fictions
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Fictions Studi sulla narratività ix · 2010
LETTERATURA DISEGNATA: MODELLI E IDEOLOGIE DEL FUMETTO a cura di riccardo capoferro
P I SA · ROM A FABRIZIO SERRA EDITORE MMX
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SOMMARIO/CONTENTS Riccardo Capoferro, Introduzione 9 Daniele Barbieri, Disegni che parlano. Il fumetto tra oralità e scrittura 15 Paolo Simonetti, Supereroi postmoderni : letteratura e graphic novel negli Stati Uniti 31 Riccardo Capoferro, Individual Soldier : Corto Maltese e l’immaginario coloniale 59 Emanuele Basile, Maus : questioni di narrabilità storica 81 Alessandra Mulas, All’ombra di Marlowe. Aspetti titanici nel Daredevil di Frank Miller 99 Massimiliano Malavasi, Saint Seiya di Masami Kurumada : l’epica di fine millennio tra gli dei dell’Olimpo, gli insegnamenti del Budda, l’Inferno di Dante 121
SUPEREROI POSTMODERNI : LETTERATURA E GRAPHIC NOVEL NEGLI STATI UNITI
Paolo Simonetti
I
l fumetto è un medium 1 relativamente giovane che comincia a svilupparsi in Occidente alla fine del diciannovesimo secolo per poi raggiungere un primo periodo apicale negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale. La sua nascita va situata nell’ambito di una nuova grammatica della percezione scaturita dalle inconsuete prospettive della metropoli ottocentesca, e nella emergente dimensione della civiltà di massa, che apre inediti orizzonti d’attesa e nuovi spazi di lettura per un pubblico che di lì a poco avrebbe cominciato ad affollare le sale dei cinematografi. 2 Come afferma Sergio Brancato, infatti, « la potenza tecnologica del cinema entrava in conflitto con la macchina letteraria […] ed anche con gli altri media. Questo processo porterà alla ridefinizione degli spazi occupati da ciascun linguaggio e porrà un medium giovane e ‘minore’ come il fumetto in una condizione di parziale subalternità ». 3 Tuttavia, nonostante i pregiudizi, il fumetto in quanto medium composito per definizione – formato dalla giustapposizione di codice iconico e codice verbale – interagisce costantemente con gli altri linguaggi, situandosi in un territorio liminale tra cinema, fotografia, arti pittoriche e letteratura. Se molto è stato scritto sulle connessioni tra cinema e fumetto, il rapporto con la narrativa ‘non grafica’ è rimasto in parte inesplorato, anche per via del limbo di ‘non serietà’ in cui il fumetto è stato relegato fino agli anni Sessanta, e che lo ha destinato quasi esclusivamente a un pubblico infantile o, al più, adolescenziale. È interessante quindi analizzare in una nuova prospettiva il complesso rapporto che lega il fumetto alla letteratura, e può essere fruttuoso partire dal genere, tipicamente americano, che ha consacrato l’ascesa dei comics negli Stati Uniti, prima durante la guerra e poi in maniera definitiva dalla fine degli anni Cinquanta : i superhero comics. La letteratura postmodernista, che comincia a svilupparsi in America nel dopoguerra per poi arrivare alla piena maturità negli anni Settanta, prenderà in fondo ispirazione anche dal mondo fumettistico dei supereroi mascherati attraverso la riproposizione non solo tematica di personaggi, idee e vicende, ma anche nel riadattamento di strutture narrative e strategie testuali tipiche dei comics, come la violenta giustapposizione di scene e l’uso di frame stratificati, facendo così proprie alcune delle più tipiche modalità dinamiche e intertestuali del medium. A loro volta le strategie percettive e
1 Per non creare confusione terminologica bisogna distinguere tra medium, forma e genere. Il medium (fumetto, prosa, poesia, ecc.) incorpora varie forme (come graphic novel, brossurato, volume singolo ; romanzo, racconto, sonetto, limerick, ecc.) che a loro volta si possono suddividere in generi (supereroi, horror, non-fiction, letteratura per ragazzi ; poesia epica, drammatica, ecc.). 2 È utile ricordare che spesso i critici hanno legato la figura del supereroe dei fumetti all’emergente dimensione globale delle metropoli americane. Ad esempio secondo Scott Bukatman « [s]uperheroes are all about multiple identities and so embody the slippery sense of self that living in the city either imposes or permits ». Scott Bukatman, Matters of Gravity : Special Effects and Supermen in the Twentieth Century, Durham, Duke University Press, 2003, p. 211. 3 Sergio Brancato, Fumetti. Guida ai comics nel sistema dei media, Roma, Datanews, 2000 (1994), p. 61.
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narrative messe a punto dal romanzo postmodernista contribuiranno all’evoluzione del fumetto verso la forma del graphic novel, che dagli anni Ottanta in poi sancisce l’entrata di questo medium così sottovalutato nel canone letterario, fornendogli quella rispettabilità critica che troppo a lungo si era visto negare. È un fecondo e reciproco feedback, dunque, quello che si instaura tra fumetti e narrativa postmoderna negli Stati Uniti, una rete intertestuale di discorsi e linguaggi al cui interno i due media interpretano, istituzionalizzano e reinventano le esperienze culturali e linguistiche che li hanno preceduti, pur differenziandosene profondamente. L’appartenenza a una comune matrice culturale e sociale è definita anche dall’origine critica dei termini usati per designare quelle che, in ultima analisi, si rivelano due diverse manifestazioni della stessa sensibilità. Sia il termine comics che la parola postmodern, usata per indicare molta letteratura del periodo, nascono infatti dal basso, con una connotazione dispregiativa, per designare negativamente o provocatoriamente fenomeni considerati marginali, su cui non vale la pena soffermare troppo l’attenzione critica. 1 La stessa somiglianza si riscontra negli innumerevoli tentativi di classificazione della letteratura compiuti nella seconda metà del secolo, che riecheggiano le recenti discussioni sorte intorno al più recente fenomeno del graphic novel. 2 Un’ossessione per origini e definizioni che tradisce dunque, in entrambi i casi, la volontà di rendere canonici dei prodotti inizialmente considerati scabrosi o, nel migliore dei casi, di scarso interesse culturale, fornendoli di nobili antenati. Una delle caratteristiche del campo di forze postmoderno 3 è proprio la fine della separazione tra cultura ‘alta’ e cultura ‘popolare’ o di massa, nonché la provocatoria messa in scena di ogni etichetta classificatoria, come il genere, volta a inquadrare una forma artistica in un segmento specifico o a destinarla a un preciso orizzonte d’attesa. In un famoso saggio del 1967, considerato uno dei primi manifesti della letteratura postmodernista, John Barth parla di « used-upness of certain forms or the felt exhaustion of certain possibilities – by no means necessarily a cause for despair » ; le forme tradizionali dei media artistici venivano infatti contemporaneamente rinegoziate da fenomeni culturali ibridi quali « Pop Art, dramatic and musical ‘happenings’, the whole range of ‘intermedia’ or ‘mixed-means’ art » 4 tra cui, pur se non esplicitamente citato, va inserito il fumetto. Ne è riprova in Italia l’esperienza di Italo Calvino, autore
1 Per quanto riguarda il fumetto, molti dei suoi estimatori si sono affannati a cercarne le origini indietro nella storia, fino a indicare come precursori del medium un manoscritto precolombiano scoperto da Cortéz nel 1519 o l’arazzo di Bayeux del 1066 raffigurante la conquista normanna dell’Inghilterra. In effetti, se si considera – con Scott McCloud – in senso generale il fumetto come una serie giustapposta di immagini e parole in una sequenza deliberata, volta a raccontare un evento o comunque a trasmettere un messaggio, allora si possono considerare tali anche alcune forme pittoriche dell’antico Egitto, se non la scrittura geroglifica in toto. A questo proposito McCloud fa riferimento alla scena dipinta nella tomba dello scriba egizio Menna, che rappresenta in sequenza il processo di mietitura e trasporto del grano, la separazione della pula, la successiva misurazione per il calcolo della quantità di grano da devolvere alle tasse e infine la punizione dei coltivatori in ritardo sul pagamento. Altri esempi includono la Colonna Traiana e le pergamene giapponesi. Cfr. Scott McCloud, Understanding Comics: The Invisible Art, New York, HarperCollins, 1994, pp. 10-15. 2 Cfr. infra, p. 18. Numerosi critici hanno rincorso le improbabili evoluzioni del termine ‘postmoderno’ fino a rintracciarne le fumose origini negli anni Trenta, incagliandosi, però, nelle secche di una parola che veniva usata sporadicamente per indicare tendenze generali o secondarie che poco o nulla hanno in comune con il fenomeno attuale. 3 La definizione del postmoderno come « campo di forze » è di Fredric Jameson. Cfr. Fredric Jameson, Postmodernism, or the Cultural Logic of Late Capitalism, Durham, Duke University Press, 1991 (1984). 4 John Barth, The Literature of Exhaustion, in The Friday Book and Other Nonfiction, New York, Putnam’s, 1998, p. 64.
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che forse più di tutti ha contribuito a importare segni e stili della letteratura postmodernista d’oltreoceano. Le Cosmicomiche (1963-64) – serie di racconti che, insieme al romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979), costituiscono importanti capisaldi del postmoderno italiano – nascono proprio in seguito a un viaggio dello scrittore negli Stati Uniti a cavallo tra il 1959 e il 1960 e, come afferma Calvino stesso, hanno dietro di sé anche « i comics di Popeye (Braccio di Ferro) ». 1 Del resto Calvino stesso considerava il tipo di scrittura da lui definita ‘cosmicomica’ – che già nel nome dichiara espressamente la sua parentela con il medium dei fumetti – uno spazio deputato alla sperimentazione. Al pari delle comic strips, le Cosmicomiche verranno pubblicate periodicamente su rivista e i testi saranno di solito accompagnati da disegni o vignette del noto disegnatore Chago. Altra importante caratteristica della letteratura postmodernista è la sfiducia nel concetto di autore individuale e di opera d’arte come capolavoro originale. Il postmoderno esalta l’eterogeneità nel pastiche di stili e forme differenti, concepisce il testo come patchwork di segni riciclati e citazioni decontestualizzate, che contribuiscono a tessere una rete di note e rimandi spesso impossibile da districare. A sua volta il medium dei comics è per sua intrinseca natura legato alla nozione di collaborazione creativa, non fosse che per la sua fusione programmatica di parole e immagini. Agli antipodi rispetto all’idea di autore individuale la cui originalità creativa definisce la qualità dell’opera, ogni fumetto è il risultato di una stretta collaborazione tra diverse figure professionali : 2 lo scrittore (o sceneggiatore), l’illustratore e il letterista contribuiscono in uguale misura alla creazione del prodotto finito, e a sua volta il lavoro dell’illustratore può essere suddiviso tra il matitista, l’inchiostratore e il colorista, che si occupano delle rispettive fasi. Questa pluralità sarà poi accentuata con l’avvento dei computer : i comics contemporanei praticamente non esistono in forma originale come oggetto finito da riprodurre meccanicamente e distribuire sul mercato, bensì solo nei vari stadi dello script e delle successive versioni delle pagine (a matita, colorate, digitalizzate). 3 Inoltre, nonostante la conclamata referenzialità e ‘semplicità’ del medium, quella che il fumetto richiede al lettore è una collaborazione tipicamente ‘letteraria’, sia nel momento creativo che nel processo di lettura. Il tempo, infatti, è rappresentato visivamente nella pagina in termini di spazio, e la grandezza delle vignette (panels) spesso è direttamente proporzionale alla durata dell’azione rappresentata. Lo spazio vuoto tra le vignette – definito tradizionalmente gutter – occupa comunque una frazione temporale di lunghezza variabile e divide la narrazione in sezioni di tempo che il lettore è tenuto a ricomporre a posteriori durante la lettura, immaginando ciò che accade nelle vignette ‘mancanti’ per ricostruire il flusso narrativo. Il fumettista conta sulla collaborazione del lettore per riempire i vuoti e creare letteralmente il testo assente, così come auspicato dalle reader-response theories formulate dalla critica formalista e strutturalista e come – è bene ricordarlo – avviene nel processo interpretativo di qualsiasi testo che abbia la pretesa di essere letterario. Ulteriori punti di contatto tra letteratura postmodernista e comics – soprattutto
1 Italo Calvino, nota critica al termine della sezione monografica de « Il Caffè » (p. 40) sotto il titolo Le cosmicomiche, in Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi, Bruno Falcetto e Claudio Milanini, Milano, Mondadori, ii, 1994, p. 1322. 2 Ciò vale in misura minore per il fumetto d’autore europeo. 3 Cfr. Scott McCloud, Reinventing Comics : How Imagination and Technology Are Revolutionizing an Art Form, New York, Perennial Edition, 2000.
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quelli appartenenti al genere tipicamente americano dei supereroi – si ritrovano a livello tematico nella mitologizzazione della realtà quotidiana causata dalla coesistenza di diverse storie, personaggi e situazioni in un comune continuum narrativo, 1 al punto da creare l’illusione di universi paralleli in continua interazione. 2 L’adozione di strutture narrative aperte e non-lineari insieme all’impiego di creature o eventi fantastici che coesistono con il mondo reale 3 destabilizza i concetti di realtà, sogno, allucinazione, virtualità. Alla luce di queste considerazioni e delle analisi narratologiche contemporanee è possibile definire il fumetto come un medium tipicamente postmoderno ; 4 la vignetta – blocco di costruzione di base – si costituisce come significante ibrido, dove parole e immagini, stile visivo e forme linguistiche, lavorano insieme per costruire il contenuto al punto da sembrare inseparabili. Se le immagini costituiscono, il più delle volte, il lato realistico della rappresentazione, le parole possono funzionare da contrappunto ironico, tragico o assurdo alla scena rappresentata (ma può accadere anche il contrario, con immagini astratte associate a didascalie coerenti con la trama della storia, ad esempio per sottolineare uno stato di delirio o allucinazione), contribuendo a perpetuare quell’instabilità del connubio tra segno e referente propria dell’universo postmoderno.
Letteratura ‘fumettistica’ Nel 1938 si inaugura negli Stati Uniti la golden age dei supereroi, con la comparsa, nel primo numero della rivista a fumetti Action Comics, di Superman, il personaggio creato da Jerry Siegel e Joe Shuster che stabilisce con il suo immenso e inaspettato successo il prototipo su cui si modelleranno tutti gli altri supereroi. 5 Umberto Eco è stato uno dei primi ad accorgersi del potenziale creativo di questo nuovo fenomeno, notando già negli anni Sessanta che la figura di Superman « ha in partenza e per definizione tutte le caratteristiche dell’eroe mitico », 6 elemento costante dell’immaginazione popolare da Ercole a Peter Pan. Inoltre, per il fatto di agire in una società come quella nordamericana che si avvia verso il tardo capitalismo delle multinaziona
1 Cfr. ad es. la famosa continuity dell’Universo Marvel, in cui personaggi di testate e ‘universi’ diversi spesso coesistono nella stessa linea narrativa. 2 Per Brian McHale il passaggio dall’estetica modernista a quella postmodernista avviene quando la nota dominante da epistemologica diventa ontologica. Il critico dimostra come molte opere postmoderniste non si interroghino più sulla conoscibilità o la rappresentabilità del mondo, chiedendosi invece in cosa consista la costruzione (testuale) di un mondo e come possano coesistere e intersecarsi sullo stesso piano mondi diversi e contraddittori. Per questo al genere ‘letterario’ del romanzo modernista fa da contrappunto il genere ‘popolare’ della detective fiction, mentre al romanzo postmodernista corrisponde specularmente la science fiction, collisione e interpolazione spazio-temporale di dimensioni talora incompatibili. Cfr. Brian McHale, Postmodernist Fiction, London-New York, Routledge, 2001 (1987), pp. 9-10. 3 Cfr. ad esempio le brusche (e gratuite) incursioni del fantastico nelle opere di Thomas Pynchon (cani che parlano, adenoidi giganti, viaggi in dimensioni parallele), le incongruenze temporali a cui Donald Barthelme ha abituato i suoi lettori (re Artù e i suoi cavalieri che partecipano alla seconda guerra mondiale) o la rete di autocitazioni intertestuali che John Barth tesse tra i personaggi dei suoi romanzi, anche appartenenti a realtà ed epoche differenti. 4 Cfr. Julia Round, From Comic Book to Graphic Novel : Writing, Reading, Semiotics, tesi di dottorato inedita, University of Bristol, UK. Cfr. Anche Julia Round, Fragmented Identity : The Superhero Condition, « International Journal of Comic Art », 7.2, 2005, pp. 358-369. 5 Batman, il giustiziere mascherato ideato da Bob Kane, apparirà solo un anno dopo, nel numero 27 della rivale Detective Comics, anticipando di pochi mesi The Flash e Captain Marvel, creati nel 1940, mentre Wonder Woman e Captain America vedranno la luce nel 1941. 6 Umberto Eco, Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, Milano, Bompiani, 2005 (1964), p. 227.
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li, « una società particolarmente livellata, in cui le turbe psicologiche, le frustrazioni, i complessi di inferiorità sono all’ordine del giorno ; [...] una società industriale dove l’uomo diventa numero nell’ambito di una organizzazione che decide per lui, dove la forza individuale, se non esercitata nell’attività sportiva, rimane umiliata di fronte alla forza della macchina che agisce per l’uomo e determina i movimenti dell’uomo » (ib.), il supereroe venuto dal pianeta Krypton, che nasconde la sua identità segreta sotto le più ordinarie spoglie del timido giornalista Clark Kent, « incarna le esigenze di potenza che il cittadino comune nutre e non può soddisfare », sublimando la posizione del « lettore medio assillato da complessi e disprezzato dai suoi simili » (p. 228). La peculiarità di Superman, però, sta proprio nel suo operare nella realtà quotidiana (o una molto simile realtà parallela), in un’America uscita da poco dalla recessione con un disperato bisogno di certezza e potere, e che di lì a poco sarebbe entrata in guerra ponendosi come baluardo di democrazia e giustizia per liberare l’Europa dall’oppressione nazista. Non è un caso che molti dei supereroi del periodo partecipino ad iniziative belliche, alcuni anche in prima linea. 1 Durante la guerra, infatti, i fumetti costituiscono la forma più popolare di intrattenimento tra i giovani, ma soprattutto tra i soldati ; 2 le vendite dei comic books nel periodo bellico superano di dieci a uno le distribuzioni congiunte delle tre principali riviste del tempo, « Life », « Reader’s Digest » e il « Saturday Evening Post ». Oltre a garantire momenti di evasione dalla tragica realtà della guerra, i fumetti svolgono, come si è visto, anche un’importante funzione propagandistica, se è vero che arrivano a far preoccupare lo stesso ministro tedesco Joseph Göbbels, di cui si racconta che, alzatosi infuriato nel bel mezzo di un’assemblea del Reichstag sventolando un comic book americano, dichiarasse in maniera sprezzante Superman un ebreo. 3 Con la fine della guerra, però, vengono meno le premesse ideologiche del medium, e l’interesse verso i supereroi declina rapidamente. Nonostante alcuni generi tradizionali del fumetto, come il western o i crime comics, continuino per un certo periodo a registrare delle vendite discrete, l’industria dei comics subisce un forte regresso. Nel 1953, inoltre, la pubblicazione del libello denigratorio dello psichiatra Fredric Wertham Seduction of the Innocent, in cui si afferma che « comic books are death on reading », 4 conduce a un’ulteriore discriminazione del medium, fino all’istituzione del tristemente famoso ‘Comics Code’ e al collasso quasi totale dell’industria fumettistica
1 Come il mingherlino Steve Rogers, il quale, scartato alla visita di leva, viene sottoposto a un esperimento che lo trasforma nel potente supersoldato Capitan America. Vestito di uno scintillante costume a stelle e strisce, simbolo della causa americana, e armato solo della sua forza muscolare e di uno scudo, che rappresenta la funzione prettamente difensiva dell’intervento statunitense, Capitan America combatte nei territori bellici europei le forze dell’Asse, sollevando il morale alle truppe e rassicurando i soldati della giustezza della causa per cui combattono. Nel 1943, in una sequenza di due pagine della rivista « Look Magazine » intitolata What if Superman Ended the War ?, Clark Kent si arruola nell’esercito e, nei panni di Superman, risolve da solo il conflitto volando prima a Berlino per catturare Hitler (dopo averlo preso per il collo e minacciato di « land a strictly non-aryan sock on your jaw ») e poi a Mosca per Stalin, per depositarli successivamente a Ginevra davanti a un tribunale di guerra. Non era andata così felicemente a Hitler due anni prima, quando si era trovato faccia a faccia con Capitan America, che lo aveva preso a pugni sin dalla copertina del primo volume a lui dedicato nel 1941 (What if Superman Ended the War ?, in « Look Magazine » 105, 17 febbraio 1940). 2 Il prototipo della supereroina dal seno prorompente e dal costume succinto che esalta le forme del corpo è stata probabilmente introdotta proprio per rendere i fumetti ancora più appetibili ai soldati durante la guerra. 3 Cfr. Superman at Fifty : The Persistence of a Legend, a cura di Dennis Dooley e Gary Engle, Cleveland, Octavia, 1987, p. 32. 4 Fredric Wertham, Seduction of the Innocent, New York, Rinehard, 1953, p. 121.
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americana. Dimenticando che sesso e violenza erano stati originariamente inseriti nei fumetti proprio per aumentarne le vendite tra i soldati durante la guerra, il ‘Comics Code’ considera i fumetti come principale causa di delinquenza e omosessualità giovanile, proclamando che « in every instance good shall triumph over evil and the criminal punished for his misdeeds ». 1 Il subitaneo e obbligato trionfo dei buoni, però, conduce il mondo dei comics verso un’inevitabile disfatta. Proprio in questo periodo, invece, una nuova sensibilità comincia a permeare il romanzo americano, travalicando i limiti ormai esausti di quel fenomeno specificamente europeo che era stato il modernismo. Nel 1953, lo stesso anno in cui esce la pubblicazione diffamatoria di Wertham, Vladimir Nabokov, ispiratore e anticipatore della letteratura postmodernista, completa il suo capolavoro Lolita che, proprio per il contenuto considerato scabroso, sarà rifiutato dagli editori statunitensi e pubblicato a Parigi solo due anni più tardi. Nonostante trascorra l’infanzia e l’adolescenza nella Russia pre-rivoluzionaria, il piccolo Vladimir si rivela profondamente affascinato dai comics americani, 2 al punto da studiare disegno sotto la guida di diversi artisti, tra cui il pittore Mstislav Dobuzhinskii, cimentatosi spesso come caricaturista. 3 Nella sua autobiografia, l’autore di Lolita ricorda come lo zio materno « would solemny bring me from America the Foxy Grandpa series, and Buster Brown – a forgotten boy in a reddish suit », 4 famose comic strips dell’epoca. Questa passione non lo abbandonerà in età adulta, rafforzandosi durante gli anni americani ed entrando di diritto nella sua produzione letteraria. Nell’introduzione del 1963 a Bend Sinister, infatti, Nabokov riconosce il suo debito verso le immagini di Saul Steinberg, stimato autore di cartoon anti-nazisti, mentre in diverse occasioni i suoi romanzi traggono spunti dall’immaginario popolare e fumettistico. 5 Clarence Brown arriva addirittura a identificare nella
1 Amy Kiste Nyberg, Seal of Approval : The History of the Comics Code, Jackson, Mississippi University Press, 1998, p. 171. Oltre a ciò erano proibiti disegni indecenti, scene di tortura, rapimenti, attività criminali riprodotte in maniera spettacolare o appetibile, linguaggio volgare, mostri, vampiri, cannibalismo, licantropia e persino rappresentazioni di divorzi. 2 Nabokov soffriva di sinestesia, un disturbo che provoca una contaminazione della stimolazione uditiva, olfattiva, tattile o visiva nella percezione della realtà. Chi soffre di sinestesia è portato a percepire uno stimolo (ad esempio il suono) attraverso una reazione propria di un altro senso (ad esempio la vista). Paradossalmente questo disturbo può aver incoraggiato da bambino l’autore alla lettura dei fumetti, in cui i suoni sono percepiti visivamente sotto forma di onomatopee. 3 Come nota Gavriel Shapiro, probabilmente lo stesso Nabokov si è cimentato da giovane nelle caricature. Il padre, eminente giurista e statista nonché leader del partito costituzionalista-democratico (Kadet), era spesso oggetto di caricatura, specialmente da parte della stampa reazionaria. Nabokov ricorda che da bambino « got quite used to the more or less vulgar cartoons which appeared from time to time ». Gavriel Shapiro, Nabokov and Comic Art, in Nabokov at the Limits: Redrawing Critical Boundaries, a cura di Lisa Zunshine, London, Routledge, 1999, pp. 213-235. 4 Vladimir Nabokov, Speak, Memory : An Autobiography Revisited, New York, Vintage, 1989, p. 70. 5 Axel Rex, il protagonista di Kamera Obskura (1933) è un cartoonist, creatore del porcellino d’india Cheepy. Nel primo capitolo di Pnin, l’episodio della lecture è probabilmente ispirato al cartoon di Helen E. Hokinson pubblicato nel « New Yorker », in cui uno speaker (fisicamente molto simile a Pnin) appare davanti a un pubblico di signore ben vestite, con la didascalia « May I ask a question ? There are still one or two things about the postwar world that bother me ». In Pale Fire, invece, la frase « the Hercules springing forth from a neurotic child’s weak frame » (p. 167) è probabilmente un riferimento alla famosa comic strip che pubblicizzava il corso di bodybuilding Charles Atlas, entrato di forza nell’immaginario popolare americano. Alfred Appel ricorda come una volta Nabokov, leggendo la pagina dei fumetti dell’« International Herald Tribune », si sia chiesto se il bambino protagonista di Dennis the Menace non sia illegittimo, vista la scarsa somiglianza con i genitori. In precedenza aveva inviato una lettera all’editore per lamentarsi di alcune incoerenze nella trama di Rex Morgan. Cfr. Alfred Appel, Nabokov’s Dark Cinema, New York, Oxford University Press, 1974.
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prosa di Nabokov una certa « comicstrippishness » : nell’uso che l’autore fa di alcuni procedimenti della narrativa pittorica, come i movimenti da sinistra a destra delle figure contro uno sfondo e l’uso di frame sequenziali, Brown rintraccia « a certain recurrent motif in Nabokov’s imagination, an evanescent little visual theme that has been almost unobserved by readers or critics » e che, pur restando sullo sfondo, rappresenta « one of the indelible signatures of Nabokov’s fictional universe ». 1 Non stupisce, quindi, che sarà proprio un allievo di Nabokov alla Cornell University, Thomas Pynchon, a integrare di fatto i fumetti nella letteratura americana, in un romanzo a cui è stato negato il premio Pulitzer perché giudicato « unreadable, turgid, overwritten, and obscene », ma che è diventato di fatto un caposaldo della narrativa postmodernista, Gravity’s Rainbow (1973). Nel frattempo l’industria dei comics aveva trovato nuovo vigore negli anni Sessanta, durante la cosiddetta silver age 2 dei supereroi. Anche gli eroi in costume, però, devono adattarsi al pesante clima della guerra fredda e, investiti più o meno casualmente di superpoteri che causano soprattutto superproblemi, si uniscono in team e associazioni. Alla Justice League of America (1960) ideata dalla DC Comics, la Marvel risponde con Fantastic Four (1961), famiglia disfunzionale di superumani spesso divisi da futili controversie e afflitti da problemi quotidiani, e The Uncanny X-Men (1963), lega di mutanti dai poteri speciali, costretti a vivere ai margini della società per la loro diversità biologica, le cui storie forniscono spunti di riflessione su complesse questioni sociali dell’America multiculturale, come l’ostilità tra minoranze etniche o religiose, l’antisemitismo, il razzismo e l’emarginazione. Anche i nuovi supereroi che preferiscono agire da soli, come Spider-man (1962), The Incredible Hulk (1962), o Daredevil (1964), creati dall’inventiva di Stan Lee e Jack Kirby, appaiono molto diversi dagli impeccabili e onnipotenti semidei idealisti del periodo bellico. Nati nell’incubo di un’incombente guerra atomica tra le due superpotenze della terra, in un periodo in cui il governo americano comincia a mostrare il suo lato più oscuro, questi supereroi ‘adulti’ agiscono nelle metropoli statunitensi tenendo bene in mente la famosa frase con cui si conclude il primo volume dell’Uomo Ragno, ma che sembra soprattutto rivolta all’intera nazione americana impegnata nella folle corsa agli armamenti : « With great power there must also come… great responsibility ! ». 3 Proprio una distruzione atomica fa da cornice a Gravity’s Rainbow, il capolavoro di Thomas Pynchon scritto in piena guerra fredda ma ambientato alla fine della seconda guerra mondiale nella Londra devastata dal blitz e nella Germania distrutta dalle bombe degli alleati. Il razzo V-2 che provoca l’urlo proveniente dal cielo di Londra nell’incipit diventa, nell’ultima pagina, un missile nucleare diretto su un cinema americano negli anni Sessanta, durante la proiezione di uno spettacolo che si confonde con la storia narrata nello stesso romanzo, e colpisce ugualmente sia gli attori/personaggi che gli spettatori/lettori. La struttura evanescente del romanzo si ramifica, come un rizoma, in una serie di trame che fanno perlopiù riferimento alla cultura popolare e che ricordano la struttura a episodi dei comic books dell’epoca : dettagliate nozioni scientifiche, minuziose ricostruzioni storiche e riflessioni filosofiche si me
1 Clarence Brown, Krazy, Ignaz, and Vladimir: Nabokov and the Comic Strip, in Nabokov at Cornell, a cura di Gavriel Shapiro, Ithaca, Cornell University Press, 2003, p. 256. 2 Anche denominata Marvel age dal nome della casa editrice che proprio in questo periodo sale alla ribalta e si avvia a diventare uno dei due colossi portanti dell’industria fumettistica americana, dando vita a un vero e proprio pantheon di esseri fantastici presto conosciuto come ‘l’universo Marvel’. 3 Amazing Fantasy #5 (agosto 1962).
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scolano senza soluzione di continuità a situazioni riprese da canzonette, rotocalchi, B-movies, romanzi seriali, pubblicità e, in larga parte, fumetti, i quali costituiscono una vera e propria mitologia di massa del mondo pynchoniano. A ben guardare, Pynchon si muove con destrezza nella grammatica dei comics e delle loro successive trasposizioni in cartoons già nei racconti giovanili, per sua stessa ammissione composti principalmente da « chase scenes, for which I remain a dedicated sucker – it is one piece of puerility I am unable to let go of. May Road Runner cartoons never vanish from the video waves, is my attitude ». 1 Ma se nei racconti e nei primi romanzi sono appunto i fumetti comici, gli outer-space comics o i marines-in-action comics ad affascinare l’autore, in Gravity’s Rainbow un ruolo di primo piano è giocato proprio dai supereroi. Nel ricreare l’atmosfera della seconda guerra mondiale, Pynchon non trascura le importanti funzioni di svago e di propaganda svolte dai fumetti durante il periodo bellico. Nell’economia generale del romanzo le continue strizzatine d’occhio al lettore appassionato di supereroi servono a garantire, secondo H. Brenton Stevens, « momentary respite from the barrage of Pynchon’s artillery, a chance to have a laugh and catch one’s breath ». 2 Ecco allora che l’attendente, o batman, 3 del capitano Prentice non può che chiamarsi caporale Wayne, con ovvio riferimento all’identità segreta del famoso uomo pipistrello, Bruce Wayne, 4 mentre la parola d’ordine per entrare nella zona occupata della Germania è « faster – than, the – speedoflight » (p. 726), che riecheggia la famosa descrizione di Superman : « Faster than a speeding bullet » ; allo stesso modo, il narratore informa che le uniche persone in grado di violare lo spazio aereo della zona « are safely caught and paralyzed in comic books » (p. 379). Ma Pynchon va oltre l’allusione più o meno esplicita al mondo dei comics e l’impiego delle potenzialità narrative del medium. Attraverso le peripezie del protagonista Slothrop, che nella terza parte del romanzo arriva a vestire i panni di Rocketman, 5 o uomo-razzo, l’autore ripercorre la storia del genere dei supereroi e la sua importanza
1 Thomas Pynchon, Slow Learner: Early Stories, New York-Boston-London, Little, Brown and Company, 1984, p. 19. 2 H. Brenton Stevens, ‘Look ! Up in the Sky ! It’s a Bird ! It’s a Plane ! It’s… Rocketman !’ : Pynchon’s Comic Book Mythology in Gravity’s Rainbow, « Studies in Popular Culture », 19.3, 1997, pp. 37-48. Sono debitore all’autore di questo interessante saggio per alcuni spunti di riflessione sull’uso dei comics in Gravity’s Rainbow. 3 In inglese si definisce batman un soldato assegnato a un officiale come persona di servizio. 4 Thomas Pynchon, Gravity’s Rainbow, New York, Viking, 1973, p. 12. 5 Probabilmente Slothrop trae spunto per la sua identità di supereroe dal personaggio di Rocketman (Cal Martin) che appare per la prima volta nel 1941 nella popolare serie a fumetti Scoop Comics #1, combattendo i criminali a fianco della sua fidanzata Rocketgirl. Da parte sua Pynchon si è sicuramente ispirato a King of the Rocket Men, un popolare serial televisivo andato in onda per la prima volta nel 1949, ma di cui negli anni Cinquanta vennero prodotti diversi sequel. L’attore Tristram Coffin interpretava il ruolo del misterioso Rocketman, uno scienziato equipaggiato con un « atomic powered rocket flying suit » azionato da una consolle posizionata sul petto con le funzioni « Up », « Down » e « Speed », intento a salvare il mondo dal perfido Dr. Vulcan. Inoltre, proprio nel 1972, mentre Pynchon sta scrivendo il romanzo, Elton John incide quella che diventerà una delle sue canzoni più famose, intitolata appunto Rocket Man ; il testo di Bernie Taupin trae ispirazione dalle missioni spaziali che imperversavano all’epoca, immaginando un futuro mondo iper-tecnologico in cui il protagonista, pronto per l’ennesimo viaggio nello spazio, afferma : « I’m not the man they think I am at home/ Oh no no no I’m a Rocket man ». C’è anche chi ha interpretato il testo come metafora dell’assunzione di droghe, rendendo il collegamento con il romanzo di Pynchon ancora più pregnante. A ribadire il continuo feedback tra letteratura, cinema, musica e fumetti, nel 1982 appare nel secondo numero di Starslayer della Pacific Comics la prima avventura del supereroe Rocketeer, creato da Dave Stevens. Alla fine degli anni Trenta, Rocketeer combatte i nazisti equipaggiato di un « Rocket Pack » che gli permette di volare come un razzo.
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nella cultura americana. Nel corso della narrazione risulta chiaro che Slothrop ha subito nell’infanzia una serie di condizionamenti psicologici, accompagnati da ripetute esposizioni a droghe e sostanze chimiche, molto simili a quelli che trasformano i protagonisti dei fumetti in famosi supereroi ; una delle sostanze si chiama « Kryptosam » ed è descritta come « a proprietary form of stabilized tyrosine […] which, in the presence of some component of the seminal fluid […] promotes conversion of the tyrosine into melanin, or skin pigment », ma che in mancanza di stimolazione rimane pressoché invisibile. Al contrario, « a proper stimulus […] will reliably produce tumescence and ejaculation » (p. 71), causando un particolare tipo di vulnerabilità sessuale che caratterizza la tirosina come una parodia della quasi omonima « Kryptonite » che sottrae ogni potere a Superman. Gli esperimenti pavloviani di irradiazione e induzione reciproca sul piccolo Slothrop s’incentrano anche sul tipo di plastica chiamata Imipolex G, la stessa impiegata per il rivestimento della misteriosa arma progettata dai nazisti, la « S-Gerät », e quindi dei razzi tedeschi V-2, di cui egli riesce a predire l’arrivo attraverso uno stimolo sessuale. Sin dall’infanzia, quindi, Slothrop è letteralmente un uomo-razzo assemblato dallo scienziato Pointsman e sottoposto a continui esperimenti correlati all’industria bellica e, in ultima analisi, al governo. Allo stesso modo durante la guerra i supereroi dei fumetti vengono trasformati dal governo americano in strumenti di propaganda e nuovi supereroi vengono appositamente assemblati per combattere i nemici dello Stato e promuovere una visione del sogno americano esplicitamente legata a valori maschili e a stereotipi WASP, a spese di qualsiasi altra forma di cultura, tradizione ed etnia. Lo stesso Slothrop è all’inizio pienamente condizionato da questi valori, come testimonia il suo incubo scatologico in cui, minacciato da un gruppo di neri, tra cui Malcolm X, che cercano di violentarlo nel bagno del « Roseland Ballroom », è costretto a tuffarsi nel water. Attraverso un sudicio condotto fognario discende in un mondo fantastico dove incontra un personaggio da fumetto, significativamente chiamato « westwardman » : come afferma il narratore, « not ‘archetypical’ westwardman, but the only. […] There was only one Indian who ever fought him. Only one fight, one victory, one loss. And only one president, and one assassin, and one election » (p. 67). Pynchon è cosciente che la riscrittura della storia americana in termini di scontri singolari, come è proprio dei primi comics di supereroi, rischia di appiattirla in una serie di stereotipi che finiscono per mascherare la realtà dietro una facciata da cartoon innocente, come quando « ten thousand stiffs humped under the snow in the Ardennes take on the sunny Disneyfied look of numbered babies under white wool blankets » (p. 70). Non bisogna inoltre dimenticare il periodo particolare in cui Pynchon scrive il suo romanzo : quegli anni Settanta « che seguono e diffondono le contestazioni giovanili avviate nei sessanta, sono anni allergici ai supereroi, persino nella formula Marvel : i supereroi vengono sentiti frequentemente come false e goffe emanazioni del potere, espressioni della volontà di potenza dello Stato americano e fondamentalmente nemici della libertà ». 1 Non è un caso, quindi, che Slothrop, in uno dei suoi vagabondaggi nelle rovine della Germania occupata, si imbatta in un mucchio di costumi di un’opera wagneriana che comprendono « a pointed helmet with horns, a full cape of green velvet, a pair of buckskin trousers » ; indossati i vestiti si rende conto che, senza le corna, l’elmo assomiglia alla parte anteriore di un razzo, e immediatamente comincia a confezionarsi un ridicolo costume da supereroe :
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Daniele Barbieri, Breve storia della letteratura a fumetti, Roma, Carocci, 2009, pp. 44-45.
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And if he could find a few triangular scraps of leather, figure a way to sew them on to Tchitcherine’s boots… yeah, a-and on the back of the cape put a big, scarlet, capital R – It is as pregnant a moment as when Tonto, after the legendary ambush, attempts to – ‘Raketemensch !’ screams Säure. (p. 366)
Come ricorda subito dopo il narratore, « names by themselves may be empty, but the act of naming… » ; nel momento in cui Slothrop indossa il costume e qualcun altro pronuncia il suo nome, diventa automaticamente Rocketman il supereroe, e le persone che sono con lui gli si rivolgono immediatamente per trovare soluzione ai loro problemi. Ma Rocketman non è Superman, come è chiaro sin dai suoi primi pensieri, in cui si immagina nelle nuove vesti da supereroe come un improbabile semidio in un fumettistico paradiso di abbondanza :
Slothrop has been imagining a full-scale Rocketman Hype, in which the people bring him food, wine and maidens in a four-color dispensation in which there is a lot of skipping and singing “La, la, la, la,” and breakfast blossoming from these strafed lindens, and roast turkeys thudding down like soft hail on Berlin, sweet potatoes a-and melted marshmallows, bubbling up out of the ground… (p. 366)
Nonostante adotti una versione tedesca del grido di guerra di Superman (« Hauptstufe ! » invece di « Up, up, and away ! »), usi il linguaggio vanaglorioso di ogni supereroe (« Fickt nicht mit der Raketemensch ! », urla a due ragazzi all’ingresso di un bar dopo averli colpiti e immobilizzati, « so they’ll remember, kind of a hiyo Silver, here », p. 435) e si innamori di un’attrice che interpreta il ruolo di « Lotte Lustig » (allusione a Lois Lane, la fidanzata di Superman), Rocketman si pone agli antipodi del supereroe nazionale, contrabbandando nel territorio occupato dai russi hashish nepalese rubato a Potsdam sotto la finestra del presidente Truman, commettendo prepotenze gratuite su minori e atti sadomasochisti per soddisfare i suoi desideri sessuali. Lo stesso Säure Bummer, famoso topo d’appartamenti e narcotrafficante con cui Slothrop viaggia nella zona (a sua volta parodia del sidekick di ogni eroe che si rispetti), si rivolge a questo supereroe opportunista usando un tipico linguaggio da cartoon per dissuaderlo da ogni azione pericolosa :
Rocketman ! Spaceman ! Welcome to our virgin planet. We only want to be left in some kind of peace, here, O.K. ? If you kill us, don’t eat us. If you eat, don’t digest. Let us come out the other end again, like diamonds in the shit of smugglers. (p. 438)
La figura di Rocketman incarna, quindi, la critica di Pynchon all’imperialismo americano, incoraggiato ufficialmente dal governo attraverso l’industria fumettistica che, soprattutto durante gli anni Quaranta e Cinquanta, punta a sviluppare, nelle parole dell’autore, « an official version of innocence » (p. 419). Tuttavia, il supereroe americano porta anche dei benefici alla nazione, permettendo metaforicamente la vittoria della guerra e garantendo un periodo di prosperità al paese. Quando Slothrop/Rocketman apprende la notizia della morte del presidente Roosevelt, « his president, the only one he’d known », è improvvisamente colto da un senso di straniamento e disfatta : vero e proprio supereroe della nazione, Roosevelt era da poco apparso nelle foto ufficiali con tanto di mantello, « posing in the black cape at Yalta with the other leaders », al punto che « it seemed he’d just keep getting elected, term after term, forever » (p. 374). La morte di Roosevelt, riconosciuto da Slothrop come « a being They assembled, a being They would dismantle » (p. 375), segna anche l’inizio dello smantellamento dell’identità di Rocketman ; le stesse forze che
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costruiscono il supereroe provvedono a smantellarlo una volta raggiunto lo scopo prefissato, e Slothrop si rende conto che anche Rocketman è una costruzione artificiale, frutto di condizionamenti psicologici e chimici. In un differente episodio apparentemente scollegato dalla trama principale, 1 Slothrop si unisce ad altri tre personaggi nella ricerca della misteriosa Radiant Hour tenuta prigioniera dal cattivo padre dell’adolescente americano tipico, Pernicious Pop appunto, dando vita ai « Floundering Four », quartetto che ricorda da vicino i « Fantastic Four » della Marvel e attraverso cui l’autore esemplifica il passaggio alla silver age dei supereroi americani. Ognuno dei quattro, infatti, presenta un « Fatal Flaw », legato al suo particolare potere, che lo rende inadatto alla vita sociale e che riecheggia i problemi dei loro prototipi fumettistici : Myrtle Miracolous può operare miracoli ma, avendo perso per questo ogni rispetto per l’umanità, non è in grado di amare o essere amata, « and though friends such as Mary Marvel and Wonder Woman keep inviting her to parties to meet eligible men, Myrtle knows it’s no use » (p. 676) ; l’automa Marcel, « a mechanical chess-player dating back to the Second Empire » ha le caratteristiche dell’adolescente frustrato e represso, mentre Maximilian, « a Negro in a pearl-gray zoot and Inverness cape », ha un senso naturale del ritmo, compreso quello cosmico, ma per questo non riuscirà mai a conoscere l’eccitazione del pericolo, poiché è in grado di scansarlo sistematicamente. Lo stesso Slothrop presenta in questo episodio le caratteristiche di Plasticman, personaggio con la capacità di allungare gli arti a dismisura, protagonista di un fumetto comico che Slothrop leggeva più di quattrocento pagine prima. Il commento del narratore su questo quartetto esprime anche i sentimenti dei lettori americani negli anni Settanta verso i fumetti dei supereroi :
Any wonder it’s hard to feel much confidence in these idiots as they go up against Pernicious Pop each day ? There’s no real direction here, neither lines of power nor cooperation. Decisions are never really made – at best they manage to emerge, from a chaos of peeves, whims, hallucinations and all-round assholery. This is less a fighting team than nest full of snits, blues, crotches and grudges, not a rare or fabled bird in the lot (p. 676).
I supereroi sono accusati di non contribuire seriamente alla rivolta generazionale che in quegli anni portano avanti altre forme culturali di contestazione come la letteratura Beat, il Rock ‘n Roll, le manifestazioni pacifiste e il movimento hippie. Entrando a far parte di questi ‘patetici 4’, Slothrop comincia però ad affrancarsi dal condizionamento dei ‘padri’ : « For the first time now it becomes apparent that the 4 and the Father-conspiracy do not entirely fill their world » (p. 679) ; una volta accettata l’esistenza di un mondo reale ben diverso da quello dei comics, Slothrop sceglie di schierarsi dalla parte dei deboli, degli sfruttati, degli sconfitti, quelli che Pynchon definisce i preteriti. 2 Eppure, prima di svanire completamente dal romanzo, Slothrop assume un’ultima super-identità, quella del maiale-eroe Plechazunga. Invitato dai bambini di un villaggio tedesco a impersonare durante una festa folkloristica il maiale mitologico che
1 Soprattutto nell’ultima parte del romanzo sono molti gli episodi scollegati dal filone narrativo principale, o che potrebbero essere letti come versioni alternative della trama ; anche in questo la struttura di Gravity’s Rainbow ricorda un comic book. 2 Come afferma H. Brenton Stevens, il quartetto ricorda anche Dorothy e i suoi compagni in cammino nel regno di Oz nel famoso romanzo di Frank L. Baum : « The FF’s peek beyond the Rocket Fathers’ fantasy world is analogous to Dorothy’s discovery of the man pulling the Wizard’s levers behind the curtain. Slothrop has begun to discover that he is not a comic book hero in a world created by Rocket propaganda ». H. Brenton Stevens, op. cit., p. 46.
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secondo una leggenda aveva respinto un’invasione vichinga nel decimo secolo, Slothrop veste quasi naturalmente il costume di Plechazunga, « pink, blue, yellow, bright sour colors, a German Expressionist pig, plush outside, padded with straw inside. It seems to fit perfectly » (p. 568). Ben diverso sin dall’aspetto dal borioso supereroe Rocketman, Plechazunga è un eroe gentile che protegge i deboli e gli oppressi. Durante un violento raid della polizia, Slothrop si ritrova nel mezzo degli scontri, « pig mask cutting off half his vision, trying to shield whom he can – a few kids, an old lady » (p. 570) ; una bambina si aggrappa alla sua gamba, gridando fiduciosa il nome di Schweinheld, il maiale-eroe, ed è a questo punto che « tears, caught by the sun, leak out of his withered eyes ». Salvato provvidenzialmente da una ragazza che lo nasconde nella sua casa, Slothrop è costretto a fuggire poiché considerato disertore e ricercato dalla polizia. Al momento della separazione, però, può promettere alla ragazza che tornerà, in quanto « both of them are sure that someone will be [back], next year at about this time, maybe next year’s Schweinheld, someone close enough… and if the name, the dossier are not exactly the same, well who believes in those ? » (p. 573). Slothrop ha finalmente smesso di credere nella falsa apparenza dei nomi : se Rocketman era un maiale vestito da eroe, Plechazunga è un vero eroe vestito da maiale, e come tale diventa il campione dei preteriti. Proprio a partire da questo episodio la cronologia del romanzo diventa inaffidabile e l’identità di Slothrop si frantuma in una miriade di storie che le fonti ufficiali si ostinano a cancellare : « There is also the story about Tyrone Slothrop, who was sent into the Zone to be present at his own assembly […]. The plan went wrong. He is being broken down instead, and scattered » (p. 738). L’assemblaggio di Rocketman è fallito, dando origine al suo alter-ego Plechazunga, e le autorità sono pronte a smantellare il supereroe perché non è più utile alla causa. Quando gli uomini mandati dallo scienziato Pointsman raggiungono il maggiore Marvy, che per un caso si trova a indossare il costume da maiale, credono si tratti del ricercato Slothrop e, dopo averlo catturato, lo evirano brutalmente, eliminando la fonte dei suoi presunti ‘superpoteri’. Come afferma Stevens, però, nonostante gli sforzi, « fragments of Slothrop remain. The mythology which They set in motion and which later got out of their control cannot be entirely extinguished ». 1 La rivolta messa in atto da Slothrop viene portata avanti dai suoi amici che prendono a modello la sua identità di supereroe, come Mexico e Bodine che, decisi a ribellarsi ai misteriosi quanto fantomatici « They », formano il « Disgusting Duo », parodia del famoso « Dynamic Duo » formato da Batman e Robin (p. 717). Le azioni sovversive che compiono sono perfettamente inutili e ‘fumettistiche’ – rovinano, ad esempio, un banchetto ufficiale, gridando a voce alta parole disgustose quali « snot soup », « pus pudding », « mestrual marmalade » e « pustule porridge », e riuscendo soltanto a far vomitare un « regional sales manager for ici » (p. 715) – ma rappresentano ugualmente un primo timido tentativo di rivolta, pur se banale.
Il processo di appropriazione letteraria dei linguaggi della cultura popolare intrapreso da Pynchon nei suoi romanzi viene perseguito con entusiasmo anche da altri autori del periodo come Donald Barthelme, William Gass, William Gaddis o Kurt Vonnegut, che in diverse fasi della loro carriera si cimentano con le suggestioni del fumetto. Ma il caso più interessante è forse quello di Robert Coover, originale innovatore letterario e anticipatore della scrittura sperimentale, oggi quasi dimenticato. Sin dall’ini1
H. Brenton Stevens, op. cit., p. 48.
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zio della sua carriera Coover struttura i suoi romanzi come parodie dei più popolari generi di intrattenimento, decostruendo di volta in volta il linguaggio dei settimanali sportivi (The Universal Baseball Association, Inc., J. Henry Waugh, Prop., 1968), il genere erotico (Spanking the Maid, 1982), il giallo (Gerald’s Party, 1985), i film e il cinema in generale (A Night at the Movies, 1987), fino alle più recenti parodie del western (Ghost Town, 1998), del porno (The Adventures of Lucky Pierre : Director’s Cut, 2002) e delle fiabe (Pinocchio in Venice, 1991, Stepmother, 2004, A Child Again, 2005). Tutti i suoi lavori presentano diversi tratti fumettistici, sia nell’impiego di personaggi caricaturali, situazioni grottesche e linguaggio da slapstick comedy, sia nella struttura sintattica e narrativa. Ma dove un eroe dei fumetti entra prepotentemente nella trama come protagonista è nel suo romanzo più popolare, The Public Burning (1977), ambientato durante i tre giorni dell’aprile 1951 che portano all’esecuzione dei coniugi Rosenberg sulla sedia elettrica con l’accusa di aver venduto importanti segreti sulla bomba atomica alla Russia. Anche questo romanzo, come quelli di Nabokov e Pynchon, suscita scandalo per le tematiche politiche contemporanee trattate in maniera irriverente e scabrosa, e viene rifiutato per quasi due anni da diversi editori prima della pubblicazione nel 1977. Coover, infatti, non solo delinea in maniera accurata e dissacrante il clima isterico del maccartismo e della guerra fredda (durante il quale, è bene ricordare, i fumetti sono messi al bando e bruciati pubblicamente in piazza da una costa all’altra, in seguito a un’interrogazione in Senato per la presunta istigazione alla delinquenza giovanile), ridicolizzando figure importanti come Richard Nixon e il presidente Eisenhower, ma ripercorre in modo esemplare tutta la storia della cultura americana, senza tralasciarne le manifestazioni più popolari o grossolane. Nel descrivere la peculiare struttura del romanzo Lance Olsen parla di « hypertextoid tactics », citando alcune caratteristiche associate alla fiction ipertestuale che però a ben guardare sono anche tratti fondamentali della grammatica del fumetto :
unpredictable quantum leaps between two or more story lines ; typographical-configurative freeplay, including but not limited to lists, footnotes, and visuals to rupture conventional linear reading strategies and foreground the technology of the page ; […] digressive narrative structure in which the overarching plot line frequently turns out to be less important than the individual page before the reader at a given moment ; […] abrupt shifts in point of view ; […] a kaleidoscopic neorealism more in sync with the televisual and digital rhythms of millennial existence… 1
L’organizzazione della pagina di un comic book in vignette di grandezza variabile contribuisce alla « rottura delle tradizionali strategie di lettura », l’abbondante uso di onomatopee e lettering di grandezza e forma variabile per riprodurre suoni e rumori garantisce un continuo « gioco tipografico-configurativo », mentre la mescolanza di diverse storie e filoni narrativi su un’unica rivista produce quegli « imprevedibili salti quantici » e « repentini cambiamenti di punto di vista » che Olsen identifica come sintomo dei « ritmi televisivi e digitali » dell’età contemporanea. L’influenza dei fumetti nel capolavoro di Coover non si limita alla struttura narrativa. Se il protagonista e principale narratore della vicenda è un clownesco Richard Nixon, modellato in larga parte sulle descrizioni caricaturali e le vignette satiriche dell’epoca, a capo degli Stati Uniti si trova, accanto al presidente Dwight D. Eisenhower, la più incredibile e interessante invenzione narrativa di Coover, il supereroe
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Lance Olsen, Stand By to Crash ! Avant-Pop, Hypertextuality, and Postmodern Comic Vision in Coover’s The Public Burning, « Critique », 42.1, 2000, p. 61.
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da comic book Uncle Sam, impegnato nell’eterna lotta contro il suo alter-ego : The Phantom. 1 Nel tentativo di creare « an iconic superhero whose incarnations included all former presidents », 2 l’autore immagina un vanaglorioso e antipatico supereroe che incarna lo spirito americano e usa la prosa roboante di tutti gli storici performers della nazione, dai pastori puritani ai politici, dai cowboy spacconi ai ciarlatani imbonitori, dagli attori televisivi ai supereroi dei fumetti, fatta di minacce, preghiere, declamazioni e imprecazioni. Nel suo linguaggio si trovano mescolate insieme frasi idiomatiche dei pionieri, dei rivoluzionari, dei politici, di star del cinema, degli eroi di guerra e dello sport, fino a rappresentare « the collective voice of the people » ; 3 assemblaggio caricaturale di stereotipi nazionali, Uncle Sam presenta i tratti caratteristici di tutte le grandi personalità politiche americane, dai « Washington’s rhinoceros teeth and smallpox scars » alle « F.D.R.’s shriveled legs, Cleveland’s vulcanized rubber jaw, Abe’s warts and Jim Polk’s spastic bowels » 4 e con la sua figura Coover suggerisce che il contenuto del messaggio è diventato meno importante del potere e del carisma mediatico di chi lo pronuncia. Dotato di veri e propri superpoteri, Uncle Sam appare e scompare a suo piacimento, quando si infuria provoca distruzione intorno a sé (mentre urla contro un atterrito Nixon « the chandelier splintered and crashed, and the refrigerator door blew open and fell off its hinges », p. 338) e lui stesso si vanta della propria forza davanti alla folla in delirio radunatasi a Times Square :
listen to me ! Do you know that all the great work of the world is done through me ? Size me up and shudder, you scalawags ! The power to tax involves the power to destroy, and don’t you forget it ! I am the Thunderer, Justice the Avenger, kin to the whoopin’ cough on my mother’s side and half brother to the Abominable Snowman, a wonder, a grandeur, and a woe ! (p. 419)
Quando, messo alle strette dalla moltitudine, è costretto ad abbassarsi i pantaloni, provoca un immenso blackout scatenando i terrori più reconditi della folla, che, abbandonata nell’oscurità delle proprie paure, si lascia andare a un tremendo rito orgiastico collettivo. Ma il ritorno di Uncle Sam è salutato dal pubblico, ora letteralmente « burning », con le tipiche espressioni attonite che annunciano nei fumetti l’arrivo di Superman :
it’s a flying saucer ! it’s a boid ! issa plenn ! no ! it’s … it’s uncle sam ! […] When they open their eyes again, it is to see their Star-Spangled Superhero standing stark and solemn above them on the Death House stage, cradling freedom’s holy light in his outstretched hands and gazing down upon them… (p. 493)
Il personaggio di Uncle Sam è un’inquietante figura dittatoriale, ben lontana dal rassicurante supereroe che salva la patria combattendo il crimine nei fumetti durante 1 The Phantom incarna, ovviamente, il fantasma del comunismo di marxiana memoria, che, nelle parole di Uncle Sam, « infects everything, our litterchur, art, religion, games » (Robert Coover, The Public Burning, New York, Grove Press, 2003 [1997], p. 336). In quanto esiste, però, come nota Olsen « less as a flesh-and-blood entity than as a trace in the text, a shadow, a rumor », The Phantom rappresenta non solo la personificazione della Red Scare e della Guerra Fredda, ma anche « the reification of destructive energy in a culture, the dark radical skepticism that throws everything about language and experience into question ». Cfr. Lance Olsen, op. cit., p. 55. 2 Larry McCaffery, As Guilty as the Rest of Them : An Interview with Robert Coover, « Critique », 42.1, 3 4 Ibidem. Robert Coover, op. cit., p. 171. 2000, p. 119.
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la guerra, e che in seguito si unisce ad altri giustizieri che, pur segnati da esperienze negative, e dalla moralità non del tutto limpida, si prodigano a lottare per una giusta causa. L’invenzione di Coover ricalca la sfiducia nei confronti dei supereroi fumettistici i quali, alla fine degli anni Settanta, sembrano avviati verso un ulteriore quanto implacabile fallimento, se non fosse per due artisti come Frank Miller e Alan Moore che, negli anni Ottanta, riescono a infondere nuova linfa al genere, contribuendo alla nascita di una forma che rivoluzionerà il mondo dei fumetti : il graphic novel.
Fumetti ‘letterari’ Di solito gli studiosi considerano A Contract with God, and other Tenement Stories (1978) di Will Eisner il primo graphic novel, anche se, come si evince già dal titolo, si tratta di una raccolta di quattro racconti collegati da un’ambientazione comune. Ad Eisner resta comunque il merito di aver saputo ridefinire il medium come vera e propria forma artistica, pubblicando nel 1985 il primo lavoro teorico dedicato allo studio del fumetto : Comics and Sequential Art. 1 Ad ogni modo, a partire dagli anni Ottanta il termine ‘graphic novel’ comincia a prendere piede negli ambienti editoriali e giornalistici per indicare una nuova ondata di fumetti autoconclusivi in formato libro realizzati da artisti colti e impegnati, che arricchiscono le loro opere con continui riferimenti letterari, storici o autobiografici. Come ha affermato di recente Art Spiegelman, « comics may no longer be the “real name” for a narrative medium that intimately intertwines words and pictures but isn’t necessarily comic in tone » ; 2 con il capolavoro Maus l’artista ha dimostrato che i fumetti possono affrontare temi importanti come l’olocausto senza dover sacrificare la serietà o la profondità dei sentimenti e delle vicende storiche. Si può discutere se il termine ‘romanzo grafico’ sia il più adatto a descrivere queste opere, o se siano più appropriate le varianti generalmente proposte, come ‘Sequential Art’ o ‘Graphic Narrative’ ; ciò che è importante notare è che questa nuova forma letteraria aggiunge un livello di permanenza a un prodotto di intrattenimento che – se si esclude il mercato del collezionismo – nasce e si sviluppa prevalentemente come ‘usa e getta’. Presentando un fumetto in un’edizione rilegata, elegante e più cara rispetto al formato rivista o comic book (e chiamandolo ‘romanzo’ piuttosto che ‘comic’) il graphic novel si inserisce finalmente nella letteratura d’avanguardia e viene di conseguenza percepito come tale dal lettore. Forte di questa nuova autoconsapevolezza, il fumetto si volge con rinnovato vigore al cinema e, soprattutto, alla letteratura per sperimentare nuove strategie narrative che riflettano e rappresentino la complessa, caotica e sfaccettata realtà postmoderna. Non stupisce quindi che Alan Moore, celebrato autore di Watchmen (1986), graphic novel assurto a vero e proprio trattato sui supereroi e sul loro impatto nella storia e nella cultura americana, prenda ispirazione proprio da The Public Burning di Coover per l’idea di un supereroe ormai al declino. Nel proporre nel 1987 alla casa editrice DC una serie, in seguito mai realizzata, intitolata Twilight of the Superheroes, 3 sulla
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Nel suo importante studio Eisner si sofferma sulla doppia funzione del graphic novel, come intrattenimento e mezzo di istruzione ; analizza il ruolo del lettore, le varie applicazioni dell’arte sequenziale, nonché lo sviluppo di parole e immagini come strumenti comunicativi ed espressivi. Nel 1993 Scott McCloud partirà proprio dalle premesse di Eisner nel suo Understanding Comics: The Invisible Art, primo lavoro in cui il medium del fumetto è usato per analizzare il medium stesso, secondo la falsariga della critica strutturalista (non a caso McCloud è stato spesso definito il Roland Barthes dei comic books). 2 Art Spiegelman, Picturing a Glassy-Eyed Private i, Introduzione a Paul Karasik, David Mazzucchelli, Paul Auster’s City of Glass, the Graphic Novel, London, Faber and Faber, 2005 (2004). 3 La storia si sarebbe dovuta ambientare vent’anni nel futuro e avrebbe dovuto includere come protagonisti tutti i supereroi, anche le generazioni più vecchie. Quello della vecchiaia dell’eroe è un tema
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falsariga del Götterdämmerung della mitologia nordica, Moore delinea uno sketch dei supereroi che avrebbero preso parte alla storia, e tra questi c’è anche un derelitto e ormai impotente Uncle Sam :
Uncle Sam is the character I’m most looking forward to writing, taking my cue both from the character of Uncle Sam in Robert Coover’s excellent book about the Rosenberg execution, The Public Burning, and from the portrayal of Richard Nixon in Robert Altman’s Secret Honor. In Coover’s book there is a sort of giant called Uncle Sam who is exactly like the old Quality character right down to his dialogue, which is a sort of breathless rush of manic cornball philosophy and darkly lyric jingoism. […] As I see my Uncle Sam, he’s a hopeless derelict with no power at all, and nobody is even entirely sure whether he actually is the Uncle Sam or some wino dressed up like him. He sprawls in a dark corner of the bar, drinking the last years of his life away and babbling to himself in a mixture of the two styles outlined above… 1
Allo stesso modo l’artista Zak Smith ha illustrato di recente ognuna delle 760 pagine di Gravity’s Rainbow di Pynchon, confermando in un’intervista che « a lot of the ideas in it – the density, the intricacy, the mishmash of styles and moods, the sort-of-sci-fibut-sort-of-real-life thing – were all things I had been trying to get in the other works I’d been doing ». 2 Disegnatori e fumettisti si basano ora sulla letteratura per costruire veri e propri romanzi grafici che reinterpretano e rivitalizzano le concezioni linguistiche e rappresentative della narrativa postmoderna, creando quello che ormai è un universo condiviso di personaggi, situazioni e strategie narrative. Non è un caso che il più riuscito graphic novel tratto da un testo letterario sia l’adattamento a opera di Paul Karasik e David Mazzucchelli del racconto City of Glass, prima parte del trittico postmodernista The New York Trilogy (1987) di Paul Auster. 3 Pubblicato nel 1994 (quasi contemporaneamente al lavoro teorico di Scott McCloud che contribuisce a fornire al medium del fumetto un elaborato vocabolario critico) City of Glass, The Graphic Novel raffigura in maniera particolarmente efficace l’incertezza narrativa e l’ambiguità linguistica della prosa postmodernista, aggiungendo un’originale dimensione visiva alle intricate geometrie della mente e ai labirinti testuali del racconto di Auster. Poiché l’oggetto della detection su cui s’incentra la storia è un linguaggio in grado di colmare il baratro che separa ogni significante dal rispettivo significato, City of Glass si pone come punto di arrivo ideale per l’analisi del complesso rapporto che lega fumetto e letteratura postmodernista, in quanto mette in scena in maniera metanarrativa il rapporto tra le parole e le cose − o le immagini che le rappresentano. Reintegrando le immagini alle parole che non le raffigurano più (la rappresentazione visiva della caduta del linguaggio è resa suggestivamente da Karasik e Mazzucchelli con la parola ‘shadow’ che, originariamente legata ad Adamo come una vera ‘ombra’, si stacca fisicamente dal protagonista e precipita in un baratro), il graphic novel diventa un mezzo privilegiato per decostruire l’attendibilità di ogni rappresentazione (Fig. 1). In un famoso articolo del 1925 José Ortega y Gasset lamentava che « the majority
ampiamente trattato negli anni Ottanta e Novanta, soprattutto dopo la pubblicazione di Batman : The Dark Knight Returns (1986) di Frank Miller, il cui protagonista è un Batman ormai in pensione, anziano e un po’ patetico. 1 Alan Moore, Twilight of the Superheroes, http ://geocities.com/SoHo/6612/twilight.htm, ultimo accesso il 29 aprile 2009. 2 Terri Saul, The Zak Smith Interview, http ://quarterlyconversation.com/the-zak-smith-interview, ultimo accesso il 27 aprile 2009. 3 A sottolineare la continua interazione tra fumetto e letteratura, va notato che nel 2006 il libro di Auster è stato ripubblicato dalla Penguin con una copertina in formato pulp-magazine disegnata proprio da Art Spiegelman, autore di una brillante introduzione all’adattamento grafico di Karasik e Mazzucchelli.
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Fig. 1. Paul Karasik e David Mazzucchelli, City of Glass : The Graphic Novel, p. 39.
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of people are incapable of adjusting their attention to the window-pane which is the work of art » ; lo sguardo attraversa il vetro limpido dell’arte e si sofferma sul giardino al di là di esso, finché il vetro, ovvero il medium, diventa invisibile. Al contrario, se si fissa lo sguardo sul vetro, il giardino oltre la finestra sparisce, lasciando al suo posto una confusa macchia di colore. « Thus », conclude il critico, « to see the garden and to see the window-pane are two incompatible operations ». 1 La letteratura postmodernista, però, nell’esasperare volutamente l’opacità del medium, esige che il lettore veda contemporaneamente sia il vetro che il giardino, o, nel caso del racconto di Auster, la città al di là (e dentro) di esso. Mazzucchelli e Karasik all’inizio del loro graphic novel rappresentano questa doppia dimensione della letteratura postmodernista attraverso una brillante metafora visiva ; nello spazio di una pagina la città al di là del vetro si trasforma in un labirinto che, assottigliandosi in ogni vignetta man mano che il punto di vista recede, si rivela un’impronta digitale sul vetro stesso, oltre il quale si intravede di nuovo la città. In questo modo il lettore ha già di fronte i temi principali (anche grafici) del racconto (la solitudine, la perdita d’identità, l’indagine, l’alienazione, l’intrappolamento psicologico) e può prendere coscienza della particolare ‘poetica visiva’ del fumetto, mentre le didascalie forniscono il necessario background del protagonista Quinn permettendo l’avanzamento della trama (Fig. 2). Quando, verso la fine della storia, l’impronta digitale apparirà di nuovo, non lascerà apparire di nuovo la città, bensì un labirinto che conduce a una porta chiusa a chiave (ulteriore citazione dal terzo racconto di Auster che si intitola, appunto, The Locked Room e che in molti aspetti è collegato a City of Glass) (Fig. 3). Già nella prima pagina gli autori mostrano l’ambiguità di ogni rappresentazione e il potenziale inganno in cui può incorrere l’occhio dell’osservatore. Con ogni successivo allargamento del frame l’immagine mostrata precedentemente si rivela appartenente a un diverso livello di realtà, passando da un numero, al disegno di un numero su un presunto oggetto (un telefono), a un’immagine completa dello stesso che però si rivela solo una raffigurazione (il disegno di un telefono sull’elenco telefonico), fino ad arrivare all’oggetto in sé (il telefono appoggiato sull’elenco). Attraverso un uso originale di strategie rappresentative tipiche del fumetto come transizioni tra vignette, motivi visivi ricorrenti, didascalie, un lettering che di volta in volta si adatta al significato o al contesto della narrazione, Karasik e Mazzucchelli si appropriano delle riflessioni di teorici come Jean Baudrillard e Fredric Jameson su simulacri e virtualità per raffigurare l’incertezza narrativa, l’instabilità di significato e l’ambiguità linguistica della contemporaneità. Le diverse tecniche, i tratti e gli stili usati nei disegni aggiungono ulteriori strati di interpretazione del testo originale e servono a strutturare il dialogo su molteplici livelli di significato : ad esempio, quando Quinn comincia a perdere il controllo della situazione, il tratto si fa meno realistico e più scabro. Di solito, a un maggiore dettaglio corrispondono livelli superiori di realismo, ma non sempre è così, e alla fine, come nel racconto, ogni rappresentazione si rivela illusoria. La trasposizione grafica del lungo monologo di Peter Stillmann, il ragazzo affetto da gravi disturbi del linguaggio a causa della prolungata prigionia cui è stato sottoposto da bambino nel folle tentativo di sviluppare in lui la lingua adamitica, è uno dei punti più alti tuttora raggiunti da un graphic novel e rivela tutto il potenziale del medium. Il monologo è di gran lunga la forma meno ‘rappresentabile’ visivamente, e quello di Stillmann occupa ben sette pagine del racconto di Auster e ricorda per scon
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José Ortega y Gasset, The Dehumanization of Art and Notes on the Novel, New York, P. Smith, 1951, p. 78.
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Fig. 2. Paul Karasik e David Mazzucchelli, City of Glass : The Graphic Novel, p. 4.
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Fig. 3. Paul Karasik e David Mazzucchelli, City of Glass : The Graphic Novel, p. 85.
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clusionatezza e caoticità quello del più celebre Lucky beckettiano ; tuttavia Karasik e Mazzucchelli riescono a creare, attraverso una rigida griglia di vignette tripartite per otto pagine più una pagina finale a grandezza intera, una perfetta armonia di parole e immagini che ‘rimano’ tra di loro, oltre che con il testo. All’inizio del monologo il balloon con le parole (il cui lettering si differenzia da quello della narrazione principale perché mescola corsivo e maiuscolo) fuoriesce direttamente dalla gola di Stillmann, dalle profondità della sua anima ; di qui la successiva immagine di Caronte, l’incappucciato traghettatore infernale che emerge progressivamente dalla superficie delle acque, così come la tremenda verità che, attraverso il monologo, risale a galla. In seguito il balloon fuoriesce di volta in volta da una serie apparentemente slegata di oggetti ; dalle pitture nelle caverne di Lascaux, blocchi basilari del linguaggio che raffigurano un uomo sopraffatto da un animale più grande ; dalle fogne, nelle cui profondità si cela il marciume della società contemporanea ; e, ancora, dallo scarico del water, da un grammofono che sintetizza la ripetitività della voce, da un pozzo, dalla bocca di un famoso personaggio dei fumetti 1 che, con un teschio in mano, simboleggia l’incomunicabilità e al tempo stesso la teatralità di ogni comunicazione, fino ad arrivare a una marionetta dai fili rotti in fondo a un crepaccio, che riporta direttamente al testo di Auster, in cui Quinn ha l’impressione che guardare Stillmann « was like watching a marionette trying to walk without strings ». 2 Subito prima di quest’immagine la griglia si è rivelata per quello che realmente è : le sbarre di una prigione in cui però il balloon di Stillmann quasi contraddittoriamente afferma : « I see hope everywhere, even in the dark » (Figg. 4 e 5). 3
La dimensione visiva è in grado di aggiungere un ulteriore livello all’ambiguità del racconto, creando somiglianze e parallelismi che nel testo originale restavano sotterranei. Ad esempio, il personaggio ‘Paul Auster’ è dotato di una fisionomia molto simile a quella dell’autore, mentre il suo figlioletto è vestito in maniera identica al figlio di Quinn intravisto in una foto. L’andatura di Quinn quando è ridotto ormai alla stregua di un barbone è graficamente simile alla camminata di Peter Stillmann senior, e via dicendo. Alla fine della storia, con la progressiva disgregazione dell’identità del protagonista, anche la griglia delle vignette si disintegra, i frames si spaccano e vagano sghembi per lo spazio nero della pagina, diventando fogli del taccuino scritto da Quinn, finché rimane un solo foglio che brucia con la scritta : « What will happen when there are no more pages in the notebook ? ». 4 La struttura narrativa è infine dissolta e la successiva pagina, completamente nera, mostra delle fiamme nella zona sottostante, come se a bruciare, insieme al taccuino del protagonista, sia lo stesso graphic novel. Eppure la storia prosegue per un paio di pagine, rivelando di nuovo l’inconsistenza e l’inaffidabilità della narrazione precedente : un narratore onnisciente scandisce le parole delle ultime didascalie (in cui il lettering cambia nuovamente, diventando un corsivo che riproduce la scrittura a macchina) sopra disegni a toni acquerello, che si rivelano infine fogli scritti a macchina dal narratore (Figg. 6 e 7). Per diverso tempo City of Glass, the Graphic Novel è rimasto un caso isolato nel pa
1 Si tratta di Henry, protagonista dell’omonima comic strip del 1932 disegnata da Carl Anderson e pubblicata inizialmente sul « Saturday Evening Post ». L’analogia con Peter Stillmann è evidente, dal momento che Henry è un ragazzo muto (spesso disegnato addirittura senza bocca) che comunica attraverso gesti e pantomime. 2 Paul Auster, The New York Trilogy, London, Faber and Faber, 1987 (1985), p. 15. 3 4 Paul Karasik, David Mazzucchelli, op. cit., p. 22. Ivi, p. 134.
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Fig. 4. Paul Karasik e David Mazzucchelli, City of Glass : The Graphic Novel, p. 21.
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Fig. 5. Paul Karasik e David Mazzucchelli, City of Glass : The Graphic Novel, p. 22.
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Fig. 6. Paul Karasik e David Mazzucchelli, City of Glass : The Graphic Novel, p. 107.
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Fig. 7. Paul Karasik e David Mazzucchelli, City of Glass : The Graphic Novel, p. 136.
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norama fumettistico, come testimonia il fatto che la serie di adattamenti di romanzi chiamata Neon Lit e pubblicata da Avon Books, di cui l’opera di Karasik e Mazzucchelli doveva essere il primo numero, non è mai proseguita. 1 Solo di recente il graphic novel è stato ripubblicato con una nuova introduzione di Art Spiegelman e comincia a ricevere la fortuna critica che merita. Dal 1994 a oggi, comunque, il romanzo grafico è diventato una realtà stabile del panorama letterario, al punto che ogni libreria non può fare a meno di possedere una folta sezione di graphic novel che spaziano dal genere autobiografico a quello storico, dalla fantascienza all’attualità politica, così che non è raro trovare un adattamento grafico di un romanzo di Stephen King accanto a una versione ‘manga’ dell’Amleto shakespeariano nello stesso scaffale di Spiderman e Maus. In questo caso si può dire che il fumetto sia riuscito ad attuare il sogno postmoderno di disintegrare le barriere dei generi, sfumando definitivamente il confine tra letteratura e cultura popolare. Gli stessi supereroi, sopravvissuti all’opera di decostruzione cui erano stati sottoposti negli anni Ottanta, si adattano di nuovo al mutato clima politico ; se per una precisa scelta editoriale tra le pagine delle serie DC non si fa alcun accenno agli attentati di New York, gli eroi della Marvel scendono di nuovo in guerra dopo l’11 settembre per rovesciare uno stato terrorista responsabile di fornire armi tecnologiche ai supercattivi con lo scopo di destabilizzare il governo americano, 2 e arrivano addirittura a combattere una sanguinosa Civil War 3 che vede opposto un fronte di supereroi favorevole alla registrazione governativa con conseguente rivelazione delle loro identità segrete a un fronte ribelle che preferisce continuare ad agire nella clandestinità senza sottostare a alcuna autorità se non la propria legge morale. Si tratta di trame profondamente attuali, che affrontano tematiche scomode come la guerra al terrorismo, il malcontento verso l’amministrazione Bush o l’uso indiscriminato della violenza da parte della potenza americana. Si può ben dire che ogni epoca reinterpreti la vecchia formula del supereroe e, attraverso le avventure di questi nuovi eroi mitologici, riscriva di fatto la storia nazionale e, di conseguenza, l’immagine dei comics nel panorama culturale. A sua volta il romanzo, abbandonate in larga parte le evoluzioni metaletterarie e sperimentali del postmodernismo, sembra orientato verso un nuovo tipo di realismo, sia delle trame che delle strategie narrative. James Berger parla di un « counterlinguistic turn » 4 caratterizzato da un rinnovato interesse per la referenzialità, mentre per James Wood il nuovo tipo di coscienza storica, che esaspera le convenzioni del realismo tradizionale attraverso le suggestioni dei media, conduce a una sorta di « hysterical realism ». 5 In ogni caso l’interesse del romanzo verso i fumetti è, di recente, aumentato esponenzialmente, dando origine a un vero e proprio genere, il comic-book novel, a sua volta diviso in sottogeneri, con romanzi che si concentrano su personaggi o filoni specifici (come le prime comic strips o i fumetti underground), sui lettori di fumetti (esplorando temi comuni come la nostalgia, l’adolescenza o la crisi d’identità), sui fumettisti e sull’industria dei comics in generale. Anche in questo caso è impor
1 Lo stesso graphic novel ha ricevuto una recensione nel « Newsweek », una fugace menzione in « The New York Times Books Review » e pochissime altre attenzioni accademiche. 2 Accade nella miniserie della Marvel Secret War, pubblicata negli Stati Uniti tra il 2004 e il 2005. 3 La miniserie Civil War, sempre della Marvel, è stata pubblicata negli Stati Uniti tra il 2006 e il 2007. 4 James Berger, Falling Towers and Postmodern Wild Children : Oliver Sacks, Don DeLillo, and Turns Against Language, « pmla », 120.2, 2005, p. 344. 5 James Wood, Human, All Too Inhuman. The Smallness of the ‘Big’ Novel, « The New Republic », 24 luglio 2000.
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tante sottolineare che i romanzi si ispirano ai supereroi in numero sempre crescente ; opere come The Ice Storm (1994) di Rick Moody, secondo Marc Singer « among the first works of recent literary fiction to attempt a sustained exegesis of superhero comic books », 1 The Fortress of Solitude (2003) di Jonathan Lethem, che esplora il potenziale metaforico dell’universo dei supereroi attraverso l’instabile e versatile identità di un adolescente, o il più interessante The Amazing Adventures of Kavalier and Clay (2000) di Michael Chabon, recente vincitore del premio Pulitzer, testimoniano di un interesse sempre vivo verso il medium. 2 Attraverso le vicende di due fittizi creatori di fumetti e del supereroe da loro inventato, The Escapist, Chabon ripercorre ancora una volta la storia dell’industria del fumetto americano, dalle crociate ideologiche contro il nazismo alla guerra degli autori contro le multinazionali per l’acquisizione delle royalties, intrecciando le storie fantastiche del supereroe con le vicende personali dei protagonisti ; in questo modo il fumetto non si pone più soltanto come metafora letteralizzata o incarnazione di fantasie mediatiche, bensì costituisce una presenza costante e sintomatica dell’immaginario mitico della nazione.
1 Marc Singer, Embodiments of the Real : The Counterlinguistic Turn in the Comic-Book Novel, « Critique », 49.3, 2008, p. 278. 2 Il feedback tra letteratura e fumetti continua a dare i suoi frutti, dal momento che, in seguito al successo del romanzo di Chabon, la Dark Horse ha pubblicato una serie a fumetti ispirata all’eroe fittizio e scritta dallo stesso autore in collaborazione con vari artisti, da cui è stata di recente tratta un’antologia di storie a fumetti, una delle quali disegnata da Will Eisner. Contemporaneamente è apparso il graphic novel The Escapists, ispirato all’omonimo eroe fittizio, di cui Chabon ha scritto l’introduzione.
co m p o sto in ca r atte re da nte monotype dalla fa b rizio se rr a e ditore, pisa · roma. sta m pato e ril e gato nella t i p o g r a fia di ag na n o, ag nano pisano (pisa). * Maggio 2010 (c z 2 · f g 1 3 )