America latina e Stati Uniti di Filippo Amelotti Preciso e dettagliato riassunto del volume di Galgani, analista di politica internazionale, che analizza criticamente l'evoluzione dei rapporti tra nord e sud America, a partire dall'inizio del diciannovesimo secolo con la dottrina Monroe fino alla presidenza di George W. Bush. I rapporti, spesso molto tesi, tra l'amministrazione della Casa Bianca che spesso ha imposto i propri interessi al Sudamerica sono analizzati in tutte le amministrazioni che si sono succedute. Roosvelt, Truman, Eysenower, Kennedy, Johnson, Nixon, Ford, Carter, Reagan e Bush, Clinton e George W. Bush: tutti si sono dovuti confrontare con "vicini di casa" da gestire, non senza forti tensioni e senza uno sfruttamento delle risorse naturali ad opera di Washington, troppo spesso impegnata a far valere più i propri interessi che i reali diritti delle popolazioni del Sud. Ampia analisi della carismatica leadership venezuelana di Hugo Chavez, che si è opposta allo sfruttamento del nord con una spinta all'autonomizzazione e allo sviluppo della sua nazione e di quelle vicine.
Università: Facoltà: Esame: Docente: Titolo del libro: Autore del libro: Editore: Anno pubblicazione:
Università degli studi di Genova Scienze Politiche Storia dell'America latina S. Delfino America latina e Stati Uniti P. Galgani Francoangeli 2007
Filippo Amelotti
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1. America Latina e USA: la dottrina Monroe Nel corso dell’800 le relazioni tra nord e sud furono influenzate dai rapporti tra Washington e le potenze europee. Dopo la lunga lotta con l’Inghilterra, i padri fondatori vollero evitare contrasti con le principali nazioni europee. Tale atteggiamento fu definito dal presidente Washington nella dichiarazione di neutralità del 1793 e poi nel discorso con cui lasciò la carica nel 1796. sostenne la necessità che 20 anni di pace, aggiunto a un incremento di popolazione e di risorse avrebbe consentito loro di essere nella giusta posizione da sfidare tutti i poteri della terra. Voleva tutelare la giovane repubblica nel momento della sua massima vulnerabilità. Il corollario ai moniti di Washington fu l’enunciazione della Dottrina Monroe. Lo stimolo a tale dichiarazione fu la rivolta delle colonie spagnole sudamericane contro la madrepatria e la reazione delle potenze europee riunite nella Santa Alleanza, frutto del Congresso di Vienna del 1815 e intenzionate a intervenire militarmente nel nuovo mondo per riportare lo status quo ante. Temendo per la sicurezza del proprio emisfero e con l’intento di sostenere lo sforzo anticoloniale degli stati meridionali, il presidente Monroe, spalleggiato dal suo segretario John Quincy Adams decise di opporsi all’iniziativa europea. Sostenne che: 1. se gli Usa erano pronti a riconoscere le esistenti colonie europee nelle americhe, non erano disposti a tollerare nuove conquiste 2. gli Usa non sarebbero mai intervenuti negli affari europei ma non avrebbero accettato interventi delle potenze europee nel continente americano 3. non era concepibile che i sistemi politici delle potenze europee fossero esportati in territorio americano.
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2. Usi e abusi della Dottrina Monroe Monroe riuscì a bloccare la spedizione militare europea mantenendo l’isolamento delle influenze del vecchio continente gettando le basi della futura politica di intervento degli USA verso l’America latina. Con la Dottrina Monroe gli USA si assicurarono l’espansione nel proprio emisfero mettendo in atto politiche simili a quelle di qualsiasi governante europeo e si trasformarono in una grande potenza. Fu allora che si trasformò la realizzazione dell’America latina nel “cortile di casa” di Washington. Da allora in poi ogni intervento americano nella regione trovò giustificazione nelle affermazioni di Monroe. Da allora in poi la dottrina Monroe fu usata per difendere qualsiasi intervento nella regione sia in caso di una minaccia reale sia potenziale. Gli sbarchi dei Marines in Sudamerica divennero una consuetudine. I soldati intervennero in Argentina nel 1833, 1852 e 1890, in Nicaragua, in Uruguay, in Messico, in Cile e a Panama. La frequenza degli sbarchi era dovuta anche al fatto che fino al XX secolo le ambasciate e le delegazioni statunitensi non avevano presidi permanenti, per cui ogni volta che c’era un problema, i mercanti e i diplomatici statunitensi sentendosi minacciati chiedevano l’intervento delle proprie forze armate. La guerra di secessione interruppe per qualche tempo il processo di espansione ma nel 1868 il presidente Andrew Johnson fece riferimento alla Dottrina Monroe per l’acquisizione dell’Alaska. dell’Alaska. Tra la guerra di secessione e la fine del secolo aumentò la produzione carbonifera, i binari in acciaio, il frumento e il flusso migratorio dall’Europa, soprattutto dall’Irlanda fece raddoppiare la popolazione. Alla fine dell’800 l’area dei Caraibi fu il principale terreno di scontro tra gli USA e i residui territori coloniali spagnoli. La guerra ispano americana scoppiata nel 1898 si concluse con la sconfitta di Madrid che uscì definitivamente dall’emisfero occidentale. Washington occupò militarmente Cuba e Portorico.
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3. L’espansionismo di Theodore Roosevelt e il suo corollario alla dottrina Monroe Con Theodore Roosevelt dal 1901 la politica espansionistica americana verso il sud compì il grande balzo verso l’età matura dell’imperialismo di stampo europeo. Rimarginate le lacerazioni dovute alla guerra di secessione e la colonizzazione della frontiera del West, gli americani cercarono nuovi sbocchi alle loro energie espansionistiche e si rivolsero all’America latina. Roosevelt comprese che grazie alla crescita economica raggiunta, gli USA potevano competere ad armi pari con ogni potenza europea. La prima prova che il presidente dovette affrontare fu il Venezuela. Afflitto dalla incapacità di saldare il debito estero, il paese di Simòn Bolìvar fu il primo passo verso il rafforzamento dell’imperialismo americano. Nel 1902 il Venezuela non riusciva a ripianare i debiti contratti con Germania, Inghilterra e Italia e il Kaiser decise di inviare una flotta per costringere il paese a restituire il dovuto. Roosevelt decise di dirottare le navi da guerra tedesche. L’intervento di Berlino sarebbe stato visto come un possibile strumento per acquisire basi militari e commerciali nei Caraibi, eventualità che gli USA non potevano tollerare.
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4. I successori di Roosevelt e il messianismo di Wilson Dopo Roosevelt gli USA intervennero pesantemente in America latina e agirono come esattori dei debiti internazionali di questi con il resto del mondo come accadde nel 1905 quando dietro le pressioni di Washington la Repubblica Dominicana accetto il controllo statunitense sulle proprie finanze. Il successore di Roosevelt, William Howard Taft continuò ad adottare il suo corollario della Dottrina Monroe aggiungendo la colonizzazione non solo territoriale ma anche economica dell’America Latina. Taft esercitò pressioni sule repubbliche latinoamericane perché sostituissero i capitali di provenienza europea con quelli statunitensi avvantaggiando anche gli istituti finanziari del suo paese. La “diplomazia del dollaro” che per Taft voleva dire tutelare gli interessi industriali, commerciali e finanziari statunitensi, favorire più stretti legami economici tra USA e America latina, intervenire militarmente per assicurare l’operatività degli altri due elementi fu applicata in Nicaragua. Nel 1909 i banchieri americani si impossessarono di gran parte delle finanze del paese e quando nel 1912 scoppiò una rivolta contro il governo filoamericano, Taft inviò i Marines per proteggere i capitali là investiti. L’obiettivo di Taft era instaurare il predominio economico e finanziario fondato sulle stesse regole seguite nei rapporti di affari e nelle transazioni effettuate a Wall Street. Sperava di trasformare le nazioni latine in tanti cloni della repubblica americana aventi stesse caratteristiche di democrazia, stabilità e autorità. Il progetto di Taft si scontrò però con la dura realtà della povertà diffusa in vasti strati della popolazione sudamericana e con la detenzione del potere politico da parte di ristrette oligarchie pronte ad ostacolare la diffusione della democrazia. Il presidente Woodrow Wilson voleva eliminare la diplomazia del dollaro e voleva trattare l’America Latina in termini di uguaglianza e onore ma la necessità di tutelare gli interessi economici e finanziari lo condusse a intervenire in Sudamerica con una frequenza maggiore di quella di Taft. Pose però l’accento sui principi e sulla convinzione che l’America fosse destinata ad un ruolo di grandezza e di “faro” dell’umanità nel diffondere gli ideali di libertà. Wilson volle ammantare di veste ideale la tutela degli interessi nazionali considerandoli equivalenti al bene comune. Fu Wilson, 80 anni prima di Bush a concepire l’intervento degli USA come sprone per l’avvento della democrazia liberale. Intervenì in Messico contro il presidente Huerta, colpevole di una politica brutale e di soppressione dei diritti civili, e ad Haiti dove impose l’ordine americano in un paese in preda al caos permanente.
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5. La politica di buon vicinato di Franklin Roosevelt, la seconda guerra mondiale e il nuovo ordine postbellico Negli anni 20 le relazioni tra USA e America latina si intensificarono. Nel periodo precedente la regione aveva avuto un notevole sviluppo economico docuto all’afflusso di capitali statunitensi. Dopo la fine della prima guerra mondiale, Cuba, Haiti, Repubblica dominicana e Nicaragua erano occupate da truppe di Washington e la penetrazione economica dei decenni precedenti aveva trasformato le altre nazioni in protettorati statunitensi. Negli anni 20 gli investimenti yankee e il controllo economico aumentarono ma l’intervento delle forze armate diminuì. La crescente ostilità delle popolazioni sudamericane ai passati sbarchi militari statunitensi convinsero i rappresentanti di Washington a migliorare i rapporti con le popolazioni meridionali. Dopo alcune mosse distensive compiute dal presidente Coolidge, fu per merito di Herbert Hoover che la politica di conciliazione compì passi avanti. Compì un lungo viaggio di successo in 11 paesi sudamericani e nel 1930 rese pubblico il Memorandum Clark, un documento del Dipartimento di stato redatto 2 anni prima che ripudiava sia il corollario Roosevelt ala Dottrina Monroe, sia la necessità di un controllo poliziesco da parte degli USA. Hoover non intervenne né quando movimenti rivoluzionari scossero l’equilibrio politico in Brasile, Cuba e Panama, né quando altri paesi sudamericani si rifiutarono di pagare i debiti contratti con gli USA. La vera rottura con il passato fu compiuta da Franklin Delano Roosevelt dal 1933. promise di adottare una politica di buon vicinato e continuò la scelta di disimpegno militare compiuta da Coolidge e Hoover. Nel 1934 su iniziativa di Washington fu abolito l’emendamento Platt alla costituzione cubana che, inserito nel 1901 poneva il diritto di intervento armato degli USA su Cuba così da conseguire un vero e proprio protettorato sugli affari dell’isola. Quando nel 1938 il presidente messicano Càrdenas nazionalizzò tutti i campi petroliferi del paese il presidente non adottò nessun tipo di rappresaglia. La stessa cosa successe l’anno dopo quando una mossa analoga fu compiuta dal Venezuela. La politica di buon vicinato voleva favorire la nascita di un blocco continentale esteso dall’Alaska alla Terra del Fuoco, isolato dalle minacce economiche e militari provenienti dall’esterno. L’aggravarsi della crisi politica tra le potenze europee durante gli anni 30 convinse Roosevelt alla necessità di isolare l’emisfero occidentale dalle tensioni europee e consolidare così il predominio economico e politico statunitense. L’obiettivo non fu pienamente raggiunto perché negli anni 30 la Germania e l’Italia riuscirono a farsi strada nel sistema economico latinoamericano. Poi si unì il Giappone i cui interessi nel Pacifico rischiarono di entrare in collisione con quelli di Washington. Sfruttando la politica di buon vicinato Roosevelt decise di rafforzare la politica interamericana e gettò le basi della cooperazione economica e politica dell’emisfero in tempo di guerra. Dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor gli USA convocarono una sessione speciale della conferenza dei ministri degli esteri dell’emisfero per discutere la reciproca collaborazione contro le forze dell’asse. Voleva costruire un fronte compatto di nazioni pronte a entrare in guerra al suo fianco e a rompere le relazioni diplomatiche con i nemici degli USA. Solo l’Argentina si dichiarò contraria e in pochi giorni gli altri paesi richiamarono i propri ambasciatori da Roma, Berlino e Tokio. L’aiuto ricevuto fu ricambiato da Washington con l’applicazione anche all’America Latina della Legge Affitti e Prestiti di cui usufruirono in
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particolare Brasile e Messico. Le nazioni sudamericane furono invitate sia ai lavori di Bretton Woods da cui originò il sistema economico internazionale del dopoguerra (FMI) sia alla fondazione della Fao. Non vennero invece invitate alle sessioni istitutive dell’ONU. Gli USA fecero l’accordo chiamato con il nome atto di Chapultepec con gli stati sudamericani che previde un impegno difensivo comune per la restante durata del conflitto. Erano le basi di una politica da costruire, ma il peggioramento dei rapporti tra USA e URSS non permise di consolidare i risultati raggiunti.
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6. La guerra fredda e l’amministrazione Truman Nel 1947 alla conferenza panamericana di Rio il compromesso di Chapultepec fu abbandonato e tra i partecipanti si decise di rafforzare la cooperazione interamericana in funzione dello scontro con il blocco socialista. In quell’occasione fu stipulato un accordo: Interamerican Treaty of reciprocal assisency, un patto militare regionale che prevedeva l’attuazione di misure coercitive congiunte contro qualsiasi aggressione e conteneva il principio secondo cui un attacco contro uno stato americano sarebbe stato inteso come un attacco contro tutti i paesi membri. Nel 1948 nacque l’OAS, organizzazione degli stati americani La minaccia sovietica rispetto all’Europa portava gli USA a privilegiare lo scacchiere europeo rispetto a quello americano. La politica di aiuti economici e militari alla Grecia e alla Turchia sintetizzata nella Dottrina Truman non fu mai applicata all’America latina. Gli USA non potevano accollarsi un altro pesante fardello di aiuti nella falsariga del Piano Marshall anche per l’America Latina. Per questo Washington fece credere agli alleati meridionali che la rinascita economica del vecchio continente avrebbe avvantaggiato anche le economie sudamericane. Gli Usa volevano tutelare i proprio interessi economici senza preoccuparsi di instaurare con gli stati del sud relazioni fondate sul piano di equità.
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7. L’amministrazione Eisenhower, la lotta al comunismo e il problema di Cuba Nel 1950 Kennan, il funzionario del Dipartimento di Stato si recò in America Latina. Nel resoconto del viaggio osservava che nella regione le attività dei comunisti rappresentavano una minaccia seria per gli interessi americani. Disse che i rossi tentavano di introdurre un sistema politico ostile a quello americano. Invitava Washington ad una minore indulgenza verso la loro attività e minori scrupoli. In America Latina le parole di Kennan furono utilizzate per giustificare ogni intervento statunitense. Appena eletto Eisenhower decise di inviare in America latina suo Fratello Milton. Questi si espresse in modo simile a Kennan ma aggiunse il consiglio secondo cui il presidente avrebbe dovuto avviare una maggior collaborazione economica con la regione per ridurre il divario di ricchezza fra le realtà locali e colmare un gap che avrebbe potuto favorire l’ideologia comunista. La risposta del presidente oscillò tra due estremi: l’invio di finanziamenti e aiuti militari a governi anche di tipo dittatoriale purchè anticomunisti, e l’intervento diretto come nel caso del Guatemala di Arbenz abbattuto grazie a una covert operation organizzata dalla Cia. I punti di tale politica furono messi nero su bianco in un documento del National security Council del 1954. si apre con l’affermazione che gli USA si dovevano impegnare a rafforzare la sicurezza dell’emisfero occidentale con un sostegno alle nazioni latinoamericane per tenerle lontane da tutti quei fattori che avrebbero favorito al penetrazione comunista. Le modalità da seguire erano 2: lo sviluppo e l’incremento della stabilità economica e l’approfondimento delle relazioni militari. Nel documento si ribadivano anche le preoccupazioni di garantire alle imprese americane il pieno e incondizionato accesso alle materie prime locali. Poi si sottolineava l’importanza per Washington di stroncare sul nascere ogni svolta locale verso regimi nazionalisti considerati il primo passo per la penetrazione comunista. Il personaggio politico sudamericano che più incarnava tutti questi elementi era il neopresidente guatemalteco Jacopo Arbenz. Una soluzione simile a quella Guatemalteca fu escogitata anche per Cuba. Nel 1959 aveva preso potere un leader progressista ma non comunista Castro che era riuscito a spodestare il dittatore sostenuto dagli USA Batista. Eisenhower aveva sostenuto per anni la lotta del governo di Batista nei confronti dei guerriglieri castristi con aiuti militari. Quando Castro conquistò l’Avana l’evento non fu accolto negativamente dall’opinione pubblica statunitense. L’atteggiamento americano mutò quando l’amministrazione Eisenhower seppe che tra i sostenitori di Castro c’era stata una infiltrazione comunista. L’eventualità che Cuba cadesse nelle mani dell’URSS convinse Washington a fare pressioni sul leader cubano perché tenesse lontano dal governo i rossi. Questi rispose nazionalizzando beni appartenenti a imprese statunitensi. Nel 1960 Castro firmò con la Russia un accordo per l’acquisto di partite di zucchero e Cruscev salutò Castro come una nuova forza dell’America latina dichiarando morta la Dottrina Monroe. Gli USA risposero ponendo l’embargo totale sulle importazioni di zucchero da Cuba e organizzarono preparativi per la spedizione di esuli cubani contrari a Castro che sarebbe dovuta sbarcare sull’isola sostenuta dalla Cia.
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8. Kennedy, l’alleanza per il progresso, Cuba e Che Guevara Nel 1961 1500 uomini sbarcarono a Cuba presso la Baia dei Porci con l’obbiettivo di spodestare Castro confidando nel sostegno popolare. La popolazione cubana non intervenne e le forze dell’esercito regolare ebbero la meglio. Terminato il doppio mandato di Eisenhower, a fare il via libera all’operazione preparata dall’amministrazione repubblicana fu il democratico John Fitzgerald Kennedy. Il fallimento dello sbarco fu un duro colpo per le attese di rinnovamento che l’elezione del presidente aveva suscitato. Dopo il tentativo di scalzare Castro, in America latina l’opinione pubblica si convinse che Kennedy fosse un nuovo Theodore Roosevelt pronto a inviare Marines per tutelare gli interessi statunitensi. L’azione contro Castro rischiò di eclissare l’Alleanza per il Progresso, iniziativa varata nel 1961 con cui la nuova amministrazione voleva rilanciare la politica di buon vicinato verso l’America Latina. Era un programma di aiuti economici ai paesi sudamericani che mirava a promuovere lo sviluppo economico e democratico regionale impedendo la diffusione del comunismo. Kennedy convocò i due assistenti Schlesinger e Mcgover e gli chiese di recarsi in America Latina per studiare come organizzare il piano di aiuti. I due si recarono in Argentina, Brasile, Perù, Bolivia e Venezuela e ovunque trovarono giovani partiti democristiani decisi a rompere con le torbide tradizioni del passato. Ma trovarono anche il mito Castro. Per i poveri e i diseredati Fidel era il messia. L’America Latina era alle soglie di una rivoluzione. Venivano mandati via i dittatori e l’intero continente era alla vigilia di un grande sviluppo economico e si stavano creando le basi per una nuova società fondata sulla libera iniziativa o sul socialismo. Il problema di Cuba e il tentativo sovietico di prendere piede nell’emisfero occidentale non doveva distrarre l’amministrazione dall’obiettivo di costruire un continente libero, stabile e ricco attraverso lo sviluppo economico e il progresso sociale. Nel 1961 Kennedy lanciò ufficialmente il progetto dell’Alleanza per il Progresso. L’iniziativa prevedeva un impegno degli USA a fornire aiuti allo sviluppo per 20 miliardi in 10 anni. Furono costruite scuole, ospedali, varati programmi educativi e culturali, riforme fiscali e agricole. Kennedy però favoriva l’insediamento di leader eletti democraticamente ma non arretrava davanti alla possibilità di stabilire rapporti con esponenti delle vecchie oligarchie ed elite locali. Dopo la morte di Kennedy e con l’amministrazione Johnson quasi completamente assorbita dalla guerra in Vietnam, l’impulso iniziale all’Alleanza venne meno e gli aiuti promessi furono ridotti fino a far fallire l’iniziativa. L’amministrazione Kennedy decise di rinforzare gli eserciti delle repubbliche locali per metterle in condizioni di affrontare con successo le infiltrazioni di elementi comunisti. Nel 1962 il contenzioso con Cuba raggiunse la massima tensione con la crisi dei missili quando a causa dell’installazione di vettori nucleari sovietici nell’isola il mondo sfiorò una guerra mondiale. Cruscev intendeva lo spiegamento missilistico come un tentativo di diffondere la rivoluzione comunista in America Latina. Il compromesso raggiunto da Kennedy con Cruscev, lo smantellamento dei missili in cambio del ritiro delle testate nucleari in Turchia permise di instaurare un clima di maggiore collaborazione tra le due potenze e di tale spirito beneficiarono anche le relazioni tra Cuba e USA. Nell’ultimo anno di presidenza Kennedy approcciò un riavvicinamento con Castro. Gli USA volevano riavvicinarsi a Castro per migliorare le relazioni con Cuba nell’interesse della stabilità degli equilibri latinoamericani. Le condizioni richieste erano l’abbandono di ogni contatto con le influenze comuniste provenienti dall’URSS e la fine dei tentativi di sovversione diretti al resto dell’emisfero
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occidentale. I tentativi di dialogo continuarono anche con Lyndon Johnson. Ma la totale mancanza di volontà di Johnson fece naufragare ogni possibilità. Non solo bloccò ogni ulteriore iniziativa cubana ma arrivò anche a bloccare ulteriori tentativi indipendenti da parte di altri leader statunitensi come Bob Kennedy.
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9. Lyndon Johnson e il ritorno alla politica di intervento Johnson più che sul sostegno alla democrazia e alle riforme sociali come mezzo per contrastare il pericolo rosso preferì puntare sulla stabilità politica e la crescita economica della regione anche se ciò implicava l’appoggio a dittature. Il suo approccio ai problemi della regione fu simile a quello di Eisenhower e alla diplomazia del dollaro di Taft. Johnson non aveva interesse per l’America Latina e considerava il subcontinente un insieme di popoli miserabili che entravano illegalmente negli Usa e da bloccare a tutti i costi. Nel 1964 Thomas Mann, sottosegretario di stato per gli affari esteri annunciò la nuova linea di amministrazione poi conosciuta come Dottrina Mann e basata su 4 punti: 1. promozione della crescita economica regionale 2. protezione degli investimenti privati statunitensi 3. indifferenza per il tipo di regime al potere 4. opposizione al comunismo Mann non pose limite alla cooperazione con i regimi militari anzi poiché al centro dell’agenda c’era la lotta al comunismo li preferiva ai regimi democratici. La prima applicazione della dottrina Mann fu il Brasile dove nel 1964 i militari deposero il governo di centro sinistra di Goulart. L’amministrazione inviò aiuti economici e militari al generale Castelo Branco, primo dei 5 dittatori che guidarono il Brasile sino al 1985 garantendo fedeltà agli USA e alla lotta alla diffusione del comunismo. Nel 1965 l’amministrazione Johnson inviò 23.000 soldati nella Repubblica Dominicana per contrastare un moto popolare contro un governo fantoccio di Washington.
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10. Richard Nixon e la destabilizzazione dei governi ostili Dalla metà degli anni 60 l’attenzione statunitense fu assorbita dalla guerra del Vietnam e l’America Latina passò in secondo piano. Nixon eletto nel 68 fu incapace di distogliere l’attenzione dalle vicende che impegnavano gli Usa nel sudest asiatico e accantonò il programma di aiuti creato con l’Alleanza e il Progresso. Per sostenere le deboli economie latinoamericane preferì ricorrere non più a prestiti bilaterali ma a finanziamenti delle grandi istituzioni internazionali in modo analogo a quanto sarebbe accaduto con Clinton. Non solo ribadì la preoccupazione sulla diffusione del comunismo ma assunse una condotta più intransigente e intraprendente verso i governi riformisti e marxisti come il Cile di Allende. La strategia fu la destabilizzazione dei governi ostili. Anziché ricorrere ad interventi militari diretti, il duo Nixon-Kissinger, suo segretario di stato, optò per iniziative che avrebbero minato alla base la capacità di governo dei regimi marxisti, debilitandone l’economia, sostenendo le opposizioni, i cospiratori di destra e le fazioni militari con orientamenti golpisti influenzando le opinioni pubbliche nazionali con l’uso di campagne di propaganda. La nuova politica avrebbe dovuto distinguere tra nazioni amiche e nemiche degli Usa. Uno dei criteri distintivi era l’accettazione o meno degli investimenti privati statunitensi. Nixon il 31 ottobre 1969 delineò i principi che avrebbero informato la politica della sua amministrazione verso l’America Latina: 1. la necessità che i paesi industrializzati si impegnassero a ridurre le barriere non tariffarie nei confronti dei prodotti latinoamericani 2. gli Usa si sarebbero impegnati a incrementare l’assistenza tecnica e finanziaria per garantire l’espansione commerciale della regione 3. il suo paese si sarebbe adoperato per stabilire regolari procedure di consultazioni reciproche in campo commerciale ed avrebbe agito a livello intergovernativo per liberalizzare le tariffe commerciali. La nazione simbolo della nuova strategia americana fu il Cile dove attraverso covert operations coordinate dalla Cia riuscì ad abbattere nel 1973 il governo democraticamente eletto di Salvador Allende aprendo la strada alla dittatura del generale Augusto Pinochet. Il caso Allende non era come gli altri. Non era solo una seccatura economica o un personaggio che criticava politicamente gli Usa ma una sfida geopolitica. Il Cile confinava con Perù, Argentina e Bolivia, tutti paesi appestati da movimenti estremisti. Un Cile rivoluzionario era in grado di minare la sicurezza delle altre nazioni e di appoggiare le insurrezioni estremiste. Se il Cile avesse seguito lo schema cubano, col tempo l’ideologia comunista sarebbe stata appoggiata dai sovietici anche nell’America del sud. Quindi la Casa Bianca decise di organizzare un golpe contro Allende. Doveva essere condotto dalle forze armate e avrebbe dovuto privare il governo del presidente che però incontrava ancora grande sostegno popolare. L’uomo scelto per sferrare il colpo decisivo era Pinochet, capo dell’esercito. Nel 1973 i militari attaccarono la Moneda e nei combattimenti Allende morì.
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11. Gerald Ford, Jimmy Carter e l’importanza dei diritti umani Quando Nixon presentò le dimissioni nel 1974 travolto dal Watergate gli successe il vicepresidente Gerald Ford. Il suo mandato fu troppo breve ma di lui si ricorda il tentativo di ridurre le tensioni con Cuba con l’apertura di un dialogo segreto con le autorità dell’Avana. Poi continuò a sostenere la dittatura militare in Argentina. Nel 1977 gli successe Carter, ex governatore della Georgia. Era un uomo di saldi principi e onestà e il suo atteggiamento riprendeva la tradizione di Wilson e Roosvelt . Il suo cavallo di battaglia fu la difesa dei diritti umani. Assi portanti del nuovo approccio verso l’America Latina dovevano essere l’enfasi sulle questioni morali e l’opposizione ai regimi che violavano i diritti umani. Il ripudio del principio di intervento (come Hoover9 e il rifiuto del corollario Roosevelt sulla Dottrina Monroe furono posti al centro dell’agenda politica col solo limite della minaccia agli interessi vitali della sicurezza statunitense. Criticava la politica dei predecessori verso l’America latina e il terzo mondo considerata troppo ossessionata dal timore del comunismo. La paura della sovversione sovietica passò in secondo piano rispetto alla tutela del pluralismo ideologico e dei diritti umani. Carter ridusse gli aiuti militari ad Argentina e Uruguay per la preoccupante situazione dei diritti umani di quei paesi. Al Cile fu bocciata una richiesta di prestito e furono sospesi i finanziamenti per l’acquisto di armamenti ad Haiti e Nicaragua. Le giunte militari criticarono l’operato di Washington, in particolare le restrizioni alla vendita di armi considerandolo una nuova forma di interferenza negli affari interni. Il nuovo approccio, dopo aver condotto alla restituzione del canale di Panama al legittimo governo panamense con il trattato di Torrijos-Carter, trovò ulteriore applicazione nel Nicaragua del dittatore Somoza. Quando nel 1979 il fronte di liberazione sandinista lanciò il suo ultimo attacco contro Somoza gli Usa lo abbandonarono al suo destino e negoziarono la successione con gli esponenti del Fronte. Era la prima volta che gli Usa si schieravano a favore della sinistra ma il sostegno di Carter ai sandinisti era anche un modo per evitare che in Nicaragua si insediasse un governo di ispirazione castrista. Carter tentò di migliorare le relazioni con Cuba. Riprese le trattative già aperte da Ford e le due parti aprirono a Washington e all’Avana uffici per tutelare i rispettivi interessi. Carter riconobbe sia il governo di castro sia quello comunista del Vietnam. Però di fronte all’intervento cubano e sovietico in Etiopia all’inizio del 1978 e la partecipazione di migliaia di soldati cubani a fianco alla milizie locali nel conflitto contro i Somali Carter dovette interrompere l apolitica di apertura e le trattative con Cuba.
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12. Ronald Reagan e l’impero del male Ronald Reagan divenne presidente del 1981. voleva dare nuovo slancio alla supremazia globale degli USA. Come con Wilson, la politica estera degli Usa rispondeva a un progetto educativo contrapposto a quei regimi che minacciavano l’ideale americano dell’ordine naturale. La sua strategia del confronto derivava dalla convinzione che il conflitto sottostante alla contrapposizione tra Usa e Urss fosse inevitabile e che il problema fosse nella natura del regime sovietico e sarebbe stato risolto solo con la sua distruzione. Rifiutava la coesistenza con il comunismo anche a spese della pace e della stabilità. Smise di patrocinare il rispetto per i diritti umani preferendo scagliarsi contro il terrorismo dei guerriglieri centroamericani etichettati come marxisti e riprese a fornire aiuti militari alle dittature latinoamericane. La nuova strategia si chiamava Dottrina Kirkpatrick dal nome di Jean Kirkpatrick, ambasciatrice alle Nazioni Unite di Reagan, per la quale bisognava sostenere qualsiasi regime, anche le dittature al fine di contenere il pericolo marxista. Nel 1981 il dipartimento di stato pubblicò un libro bianco dal titolo “L’interferenza comunista in Salvador”. Diceva che Cuba, l’Urss e altri stati comunisti stanno conducendo un’azione clandestina ben coordinata per rovesciare il governo di El Salvador e per imporre al suo posto un regime comunista senza appoggio popolare. La soluzione doveva essere drastica e in grado di garantire una facile vittoria. Uno dei luoghi in cui maggiore fu il condizionamento degli Usa fu il Nicaragua dove Washington finanziò la lotta dei guerriglieri Contras verso il governo liberamente eletto di Daniel Ortega, esponente del fronte Sandinista. Reagan non fu immune nemmeno al ritorno dell’intervento militare diretto come lo sbarco nell’isola di Grenada nel 1983. In quell’anno un colpo dio stato militare uccise il primo ministro Bishop. Questi di ispirazione progressista, aveva già allarmato in passato l’amministrazione, ma quando fu sostituito da una giunta militare capeggiata dal generale Austin che apparve una minaccia comunista ancora più grave di Bishop, gli Usa intervennero. Il pretesto fu proteggere centinaia di studenti statunitensi presenti nell’isola ma l’obiettivo era il governo di Austin. Reagan inviò 1900 soldati che sbarcarono sull’isola e ebbero la meglio sulle forze di Austin. Le successive elezioni del 1984 in Nicaragua portarono alla costituzione di un governo filo statunitense guidato da Paul Scoon.
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13. George H. Bush, ultimo presidente della guerra fredda Bush venne eletto nel 1989. presiedette alla conclusione della guerra fredda e al trionfo degli Usa, rimasti l’unica superpotenza globale dopo l’Urss che cadde nel 1991. Nel nuovo scenario i rapporti tra Washington e America latina iniziarono a mutare. Con il venir meno delle minacce alla sicurezza nazionale americana da parte della sovversione comunista, era difficile trovare una giustificazione alla precedente politica interventista statunitense negli affari latinoamericani. In secondo luogo, mentre gli Usa durante Reagan avevano rivolto la maggior parte delle loro attenzioni alle vicende del centro America, il resto del continente aveva voltato pagina lasciando alle spalle le esperienze autoritarie e aprendosi alla democrazia. Le ragioni erano molte ma rivestì un ruolo di rilievo la crisi economica mondiale degli anni 70 e il pesante debito estero contratto da molti paesi sudamericano che contribuì a delegittimare i regimi militari, giunti al potere spesso con la promessa di modernizzare le economie e la società. La fine dell’Urss spinse i paesi dell’Europa occidentale ed il Giappone a rivolgere la loro attenzione verso i nuovi mercati dell’est, con il rischio per il Sudamerica di perdere un buon flusso di capitali e accrescere così la propria dipendenza dagli Usa. George Bush tentò di riorganizzare le relazioni tra il suo paese e il Sudamerica tenendo conto dei cambiamenti intervenuti con la fine della guerra fredda. Nel 1990 lanciò un programma basato sull’incremento degli aiuti statunitensi e la contemporanea negoziazione di alcuni accordi di libero scambio definiti Ftaa (free trade area of the Americas) che nelle sue intenzioni avrebbero dovuto estendersi dall’Alaska a Capo Horn. La prima tappa fu la conclusione di un accordo commerciale con Canada e Messico, i due principali partner economico commerciali degli Usa. I negoziati iniziarono nel 1991 e l’anno dopo nacque la Nafta (North America Free Trade Agreement) che promuoveva la creazione di un’area di libero scambio attraverso l’eliminazione di dazi e tariffe tra i 3 paesi.
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14. Clinton e l’America Latina Con la conclusione della Guerra Fredda, gli Usa erano rimasti l’unica superpotenza sulla scena e gli eventi che avevano permesso agli Usa di raggiungere quel primato erano alle spalle per cui per Washington era il momento di tornare alla normalità. In America latina tornare alla normalità avrebbe significato ridare rilievo alle questioni economiche ed in particolare alla penetrazione degli investimenti finanziari statunitensi. Ma Clinton vi aggiunse una rinnovata enfasi verso la trasformazione democratica dei governi latinoamericani. La formula per sintetizzare la nuova politica dell’amministrazione fu “democrazie di mercato”. L’obiettivo era espandere e rafforzare la comunità mondiale delle democrazie di mercato. La strategia nuova poneva l’accento su 3 elementi: 1. rafforzare le esistenti democrazie di mercato 2. sostenere la nascita di altre 3. contrastare le aggressioni contro tali democrazie. Questa fu chiamata come la Dottrina Lake dal nome del consigliere per la sicurezza nazionale Antony Lake che la formulò. L’applicazione della dottrina Lake fu applicata secondo 2 direttrici: da una parte la ripresa di interesse dell’amministrazione verso l’accordo di libero scambio delle americhe, il Ftaa, dall’altra, l’intervento delle istituzioni finanziarie internazionali che, assecondate dagli Usa nel corso degli anni 90 sostennero e imposero alle nazioni latinoamericane una serie di riforme economiche di stampo neoliberale e a favore della diffusione del libero mercato, in seguito conosciute come Washington Consensus. Nel 1994 a Miami si aprì il primo summit delle americhe voluto da Clinton per ridare nuova vita allo spirito roosveltiano dei vertici panamericani degli anni 30. in quell’occasione Clinton accolse i leader di 34 nazioni latinoamericane e l’incontro fu visto come l’inizio di un nuovo capitolo nelle spesso travagliate relazioni tra i due estremi dell’emisfero occidentale. La guerra fredda era terminata e tutti i governi latinoamericani tranne Cuba erano frutto di libere elezioni, le riforme economiche neoliberali e l’espansione del libero commercio si stavano affermando quindi molte delle vecchie ragioni di contrasto erano venute meno e potevano essere sostituite da ideali condivisi e da nuove opportunità per azioni comuni. Sfruttando il clima favorevole Clinton rilanciò il progetto di accordo di libero commercio delle americhe ed i leader latinoamericani accolsero l’idea con entusiasmo. Fu stabilito il 2005 per l’entrata in vigore dell’accordo e i presenti si diedero appuntamento al vertice che si sarebbe tenuto nel 1998 a Santiago del Cile e che avrebbe dovuto lanciare i negoziati. In quello stesso anno iniziò a nascere un nuovo problema che negli anni successivi, in particolare sotto w Bush avrebbe acuito le tensioni tra gli Usa e le nazioni meridionali: la crescita del flusso di immigrati illegali latinos che si riversavano negli Usa attraverso la California. Qui nel 1994 fu presentato un quesito referendario che chiedeva agli elettori di pronunciarsi se negare o no l’istruzione pubblica e i servizi sociali agli immigrati illegali. La consultazione approvò la proposta con ampia maggioranza. La prima reazione negativa alla scelta californiana fu quella del Messico. Il presidente Salinas de Gortari disse che l’esito della consultazione indicava il rafforzarsi delle voci contrarie alla tolleranza e all’integrazione. La reazione del messicano era comprensibile: gli immigrati illegali erano la maggior fonte di scambio estero del suo paese e il loro impiego negli Usa rappresentava una significativa valvola di sfogo sociale.
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Quando si aprì il nuovo summit molte cose erano cambiate. Primo le difficoltà interne affrontate da Clinton con la sua politica commerciale. Nel 199 aveva ottenuto la ratifica del Congresso al trattato del Nafta ma non era riuscito a vincere le resistenze del legislativo nel concedergli l’autorità a negoziare accordi commerciali prevista dal Trade act del 1974. senza tale supporto l’amministrazione non avrebbe avuto alcuna possibilità di negoziare le condizioni del Ftaa con le controparti sudamericane. I maggiori ostacoli a tali concessioni erano stati generati dalle vicende messicane. Meno di un anno dopo l’entrata in vigore del Nafta la moneta messicana era collassata. Per sostenere l’economia del vicino Messico Washington aveva speso migliaia di dollari e il suo tradizionale surplus commerciale con il Messico si era trasformato in un deficit. A ciò si aggiungeva l’enorme flusso di immigrati e spacciatori di droga messicani. Tutti fattori che avevano convinto il Congresso alla pericolosità di aprire il sistema statunitense ad economie simili a quella messicana con accordi di libero scambio. In secondo luogo, al vertice di Santiago apparve chiaro che dopo un iniziale interesse dell’amministrazione verso l’America latina, negli anni successivi Clinton e i suoi erano stati assorbiti da altre problematiche. Clinton negli 8 anni del suo mandato dovette occuparsi di altri contesti geopolitici, dall’Iraq alla Somalia ai Balcani. Nel corso del suo primo mandato Clinton non visitò mai il Sudamerica. Un altro errore che alienò le iniziali simpatie delle nazioni meridionali verso l’amministrazione Clinton fu la firma che Clinton appose alla legge Helms-burton che inasprendo l’embargo deciso da Eisenhower a Cuba, colpiva gli intereressi delle nazioni sudamericane che mantenevano scambi commerciali con Castro. Il graduale disinteresse dell’amministrazione democratica verso il Sudamerica su uno dei fattori all’origine dell’indebolimento del processo per la stipula dell’accordo di libero commercio delle Americhe, sia della contemporanea affermazione nella regione latina di strutture di integrazione economica alternative come il Mercosur. Tale organizzazione nacque nel 1991 tra Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay per usufruire dei vantaggi dell’integrazione commerciale attraverso l’abbattimento delle barriere doganali e come primo passo verso la liberazione dell’America latina dalla dipendenza economica dagli Usa.
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15. L’elezione di George W. Bush, la campagna presidenziale e l’America Latina Nel 2000 si contendevano la presidenza Bush e Albert Gore, democratico e vicepresidente in carica. Bush prevalse con un minimo di scarto. Il nuovo presidente aveva una scarsa preparazione per l’incarico ricevuto, soprattutto riguardo alla politica estera. Bush espresse la convinzione che una buona politica estera doveva cominciare dai rapporti con i paesi confinanti. Era stato Bush padre ad avviare i colloqui per la nascita dell’accordo Nafta con Canada e Messico e a lanciare un’idea di un’area di libero scambio tra le Americhe. Inoltre, in qualità di governatore di uno stato confinante con il Messico, Bush figlio aveva un’attenzione particolare verso le nazioni latine. La similitudine con l’amministrazione paterna era accentuata dalle persone che il nuovo presidente aveva voluto che entrassero nel governo: il vicepresidente Richard Cheney, segretario alla difesa con Bush padre, così come Collin Powell, futuro nuovo segretario di stato. ma Bush considerava l’America latina in modo differente rispetto ad Al Gore che aveva preferito concentrare su altri temi la campagna elettorale. Bush evidenziò che le Americhe sarebbero state al primo posto nella sua agenda, in particolare le relazioni con il Messico.
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16. W. Bush e l’America Latina prima dell’11 settembre Nel primo viaggio al di fuori degli Stati Uniti Bush andò in Messico da Vincente Fox nel 2001 e affermò che uno degli obiettivi fondamentali sarebbe stata la ricerca della massima collaborazione con l’America Latina e l’impegno di una costruzione di una comunità di libertà tra tutte le americhe. Le stesse considerazioni furono espresse quando ospitò Ricardo Lagos, presidente del Cile. Al terzo summit delle Americhe a Quebec si impegnò a rispettare il termine del 2005 come data utile per la firma del Ftaa (free trade agreement of the Americas). Disse che non voleva abbandonare la strada tracciata dal predecessore riguardo la democratizzazione delle Americhe. Disse che avrebbe aiutato la Colombia a sconfiggere i narcotrafficanti con il programma di assistenza finanziaria. Nonostante l’impegno di Bush a ottenere progressi tangibili, alcuni consiglieri politici lo avvertirono che se avesse continuato sulla strada intrapresa avrebbe conseguito gravi perdite elettorali all’interno della propria base politica contraria a regolarizzare gli immigrati latinoamericani entrati illegalmente negli USA. Un primo passo falso fu la nomia di Don Evans come nuovo segretario al commercio. Questi promise di impegnarsi nella difesa dei produttori statunitensi di acciaio da ogni forma di concorrenza sleale. A lamentarsi di questa presa di posizione fu il Brasile che temeva he con un simile segretario al commercio, gli Usa avrebbero adottato misure protezionistiche in grado di danneggiare le esportazioni brasiliane. Altre scelte di Bush nella formazione dell’amministrazione misero in allarme i governi latino americani. In primo luogo la squadra politica estera del nuovo governo appariva o del tutto priva dio esperienza verso la regione. Uomini come Otto reich, John Negroponte, Eliot Abrams, rischiavano di mettere in crisi la volontà della casa bianca di inaugurare una politica di buone relazioni con l’America Latina. Il ritorno al potere di simili individui veterani del governo Reagan era visto dal Sudamerica come il ritorno degli Usa ai giorni bui della Guerra Fredda quando si sostenevano dittature brutali purchè anticomuniste. Sebbene Bush avesse criticato Clinton e la sua politica verso l’America Latina incapace di avviare trattative per l’accordo commerciale delle Americhe poiché privo dell’autorità negoziale congressuale a concludere accordi commerciali, anch’egli all’inizio della presidenza fu costretto a fare i conti con gli stessi problemi di Clinton. Seppure fin dai primi incontri con il congresso avesse esercitato pressioni per ottenere tale autorità (nota come trade rpomotion atorithy o TPA), quando andò a Quebec per il summit non aveva ancora tale autorità. La difficoltà di Bush ad ottenere la TPA era indice di profonde divisioni nell’amministrazione e nell’opinione pubblica sulla politica commerciale. In primo luogo c’era l’opposizione democratica che tentava di imporre alla Casa Bianca le sue priorità. Essa collegava la concessione del suo voto favorevole all’introduzione di norme sul rispetto dell’ambiente e la tutela dei lavoratori di ogni accordo di scambio negoziato dal presidente. A tali prescrizioni si opponevano sia i repubblicani che i paesi in via di sviluppo, La Cina e la Russia non avrebbero mai accettato prescrizioni ambientali riguardo all’emissione di CO2 poiché le avrebbero considerate come tentativi degli Usa e dei paesi industrializzati di bloccare o frenare la loro crescita. Dall’altra c’erano gli interessi economici delle lobby economiche interne agli Usa in grado di condizionare le scelte legislative dei rappresentanti al Congresso. Quando a fine 2001 la Camera dei rappresentanti votò con un margine ristrettissimo la concessione della TPA a Bush all’interno del provvedimento approvato si stabilì che Bush non avrebbe potuto concludere alcun accordo commerciale in ambito agricolo. Per molti paesi della regione, concludere un accordo per liberalizzare il commercio con Washington era uno strumento per accedere ai mercati e ai capitali statunitensi e ridurre le condizioni di estrema povertà in cui
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versavano i loro popoli. Il Summit canadese si concluse con l’accordo di tutti i partecipanti a completare i negoziati per concludere l’Ftaa entro il 2005 e farlo entrare in vigore nel 2006. Nei mesi seguenti l’amministrazione Bush assunse varie decisioni controverse con cui si inimicò numerose componenti dell’opinione pubblica mondiale, dalle forze ambientaliste (con il rifiuto di aderire al protocollo di Kyoto sulle emissioni di gas e con l’idea di iniziare trivellazioni petrolifere nei paesaggi incontaminati dell’Alaska) ai sostenitori dei diritti civili (quando non volle ratificare l’istituzione del tribunale penale internazionale per i crimini di guerra). Comunque Bush continuò a portare aventi la sua politica latinoamericana privilegiando i rapporti con il Messico e assumendo atteggiamenti peculiari con Cuba e Venezuela. Bush non aveva modificato l’atteggiamento di ostilità verso Cuba e per la sua amministrazione aveva scelto molti cubani-americani favorevoli al mantenimento dell’embargo. Durante la campagna presidenziale dichiarò che avrebbe appoggiato la continuazione dell’embargo e nelle prime settimane di governo chiese al Congresso di inasprirlo con ulteriori restrizioni ai viaggi da e per Cuba, più supporto ai gruppi di opposizione a Castro. Quando però nel 2001 Cuba fu colpita dall’uragano Michelle firmò un ordine per permettere la vendita di cibo a Cuba contravvenendo alle norme stabilite da Clinton che vietavano di vendere alcunché a Castro. La decisione di Bush era una soluzione di compromesso: avrebbe placato le richieste delle lobby agricole di esportare i loro prodotti a Cuba ma non avrebbe apportato modifiche all’embargo. Il presidente venezuelano Chavez aveva assunto atteggiamenti poco amichevoli con gli Usa. Non aveva permesso agli aerei statunitensi impiegati alla lotta al narcotraffico di sorvolare lo spazio aereo. Aveva incontrato Saddam Hussein in Iraq in dispregio delle sanzioni imposte dall’Onu al paese. All’interno dell’Opec era il principale fautore della linea dura verso ogni richiesta degli Usa di ridurre le tensioni sui prezzi del petrolio con un incremento della produzione. Aveva iniziato a sostenere i bisogni energetici del regime di Castro con il greggio venezuelano. L’amministrazione Bush non volle rispondere subito alle provocazioni dato che il Venezuela era il quarto fornitore di petrolio degli Usa.
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17. La risposta dell’amministrazione Bush agli attacchi dell’11 settembre In 189 anni di esistenza gli Usa non avevano mai subito attacchi sul loro territorio. Colpiti al cuore, gli Usa si sentirono insicuri e privi di difese e tentarono di reagire impostando una nuova politica estera. Da allora la percezione delle relazioni con i vicini meridionali cambiò. Pochi giorni dopo l’attacco i ministri degli esteri dei paesi latinoamericani definirono l’attacco dell’11 settembre un colpo sferrato contro tutti gli stati americani. Dichiararono che ogni nazione che aveva sottoscritto l’accordo di Rio nel 1947 si sarebbe impegnata a garantire assistenza agli Usa e avrebbe usato ogni misura per catturare estradare e punire chiunque avesse preso parte agli attacchi. Il trattato del 47 tornava ad essere il fondamento della difesa collettiva. La solidarietà interamericana fu rafforzata dalla firma nel 2002 della Convenzione Interamericana contro il Terrorismo. Gli attacchi contribuirono a rafforzare i poteri della presidenza sia in politica estera sia in ambito interno. Durante i periodi di pace quando la nazione non ha a che fare con un nemico evidente ogni occupante dell’Ufficio Ovale fa fatica ad adottare politiche aggressive o innovative. I problemi interni tendono a prendere il sopravvento su quelli esterni. La capacità del presidente di convincere le componenti sociali a sacrificare i loro interessi in nome di un obiettivo più importante e in grado di coinvolgere l’intera nazione è limitato. Una volta che gli Usa furono attaccati Bush riuscì a ribaltare tale status. Il Congresso divenne più cooperativo, l’esecutivo guadagnò più influenza sul potere legislativo e la politica estera balzò al primo posto dell’agenda dell’amministrazione. All’inizio la risposta americana agli attacchi si concentrò su Al Qaeda e il governo dei talebani in Afghanistan rei di aver dato ospitalità a Bin Laden. Con un nemico come il terrorismo islamico, non associato a un particolare stato o territorio, minacciare una risposta massiccia, magari nucleare contro un soggetto evanescente e disperso sull’intero globo non avrebbe avuto senso. Bush usò il termine “asse del male” per indicare nazioni come Iran, Iraq, Corea del Nord considerate come possibili minacce di attacchi contro gli Usa tramite armi di distruzione di massa e contigue con il terrorismo fondamentalista. Dopo gli attacchi a sorpresa giapponesi contro le forze armate statunitensi del 41 Washington aveva sempre deprecato l’eventualità di attaccare senza preavviso un’altra nazione. Gli Usa infatti pur disponendo di un potere immenso non avevano nessun diritto di imporre la loro visione del mondo ma avrebbero agito per sostenere tutti quei paesi che avrebbero compiuto le scelte giuste per i loro popoli. Le dichiarazioni di Bush furono codificate nel documento NSS2002 (National security council 2002). Dopo l’11 settembre, i temi della sicurezza e della lotta al terrorismo balzarono al primo posto nelle priorità di Washington. Per combattere il terrorismo Washington preferì instaurare rapporti diversi con le esistenti democrazie latinoamericane. Prima degli attacchi, l’amministrazione Bush avrebbe voluto concludere un accordo sull’immigrazione con il Messico per permettere il libero afflusso di lavoratori messicani negli Usa e regolarizzare milioni di lavoratori latinos già residenti. Ma la nuova minaccia terroristica costrinse Washington a rafforzare i controlli alle frontiere per prevenire futuri attacchi. Qualche progresso ci fu ma non nella misura che Fox si attendeva. Bush esentò sia il Messico sia il Canada in quanto cofirmatari dell’accordo Nafta dalle nuove tariffe sull’acciaio che si preparava ad imporre. Poi
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firmò con Fox un accordo per migliorare le misure di sicurezza nelle oltre 2.000 miglia di confine comune e si accordò per alcune misure volte a facilitare lo scambio commerciale. Se le relazioni con il Messico furono oggetto di tensioni dovute all’attacco alle torri gemelle e la nuova ossessione statunitense per la sicurezza dei confini, quelle con la Colombia beneficiarono della nuova attenzione statunitense a simili tematiche. Prima dell’11 settembre l’unico modo per il presidente di ottenere dal Congresso aiuti militari per permettere alla Colombia di combattere le guerriglie marxiste della Farc e dell’Eln era affermare che sarebbero serviti per la guerra alla droga e al narcotraffico. Senza una minaccia globale alla sicurezza, tali informazioni sarebbero state considerate solo un problema interno alla Colombia. Gli eventi dell’11 settembre permisero a Bush di includere le Farc e l’Eln nella guerra al terrorismo. L’elezione di Uribe alla presidenza della repubblica nel 2002 facilitò tale inclusione delle formazioni paramilitari marxiste. Uribe aveva perso ogni speranza del processo di pace avviato con le guerriglie del predecessore Pastrana. Decise di migliorare la capacità di reazione dell’esercito e della polizia per affrontare con più efficacia le forza antigovernative. Uribe annunciò che le forze armate avrebbero agito per prevenire gli attacchi dei terroristi marxisti ottenendo da Washington incrementi di aiuti militari. Insieme allo sviluppo dei temi di sicurezza, la NSS2002 ridiede nuova enfasi anche al miglioramento delle relazioni economiche e commerciali tra Usa e nazioni latinoamericane. Il commercio era più di una questione di efficienza economica, era uno strumento per sostenere i valori della società occidentale. Il punto di partenza per assicurare il successo del progetto era il Cile. Il paese andino era il primo che aveva iniziato a stipulare accordi bilaterali per abbattere le tariffe e liberalizzare i commerci e il tipo di trattato che gli Usa avrebbero dovuto concludere nel 2002 doveva diventare il modello da seguire per il più generale accordo di libero commercio delle americhe o Ftaa. Ma per far ciò Bush doveva ottenere la Tpa. Nel 2002 Bush ottenne tale autorità e potè concludere i negoziati con il Cile insieme ad accordi simili con Giordania e Singapore.
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18. Il secondo anno del primo mandato di Bush e l’evoluzione del rapporto con l’America latina Dopp l’11 settembre la luna di miele con l’America latina sembrava terminata. Si aggiunsero altre motivazioni come la guerra in Afghanistan e i contrasti con l’Iraq di Saddam Hussein che resero evidente che l’attenzione degli Usa erano rivolti verso altre zone del mondo. Poi l’atteggiamento di indifferenza di Washington verso la crisi finanziaria argentina colpì negativamente l’opinione pubblica latinoamericana. Per l’amministrazione Bush l’Argentina non doveva essere aiutata e doveva essere isolata dal resto del continente per evitarne il contagio. Gli esperti dell’Heritage Foundation dicevano che la colpa era stata della corruzione della cosa pubblica argentina, dell’atteggiamento protezionistico che non aveva permesso innovazioni. Favorire un prestito finanziario avrebbe solo prolungato la crisi argentina e non l’avrebbe risolta e avrebbe incoraggiato i governi a non varare le necessarie riforme del sistema economico. Dicevano che l’unico mezzo per evitare il ripetersi di eventi simili era sostenere la politica statunitense per accordi di libero commercio. Nello stesso periodo Bush non riuscì a far passare al senato una legge che, per offrire una alternativa alla coltivazione di coca nei paesi andini stabiliva una riduzione delle tariffe per i prodotti agricoli provenienti da queste nazioni. A città del Messico Bush non riuscì a compiere nessun passo avanti nemmeno nel problema dell’immigrazione. Andrò ancora peggio in Perù e a El Salvador. Discusse di commercio con Alejandro Toledo e Francisco Flores senza aver ottenuto al Congresso il rinnovo dell’Atpa. La legge i cui effetti erano scaduti nel 2001 prevedeva condizioni tariffarie speciali per l’interscambio con i paesi andini e la mancanza di una proroga congressuale contribuiva a indebolire la posizione negoziale del presidente. Le lobby favorevoli a una politica commerciale protezionista avevano ridotto ai margini la manovra della politica estera statunitense. Bush richiedette al Congresso il rinnovo dell’Andean Trade preferences act (atpa) che gli verrà concesso solo nel 2007. Un mese dopo, il governo di Chavez fu oggetto di un colpo di stato che lo privò del potere per qualche ora ma una rivolta popolare permise al presidente di tornare. Dopo la deposizione di Chavez il nuovo governo provvisorio presieduto da Carmona era stato immediatamente riconosciuto da Bush e questo aveva destato sospetti sui sostegni statunitensi ai golpisti. Agli errori della casa bianca si aggiunsero altri fattori. Primo l’elezione di Lula da Silva alla presidenza brasiliana nel 2002, un uomo di sinistra che venne considerato un altro componente dell’asse del male al pari di Castro e Chavez. In secondo luogo ci fu una crescente disaffezione tra Messico e Usa. Fox non aveva ottenuto né un accordo sull’immigrazione né l’introduzione nel Nafta. Questo aveva condotto a una reazione stizzita di Città del Messico. Nel 2001 agenti statunitensi furono attivi in Nicaragua per evitare l’elezione del candidato sandinista Ortega. Rappresentant della casa bianca sostennero che Ortega aveva relazioni con i terroristi. Nel 2002 gli Usa si impegnarono a evitare che Morales, leader del Mas, fosse eletto in Bolivia. Morales dovette attendere altri 4 anni per diventare residente.
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19. La guerra in Iraq e la risposta delle nazioni dell'America meridionali Tra 2002 e 2003 gli Usa avviarono una campagna internazionale contro l’Iraq di Saddam Hussein per costringerlo a rinunciare alla produzione di presunte armi di distruzione di massa in grado di colpire anche il suolo americano. La guerra che ne seguì era stata pianificata da tempo. Le popolazioni della regione erano quasi tutte contrarie alla guerra, in particolare Cile e Messico rifiutarono di appoggiare gli Usa.
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20. Gli Stati Uniti, il Washington Consensus e l’America Latina Il peggiorare delle condizioni economiche di alcuni stati del sud aggiunse un ulteriore elemento di frattura. Negli anni 60-70 i paesi latinoamericani avevano goduto di una crescita economica sostenuta anche grazie ai prestiti internazionali di cui poterono disporre. Anche molti paesi asiatici decollarono e la crescita raggiunse tassi di sviluppo superiori e i paesi latinoamericani risposero con misure protezionistiche. La chiusura dei mercati insieme all’elevato prezzo delle materie prime insieme alla crisi petrolifera accrebbe il debito degli stati sudamericani che precipitarono in difficoltà finanziarie. Il deteriorarsi della situazione economica segnò la fine delle dittature militari e la graduale apertura alla democrazia. I nuovi regimi democratici si affidarono alle cure di istituzioni economiche internazionali come l’FMI e la BM. Uno degli strumenti più utilizzati per ridurre le esposizioni debitorie dei paesi in via di sviluppo e delle nazioni latinoamericane fu il Piano Brady che prese il nome del segretario del Tesoro dell’amministrazione di Bush senior. Fu applicato dall’89 e previde la concessione di prestiti per ridurre il debito estero degli statu sudamericani in cambio di riforme economiche neoliberiste. I risultati iniziali furono promettenti: l’iperinflazione fu debellata, la crescita economica riprese e il livello di povertà delle popolazioni diminuì. Le riforme conosciute come Washington Consensus divennero popolari e fecero la fortuna di quei politici che le adottarono. Tra il 97 e il 98 il diffondersi nella regione di contraccolpi economici delle crisi finanziarie scoppiate nei paesi asiatici trasformarono l’ottimismo in sfiducia. La stretta fiscale portò a una serie di recessioni. Fu il fallimento del Washingto Consensus a dare una decisiva spinta a sinistra del continente latinoamericano.
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21. La peculiarità politica del Veneuzuela La prima volta che l’opinione pubblica mondiale si interessò a Chavez fu in occasione del colpo di stato del 2002 che lo privò del potere per poco più di 48 ore, sostituito da esponenti dell’opposizione tra cui Carmona. I contrasti interni di uno dei più importanti fornitori di petrolio statunitense cominciarono ad essere esaminati. L’azione di chiara ispirazione conservatrice fu paragonata al golpe organizzato contro il leader cileno Allende. Chavez, sin dalla sua elezione nel 98 ha avviato il suo paese verso una rivoluzione politica e culturale. Un paese con riserve petrolifere e una ricchezza concentrata nelle mani della classe media in cui l’american way of life ha avuto la maggiore diffusione del Sudamerica, il Venezuela è sempre stato un candidato improbabile per una rivoluzione. Negli ultimi 3 decenni il Venezuela sembrava non interessare a nessuno. Improvvisamente nel decennio successivo alla guerra fredda tornò a giocare un ruolo importante. Fu il primo paese dell’America latina a liberarsi dalla corruzione dei leader politici e fu anche il primo a reagire contro le politiche neoliberali imposte e contro il Washington Consensus, strategie volte a realizzare un’azione politica economica di rilievo continentale che puntavano a consolidare esperienze di governo regionale dalle seguenti caratteristiche: 1. esecutivi di cui fossero parte formazioni politiche già sperimentate storicamente ma rinnovate nei programmi e nella gestione dell’apparato 2. governi di coalizione in cui accanto a formazioni conservatrici trovassero spazio partiti o personalità di sinistra in grado di aspirare ad un ruolo sia pure marginale ed assorbito nella logica neoliberista simboleggiata dal Ftaa di Bush padre.
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22. Il Caracazo del 1989 La vicenda politica dell’odierno Venezuela ha inizio con il Caracazo dell’89, esplosione di rabbia delle classi meno abbienti di Caracas verso il programma economico neoliberale imposto dal presidente Perez. Durante il governo del suo predecessore Lusinchi la crisi economica raggiunse l’apice. Dopo 20 anni di spese deficitarie crescenti e corruzione le riserve valutarie nazionali si erano prosciugate e quando Lusinchi lasciò la sede del governo il suo ultimo atto fu sospendere i pagamenti dei debiti esteri. Quando Perez divenne capo dell’esecutivo era nella sua seconda esperienza governativa. La popolazione si ricordava di lui quando nel suo primo incarico negli anni 70 si era trovato a capo del “Venezuela Saudita”, un sogno di arricchimento della nazione grazie ai proventi dell’esportazione del petrolio. In quel periodo fu decisa la nazionalizzazione delle compagnie di astrazione e il denaro ricavato fu investito a favore dello sviluppo industriale. Ma qualche tempo dopo le cose iniziarono ad andare male. Il settore astrattivo pubblico divenne meno efficiente e non competitivo, i grandi progetti furono abbandonati e il paese iniziò ad accumulare debiti esteri fino alla gestione Lusinchi. La popolazione volle dargli nuova fiducia. Dopo alcune settimane sostenne che per risanare l’economia bisognava adottare riforme economiche neoliberali. Proprio quelle ricette prescritte dall’FMI contro cui si era scagliato nel suo precedente mandato. Le imprese statali dovevano essere privatizzate, il governo non sarebbe dovuto intervenire per assicurare la crescita del Pil affidandosi solo sull’espansione del settore privato. Eliminazione delle restrizioni al commercio, riduzione delle tariffe di scambio, liberalizzazione dei prezzi, ampie decentralizzazioni e privatizzazioni, riforme fiscali e una applicazione dei principi di quello che sarebbe stato definito il Washington Consensus. Tra le misure previste c’era anche l’aumento del prezzo del petrolio e fu questa decisione che scatenò le proteste popolari. Conseguenza immediata della crescita del prezzo del petrolio fu l’incremento del biglietto dell’autobus. Fu un disagio che diede origine a una rivolta popolare scoppiata nel 89 conosciuta come Caracazo. Per 2 giorni la capitale fu scossa da ogni tipo di violenza e un centinaio di persone rimasero uccise. 10 anni dopo, la crisi delle politiche neoliberali esplose in tutta l’America latina. In Brasile nel 2003 fu eletto Lula da Silva, candidato del partito dei lavoratori e in lotta contro la globalizzazione. In Bolivia il presidente in carica dovette fuggire e mettersi al sicuro e nel 2005 fu eletto Evo Morales che nazionalizzò le risorse energetiche per sottrarle al controllo delle società straniere. L’Argentina fu sconvolta da continue rivolte popolari dovute alla crisi economica e dalle proteste sociali in cui il paese è precipitato per il fallimento delle politiche neoliberali. È emerso Kirchner eletto nel 2003 per concretizzare il cambiamento. In Colombia ancora oggi c’è una gueriglia civile iniziata negli anni 50 e condotta da guerriglieri marxisti delle farc e dell’Eln
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23. Hugo Chavez Può definirsi un nazionalista progressista molto vicino alla visione politica di Castro. Originario di una provincia periferica visse una gioventù caratterizzata dall’esclusione e dall’isolamento così da maturare un desiderio di rivalsa verso le oligarchie di potere. Si avvicinò alla grande città abbracciando la carriera militare ritenendola il mezzo più adatto per salire di posizioni nella scala sociale. Sin da giovane maturò un forte nazionalismo inteso come desiderio di liberare la propria nazione dal giogo degli Stati Uniti. Figure politiche del passato essenziali per la formazione di Chavez furono Alvarado (presidente del regime militare del Perù, antioligarchico, progressista, antimperialista e nazionalista), Bolìvar e Zamora. Nel 1982 diede vita a un movimento clandestino per tentare di metter in piedi una cospirazione politica: il Movimiento Bolivariano Revolucionario (MBR-200) il numero 200 ricorda il 200esimo compleanno di Bolìvar nato nel 1783. Cominciò a rendere contatti con vari gruppi politici radicali tra cui la Causa R, un’organizzazione di sinistra nella zona di Caraces. Nel 1992, 5 formazioni di soldati comandate da Chavez iniziarono a muoversi nella capitale. Il loro obiettivo era deporre il presidente Perez e arrestare gli alti comandanti delle forze armate. Il capo de governo non si trovava nel paese ma se ne attendeva il ritorno all’aeroporto. L’obiettivo era trattenerlo presso lo scalo con forze fidate ma quando il commando si recò all’aeroporto non potè entrare perché presidiato dal giorno prima. Qualcuno aveva avvertito il presidente del golpe. Le forze armate di Chavez furono oggetto di un pesante fuoco di sbarramento. Nel frattempo il presidente atterrò e venne portato alla sede della tv nazionale dicendo che aveva dovuto affrontare una ribellione militare che pareva domata. Chavez si arrese alle forze governative e chiese di apparire in tv per indurre i suoi a deporre le armi Dopo il tentato colpo di stato Chavez rimase in prigione 25 mesi dal 1992 al 1994. mentre Chavez scontava la pena nel 1992 ci fu un altro tentativo di golpe da parte di alcuni delle Mbr-200 ma anche questo fallì. I due tentativi di golpe indebolirono politicamente Perez che si dimise nel 1993 accusato di corruzione. Fu sostituito da Ramon Velasquez. Nel 1993 ci furono nuove elezioni e Chavez chiese ai suoi di astenersi. Il Caracazo dell’89 e i due colpi del 1992 erano segni del prossimo collasso dell’assetto politico del paese. Uscì vittorioso Rafael Caldera ma la vera novità fu l’affermazione del movimento La Cusa R. la formazione era divenuta la terza forza politica del paese. Il suo Fondatore Maneiro era stato un guerrigliero del Partito Comunista Venezuelano. Nell’89 un membro del movimento, Velasquez fu eletto governatore dello stato di Bolìvar e alle elezioni presidenziali in cui prevalse Caldera, Velasquez ottenne il 22%. Nel 1997 la Causa R subì una spaccatura e si divise in 2: da una parte un gruppo che continuò a chiamarsi con il vecchio nome di cui continuò a far parte Velasquez e dall’altra uno con più membri che prese il nome di Patria Para Todos (PPT). Quando Chavez uscì di prigione trasformò il suo movimento Mbr-200 in una struttura politica salda che vedeva la stretta collaborazione di militari e civili. Per affrontare la campagna creò un organismo ad hoc e diede vita al Movimiento Quinta Republica (Mvr). Nel 1998 Chavez divenne presidente ottenendo il 56% dei voti.
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24. La gestione del potere, la nuova costituzione e le misure economiche adottate da Chavez Formò una assemblea costituente e diede al paese una nuova carta costituzionale. Lo scopo principale della costituzione era porre al primo posto i diritti della gente rispetto ai privilegi delle elite che avevano dominato la vita politica e sociale del paese dal 1958. Nel 2000 si tennero nuove elezioni per la nomina del capo del governo e fu riconfermato. Annunciò un programma economico insieme a misure volte a ridurre il tasso di disoccupazione, garantire sostegno statale all’agricoltura, costruire più scuole, ridurre le tasse e varare investimenti pubblici. Era ostile alla corruzione e contrario alla filosofia neoliberale. Istituì il Fundo Unico Social (Fus) volto a finanziare le politiche per la salute e il miglioramento delle condizioni di vita della maggioranza povera della popolazione. Il Fus avrebbe fornito risorse per costruire scuole ospedali e chiese ma sarebbe stato usato per sviluppare anche il Plan Bolìvar (un piano per l’integrazione dei militari nella struttura socioeconomica della nazione), una delle istituzioni più originali di Chavez.
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25. Primi segnali di opposizione contro Chavez Chavez aveva sempre avuto un atteggiamento critico verso i sindacati e i partiti tradizionali, ormai screditati dalla cattiva gestione della cosa pubblica. I suoi sostenitori provenivano da quei settori della società privi di organizzazione e separati dalla politica tradizionale. Riuscì a mobilitarli in quanto poveri e miseri e non in quanto lavoratori sindacalizzati. Una volta al potere organizzò i settori sociali che si riconoscevano nelle sue idee in strutture nuove, distanti dalle tradizionali forme partitiche: i circoli bolivariani. Avrebbero dovuto incarnare il nucleo sociale portante della democrazia partecipativa. All’inizio i circoli presero forma nei quartieri, licei, università dove venivano loro attribuiti compiti di ordine politico e ideologico. Erano cellule per la difesa della rivoluzione e per la diffusione dell’ideologia bolivariana Presto il governo iniziò a farsi molti nemici tra cui l’elite bianca del paese. Questa non gradiva le proposte dell’esecutivo dirette a una radicale riforma agraria e l’abbandono del programma di privatizzazione del settore petrolifero deciso dal precedente governo. Inoltre temeva la capacità di Chavez di mobilitare i poveri. Alla fine del 2001 questa crescente opposizione aveva formulato vari piani per un colpo di stato sul modello di Pinochet in Chile. Ci furono molte proteste condotte da forze di opposizione il cui ruolo da protagonista era svolto dall’inedita alleanza tra Fedecameras, il sindacato dei datori di lavoro e Ctv, quello dei lavoratori, legato ad Accion democratica. Il malcontento raggiunse l’apice quando il governo introdusse 49 leggi radicali per regolare la proprietà terriera, la produzione e la tassazione del petrolio. Una di queste prevedeva il rinvio sine die del piano di Caldera per privatizzare il sistema di sicurezza sociale e nazionale. chi si opponeva a queste misure le giudicava un attacco alla proprietà privata e all’economia di mercato. Tali provvedimenti erano una minaccia per l’elite bianca. Le marce di protesta divennero scioperi che culminarono con la chiusura di tutti gli esercizi pubblici del paese per 12 ore. Chavez in un discorso disse che il governo non avrebbe esitato a utilizzare le forze armate per appropriarsi dei poteri di emergenza. Il crescente dissenso che Chavez fronteggiava era rappresentato da un fornte di cui faceva parte sia elementi del settore privato che organi di informazione oltre alla chiesa cattolica e i partiti di opposizione contrari alle 49 leggi. Iniziò anche a crescere il malcontento delle forze armate, poco convinte del loro coinvolgimento nelle rivoluzione bolivariana con il Plan Bolìvar 2000. Il 18 febbraio 2002 l’ammiraglio Molina, uno dei gradi più alti delle forze armate si unì a coloro che chiedevano a Chavez di lasciare il governo.
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26. Il tentato golpe del 2002 in Venezuela Le forze di opposizione si erano compattate in un unico fronte ed erano pronte ad agire. Le maggiori organizzazioni sindacali proclamarono uno sciopero generale fino al momento in cui Chavez avesse lasciato il governo. A peggiorare le sorti del governo contribuì la progettata riforma della Pdvsa, l’azienda petrolifera statale prevista da una delle 49 leggi e terza compagnia al mondo. Chavez non solo non voleva privatizzarla ma voleva controllarne le politiche per farne uno strumento della strategia di governo. Per riuscirci doveva sostituire i vertici con uomini a lui vicini. Nel 2002 rimpiazzò i precedenti top manager con fedelissimi ma questo li indusse, danneggiati dalle vicende a unirsi a quelli che prepararono il golpe. Il 15 aprile 150.000 dimostranti si diressero al palazzo presidenziale di Miraflores per chiedere le dimissioni del presidente. Ci fu una sparatoria tra questi e i sostenitori del governo e alcuni alti gradi dell’esercito arrestarono Chavez e lo imprigionarono in una località fuori Caracas. Nuovo capo del governo si autonominò Carmona, leader di Fedecameras, che non appena al potere commise alcuni errori che nel giro di 48 ore permisero a Chavez di riprendere il suo posto. 1. fu escludere dal nuovo governo Carlos Ortega, uno dei principali cospiratori e sostenitori di Carmona con grande seguito. 2. ordinò la completa ristrutturazione degli alti comandi delle forze armate per timore che tra questi potessero esserci sostenitori di Chavez. Comportò le dimissioni di influenti generali. 3. sciolse sia il parlamento democraticamente eletto sia la corte suprema e dichiarò decaduta la costituzione del 99 approvata con larghissima maggioranza.
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27. Motivi del contrasto tra USA e Venezuela Gli stessi militari contrari a Chavez non accettavano il programma estremamente conservatore di Carmona e decisero di tornare sui propri passi. Migliaia di persone circondarono il palazzo presidenziale chiedendo a gran voce il ritorno di Chavez. Questi fu liberato e potè tornare a Miraflores e i congiurati furono arrestati. Non appena i media diffusero la notizia che a Cracas c’era stato un golpe, Spagna e Usa risposero con un comunicato congiunto in cui auspicavano il ritorno alla normalità democratica nel più breve tempo possibile. Subito dopo gli Stati Uniti e El Salvador riconobbero il nuovo governo. Il portavoce della casa bianca ammise che il governo statunitense aveva contatti diretti non solo con esponenti del governo ma anche con il leader dell’opposizione, in particolare Carmona. Gli Usa avevano manifestato l’appoggio alla sua persona e alle sue iniziative. Chavez sostenne che dopo il golpe, nell’isola in cui era stato condotto dopo il suo arresto aveva visto aerei militari con insegne Usa. Ma i motivi di contrasto tra Usa e Venezuela sono più profondi. All’epoca erano di 3 tipi: 1. le relazioni mai provate ufficialmente intrattenute dal governo di Caracas con le Farc e l’Eln. Queste condividevano con Chavez gli stessi ideali Bolivariani di integrazione latinoamericana. Chavez si è sempre espresso a favore e i negoziati di pace tra governo e Farc utili a concretizzare l’ipotesi della partecipazione di quest’ultima ad un esecutivo di unità nazionale. il sogno di Chavez e delle Farc era ricreare l’ideale di Bolìvar della Grande Colombia, la nazione formata da Venezuela, Colombia e Ecuador, da cui iniziare a far partire il processo di integrazione dell’intero continente. (dal 64 gli Usa sostenevano la lotta contro la guerriglia comunista con mezzi e risorse finanziarie secondo la logica della guerra fredda. Poi la lotta venne prima inserita nell’ambito della lotta al narcotraffico, poi con l’attacco alle trorri gemelle e l’avvento di Uribe venne inserita nella lotta al terrorismo) 2. il divieto espresso dal governo venezuelano del sorvolo dello spazio aereo venezuelano per gli aerei statunitensi utilizzati nella lotta al narcotraffico. 3. poi c’era stata la nuova politica petrolifera di Chavez. Il suo obiettivo era riprenderne il controllo e fare uno strumento di una nuova strategia di utilizzo: rialzo del prezzo del greggio per contrastare il predominio statunitense, incremento delle entrate dello stato e utilizzo di tali surplus per favorire lo sviluppo economico del paese. Una strategia che entrò in collisione con gli interessi americani della sicurezza degli approvvigionamenti energetici dato che il Venezuela fornisce più del 13% delle importazioni petrolifere negli Usa. 4. la condizione del Venezuela quale anti-Argentina. L’Argentina aveva accettato la medicina economica della Banca Mondiale con entusiasmo che nel 2001 le era stato fatale: libero commercio, leggi sul lavoro flessibile, privatizzazioni e riduzione dell’intervento dello stato. Chavez respiunge tutto ciò a cominciare dalla ricetta del libero commercio secondo i termini del Wto, del Nafta e del Ftaa. Il maggior errore di Washington fu non manifestare subito la propria contrarietà al colpo di stato attraverso una pubblica presa di posizione contro l’intenzione dei congiurati di sciogliere il parlamento. Fu solo quando altre nazioni latinoamericane espressero la loro disapprovazione che l’amministrazione Bush modificò il suo atteggiamento e sostenne che la defenestrazione violenta di un governo democraticamente eletto era un evento contrario agli interessi statunitensi. Il comportamento statunitense accrebbe il sospetto e la sfiducia delle nazioni sudamericane verso gli Usa. I governi della regione tra cui Argentina e Brasile, temendo che quanto accaduto in Venezuela potesse
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apparire un pericoloso precedente chiesero la convocazione dell’Oas. L’incontro dell’Oas avrebbe potuto essere utile per evitare che in altre nazioni della regione si verificassero eventi simili a quelli accaduti in Venezuela.
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28. Il dopo golpe in Venezuela Una volta tornato al potere Chavez volle rispettare le istituzioni democratiche. Non volle adottare misure autoritarie contro quelle frange della società civile che lo avevano voluto cacciare. Anzi tentò di eliminare i motivi di attrito con alcune categorie sociali quali le forze armate. Sapeva che una altro golpe poteva essere tentato e si sentiva minacciato. La sua prima mossa fu la stipula con Development Alternatives Inc. (DAI), una società di consulenza statunitense, di un contratto per gestire un fondo per aumentare la polarizzazione politica del Venezuela. Le forze di opposizione che avevano tentato di defenestrare Chavez organizzarono un nuovo sciopero generale che durò 64 giorni. Ad esso si affiancò una serrata della Pdvsa, in particolare il blocco della raffinazione del greggio, la paralisi delle installazioni estrattive e il blocco dei trasporti per nave. Un grave danno economico che doveva costringere Chavez a dimettersi. Le forze contrarie a Chavez erano cresciute: esponenti del mondo degli affari, sindacalisti, proprietari dei media, Chiesa Cattolica, comandanti di navi, piloto di aerei, giudici della corte suprema, stanchi di 4 anni di populismo e rafforzamento dei poteri presidenziali. Mentre Bush si sforzava di condurre una trattativa diplomatica con l’Iraq di Saddam Hussein, la pianificazione bellica per l’invasione della nazione mediorientale continuava. L’ossessione di Washington per l’Iraq e il medi oriente iniziava allora e avrebbe comportato gravi danni per gli interessi statunitensi in altre zone del mondo come l’America Latina. In più gli Usa dopo il fallimento del golpe erano obbligati ad essere più circospetti e sostennero l’avvio di negoziati formali tra le forze di opposizione e il governo chavista, sponsorizzati dall’Organizzazione degli Stati Americani. La mediazione internazionale unita alla volontà di Chavez di non cedere al ricatto delle opposizioni convinse queste ad accettare il blocco delle agitazioni sospendendo la serrata della Pdvsa in cambio dell’impegno a convocare un referendum revocatorio della carica presidenziale secondo quanto previsto dalla costituzione. Ai sensi di questa norma ogni carica elettiva poteva essere revocata dal popolo con una pronuncia collettiva non appena trascorsa almeno la metà del mandato. Il presidente accettò la sfida. Mentre procedevano le operazioni per la convocazioni del referendum, l’esecutivo decise di inaugurare una nuova fase del governo del paese. La totale ristrutturazione della Pdvsa e la sua definitiva sottoposizione al controllo del governo permise a Chavez di disporre degli enormi profitti dell’estrazione e dell’estrazione del petrolio che egli decise di reinvestire in ampi programmi sociali noti come “missioni”. Erano volte a combattere l’analfabetismo, l’abbandono scolastico, la disoccupazione, l’alto costo dei generi alimentari oltre a fornire ai venezuelani cure mediche gratuite. Il programma fu avviato nel 2003. questi programmi incisero sulla società venezuelana, in particolare nei settori più poveri, bisognosi di sostegno e ascolto da parte del governo. Per queste ragioni, sebbene le opposizioni le avessero denunciate come misure populiste furono costrette ad ammettere che se avessero mandato a casa Chavez chiunque lo avesse sostituito avrebbe dovuto continuare a spendere quote considerevoli di bilancio per finanziare tali progetti. Accanto alle missioni c’erano altri provvedimenti come la realizzazione di infrastrutture per dotare di acqua potabile milioni di persone. Il referendum contro il governo in carica si tenne nel 2004 e Chavez vinse. Così Chavez riuscirà finalmente a consolidare il suo potere per approfondire la rivoluzione bolivariana.
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29. Venezuela: aumento del greggio dopo Chavez Nel paese erano affluiti ingenti guadagni che avevano accresciuto il peso internazionale e il prestigio di Chavez. Negli ultimi anni il prezzo del barile di greggio era salito. Alla base di tale aumento ci sono più ragioni: 1. le turbolenze in medio oriente legate ala difficoltà incontrate dagli Usa in Iraq. La guerra contro Saddam Hussein avrebbe dovuto garantire più sicurezza negli approvvigionamenti petroliferi verso gli Usa e una conseguente riduzione dei prezzi ma le cose sono andate diversamente. Lo scacchiere meridionale da cui l’occidente ricava la maggior parte delle forniture energetiche è stato reso ancora più instabile dall’intervento americano. La guerra al terrore ha dato nuovo slancio alla ricerca di leadership araba dell’Iran ( in cui le elezioni nel 2005 hanno condotto al potere Ahmadinejad) senza risolvere i problemi di sicurezza energetica ma innescando una crescita dei costi degli idrocarburi. 2. difficoltà di incremento della capacità di raffinazione dei prodotti grezzi dei maggiori centri mondiali del settore e l’accresciuta domanda dei combustibili fossili delle economie indocinesi in crescita tutto ciò ha permesso ai paesi produttori tra cui il Venezuela di godere di un incremento delle entrate finanziarie.
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30. L'Opec e Chavez Nel 1960 Venezuela, Arabia Saudita, Iran, Iraq e Kuwait fondarono l’Opec, l’organizzazione dei paesi produttori di petrolio, a cui si aggiunsero Indonesia, Libia, Nigeria, emirati Arabi e Qatar. Sebbene tecnicamente in petrolio fosse di proprietà delle nazioni in cui si trovavano i giacimenti, le compagnie internazionali possedevano le tecnologie, le competenze, il capitale ma soprattutto i mercati per vendere il greggio. Con l’Opec nacque un’entità politica che avrebbe dato nuovo significato all’idea del petrolio in quanto merce politica dando una forma nuova all’ordine mondiale. L’Opec iniziò ad aumentare il prezzo del greggio costringendo le grandi compagnie e i paesi importatori ad accollarsi gli oneri di adeguamento che in passato ricadevano sugli esportatori. I paesi produttori incrementarono gradualmente le royalties e le compagnie riuscirono a far ricadere i costi sui consumatori. Nel 1973 il Venezuela aumentò le royalties addebitate alle compagnie e annunciò di voler nazionalizzare l’industria estrattiva. Tutti i paesi dell’Opec fecero lo stesso. Nello stesso anno l’Opec aumentò ancora il prezzo del greggio. Nel 1976 il Venezuela con Perez nazionalizzò la produzione di petrolio, l’intero settore venne riorganizzato e nacque la Pdvsa, azienda di stato. l’acquisizione non fu totale ma la legge permise alle 3 più grandi compagnie nazionalizzate di mantenere la loro autonomia. Negli anni 90 la Pdvsa immetteva suk mercato grandi quantità di oro nero limitando la capacità dell’Opec di decidere i prezzi e guadagnando ingenti somme di denaro. Nel 1997 l’azienda di stato fu completamente ristrutturata e questa volta con l’esclusione di ogni forma di presenza diretta o indiretta delle compagnie private. Con l’arrivo di Chavez fu aggiunta una nuova sezione, quella del gas naturale. Non appena al potere Chavez decise di seguire una strategia petrolifera incentrata sul perseguimento di due priorità: riportare sotto il pieno controllo dell’esecutivo la compagnia di stato e modificare la politica seguita sino a quel momento verso l’Opec. Smentì la promessa dl precedente governo di privatizzare l’azienda e ne rafforzò le caratteristiche pubbliche. Nel 2002 l’obiettivo di portare la Pdvsa sotto il pieno controllo del governo fu quasi completamente raggiunto. L’eccessiva volatilità del prezzo del greggio fu una delle ragioni per cui Washington decise di giocare la carta mediorientale e iniziò a preparare l’invasione dell’Iraq di Saddam Hussein. L’operazione irachena non riuscì a garantire un flusso di petrolio sufficiente da ridurne i prezzi ma anzi diminuì. Nel frattempo la domanda quadruplicò.
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31. Venezuela: oil diplomacy I benefici che ottenne il Venezuela dalla vendita del petrolio furono utilizzati nelle varie Missioni. In politica estera utilizzò la leva del petrolio secondo una strategia che è stata definita “oil diplomacy”. Era funzionale a liberare il Venezuela e l’America Latina dalle politiche neoliberiste imposte dalle istituzioni finanziarie globali e dalla dipendenza dagli Usa, accrescendo il ruolo internazionale del paese e l’integrazione latinoamericana. Il momento di svolta tra Venezuela e Usa fu il tentato golpe del 2002. i sospetti di un coinvolgimento diretto di Washington indussero Chavez a radicalizzare la sua posizione verso gli Usa. Rafforzò gli attacchi contro il vicino nord accusato di sfruttare le nazioni meridionali per i propri interessi. Dall’esasperazione dei rapporti tra i due hanno avuto origine varie iniziative chaviste per accrescere l’autonomia latinoamericana dagli Usa e realizzare l’ideale dell’integrazione dell’intero Sudamerica. Il contenitore ideologico è stato individuato nel progetto Alba. L’iniziativa nacque con accordi stilati nel 2004 tra Cuba e Venezuela. Contrapposta al progetto statunitense dell’accordo di libero scambio Ftaa, Alba intendeva realizzare un sistema di integrazione alternativo a quello proposto dalla Casa Bianca. I due paesi si accordarono perché le relazioni tra i membri di Alba si fondassero sui seguenti principi: sviluppo sostenibile, trattamento diversificato di situazioni differenti, garanzia di pieno accesso a tutti i vantaggi comuni, cooperazione e solidarietà reciproca, integrazione energetica, maggiore impulso agli investimenti regionali e minore dipendenza da quelli stranieri nonché la costituzione di un fondo di coesione per garantire la parità di condizioni tra i membri. Gli aspetti pratici hanno riguardato l’interscambio petrolifero e l’invio di medici cubani. A questi sono seguiti accordi con l’Argentina da cui hanno avuto origine iniziative di rilievo come Petrosur e Telesur. Nel 2005 hanno avuto inizio le trasmissioni di Telesur, la prima televisione satellitare interamente latinoamericana costituita da un consorzio multi statale tra emittenti pubbliche di Venezuela, Argentina, Uruguay, Cuba e Brasile. Sempre nell’ambito dell’Alba, i guadagni provenienti dalle esportazioni petrolifere del Venezuela sono stati utilizzati per fornire greggio a prezzo ridotto ad altri paesi latinoamericani in difficoltà e accrescere così la solidarietà intercontinentale. Nel 2005 13 nazioni latinoamericane insieme al Venezuela diedero vita a Petrocaribe, una istituzione atta a favorire la collaborazione di forniture petrolifere tra paese produttori e non. Sempre nel 2005 nasce Petrosur con l’obiettivo di unire le compagnie petrolifere di stato in un unico polo energetico latinoamericano di rilevanza mondiale che prevedesse l’esclusione delle grandi multinazionali americane e internazionali, lo sviluppo e l’integrazione regionale attraverso l’impiego di proventi petroliferi nel settore sociale e ambientale. Nel 2006 gli Usa annunciarono l’interruzione dei negoziati per la stipula di un accordo di libero commercio.
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32. La Cina e il Sudamerica Nel 2005 Hu Jintao si recò in Messico dove firmò con Vicente Fox vari accordi di cooperazione nel settore culturale, in quello import-export ortofrutticolo ma soprattutto gettò le basi per futuri accordi minerari quali l’estrazione del ferro e altre risorse naturali messicane. L’intesa formata con il Messico fu l’ultima tappa di una tattica adottata da Pechino verso il continente latinoamericano. L’America Latina con la sua ricchezza nel sottosuolo è divenuto un obiettivo ambito dagli operatori economici cinesi. L’interesse di Pechino si è sviluppato dal 2001. La penetrazione cinese ha potuto contare su 2 fattori: 1. le condizioni economiche sudamericane. 20 anni di applicazione di politiche economiche neoliberiste anziché favorire la crescita e la distribuzione della ricchezza tra le nazioni sudamericane ne hanno causa l’indebitamento. I paesi latinoamericani hanno quindi un estremo bisogno di finanziamenti per infrastrutture e liquidità. 2. la notevole sfiducia di queste nazioni verso l’intervento statunitense i problemi economici uniti alla sfiducia negli Stati Uniti hanno portato molte nazioni sudamericane a cercare nuovi punti di riferimento. A spingere la Cina verso l’America latina sono intervenuti anche altri fattori. Accanto alla necessità di diversificare l’accesso alle risorse minerarie ed energetiche mondiali in una sempre più marcata competizione con l’India, il crescente interesse della Cina verso l’America del sud è stato favorita anche dalla continua rivalità con Taiwan e dall’intenzione cinese di riunificare alla madrepatria la provincia ribelle. Pechino vorrebbe isolare politicamente Formosa così da soffocarne la capacità di azione globale. Nel mondo solo 25 paesi intrattengono relazioni diplomatiche con Taiwan e 12 sono in America Latina. La Cina vorrebbe convincere questi a ritirare il loro riconoscimento diplomatico a favore di Taiwan.
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33. L’America Latina, la Spagna e il Venezuela Storicamente i rapporti della Spagna con il Sudamerica sono sempre stati stretti. La colonizzazione spagnola della regione, la comunanza con la lingua, ha contribuito a gettare le basi per una forte identità culturale. Completata la decolonizzazione, lo scambio culturale tra le due sponde ha continuato ad essere intenso. La Spagna è un ponte culturale, politico, linguistico ed economico verso il continente latinoamericano. A politica estera di Aznar era poco più che una emanazione di quella statunitense. Aznar aveva sostenuto ogni iniziativa di politica estera adottata dalla casa bianca. Aznar aveva tentato di sfruttare in ogni modo i legami storici e culturali tra il suo paese e il continente latinoamericano, per convincere i paesi che ne erano parte ad entrare nel coalition of the willing che aveva condotto l’attacco e poi l’occupazione dell’Iraq. L’11 marzo la Spagna fu colpita da gravi attentati terroristici di matrice islamica e pochi giorni dopo le forze socialiste del Psoe con a capo Zapatero, contrarie all’intervento in Iraq vinsero le elezioni. Zapatero ritirò tutte le truppe spagnole da Baghdad causando una tensione con gli Usa ma permise alla Spagna di liberarsi di tutti i condizionamenti e rapporti obbligati conseguenti alla stretta vicinanza politico-diplomatica con Washington di Aznar. Zapatero ha dato nuova enfasi al rapporto con l’America Latina. La Spagna ha approfittato del vuoto diplomatico lasciato dagli Usa troppo presi dalla guerra al terrorismo e tramite una serie di accordi diplomatici ed economici è riuscita a trasformarsi in un fattore politico regionale, porta di passaggio per tutte le nazioni dell’America Latina alla ricerca di una stretta integrazione con l’UE. La società petrolifera Repsol riuscì a incrementare le sue importazioni di greggio dal Venezuela costituendo una joint venture con Pdvsa. Poi Chavez acquistò aerei e navi militari da guerra spagnole.
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34. Integrazione latinoamericana Nei mesi successivi aumentarono le occasioni in cui i paese latinoamericani intensificarono i contatti per discutere l’integrazione delle loro economie. Nel 2005 si tenne il vertice delle Americhe di Mar del Plata in Argentina in cui si riunirono tutti i paesi latinoamericani più Usa e Canada. In quell’occasione Bush operò l’ennesimo tentativo di dare slancio ai negoziati dell’accordo di libero commercio Ftaa. Kichner e Lula da Silva non rifiutarono a priori ma si opposero alla versione di Washington. Chavez era contrario. Il Brasile e gli altri paesi del Mercosur, forti esportatori di prodotti agricoli, chiesero agli Usa di bloccare le sovvenzioni federali agli agricoltori americani che contribuivano a distorcere la concorrenza internazionale. Bush riconobbe che avrebbe dovuto impegnarsi a ridurre le tariffe sui prodotti latinoamericani sia le sovvenzioni agli agricoltori del mid-west. Ma non prese nessuna misura concreta e i colloqui si interruppero con nulla di fatto. In quell’occasione ci fu la battuta di arresto per gli accordi del Ftaa ma le nazioni latinoamericane si accordarono per avviare il processo di ingresso nel Mercosur del Venezuela come membro a pieno diritto.
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35. Nascita del Mercado Comun del Sur Il Mercado Comun del Sur nacque nel 1991 quando 4 membri originari Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay firmarono il trattato di Asuncion. Si impegnarono a formare un mercato comune in cui fosse garantita la libera circolazione delle merci, servizi e fattori di produzione attraverso l’eliminazione dei dazi doganali, delle restrizioni non tariffarie e di ogni altro ostacolo. Nacque con la convinzione che se le nazioni sudamericane si fossero unite in un accordo commerciale in grado di trasformarle in un blocco compatto avrebbero avuto maggiore capacità di influenzare a proprio favore i negoziati per la creazione dell’area di libero scambio americano, allora in discussione con gli Usa. L’abbassamento delle tariffe doganali tra i paesi membri permise una robusta crescita dell’economia nell’area, mentre quello dei dazi verso l’esterno divenne troppo elevato rispetto alle medie mondiali con conseguente rallentare della crescita. Un impulso importante fu dato dall’elezione brasiliana nel 2002 di Lula da Silva.
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36. Governo di Lula Da Silva Una volta al potere, riprendendo le tendenze del predecessore Cardoso impostò una politica estera fondata sull’immagine di 3 cerchi concentrici: l’America latina, Gli Usa e il Sud del mondo. Il Brasile è tra i fondatori del Mercosur e tra questi è l’economia più forte e in maggior crescita. Si avviava a diventare una superpotenza agricola, era il maggior esportatore mondiale di carne bovina, caffè e succo d’arancia. Il governo Lula volle dare nuova priorità all’integrazione latinoamericana e all’estensione della cooperazione all’interno del Mercosur. Nel 2004 i presidenti del Mercosur firmarono la dichiarazione di Cuzco con cui nacque la Comunità delle nazioni Sudamericane, un progetto che, sulle orme dell’UE voleva creare un Parlamento comune, una moneta e un passaporto unico entro il 2019. Lula e Kirchner si impegnarono a rafforzare il Mercosur e chiesero al Venezuela di entrare a farne parte. Man mano che si avvicinava la data d’ingresso del Venezuela prevista per il 2006, le tensioni tra Chavez e Lula si intensificarono. Chavez voleva privilegiare una tipologia di integrazione separata dagli Usa, fondata sul Mercosur oltre che sull’integrazione energetica delle nazioni latinoamericane spinte ad appropriarsi della proprie risorse per sottrarle al controllo straniero. Chavez affiancò anche azioni per sostenere quei candidati alle elezioni presidenziali che tra 2005 e 2006 rinnovavano la dirigenza politica di gran parte delle nazioni sudamericane e che si dichiaravano di impostazione progressista. A giudizio di Lula l’integrazione, più che secondo l’asse Brasilia-Caracas avrebbe dovuto fondarsi su quello Brasilia-Buenos Aires senza isolarsi dagli Usa. Questo perché il mercato agricolo statunitense è particolarmente importante per il Brasile. Grazie all’ingresso del Venezuela nel Mercosur il PIL dei paesi associati aumentò notevolmente e il Mercosur divenne la quarta maggiore economia del mondo
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37. Venezuela: la democrazia di Punto Fijo e gli Stati Uniti Il deterioramento del rapporto tra Usa e Venezuela è il risultato di un insieme di vari fattori di cui il rilevante è stata la volontà di Chavez di non accettare l’egemonia statunitense sull’America latina. Prima dell’avvento di Chavez, nel periodo noto come la democrazia di punto fijo, dal 58 al 99 a Caracas il volere di Washington regnava incontrastato. Gia allora il Venezuela era il più importante esportatore di petrolio negli Usa, al di fuori del Medio Oriente. E i beni americani importati da Caracas erano quasi la metà delle importazioni del Venezuela. L’esistenza di una speciale relazione tra Usa e Venezuela fu confermata dalla reazione del paese caraibico alla crisi dei missili cubani. Il presidente Betancourt si era offerto di sostenere ogni decisione di Washington. Qualche anno dopo, durante la prima presidenza di Perez, quando questi nazionalizzò le risorse petrolifere venezuelane per usare i profitti a scopi sociali, nonostante le buone relazioni con gli Usa, l’amministrazione Nixon dimostrò sorpresa e preoccupazione. La relativa stabilità politica garantita al Venezuela dall’accordo di punto fijo non riuscì ad evitare che nel paese attecchissero i germi della rivoluzione comunista cubana e anche in questo caso Nixon si mosse con circospezione. Durante gli anni di Reagan le relazioni si svilupparono lungo i binari della collaborazione e dello sviluppo delle relazioni commerciali. Washington non riuscì però ad evitare il graduale deterioramento della stabilità politica venezuelana iniziato a fine anni 80 e proseguito negli anni 90. sebbene l’accordo di Punto Fijo avesse permesso al Venezuela di godere di un lungo periodo di stabilità politica, in un epoca in cui l’intera regione latinoamericana era punteggiata da continui colpi di stato militari, la grande coalizione tra i maggiori partiti non riuscì a evitare l’impoverimento della popolazione e la diffusione del malcostume e della corruzione. I punti deboli del regime di punto fijo erano 2: 1. l’incapacità del sistema politico economico di rispondere in modo efficace alle fluttuazioni crescenti del prezzo internazionale del greggio 2. la caratteristica dei partiti venezuelani di monopolizzare ogni aspetto della vita politica ed economica.
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38. Depressione economica degli anni '80 in America Latina Agli inizi degli anni '80 l’America Latina cadde in una profonda depressione economica che causò la caduta dei prezzi petroliferi e costrinse Caracas a drastici tagli nella spesa assistenziale. La crisi sociale che ne seguì si trascinò per tutto il decennio esplodendo con la rielezione di Pèrez. A favorire un’impennata delle tensioni sociali contribuirono le riforme economiche di Pérez nell’ambito del Washington Consensus e raggiunsero l’apice con il Caracazo nel 1989. Fu l’evento che accelera la fine del periodo di Punto Fijo e condusse all’ascesa di Chavez. Il programma di Chavez puntava a indebolire l’egemonia statunitense verso il Venezuela e tutta l’America Latina. All’inizio i governanti statunitensi preferirono evitare di mettere a repentaglio i forti interessi economici intrattenuti con il Venezuela, assumendo un atteggiamento ostile al nuovo presidente.
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39. Il Venezuela e l’amministrazione Clinton Il primo presidente ad avere rapporti istituzionali con Chavez fu Clinton. Scelse di mantenere la cordialità che caratterizzava le relazioni bilaterali finchè Chavez avesse tutelato l’integrità dei beni americani e si fosse astenuto dal compiere atti di nazionalizzazione. Clinton comunque non poteva accettare che il Venezuela fosse governato da un uomo che si dichiarava contrario alle politiche economiche neoliberali e minacciava di riappropriarsi delle rendite ottenute dall’estrazione del petrolio. Quindi la Casa Bianca tentò di sbarrare la strada a Chavez per la presidenza con molti strumenti: concedendo finanziamenti ad uno dei candidati a lui opposti, Romero per esempio, ma fu tutto inutile. Una volta eletto Clinton decise di far buon viso e cattivo gioco. Ormai mancava meno di 2 anni al termine del mandato e Clinton, finchè Chavez non avesse messo in pericolo gli interessi statunitensi continuò ad evitare un approccio apertamente ostile.
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40. Il Venezuela e l’amministrazione Bush Le relazioni tornarono tese con l’avvento alla Casa Bianca di George W. Bush nel 2001. Nel 2002 Chavez fu oggetto del colpo di stato e l’amministrazione Bush invece di denunciare la violazione dei principi democratici da parte dei golpisti, offrì un appoggio immediato agli esponenti del nuovo governo e tale ambiguità indusse Chavez a radicalizzare le sue accuse e la sua posizione antiamericana. Le cose peggiorarono quando Bush accusò Chavez di sostenere economicamente le formazioni terroristiche e marxiste delle Farc. Gli elevati prezzi del petrolio del 2004 e 2005 permisero a Chavez di esportare fuori dal proprio paese la rivoluzione bolivariana con vari mezzi tra cui l’oil diplomacy sino ad arrivare al momento attuale in cui la prospettiva di un America Latina sottratta all’egemonia statunitense e avviata ad una nuova identità economica e politica è una realtà.
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41. La Casa Bianca e le strategie per fermare la deriva latinoamericana: la legge sull’immigrazione del 2006 Spinta dalla necessità di rispondere alla crescente disaffezione dell’America Latina verso gli Usa, nel 2006 la Rice annunciò che centinaia di diplomatici statunitensi sarebbero stati spostati dall’europa all’Asia, l’Africa, il Medio Oriente e l’America Latina. Terminata la guerra fredda si intendeva dare priorità ad altre zone del mondo. Dopo i contrasti del 2002 e 2003 con Fix riguardo la richiesta di legalizzare 3 milioni di immigrati irregolari latinoamericani presenti nel suolo americano, Bush decise di affrontare di nuovo il problema proponendo l’approvazione di una riforma. A suo giudizio si dovevano rafforzare i controlli alle frontiere rimandando indietro gli immigrati che avessero tentato di entrare illegalmente negli Usa. Tali provvedimenti andavano affiancati da soluzioni adeguate per permettere agli immigrati che entravano nel paese per lavorare di farlo legalmente e ottenere le migliori garanzie per tutelare il loro status. La Camera dei Rappresentanti approvò una legge che definì reato l’immigrazione illegale e stanziò fondi da usare per la costruzione di un muro di 700 miglia tra Messico e Stati Uniti. La Cmera aveva dato ascolto solo alle richieste di sicurezza degli americani lasciando in secondo piano sia le strategie di politica estera del presidente verso le nazioni sudamericane sia i voti degli immigrati latinos. Fox espresse preoccupazione verso le misure militari decise per controllare i confini e verso il muro previsto dalla legge sull’immigrazione.
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42. La firma degli accordi Cafta Altro strumento utilizzato da Washington per tentare di riaffermare la propria egemonia sull’America Latina è stata la firma sugli accordi di libero commercio con alcune nazioni del Centroamerica conosciuto come Cafta. Il trattato, stipulato con El Salvador, Honduras, Guatemala, Nicaragua, Repubblica Dominicana e organizzato sul modello del Nafta siglato nel 1993 con Messico e Canada avrebbe dovuto essere il primo passo per la stipula di accordi analoghi con Ecuador, Colmbia e Perù. Dopo di ciò, ulteriore traguardo avrebbe dovuto essere la firma del Ftaa che tuttavia fu bloccato al vertice del Mar del Plata nel 2005. Il reale impatto economico di tale provvedimento sarebbe stato minimo. L’importanza dell’accordo sarebbe stata soprattutto di natura politica. Avrebbe significato la vittoria del modello di espansione commerciale di stampo bushano rispetto al modello proposto dai legislatori democratici teso ad evitare la delocalizzazione del lavoro come già avvenuto con il Nafta. Sarebbe poi stato utile per altri 2 motivi: avrebbe svolto un ruolo essenziale nel garantire la stabilità delle nazioni interessate sia riguardo la conservazione della forma di governo democratica, secondo l’enfasi sulla diffusione della democrazia, sia per la tutela della libertà dell’iniziativa economica. In secondo luogo la firma del Cafta avrebbe permesso di rafforzare la declinante influenza statunitense sulla regione: il centroamerica come punto di partenza per riacquistare l’egemonia sul resto del Sudamerica. L’accordo sarebbe dovuto entrare in vigore nel 2006 ma gli Usa rinviarono la data di effettiva operatività. La decisione fu presa per l’impossibilità di rendere funzionanti i meccanismi del trattato. I paesi centroamericani non avevano attivato le procedure legislative per adempiere gli impegni presi costringendo gli Usa ad optare per un rinvio.
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43. La nuova politica statunitense con i governi latinoamericani Nel 2006 si tenne la cerimonia di insediamento di Bachelet in Cile. Gli Usa adottarono un nuovo approccio nei rapporti con il Sudamerica. Non più attacchi frontali e controproducenti contro candidati pronti a mettere in discussione l’influenza americana nella regione ma tentativi di comprendere e venire incontro alle diverse posizioni politiche, provando allo stesso tempo a contenere il Venezuela. (il potere di uno stato consiste nella capacità di influenzare gli altri soggetti della comunità internazionale per ottenere gli esiti desiderati: lo scopo può essere raggiunto in più modi: con la forza, con risorse finanziarie o con l’attrazione ai propri valori e al proprio stile di vita. Le prime due tipologie rientrano nell’hard power, di cui la potenza militare ed economica è uno degli elementi più qualificanti, mentre la capacità di attrazione e cooptazione ai propri valori viene definita soft power. Se uno stato dispone di soft power significa che è in grado di vendersi nel modo migliore). Quali sono le tradizionali risorse di soft power a disposizione degli Usa? Ad esempio i valori di democrazia e libertà che avevano distinto sin dall’inizio le 13 colonie inglesi, i grandi ideali di F. Roosvelt (la libertà della paura, la lotta contro i totalitarismi, la politica di buon vicinato) seguirono poi il new deal, il fair deal, il piano Marshall di Thruman, la Nuova Frontiera di Kennedy. A questi valori se ne aggiunsero altri come il rock and roll e i Blue jeans.
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44. Il contenimento del Venezuela, la inoculation Strategy di Condoleeza Rice e la NSS 2006 La Rice si diceva disposta a collaborare con i nuovi governi latinoamericani eletti democraticamente e a modificare le politiche che potevano essere interpretate come frutto dell’arroganza statunitense in un sapiente dosaggio di soft e hard power. Ma le tensioni tra Usa e Venezuela non sembravano attenuarsi. Dopo le reciproche espulsioni del personale diplomatico, la Rice accusò Chavez di destabilizzare paesi amici come il Nicaragua, Colombia e Perù attraverso una “guerra asimmetrica”, una strategia di sabotaggi, attacchi mordi e fuggi. Inoltre le sempre più strette relazioni militari intrattenute con Iran e Corea del nord rappresentavano una minaccia alla sicurezza dell’intera regione. Tutti i paesi dell’America Latina avrebbero dovuto unirsi agli Usa per costruire un fronte utile a contrastare le iniziative del Venezuela. Le sue parole furono accolte con una condanna da quasi tutte le nazioni latinoamericane, indizio che la politica di Chavez contro l’egemonia statunitense iniziava a fare breccia. Gli stessi toni della Rice echeggianti l’applicazione della tradizionale politica del contenimento si rinvenivano anche nel rapporto sulla Strategia per la Sicurezza Nazionale nel 2006, l’NSS 2006. in esso si riaffermava il diritto degli Usa di lanciare attacchi preventivi contro minacce potenziali, si dava maggior rilievo all’importanza delle alleanze collettive per controbilanciare le sfide del terrorismo, per contrastare la proliferazione delle armi di distruzione di massa e diffondere la democrazia. La maggior parte del testo era dedicata alla minaccia del regime di Teheran ma veniva dato ampio spazio anche all’America Latina. Le principali minacce agli interessi di Washington erano indicati in Cuba, Venezuela e Colombia, quest’ultima per la lotta al narcotraffico e le guerriglie marxiste delle Farc e dell’Eln.
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45. Gli accordi di libero commercio con Perù e Colombia Nel 2006 gli Usa annunciarono l’interruzione dei negoziati con l’Ecuador per la stipula di un accordo di libero commercio. La decisione era collegata dall’annuncio delle autorità dell’Ecuador di cancellare il contratto di concessione petrolifera all’Americana Occidental Petroleum. Svanita l’opportunità di stipulare un accordo commerciale generale, Bush aveva deciso di perseguire un disegno diverso: i negoziatori statunitensi optarono per la firma di accordi di libero commercio parziali o bilaterali o al massimo regionali come il Cafta. Dopo l’assenso di Colombia e Perù, alla stipula di trattati commerciali bilaterali, gli Usa parevano di ottenere un risultato analogo anche con l’Ecuador. Appena gli Usa iniziarono le trattative con Colombia e Perù, Chavez ritirò il suo paese dalla Can per protestare. Alle iniziative statunitensi Chavez rispose sia rilanciando l’integrazione latinoamericana con il Mercosur, sia proponendo al presidente colombiano Uribe un progetto volto a escludere gli Usa dalla regione attraverso la nascita di una confederazione andina bolivariana estesa anche al Perù, alla Bolivia e all’Ecuador.
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46. I tentativi di Washington di riavvicinamento al Brasile Nell’incontro dei membri del Mercosur alla fine 2006, Lula aveva ribadito che l’accordo di libero commercio delle americhe voluto dagli Usa e bloccato dopo il fallimento al vertice del Mar del plata del 2005 doveva considerarsi scomparso e se Washington lo avesse riproposto avrebbe dovuto trattare non con i singoli paesi ma con il Mercosur. Il fallimento del Doha Round colpiva direttamente gli interessi degli agricoltori brasiliani che si vedevano esclusi dalle riduzioni tariffarie alle proprie esportazioni e rappresentava un ulteriore colpo agli obiettivi di svilupp egli accordi commerciali caldeggiati dalla Casa Bianca. Bloccato il Doha Round, un altro settore in cui la collaborazione con Brasilia poteva trovare terreno fertile per svilupparsi era quello degli approvvigionamenti energetici. In modo da ridurre la dipendenza dal petrolio del sistema economico statunitense. Considerati i progressi brasiliani nelle energie alternative come etanolo e carburanti biologici la Casa Bianca decise di approfondire le relazioni economiche con il Brasile. A prescindere dallo sviluppo positivo o meno dei negoziati del Doha Round o del Ftaa.
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47. La guerra delle parole tra Washington e Caracas e la sicurezza energetica statunitense Prima dell’appello della Rice a isolare il Venezuela, il 2006 si era aperto con un crescendo i contrasti. Oltre che nella Nss 2006, anche nella quadriennal defense review (qdr), l’aggiornamento del piano per la difesa, gli estensori giudicavano il risorgere di movimenti autoritari e populisti in alcuni paesi come il Venezuela, una fonte di instabilità politica ed economica. Caracas iniziò a rafforzare le risorse difensive. Nel 2006 le autorità americane non permisero al governo spagnolo di vendere al Venezuela aerei militari equipaggiati con tecnologia statunitense perché l’acquisto di tali materiali avrebbe accresciuto l’instabilità regionale. La risposta di Chavez non si fece attendere e disse che la mossa di Washington era un atto di orrorifico imperialismo e minacciò che avrebbe tagliato le forniture di petrolio che il Venezuela forniva al paese. Un nuovo elemento di tensione peggiorò il clima. Chavez avvertì l’ambasciata statunitense a Caracas che il suo paese avrebbe espulso l’attachè navale John Correa, accusato di passare informazioni riservate venezuelane agli Usa. Gli Usa allora espulsero dall’ambasciata di Caracas a Washington la responsabile dello staff dichiarandola persona non grata. Il ministro del petrolio venezuelano Ramirez disse che il suo paese si stava preparado a diversificare i mercati di vendita del greggio per ridurre la dipendenza dagli acquirenti statunitensi incrementando le esportazioni verso la Cina. Gli Usa dissero che il Venezuela avrebbe commesso un grave errore se avesse tagliato le forniture di petrolio agli Usa per inviarlo ad altri mercati e se l’avesse fatto avrebbe affrontato un notevole incremento dei costi. Poi Morales nazionalizzò le risorse di gas del paese, decisione che costrinse le nazioni più dipendenti dalle risorse boliviane a pagare di più le stesse quantità di energia. Tale scelta indusse Bush a dare maggior impulso alla sua politica energetica. Bush e Putin firmarono un accordo per la reciproca cooperazione nell’uso civile dell’energia atomica. Si impegnarono a garantire la massima libertà di accesso alla tecnologia nucleare per i paesi in via di sviluppo accordandosi per una divisione dei compiti. Gli alti prezzi del petrolio indussero gli Usa a pensare di sviluppare non solo l’energia nucleare ma anche l’uso dell’etanolo come combustibile vegetale. Gli alti prezzi degli idrocarburi rendevano competitive tali fonti energetiche. Il recente successo in questo campo del Brasile era un esempio importante e l’amministrazione decise di incrementare i fondi per lo sviluppo di energie pulite e e rinnovabile ma anche di approfondire le relazioni commerciali ed economiche con il Brasile. Ad accelerare l’urgenza di una nuova politica energetica americana intervenne anche la decisione di Chavez di bloccare la distribuzione del petrolio presso 1800 stazioni di distribuzione sul territorio americano. Poi la Casa Bianca vietò la vendita di armi al Venezuela per la sua scarsa cooperazione alla lotta al terrorismo. Poi con un occhio alle elezioni presidenziali iniziò a finanziare le forze di opposizione a Chavez. Gli Usa avevano deciso di sobillare vaste proteste popolari contro il processo elettorale e contro il governo per causare caos e instabilità secondo un corso d’azione strutturato in 3 parti: 1. garantire adeguato sostegno alla candidatura del rappresentante dell’opposizione Rosales pilotando i sondaggi d’opinione in modo da attribuire a Rosales una buona percentuale di intenzioni di voto 2. usare i mass media in gran parte ostili a Chavez per creare la percezione che le elezioni si sarebbero svolte
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in maniera fraudolenta 3. convincere una quantità di persone sufficienti a scendere in strada per generare una sensazione di possibile mutamento di regime.
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48. Il confronto per il seggio permanente al consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite Il massimo organo decisionale delle Nazioni Unite è composto da 15 membri di cui 5 permanenti e con diritto di veto Usa, Cina, Russia, Gran Bretagna e Francia (le nazioni vincitrici della seconda guerra mondiale) e 10 a rotazione elette ogni 2 anni a rappresentare le varie zone del globo. Nel 2006 scadevano i 2 anni di permanenza dell’Argentina quale rappresentante dell’America Latina. Alla fine 2005 il Venezuela aveva posto la sua candidatura alla sostituzione di Buenos Aires ma aveva incontrato l’opposizione statunitense che gli aveva opposto Guatemala. La decisone doveva essere rimessa all’Assemblea generale dove per essere eletti sarebbe stata necessaria la maggioranza dei due terzi delle 192 nazioni presenti. Per mesi le autorità di Caracas corteggiarono vari stati per ottenere il loro sostegno e Chavez visitò moltissimi paesi tra cui Cina, Iran, Russia, Bielorussia, Vietnam, Mali, Qatar… e i viaggi di Chavez erano un tour di quello che Bush aveva definito l’asse del male. Il confronto tra le due nazioni si intensificò talmente che la scelta tra Venezuela e Guatemala si trasformò in un indice sia della capacità statunitense di mantenere la propria influenza sul subcontinente sia dell’influenza diplomatica di Chavez sugli altri paesi della regione e su tutte le nazioni che aveva tentato di convincere a sostenere il suo tentativo. L’unico paese latinoamericano a non dichiarare la sua posizione fu il Cile. Ma alla fine Bachelet appoggiò l’ingresso del Venezuela. Alla fine i rappresentanti dei 2 paesi decisero di ritirarsi in favore di una candidatura di compromesso: Panama. Tale esito assestò un grave colpo alla credibilità di Chavez e alla sua capacità di influenzare la politica globale. Ma nemmeno gli Usa avevano ottenuto ciò che volevano q evidenziare le ormai crescenti difficoltà nel gestire il loro cortile di casa. Nel Sudamerica il netto schieramento di Brasile, Argentina e Bolivia a favore del Venezuela e l’opposto sostegno di Perù, Colombia e Messico al Guatemala diede una immagine divisione piuttosto che di unità.
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Indice 1. America Latina e USA: la dottrina Monroe
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2. Usi e abusi della Dottrina Monroe
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3. L’espansionismo di Theodore Roosevelt e il suo corollario alla dottrina Monroe
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4. I successori di Roosevelt e il messianismo di Wilson
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5. La politica di buon vicinato di Franklin Roosevelt, la seconda guerra mondiale e il
5
6. La guerra fredda e l’amministrazione Truman
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7. L’amministrazione Eisenhower, la lotta al comunismo e il problema di Cuba
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8. Kennedy, l’alleanza per il progresso, Cuba e Che Guevara
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9. Lyndon Johnson e il ritorno alla politica di intervento
11
10. Richard Nixon e la destabilizzazione dei governi ostili
12
11. Gerald Ford, Jimmy Carter e l’importanza dei diritti umani
13
12. Ronald Reagan e l’impero del male
14
13. George H. Bush, ultimo presidente della guerra fredda
15
14. Clinton e l’America Latina
16
15. L’elezione di George W. Bush, la campagna presidenziale e l’America Latina
18
16. W. Bush e l’America Latina prima dell’11 settembre
19
17. La risposta dell’amministrazione Bush agli attacchi dell’11 settembre
21
18. Il secondo anno del primo mandato di Bush e l’evoluzione del rapporto con l’America
23
19. La guerra in Iraq e la risposta delle nazioni dell'America meridionali
24
20. Gli Stati Uniti, il Washington Consensus e l’America Latina
25
21. La peculiarità politica del Veneuzuela
26
22. Il Caracazo del 1989
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23. Hugo Chavez
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24. La gestione del potere, la nuova costituzione e le misure economiche adottate da
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25. Primi segnali di opposizione contro Chavez
30
26. Il tentato golpe del 2002 in Venezuela
31
27. Motivi del contrasto tra USA e Venezuela
32
28. Il dopo golpe in Venezuela
34
29. Venezuela: aumento del greggio dopo Chavez
35
30. L'Opec e Chavez
36
31. Venezuela: oil diplomacy
37
32. La Cina e il Sudamerica
38
33. L’America Latina, la Spagna e il Venezuela
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