c.a.: − D.M. LL.PP. del 16/01/1996 “ Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche” ; − Circolare Min. LL.PP. del 10/04/1997 n. 65/AA.GG. - Istruzioni per l’applicazione delle “Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche” di cui al Decreto Ministeriale 16 gennaio 1996. È infine da ricordare che, con l’avvento di Normative unificate a livello Europeo (i cosiddetti Eurocodici), è possibile ricorrere anche all’utilizzo di tali prescrizioni nel progetto delle strutture. In particolare, per quanto riguarda il cemento armato, si fa riferimento all’Eurocodice 2 (contraddistinto dalla sigla UNI ENV 1992-1-1, spesso citato semplicemente come EC2), nella parte 1-1 (Regole generali e regole per gli edifici); il già citato D.M. LL.PP. del 09/01/1996 “Norme tecniche per il calcolo, l’esecuzione ed il collaudo delle strutture in cemento armato, normale e precompresso e per le strutture metalliche” riporta (nella sezione III) una serie di “prescrizioni sostitutive, integrative o soppressive” rispetto a quanto riportato nell’EC2, alle quali è obbligatorio attenersi per le strutture da realizzarsi in Italia.
Lezione n. 19 Stati limite nel cemento armato Analisi del comportamento di una trave inflessa Per introdurre la teoria statica del cemento armato, si consideri una trave di solo calcestruzzo sem plicemente appoggiata agli estremi e soggetta a due carichi concentrati P posti a distanza a dagli ap poggi. Per valori bassi di P, la trave si comporta come se fosse costituita da materiale omogeneo, isotropo ed elastico. Al crescere del carico, essendo la resistenza a compressione del cls molto maggiore di quella a trazione, si verifica la rottura delle fibre inferiori della sezione di mezzeria (dove M è massimo) per cedimento del calcestruzzo teso, mentre il calcestruzzo compresso è ancora molto lontano dalla resistenza a compressione.
A Z Z O B P
a
P
L-2a
a
A
B
fessure
L
P
P
P
+
taglio
−
-P
momento flettente
Pa
+
In una trave di solo calcestruzzo non è pertanto possibile sfruttare il calcestruzzo compresso fino alla sua resistenza massima a causa della rottura anticipata del calcestruzzo teso. Nasce allora l’idea di introdurre dei tondini di ferro nelle zone tese della trave, i quali assorbendo le tensioni di trazione, una volta che il calcestruzzo si è fessurato, consentono alla trave di sopportare valori di q superiori a quello di fessurazione, ed in funzione del quantitativo di armatura introdotto, fino al raggiungimento della resistenza a compressione del cls. Si voglia ora descrivere il comportamento della trave in presenza delle armature nella parte inferiore.
Lezione n. 19 – pag. XIX.2
P
P
a
L−2a
a
Α
Β δ
A Z Z O B L/2
L/2
L
P
P
Al crescere del carico P si registri lo spostamento verticale δ della sezione di mezzeria al variare di P e si riportino su un diagramma i valori di δ sull’asse delle ascisse e quelli di P sull’asse delle ordinate:
P
III
Pu Py
II
Pcr
II conv.
I
δcr
δy
δu
δ
La curva risulta formata sostanzialmente da tre rami, che definiscono altrettante “fasi” di comportamento della trave in c.a.: ramo I il calcestruzzo e l’acciaio resistono entrambi a trazione e sono con P ≤ Pcr buona approssimazione in campo elastico lineare ramo II viene superata la resistenza a trazione del calcestruzzo, che si fessura Pcr ≤P ≤ Py (il pedice cr sta per “cracking ” = fessurazione), e le trazioni sono assorbite solo dall’acciaio ramo III P > Py si supera la tensione di snervamento dell’acciaio che subisce notevoli allungamenti fino a giungere a rottura (può anche succedere che si rompa il calcestruzzo compresso, se il quantitativo di armatura non è sufficientemente alto) Molto spesso le fasi I e II vengono approssimate pensando, a favore di sicurezza, che il cemento armato si comporti, fin da valori molto piccoli del carico, come se fosse già fessurato, individuando quindi una fase che può essere denominata come “fase II convenzionale” (la retta che definisce tale ramo è quindi parallela alla retta del ramo II ma parte dall’origine). Le ragioni di tale modo di procedere (oltre alla maggiore facilità di calcolo, in quanto ad un diagramma bilineare, e quindi complessivamente non lineare, si sostituisce un legame caricospostamento di natura lineare) va ricercata nell’osservazione che il calcestruzzo può comunque presentarsi già in condizioni fessurate anche al momento dell’applicazione del carico di progetto: questa circostanza è effettivamente molto spesso vera, in quanto possono esserci presenti fessure nel
Lezione n. 19 – pag. XIX.3
della presa del calcestruzzo) che generalmente conduce ad un sistema di microfessure che ne com promettono, già per carichi esigui, la resistenza a tr azione. La fase II convenzionale è quella usualmente impiegata nel calcolo secondo il metodo delle tensioni ammissibili e, come verrà illustrato nel seguito, anche nel controllo delle tensioni in esercizio. Per lo studio del comportamento delle travi inflesse e per la verifica delle sezioni in c.a. si utilizza il modello di comportamento in fase III (a rottura) ogni volta in cui si debba far riferimento a situazioni “ultime”; i modelli di comportamento in fase I + fase II (o, alternativamente, in fase II convenzionale) si utilizzano invece quando si faccia riferimento a condizioni di “esercizio” per la struttura in esame.
A Z Z O B Individuazione degli Stati Limite nel c.a.
Nell’ottica del metodo degli Stati Limite, si individuano, per il cemento armato, situazioni diverse che possono comportare la crisi od il cattivo utilizzo in esercizio della struttura. Le attuali normative impongono di conseguenza il controllo della struttura e delle sezioni maggiormente sollecitate in corrispondenza del raggiungimento delle seguenti condizioni: STATI LIMITE ULTIMI (SLU) verifica allo stato limite per tensioni normali : la verifica viene effettuata in termini di confronto tra enti sollecitanti valutato allo SLU e resistenza della sezione nella condizioni individuata di “collasso”, limitando l’attenzione alle sole sollecitazioni che producono tensioni normali (quindi sforzo normale e flessione) verifica allo stato limite per sollecitazioni taglianti : si effettua la verifica attraverso il confronto tra Vsdu (taglio sollecitante allo SLU) e Vrdu (taglio resistente della sezione) verifica allo stato limite per sollecitazioni torcenti : analogamente al caso visto in precedenza, si controlla che Tsdu (momento torcente sollecitante allo SLU) risulti inferiore a Trdu (massimo momento torcente assorbibile dalla sezione) verifica allo stato limite ultimo per sollecitazioni composte: vengono presi in esame i casi in cui si abbia contemporaneamente torsione, flessione e sforzo normale, oppure nel caso in cui siano presenti sia sollecitazioni di taglio sia sollecitazioni di torsione.
STATI LIMITE DI ESERCIZIO (SLE) verifica allo stato limite per fessurazione : si controlla che non si formino fessure nel c.a. (verifica più gravosa) oppure che, se formatesi, queste non superino un valore di ampiezza prestabilito, in funzione della vulnerabilità della struttura e dell’impiego della stessa; verifica allo stato di limite delle tensioni di esercizio : si considerano i valori delle tensioni nel calcestruzzo e nell’acciaio nelle condizioni di esercizio della struttura, imponendo il non superamento di limiti prestabiliti; verifica allo stato limite di deformazione: consiste nel controllo delle deformazioni della struttura in condizioni di esercizio, in modo da verificare che essa sia compatibile con la funzionalità dell’opera e che non comporti danni alle sovrastrutture adiacenti.
Legami costitutivi allo Stato Limite Ultimo
Allo SLU si ipotizza, essendo le condizioni prossime a quelle di rottura, di analizzare il comportamento della sezione in fase III, ossia con calcestruzzo teso interamente fessurato, con il superamento del limite elastico sia per il calcestruzzo compresso che per l’acciaio teso. Superato il limite elastico, per entrambi i materiali si considerano comportamenti di tipo “plastico” ossia in cui siano possibili incrementi di deformazioni anche in assenza di incrementi nello stato tensionale.
Lezione n. 19 – pag. XIX.4
Calcestruzzo La definizione di un modello di comportamento per il calcestruzzo in condizioni prossime a quelle di rottura può avvenire analizzando quello che accade in una prova di compressione semplice. La prova consiste nel sottoporre un provino prismatico o cilindrico di calcestruzzo ad uno sforzo di compressione centrato; tale prova viene eseguita su provini di dimensioni standard ad una prefissata velocità di deformazione. Se con An si indica l’area nominale del provino e con P lo sforzo assiale applicato, si possono definire come per la prova di trazione le due seguenti grandezze: P ∆l
A Z Z O B σn =
An
ε=
l0
che sono dette rispettivamente tensione nominale (σn) e deformazione convenzionale (ε). Se al crescere del carico si riportano i valori σ n sull’asse delle ordinate e quelli delle ε sull’asse
delle ascisse si ottiene una curva del tipo di quelle rappresentate nella figura seguente. In particolare per un calcestruzzo ad alta resistenza si ottiene la curva a, mentre per un calcestruzzo di normale resistenza si ha la curva b.
Per convenzione la curva è stata tracciata assumendo positive le tensioni e le deformazioni di com pressione. In generale si nota: - un comportamento non lineare anche per livelli bassi di tensione (ossia anche per tensioni notevolmente inferiori rispetto a quelle che provocano la rottura del provino): il livello tensionale massimo al di sotto del quale il comportamento del calcestruzzo compresso può ritenersi elastico lineare è pari a circa il 30% della resistenza di picco; - il raggiungimento della tensione di picco per una deformazione pari a circa lo 0.2 % (2‰), valore più o meno indipendente dalla resistenza del calcestruzzo; - la presenza di un comportamento così detto di tipo “softening” una volta raggiunta la tensione di picco: il materiale cioè non è in grado di assorbire deformazioni maggiori di quella di picco se non attraverso una riduzione dello stato tensionale. Se sottoposto a trazione il calcestruzzo manifesta una rottura fragile per un valore molto basso dello sforzo di trazione, pertanto nelle verifiche di resistenza, la resistenza a trazione del calcestruzzo viene trascurata. Il diagramma σ-ε è così limitato alle sole tensioni e deformazioni di compressione. Nel calcolo agli Stati Limite, concentrando l’attenzione alla valutazione della sicurezza nei confronti dello Stato Limite Ultimo, il legame tensioni-deformazione convenzionale che viene adottato è riportato nella figura seguente.
Lezione n. 19 – pag. XIX.5
σc
εc
A Z Z O B Il diagramma ha un andamento parabolico fino alla deformazione del 2‰, presentando poi un andamento perfettamente plastico fino alla deformazione a rottura fissata convenzionalmente al 3.5‰. Il diagramma è in sostanziale accordo con i risultati sperimentali, ed il valore assunto come massima contrazione risente della difficoltà nel definire correttamente, a causa del fatto che il materiale esibisce una curva che a rottura tende ad abbassare la propria pendenza, il valore della deformazione corrispondente alla rottura. Dai risultati sperimentali si ricavano comunque valori nell’intervallo 3.4‰÷8.0‰, per cui il valore assunto risulta cautelativo. La massima tensione viene valutata a partire dalla resistenza cilindrica di progetto, quindi da f 0.83 ⋅ R ck f cd = ck =
γc γc dove γc, coefficiente parziale di sicurezza allo SLU, viene assunto per il calcestruzzo pari a 1.6.
In realtà il livello massimo riportato nel diagramma tiene conto del fatto che la tensione caratteristica di rottura rappresenta una tensione istantanea, in quanto ricavata da prove di schiacciamento su provini. Gli aspetti non lineari insiti nel comportamento del calcestruzzo suggeriscono di ridurre tale valore ad uno inferiore che può essere ritento accettabile anche a tempo infinito, ossia un valore prudenziale che tenga conto dell’invecchiamento del calcestruzzo. Di conseguenza si adotta una riduzione del 15% della tensione di progetto come valutata a partire da prove istantanee. La parabola che rappresenta il comportamento del calcestruzzo per deformazioni inferiori al 2‰ è definita dalle seguenti tre proprietà: - passaggio dall’origine del diagramma; - valore pari a 0.85·f cd in corrispondenza della deformazione ε=2‰, nel seguito indicata per brevità con ε0; - tangente orizzontale in corrispondenza del valore ε0. Quindi l’equazione della parabola risulta essere: c=0 per ε = 0 : f = 0 f = a ⋅ ε 2 + b ⋅ ε + c
per ε = ε : f = 0.85 ⋅ f 0 cd per ε = ε : f ' = 0 0
da cui 0.85 ⋅ f cd 2 ⋅ 0.85 ⋅ f cd a=− , b , = 2
ε0
ε0
a ⋅ ε0
2
+ b ⋅ ε0 = 0.85 ⋅ f cd 2 ⋅ a ⋅ ε 0 + b = 0
c=0
e quindi f
ε ε 2 = 0.85 ⋅ f cd ⋅ 2 − ε 0 ε0
La tangente all’origine alla parabola (che corrisponde al valore di b) interseca la massima ordinata 0.85·f cd al valore ε0/2=1‰. Nella seguente tabella sono riportati valori de lle resistenze di progetto che si utilizzano nel calcolo a rottura dei calcestruzzi di uso più comune:
Lezione n. 19 – pag. XIX.6
R ck [N/mm2] 25 30 35
Denominaz. C20/25 C25/30 C30/35
f ck [N/mm2] 20.75 24.90 29.05
f cd [N/mm2] 12.97 15.56 18.16
0.85·f cd [N/mm2] 11.02 13.23 15.43
Acciaio
A Z Z O B Per l’acciaio viene usualmente impiegato un legame costitutivo elasto-plastico. Si suppone cioè che, superato il limite elastico, si possa attribuire all’acciaio un comportamento perfettamente plastico, cioè siano possibili incrementi di deformazione a tensione costante, fino al raggiungimento del limite convenzionale di deformazione a rottura. σs
f yk
f yk fyd = γs
Es = 206 kN/mm²
0.01
0.01
εs
Il limite convenzionale di deformazione a rottura è fissato nella misura del 10‰; osservando i valori effettivi dell’allungamento a rottura delle barre di acciaio si nota un limite sensibilmente superiore (di almeno 10 volte). L’esigenza di limitare la deformazione massima a valori così bassi nasce dalla necessità di mantenere l’aderenza tra acciaio (soprattutto teso) e calcestruzzo, alla base dei metodi di calcolo che verranno illustrati in seguito. Se infatti si attingesse a deformazioni elevate nell’acciaio, l’effetto di contrazione trasversale (o strizione, prodotto per valori sensibili dell’allungamento dal coefficiente di Poisson) tenderebbe a ridurre l’area dell’acciaio, contraendolo, e quindi favorendone lo “sfilamento” dal calcestruzzo circostante. Il valore massimo nell’ordinata del diagramma è offerto dalla tensione di progetto dell’acciaio, f yk f yd =
γs
dove γs, coefficiente parziale di sicurezza allo SLU, viene assunto per l’acciaio pari a 1.15.
Legami costitutivi nelle verifiche agli Stati Limite di Esercizio
In condizioni di esercizio si suppone, per entrambi i materiali, un comportamento in campo elastico lineare. A seconda della verifiche che vengono effettuate, il calcolo procede con l’analisi dello sviluppo del comportamento dalla fase I alla fase II oppure, in alcuni casi, considerando soltanto la fase II convenzionale. In entrambi i casi, si assume per il calcestruzzo un comportamento elastico lineare con un valore del modulo elastico crescente in funzione della classe del materiale, convenzionalmente pari a Ec
= 5700 ⋅
R ck ( N / mm 2 )
Ec
= 18000 ⋅
R ck (kg / cm 2 )
Per l’acciaio il valore del modulo elastico viene fissato in Es
= 206000 N / mm 2 (MPa ) = 206 GPa
Lezione n. 19 – pag. XIX.7
In fase II (superata quindi la resistenza a trazione del calcestruzzo) e in fase II convenzionale, il calcolo viene condotto introducendo il coefficiente di omogeneizzazione, indicato con la lettera n (o m in alcuni testi).
Coefficiente di omogeneizzazione (n) Nel cosiddetto “metodo n” (utilizzando anche se si operasse con il metodo delle tensioni ammissibili) le verifiche di resistenza delle sezioni vengono eseguite con riferimento al solo calcestruzzo, riducendo le aree delle barre di acciaio ad aree di calcestruzzo equivalente attraverso un opportuno coefficiente di omogeneizzazione, indicato con il simbolo n. Questo modo di procedere è giustificato dal fatto che, una volta trascurato il contributo del calcestruzzo teso, si ipotizza la perfetta aderenza tra le barre di acciaio ed il calcestruzzo circostante e la validità della legge di conservazione delle sezioni piane come per le travi di materiale omogeneo ed isotropo (ipotesi di Bernoulli-Navier). Di conseguenza, avendo ipotizzato la validità della legge di Hooke per entrambi i materiali, valgono le seguenti relazioni:
A Z Z O B σa
εa =
εc =
Ea
σc
Ec
inoltre per l’ipotesi di perfetta aderenza risulta:
εc = εa
quindi sostituendo in quest’ultima relazione le due precedenti, si giunge alla seguente espressione
σa
Ea
=
σc
Ec
da cui
σa =
Ea
Ec
σ c = nσ c
dove si è posto n =
Ea
Ec
A parità di deformazione la tensione nell’acciaio risulta n volte maggiore di quella nel calcestruzzo, dove il coefficiente n (spesso, in alcuni testi, indicato anche con m) è detto coefficiente di omogeneizzazione ed è dato dal rapporto tra il modulo di elasticità dell’acciaio e quello del calcestruzzo.
Omogeneizzazione della sezione
Si consideri un elemento verticale prismatico in c.a., di sezione Ac, contenente un solo tondino di area Aa in posizione centrale.
Lezione n. 19 – pag. XIX.8
Si applichi all’elemento un carico assiale F diretto verso il basso. Si indichi con ε la deformazione unitaria in una sezione A-A sufficientemente lontana dalla sezione di applicazione del carico, in modo che in essa sia soddisfatta l’ipotesi di conservazione delle sezioni piane. Questa deformazione è identica per il calcestruzzo e per l’acciaio per l’ipotesi di perfetta aderenza dei due materiali. Ad ε corrispondono una forza F c nel calcestruzzo e una forza Fa nell’acciaio
Ac
Aa F
A Z Z O B Fc
= A c ⋅ Ec ⋅ ε = A c ⋅ σc
Fa
= A a ⋅ E a ⋅ ε = Aa ⋅ σa = A a ⋅ n ⋅ σc
La somma delle due forze deve essere pari, per equilibrio, all’azione esterna F applicata, per cui si ottiene F = Fc
+ Fa = A c ⋅ σ c + A a ⋅ n ⋅ σ c = σ c ⋅ (A c + n ⋅ A a )
Alla luce di quanto detto, si può pertanto affermare che: − ai fini della resistenza a compressione un’area Aa di acciaio è equivalente ad un’area di calcestruzzo n volte più grande − una sezione di c.a. può essere considerata come una sezione omogenea in cls, di area equivalente ideale Aci pari alla somma dell’area di calcestruzzo compresso e dell’area di acciaio moltiplicata per n: A ci
= A c + nA a
Quanto vale n?
Si voglia determinare il valore del coefficiente di omogeneizzazione n. Si supponga di avere un calcestruzzo di classe R ck 30; utilizzando la formula fornita dalla normativa il suo modulo di elasticità istantanea all’origine è pari a: Ec
= 5700 ⋅
R ck
= 5700 ⋅
30
= 31220 N / mm 2
il modulo di elasticità dell’acciaio è pari a 206000 N/mm2, pertanto n assume il seguente valore: n
=
206000 31220
= 6.60 ≅ 7
Se il carico applicato sull’elemento in c.a. è di lunga durata, da quanto esposto nei capitoli precedenti, risulta che esso induce deformazioni viscose, la cui entità è circa il doppio della deformazione elastica iniziale. Pertanto nei confronti dei carichi di lunga durata, il calcestruzzo si comporta come se avesse un modulo di elasticità fittizio pari a circa 1/3 di quello iniziale. Sempre con riferimento a un calcestruzzo con R ck = 30 N/mm 2 il coefficiente di omogeneizzazione per carichi di lunga durata è pari a: n∞
=
206000 31220
= 19.80 ≅ 20
3
Per n occorrerebbe adottare pertanto due valori diversi a seconda che si considerino carichi di breve o di lunga durata. Inoltre i valori di n cambiano in funzione della classe di resistenza del calcestruzzo, perché con essa
Lezione n. 19 – pag. XIX.9
Poiché sulle strutture in c.a. generalmente si ha la presenza contemporanea di carichi istantanei e di carichi permanenti, si preferisce in genere definire un unico valore di n. Normalmente si utilizza un valore di n pari a 15, indipendentemente dalla classe di resistenza del cls, e rappresenta un valore intermedio tra quello per carichi istantanei e quello per carichi permanenti.
La Normativa, nel paragrafo relativo alla verifica allo stato limite delle tensioni in esercizio (par. 4.3.2.1 del DM 9.1.96), riporta che “ in via semplificativa si può assumere il comportamento elastico-lineare (per il calcestruzzo) e per le armature il coefficiente di omogeneizzazione con il valore convenzionale n=15”. Operando secondo il metodo delle tensioni ammissibili, sempre la Normativa vigente indica che si può assumere “come area della sezione resistente quella corrispondente al conglomerato compres so ed alle aree metalliche tese e compresse affette dal coefficiente convenzionale di omogeneizza zione n=15” (p.to 3.1.1 del DM 14.2.92).
A Z Z O B La resistenza a trazione del calcestruzzo
Nel caso in cui la verifica venga effettuata considerando anche la fase I nel comportamento della sezione in c.a., occorre definire una resistenza a trazione per il calcestruzzo. La Normativa individua due diversi valori per tale grandezza: il primo (indicato con f ct) è riferito alla resistenza a trazione semplice, mentre il secondo fa riferimento alla resistenza a trazione per flessione ed è indicato con f cf , ossia a tutte quelle condizioni in cui la trazione nel calcestruzzo è indotta dalla presenza di momenti flettenti. Convenzionalmente di individua il valore medio (pedice m) di f ct nella quantità f ctm
= 0.27 ⋅ 3
2 2/3 R ck ( N / mm 2 ) = 0.27 ⋅ R ck ( N / mm 2 )
Mentre i valori caratteristici corrispondenti ai frattili 5% e 95% possono assumersi rispettivamente pari a 0.7·f tcm e 1.3·f ctm. Il valore a cui si fa riferimento nelle verifiche è di solito quello corrispondente al frattile inferiore, ossia f ctk = 0.7 ⋅ f ctm
La resistenza a flessione è generalmente assunta pari a f cfm
= 1.2 ⋅ f ctm
Nella seguente tabella sono riportati valori delle resistenze a trazione che si utilizzano nel calcolo in fase I nei calcestruzzi di uso più comune: R ck [N/mm2] 25 30 35
Denominaz. C20/25 C25/30 C30/35
f ctm [N/mm2] 2.31 2.61 2.89
f ctk [N/mm2] 1.62 1.83 2.02
f cfk [N/mm2] 1.94 2.19 2.43
f ck /f ctk 12.8 13.6 14.4
Come si può osservare, la resistenza a trazione del calcestruzzo è pari mediamente a circa 1/13 della resistenza a compressione.
Lezione n. 20 Stati limite nel cemento armato Stato limite ultimo per tensioni normali Determinazione delle configurazioni di rottura per la sezione
A Z Z O B Una volta introdotti i legami costitutivi, è possibile determinare le situazioni per le quali una generica sezione in cemento armato raggiunge, in uno o in entrambi i componenti calcestruzzo e acciaio, le condizioni di rottura, ossia le condizioni “ultime”. Le ipotesi principali alla base del calcolo (che si adottano, come verrà illustrato nel seguito) anche nel caso di calcolo con legami tensioni-deformazione di tipo lineare (ad esempio nella valutazione della sicurezza nei confronti degli Stati Limite di Esercizio) sono le tre seguenti: 1. si trascura il contributo del calcestruzzo soggetto a trazione (che però interviene nella trasmissione degli sforzi di scorrimento attraverso il meccanismo a traliccio che verrà descritto nella lezione dedicata al taglio); 2. si ipotizza perfetta aderenza tra le barre di acciaio ed il calcestruzzo circostante (anche in ragione del fatto di avere limitato la massima deformazione dell’acciaio al valore del 10‰); 3. si ipotizza la conservazione delle sezioni piane come per le travi di materiale omogeneo ed isotropo (ipotesi di Bernoulli-Navier). Prima di illustrare il procedimento al calcolo è bene evidenziare alcuni aspetti: - la rottura della sezione può giungere per il raggiungimento della deformazione limite nel calcestruzzo compresso (ossia perché la fibra più esterna di calcestruzzo raggiunge la deformazione limite del 3.5‰) oppure per il raggiungimento della massima dilatazione nell’acciaio teso (corrispondente al valore di deformazione 10‰) - è evidente che non si può raggiungere una condizione di rottura per massima contrazione dell’acciaio compresso, in quanto, essendo quest’ultimo perfettamente aderente al calcestruzzo nella stessa zona, non si potrà mai superare il limite del 3.5‰ imposto alla fibra di cls - operando in campo elasto-plastico, occorre impostare il problema della determinazione delle situazioni di rottura della sezione operando in termini di deformazioni e non di tensioni: risulta infatti chiaro che mentre ad un valore della deformazione corrisponde un solo valore della tensione, non è vero il viceversa, a causa della presenza di un ramo plastico - una volta individuata una configurazione di rottura (in termini di deformazioni) si risalirà al valore delle tensioni nel calcestruzzo e nell’acciaio e quindi alle risultanti di compressione e trazione; infine, sarà possibile esprimere la condizione di rottura in termine di coppia di valori di sforzo normale e momento flettente (individuati nel seguito rispettivamente con N rdu e M rdu) che costituiranno la coppia di sollecitazioni che, se agenti contemporaneamente nella sezione, comportano la rottura della sezione - ad ogni configurazione di rottura corrisponde un preciso valore della rotazione della sezione e sussiste una corrispondenza biunivoca tra le configurazioni di rottura e la profondità dell’asse neutro, come risulta dalla figura seguente: fissata la posizione dell’asse neutro, si determina univocamente la configurazione di rottura, in quanto ogni altra configurazione deformata della sezione comporterebbe il superamento della massima deformazione ammissibile in uno dei due materiali che costituiscono la sezione
Lezione n. 20 – pag. XX.2
allungamenti
accorciamenti
3.5‰ ’ d
ε
x
configurazione non di rottura
A Z Z O B zona compressa
h
d
configurazione di rottura
10‰
b
configurazione non ammissibile: ε troppo elevato nel cls
- nel caso di sezione uniformemente compressa (ossia in cui le deformazioni sono costanti su tutta la sezione) si assume convenzionalmente un valore massimo della deformazione per il calcestruzzo pari al 2‰; per tutte le configurazioni di sezione interamente compressa (quindi con asse neutro esterno alla sezione e tensioni tutte di compressione) si indivia la rottura considerando la “deformazione massima del calcestruzzo compresso pari a 3.5‰ nel caso di flessione semplice e composta con asse neutro reale, e variabile dal valore predetto al 2‰ quando l’asse neutro, esterno alla sezione, tende all’infinito” (p.to 4.2.1.1 del DM 16.1.96) Il dominio resistente della sezione
L’insieme delle coppie (N rdu, Mrdu) che costituiscono situazioni di rottura per la sezione, rappresentano la frontiera di un dominio che, nel piano (N,M), delimita la zona “sicura” di utilizzo della sezione (punti interni al dominio al massimo sul dominio) rispetto a punti in cui la sezione non risulterebbe verificata (punti esterni alla frontiera del dominio). Il dominio resistente viene quindi costruito per punti, utilizzando quanto descritto nel paragrafo precedente, e considerando la possibilità che la zona compressa sia nella parte superiore della sezione (momento positivo, secondo la convenzione che viene usualmente utilizzata) oppure nella parte inferiore della sezione (momento negativo). In termini di rappresentazione, il dominio resistente viene riportato in un piano cartesiano in cui si individua sulle ascisse il valore dello sforzo normale N (nel c.a. di solito rappresentato come positivo se di compressione, quindi con segno opposto rispetto all’usuale convenzione della scienza delle costruzioni) e sulle ordinate il valore del momento flettente M (come già detto, normalmente positivo se risulta compressa la parte superiore della sezione). Il dominio resistente è un dominio convesso, e questo a causa di alcune proprietà della superficie di plasticizzazione (che non verranno qui illustrate e per le quali si rimanda ad altra sede). Tra le varie definizioni di convessità che potrebbero essere utilizzate, in questa sede si ricorda soltanto che “in una superficie convessa qualunque segmento che unisce due punti interni o sulla frontiera della superficie è completamente contenuto all’interno della superficie stessa”. Tale proprietà comporta alcuni vantaggi operativi non indifferenti: - il dominio potrebbe essere teoricamente costruito con un numero infinito di punti, ossia per tutte le possibili posizioni dell’asse neutro variabili tra - (per le convenzioni adottate, sezione uni-
Lezione n. 20 – pag. XX.3
formemente tesa) e + ∞ (sezione uniformemente compressa); se tuttavia tale dominio viene costruito mediante un insieme finito di punti, anche abbastanza limitato, quello che si ottiene rap presenta sicuramente un’approssimazione dalla parte della sicurezza del dominio reale, in quanto tale nuovo dominio è senz’altro contenuto all’interno del precedente M
dominio costruito con ∞ punti
A Z Z O B dominio costruito con 6 punti
N
- se si conoscessero i punti del dominio caratterizzati da un valore nullo di una delle due caratteristiche di sollecitazione, il dominio potrebbe, a favore di sicurezza, essere approssimato con un quadrilatero irregolare che unisce tali punti (come indicato al p.to B.5.1 della Circ. 15.10.96 a cui si farà riferimento in seguito) M
N
Nel grafico seguente (tratto dalla Circ. esplicativa al DM 9.1.96) sono riportate tutte le possibili situazioni di rottura per una sezione in calcestruzzo armato. Nel grafico si fa riferimento all’altezza h della sezione (altezza geometrica della sezione) ed all’altezza utile d; quest’ultima grandezza rappresenta la distanza del baricentro dell’armatura dal lembo superiore, e differisce dall’altezza effettiva per qualche centimetro (di solito h −d = 3÷5 cm).
Lezione n. 20 – pag. XX.4
φ 2 dove si evidenzia il fatto che dall’altezza geometrica si sottraggono le tre grandezze: - ricoprimento d’armatura (c); - il diametro delle (eventuali) staffe φst; - metà del diametro delle armature resistenti a flessione ( φ/2). La prima (ricoprimento) rappresenta la minima distanza tra la superficie dell’armatura resistente e le facce esterne del conglomerato, ed è fissata per legge. Solitamente, nel caso delle travi, l’armatura resistente più esterna è offerta dalle staffe, necessarie, come si vedrà in seguito, per assorbire gli sforzi di taglio. Le armature longitudinali (ossia quelle resistenti a flessione) sono di solito collocate all’interno delle staffe, come mostrato in figura. Il valore minimo del ricoprimento vale sia se misurato in orizzontale che in verticale, riguardando tutte le facce della sezione in c.a. d = h − c − φ st −
A Z Z O B d
h
c
Normativa
if
φst
c
b
La normativa prescrive i seguenti valori minimi per il valore del ricoprimento di armatura: - per solette, setti e pareti: cmin=0,8 cm per travi e pilastri: cmin= 2,0 cm - le limitazioni precedenti salgono a 2 cm per solette, setti e pareti, e a 4 cm per travi e pilastri, in presenza di salsedine marina, di emanazioni nocive o in ambiente comunque aggressivo - le superfici delle barre devono essere mutuamente distanziate in ogni direzione di almeno una volta il diametro delle barre medesime e, in ogni caso, non meno di 2 cm ( interferro minimo: 2 cm)
La differenza tra h e d è spesso indicata come copriferro, frequentemente confuso, in maniera erronea, con il valore del ricoprimento di armatura. La limitazione imposta al valore dell’interferro (indicato con i f nella figura) è dovuta all’esigenza di permettere al calcestruzzo di fluire, al momento del getto, nella zona che costituirà poi il ricoprimento delle armature.
Lezione n. XX – pag. XX.5
A Z Z O B DEFORMAZIONI SPECIFICHE
x=-
Campo degli accorciamenti
Campo degli allungamenti
-2 10-3 -3.5 10-3 .
.
TIPO DI SOLLECITAZIONE
TIPO DI ROTTURA
--
TRAZIONE SEMPLICE O COMPOSTA
MASSIMA DEFORMAZIONE ACCIAIO TESO
10‰
0≤εc≤3,5‰
FLESSIONE SEMPLICE O COMPOSTA
MASSIMA DEFORMAZIONE ACCIAIO TESO
3
10‰<εs≤εyd
3,5‰
FLESSIONE SEMPLICE O COMPOSTA
SNERVAMENTO ACCIAIO E SCHIACCIAMENTO CALCESTRUZZO
4
εyd<εs≤0
3,5‰
FLESSIONE SEMPLICE O COMPOSTA
SCHIACCIAMENTO CALCESTRUZZO
5
(εs<0)
3,5‰
FLESSIONE COMPOSTA
SCHIACCIAMENTO CALCESTRUZZO
8
ACCIAIO
1
10‰
2
CALCESTRUZZO
x=0
εc
B
8
= x
1
d 0 5 , 2 0 0 = = x x
8
1
x = x 4
εs
5
h = x
6
10 10-3 .
h
d = x
3
A
d
C
2
+ = x
4 h 7
l e d e t i m i l i t n e o z z m u a r i t c r s o e c c l c a A c
x = 0,250 d
x = x1
x=d
εyd
x=h
O
Allungamento limite dell'armatura
Asse di riferimento delle deformazioni
Gianni Bartoli – Appunti di Tecnica delle Costruzioni
6
x=+
(εs<0)
2‰≤εc≤3,5‰
SCHIACCIAMENTO COMPRESSIONE CALCESTRUZZO SEMPLICE E SNERVAMENTO O COMPOSTA ACCIAIO COMPRESSO
Bozza soggetta a revisione – 18/01/05
178
Lezione n. XX – pag. XX.6
Come si può notare, nel grafico sono riportate sia le possibili posizioni dell’asse neutro (da - ∞, sezione uniformemente tesa, a + ∞, sezione uniformemente compressa) sia le corrispondenti configurazioni “deformate” della sezione in condizioni di rottura. Si possono individuare tre zone: - condizioni di rottura per massima deformazione nell’acciaio teso (in sintesi “rottura lato acciaio”): sono le zone (1) e (2) del diagramma, in cui l’acciaio teso attinge alla massima deformazione del 10‰ mentre il calcestruzzo si trova in condizioni di deformazione inferiori rispetto a quella ultima; tutte le possibili configurazioni di rottura si ottengono disegnando rette che partono dal polo A, e l’asse neutro si trova all’interno dell’intervallo (- ∞÷0.259·d] (il valore del limite superiore verrà ricavato nel seguito); - condizioni di rottura per massima deformazione nel calcestruzzo compresso (in sintesi “rottura lato calcestruzzo”), zone (3), (4) e (5) del diagramma: il calcestruzzo nella fibra più esterna si trova al valore massimo consentito di deformazione (3.5‰), mentre l’acciaio teso attinge a deformazioni inferiori al 10‰; le possibili configurazioni di rottura si ottengono disegnando rette che partono dal polo B, e l’asse neutro si trova all’interno dell’intervallo [0.259·d ÷ h]; - condizioni di rottura per massima deformazione nel calcestruzzo compresso e sezione interamente compressa, zona (6) del diagramma: il calcestruzzo nella fibra più esterna si trova al valore massimo consentito di deformazione, che varia dal 3.5‰ (per asse neutro interno o al più al limite della sezione) al 2‰ nel caso di sezione uniformemente tesa; le possibili configurazioni di rottura si ottengono disegnando rette che partono dal polo C, e l’asse neutro si trova nell’intervallo [h ÷ +∞). Si possono individuare due valori caratteristici che definiscono il diagramma: la profondità dell’asse neutro che corrisponde alla condizione di separazione tra la rottura “lato acciaio” e quella “lato calcestruzzo”, e la posizione del polo C che viene utilizzata nel caso di condizioni di rottura per sezione interamente compressa. La profondità dell’asse neutro nella condizione che separa le zone (2) e (3) può essere ricavata sfruttando la conservazione delle sezioni piane e la legge di similitudine dei triangoli; si ottiene quindi, indicando con x la profondità dell’asse neutro, 3.5 x : 0.0035 = (d − x ) : 0.010 ⇒ x= d = 0.259 ⋅ d 3.5 + 10.0 Questa profondità dell’asse neutro a rottura caratterizza quella che si chiama “rottura bilanciata” della sezione, ossia l’unica posizione dell’asse neutro che consente il massimo sfruttamento della sezione in cemento armato, in quanto sia la fibra maggiormente compressa di cls sia l’armatura tesa attingono contemporaneamente al loro massimo valore di deformazione. Alla luce delle osservazioni fatte in precedenza, è evidente che esiste una sola configurazione di rottura (a parte quella corrispondente allo stesso calcolo ma con segno opposto del momento) che soddisfa tale proprietà. La posizione del punto C può essere determinata ancora con considerazioni di similitudine dei triangoli, ricavando il valore della distanza y del lembo inferiore alla quale corrisponde (con deformazione del calcestruzzo alla fibra superiore pari al 3.5‰ e profondità dell’asse neutro uguale ad h) una deformazione pari al 2‰: 2 4 ⇒ ⋅h = ⋅h h : 0.0035 = x : 0.0020 x= 3 .5 7 Una volta individuate tutte le possibili condizioni di rottura, i valori delle coppie (N rdu, Mrdu) che costituiscono il contorno del dominio resistente della sezione possono essere ricavati con semplici condizioni di equilibrio, come verrà illustrato nel seguito. La Normativa in vigore impone due limitazioni aggiuntive nel caso di compressione o pressoflessione: - la prima impone una limitazione sul massimo sforzo normale (di compressione) che può essere applicato alla sezione che deve risultare inferiore rispetto a quello calcolato per compressioni
A Z Z O B
Lezione n. XX – pag. XX.7
simo si trova quindi riducendo la tensione massima del calcestruzzo attraverso l’introduzione di un valore di maggiorato di γc pari a γ c = 1.25 ⋅ γ c = 1.25 ⋅1.6 = 2.0 di conseguenza la tensione di progetto del calcestruzzo compresso attinge al valore ridotto f f 0.83 ⋅ R ck = 0.415 ⋅ R ck f cd = ck = ck = γ c 2.0 2.0 - inoltre, per tenere conto delle incertezze sul punto di applicazione dei carichi si deve ipotizzare una eccentricità ( e), prevista nella direzione più sfavorevole, da sommare a quella eventuale dei carichi e di entità pari al maggiore dei due valori h/30 e 20 mm, essendo h la dimensione nella direzione considerata per la eccentricità; di fatto non è quindi possibile verificare una sezione semplicemente compressa, dovendo comunque essere tenuto in conto un momento flettente almeno pari a M rdu = ± N rdu ⋅ e
A Z Z O B dove il doppio segno indica che deve essere tenuto in conto nel verso più sfavorevole.
Determinazione delle sollecitazioni corrispondenti ad una generica configurazione di rottura
Una volta individuata una configurazione di rottura (in termini di deformazione) per la sezione, occorre risalire all’andamento delle tensioni e quindi delle caratteristiche di sollecitazione sull’intera sezione. La risultante delle compressioni, lato calcestruzzo, può essere calcolata integrando, per l’intera profondità dell’asse neutro (o dell’altezza, se la sezione è interamente compressa e quindi con asse neutro esterno alla sezione) il diagramma delle tensioni. Nel caso generale si ottiene quindi x
x
0
0
C = ∫ b(ξ) ⋅ f c (ξ) dξ = ∫ b(ξ) ⋅ f c [ε(ξ)] dξ
dove si è evidenziato il fatto che si risale ai valori della tensione attraverso i valori della deformazione (come già indicato, l’estremo superiore va limitato ad h, altezza della sezione, nel caso in cui x ricada nell’intervallo [h; + ∞)). La risultante di compressione si trova ad una distanza x C dall’asse neutro offerta dalla relazione 1x x C = ∫ b(ξ ) ⋅ f c (ξ) ⋅ ξ dξ C0
che corrisponde all’usuale definizione di baricentro di una sezione. Ipotizzando la presenza di un’armatura compressa A s’ a distanza d’ dal lembo superiore ed un’armatura tesa As a distanza d dal lembo superiore, la risultante delle compressioni nell’armatura compressa ed in quella tesa rispettivamente valgono: x − d ' C' = A's ⋅f s [ε's ] = A's ⋅f s [ε(d')] = A's ⋅f s εc x d − x ε T = As ⋅ f s [ε s ] = A s ⋅ f s [ε(d )] = As ⋅ f s c x Nelle due relazioni precedenti si è fatto uso della relazione di linearità che lega tra loro, a causa della conservazione delle sezioni piane, le deformazioni a varie profondità nella sezione; con εc, ε’s e εs si sono indicate rispettivamente le deformazioni al lembo maggiormente compresso della sezione, in corrispondenza delle armature compresse e in corrispondenza delle armature tese.
Lezione n. XX – pag. XX.8
La determinazione della tensione delle armature, a causa della conformazione del legame tensionideformazioni per l’acciaio, è abbastanza semplice, in quanto εs f se ε < ε s yd f s = ε yd yd f yd se ε s ≥ ε yd Una volta ricavate le tre risultanti e la loro posizione, si possono facilmente determinare i valori delle caratteristiche di sollecitazione (cioè di N e M) alle quali esse danno luogo. E’ importante notare che, essendo in generale non nullo il valore dello sforzo normale, il valore del momento risultante dipende dal punto della sezione rispetto al quale ci si riferisce. I valori delle caratteristiche di sollecitazione sono normalmente riferiti al baricentro della sezione: nel caso di una sezione in C.A. tuttavia il baricentro assume una posizione diversa a seconda delle ipotesi che si adottano circa il comportamento del calcestruzzo. In generale, infatti, si può pensare di riferirsi al baricentro della sezione come se il calcestruzzo teso fornisse un contributo all’inerzia della sezione (e allora si parla di posizione del baricentro in sezione interamente reagente), oppure valutarne la posizione in accordo all’ipotesi di assenza di resistenza a trazione nel calcestruzzo e quindi trascurando il contributo all’inerzia della sezione delle fibre di cls che si trovano al di sotto dell’asse neutro (in questo caso si parlerà di posizione del baricentro in condizioni fessurate o di sezione parzializzata). Ancora, si considera spesso (per semplicità di calcolo e per congruenza rispetto alle ipotesi che spesso si utilizzano nella modellazione della struttura attraverso la sola linea d’asse degli elementi trave) la posizione del baricentro del solo calcestruzzo in sezione interamente reagente, quindi trascurando il contributo nella posizione del baricentro delle armature. Nel corso del proseguimento della lezione, si considererà questa ultima circostanza: quindi, ad esempio nel caso di sezione rettangolare di altezza h, si ipotizzerà di valutare le caratteristiche di sollecitazione risultanti nella sezione rispetto alla posizione posta a distanza h/2 dal lembo maggiormente compresso (indipendentemente dalla presenza o meno di armature in zona compressa). Così operando, indicando con x G la distanza del baricentro dalla fibra di cls maggiormente com pressa, si ottengono le seguenti relazioni: N = C + C'−T M = C ⋅ (x G − x 'C ) + C'⋅(x G − d') − T ⋅ (d − x G )
A Z Z O B Nelle relazioni precedenti si sono implicitamente considerati positivi gli sforzi normali di compressione e positivi i momenti flettenti che comprimono la parte superiore della sezione. Nel caso in cui la distribuzione di tensioni corrisponda ad una configurazione di rottura per la sezione, la coppia di valori (N,M) viene indicata con (N rdu, Mrdu), dove i tre pedici indicano che si tratta di sollecitazioni di rottura (r), valutate in accordo alle tensioni di progetto (d), in condizioni di stato limite ultimo (u). A titolo di esempio, e per illustrare le relazioni semplificate che vengono proposte in molte delle attuali Normative, si consideri il caso di una sezione rettangolare di base b, in cui si vogliano calcolare le caratteristiche di sollecitazione corrispondenti alla posizione dell’asse neutro riportata in figura (che corrisponde ad una rottura “lato calcestruzzo”).
Lezione n. XX – pag. XX.9
3.5‰ 2‰
0.85 f cd
x 7 / 3
’ d
x
x ) 7 1 / x 4 (
A Z Z O B d
h
ε's
ε
10‰
b
f c
εs
Tensioni nel calcestruzzo: esempio per rottura lato calcestruzzo
Si otterrebbe:
x ε(ξ ) ε(ξ ) 2 − dξ + ∫ b ⋅ 0.85 ⋅ f cd dξ C = ∫ b ⋅ f c (ξ) dξ = ∫ b ⋅ 0.85 ⋅ f cd ⋅ 2 ε 0 ε 0 0 0 x1 in cui x1 è la profondità alla quale si attinge la deformazione del 2‰ nel calcestruzzo compresso 2 4 ⋅x = ⋅x x1 = 3.5 7 e dove la funzione ε(ξ) è evidentemente lineare rispetto a ξ ξ 7ξ ε(ξ ) = 0.0035 ⋅ = ε 0 x 2x Si ottiene quindi, con qualche semplice passaggio, x (4 7 )x 7 ξ 7 ξ 2 C = ∫ 2 − ξ + ξ d = d ∫ b ⋅ 0.85 ⋅ f cd 0 2 x 2 x (4 7 )x x 2 2 8 3 17 2 = x ∫ [2 y − y ] dy + ∫ dξ = x + x = x ≈ 0.8 ⋅ x 7 21 7 0 (4 7 )x 21 ossia C = b ⋅ (0.85 ⋅ f cd ) ⋅ (0.8 ⋅ x ) Con passaggi analoghi (che non vengono riportati per brevità) x
x1
1x 21 x C = ∫ b(ξ) ⋅ f c (ξ ) ⋅ ξ dξ = ... = ⋅ x ≈ 0.6 ⋅ x C0 34
In sintesi si è ottenuto C ≈ b ⋅ (0.85 ⋅ f cd ) ⋅ (0.8 ⋅ x )
x C ≈ 0.6 ⋅ x
e quindi con buona approssimazione la distribuzione delle compressioni è equivalente (sia come risultante che come posizione della risultante) ad un rettangolo di altezza 0.8·x a partire dal lembo maggiormente compresso.
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Le relazioni ricavate si dimostrano, da risultati sperimentali, sufficientemente accurate anche in situazioni diverse da quella riportata (ad esempio quando, per maggiori profondità dell’asse neutro, non sia abbia rottura lato calcestruzzo ma lato acciaio); quindi l’approssimazione dell’effettivo andamento della distribuzione delle tensioni nel calcestruzzo compresso (generalmente rappresentato da un diagramma parabola-rettangolo) con un diagramma rettangolare equivalente è utilizzabile nei casi pratici di interesse. A tale proposito la normativa attuale riporta che (al p.to 4.2.1.3 del DM 9.1.96) “per la verifica locale delle sezioni, in alternativa al diagramma parabola rettangolo, la distribuzione delle compressioni può essere assunta uniforme con valori: - 0.85 f cd se la zona compressa presenta larghezza costante o crescente verso la fibra più compressa; - 0.80 f cd se la zona compressa presenta larghezza decrescente verso la medesima fibra; sulle seguenti altezze, a partire dal lembo compresso: se x ≤ h: altezza 0.8 x; x − 0.8 h ⋅ h ” se x > h: altezza x − 0 . 75 h
A Z Z O B Tale modo di procedere (ossia l’utilizzo di diagrammi rettangolari equivalenti) è spesso indicato con il termine inglese di “stress-block”. 3.5‰ 2‰ 0.85 f cd 0.85 f cd x 7 / x 3
x 4 . 0
C
x 8 . 0
f c
x 6 . 0
stress-block
Approssimazione della legge parabola-rettangolo con lo “stress-block”
Verifica della sezione per sollecitazione composta di presso (o tenso) flessione
Nel caso in cui nella sezione agisca una sollecitazione esterna caratterizzata da un valore di sforzo normale Nsdu (dove i pedici indicano: s che si tratta di ente sollecitante, d che è un valore di progetto, u che la condizione è di stato limite ultimo) e di momento flettente M sdu, la verifica della sezione consiste nel controllare che il punto di coordinate (N sdu, M sdu) cada all’interno o sulla frontiera del dominio resistente della sezione. Il procedimento consiste quindi nell’ipotizzare le caratteristiche della sezione (in termini geometrici, b, h, d e d’, ed in termini di armature, A’ s e A s), costruire per punti il contorno del dominio resistente e verificare che il punto (N sdu, Msdu) cada all’interno (o al massimo sul contorno) dello stesso. Tutte le osservazioni viste in precedenza sulle possibili semplificazioni nel calcolo del dominio (costruzione del dominio su un numero limitato di punti, utilizzo della relazione di “stress-block” per la valutazione delle compressioni nel calcestruzzo) possono essere utilizzate al fine di rendere la verifica maggiormente speditiva.
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Verifica della sezione per sollecitazioni flessionali
Nel caso in cui si debba verificare una sezione che debba sopportare soltanto momento flettente, quindi con un valore nullo dello sforzo normale di progetto, la procedura di calcolo potrebbe limitarsi alla sola valutazione del punto del dominio di coordinate (0, M rdu), ovviamente con M rdu dello stesso segno del momento sollecitante M sdu. La procedura che verrà illustrata nel seguito sarà riferita, per semplicità, ad una sezione rettangolare di base b, altezza h, con armature al lembo compresso A’ s (a distanza d’ dall’estradosso della sezione) e armature di area A s in zona tesa (con altezza utile, ossia distanza delle armature dalla fibra maggiormente sollecitata di calcestruzzo, pari a d). Ovviamente valutazioni analoghe possono essere effettuate anche per sezioni di caratteristiche diverse. Le quantità di armatura vengono spesso riferite all’area del calcestruzzo, in modo da considerare quantità adimensionali anziché dimensionali. Si introducono quindi i due rapporti di armatura ρ (rapporto geometrico di armatura) e ω (rapporto meccanico di armatura) definiti da: A ⋅ f A ρ= s ω = s yd b ⋅ d b ⋅ d ⋅ f cd
A Z Z O B le stesse quantità con un apice ( ρ’ e ω’) si intenderanno riferite all’armatura compressa. Il rapporto di armatura (rapporto tra la quantità di armatura disposta in zona compressa e la corrispondente in zona tesa) verrà indicato con α A' α= s As Indicando con x la posizione dell’asse neutro (ovviamente interno alla sezione, data l’assenza di sforzo normale), si possono ricostruire le risultanti delle trazioni e delle compressioni utilizzando lo “stress-block” per il calcestruzzo (le distanze riportate si riferiscono rispetto all’estradosso della sezione, ossia alla distanza dalla fibra di calcestruzzo maggiormente compressa): C = b ⋅ (0.8 ⋅ x ) ⋅ (0.85 ⋅ f cd ) posizionata a x C = 0.4 ⋅ x C' = A's ⋅f 's posizionata a x C' = d' T = A s ⋅ f s posizionata a x T = d I valori di f’s e f s si ottengono in funzione delle deformazioni ε’s e εs in corrispondenza della posizione delle armature, ossia, indicando con εc la deformazione del calcestruzzo alla fibra maggiormente sollecitata, ε's f se ε' < ε x − d' s yd ε 's = ⋅ εc f 's = ε yd yd x f yd se ε's ≥ ε yd εs f se ε < ε d−x s yd εs = ⋅ εc fs = ε yd yd x f yd se ε's ≥ ε yd Il valore di Mrdu si ottiene imponendo nulla la risultante dello sforzo normale sulla sezione e valutando il momento resistente rispetto ad un qualunque punto della sezione (visto che la condizione Nrdu=0 permette di affermare che il valore del momento risultante risulterà lo stesso rispetto a qualunque punto). Si avrà quindi N rdu = 0 ⇒ C + C'−T = 0 ⇒ b ⋅ (0.8 ⋅ x ) ⋅ (0.85 ⋅ f cd ) + A's ⋅f 's = A s ⋅ f s M rdu = b ⋅ (0.8 ⋅ x ) ⋅ (0.85 ⋅ f cd ) ⋅ (d − 0.4 ⋅ x ) + A's ⋅f 's ⋅(d − d ') Le equazioni appena scritte consentono in teoria di risolvere il problema, in quanto dalla prima si ricava la posizione di x e quindi dalla seconda il valore del momento resistente. Da un punto di vista
Lezione n. XX – pag. XX.12
operativo è tuttavia necessario procedere per tentativi, in quanto i due valori della tensione f’ s e f s dipendono, in maniera non lineare, dal valore di x: si opera quindi ipotizzando una posizione per x, valutando i due valori delle tensioni nelle armature, controllando la condizione N rdu=0 fino a convergenza; una volta ricavato il valore corretto di x (e quindi la corretta condizione di rottura), si può procedere alla valutazione del momento resistente M rdu. Il caso di armatura semplice
Alcune considerazioni aggiuntive possono essere effettuate se si considera la sezione con assenza di armatura compressa (quindi A’ s=0, detta anche “di semplice armatura”). In questo caso le relazioni si semplificano nelle seguenti: b ⋅ (0.8 ⋅ x ) ⋅ (0.85 ⋅ f cd ) = A s ⋅ f s M rdu = b ⋅ (0.8 ⋅ x ) ⋅ (0.85 ⋅ f cd ) ⋅ (d − 0.4 ⋅ x )
A Z Z O B ed è possibile procedere per posizioni fissate dell’asse neutro. Infatti esiste una zona di variazione della posizione dell’asse neutro per cui l’acciaio teso è sicuramente ad una deformazione superiore rispetto a εyd, e quindi in cui la tensione nell’acciaio risulta pari a f yd. A tal fine, si individua una posizione particolarmente significativa per l’asse neutro in condizioni di rottura della sezione, indicata con x yd, quella che corrisponde alla posizione per cui si raggiunge la deformazione εyd nell’armatura tesa, in condizioni ovviamente di rottura “lato calcestruzzo”. Si ha quindi 0.0035 x yd : 0.0035 = (d − x yd ) : ε yd ⇒ x yd = d 0.0035 + ε yd
e tale posizione è fissata una volta scelte le caratteristiche meccaniche dell’acciaio. Ad esempio, nel caso in cui le armature siano costituite da acciaio tipo FeB44k si avrebbe f f 430 ε yd = yd = yk = = 0.00182 E s γ s ⋅ E s 1.15 ⋅ 206000 cioè pari circa all’1.82‰; di conseguenza 0.0035 0.0035 x yd = d= d = 0.658 ⋅ d 0.0035 + ε yd 0.0035 + 0.00182
Quindi se l’asse neutro ha posizione compresa tra 0 e 0.658d, l’acciaio teso è sicuramente snervato, per cui la tensione risulta pari a f yd. Di conseguenza la prima delle due relazioni precedenti assume la forma x x ω = b ⋅ (0.8 ⋅ x ) ⋅ (0.85 ⋅ f cd ) = A s ⋅ f yd ⇒ 0.68 ⋅ = ω ⇒ d d 0.68 E quindi ω ω M rdu = b ⋅ d 2 ⋅ 0.8 ⋅ ⋅ (0.85 ⋅ f cd ) ⋅ 1 − 0.4 ⋅ 0.68 0.68 M rdu = b ⋅ d 2 ⋅ f cd ⋅ (1 − 0.59 ⋅ ω)
Inoltre, utilizzando le relazioni precedentemente descritte, è possibile individuare, in funzione del valore del rapporto meccanico di armatura, la configurazione di rottura della sezione:
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Posizione asse neutro a rottura
Caratteristiche della rottura della sezione
x < 0.259d
Rottura lato acciaio
0.259d < x/d < x yd
Rottura lato calcestruzzo
x > xyd
Rottura lato calcestruzzo, acciaio in campo elastico
Definizione Campo delle deboli armature Campo delle medie armature Campo delle forti armature
Rapporto meccanico di armatura
ω < 0.176 0.176 < ω < ωyd
ω> ωyd
A Z Z O B Nota: nel caso di utilizzo di acciaio FeB44k, i due limiti x yd e ω yd valgono rispettivamente 0.658d e 0.448.
La scelta del valore di ω pari a 0.176 conduce ad una configurazione di rottura bilanciata, quindi, in un certo senso, rappresenta la condizione ottimale di utilizzo della sezione. Il valore di ωyd, valore del rapporto meccanico di armatura al di sopra del quale si arriva alla rottura della sezione con acciaio ancora in campo elastico, risulta pari a x ω yd = 0.68 ⋅ yd d Se l’armatura disposta nella sezione superasse tale valore, l’espressione per la determinazione della posizione dell’asse neutro a rottura in condizioni di sola flessione risulterebbe la seguente (ricordando che, in questo caso, f s=f yd·εs/εyd, e che εs=(d-x) ·0.035/x) d − x ⋅ 0.0035 b ⋅ (0.8 ⋅ x ) ⋅ (0.85 ⋅ f cd ) = A s ⋅ f yd ⋅ x ε yd e quindi x si trova risolvendo tale equazione (di 2° grado). E’ bene infine osservare che usualmente si preferisce operare con sezioni che presentino, a rottura, una posizione dell’asse neutro limitata dalle seguenti quantità x 0.100 ≤ ≤ 0.450 (*) d e questo per due diversi ordini di motivi: - la limitazione inferiore (x/d > 0.10) è dettata dalla constatazione che (almeno per momento positivo) la composizione e la qualità del calcestruzzo nella parte superiore della trave può risultare peggiore di quella nelle restanti parti delle travi, dato che il getto avviene per gravità e che quindi potrebbe aumentare la probabilità che la resistenza del getto in tale zona risulti inferiore a quella ipotizzata; inoltre tale limitazione garantisce comunque (al di là del modello di calcolo) che gli allungamenti dell’acciaio teso siano sufficientemente contenuti da garantire l’aderenza tra acciaio e calcestruzzo; - la seconda (x/d < 0.45), riportata anche in molte delle attuali Normative (si veda il p.to 4.1.1.2 del DM 16.1.96) deriva dalla necessità di conferire comunque un’adeguata duttilità al calcestruzzo armato; dal momento che situazioni particolarmente profonde dell’asse neutro a rottura individuano situazioni in cui una notevole porzione di calcestruzzo compresso, e quindi la possibilità di spostarsi verso meccanismi di rottura della sezione maggiormente fragili, si richiede esplicitamente, a meno di non utilizzare modelli di calcolo più sofisticati o di disporre un’adeguata armatura di confinamento atta ad incrementare la duttilità della sezione, di non considerare situazioni a rottura in cui l’asse neutro assuma una posizione al di sopra del limite stabilito. Di conseguenza, il “range” preferenziale di utilizzo del rapporto meccanico di armatura risulta 0.068 ≤ ω ≤ 0.306 .
(*)
Tale limitazione è da ritenersi valida per calcestruzzi di resistenza ordinaria (f < 35 N/mm2); nel caso di
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Il braccio della coppia interna
È di interesse introdurre anche una nuova grandezza, denominata “braccio della coppia interna” ed indicata con la lettera z. Tale quantità rappresenta, rigorosamente solo nel caso di sezioni con armatura semplice, la distanza tra la risultante delle compressioni e quella di trazione, ossia quella quantità che, moltiplicata per il valore della risultante di compressione C (o di trazione T, dato che in flessione semplice tali quantità si equivalgono) fornisce il momento resistente: M rdu = C ⋅ z(= T ⋅ z )
A Z Z O B Si ha:
x z = d − 0.4 ⋅ x = d ⋅ 1 − 0.4 ⋅ d Dal momento che la posizione di x/d è collegata linearmente al valore del rapporto meccanico di armatura, si ottiene x 0.4 ⋅ ω = d ⋅ (1 − 0.588 ⋅ ω) z = d ⋅ 1 − 0.4 ⋅ = d ⋅ 1 − d 0.68 Nel “range” preferenziale di utilizzo del rapporto meccanico di armatura risulta quindi z 0.820 ≤ ≤ 0.960 , d e molto spesso si utilizza l’approssimazione (indipendente dal valore di ω) z ≈ 0.9 d come risulterà evidente nei capitoli seguenti. La condizione di rottura bilanciata
Si è già visto che in condizioni di rottura bilanciata la profondità dell’asse neutro assume il valore x = 0.259 ⋅ d Di conseguenza, usando lo “stress-block” per il calcolo della risultante di compressione nel calcestruzzo (le distanze riportate si riferiscono rispetto all’estradosso della sezione, ossia alla distanza dalla fibra di calcestruzzo maggiormente compressa) C = b ⋅ (0.8 ⋅ x ) ⋅ (0.85 ⋅ f cd ) posizionata a x C = 0.4 ⋅ x T = As ⋅ f yd posizionata a x T = d
si ha N rdu = C − T = b ⋅ (0.8 ⋅ 0.259 ⋅ d ) ⋅ (0.85 ⋅ f cd ) − A s ⋅ f yd ≈ 0.176 ⋅ b ⋅ d ⋅ f cd − A s ⋅ f yd
o anche N rdu = b ⋅ d ⋅ f cd ⋅ (0.176 − ω) h h h h M rdu = C ⋅ − 0.4 ⋅ x + A s ⋅ f yd ⋅ d − ≈ b ⋅ d ⋅ f cd ⋅ 0.176 ⋅ − 0.1 ⋅ d + ω ⋅ d − 2 2 2 2 Nel caso in cui fosse presente anche l’armatura compressa, alle grandezze precedenti si aggiunge una risultante di compressione C' = A's ⋅f 's dove f’s, tensione al livello delle armature compresse, dipende dal valore di ε’s
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ε's f se ε' < ε s yd f 's = ε yd yd f yd se ε's ≥ ε yd e quindi, utilizzando formule analoghe a quelle viste in precedenza, N rdu = C + C'−T h h h M rdu = C ⋅ − 0.4 ⋅ x + A's ⋅f 's ⋅ − d' + As ⋅ f yd ⋅ d − 2 2 2 La condizione di rottura bilanciata può essere utilizzata quando si cerchi di progettare una sezione che debba sopportare soltanto momento flettente, quindi con un valore nullo dello sforzo normale di progetto. In questo caso, indicando con M sdu il valore dello sforzo normale di progetto, occorre individuare una sezione nella quale si abbia M rdu ≥ Msdu, imponendo ad esempio che la condizione di rottura equivalga a quella di rottura bilanciata. Tale condizione consentirebbe infatti il massimo sfruttamento dei due materiali, quindi minimizzando la quantità di calcestruzzo e di armatura E’ in questo caso possibile individuare una “formula di progetto” per la sezione: si ipotizzi, come impiegata. primo tentativo, che l’armatura compressa, in condizione di rottura bilanciata, si trovi ad livello di deformazione tale da risultare snervata, cioè che x − d' 0.259 ⋅ d − d ' d' ε 's = ⋅ εc = ⋅ 0.0035 = 1 − 3.861⋅ ⋅ 0.0035 ≥ ε yd x 0.259 ⋅ d d In questo caso l’equazione di equilibrio alla traslazione (assenza di sforzo normale) si traduce in N rdu = 0 ⇒ C + C'−T = 0 ⇒ b ⋅ (0.8 ⋅ 0.259 ⋅ d ) ⋅ (0.85 ⋅ f cd ) + A's ⋅f yd − A s ⋅ f yd = 0 x − d' ε 's = ⋅ 0.0035 x
A Z Z O B o anche (introducendo il rapporto di armatura α ed il rapporto meccanico di armatura ω) (0.8 ⋅ 0.259) ⋅ (0.85 ) = (1 − α ) ⋅ ω e quindi 0.176 ω= 1− α L’espressione precedente consente, una volta fissato il rapporto di armatura (ad esempio, A’s=0.5·As, cioè α=0.5), di stabilire la percentuale meccanica di armatura necessaria ad avere una rottura bilanciata della sezione in condizioni di solo momento flettente. Imponendo la condizione di verifica della sezione (quindi che M rdu ≥ Msdu) e la condizione di equilibrio alla rotazione rispetto al baricentro dell’armatura tesa, si ha C ⋅ (d − 0.4 ⋅ x ) + A's ⋅f yd ⋅ (d − d') ≥ Msdu
e con qualche passaggio b ⋅ (0.8 ⋅ 0.259 ⋅ d ) ⋅ (0.85 ⋅ f cd ) ⋅ (d − 0.4 ⋅ 0.259 ⋅ d) + A's ⋅f yd ⋅ (d − d') ≥ Msdu Msdu d' 0.158 + α ⋅ ω ⋅ 1 − ≥ d b ⋅ d 2 ⋅ f cd sostituendo il valore di ω precedentemente trovato α ⋅ 1 − d' ≥ M sdu 0.158 + 0.176 ⋅ 1 − α d b ⋅ d 2 ⋅ f cd α ⋅ 1 − d' ≥ M sdu 0.158 + 0.176 ⋅ 1 − α d b ⋅ d 2 ⋅ f cd
Lezione n. XX – pag. XX.16
α ⋅ d ⋅ (d − d') ≥ M b ⋅ f cd ⋅ 0.158 ⋅ d 2 + 0.176 ⋅ sdu − α 1 α ⋅ 0.176 α ⋅ 0.176 ' ⋅ d − b ⋅ f cd ⋅ d ⋅ 0.158 + ⋅ d ≥ M sdu ( − α ) ( − α ) 1 1 La relazione ricavata rappresenta una disequazione di secondo grado nell’incognita d: fissando quindi il valore della base della sezione, del rapporto di armatura α e la posizione dell’armatura compressa d’, è possibile ricavare il valore minimo di d che garantisce la verifica allo SLU in condizioni di rottura bilanciata; successivamente poi si definisce l’ammontare dell’armatura tesa e compressa attraverso la relazione in ω. La relazione precedente perde di significato quando α → 1; è del resto abbastanza incongruente cercare di progettare in modo da ottenere la rottura bilanciata in una sezione con una forte armatura in zona compressa. Basti pensare che nel caso A’ s=As, cioè α=1, risulterebbe impossibile imporre contemporaneamente le due condizioni N rdu=0 (assenza di sforzo normale) e x=0.259·d (rottura bilanciata) in quanto si avrebbe una risultante delle compressioni nell’armatura compressa (C’) uguale a quella di trazione nelle armature tese, per cui il termine C+C’-T assumerebbe comunque valori >0 (a meno di non avere x=0), evidenziando così il fatto che la condizione di rottura con valori di x>0 non può essere verificata in assenza di sforzo normale. In generale, l’approccio utilizzato risulta significativo soltanto nella zona in cui l’armatura disposta in zona compressa risulti sufficientemente minore della corrispondente in zona tesa.
A Z Z O B Il caso di armatura semplice
Nel caso di sezione con armatura soltanto in zona tesa, l’espressione precedente si semplifica in 0.158 ⋅ b ⋅ f cd ⋅ d 2 ≥ M sdu
dal momento che α=0. è quindi possibile procedere al progetto di una sezione semplicemente inflessa in modo da ottenere una rottura bilanciata: basterà infatti imporre che il momento resistente uguagli (al minimo) il momento sollecitante per ottenere d=
M sdu 1 0.158 ⋅ f cd b
o anche, con semplici passaggi, 3.5 M sdu M sdu ⋅ d ≈ = r '⋅ R ck b b dove si è posto 3.5 r ' = R ck
Dalla relazione che lega il valore del rapporto meccanico di armatura con la profondità dell’asse neutro a rottura si ottiene inoltre A ⋅ f 0.176 ⋅ b ⋅ d ⋅ f cd ω = s yd = 0.176 ⇒ A s = b ⋅ d ⋅ f cd f yd sfruttando la relazione ricavata in precedenza, si può ricavare, con semplici sostituzioni, 0.1⋅ R ck ⋅ M sdu ⋅ b = t '⋅ M sdu ⋅ b As = 2 f yd
Lezione n. XX – pag. XX.17
0.1 ⋅ R ck 2 f yd
t' =
Le due formule riportate consentono, una volta fissate le caratteristiche dei materiali, di scegliere l’altezza della sezione e l’area dell’armatura in modo da resistere alla sollecitazione flessionale in condizioni di rottura bilanciata(^).
A Z Z O B Una formula approssimata di progetto nel caso di pressoflessione nei pilastri
Negli elementi verticali soggetti a presso flessione siamo in presenza generalmente di elementi con valori abbastanza elevati dello sforzo normale e di solito con armature simmetriche (ossia A s=A’s, α=1). In questo caso, noti i valori dello sforzo normale e del momento flettente di progetto (N sdu, Msdu), si può pensare di impostare il calcolo in maniera analoga a quanto fatto in precedenza, per giungere ad un predimensionamento della dimensione della sezione. Ipotizzando di sfruttare sia l’armatura compressa che quella tesa alla massima tensione (quindi f’s=f s=f yd), si ottiene C' = A's ⋅f 's = A's ⋅f yd T = A s ⋅ f s = A s ⋅ f yd e quindi T=C’; di conseguenza l’equilibrio alla traslazione comporta che (imponendo l’uguaglianza tra sforzo normale resistente e sforzo normale sollecitante) N sdu = C + C'−T = C ⇒ N sdu = b ⋅ (0.8 ⋅ x ) ⋅ (0.85 ⋅ f cd ) = 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ x cioè x=
N sdu 0.68 ⋅ f cd ⋅ b
equazione che permette di valutare la posizione dell’asse neutro. L’equilibrio alla rotazione rispetto alla posizione di metà altezza della sezione (che corrisponde anche al baricentro della sezione interamente reagente, stante la supposta simmetria delle armature) assume la forma h h h Msdu = 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ x ⋅ − 0.4 ⋅ x + A s' ⋅ f yd ⋅ − d ' + As' ⋅ f yd ⋅ d − 2 2 2 h Msdu = 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ x ⋅ − 0.4 ⋅ x + As ⋅ f yd ⋅ (d − d ' ) 2 Utilizzando le approssimazioni d − d ' ≈ d, h ≈ d tanto più valide quanto minore è il copriferro dell’armatura rispetto all’altezza della sezione, e utilizzando la definizione di rapporto geometrico di armatura A ρ= s b ⋅ d si può riscrivere l’equazione precedente nella forma
(^)
I due coefficienti r’ e t’, che dipendono solo dalle caratteristiche dei materiali impiegati, sono gli equivalenti agli
Lezione n. XX – pag. XX.18
d 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ x ⋅ e − − 0.4 ⋅ x = ρ ⋅ f yd ⋅ b ⋅ d 2 2 in cui si è posto M e = sdu Nsdu e si è sfruttata la relazione N sdu = 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ x
A Z Z O B Si è così giunti all’equazione di secondo grado in d ρ ⋅ f yd d ⋅ d 2 + x ⋅ − x ⋅ (e − 0.4 ⋅ x ) = 0 0.68 ⋅ f cd 2
dove x assume il valore ricavato in precedenza. L’equazione appena introdotta consente, una volta fissato un valore plausibile del rapporto geometrico di armatura(+), di ottenere, a causa della approssimazioni introdotte, soltanto un predimensionamento dell’altezza utile della sezione: occorrerà quindi, successivamente al progetto della sezione, procederne alla verifica secondo quanto specificato in precedenza. Infine, la procedura si presta ad essere utilizzata soltanto quando il valore dell’eccentricità e non risulti troppo elevato: in caso di eccentricità notevoli (e quindi notevole preponderanza della sollecitazione flessionale rispetto a quella assiale), converrà ottenere il predimensionamento della sezione ipotizzando una rottura per flessione semplice e procedere successivamente alla verifica per pressoflessione. Prescrizioni di normativa: armature minime
La Normativa vigente riporta alcune prescrizioni (contenute nella parte relativa alle regole pratiche di progettazione) riguardo le armature minime da disporre negli elementi in c.a. di uso corrente, in particolare travi e pilastri. Nel seguito si riportano le principali di tali limitazioni, rinviando al testo della Normativa ed alla relativa circolare esplicativa per un elenco puntuale delle varie prescrizioni. Travi
Nelle strutture inflesse in elevazione la percentuale di armatura longitudinale, nella zona tesa, riferita all’area totale della sezione di conglomerato, non deve scendere sotto lo 0.15 per barre ad aderenza migliorata e sotto lo 0.25 per barre lisce. Tale armatura deve essere convenientemente diffusa. Alle estremità delle travi deve essere disposta una armatura inferiore, convenientemente ancorata, in grado di assorbire, allo stato limite ultimo, uno sforzo di trazione uguale al taglio. Sempre nelle travi devono essere disposte staffe (si veda uno dei successivi capitoli dedicato al taglio) aventi sezione complessiva non inferiore a d A st = 0.10 ⋅ 1 + 0.15 ⋅ ⋅ b (in cm2 / m) b con d e b espressi in cm, e dove b rappresenta lo spessore minimo dell’anima della trave ed in cui si può porre d, altezza utile della sezione, pari a d = 0.9·h con h altezza della sezione. In ogni caso deve essere previsto un minimo di tre staffe al metro e comunque passo non superiore a 0,8 volte l’altezza utile della sezione. Tali staffe devono essere collegate da apposite armature longitudinali. (+)
Il valore di ρ risente comunque di alcune limitazioni imposte dalla Normativa, come specificato nel paragrafo successivo. In fase di predimensionamento si può assumere un’area pari all’1÷2% della sezione ef-
Lezione n. XX – pag. XX.19
In prossimità di carichi concentrati o delle zone d’appoggio, per una lunghezza pari all’altezza utile della sezione da ciascuna parte del carico concentrato, il passo delle staffe non dovrà superare il valore 12·∅l, essendo ∅l il diametro minimo dell’armatura longitudinale. Pilastri
Nei pilastri soggetti a compressione centrata od eccentrica deve essere disposta un’armatura longitudinale di sezione non minore di N A l ≥ 0.15 ⋅ Sd f yd
A Z Z O B dove NSd è la forza normale di calcolo in esercizio per combinazione di carico rara e f yd è la resistenza di calcolo(†). L’area dell’armatura longitudinale deve risultare comunque compresa fra lo 0.3% e il 6% della sezione effettiva. In ogni caso il numero minimo di barre longitudinali è quattro per i pilastri a sezione rettangolare o quadrata e sei per quelli a sezione circolare, ed il diametro delle barre longitudinali non deve essere minore di 12 mm. Deve essere sempre prevista una staffatura posta ad interasse non maggiore di 15 volte il diametro minimo delle barre impiegate per l’armatura longitudinale, con un massimo di 25 cm. Tali staffe devono presentare un diametro non minore di 6 mm e di 1/4 del diametro massimo delle barre longitudinali; inoltre le staffe devono essere chiuse e conformate in modo da contrastare efficacemente, lavorando a trazione, gli spostamenti delle barre longitudinali verso l’esterno. Le funzioni principali svolte dalle staffe, nel caso di elementi prevalentemente compressi quali i pilastri, sono essenzialmente le seguenti: - impedire che le barre longitudinali si instabilizzino; - “confinare” il calcestruzzo, quindi migliorandone la resistenza e la duttilità in presenza di forti compressioni, limitando le possibilità di rotture di tipo “fragile” proprie di tali elementi strutturali.
Østaffe
p
Ø long/4
p <
15 Ølong 25 cm
6 mm
φstaffe
φlong
almeno 1Ø12 per spigolo
Prescrizioni di normativa per i pilastri
(†)
La circolare riporta una prescrizione un po’ diversa, correggendo tale affermazione con l’indicazione che
Lezione n. 21 Stati limite nel cemento armato Stato limite ultimo per tensioni normali: applicazioni Nel seguito si riportano alcuni esempi di applicazione delle procedure descritte nel paragrafo precedente. Si considereranno le seguenti caratteristiche per i materiali impiegati:
A Z Z O B R ck 30 (R ck =30 N/mm2): tensione di progetto: f ck = 0.83 ⋅ R ck = 0.83 ⋅ 30 = 24.90 N / mm 2 = 24.90 MPa f 24.90 = 15.56 N / mm 2 = 15.56 MPa f cd = ck = γc 1 .6
calcestruzzo:
acciaio per armature: FeB44k (f yk =430 N/mm2): tensione di progetto: f 430 f yd = yk = = 374 N / mm 2 = 374 MPa γ s 1.15 f 374 ε yd = yd = = 0.00182 E s 206000 Esempio #1
Calcolo del dominio resistente di una sezione rettangolare
Consideriamo una sezione rettangolare di base 30 cm (b=300 mm), altezza 50 cm (h=500 mm), distanza del baricentro delle armature dal bordo della sezione 4 cm (quindi d’=40 mm, d=h-d’=460 mm), armatura compressa costituita da 3Ø16 (A’ s = 3·201 = 603 mm 2), armatura tesa 5Ø20 (A s = 5·314 = 1570 mm 2). La sezione in esame è quindi caratterizzata da un rapporto di armatura pari a A' 603 α= s = = 0.384 A s 1570 Si determineranno alcuni punti caratteristici del dominio, in particolare quelli corrispondenti alle seguenti posizioni dell’asse neutro (e delle deformazioni in corrispondenza della fibra maggiormente compressa di cls e dell’armatura tesa, negative se allungamenti): p.to #
asse neutro
1
x=-
2 3 4
c
-10‰
-10‰
x=0
0
-10‰
x=0.259·d
3.5‰
-10‰
3.5‰
−εyd 0
x=
∞
0.0035 d 0.0035 + ε yd
5
x=d
3.5‰
6
x=h
3.5‰
7
Tipo rottura
s
x=+
∞
2‰
0.0035 ⋅
2‰
d' h
Sezione uniformemente tesa: rottura lato acciaio Limite sezione interamente tesa: rottura lato acciaio
Condizione di rottura bilanciata
Acciaio teso al limite elastico: rottura lato calcestruzzo Acciaio teso scarico: rottura lato calcestruzzo Limite sezione interamente compressa: rottura lato calcestruzzo Sezione uniformemente compressa: rottura lato calcestruzzo
Lezione n. 21 – pag. XXI.2
Campo degli accorciamenti
Campo degli allungamenti
-2 10 -3 -3.5 10-3 .
.
εc
B
A Z Z O B 8
= x
1
d 0 5 2 , 0 0 = = x x
h
d = x
3
8
1
x = x 4
5
h = x
+ = x
4 h 7
6
A
εs
d
C
2
l e d e t i m i l i t n e o z z m u a r i t c r s e o c c l c a A c
10 10-3
εyd
.
O
Allungamento limite dell'armatura
Asse di riferimento delle deformazioni
punto #1, x=- , εc=-10‰, εs=-10‰ Ovviamente anche ε’s=-10‰, da cui (indicando con il segno negativo gli sforzi normali di trazione): f 's = f yd = −374 N / mm 2 ⇒ C' = A's ⋅f 's = −603 ⋅ 374 N = −225522 N = −225.5 kN ∞
f s = f yd = −374 N / mm 2 ⇒ T = A s ⋅ f s = −1570 ⋅ 374 N = −587180 N = −587.2 kN
f c = 0 N / mm 2 ⇒ C = 0 kN e quindi N rdu = C + C'+T = 0 − 225.5 − 587.2 = −812.7 kN dove il segno negativo evidenzia il fatto che di sforzo normale di trazione si tratta. Analogamente: h h h M rdu = C ⋅ − 0.4 ⋅ x + C'⋅ − d ' − T ⋅ d − = 2 2 2 = 0 − 225.5 ⋅ (250 − 40) + 587.2 ⋅ (460 − 250) = 75957 kNmm = 75.96 kNm
punto #2, x=0, εc=0, εs=-10‰ Occorre ricavare il valore di ε’s:
d' 40 = 0.010 ⋅ = 0.000869 < ε yd d 460 L’acciaio superiore è quindi ancora in fase elastica. Di conseguenza si ha ε' 40 = 179 MPa f 's = s f yd = E s ⋅ ε's = 206000 ⋅ 0.010 ⋅ ε yd 460 e quindi f 's = −179 N / mm 2 ⇒ C' = A's ⋅f 's = −603 ⋅ 179 N = −107937 N = −107.9 kN
ε's : d' = 0.010 : d ⇒ ε's = 0.010 ⋅
Lezione n. 21 – pag. XXI.3
f s = f yd = −374 N / mm 2 ⇒ T = A s ⋅ f s = −1570 ⋅ 374 N = −587180 N = −587.2 kN f c = 0 N / mm 2 ⇒ C = 0 kN N rdu = C + C'+T = 0 − 107.9 − 587.2 = −695.1 kN h h h M rdu = C ⋅ − 0.4 ⋅ x + C'⋅ − d ' − T ⋅ d − = 2 2 2 = 0 − 107.9 ⋅ (250 − 40) + 587.2 ⋅ (460 − 250) = 100653 kNmm = 100.65 kNm
A Z Z O B punto #3, x=0.259·d, εc=3.5‰, εs=-10‰ Anche in questo caso occorre ricavare il valore di ε’s: x = 0.259 ⋅ d = 0.259 ⋅ 460 mm = 119 mm x − d' 119 − 40 ε's : (x − d') = 0.0035 : x ⇒ ε's = 0.0035 ⋅ = 0.0035 ⋅ = 0.0023 > ε yd x 119 L’acciaio superiore è quindi snervato, di conseguenza f 's = f yd = 374 MPa ⇒ C' = A's ⋅f 's = 603 ⋅ 374 N = 225522 N = 225.5 kN ⇒ T = A s ⋅ f s = −1570 ⋅ 374 N = −587180 N = −587.2 kN f s = f yd = −374 MPa C = 0.85 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ (0.8 ⋅ x ) = 0.85 ⋅ 15.56 ⋅ 300 ⋅ (0.8 ⋅ 119) = 377735 N = 377.7 kN N rdu = C + C'+T = 377.7 + 225.5 − 587.2 = 16.0 kN h h h M rdu = C ⋅ − 0.4 ⋅ x + C'⋅ − d ' − T ⋅ d − = 2 2 2 = 377.7 ⋅ (250 − 0.4 ⋅ 119) + 225.5 ⋅ (250 − 40) + 587.2 ⋅ (460 − 250) = 247114 kNmm = 247.12 kNm È da notare che, nel caso specifico della sezione analizzata, la condizione di rottura bilanciata individua anche il punto in cui si ha N rdu=0, ossia la condizione di assenza di sforzo normale. Il fatto è abbastanza casuale e, in generale, la condizione di rottura per flessione pura non comporta la concomitanza con il bilanciamento delle massime deformazioni a rottura.
punto #4, x=0.0035/(0.0035+εyd), εc=3.5‰, εs=εyd= -1.82‰ 0.0035 0.0035 x= ⋅d = ⋅ 460 = 0.658 ⋅ 460 = 303 mm 0.0035 + ε yd 0.0035 + 0.00182 Dovremmo anche in questo caso calcolare la deformazione nell’acciaio compresso; è tuttavia evidente che, dal momento che rispetto al punto precedente (dove già l’acciaio compresso risultava ad una deformazione maggiore rispetto a εyd) l’asse neutro si trova in una posizione inferiore, l’acciaio compresso dovrà risultare snervato anche in questo caso. Infatti si ha: x − d' 119 − 40 ε's : (x − d') = 0.0035 : x ⇒ ε's = 0.0035 ⋅ = 0.0035 ⋅ = 0.0023 > ε yd x 119 e quindi f 's = f yd = 374 MPa ⇒ C' = A's ⋅f 's = 603 ⋅ 374 N = 225522 N = 225.5 kN f s = f yd = −374 MPa ⇒ T = A s ⋅ f s = −1570 ⋅ 374 N = −587180 N = −587.2 kN C = 0.85 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ (0.8 ⋅ x ) = 0.85 ⋅ 15.56 ⋅ 300 ⋅ (0.8 ⋅ 303) = 961795 N = 961.8 kN N rdu = C + C'+T = 961.8 + 225.5 − 587.2 = 600.1 kN h h h M rdu = C ⋅ − 0.4 ⋅ x + C'⋅ − d ' − T ⋅ d − = 2 2 2 = 961.8 ⋅ (250 − 0.4 ⋅ 303) + 225.5 ⋅ (250 − 40) + 587.2 ⋅ (460 − 250) = 294547 kNmm = 294.55 kNm
Lezione n. 21 – pag. XXI.4
punto #5, x=d, εc=3.5‰, εs=0 Anche in questo caso l’acciaio compresso è snervato x − d' 460 − 40 ε's : (x − d') = 0.0035 : x ⇒ ε's = 0.0035 ⋅ = 0.0035 ⋅ = 0.0032 > ε yd x 460 mentre l’acciaio teso è scarico, quindi f 's = f yd = 374 MPa ⇒ C' = A's ⋅f 's = 603 ⋅ 374 N = 225522 N = 225.5 kN f s = 0 ⇒ T = 0 kN C = 0.85 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ (0.8 ⋅ x ) = 0.85 ⋅ 15.56 ⋅ 300 ⋅ (0.8 ⋅ 460) = 1460151 N = 1460.2 kN N rdu = C + C'+T = 1460.2 + 225.5 + 0 = 1685.7 kN h h h M rdu = C ⋅ − 0.4 ⋅ x + C'⋅ − d ' − T ⋅ d − = 2 2 2 = 1460.2 ⋅ (250 − 0.4 ⋅ 460) + 225.5 ⋅ (250 − 40) = 143728 kNmm = 143.73 kNm
A Z Z O B punto #6, x=h, εc=3.5‰, εs=0.035·d’/h Analogamente al caso precedente l’acciaio superiore è evidentemente snervato x − d' 500 − 40 ε's : (x − d') = 0.0035 : x ⇒ ε's = 0.0035 ⋅ = 0.0035 ⋅ = 0.0032 > ε yd x 500 mentre l’acciaio inferiore è anch’esso compresso al valore d' 40 ε s : d ' = 0.0035 : x ⇒ ε's = 0.0035 ⋅ = 0.0035 ⋅ = 0.00028 < ε yd x 500 quindi in campo elastico; la tensione nell’armatura inferiore vale ε 40 = 58 MPa f s = s f yd = E s ⋅ ε s = 206000 ⋅ 0.0035 ⋅ ε yd 500 Si ha quindi: f 's = f yd = 374 MPa ⇒ C' = A's ⋅f 's = 603 ⋅ 374 N = 225522 N = 225.5 kN f s = 58 MPa ⇒ T = A s ⋅ f s = 1570 ⋅ 58 N = 91060 N = 91.1 kN C = 0.85 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ (0.8 ⋅ x ) = 0.85 ⋅ 15.56 ⋅ 300 ⋅ (0.8 ⋅ 500) = 1587120 N = 1587.1 kN N rdu = C + C'+T = 1587.1 + 225.5 + 91.1 = 1903.7 kN h h h M rdu = C ⋅ − 0.4 ⋅ x + C'⋅ − d ' − T ⋅ d − = 2 2 2 = 1587.1 ⋅ (250 − 0.4 ⋅ 500) + 225.5 ⋅ (250 − 40) − 91.1 ⋅ (250 − 40) = 107579 kNmm = 107.58 kNm punto #7, x=+ , εc=2‰, εs=2‰ La situazione di sezione uniformemente compressa è ovviamente caratterizzata dallo snervamento di entrambe le armature (che risultano compresse) e quindi si ha f 's = f yd = 374 MPa ⇒ C' = A's ⋅f 's = 603 ⋅ 374 N = 225522 N = 225.5 kN f s = f yd = 374 MPa ⇒ T = A s ⋅ f s = 1570 ⋅ 374 N = 587180 N = 587.2 kN C = 0.85 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ h = 0.85 ⋅ 15.56 ⋅ 300 ⋅ 500 = 1983900 N = 1983.9 kN E’ da notare che in questo caso non si usa lo stress-block, in quanto il calcestruzzo è sottoposto ad una tensione uniforme, e quindi è l’intera area ad intervenire nella formula della risultante. Del resto, la Normativa richiede che, per posizioni dell’asse neutro esterne alla sezione e sezione interamente compressa, l’altezza del diagramma rettangolare dello stress-block sia pari a x − 0.8 h ⋅ h − x 0 75 h ∞
Lezione n. 21 – pag. XXI.5
e quindi, per x che tende a , converge al valore h. Inoltre la risultante del calcestruzzo passa per il baricentro della sezione, quindi non dà contributo al momento flettente ultimo. N rdu = C + C'+T = 1983.9 + 225.5 + 587.2 = 2796.6 kN h h M rdu = C'⋅ − d' − T ⋅ d − = 2 2 = 225.5 ⋅ (250 − 40 ) − 587.2 ⋅ ( 250 − 40) = −75957 kNmm = −75.96 kNm Il valore è chiaramente uguale, a parte il segno, a quello ricavato per il punto #1. ∞
A Z Z O B Ricapitolando quindi si ha: p.to #
asse neutro
1
x=-
2
x=0
3
x=0.259·d
4
x=
∞
0.0035 d 0.0035 + ε yd
5
x=d
6
x=h
7
x=+
∞
Tipo rottura
Sezione uniformemente tesa: rottura lato acciaio Limite sezione interamente tesa: rottura lato acciaio
Condizione di rottura bilanciata
Acciaio teso al limite elastico: rottura lato calcestruzzo Acciaio teso scarico: rottura lato calcestruzzo Limite sezione interamente compressa: rottura lato calcestruzzo Sezione uniformemente compressa: rottura lato calcestruzzo
Nrdu [kN]
Mrdu [kNm]
-812.7
75.96
-695.1
100.65
16.0
247.12
600.1
294.55
1685.7
143.73
1903.7
107.58
2796.6
-75.96
Occorre ricordare che la normativa impone una limitazione sul massimo sforzo normale (di com pressione) che può essere applicato alla sezione. Il valore si trova riducendo la tensione massima del calcestruzzo introducendo un valore di γc maggiorato del 25% (e quindi pari a 1.6·1.25 = 2.0) ed ipotizzando una condizione di deformazione uniforme (pari al 2‰) nell’intera sezione. Si ha quindi: f 's = f yd = 374 MPa ⇒ C' = A's ⋅f 's = 603 ⋅ 374 N = 225522 N = 225.5 kN f s = f yd = 374 MPa ⇒ T = A s ⋅ f s = 1570 ⋅ 374 N = 587180 N = 587.2 kN f ck 24.90 = = 12.45 N / mm 2 = 12.45 MPa f cd = 1.25 ⋅ γ c 2.00 C = 0.85 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ h = 0.85 ⋅12.45 ⋅ 300 ⋅ 500 = 1587375 N = 1587.4 kN N max = C + C'+ T = 1587.4 + 225.5 + 587.2 = 2400.1 kN
Nella figura seguente è riportato il dominio che si è ottenuto, unitamente a quello che si sarebbe ottenuto utilizzando molti più punti, e considerando anche valori negativi per la sollecitazione flessionale (ossia ritenendo tesa la parte superiore della sezione e compressa quella inferiore). Si può notare come, anche con un numero limitato di punti, si ottenga comunque una buona approssimazione dell’effettivo andamento del dominio resistente.
Lezione n. 21 – pag. XXI.6
] 300 m N k [ M200
4
3
x a m
5
N
A Z Z O B 2
100
6
1
N [kN]
0
7
-100
-200
-300 -1000
-500
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
Esempio #2
Progetto e verifica di una sezione rettangolare semplicemente inflessa
Si supponga di dover progettare una sezione rettangolare in grado di resistere ad un momento sollecitante Msdu= 20 tm=200 kNm in assenza di sforzo normale (N sdu=0). Si assuma b=25 cm (250 mm), d’=4 cm (40 mm), e si scelga α=0.5 (armatura compressa pari alla metà di quella tesa). La condizione di rottura bilanciata e di assenza di sforzo normale impone che 0.176 0.176 ω= = = 0.352 1 − α 1 − 0.5 e quindi si ottiene la disequazione di secondo grado α ⋅ 0.176 α ⋅ 0.176 ' ⋅ d − f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ 0.158 + ⋅ d ≥ M sdu ( 1 ) ( 1 ) − α − α 15.56 ⋅ 250 ⋅ d ⋅ [(0.158 + 0.176) ⋅ d − 0.176 ⋅ 40] ≥ 2 ⋅ 108 in cui si sono espresse tutte le grandezze in N e mm. Risolvendo l’equazione di uguaglianza tra momento resistente e momento sollecitante 1299 ⋅ d 2 − 27386 ⋅ d − 2 ⋅ 108 = 0 si ottiene (come radice positiva) d = 403 mm e quindi la disequazione risulta soddisfatta se d ≥ 403 mm
Lezione n. 21 – pag. XXI.7
Si assume d=410 mm (h=410+40=450 mm) e si ottiene A ⋅ f ω ⋅ b ⋅ d ⋅ f cd 0.352 ⋅ 250 ⋅ 410 ⋅ 15.56 ω = s yd ⇒ A s = = = 1501 mm 2 b ⋅ d ⋅ f cd f yd 374 per cui si può scegliere un’armatura tesa pari, ad esempio, a 5Ø20 (A s= 5·314=1570 mm 2); l’armatura compressa risulta, di conseguenza, pari a A's = α ⋅ A s = 0.5 ⋅ 1570 = 785 mm 2 equivalente, ad esempio, a 4Ø16 (A’ s= 4·201=804 mm 2). L’armatura disposta in zona tesa fornisce una percentuale rispetto all’area totale della sezione di conglomerato pari a A 1570 ρ= s = = 0.011 = 1.1% b ⋅ h 300 ⋅ 500 quindi superiore rispetto al minimo richiesto (0.25%). È a questo punto semplice determinare i valori di sforzo normale e momento resistente corrispondenti alla sezione scelta, in condizioni di rottura bilanciata: x = 0.259 ⋅ d = 0.259 ⋅ 410 mm = 106 mm x − d' 106 − 40 ε's : (x − d') = 0.0035 : x ⇒ ε's = 0.0035 ⋅ = 0.0035 ⋅ = 0.0022 > ε yd x 106 L’acciaio superiore è quindi snervato, di conseguenza f 's = f yd = 374 MPa ⇒ C' = A's ⋅f 's = 804 ⋅ 374 N = 300696 N = 300.7 kN f s = f yd = −374 MPa ⇒ T = A s ⋅ f s = −1570 ⋅ 374 N = −587180 N = −587.2 kN C = 0.85 ⋅ 15.56 ⋅ 250 ⋅ (0.8 ⋅ 106) = 280391 N = 280.4 kN N rdu = C + C'+ T = 280.4 + 300.7 − 587.2 = −6.1 kN h h h M rdu = C ⋅ − 0.4 ⋅ x + C'⋅ − d' − T ⋅ d − = 2 2 2 = 280.4 ⋅ (225 − 0.4 ⋅ 106) + 300.7 ⋅ (225 − 40) + 587.2 ⋅ (410 − 225) = 215462 kNmm = 215.5 kNm Quindi si è ottenuto un valore dello sforzo normale resistente non nullo (ma prossimo a zero) ed un valore del momento resistente leggermente più elevato (a causa delle necessarie approssimazioni introdotte, specialmente nella scelta delle armature). Il calcolo di progetto può quindi dirsi concluso e la verifica della sezione è soddisfatta. Volendo individuare esattamente il valore del momento resistente in assenza di sforzo normale, dovremmo risolvere l’equazione in x N rdu = 0 ⇒ C + C'+ T = 0 0.85 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ (0.8 ⋅ x ) + A's ⋅f 's −A s ⋅ f s = 0 A ⋅ f − A's ⋅f 's A s ⋅ f s − A's ⋅f 's x= s s = 0.85 ⋅ 0.8 ⋅ f cd ⋅ b 0.68 ⋅ f cd ⋅ b quindi (dato che quasi certamente, pur essendo incognito x, entrambe le armature risulteranno snervate) (A − A's ) ⋅ f yd (1570 − 804) ⋅ 374 = = 108 mm x= s 0.68 ⋅ f cd ⋅ b 0.68 ⋅15.56 ⋅ 250 ossia x 108 = = 0.263 > 0.259 d 410 quindi siamo in presenza di una rottura non più bilanciata ma leggermente spostata verso la rottura lato calcestruzzo, con l’armatura compressa snervata:
A Z Z O B
Lezione n. 21 – pag. XXI.8
x − d' 108 − 40 = 0.0035 ⋅ = 0.0022 > ε yd x 108 In questa situazione di rottura si ha C' = A's ⋅f 's = 804 ⋅ 374 N = 300696 N = 300.7 kN T = A s ⋅ f s = −1570 ⋅ 374 N = −587180 N = −587.2 kN C = 0.85 ⋅ 15.56 ⋅ 250 ⋅ (0.8 ⋅ 108) = 285681 N = 285.7 kN N rdu = C + C'+ T = 285.7 + 300.7 − 587.2 = −0.8 kN h h h M rdu = C ⋅ − 0.4 ⋅ x + C'⋅ − d ' − T ⋅ d − = 2 2 2 = 285.7 ⋅ (225 − 0.4 ⋅ 108) + 300.7 ⋅ (225 − 40) + 587.2 ⋅ (410 − 225) = 216201 kNmm = 216.2 kNm ovviamente maggiore (di circa l’8%) rispetto al momento sollecitante.
ε's = 0.0035 ⋅
A Z Z O B Esempio #3
Progetto e verifica di una sezione rettangolare presso-inflessa (pilastro)
Supponiamo di dover progettare una sezione rettangolare di base b=300 mm, in grado di resistere ad un momento sollecitante M sdu= 40 tm = 400 kNm in presenza di uno sforzo normale pari a N sdu = 50 t = 500 kN. Conviene inizialmente individuare il valore dell’eccentricità M 400 e = sdu = m = 0.8 m = 800 mm N sdu 500 valore che non risulta troppo piccolo da poter assimilare il regime di sforzo come prossimo ad una compressione semplice (ossia tale da trascurare la presenza del momento flettente), e, contemporaneamente, non così grande da ritenere la sezione come semplicemente inflessa (e quindi trascurare la presenza dello sforzo normale). Di conseguenza, la situazione individuata, corrisponde probabilmente ad una rottura che (ad eccentricità fissata) vede la posizione dell’asse neutro interna alla sezione. Ci si può rendere conto dell’affermazione appena fatta, considerando il seguente calcolo. Se si avesse soltanto sforzo normale, ed ipotizzando un’armatura compressa uguale a quella tesa, con una percentuale totale di armatura pari all’1% ρs + ρ's = 0.01 si avrebbe (ipotizzando un valore di d’=40 mm) f N rdu = 0.85 ⋅ cd ⋅ b ⋅ h + (A s + A's ) ⋅ f yd ≥ N sdu 2.0 e quindi f 0.85 ⋅ cd ⋅ b ⋅ h + 0.01 ⋅ b ⋅ h ⋅ f yd ≥ N sdu 2.0 f h ⋅ 0.85 ⋅ cd ⋅ b + 0.01 ⋅ b ⋅ f yd ≥ N sdu 2 .0 da cui N sdu 500000 h≥ = mm = 161 mm f cd 300 ⋅ 0.85 ⋅ 15.56 + 0.01 ⋅ 374 b ⋅ 0.85 ⋅ + 0.01 ⋅ f yd 2 .0 2.0 Ovviamente la sezione effettiva avrà dimensioni senz’altro maggiori, ma la valutazione effettuata ci permette di affermare che il valore dell’eccentricità è sufficientemente grande rispetto alla dimen-
Lezione n. 21 – pag. XXI.9
sione trasversale della sezione che deriverà dal calcolo, per cui si può procedere ipotizzando una posizione dell’asse neutro interna alla sezione. Effettuando quindi il calcolo di progetto, con le stesse ipotesi viste in precedenza, si ottiene N sdu 500000 x= = mm = 158 mm 0.68 ⋅ f cd ⋅ b 0.68 ⋅ 15.56 ⋅ 300 A ρ = s ≈ 0.5% = 0.005 b ⋅ d ρ ⋅ f yd d ⋅ d 2 + x ⋅ − x ⋅ (e − 0.4 ⋅ x ) = 0 0.68 ⋅ f cd 2 0.005 ⋅ 374 2 158 ⋅d + ⋅ d − 158 ⋅ (800 − 0.4 ⋅ 158) = 0 0.68 ⋅ 15.56 2 0.176 ⋅ d 2 + 79 ⋅ d − 116414 = 0 che fornisce la radice positiva d = 619 mm Cercando di scegliere una sezione con lati multipli di 5 cm, si può scegliere d=660 mm, h=700 mm (*) , ottenendo A s = A's = 0.005 ⋅ 300 ⋅ 700 = 1050 mm 2 ⇒ 3∅ 22 = 3 ⋅ 380 mm 2 = 1140 mm 2 Tale armatura risulta contenuta nei limiti richiesti dalla Normativa: infatti è superiore al valore minimo pari a N 500000 A l ≥ 0.15 ⋅ Sd = 0.15 ⋅ = 201 mm 2 f yd 374 e rappresenta, rispetto all’area di calcestruzzo, una percentuale pari a A + A s ' 1140 + 1140 ρ= s = = 0.011 = 1.1% b ⋅ h 300 ⋅ 700 quindi compresa fra lo 0.3% e il 6% della sezione effettiva. Si ottiene quindi: N sdu 500000 x= = mm = 158 mm 0.68 ⋅ f cd ⋅ b 0.68 ⋅ 15.56 ⋅ 300 (che deriva dal fatto che la risultante C’ uguaglia T), e quindi x 158 = = 0.239 d 660 siamo cioè in condizioni di rottura lato acciaio: si ha x 158 ε c = 0.010 ⋅ = 0.010 ⋅ = 0.00315 d−x 660 − 158 x − d' 158 − 40 ε' s = ε c ⋅ = 0.00315 ⋅ = 0.00235 > ε yd ⇒ f 's = 374 MPa x 158 Di conseguenza C' = A's ⋅f 's = 1140 ⋅ 374 N = 426360 N = 426.4 kN T = A s ⋅ f s = −1140 ⋅ 374 N = −426360 N = −426.4 kN C = 0.85 ⋅ 15.56 ⋅ 300 ⋅ (0.8 ⋅ 158) = 501530 N = 501.5 kN N rdu = C + C'+T = 501.5 + 426.4 − 426.4 = 501.5 kN
A Z Z O B (*)
L’espressione di progetto che si sta utilizzando è un’espressione approssimata. Conviene quindi, in generale, scegliere un’altezza della sezione sufficientemente maggiore di quella che deriva dal calcolo, onde evitare di dover successivamente modificare le dimensioni della sezione stessa in quanto insufficienti a
Lezione n. 21 – pag. XXI.10
h h h M rdu = C ⋅ − 0.4 ⋅ x + C'⋅ − d' − T ⋅ d − = 2 2 2 = 501.5 ⋅ (350 − 0.4 ⋅ 158) + 426.4 ⋅ (350 − 40) + 426.4 ⋅ (660 − 350) = 408198 kNmm = 408.2 kNm La sezione risulta quindi verificata, in quanto ( N rdu , M rdu ) > ( N sdu , M sdu )
A Z Z O B
Lezione n. 22 Stati limite nel cemento armato Il taglio nel c.a. La valutazione della resistenza a taglio di una sezione in cemento armato è piuttosto complessa, e l’approccio usuale adottato nella scienza delle costruzioni non è spesso applicabile. L’analisi del problema viene effettuata per passi successivi: prima si analizza la distribuzione delle tensioni tangenziali in una trave senza armature specifiche che, come si vedrà in seguito, possono essere preposte ad assorbire lo sforzo di taglio; successivamente si analizza il comportamento della stessa trave nel caso in cui sia presente un’armatura specifica a taglio; infine si approfondiranno gli aspetti specifici legati alla condizione di stato limite ultimo per taglio, ossia del comportamento “a rottura” della trave per sollecitazioni taglianti.
A Z Z O B Le tensioni da taglio in condizioni di esercizio
Come è noto dalla teoria della Scienza delle Costruzioni, gli sforzi di taglio è in una trave sono sempre accompagnati dalla presenza di una flessione (la condizione T ≠0 implica infatti M≠0, rap presentando lo sforzo di taglio la derivata della caratteristica di sollecitazione flettente). La presenza del momento flettente provoca inoltre la parzializzazione della sezione a causa della pressoché nulla resistenza a trazione del calcestruzzo. Considerando quindi una generica sezione della trave, l’unica componente della risultante relativa ad ogni sezione è una forza nel piano della sezione passante per il centro di taglio (e di solito accompagnata da momento flettente M). Le tensioni tangenziali: si calcolano applicando la formula di Jourawski alla sezione parzializzata omogeneizzata a calcestruzzo T ⋅ Sci, x τ= J ci, x ⋅ b(y ) dove Sci,x = momento statico della sezione compresa tra lembo compresso e fibra dove si calcola τ Jci,x = momento di inerzia sezione ideale equivalente b(y) = larghezza della sezione all’altezza dove si calcola τ
Sezione rettangolare La tensione tangenziale massima τmax si registra in corrispondenza dell’asse neutro e si mantiene costante fino all’acciaio in quanto al di sotto dell’asse neutro le tensioni normali σ sono nulle, per l’ipotesi di non resistenza a trazione del calcestruzzo. Di conseguenza, il momento statico della sezione, al di sotto dell’asse neutro, rimane costante fino a che non si incontrano le armature tese, che riportano il valore del momento statico a zero. In corrispondenza dell’asse neutro (che è baricentrico) la tensione tangenziale τ è massima ed è pari a: T τ max = b ⋅ z infatti S ci,x = Scls = nSa J ci = J c + J a = Scls ⋅ z c + nSa ⋅ z a = Scls ⋅ (z c + z a ) = Scls ⋅ z c = S x ⋅ z
Lezione n. 22 – pag. XXII.2
τ max =
T ⋅ Sx T = J x ⋅ b b ⋅ z
Il traliccio di Mörsch per la definizione dell’armatura a taglio
Alla fine dell’ottocento, primi del novecento, Mörsch propose di schematizzare il comportamento di travi di c.a. soggette a flessione e taglio con un traliccio di aste tese e compresse, di cui un corrente compresso di calcestruzzo, un tirante teso di acciaio ed un insieme di aste di parete inclinate a 45° rispetto all’orizzontale. Oggi la schematizzazione proposta da Mörsch è nota come traliccio di Mörsch ed è utilizzata, oltre che per il progetto delle armature a taglio di travi di c.a. nel metodo delle tensioni ammissibili, anche nel metodo agli stati limite per il calcolo del carico di collasso (seppure con alcune modifiche riguardanti in particolare l’inclinazione delle aste di parete). Inoltre questa schematizzazione è alla base della tecnica “strut-and-tie” messa a punto dalla scuola di Stoccarda del Prof. J. Schlaich per il progetto di elementi tozzi di c.a., laddove non è possibile applicare la teoria classica del De S. Venant, ed in particolare l’ipotesi di Bernoulli-Navier di conservazione delle sezioni piane. Come nasce l’idea di schematizzare una trave di c.a. con un traliccio di aste inclinate a 45° rispetto all’orizzontale? Per dare una risposta a questa domanda si consideri la trave illustrata nella figura seguente, dove si ipotizza che l’armatura longitudinale sia costante lungo tutta la trave, cosicché sia la posizione dell’asse neutro sia il braccio della coppia interna non variano lungo la trave. Si prenda un punto O sull’asse neutro della sezione C posta a sinistra del carico; in O ci sarà solo la tensione tangenziale prodotta dal taglio, mentre quella normale è nulla perché O è sull’asse neutro.
A Z Z O B sul piano neutro
τmax
τmax
sulla sezione C
τmax
O
τmax
C
2P
O
A
a
P
Sez. C-C
B
C
L
P
z
x
O
τ
max
y
y
Sull’elementino infinitesimo del piano y-z centrato in O, per la reciprocità delle tensioni tangenziali, si hanno le tensioni rappresentate in alto a sinistra in figura: ossia accanto alle tensioni tangenziali sul piano verticale della sezione si hanno tensioni dello stesso tipo ed intensità sul piano neutro. Pertanto dividendo la trave in due parti lungo questo piano, restano evidenziate le tensioni tangenziali orizzontali che le due parti si scambiano. In particolare le tensioni trasmesse nel tratto AC dalla parte superiore a quella inferiore sono dirette da destra verso sinistra (come illustrato nella figura seguente).
Lezione n. 22 – pag. XXII.3
1 1
O O
Α
C
a
Α b
τmax
C O
2
A Z Z O B 2 Se si traccia il circolo di Mohr dello stato tensionale nel punto O, si ottiene un cerchio centrato nell’origine del piano σ−τ, come rappresentato in figura, dove P z e Py sono i punti rappresentativi dello stato di tensione sulle giaciture di normale z e y.
τ
Pz(0; τ)
giacitura principale I
giacitura principale III
σΙ=−τ
σΙΙΙ=τ
direzione principale I
direzione principale III 135°
45°
σΙ=−τ
Py(0;−τ)
σΙΙΙ=τ
Dall’esame del circolo di Mohr risulta che il taglio puro provoca una tensione di trazione e una di compressione di uguale intensità τ. La direzione principale di compressione riC sulta inclinata di 45° in senso orario rispetto alla verticale ascendente, mentre quella principale di trazione è inclinata di 135° in senso antiorario rispetto alla stessa retta. O Dal punto O si può allora immaginare che A si dipartano vero la parte inferiore della trave due aste inclinate delle quali una sopC porta la tensione principale di compressione e l’altra quella di trazione, come indicato P nella figura seguente. Lo stesso discorso può essere ripetuto per tutte le altre sezioni della trave, per cui lo sforzo di “scorrimento” presente sul piano neutro (ossi al risultante delle tensioni tangenziali sul piano orizzontale che contiene l’asse neutro) si può immaginare che venga trasmesso ai ferri inferiori attraverso un insieme continuo di bielle compresse e tese.
Lezione n. 22 – pag. XXII.4
asta compressa
C
asta tesa
A Z Z O B A
C
P Discretizzando questo sistema continuo con un traliccio di aste compresse e tese poste ad interasse ∆x si ottiene il traliccio rappresentato in figura:
C
biella compressa cls
A
∆x
asta tesa
P
C
che esteso a tutta la trave assume la seguente configurazione: biella compressa cls
β
A
asta tesa
P
2P
α
∆x
∆x
P
Passando alla destra del carico cambia il segno del taglio e pertanto la direzione delle aste com presse e quella delle aste tese si scambiano. Nel traliccio di Mörsch le aste compresse sono formate da cls (corrente superiore e puntoni inclinati, in generale, di un angolo α, solitamente 45°), mentre le aste tese sono formate da apposite armature disposte secondo un certo angolo β (quello naturale è a 45° secondo le direzioni della trazione).
Se si indica con ∆x l’interasse tra le armature resistenti a taglio e si considera un concio di lunghezza ∆x ad es. alla sinistra del carico 2P, si può valutare l’ammontare dello sforzo di scorrimento su tale elemento. Infatti, essendo il taglio costante e pari a P, per l’ipotesi che il braccio della coppia interna z non vari, anche le tensioni tangenziali sul piano neutro di questo concio si mantengono costanti e pari a τmax: T τ max = . b ⋅ z Lo scorrimento totale sul concio è dato dal prodotto delle tensioni tangenziali per l’area della por-
Lezione n. 22 – pag. XXII.5
Ω = τ max ⋅ b ⋅ ∆x . Nello schema individuato, questo sforzo viene trasferito all’armatura inferiore mediante le due aste di parete tesa e compressa. In realtà, come verrà evidenziato nel successivo paragrafo, è possibile il trasferimento di tale sforzo anche in assenza di armature specifiche resistenti al taglio, facendo affidamento, almeno in parte, sulla resistenza a trazione del calcestruzzo: nell’ottica del metodo agli stati limite, si individua quindi il valore del taglio ultimo che una sezione può assorbire in funzione della presenza o meno di armatura a taglio nella trave. Nel caso in cui si dispongano armature atte ad assorbire lo sforzo di taglio, queste dovrebbero naturalmente seguire l’inclinazione delle direzioni su cui si ha trazione (o, come si dice nell’ambito della Scienza delle Costruzioni, la direzione delle “isostatiche di trazione”, ossia delle linee che hanno per tangente la direzione principale di trazione). In questo caso si dovrebbero quindi disporre “ferri piegati” a 45°, in misura e numero consono all’assorbimento dello sforzo. Tali armature sono state effettivamente disposte nelle travi in c.a., anche se oggi non si usano praticamente più e si preferisce procedere attraverso la disposizione di armature diverse, ossia costituite da “staffe” verticali a due o più “bracci”. Le staffe sono costituite da elementi chiusi in acciaio, di diametro abbastanza piccolo (solitamente Ø8 o Ø10, raramente più grossi, a causa della difficoltà dell’operazione di piegatura), sagomate come in figura e disposte ad un “passo” di solito nell’intervallo 10÷30 cm e comunque al massimo paragonabile all’altezza della sezione. Tali armature, anche se meno efficienti dei ferri piegati nell’assorbimento dello sforzo di taglio, presentano almeno tre vantaggi: - risultano di più facile confezionamento, permettendo l’assemblaggio di “gabbie” di armature a piè d’opera che vengono successivamente inserite nella casseratura (e quindi conducono generalmente a costi di manodopera inferiori); - rappresentano per il calcestruzzo compresso una sorta di “confinamento” che conferisce alla trave (nella sua componente compressa) una maggiore duttilità e resistenza; - contrastano la possibile instabilità delle armature compresse riducendone la lunghezza libera di inflessione. Le staffe vengono individuate quindi da tre parametri: il diametro Ø, il numero dei bracci ed il passo, per cui nei disegni di carpenteria del c.a. si trovano, ad esempio, diciture del tipo “ st. Ø8/10” a due bracci”, dove la scrittura /10” indica, convenzionalmente, il passo a cui tali elementi sono disposti.
A Z Z O B (a)
(b)
Staffa a due bracci (a) e a quattro bracci (b)
Lezione n. 22 – pag. XXII.6
SLU: meccanismi resistenti in elementi non armati a taglio
Una serie di risultati sperimentali hanno mostrato che il comportamento di una trave in c.a. sottoposta a taglio è abbastanza complesso e dipende (anche se solo in parte) dalla resistenza a trazione del calcestruzzo. In particolare, anche senza la presenza di un’armatura specifica destinata ad assorbire lo sforzo di taglio, si ha comunque una resistenza non trascurabile nei confronti del taglio, sebbene in presenza delle inevitabili fessure dovute all’azione flettente. Con riferimento all’esempio di una trave appoggiata con un tratto sottoposto a momento flettente costante, si individuano due zone distinte, caratterizzate da un diverso andamento delle fessure e da due conseguenti modelli di comportamento nei confronti dell’azione tagliante.
A Z Z O B - nel tratto centrale, in cui le fessure dovute al momento flettente hanno andamento pressoché verticale, si individua un meccanismo resistente definito “a pettine” (o anche “effetto mensola”), in cui le parti di calcestruzzo comprese tra due fessure consecutive si comportano come mensole incastrate nella parte superiore della trave (che risulta, a causa del momento positivo, compressa); - nei due tratti laterali (in cui le fessure tendono a disporsi, a causa della progressiva diminuzione di momento flettente, secondo inclinazioni a 45°), nascono dei meccanismi diffusivi che vengono definiti “ad arco”, che consentono allo sforzo di taglio di trasferirsi verso gli appoggi dalla zona compressa della trave, che appunto si atteggia secondo un arco all’interno della trave stessa. Lo studio della resistenza a taglio è normalmente condotto nelle zone in cui prevale il comportamento a pettine, in quanto sufficientemente lontano da zone di discontinuità dovute alla presenza dei carichi concentrati rappresentati dagli appoggi.
Lezione n. 22 – pag. XXII.7
A Z Z O B Nelle zone di comportamento “a pettine” (o tratti a scorrimento), il taglio esterno V è trasmesso dalle singole “mensole” di calcestruzzo, con ulteriori contributi alla resistenza dovuti a: - un’azione bietta o spinotto (“dowel action”) esercitata dall’armatura longitudinale inferiore V d; - la componente verticale delle forze di attrito che sono esercitate sulle due superfici separate da una fessura quando due conci d’anima tendono a scorrere l’uno sull’altro V a (ingranamento degli inerti o “aggregate interlock”); - una forza di taglio trasmessa attraverso la parte compressa della sezione V c (contributo della compressione assiale). Il comportamento a pettine è schematizzabile attraverso lo schema seguente, in cui si assimila il funzionamento del calcestruzzo compreso tra due fessure a quello di una mensola incastrata nella parte compressa della trave, ed in cui si sono evidenziati anche i due contributi V a e Vd:
Schema del comportamento “a mensola” dei denti di calcestruzzo
Il momento flettente Mc a cui è sottoposta la mensola corrisponde al valore M c = Vh ⋅ h c = (T1 − T2 ) ⋅ (d − x )
dove x rappresenta l’altezza della zona compressa della trave e T 1-T2 è la differenza di trazione nell’armatura tesa (dovuta allo scorrimento) V T1 − T2 = ⋅ s c z e quindi si ha V M C = ⋅ s c ⋅ (d − x ) z
Lezione n. 22 – pag. XXII.8
Il massimo momento che la mensola può sopportare è legato alla resistenza del calcestruzzo. Dal momento che nella sezione rettangolare di incastro (di dimensione s c × b, essendo b la larghezza della trave) la tensione massima è pari a (nell’ipotesi di sezione interamente reagente): M M 6⋅M f c,max = c = 2 c = 2 c W s c ⋅ b s c ⋅ b 6 Il massimo momento corrisponde a quello per cui si raggiunge la resistenza a trazione del calcestruzzo (per sollecitazioni di flessione), che può essere stimata in f cfd = 1.2 ⋅ f ctd
A Z Z O B Si ha quindi
f cfd ⋅ s c2 ⋅ b M c,max = 6 che corrisponde ad un valore massimo del taglio V trasmesso attraverso la mensola pari a ⋅ z f ⋅ s ⋅ b ⋅ z M Vc,max = c,max = cfd c s c ⋅ (d − x ) 6 ⋅ (d − x )
Approssimando l’ampiezza della zona compressa in x ≈0.3d, e quindi z=d-x/3 ≈0.9d, ed ipotizzando che sc≈d, come emerge da numerose rilevanze sperimentali, si ottiene 1.2 ⋅ f ctd ⋅ d ⋅ b ⋅ 0.9d 1.2 ⋅ 0.9 Vc,max ≈ ≈ ⋅ f ⋅ d ⋅ b = 0.25 ⋅ f ctd ⋅ d ⋅ b 6 ⋅ 0.7d 6 ⋅ 0.7 ctd che rappresenta una stima della resistenza a taglio della trave in calcestruzzo dovuta al solo effetto “pettine” (o mensola). I contributi dovuti agli altri effetti precedentemente indicati (effetto bietta, effetto ingranamento, effetto dovuto alla compressione assiale) vengono tenuti in conto introducendo dei fattori correttivi alla resistenza appena ricavata.
Effetto di “ingranamento degli inerti” (a sinistra) ed effetto “bietta” (a destra)
L’effetto dell’ingranamento degli inerti è dovuto alle pressioni di contatto lungo la superficie della fessura che delimita i denti di calcestruzzo, ed è quindi un contributo che dipende dall’attrito lungo le due superfici di contatto (tanto maggiore quanto più elevata è la scabrezza della superficie di fessurazione), dalla presenza eventuale di uno sforzo normale (che ovviamente favorisce l’effetto di ingranamento), dall’altezza della trave (l’effetto tende a diminuire per travi di altezza elevata, data la tendenza della fessura ad “aprirsi” tanto più quanto ci si allontana dalla zona compressa di estradosso della trave). Da un punto di vista sperimentale, si osserva che l’effetto tende ad annullarsi per travi con altezza superiore a 60 cm, mentre riveste un ruolo anche rilevante per altezze inferiori. Il contributo
Lezione n. 22 – pag. XXII.9
dell’ingranamento viene quindi usualmente considerato attraverso l’introduzione di un coefficiente amplificativo della resistenza di base, r, quantificabile in r = 1.6 − d con d espresso in m e r ≥ 1 (ossia la formula vale solo per d ≤ 0.6 m). L’effetto bietta rappresenta il contributo dovuto alla presenza delle armature longitudinali all’interno delle fessure, che tendono a fornire un aumento di resistenza a causa della loro rigidezza flussionale. L’effetto è limitato dal fatto che le spinte “a vuoto” che nascono nel calcestruzzo (si veda la parte sinistra della figura precedente) possono condurre alla rottura del calcestruzzo stesso (“sfondellamento”); l’effetto può essere quantificato in dipendenza dall’area dell’armatura longitudinale (tanto maggiore è l’area dell’armatura, tanto più elevato risulterà tale effetto) e dall’area del calcestruzzo all’interno del quale tale armatura è collocata. L’incremento di resistenza al taglio può ancora essere espresso attraverso un coefficiente moltiplicativo della resistenza di base, quantificabile in K bietta = 1 + 50 ⋅ ρ l
A Z Z O B dove
A sl b ⋅ d rappresenta il rapporto geometrico di armatura (ossia il rapporto tra l’area dell’armatura longitudinale Asl e l’area del calcestruzzo). Il valore di K bietta deve risultare comunque non maggiore di 2. Infine, l’effetto benefico dell’eventuale presenza di una compressione assiale può essere tenuto in conto introducendo un terzo coefficiente amplificativo della resistenza, δ, pari a M δ =1+ 0 M sdu in cui M0 rappresenta il momento di decompressione nella sezione analizzata, nella quale agisce Msdu. In presenza di uno sforzo di compressione, il momento di decompressione rappresenta il valore del momento flettente per cui si ottiene il passaggio, nella fibra più esterna del calcestruzzo, da una tensione di compressione ad una di trazione. È evidente che l’effetto si perde se non agisce sforzo normale nella sezione (quindi, se N=0, si assume δ=1) mentre l’eventuale presenza di uno sforzo normale di trazione non solo annulla l’effetto specifico, ma rende di fatto nulla l’intera resistenza a taglio della trave, non potendosi attivare i vari meccanismi descritti. In presenza di sforzo normale di trazione si assumerà quindi δ=0. Ricapitolando, la resistenza a taglio di una trave senza armature specifiche per resistere a tale sollecitazione può essere stimata con l’espressione riportata nel seguente prospetto:
ρl =
Normativa
Nel caso di assenza di armature a taglio occorrerà valutare che Vrdu ≥ Vsdu con Vrdu = 0.25 ⋅ f ctd ⋅ d ⋅ b ⋅ r ⋅ (1 + 50 ⋅ ρ l ) ⋅ δ
Elementi senza armatura resistente a taglio: considerazioni aggiuntive
Regola della traslazione dei momenti Osservando il comportamento della parte di trave che viene isolata dalla presenza di una fessura, si nota che la tensione T nell’armatura longitudinale nella sezione 2 (più vicina all’appoggio) è determinata dal momento flettente della sezione 1 (dove, in generale, M 1 > M2).
Lezione n. 22 – pag. XXII.10
Nel progetto dell’armatura longitudinale nella sezione 2 occorre quindi considerare il momento agente nella sezione 1 (regola della traslazione del diagramma del momento flettente). Infatti si ottiene (dall’equilibrio alla rotazione) M M + V ⋅ z ⋅ cot g(α ) T = 2 + V ⋅ cot g(α ) = 2 z z e quindi lo sforzo di trazione T è quello che competerebbe alla sezione che si trova in una posizione “traslata” della quantità z ⋅cotg(α). Se α è supposto di circa 45°, la distanza tra le sezioni 1 e 2 è circa uguale al braccio della coppia interna z (in questo caso infatti cotg( α)=1). Ancora più cautelativamente si può porre z ≈ d, essendo d l’altezza utile della sezione, ovviamente operando a favore della sicurezza z ⋅ cot g(α ) ≈ z ≈ d
A Z Z O B Vc
(1)
α
(2)
V
Vd 2
C
Va d-x
T
1
In conseguenza della presenza delle fessure dovute al taglio, si deve quindi considerare un nuovo diagramma dei momenti flettenti, simile a quello riportato in figura
Regola della traslazione del momento
Prescrizioni in prossimità degli appoggi della trave Dalla figura precedente, si nota come sull’estremo appoggiato a momento nullo, vada portata una quantità d’armatura “flessionale” (ossia longitudinale) pari alla reazione dell’appoggio R stessa essendo la forza T=M/z calcolata in base al momento M ≈ R ⋅z. Infatti, se si considera lo stesso ragionamento effettuato in precedenza, l’equilibrio dell’elemento che si ottiene isolando la porzione di trave interrotta dalla presenza della prima fessura individua la condizione riportata nel seguito.
Lezione n. 22 – pag. XXII.11
La condizione di equilibrio alla rotazione rispetto alla risultante C delle azioni di compressione impone che T ⋅ z ≈ R ⋅ z da cui T ≈ R le armature longitudinali, cioè, anche se non devono assor bire trazione a causa dell’assenza di momento flettente, devono comunque essere dimensionate in modo da resistere ad una trazione pari alla reazione di appoggio, ossia al taglio presente all’appoggio sulla trave.
C
asse neutro
z
45° T
A
A Z Z O B ≈z
R
Minimi di armatura trasversale Molte delle prescrizioni normative prevedono che, ad esclusione di alcuni elementi (ad esempio, piastre, in cui si ha un’adeguata capacità di ripartizione trasversale dei carichi), è in genere necessario disporre una quantità minima di armatura a taglio anche quando il calcolo non lo richiederebbe. La normativa italiana prevede un minimo di staffe di area complessiva A st pari a L’area minima delle staffe deve risultare pari a Normativa d A st = 0.10 ⋅ 1 + 0.15 ⋅ ⋅ b b espressa in cm 2/m e dove b e d sono espressi in m, con un minimo di tre staffe a metro e passo non superiore a 0.8 d. SLU: meccanismi resistenti in elementi armati a taglio
Nel caso in cui siano presenti specifiche armature resistenti al taglio, per la determinazione degli sforzi si ricorre all’analogia del traliccio di Mörsch, nella quale, analogamente a quanto fatto in precedenza, si immagina di avere una trave isostatica con le seguenti caratteristiche: - montanti tesi inclinati di un angolo β sull’orizzontale (staffe o ferri piegati); - puntoni compressi inclinati di un angolo α (puntoni di calcestruzzo); - corrente superiore corrispondente al calcestruzzo compresso; - corrente inferiore corrispondente all’armatura inferiore tesa. s/2
2
armatura
1
s’
puntone in cls
C’
Cd
Cd
β
Vs
α
α
T’
x
2
x
Ts
z
Ts
s
z cot
α
1
β
T’
Vs
Lezione n. 22 – pag. XXII.12
La definizione dell’inclinazione generica α per le bielle compresse anziché 45°, come si è supposto fino ad ora, nasce dall’evidenza che l’effetto di ingranamento degli inerti fa sì che la risultante delle compressioni nel calcestruzzo possa trovarsi ad un’inclinazione inferiore rispetto all’angolo ideale offerto dal circolo di Mohr; le forze inclinate dovute all’ingranamento di fatto abbassano tale angolo, per cui si può impostare il problema in termini generali considerando un’inclinazione generica α. L’equilibrio alla traslazione verticale del nodo X impone che Vs = C d ⋅ sin (α ) = Ts ⋅ sin (β)
A Z Z O B dove Vs taglio esterno Cd compressione nel puntone Ts risultante di tutte le forze nelle armature attraversate da una fessura Dalla figura precedente si osserva inoltre che s = z ⋅ [cot g (α ) + cot g(β)]
s' = s ⋅ sin (α ) Le bielle compresse, di spessore b e nelle quali agisce una tensione normale pari a f c, sono in grado di fornire una risultante di compressione pari a C d = f c ⋅ b ⋅ s' = f c ⋅ b ⋅ s ⋅ sin (α ) = f c ⋅ b ⋅ z ⋅ sin (α ) ⋅ [cot g(α ) + cot g(β)] e quindi possono equilibrare un taglio esterno pari a
Vs = C d ⋅ sin (α ) = f c ⋅ b ⋅ z ⋅ sin 2 (α ) ⋅ [cot g(α ) + cot g(β)]
Analogamente, se nelle armature, di area A sw e disposte ad un passo s, agisce una tensione f s, si ha f ⋅ A ⋅ s f ⋅ A ⋅ z ⋅ [cot g(α ) + cot g (β)] Ts = f s ⋅ A sw = s sw = s sw s s e conseguentemente possono assorbire uno sforzo di taglio pari a f ⋅ A ⋅ z ⋅ sin (β) ⋅ [cot g(α ) + cot g(β)] Vs = Ts ⋅ sin (β) = s sw s Il valore massimo del taglio che la trave può assorbire allo SLU è quindi offerto dalle relazioni precedenti, in cui alle tensioni indicate si sostituiscano i massimi valori delle tensioni che possono essere tenuti in conto nella verifica. Si individuano cioè due valori del taglio resistente: il primo (detto taglio-compressione) è relativo alla massima resistenza delle bielle compresse in calcestruzzo; il secondo (taglio-trazione) è dovuto alla resistenza offerta dalle armature trasversali. E’ evidente che il taglio resistente ultimo della trave sarà offerto dal più piccolo di questi due valori. SLU: verifica a taglio in elementi con armature
Nella normativa vigente si procede analogamente a quanto descritto in precedenza, con due sole modifiche: - si considera il cosiddetto metodo “normale” nel quale si fissa l’inclinazione delle bielle compresse in α=45°(*); (*)
In alcune Normative (ad esempio nell’Eurocodice 2) è possibile anche fare riferimento a schemi di calcolo in cui, per quanto osservato in precedenza, si considerano inclinazioni diverse da 45° per i puntoni compressi, introducendo il metodo che prende il nome di “traliccio ad inclinazione variabile” e che non verrà riportato nelle presenti dispense.
Lezione n. 22 – pag. XXII.13
- si tiene in conto, nella valutazione del taglio-trazione, anche del contributo offerto dal calcestruzzo teso (in maniera analoga a quanto fatto nella verifica a allo SLU per elementi senza armature a taglio). Taglio-compressione
L’espressione individuata in precedenza può essere modificata introducendo, al posto di z, il valore approssimato z ≈ 0.9d, ed imponendo la condizione α=45°, ottenendo 0 .9 VRd = ⋅ f ⋅ b ⋅ d ⋅ [1 + cot g (β)] = 0.45 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ [1 + cot g(β)] 2 cd In realtà la normativa impone un limite un po’ più restrittivo, in quanto il coefficiente 0.45 viene posto pari a 0.30; tale correzione deriva dall’evidenza sperimentale che non è possibile attingere all’intera resistenza a compressione del calcestruzzo per la presenza delle fessurazione.
A Z Z O B Normativa
Nel caso di presenza di armature a taglio occorrerà valutare che VRd ≥ Vsdu con VRd = 0.30 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ [1 + cot g(β)]
Taglio-trazione
In questo caso si assume che il taglio-trazione possa essere valutato mediante l’espressione VRd = Vcd + Vwd
in cui Vcd tiene in conto del contributo offerto dal calcestruzzo teso mentre V wd quantifica l’apporto alla resistenza a taglio dovuto alla presenza delle armature trasversali. Il valore di Vcd si può stimare con Vcd = 0.60 ⋅ f ctd ⋅ d ⋅ b ⋅ δ
Come si può osservare, il taglio resistente lato calcestruzzo è lo stesso utilizzato nel caso di sezioni senza armature resistenti al taglio, con il coefficiente 0.60 al posto di 0.25 r (1+50 ρl). In altre parole, si considera forfetariamente il contributo offerto dall’effetto bietta e dall’ingranamento degli inerti. Per Vwd, l’espressione proposta dalla normativa corrisponde a quella individuata in precedenza, con z ≈ 0.9d ed imponendo la condizione α=45°, f ywd ⋅ A sw f ⋅ A ⋅ d ⋅ sin (β) ⋅ [1 + cot g(β)] = 0.90 ⋅ ywd sw ⋅ d ⋅ [sin (β) + cos (β)] Vwd = 0.90 ⋅ s s in cui con f ywd si individua la tensione di snervamento di calcolo dell’armatura trasversale; nella Normativa Italiana si consiglia di sostituire tale valore con 0.8 f ywd quando si considerino barre a taglio rialzate, cioè barre piegate. Normativa
Nel caso di presenza di armature a taglio occorrerà valutare che VRd = Vcd + Vwd ≥ Vsdu con Vcd = 0.60 ⋅ f ctd ⋅ d ⋅ b ⋅ δ Vwd = 0.90 ⋅
f ywd ⋅ A sw ⋅ d ⋅ [sin (β) + cos(β)] s
Lezione n. 22 – pag. XXII.14
Elementi con armatura resistente a taglio: considerazioni aggiuntive Verifica armatura longitudinale
Analogamente a quanto visto nel caso della verifica della trave senza armature resistenti a taglio, va prevista un’opportuna traslazione del diagramma del momento flettente, che comporta la verifica delle armature longitudinali per una sollecitazione aggiuntiva rispetto a quella flessionale effettivamente presente. La normativa prescrive che occorre prevedere una traslazione del diagramma del momento flettente nel verso che dà luogo ad un aumento del momento stesso, quantificabile in M sdu (V ) = M sdu + V ⋅ a 1
A Z Z O B dove a1 = 0.9 ⋅ d ⋅ [1 − cot g(β)] ≥ 0.2 ⋅ d
Prescrizioni sull’armatura trasversale
Nella verifica a taglio è evidente il ruolo fondamentale che rivestono le armature resistenti a taglio, soprattutto le staffe, in quanto: - incrementano l’efficienza dei meccanismi resistenti a taglio, specialmente l’effetto spinotto; - limitano la fessurazione diagonale favorendo l’effetto di ingranamento degli inerti; - aumentano l’azione di confinamento, aumentando la resistenza a compressione del calcestruzzo e quindi aumentando la resistenza delle parti di trave in cui è presente l’effetto arco; - prevengono la perdita di aderenza nelle zone dove si sviluppa le fessure da spacco “splitting cracking”, a causa dell’effetto bietta e delle tensioni di aderenza. Di conseguenza, in molte indicazioni normative si prevede che, in caso di necessità di inserire un’armatura a taglio, sia comunque presente una certa percentuale del taglio ultimo affidato alle staffe. Nell’Eurocodice 2 è riportato espressamente che “nelle travi le armature rialzate non devono essere utilizzate come armatura a taglio se non in combinazione con le staffe; almeno il 50% del valore di VSdu deve essere assorbito da staffe verticali”. Nella normativa italiana esiste ancora una prescrizione simile, anche se leggermente diversa, in quanto si prescrive che “la resistenza di calcolo dell’armatura d’anima deve risultare non inferiore alla metà del taglio di calcolo”, quindi non effettuando una differenziazione tra staffe verticali e ferri piegati. Appendice: verifica alle Tensioni Ammissibili
La Normativa impone il progetto dell’armatura a taglio solo se la τmax, valutata secondo l’espressione T τ max = , b ⋅ z supera un valore limite ( τc0): − se τmax ≤ τc0 occorre adottare un’armatura minima (necessaria per contrastare comunque l’instabilità delle barre longitudinali compresse e per esplicare un’azione di confinamento sul calcestruzzo), perché il calcestruzzo è in grado di trasferire valori bassi delle tensioni tangenziali dal cls compresso all’armatura tesa. Tale armatura minima vale per il caso delle travi; − se τmax > τc0 occorre progettare l’armatura a taglio e comunque deve risultare τmax < τc1, affinché non si verifichi la rottura delle bielle compresse di cls (altrimenti è necessario ridefinire le dimensioni geometriche della sezione). I due valori delle tensioni tangenziali ammissibili sono rispettivamente pari a: R − 15 R ck − 150 2 τ c0 = 0.4 + ck N / mm 2 τ = 4 + kg / cm c 0 75 75
Lezione n. 22 – pag. XXII.15
R ck − 15 τ = + R ck − 150 2 N / mm 2 14 kg / cm c1 35 35 Il calcolo dell’armatura a taglio, nel caso in cui τ c0 ≤ τ max ≤ τ c1 avviene utilizzando lo schema del traliccio di Mörsch in cui si considerano bielle compresse a 45° ed elementi tesi con la stessa inclinazione delle armature effettivamente presenti nella trave, quindi ferri piegati a 45° o staffe.
τ c1 = 1.4 +
A Z Z O B Normativa
La Normativa consente di utilizzare solo staffe oppure staffe e ferri piegati insieme; non è consentito l’utilizzo di soli ferri piegati! In ogni caso almeno il 40 % dello sforzo di scorrimento deve essere assorbito da staffe. Armatura a taglio minima (per elementi inflessi monodimensionali, ad es. travi): − almeno tre staffe al metro − passo non superiore a 0,8 d (d = altezza utile) − area minima pari a 0,10 β* cm2/m, dove β* è la larghezza corrispondente a τc0 (ossia la larghezza dalla base della sezione per cui si giunge alla condizione τmax=τc0) − in prossimità di carichi concentrati o zone di appoggio per un tratto pari all’altezza utile della sezione da ciascuna parte del carico concentrato il passo deve essere non superiore a 12 φ1, essendo φ1 il diametro minimo dell’armatura longitudinale
Ferri piegati
Lo sforzo di scorrimento Ω, dato dalla relazione vista in precedenza T T ⋅ ∆x Ω = τ max ⋅ b ⋅ ∆x = ⋅ b ⋅ ∆x = , b ⋅ z z viene trasferito all’armatura inferiore mediante le due aste di parete inclinate a 45°; dal triangolo delle forze trasmesse al nodo risulta che nella biella compressa si ha uno sforzo pari a - Ω / 2 e nell’asta tesa uno sforzo pari a Ω / 2 ;
Ω/ 2
45 °
Ω/ 2
45 °
Ω
sostituendo l’espressione di Ω trovata sopra, la forza di trazione F a in ogni ferro inclinato a 45° si può scrivere nella seguente forma: Ω T ⋅ ∆x Fa = = ; 2 z⋅ 2 se σa è la tensione ammissibile dell’acciaio si ricava l’area minima che occorre attribuire a tali armature disposte a passo ∆x: T ⋅ ∆x Aa = . z ⋅ 2 ⋅σ a
Lezione n. 22 – pag. XXII.16
Staffe
Nel caso delle staffe, il triangolo delle forze trasmesse al nodo si modifica come indicato nella figura seguente, per cui lo sforzo nella biella compressa diventa 2 Ω (pari al doppio del caso precedente) e la trazione F a in ogni staffa diventa pari ad Ω, ossia: T ⋅ ∆x Fa = Ω = z
A Z Z O B 2Ω
45°
Ω
90°
Ω quindi si ha uno sforzo maggiore, a parità di ∆x, rispetto ai ferri piegati. L’area minima di ogni staffa è data da: Ω T ⋅ ∆x = A st = σa z ⋅ σa
e quindi
T ⋅ ∆x , z ⋅ σa dove si è indicato con A b l’area di un singolo braccio della staffa e con n b il numero di bracci. A st =A b ⋅n b =
Lezione n. 23 Stati limite nel cemento armato Stato limite delle tensioni in esercizio La verifica con il metodo delle tensioni ammissibili
A Z Z O B Le condizioni di esercizio nel C.A.
In aggiunta alle verifiche rispetto alle condizioni “di rottura”, tipiche degli stati limiti ultimi, le normative impongono il rispetto di ulteriori condizioni, che riguardano non tanto aspetti legati alla resistenza ultima dell’elemento in cemento armato, ma alle condizioni di corretto funzionamento della struttura in situazioni di esercizio. In particolare si cerca, mediante tali verifiche, di preservare l’integrità della struttura in modo da evitare che possano insorgere situazioni tali da indurre una limitazione nelle prestazioni della struttura (ad esempio per eccessiva deformazione della stessa) oppure in grado di condurre il materiale ad un invecchiamento e ad un deterioramento eccessivo (quindi limitandone la durata nel tempo, o come si dice in termini sintetici, la durabilità). La attuali normative individuano quindi tre tipi di verifiche, che prendono il nome di verifiche agli stati limite di esercizio: 1. verifica allo stato di limite delle tensioni di esercizio; 2. verifica allo stato limite per fessurazione; 3. verifica allo stato limite di deformazione. Tali limitazioni vogliono preservare l’efficienza e la durabilità della struttura, cercando di evitare che, per i carichi associati alle condizioni di vita “normale” della struttura, ossia per le situazioni che la struttura dovrà affrontare nella maggior parte della sua vita, si possano creare situazioni particolarmente insidiose. Le verifiche vengono condotte considerando il calcestruzzo e l’acciaio in fase elastica, quindi ricorrendo ad un calcolo in fase I (non fessurata) o in fase II (fessurata); spesso si farà riferimento alla sezione nella condizione di fase II convenzionale, ossia ritenendo il calcestruzzo fessurato (e quindi incapace di fornire una qualsiasi resistenza a trazione) già per valori molto piccoli del carico. Le tre condizioni di carico che si analizzano corrispondono quindi ai valori frequenti, quasi permanenti e rari delle combinazioni di carico, definiti dalle relazioni seguenti: combinazioni quasi permanenti:
i =n
Fd = G k + Pk + ∑ (ψ 2i Q ik ) i =1
combinazioni frequenti:
i =n
Fd = G k + Pk + ψ11Q1k + ∑ (ψ 2i Q ik ) i =2
combinazioni rare:
i =n
Fd = G k + Pk + Q1k + ∑ (ψ 0i Q ik ) i =2
In base ai valori dei carichi individuati si calcoleranno le sollecitazioni di progetto nella struttura (Sd); le corrispondenti grandezze di confronto (ossia le resistenze di progetto, R d) sono calcolate in base alle resistenze di calcolo dei materiali, valutate attraverso i coefficienti parziali (o di ponderazione) posti uguali ad uno, ossia γ c = γ s = 1. Così procedendo, il confronto è di fatto tra i valori caratteristici delle sollecitazioni ed i valori caratteristici delle resistenze, quindi individuando una probabilità di insuccesso dell’ordine di 10 -5.
Lezione n. 23 – pag. XXIII.2
La durabilità nelle sezioni in C.A.
Per durabilità si intende la capacità del calcestruzzo di mantenere per tempi lunghi le sue caratteristiche funzionali al livello richiesto. In generale, il calcestruzzo può subire processi di degrado che possono essere distinti in: - Fisici: causati da variazioni termiche naturali come il gelo/disgelo, o artificiali come incendi; - Meccanici: abrasione, erosione, urto; - Chimici: attacco acido, solfatico, da acque pure, acque di mare, reazioni alcali aggregati. Nel caso di sezioni in calcestruzzo armato, l’ulteriore problematica che si può presentare è offerta dalla possibilità di corrosione delle armature. Uno dei fattori scatenanti la corrosione è la carbonatazione, che è un fenomeno legato alla presenza di anidride carbonica e al suo trasporto attraverso i pori del cemento; la reazione che avviene è la seguente: Ca (OH) 2 + CO 2 → CaCO 3 + H 2 O
A Z Z O B La trasformazione dell’idrossido di calcio in carbonato di calcio, non provoca di per sé danno nel calcestruzzo ma crea condizioni sfavorevoli per le armature in quanto si crea una riduzione del pH che può portare alla distruzione del film di passività, che ricopre ed isola il metallo, e alla propagazione della corrosione (la stessa azione viene esercitata anche dall’eventuale presenza di cloruri). In generale, è comunque difficile attribuire il degrado del calcestruzzo e delle armature ad a una sola causa, poiché spesso più processi possono avvenire contemporaneamente. Da un punto di vista costruttivo, si cerca di garantire la durabilità delle sezioni in cemento armato cercando: - di evitare il contatto diretto con l’acqua (allontanando quindi il più possibile la struttura dall’acqua o dal terreno, oppure interponendo uno strato drenante); - di curare il “mix design” del calcestruzzo, quindi prestando particolare cura nell’impasto del calcestruzzo, soprattutto per quanto riguarda il corretto rapporto acqua/cemento; - di realizzare sezioni con opportune caratteristiche di protezione delle armature, attraverso prescrizioni specifiche sulla posizione delle barre all’interno della sezione (in particolar modo, attraverso regole specifiche sui valori del ricoprimento di armatura, ossia della parte di calcestruzzo esterna rispetto agli elementi di acciaio). Da un punto di vista progettuale, invece, si cerca di garantire la durabilità delle sezioni in cemento armato cercando soprattutto di contenere l’apertura delle fessure: a questo proposito si effettuano verifiche specifiche, quali il contenimento delle compressioni in esercizio nel calcestruzzo e delle tensioni di trazione nell’acciaio, nonché controllando i valori di apertura delle fessure. Nel paragrafo successivo ci occuperemo della verifica delle compressioni in esercizio, mentre nel capitolo seguente si tratterà della verifica a fessurazione. Le verifiche vengono effettuate con modalità e limitazioni diverse in funzione delle possibili situazioni di “aggressività” dell’ambiente in cui si può trovare la struttura; la normativa individua tre ti pologie di ambiente: - ambiente poco aggressivo, caratterizzato da umidità relativa non elevata o da umidità relativa elevata per brevi periodi; - ambiente moderatamente aggressivo, caratterizzato da un’elevata umidità relativa in assenza di vapori corrosivi; - ambiente molto aggressivo, caratterizzato da presenza di liquidi o di aeriformi particolarmente corrosivi. Stato limite delle tensioni in esercizio
Le verifica riguarda il controllo delle tensioni sia nel calcestruzzo che nell’acciaio, imponendo limitazioni diverse in funzione dell’aggressività dell’ambiente in cui sono poste. In particolare, per le strutture o parti di strutture esposte ad ambiente molto aggressivo, devono es-
Lezione n. 23 – pag. XXIII.3
- per combinazioni di carico rara: 0.50 f ck ; - per combinazioni di carico quasi permanente: 0.40 f ck . Per le strutture o parti di strutture esposte ad ambiente moderatamente o poco aggressivo, tali limitazioni si modificano nelle seguenti: - per combinazione di carico rara: 0.60 f ck ; - per combinazione di carico quasi permanente: 0.45 f ck Per quanto riguarda l’acciaio, indipendentemente dal livello di aggressività dell’ambiente, si richiede che la massima tensione di trazione sotto la combinazione di carichi rara non deve superare 0.70 f yk .
A Z Z O B combinazione di carico
ambiente
molto aggressivo
poco o moderatamente aggressivo
rara
limite tensione nel cls f c ≤ 0.50 ⋅ f ck
limite tensione nell’acciaio f s ≤ 0.70 ⋅ f yk
quasi permanente
f c ≤ 0.40 ⋅ f ck
---
rara
f c ≤ 0.60 ⋅ f ck
f s ≤ 0.70 ⋅ f yk
quasi permanente
f c ≤ 0.45 ⋅ f ck
---
Limitazioni di normativa delle tensioni in esercizio
Il controllo dei valori massimi delle tensioni in condizioni di esercizio assicura: - per il calcestruzzo, che non si sviluppino fessure longitudinali in zona compressa (simili a quelle che si formino nella prova a rottura di un provino soggetto a compressione) e che le deformazioni della struttura rimangano sufficientemente contenute nel tempo (ridurre la tensione in esercizio significa infatti operare una riduzione delle deformazioni viscose); inoltre, per livelli maggiori della compressione nel cls, il semplice modello di “viscosità lineare” illustrato per descrivere il comportamento a lungo termine del calcestruzzo non è più applicabile; - per l’acciaio, che le eventuali fessure che si possono formare nel calcestruzzo non raggiungano valori troppo elevati di apertura a causa dello snervamento (e quindi della deformazione plastica) dell’acciaio. Nel calcolo delle tensioni è necessario considerare, se del caso, oltre agli effetti dei carichi anche quelli delle variazioni termiche, della viscosità, del ritiro, e delle deformazioni imposte aventi altre origini. Da un punto di vista di calcolo, le tensioni debbono essere calcolate adottando le proprietà geometriche della sezione corrispondente alla condizione non fessurata (stato I) oppure a quella completamente fessurata (stato II), a seconda dei casi. Deve, di regola, essere assunto lo stato fessurato se la massima tensione di trazione nel calcestruzzo calcolata in sezione non fessurata sotto la combinazione di carico rara supera f ctm. Quando si adotta una sezione non fessurata, si considera attiva l’intera sezione di calcestruzzo, e si considerano in campo elastico sia a trazione che a compressione il calcestruzzo e l’acciaio. Quando invece si adotta la sezione fessurata, il calcestruzzo può essere considerato elastico in com pressione, ma incapace di sostenere alcuna trazione: in via semplificativa si può assumere il com portamento elastico-lineare e per le armature il coefficiente di omogeneizzazione con il valore convenzionale n = 15. Calcolo elastico lineare delle sezioni in c.a.
Nel calcolo elastico di sezioni in c.a., si utilizza la tecnica del “coefficiente di omogeneizzazione“, già introdotto in precedenza. In altre parole, si considera la sezione omogeneizzata a calcestruzzo, il che equivale a considerare le armature presenti come equivalenti ad aree di calcestruzzo di esten-
Lezione n. 23 – pag. XXIII.4
Se si considera un elemento monodimensionale di c.a. soggetto a flessione semplice, la risultante delle azioni interne ha come unica componente di sollecitazione un momento M agente in un piano (normale alla sezione), contenente l’asse dell’elemento. L’intersezione del piano del momento con la sezione individua l’asse di sollecitazione. Nel caso di flessione semplice retta, ossia quando l’asse di sollecitazione coincide con un asse principale di inerzia della sezione, si può procedere al calcolo delle tensioni nel calcestruzzo e nell’acciaio utilizzando la formula di Bernoulli-Navier:
A Z Z O B M ⋅x J ci M σa = n ⋅ ⋅ ya J ci
σc =
dove Jci = Jc + n·Ja con Jc momento di inerzia del conglomerato compresso rispetto all’asse neutro e J a momento di inerzia dell’acciaio rispetto allo stesso asse neutro; x e y a rappresentano rispettivamente la distanza dell’asse neutro dal lembo compresso e dal lembo teso della sezione. Come si fa a determinare la posizione dell’asse neutro? L’asse neutro è l’asse baricentrico della sezione ideale equivalente e si ricava imponendo che il momento statico della sezione ideale omogeneizzata a calcestruzzo rispetto a esso sia nullo: x
n
0
i=1
S x = ∫ y dA c + n ⋅ ∑ A ai y ai = 0
Sezione rettangolare
Si consideri una sezione rettangolare a doppia armatura, cioè con le barre disposte sia nella parte inferiore sia in quella superiore della sezione, come rappresentato in figura.
Si voglia verificare la sezione data soggetta a flessione semplice: si determina il baricentro di tutte
Lezione n. 23 – pag. XXIII.5
d0 =
A a d + A'a d ' A a + A' a
A Z Z O B Determinazione della posizione dell’asse neutro si indichi con x la distanza dell’asse neutro dal lembo superiore, si calcoli il momento statico S x della sezione ideale rispetto all’asse neutro e lo si ponga uguale a 0: 1 S x = ⋅ b ⋅ x 2 − n ⋅ (A a + A'a ) ⋅ (d 0 − x ) = 0 2 n ⋅ (A a + A'a ) posto f = l’espressione di S x si semplifica nella seguente: b 1 ⋅ b ⋅ x 2 − b ⋅ f ⋅ (d 0 − x ) = 0 2 x 2 + 2 ⋅ f ⋅ x − 2 ⋅ f ⋅ d 0 = 0 risolvendo l’equazione di 2° grado si ottiene: d d x = −f ± f 2 + 2 ⋅ f ⋅ d 0 = −f ± f 1 + 2 0 = f − 1 ± 1 + 2 0 f f
scegliendo la soluzione positiva, si ha infine il valore di x che identifica la posizione dell’asse neutro: d x = f ⋅ − 1 + 1 + 2 0 f momento di inerzia della sezione ideale 1 J ci = ⋅ b ⋅ x 3 + n ⋅ A a ⋅ (d − x )2 + n ⋅ A'a ⋅(x − d')2 3
tensioni nel calcestruzzo e nell’acciaio M M M σc = x σ a = n (d − x ) σ ' a = n (x − d ' ) J ci J ci J ci
Lezione n. 23 – pag. XXIII.6
ε ε
σ
A Z Z O B ε
Sezione rettangolare a semplice armatura
Nel caso di semplice armatura si ha: A’a = 0; d0 = d; f = n Aa / b; 2d nA a − 1 + 1 + 2 bd x = f − 1 + 1 + 0 = f b nA a momento di inerzia della sezione ideale 1 J ci = bx 3 + nA a (d − x )2 3 Dall’uguaglianza dei momenti statici, si ha 1 1 ⋅ b ⋅ x 2 = n ⋅ A a ⋅ (d − x ) S x = ⋅ b ⋅ x 2 − n ⋅ A a ⋅ (d − x ) = 0 ⇒ 2 2 per cui si ottiene 1 1 1 x 1 J ci = ⋅ b ⋅ x 3 + ⋅ b ⋅ x 2 ⋅ (d − x ) = ⋅ b ⋅ x 2 ⋅ d − = ⋅ b ⋅ x 2 ⋅ z 3 2 2 3 2 dove si è posto il braccio della coppia interna pari a x z=d− 3 Alternativamente si ha 2 x J ci = ⋅ n ⋅ A a ⋅ x ⋅ (d − x ) + n ⋅ A a ⋅ (d − x )2 = n ⋅ A a ⋅ (d − x ) ⋅ d − = n ⋅ A a ⋅ (d − x ) ⋅ z 3 3 tensioni nel calcestruzzo e nell’acciaio Utilizzando i risultati appena ricavati si ottiene M 2⋅M M M σc = ⋅ x = σ a = n ⋅ ⋅ (d − x ) = J ci J ci x x b ⋅ x ⋅ d − Aa ⋅ d − 3 3
Lezione n. 23 – pag. XXIII.7
Verifiche con il metodo delle tensioni ammissibili
Nel metodo delle tensioni ammissibili, si controlla unicamente che i valori massimi della tensione nell’acciaio e nel calcestruzzo non superino degli opportuni valori di riferimento che verranno descritti nel seguito. Il calcolo si esegue, di norma, in fase II convenzionale, ossia ipotizzando il calcestruzzo fessurato anche per valori molto bassi del carico; di conseguenza, nel caso di flessione semplice, si utilizzano le espressioni appena trovate per la valutazione dello stato tensionale e si opera semplicemente attraverso un controllo del valore della tensione.
A Z Z O B Tensioni ammissibili nel conglomerato
Tensioni normali di compressione ammissibili Sono definite con riferimento alla resistenza caratteristica R ck a 28 giorni: R − 15 R − 150 σc = 6 + ck N / mm 2 σc = 60 + ck kg / cm 2 4 4 Il valore di σc varia linearmente con la resistenza caratteristica da un valore minimo di 6 N/mm 2 (per R ck = 15 N/mm2) ad un massimo di 16 N/mm 2 (per R ck = 55 N/mm2). Nei casi riportati nella seguente tabella deve essere assunto un valore ridotto della tensione normale di compressione ammissibile: valore ridotto di
solette di spessore inferiore a 5 cm travi a T con soletta collaborante di spessore s < 5 cm travi a T con soletta collaborante di spessore s ≥ 5 cm pilastri a compressione semplice con s < 25 cm (s = dimensione minima trasversale della sezione) pilastri a compressione semplice con s ≥ 25 cm (s = dimensione minima trasversale della sezione)
0,7 0,7 0,9
σc
σc σc σc
0,7 [1-0,03 (25 – s)] σc 0,7 σc
Tensioni tangenziali ammissibili Non è richiesta la verifica delle armature al taglio e alla torsione se le tensioni tangenziali massime del conglomerato non superano il valore seguente: R − 15 R ck − 150 2 τc0 = 0,4 + ck τ = + N / mm 2 4 kg / cm c 0 75 75 Laddove questo valore sia superato è necessario predisporre apposite armature, affidando alle staffe non meno del 40 % dello sforzo globale di scorrimento. La massima tensione tangenziale per solo taglio non deve comunque superare il seguente valore: R − 15 R ck − 150 τ = + τc1 = 1,4 + ck N / mm 2 14 kg / cm 2 c1 35 35 Nel caso di concomitanza di taglio e torsione il valore precedente può essere aumentato del 10 %. Tensioni tangenziali di aderenza Le tensioni tangenziali di aderenza delle barre, nell’ipotesi che abbiano un andamento costante, non devono superare i seguenti limiti: barre tonde lisce barre ad aderenza migliorata
τ b = 1,5 τ c0 τ b = 3,0 τ c0
Lezione n. 23 – pag. XXIII.8
Tensioni ammissibili negli acciai da c.a.
Il seguente prospetto elenca i valori delle tensioni ammissibili σa per tutti e quattro i tipi di acciaio previsti dalla normativa per le barre da c.a. Sono inoltre riportati i valori dei rapporti tra la tensione di snervamento f y e la tensione ammissibile σa . acciai da c.a.
barre tonde lisce Fe B 22 k Fe B 32 k
barre ad aderenza migliorata Fe B 38 k Fe B 44 k
A Z Z O B σa
f y f y / σa
115 N/mm2 (1200 kg/cm2) 215 N/mm2
155 N/mm2 (1600 kg/cm2) 315 N/mm2
215 N/mm2 (2200 kg/cm2) 375 N/mm2
255 N/mm2 (2600 kg/cm2) 430 N/mm2
1.87
2.03
1.74
1.69
Confronto con il metodo agli stati limite
Osservando la semplicità del metodo alle tensioni ammissibili, se rapportato al numero ed alla maggiore difficoltà delle verifiche richieste nel metodo agli stati limite, risulta poco evidente come sia possibile raggiungere in una struttura un grado di sicurezza confrontabile operando con due metodi così diversi. In altre parole, in che maniera il solo controllo dello stato tensionale in una sezione può garantire la sicurezza nei confronti di situazioni in realtà molto diverse tra loro, quali quelli contemplate nelle verifiche agli stati limite (rottura, fessurazione, tensioni in esercizio, etc.)? In primo luogo occorre osservare che i tassi di lavoro che si assumono per i materiali nei due metodi sono abbastanza diversi tra loro. Anche limitando l’attenzione al controllo della tensione in esercizio, nella combinazione di carico rara (che corrisponde più o meno alla condizione di carico che si utilizza nel metodo delle tensioni ammissibili) si hanno i seguenti valori (riferiti ad un calcestruzzo di classe R ck 30 e armature FeB44k in ambiente non molto aggressivo):
tensione massima calcestruzzo
(1) stato limite di tensione in esercizio f c ≤ 0.60 ⋅ f ck = 18 MPa
tensione massima acciaio
f s ≤ 0.70 ⋅ f yk = 301 MPa
(2) tensioni ammissibili
rapporto (1)/(2)
σ c ≤ 9.75 MPa
1.85
σ a ≤ 255 MPa
1.18
Ossia operando con il metodo delle tensioni ammissibili si assumono valori tensionali massimi estremamente più contenuti (specialmente nel caso del calcestruzzo che presenta il maggior grado di dispersione nei valori), e quindi si coprono le incertezze legate alle semplificazioni insite nel metodo con una congrua riduzione delle tensioni di lavoro (e quindi con un corrispondente sovradimensionamento della struttura). In secondo luogo, la limitazione della tensione nell’acciaio comporta di fatto un controllo indiretto nella condizione di apertura delle fessure (come risulterà più evidente nel capitolo successivo): in altre parole, limitare la tensione di esercizio nelle armature tese comporta un contenimento nei valori di apertura delle fessure, anche se un calcolo più rispondente alla realtà fisica del fenomeno (come viene effettuato nella valutazione dello stato limite di fessurazione) comporta evidentemente un livello di sicurezza maggiore. In sintesi, operando con il metodo delle tensioni ammissibili si rinuncia ad un controllo puntuale delle possibili cause di crisi o malfunzionamento di una sezione in c.a. operando indirettamente attraverso opportune riduzione nei massimi tassi di lavoro dei materiali: è chiaro che, in questo modo, si raggiunge un livello di sicurezza che può essere paragonabile a quello che si ottiene con il meto-
Lezione n. 23 – pag. XXIII.9
Prescrizioni con il metodo delle tensioni ammissibili
Alcune delle prescrizioni viste nel metodo degli stati limite, assumono espressioni e valori leggermente diversi se si utilizza il metodo delle tensioni ammissibili. Si riportano, nel seguito, le prescrizioni puntuali relative al calcolo dei pilastri e delle travi. Pilastri
Nel calcolo dei pilastri, oltre ad adottare i valori ridotti della tensione ammissibile nel calcestruzzo, occorre disporre un quantitativo minimo di armatura pari a:
A Z Z O B La Normativa fissa dei quantitativi minimi per l’area di acciaio in funzione dell’area Normativa di calcestruzzo: − Aa ≥ 0,008 · Ac,min, dove Ac,min è l’area di calcestruzzo strettamente necessaria per assorbire lo sforzo N [ossia, Ac,min=N/ σc, adm =N/(0.7⋅ σc )] − 0,003 · Ac,eff ≤ A a ≤ 0,06 · Ac,eff , dove Ac,eff è l’area effettiva di calcestruzzo; il limite inferiore (0,003 · Ac,eff ) è imposto per assorbire eventuali momenti flettenti, mentre quello superiore (0,06 · A c,eff ) affinché il calcestruzzo sia in grado di contrastare efficacemente l’inflessione delle armature
Le altre prescrizioni (armature minime di spigolo e staffatura) sono le stesse nei due metodi. Nel caso di verifica per sollecitazioni di presso-flessione si prescrive inoltre che Normativa
Nelle sollecitazioni di pressoflessione la tensione media dell’intera sezione non deve superare la tensione ammissibile per compressione semplice.
È inoltre ammessa una metodologia semplificata di calcolo nel caso eccentricità sufficientemente contenute:
Se N è esterno al nocciolo centrale di inerzia, ma la trazione massima calcolata in sezione interamente reagente non supera 1/5 della massima tensione di com pressione, ossia Normativa σ σ t,max ≤ c,max , 5 si può ancora usare la formula che prevede la sovrapposizione degli effetti purché la risultante delle trazioni venga assorbita da una apposita armatura, dimensionata per sopportare la risultante delle trazioni ad una tensione convenzionale di: - 1200 kg/cm2 per le barre tonde lisce, - 1800 kg/cm2 per le barre ad aderenza migliorata.
Travi
Nelle travi le prescrizioni sono le stesse nei due metodi, salvo che per la disposizione delle armature resistenti a taglio. Utilizzando il metodo delle tensioni ammissibili occorre Normativa
Almeno il 40% dello sforzo di scorrimento deve essere assorbito da staffe (è quindi sempre obbligatorio inserire una staffatura). Anche in assenza di calcolo specifico per le armature a taglio, occorre comunque disporre un’armatura a taglio minima di area almeno pari a 0,10 β* cm2/m, dove β* è la larghezza corrispondente al raggiungimento della tensione tangenziale τc0
Le altre limitazioni (almeno tre staffe al metro, passo non superiore a 0.8 d, limitazioni del passo in
Lezione n. 23 – pag. XXIII.10
Esempi di calcolo con il metodo delle tensioni ammissibili Esempio di progetto di un pilastro soggetto a sforzo normale semplice
Si progetti la sezione di un pilastro di c.a. per sopportare uno sforzo normale di compressione di 150000 kg. Si utilizzino materiali con le seguenti caratteristiche: calcestruzzo di classe R ck 300 kg/cm2, acciaio FeB44k.
97,5
A Z Z O B 1. Area di calcestruzzo strettamente necessaria Si può ricavare l’area strettamente necessaria di calcestruzzo imponendo che non venga superato il valore della tensione ammissibile per sollecitazioni di compressione centrata, ed ipotizzando, come valore di tentativo, un’area di acciaio pari a quella minima richiesta per regolamento, ossia pari allo 0.8% dell’area di calcestruzzo. Così operando, si può porre Aci = Ac + n·Aa = Ac + 15·0.008·A c =1.12·Ac e quindi ricavare 150000 A c,min = = 1962 cm 2 1,12 ⋅ 68,25 Si può quindi adottare una sezione di 45 cm x 45 cm (A c = 45 · 45 = 2025 cm 2) 2. Determinazione del quantitativo minimo di armatura Il quantitativo d’armatura del pilastro deve soddisfare le seguenti disuguaglianze − Aa ≥ 0,008 · Ac,min = 0,008 · 1962 = 15,696 cm 2 − 0,003 · Ac,eff = 0,003 · 2025 = 6,075 cm 2 ≤ Aa ≤ 0,06 · Ac,eff = 0,06 · 2025 = 121,5 cm 2 mettendo insieme le due disuguaglianze si ha: 15,696 cm2 ≤ Aa ≤ 121,5 cm2 si adottano 4 φ 24 = 4 · 4,52 = 18,08 cm 2 3. Tensioni normali nel cls e nell’acciaio Aci = Ac + n·Aa = 2025 + 15 · 18,08 = 2296,2 cm 2 La tensione normale nel calcestruzzo è pari a: N 150000 150000 σc = = = = 65,33 kg / cm 2 ≤ 68,25 kg / cm 2 . A ci 2025 + 15 ⋅ 18,08 2296,2 mentre quella nell’acciaio vale: N σc = n = 15 ⋅ 65,33 = 980 kg / cm 2 ≤ 2600 kg / cm 2 A ci quindi le tensioni normali massime sono inferiori ai valori ammissibili.
Lezione n. 23 – pag. XXIII.11
4. Staffe Alla luce delle prescrizioni di normativa, occorre disporre staffe di diametro non minore di φ6 (che corrisponde anche ad 1/4 dei ferri longitudinali), ad un passo non maggiore del minimo tra 25 cm e 36 cm (15⋅2,4=36, 15 volte il diametro dei ferri longitudinali). Si adottano pertanto staffe φ6/25” (la notazione utilizzata si legge: staffe diametro 6, passo 25 cm). Esempio di verifica di sezione rettangolare di c.a. soggetta a flessione semplice
Si verifichi una sezione rettangolare di c.a. soggetta a un momento flettente di 7000 kgm. La sezione ha dimensioni 30 cm x 50 cm ed è a doppia armatura, con l’armatura inferiore tesa formata da 4 φ 16 e quella superiore da 2 φ 16. I materiali hanno le seguenti caratteristiche: calcestruzzo di classe Rck 300 ed acciaio FeB44k.
A Z Z O B ε ε
2φ16
ε
4φ16
1. calcolo delle aree di armatura e del baricentro di tutte le armature Aa = 4 · 2.01 = 8.04 cm 2 A’a = 2 · 2.01 = 4.02 cm 2 A d + A'a d' 8,04 ⋅ 46,4 + 4,02 ⋅ 3,6 = = 32,13 cm d0 = a A a + A 'a 8,04 + 4,02
2. determinazione della posizione dell’asse neutro n ⋅ (A a + A'a ) 15 ⋅ (8,04 + 4,02) = = 6,03 f = b 30 32,13 x = 6,03 ⋅ − 1 + 1 + 2 = 14,56 cm 6 , 03 N.B. se non si ricorda la formula sopra, si può ricavare x per via diretta, ripercorrendo quanto fatto nella trattazione generale: 1 S x = bx 2 − nA a (d − x ) + nA' a (x − d') = 0 2 1 S x = 30 x 2 − 15 ⋅ 8,04 ⋅ (46,4 − x ) + 15 ⋅ 4,02 ⋅ (x − 3,6) = 0 2 15 x 2 − 5596 + 120,6 ⋅ x + 60,3 ⋅ x − 217 = 0 15 x 2 + 180,9 ⋅ x − 5813 = 0 risolvendo si ricava x = 14,56 cm.
Lezione n. 23 – pag. XXIII.12
3. calcolo del momento di inerzia bx 3 J ci = + nA'a (x − d ')2 + nA a (d − x )2 = 3 = 10 ⋅ 14,563 + 15 ⋅ 4,02 ⋅ (14,56 − 3,6 )2 + 15 ⋅ 8,04 ⋅ (46,4 − 14,56)2 =
= 30.866 + 60,3 ⋅ 120,1 + 120,6 ⋅ 1.013,8 = 160.372 cm 4 4. calcolo delle tensioni M 700.000 σc = x= 14,56 = 63,55 kg / cm 2 ≤ 97,5 kg / cm 2 . J ci 160 372 M 700.000 (46,4 − 14,56) = 2085 kg / cm 2 ≤ 2600 kg / cm 2 σ a = n (d − x ) = 15 . J ci 160 372
A Z Z O B Esempio di verifica di sezione a T soggetta a flessione semplice
Si consideri una trave semplicemente appoggiata di luce 6,00 m, soggetta ad un carico uniformemente distribuito costante di 4500 kg/m. La trave abbia una sezione a T, le cui dimensioni e armature sono indicate nella figura seguente:
Α
Β
4φ22
N.B. Nell’esempio
si immagina che la trave sia a semplice armatura; nella realtà in tutte le travi sono sempre presenti anche armature superiori, che assolvono tra l’altro anche il compito di reggi staffe, cioè di ferri che sostengono le armature trasversali al taglio, di cui si dirà più avanti. Tali armature vengono usualmente ignorate nel calcolo di verifica della trave.
Il momento massimo si ha in mezzeria e vale: 4500 ⋅ 6 2 M max = = 20250 kgm 8 L’armatura è costituita da 4 barre di 22 mm di diametro: A a = 4 ⋅ 3,80 = 15,2 cm 2 La verifica a flessione della sezione di mezzeria si esegue ipotizzando inizialmente che l’asse neutro tagli la soletta superiore. Se dai calcoli questa ipotesi risulta soddisfatta, allora la soluzione trovata è corretta, altrimenti se l’asse neutro taglia l’anima, occorre ripetere il calcolo.
Lezione n. 23 – pag. XXIII.13
1. Asse neutro che taglia la soletta il baricentro dell’armatura dista d dal lembo superiore: d0 ≡ d f assume il seguente valore: nA a 15 ⋅ 15,2 = = 3,8 f = B 60 d 57 x = f − 1 + 1 + 2 0 = 3,8 − 1 + 1 + 2 = 17,36 cm > s (= 16 cm ) f 3,8 essendo x>s, l’asse neutro taglia l’anima, per cui occorre procedere diversamente, considerando una sezione rettangolare larga b, con un’armatura fittizia superiore di area equivalente a quella delle ali della sezione a T 2. omogeneizzazione delle ali ad acciaio L’area delle ali, omogeneizzata ad acciaio, è pari a: (60 − 20) ⋅ 16 A *a = = 42,67 cm 2 15 s A a d + A*a 2 = 15,2 ⋅ 57 + 42,67 ⋅ 8 = 20,87 cm d0 = 15,2 + 42,67 A a + A*a si ricava: 15 ⋅ (15,2 + 42,67 ) f = = 43,40 20 20,87 x = 43,40 ⋅ − 1 + 1 + 2 = 17,39 cm 43 , 40 passiamo ora al calcolo del momento di inerzia della sezione ideale equivalente: (60 − 20) ⋅ 163 20 ⋅ 17,393 2 2 J ci = + 15 ⋅ 15,2 ⋅ (57 − 17,39) + 15 ⋅ 42,67 ⋅ (17,39 − 8) + = 3 12 = 35041,5 + 357775,27 + 56398,5 + 13653,3 = 462868,6 cm 4 le tensioni nel cls e nell’acciaio risultano pari a: M 2025000 σc = x= 17,387 = 76,07 kg / cm 2 < 0,90 ⋅ 97,5 = 87,75 kg / cm 2 J ci 462868,6 (la tensione di compressione nel calcestruzzo della soletta va confrontata con un valore della tensione ammissibile ridotto del 10 %, come prescritto dalla normativa per sezioni a T con soletta di spessore superiore a 5 cm) M 2025000 (57 − 17,387 ) = 2599,5 kg / cm 2 < 2600 kg / cm 2 σ a = n (d − x ) = 15 J ci 462868,6 La verifica è soddisfatta.
A Z Z O B Tensioni ammissibili: progetto di una sezione rettangolare in c.a. a flessione semplice
Si voglia progettare una sezione rettangolare soggetta a flessione semplice. I dati del problema sono: - forma della sezione (rettangolare) - distanza delle armature dal lembo compresso (d, d’) momento flettente di calcolo M
Lezione n. 23 – pag. XXIII.14
- tensioni ammissibili dei materiali ( σ c , σ a ) Le incognite del problema sono 5: - dimensioni della sezione (b, h) - quantitativo di armatura inferiore Aa e superiore A’ a - posizione dell’asse neutro x
A Z Z O B Le equazioni che si possono scrivere sono tre: - 2 equazioni di equilibrio - 1 equazione di congruenza Si consideri il caso di sezione a semplice armatura (A a ≠ 0, A’a = 0), le incognite del problema di riducono pertanto a quattro: b, h, A a, x, una in più delle equazioni disponibili. Per ridurre le incognite a tre, quante sono le equazioni, è sufficiente fissare una delle due dimensioni della sezione (b oppure h). Si fissi allora il valore della larghezza b della sezione; si assumano inoltre le tensioni massime nei due materiali uguali a quelle ammissibili ( σ c = σc , σ a = σ a ), dove σ c è la tensione al lembo superiore compresso. Equazione di congruenza Indicando ancora con d l’altezza utile della sezione (distanza del baricentro dell’armatura dal lembo
superiore), dall’ipotesi di conservazione delle sezioni piane si ricava la seguente relazione tra la deformazione εc del calcestruzzo al lembo superiore e quella εe delle barre di armatura: εc x ε = (dalla similitudine dei triangoli ODA e BAC) d εc + εa ponendo εc K = εc + εa risulta: σc εc σc σc Ec n σc K = = = = = σ ε c + ε a σc + σa σ + E c σ σc + a nσc + σa c a Ec Ea Ea n da cui: x = Kd ε N.B. K
dipende solo dalle tensioni ammissibili del calcestruzzo e dell’acciaio, pertanto note queste ultime è noto il legame tra la posizione dell’asse neutro e la distanza d delle armature dal lembo
Lezione n. 23 – pag. XXIII.15
Equazioni di equilibrio
equilibrio alla traslazione in direzione ortogonale al piano della sezione equilibrio alla rotazione Indicate con C e F le risultanti delle compressioni nel calcestruzzo e delle trazioni nell’acciaio e con z la distanza tra i loro baricentri (vedi figura) nelle barre di armatura, le condizioni di equilibrio sono espresse delle seguenti equazioni: C=F C · z = M (oppure F · z = M) σ o equivalentemente: C·z=M F·z=M La risultante C delle compressioni nel calcestruzzo è pari a: 1 C = ⋅ b ⋅ x ⋅ σc 2 che, utilizzando la relazione x = Kd, si può riscrivere: 1 C = ⋅ b ⋅ K ⋅ d ⋅ σc . 2
A Z Z O B La risultante delle trazioni nell’acciaio è invece pari a: F = A a ⋅ σa . Imponendo l’equilibrio alla rotazione intorno al baricentro dell’armatura: C·z=M (1) La quantità z (braccio della coppia interna) è data dalla seguente espressione: x d K z = d − = d − K ⋅ = 1 − ⋅ d = η ⋅ d 3 3 3 K avendo posto η = 1 − . 3 Sostituendo nella equazione di equilibrio (C · z = M) l’espressione di z e quella di C, si ottiene: 1 ⋅ b ⋅ K ⋅ d 2 ⋅ σc ⋅ η = M 2 da cui si ricava: 2⋅ M M d= = r ⋅ b ⋅ σc ⋅ K ⋅ η b dove 2 r = . σc ⋅ K ⋅ η A questo punto rimane da determinare l’area di acciaio; a questo scopo si utilizza l’equazione di equilibrio alla rotazione intorno al baricentro del calcestruzzo compresso: ⇒ F⋅z = M A a σa ⋅ η ⋅ d = M da cui si ricava: M Aa = . σa η d Inoltre, dato che M d = r
Lezione n. 23 – pag. XXIII.16
la formula precedente può anche essere messa nella forma M b = t M ⋅ b Aa = σa ⋅ η ⋅ r M dove si è posto 1 t= σa ⋅ η ⋅ r
A Z Z O B Il valore di assume valori compresi tra 0,84 e 0,96, per valori di c variabili 2 tra 20 e 150 kg/cm , pertanto si può adottare in prima approssimazione un valore pari a 0,9.
Il problema di progetto a flessione semplice di una sezione rettangolare di c.a. è completamente risolto una volta determinate le tre grandezze: K, r e t, che dipendono solo dalle tensioni ammissibili nei due materiali. Riepilogo Si riepiloga il procedimento da seguire per il progetto di una sezione rettangolare di c.a. a semplice armatura soggetta a flessione semplice:
1. calcolo delle tensioni ammissibili del calcestruzzo e dell’acciaio σ c e σa 2. calcolo di K, r , η e t: n σc 2 K 1 K = , r = , η = 1− t= nσ c + σa σc ⋅ K ⋅ η 3 σa ⋅ η ⋅ r 3. calcolo della distanza d dell’armatura dal lembo compresso M d = r b 4. calcolo della posizione dell’asse neutro x = Kd 5. calcolo del quantitativo minimo di armatura A a = t Mb . I testi sul cemento armato riportano delle tabelle dove sono elencati i valori dei coefficienti K, r , η e t in funzione delle tensioni ammissibili dell’acciaio e del calcestruzzo.
I valori di K e sono adimensionali, r ha le dimensioni di una lunghezza per una forza elevata a ½, mentre t ha le dimensioni di una lunghezza divisa una forza elevata a ½. Pertanto nel progetto di una sezione inflessa di c.a. occorre prestare attenzione ad utilizzare tabelle nelle quali r e t siano espresse nelle stesse unità di misura nelle quali si lavora !!!!
Di seguito si riporta la tabella dei coefficienti K, r , η e t per due diversi valori della tensione ammissibile nell’acciaio, σa =2200 kg/cm2 (FeB38k) e σa =2600 kg/cm2 (FeB44k).
Lezione n. 23 – pag. XXIII.17
2
Le tensioni sono espresse in kg/cm
. Tabella 1
σa = 2200 kg/cm2 (FeB38k)
σc kg/cm2
r
20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 Rck 250 90 95 97.5 Rck 300 100 105 110 Rck 350 115 120 125 130 135 140 145 150
0.932 0.760 0.645 0.563 0.501 0.453 0.415 0.383 0.357 0.334 0.315 0.298 0.283
K 0.120 0.146 0.170 0.193 0.214 0.235 0.254 0.273 0.290 0.307 0.323 0.338 0.353
0.270
η
σa = 2600 kg/cm2 (FeB44k) r
η
1.001 0.814 0.689 0.600 0.533 0.481 0.439 0.405 0.377 0.352 0.331 0.313 0.297
K 0.103 0.126 0.148 0.168 0.188 0.206 0.224 0.241 0.257 0.273 0.288 0.302 0.316
0.966 0.958 0.951 0.944 0.938 0.931 0.925 0.920 0.914 0.909 0.904 0.899 0.895
t 0.000398 0.000493 0.000587 0.000679 0.000769 0.000858 0.000946 0.001032 0.001117 0.001201 0.001284 0.001365 0.001445
0.001916
0.283
0.329
0.890
0.001524
0.873 0.869
0.002012 0.002107
0.271 0.260
0.342 0.354
0.886 0.882
0.001602 0.001679
0.399
0.867
0.002154
0.254
0.360
0.880
0.001718
0.239 0.230
0.405 0.417
0.865 0.861
0.002201 0.002293
0.250 0.240
0.366 0.377
0.878 0.874
0.001756 0.001831
0.222
0.429
0.857
0.002384
0.232
0.388
0.871
0.001905
0.215 0.209 0.203 0.197 0.192 0.187 0.182 0.178
0.439 0.450 0.460 0.470 0.479 0.488 0.497 0.506
0.854 0.850 0.847 0.843 0.840 0.837 0.834 0.831
0.002473 0.002562 0.002649 0.002735 0.002821 0.002905 0.002988 0.003070
0.224 0.217 0.211 0.205 0.199 0.194 0.189 0.184
0.399 0.409 0.419 0.429 0.438 0.447 0.455 0.464
0.867 0.864 0.860 0.857 0.854 0.851 0.848 0.845
0.001978 0.002050 0.002122 0.002193 0.002263 0.002332 0.002400 0.002467
0.960 0.951 0.943 0.936 0.929 0.922 0.915 0.909 0.903 0.898 0.892 0.887 0.882
t 0.000508 0.000629 0.000747 0.000863 0.000977 0.001088 0.001198 0.001306 0.001411 0.001516 0.001618 0.001719 0.001818
0.367
0.878
0.259 0.248
0.380 0.393
0.243
A Z Z O B
Lezione n. 23 – pag. XXIII.18
Di seguito si riporta la stessa tabella dei coefficienti K, r , η e t da utilizzare se le tensioni sono e2 spresse in N/mm . Tabella 2
σa = 215 N/mm (FeB38k)
σa = 255 N/mm2 (FeB44k)
2
σc N/mm2
r
2.0 2.5 3.0 3.5 4.0 4.5 5.0 5.5 6.0 6.5 7.0 7.5 8.0 8.5 Rck 250 9.0 9.5 9.75 Rck 300 10.0 10.5 11.0 Rck 350 11.5 12.0 12.5 13.0 13.5 14.0 14.5 15.0
2.946 2.403 2.040 1.780 1.585 1.433 1.311 1.211 1.127 1.057 0.996 0.943 0.896
K 0.120 0.146 0.170 0.193 0.214 0.235 0.254 0.273 0.290 0.307 0.323 0.338 0.353
0.855
η 0.960 0.951 0.943 0.936 0.929 0.922 0.915 0.909 0.903 0.898 0.892 0.887 0.882
t 0.001607 0.001988 0.002362 0.002728 0.003088 0.003441 0.003788 0.004129 0.004464 0.004793 0.005117 0.005436 0.005750
0.367
0.878
0.818 0.785
0.380 0.393
0.770
r
η
3.164 2.574 2.180 1.898 1.687 1.522 1.390 1.281 1.191 1.114 1.048 0.991 0.941
K 0.103 0.126 0.148 0.168 0.188 0.206 0.224 0.241 0.257 0.273 0.288 0.302 0.316
0.966 0.958 0.951 0.944 0.938 0.931 0.925 0.920 0.914 0.909 0.904 0.899 0.895
t 0.001259 0.001560 0.001856 0.002146 0.002433 0.002714 0.002991 0.003264 0.003533 0.003798 0.004059 0.004316 0.004570
0.006059
0.896
0.329
0.890
0.004820
0.873 0.869
0.006363 0.006663
0.857 0.821
0.342 0.354
0.886 0.882
0.005067 0.005311
0.399
0.867
0.006811
0.805
0.360
0.880
0.005432
0.755 0.728
0.405 0.417
0.865 0.861
0.006959 0.007250
0.789 0.760
0.366 0.377
0.878 0.874
0.005551 0.005789
0.704
0.429
0.857
0.007538
0.733
0.388
0.871
0.006024
0.681 0.660 0.641 0.623 0.607 0.591 0.577 0.563
0.439 0.450 0.460 0.470 0.479 0.488 0.497 0.506
0.854 0.850 0.847 0.843 0.840 0.837 0.834 0.831
0.007821 0.008101 0.008377 0.008650 0.008919 0.009185 0.009448 0.009707
0.709 0.687 0.666 0.647 0.629 0.613 0.598 0.583
0.399 0.409 0.419 0.429 0.438 0.447 0.455 0.464
0.867 0.864 0.860 0.857 0.854 0.851 0.848 0.845
0.006255 0.006484 0.006710 0.006934 0.007155 0.007373 0.007589 0.007803
A Z Z O B N.B. Per
determinare i valori di K, r , η e t corrispondenti a valori della tensione nel cls non contemplati nelle precedenti tabelle si può utilizzare l’interpolazione lineare, senza commettere errori significativi.
Lezione n. 23 – pag. XXIII.19
Esempio di progetto a flessione semplice di sezione rettangolare di c.a.
Si progetti una sezione rettangolare di c.a. soggetta ad un momento flettente di 12000 kgm. Si utilizzi un calcestruzzo di classe R ck ≥300 kg/cm2 e un acciaio tipo FeB44k. ε
A Z Z O B ε
1. Tensioni ammissibili dei materiali La tensione ammissibile di compressione del calcestruzzo è pari a: R − 150 σ c = 60 + ck = 97,5 kg / cm 2 4 mentre la tensione ammissibile dell’acciaio è pari a: σ a = 2600 kg / cm 2 . Si fissa b = 25 cm (di solito la larghezza della sezione di una trave è imposta da esigenze di natura architettonica) dalle tabelle precedenti per σ c = 97,5 kg / cm 2 e per σa = 2600 kg / cm 2 si ricava: K = 0,360 r = 0,254 η = 0,880 t=0,001718 pertanto si ha: M 1200000 d = r = 0,254 = 55,65 cm (1) b 25 x = K d = 0,36 · 55,65 = 20 cm A a = t Mb = 0,001718 ⋅ 1200000 ⋅ 25 = 9,41 cm 2 In alternativa all’utilizzo del coefficiente t, si può anche utilizzare la formula M 1200000 Aa = = = 9,42 cm 2 σa η d 2600 ⋅ 0,88 ⋅ 55,65 che fornisce risultati (a meno delle inevitabili approssimazioni dovute al troncamento delle cifre decimali) identici. Se per calcolare A a si fosse utilizzato il valore di η approssimato a 0,9, si sarebbe ottenuto: M 1200000 Aa = = = 9,22 cm 2 σ a η d 2600 ⋅ 0,9 ⋅ 55,65 cioè si sarebbe commesso un errore sull’area di acciaio di solo il 2 % !!! 2. Scelta delle caratteristiche della sezione Si adotta pertanto un’altezza di 60 cm e 4 barre di 18 mm di diametro; così facendo si ha: d = 60 – 2 – 1,8/2 = 57,1 cm > 55,65 cm (1)
Da notare che il valore del momento flettente è stato espresso in kgcm, essendo le dimensioni geometriche
Lezione n. 23 – pag. XXIII.20
Aa = 4 · 2,54 = 10,16 cm 2 > 9,41 cm 2.
A Z Z O B Se si esprimono i valori delle tensioni in N/mm 2, occorre utilizzare la Tabella 2, dalla quale risulta: K = 0.360 r = 0.805 η = 0.880 t=0.005432 pertanto si ha: M 120.000.000 d = r = 0,805 = 557,72 mm = 55,77 cm (2) b 250 N.B.:
A a = t Mb = 0,005432 ⋅ 120.000.000 ⋅ 250 = 941 mm 2
Lezione n. 24 Il cemento armato La verifica alla S.L. di fessurazione Il problema della fessurazione nel C.A.
A Z Z O B La presenza di fessure nelle strutture in cemento armato rappresenta una situazione fisiologica e, di conseguenza, spesso inevitabile. La fessurazione è infatti dovuta alla bassa resistenza a trazione del conglomerato cementizio, per cui, se in un elemento o in parti di esso sono presenti tensioni di trazione, risulta pressoché impossibile evitare l’insorgere del fenomeno. Occorre tuttavia controllare il fenomeno e questo essenzialmente per due classi di motivi: - da una parte è opportuno che la presenza delle fessure non causi una menomazione estetica della strutture, per lo meno in misura tale da provocare allarme negli utilizzatori - dall’altra, il calcestruzzo agisce come protezione delle armature tese, di conseguenza è bene che le fessure non raggiungano aperture così elevate da rappresentare un punto debole attraverso il quale si può propagare la corrosione nell’acciaio. E’ inoltre evidente che in alcuni casi specifici occorrerà addirittura evitarne la presenza (ad esempio in situazioni di particolari pericoli legati alla fuoriuscita di sostanze tossiche o nel caso in cui sia richiesta una forte tenuta idraulica): in queste situazioni sarà quindi necessario evitare la trazione nell’elemento in cemento armato (ad esempio, ricorrendo ad una forza di compressione aggiunta dall’esterno, come è nel caso della precompressione) o, almeno, controllare che le massime trazioni nel calcestruzzo non superino la sua resistenza a trazione. E’ infine da notare che la presenza di fessure non comporta in generale una diminuzione della resistenza ultima dell’elemento in cemento armato, pertanto le considerazioni e le conseguenti verifiche che dovranno essere effettuate, riguardano essenzialmente verifiche di “esercizio”, ossia nei confronti delle azioni che la struttura dovrà subire nel corso delle condizioni di utilizzo corrente. In generale, si possono distinguere le seguenti possibilità (che rappresentano altrettante condizioni di stati limiti di esercizio che saranno successivamente introdotte nelle verifiche: - stato limite di decompressione: la sezione, per la combinazione di carico considerata, è comunque compressa, per cui non si ha formazione di fessure; - stato limite di formazione delle fessure: nella sezione, o in parte di essa, il calcestruzzo ha raggiunto la sua resistenza a trazione, per cui diviene possibile la formazione delle fessure; - stato limite di apertura controllata delle fessure: superata la resistenza a trazione, è possibile la formazione delle fessure, per cui si opera introducendo opportune limitazioni sui valori massimi che vengono ritenuti ammissibili. Analisi del fenomeno fisico: il caso del tirante
Se si suppone di sottoporre ad uno sforzo di trazione pari ad N una barra in acciaio (di diametro Ø e area As) circondata da una sezione di calcestruzzo (di area A c), si ha: - All’estremità dell’elemento, la trazione applicata sulla barra, è assorbita interamente da quest’ultima, nella quale si ha quindi una tensione pari a N σ s' = As mentre nel calcestruzzo non si hanno tensioni. - Proseguendo verso l’interno della sezione, una parte dello sforzo viene progressivamente trasferita dall’armatura al calcestruzzo, attraverso lo sviluppo delle tensioni di aderenza tra calcestruz-
Lezione n. 24 – pag. XXIV.2
acciaio, ed il progressivo aumento della tensione normale nel conglomerato cementizio, fino al valore massimo N N σc = = A ci A c + n ⋅ A s con il consueto significato dei simboli introdotti. La tensione nell’acciaio raggiunge il valore N n ⋅ N σs = n ⋅ σ c = n ⋅ = A ci A c + n ⋅ A s
A Z Z O B Evoluzione delle tensioni e delle fessurazione in un tirante in c.a.
Lezione n. 24 – pag. XXIV.3
- Tale situazione è costante su tutto l’elemento, ad esclusione dell’altro tratto terminale, in cui si ha la stessa situazione di estremità descritta in precedenza. La lunghezza della zona in cui si ha il progressivo trasferimento di una parte dello sforzo dall’acciaio al calcestruzzo si indica con λ e viene definita come “lunghezza di trasferimento”. - Aumentando il valore dello sforzo normale N, si raggiungerà ad un certo livello del carico la massima resistenza a trazione del calcestruzzo, per cui, nel tratto interno dell’elemento in cui si ha la completa distribuzione delle trazioni su tutta la sezione, può manifestarsi una prima fessura; la posizione di tale fessura è casuale, e può coincidere con un qualsiasi punto dell’elemento in cui si ha, ad esempio, una sezione più debole delle altre. - Nel punto in cui si è formata la fessura, la situazione si modifica e qualitativamente diviene simile alla situazione di estremità; per due tratti di lunghezza λ la trazione si trasferisce dall’acciaio al calcestruzzo, con la stessa variabilità descritta in precedenza. - E’ chiaro che in tutte le zone in cui il calcestruzzo è ancora alla massima tensione di trazione si possono formare ulteriori fessure, quindi il fenomeno (istantaneamente) procede fino a che non si raggiunge la situazione di “fessurazione stabilizzata”, ossia si è aperto un numero tale di fessure per cui in nessuna zona il calcestruzzo ha raggiunto la sua massima resistenza a trazione. E’ altresì evidente che in questa situazione finale ogni fessura disterà dall’altra di una quantità s che risulterà compresa entro i limiti
A Z Z O B λ ≤ s ≤ 2⋅λ La distanza media tra le fessure viene indicata con s rm e risulterà anch’essa contenuta entro i limiti precedenti. - Se a questo punto si aumentasse ancora lo sforzo di trazione N nell’elemento, non si avrebbe una variazione nello stato fessurativo nella trave, ma soltanto un incremento della tensione nell’acciaio nelle zone in cui si è verificata la rottura del calcestruzzo teso (da qui il nome di fessurazione stabilizzata per tale situazione). Lo studio analitico del fenomeno appena descritto è abbastanza complesso, per cui si ricorre spesso a trattazioni approssimate, corrette con i risultati ottenuti in alcuni casi per via analitica e, più frequentemente, da prove sperimentali. Espressioni approssimate per la valutazione dell’ampiezza delle fessure
Si può cercare di affrontare il problema della determinazione dell’ampiezza raggiunta dalle fessure in condizioni di fessurazione stabilizzata, operando in maniera semplificata. Calcolo della lunghezza di trasferimento
Per l’equilibrio dell’elemento di calcestruzzo di lunghezza λ, al momento dell’apertura della fessura, si ha N σc = = f A ci ct
dove si è imposto il valore del livello tensionale pari ad un valore che caratterizza la tensione di rottura a trazione del calcestruzzo (ad esempio, la resistenza media a trazione f ctm o un altro opportuno frattile). La tensione nell’acciaio è passata dal valore N σs' = As
Lezione n. 24 – pag. XXIV.4
σs = n ⋅ σ c = n ⋅ f c e la conseguente differenza di sforzo normale nella barra di acciaio
(
∆ N = A s ⋅ σ s' − σ s si è trasferita per aderenza al calcestruzzo, ossia ∆ N = A c ⋅ f ct Imponendo l’equilibrio alla traslazione della barra ed indicando con τ b le tensioni di aderenza tra calcestruzzo e acciaio
A Z Z O B λ
∫
∆ N = π ⋅ Ø ⋅ τ b (z ) dz = π ⋅ Ø ⋅ λ ⋅ τ b, m 0
dove π·Ø è l’area della superficie laterale della barra e dove si è indicato con τ b,m il valore medio della tensione tangenziale. Si ottiene quindi A c ⋅ f ct = π ⋅ Ø ⋅ λ ⋅ τ b,m Operando la sostituzione
Ac 1 π ⋅ Ø 2 A c ⋅ f ct = ⋅ A ⋅ f = ⋅ ⋅ f A s s ct ρ 4 ct in cui si è indicata con A ρ= s Ac la percentuale geometrica di armatura, si arriva all’espressione π ⋅ Ø 2 1 ⋅ ⋅ f = π ⋅ Ø ⋅ λ ⋅ τ b, m ρ 4 c ossia 1 f Ø λ = ⋅ ct ⋅ 4 τ b,m ρ
cioè la lunghezza di trasferimento (e quindi la distanza media tra le fessure) dipende dalle caratteristiche del calcestruzzo (in particolare, dal rapporto tra la resistenza a trazione e la resistenza di aderenza), dal diametro dell’armatura ed inversamente dalla percentuale di armatura presente. Valutazione dell’ampiezza media delle fessure
Il valore dell’ampiezza media delle fessure può essere valutato considerando la differenza di allungamento tra la barra in acciaio e il calcestruzzo posto all’interno del concio situato tra due fessure consecutive. Indicando con s la distanza tra le due fessure ed ipotizzando un andamento lineare delle tensioni lungo s (quindi, la tensione nell’acciaio decresce linearmente da σ’s a σs, mentre nel calcestruzzo la tensione aumenta, sempre in maniera lineare, tra 0 e f ct) si ottiene s
∆s s =
∫ 0
σs (z ) σs' + σs s 2σ s' − ∆σ s s dz = ⋅ = ⋅ Es 2 Es 2 Es
Lezione n. 24 – pag. XXIV.5
∆ N A c ⋅ f ct f ct = = ρ As As nel calcestruzzo si ottiene ∆σ =
s
σ c (z ) f s dz = ct ⋅ Ec 2 Es 0
∆s c = ∫
Questo secondo termine è sostanzialmente trascurabile, per cui il valore di ampiezza della fessura può essere stimato con
A Z Z O B 2σ s' − ∆σ s s ∆s = ∆s s − ∆s c ≈ ∆s s = ⋅ 2 Es
Si può introdurre il valore della deformazione media dell’acciaio ( εsm), ottenendo la relazione finale ∆s s 2σ s' − ∆σ s σ s' 1 f ct σ s' 1 f ct ε sm = = = − = ⋅ 1 − s 2 ⋅ Es E s 2 ρ ⋅ E s E s 2 ρ ⋅ σ s'
nella quale si nota che la deformazione della barra isolata (ossia senza la presenza del calcestruzzo) viene ridotta dalla presenza del calcestruzzo teso tra le due fessure. Tale effetto prende il nome di “tension stiffening” e contribuisce a limitare l’ampiezza delle fessure. In ultima analisi, il valore medio di apertura delle fessure (w m) può quindi essere stimato attraverso il prodotto della distanza media tra le fessure (s rm) e il valore della deformazione media nell’acciaio (εsm), ottenendo cioè w m = s rm ⋅ ε sm che rappresenta l’equazione utilizzata da molte delle prescrizioni normative. Le prescrizioni normative
Nella normativa italiana vengono individuate tre condizioni possibili nei confronti della fessurazione, di seguito elencate in ordine crescente di severità: - stato limite di decompressione (si raggiunge quando la tensione massima di trazione nel calcestruzzo raggiunge il valore nullo): individua quindi il passaggio da sezione interamente compressa a sezione parzialmente tesa; - stato limite di formazione delle fessure: la tensione normale di trazione raggiunge il valore caratteristico della resistenza del calcestruzzo, fissato in f ctk = 0.7 ⋅ f ctm f cfk = 0.7 ⋅ f cfm = 0.7 ⋅ (1.2 ⋅ f ctm ) = 0.84 ⋅ f ctm
rispettivamente per sollecitazioni di trazione e per trazioni derivante da flessione, e corrisponde alla situazione limite al di sopra della quale si possono formare fessure nel calcestruzzo teso; - stato limite di apertura controllata delle fessure (si accetta la formazione delle fessure ma se ne controlla il valore caratteristico w m di apertura). Si individuano inoltre le tre possibili situazioni di “aggressività” dell’ambiente in cui si può trovare la struttura viste in precedenza: - ambiente poco aggressivo, caratterizzato da umidità relativa non elevata o da umidità relativa elevata per brevi periodi; - ambiente moderatamente aggressivo, caratterizzato da un’elevata umidità relativa in assenza di vapori corrosivi; - ambiente molto aggressivo, caratterizzato da presenza di liquidi o di aeriformi particolarmente corrosivi.
Lezione n. 24 – pag. XXIV.6
- armature sensibili alla corrosione (armature costituite da acciai temprati, non rinvenuti, o acciai incruditi a freddo soggetti ad elevati valori di tensione permanente) (+); - armature poco sensibili alla corrosione (tutte le altre armature, oppure armature adeguatamente protette). In funzione quindi delle condizioni individuate (aggressività dell’ambiente e sensibilità delle armature ala corrosione), vengono di volta in volta determinate le combinazioni delle azioni da prendere in considerazione ed il relativo stato ultimo da controllare, secondo quanto indicato nel seguente prospetto:
A Z Z O B Gruppi di esigenze
a
b
C
Condizioni ambiente
Poco aggressivo
Moderatamente aggressivo
Molto aggressivo
Combinazione di azioni
Armatura Sensibile Poco sensibile
Stato limite
wk Stato limite
wk
frequente
ap. fessure
≤ w2
ap. fessure
≤ w3
quasi permanente
decomp. o ap. fessure
≤ w1
ap. fessure
≤ w2
frequente
ap. fessure
≤ w1
ap. fessure
≤ w2
quasi permanente
decomp.
-
ap. fessure
≤ w1
rara
ap. fessure
≤ w1
ap. fessure
≤ w2
frequente
decomp.
-
ap. fessure
≤ w1
I tre limiti w1, w2 e w3 sono fissati rispettivamente in w 1=0.1 mm, w2=0.2 mm e w 3=0.4 mm. Nel caso in cui si proceda alla verifica secondo lo stato limite di apertura controllata delle fessure, il valore caratteristico si valuta con w k = 1.7 ⋅ w m dove w m = s rm ⋅ ε sm
Per la valutazione dei due termini s rm (distanza media tra le fessure) e εsm (deformazione media delle armature) la Normativa Italiana fornisce i criteri riportati nel seguito. Valutazione della distanza media tra le fessure
Nella normativa italiana sono proposte le espressioni seguenti: Ø s s rm = 2 ⋅ c + + k 2 ⋅ k 3 ⋅ ρ r 10 dove: c ricoprimento dell’armatura; s distanza tra le barre; se s >14 ⋅∅, si adotterà s =14⋅∅; ∅ diametro della barra; k 2 coefficiente che caratterizza l’aderenza del calcestruzzo alla barra: k 2=0.4 per barre ad aderenza migliorata; k 2=0.8 per barre lisce.
Lezione n. 24 – pag. XXIV.7
k 3
coefficiente che tiene conto della forma del diagramma delle tensioni prima della fessurazione, in base al seguente prospetto: k 3=0.250 nel caso di trazione pura; σ + σ nel caso di trazione eccentrica o nel caso in cui si consideri una sola k 3 = 0.250 ⋅ 1 2 parte della sezione, dove σ e σ rappresentano le tensioni nel calce1 2 2 ⋅ σ1 struzzo teso (σ1>σ2) ai bordi della sezione, considerata interamente reagente; k 3=0.125 nel caso di diagramma triangolare di flessione o presso flessione (asse neutro interno alla sezione). rapporto tra l’area dell’armatura longitudinale As posta all’interno dell’area efficace di calcestruzzo Ac,eff , e l’area efficace di calcestruzzo A ρ r = s A c, eff L’area efficace di calcestruzzo A c,eff è l’area di calcestruzzo entro la quale la barra di acciaio può effettivamente influenzare l’apertura della fessura. In generale, si suppone che ogni singola barra delimiti un’area efficace di forma circolare con diametro pari a 14 volte il diametro della barra. Per i casi più frequenti, la normativa riporta una figura in cui vengono rap presentati i valori comuni da assumere nel calcolo dell’area efficace.
A Z Z O B ρr
Valutazione della deformazione media delle armature
2 σsr σs σ ≥ 0.4 ⋅ s εsm = ⋅ 1 − β1 ⋅ β2 ⋅ Es E s σs dove: σs tensione nell’acciaio calcolata nella sezione fessurata per la combinazione di azioni considerata; σsr tensione nell’acciaio calcolata nella sezione fessurata per la sollecitazione corrispondente al raggiungimento della resistenza a trazione f ctm nella fibra di calcestruzzo più sollecitata in sezione interamente reagente, compresa nell’area efficace; β1 coefficiente che rappresenta l’aderenza acciaio-calcestruzzo: β1=1.0 per barre ad aderenza migliorata; β1=0.5 per barre lisce. β2 coefficiente che tiene conto delle condizioni di sollecitazione: β2=1.0 nel caso della prima applicazione di un’azione di breve durata; β2=0.5 nel caso di azioni di lunga durata o di azioni ripetute.
Alcune osservazioni
Considerando il prodotto tra i due termini s rm e εsm, che definisce il valore medio di ampiezza delle fessure, si può osservare che in generale si ottiene un valore contenuto di w m operando: 2 s σ sr Ø σ s w m = 2 ⋅ c + + k 2 ⋅ k 3 ⋅ ⋅ ⋅ 1 − β1 ⋅ β 2 ⋅ ρ σ 10 E r s s - sul diametro dei ferri (a parità di area dell’armatura, è in generale conveniente utilizzare ferri di piccolo diametro, non troppo “spaziati” tra loro, in modo da ridurre la distanza media delle fessure);
Lezione n. 24 – pag. XXIV.8
- sulla quantità di armatura (un aumento di armatura riduce sia la distanza tra le fessure, aumentando ρr , sia la tensione σs nelle armature stesse, quindi riducendo la deformazione nelle armature). E’ quindi evidente che i due parametri che influenzano maggiormente il calcolo di fessurazione sono offerti dal diametro dell’armatura, ∅, e dal tasso di lavoro dell’acciaio, σs. In alcune normative tale concetto è riassunto in tabelle che consentono di evitare il calcolo delle fessurazione attraverso un’opportuna limitazione della tensione nelle armature, quest’ultima espressa in funzione del diametro delle barre; per ottenere lo stesso valore di apertura delle fessure occorrerebbe infatti disporre un quantitativo sempre maggiore di armatura in proporzione al diametro delle barre impiegate. L’Eurocodice 2, ad esempio, riporta una tabella in cui si definisce il diametro massimo delle barre utilizzabili per limitare l’ampiezza delle fessure al valore di 0.3 mm, in funzione del tasso di lavoro dell’acciaio:
A Z Z O B Tensione nell’acciaio [MPa] 160 200 240 280 320 360 400 450
Diametro [mm] 32 25 20 16 12 10 8 6
Esempio di calcolo di fessurazione
Si valuti il valori caratteristico di ampiezza delle fessure nella sezione seguente, al variare di diverse possibili disposizioni di armatura: A’a=0 mm2 Aa ≈ 900 mm2 B = 250 mm H = 450 mm c = 20 mm M = 7⋅107 Nmm = 0.07 MNm R ck = 30 N/mm2 ∅st = 8 mm (diametro staffe)
Per il calcestruzzo R ck 30 la resistenza media a trazione è offerta dalla relazione: 2 f ctm = 0.27 ⋅ 3 R ck = 2.61 MPa
Come prima soluzione, si dispongono nella trave 6 ∅14 (Aa = 6×154 = 924 mm2).
Lezione n. 24 – pag. XXIV.9
Calcolo in condizione non fessurata
Il momento di fessurazione (M cr , dove il pedice indica la condizione di “cracking” ossia di fessurazione), corrispondente al raggiungimento della tensione f ctm nella fibra maggiormente tesa della sezione in regime non fessurato, si può calcolare come segue. A ci = 250 ⋅ 450 ⋅ +15 ⋅ 924 = 125360 mm 2 450 + 15 ⋅ 924 ⋅ (20 + 8 + 7 ) 2 xG = = 204 mm A ci dove si è assunto n=15 (coeff. di omogeneizzazione) e si è indicata con x G la posizione del baricentro della sezione rispetto al lembo teso. Il termine tra parentesi tonda rappresenta la distanza del baricentro delle armature dal lembo teso, dovuta alla somma dei termini c, ∅st e ∅/2. L’altezza utile della sezione vale d = h − c − Øst − Ø / 2 = 450 − 20 − 8 − 7 = 415 mm di conseguenza il momento di inerzia della sezione in regime non fessurato vale 250 ⋅ 450 ⋅
A Z Z O B 2
250 ⋅ 4503 450 J ci,1 = + 250 ⋅ 450 ⋅ − x G + 15 ⋅ 924 ⋅ (415 − x G )2 = 2.563 ⋅109 mm 4 12 2 Quindi si ottiene J ci,1 2.563 ⋅109 ⋅ f ctm = ⋅ 2.61 = 3.273 ⋅107 Nmm = 0.033 MNm M cr = xG 204 Calcolo in condizione fessurata
La posizione dell’asse neutro (rispetto al lembo compresso della sezione) in condizione fessurata è offerta dalla soluzione dell’equazione di secondo grado x 2 + 2 ⋅ f ⋅ x − f ⋅ d = 0 in cui f è offerto dalla relazione n ⋅ A a 15 ⋅ 924 f = = = 55.4 mm b 250 Si ottiene quindi d 415 x = f ⋅ − 1 + 1 + 2 = 55.4 ⋅ − 1 + 1 + 2 ⋅ = 166 mm f 55 . 4
Di conseguenza si ottiene 1 1 J ci = ⋅ b ⋅ x 3 + n ⋅ A s (d − x )2 = ⋅ 250 ⋅ 166 3 + 15 ⋅ 924 ⋅ (415 − 166 )2 = 1.241 ⋅ 10 9 mm 4 3 3 In corrispondenza del momento di fessurazione M cr la tensione nell’acciaio vale M cr 3.273 ⋅107 σ sr = n ⋅ ⋅ (d − x ) = 15 ⋅ ⋅ (415 − 166) = 98.5 MPa J ci 1.241⋅109 mentre per il momento M si ha M 7.000 ⋅107 σ s = n ⋅ ⋅ (d − x ) = 15 ⋅ ⋅ (415 − 166) = 210.7 MPa J ci 1.241⋅109 Calcolo dell’ampiezza delle fessure
E’ a questo punto possibile valutare il valore dell’ampiezza delle fessure. Utilizzando le espressioni
Lezione n. 24 – pag. XXIV.10
Distanza media tra le fessure: s Ø s rm = 2 ⋅ c + + k 2 ⋅ k 3 ⋅ ρ r 10 dove: k 2 = 0.4 (barre ad aderenza migliorata) k 3 = 0.125 (asse neutro interno alla sezione) Distanza tra le barre di armatura (*): b − 2 ⋅ c − 2 ⋅ Øst − Ø 250 − 2 ⋅ 20 − 2 ⋅ 8 − 14 s= = = 36 mm n a −1 5
A Z Z O B dove si è indicato con n a il numero delle barre presenti (n a=6). Altezza della zona efficace: d eff = c + Øst + 7.5 ⋅ Ø = 20 + 8 + 7.5 ⋅14 = 133 mm Area efficace di calcestruzzo: A c, eff = b ⋅ d eff = 250 ⋅133 = 33250 mm 2
ρ r =
As 924 = = 0.0278 A c, eff 33250
e quindi
36 14 s rm = 2 ⋅ 20 + + 0.4 ⋅ 0.125 ⋅ = 47.2 + 25.2 = 72.4 mm 10 0.0278 Deformazione unitaria media nelle armature: 2 σsr σs σ ≥ 0.4 ⋅ s εsm = ⋅ 1 − β1 ⋅ β2 ⋅ Es E s σs dove: β1 = 1.0 (barre ad aderenza migliorata) β2 = 0.5 (azioni ripetute) e quindi 2 210.7 98.5 ε sm = ⋅ 1 − 1.0 ⋅ 0.5 ⋅ = 9.11⋅10 − 4 206000 210.7 dal momento che la grandezza ricavata risulta maggiore del limite σ 210.7 ε sm, min ≥ 0.4 ⋅ s = 0.4 ⋅ = 4.09 ⋅10 − 4 Es 206000 il valore ricavato può essere utilizzato nella verifica. Valore caratteristico di ampiezza delle fessure: w k = 1.7 ⋅ w m = 1.7 ⋅ s rm ⋅ ε sm = 1.7 ⋅ 72.4 ⋅ 9.11⋅10 −4 = 0.112 mm
(*)
Occorre ricordare che la distanza minima tra le barre di armatura è pari al diametro della barra stessa e comunque non inferiore a 2 cm. Di conseguenza, il valore di s deve essere sicuramente superiore al doppio del diametro
Lezione n. 24 – pag. XXIV.11
E’ interessante notare quello che si otterrebbe variando l’armatura nella trave, considerando cioè altre barre di armatura che conducano grosso modo alla stessa armatura complessiva. Nel prospetto seguente sono riportati i risultati che derivano dal calcolo: armatura 6∅14 5∅16 4∅18 3∅20
Aa [mm2] 924 1005 1018 943
s [mm] 36.0 44.5 58.7 87.0
Mcr [Nmm] 3.273⋅107 3.381⋅107 3.388⋅107 3.267⋅107
σsr [MPa] 98.5 94.2 93.5 97.3
σs [MPa] 210.7 195.1 193.3 208.4
wk [mm] 0.0112 0.0111 0.0124 0.0160
A Z Z O B E’ interessante notare il ruolo che gioca la diversa disposizione di armatura piuttosto che l’area complessiva dell’armatura disposta. Infatti, a fronte di piccole differenze di area totale di armatura disposta nella sezione (non si hanno differenze maggiori del 10% in termini di quantitativi complessivi di area), si hanno differenze anche notevoli (fino al 44%) nel valore dell’ampiezza delle fessure. La condizione più favorevole è, in generale, offerta dall’utilizzo di ferri di diametro più piccolo. Ad esempio, nell’esempio precedente, volendo contenere il valore caratteristico dell’apertura delle fessure entro i limiti di 0.1 mm o 0.2 mm, occorrerebbe limitare il valore della tensione nell’acciaio ai valori riportati nella seguente tabella (in MPa), in funzione del diametro delle barre impiegate: diametro 14 16 18 20 22 24
wk <0.1 mm 190 175 160 145 140 140
wk <0.2 mm 345 320 290 245 245 245
Lezione n. 24bis Il cemento armato Il problema dell’aderenza e la disposizione delle armature Esempio di calcolo di una trave in C.A. La disposizione delle armature
A Z Z O B La progettazione delle sezioni critiche in un elemento in c.a. comporta la definizione delle armature nelle sole sezioni maggiormente sollecitate. Il completamento dell’armatura in una struttura in c.a. avviene tenendo conto dell’effetto di confinamento che è necessario fornire al calcestruzzo in modo da consentire un efficace funzionamento della sezione in c.a. Occorre inoltre tenere presenti quelle che saranno le modalità di esecuzione dell’opera (ossia le successive fasi di getto) per determinare correttamente i cosiddetti “tagli” di armatura, ossia la conformazione delle armature e la definizione delle zone di sovrapposizione. Supponendo di operare con un elemento semplicemente inflesso (ad esempio, una trave), una volta progettate le sezioni più sollecitate, il progetto dell’intera trave si effettua controllando che in ogni sezione il momento resistente M sdu sia sempre superiore al momento esterno M rdu di calcolo: Msdu ≥ Mrdu . Il controllo si ottiene costruendo il diagramma dei momenti resistenti e facendo in modo che esso “copra” il diagramma del momento esterno di calcolo. In altre parole, è possibile ipotizzare delle riduzioni (o comunque delle modifiche) nelle armature metalliche per “seguire” l’andamento dell’effettivo diagramma dei momenti sollecitanti al fine di evitare un eccessivo spreco di armatura metallica. Occorre notare che, teoricamente, sarebbe anche possibile ottimizzare la conformazione della sezione modificandone la geometria, adottando cioè sezioni più grosse dove le sollecitazioni sono maggiori e viceversa operando delle riduzioni nelle dimensioni nelle zone meno sollecitate. Di solito si opera, per facilità di esecuzione, con elementi a sezione costante, quindi l’unica operazione di ottimizzazione possibile è offerta dalla modifica nella disposizione delle armature resistenti. Il calcolo effettuato nella sezione maggiormente sollecitata consente quindi la definizione della geometria dell’elemento, mentre l’andamento dei diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione suggerisce la disposizione ottimale delle armature. Si ipotizzano quindi modifiche delle armature nelle zone di inversione delle sollecitazioni flettenti, e riduzioni delle stesse dove i momenti sono inferiori, sempre controllando che in nessuna sezione si fornisca una resistenza alla sezione inferiore rispetto alla sollecitazione. È così possibile operare “tagli” nelle armature (ossia interrompere alcune delle armature perché non necessarie nella zona esaminata) oppure procedere ad “integrazioni” delle armature (ad esempio per coprire zone con momento di segno diverso). Nel caso in cui si proceda ad una riduzione delle armature presenti in una sezione occorrerà prolungare le armature che non risultano più necessarie in termini di momento resistente della sezione oltre la posizione in cui esse non vengono più utilizzate, di una lunghezza almeno pari a quella che è definita “lunghezza di ancoraggio” (indicativamente, 40 φ) che sarà introdotta nel paragrafo successivo. Nel caso in cui (ad esempio nella realizzazione del primo pilastro che spicca dalla fondazione della struttura o nella realizzazione della parte in elevazione di un muro di sostegno) si debba procedere ad una “ripresa di getto”, ossia il getto avvenga in più fasi successive, l’ancoraggio delle armature deve essere predisposto prima del getto della fondazione: può quindi essere opportuno “spezzare” tali armature in due tratti, il primo dei quali predisposto all’interno della fondazione, ed il secondo da disporre preliminarmente al getto dell’opera in elevazione. I due tratti devono essere sovrapposti
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.2
per un tratto che garantisca la trasmissione dello sforzo di trazione da uno all’altro, secondo una modalità analoga a quella già illustrata per l’ancoraggio delle barre. Di conseguenza si richiederà ancora una lunghezza di sovrapposizione pari a 40 φ (aumentata, come si vedrà, a circa 60 φ se in zona tesa) per permettere l’insorgere del meccanismo di trasmissione degli sforzi. La necessità di fornire un opportuno confinamento al calcestruzzo, richiede inoltre la presenza di armature lungo tutto il perimetro della struttura, per cui occorrerà aggiungere armature (seppure in misura ridotta) anche nelle zone compresse. Riguardo al progetto di travi in c.a. è necessario a tal fine premettere due osservazioni: - la presenza di una staffatura (anche se minima) è obbligatoria: quindi la necessità di “sorreggere” gli spigoli delle staffe comporta la disposizione di almeno quattro barre di armatura (due all’estradosso e due all’intradosso della sezione) che svolgono il ruolo di “reggistaffe” (a); queste barre, che dovrebbero essere costituite da parte dell’armatura prevista nel calcolo, vengono a volte aggiunte indipendentemente dalle verifiche della sezione, nelle zone dove si è operato al progetto (o alla verifica) con armatura semplice. In generale si preferisce ipotizzare che almeno queste armature corrano lungo tutta la trave (e quindi eventualmente si aggiungono le armature ove necessario), in modo da realizzare una “gabbia” di armatura (l’insieme delle armature più le staffe) che può essere assemblata a “piè d’opera” esternamente alla zona del getto, e successivamente collocata nelle casserature per procedere con il getto. - in zona sismica (e quindi praticamente su tutto il territorio italiano) è bene conferire una certa duttilità alle sezioni in c.a., caratteristica che si ottiene, tra l’altro, attraverso un buon confinamento del calcestruzzo compresso; è quindi generalmente previsto che, almeno alle estremità delle travi, si abbia sempre la presenza di un’armatura compressa non inferiore della metà di quella disposta in zona tesa, quindi implicitamente assumendo un rapporto di armatura pari a α=0.5. Nel paragrafo successivo si introdurrà il concetto di “lunghezza di ancoraggio”, mentre nel paragrafo ancora seguente si analizzerà il caso del calcolo completo di una trave in c.a., dove verranno evidenziati tutti gli aspetti legati alla disposizione delle armature longitudinali ed a taglio.
A Z Z O B La lunghezza di ancoraggio
Procediamo alla determinazione della lunghezza di ancoraggio, considerando ad esempio l’estremità sinistra di una trave come schematicamente rappresentato nella figura seguente: L A
Fa
La
C
F’a
Supponiamo che, a partire da una distanza L dall’appoggio, si abbia la necessità di utilizzare una barra aggiuntiva di armatura, per cui sarà necessario determinare la distanza L a alla quale è possibile interrompere tale nuova armatura. La barra superiore sarà soggetta nel tratto compreso tra l’estremo sinistro e la sezione C a una distribuzione di tensioni tangenziali, che per ipotesi si assumono costanti sull’intero tratto La; la distribuzione di tensioni tangenziali fa equilibrio alla forza di trazione Fa alla quale è soggetta la barra per effetto del momento flettente nella sezione C.
(a)
La normativa sismica richiede che “almeno due barre di diametro non inferiore a 12 mm devono essere
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.3
L Fa
τ τ
C
La condizione di equilibrio alla traslazione della barra è pertanto espressa dalla seguente relazione:
φ2 τ ⋅ π ⋅ φ ⋅ L a = Fa = f s ⋅ π ⋅ 4 dove π·φ·La è la superficie laterale del tratto di barra di lunghezza L a, φ2 π è l’area della sezione trasversale della barra. 4 La forza di trazione da considerare nell’equazione di equilibrio è quella che si ha nella sezione C, tuttavia in sicurezza si può considerare il valore massimo della forza di trazione che la barra può sopportare, pari a: φ2 Fa ,max = f yd ⋅ π ⋅ 4 dove f yd è la massima tensione che può essere assorbita dell’acciaio. Sostituendo nell’equazione di equilibrio il valore massimo di F a ed un opportuno valore f bd per le tensioni tangenziali ultime di aderenza si ottiene: φ2 f yd ⋅ π ⋅ φ2 4 = f yd ⋅ φ . ⇒ f bd ⋅ π ⋅ φ ⋅ L a = f yd ⋅ π ⋅ La = 4 f bd ⋅ π ⋅ φ 4 ⋅ f bd La Normativa fissa il valore delle tensioni tangenziali ultime di aderenza in 0.32 - f bd = R ck in N / mm 2 per barre lisce γc f - f bd = 2.25 ⋅ ctk per barre ad aderenza migliorata γc Per cui, una volta nota la resistenza del calcestruzzo e dell’acciaio, è possibile individuare il valore di L a. Considerando un calcestruzzo con R ck 30 ed un acciaio FeB44k, si ottiene, per barre ad aderenza migliorata: 2 f ctm = 0.27 ⋅ 3 R ck = 0.27 ⋅ 30 2 / 3 = 2.61 N / mm 2
A Z Z O B f ctk = 0.7 ⋅ f ctm = 0.7 ⋅ 2.61 = 1.83 N / mm 2 f bd = 2.25 ⋅
f ctk 1.83 = 2.25 ⋅ = 2.57 N / mm 2 γc 1 .6
f yk 430 = = 374 N / mm 2 γ s 1.15 da cui, sostituendo nell’espressione sopra si ottiene: f ⋅ φ 374 L a = yd = φ ≈ 36φ . 4 ⋅ f bd 4 ⋅ 2.57 f yd =
Il valore appena ricavato viene di solito arrotondato per eccesso a 40 φ
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.4
La lunghezza La calcolata con la formula vista sopra è sufficiente ad ancorare le barre se l’ancoraggio è realizzato in zona compressa. Viceversa se l’ancoraggio è realizzato in zona tesa, dove le condizioni di aderenza sono peggiori, nel calcolo di La il valore della tensione tangenziale di aderenza deve essere ridotto, fino addirittura al 50 % del suo valore nei casi meno favorevoli.
Nel caso dell’esempio seguente, essendo la barra centrale ancorata in zona tesa, è pertanto opportuno considerare un valore ridotto di f bd, ad esempio del 30 %, che comporta una maggiorazione della lunghezza di ancoraggio della stessa percentuale. Si adotta pertanto per L a un valore pari a: L a = 1,3 ⋅ 40 ⋅ φ = 52 φ
A Z Z O B Supponendo ad esempio di dovere ancorare una barra di 16 mm, l’espressione precedente fornisce: L a = 52 ⋅ 1,6 = 83,2 cm ≅ 85 cm . L
L
1φ16
85
Α
C
85
Β
D
In alternativa si può piegare la barra verso la zona compressa, mantenendo la lunghezza di ancoraggio di 40 φ (= 40⋅1,6 = 64 cm ≅ 65 cm). L
L
65
1φ16
C
65
Β
D
Esempio di calcolo di una trave in cemento armato utilizzando il metodo agli stati limite
q1k gk
A
C
B
L
L/2
Per la trave in c.a. a sezione rettangolare riportata in figura, dove gk =2500 kg/m q1k =2000 kg/m (carico variabile per civile abitazione) L=5.00 m b =0.25 m (base della sezione) effettuare il dimensionamento dell’altezza (unica per le due aste) della sezione e la disposizione delle armature in modo da soddisfare le verifiche previste agli stati limite ultimi ed agli stati limite di
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.5
esercizio (si consideri una situazione di ambiente poco aggressivo). Materiali: calcestruzzo:R ck 30, acciaio per armature: FeB44k Caratteristiche dei materiali
calcestruzzo: R ck 30 tensioni caratteristiche e di progetto a rottura f ck = 0.83 ⋅ R ck = 0.83 ⋅ 30 = 24.90 N / mm 2 = 24.90 MPa f 24.90 f cd = ck = = 15.56 N / mm 2 = 15.56 MPa γc 1.6 resistenza media a trazione
A Z Z O B 2 = 2.61 MPa f ctm = 0.27 ⋅ 3 R ck
acciaio per armature: FeB44k tensione di progetto f yk 430 f yd = = = 374 N / mm 2 = 374 MPa γ s 1.15
ε yd =
f yd 374 = = 0.00182 =1.82‰ E s 206000
Valutazione delle sollecitazioni
Con un generico carico q, le reazioni vincolari sono pari a 3 ⋅ q ⋅ L ⋅ L 9 3 2 4 3 VB = ⋅ q ⋅ L − VA = ⋅ q ⋅ L VA = = ⋅q⋅L 8 2 L 8 Il momento massimo si ha tra A e B ad una distanza dall’appoggio pari a x 0 (ascissa di taglio nullo): quindi 3 3 T(x ) = ⋅ q ⋅ L − q ⋅ x T (x 0 ) = 0 ⇒ x 0 = ⋅ L 8 8 3 x2 M (x ) = ⋅ q ⋅ L ⋅ x − q ⋅ 8 2 3 3 q 3 2 q 3 2 9 ⋅ q ⋅ L2 M max = M(x 0 ) = ⋅ q ⋅ L ⋅ ⋅ L − ⋅ ⋅ L = ⋅ ⋅ L = 8 8 2 8 2 8 128 Mentre il momento negativo sull’appoggio B vale (trave a sbalzo) L22 q L 2 q ⋅ L2 M B = −q ⋅ = − ⋅ = − 2 2 2 8 Il valore di MB è superiore, in valore assoluto, al valore di M max. Zona con momento negativo
Ipotizzando una sezione di dimensione 25x50 (1) cm, quindi dal peso proprio pari a g trave = γ cls ⋅ b ⋅ h = 2500 ⋅ 0.25 ⋅ 0.50 = 312 kg / m (1)
In assenza di un calcolo più preciso di predimensionamento, del resto spesso non necessario, è possibile ipotizzare, per una trave su più appoggi e con sbalzi di lunghezza limitata (come ordine di grandezza, per sbalzi con luce non superiore alla metà della luce della campata adiacente), una sezione di altezza intorno
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.6
nella condizione di Stato Limite Ultimo il carico applicato è pari a q = γ g ⋅ g k + γ q ⋅ q k = 1.4 ⋅ (2500 + 312) + 1.5 ⋅ 2000 = 6938 kg / m ≈ 6950 kg / m di conseguenza il momento in B (che, risultando il più alto in valore assoluto, è da assumersi come valore condizionante il progetto della trave) vale 5.00 2 M sdu = M B,SLU = 6950 ⋅ = 2.172 ⋅ 10 4 kgm = 2.172 ⋅ 108 Nmm = 217 kNm 8 Si può progettare la sezione secondo i seguenti parametri: - As' = α ⋅ A s , con α=0.5, - rottura bilanciata (x/d=0.259) - b=250 mm (dal testo) Si ha quindi A ⋅ f 0.176 ω = s yd = = 0.352 b ⋅ d ⋅ f cd (1 − α )
A Z Z O B Se si assume l’acciaio compresso snervato (ossia con una deformazione maggiore dell’1.82 ‰), il momento resistente assume il valore α ⋅ 0.176 α ⋅ 0.176 ' ⋅ d − M rdu = f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ 0.158 + ⋅d ( ) ( ) 1 − α 1 − α
M rdu = f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ 0.334 ⋅ d − 0.176 ⋅ d ' Assumendo d’=40 mm, si ottiene M rdu = 0.334 ⋅ d 2 − 7.04 ⋅ d f cd ⋅ b Imponendo la condizione limite M rdu = M sdu si ottiene l’eq.ne di secondo grado in d
0.334 ⋅ d 2 − 7.04 ⋅ d = 55832 da cui si ricava la radice positiva d = 420 mm e quindi x = 0.259 ⋅ d = 0.259 ⋅ 420 = 109 mm Occorre controllare una delle ipotesi di partenza, ossia il fatto che l’armatura compressa sia effettivamente snervata. Per l’altezza determinata, si ha che 3 .5 3.5 εs' = ⋅ x − d ' = ⋅ (109 − 40) = 2.22 ‰ x 109 quindi superiore al limite di snervamento. Una volta confermate le ipotesi, si possono scegliere le armature: ω ⋅ b ⋅ d ⋅ f cd 0.352 ⋅ 250 ⋅ 420 ⋅15.56 As = = = 1538 mm 2 f yd 374
(
)
A s' = α ⋅ A s = 0.5 ⋅1538 = 769 mm 2 Si può adottare:
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.7
Zona tesa: 5Ø20 (A s=5·314=1570 mm2) Zona compressa: 3Ø20 (A’ s=3·314=942 mm2) E’ evidente che: - il rapporto di armatura non corrisponde esattamente a quello imposto (si ha α=0.60 anziché 0.50); - l’armatura disposta non corrisponde esattamente a quella di calcolo (1570 mm 2 contro 1538 mm2). Di conseguenza risulta necessario calcolare M rdu con queste due nuove armature (lasciando inalterata l’altezza): questo corrisponderà ad ottenere una rottura con asse neutro non coincidente con la posizione di rottura bilanciata. È evidente che il momento resistente dovrebbe ovviamente risultare maggiore di quello ipotizzato, avendo in generale adottato armature maggiori di quelle strettamente necessarie.
A Z Z O B Calcolo di Mrdu
Un’osservazione: avendo disposto un’armatura compressa corrispondente ad un rapporto α maggiore di quello previsto inizialmente, la rottura della sezione si sposta verso la rottura lato acciaio (si è infatti aumentata, in rapporto, l’armatura compressa, e quindi si è dotata la sezione di una maggiore resistenza a compressione). Una situazione diversa si sarebbe ottenuta, come si osserverà alla fine del procedimento, se si fosse scelto un rapporto di armatura minore di quello inizialmente previsto (ossia α<0.5). Per le armature introdotte si ha, impostando l’equilibrio alla traslazione ed ipotizzando ancora l’acciaio compresso snervato ( α=0.60): x 0.8 ⋅ 0.85 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ = As − As' ⋅ f yd = As ⋅ (1 − α ) ⋅ f yd d
(
)
A s ⋅ (1 − α ) ⋅ f yd x 1570 ⋅ 0.4 ⋅ 374 = = = 0.211 d 0.8 ⋅ 0.85 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d 0.8 ⋅ 0.85 ⋅15.56 ⋅ 250 ⋅ 420 ossia x = 0.211⋅ d = 89 mm che corrisponderebbe ad una rottura lato acciaio con calcestruzzo ad una deformazione inferiore a quella massima e pari a 10 10 εc = ⋅x = ⋅ 89 = 2.69 ‰ (d − x ) (420 − 89) e nell’acciaio compresso 10 10 εs' = ⋅ x − d' = ⋅ (89 − 40 ) = 1.48 ‰ (d − x ) (420 − 89 ) Dal momento che l’acciaio compresso non risulta snervato, occorre ripetere il procedimento lasciando incognita la deformazione nell’acciaio compresso. Si ha quindi
(
)
10 x − d ' ' ⋅ f yd 0.8 ⋅ 0.85 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ x + As ⋅
= As ⋅ f yd 1.82 (d − x ) L’equazione è a questo punto di secondo grado in x e si ottiene
0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ x ⋅ (d − x ) + 5.50 ⋅ x − d ' ⋅ A s' ⋅ f yd = (d − x ) ⋅ A s ⋅ f yd risolvendo si ha x = 96 mm
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.8
e quindi x 96 = = 0.229 d 420 La deformazione (e quindi la tensione) nell’acciaio compresso rispettivamente valgono 10 10 εs' = ⋅ x − d' = ⋅ (96 − 40) = 1.73 ‰ (d − x ) (420 − 96)
(
)
A Z Z O B εs' 1.73 = ⋅ f yd = ⋅ 374 = 355 MPa εel 1.82 Riprova: C = b ⋅ (0.8 ⋅ x ) ⋅ (0.85 ⋅ f cd ) = 250 ⋅ 0.8 ⋅ 96 ⋅ 0.85 ⋅ 15.56 = 2.540 ⋅ 10 5 N = 254 kN f s'
C' = A s' ⋅ f s' = 942 ⋅ 358 = 3.345 ⋅ 10 5 N = 335 kN
T = A s ⋅ f yd = 1570 ⋅ 374 = 5.871 ⋅ 10 5 N = 587 kN
e quindi la situazione è sostanzialmente di equilibrio, in quanto T − C + C ' ) = 2 kN A questo punto è possibile ricavare il valore del momento resistente M rdu = C ⋅ (d − 0.4 ⋅ x ) + C'⋅(d − d') M rdu = 2.540 ⋅ 10 5 ⋅ (420 − 0.4 ⋅ 96 ) + 3.345 ⋅ 10 5 ⋅ (420 − 40 ) = 2.240 ⋅ 10 8 Nmm = 224 MNm che risulta maggiore del momento sollecitante. Osservazione:
questo modo di procedere è valido soltanto nel caso in cui si ricavi, alla fine del procedimento, una posizione dell’asse neutro per cui l’acciaio teso risulti ancora snervato, altrimenti occorrerebbe operare diversamente. La posizione dell’asse neutro che corrisponde all’acciaio teso al limite ela stico è uguale a
3.5 : x = 1.82 : (d − x )
ossia
x 3.5 = = 0.658 d 3.5 + 1.82
In generale, dal momento che le armature scelte saranno probabilmente poco diverse da quelle ottenute dal calcolo, sarà comunque improbabile che l’acciaio teso risulti al di sotto del limite di snervamento. Quindi, nel caso in cui si ottenesse una profondità dell’asse neutro più alta di quella appena ricavata, potrebbe essere necessario modificare le equazioni di congruenza, in quanto l’acciaio teso non è più alla massima deformazione.
E’ da sottolineare che l’equazione di congruenza relativa alla deformazione deve essere impostata dal lato acciaio teso per profondità dell’asse neutro inferiori a quella corrispondente a rottura bilanciata (x/d<0.259) oppure dal lato calcestruzzo in caso contrario. A titolo di esempio, se avessimo scelto la seguente armatura: Zona tesa: 5Ø20 (A s=5·314=1570 mm2) Zona compressa: 2Ø20 (A’ s=2·314=628 mm2) e quindi α=0.4, operando come in precedenza si sarebbe ottenuto, ipotizzando inizialmente ancora l’acciaio compresso snervato
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.9
x 0.8 ⋅ 0.85 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ = As − As' ⋅ f yd = As ⋅ (1 − α ) ⋅ f yd d
(
)
A s ⋅ (1 − α ) ⋅ f yd x 1570 ⋅ 0.6 ⋅ 374 = = = 0.317 d 0.8 ⋅ 0.85 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d 0.8 ⋅ 0.85 ⋅15.56 ⋅ 250 ⋅ 420 ossia x = 0.317 ⋅ d = 133 mm che corrisponderebbe ad una rottura lato calcestruzzo con l’acciaio teso ad una deformazione inferiore a quella massima e pari a 3 .5 3.5 ε c = ⋅ (d − x ) = ⋅ (420 − 133) = 7.55 ‰ x 133 mentre per l’acciaio compresso 3 .5 3 .5 εs' = ⋅ x − d ' = ⋅ (133 − 40) = 2.45 ‰ x 133 confermando l’ipotesi di acciaio compresso snervato; il momento resistente risulta quindi pari a (α=0.4) α ⋅ 0.68 ⋅ (x / d ) α ⋅ 0.68 ⋅ (x / d ) ' M rdu = f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ 0.158 + ⋅ d − ⋅d ( − α ) ( − α ) 1 1
A Z Z O B (
)
M rdu = 15.56 ⋅ 250 ⋅ 420 ⋅ [(0.158 + 0.149) ⋅ 420 − 0.149 ⋅ 40] = 2.009 ⋅ 10 8 Nmm = 201 kNm
In questo caso, quindi, il momento resistente risulta (anche se di poco) inferiore al momento sollecitante; era del resto abbastanza ovvio aspettarselo visto che è stata disposta un’armatura inferiore rispetto a quella inizialmente prevista. Zona con momento positivo
Il massimo momento positivo vale (allo Stato Limite Ultimo) 9 ⋅ 6950 ⋅ 5.00 2 = 1.222 ⋅ 10 4 kgm = 1.222 ⋅ 108 Nmm = 122 kNm M sdu = M max,SLU = 128 Per dimensionare l’armatura a momento positivo si può procedere secondo due diverse vie. - si potrebbe modificare l’armatura, lasciando ovviamente la stessa dimensione geometrica della trave, in modo da ottenere una situazione a rottura più vicina al valore del momento di progetto: dal momento che l’altezza è comunque fissata, occorre procedere ipotizzando un’armatura e verificarne il comportamento a rottura. - un’ulteriore possibilità è offerta dalla ricerca di un’armatura che soddisfi contemporaneamente la condizione di equilibrio alla traslazione e di momento resistente maggiore o uguale al momento sollecitante, sempre una volta che l’altezza sia fissata ed ipotizzando un rapporto tra armatura compressa ed armatura tesa. Primo caso: verifica con una nuova armatura
Si potrebbe ipotizzare di proseguire l’armatura inferiore (costituita da 3Ø20) e diminuire l’armatura superiore, ad esempio riducendola a 2Ø20. La situazione è quindi la seguente: Zona compressa: 2Ø20 (A s=2·314=628 mm2) Zona tesa: 3Ø20 (A’ s=3·314=942 mm2) d=420 mm d’=40 mm
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.10
E’ ancora probabile che la sezione arriverà ad una rottura lato acciaio teso. Imponendo di conseguenza l’equilibrio alla traslazione si ottiene (nell'ipotesi di acciaio compresso non ancora snervato): 10 x − d ' ' 0.8 ⋅ 0.85 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ x + As ⋅ ⋅ f yd 1.82 (d − x )
= As ⋅ f yd
0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ x ⋅ (d − x ) + 5.50 ⋅ As' ⋅ x − d ' ⋅ f yd = As ⋅ f yd ⋅ (d − x ) e risolvendo x = 78 mm e quindi x 78 = = 0.186 d 420 che conferma l’ipotesi di rottura lato acciaio teso (x/d<0.259). La deformazione e la tensione nell’acciaio compresso valgono rispettivamente 10 10 εs' = ⋅ x − d' = ⋅ (78 − 40) = 1.11 ‰ (d − x ) (420 − 78)
A Z Z O B (
)
εs' 1.11 = ⋅ f yd = ⋅ 374 = 228 MPa ε el 1.82 Riprova: C = b ⋅ (0.8 ⋅ x ) ⋅ (0.85 ⋅ f cd ) = 250 ⋅ 0.8 ⋅ 78 ⋅ 0.85 ⋅ 15.56 = 2.064 ⋅ 10 5 N = 206 kN f s'
C' = A s' ⋅ f s' = 628 ⋅ 228 = 1.432 ⋅ 10 5 N = 143 kN
T = A s ⋅ f yd = 942 ⋅ 374 = 3.523 ⋅ 10 5 N = 352 kN
e quindi la situazione è sostanzialmente di equilibrio, in quanto T − C + C ' ) = −3 kN Il corrispondente valore del momento resistente è quindi pari a M rdu = C ⋅ (d − 0.4 ⋅ x ) + C'⋅(d − d') M rdu = 206 ⋅ (420 − 0.4 ⋅ 78) + 143 ⋅ 10 5 ⋅ (420 − 40 ) = 134432 kNmm = 134 kNm maggiore del momento sollecitante.
Secondo caso: ricerca di una nuova armatura
In questo caso, senza ipotizzare a priori nessun tipo di armatura ma fissando soltanto l’altezza della sezione, si può comunque imporre la condizione di equilibrio alla traslazione e di momento uguale al momento sollecitante di progetto. Ipotizzando l’acciaio compresso snervato si ha (dalla condizione di equilibrio) x 0.8 ⋅ 0.85 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ = As − As' ⋅ f yd = (1 − α ) ⋅ As ⋅ f yd d ossia x 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ = (1 − α ) ⋅ As ⋅ f yd d Il momento resistente è offerto dalla relazione
(
)
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.11
x M rdu = 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ ⋅ (d − 0.4 ⋅ x ) + A s' ⋅ f yd ⋅ d − d ' d sostituendo l’espressione precedente si ottiene (utilizzando la relazione A’ s=αAs) x x α x M rdu = 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d 2 ⋅ ⋅ 1 − 0.4 ⋅ + ⋅ 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ ⋅ d − d ' d d 1 − α d
(
)
(
)
x x 2 ⋅ b ⋅ d ⋅ ⋅ 1 − 0.4 ⋅
α d ' + ⋅ 1− d 1 − α d
A Z Z O B M rdu = 0.68 ⋅ f cd
d Uguagliando l’espressione precedente al momento sollecitante, fissando il rapporto di armatura (ad esempio ponendo α=0.5) ed utilizzando i valori geometrici ricavati in precedenza (d=420 mm, d’=40 mm) si ottiene l’equazione di secondo grado in x/d M sdu x 2 α d ' x − 0.4 ⋅ + 1 + ⋅ 1− ⋅ − =0 2 d 1 − α d d 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d
x 2 x − 0.4 ⋅ + 1.452 ⋅ − 0.262 = 0 d d da cui si ricavano le due radici x 0.190 = d 3.440 la radice corretta è ovviamente la prima (nel secondo caso si avrebbe l’asse neutro esterno alla sezione) e quindi siamo nel caso di rottura lato acciaio teso (x/d<0.259), con corrispondenti deformazioni nel calcestruzzo e nell’acciaio compresso pari a x = 0.190 ⋅ d = 0.190 ⋅ 420 = 80 mm
εc =
10 10 ⋅x = ⋅ 80 = 2.36 ‰ (d − x ) (420 − 80)
10 10 ⋅ x − d' = ⋅ (80 − 40 ) = 1.18 ‰ (d − x ) (420 − 80 ) dal momento che ε’s è inferiore alla deformazione corrispondente allo snervamento dell’acciaio, occorre effettuare di nuovo il procedimento imponendo la condizione di acciaio compresso entro il limite elastico. Imponendo sempre la rottura lato acciaio teso e lasciando incognita la deformazione nell’acciaio compresso, si perverrebbe alle equazioni di equilibrio seguenti:
εs' =
εs'
(
10 = ⋅ x − d' (d − x )
(
)
)
⇒
f s'
(
εs' 10 x − d' = ⋅ f = ⋅ ⋅ f εs,el yd (d − x ) 1.82 yd
equilibrio alla traslazione:
x 10 x − d' 0.8 ⋅ 0.85 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ + ⋅ ⋅ As' ⋅ f yd = As ⋅ f yd d (d − x ) 1.82
(
0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ (d − x ) + 5.50 ⋅ A s' ⋅ f yd ⋅ x − d ' = A s ⋅ f yd ⋅ (d − x )
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.12
x d ' x x ' 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ 1 − + 5.50 ⋅ A s ⋅ f yd ⋅ − = A s ⋅ f yd ⋅ 1 − d d d d x x d ' x 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ 1 − = A s ⋅ f yd ⋅ 1 − − 5.50 ⋅ α ⋅ − d d d d x x 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ 1 − 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ 1 − d = d A s ⋅ f yd = x x d ' d ' x 1 − − 5.50 ⋅ α ⋅ − 1 + 5.50 ⋅ α ⋅ − (1 + 5.50 ⋅ α ) ⋅ d d d d d 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ (1 − y ) A s ⋅ f yd = A − B⋅ y dove si è posto
A Z Z O B d' A = 1 + 5.50 ⋅ α ⋅ d B = 1 + 5.50 ⋅ α x y= d
equilibrio alla rotazione:
10 x − d' M rdu = 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ x ⋅ (d − 0.4 ⋅ x ) + ⋅ ⋅ f yd ⋅ As' ⋅ d − d ' (d − x ) 1.82
(
)
d ' y− d d ' 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ (1 − y ) 2 ⋅ d ⋅ 1 − ⋅ α M rdu = 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ y ⋅ (1 − 0.4 ⋅ y ) + 5.50 ⋅ d (1 − y) A − B⋅ y d ' 5.50 ⋅ α ⋅ y − d M rdu = y ⋅ (1 − 0.4 ⋅ y ) + (1 − y ) ⋅ A − B⋅ y 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d 2
1.47 ⋅ (A − B ⋅ y ) ⋅ µ rdu
d ' d ' = (A − B ⋅ y) ⋅ y ⋅ (1 − 0.4 ⋅ y) + 5.50 ⋅ α ⋅ 1 − ⋅ y − d d
dove si è posto M rdu
µ rdu =
f cd ⋅ b ⋅ d 2 Quest’ultima espressione rappresenta un’equazione di terzo grado nell’incognita y=x/d. Risolvendo si ottiene un’unica radice reale compresa tra 0 e 0.259, ossia x = 0.136 d
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.13
x = 0.136 ⋅ d = 0.136 ⋅ 420 = 57 mm
εc =
10 10 ⋅x = ⋅ 57 = 1.57 ‰ (d − x ) (420 − 57)
10 10 ⋅ x − d' = ⋅ (57 − 40) = 0.47 ‰ (d − x ) (420 − 57 ) di conseguenza x 0.68 ⋅ f cd ⋅ b ⋅ d ⋅ 1 − 1 d As = f yd d ' x 1 + 5.50 ⋅ α ⋅ − (1 + 5.50 ⋅ α ) ⋅ d d
εs' =
(
)
A Z Z O B As =
0.68 ⋅15.56 ⋅ 250 ⋅ 420 ⋅ 0.864 = 463 mm 2 40 374 ⋅ 1 + 5.50 ⋅ 0.5 ⋅ − (1 + 5.50 ⋅ 0.5) ⋅ 0.136 420
A s' = α ⋅ A s = 0.5 ⋅ 463 = 231 mm 2
Si può controllare la correttezza del risultato verificando l’equilibrio alla traslazione f s'
εs' 0.47 = ⋅ f yd = ⋅ 374 = 97 MPa εs,el 1.82
C = b ⋅ (0.8 ⋅ x ) ⋅ (0.85 ⋅ f cd ) = 250 ⋅ 0.8 ⋅ 57 ⋅ 0.85 ⋅ 15.56 = 1.508 ⋅ 10 5 N = 151 kN C' = A s' ⋅ f s' = 231 ⋅ 97 = 0.226 ⋅ 10 5 N = 23 kN
T = A s ⋅ f yd = 463 ⋅ 374 = 1.731 ⋅ 10 5 N = 173 kN
per cui l’equilibrio alla traslazione è rispettato, in quanto T − C + C ' ) = 1 kN L’armatura di progetto potrebbe corrispondere a: Zona compressa: 1Ø20 (A s=314 mm2)(b) Zona tesa: 2Ø20 (A s=2·314=628 mm2) Commento:
Il secondo modo di procedere, per quanto formalmente corretto, è in generale abbastanza impegnativo dal punto di vista del calcolo, e, nonostante conduca ad una scelta ottimizzata di armature per il momento ricercato, non comporta un effettivo miglioramento delle prestazioni della sezione pro gettata in quanto a controllo della profondità dell’asse neutro. In altre parole, è sostanzialmente inutile, operando ad altezza fissata, cercare di minimizzare a tutti i costi l’armatura disposta nella sezione, in quanto comunque si ottiene una rottura sbilanciata dal lato acciaio teso (se la sezione è più alta di quello che sarebbe strettamente necessario per resistere al momento di progetto) o dal lato calcestruzzo (in caso contrario). In ultima analisi, è preferibile, una volta che è fissato il valore (b)
In realtà sarebbe meglio disporre, nella sezione, un’armatura di area equivalente ma costituita almeno da due barre di armatura, ad esempio scegliendo 2Ø14 (As=2·154 mm2=308 mm2), in modo da realizzare un
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.14
dell’altezza, scegliere un’armatura in base ad altri criteri (rispetto dei minimi di normativa, facilità di disposizione delle armature, continuità di alcune barre rispetto alle sezioni più sollecitate) e quindi verificare l’effettivo valore del momento resistente. Si prosegue quindi utilizzando le armature scelte nella prima procedura.
Disposizione delle armature
Ø 20 + Øst + c = 420 + + 10 + 20 = 460 mm 2 2 dove si è indicato con Ø il diametro delle barre, con Ø st il diametro (presunto)(2) delle staffe (Øst=10 mm) e con c il valore del ricoprimento di armatura (pari al minimo, ossia 20 mm).
Altezza della sezione: h = d +
A Z Z O B Sezione B:
armature:
zona compressa (inf.): zona tesa (sup.): momento resistente: Mrdu=224 kNm
Sezione max M+:
armature:
3Ø20 (A s=3·314=942 mm2) 5Ø20 (A’ s=5·314=1570 mm2)
zona compressa (sup.): 2Ø20 (A s=2·314=628 mm2) zona tesa (inf.): 3Ø20 (As=3·314=942 mm2) momento resistente: inferiore: Mrdu=135 kNm superiore: Mrdu= 92 kNm
Si può quindi ipotizzare lungo tutto l’asse della trave un’armatura composta da 3+2Ø20 (3 ferri inferiori e 2 ferri superiori), e cercare di individuare la zona in cui disporre i restanti 3Ø20 superiori per coprire la massima zona di momento negativo. Costruendo un grafico con i momenti flettenti di progetto ed i momenti resistenti, si può individuare tale zona come quella compresa tra 35 cm prima dell’appoggio e 45 cm dopo di esso. Ricordando che occorre comunque prolungare i ferri almeno 40Ø (quindi nel caso in esame, 80 cm) oltre la zona in cui devono effettivamente resistere a trazione, si decide di disporre l’armatura aggiuntiva costituita da 3Ø20 da una distanza pari a 120 cm prima dell’appoggio fino ad una distanza di 130 cm oltre l’appoggio. Osservazione:
l’armatura disposta rispetta il limite minimo previsto di normativa. La disposizione normativa recita infatti che il minimo di armatura in zona tesa, deve risultare maggiore dello 0.15% dell’area della sezione trasversale, quindi
ρ min = 0.15% ⋅ b ⋅ h =
0.15 ⋅ 250 ⋅ 460 = 173 mm 2 100
Nel caso in esame, la condizione risulta soddisfatta essendo l’armatura minima in zona tesa pari a 3Ø20 (A s=3·314=942 mm 2 ), ossia pari ad una percentuale di armatura
ρ=
(2)
As 942 = = 0.0082 = 0.82% b ⋅ h 250 ⋅ 460
Come si vedrà nel seguito, le staffe effettivamente disposte saranno proprio del diametro 10 mm. Questo è sostanzialmente ininfluente nel calcolo che si sta effettuando: anche non operando una specifica verifica a taglio, e quindi non conoscendo il diametro effettivo delle staffe, è comunque presumibile che il diametro delle staffe sia compreso tra 8 e 12 mm (come accade nella grande maggioranza dei casi di interesse
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.15
-250
3Ø20+2Ø20 2 Ø20+5Ø20
kNm
-200 2 Ø20+2Ø20 3Ø20
-150
A Z Z O B -100 -50 0
50
100
23Ø20 Ø20
150
0
100
200
300
400
500
600
700 cm 800
Verifica allo stato limite ultimo per azioni taglianti
Allo S.L.U., i valori delle sollecitazioni taglianti risultano i seguenti 3 3 Vsdu ,A = ⋅ q ⋅ l = ⋅ 6950 ⋅ 5 = 13031 kg = 130 kN 8 8 5 5 Vsdu ,B sin = ⋅ q ⋅ l = ⋅ 6950 ⋅ 5 = 21719 kg = 217 kN 8 8
4 4 Vsdu ,Bdx = ⋅ q ⋅ l = ⋅ 6950 ⋅ 5 = 17375 kg = 174 kN 8 8 per cui la condizione peggiore si ha alla sinistra dell’appoggio in B. La quantità minima di armatura trasversale (staffe) prevista dalla normativa risulta pari a d 42 A st,min = 0.10 ⋅ 1 + 0.15 ⋅ ⋅ b = 0.10 ⋅ 1 + 0.15 ⋅ ⋅ 25 = 3.13 cm 2 / m b 25 in cui le lunghezze che compaiono nell’espressione devono essere indicate in cm. Inoltre il passo non deve superare il minimo tra 0.8 ⋅ d = 0.8 ⋅ 420 = 336 mm ∆x ≤ min 3 staffe al metro ⇒ 333 mm
Disponendo staffe a due braccia (n b=2) a passo 300 mm (n st=1000/300 staffe/m) si ottiene quindi un’area minima per ogni braccio pari a
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.16
A 3.13 300 A min = st, min = ⋅ = 0.47 cm 2 = 47 mm2 n b ⋅ n st 2 1000 si possono quindi disporre staffe Ø8 (A=0.50 cm 2) a passo 300, per un’area risultante pari a 1000 = 3.33 cm 2 / m 1stØ8 2 br / 300 ⇒ A st = 0.50 ⋅ 2 ⋅ 300 Occorre ricordare che, in prossimità di carichi appesi o appoggi, per un tratto di lunghezza pari all’altezza utile della trave, il passo delle staffe non può superare il limite ∆x ≤ 12 ⋅ Øl = 12 ⋅ 20 = 240 mm dove Øl è il diametro minimo delle barre longitudinali (nel caso in esame: Ø l =20 mm). La verifica da effettuare allo S.L.U. è rappresentata dal doppio controllo rispetto alla compressione della biella compressa in calcestruzzo e rispetto all’armatura trasversale d’anima. Nel primo caso occorre verificare che Vsdu ≤ 0.30 ⋅ f cd ⋅ b w ⋅ d
A Z Z O B Nel caso in esame si ha Vrdu = 0.30 ⋅ f cd ⋅ b w ⋅ d = 0.30 ⋅ 15.56 ⋅ 250 ⋅ 420 = 490140 N = 490 kN effettivamente maggiore del valore di progetto (V sdu=217 kN). La seconda verifica richiede che Vsdu ≤ Vcd + Vwd dove Vcd = 0.60 ⋅ f ctd ⋅ b w ⋅ d ⋅ δ
0.90 ⋅ d ⋅ (sin β + cos β) s Nel caso in esame si ottiene f 0.7 ⋅ f ctm 0.7 ⋅ 2.61 f ctd = ctk = = = 1.14 N / mm2 = 1.14 MPa γc γc 1.6 Vwd = A sw ⋅ f ywd ⋅
Vcd = 0.60 ⋅ f ctd ⋅ b w ⋅ d ⋅ δ = 0.60 ⋅ 1.14 ⋅ 250 ⋅ 420 ⋅ 1 = 71820 N = 72 kN
in cui il coefficiente δ è stato posto uguale ad 1 non essendo presente sforzo normale. Per quanto riguarda il termine Vwd si ottiene 0.90 ⋅ d 0.90 ⋅ 420 Vwd = A sw ⋅ f ywd ⋅ ⋅ (sin β + cos β) = (2 ⋅ 50) ⋅ 374 ⋅ ⋅ (0 + 1) s 300 Vwd = 47124 N = 47 kN
in cui β (inclinazione delle armature trasversali rispetto all’asse della trave) è stato posto pari a 90°. Complessivamente si ha quindi Vrdu = Vcd + Vwd = 72 + 47 kN = 119 kN
che risulta inferiore al valore di progetto. Occorre quindi aumentare il diametro delle staffe e/o il loro passo. Le staffe possono quindi essere progettate imponendo che Vcd + Vwd ≥ Vsdu o anche (dal momento che il termine V cd non dipende dalla disposizione di armatura trasversale)
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.17
Vwd ≥ Vsdu − Vcd si ha quindi 0.90 ⋅ d A sw ⋅ f ywd ⋅ ⋅ (sin β + cos β) ≥ Vsdu − Vcd s e nel caso β=90° Asw V −V 217200 − 71800 ≥ sdu cd = = 1.03 mm s f ywd ⋅ 0.90 ⋅ d 374 ⋅ 0.90 ⋅ 420
A Z Z O B quindi si hanno le seguenti combinazioni possibili: staffa
passo minimo
disposizione
Ø8 2br.
s<97 mm
Ø8 2br./95
Ø10 2br.
s<153 mm
Ø10 2br./150
Ø12 2br.
s<219 mm
Ø12 2br./210
Si dispongono quindi staffe Ø10 2br./150. Per verifica si può controllare che effettivamente il taglio t aglio resistente superi il valore della sollecitazione di progetto 0.90 ⋅ d 0.90 ⋅ 420 = (2 ⋅ 79) ⋅ 374 ⋅ = 148910 N = 149 kN Vwd = A sw ⋅ f ywd ⋅ s 150 Vrdu = Vcd + Vwd = 72 + 149 kN = 221 kN
effettivamente superiore al taglio di progetto. Tale armatura è necessaria soltanto nelle zone di taglio massimo, ossia in prossimità degli appoggi. Ad una certa distanza da essi, il passo potrebbe essere aumentato (ad esempio portandolo a 300 mm), lasciando inalterato il numero dei bracci e il i l diametro delle staffe. Si può quindi calcolare il taglio resistente offerto da un passo più ampio e valutare in quali zone della trave si potrebbe disporre questa nuova armatura. Ripetendo il calcolo con staffe a passo 300 si otterrebbe ott errebbe 0.90 ⋅ d 0.90 ⋅ 420 Vwd = A sw ⋅ f ywd ⋅ = (2 ⋅ 79) ⋅ 374 ⋅ = 74456 N = 75 kN s 300 Vrdu = Vcd + Vwd = 72 + 75 kN = 147 kN
Dai diagrammi del taglio (oss: 6950 kg/m=69.5 kN/m): taglio da A verso B il valore del taglio di progetto in A (130 kN) è già inferiore al taglio resistente appena ricavato: in corrispondenza dell’appoggio in A non occorrereb be disporre staffe a passo superiore a 300 mm; va tuttavia ricordato che, in prossimità degli appoggi, il passo non può superare 240 mm, per cui occorre comunque procedere ad una diminuzione del passo. 5 taglio da B verso A T(x ) = ⋅ q ⋅ l − q ⋅ x ⇒ T(x1 ) = Vrdu 8 217.2 − 69.5 ⋅ x1 = 146.3 ⇒ x1 = 1.250 m 4 taglio da B verso C T(x ) = ⋅ q ⋅ l − q ⋅ x ⇒ T(x1 ) = Vrdu 8 173.8 − 69.5 ⋅ x1 = 146.3 ⇒ x1 = 0.626 m
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.18
Il raffittimento del passo da 300 a 150 mm è quindi effettivamente necessario per una zona intorno all’appoggio B pari a 1.25 m verso sinistra e 0.63 m verso destra. A favore di sicurezza si estende tale zona a 1.35 m verso sinistra e 0.75 m verso destra (in modo da avere un numero di staffe a passo più fitto multiplo del passo, 150 mm). Inoltre, alla destra dell’appoggio in A, si dispongono staffe a passo 200 mm per i primi 60 cm (basterebbe infittire il passo per una zona pari all’altezza della trave: per facilità di disposizione si estende tale zona alla lunghezza indicata). In prossimità dell’appoggio in A (e in generale in tutte le estremità delle travi) occorre effettuare un’ulteriore verifica: bisogna infatti controllare che l’armatura inferiore sia in grado, allo stato limite ultimo, di assorbire uno sforzo di trazione almeno pari al taglio. Nel caso in esame si ha quindi in A (V Sdu,A=130 kN), la necessità di disporre un’armatura inferiore minima pari a : V 130000 A s,min ≥ Sdu ,A = = 347 mm 2 f yd 374 Tale limite risulta inferiore rispetto all’armatura effettivamente disposta (pari a 3Ø20, As=3·314=942 mm 2).
A Z Z O B Osservazione:
occorre comunque verificare che la resistenza di calcolo dell’armatura d’anima risulti non inferiore alla metà del taglio di calcolo. Nella sezione più sollecitata si ha
Vwd = 146 kN >
217 = 109 kN 2
nelle sezioni in cui si opera la modifica del passo delle staffe si ha
Vwd = 75 kN >
146 = 73 kN 2
in tutte le altre alt re zone la verifica è quindi evidentemente soddisfatta.
In molti casi può essere esse re più speditivo s peditivo operare imponendo subito tale condizione, ossia determinando il passo ed il diametro delle staffe dalla relazione
V Vwd ≥ sd 2
e verificare a posteriori le condizioni sul minimo di armatura obbligatorio.
Verifica allo stato limite delle tensioni in esercizio
Allo SLE si hanno le seguenti azioni di progetto: Combinazione di carico rara: q rara = g k + q k = 2500 + 312 + 2000 = 4812 kg / m
Combinazione di carico quasi permanente: q q perm = g k + ψ 2 ⋅ q k = 2500 + 312 + 0.2 ⋅ 2000 = 3212 kg / m .
in cui si è assunto per ψ2 il valore corrispondente ad un carico variabile per abitazioni (3). Nelle due combinazioni combinazioni e nella sezione più più sollecitata, ossia in B, si ha ha un momento di di progetto (3)
Nella verifiche successive si potrebbe anche correggere il valore del peso proprio della trave con il valore effettivo, derivante dal dimensionamento appena effettuato. Tuttavia l’altezza della trave (46 cm) è talmente vicina a quella ipotizzata inizialmente (50 cm), che la differenza in termini di peso proprio è irrilevante. Si avrebbe infatti g trave = γ cls ⋅ b ⋅ h = 2500 ⋅ 0.25 ⋅ 0.46 = 288 kg / m
contro i 312 kg/m ipotizzati. Si continua quindi, operando a favore di sicurezza, ad ipotizzare un peso proprio pari a tale quantità.
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.19
5.00 2 M sd, rara = M B, rara = 4812 ⋅ = 1.504 ⋅10 4 kgm = 1.504 ⋅108 Nmm = 0.151 MNm 8 5.00 2 M sd, q perm = 3212 ⋅ = 1.004 ⋅105 kgm = 1.004 ⋅108 Nmm = 0.101 MNm . 8 La prima verifica da effettuare è controllare se la sezione, per la combinazione di carico rara, è in regime fessurato o meno, controllando il valore della massima tensione nel calcestruzzo teso in ipotesi di sezione interamente reagente. Ricordano le caratteristiche della sezione adottata: Zona tesa: 5Ø20 (A s=5·314=1570 mm 2) Zona compressa: 3Ø20 (A’ s=3·314=942 mm2) d=420 mm h=460 mm d’=40 mm si ha
A Z Z O B A ci = 250 ⋅ 460 ⋅ +15 ⋅ (942 + 1570 ) = 152680 mm 2
460 + 15 ⋅ (942 ⋅ 420 + 1570 ⋅ 40) 2 xG = = 218 mm A ci dove si è assunto n=15 (coeff. di omogeneizzazione) e si è indicata con x G la posizione del baricentro della sezione rispetto al lembo teso. Di conseguenza il momento di inerzia della sezione in regime non fessurato vale 250 ⋅ 460 ⋅
2 250 ⋅ 4603 460 + 250 ⋅ 460 ⋅ − x G + 15 ⋅ 942 ⋅ (420 − x G )2 + 1570 ⋅ (x G − 40)2 = J ci,1 = 12 2
[
]
J ci,1 = 3.367 ⋅ 109 mm 4
In corrispondenza del momento sollecitante si avrebbe una tensione massima nel calcestruzzo teso pari a M sd 1.504 ⋅ 108 ⋅x = ⋅ 218 = 9.74 MPa f c = J ci,1 G 3.367 ⋅ 109 che risulta sensibilmente maggiore del limite imposto dalla normativa, pari a f ctm ctm (2.61 MPa). Di conseguenza la sezione è in regime fessurato: occorre quindi calcolare la posizione dell’asse neutro baricentrico e del momento di inerzia in tale situazione. La posizione dell’asse neutro (rispetto al lembo compresso della sezione) è offerta dalla soluzione dell’equazione di secondo grado x 2 + 2 ⋅ f ⋅ x − f ⋅ d 0 = 0
in cui d0 rappresenta la posizione (dal lembo compresso) del baricentro di tutte le armature A d + A's d' d0 = s As + A's
e f è offerto dalla relazione n ⋅ (A s + A's ) f = b Si ottiene:
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.20
d0 =
1570 ⋅ 420 + 942 ⋅ 40 = 278 mm 1570 + 942
15 ⋅ (1570 + 942) = 151 mm 250 e quindi d 278 x = f ⋅ − 1 + 1 + 2 0 = 151 ⋅ − 1 + 1 + 2 ⋅ = 176 mm f 151 f =
A Z Z O B Di conseguenza si ottiene 1 J ci = ⋅ b ⋅ x 3 + n ⋅ A s (d − x )2 + A's (x − d')2 = 3
[
]
[
]
1 J ci = ⋅ 250 ⋅1763 + 15 ⋅ 1570 ⋅ (420 − 176)2 + 942 ⋅ (176 − 40)2 = 2.118 ⋅109 mm 4 3 E’ possibile a questo punto effettuare le verifiche richieste: le limitazioni imposte dalla normativa sono le seguenti (nel caso di ambiente poco aggressivo) Per la combinazione di carico rara: calcestruzzo: f c, rara = 0.60 ⋅ f ck = 0.60 ⋅ (0.83 ⋅ 30) = 14.94 MPa acciaio: f s,rara = 0.70 ⋅ f yk = 0.70 ⋅ 430 = 301 MPa Per la combinazione di carico quasi permanente: = 0.45 ⋅ f ck = 0.45 ⋅ (0.83 ⋅ 30 ) = 11.21 MPa calcestruzzo: f c,q perm . Si ottiene: combinazione di carico rara: M sd, rara 1.504 ⋅ 108 ⋅176 = 12.50 MPa (< f c,rara ) f c = x= 9 J ci 2.118 ⋅10 M sd, rara 1.504 ⋅108 (d − x ) = 15 ⋅ ⋅ (420 − 176) = 260 MPa f s = n ⋅ 9 J ci 2.118 ⋅10 combinazione di carico quasi permanente: M sd,q perm 1.004 ⋅ 108 . ) f c = x= ⋅176 = 8.34 MPa (< f c,q perm . 9 J ci 2.118 ⋅10 La verifica risulta quindi soddisfatta.
(< f s,rara )
Osservazione:
la combinazione di carico rara corrisponde di fatto alla combinazione che si sarebbe adottata operando secondo il metodo alle tensioni ammissibili. In questo caso però la verifica avrebbe imposto i seguenti limiti (vedi DM 14.2.1992), rispettivamente validi per il calcestruzzo e l’acci aio FeB44k
R − 15 30 − 15 σc = 6 + ck = 6+ = 9.75 MPa (≈ 0.33 ⋅ R ck ≈ 0.39 ⋅ f ck ) 4 4 σs = 255 MPa ≈ 0.59 ⋅ f yk
quindi sensibilmente inferiori. In altre parole, una sezione verificata secondo il metodo delle ten sioni ammissibili ammiss ibili risulta in genere sempre verificata se controllata c ontrollata attraverso attrave rso il metodo degli Stati Limite.
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.21
Verifica a fessurazione
Nel caso di ambiente poco aggressivo ed armature poco sensibili alla corrosione, le verifiche da effettuarsi sono le seguenti combinazione di carico quasi permanente: w k < 0.2 mm combinazione di carico frequente: w k < 0.4 mm Il momento della fessurazione, corrispondente al raggiungimento della tensione f ctm nella fibra di calcestruzzo più sollecitata a trazione vale (in sezione parzializzata) J ci,1 3.367 ⋅109 M cr = ⋅ f ctm = ⋅ 2.61 = 4.031⋅107 Nmm = 0.040 MNm xG 218
A Z Z O B dove si sono utilizzate le due grandezze J ci,1 e xG relative al regime non fessurato. In corrispondenza di tale momento, la tensione nell’acciaio teso vale M cr 4.031⋅ 107 σsr = n ⋅ ⋅ (d − x ) = 15 ⋅ ⋅ (420 − 176) = 69.7 MPa J ci 2.118 ⋅ 109
dove, questa volta, si sono utilizzate le due grandezze J ci e x relative al regime fessurato. Nelle due combinazioni di carico si ottiene quindi: Combinazione di carico quasi permanente
Il momento di progetto vale
M sd, q perm = 1.004 ⋅ 108 Nmm = 0.101 kNm .
In corrispondenza di tale azione si ha una tensione nell’acciaio teso pari a (in regime fessurato) Msd,q perm 1.004 ⋅108 . σs = n ⋅ ⋅ (d − x ) = 15 ⋅ ⋅ (420 − 176) = 173.5 MPa 9 J ci 2.118 ⋅10
Le armature disposte in zona tesa (5Ø20, corrispondenti ad A s=5·314=1570 mm 2) sono comprese all’interno di una staffa di diametro 10 mm (Ø st=10 mm). Di conseguenza si ottiene un ricoprimento di armatura pari a Ø 20 c = d ' − − Øst = 40 − − 10 = 20 mm 2 2 ed una distanza relativa tra le armature pari a b − 2 ⋅ c − 2 ⋅ Øst − Ø 250 − 2 ⋅ 20 − 2 ⋅10 − 20 s= = = 42.5 mm n a −1 5 −1 dove si è indicato con n a il numero delle barre presenti. L’altezza della zona efficace è pari a d eff = c + s + 7.5 ⋅ Ø = 20 + 42.5 + 7.5 ⋅ 20 = 212.5 mm e quindi si ha
A c,eff = b ⋅ d eff = 250 ⋅ 212.5 = 53125 mm 2
È possibile a questo punto procedere alla quantificazione dei vari termini nelle espressioni che costituiscono la verifica in oggetto. Distanza media tra le fessure Ø s s rm = 2 ⋅ c + + k 2 ⋅ k 3 ⋅ ρ r 10 dove
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.22
k 2 = 0.4
(barre ad aderenza migliorata)
k 3 = 0.125
(asse neutro interno alla sezione)
ρr =
As 1570 = = 0.0296 A c,eff 53125
e quindi 42.5 20 = 48.5 + 33.8 = 82.3 mm s rm = 2 ⋅ 20 + + 0.4 ⋅ 0.125 ⋅ 10 0.0296
A Z Z O B Deformazione unitaria media nelle armature 2 σsr σs σ ≥ 0.4 ⋅ s εsm = ⋅ 1 − β1 ⋅ β 2 ⋅ Es E s σs dove β1 = 1.0 (barre ad aderenza migliorata)
β2 = 0.5 e quindi
(azioni ripetute)
173.5 69.7 2 εsm = ⋅ 1 − 1.0 ⋅ 0.5 ⋅ = 7.74 ⋅ 10− 4 206000 173.5
dal momento che la grandezza ricavata risulta maggiore del limite σ 173.5 εsm, min ≥ 0.4 ⋅ s = 0.4 ⋅ = 3.37 ⋅ 10− 4 Es 206000 il valore ricavato può essere utilizzato nella verifica.
Valore caratteristico di ampiezza delle fessure w k = 1.7 ⋅ w m = 1.7 ⋅ s rm ⋅ ε sm = 1.7 ⋅ 82.3 ⋅ 6.73 ⋅ 10 −4 = 0.094 mm
che risulta sensibilmente inferiore rispetto al limite l imite fissato (0.2 mm). Combinazione di carico frequente
Ripercorrendo gli stessi passi effettuati in precedenza, si può ripetere la verifica anche nella combinazione frequente. Il carico di progetto vale q freq = g k + ψ1 ⋅ q k = 2500 + 312 + 0.5 ⋅ 2000 = 3812 kg / m
in cui si è assunto per ψ1 il valore corrispondente ad un carico variabile per abitazioni. Il momento di progetto, nella sezione maggiormente sollecitata, vale 5.00 2 = 1.191⋅10 4 kgm = 1.191⋅108 Nmm = 0.119 MNm M sd, freq = M B, freq = 3812 ⋅ 8 In corrispondenza di tale azione si ha una tensione nell’acciaio teso pari a (in regime fessurato) Msd,freq 1.191⋅ 108 σs = n ⋅ ⋅ (d − x ) = 15 ⋅ ⋅ (420 − 176) = 205.8 MPa 9 J ci 2.118 ⋅ 10
Lezione n. 24bis – pag. XXIVb.23
Distanza media tra le fessure Il valore della distanza media tra le fessure dipende soltanto dalla disposizione di armatura e dalla forma del diagramma delle tensioni precedente alla fessurazione. Di conseguenza tale valore è lo stesso ricavato in precedenza, ossia s rm = 82.3 mm Deformazione unitaria media nelle armature Con lo stesso significato dei simboli del caso precedente, si ha 205.8 69.7 2 205.8 εsm = ⋅ 1 − 1.0 ⋅ 0.5 ⋅ ⋅ 0.942 = 9.42 ⋅ 10− 4 = 206000 205.8 206000
A Z Z O B Valore caratteristico di ampiezza delle fessure w k = 1.7 ⋅ w m = 1.7 ⋅ s rm ⋅ ε sm = 1.7 ⋅ 82.3 ⋅ 9.42 ⋅ 10 −4 = 0.132 mm ancora inferiore rispetto al limite fissato (0.4 mm).
Lezione n. 25 Le strutture in acciaio Introduzione al calcolo di strutture in acciaio Prova di trazione monoassiale Classificazione degli acciai da carpenteria
A Z Z O B Introduzione
Le strutture in acciaio nascono dall’assemblaggio di pezzi monodimensionali (profilati) e/o bidimensionali (lamiere) prodotti in luoghi diversi da quello di fabbricazione delle strutture. Le fasi di costruzione possono sintetizzarsi nel seguente modo: 1. produzione dei profilati e delle lamiere nell’acciaieria; 2. trasformazione dei profilati e/o lamiere in elementi strutturali o complessi strutturali preassem blati in carpenteria metallica(*); 3. trasporto e montaggio dei complessi strutturali in cantiere. Uno degli aspetti più importanti delle costruzioni in acciaio è pertanto rappresentato dalla realizzazione delle unioni tra i vari elementi strutturali o complessi strutturali, dal cui assemblaggio nasce la struttura. Le strutture in c.a. sono realizzate tramite il getto di calcestruzzo entro le casseforme e quindi la struttura tende ad essere monolitica.
cassero
Esempio di nodo rigido in un telaio di c.a.
Il grado di incastro che si riesce ad ottenere in un nodo trave-pilastro di una struttura in acciaio di pende invece dalla modalità e dal tipo di unione. costole di irrigidimento
a)
b)
Esempio di nodo rigido e di nodo cerniera in una struttura in acciaio (*)
Carpenteria metallica: carpento = antico carro romano a due ruote per il trasporto di donne nobili;
Lezione n. 25 – pag. XXV.2
In (a) si realizza per mezzo della saldatura e l’inserimento di costole di irrigidimento una maggiore solidarietà strutturale rispetto al caso (b). Di contro, l’unione tipo (b) è di più difficile realizzazione, richiede maggiore cura nella fase di esecuzione ed è più costosa. Per limitare le lavorazioni sia in officina sia in cantiere, durante la fase di montaggio, e ridurre i costi, si cerca di semplificare le unioni, ossia di ridurre il grado di vincolo tra i vari elementi o com plessi strutturali. La riduzione del grado di vincolo può comportare labilità e pertanto per assicurare la stabilità strutturale è necessario introdurre opportuni elementi strutturali (controventi).
A Z Z O B Telaio monopiano con il traverso a nodi incastrati
Telaio monopiano con il traverso a nodi incernierati e controvento a croce di S. Andrea (**)
La struttura della figura di sinistra è labile: si introducono allora elementi (controventi) che la rendono isostatica (figura di destra).
Tipologie strutturali Edifici monopiano (fabbricati industriali)
Con copertura a capriate
(**)
Croce di Sant’Andrea: croce a X o decussata, così chiamata perché su una croce di questo tipo fu inchiodato e fatto morire Sant’Andrea, almeno da quanto risulta nelle figurazioni del martirio, fuori d’Italia, a partire dai sec. X-XI. Questa forma figura nella bandiera scozzese (quindi in quella del Regno
Lezione n. 25 – pag. XXV.3
A 2
1
A Z Z O B d
d
d
A
2
1
S e z . A −A
L Con copertura a shed
A
PIANTA
A A . Z E S
A
Con copertura a piastra reticolare
Lezione n. 25 – pag. XXV.4
Edifici multipiano
A Z Z O B a)
b)
Edificio a nodi rigidi (a) e a nodi incernierati (b)
Nel telaio a nodi rigidi le giunzioni sono più impegnative e il telaio è più deformabile; mentre nel caso b) le giunzioni sono più semplici e si ha una minore deformabilità.
Forme dei profilati in acciaio
(1)
(4)
(2)
(3)
(5)
(1) Profili a doppio T. La classificazione italiana prevede profili del tipo HE (profili ad ali larghe e parallele, in cui la larghezza della base b è dello stesso ordine di grandezza dell’altezza h), del tipo IPE (in cui la base b è circa la metà dell’altezza h) o del tipo IPN (di caratteristiche analoghe al tipo IPE ma con ali non parallele tra loro nella parte di collegamento con l’anima verticale). A loro volta i profili del tipo HE sono suddivisi in tre tipologie: HEA, HEB e HEM, caratterizzati da un valore diverso dello spessore delle ali e dell’anima (più piccolo in A, maggiore in B e ancora superiore in M). Sono indicati dalle lettere che identificano il tipo di profilo e da un numero che esprime l’altezza in mm (ad esempio: HEB 220, profilo del tipo HE, della serie B, di altezza 220 mm). (2) Profili a C (o ad U) . Sono ancora caratterizzati da un valore dell’altezza h circa doppio rispetto alla base b, e sono classificati in profili UPN (o semplicemente U, con ali non parallele tra loro nella parte di collegamento con l’anima verticale) e profili UAP (quando le ali sono parallele tra loro). Per l’indicazione del profilo, vale quanto specificato per i profili a doppio T (esempio: profilo UPN 180, profilo del tipo U, ad ali non parallele, di altezza 180 mm).
(3) Profili ad L, a lati uguali o disuguali . Sono indicati da sigle del tipo L 50 ×65×6, in cui 50 e 65 rappresentano (in mm) le lunghezze dei due lati, mentre 6 indica lo spessore (in mm). (4) Profili a T, a spigoli tondi o vivi . Hanno altezza paragonabile alla larghezza e vengono designati semplicemente dal valore dell’altezza (T 100, profilo a T di altezza 100 mm)
Lezione n. 25 – pag. XXV.5
(5) Tubi quadrati, rettangolari o circolari, formati a freddo o saldati . Vengono di solito indicati esplicitando le due dimensioni dei lati (o il diametro nel caso del cerchio) e lo spessore: ad esempio la scrittura O 219,1×6,3 indica un profilo circolare cavo di diametro 219,1 mm e spessore 6,3 mm.
Spesso le aste sono formate da profilati accoppiati a due a due, attraverso il collegamento con una piastra rettangolare:
A Z Z O B “schiena a schiena”
“a farfalla”
Acciaio
L’acciaio è una lega Fe-C con un tenore di carbonio inferiore al 2 %. Gli acciai si classificano in funzione del loro contenuto in carbonio. In particolare si individuano: acciai acciai acciai acciai acciai
extra-dolci dolci semiduri duri durissimi
C < 0,15 % 0,15 % < C < 0,25 % 0,25 % < C < 0,50 % 0,50 % < C < 0,75 % 0,75 % < C
Gli acciai da carpenteria metallica sono del tipo “dolce”; ulteriori limitazioni sono fissate dalla Normativa nel caso in cui si voglia garantire la saldabil ità dell’acciaio.
Proprietà meccaniche
Le grandezze che caratterizzano le proprietà degli acciai sono rappresentate principalmente da: − resistenza − durezza (***) − duttilità (tenacità) − saldabilità Resistenza: viene determinata mediante una prova sperimentale di trazione monoassiale (descritta in dettaglio nel seguito). Durezza: rappresenta la resistenza locale che il materiale oppone alla penetrazione di un altro corpo (è una misura della resistenza alla deformazione plastica permanente). Duttilità (tenacità): è una misura della quantità di energia che un materiale è in grado di assorbire prima di giungere a rottura (capacità di deformarsi in modo plastico). Saldabilità: rappresenta l’attitudine del materiale a realizzare continuità metallica con giunti saldati (non precisabile in senso assoluto ma soltanto relativo, per gradi, funzione del tipo di acciaio e procedimento di saldatura). Il parametro che maggiormente influenza le proprietà meccaniche di un acciaio è rappresentato dal tenore di carbonio. Al crescere del tenore di C si ha che: − la resistenza a trazione aumenta; − l’allungamento a rottura, e quindi la duttilità del materiale, diminuisce.
(***)
Il termine duttilità viene utilizzato con riferimento a un elemento o complesso strutturale, mentre il
Lezione n. 25 – pag. XXV.6
40
30
10
resistenza a trazione (f t)
75
) 2 ) m % m / ( g 50 A20 k ( t f
A Z Z O B 10
25
0
0
allung. % a rottura (A)
0,5 1,0 %C
1,5 1,7
Variazione della resistenza a trazione e dell’allungamento a rottura di un acciaio al variare del contenuto in carbonio
Oltre al carbonio, nell’acciaio sono presenti altri elementi: − silicio; − manganese; − fosforo e zolfo (sono da considerarsi impurezze e quindi la Normativa ne prescrive un contenuto inferiore allo 0,1 %).
Determinazione sperimentale della resistenza e dell’allungamento a rottura
La prova di trazione semplice (normalizzata) viene eseguita su provini di dimensioni standard (altezza pari a 5 volte il diametro o pari a 5,65·(A 0)½ dove A0 è l’area della sezione in mm2), a 20 °C ed a un’assegnata velocità di carico.
L0
Apparecchiatura di prova per un test a trazione di una barretta di acciaio (a sinistra); provino standard (a destra)
Lezione n. 25 – pag. XXV.7
σeff
σn
f t
B’
f y
B
σe
C
R D
A Z Z O B A
σ p
arctg(E)
O
εr ε n
0,2%
Prova di trazione monoassiale su un acciaio da carpenteria metallica
Nella curva si riporta, in funzione della tensione nominale σn, la deformazione nominale εn, in cui entrambe le grandezze sono riferite alle dimensioni originali del provino σn =
P
A0
εn =
∆L
L0
Nel diagramma si distinguono alcuni tratti caratter istici: OA tratto elastico lineare (fino al limite di proporzionalità, σ p) AB breve tratto elastico non lineare (fino al limite σe≈σ p) BC snervamento (tensione di snervamento: valore della tensione al di sopra del quale l’allungamento si accresce sensibilmente senza apprezzabili aumenti di tensione)(****) CD incrudimento: tratto in cui sono necessari piccolissimi aumenti di tensione per accrescere εn D rottura: in D si ha una accentuata strizione trasversale del provino in corrispondenza della sezione di rottura con successivo decremento delle σn. La curva σeff – εn, tratteggiata nell’ultimo tratto della figura, permette di osservare come l’incrudimento si manifesti fino alla rottura: la strizione del materiale fa sì che la tensione effettiva σeff continui a crescere a causa della contemporanea diminuzione dell’area trasversale. Nel diagramma si identificano alcune grandezze caratteristiche: Indici di resistenza - tensione di snervamento (f y) - tensione di rottura (f t) Indici di duttilità
(****)
- allungamento a rottura (εr ): si misura come differenza tra la lunghezza dopo e prima della rottura, in rapporto alla lunghezza iniziale L 0
Molti acciai duttili hanno due valori di tensione di snervamento: − uno superiore (con diminuzione delle σn al crescere di εn – tratto AB’ in figura) − uno inferiore (con accrescimento spontaneo di εn senza apprezzabili variazioni di σn); per tensione di snervamento si intende quella corrispondente allo snervamento inferiore. Per gli acciai non duttili (ad esempio quelli impiegati per la precompressione) la tensione di snervamento è definita in maniera convenzionale come il valore della tensione per la quale, allo
Lezione n. 25 – pag. XXV.8
Designazione
Resistenza a rottura, f t [N/mm2]
Tensione di snervamento, f y [N/mm2]
Allungamento % a rottura barre o profili cavi lamiere profilati
Fe 360
≥ 360
≥ 235
24
28
26
Fe 430
≥ 430
≥ 275
21
24
23
Fe 510
≥ 510
≥ 355
20
22
21
A Z Z O B Caratteristiche meccaniche degli acciai da carpenteria
Costanti elastiche
Per tutti gli acciai da carpenteria metallica si assumono i seguenti valori delle costanti elastiche(†) − modulo di elasticità normale (modulo di Young): E=206000 N/mm 2 − modulo di elasticità tangenziale: G= 78400 N/mm2
Verifica secondo il metodo delle tensioni ammissibili
Tensioni ammissibili per gli acciai da carpenteria (t: spessore massimo degli elementi): 2
2
Designazione
σadm [N/mm ] t ≤ 40 mm
σadm [N/mm ]
Fe 360
160
140
Fe 430
190
170
Fe 510
240
210
t > 40 mm
Le tensioni riportate nella tabella precedente si intendono per condizioni di carico di tipo I. Per le condizioni di tipo II si assumono valori maggiorati a 1,125 ⋅σadm.
La condizione di carico I cumula nel modo più sfavorevole le azioni permanenti ed accidentali (compresi eventuali effetti dinamici) ad eccezione degli effetti del vento, del sisma e degli stati coattivi sfavorevoli (temperatura, cedimenti vincoli, etc.). Si devono includere nella condizione di carico I gli effetti statici e dinamici del vento (o del sisma) qualora le tensioni da essi provocate siano maggiori di quelle ingenerate dagli altri carichi permanenti ed accidentali.
La condizione di carico II cumula nel modo più sfavorevole i carichi permanenti ed accidentali (vento e sisma inclusi).
Normativa di riferimento
D.M. Min. LL.PP. 9 gennaio 1996 “Norme tecniche per il calcolo, l’esecuzione ed il collaudo delle strutture in cemento armato, normale e precompresso e per le strutture metalliche”
Circolare Min. LL.PP. 15 ottobre 1996 n. 252 AA.GG./S.T.C. Istruzioni per l’applicazione delle “Norme tecniche per il calcolo, l’esecuzione ed il collaudo delle strutture in cemento armato, normale e precompresso e per le strutture met alliche” di cui al D.M. 9 gennaio 1996 CNR 10011/97 Costruzioni di acciaio: Istruzioni per il calcolo, l’esecuzione, il collaudo e la manutenzione (†)
Ricordando la relazione che lega le due costanti elastiche G ed E E E G= ⇒ ν= −1 2(1 + ν ) 2G
Lezione n. 26 Le strutture in acciaio Verifica di elementi strutturali in acciaio Il problema della stabilità dell’equilibrio
Uno degli aspetti principali da tenere ben presente nella progettazione delle strutture in acciaio è quello legato ai problemi di stabilità dell’equilibrio. L’elevata resistenza dell’acciaio, rispetto ad altri materiali quali il calcestruzzo o la muratura, consente infatti, a parità di sollecitazioni, di adottare per gli elementi strutturali sezioni molto ridotte con notevole risparmio di materiale. Gli elementi strutturali in acciaio sono pertanto molto snelli, cosicché nelle membrature compresse o pressoinflesse occorre prestare attenzione ai fenomeni di instabilità (*).
A Z Z O B Esempio
Per avere un’idea di quanto un elemento in acciaio sia più snello di uno realizzato con un altro materiale, a parità di sforzo normale, si consideri il seguente esempio, in cui un pilastro di altezza l=3 m, a sezione quadrata, è sottoposto all’azione di un carico assiale di intensità pari a P=630 kN. Ricordando che il raggio di inerzia di una sezione quadrata di lato a vale J a 4 / 12 a a⋅ 3 ρ= = = = A 6 12 a2 si ottiene:
Fe 360
tensione ammissibile Amin=P/2σadm [mm ] [MPa] 160 3.938
Legno (larice 2 a)
10
Calcestruzzo
7
63.000 90.000
2,4
262.500
Muratura
amin [mm]
ρ [mm]
λ=l/ρ [-]
λacc/λ [-]
63
18
167
1,00
251
72
42
4,00
300
87
34
4,78
512
148
20
8,16
N.B. Nell’esempio si prescinde dall’analisi di stabilità dell’equilibrio e si è determinata, per cia scun materiale, la sezione minima necessaria perché sia soddisfatta la verifica di resi stenza
La snellezza λ dell’elemento di acciaio (prescindendo dalla verifica di stabilità) è circa otto volte quella dello stesso elemento in muratura (come si può desumere anche per via diretta dal rapporto tra le resistenze dei due materiali)!
(*)
In realtà fenomeni di instabilità si possono manifestare anche in elementi semplicemente inflessi (es. instabilità flesso-torsionale) o in alcune parti di elementi strutturali (es. anima di sezioni a T in corrispondenza di carichi concentrati); si rimanda ai testi specialistici per approfondimenti
Lezione n. 26 – pag. XXVI.2
Richiami sul carico critico euleriano
Rimandando a testi specifici sull’argomento per una descrizione esaustiva del fenomeno, nel seguito si richiamano le linee generali del problema del carico di punta in aste semplicemente com presse. Un’asta semplicemente compressa, a sezione costante e sufficientemente snella, vincolata alle sue estremità, per qualunque valore del carico, si trova in una configurazione di equilibrio che corrisponde ad una configurazione rettilinea. La configurazione, a meno dell’accorciamento elastico P ∆L = L ⋅ EA corrisponde alla sua configurazione iniziale, indicata con C 0, ossia alla situazione in assenza di carico. Al crescere del carico, prima di raggiungere la resistenza a compressione del materiale, può darsi che la trave improvvisamente si disponga in una configurazione diversa da quella iniziale, in cui la linea d’asse si è incurvata, e che corrisponde ancora ad una configurazione di equilibrio per la struttura (configurazione che si indica con C 1). Supponendo che gli spostamenti siano sufficientemente piccoli (e quindi che lo spostamento trasversale y(x) non sia troppo elevato), si può ricostruire la forma della configurazione deformata im ponendo la condizione di equilibrio. A differenza di quello che si fa classicamente nell’approccio “lineare” (in cui si pensa che la configurazione che assume un qualunque corpo a seguito di una deformazione causata da carichi esterni sia talmente vicina a quella iniziale da ritenere le due configurazioni praticamente coincidenti), occorre avvicinarsi al problema secondo un procedimento “non lineare” o, come spesso si dice, “del second’ordine”; si rimuove quindi l’ipotesi di linearità tra carico applicato e deformazione e si studia l’equilibrio tenendo conto dell’influenza dello stato di spostamento sullo stesso equilibrio.
A Z Z O B Con riferimento alla situazione in figura, nella configurazione C 1 il carico assiale induce, a causa dello spostamento trasversale, un momento sollecitante (che chiameremo “esterno”), che nella generica sezione a distanza x è pari a M est = P ⋅ y(x ) L’equilibrio impone che il materiale (supposto ancora elastico lineare) tenda ad opporsi a tale sollecitazione deformandosi, reagendo quindi con un momento “interno” che, secondo le consuete equazioni delle travi inflesse, vale
Lezione n. 26 – pag. XXVI.3
La condizione di equilibrio richiede che M est = M int ⇒ − EJ ⋅ y′′(x ) = P ⋅ y(x ) L’equazione differenziale che si ottiene è quindi del tipo P y′′(x ) + ⋅ y(x ) = 0 EJ che si può riscrivere nella forma
A Z Z O B y′′(x ) + α 2 ⋅ y(x ) = 0 dopo aver posto
P EJ L’equazione ammette soluzione generale del tipo y(x ) = A ⋅ sin (αx ) + B ⋅ cos(αx ) dove le costanti A e B possono essere esplicitate imponendo le condizioni al contorno offerte dai vincoli. Nel caso in esame (estremità incernierate), le condizioni al contorno impongono che y(0) = 0 B = 0 B = 0 ⇒ ⇒ y(L) = 0 A ⋅ sin (αL ) + B ⋅ cos(αL) = 0 A ⋅ sin(αL) = 0
α=
Il sistema ammette due soluzioni: la prima (banale) corrisponde a A=0, B=0, ossia alla configurazione indeformata (la configurazione iniziale, C 0, che si è visto essere di equilibrio per qualunque valore del carico); la seconda (supponendo A ≠0) si ottiene annullando l’argomento della funzione seno, ossia
π 2 ⋅ EJ P α⋅L = π ⇒ π = L⋅ ⇒ P= 2 EJ L Il valore del carico così ottenuto si chiama carico critico (euleriano) della trave, e rappresenta il più piccolo valore del carico assiale per il quale la trave caricata di punta può assumere una configurazione di equilibrio diversa dalla configurazione indeformata C 0. Qualunque siano le condizioni vincolari di estremità, si può dimostrare che il carico critico assume sempre la forma
π 2 ⋅ EJ Pcr = 2 L0 in cui si indica con L 0 la lunghezza libera di inflessione, definita come la distanza tra due flessi consecutivi nella deformata “critica” della trave, ossia la deformata che la trave assume nella configurazione deformata C 1. Il valore della lunghezza libera di inflessione dipende esclusivamente dal tipo di vincolamento offerto alla trave, e viene spesso espresso in funzione della luce L della trave, attraverso l’introduzione di un coefficiente di vincolo, β, i cui valori sono riportati nella figura seguente L0 = β ⋅ L Il carico critico viene spesso espresso nella forma 2
ρ π 2 EA π 2 EJ π 2 E ⋅ Aρ 2 2 = π EA = 2 , Pcr = 2 = L0 L20 λ L 0 dove si è introdotta la snellezza λ.
L λ= 0 ρ
Lezione n. 26 – pag. XXVI.4
valori teorici valori di Normativa
β =2,0
β =1,0
β =0,7
β =0,5
β =2,0
β =1,0
β =0,8
β =0,7
A Z Z O B L0=0,7L
L0=2L
mensola
L0=0,5L
L0=L
trave doppiamente appoggiata
trave incastroappoggio
trave incastrobipendolo
I valori di Normativa delle lunghezze libere di inflessione tendono ad essere maggiori di quelli teorici, perché tengono conto del fatto che nella realtà i vincoli non sono perfetti. Per un assegnato elemento strutturale non è detto che L 0 sia uguale in tutti i piani (questo avviene solo se le condizioni di vincolo sono le stesse in tutte le direzioni dello spazio). Pertanto occorre calcolare la snellezza nei diversi piani, adottando di volta in volta la corrispondente lunghezza li bera di inflessione ed il relativo raggio di inerzia. Il carico critico è quello corrispondente alla snellezza massima. PIANO XY Vincolo: incastro-bipendolo (L0,Y=0,5·L) b ⋅ a 3 b ⋅ a 3 1 a = JZ = A = a ⋅ b ρZ = 12 12 a ⋅ b 12 Snellezza L 0,5 ⋅ L L λ Z = 0, Y = ≈ 1,732 JZ a a / 12 PIANO XZ Vincolo: mensola (L0,Z=2,0·L)
a ⋅ b 3 a ⋅ b 3 1 b = JY = A = a ⋅ b ρY = 12 12 a ⋅ b 12 Snellezza L 2,0 ⋅ L L λ Y = 0, Z = ≈ 6,928 J Y b / 12 b SNELLEZZA MASSIMA λ max = max(λ Y , λ Z ) CARICO CRITICO π 2 E(a ⋅ b ) Pcr = 2 λ max
Lezione n. 26 – pag. XXVI.5
Il metodo omega
Il carico critico può essere espresso anche in termini tensionali, introducendo la tensione critica euleriana Pcr π 2 E σ cr = = 2 A λ La sicurezza della struttura richiederà quindi che la tensione effettiva nella trave sia inferiore al valore della σcr , in modo da assicurarsi una sufficiente distanza dal carico critico P cr . La condizione di superamento del carico critico può infatti condurre a situazioni deformative inaccettabili, per cui, di fatto, la struttura si troverebbe ad operare in condizioni non sicure. La verifica di sicurezza per un’asta semplicemente compressa può quindi essere scritta nella forma
A Z Z O B π2E P σcr σ= ≤ = A νcr λ2 ⋅ ν cr
dove νcr è un opportuno coefficiente di sicurezza (di solito νcr ≈1,5). Inoltre, la tensione effettivamente agente non può evidentemente superare il limite della massima tensione ammissibile per il materiale P σ = ≤ σ adm A Le due verifiche vengono spesso contemplate in un’unica verifica che prende il nome di metodo ω (si legge “metodo omega”). La verifica, che diviene quindi contemporaneamente una verifica di resistenza (nell’ottica del metodo delle tensioni ammissibili) e di sicurezza nei confronti del problema di instabilità, viene espressa, per le aste semplicemente compresse, nella forma ω⋅ P σ= ≤ σ adm A dove ω è un coefficiente maggiore dell’unità, che tende al valore 1 per strutture poco snelle (tozze) per le quali la verifica di resistenza è preponderante rispetto alla verifica di stabilità, mentre tende al valore 2 σ adm σ adm ⋅ ν cr 2 λ f y ω= = ⋅λ ≈ 2 2 σ cr / ν cr π E π E
per snellezze elevate. In sostanza, il coefficiente ω dipende: − dalle caratteristiche del materiale impiegato (attraverso E e σadm); − dalla snellezza dell’elemento considerato (attraverso λ), e quindi dalla geometria della sezione trasversale, dalla lunghezza della trave e dai vincoli di estremità; ed assume valori crescenti in funzione della snellezza λ. In Normativa sono riportate le tabelle dei valori di ω per i vari tipi di acciaio di carpenteria, in funzione, oltre che della snellezza λ dell’elemento, del tipo di profilo e dello spessore.
Lezione n. 26 – pag. XXVI.6
Verifiche di elementi strutturali in acciaio
Le verifiche si possono raggruppare in tre diverse categorie 1) Verifiche di resistenza 2) Verifiche di stabilità 3) Verifiche di deformabilità Nel seguito si riportano le principali indicazioni di Normativa, relativamente sia alle verifiche con il metodo degli Stati Limite (S.L. nel seguito) che secondo il metodo delle Tensioni Ammissibili (T.A.).
A Z Z O B 1) Verifiche di resistenza
1a) Aste tese N f (S.L.) σ N = ≤ d A eff σ adm (T.A.) dove f d = f y /γm con f y tensione caratteristica di snervamento e γm coefficiente del metodo degli S.L. Aeff area effettiva della sezione, cioè quella depurata dall’eventuale area dei fori 1b) Aste inflesse - Flessione semplice (flessione retta) M f d (S.L.) σM = ≤ ψ W σ adm (T.A.) -
ψ ≥ 1 è un coefficiente di adattamento plastico (di solito si assume ψ = 1) Flessione composta (flessione deviata) M f (S.L.) 1 M σM = x + y ≤ d ψ Wx Wy σ adm (T.A.) Mx, My valori del momento flettente nei due piani principali di inerzia Wx, Wy corrispondenti valori dei moduli di resistenza
1c) Taglio (es. sezione di appoggio di una trave semplicemente appoggiata) f / 3 (S.L.) T τ max = χ ≤ d A σ adm / 3 (T.A.) 1d) Taglio e Flessione (es. appoggio centrale di una trave su tre appoggi) f (S.L.) σid = σ 2 + 3τ 2 ≤ d σ adm (T.A.) - in generale, per stati di sforzo piani: f (S.L.) σ id = σ 2x + σ 2y − σ x σ y + 3τ 2xy ≤ d σ adm (T.A.) 1e) Aste tenso-inflesse N M f d (S.L.) σ = σ N + σ M = + ≤ A ψW σ adm (T.A.)
Lezione n. 26 – pag. XXVI.7
2) Verifiche di stabilità
Le verifiche di stabilità sono obbligatorie per tutti gli elementi compressi, presso-inflessi e inflessi in genere. È opportuno sottolineare che, innanzitutto, la Normativa impone dei limiti alla snellezza massima negli elementi in cui possa essere presente uno sforzo normale di compressione. Tali limiti assumono il valore λmax ≤ 200 per le membrature principali λmax ≤ 250 per le membrature secondarie e tali limiti vengono abbassati rispettivamente a 150 e 200 in presenza di azioni dinamiche rilevanti.
A Z Z O B 2a) Aste compresse La verifica si esegue con il metodo ω ω ⋅ N f d (S.L.) σ= ≤ A σ adm (T.A.)
con ω dipendente da λ (e quindi dai vincoli), dal tipo di acciaio, dal tipo di profilo e dallo spessore. 2b) Aste pressoinflesse - Aste soggette a momento flettente M costante (S.L.) f ω ⋅ N M σ= + ≤ d A N σ adm (T.A.) ψW1 − υ N cr dove υ=1,0 1,5 υ= 1,5 / 1,125
-
-
S.L. I cond. di carico T.A II cond. di carico
Il valore di Ncr (che rappresenta il carico critico euleriano della stessa asta soggetta a carico di punta) si ricava dall’espressione π2E N cr = σ cr ⋅ A = 2 ⋅ A λ in cui σcr rappresenta la tensione critica euleriana rispetto al piano di inflessione. Aste soggette a momento flettente M variabile lungo l’asta M eq (S.L.) f ω ⋅ N σ= + ≤ d A N σ adm (T.A.) ψW1 − υ N cr
nell’espressione di σ si adotta un valore M eq fornito dalla Normativa Meq = 1,3·Mmedio per travi appoggiate o continue, con 0,75·M max ≤ Meq ≤ Mmax Meq = Mmedio per travi a sbalzo, con 0,5·M max ≤ Meq ≤ Mmax Nel caso vada preso in considerazione anche lo svergolamento (si veda dopo), M eq viene amplificato di ω1 Aste soggette a momento flettente M in entrambi i piani
Lezione n. 26 – pag. XXVI.8
σ=
ω ⋅ N + A
M x , eq M y, eq (S.L.) f + ≤ d N N σ adm (T.A.) ψWx 1 − υ ψWy 1 − υ N cr , y N cr , x
2c) Aste inflesse (sicurezza allo svergolamento) Questo tipo di instabilità si può manifestare nelle travi a doppia T o a sezione rettangolare allungata, inflesse nel piano di massima rigidezza (in generale il problema esiste per sezioni con J x >> Jy e Jt piccolo) MA=PL P
A Z Z O B L
A
B
L
VA=P
trazioni
P
+
h
x
x
−
ala compressa
tf
compressioni
b
L’ala inferiore compressa può sbandare fuori dal piano di inflessione, provocando una inflessione laterale e una rotazione. La verifica si esegue nel seguente modo: ωM (S.L.) f σ = 1 eq ≤ d ψW σ adm (T.A.) il valore del coefficiente ω1 è fornito dalla Normativa in funzione del coefficiente adimensionale hL1 bt f in cui h altezza della trave L1 distanza tra due ritegni torsionali successivi (per la mensola si assume L 1=2L) b larghezza delle ali tf spessore delle ali e del tipo di acciaio. Il valore di ω1 può essere calcolato attraverso la seguente espressione f y hL ω1 = ⋅ 0,585 ⋅ E bt f
Lezione n. 26 – pag. XXVI.9
3) Verifiche di deformabilità
L’ultimo tipo di verifica che è necessario prevedere nelle strutture in acciaio, riguarda i limiti sulla deformabilità. Tali limitazioni, elencate nel seguito, si riferiscono alla “freccia” (f) degli elementi inflessi, ossia allo spostamento trasversale massimo. La grandezza L (luce della trave) va assunta pari al doppio dello sbalzo per le zone a sbalzo. L - arcarecci ed elementi inflessi dell’orditura minuta della copertura: f perm + accid ≤ 200 L - travi di solai: f accid ≤ 400 L - travi caricate da muri o da pilastri: f perm + accid ≤ 500 H - frecce orizzontali di edifici multipiano alti (H=altezza) dovute al vento: f vento ≤ 500 Nelle formule precedenti si è indicata con f perm+accid la freccia calcolata sotto l’azione contemporanea dei carichi permanenti ed accidentali, mentre f accid indica il contributo allo spostamento trasversale dovuto ai soli carichi accidentali.
A Z Z O B Tabelle
Le tabelle con i coefficienti da utilizzare nel metodo ω sono riportate nella CNR 10011/97, in funzione del tipo di acciaio utilizzato, della forma della sezione, della snellezza dell’asta soggetta a verifica. Nel seguito sono riportati, relativamente all’acciaio Fe360, le tabelle di tali coefficienti, per le stesse tipologie contemplate dalle istruzioni CNR. I valori sono tuttavia leggermente diversi, in quanto calcolati attraverso espressioni analitiche che forniscono stime errate (fino ad un massimo del 5.5%) rispetto ai valori tabellati. I valori di ω nelle tabelle sono stati calcolati attraverso le espressioni seguenti, in cui la sicurezza nei confronti dell’instabilità è valutata come I cond. di carico ν = 1.50 σ ≤ν σc ν = 1.50 / 1.125 II cond. di carico in cui σc, tensione corrispondente al raggiungimento del carico critico, è esprimibile attraverso la relazione per λ / λ c ≤ 0.2 1 σc 2 = 1 + α ⋅ λ2 − 0.04 + λ2 1 2 2 2 per 0.2 ≤ λ / λ ≤ 3.5 f y − + α ⋅ λ − + λ − ⋅ λ 1 0 . 04 4 c 2 ⋅ λ2 2 ⋅ λ2 dove
λ=
λ , λc
λc = π ⋅
E f y
curva α
a 0.158
b 0.281
c 0.384
d 0.587
Il coefficiente α è differenziato in funzione della forma del profilo, cui corrispondono curve diverse. Il valore di ω riportato in tabella coincide con il valore di f y/σc.
Lezione n. 26 – pag. XXVI.10
Prospetto 7-IIa - Coefficienti ω
Aste semplici Profili cavi quadri, rettangoli o tondi, saldati o laminati Spessore t ≤ 40 mm Acciaio Fe360
A Z Z O B λ
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
λ
0
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
0
10
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.01
10
20
1.01
1.02
1.02
1.02
1.03
1.03
1.03
1.04
1.04
1.04
20
30
1.04
1.05
1.05
1.05
1.06
1.06
1.06
1.06
1.07
1.07
30
40
1.07
1.08
1.08
1.08
1.09
1.09
1.09
1.10
1.10
1.10
40
50
1.11
1.11
1.11
1.12
1.12
1.13
1.13
1.14
1.14
1.15
50
60
1.15
1.16
1.16
1.17
1.17
1.18
1.19
1.19
1.20
1.21
60
70
1.21
1.22
1.23
1.24
1.25
1.26
1.27
1.27
1.28
1.29
70
80
1.31
1.32
1.33
1.34
1.35
1.36
1.38
1.39
1.40
1.42
80
90
1.43
1.45
1.46
1.48
1.49
1.51
1.53
1.55
1.56
1.58
90
100
1.60
1.62
1.64
1.66
1.68
1.70
1.72
1.74
1.77
1.79
100
110
1.81
1.83
1.86
1.88
1.90
1.93
1.95
1.98
2.00
2.03
110
120
2.06
2.08
2.11
2.14
2.16
2.19
2.22
2.25
2.28
2.31
120
130
2.34
2.37
2.40
2.43
2.46
2.49
2.52
2.55
2.58
2.61
130
140
2.64
2.68
2.71
2.74
2.78
2.81
2.84
2.88
2.91
2.95
140
150
2.98
3.02
3.05
3.09
3.12
3.16
3.20
3.23
3.27
3.31
150
160
3.34
3.38
3.42
3.46
3.50
3.54
3.57
3.61
3.65
3.69
160
170
3.73
3.77
3.81
3.85
3.89
3.94
3.98
4.02
4.06
4.10
170
180
4.15
4.19
4.23
4.27
4.32
4.36
4.41
4.45
4.49
4.54
180
190
4.58
4.63
4.67
4.72
4.77
4.81
4.86
4.90
4.95
5.00
190
200
5.05
5.09
5.14
5.19
5.24
5.29
5.33
5.38
5.43
5.48
200
210
5.53
5.58
5.63
5.68
5.73
5.78
5.83
5.89
5.94
5.99
210
220
6.04
6.09
6.15
6.20
6.25
6.30
6.36
6.41
6.47
6.52
220
230
6.57
6.63
6.68
6.74
6.79
6.85
6.90
6.96
7.02
7.07
230
240
7.13
7.19
7.24
7.30
7.36
7.42
7.48
7.53
7.59
7.65
240
250
7.71
250
Lezione n. 26 – pag. XXVI.11
Prospetto 7-IIb - Coefficienti ω
Aste semplici Profili a doppio T laminati (h/b ≥ 1.2, t ≤ 40 mm) Profili a doppio T laminati con aggiunta di piatti saldati (t ≤ 40 mm) Sezioni chiuse, a cassone, saldate (t ≤ 40 mm) Acciaio Fe360
A Z Z O B λ
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
λ
0
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
0
10
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.03
10
20
1.05
1.05
1.06
1.07
1.07
1.08
1.08
1.09
1.09
1.10
20
30
1.10
1.11
1.11
1.12
1.12
1.13
1.13
1.14
1.14
1.15
30
40
1.15
1.16
1.16
1.17
1.17
1.18
1.19
1.19
1.20
1.20
40
50
1.21
1.22
1.22
1.23
1.24
1.25
1.25
1.26
1.27
1.28
50
60
1.28
1.29
1.30
1.31
1.32
1.33
1.34
1.35
1.36
1.37
60
70
1.38
1.39
1.40
1.41
1.43
1.44
1.45
1.46
1.48
1.49
70
80
1.50
1.52
1.53
1.55
1.56
1.58
1.59
1.61
1.63
1.64
80
90
1.66
1.68
1.70
1.72
1.73
1.75
1.77
1.79
1.81
1.83
90
100
1.85
1.88
1.90
1.92
1.94
1.97
1.99
2.01
2.04
2.06
100
110
2.08
2.11
2.13
2.16
2.19
2.21
2.24
2.26
2.29
2.32
110
120
2.35
2.38
2.40
2.43
2.46
2.49
2.52
2.55
2.58
2.61
120
130
2.64
2.67
2.70
2.74
2.77
2.80
2.83
2.87
2.90
2.93
130
140
2.97
3.00
3.03
3.07
3.10
3.14
3.17
3.21
3.25
3.28
140
150
3.32
3.36
3.39
3.43
3.47
3.51
3.54
3.58
3.62
3.66
150
160
3.70
3.74
3.78
3.82
3.86
3.90
3.94
3.98
4.02
4.06
160
170
4.11
4.15
4.19
4.23
4.28
4.32
4.36
4.41
4.45
4.49
170
180
4.54
4.58
4.63
4.67
4.72
4.76
4.81
4.85
4.90
4.95
180
190
4.99
5.04
5.09
5.14
5.18
5.23
5.28
5.33
5.38
5.43
190
200
5.48
5.53
5.58
5.63
5.68
5.73
5.78
5.83
5.88
5.93
200
210
5.98
6.04
6.09
6.14
6.19
6.25
6.30
6.35
6.41
6.46
210
220
6.52
6.57
6.62
6.68
6.73
6.79
6.85
6.90
6.96
7.01
220
230
7.07
7.13
7.19
7.24
7.30
7.36
7.42
7.47
7.53
7.59
230
240
7.65
7.71
7.77
7.83
7.89
7.95
8.01
8.07
8.13
8.19
240
250
8.26
250
Lezione n. 26 – pag. XXVI.12
Prospetto 7-IIc - Coefficienti ω
Aste semplici o composte Sezione generica Spessore t ≤ 40 mm Acciaio Fe360
A Z Z O B λ
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
λ
0
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
0
10
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.02
10
20
1.03
1.04
1.05
1.06
1.07
1.07
1.08
1.09
1.09
1.10
20
30
1.11
1.11
1.12
1.13
1.13
1.14
1.15
1.15
1.16
1.17
30
40
1.17
1.18
1.19
1.19
1.20
1.21
1.22
1.23
1.23
1.24
40
50
1.25
1.26
1.27
1.27
1.28
1.29
1.30
1.31
1.32
1.33
50
60
1.34
1.35
1.36
1.37
1.38
1.40
1.41
1.42
1.43
1.44
60
70
1.46
1.47
1.48
1.50
1.51
1.52
1.54
1.55
1.57
1.58
70
80
1.60
1.61
1.63
1.65
1.66
1.68
1.70
1.72
1.73
1.75
80
90
1.77
1.79
1.81
1.83
1.85
1.87
1.89
1.91
1.93
1.95
90
100
1.98
2.00
2.02
2.04
2.07
2.09
2.12
2.14
2.16
2.19
100
110
2.21
2.24
2.27
2.29
2.32
2.35
2.37
2.40
2.43
2.46
110
120
2.48
2.51
2.54
2.57
2.60
2.63
2.66
2.69
2.72
2.75
120
130
2.78
2.81
2.85
2.88
2.91
2.94
2.98
3.01
3.04
3.08
130
140
3.11
3.14
3.18
3.21
3.25
3.28
3.32
3.36
3.39
3.43
140
150
3.46
3.50
3.54
3.58
3.61
3.65
3.69
3.73
3.77
3.81
150
160
3.85
3.89
3.92
3.96
4.01
4.05
4.09
4.13
4.17
4.21
160
170
4.25
4.29
4.34
4.38
4.42
4.47
4.51
4.55
4.60
4.64
170
180
4.68
4.73
4.77
4.82
4.86
4.91
4.96
5.00
5.05
5.09
180
190
5.14
5.19
5.24
5.28
5.33
5.38
5.43
5.48
5.53
5.57
190
200
5.62
5.67
5.72
5.77
5.82
5.87
5.92
5.97
6.03
6.08
200
210
6.13
6.18
6.23
6.29
6.34
6.39
6.44
6.50
6.55
6.61
210
220
6.66
6.71
6.77
6.82
6.88
6.93
6.99
7.04
7.10
7.16
220
230
7.21
7.27
7.33
7.38
7.44
7.50
7.56
7.62
7.67
7.73
230
240
7.79
7.85
7.91
7.97
8.03
8.09
8.15
8.21
8.27
8.33
240
250
8.39
250
Lezione n. 26 – pag. XXVI.13
Prospetto 7-IId - Coefficienti ω
Aste semplici o composte Sezione generica Spessore t > 40 mm
A Z Z O B Acciaio Fe360
λ
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
λ
0
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
0
10
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
1.00
10
20
1.02
1.05
1.06
1.07
1.09
1.10
1.11
1.12
1.13
1.14
20
30
1.15
1.16
1.17
1.17
1.18
1.19
1.20
1.21
1.22
1.23
30
40
1.24
1.25
1.26
1.27
1.28
1.29
1.30
1.31
1.32
1.33
40
50
1.34
1.35
1.36
1.37
1.38
1.39
1.41
1.42
1.43
1.44
50
60
1.45
1.47
1.48
1.49
1.51
1.52
1.53
1.55
1.56
1.57
60
70
1.59
1.60
1.62
1.63
1.65
1.66
1.68
1.70
1.71
1.73
70
80
1.74
1.76
1.78
1.80
1.81
1.83
1.85
1.87
1.89
1.91
80
90
1.93
1.95
1.97
1.99
2.01
2.03
2.05
2.07
2.09
2.11
90
100
2.13
2.16
2.18
2.20
2.22
2.25
2.27
2.29
2.32
2.34
100
110
2.37
2.39
2.42
2.44
2.47
2.49
2.52
2.55
2.57
2.60
110
120
2.63
2.65
2.68
2.71
2.74
2.77
2.80
2.82
2.85
2.88
120
130
2.91
2.94
2.97
3.00
3.03
3.07
3.10
3.13
3.16
3.19
130
140
3.22
3.26
3.29
3.32
3.35
3.39
3.42
3.46
3.49
3.52
140
150
3.56
3.59
3.63
3.66
3.70
3.73
3.77
3.81
3.84
3.88
150
160
3.92
3.95
3.99
4.03
4.07
4.10
4.14
4.18
4.22
4.26
160
170
4.30
4.34
4.38
4.42
4.46
4.50
4.54
4.58
4.62
4.66
170
180
4.70
4.74
4.79
4.83
4.87
4.91
4.96
5.00
5.04
5.09
180
190
5.13
5.17
5.22
5.26
5.31
5.35
5.40
5.44
5.49
5.53
190
200
5.58
5.62
5.67
5.72
5.76
5.81
5.86
5.91
5.95
6.00
200
210
6.05
6.10
6.15
6.19
6.24
6.29
6.34
6.39
6.44
6.49
210
220
6.54
6.59
6.64
6.69
6.75
6.80
6.85
6.90
6.95
7.00
220
230
7.06
7.11
7.16
7.22
7.27
7.32
7.38
7.43
7.48
7.54
230
240
7.59
7.65
7.70
7.76
7.81
7.87
7.92
7.98
8.04
8.09
240
250
8.15
250
Lezione n. 27 Le strutture in acciaio Le unioni bullonate Le unioni saldate
A Z Z O B Unioni
Le unioni nelle strutture in acciaio devono garantire un buon funzionamento della struttura e l’aderenza della stessa allo schema statico Come già anticipato, conviene privilegiare le unioni semplici perché sono: - facili da progettare; - facili e rapide da realizzare in aderenza al progetto; - economiche. Esistono tre tipi di unioni, riportati nel seguito nell’ordine cronologico in cui sono state introdotte nelle strutture in acciaio: - chiodature (non si usano quasi più); - bullonature; - saldature. I primi due tipi di unioni (chiodature e bullonature) hanno un comportamento simile e sono da preferirsi in cantiere, limitando le saldature alle lavorazioni in officina.
Unioni chiodate (o bullonate)
Unione chiodata (o bullonata) tra due aste tese:
1
2a
S/2
S
S/2
2b
1
S
S
2
Sezione e pianta dell’unione bullonata
Modalità di esecuzione dell’unione chiodata
Per realizzare l’unione si procede nel seguente modo: - si forano gli elementi da unire; - si inserisce il chiodo, dopo averlo riscaldato a circa 1200 °C; - subito dopo si ribatte il gambo, formando così un’altra testa; - raffreddandosi il chiodo si contrae, ed essendo il suo accorciamento contrastato dagli elementi che unisce, esercita sugli stessi, attraverso le due teste, una pressione di contatto; le aste esercitano una pressione uguale e contraria sulle teste del chiodo (per il principio di azione e re-
Lezione n. 27 – pag. XXVII.2
A Z Z O B Sezione schematica dell’unione chiodata
Sezione schematica dell’unione bullonata
Nelle unioni bullonate i bulloni sono anche essi soggetti a trazione, che nasce a seguito dell’operazione di serraggio dei bulloni
E
F
K
FC=F/2
K’
C
L’
D
B
L
G
FD=F/2
Sezione schematica dell’unione bullonata
Nel gambo del chiodo (o bullone) agiscono gli sforzi tra smessi dalle aste C e D, che trasferiscono al chiodo (o bullone) le forze F/2, mentre le aste A e B trasmettono la forza F. Lo schema statico del singolo chiodo è, in entrambi i casi, quello di una trave semplicemente ap poggiata:
Lezione n. 27 – pag. XXVII.3
E
taglio F/2
K
K’
A Z Z O B L
L’
F/2
F/2
Schema statico del singolo bullone (o chiodo)
N.B. I bulloni non si possono trattare come travi inflesse alla De Saint Venant perché la lunghezza dei bulloni, cioè la somma degli spessori degli elementi collegati, è dello stesso ordine di grandezza del diametro. Le verifiche di resistenza sono eseguite in modo convenzionale, con riferimento alla tensione tangenziale media. La verifica del bullone (o chiodo) a taglio si esegue considerando convenzionalmente la tensione tangenziale media:
τ=
T
A res
=
S/ 2
A res
f ≤ d, V τ b, adm
(S.L.)
(T.A.)
f d,V = resistenza di progetto a taglio τ b,adm = tensione ammissibile a taglio
variano a seconda del tipo di bulloni utilizzati
Nel caso in cui si abbia presenza contemporanea di sforzi normali e di taglio deve ris ultare 2
2
τ σ f d, V + f d, N ≤ 1
2
(S.L.)
2
τ σ τ b, adm + σ b, adm ≤ 1
(T.A.)
I chiodi e i bulloni sono realizzati con acciai diversi da quelli utilizzati per le aste e le piastre, di caratteristiche generalmente superiori. In normativa sono indicate cinque diverse classi di bulloni, con valori crescenti di resistenza:
caratteristiche
classe della vite
4.6
5.6
6.8
8.8
10.9
f y [N/mm2]
240
300
480
640
900
τ b,adm [N/mm2] σ b,adm [N/mm2]
113
141
170
264
330
160
200
240
373
467
f d,V [N/mm2]
170
212
255
396
495
f d,V [N/mm2]
240
300
360
560
700
Per A si intende l’area resistente della vite costituente il bullone, al netto cioè della filettatura.
Lezione n. 27 – pag. XXVII.4
d [mm]
12
14
16
18
20
22
24
27
30
Ares [mm2]
84
115
157
192
245
303
353
459
561
Diagramma carico-scorrimento di una unione bullonata S
C 4
A Z Z O B S1
3
S2
2
A
B
1
O
δ ΑΒ
Nel diagramma è facile riconoscere quattro rami, corrispondenti ad altrettanti diversi comportamenti dell’unione: ramo 1 – questo ramo è praticamente verticale perché lo scorrimento è quasi nullo al crescere del carico e la forza S viene trasmessa per attrito fra i pezzi collegati ramo 2 – nel punto A si ha il superamento della resistenza di attrito tra i pezzi collegati e si manifesta un brusco scorrimento, fino a quando il gambo del bullone non entra a contatto con la superficie dei fori (punto B) N.B. tra il gambo e i bulloni c’è una differenza fissata dalla normativa: i fori in cui si inseriscono i bulloni devono avere un diametro φ pari a d + 1 ,0 mm per d ≤ 20 mm φ = d + 1 ,5 mm per d > 20 mm
ramo 3 – ramo 4 –
questi valori sono più piccoli se non è consentito un assestamento dell’unione sotto carico lo scorrimento è praticamente proporzionale al carico, il bullone si deforma elasticamente in C termina la fase elastica e inizia una fase plastica con grandi scorrimenti per piccoli incrementi di carico, fino ad arrivare alla rottura dell’unione
S/2
2
S
1
S/2
δ1
S
S/2
δ2
S/2 Configurazione del giunto in corrispondenza dei punti A e B del diagramma
Lezione n. 27 – pag. XXVII.5
Il progetto delle unioni bullonate si può eseguire secondo una delle seguenti modalità: − progetto di unione ad attrito: si progetta l’unione in modo che S ≤ S1 − progetto di unione a taglio: si progetta l’unione in modo che S ≤ S2 Per completare la verifica dell’unione bullonata, oltre al bullone, occorre verificare gli elementi collegati per i quali possono verificarsi tre diversi tipi di rottura:
A Z Z O B 1 – rottura a taglio (ci si cautela nei confronti di questo tipo di rottura rispettando una distanza minima dal bordo)
2 – rottura a trazione
3 – rottura per rifollamento
2) rottura a trazione: occorre verificare la sezione dell’asta indebolita dal foro (di diametro φ)
elemento A: S/ 2
σ=
A −φ⋅t
≤
f d
(S.L.)
σ adm
(T.A.)
S/ 2
α f d α σ adm
3) rottura per rifollamento: si esegue una verifica convenzionale
σ rif =
d⋅t
≤
(S.L.)
(T.A.)
Lezione n. 27 – pag. XXVII.6
Dove d = diametro del bullone t = spessore dell’elemento α = a/d con 2,0 ≤ α ≤ 2,5
a
A Z Z O B Per l’applicabilità dei criteri di verifica descritti sopra, occorre rispettare le seguenti limitazioni dimensionali (tmin = minore degli spessori degli elementi collegati), che garantiscono inoltre un’adeguata sicurezza nei confronti della rottura di tipo 1) (rottura per taglio): distanza tra i bulloni
elementi compressi elementi tesi
3d ≤ p ≤ 15 tmin 3d ≤ p ≤ 25 tmin
distanza dal bordo in direzione della forza
2d ≤ a ≤ 6 tmin 2d ≤ a ≤ 9 tmin
bordo non irrigidito bordo irrigidito
distanza dal bordo libero
1,5d ≤ a1 ≤ 6 tmin 1,5d ≤ a1 ≤ 9 tmin
bordo non irrigidito bordo irrigidito
dove le varie grandezze sono rappresentate nella figura seguente:
1 a
p
1 a
p
a
p
a
Schema di una unione bullonata
Unioni saldate
Esistono due tipi di unioni saldate: − a completa penetrazione; − a cordoni d’angolo.
Saldature a completa penetrazione
1
2
Saldatura a completa penetrazione (+)
(+)
Saldatura a completa penetrazione non significa saldatura testa a testa; si possono infatti realizzare
Lezione n. 27 – pag. XXVII.7
Se lo spessore è piccolo, è sufficiente accostare i due lembi tagliati con taglio retto; per spessori maggiori, affinché la saldatura interessi tutto lo spessore dei pezzi occorre smussare uno o entrambi i lembi in modo opportuno:
1
2
1
2
A Z Z O B Saldatura a V e a X
Nell’ambito dei giunti a completa penetrazione le norme distinguono due classi di qualità: I classe
giunti realizzati con particolare accuratezza e soddisfacenti ad appositi controlli radiografici
II classe
giunti meno accurati, che comunque devono possedere dei requisiti minimi al controllo radiografico
Verifiche
1
2
1
f d S σ adm σ= ≤ b t 0.85 ⋅ f d 0.85 ⋅ σ adm
2
Giunto saldato testa a testa
Saldatura a cordoni d’angolo
1
1
2
S
b
1
2a
S/2 S/2
2b
2a
2b
I classe
II classe
Lezione n. 27 – pag. XXVII.8
I cordoni di saldatura possono essere a lati uguali o disuguali e la sezione può essere concava o convessa. La verifica dei cordoni di saldatura si esegue con riferimento alla sezione di gola, data dall’altezza di gola (a) moltiplicata per la lunghezza del cordone; l’altezza di gola è data dall’altezza minore del triangolo inscritto nella sezione trasversale del cordone.
A Z Z O B s
a
a
a
a
s
Cordone a lati uguali e sezione convessa
Definizione della sezione di gola in per varie sezioni del cordone
Nelle verifiche si considerano le tensioni riferite alla sezione di gola ribaltata su uno dei due lati del cordone. Ad esempio, il calcolo delle tensioni nei cordoni che collegano gli elementi 2a e 2b alla piastra 1 procede come segue: - i cordoni che collegano il pezzo 2a trasmettono ciascuno uno sforzo pari a (S/2)/2 = S/4 - sulla sezione di gola ribaltata sugli elementi 2, lo sforzo S/4 produce una tensione tangenziale parallela S/ 4
τ|| =
σ
La
τ|| = τ parall
τ
τ
Vista assonometrica di un cordone a sezione triangolare con indicazione delle tensioni
Quindi nell’esempio considerato tutti e quattro i cordoni sono soggetti a una tensione tangenziale parallela. Lo stesso collegamento potrebbe esser e realizzato, alternativamente, nel seguente modo:
1
2
S
b
1
2a
S/2 S/2
2b
Lezione n. 27 – pag. XXVII.9
In questo caso se si ribalta la sezione di gola sull’elemento 1, si hanno le tensioni tangenziali ortogonali, mentre se si ribalta sugli elementi 2, si hanno tensioni tangenziali ortogonali
σ
A Z Z O B τ
Tensioni normale e tangenziale ortogonali su un cordone trasversale
nel primo caso si ha:
τ ortog =
nel secondo caso si ha:
σ ortog =
S/ 2
b a
S/ 2
b a
L’unione con cordoni longitudinali è da preferirsi a quella con cordoni trasversali perché più duttile; inoltre bisogna evitare di realizzare unioni miste dove ci sono sia cordoni trasversali sia longitudinali:
Saldatura con cordoni trasversali e longitudinali (da evitare)
Verifiche dei cordoni d’angolo
Le verifiche da effettuare seguono il seguente schema (per semplicità, riportato soltanto nel caso di verifiche secondo il metodo delle tensioni ammissibili: eseguendo le verifiche secondo il metodo degli stati limite, basta sostituire nelle espressioni seguenti il valore di f d a quello di σadm). 1) nel caso in cui siano presenti tutte e tre le componenti di tensione, τ parall, τortog e σortog 0.85 ⋅ σ adm per l' acciaio Fe360 2 2 2
τortog + σ ortog + τ parall ≤ 0.70 ⋅ σ adm per l' acciaio Fe430 e Fe510 per l' acciaio Fe360 σ τortog + σ ortog ≤ adm 0.85 ⋅ σ adm per l' acciaio Fe430 e Fe510
2) nel caso in cui siano presenti le sole componenti di tensione τortog e σortog per l' acciaio Fe360 σ adm
+
≤
Lezione n. 27 – pag. XXVII.10
0.85 ⋅ σ adm per l' acciaio Fe360 τortog , σ ortog ≤ 0.70 ⋅ σ adm per l' acciaio Fe430 e Fe510 0.85 ⋅ σ adm per l' acciaio Fe360 σ ortog ≤ 0.70 ⋅ σ adm per l' acciaio Fe430 e Fe510 3) nel caso in cui siano presenti le sole componenti di tensione τortog e τ parall, ovvero σortog e τ parall 0.85 ⋅ σ adm per l' acciaio Fe360 2 2
A Z Z O B τortog + τ parall ≤ 0.70 ⋅ σ adm 0.85 ⋅ σ adm 2 2 σ ortog + τ parall ≤ 0.70 ⋅ σ adm
per l' acciaio Fe430 e Fe510 per l' acciaio Fe360
per l' acciaio Fe430 e Fe510
4) nel caso in cui sia presente solo una delle componenti di tensione τortog, σortog o τ parall basta verificare che 0.85 ⋅ σ adm per l' acciaio Fe360 τortog , σ ortog , τ parall ≤ 0.70 ⋅ σ adm per l' acciaio Fe430 e Fe510
Lezione n. 29 Le strutture in acciaio Tabelle dei principali profilati in acciaio di uso comune Travi HEA ad ali larghe parallele - serie alleggerita UNI 5397-78
sigla b h a e r Peso Sezione 2 HEA mm mm mm mm mm kg/m cm 100 100 96
Momenti di inerzia
Moduli di resistenza
Raggi di inerzia
Jx 4 cm
Jy 4 cm
Wx 3 cm
Wy 3 cm
ix cm
iy cm
5,0
8,0
12
16,7
21,24
349,2
133,8
72,76
26,76
4,06
2,51
120 120 114 5,0
8,0
12
19,9
25,34
606,2
230,9
106,3
38,48
4,89
3,02
140 140 133 5,5
8,5
12
24,7
31,42
1.033
389,3
155,4
55,62
5,73
3,52
160 160 152 6,0
9,0
15
30,4
38,77
1.673
615,6
220,1
76,95
6,57
3,98
180 180 171 6,0
9,5
15
35,5
45,25
2.510
924,6
293,6
102,7
7,45
4,52
200 200 190 6,5 10,0 18
42,3
53,83
3.692
1.326
388,6
133.6
8,28
4,98
220 220 210 7,0 11,0 18
50,5
64,34
5.410
1.955
515,2
177,7
9,17
5,51
240 240 230 7,5 12,0 21
60,3
76,84
7.763
2.769
675,1
230,7
10,05
6,00
260 260 250 7,5 12,5 24
68,2
86,82
10.450
3.668
836,4
282,1
10,97
6,50
280 280 270 8,0 13,0 24
76,4
97,26
13.670
4.763
1.013
340,2
11,86
7,00
300 300 290 8,5 14,0 27
88,3
112,5
18.260
6.310
1.260
420,6
12,74
7,49
320 300 310 9,0 15,5 27
97,6
124,4
22.930
6.985
1.479
465,7
13,58
7,49
340 300 330 9,5 16,5 27 105,0
133,5
27.690
7.436
1.678
495,7
14,40
7,46
360 300 350 10,0 17,5 27 112,0
142,8
33.090
7.887
1.891
525,8
15,22
7,43
400 300 390 11,0 19,0 27 125,0
159,0
45.070
8.564
2.311
570.9
16,84
7,34
450 300 440 11,5 21,0 27 140,0
178,0
63.720
9.465
2.896
631,0
18,92
7,29
500 300 490 12,0 23,0 27 155,0
197,5
86.970
10.370
3.550
691,1
21,98
7,24
550 300 540 12,5 24,0 27 166,0
211,8
111.900
10.820
4.146
721,3
22,99
7,15
600 300 590 13,0 25,0 27 178,0
226,5
141.200
11.270
4.787
751,4
24,97
7,05
650 300 640 13,5 26,0 27 190,0
241,6
175.200
11.720
5.474
781,6
26,93
6,97
700 300 690 14,5 27,0 27 204,0
260,5
215.300
12.180
6.241
811,9
28,87
6,84
800 300 790 15,0 28,0 30 224,0
285,8
303.400
12.640
7.682
842,6
32,58
6,65
900 300 890 16,0 30,0 30 252,0
320,5
422.100
13.550
9.485
903,2
36,29
6,50
1000 300 990 16,5 31,0 30 272,0
346,8
553.800
14.000
11.190
933,6
39,96
6,35
Gianni Bartoli/Maurizio Orlando – Appunti di Tecnica delle Costruzioni
Revisione – 22/02/02
304
Lezione n. 29 – pag. XXIX.2
Travi HEB ad ali larghe parallele - serie normale UNI 5397-78
Sigla b h a e r Peso Sezione 2 HEB mm mm mm mm mm kg/m cm
Momenti di inerzia Jx 4 cm
Jy 4 cm
Moduli di resistenza Wx 3 cm
Wy 3 cm
Raggi di inerzia ix cm
iy cm
100 100
100
6,0 10,0
12
20,4
26,04
449,5
167,3
89,91
33,45
4,16
2,53
120 120
120
6,5 11,0
12
26,7
34,01
864,4
317,5
144,1
52,92
5,04
3,06
140 140
140
7,0 12,0
12
33,7
42,96
1.509
549,7
215,6
78,52
5,93
3,58
160 160
160
8,0 13,0
15
42,6
54,25
2.492
889,2
311,5
111,2
6,78
4,05
180 180
180
8,5 14,0
15
51,2
65,25
3.831
1.363
425,7
151,4
7,66
4,57
200 200
200
9,0 15,0
18
61,3
78,08
5.696
2.003
569,6
200,3
8,54
5,07
220 220
220
9,5 16,0
18
71,5
91,04
8.091
2.843
735,5
258,5
9,43
5,59
240 240
240 10,0 17,0
21
83,2
106,0
11.260
3.923
938,3
326,9
10,31
6,08
260 260
260 10,0 17,5
24
93,0
118,4
14.920
5.135
1.148
395,0
11,22
6,58
280 280
280 10,5 18,0
24 103,0
131,4
19.270
6.595
1.376
471,0
12,11
7,09
300 300
300 11,0 19,0
27 117,0
149,1
25.170
8.563
1.678
570,9
12,99
7,58
320 300
320 11,5 20,5
27 127,0
161,3
30.820
9.239
1.926
615,9
13,82
7,57
340 300
340 12,0 21,5
27 134,0
170,9
36.660
9.690
2.156
646,0
14,65
7,53
360 300
360 12,5 22,5
27 142,0
180,6
43.190
10.140
2.400
676,1
15,46
7,49
400 300
400 13,5 24,0
27 155,0
197,8
57.680
10.820
2.884
721,3
17,08
7,40
450 300
450 14,0 26,0
27 171,0
218,0
79.890
11.720
3.551
781,4
19,14
7,33
500 300
500 14,5 28,0
27 187,0
238,6
107.200
12.620
4.287
841,6
21,19
7,27
550 300
550 15,0 29,0
27 199,0
254,1
136.700
13.080
4.971
871,8
23,20
7,17
600 300
600 15,5 30,0
27 212,0
270,0
171.000
13.530
5.701
902,0
25,17
7,08
650 300
650 16,0 31,0
27 225,0
286,3
210.600
13.980
6.480
932,3
27,12
6,99
700 300
700 17,0 32,0
27 241,0
306,4
256.900
14.440
7.340
962,7
28,96
6,87
800 300
800 17,5 33,0
30 262,0
334,2
359.100
14.900
8.977
993,6
32,78
6,68
900 300
900 18,5 35,0
30 291,0
371,3
494.100
15.820
10.980
1.054
36,48
6,53
1000 300 1000 19,0 36,0
30 314,0
400,0
644.700
16.280
12.890
1.085
40,15
6,38
Gianni Bartoli/Maurizio Orlando – Appunti di Tecnica delle Costruzioni
BOZZA SOGGETTA A REVISIONE
305
Lezione n. 29 – pag. XXIX.3
Travi IPE ad ali parallele UNI 5398-78
h mm
b mm
a mm
e mm
r mm
Peso Sezione 2 kg/m cm
Momenti di inerzia Jx 4 cm
Jy 4 cm
Moduli di resistenza Wx 3 cm
Wy 3 cm
Raggi di inerzia ix cm
iy cm
80
46
3,8
5,2
5
6,0
7,64
80,14
8,49
20,03
3,69
3,24
1,05
100
55
4,1
5,7
7
8,1
10,32
171,0
15,92
34,20
5,79
4,07
1,24
120
64
4,4
6,3
7
10,4
13,21
317,8
27,67
52,96
8,65
4,90
1,45
140
73
4.7
6,9
7
12,9
16,43
541,2
44,92
77,32
12,31
5,74
1,65
160
82
5,0
7,4
9
15,8
20,09
869,3
68,31
108,7
16,66
6,58
1,84
180
91
5,3
8,0
9
18,8
23,95
1.317
100,9
146,3
22,16
7,42
2,05
200
100
5,6
8,5
12
22,4
28,48
1.943
142,4
194,3
28,47
8,26
2,24
220
110
5,9
9,2
12
26,2
33,37
2.772
204,9
252,0
37,25
9,11
2,48
240
120
6,2
9,8
15
30,7
39,12
3.892
283,6
324,3
47,27
9,97
2,69
270
135
6,6 10,2
15
36,1
45,95
5.790,0
419,9
428,9
62,20
11,23
3,02
300
150
7,1 10,7
15
42,2
53,81
8.356
603,8
557,1
80,50
12,46
3,35
330
160
7,5 11,5
18
49,1
62,61
11.770
788,1
713,1
98,52
13,71
3,55
360
170
8,0 12,7
18
57,1
72,73
16.270
1.043
903,6
122,8
14,95
3,79
400
180
8,6 13,5
21
66,3
84,46
23.130
1.318
1.156,0
146,4
16,55
3,95
450
190
9,4 14,6
21
77,6
98,82
33.740
1.676
1.500,0
176,4
18,48
4,12
500
200 10,2 16,0
21
90,7
115,5
48.200
2.142
1.928
214,2
20,43
4,31
550
210 11,1 17,2
24
106
134,4
67.120
2.668
2.441
254,1
22,35
4,45
600
220 12,0 19,0
24
122
156,0
92.080
3.387
3.069
307,9
24,30
4,66
Gianni Bartoli/Maurizio Orlando – Appunti di Tecnica delle Costruzioni
BOZZA SOGGETTA A REVISIONE
306
Lezione n. 29 – pag. XXIX.4
Travi INP - serie normale UNI 5679-73
h mm
b mm
a mm
e mm
r mm
Peso Sezione 2 kg/m cm
Mom. di inerzia Jx 4 cm
Jy 4 cm
Mod. di resistenza Wx 3 cm
Wy 3 cm
Raggi di inerzia ix cm
iy cm
80
42
3,9
5,9
3,9
5,94
7,57
77,7
6.28
19,4
2,99
3,20
0,91
100
50
4,5
6,8
4,5
8,34
10,6
170
12,1
34,1
4,86
4,00
1,07
120
58
5,1
7,7
5,1
11,1
14,2
328
21,5
54,7
7,41
4,81
1,23
140
66
5,7
8,6
5,7
14,3
18,3
573
35,2
81,9
10,7
5,61
1,40
160
74
6,3
9,5
6,3
17,9
22,8
935
54,7
117
14,8
6,40
1,55
180
82
6,9 10,4
6,9
21,9
27,9
1.450
81,3
161
19,8
7,20
1,71
200
90
7,5 11,3
7,5
26,2
33,4
2.140
117
214
26,0
8,00
1,87
220
98
8,1 12,2
8,1
31,1
39,5
3.060
162
278
33,1
8,80
2,02
240
106
8,7 13,1
8,7
36,2
46,1
4.250
221
354
41,7
9,59
2,20
260
113
9,4 14,1
9,4
41,9
53,3
5.740
288
442
51,0
10,40
2,32
280
119 10,1 15,2 10,1
47,9
61,0
7.590
364
542
61,2
11,10
2,45
300
125 10,8 16,2 10,8
54,2
69,0
9.800
451
653
72,2
11,9
2,56
320
131 11,5 17,3 11,5
61,0
77,7
12.510
555
782
84,7
12,7
2,67
340
137 12,2 18,3 12,2
68,0
86,7
15.700
674
923
98,4
13,5
2,80
360
143 13,0 19,5 13,0
76,1
97,0
19.610
818
1.090
114
14,2
2,90
380
149 13,7 20,5 13,7
84,0
107
24.010
975
1.260
131
15,0
3,02
400
155 14,4 21,6 14,4
92,4
118
29.210
1.160
1.460
149
15,7
3,13
450
170 16,2 24,3 16,2
115
147
45.850
1.730
2.040
203
17,7
3,43
500
185 18,0 27,0 18,0
141
179
68.740
2.480
2.750
268
19,6
3,72
550
200 19,0 30,0 19,0
166
212
99.180
3.480
3.610
349
21.6
4,02
600
215 21,6 32,4 21,6
199
254
138.800
4.679
4.626
435
23,4
4,29
Gianni Bartoli/Maurizio Orlando – Appunti di Tecnica delle Costruzioni
BOZZA SOGGETTA A REVISIONE
307
Lezione n. 29 – pag. XXIX.5
Travi UPN UNI 5680-73
UPN b (h) mm mm
a mm
e mm
r mm
Peso Sezione 2 kg/m cm
Momenti di inerzia Jx 4 cm
Jy 4 cm
Moduli di resistenza Wx 3 cm
Wy 3 cm
Raggi di inerzia ix cm
iy cm
30
33
5,0
7,0
7,0
4.27
5,44
6,39
5,10
4,26
2,60
1,08
0,968
40
35
5,0
7,0
7,0
4,88
6,21
14,1
6,68
7,07
3,08
1,51
1,04
50
38
5,0
7,0
7,0
5,59
7,12
26,5
9,10
10,06
3,74
1,93
1,13
65
42
5,5
7,5
7,5
7,09
9,03
57,5
14,0
17,7
5,05
2,52
1,25
80
45
6,0
8,0
8,0
8,65
11,0
106
19,4
26,5
6,35
3,10
1,33
100
50
6,0
8,5
8,5
10,6
13,5
205
29,1
41,1
8,45
3,91
1,47
120
55
7,0
9,0
9,0
13,3
17,0
364
43,1
60,7
11,1
4,63
1,59
140
60
7,0 10,0 10,0
16,0
20,4
605
62,5
86,4
14,7
5,45
1,75
160
65
7,5 10,5 10,5
18,9
24,0
925
85,1
116
18,2
6,21
1,88
180
70
8,0 11,0 11,0
22,0
28,0
1.354
114
150
22,4
6,96
2,01
200
75
8,5 11,5 11,5
25,3
32,2
1.911
148
191
26,9
7,71
2,14
220
80
9,0 12,5 12,5
29,4
37,4
2.691
196
245
33,5
8,48
2,29
240
85
9,5 13,0 13,0
33,2
42,3
3.599
247
300
39,5
9,22
4,42
260
90 10,0 14,0 14,0
37,9
48,3
4.824
317
371
47,8
10,0
2,56
280
95 10,0 15,0 15,0
41,9
53,4
6.276
398
448
57,2
10,8
2,73
300
100 10,0 16,0 16,0
46,1
58,8
8.028
493
535
67,6
11,7
2,90
Gianni Bartoli/Maurizio Orlando – Appunti di Tecnica delle Costruzioni
BOZZA SOGGETTA A REVISIONE
308
Lezione n. 29 – pag. XXIX.6
Travi Angolari a lati uguali spigoli tondi UNI 5783-66
Profilo mm
l mm
a mm
r mm
Peso Sezione 2 kg/m cm
Momenti di inerzia
Moduli di resistenza
Raggi di inerzia
Jx = Jy 4 cm
Wx = Wy 3 cm
ix = iy cm
15x3
15
3
3,5 0,640
0,819
0,150
0,150
0,430
20x3
20
3
3,5 0,880
1,12
0,390
0,280
0,590
20x4
20
4
3,5
1,14
1,45
0,490
0,360
0,580
25x3
25
3
3,5
1,12
1,42
0,800
0,450
0,750
25x5
25
5
3,5
1,77
2,26
1,200
0,710
0,730
30x3
30
3
5
1,36
1,74
1,400
0,650
0,900
30x4
30
4
5
1,78
2,27
1,800
0,850
0,890
30x5
30
5
5
2,18
2,78
2,160
1,040
0,880
30x6
30
6
5
2,56
3,27
2,490
1,220
0,870
35x3
35
3
5
1,60
2,04
2,390
0,900
1,060
35x4
35
4
5
2,10
2,67
2,950
1,180
1,050
35x5
35
5
5
2,57
3,28
3,560
1,450
1,040
35x6
35
6
5
3,04
3,87
4,130
1,710
1,030
40x4
40
4
6
2,42
3,08
4,470
1,550
1,210
40x5
40
5
6
2,97
3,79
5,530
1,910
1,200
40x6
40
6
6
3,52
4,48
6,310
2,260
1,190
45x4
45
4
7
3,50
2,74
6,430
1,970
1,360
45x5
45
5
7
3,38
4,30
7,840
2,430
1,350
45x6
45
6
7
4,00
5,09
9,160
2,880
1,340
45x7
45
7
7
4,60
5,86
10,40
3,310
1,330
50x4
50
4
7
3,06
3,89
8,970
2,460
1,520
50x5
50
5
7
3,77
4,80
11,00
3,050
1,510
50x6
50
6
7
4,47
5,69
12,80
3,610
1,500
50x7
50
7
7
5,15
6,56
14,60
4,160
1,490
55x6
55
6
8
4,95
6,31
17,30
4,390
1,660
55x8
55
8
8
6,46
8,23
22,00
5,720
1,640 segue
Gianni Bartoli/Maurizio Orlando – Appunti di Tecnica delle Costruzioni
BOZZA SOGGETTA A REVISIONE
309
Lezione n. 29 – pag. XXIX.7
Travi Angolari a lati uguali spigoli tondi (segue) Profilo mm
l mm
a mm
r mm
Peso Sezione 2 kg/m cm
Momenti di inerzia
Moduli di resistenza
Raggi di inerzia
Jx = Jy 4 cm
Wx = Wy 3 cm
ix = iy cm
60x5
60
5
8
4,57
5,82
19,50
4,480
1,830
60x6
60
6
8
5,42
6,91
22,80
5,290
1,820
60x8
60
8
8
7,09
9,03
29,20
6,890
1,800
60x10
60
10
8
8,69
11,1
34,90
8,410
1,780
65x7
65
7
9
6,83
8,70
33,40
7,180
1,960
65x9
65
9
9
8,62
11,0
41,40
9,050
1,940
70x6
70
6
9
6,38
8,13
37,10
7,320
2,140
70x7
70
7
9
7,38
9,40
42,30
8,420
2,120
70x9
70
9
9
9,34
11,9
52,50
10,60
2,100
70x11
70
11
9
11,2
14,3
61,80
12,70
2,080
75x8
75
8
10
9,03
11,5
58,90
11,00
2,260
75x10
75
10
10
11,1
14,1
71,20
13,50
2,250
75x12
75
12
10
13,1
16,7
82,60
15,80
2,230
80x8
80
8
10
9,66
12,3
72,20
12,60
2,420
80x10
80
10
10
11,9
15,1
87,50
15,50
2,410
80x12
80
12
10
14,1
17,9
102,0
18,20
2,390
90x8
90
8
11
10,9
13,9
104,0
16,10
2,740
90x9
90
9
11
12,2
15,5
116,0
17,90
2,730
90x11
90
11
11
14,7
18,7
138,0
21,60
2,710
90x13
90
13
11
21,8
17,1
158,0
25,10
2,690
90x15
90
15
11
24,9
19,5
177,0
28,50
2,670
100x10
100
10
12
15,1
19,2
177,0
24,60
3,040
100x12
100
12
12
17,8
22,7
207,0
29,10
3,020
100x14
100
14
12
26,2
20,6
235,0
33,50
3,000
100x16
100
16
12
23,2
29,6
262,0
37,70
2,970
110x10
110
10
12
16,6
21,2
239,0
30,10
3,360
110x12
110
12
12
19,7
25,1
280,0
35,70
3,340
110x14
110
14
12
22,8
29,0
319,0
41,00
3,320
120x10
120
10
13
18,2
23,2
313,0
36,00
3,670
120x11
120
11
13
19,9
25,4
341,0
39,40
3,660
120x13
120
13
13
23,3
29,7
394,0
46,00
3,640
120x15
120
15
13
26,6
33,9
445,0
52,40
3,620
120x18
120
18
13
31,5
40,1
517,0
61,70
3,590 segue
Gianni Bartoli/Maurizio Orlando – Appunti di Tecnica delle Costruzioni
BOZZA SOGGETTA A REVISIONE
310
Lezione n. 29 – pag. XXIX.8
Travi Angolari a lati uguali spigoli tondi (segue) Profilo mm
l mm
a mm
r mm
Peso Sezione 2 kg/m cm
Momenti di inerzia
Moduli di resistenza
Raggi di inerzia
Jx = Jy 4 cm
Wx = Wy 3 cm
ix = iy cm
130x12
130
12
14
23,6
30,0
472,0
50,40
3,970
130x14
130
14
14
27,2
34,7
540,0
58,20
3,950
130x16
130
16
14
30,9
39,3
605,0
65,70
3,930
140x13
140
13
15
27,5
35,0
639,0
63,40
4,270
140x15
140
15
15
31,4
40,0
723,0
72,40
4,250
140x17
140
17
15
35,3
45,0
805,0
81,10
4,230
150x14
150
14
16
31,6
40,3
845,0
78,30
4,580
150x16
150
16
16
35,9
45,7
950,0
88,70
4,560
150x18
150
18
16
40,1
51,0
1.050
98,70
4,540
Gianni Bartoli/Maurizio Orlando – Appunti di Tecnica delle Costruzioni
BOZZA SOGGETTA A REVISIONE
311
Lezione n. 29 – pag. XXIX.9
Travi Angolari a lati disuguali spigoli tondi UNI 5784-66
Profilo mm
b h a r Peso Sezione 2 mm mm mm mm kg/m cm
Momenti di inerzia Jx 4 cm
Jy 4 cm
Moduli di resistenza Wx 3 cm
Wy 3 cm
Raggi di inerzia ix cm
iy cm
20x30x4
20
30
4
3,5
1,45
1,85
1,59
0,553
0,807
0,379
0,926
0,547
20x30x5
20
30
5
3,5
1,78
2,27
1,90
0,656
0,904
0,461
0,916
0,539
20x35x4
20
35
4
3,5
1,62
2,06
2,46
0,576
1,09
0,386
1,10
0,530
20x35x5
20
35
5
3,5
1,98
2,52
2,95
0,685
1,33
0,471
1,08
0,523
20x40x4
20
40
4
3,5
1,77
2,25
3,59
0,596
1,42
0,392
1,26
0,515
20x40x5
20
40
5
3,5
2,17
2,77
4,32
0,710
1,73
0,480
1,25
0,507
25x40x4
25
40
4
3,5
1,93
2,56
3,88
1,17
1,47
0,622
1,26
0,690
25x40x5
25
40
5
3,5
2,37
3,02
4,68
1,39
1,80
0,756
1,25
0,680
30x45x4
30
45
4
4,5
2,25
2,87
5,78
2,05
1,91
0,908
1,42
0,846
30x45x5
30
45
5
4,5
2,77
3,53
6,99
2,47
2,35
1,11
1,41
0,836
30x45x6
30
45
6
4,5
3,27
4,17
8,12
2,85
2,76
1,30
1,40
0,827
30x50x5
30
50
5
4,5
2,96
3,78
9,41
2,54
2,88
1,12
1,58
0,820
30x50x6
30
50
6
4,5
3,51
4,47
11,0
2,93
3,39
1,32
1,57
0,792
30x60x5
30
60
5
6
3,37
4,29
15,6
2,60
4,04
1,12
1,90
0,779
30x60x6
30
60
6
6
3,99
5,08
18,2
3,02
4,78
1,32
1,89
0,771
30x60x7
30
60
7
6
4,59
5,85
20,7
3,41
5,50
1,52
1,88
0,763
40x60x5
40
60
5
6
3,76
4,79
17,2
6,11
4,25
2,02
1,89
1,13
40x60x6
40
60
6
6
4,46
5,68
20,1
7,12
5,03
2,38
1,88
1,12
40x60x7
40
60
7
6
5,14
6,55
23,0
8,07
5,79
2,74
1,87
1,11
40x80x6
40
80
6
7
5,41
6,89
44,9
7,59
8,73
2,44
2,55
1,05
40x80x8
40
80
8
7
7,07
9,01
57,6
9,61
11,4
3,16
2,53
1,03
50x75x6
50
75
6
7
5,63
7,18
40,5
14,4
8,01
3,81
2,37
1,42
50x75x7
50
75
7
7
6,51
8,30
46,4
16,5
9,24
4,39
2,36
1,41
50x75x9
50
75
9
7
8,23
10,5
57,4
20,2
11,6
5,50
2,34
1,39
50x100x8
50 100
8
9
8,99
11,5
116
19,5
18,1
5,03
3,18
1,31
50x100x10
50 100
10
9
11,1
14,1
141
23,4
22,2
6,17
3,16
1,29 segue
Gianni Bartoli/Maurizio Orlando – Appunti di Tecnica delle Costruzioni
BOZZA SOGGETTA A REVISIONE
312
Lezione n. 29 – pag. XXIX.10
Travi Angolari a lati disuguali spigoli tondi (segue) Profilo mm
b h a r Peso Sezione 2 mm mm mm mm kg/m cm
Momenti di inerzia Jx 4 cm
Jy 4 cm
Moduli di resistenza Wx 3 cm
Wy 3 cm
Raggi di inerzia ix cm
iy cm
60x80x7
60
80
7
7
7,35
9,36
59,2
28,5
10,8
6,38
2,51
1,75
60x80x8
60
80
8
7
8,32
10,6
66,5
31,9
12,2
7,20
2,50
1,73
60x80x10
60
80
10
7
10,3
13,1
80,2
38,3
14,9
8,86
2,48
1,71
60x120x8
60 120
8
10
10,9
13,9
205
34,9
26,4
7,40
3,84
1,59
60x120x10
60 120
10
10
13,4
17,1
250
42,1
32,5
8,09
3,82
1,57
65x100x7
65 100
7
10
8,77
11,2
113
37,6
16,6
7,54
3,17
1,84
65x100x9
65 100
9
10
11,1
14,2
141
46,7
21,0
9,52
3,15
1,82
65x100x11
65 100
11
10
13,4
17,1
167
55,1
25,3
11,4
3,13
1,80
65x130x8
65 130
8
11
11,9
15,1
263
44,8
31,1
8,72
4,17
1,72
65x130x10
65 130
10
11
14,6
18,6
321
54,2
38,4
10,7
4,15
1,71
65x130x12
65 130
12
11
17,3
22,1
375
63,0
45,4
12,7
4,12
1,69
75x110x8
75 110
8
10
11,2
14,3
174
65,8
23,2
11,5
3,49
2,15
75x110x10
75 110
8
10
13,8
17,6
212
79,7
28,6
14,2
3,47
2,13
80x120x8
80 120
8
11
12,2
15,5
226
80,8
27,6
13,2
3,82
2,29
80x120x10
80 120
10
11
15,0
19,1
276
98,1
34,1
16,2
3,80
2,27
80x120x12
80 120
12
11
17,8
22,7
323
114
40,4
19,1
3,77
2,25
80x120x14
80 120
14
11
20,5
26,2
368
130
46,4
22,0
3,75
2,23
90x200x12
90 200
12
13
26,4
33,6
1391
182
109
25,5
6,44
2,33
90x200x15
90 200
15
13
32,5
41,4
1696
220
135
31,2
6,40
2,30
100x150x12
100 150
12
13
22,6
28,7
650
232
64,2
30,6
4,76
2,84
100x150x14
100 150
14
13
26,1
33,2
744
264
74,1
35,2
4,73
2,82
Gianni Bartoli/Maurizio Orlando – Appunti di Tecnica delle Costruzioni
BOZZA SOGGETTA A REVISIONE
313
Lezione n. 29 – pag. XXIX.11
Tubi in Acciaio a sezione circolare
dxs mm
Peso kg/m
Sezione di passaggio 2 cm
Sezione metallica 2 cm
Momento di inerzia
Modulo di resistenza
Raggio di inerzia
J 4 cm
W 3 cm
i cm
33,7 x 2,6
2,010
6,380
2,540
3,090
1,840
1,100
33,7 x 2,9
2,220
6,110
2,810
3,360
1,990
1,090
33,7 x 3,2
2,420
5,850
3,070
3,600
2,140
1,080
42,4 x 2,6
2,570
10,90
3,250
6,460
3,050
1,410
42,4 x 2,9
2,840
10,50
3,600
7,060
3,330
1,400
42,4 x 3,2
3,110
10,20
3,940
7,620
3,590
1,390
48,3 x 2,6
2,950
14,60
3,730
9,780
4,050
1,620
48,3 x 2,9
3,270
14,20
4,140
10,70
4,430
1,610
48,3 x 3,2
3,590
13,80
4,530
11,60
4,800
1,600
60,3 x 2,9
4,140
23,30
5,230
21,60
7,160
2,030
60,3 x 3,2
4,540
22,80
5,740
23,50
7,780
2,020
60,3 x 3,6
5,070
22,10
6,410
25,90
8,580
2,010
76,1 x 2,6
4,750
39,50
6,000
40,60
10,70
2,600
76,1 x 2,9
5,280
38,80
6,670
44,70
11,80
2,590
76,1 x 3,2
5,800
38,20
7,330
48,80
12,80
2,580
76,1 x 3,6
6,490
37,30
8,200
54,00
14,20
2,570
88,9 x 2,6
5,570
55,00
7,050
65,70
14,80
3,050
88,9 x 3,2
6,810
53,50
8,620
79,20
17,80
3,030
88,9 x 3,6
7,630
52,40
9,650
87,90
19,80
3,020
88,9 x 4,0
8,430
51,40
10,70
96,30
21,70
3,000
114,3 x 3,6
9,900
90,10
12,50
192,0
33,60
3,920
114,3 x 4,0
11,00
88,70
13,90
211,0
36,90
3,900
114,3 x 4,5
12,10
87,10
15,50
234,0
41,00
3,890
139,7 x 2,9
9,860
141,0
12,50
292,0
41,80
4,840
139,7 x 3,6
12,20
138,0
15,40
357,0
51,10
4,810
139,7 x 4,0
13,50
136,0
17,10
393,0
56,20
4,800
139,7 x 4,5
14,90
134,0
19,10
437,0
62,60
4,780
168,3 x 3,2
13,10
206,0
16,60
566,0
67,20
5,840
168,3 x 4,0
16,30
202,0
20,60
697,0
82,80
5,810
168,3 x 4,5
18,10
199,0
23,20
777,0
92,40
5,790
168,3 x 5,0
20,10
197,0
25,70
856,0
102,0
5,780 segue
Gianni Bartoli/Maurizio Orlando – Appunti di Tecnica delle Costruzioni
BOZZA SOGGETTA A REVISIONE
314
Lezione n. 29 – pag. XXIX.12
Tubi in Acciaio a sezione circolare (segue) dxs mm
Peso kg/m
Sezione di passaggio 2 cm
Sezione metallica 2 cm
Momento di inerzia
Modulo di resistenza
Raggio di inerzia
J 4 cm
W 3 cm
i cm
219,1 x 4,0
21,40
350,0
27,00
1.564
143,0
7,610
219,1 x 5,0
26,40
343,0
33,60
1.928
176,0
7,570
219,1 x 5,9
31,00
338,0
39,50
2.247
205,0
7,540
273,0 x 4,0
26,70
552,0
33,80
3.058
224,0
9,510
273,0 x 5,6
36,80
538,0
47,00
4.206
308,0
9,460
273,0 x 6,3
41,60
533,0
52,80
4.696
344,0
9,430
323,9 x 4,0
31,80
784,0
40,20
5.144
318,0
11,30
323,9 x 5,9
46,20
765,0
58,90
7.453
460,0
11,20
323,9 x 7,1
55,60
753,0
70,70
8.869
548,0
11,20
355,6 x 5,0
43,20
938,0
55,10
8.464
476,0
12,40
355,6 x 6,3
54,50
924,0
69,10
10.547
593,0
12,40
355,6 x 8,0
68,30
906,0
87,40
13.201
742,0
12,30
406,4 x 5,0
49,50
1.234
63,10
12.704
625,0
14,20
406,4 x 6,3
62,40
1.218
79,20
15.849
780,0
14,10
406,4 x 7,1
70,10
1.208
89,10
17.756
874,0
14,10
457,2 x 5,6
62,10
1.562
79,50
20.312
889,0
16,00
457,2 x 6,3
70,30
1.552
89,20
22.684
992,0
15,90
457,2 x 8,0
88,20
1.529
113,0
28.484
1.246
15,90
Gianni Bartoli/Maurizio Orlando – Appunti di Tecnica delle Costruzioni
BOZZA SOGGETTA A REVISIONE
315
Lezione n. 29 – pag. XXIX.13
Tubi (scatolati) in Acciaio a sezione quadrata
a mm
s mm
Peso kg/m
Sezione Momento di inerzia metallica 2 J cm 4 cm
Modulo di resistenza
Raggio di inerzia
W 3 cm
i cm
12
1,5
0,494
0,63
0,118
0,197
0,433
15
1,5
0,636
0,81
0,249
0,332
0,554
1,5
0,871
1,11
0,637
0,637
0,758
2,0
1,130
1,14
0.787
0.787
0,739
1,5
1,160
1,41
1,300
1,040
0,960
2,0
1,530
1,84
1,630
1,310
0,941
1,5
0,871
1,11
0,637
0,637
0,758
2,0
1,130
1,14
0.787
0.787
0,739
3,0
2,540
3,24
3,990
2,660
1,110
2,0
2,15
2,70
4,810
2,750
1,350
3,0
3,02
3,84
6,610
3,780
1,310
2,0
2,42
3,08
7,330
3,670
1,550
3,0
3,50
4,44
10,00
5,100
1,510
2,0
3,03
3,86
14,80
5,910
1,960
3,0
4,48
5,64
20,80
8,340
1,920
2,0
3,65
4,65
26,00
8,680
2,370
3,0
5,40
6,88
37,10
12,40
2,330
2,0
4,93
6,28
63,30
15,80
3,190
3,0
7,32
9,33
91,40
22,90
3,150
4,0
9,67
12,2
117,0
29,30
3,100
3,0
9,10
11,6
183,0
36,60
3,970
4,0
12,1
15,4
236,0
47,30
3,920
3,0
11,0
14,0
321,0
53,50
4,790
4,0
14,6
18,6
417,0
69,50
4,730
5,0
18,1
23,0
508,0
84,70
4,700
3,0
14,1
17,8
636,0
84,70
6,000
4,0
18,7
23,6
831,0
111,0
5,960
5,0
23,3
29,4
1.017
136,0
5,920
20 25
30
35 40 50
60
80
100
120
150
segue
Gianni Bartoli/Maurizio Orlando – Appunti di Tecnica delle Costruzioni
BOZZA SOGGETTA A REVISIONE
316
Lezione n. 29 – pag. XXIX.14
Tubi in Acciaio a sezione quadrata (segue) a mm
200
250 300 400
s mm
Peso kg/m
Sezione Momento di inerzia metallica 2 J cm 4 cm
Modulo di resistenza
Raggio di inerzia
W 3 cm
i cm
3,0
18,6
23,6
1.529
153,0
8,050
4,0
24,6
31,4
2.008
201,0
8,000
5,0
30,6
39,0
2.473
247,0
7,960
8,0
60,8
77,4
7.567
605,0
9,890
10
75,4
96,0
9.232
739,0
9,810
10
91,1
116
16.279
1.085
11,80
16
143
182
24.511
1.634
11,60
10
122
156
39.572
1.979
15,90
16
193
246
60.503
3.025
15,70
Gianni Bartoli/Maurizio Orlando – Appunti di Tecnica delle Costruzioni
BOZZA SOGGETTA A REVISIONE
317
Lezione n. 29 – pag. XXIX.15
Tubi in Acciaio a sezione rettangolare
bxa mm 20 x 10 25 x 10 30 x 10 30 x 15
30 x 20 40 x 20 40 x 30 50 x 20
50 x 25 50 x 30 60 x 20 60 x 30
60 x 40
s mm
Peso kg/m
Sezione Momento di inerzia metallica 2 Jx Jy cm 4 4 cm cm
Modulo di resistenza Wx 3 cm
Raggio di inerzia
Wy 3 cm
ix cm
iy cm
1.5
0.636
0.810
0.380
0.118
0.380
0.236
0.685
0.382
1,5
0,754
0,960
0,681
0,145
0,545
0,290
0,842
0,389
2,0
0,973
1,240
0,839
0,170
0,671
0,340
0,823
0,370
1,5
0,871
1,110
1,100
0,173
0,733
0,364
0,995
0,395
2,0
1,130
1,440
1,370
0,203
0,913
0,406
0,975
0,375
1,5
0,989
1,260
1,410
0,455
0,938
0,607
1,060
0,601
2,0
1,290
1,640
1,760
0,556
1,170
0,741
1,040
0,582
1,5
1,110
1,410
1,710
0,894
1,140
0,894
1,100
0,796
2,0
1,440
1,840
2,160
1,110
1,440
1,110
1,080
0,778
2,0
1,760
2,240
4,450
1,440
2,220
1,440
1,410
0,802
3,0
2,540
3,240
6,080
1,890
3,040
1,890
1,370
0,764
2,0
2,070
2,640
5,890
3,730
2,940
2,480
1,490
1,190
3,0
3,010
3,840
8,140
5,080
4,070
3,390
1,450
1,150
2,0
2,070
2,640
7,850
1,760
3,140
1,760
1,720
0,816
3,0
3,010
3,840
10,90
2,330
4,360
2,330
1,680
0,779
2,0
2,230
2,840
9,010
2,960
3,600
2,370
1,780
1,020
3,0
3,250
4,140
12,60
3,990
5,020
3,190
1,740
0,982
2,0
2,390
3,040
10,20
4,510
4,060
3,010
1,830
1,220
3,0
3,490
4,440
14,20
6,180
5,680
4,120
1,790
1,180
2,0
2,390
3,040
12,60
2,090
4,200
2,090
2,030
0,829
3,0
3,490
4,440
17,60
2,760
5,870
2,760
1,990
0,788
2,0
2,700
3,440
16,00
5,300
5,320
3,530
2,150
1,240
3,0
3,960
5,040
22,50
7,280
7,500
4,850
2,110
1,200
2,0
3,010
3,840
19,30
10,20
6,430
5,110
2,240
1,630
3,0
4,430
5,640
27,40
14,30
9,120
7,150
2,200
1,590 segue
Gianni Bartoli/Maurizio Orlando – Appunti di Tecnica delle Costruzioni
BOZZA SOGGETTA A REVISIONE
318
Lezione n. 29 – pag. XXIX.16
Tubi in Acciaio a sezione rettangolare (segue) bxa mm
80 x 20
80 x 30 80 x 40 80 x 60
100 x 30
100 x 40
100 x 50
120 x 40
120 x 60
150 x 60
150 x 80
150 x 100
180 x 90
s mm
Peso kg/m
Sezione Momento di inerzia metallica 2 Jx Jy cm 4 4 cm cm
Modulo di resistenza Wx 3 cm
Raggio di inerzia
Wy 3 cm
ix cm
iy cm
2,0
3,010
3,840
26,80
2,740
6,700
2,740
2,640
0,845
3,0
4,430
5,640
38,10
3,640
9,510
3,640
2,600
0,803
2,0
3,330
4,240
32,90
6,870
8,220
4,580
2,790
1,270
3,0
4,900
6,240
47,00
9,480
11,80
6,320
2,740
1,230
2,0
3,640
4,640
39,00
13,00
9,740
6,560
2,890
1,680
3,0
5,370
6,840
55,80
18,40
14,00
9,210
2,850
1,640
2,0
4,270
5,440
51,10
34,80
12,80
11,60
3,060
2,530
3,0
6,310
8,040
73,60
46,90
18,40
15,60
3,030
2,420
2,0
3,960
5,040
58,30
8,400
11,70
5,630
3,400
1,290
3,0
5,840
7,440
83,90
11,80
16,80
7,870
3,360
1,260
4,0
7,660
9,760
107,0
14,30
21,40
9,530
3,310
1,210
2,0
4,270
5,440
67,90
16,00
13,60
8,000
3,530
1,710
3,0
6,310
8,040
98,00
22,50
19,60
11,30
3,490
1,670
4,0
8,320
10,60
126,0
28,20
25,20
14,10
3,450
1,630
2,0
4,580
5,840
77,50
26,30
15,50
10,50
3,640
2,120
3,0
6,780
8,640
112,0
37,70
22,40
15,10
3,600
2,090
3,5
7,850
10,00
128,0
42,60
25,60
17,00
3,580
2,060
4,0
8,950
11,40
144,0
47,40
28,80
18,90
3,560
2,040
2,0
4,900
6,240
108,0
18,90
18,00
9,450
4,160
1,740
3,0
7,250
9,240
156,0
26,70
26,00
13,40
4,110
1,700
4,0
9,580
12,20
201,0
33,40
33,50
16,70
4,060
1,650
2,0
5,530
7,040
136,0
46,20
22,70
15,40
4,400
2,560
3,0
8,160
10,40
197,0
66,40
32,80
22,10
4,350
2,530
3,5
9,500
12,10
227,0
75,80
37,80
25,30
4,330
2,500
4,0
10,80
13,80
255,0
84,80
42,50
28,30
4,300
2,480
3,0
9,580
12,20
344,0
81,00
45,80
27,00
5,300
2,570
4,0
12,70
16,20
447,0
104,0
59,60
34,50
5,260
2,530
5,0
15,70
20,00
544,0
124,0
72,60
41,40
5,220
2,490
3,0
10,50
13,40
409,0
154,0
54,50
38,50
5,520
3,390
4,0
14,00
17,80
532,0
198,0
70,90
49,50
5,470
3,340
5,0
17,30
22,00
649,0
240,0
86,50
60,00
5,430
3,300
3,0
11,50
14,60
473,0
253,0
63,10
50,60
5,690
4,160
4,0
15,20
19,40
617,0
329,0
82,30
65,80
5,640
4,120
5,0
18,80
24,00
754,0
400,0
101,0
80,00
5,610
4,080
3,0
12,40
15,80
686,0
234,0
76,20
52,00
6,590
3,850
4,0
16,50
21,00
897,0
303,0
99,70
67,30
6,530
3,800
5,0
20,40
26,00
1.099
368,0
122,0
81,80
6,500
3,760 segue
Gianni Bartoli/Maurizio Orlando – Appunti di Tecnica delle Costruzioni
BOZZA SOGGETTA A REVISIONE
319